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Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone collaboratori ad Avigliana
Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone collaboratori ad Avigliana Note sulla tecnica di esecuzione e sul restauro del trittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina
T I Z I A N A C AVA L E R I PAOLA MANCHINU BERNADETTE VENTURA
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Dal 2014 il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” (CCR), grazie alla collaborazione con la Diocesi di Torino e al sostegno della Compagnia di San Paolo, si è fatto promotore di un progetto per l’analisi, il restauro e la conservazione dei dipinti su tavola (polittici, pale d’altare e portelle dipinte fronte e retro) che ornano gli altari e il presbiterio della chiesa parrocchiale dei Santi Giovanni Battista e Pietro ad Avigliana, uno dei più importanti nuclei di opere del Rinascimento piemontese conservati fuori da una sede museale. La possibilità di avviare lo studio scientifi co comparato e il restauro di tali dipinti riferibili a due dei principali protagonisti della pittura del Cinquecento piemontese, Gerolamo Giovenone e Defendente Ferrari, in un momento iniziale e condiviso della loro carriera artistica, quando, dopo la comune formazione presso la bottega di Giovanni Martino Spanzotti, operano in modi straordinariamente simili, e poi in anni più inoltrati, quando Defendente, ormai autonomo, è a capo di una effi ciente bottega pittorica, costituisce certo uno degli aspetti più rilevanti e, al tempo stesso, ambiziosi di questo progetto. Dopo l’avvio di un cantiere conoscitivo preliminare, è stato fi nora possibile completare il recupero di tre opere particolarmente compromesse: il trittico di San Gerolamo e una portella con le Tentazioni di sant’Antonio Abate di Defendente Ferrari e il trittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina frutto della collaborazione tra i due artisti. I dipinti erano giunti nella parrocchiale di San Giovanni in seguito alla dispersione del patrimonio artistico delle chiese locali spettanti, in particolare, agli ordini religiosi soppressi dall’editto napoleonico del 1802, come le sedi degli agostiniani e dei francescani, o come la sede degli umiliati già abbandonata dopo il 1571. San Giovanni fu il luogo scelto per raccogliere questo ingente patrimonio artistico che, sebbene brutalmente manomesso, veniva così sottratto al pericolo della dispersione: alcuni dipinti furono “collocati fra informi cornici; altri a pezzi separati; altri tagliati a metà, mal custoditi, e gittati là a casaccio in una stanzaccia senza solaio sopra la sacrestia” 1 . Fu don Giovanni Maria Vignolo, prevosto della chiesa di San Giovanni dal 1848 al 1860, a promuovere il primo restauro documentato di queste opere, grazie anche alle sollecitazioni di Angelo Boucheron, regio disegnatore e consigliere dell’Accademia Albertina di Torino, che ne aveva saputo riconoscere il pregio in anni fondamentali per la defi nizione delle identità artistiche della scuola piemontese, con la riscoperta di alcuni dei suoi ‘primitivi’ come il vercellese Gerolamo Giovenone e il recupero, nel 1868, dell’identità stessa di Defendente Ferrari, pittore di Chivasso, grazie al ritrovamento di quello che ancora oggi costituisce l’unico documento noto riguardante la sua attività artistica: la commissione della grande ancona per l’altare maggiore della chiesa della precettoria di Sant’Antonio di Ranverso in Buttigliera Alta, non lontano da Avigliana, affi datagli il 21 aprile 1530 dalla comunità di Moncalieri e già in loco il 17 gennaio 1532 2 . Le sue opere, ricercate nell’Ottocento da collezionisti e istituzioni museali, erano circolate fi no ad allora sotto il nome altisonante di Dürer e del Perugino o con il riferimento allo stesso Giovenone.
