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TALP N 51, Dicembre 2015 Rivista della Federazione Speleologica Toscana Pubblicazione semestrale Spedizione in A.P. Art.2 Comma 20/c Legge 662/96 Filiale di Lucca 55100 Aut.Trib. Lucca N.499 del 31/05/1989 Direttore Responsabile PAOLO MANDOLI Redazione ELEONORA BETTINI LUCA DERAVIGNONE ELENA GIANNINI LUCIA MONTOMOLI SIRIA PANICHI ADRIANO RONCIONI
Coordinamento Grafico a cura della Redazione a questo numero ha collaborato L. Piccini. Stampa NUOVASTAMPA - Ponsacco PI Di questo numero sono state stampate 900 copie. Il contenuto degli articoli impegna solamente gli autori. La riproduzione anche parziale di articoli, notizie e disegni è consentita citandone la fonte. In copertina: Maschio di tritone alpestre apuano (Ichtyosaura aplestris apuanus) Foto di: F. Bacci
ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA SENESE c/o Franco Rossi, Via di Nottola, 19 Fraz. Stazione - 53045 Montepulciano (SI) ass@speleotoscana.it COMMISSIONE SPELEOLOGICA I CAVERNICOLI c/o C.A.I. di Siena Piazza Calabria 25/A - 53100 SIENA cavernicoli@gmail.com GRUPPO SPELEOLOGICO ALPINISTICO VALFREDDANA Via Provinciale - Loc. Mattino 55060 San Martino in Freddana (LU) gsavalfreddana@speleotoscana.it GRUPPO SPELEOLOGICO ARCHEOLOGICO APUANO Via della Posta 8 - 54100 Canevara (MS) www.gsaa.altervista.org gsaa@speleotoscana.it GRUPPO SPELEOLOGICO ARCHEOLOGICO LIVORNESE via Roma 234 - 57127 LIVORNO www.speleolivorno.it gsalivornese@yahoo.it GRUPPO SPELEOLOGICO ARCHEOLOGICO VERSILIESE C.P. 96 - 55045 Pietrasante (LU) www.gsav.org info@gsav.org GRUPPO SPELEOLOGICO CAI FORTE DEI MARMI Via Michelangelo, 47 p.1 - 55042 Forte dei Marmi (LU) gruppo_speleologico@caifortedeimarmi.it
Presidente Comitato Federale MARCO INNOCENZI Consiglieri Comitato Federale SANDRA BASILISCHI MICHELA CROCI DAVID FUCILE LUCIA MONTOMOLI EMILIO POGGETTI FABRIZIO SERENA
GRUPPO SPELEOLOGICO MONTAGNA PISTOIESE Via Villaggio Orlando, 100 51028 Campo Tizzoro (PT) www.caimaresca.it gsmp_cai@yahoo.it GRUPPO SPELEOLOGICO PISTOIESE CAI Via Antonini, 7 - C.P. 1 - 51100 PISTOIA www.gruppospeleologicopistoiese.it gspistoiese@speleotoscana.it SEZIONE CAI VALDARNO INFERIORE Piazza Vittorio Veneto, 4 50054 Fucecchio (FI) speolo@speleotoscana.it gruppocss@speolo.it SEZIONE SPELEOSUBACQUEA TOSCANA c/o Carletti Carlo Via V. Bellini, 40 - 50144 FIRENZE sst@speleotoscana.it SOCIETÀ NATURALISTICA SPELEOLOGICA MAREMMANA c/o Cavanna Carlo Via Petrarca, 17 - 58100 Marina di Grosseto (GR) speleo@gol.grosseto.it SPELEO CLUB FIRENZE c/o Utili Franco C. P. 101 - 50039 Vicchio (FI) speleoclubfirenze@speleotoscana.it
GRUPPO SPELEOLOGICO CAI PISA Via Fiorentina, 167 - 56121 PISA www.speleopisa.it info@speleopisa.it
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Commissione Catasto FABRIZIO FALLANI Via di Soffiano 166 - 50143 Firenze Tel. 0557398836 catasto@speleotoscana.it
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FIGURE E FOTO È spesso capitato di dover lavorare con foto a risoluzione troppo bassa; questo ha comportato in alcuni casi il riadattamento, ed in altri l’inevitabile eliminazione. Mandare foto inadeguate comporta un aspetto peggiore per la pubblicazione e, di conseguenza, un aspetto peggiore dell’articolo che vorreste condividere con gli altri. Seguendo alcune piccole regole questo può essere facilmente evitato. Quando una foto viene pubblicata a centro pagina le sue dimensioni sono circa 14 cm x 10 cm, che a 300 DPI (la qualità minima di stampa richiesta) fa 1654 x 1181 pixel. Questo significa che se volete essere sicuri della qualità, queste sono le misure minime a cui attenersi. Se la foto è un pò più piccola non è un problema, ma diminuendo la dimensione scende anche la qualità e quindi saremo costretti a ridurre la misura dell’immagine pubblicata o, nel caso sia veramente piccola, a non pubblicarla affatto. Le foto vanno mandate in formato TIFF oppure JPG, preferibilmente a bassa compressione; niente GIF, PNG o altri formati, né tanto meno come parte di documenti PDF e peggio ancora WORD. Se volete che le foto vengano inserite esattamente dove le avete predisposte voi nell’articolo e con il relativo commento, sarebbe opportuno allegare uno schema di come le vorreste o magari l’articolo montato in PDF o WORD, in modo che in fase di creazione del numero venga rispettata la disposizione originariamente pensata per l’articolo. TESTI I testi vanno consegnati come documento di testo: Rich Text Format (.rtf), OpenOffice o Word (.doc), senza particolari marginature o impaginazioni di sorta, senza foto ed immagini inserite. Sono invece necessari: • titolo-eventuale sottotitolo-nome e cognome dell’autore del testo, eventuale autore delle foto, se è unico per tutte le foto-Gruppo/ente/associazione di appartenenza. Facoltativa, ma gradita, eventuale bibliografia. Il testo può essere diviso in capitoli. ALCUNE NORME E REGOLE DI SCRITTURA: • unità di misura: sono simboli, non sono abbreviazioni, quindi non necessitano del punto. Sono definite da norme internazionali e quindi non ce le possiamo inventare: metro si scrive m e non mt o peggio mt.; • la punteggiatura è sempre seguita da uno (uno solo, ma almeno uno) spazio, mai preceduta da uno spazio; • gli spazi fra le parole sono necessari ma sono sempre uno solo. Non possono essere usati per aggiustare la lunghezza della frase; • le iniziali maiuscole accentate (ma anche le minuscole) si fanno con l’apposito carattere, mai con la lettera normale e l’apostrofo! Se uno non le sa inserire faccia fare al correttore automatico, basta inserire la corrispondente minuscola dopo il punto e come per incanto il programma la inserisce al vostro posto! (esempio: E’, e’ errato, È, è corretto); • “Perché è bello” si scrive con gli accenti diversi, aperto e chiuso; • la punteggiatura esclamativa o interrogativa va inserita una volta sola, anche se siete emozionati, per cui mai !!!! né ??? o !?!?; • i puntini di sospensione sono tre per regola, evitate di metterne di più, non significano niente. RILIEVI E CARTE I Rilievi e la cartografia devono essere inviati nei formati JPG o TIFF nelle dimensioni reali di stampa, quindi con disegno e caratteri leggibili adatti ai vari formati: - rilievo/cartografia a doppia pagina: misure cm 30 x 19; - rilievo/cartografia a una pagina: misure cm 14 x 19; - rilievo/cartografia a mezza pagina: misure cm 14 x 12; - rilievo/cartografia a ¼ di pagina: misure cm 7 x 9. Nel rilievo deve essere riportato: il dislivello dall’ingresso al fondo, numero di catasto, sigla della provincia e nome della grotta, data, autori dei rilievi, gruppo/i speleologici. In una tabella a parte possono essere inseriti gli altri dati: comune, località, area carsica, quota d’ingresso, coordinate chilometriche Gauss Est – Nord, dati metrici di sviluppo della grotta, ecc. Sia i rilievi che le cartine (geografiche, geologiche, ecc...) devono avere riportata la scala grafica.
SOMMARIO 2
dicembre
NOTIZIE
Un incontro stra...ordinario!
INCONTRI
di G. Mancini
85 Il CNSAS incontra la speleologia toscana
3 EDITORIALE
di M. Croci
87 Speleologia e disabilità
ESPLORAZIONI 4
La Piera non fa tabacchino, ovvero il 19° ingresso del Corchia
di P. Brunettin, C. Leonardi, S.L. Crespo
di L. Montomoli (CF)
87 Quattro uomini in grotta, per tacer del cane
13 La buca Hydra CMG di G. Mancini
di G. Mancini
91 La memoria delle Grotte: viaggio attraverso la paleontologia
18 Prata di Massa Marittima (GR), grotte naturali e cavità artificiali
94 Corso di rilievo con TOPODROID
di L. Montomoli, G. Dellavalle (GSAL)
FACCIAMO IL PUNTO SU... 44 Buca del Teschio: una grotta ritrovata dopo 50 anni! di Adriano Roncioni, Carlo Burichetti (GSL CAI), Massimo Neviani “Nebbia”, Maurizio Malvini, Claudio Catellani “Driss” (G.S.P.G.C. Reggio Emilia)
ITINERARI
58 Itinerario Speleologico: dalla Buca del Gallo alle Fonti di Bufalona
di L. Montomoli, G. Dellavalle (GSAL)
TALPIMMAGINI 68 FAUNA IPOGEA
CAVITÀ ARTIFICIALI
di M. Negri e C. Lombardi (GSMM)
74 Galleria Teresa, Massa Marittima (GR)
2015
di S. Farina (Museo di Storia Naturale Università di Pisa)
CORSI
di C. Leonardi (GSAV), E. Poggetti (GSAL)
96 Corso 3D
di S. Barbasso Gattuso (GSM)
98 Corso GPS
di P. Bartolini (GSM)
FST INFORMA
di S. Panichi
MEMORIE
100 Premio di Laurea Rodolfo Giannotti I edizione
104 Vieri Mascioli (1944 - 2016)
di ASS
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NOTIZIE T A L P 51
F S T D E L L A R I V I S T A T A L P
Un incontro stra...ordinario! Nell’anno 2015 ho superato il quarantennale dell’attività speleologica. In realtà avevo accennato i primi passi nei primi anni 70, ma “ufficialmente” faccio risalire al 1975 l’inizio di questa passione. Già a metà del mio percorso speleologico mi ero prefissato di affrontare l’iniziativa dell’approccio dei disabili e la loro possibilità di accompagnarli in questi meravigliosi ambienti, complice l’impegno preso con una persona a me molto cara. Non è ancora il momento quindi di appendere il cosiddetto casco al chiodo. Devo ancora portare a termine gli impegni promessi. Mi ha convinto ancora di più l’avere ascoltato i vari interventi fatti dai partecipanti all’importante incontro “Disabilità e Speleologia” tenutosi a Livorno il 9 Maggio 2015. È stato un grande privilegio parteciparvi, purtroppo il ritardo con cui ne sono venuto a conoscenza non mi ha consentito di prepararmi adeguatamente o al pari delle lodevoli iniziative presentate. Inutile dire che tutti gli argomenti trattati, sia a carattere speleologico piuttosto che in mare etc., non ultime le importantissime informazioni sui rischi assicurativi legati all’accompagnamento dei soggetti a mobilità ridotta in particolare, sono stati a mio avviso molto professionali. La mia convinzione è che questo incontro debba essere certamente replicato. Magari annualmente, per confrontare per esempio gli sviluppi che questa nuova “frontiera” che la speleologia presenta, o le nuove esperienze organizzative dei vari gruppi che se ne occuperanno. La mia distrazione sull’informazione dell’incontro non mi ha consentito inoltre di programmare meglio la mia presenza, ma sopratutto quella di Davide, attore principale della mia esperienza in grotta con un disabile. A lui, e a tutte le persone come lui, credo vada un grande ringraziamento per la grande lezione di vita che giornalmente ci insegnano facendoci ricordare che possiamo essere partecipi della loro felicità nel visitare i luoghi della nostra passione. Mi aspetto che il prossimo anno l’incontro sia ripetuto e sopratutto veda una partecipazione di pubblico più numeroso. La speleologia non appartiene solo agli “esploratori”, e questi possono e credo debbano diversificare i loro impegni per poi presentarli nel prossimo incontro. Un cordiale saluto ed un arrivederci al 2016 (nella foto un momento dell’incontro del 9 maggio 2015, foto di A. Cetolone GSM CAI). Giuseppe Mancini, Pisa 15 Maggio 2015
Aggiornamento Abisso Chimera Nello scorso autunno abbiamo iniziato la risalita di P 90 che si affaccia nella “Sala dell’Aquila” a -200 m di profondità. Sulla sommità abbiamo intercettato un nuovo ramo con tanta circolazione d’aria che scende nuovamente fino a -230 m per poi fermarsi su una brutta frana. Risalendolo, invece, abbiamo oltrepassato di 15 m la quota dell’ingresso. Ci sono buone possibilità di aumentare il dislivello complessivo della grotta. Il ramo si sposta in pianta lontano dal conosciuto e forzare la frana terminale potrebbe dare interessanti risultati. Le esplorazioni sono tuttora in corso. Speleo Club Garfagnana
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SEZIONE: Talp ITINERARI approfondimento online: A piedi dalla Buca del Gallo alle Fonti di Bufalona
www.speleotoscana.it/talp_online/category/talp-online/ 2
ONLINE
Vi segnaliamo
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Già da TALP n. 45 stiamo proponendo degli approfondimenti di alcuni articoli pubblicati con contributi multimediali che trovate caricati sulla pagina online della redazione di TALP “Il corriere della notte”. Vi invitiamo quindi a prendere spunto e pensare anche a questa opportunità ogni volta che preparate del materiale per articoli da pubblicare sulla nostra rivista. (La Redazione)
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La redazione di Talp nel prossimo numero per la nuova rubrica dal nome TALPIMMAGINI, raccoglierà fotografie sul tema Strettoie. Potete inviare gli scatti a: redazione@speleotoscana.it. Verranno scelte un massimo di 10 immagini. Vi ringraziamo fin da adesso della vostra collaborazione.
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Nel prossimo numero
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talp informa
EDITORIALE
Dopo due numeri dedicati completamente alla preparazione, svolgimento e pubblicazione degli Atti dell’VIII congresso della FST “Toscanaipogea” svoltosi nel settembre del 2014, abbiamo finalmente ripreso con la normale pubblicazione. Anche in questo numero ci vengono narrate le peculiarità sotterranee di varie parti della Toscana, dalle Alpi Apuane fino alla provincia di Grosseto, dove troviamo anche proposto un diverso ma interessante itinerario spleleologico che ci porta a toccare alcuni luoghi singolari che fanno parte delle Colline Metallifere. Ampio spazio è dedicato alle attività che la FST ha portato avanti in questo anno trascorso. Sono stati promossi alcuni stimolanti corsi di approfondimento tecnico sul rilievo in grotta con l’uso del Topodroid, all’uso del GPS per la ricerca o il posizionamento di ingressi di cavità e la restituzione di essi in cartografia, fino ad una interessantissima tecnica di rilievo 3D a uso e consumo del mondo ipogeo. Per lo svolgimento di questi corsi si è cercato di portare i partecipanti all’interno di diverse Aree Carsiche della Toscana, a partire dalle ormai conosciutissime Alpi Apuane fino a toccare la particolare zona dei travertini di Massa Marittima e l’ancor più a sud Parco Regionale della Maremma, per continuare quel filo conduttore che questo CF ha iniziato a promuovere con lo svolgimento dell’VIII congresso della FST dando già da allora ampio spazio alle ricerche, studi ed esplorazioni di quelle che in Toscana sono considerate aree carsiche minori (ricordiamo che il congresso fu ospitato nella splendida cornice del Parco Archeominerario di San Silvestro nel cuore delle Colline di Campiglia Marittima). Una serie di iniziative che FST sta promuovendo e cercando di portare avanti con continuità sono descritte nella rubrica Talp Incontri, a partire dalla bellissima giornata promossa dalla Commissione Scientifica della FST dal titolo “La memoria delle grotte; viaggio attraverso la paleontologia” tenutosi presso il Museo di Storia Naturale Università di Pisa, l’incontro con il CNSAS come sempre volto a curare il delicato e importante aspetto della prevenzione degli incidenti in grotta, fino ad arrivare a due nuove avventure alla quale FST ha dato il via sul proprio territorio, Diversamentespeleo e la Prima Edizione del Premio di Laurea FST dedicato all’illustre speleologo Rodolfo Giannotti. Non ci resta che augurarvi buona lettura dunque e infine anche buone grotte a tutti! La redazione di Talp
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Ordinaria attività
ESPLORAZIONE T A L P
. Il gruppo degli esploratori ripresi davanti al 19° ingresso del Corchia.
La Piera non fa tabacchino. Ovvero il 19° ingresso del Corchia
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di Paolo Brunettin, Cristian Leonardi , Susana L. Crespo foto dell’Archivio fotografico del Gruppo Speleologico Lunense
Parte 1: la scoperta La montagna vuota. Potrebbe essere il titolo di un romanzo, di uno di quei romanzi di avventura alla Jack London, ma, in realtà più lo speleologo si reca ad esplorare, far ricerca o semplice gita all’interno di questa montagna, più si rende conto di quanto sia reale questa frase. Era il 2012 quando trovammo ed aprimmo il 17esimo ingresso nella cava abbandonata che si trova a ridosso della strada che porta all’ingresso del Becco.
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Da allora questo luogo viene utilizzato come campo settimanale per poter intraprendere una serie di ricerche sia in esterno che in interno. Proprio durante uno di questi week end dove la ricerca si mescola con la grigliata e il buon vino, in un assolato pomeriggio, mentre i mie compagni sono alle prese con uno scavo, decido di salire in quota; supero la cava in cui si trova “Montemurlo – Bocciolix”, un piccolo abisso in cui lavorammo con la speranza di entrare nel Ramo dei Maremmani ma senza risultati accettabili, continuo in direzione di
“Bukellen”, ragionando sulla disposizione delle varie gallerie che si trovano sotto di me, creando una specie di mappa mentale. Esco dal boschetto e mi trovo di fronte al ravaneto che sale ripido verso la cresta: dal punto in cui mi trovo calcolo alla mia sinistra l’ingresso della “ Buca del Papi” ed ancora più a sinistra l’ingresso del “Becco”; mentalmente percorro le gallerie di “Via Fani” e ricordo di un caposaldo interno segnato sul rilievo generale alla quota di 1570 m. Continuo la risalita verso la cresta in direzione di un canale molto ripido, probabilmente formatosi in corrispondenza di una faglia inversa; con fatica arrampico e, con mia sorpresa, trovo una condotta che entra in frana per quasi una decina di metri ma senza circolazione d’aria. Decido di tornare sui miei passi e verificare meglio alcuni punti lasciati in sospeso durante la salita. E proprio su uno di questi, insignificante anfratto, mi soffermo ad osservare una ragnatela che si muove con vigore. Tolgo qualche pietra, giusto per capire se ne valga la pena, ma non riesco a valutare bene; mi rendo conto che c’è un po’ di aria che entra, ma non riesco a rendermi conto dell’en-
L’alba di una nuova giornata si spande lentamente, i contorni prendono forma, alberi, rocce, vette lontane e una brezza leggera sale lungo la valle fino al campo, facendo fremere le foglie circostanti. Ancora cinque minuti, ancora dieci minuti ed è passata un’ora nel tepore del sacco a pelo. A questo punto il sole ha fatto capolino riscaldando l’aria e la colazione diventa piacevole. Sole alto. Luce intensa. Cielo azzurro. Ravaneto. Più braccia e meglio attrezzate. Lungo serpeggiare nella fresca brezza che scende dal canale. Ora la catena umana riprende da dove, in pochi, abbiamo lasciato il giorno prima. A metà giornata il sole non ha ancora fatto capolino dalla cresta del Corchia, ma abbiamo già movimentato, o forse sarebbe più giusto dire ‘estratto’, una tale quantità di pietre e terra che il ravaneto poco sotto è ormai irriconoscibile. Igor è sempre in prima fila; impossibile distoglierlo dallo scavo in profondità, da cui esce solo quando non ne può più. Il tempo di una pausa: pane, formaggio e salame accompagnato dall’immancabile bicchiere di vino e poi si riprende con grande energia.
DECIDO DI TORNARE SUI MIEI PASSI E VERIFICARE MEGLIO ALCUNI PUNTI LASCIATI IN SOSPESO DURANTE LA SALITA. E PROPRIO SU UNO DI QUESTI, INSIGNIFICANTE ANFRATTO, MI SOFFERMO AD OSSERVARE UNA RAGNATELA CHE SI MUOVE CON VIGORE.
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Finalmente si comincia ad intravedere il buono: la parete sopra, a soffitto, sempre buona; il sotto, invece, sempre di frana. La terra, però, ha lasciato il posto a rocce di diverse dimensioni: quelle più grandi si rompono facilmente con la mazzetta e via verso il fuori. Poi l’ambiente sembra allargare; a turno entriamo per vedere e fare ipotesi di direzione: qui l’aria si disperde e non è facile prendere una decisione sulla direzione in cui andare. Siamo un po’ tutti stanchi e decidiamo di darci appuntamento per il week end successivo. La settimana è passata lenta aspettando il sabato, tra congetture e progetti che porta il nuovo scavo. La giornata è forse meno brillante del solito, ma il tepore estivo si fa sentire. Siamo pronti per iniziare: ci siamo attrezzati
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tità, non essendo fumatore. Decido di chiamare Stefano (Rattone), lui fuma. Come mufloni che si inerpicano su per il ravaneto torniamo a quota 1530. La parete rocciosa, laddove si immerge nel canale franoso, forma un piccolo anfratto in cui il fumo viene risucchiato velocemente. E altrettanto velocemente inizia lo scavo quando il sole è ancora alto, sasso dopo sasso, terra dopo terra, sudore dopo sudore, imprecazione dopo imprecazione; le ombre si allungano, il cielo si colora di arancione, e un metro cubo di materiale è già giù nel ravaneto. Non solo il fumo sparisce nel ventre del monte, ma anche Igor e Barbara che, nel frattempo, si sono uniti a noi. Eccitazione, odore di carbonato di calcio, come droga, una scossa che elettrizza fino al midollo, il buio continua.
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Passaggio in strettoia.
con una tanica tagliata a metà per estrarre più facilmente il materiale e così, estraendo materiale, si procede fino a tardo pomeriggio quando, ormai stanchi, decidiamo di tornare al campo. Credo di aver bevuto un bicchiere di troppo, come al solito; non ricordo di essere entrato in tenda e svenuto nel sacco a pelo. Devo aver avuto una notte agitata, tanto da non trovare la cerniera del sacco in un disperato bisogno di uscire. E’ alba. Faccio due passi a piedi nudi fino al margine della strada, guardo la valle sotto, la foschia che si dirada ed ascolto il bosco che lentamente prende vita; un brivido mi corre lungo la schiena e penso alla colazione ancora lontana; decido di tornare al caldo del sacco. In conclusione, a metà mattina, siamo formiche che fanno avanti ed indietro da una tana, trasportando materiale di scavo verso l’uscita; la frana ad un certo punto diventa leggermente più verticale e fa ben poco sperare, ma, grazie all’intuizione di Stefano riusciamo ad avere la meglio e finalmente
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nel primo pomeriggio si apre un varco che porta su ambienti più grandi. Siamo in Corchia: inequivocabile la scritta nero fumo ‘Leo85’ a pochi metri dal nuovo ingresso, il 19esimo. Con noi i soliti amici di altri gruppi, a bere e far baldoria. Paolo Brunettin
Parte 2: dalla scoperta ad oggi La storia del 19esimo potrebbe finire qua, perché pochi sono i metri vergini da noi percorsi prima di trovare la scritta ‘Leo 85’ . Questa scritta che avrebbe potuto essere la dichiarazione nero (fumo) su bianco (marmo) di fine esplorazione è stata, invece, l’inizio del nostro girovagare per un anno in quella zona in modo sistematico, rilevando e ripercorrendo il già percorso, individuando nuovi collegamenti, nel tentativo di metabolizzare quel vuoto a noi tutti sconosciuto.
Quale il significato del 19esimo? Il 19esimo non è solo l’ennesimo buco verso l’esterno, un accesso immediato a zone remote del complesso, ma è anche un felice teatro di crescita, sia per gli speleologi come individui (è qui che molti neofiti del buio hanno piantato i loro primi fix) che per una speleologia fatta di condivisione. Condivisione di dati, di ingressi, di corde ed emozioni. Se poi vi state chiedendo quale sia il significato del nome del 19esimo, la Piera non fa tabacchino, non scervellatevi! Il significato è proprio questo: LA PIERA NON FA TABACCHINO. A noi sono servite giornate di scavo dall’altra parte del monte, mille metri cubi di terra e roccia, chilometri di gallerie sognate e la scritta LEO85 per capirlo! Non è di certo una verità non scontata, ma ci siamo divertiti/ci stiamo divertendo a scoprirla e non è detto che, prima o poi, anche la Piera faccia tabacchino. Susana L. Crespo
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Si tratta di una zona che all’epoca dell’esplorazione era considerata remota, e quindi con un enorme potenziale poiché vista ‘poco e male’ (cit. Badino). All’attività speleologica fatta di corde, freddo e roccia, abbiamo affiancato sin da subito un’ intensa ricerca di informazioni e di riorganizzazione dei dati; in questo sono state molto utili le buone amicizie e contatti che il gruppo ha creato nel tempo (Pratesi, Lucchesi, Leonardo, Badino), così come è stato altrettanto prezioso e piacevole il supporto di altri amici nella ri-esplorazione della zona (in particolare Cristian, che ci ha insegnato le fratture e Gianluca, che ci ha insegnato ad aprire una bottiglia di vino con lo scarpone, entrambi del Gsav). La comprensione della grotta, che coincide con la nostra esplorazione (questa è una grotta più da capire che da esplorare, ma questa affermazione è forse ridondante poiché le due cose per lo più coincidono!), non è stata semplice anche poiché è difficile definire quando un ramo debba esser considerato finito: dietro ad ogni fessura si nasconde un meandro, un possibile passaggio (vedi il prezioso bypass Isterisco che permette l’accesso ai rami alti di via Fani senza la discesa e risalita del Pozzo Romean), un pozzo che riporta al livello sottostante (vedi il ‘koyaanisqatsi’ o il ‘pozzo a grappolo’ che riportano, seppur con una dignità degna di esser percorsa a rami già collegati da altre vie). Tutta la grotta è così, come un frattale: si può continuare all’infinito a curiosare tra i pavimenti, le pareti di crollo, raggiungendo un nuovo livello di dettaglio. Ad un anno di distanza dal nostro entrare attraverso il 19esimo, ne abbiamo una visione abbastanza globale, tanto da permetterci di azzardare, con un po’ di presunzione, ma sopratutto con un’enorme carica onirica, quale possa esser il suo sviluppo, inseguendo il sogno di uno sfondamento del confine occidentale. Sono solo congetture: ipotetiche, ma a noi necessarie per gerarchizzare i fronti di indagine: sono molti ancora i punti interrogativi a cui non abbiamo dato risposta concreta! Lavori di scavo.
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A sinistra, passaggio in strettoia. Nella pagina a fianco, la scritta Leo ‘85 ritrovata dagli esploratori.
Parte 3: riesplorazione e rilievo della traversata 19esimo/Farolfi.
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Prima della stagione invernale abbiamo il tempo di cominciare a far esplorazione e rivedere zone dimenticate da tempo; decidiamo così di intraprendere la traversata 19esimo/Farolfi. Era il 27 dicembre 2014, una data e un’avventura che ricorderemo a lungo. Così Cristian del GSAV scriveva di quella punta: “Esplorazione/rilievo: esplorazione della traversata 19esimo-Farolfi passando dallo Stealth. Note e impressioni: Ritrovo al Tonlorenzi a Ripa. Il tempo non è buono le previsioni danno allerta meteo con forti nevicate già dal mattino presto. A Passo Croce troviamo la strada ancora percorribile anche se ha preso a nevicare debolmente. Non è neanche molto freddo. Arriviamo a Fociomboli che sono le undici passate. Dopo varie e attente valutazioni decidiamo di entrare. Il meteo dice che in serata smette di nevicare e quando entriamo, gli ultimi all’una del pomeriggio, non nevica un granché e c’è pochissima neve. Andiamo in direzione opposta al “Becco” e ci dirigiamo verso lo “Stealth”. Qui vengono risistemati alcuni ancoraggi del P40, il primo pozzo importante da scendere. Andiamo avanti a cercare la strada e ci ritroviamo in un meandro bello grande che poi dobbiamo scendere. Michele appena possibile si
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mette ad armare e fa un piccolo traverso e poi una calata. Nel frattempo io e Kunze ce ne andiamo a vedere la forra in alto e troviamo una grande sala dove non possiamo arrivare senza attrezzare, troviamo anche una galleria che sale.. Torniamo dagli altri che comunque sono proprio sotto di noi. Ettore e Livia guardano da altre parti ma non trovano niente di interessante in compenso sentiamo un boato e loro sentono una scossa sulle mani. Probabilmente un fulmine. Sceso il pozzo andiamo avanti, passaggio stretto e galleria grande dove c’è il punto di contatto tra marmi e scisti. Bellissimo perché si vede il cambiamento di litologia. Pozzo da venti, breve meandro e poi risalita (prima si mangia qualcosa). Ancora un saltino e poi forra stretta ma non strettissima dove viene armata una calata che comunque può non servire. Più avanti un altro saltino poi ci ritroviamo in una grande galleria che percorriamo fra dubbi e incertezze. La relazione che abbiamo non sempre corrisponde. Ormai è già l’ora di cena. Da notare la presenza di pipistrelli sparsi per tutto il tragitto che non sono tantissimi di numero ma comunque ne ho contati poco meno di venti e la presenza di una bella corrente d’aria che è quella che poi cerchiamo di seguire. Dopo una serie di saltini e disarrampicate di cui non ricordo bene la successione arriviamo su un bel pozzo dove c’è un cordino con a fianco, sulla dx, uno spit. Michele e Luca iniziano ad armare nella speranza che sia quello giusto secondo la relazione. Intanto noi bivacchiamo su nell’attesa. Francesca non è abituata a così tante ore di grotta però sono anni che fa attività e se la cava bene. Ilenia invece è proprio una neofita ma, con nostra sorpresa, tiene duro. Ha solo un po’di paura sui pozzi ma c’è sempre Alex a dargli una mano. Gli “armatori” scendono il primo pozzo e poi
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Entrando dal 19esimo arriviamo al pozzo del Romean un P25, si scende un saltino su frana con una corda su naturale, attraverso un passaggio basso e si scende la sommità di un meandrino fino alla corda che porta alla sala dello Stealth, si attraversa la sala in discesa ed in disarrampicata arriviamo al P40, che immette su una forra che sarà quella non lasceremo quasi mai e ci porterà al pozzo finale. Alla base del P40 troviamo un traverso e un saltino di pochi metri. Un passaggio basso ci porta all’inizio di questa stupenda forra, un saltino di una decina di metri per poi risalire in una saletta. Da qui un passaggio stretto ci riporta sulla via principale. Si può notare il contatto tra marmi e scisto dove la forra fa una curva a destra, noi risaliamo poco prima dove troviamo segni di passaggio. Una lastra di marmo forma un ponte che ci permette di arrivare ad un bel pozzo valutato un P20 alla cui base troviamo un laghetto. La forra ora è più grande, a destra, rispetto alla direzione di marcia, ci sono diversi profondi sfondamenti che superiamo restando in alto, un paio di salti in disarrampicata e si giunge ad una corda che risale, un P15 molto sporco su frana. Troviamo una sala e con un paio di saltini si ritorna sul meandro che seguiamo fino ad un traversino usciti dal quale troviamo un caposaldo numerato 101. Da qui la strada diventa meno evidente, ma alcuni segni di passaggio ci portano su un P12
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Cristian Leonardi
Descrizione generale del percorso
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un altro salto e si trovano su un pozzo molto più profondo. Chiedono al Kunze di scendere e vedere se riconosce la zona. In teoria siamo ai “Maremmani” ma se così non fosse l’unica prospettiva è tornare indietro senza scendere tutti. E devo dire che ci siamo andati vicino perché Kunze dapprima non riconosceva nulla di familiare, poi fortunatamente sì! Proseguiamo per la strada conosciuta, oltrepassiamo il “Gran Sabba”(che attraversiamo alla base), e ci ritroviamo sopra il “Vermis Mysteriis”. Scendiamo e arriviamo al campo base Erika. Dormiamo un poco, giusto qualche ora. Livia, Kunze, Luca ed Ettore partono un due ore prima di noi. Alle cinque del mattino ci alziamo e con molta calma prendiamo la via. All’uscita non è ancora l’alba e neppure il crepuscolo però fa freddo e c’è neve, non molta ma parecchio ghiacciata. Cerco di andare verso il basso ma scivolo e allora seguo la traccia nella neve che porta verso il sentiero n. 129. Molto più semplice. Arrivati alla strada ci rendiamo subito conto che siamo bloccati con le macchine. La neve non è molta ma ci sono una serie di slavine lungo la strada che impediscono il transito, purtroppo si è accumulata tutta in questi punti ed è ghiacciata velocemente in brutta maniera! Sconvolti per la cosa non ci resta che organizzarci nei giorni a seguire per risolvere il problema, come poi abbiamo fatto con una ruspa di un mestierante fino a Fociomboli e la ruspa di Luca fino al 17esimo più qualche pala a mano. In tutto le macchine bloccate sono sette, tutti speleo. Stavolta l’abbiamo fatta grossa ma l’abbiamo anche risolta... abbiamo poi saputo che ha nevicato fra l’una e le sei del pomeriggio. In effetti quando siamo entrati la situazione non era così drammatica e anche se c’era l’allerta neve le previsioni davano miglioramento in serata e così non ci immaginavamo tanta neve. Ci servirà da lezione per la prossima volta.