1 Polittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina ricomposto dopo il restauro del CCR
2 Defendente Ferrari, Profeti Isaia e David, particolari dopo il restauro

È il pittore-restauratore Amabile Brusati di Parma, ad Avigliana dal 1848, a ottenere l’incarico di un’ampia campagna di restauri comprendente sessanta quadri tra piccoli e grandi. Sotto la regia del prevosto Vignolo, Brusati e il capomastro Giuseppe Allais nel 1855 avevano già provveduto alla ricomposizione, sia pure in modo più o meno arbitrario, delle grandi macchine che decorano ancora oggi gli altari della chiesa, all’interno di cornici che assemblavano parti cinquecentesche a parti realizzate in stile. Nel 1860, nonostante il trasferimento nella parrocchiale di San Lorenzo a Cavour, Vignolo mantiene vivo il suo interesse per Avigliana coinvolgendo il suo successore don Giovanni Lorenzo Oliva nel restauro delle tavole con San Lorenzo e San Giovanni Battista con donatore affi dato questa volta a Eugenio Buccinelli, restauratore della Regia Pinacoteca di Torino. Sono i pannelli laterali che, restituiti a una corretta lettura dal recente restauro condotto dal CCR, sono stati ricongiunti per la prima volta dopo le vicissitudini ottocentesche, in occasione della mostra Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone ad Avigliana: dialogo tra capolavori restaurati recentemente allestita nel Museo Diocesano di Torino 3 , alla tavola con lo Sposalizio mistico di santa Caterina, scomparto centrale dell’antico trittico che Vignolo aveva scelto di

portare con sé a Cavour per farne l’elemento principale di una nuova macchina d’altare completata da Buccinelli con copie tratte da altre opere aviglianesi di Defendente giunte in Galleria Sabauda nel 1863 e nel 1865 e cornice ispirata ai polittici della certosa di Pavia 4 . In San Giovanni la conformazione originaria del trittico era da tempo perduta “in pezzi qua e là dispersi” “tagliati e senza base” al punto che “nessuno sapeva farsene un’idea”, neppure lo stesso Vignolo che aveva però provveduto a restaurare e ricoverare nella propria casa “la base co’ suoi piccoli quadri” e la tavola con lo Sposalizio mistico di santa Caterina “di cui erasi fatto un quadrilatero, era già stata riparata col fi nimento in rotondo” 5 . Rimasti ad Avigliana, i due scomparti laterali erano stati reimpiegati in un trittico per la nuova cappella dedicata ai Santi Luigi Gonzaga e Francesco Saverio, le cui immagini, dipinte da Brusati, fi guravano al centro della nuova ancona: “provo se la base, che avevo già fatto riparare dal Brusati, si addica alle lesene ed ornati, che erano qua e là dispersi; vi metto dentro il S. Lorenzo e il S. Giovanni Battista: compiono perfettamente il vuoto; tutto va assieme” 6 . A Giovanni Romano si deve l’intuizione che nel 1970 ha portato a riconoscere la mano di Gerolamo Giovenone in alcuni dei dipinti conservati ad Avigliana, in precedenza ritenuti esclusivamente di Defendente, da riferire al tempo in cui l’artista vercellese, all’aprirsi del Cinquecento, gravitava “in area spanzottiana”, fi anco a fi anco con il Ferrari con cui condivide l’esecuzione di almeno due opere aviglianesi, il trittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina in esame e la tavola di Sant’Orsola con le vergini compagne 7 . Nel trittico, riferibile agli anni intorno al 1508, Giovenone sembra giocare un ruolo prioritario con l’esecuzione della Madonna col Bambino nella tavola centrale e di San Lorenzo nello scomparto sinistro, mentre a Defendente potrebbero spettare almeno la fi gura del donatore inginocchiato, purtroppo alterata dal totale rifacimento del volto, e il San Giovanni Battista nello
scomparto destro. I dipinti, infatti, presentavano nel complesso uno stato di conservazione fortemente compromesso. Alla particolare fragilità delle tavole, legata alle condizioni conservative ambientali non idonee, si erano aggiunte le pesanti ridipinture e manipolazioni ottocentesche, quest’ultime particolarmente rilevanti nella tavola centrale privata della centina e ridotta a forma quadrangolare prima del 1855 e quindi restituita al suo formato originale con l’inserimento della porzione mancante nella parte superiore con l’intervento di Brusati. Nella ricomposizione proposta (fi g. 1) si è mantenuta la ‘base’ ricordata da Vignolo, cioè la predella dipinta da Defendente Ferrari con tre storie legate alla vita della Vergine (l’Annuncio