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e poco più avanti un altro P15 che finisce in una zona franosa che risaliamo in arrampicata. Subito dopo scendiamo un P20, e un P25 alla cui base parte un meandro stretto, che si immette sul pozzo finale, un P70. Con l’armo ci si sposta oltre un ponte di roccia, e dopo altri 3 frazionamenti arriviamo alla base del pozzo. Da qui si risale sulla parte pulita e ci colleghiamo alla via che porta al campo base Erica. Nell’agosto 2015 decidiamo di organizzare quattro giorni di campo, sempre nella cava soprastrada dove si apre il 17esimo. Obbiettivo principale, anche per portare a casa dei dati, è il rilievo della traversata 19esimo/Farolfi, partendo dalla sala Stealth fino al caposaldo 70 alla base del Gran Sabba, nell’ambito del progetto O.R.CO. Si esplorano anche nuovi buchi in esterno e si conclude il rilievo del Farolfino che sembra dirigersi, come era presumibile, verso il Corchia. Il primo giorno è stato dedicato prevalentemente all’allestimento del campo. Con noi ci sono i ragazzi del GSAV, e del GSP. A Fociomboli si ca-
ricano i fuoristrada con il necessario per il campo. Arrivati a destinazione scarichiamo le macchine e allestiamo il campo con i fornelli, pannelli fotovoltaici, le tende, l’inseparabile tendone del gruppo e un bel tavolo pieghevole realizzato da Gianluca che può ospitare una ventina di persone. Si pranza, si ride e si scherza e alle sedici la squadra di rilievo composta da Kunze, Edo (il giovane speleo di 17 anni), Cristian e Alex è pronta per entrare. Si entra per le 16:30. Iniziamo il rilievo alle 17:30. Con il distox è tutto molto più comodo e preciso. La campagna di rilievo comincia. Kunze elabora i dati che Cristian rileva con lo strumento. In tempo reale abbiamo il rilievo che prende forma e bastano solo piccoli aggiustamenti. Edo e Alex danno una mano con i capisaldi, fondamentali in un rilievo. Mano a mano che si procede il P60 si avvicina, l’ultimo grande salto alla cui base partono le gallerie dei Maremmani e il Gran Sabba. Edo è un po’ in ansia per la discesa tanto che quando Cristian si trova sul pozzo con lo strumento chiede in continuazione quanto misura.
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Avvicinamento alla grotta.
Nota: durante il tragitto, prima dei pozzi finali, passando la bomboletta di vernice spray ad Edo, usata per segnare i capisaldi più rilevanti, questa, gli scivola dalle mani, cadendo si buca schizzando vernice. Alex, poco più in alto osservando tutta la scena, dice ad Edo di tamponare la bomboletta che imperterrita spruzza vernice in ogni direzione, questo, in tutta fretta la colpisce con un masso che ovviamente esplode in una nuvola arancione...alla fine riusciamo a chiudere la bomboletta in un sacco nero. L’imbrattamento per fortuna è limitato ad un angolo. Alla base del P60 chiudiamo il rilievo al caposaldo 70 FST, e ci avviamo verso Vermis Mi-
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Durante alcune fasi di rilievo del ramo.
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steriis. Infine prendiamo la galleria che porta al bivacco Erika dove facciamo una sosta. Dopo poco più di un’ora a riposare, ripartiamo verso l’uscita ed in un’ora e mezza siamo fuori alle 5:00 del mattino. Ci aspetta un meritato riposo. Obiettivo raggiunto.
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ESPLORAZIONE
La buca Hydra CMG di Giuseppe Mancini, GsPi
. Calata in parete fatta per raggiungere l’ingresso di Buca Hydra, foto di G. Mancini.
Questa è la storia di una grotta che si trova in un luogo dove volano le aquile.
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Ce la indicò Emanuele Cesaroni collaboratore del gestore del rifugio Rossi, e arrampicatore nel tempo libero. Scoprì la buca in questione, che chiamò Hydra, quando aprì una nuova via d’arrampicata. Si trova a circa 200 m dalla fine dell’ascensione che giunge sotto le pendici del monte Alto di Sella (1739 m s.l.m.), ma quando si accorse dell’esistenza della grotta, si limitò a guardarla e fotografarla dall’esterno, in quanto non affascinato dalla pratica speleologica. Me ne parlò e poi mi inviò alcune foto, che reputai interessanti e, ovviamente, gli chiesi se fosse stato disponibile a condurci fin lassù, accettando di buon grado. Purtroppo per ragioni varie non fu trovato nessun giorno adatto nell’anno della scoperta, il 2012, e poi giunse l’autunno e l’inverno, che ci impedirono di finalizzare il proposito.
Ma a Luglio 2013 ci trovammo in tre al parcheggio di Resceto, e il programma prevedeva di salire fino alla cava Bagnoli (non più attiva) dal sentiero n°165 dove a pochi passi si trova uno dei due terminali dell’arrampicata. Per noi quell’attacco terminale era il punto di partenza, da lì prevedevamo di scendere in corda doppia fino alla grotta, e a fine esplorazione rientrare a Resceto. In quella occasione però furono le condizioni meteo a non esserci amiche. Giunti alla cava, infatti, il cielo si coprì sempre di più e poco dopo riversò su di noi il temporale annunciato. Fummo costretti a ripararci alla meno peggio addossati ad una parete con i fulmini che non vedevamo ma con i tuoni che sentivamo tumultuosi. Rimanemmo in attesa di una schiarita per lungo tempo, ma inutilmente. Poi sconfortati ritornammo a valle attraverso lo stesso sentiero. Occorsero quasi tre ore di trekking per l’andata ed altrettante per il ritorno con oltre 1000 m di dislivello. Il tutto mi lasciò addosso una
stanchezza infinita, sopratutto per il risultato decisamente deludente. In conclusione anche il 2013 stava per finire senza che avessimo potuto esplorare quella benedetta buca. Allora, memore della faticosa salita precedente, pensai ad una soluzione migliore per recarci alla buca. Consultai la carta dei sentieri e individuai una possibilità più agevole per giungere alla cava Bagnoli. Quindi, a Settembre, io e Marco ci recammo ad Arni, da dove, percorrendo la marmifera che da li parte, giungemmo alla cava Piastreta. L’escursione fu molto proficua, verificando che il tempo di marcia da questo lato del
poco da dei tronchi di legno di dubbia stabilità, ma che per fortuna ci consentì di giungere alla cava Bagnoli (il passaggio in questione è protetto da inconsistenti paletti di ferro, attorno ai quali passano esili fili metallici, tra l’altro radi entrambi. Oltre questa “ringhiera” la roccia è formata da placche che degradano verso valle in modo estremamente ripido. Il ghiaccio, mi parrebbe superfluo aggiungerlo, credo aumenterebbe la pericolosità del percorso). Ad ogni modo una soluzione che pregustavamo perfetta per il futuro, senza sapere che l’avremmo utilizzata solo in un senso di marcia!
...DOPO UNA QUARANTINA DI MINUTI D’ARMO TUTTI E TRE GIUNGEMMO ALLA FANTOMATICA BUCA, E LA PRIMA COSA CHE NOTAMMO, FU LA IMPORTANTISSIMA VENTILAZIONE... Una mattina di Luglio del 2014 ci incontrammo nuovamente con Emanuele parcheggiando l’auto ad Arni all’inizio della marmifera che conduce alla cava Piastreta, non prima di avere notato delle scritte minacciose dipinte su due lenzuoli appesi al tornante che gira verso il passo del Vestito. Non eravamo al corrente della recrudescenza dei cavatori nei confronti degli alpinisti, ambientalisti ed anche degli speleologi! Erano infatti quelli i giorni in cui si discuteva accesamente sul Piano Paesaggistico della Re-
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monte era molto più corto. Anzi, nell’ipotesi che si fosse trovato un buon fuoristrada il tempo di marcia si sarebbe ridotto ancora notevolmente, infatti la strada marmifera ad un certo punto passa sotto una galleria e finisce letteralmente alla cava Piastreta. Attraversammo questa cava, in galleria (è una fra le più attive e grandi cavedelle Apuane) per poi uscire da una “finestra”, che consentì di giungere rapidamente alla Bagnoli . Uscendo da questa finestra, ci trovammo in un breve ma pericoloso passaggio, protetto molto
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Alcune scritte apparse nell’estate del 2014 ad Arni a seguito della complicata stesura del nuovo piano paesaggistico della Regione Toscana, foto di G. Mancini.
Lungo il percorso che permette di avvicinarsi alla parete che porta all’ingresso della grotta, foto di E. Cesaroni.
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tissima, fu la ventilazione, e la fisica del clima sotterraneo dice che se da una cavità, d’estate, l’aria esce è probabile che sia un ingresso basso. Dalla buca, infatti, usciva una discreta corrente d’aria, fenomeno di sicuro buon auspicio. Cosi cominciava la parte speleologica della nostra giornata. La buca si apriva sul bordo di uno stretto canale, l’ingresso si approfondiva leggermente per un paio di metri fino ad oltrepassare una colonnina stalagmitica fossile, attorno alla quale approntammo un armo di sicura, sopratutto per lo strapiombo all’esterno. Quindi Marco, senza indugiare oltre, si infilò nello stretto passaggio. Dopo la stalagmite la buca stringeva a cuneo, bassa ma percorribile. Furono tolti solo alcuni sassi dal pavimento per entrare con la schiena, più agevolmente. Dopo la strettoia trovammo una saletta a forma quasi circolare alta una sessantina di centimetri e larga un paio di metri la cui base era formata da un ciottolato grezzo leggermente degradante verso l’interno, i cui sassi
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gione. Qualcosa di simile, ricordo, era già accaduta nella zona del Corchia e, a parte la distruzione del bivacco in cima al monte, qualcuno ebbe a constatare danneggiamenti alle auto. Quegli avvisi non erano certamente un buon viatico per l’operazione che ci apprestavamo ad affrontare ma senza farci scoraggiare dalle minacce, poco dopo, nuovamente carichi come muli, ci avviammo sulla carrareccia verso la nostra meta, decisi questa volta a portare a termine l’escursione e sopratutto l’esplorazione. Giunti in prossimità della galleria però, nel dubbio... decidemmo di continuare il trekking sul sentiero n° 31 che di lì a poco giunge al passo Sella e successivamente in vetta. Inutile dire che il carico mise, in seguito, a dura prova la mia resistenza fisica poiché il percorso, ahimè, alla fine, si rivelò quasi uguale a quello di Resceto, se non più lungo. Giunti in cima al monte, infatti, per raggiungere la cava Bagnoli fu necessario anche ridiscendere per circa 150 m. Percorremmo il faticosissimo trekking in tre ore e mezza, senza calo di entusiasmo e con ottimo meteo. Emanuele, giunto sul posto molto tempo prima, aveva già iniziato l’armo della calata, e quando giunsi anch’io, molti minuti dopo, era già sceso parecchie decine di metri nel canalone sottostante. Nel contempo però, constatammo che il luogo non era il massimo della sicurezza... la corda da 90 m con cui aveva iniziato l’armo spesso “ondeggiava“ sul selciato e si portava dietro sassi in bilico, che poi precipitavano a valle, il che in un primo momento aveva fatto desistere Marco dal proseguire la discesa appresso ad Emanuele. Trattandosi di una via d’arrampicata, in questo tratto non esistevano punti di sosta, che evidentemente gli scalatori non ritengono necessari. Il primo frazionamento, infatti, veniva a trovarsi quasi a fine corda. Comunque per noi era una progressione speleo, come fossimo stati in grotta, ma senza “pulizia“ della discesa... poi però i frazionamenti erano apparsi più frequentemente, anche per via della verticalità sempre più crescente ma al tempo stesso più “sicura”. Ad ogni modo dopo una quarantina di minuti d’armo tutti e tre giungemmo alla fantomatica buca, e la prima cosa che notammo, importan-
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L’ingresso di Buca Hydra, foto di G. Mancini.
si presentavano di un colore verdastro superficiale. Sul lato opposto all’ingresso esiste una possibile prosecuzione che si dirige verso l’alto, e che sembra percorribile nel primo tratto, anche se stretta e perciò adatta ad un soggetto di esile corporatura. Approssimativamente la cavità ha le dimensioni di circa 5 m di sviluppo sub orizzontale, con direzione est. Tenuto conto della ventilazione riscontrata, ci chiedemmo se fosse plausibile addebitare tale comportamento dell’aria all’immenso vuoto della cava Piastreta, che come detto si trova circa 200 m sopra la buca dalla quale potrebbe prendere aria... d’estate. Naturalmente sono solo ipotesi, ma a questo punto c’era un solo modo per verificare queste teorie: ritornare alla buca ed approfondire l’esplorazione. Il lavoro esplorativo ci impegnò per circa un’ora, e intorno alle 16.30 iniziammo la risalita. Dopo circa un’ora raggiungemmo la cava Bagnoli. A quel punto il pensiero di dovere risalire in vetta per poi scendere il ripido tratto
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verso il passo Sella, e quindi arrivare alla strada marmifera, fece scaturire in me la proposta di provare a passare dalla cava Piastreta, in considerazione del fatto che, vista l’ora, probabilmente non avremmo trovato operai che ci potessero impedire il passaggio, o ai quali, in ultima analisi chiedere il permesso. Poiché, come detto, la finestra da cui saremmo potuti entrare era a pochi passi, decidemmo di tentare questa soluzione, perché comunque, male che fosse andata, non avremmo speso molto tempo e fatica. Fu un’ottima scelta in quanto tutto filò liscio. Non capivamo, infatti, se fosse stato più “pericoloso” il passaggio prima della finestra piuttosto che l’incontro con i cavatori! Ad ogni modo dopo pochi minuti dalla partenza dall’attacco della via eravamo già al di là della cava e della galleria, il cui cancello era anch’esso aperto. Il tempo del trekking occorso per giungere all’auto alla fine risultò essere poco più di un ora e trenta, quasi coincidente con quello effettuato nella gita fatta da me e Marco nel Settembre del 2013.
E l’auto? Era ancora posteggiata nel punto in cui l’avevamo lasciata, ma sopratutto ancora perfettamente integra. Ce ne rallegrammo pensando che forse le minacce dei cavatori non hanno riscontro con la realtà... Il programma esplorativo della buca Hydra si era quindi concluso, ma il risultato purtroppo era stato... una mezza delusione. Dalla buca, come detto, esce una discreta corrente d’aria. Il passaggio scoperto all’interno, potrebbe essere una prosecuzione della cavità, ma il superamento della stessa fessura non è sicuro. Inoltre, nell’eventualità che proseguendo stringa ancora, e che quindi possa essere necessario disostruire, l’operazione potrebbe essere forse inutile e pericolosa. Rimarrebbe la possibilità di provare a scavare la base della saletta, sperando che sotto il ciottolato ci sia la reale via di prosecuzione. Anche questa operazione comunque non sarebbe priva di rischi in ragione del fatto che il materiale asportato dovrebbe essere riversato nel vallone sottostante. Inoltre c’è sempre da considerare che per rag-
giungere la buca Hydra è necessario armare tutta la calata dall’alto, con i problemi già descritti. Infine la mia convinzione è che, tuttavia, nei mesi autunnali, notoriamente piovosi, si riversi all’interno una notevole quantità d’acqua proveniente dal canale sovrastante. Che dire? Accanto all’ingresso è stata inciso l’acronimo del Gruppo Speleologico Pisano, a cui ho lasciato il compito di una eventuale altra esplorazione. Oppure provare ad andarci in pieno inverno, con il ghiaccio... per verificare che tipo di aria “tira”, per esempio. Queste le mie considerazioni, sperando di poter leggere, tra qualche tempo, qualche interessante evoluzione in merito. Ora è il momento dei ringraziamenti: a Emanuele Cesaroni, per la sua disponibilità, pazienza e competenza tecnica nell’arrampicare; a Marco Gianvanni per avermi supportato e sopportato nel proposito esplorativo. Infine ringrazio il GSPi per la disponibilità dell’uso del materiale occorrente.
La discesa che bisogna affrontare per raggiungere Buca Hydra, foto di E. Cesaroni.