a san Gioacchino e sant’Anna, l’Incontro alla Porta Aurea e la Nascita della Vergine), certamente non pertinenti al soggetto principale dell’ancona originaria dedicata a Santa Caterina, intercalati da motivi a grottesche di fattura ottocentesca ispirati a originali dello stesso pittore. È possibile che l’ancona a più scomparti così ricomposta prevedesse in origine anche un registro superiore in cui potevano trovare posto fi gure di santi a mezzo busto e, forse, un coronamento su modello di altri polittici realizzati dal Ferrari per Avigliana, sia in un momento non troppo distante come il polittico datato 1511 con al centro una raffi gurazione riconosciuta come la variante francescana del tema dell’Immacolata Concezione, replicata in controparte nello stesso anno da Defendente per il duomo nuovo di Torino da poco ricostruito, sia a distanza di più di un decennio nella grande ancona dedicata ai Santi Barbara e Michele Arcangelo, ora alla Galleria Sabauda di Torino. L’identifi cazione del soggetto principale del polittico del 1511 con l’Immacolata Concezione di tipo francescano, piuttosto che come tradizionale Natività o Adorazione del Bambino, insieme alla corrispondenza delle dimensioni e alla coincidenza del punto di stile, suggeriscono la possibile appartenenza a quest’ancona della predella con storie della Vergine reimpiegata nel trittico in esame. Legate al tema della verginità immacolata di Maria sono anche le profezie di Isaia, Balaam, Davide e Geremia (fi g. 2) adattati nella predella del trittico di San Gerolamo, anch’esso oggetto di restauro nell’ambito del nostro progetto, da ritenere quindi probabili elementi di giunzione tra una scena e l’altra, nel posto oggi occupato dalle grottesche ottocentesche. Il restauro è stato quindi un’occasione preziosa per approfondire lo studio comparato delle peculiarità tecniche e stilistiche dei due artisti, grazie al coinvolgimento di un gruppo di lavoro interdisciplinare (storici dell’arte, restauratori, diagnosti) e alla possibilità di condurre indagini scientifi che che hanno costantemente supportato il restauro e le ricerche tuttora in corso 8 . In particolare, la possibilità di affrontare per la prima volta lo studio complessivo del ricomposto trittico ha permesso di analizzare le tecniche esecutive e lo stato di conservazione delle opere con l’ausilio di una campagna mirata d’indagini per immagine multispettrali e di analisi puntuali. Tra le indagini multispettrali, i rilievi in fl uorescenza ultravioletta e in rifl ettografi a infrarossa 9 hanno consentito di formulare ipotesi sulla condizione conservativa particolarmente compromessa delle opere, non solo nella tavola di Cavour ma anche negli scomparti laterali rima

3 Campione stratigrafi co prelevato dalla tavola di Cavour in corrispondenza di un’area già compromessa della veste blu della Vergine: fotografi a al microscopio ottico in luce visibile e in fl uorescenza ultravioletta. Al di sopra della preparazione bianca a base di gesso (strato 1), si trova lo strato nero e compatto di fondo a base di nero d’ossa (strato 2); su questo si osservano grani diradati di azzurrite (strato 3) e lo strato di vernice prima dell’intervento di restauro (strato 4) visibile in fl uorescenza ultravioletta
4 Ricostruzione grafi ca delle incisioni utilizzate per la costruzione dell’architettura di fondo
sti ad Avigliana, segnati dallo stato lacunoso di alcune parti e da ampie ridipinture localizzabili soprattutto nei fondi grigi, nella veste di san Lorenzo e in corrispondenza del capo del committente ecclesiastico genufl esso presentato da san Giovanni Battista. A queste prime analisi hanno fatto seguito fotografi e di dettaglio al videomicroscopio 10 e indagini non invasive di tipo chimico e spettroscopico (spettrometria di fl uorescenza X e spettroscopia di rifl ettanza) tese ad analizzare la tecnica esecutiva, a riconoscere la tavolozza pittorica originale e a identifi care i materiali sovrammessi approfonditi tramite prelievi stratigrafi ci 11 . Le ridipinture in corrispondenza di abrasioni e lacune diffuse, spesso debordanti sulla materia originale, hanno reso necessaria la rimozione delle sovrammissioni, riportando alla luce ampie porzioni delle fi gure occultate alla vista, come il trattamento pittorico delle vesti di san Lorenzo, la cromia del fondo con i relativi passaggi chiaroscurali su cui si stagliano entrambi i santi laterali o la parte