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Grotte naturali e cavità artificiali
di Lucia Montomoli, Gianni Dellavalle, Gruppo Speleologico Archeologico Livornese
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Prata di Massa Marittima (GR)
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Premessa Anche una piccola località come Prata può suscitare, agli occhi di uno speleologo, curiosità ed interesse, indurlo a perlustrare il territorio circostante, condurre piccole ricerche, tirare le fila della sua “storia carsica”. E non solo, perché oltre alle sue piccole grotte naturali, anche a livello di cavità artificiali lo scenario si è rilevato altrettanto stimolante. Per gli autori di questo articolo nessun altro studio del territorio è risultato essere così facile, comodo e a chilometro più che zero, in quanto residenti nel paese stesso! Infatti tutto è iniziato da quando io e Gianni ci siamo trasferiti a vivere a Prata di Massa Marittima, e mentre giravamo per scegliere casa, nello stesso tempo l’occhio andava a
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guardare gli infissi e il bel panorama dei poggi oltre le finestre, dal tipico paesaggio carsico; la via dove si trovava l’immobile e l’immancabile blocco di calcare che spuntava dall’asfalto. Quindi, appena presa fissa dimora, è stato inevitabile iniziare a curiosare, girovagare, chiedere, informarsi e andare oltre quello che erano le notizie che prontamente e allegramente ci davano i nostri nuovi compaesani, fino a raccogliere dati sufficienti per scrivere un contributo su questa piccola porzione di terra carsica e fornire alcuni elementi che potrebbero risultare interessanti per nuove future ricerche.
Veduta panoramica da Poggio Croce sul paese, foto di L. Deravignone.
è caratterizzato da una morfologia più tondeggiante con versanti a pendenze più dolci. L’area rientra nel SIR (Sito di Importanza Regionale) 102 dato il rilevante pregio ambientale, con un’estensione di 1062,7 ha. La loro vegetazione principale comprende soprattutto boschi di latifoglie decidue, localizzati rimboschimenti di conifere, praterie aride seminaturali e pascoli, ove si riscontrano specie di orchidaceae di rilevante pregio floristico.
Inquadramento geologico
Inquadramento geografico
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Il paese di Prata si trova nel comune di Massa Marittima (GR), a 620 m di altitudine s.l.m.. I suoi confini naturali più evidenti sono a N il monte Poggione (940 m s.l.m.), a NW Poggio Croce di Prata (848 m s.l.m.), a S-SW il canale delle Carse e ad E la Valle Buia, in direzione delle frazioni di Gabellino e Boccheggiano, site nel comune di Montieri. I suoi due rilievi maggiori fanno parte di un sistema orografico ben articolato, dove si riscontrano zone boscate miste a prati e pascoli, e dove si ritrovano anche numerose sorgenti e piccoli corsi d’acqua. Sono allineati in senso NE, SW, il Poggio Croce a S ed il Poggione a N. Il primo presenta versanti piuttosto ripidi ed una parte sommitale ridotta, mentre il secondo
L’abitato di Prata è stato costruito su un rilievo costituito da Calcare Cavernoso, una delle formazioni di base della Falda Toscana. Si tratta di calcari dolomitici e dolomie grigie brecciati con struttura a cellette e dolomie cariate, del Triassico superiore. L’aspetto “vacuolare” è dovuto alla loro genesi, molto particolare. In origine, nei settori meno profondi dei mari triassici, si avevano deposizioni di calcari dolomitici/dolomie e anidrite, in letti più o meno alternati. Il passaggio di acqua all’interno di questi sedimenti provocò l’idratazione dell’anidrite, trasformandola in gesso con aumento di volume a seguito, appunto, dell’idratazione, e la successiva rimozione di tale minerale. I vuoti lasciati dal gesso provocarono una fratturazione degli strati calcareodolomitici: da qui deriva l’aspetto “a cellette” degli affioramenti di Calcare Cavernoso. Intorno a Prata si trovano altre formazioni della Falda Toscana, come il Macigno, dell’Oligocene superiore - Miocene inferiore, costituito da arenarie quarzose feldspatiche micacee gradate, con strati di potenza variabile e livelli più sottili di siltiti, e le Argilliti di Brolio, formazione del Cretaceo inferiore (?) - Paleocene. Al di sopra delle formazioni di tipo toscano si trovano terreni della Serie Ligure, sovrascorsi su di esse (Flysch di Ottone Monteverdi, ovvero calcari, calcari marnosi, marne e argilliti calcaree con intercalazioni di arenarie e siltiti, del Cretaceo superiorePaleocene inferiore; Argille a Palombini, ovvero argilliti grigie e calcilutiti, del Cretaceo inferiore). A completare il quadro geologico degli affioramenti, sono da ricordare i depositi
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Stralcio della carta geologica estratto dal DB della Regione Toscana.
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lacustri e lagunari post-evaporitici messiniani, formati da brecce e conglomerati ad elementi di Calcare Cavernoso, del Turoliano superiore, e le sabbie e conglomerati del Rusciniano-Villafranchiano, classificabili fra i depositi continentali. In corrispondenza dei corsi d’acqua si trovano anche depositi alluvionali attuali e recenti (ghiaie, sabbie, argille). La presenza di rocce a maggiore permeabilità (calcari, in genere) e rocce a minore permeabilità (arenarie, argilliti, siltiti) ha consentito la formazione di sorgenti in quei luoghi dove l’acqua meteorica, infiltrandosi nel sottosuolo attraverso le rocce più permeabili (per porosità primaria o fratturazione), è tornata in affioramento quando è arrivata al contatto con i terreni meno permeabili. Ricordiamo infatti che sul territorio prategiano si contavano ben 21 sorgenti, anche con notevoli portate (per citare solo le più importanti si rammentano Fontevecchia, posta vicino al paese, Fonte Canalecchia, Fonte Canali, Fonte al Castagno e Fonte al Carpino, poste al di sopra del paese e raggiungibili dal sentiero n 30 che parte da Piazza Guerraz-
zi), molte delle quali ancora tenute in buono stato di conservazione e captazione.
Descrizione delle principali grotte naturali
La Buca del Gallo T/GR 180 Questa grotta è situata sul Poggio Croce di Prata. Da questo poggio, nelle giornate di cielo terso, è possibile ammirare un sorprendente panorama che spazia dal mare (dal promontorio di Piombino si riesce a percorrere tutta la costa tirrenica fino a toccare con lo sguardo il promontorio del Monte Argentario) alle colline della vicina provincia di Siena passando per la cima del Monte Amiata. La cavità naturale si apre in concomitanza di una piccola radura sul versante SW del crinale che scende verso la frazione di Niccioleta. La grotta prende il nome di Buca del Gallo. Conosciuta da sempre, fu esplorata e rilevata nel 1952 dal Gruppo Speleologico Fiorentino.
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Particolare di un drappeggio nella principale sala della Buca del Gallo, foto di G. Dellavalle.
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Durante i campionamenti biospeleologici fatti all’ingresso della Buca del Gallo, foto di G. Dellavalle.
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sala, fa sì che sul pavimento ci sia presenza di muschio. In direzione opposta dell’apertura orizzontale, alla base del pozzo si apre una diaclasi che si approfondisce per circa tre metri. Nella sua parte terminale è intersecata da uno scollamento orizzontale della roccia che dà origine ad un’altra sala dalle dimensione molto ridotte rispetto alla precedente (circa 8 x 3,00 m) la cui altezza massima raggiunge il metro e mezzo scarso. Il pavimento è ingombro da detriti e terra che sicuramente ne abbassano l’altezza reale. Anche questa parte è ricca di concrezioni ed è presente stillicidio dalla volta. La sommità del pozzo d’ingresso, nel periodo caldo della stagione, è ingombra da rovi, mentre alla base, a causa del costante microclima interno delle grotte, è sempre presente una ricca vegetazione di felci. L’antro si apre nel calcare massiccio. Nel corso dell’anno 2013 un piccolo campionamento effettuato sulla fauna presente nella grotta ha riportato i risultati descritti nella tabella illustrata nella pagina seguente.
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Il toponimo, dato dai locali, è legato ad un racconto leggendario che sempre accompagna la storia di ogni grotta conosciuta: si narra che un gallo, scomparso alla Fonte Vecchia del paese e cercato per ogni dove, riapparisse improvvisamnente uscendo dalla buca posta sul poggio che ne prese così il nome. L’ingresso, che si apre ad una quota di 725 m s.l.m., è rappresentato da un crollo al livello del suolo, ha sezione tonda (circa 3x 3m) ed è profondo circa 3 m. La grotta raggiunge un dislivello negativo di 7 m per uno sviluppo spaziale di 35 m. Alla base dell’ingresso si aprono due vie: la principale è rappresentata da un passaggio orizzontale che sbocca in un salone dalle ampie dimensioni (circa 14 x 9 m) la cui altezza massima raggiunge i tre metri circa. La parte terminale della sala è caratterizzata da alcune grosse colonne spezzate. Alle pareti sono presenti colate calciche e la volta è ricca di concrezioni a tenda e stalattiti di notevoli dimensioni. In questa porzione di grotta la luce del giorno che filtra dall’ingresso fino a un quarto della
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Vista dall’interno dell’ingresso della Buca della Vecchina; fasi di rilievo, foto di G. Dellavalle.
La Buca della Vecchina T/GR 2064
riguardano non sono sufficienti per portarli a conoscenza del Catasto delle Grotte Naturali o Artificiali della Federazione Speleologica Toscana. Anche se, durante la ricerca sul territorio, si sono resi utili per capire l’andamento carsico del suolo, non sono stati presi in considerazione per il nostro articolo.
Prata e le sue cavità artificiali
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Il primo documento dove si trova menzione del castello di Prata risale all’anno 1026. Anche se la zona, molto probabilmente, era già abitata Foto 2 sin dal paleolitico e successivamente le sue colline ricche di minerali furono sfruttate anche nel periodo etrusco (il territorio era allora sotto la giurisdizione della città di Vetulonia), è il medioevo che vede nascere, crescere, svilupparsi e far parte delle vicende storiche dei castelli della zona il nostro paese. I signori del Castello erano i conti di Prata imparentati con la famiglia de-
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Brevi cenni storici
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Una seconda cavità naturale di una certa rilevanza speleologica è posta sotto al paese, sulla nuova strada che porta al cavalcavia. I pratigiani la conoscono da sempre e il suo toponimo deriva da un fatto storico accadunto nel 1801 durante l’assalto e relativo saccheggio di Prata ad opera delle truppe francesi (10-13 marzo): una vecchia paesana, la vecchina appunto, vi si rifugiò per scampare all’attacco dei soldati. Si racconta che i militi, in cerca di beni da saccheggiare, cercassero di attirare fuori la vegliarda che audace si teneva sul fondo della grotta. La cavità si apre in prossimità delle ultime case del paese. L’ingresso di medie dimensioni (4,50 x 1,95 mt) è rappresentato dal crollo di una parte della volta dell’antro sottostante. L’unica sala che rappresenta la grotta, si apre nel calcare cavernoso. Sulla volta sono presenti concrezioni di tipo stalattite e a tenda, mentre sul pavimento sono presenti massi di crollo di medie dimensioni. Sulla parte terminale del salone, in prossimità di detriti che in parte ne chiudono il passaggio, è presente un cunicolo dalle piccolissime dimensioni impossibile da percorrere all’uomo. È stata riscontrata la presenza di alcuni esemplari di chirotteri e di moltissimi esemplari di Tipula. In occasione del rilevamento topografico della grotta e della documentazione fotografica sono stati evacuati alcuni resti di immondizia (un cestello di lavatrice, seggiolino anteriore di una macchina, vecchi barattoli di alluminio, pitali, sacchi di plastica e teli di nailon, bottiglie di Foto 1 vetro, un palo in resina della corrente elettrica alto alcuni metri) che si trovavano all’interno della cavità. La grotta si trova all’interno di una proprietà privata. In molte parti del paese, e in molte delle cantine dello stesso, sono visibili varie nicchie e piccoli anfratti naturali, alcuni dei quali anche in parte antropizzati, ma le dimensioni che li
gli Alberti di Prato. Durante il XIII secolo Siena trova naturale terreno di espansione nelle terre della Maremma e per tutto questo secolo le guerre fra il castello di Prata e Siena sono frequenti. In questo periodo storico infatti si contano numerosi atti di sottomissione e altrettanti atti di ribellione nei confronti del comune senese. La resa totale e l’immissione del castello di Prata sotto lo stato di Siena si ha nel 1289. Così Prata divenne naturale avamposto di Siena nella guerra contro il comune di Massa Marittima che si concluse a sua volta nel 1355 con la conquista della città. Dopo la metà del 1300 il castello subì un forte declino delle sue attività economiche fino a rimanere quasi spopolato nella prima metà del XV secolo. Documenti storici riportano che la popolazione del castello, nell’anno 1448, contava solo 48 abitanti. I decenni successivi non furono migliori fino ad arrivare al 1490, anno
in cui una spedizione punitiva di milizie senesi, giunte a Prata a seguito di sommosse sollevate ai danni della popolazione di Montieri, distrusse quasi completamente il castello, le mura furono rase al suolo e le case bruciate. Fu così che Siena decise di disfarsi completamente del castello vendendo i suoi territori allo Spedale di Santa Maria della Scala (anno 1492) che vi instaurò una grancia. Il territorio rimase di proprietà dello Spedale sino alla fine del 1700, periodo in cui, a seguito delle politiche leopoldine condotte nel Gran Ducato di Toscana, i terreni feudatari furono venduti a singoli proprietari terrieri. Ed è nell’anno 1783 che il territorio di Prata perse definitivamente la sua autonomia di comune per essere annesso al comune della città di Massa Marittima. Un periodo di rinascita demografica ed economica del paese si ebbe nei fiorenti anni dell’attività mineraria sviluppatasi nel territorio
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Mappa catastale delle Terre di Patra, risalente al 1825, ricavata dal sito dall’Archivio Storico di Grosseto.
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Vista interna della Cisterna del Cassero, posta all’interno del Palazzo, foto di G. Dellavalle.
delle principali cavità
Le cisterne/pozzo
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La porzione dell’arroccamento medievale, se sovrapposta all’attuale pianta del paese, comprendeva certamente una piccola parte, la più alta. Segni odierni dell’antico castello sono alcuni tratti di mura medievali (che oramai sono
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artificiali del paese
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Descrizione
completamenti inglobati nelle abitazioni odierne) posti all’altezza di Via Garibaldi, negli edifici che anticamente ospitavano la sede della Grancia di Prata, il Palazzo Pretorio e una abitazione denominata dai locali “Il Palazzo”; Piazza Mazzini, dove di fronte ai numeri civici 9 e 10 si può scorgere quello che doveva essere un antico torrione angolare delle mura, fino ad arrivare in Via Toscana all’altezza della “Casa Tonda” (foto della Torre), residuo di una torre di avvistamento edificata nel 1367 durante la ricostituzione della cerchia muraria del castello ad opera del comune di Siena. La torre è stata sicuramente rimaneggiata, se non costruita ex-nuovo, intorno alla metà del 1400 quando andarono affermandosi sempre più i cannoni. La prova di questa ipotesi è data dal fatto che il muro non è dritto, alla base, infatti, presenta una evidente “scarpa” di sostegno, che aiutava la struttura a resistere alle palle dei cannoni. Nell’edificio denominato “Il Palazzo” (posto accanto ad un fabbricato che si presume essere il luogo dove anticamente sorgeva il Cassero del Castello), al pianterreno di una stanza adiacente
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delle Colline Metallifere nel XX secolo, essendo vicina alle miniere di pirite di Niccioleta e Boccheggiano. A seguito delle chiusure delle miniere un nuovo forte esodo della popolazione verso località più produttive ha riportato Prata ad essere un piccolo paese che attualmente conta 600 abitanti circa. Come tutte le città e i paesi che affondano le loro radici nel medioevo, numerosi sono i manufatti del sottosuolo che si possono annoverare fra le cavità artificiali. Anche Prata, nel suo piccolo, non se li è fatti mancare.
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L’imboccatura della Cisterna del Pianello. L’immersione per effettuare il rilievo del pozzo, foto di G. Dellavalle.
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che ne è stato lite al Magistrato e che tiene che sia suo, tuttavia si rimette al dovere”. Non è noto dove si trovasse e possa essere attualmente questo pozzo. Nelle memorie di G.A. Pecci, del 1760, si citano genericamente “due cisterne” nel castello. La datazione del manufatto è imprecisata. La bocca del pozzo è di forma quadrata, 1 m per 1, sporgente dal pavimento circa 1 m. Il rivestimento, sia esterno che interno, è costituito da mattoni pieni. Il corpo sottostante si allarga ma mantiene la forma quadrata della bocca. Sul lato N e sul lato W del pozzo, poco sotto la soglia del pavimento della stanza che lo ospita, si trovano due tubi che servono come adduzione della raccolta di acqua piovana. Però la freschezza dell’acqua e il livello costante di piena anche durante l’uso, ci indica una infiltrazione dagli strati sottostanti il terreno. Durante un campionamento dell’acqua è addirittura emersa la presenza di esemplari di Daphnia, crostaceo cladocero che, nelle acque naturali, è indice di buona qualità biologica del corpo idrico. Sappiamo inoltre che anche durante questa
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al portone principale della casa, si trova il primo manufatto da noi documentato e denominato “Cisterna del Cassero”. Per questo, come per le altre descrizioni che troviamo di seguito, è stata lasciata invariata la denominazione di cisterna, così come ce la riporta la tradizione del toponimo locale, ma in realtà si tratta di pozzi, ipotesi facilmente riscontrabile dalle piccole dimensioni che tutti i manufatti presentano. Grazie ad alcune preziose note storiche forniteci da Mario Sica sappiamo essere probabile che già nel medioevo il cassero disponesse di una cisterna/pozzo. Il pozzo attualmente esistente in via Garibaldi è citato nella visita Corbinelli del 1614: “nel castello c’è una citerna dello Spedale, pretendono di havere l’uso pubblico di attegnere l’acqua, che non possono, che è dentro in casa della Grancia, e non ci possono andare a loro posta e sempre che vogliono”. La stessa relazione Corbinelli cita un pozzo “che è in casa di Cesare di Giovanni”, che i pratigiani sostengono essere pubblico, ma “non se ne possono servire perché è rinserrato in detta casa, e detto Cesare dice
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estate appena trascorsa, dove i mm di pioggia caduti da maggio ad ora sono stati bassissimi, il livello dell’acqua non è minimamente calato. Una prossima indagine da effettuare potrebbe essere quella di svuotare completamente il pozzo e vedere in quanto tempo l’acqua risale fino alla superficie. Potrebbe essere inoltre un’opportunità per effettuare degli scavi sull’attuale fondo e riportare alla luce l’antica base. Inoltre, setacciando i detriti recuperati, si potrebbe procedere alla ricercare di reperti che potrebbero indicare con più precisione l’età del deposito. La seconda documentazione riguarda invece il pozzo da noi denominato “Pozzo Aramis”. L’edificio che lo ospita è collocato in un vicolo senza nome che collega Piazza Mazzini a Via Toscana. È probabile che questo fabbricato risalga al XVI o XVII secolo, quindi si può dedurre che già all’epoca ci fosse un accesso per l’acqua, anche se non è certo che la fattezza attuale del pozzo sia rimasta invariata. E’ certo invece che fino oltre alla metà del 1900 si usufruisse del pozzo anche dal piano superiore della casa tramite una condotta quadrata costruita in mattoni che
comunicava con il piano terreno e che consentiva l’accesso, anche dall’alto, all’acqua. La particolarità di questo pozzo è nell’essere rivestito interamente da pietre dalla forma vagamente squadrata. L’attuale ingresso è costituito da una finestra, ad altezza d’uomo, aperta nella condotta quadrata in mattoni. Il pozzo ha una forma simile ad un grande bottiglione. È particolare notare come, per una cinquantina di centimetri subito sotto all’attuale livello del pavimento, la forma tondeggiante delle pareti sia in parte tamponata da una serie di sassi che non seguono il disegno principale del pozzo. Altra piccola stranezza il ritrovamento di una parte di osso di un grande erbivoro che si trovava dietro alcuni sassi più piccoli non murati. Sappiamo che l’acqua qui presente è stata anche captata dalla casa di fronte. Al momento del rilevamento di questa cisterna non si è potuto eseguire anche la discesa nel pozzo gemello a causa di un intorpidimento dell’acqua, particolare che ci evidenzia come lo scorrimento segua una direttrice W-E. Il terzo pozzo da noi ispezionato si trova invece fuori dalla cerchia delle antiche mura del ca-
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stello ai piedi della salita che conduce al centro del paese, all’incrocio delle strade che conducono rispettivamente a Massa Marittima e a Siena. Il “Pozzo del Pianello” è stato così da noi denominato perchè si trova nello stesso edificio che ospita l’antica osteria del “Pianello” appunto. Tale taverna fu acquistata o edificata, probabilmente alla fine del Seicento, dalla Grancia dello Spedale, e probabilmente a quell’epoca risale la creazione della cisterna. Il pozzo si trova all’interno di un garage. La bocca è di forma circolare e sporge dal pavimento per circa 30 cm. Anche il corpo sottostante è circolare e nella superficie di raccordo tra l’imbocco e la cisterna vera e propria sono presenti, diametralmente opposte, due bocchette costruite in mattoni che in epoca passata servivano come adduzione della raccolta di acqua piovana. L’interno del pozzo è rivestito di mattoni pieni, mentre la corolla circolare che sporge dal pavimento è di pietre calcaree dalla forma irregolare, ma attualmente sono state ricoperte da intonaco. Anche in questa cisterna la freschezza dell’acqua e il livello costante di piena anche durante l’uso ci indica una infiltrazione dagli strati sottostanti il terreno. Anticamente nella piazza adiacente all’edificio erano presenti delle fonti e dei lavatoi, questo sarebbe a favore dell’ipotesi da noi fatta. Sul fondo purtroppo è presente molto materiale di risulta, assi di legno e “paiole” di ferro, tanto da impedire di capire la
Considerazioni dei risultati La conducibilità ci dà una indicazione del contenuto salino,la durezza ci indica il contenuto di Sali di calcio e magnesio, il TOC ci indica invece la quantità di sostanza organica presente espressa come mg/l di Carbonio. Il Pozzo non rilevato e il Pozzo Aramis (che ricordiamo sono ubicati a pochi metri di distanza l’uno dall’altro) sono praticamente la stessa acqua e hanno la caratteristica di acqua di falda con una buona salinità, una durezza non elevata ed un contenuto praticamente nullo di sostanza organica a testimoniare un perfetto isolamento dall’esterno e soprattutto una buona filtrazione attraverso gli strati geologici. Sembrano insomma essere buone acque di falda. Il Pozo delPianello e la Cisterna del Cassero hanno invece una bassa conducibilità, una durezza insignificante e un significativo contenuto di sostanza organica specie il secondo. Questo indica che trattasi prevalentemente di acque meteoriche che non hanno ancora avuto modo di arricchirsi di sali minerali nel contatto col suolo mentre hanno acquisito
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Vista interna della Cisterna del Pianello. Fasi di rilievo, foto di G. Dellavalle.
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vera profondità e la forma. In tutti e tre i pozzi sono stati eseguiti dei campionamenti delle acque sottoposti a delle analisi di laboratorio. Ne riportiamo una tabella descrittiva (Tabella n. 1, pag 34).
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Tabella n. 1. Risultati delle analisi eseguite sui campioni delle acque prelevate nei pozzi del paese di Prata.
un certo contenuto di sostanza organica nello scorrimento sulle superfici (tetto, strada ecc.). Questo contenuto è però basso al punto che nella Cisterna del Cassero vi si riscontrano diversi individui di Daphnia. Questo crostaceo cladocero è, nelle acque naturali, indice di buona qualità biologica del corpo idrico. Non è comprensibile il mantenimento del livello del pozzo considerato il periodo poco piovoso. Se fossero acque miste di falda e piovane dovremmo aver avuto un valore più alto di conducibilità in relazione al rapporto acqua di falda/acqua piovana. Verranno effettuati, se possibile, nuovi campionamenti per capire meglio e con più certezza quale sia l’origine primaria dell’acqua di questi due pozzi.
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Nota: i pozzi sopra descritti si trovano tutti in abitazioni private, quindi non accessibili al pubblico.
La Grotta del Forno Come già detto nell’introduzione di questo articolo, nel 2006 io e Gianni ci trasferiamo a vivere stabilmente a Prata. La scelta della casa ricade su un immobile costruito sul finire del XVII secolo che fa angolo fra Via Foscolo e Via Castellazzo. Come per tutte le costruzioni ultracentenarie, innumerevoli sono stati i rimaneggiamenti degli spazi, la chiusura e riapertura di
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Sono qui ritratti due particolari dei manufatti costruiti all’interno della grotta che anticamente accoglieva un frantoio ipogeo; sopra, sullo sfondo, i resti del torchio in legno usato per pressare i dischi ripieni di pasta di olive, sotto una delle due macine in petra che servivano per frangere le olive, foto di G. Dellavalle.
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Funzionamento di antichi frantoi
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Non è una rarità trovare frantoi antichi posti in ambiente ipogeo. Normalmente venivano ricavati in antri scavati in rocce tufacee, ma potevano anche essere allestiti in grotte naturali che, per dimensioni e forma, ben si adattavano all’allestimento di tale attività, come la disposizione degli ambienti di deposito, di lavoro e di soggiorno (questi ultimi destinati agli operai e/o agli animali addetti al movimento rotatorio delle macine). La scelta di ambienti sotterranei era legata alla conservazione del prodotto. I frantoi, infatti, dovevano avere una temperatura calda e costante oscillante tra i 18-20 gradi centigradi che serviva a favorire il deflusso del liquido quando le olive macinate venivano sottoposte alla torchiatura e alla separazione dell’olio dalla sentina che si depositava sui pozzetti di decantazione. Questi ambienti venivano ulteriormente riscaldati dal calore emesso dalle numerose lucerne che ardevano giorno e notte, dalla fermentazione delle olive e dal calore prodotto dal lavoro degli uomini e degli animali. All’esigenza della temperatura costante del luogo, si doveva aggiungere anche l’aspetto economico; il costo della manodopera per scavare un frantoio era minore rispetto a quello da assegnare ai maestri di muro specializzati nel costruire vani fuori terra con coperture particolari. L’accesso alla grotta avveniva a mezzo di una scala, quasi sempre a rampa rettilinea, ricavata anch’essa nella roccia. Ai lati di essa erano ubicati altri spazi in cui venivano depositate le olive in attesa della molitura. Nel luogo centrale del vano avvenivano invece le operazioni di macinazione e spremitura: una vasca, una macina, una piattaforma circolare in pietra calcarea del diametro di circa 2 m. Con l’ausilio di animali (asini, muli o mucche) venivano fatte ruotare le molazze in pietra per la preparazione della pasta di olive. Questa si raccoglieva in una sorta di borse, dette “bruscole” (erano delle specie di sacche fatte di corda di cocco), che venivano collocate una sull’altra sotto i torchi, solitamente posti ai lati dell’ambiente, costruiti in legno di quercia o ulivo. In Toscana era molto diffuso il torchio detto alla “genovese”.
Si componeva di una madrevite fissa posta in alto. Il centro della madrevite veniva trapassato da una vite mobile alla quale era incorporato uno zoccolo di forma tronco conica nel quale a sua volta erano praticati due fori circolari che servivono ad infilare una stanga per stringere il torchio. Sotto lo zoccolo era posto un robusto asse di legno (pancone) che esercitava una pressione sui giunchi (fisculi) incolonnati e ripieni di pasta di olive macinata. Durante le operazioni di spremitura questo “pancone” saliva e scendeva verticalmente tra i due pilastri in pietra. Tale movimento era regolato da due canalette scavate nelle facce interne dei pilastri. Alcuni di questi torchi erano completamente in legno. La madrevite, la vite, lo zoccolo e le due colonne, erano sorrette da un grosso “pancone”. Dopo una prima pressione, si invertiva l’ordine delle “bruscole” che venivano innaffiate con acqua calda (preparata precedentemente nella fornace) e nuovamente spremute, facendo uscire ancora l’acqua di vegetazione e olio di oliva. Il liquido uscito veniva raccolto e lasciato depositare in vasche di muratura, aggiungendo ancora dell’acqua calda. Il tutto si lasciava a riposo per qualche periodo, in modo che l’olio riaffiorasse in superficie. In fine la mano abile del frantoiano, con l’aiuto della “tazza” o “nappa”, toglieva l’olio dalle vasche. La tazza era un mestolo sottile in lamiera attaccato all’estremità di un lungo manico.
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Raffigurazione di un torchio in legno detto “alla genovese”, molto usato in Toscana.
vecchie e nuove porte o finestre, l’addossamento di altri edifici costruiti inglobando quello preesistente. Quello che si vede dall’esterno è un palazzo a più piani, con un androne condiviso con un’altra casa, che si estende dalla parte opposta dell’entrata. Ne risulta che quello che per noi è il pian terreno, per loro è il primo piano che a sua volta appoggia su di un altra abitazione sottostante. Ed anche questa, a sua volta, nelle stanze più esterne, poggia su due scantinati chiusi da grandi portoni. Fin qui nulla di strano se non scoprire, dopo un anno circa dal nostro acquisto, che uno di quei portoni nascondeva una grotta, un grande antro, murato qua e la in varie nicchie per meglio sfruttare gli spazi adibiti a vari usi. Un grande vuoto sul quale tutto il palazzo appoggia! Ancora ci domandiamo: perché mai costruire un edificio su di una grotta? E ovviamente la speranza più grossa è che, se il tutto è rimasto in piedi fino
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ad ora, forse lo rimarrà ancora per un altro po’. Gli usi originali di questa grotta non li conosciamo, ma sicuramente fin dal XIX secolo o anche prima, sappiamo essere stata usata come frantoio e successivamente, nel XX secolo (abbandonato il primo uso) come forno comune per cuocere il pane. Di questi due utilizzi ne rimangono ancora chiare tracce: le due macine in pietra usate per il frantoio, la struttura in legno dei torchi delle presse per i dischi, un accesso costruito nella stanza che precede l’antro che dava direttamente in un deposito sottostante delle olive, fatto in muratura, che si trovava nella grotta (visibili le tracce dei muri e della botola in pietra che chiudeva il manufatto), le vasche, ormai ripiene da materiale inerte, botti. Del forno a legna costruito nella parte alta dello scantinato non ce n’è più traccia, l’unica struttura che ce ne rivela l’antica presenza è la canna fumaria posta all’esterno dell’edificio che ingloba la grotta, e innumerevoli fascine ancora ammucchiate sul fondo della stessa. Purtroppo l’incuria ha fatto si che ogni tipo di rifiuti ingombranti e non, inerti ecc, si sia accumulato negli anni fino a perdere completamente le tracce di quello che doveva essere il pavimento originario del luogo. L’antro si approfondisce subito di 2 m dal livello dell’attuale strada e presenta innumerevoli tracce di antropizzazione, ma si riescono ancora ad intuire le sue dimensioni originarie e alcune tracce di concrezioni sia sulle pareti che sul soffitto, costituito da grandi blocchi di calcare cavernoso incastrati fra di loro. Anche per questa cavità l’accesso è impedito al pubblico perché situato all’interno di un’abitazione privata.
Il Mulino delle Carse A Prata esistevano ben due mulini per macinare la farina. Sono menzionati per la prima volta in alcuni atti del XIII secolo. In seguito li ritroviamo riportati su una ricognizione da parte di magistrati di Gabella del comune di Siena del XIV secolo dove si legge di “un molino ovvero residuo di molino posto nel fiume delle Carse”.
Un ricordo d’infanzia
di Veraldo Franceschi
La Signora Carola con il suo carico giornaliero di fascine portate dal bosco, siamo negli anni 1950, foto di Veraldo Franceschi.
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Parlare della Grotta che si trova sotto il Forno a metà della salita dell’Osteria è difficile. Non esistono notizie alle quali affidarsi. Forse prima della costruzione del paese di Prata sarà stata un rifugio per gli animali selvatici o anche per gli umani. Non lo sappiamo. Come non sappiamo niente del frantoio delle olive che era lì, conosciamo che c’è stato perché ancora esiste qualche manufatto che ne dimostra l’esistenza, ma non c’è altro. Però ai “vecchi” pratigiani, cioè agli ultra ottantenni come chi scrive, guardando la porta che chiude l’accesso alla grotta, si materializza davanti la figura di “Idina del Forno”, ultimo personaggio che si può associare a questa Caverna. Ida, che in realtà si chiamava Petronilla, era una donna senza età, sola, senza una famiglia alle spalle, che formava un tutt’uno con l’ambiente nel quale viveva ed operava: la Grotta e il Forno costruito sopra la grotta che lei ha gestito per lunghi anni. Per noi bambini degli anni trenta del secolo scorso, quello era un luogo misterioso. Vedevamo la donna uscire dall’antro sottostante con due-tre fascine alla volta per gettarle poi dentro la bocca del forno per riscaldarlo e cuocere il pane. Guardavamo affascinati e pieni di paura il bagliore della vampa e immaginavamo che lì sotto dovesse esserci la Caverna di Vulcano per alimentare quel fuoco. “Forno e Buca” formavano un insieme che non poche volte i nostri genitori evocavano come punizione alle nostre marachelle; nessuno di noi, allora, aveva il coraggio di scendere all’interno della grotta, troppo era il timore di non sapere dove finisse e cosa si potesse trovare in fondo ad essa. Chissà quanti altri prima di noi avranno avuto le stesse sensazioni, le stesse paure e lo stesso desiderio di andare alla scoperta di quello che nascondeva la cavità. Spesso vedevamo Ida, persona con un cuore grande più della sua grotta, che per aiutare Carola (una povera donna che tutti i giorni andava nel bosco a raccogliere legna) acquistava il fascio giornaliero di ramoscelli che questa
portava, pagandole il prezzo di cinque centesimi a fastello: era l’opera buona compiuta da una donna povera nei confronti di una più povera di lei. In queste occasioni ci rendevamo conto che Ida non era un essere misterioso che usciva dall’Antro sotto il Forno, ma era una donna, che non aveva niente a che fare con le entità soprannaturali che credevamo si nascondessero laggiù, sottoterra.