inferiore del trono della Vergine nella tavola centrale. Purtroppo i profondi giochi di pieghe che, con eleganti sfumature chiaroscurali e lumeggiature d’oro, dovevano segnare i volumi delle vesti in particolare nei manti blu (azzurrite) della Vergine e di san Giovanni Battista, che risultano realizzati su fondo nero, sono in gran parte perduti o alterati (fi g. 3). Sono state invece mantenute le ridipinture ottocentesche realizzate a risarcimento di parti fi gurate totalmente compromesse, come il volto del donatore inginocchiato accanto a san Giovanni Battista. La complessità della situazione ottenuta al termine delle operazioni di pulitura ha richiesto un intervento particolarmente accurato per riequilibrare la lettura dei dipinti, con la riproposizione coerente delle porzioni più lacunose, integrate con tecnica a tratteggio. L’accostamento delle tre tavole ha restituito unitarietà all’ambiziosa invenzione architettonica che si sviluppa alle spalle delle fi gure, uno spazio costituito da un portico a tre navate nel quale si collocano al centro la Vergine e ai lati i santi, realizzato nelle due tavole laterali con l’impiego dello stesso disegno ribaltato e inciso (fi g. 4). È uno spazio architettonico dipinto ma da leggere in stretto rapporto con l’architettura reale rappresentata dalla cornice. L’uso di disegni o di cartoni è certamente alla base anche del gruppo centrale con la Madonna in trono con il Bambino, modello compositivo che riscuote un successo tale da farne una soluzione rapidamente consolidata, riproposta, con l’apporto di varianti, nell’ambito di una bottega in cui Defendente e Giovenone continuano a lavorare fi anco a fi anco. Lo confermano almeno due repliche entrambe legate a un contesto francescano: il trittico, ancora frutto della collaborazione tra i due artisti, per la chiesa di Sant’Antonio di Cuneo, oggi al Museo Borgogna di Vercelli, e quello con santi francescani conservato nella collezione Pallavicini-Rospi
5-6 A sinistra: Gerolamo Giovenone, Sposalizio mistico di santa Caterina, scomparto centrale del trittico di Avigliana; il modello è riproposto al centro del trittico di Sant’Antonio a Cuneo (ora Museo Borgogna di Vercelli)

gliosi di Roma da riferire al solo Giovenone, tanto da far pensare all’utilizzo dello stesso cartone in tutti e tre i casi (fi gg. 5-6). Il legame con il trittico cuneese è particolarmente rilevante: quanto riferito a proposito del rapporto tra architettura reale (quella della cornice) e architettura dipinta, è confermato dal confronto con questo trittico che conserva ancora, fatta eccezione per il basamento, la sua cornice originale, articolata in quattro lesene scolpite con candelabrine dorate su fondo blu con vaso alla base da cui si dipartono decori vegetali e coppie di uccelli a rilievo (fi g. 2 a p. 47). Sorprende ritrovare nelle lesene cinquecentesche impiegate per ricomporre la carpenteria nella ricostruzione ottocentesca della cornice di Avigliana lo stesso motivo decorativo, così come identici sono i capitelli con testine alate, tanto da far supporre che le lesene impiegate da Vignolo nella ricomposizione fossero davvero pertinenti alla carpenteria intagliata e dorata su fondo di colore blu progettata in origine per l’opera in esame. Sebbene rimaneggiati da successivi strati di intervento volti al risarcimento di lacune e abrasioni, questi elementi si distinguono per il preziosismo nel trattamento differenziato delle dorature, risultato dell’utilizzo di differenti tecniche funzionali alla diversa resa della foglia dorata (applicata a guazzo e a missione). Oltre alla carpenteria i due trittici condividono altri particolari rilevanti: nel drappo rosso che copre la base del trono della Vergine nella tavola ora a Cavour Giovenone impiega lo stesso ornato dorato a missione, costituito da un intreccio di losanghe, viluppi, fi ori e animali (in particolare si riconosce la forma di un coniglio) che decora il fondo contro cui si stagliano i santi laterali del trittico cuneese. L’elemento è rivelatore della facilità con cui Giovenone può attingere ai modelli impiegati dalla bottega artistica operante tra Chivasso e Torino sotto la guida di Spanzotti (pittore della corte sabauda nel 1507) con Defendente, cui va riferita non solo la paternità di questo dettaglio decorativo, ma dell’intero gruppo divino: se il motivo è lo stesso che decora il drappo rosso ai piedi della Vergine nella tavola proveniente dalla collegiata di Carmagnola e ora in deposito a Palazzo Madama, di cui è evidente la dipendenza diretta dal polittico realizzato con Spanzotti per l’altare dei Santi Crispino e Crispiniano nel duomo di Torino tra il 1498 e il 1504 circa, la Madonna e il Bambino sgambettante sono direttamente mutuati, sia pure in controparte, dalla Madonna del Popolo dipinta dal Ferrari per la chiesa dei Servi di Maria a Caselle Torinese, non troppo oltre il 1505 circa, il cui impianto moderno ‘a spazio unifi cato’ è certamente ben noto a Giovenone che vi s’ispira in un’altra opera giovanile ora nella Collezione J.C. Johnson di Filadelfi a 12 . Nella tavola di Cavour il drappo del trono della Vergine, di un rosso intenso e brillante, è reso

con una pittura a base di cinabro con ombreggiature a lacca rossa. Il confronto con il drappo rosso della Madonna di Carmagnola, anch’essa in corso di restauro, è immediato: ritornano anche la doppia bordura resa con un tratto scuro e le medesime decorazioni ottenute con oro a missione. Su una preparazione bianca, a base di gesso, i tratti del volto della Vergine, osservabili in rifl ettografi a infrarossa (fi g. 7), sono resi con un disegno preparatorio leggero, verosimilmente di natura carboniosa, seppure con segni decisi e privi di particolari ripensamenti. Attraverso le indagini puntuali è stato possibile individuare l’uso di biacca e cinabro per la resa di incarnati e di azzurrite, ocre, terre e giallorino per le campiture e i dettagli delle vesti, il ricorso alla terra d’ombra e al nero per la resa delle campiture del fondo della veste blu e dei dettagli più scuri, ed è stato possibile confermare l’uso dell’oro. L’analisi con osservazione ravvicinata e documentata mediante videomicroscopia ha messo in evidenza l’utilizzo di una particolarità tecnica


inusuale, realizzata con colori nebulizzati che restituiscono un effetto puntinato, con una resa che appare estremamente raffi nata e controllata e una modulazione del colore diffi cilmente raggiungibile con le tradizionali tecniche di stesura della tempera. Le campiture sono ottenute con successive sovrapposizioni di colore nebulizzato di differenti cromie (su alcuni incarnati si trovano, ad esempio, goccioline di colore rosa e bruno/nero che si accostano o si sovrappongono talvolta in maniera più fi tta, talvolta lasciando emergere in maniera più ampia lo sfondo bianco). Un effetto così particolare implica non solo la manualità dell’artista e la consapevolezza dell’esito, ma anche il ricorso a strumenti specifi ci oggi non ancora identifi cabili con certezza, forse mutuati da altre tecniche come l’orefi ceria e la miniatura. Le analisi scientifi che hanno confermato l’originalità di tale trattamento che accomuna la resa dei volti della Vergine, del Bambino e di san Lorenzo (fi g. 8). Gli incarnati di santa Caterina (volto e mani) e del donatore (mani) sono invece ottenuti con
7 Particolare del volto della Vergine del trittico di Avigliana in luce visibile e rifl ettografi a infrarossa 950 nm dopo il restauro; a destra: rilievo in fl uorescenza ultravioletta prima del restauro
8 Particolare del volto della Vergine. Fotografi a in luce visibile e dettaglio in videomicroscopia (60 X) del puntinato usato per la resa dell’incarnato


una tecnica più tradizionale per sovrapposizione di velature (fi g. 9). La compresenza all’interno dello stesso dipinto di parti realizzate con tecnica tradizionale e di altre trattate con il ‘puntinato’ fa rifl ettere sulla possibilità che l’artista si sia avvalso dell’espediente della nebulizzazione proprio per ottenere particolari effetti di sfumato e di passaggi graduali. Non si può d’altra parte escludere che la differente scelta sia dovuta alla collaborazione di un altro artista. Questa modalità tecnica così peculiare si ritrova in diverse opere giovanili di Defendente che, con risultati di grande raffi natezza, continuerà ad avvalersene anche nelle opere più mature. Giovenone invece, staccatosi dall’orbita spanzottiano-defendentesca, a partire dalla metà del secondo decennio del Cinquecento aggiornerà il proprio linguaggio artistico sotto il segno delle novità imposte a Vercelli da Gaudenzio Ferrari, abbandonando le precedenti ‘pratiche di bottega’. Confi diamo che lo studio e il restauro di altre opere giovanili dei due artisti possano contribuire a chiarire questo e altri aspetti ancora problematici della loro attività pittorica.