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Entrando nella stanza sottostante le macine dove si trovava il meccanismo delle pale a ritrecina, foto di G. Dellavalle.
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piovose e sottoposto a drastiche variazioni di portata, soprattutto nelle stagioni estive. Quindi i mulini non avevano un funzionamento a ruota verticale (direttamente posta sul letto del fiume che la azionava), ma possedevano un meccanismo a ruota orizzontale, detto anche a ritrecine, ovvero: un albero verticale (detto palus) che alla
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Sia nel XVI che nel XVIII secolo i due mulini si trovano nei beni posseduti dalla Grancia dello Spedale di Santa Maria della Scala. Infine sono anche menzionati nell’inchiesta Bartolini del 1761 dove troviamo scritto: “vi sono due piccoli mulini, che uno poco lungi dal paese e l’altro circa un miglio (…) che per mancanza d’acqua in tempo d’estate non macinano (…)”. Come per tutti i possedimenti della Grancia dello Spedale, anche i mulini furono venduti alla fine del 1700 a privati proprietari del luogo e rimasero in funzione fino alla fine del XIX secolo. Il fiume Carse, così come ce lo rivela sia il suo nome che il piccolo stralcio del testo riportato poco sopra, è un corso d’acqua tipicamente carsico, pesantemente influenzato dalle stagioni
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Raffigurazione di un antico mulino a pale orizzontali, così come erano i due mulini di Prata.
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Particolare del funzionamento del meccanismo a pale orizzontali, così come si presentavano nei due antichi mulini di Prata.
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sua estremità inferiore aveva fissata una piccola ruota a pale piatte o a cucchiaio (il ritrecine) e che poggiava su di un perno in ferro (la ralla). All’estremità superiore il palo attraversava l’occhio della prima macina in pietra (detta immo-
All’interno della condotta dell’acqua che passa sotto il mulino, foto di G. Dellavalle.
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bile perché rimaneva ferma) e veniva fissato alla seconda macina tramite una barra detta noctola. Il movimento rotatorio veniva impartito dal getto dell’acqua che colpiva le pale della ruota orizzontale. Questo sistema prevedeva l’utilizzo di un bacino superiore di raccolta delle acque (in modo tale che il getto dell’acqua venisse caricato di una pressione sufficiente a far si che le pale fossero colpite da un energia tale da impartire il movimento a tutto il meccanismo sovrastante) che a sua volta veniva incanalata dal torrente tramite una serie di gore o gorelli. A valle del bacino di raccolta, partiva un canale in forte pendenza che attraversava il mulino. In uscita le acque venivano nuovamente convogliava nel torrente. Di questi due mulini sono rimasti dei ruderi. Quello da noi preso in esame riporta per intero
tutto il sistema di incanalamento, raccolta e immissione delle acque al mulino e tutto il cunicolo sotterraneo che lo attraversava. L’associazione “Per Prata tra passato e futuro”, con un lungo e paziente lavoro di scavi, ha riportato alla luce questa bellissima condotta che noi riportiamo fra le cavità artificiali. Al tunnel si accede dalla parte a valle della struttura, la parte del tratto che originariamente riportava l’acqua al torrente. È situato sotto la camera dove sono site le macine del mulino (ancora presenti). Misura 2,5 m di lunghezza per 1,40 di larghezza. Sbocca in una camera di 2 m per 2,30. Sul soffitto è presente l’orifizio che permetteva il passaggio del palus nella stanza superiore del mulino dove si trovavano le macine. Nella parete posizionata a SE sono presenti alcune aperture laterali per arrivi di acque da infiltrazione dal terreno circostante. Nella parete posizionata a SW si intravede l’arrivo del cunicolo a monte del mulino che portava l’acqua dal bacino di raccoglimento, ma è completamente interrato. Sia il cunicolo che la stanza sono costruiti in pietra e mattoni pieni. Sulle pareti sono evidenti i segni dei vari livelli dell’acqua di scorrimento, mentre sulla volta si notano alcune piccole concrezioni del tipo stalattiti. L’abbandono dell’utilizzo della condotta ha fatto si che
la fauna troglofila e troglossena vi si sia stabilita. Sono presenti esemplari di Dolichopoda , Tipula, Apopestes spectrum e Scolopendra.
Ringraziamenti Si ringraziano sentitamente per l’aiuto preziosissimo apportato per la buona riuscita di questo scritto: per i rilievi delle grotte naturali Emilio Poggetti del GSAL, per i rilievi delle cavità artificiali Michela Croci del GSM, per l’inquadramento geologico Maurizio Negri del GSMM, per le note su Prata Mario Sica e Veraldo Franceschi, cittadini emeriti del paese di Prata, il Sig. Renato, il Sig. Aramis, il Sig. Daniele e la Sig.ra Paola per averci concesso l’accesso alle loro cantine, per le immersioni fatte nei pozzi per effettuarne i rilievi Daniele Guerri e Fabrizio Serena del GSAL, per le analisi chimico/fisiche dell’acqua dei pozzi Giampaolo Bianucci del GSAL, per lo studio effetuato sulla fauna presente alla Buca del Gallo il biologo Emiliano Mori (UNISI), Giuseppe Mazza (UNIGE) e Andrea Luchetti (UNIBO), Carlotta Pancini e Matteo Vatti di Montieri per alcuni cenni sulla flora e sulla fauna locale, Siria Panichi per la cartografia di questo articolo e dell’articolo a pag. 58.
BIBLIOGRAFIA
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AA.VV. “Prata di Maremma” Petribros 2013. Bernardini Bino “Prata nella tradizione e nella Storia” Industria Grafica Meschi di Livorno 1990. Bonelli Gianni “I mulini idraulici, diffusione, tecnologia e società” Corriere di Prata, anno 2000. Chelini Angelo “Prata, La Pia di Dante” Edizioni Arteditoria Periccioli di Siena 1974. Dellavalle Gianni, Montomoli Lucia “Andando per grotte” Corriere di Prata, anno 2007. Giovani Fusco, Giulio Sica “Tutte le fonti di Prata” Corriere di Prata, anno 2008. Sica Mario “Statuti della Comunita di Prata” Fratelli Palombi Editori 1994. Sica Mario “Il mulino del canale di Prata, sistemi idrici e scoperte recenti” Corriere di Prata 2012. Valgattarri Franco “La grancia di Prata” edizioni Mimesis, anno 2010.
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SITOGRAFIA
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di Adriano Roncioni, Carlo Burichetti (G.S. Lucchese CAI), Massimo Neviani “Nebbia”, Maurizio Malvini, Claudio Catellani “Driss” (G.S.P.G.C. Reggio Emilia)
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FACCIAMO IL PUNTO SU
Buca del Teschio: una grotta ritrovata dopo 50 anni!
Introduzione Tutta la storia (o meglio, la parte che mi riguarda direttamente) della Buca del Teschio nasce, come in un racconto d’avventura, dal ritrovamento di una pagina di una vecchia pubblicazione (del 1967) della sezione del CAI di Lucca, riguardante l’“Attività Speleologica” del Gruppo Speleologico Lucchese. Questo articolo cita alcune grotte abbastanza conosciute e frequentate, alcune appena esplorate. Fra queste, una mi incuriosisce particolarmente perché non l’ho mai vista e nemmeno sentita nominare: la Buca del Teschio. Intuisco che si trova nella zona monte di Ripa-Pania di Corfino, due aree carsiche adiacenti
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molto studiate (GSPGC Reggio Emilia, Leonardo Piccini, Giampaolo Mariannelli) ma nelle quali non si è ancora riusciti a svelare a fondo tutto il potenziale esplorativo. Ritrovo fra le vecchie carte del gruppo anche il rilievo originale, faccio un rapido controllo sul catasto on-line e... non c’è! Potrebbe essere stata riscoperta in seguito da altri e magari catastata con un nome diverso ma nessuna coincide col rilievo e la descrizione. Inizio dunque la ricerca della grotta, che coinvolgerà diverse persone e che si concluderà positivamente dopo alcuni (!) anni. Riporto qui di seguito il testo originale per far capire meglio gli eventi. […] Per l’attività di campagna del 1967 sono
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Il Rio Rimonio, foto di H. Artioli.
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state effettuate finora una trentina di uscite per esplorazioni e ricognizioni di grotte più o meno importanti. È stata anche organizzata una riuscita gita sociale. Oltre alla ripetizione della “Buca di S. Giuliano” e della “Polla del Dordoio”, complessi sotterranei di notevole entità, sono state esplorate e rilevate nuove grotte quali la “Buca del Teschio”, la “Grotta di Bologna”, mèta della nostra speleogita, la “Buca di San Luigi” ed alcune cavità sull’altipiano carsico di M. Croce. Queste grotte anche se non sono tali da avere un posto di rilievo nei catasti speleologici regionali rivestono pur sempre un certo interesse. La “Buca del Teschio” si apre in una formazione calcarea della Falda Toscana ed esatta-
mente nei calcari neri ad Avicula Contorta datati al Retico. Si tratta di un calcare scuro, quasi nero, di origine organica, con aspetto molto compatto, senza una ben netta stratificazione. La genesi della grotta può esser così schematizzata: una diaclasi, ovvero una spaccatura della roccia è stata ampliata e modellata dall’azione delle acque sotterranee alimentate da un torrente che scorreva ad una quota più alta dell’ingresso; in seguito il torrente si è abbassato fino alla quota attuale privando delle sue acque la parte più alta della grotta. Questa parte, ormai inattiva, ha iniziato il suo lento deterioramento di cui sono testimoni gli abbondanti detriti esistenti alla base del pozzo e nella sala ad esso adiacente. Nella parte più bassa della cavità si notano delle tracce di un corso d’acqua attivo che fanno pensare ad una non completa evoluzione: la grotta infatti si va tuttora approfondendo con quella estrema lentezza dei fenomeni geologici […] Il testo prosegue con i dati e la descrizione della grotta: […] BUCA DEL TESCHIO - I.G.M. F° 96 I SESan Romano lat. 44° 13’ 15” long. 2° 06’ 20” - profondità m 53 - lunghezza m 52 - sviluppo m 64 - esplorazione 12/03/1967. Dalla carrozzabile del Parco dell’Orecchiella in località Campaiana nei pressi di una capannetta si prende un sentiero che permette di raggiungere il letto di un torrente che si discende per circa un chilometro fino ad un ripido ghiaione sulla sinistra orografica; si risale questo fino ad una bastionata di rocce ai piedi della quale si apre la grotta. L’apertura è assai ampia, circa 5 m di diametro, e dà accesso ad un bellissimo pozzo di 45 m. Raggiunto il suo fondo coperto di detriti si accede attraverso ad una seconda strettoia ad un vasto e concrezionato salone sul fondo del quale fu rinvenuto un teschio umano in ottimo stato. Da qui si raggiunge la parte più bella e remunerativa di tutta la grotta: si entra infatti in una sala di m 15x7 adornata di belle e svariate concrezioni. Da qui si diparte un cunicolo non troppo agevole e molto concrezionato che sale fino ad un laghetto d’acqua limpidissima, degna conclusione della grotta.
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Il rilievo storico ritrovato nell’archivio del GSL.
Direte voi: avevi le coordinate dell’ingresso e un’accurata descrizione e non l’hai trovata subito? Diciamo che delle coordinate IGM prese negli anni ‘60 non mi sono fidato molto, per l’imprecisione con cui venivano prese, per l’imprecisione nel riportarle, per la difficoltà di ritrovare poi il punto sul terreno nella pratica. Mi fidavo di più della descrizione, mi pareva chiara. Il fosso che scende sotto la località Campaiana l’avevo identificato con quell’importante vallone in cui si trova la “Fonte dell’amore” a Est della Pania di Corfino, che è appunto percorso da un sentiero. Organizzai un’uscita con lo scopo di cercarla con Mirko Pollacchi e Silvio Dovichi. Ovviamente non trovammo la Buca del Teschio, anche se in realtà trovammo un’altra grotta, inesplorata, ma di questa parleremo magari in un altro articolo. Abbandonata momentaneamente la ricerca in campagna cominciai a chiedermi: magari i “vecchi” del gruppo se ne ricordano... La memoria storica, il più esperto e affidabile e oltretutto sempre attivo è senz’altro lui, Mario Nottoli.
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Mi dice che alcuni soci dello Speleoclub Garfagnana hanno frequentato la buca che sto cercando in tempi relativamente recenti. Quando capita l’occasione andiamo a trovare Guglielmo Cecchi, che ci racconta di essere stato con altri del suo gruppo nella grotta per un motivo molto particolare: era stato contattato dalla vedova di quella persona che era scomparsa nell’immediato dopoguerra e a cui doveva essere appartenuto il teschio ritrovato dai primi esploratori. Questa persona, ormai molto anziana, aveva richiesto agli speleologi se gli facevano il favore di portare un mazzo di fiori nel luogo dove era stato ritrovato il teschio che riteneva essere appartenuto a suo marito. Gli speleologi avevano esaudito il desiderio della povera signora fino alla sua scomparsa. Il mistero era risolto: la Buca del Teschio non si trovava nel fosso dell’amore, ma sull’altopiano della Ripa. Gli chiedo se hanno visto altre ossa, Guglielmo mi dice che nella grotta sono stati gettati parecchi rifiuti negli anni successivi alla prima esplorazione. Questi ricoprono il fondo del pozzo e potrebbero nascondere pure l’accesso agli altri ambienti. C’è qualcosa che non torna: come fa ad essere piena di rifiuti una grotta lontana dalle strade che si apre in un posto di difficile accesso? Quella che sembrava la soluzione del mistero comincia a vacillare alle prime verifiche. La grotta dove sono andati a portare fiori per qualche anno non è la Buca del Teschio, ma la Buca del Monte Basciano (T/LU 42), regolarmente catastata, e nella quale pare che siano stati effettivamente gettati dei corpi al termine della guerra. Siamo in alto mare. Spostiamo le ricerche sul versante orientale della Ripa, quello che più in basso sprofonda nel Rio Rimonio, ma non si trova niente, stiamo andando a caso. Decido di riparlarne con i reggiani del GSPCG, profondi conoscitori di queste zone. So già che se l’avessero conosciuta la grotta sarebbe a catasto. Claudio Catellani mi dice che secondo lui
è dove l’avevo già cercata: sui versanti orientali della Pania di Corfino. Cerchiamo di reperire altre informazioni, è necessario cercare di parlare con qualcuno degli esploratori. Mario contatta Carlo Burichetti, dovrebbe essere stato uno di quelli che hanno sceso il pozzo. Ci conferma di esserci stato, ma dopo più di 40 anni non è in grado di farcela ritrovare. Nel corso di un’ulteriore ricerca proviamo a fare il punto sulla cartografia, o meglio con la cartografia digitale dello smartphone, dal momento che Mario sta imprecando per la perdita proprio della tavoletta IGM “San Romano” che aveva, e ora non trova più. Il punto, molto approssimativo, viene sul versante sinistro del Rio Rimonio, circa a metà del vallone, sulle pendici della Ripa. E, in effetti la descrizione dell’accesso, togliendo la parola Campaiana, potrebbe anche tornare. Il torrente da percorrere per un chilometro sarebbe il Rimonio e non il fosso dell’Amore. Andiamo ma niente. Non si trova nulla che corrisponda, i luoghi sono piuttosto inaccessibili, ghiaioni da risalire non se ne vede... Mario tira fuori un’ultima carta: è Francesco Pollastrini, anche lui era uno degli esploratori. Non frequenta più le grotte dagli anni ‘70 ma
va tuttora in montagna a far delle passeggiate ed è un ottimo conoscitore del nostro territorio. Contattato ci conferma che la zona è quella del Rimonio e si rende disponibile di accompagnarci. “All’ingresso non ci arrivo, ma la zona in cui si trova ve la posso indicare dal sotto” ci dice. E andiamo. Sul posto ci dividiamo. Io e Mario saliamo su ripidi pendii, Francesco ci aspetta in basso. Dopo un po’ di giri senza trovare nulla riscendo sul letto del torrente, Mario è sparito, con Francesco risaliamo con calma verso l’auto. Più tardi Mario ci raggiunge, l’ha trovata! Si apre in un posto molto ripido e inaccessibile ed è impossibile da vedere finché non ci si trova davanti. Evidentemente anche i primi esploratori erano stati accompagnati da qualcuno, anche se non ne fanno menzione nel testo citato. Decidiamo comunque di chiamare ed aspettare gli amici emiliani per ridiscenderla, dal momento che sono loro quelli che negli ultimi anni hanno esplorato sistematicamente queste zone. Per quanto riguarda la vicenda del ritrovamento del teschio, all’epoca la vicenda non ebbe un grande seguito ma bisogna considerare che l’Italia degli anni ‘60, nonostante fossero passati vent’anni, era ancora un’Italia del “dopoguerra”
Il teschio parzialmente immerso nel sedimento al momento del ritrovamento. Grazie a questa foto è stato possibile dopo quasi 50 anni ritrovare con precisione il punto, foto Archivio Gruppo Speleologico Lucchese.