9 Particolare delle mani del Bambino e di santa Caterina. A sinistra: fotografi a in luce visibile, al centro dettaglio in videomicroscopia (60 X) del puntinato usato per la resa della mano del Bambino; a destra dettaglio della mano della santa resa con sovrapposizione di velature
1 Difesa del teologo Vignolo Giovanni Maria vicario foraneo di Cavour dalla relazione del professore commendatore Gamba direttore della Pinacoteca di Torino, Torino 1879, p. 9. 2 Per la chiesa di San Giovanni e lo straordinario patrimonio artistico in essa conservato si rimanda a P. Nesta (a cura di), La chiesa di San Giovanni di Avigliana, Borgone Susa (To) 2011 e in particolare per i dipinti in esame agli interventi di F. Fantino, “Altare ipsum est munitum icona satis pulcra”: i dipinti cinquecenteschi di Gerolamo Giovenone e di Defendente Ferrari, pp. 149-177 e di P. Triolo, Indagini tecniche sui dipinti conservati presso la chiesa di San Giovanni in Avigliana, pp. 179-195. Per le vicende aviglianesi legate alla soppressione napoleonica: A. Nuvolari Duodo, Soppressioni napoleoniche degli enti ecclesiastici ad Avigliana: il caso del Santuario della Madonna dei Laghi, in “Segusium”, XLV, 47 (novembre 2008), pp. 189-216; Idem, Soppressioni napoleoniche degli enti ecclesiastici ad Avigliana: il caso del Convento di S. Agostino (Chiesa di S. Maria della Misericordia), in “Analecta Augustiniana”, LXXII, 57, 2009. 3 Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone ad Avigliana: dialogo tra capolavori restaurati, Torino, Museo Diocesano, 12 aprile - 18 giugno 2017. L’esposizione dei polittici restaurati è stata resa possibile grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo e alla profi cua collaborazione con l’architetto Adriano Sozza, responsabile dei beni culturali della Diocesi di Torino, con don Carlo Franco, direttore del Museo Diocesano, e don Ugo Bellucci, parroco ad Avigliana. 4 Si tratta del grande polittico con la Madonna del latte con santa Barbara che presenta un donatore, san Michele Arcangelo e san Valeriano (inv. 215, cat. 36), proveniente dalla chiesa di Santa Maria in Borgo Vecchio ad Avigliana, e dell’ancona con lo Sposalizio mistico di santa Caterina e san Pietro (inv. 224, cat. 35), di cui non è certa la sede di provenienza aviglianese, entrambe da riferire agli anni venti del Cinquecento, giunte in Galleria Sabauda con l’attribuzione a Gerolamo Giovenone. Per l’importanza riconosciuta a Defendente nella Pinacoteca Sabauda riallestita da Massimo d’Azeglio a metà Ottocento si veda: P. Astrua, La tavola di Leini, una lunga storia di tutela. Dal territorio, al museo, al ritorno nella sede storica, in P. Astrua (a cura di), Defendente Ferrari a Leini, Torino 2011, pp. 59-75. 5 Difesa del teologo Vignolo cit., p. 14. 6 Ivi. 7 G. Romano, Casalesi del Cinquecento. L’avvento del Manierismo in una città padana, Torino 1970; Idem, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino. Testimonianze d’archivio e documenti fi gurativi, in G. Romano (a cura di), Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, pp. 13-62: pp. 14-30. 