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e anche su alcune vicende poco chiare si cercava più di dimenticare che rivangare. Ora i protagonisti di quei fatti sono sicuramente tutti morti. Questa esplorazione, pur aggiungendo un piccolo tassello alla conoscenza del fenomeno carsico della Ripa di Soraggio, è abbastanza irrilevante rispetto ad altre ben più prestigiose, ma è stata un’esperienza bellissima e emozionante, a volte con tratti da indagine poliziesca, che ha permesso di consolidare amicizie di lunga data, come quelle con Nebbia e Mario, e di riscoprire
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il grande patrimonio umano e di conoscenza dei nostri “predecessori” nel gruppo speleo di Lucca. Adriano Roncioni
Escursione in una voragine, detta poi del Teschio Un sabato del marzo 1967, con previsioni di tempo troppo buone per stare a casa ed un in-
Il teschio rinvenuto nella grotta dopo la ripulitura, foto Archivio Gruppo Speleologico Lucchese.
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Marcello Pesi all’ingresso della grotta col teschio in mano, foto Archivio Gruppo Speleologico Lucchese.
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L’ingresso della Buca del Teschio si apre sotto una paretina alla sommità di un ripido pendio, foto di M. Nottoli.
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arrivare. Parcheggiata l’auto scendemmo nel torrente che costeggia la strada poi risalimmo su per la ripida sponda opposta fino a raggiungere una parete calcarea alla base della quale trovammo l’imbocco della cavità. Esso si presentava come un inghiottitoio semiconico abbastanza ampio che scendeva con una pendio molto ripido dando accesso ad un pozzo che, con un po’ di lanci di sassi, grazie ad una competenza empirica acquisita negli anni, fu stimato avere una profondità di circa 30 m. Predisponemmo un solido attacco e calammo giù 40 metri di scale (a quei tempi si scendeva sempre con le scale e le corde venivano utilizzate solo per la messa in sicurezza). Appena il primo di noi iniziò la discesa i suoi movimenti provocarono una rovinosa caduta di sassi, una piccola frana in pratica, che lo costrinse a risalire per verificare le condizioni delle scale sottostanti. Ritirammo su tutta la nostra attrezzatura, ne verificammo l’integrità e la calammo di nuovo dopo avere fatto un po’ di bonifica dell’inghiottitoio rivestito di sassi instabili ed estremamente mobili. Scendemmo in tre, Pesi, Vaselli e Burichetti, mentre Pollastrini si sacrificò restando fuori per
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nevamento decisamente modesto per andare a fare qualche salita su ghiaccio, decidemmo che l’indomani avremmo visitato una nuova grotta che ci era stata segnalata non lontana da una località detta Orecchiella in prossimità della strada che collega Corfino al lago di Vicaglia. La segnalazione era arrivata all’amico Francesco Pollastrini che aveva moltissime relazioni nella zona e aveva avuto informazioni, sulla posizione dell’ingresso della grotta, da un conoscente. Non avevamo molte idee né sulle sue dimensioni né sulla sua profondità, sapevamo solo che l’ingresso si apriva su un pozzo. Preparammo materiali sufficienti per affrontare una discesa verticale di una cinquantina di metri e l’indomani, di buon’ora, partimmo con l’auto di Francesco Pollastrini che a quei tempi aveva una Fiat 600. Il gruppo era composto da Marcello Pesi, Francesco Pollastrini, Erasmo Vaselli, e da me, Carlo Burichetti. Fu facile trovare l’ingresso perché Francesco, che ha una capacità di orientamento di gran lunga superiore a qualsiasi navigatore GPS, si era premurato di prendere informazioni dettagliate sulla sua ubicazione. Ricordo che non fu nemmeno troppo faticoso
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manovrare la corda di sicurezza, con l’accordo che, se avesse voluto, qualcuno degli altri sarebbe risalito dopo un po’ per dargli il cambio. La discesa fu facile e la cavità si rivelò di discreto interesse per la presenza di concrezioni di aspetto gradevole e di alcune sale molto belle,
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ricche di stalattiti e stalagmiti, raggiungibili attraverso un angusto cunicolo. L’evento che però ci colpì enormemente fu il ritrovamento, alla base del cono di deiezione, presente in fondo al pozzo, di un teschio umano in buone condizioni di conservazione. Lo vedem-
mo subito, appena arrivati in fondo alla discesa, era adagiato in un letto di fango da cui emergeva per metà. Facemmo delle foto, continuammo l’esplorazione e, mentre Pesi e Burichetti ispezionavano il salone principale e predisponevano la strumentazione per il rilievo topografico, Vaselli si mise a sondare anche le più piccole fenditure, scoprendo un cunicolo, apparentemente mai violato, che accedeva alle altre sale ricche di concrezioni bianchissime e piccoli stagni a terrazza con acqua cristallina. Provvedemmo a fare il rilievo in pianta e sezione. Rimase da esplorare un camino verticale di cui non riuscimmo a vedere la sommità, a quei tempi non avevamo attrezzature adeguate a risalire camini di quel tipo e decidemmo che, per quanto ci concerneva, l’esplorazione era finita. Estraemmo, con cura il teschio dal fango, cercammo altri reperti ossei e trovammo alcuni piccoli frammenti che, almeno in apparenza, non sembravano appartenere ad uno scheletro umano, mettemmo tutto in un sacco e ci preparammo per risalire. L’amico Pollastrini decise che comunque non sarebbe sceso pertanto tornammo tutti in super-
ficie, disarmammo il pozzo, sistemammo il materiale e ci avviammo sulla via del ritorno. Una volta arrivati a Lucca, nei giorni successivi, facemmo vedere il teschio ad un medico il quale escluse immediatamente che si trattasse di un reperto fossile, alla luce di questa ipotesi decidemmo di consegnare le ossa al locale comando dei Carabinieri i quali le presero, rilasciando un verbale di avvenuta consegna, che è andato perduto.
Alcune note conclusive Questo articolo è stato composto raccogliendo tutte le memorie dei protagonisti che, per l’occasione, si sono visti o consultati a distanza, la cosa da mettere in evidenza è che tutti, nati tra il ‘42 ed il ‘47, sono ancora vivi e dispongono pure di un cervello funzionante, la cosa non era scontata. Marcello Pesi ha controllato la relazione nell’archivio del gruppo ed ha rilevato che avevamo scritto che la grotta si apre in prossimità della località detta Campaiana, tale località, vi-
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La Sala del Teschio: il punto del ritrovamento è situato sotto la parete fra lo speleologo e il conoide proveniente dalla base del pozzo, foto di H. Artioli.
cina alla Pania di Corfino è in realtà molto lontana dall’ingresso del pozzo; a distanza di così tanto tempo non riusciamo a dare una spiegazione dell’errore. Francesco Pollastrini, guardando tra le sue carte ha trovato un vecchio foglio IGM “S.Romano” sul quale aveva segnato, con una crocetta fatta a matita la posizione dell’ingresso individuata con buona approssimazione considerando che all’epoca il GPS doveva essere ancora inventato (i militari avevano il LORAN) e noi avevamo solo i nostri occhi per osservare i particolari del paesaggio ed i manufatti esistenti. Erasmo Vaselli si è ricordato che mentre noi ci guardavamo intorno si era appassionato ad analizzare con metodo scientifico raffinato, degno di un normalista qual è, tutte le fenditure esistenti ed aveva trovato il cunicolo di accesso ai bei saloni concrezionati. Io mi ricordavo solo il dettaglio della frana iniziale e del fatto che la gita era stata divertente e per niente faticosa, sapevo anche di avere delle foto, ma non le trovavo più benché ne ricordassi alquanto bene i dettagli dal momento che le ave-
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vo fatte io e non capita, per fortuna, tutte le volte di trovare un teschio a meno che non si visitino le cripte dei Cappuccini. Adriano Roncioni è stato bravo a trovare le foto nell’archivio del gruppo e a farcele avere. Carlo Burichetti
Inquadramento della zona carsica del Rio
Rimonio
La Buca del Teschio è sicuramente uno degli innumerevoli inghiottitoi fossili di quello che si va delineando come il “sistema carsico del Rio Rimonio”, fino a pochi anni fa assolutamente sconosciuto. Attualmente ne fanno parte in ordine di scorrimento idrico: nella parte alta iniziale l’inghiottitoio del Rio Rimonio (T/LU 1761) dislivello -180 m, sviluppo 400 m, l’inghiottitoio dei Casini di Corte (T/LU 1691), -122 m, sviluppo 173 m, varie grotticelle sul rio stesso, Buca della Volpe Volante (T/LU 1692), -15 m, sviluppo 26 m, Buca nel Tunnel di Vicaglia (T/LU 1560),
Schema del profilo delle grotte del Rio Rimonio.
-36 m, sviluppo 83 m, fino alla risorgenza vera e propria che viene intercettata dalla Buca del Pelo Selvatico (T/LU 1960) dislivello 18 m, sviluppo 600 m. Manca ancora, per definire precisamente lo scorrimento, una e vera e propria colorazione delle acque, difficoltosa da eseguire in quanto le acque del sistema sono utilizzate a valle da un importante allevamento di trote. Il sistema ipotizzato, ha un potenziale dislivello complessivo
di circa 350 m e uno sviluppo spaziale di diversi chilometri. Claudio Catellani “Driss”
Descrizione della grotta Come già spiegato molto bene da Burichetti nella sua relazione, l’entrata di questa grotta è un bellissimo pozzo a cielo aperto di 38 metri verticali. Scendendo, i piedi toccano terra sulla cima di un
Il pozzo d’ingresso, foto di H. Artioli. 51
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Il laghetto terminale, foto di H. Artioli.
conoide di frana che scende ancora per una quindicina di metri, arrivando così nella prima sala, soprannominata “Sala del Teschio”. Nel punto più alto della sala è stata effettuata da Alberto Mattioli un anno fa una risalita, che purtroppo non ha portato ad altre prosecuzioni. Dalla prima sala, si accede ad una seconda, attraverso due passaggi stretti in salita, formati da sassi incastrati. Si sale camminando sopra massi concrezionati, che grazie all’acqua proveniente dall’alto, hanno permesso la formazione di piccole vaschette. Qui, si può arrivare in una terza sala tramite un meandro sulla destra o continuare a salire ed arrivare dall’alto nella medesima sala molto concrezionata. Lo spettacolo prosegue fino ad una galleria semi allagata (laghetto-specchietto) che, con l’acqua quasi alle ginocchia, lascia la speranza di continuare a sognare...ma poco più avanti il sogno s’infrange davanti alle numerose concrezioni. Importante ricordare che in occasione del nostro primo camminamento nella galleria, si sono viste le tracce nel fango, sotto un acqua limpidissima, dei passi degli esploratori di quasi 50 anni prima!
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Conclusioni La storia del ritrovamento di questo teschio e la sorte del suo sventurato proprietario e la riscoperta dell’ingresso della grotta mi ha offerto la possibilità di andare oltre ai miei panni di speleologo ed indossare quelli di un fantomatico ricercatore storico pseudo-scientifico. Con Adriano, fin da subito ci siamo contagiati, buttandoci a capofitto nella ricerca. Ad ogni telefonata, mail o messaggio portavamo a casa un pezzetto di storia, era un rincorrere all’indietro gli eventi, i quali apparivano sempre più nitidi e freschi. Personalmente, è stata una ricerca molto interessante dal punto di vista personale, ma soprattutto storico-locale. Il recupero delle foto dell’epoca e il confronto con quelle attuali ci ha permesso di individuare il punto esatto del ritrovamento. Abbiamo in seguito effettuato un’ulteriore uscita nella grotta (nel mese di gennaio di quest’anno) per cercare di capire se fosse caduto nella grotta dall’alto del pozzo (restando peraltro incredibilmente intero) o se potesse esserci stato, in epoca passata, un
La riesplorazione Era una tipa di quelle un po’ defilate, che non si fanno vedere in giro. Tutti la conoscono ma nessuno la va a trovare. Non c’è motivo, è solo così. Poi un giorno Mario si mette in testa di cercarla. Ma dov’è? Le informazioni sono vaghe, l’indirizzo incerto, gli ultimi che l’hanno vista sono vecchi e non si ricordano. Ma Mario è un uomo tosto, non molla. Fino a quando un giorno salendo e scendendo montagne e dirupi la trova. È lei, non ci sono dubbi. Si spalanca a cielo aperto sotto una parete in cima ad un versante di detrito. È fonda, proprio come si diceva, e per scenderla ci vuole gente pratica e magari più giovane. E allora ci contatta, a noi di Reggio che da un sacco di tempo giriamo in Orecchiella e sulla Ripa, che è come il nostro parco a tema speleologico. E così una primavera di un paio di anni fa Mario ci guida dai Casini di Corte fino in fondo al Rimonio, per poi scenderlo guadando in continuazione il torrente in piena. Non è stato facile, forse c’era arrivato da un’altra parte e i boschi sembrano tutti uguali ma l’abbiamo trovata. Era lì, una bocca spalancata, e nessuno la
visitava da quasi 50 anni. Armo di partenza su grosso faggio, 3 frazionamenti e siamo in fondo al pozzo. Il rilievo dirà quasi 50 metri. Una grande sala con un po’ d’acqua che si perde da una parte, e poi un passaggio stretto che porta in un’altra sala piena di concrezioni e poi una fessura e un meandro con altre concrezioni (di più) e un laghetto di acqua limpidissima. Siamo tornati due anni dopo per il rilievo e le foto, questa volta scendendo dalla diga di Vicaglia e risalendo il sentiero Airone. Dopo 5 guadi e appena prima di affrontare il sesto si sale sul versante della montagna fin sotto le pareti, sono almeno 40 metri di dislivello dal fiume, si tiene un po’ la destra ed è ancora lì. Non c’è tanto spazio per muoversi e il bosco è ripido, al limite del pericoloso, ma si può stare. Ci dicono che il teschio era stato ritrovato nella prima sala, come è logico se è caduto dall’ingresso, ma il resto dov’è? Se qualcuno vuole tornarci lei è sempre là, che aspetta spalancata. Maurizio Malvini
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Colate calciche nella sala del teschio, foto Archivio Gruppo Speleologico Lucchese.
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Discesa nel pozzo della Buca del Teschio, foto di A. Massagli.
altro accesso, e se potessero esserci ulteriori reperti. Nella Sala del Teschio, è stata fatta anche una ricognizione con il cercametalli per rinvenire eventuali oggetti appartenuti al malcapitato. Le ricerche però hanno dato esito negativo, e l’ipotesi più probabile rimane quella della caduta dall’alto e, probabilmente, altri reperti potrebbero essere ancora sepolti sotto il grande conoide detritico che dalla base del pozzo arriva fino alla Sala del Teschio. Il punto dove nel 1967 è stato rinvenuto il cranio è stato individuato con ottima precisione e coincide con un avvallamento fra la parete della sala e il deposito che costituisce il pavimento dove si infiltra l’acqua della grotta.
Questo piccolo “inghiottitoio” sembra essersi ampliato rispetto a quanto si riesce a vedere nelle foto dell’epoca, ma non affiorano altri reperti dal sedimento. Non è stato possibile risalire a chi avesse indicato all’epoca l’ingresso della grotta ai primi esploratori, probabilmente non sarà più in vita dopo quasi 50 anni. Gli anziani di oggi non ricordano di persone scomparse o cadute in questa grotta. Massimo Neviani “Nebbia”
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Cremaschi M., 1970, Nuove esplorazioni nella valle di Soraggio, in «Attività GSPGC 1970», Boll. GSPGC-RE.
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Catellani C., Davoli A., Formella W., 2002, Trent’anni di attività del gruppo speleo-paleontologico G. Chierici in Toscana, in «Talp», atti del VII congresso della Federazione Speleologica Toscana, n° 23, pagg. 49 - 71. Catellani C., 2003, L’inghiottitoio dei Casini di Corte, in «Talp», Rivista della Federazione Speleologica Toscana, n° 27, pagg. 14 - 21. Mariannelli G., 2009, Corfino & Soraggio, in «Speleologia», rivista della Società Speleologica Italiana, n° 60, pagg. 36 - 41. Belloni O., Zanghieri F., Santolin S., 2010, Inghiottitoio di Rio Rimonio, Parco dell’Orecchiella - Toscana, in «Talp», Rivista della Federazione Speleologica Toscana, n° 40, pagg. 6 - 11. Santolin S., Zanghieri F., 2012, Una nuova grotta nel Parco dell’Orecchiella, in Notizie italiane, «Speleologia», rivista della Società Speleologica Italiana, n° 67, pag. 67. Santolin S., Zanghieri F., 2012, Attività del Gruppo Speleologico Paleontologico “Gaetano Chierici”, in «Speleologia emiliana», rivista della Federazione Speleologica Emiliana, n° 3, pag. 5.