8 Il progetto ha potuto contare sulla supervisione scientifi ca di Giovanni Romano, professore emerito dell’Università degli Studi di Torino e sul contributo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino, nelle persone delle funzionarie storiche dell’arte Maria Severino e Valeria Moratti. Il gruppo di lavoro del Centro relativo all’opera in esame è formato da: direzione tecnica: Michela Cardinali; restauratori: Bernadette Ventura (coordinamento), Paola Buscaglia, Alessandro Gatti, Paolo Luciani, Andrea Minì, Valentina Parlato, Davide Puglisi; documentazione fotografi ca e analisi diagnostiche: Marco Nervo (responsabile), Tiziana Cavaleri, Paola Croveri, Daniele Demonte, Anna Piccirillo, Chiara Ricci, Paolo Triolo; ricerca storica: Paola Manchinu; documentazione grafi ca: Lorenza Ghionna 9 La fluorescenza dei dipinti è stata indotta da lampade UV Labino® Floodlight MPXL (picco di massima emissione intorno a 365 nm) e acquisita con una fotocamera Nikon D810 equipaggiata di filtro PECA 916 al fine di tagliare il contributo della radiazione ultravioletta riflessa dall’oggetto e riprendere soltanto la fluorescenza nel visibile. L’analisi consente di evidenziare la presenza di strati filmogeni superficiali, come velature, finiture originali o interventi di ritocco: il differente colore e l’intensità dell’emissione della fluorescenza possono dipendere sia dalla composizione chimica della sostanza, sia dal loro stadio di degrado. La riflettografia infrarossa è stata acquisita, nelle due bande fotografiche, 950 nm e 1050 nm, con una fotocamera Xnite Nikon D810 con filtro IR Hoya R72. L’analisi permette in alcuni casi di rilevare al di sotto della pellicola pittorica la presenza di disegni, tracciati preparatori o pentimenti, sfruttando il contrasto tra la diversa riflettività dei materiali, del disegno e dello sfondo. La postproduzione delle immagini è stata eseguita tramite software Adobe Photoshop utilizzando per il bilanciamento cromatico un ColorChecker® Classic da 24 colori inserito nel campo di ripresa. 10 Le fotografi e di dettaglio sono state realizzate con un videomicroscopio portatile digitale a contatto Mic-Fi Italeco, con sensore CMOS 1/4” (immagini da 1.3 Mpixel, risoluzione 1280 x 1024) e illuminazione a led con luce visibile e UV. Le immagini sono state catturate con ingrandimento 60 X. La videomicroscopia permette di osservare la micromorfologia della superfi cie dell’opera documentando aspetti essenziali della tecnica esecutiva e dello stato di fatto, quali cretto, piccole lacune, dettagli delle pennellate, miscele di pigmenti. 11 I campioni allestiti in sezione lucida stratigrafi ca sono stati osservati al microscopio mineropetrografi co OLYMPUS BX51 e fotografati in luce visibile e in fl uorescenza ultravioletta, grazie all’interfaccia con un PC mediante fotocamera digitale OLYMPUS DP71. L’acquisizione e l’elaborazione delle immagini è fatta mediante software proprietario analySIS Five. I campioni sono poi stati analizzati con un microscopio elettronico Zeiss EVO60 equipaggiato di microsonda EDX Bruker Quantax 200 per l’analisi semi-quantitativa degli elementi chimici presenti nei singoli strati del campione. 12 Per una datazione della pala Johnson ancora entro il primo decennio del Cinquecento si rimanda a Romano, Casalesi del Cinquecento cit., p. 20 in nota; S. Baiocco, Gerolamo Giovenone e il contesto della pittura rinascimentale a Vercelli, in E. Villata, S. Baiocco, Gaudenzio Ferrari Gerolamo Giovenone. Un avvio e un percorso, Torino 2004, pp. 145-226: p. 175.