Novembre 1966, alluvione di Firenze: alcuni degli “angeli del fango” in un momento di pausa davanti alla biblioteca nazionale. In alto a destra si riconoscono Marcello Pesi con la borraccia in mano, Carlo Burichetti, seduto, che accende la sigaretta a Francesco Pollastrini, foto di Balthazar Korab.
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A piedi, dalla Buca del Gallo alle Fonti di Bufalona di Lucia Montomoli, Gianni Dellavalle, Gruppo Speleologico Archeologico Livornese foto di Gianni Dellavalle
Riproponendo un esperimento fatto in Talp n. 48 giugno 2014, di seguito vi suggeriamo un itinerario di interesse speleologico che collega il “Borgo Medievale” di Prata con la “Città” di Massa Marittima. Non è un anello, quindi i tempi indicati sono relativi ad una sola direzione. I due paesi sono comunque collegati da un servizio (anche se esiguo, non più di due/tre corse al giorno) di autobus. Più semplicemente, ci si può organizzare con una macchina posizionata a valle del percorso che ci può riportare alla partenza dell’itinerario. Si consiglia di eseguire il trekking nella bella stagione. Il percorso, in alcuni tratti, non seguirà sentieri segnati quindi si consiglia di munirsi di un GPS o, in alternativa, di una carta della zona in scala 1:10.000 e di una buona bussola. Sono indispensabili scarponcini da montagna, acqua e viveri a sufficienza per affrontare le lunghe ore di cammino. Tempo di percorrenza: 8/9 ore circa. Km dell’intero percorso: 24. Difficoltà: impegnativo. Si parte dalla Piazza Guerrazzi di Prata1 (punti di riferimento la farmacia del paese o il ristorante “Il Pianello”) e si prende Via Li-
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guria, dove troviamo anche i cartelli in legno che segnalano il sentiero n. 30 (segni da seguire rosso/bianco). Superato il cimitero del paese, la strada da asfaltata diventa sterrata. Si continua sempre in salita e sulla via principale, seguendo i cartelli in legno che segnalano il sentiero n. 27, fino ad arrivare ad una bella fonte con delle grosse vasche, Fonte al Castagno, sita nei pressi della “Casa Rosa”. Potete approfittarne per fare una prima scorta di acqua. Si prosegue sulla strada in salita che costeggia la “Casa Rosa”. Arrivati ad un trivio si prosegue a destra, sulla strada principale, fino ad arrivare ad un altro trivio, dove troviamo le segnalazioni in legno (di nuovo sentiero n. 30) che ci indicano la strada per Poggio Croce, prima tappa del nostro percorso (al trivio svoltare a sinistra e dopo una prima salita prendere il sentierino, a sinistra della strada principale, che si inoltra, ancora in salita, per il poggio)2. Qui si iniziano a vedere evidente tracce di Calcare Massiccio che ci accompagneranno per tutto il percorso che ci condurrà fino all’ingresso della Buca del Gallo. Il sentiero, che ci porta fin sotto la Croce del poggio, si alterna a tratti in campi aperti, dove si può godere di una splendida vista in tutte le direzioni si guardi, a tratti in piccoli boschetti di roverella e carpino (la traccia del sentiero da seguire è sempre ben
Una veduta panoramica di Prata e sullo sfondo, da destra, il Poggione e Poggio Croce, foto di G. Dellavalle.
. to. Per certo si sa che l’ultimo utilizzo che ne è stato fatto è di uso strategico militare durante la seconda guerra mondiale. Si mantiene la dire-
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riconoscibile). Il panorama che ci offre questa altura che nel suo punto massimo raggiunge gli 847 m s.l.m. spazia da Monterotondo Marittimo fino a toccare le pianure di Venturina per proseguire fino al promontorio di Piombino, percorrere tutto il Golfo di Follonica, soffermarsi sulla punta estrema di Punta Ala e rientrare nell’entroterra toccando i rocciosi speroni che ospitano il paese di Roccatederighi fino a ritornare con lo sguardo al vicino Boccheggiano che ci riconduce alla sottostante Prata. Da Poggio Croce si prosegue in lieve discesa (in direzione sud - sudovest) e ci si addentra nel bosco. NB: da questo punto fino a ricongiungersi con il sentiero n. 44 che parte alla fine del cavalcavia di Prata, non esistono sentieri segnalati, quindi si consiglia di seguire la traccia che abbiamo prodotto con l’ausilio del GPS e che si può scaricare a questo link bit.do/talponline. In alternativa è bene munirsi di una carta della zona in scala 1:10.000, una bussola e seguire le direzioni che riportiamo di seguito. Il prossimo punto da raggiungere sarà l’ingresso della Buca del Gallo (T/GR 180 UTM WGS84 E 660402 N 4772526). La direzione da seguire è sempre sud - sudovest. Appena entrati nel bosco, sulla sinistra troviamo un grande edificio abbandonaL’ingresso della Buca del Gallo, foto di G. Dellavalle.
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zione e si scende fino a quota 740 m per circa 10 minuti. Appena usciti dal bosco si incontra una prima radura. Mantenendo la quota guadagnata si prosegue in direzione sudovest. Si supera un piccolissimo tratto fra le piante sino ad arrivare subito in una seconda e più ampia radura. Dopo pochi passi incontriamo l’ingresso della nostra grotta, costituito da un crollo al livello del suolo, che misura circa 3 per 3 m e profondo altrettanti. Se siamo dotati di un caschetto e di una luce, è possibile visitare la piccola ma bella grotta che si trova sotto di noi. Superato l’ingresso, il nostro percorso prosegue in quota, attraversando tutta la radura in direzione sud ovest fino a prendere una traccia di sentiero che ci inoltra in un piccolo boschetto, attraversato il quale si apre un’altra radura. Qui si prende in direzione sud e si scende, decisi, mantenendo la direzione, fino a raggiungere la quota di 695 m, dove, sulla sinistra, degli ometti di pietra ci indicano un sentiero che ci riporta dentro il bosco. Si prosegue in direzione nord est, seguendo la traccia principale del sentiero, a volte ingombra da rovi. La via si fa sempre più ampia e riconoscibile, fino
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ad assumere, sul finire del percorso, le dimensioni di una strada carrabile. Punti strategici sono il superamento di una piccola vecchia sorgente sulla destra della strada e, dopo circa 2/300 m, di una vecchia casa colonica in completo abbandono sulla sinistra. Dopo pochi metri si raggiunge la strada sterrata principale. Prendere a destra e proseguire fino ad una villa, circondata da un grosso muro di contenimento, che si trova alla nostra sinistra. Proseguire a sinistra sulla strada a sterro in discesa, fino a raggiungere la vecchia strada provinciale che dal paese di Prata porta a Massa Marittima. Questo posto prende il nome di Croce del Mascagni. Attraversiamo la strada e prendiamo subito una strada sterrata posta di fronte a noi. Lasciando alle nostre spalle, sulla sinistra, una vecchia casa abbandonata, si passa una prima volta sotto il cavalcavia di Prata. Arrivati ad un quadrivio (qui possiamo trovare una cannellina sulla sinistra dove poter nuovamente fare rifornimento di acqua) si prende la strada sterrata sulla sinistra, in lieve discesa. Alla fine della strada bianca, in prossimità di una baracchina di lamiera color marrone posta sulla sini-
stra, entriamo in un bosco di castagni (si passa dietro alla baracchina) seguendo una traccia di sentiero che costeggia la destra orografica del canale che troviamo appena sotto. Superiamo due accenni di sentiero che scendono ripidi al fondo del canale, si prende invece il terzo invito che ci porta sul letto delle Carse. Qui il sentiero ci abbandona. Si prosegue in risalita in una piccola radura che risulta essere meno ingombra dai rovi, seguendo la direzione che ci porta verso il IV pilone del cavalcavia che riusciamo a vedere davanti a noi. Arriviamo così ai piedi di due grandi basamenti di cemento che sono la base del pilone. Sulla sinistra dei basamenti possiamo di nuovo intuire una traccia di sentiero in forte salita che ci porta ai piedi del pilone stesso, dove guadagniamo un sentiero più ampio, ma ingombro di arbusti, che ci porterà ad uno sterrato ancora più ampio e pulito. Prendiamo a destra, facendo un tratto di strada che costeggia un bosco di carpini dove si presentano numerose piccole pareti di Calcare Cavernoso. Si supera una catena di plastica rossa e bianca che ci immette in una ampia strada sterrata carreggiabile. Proseguiamo sulla destra fino ad arrivare sulla strada provinciale n.
441 in prossimità della rotonda che porta nuovamente a Prata. Qui possiamo scegliere di interrompere il nostro cammino, concludendo un anello lungo circa 9 Km, oppure proseguire il nostro itinerario che ci porterà verso la città di Massa Marittima. Camminando lungo la strada provinciale in direzione Siena, arriviamo ad imboccare una strada bianca, sulla destra, dove ritroviamo i cartelli in legno che segnalano l’inizio del sentiero n. 44. Si attraversa un piccolo borgo di case fino ad arrivare alla strada consorziale di Rivivoli-Gretaia, asfaltata. Prendiamo a destra e ci incamminiamo lungo il percorso n. 44 (segnali bianco rosso) fino ad arrivare al podere Gretaia. Una ventina di metri prima del podere (ben riconoscibile perché posto proprio sulla strada), sulla destra, il cartello in legno del sentiero ci indica la via da seguire. Ci inoltriamo in un piccolo canale che ci conduce fino al letto del Carsia, lo superiamo e proseguiamo verso sinistra che ci porterà in prossimità di una strada a sterro in concomitanza di un grande cancello, posto sulla destra, chiuso da un grosso lucchetto. Qui si congiungono i torrenti Carsia e Fosso del Canneto. Proseguire a sinistra, siamo sempre sul
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Lungo la galleria principale della Grotta Prato 2, foto di G. Dellavalle.
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L’imponente dolina che costituisce l’ingresso della Buca del Frate. Lo scatto è stato fatto in occasione di una piena a seguito di alcuni giorni di pioggia intensa, foto di G. Dellavalle.
percorso n. 44. Da qui la geologia cambia e si entra nella placca di Travertino dei Pianizzoli. A circa 200/300 metri, poco prima dell’inizio della recinzione dell’Azienda Agrituristica Venatoria del Borgo di Perolla, scendendo sulla sinistra in prossimità di un bivio, troviamo lo sbocco della Galleria di Scolo della miniera di Niccioleta. La miniera si trova a circa 7 Km a monte in linea d’aria (la galleria fu costruita negli anni ‘50 per evitare che, a seguito dell’intercettazione con gli scavi di un potente livello di roccia acquifera, si allagassero più livelli della miniera) che immette nel canale del torrente Carsia. All’interno della proprietà del Borgo di Perolla si trova invece una delle più importanti grotte sviluppatesi nel travertino, la Grotta Prato 2 (T/GR 1266). La grotta Prato 2 è stata, fino dal momento della sua scoperta (avvenuta negli anni ‘80 del XX secolo da parte di speleologi del Gruppo Speleologico Pratese), la maggiore cavità presente nel territorio di Massa Marittima. La fase di esplorazione iniziata con il superamento di un sifone nel 1996 da parte di tre speleosub, fra i quali Maurizio Negri, ha fatto di questa grotta la più estesa della Toscana, al di fuori dell’area apuana. Nel corso del 2006 e del
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2007 sono state effettuate delle risalite nel salone terminale della Prato 2 grazie ad una collaborazione fra speleologi del Gruppo Speleologico e Archeologico Livornese, della Società Naturalistica Speleologica Maremmana e del Gruppo Speleologico Massa Marittima. Le risalite hanno portato alla scoperta di nuovi tratti e di un camino che potrebbe portare ad un nuovo ingresso della cavità. Allo stato attuale la grotta ha uno sviluppo totale di oltre 1357 m ed una estensione di oltre 1296 m; ha un dislivello positivo di 94 m e negativo di 15 m rispetto all’ingresso, per un dislivello interno totale di 109 m. Continuando a costeggiare la rete di recinzione dell’Azienda Agrituristica Venatoria, arriviamo alla Strada Provinciale di Perolla. Prendendo a destra, in direzione Massa Marittima/Ghirlanda, la percorriamo fino ad arrivare in località Pianizzoli. Di fronte all’omonima Fattoria (ben riconoscibile perché dalla strada si vedono degli ampi appezzamenti di terreni recintati dove vengono allevati cavalli) sulla destra della provinciale, seguendo un sentiero sterrato per alcune decine di metri, troviamo un importante zona carsica, quella di Pianizzoli appunto, nella quale la densità di fenomeni carsici epigei ed ipogei è la più
elevata fra le placche della stessa formazione situate in zone vicine. La presenza di doline di varia morfologia e dimensione, di valli cieche e di inghiottitoi, testimonia lo sviluppo del fenomeno carsico in ambiente epigeo. Al di sotto della superficie del terreno il grado di evoluzione del carsismo profondo è ben testimoniato dalla presenza di numerose grotte (solo per citare le più note: Buca del Frate di Perolla T/GR 489, Grotta Prato T/GR 1353, Buca del Sambuco o Caverna di Pianizzoli T/GR 1297, Grotta dei Pipistrelli o Buca di Pianizzoli n. 1 T/GR 784, Grotta del Cinghiale o Buca dei Pianizzoli n. 2 T/GR 785, Grotta del Somaro o dei Bambini T/GR 1354) la maggiore delle quali è la già citata Prato 2. Con un piccolo fuori percorso e seguendo le coordinate di seguito riportate, nei dintorni della fattoria si possono raggiungere gli ingressi della Buca del Frate di Perolla T/GR 489 (UTM WGS84 E 659327 N 4767426), della Buca del Sambuco T/GR 1297 (UTM WGS84 E 599267 N 4881263), della Grotta dei Pipistrelli T/GR 784 (UTM WGS84 E 658992 N 4766901). NB: per visitarle bisogna essere muniti di attrezzatura speleologica, corde e armi da roccia, se ne sconsiglia quindi l’entrata in grotta durante la nostra escursione. Portandoci dentro la Fattoria di Pianizzoli e
superando il nucleo principale delle abitazioni ci incamminiamo lungo la strada sterrata che parte subito dietro all’ultimo edificio costeggiando un vigneto sulla sinistra e superando un traliccio della luce sulla destra. Attraversiamo un piccolo boschettino e appena superato un ponticello di legno si intercetta una strada bianca. Prendere a destra e proseguire per la via principale (per alcune centinaia di metri la strada costeggerà la rete di recinzione di un Area Addestramento Cani). Dopo un tratto in lieve discesa ci troveremo a percorre una piccola salita che, in corrispondenza di un’ansa della strada e sulla sinistra in concomitanza di un palo telefonico, ci porta ad imboccare, sulla nostra destra, il percorso n. 45 (segni da seguire rosso/bianco) che si inoltra, in lieve discesa, nel bosco. Anche qui ritroviamo evidenti tracce di affioramenti di travertino. Dopo circa un quarto d’ora di cammino dall’inizio del nostro sentiero nel bosco ci troveremo ad attraversare il torrente Zanca. Appena oltre, sempre seguendo il sentiero n. 45, troviamo dei ruderi di vecchie lavanderie delle miniere che si aprivano in questa zona. Di particolare interesse una vecchia fornace ancora quasi intatta. Riprendendo il cammino e in corrispondenza della seconda curva del sentiero, a salire, percorrendo un piccolo fuoripista possiamo raggiungere
Il vecchio ponte che attraversa il torrente Zanca, costruito nel 1855, foto di G. Dellavalle.
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L’ingresso della Galleria Rovis, foto di G. Dellavalle.
la Galleria Rovis. Uno sterro in discesa che si apre sulla destra del nostro percorso, ci porterà dopo poche decine di metri ad un vecchio ponte che attraversa lo Zanca (la data di costruzione risale al 1855), subito dopo averlo attraversato si continua a seguire sulla sinistra la traccia del sentiero che ci porta dritto all’ingresso della nostra galleria. Intorno alla metà del XIX secolo furono intrapresi, su proposta e sotto la direzione dell’Ing. Rovis, dei lavori di escavazione che, a partire dall’alveo del torrente Zanca, avrebbero dovuto intercettare le parti inferiori di filoni minerari già interessati, nelle parti superficiali intorno all’area di Poggio al Montone, da escavazioni fatte “dagli antichi”. L’idea del Rovis era che i lavori degli “antichi” avessero solo intaccato le masse di minerali metallici presenti nel sottosuolo, e che tali giacimenti potessero essere raggiunti e sfruttati con le moderne (per allora) tecniche minerarie a partire dall’alveo del torrente Zan-
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ca, situato a quote altimetricamente più basse rispetto a Poggio al Montone. I lavori portarono alla creazione di un sistema di gallerie di coltivazione e di drenaggio che non fecero raggiungere però i risultati sperati. I filoni metallici incontrati infatti non si rivelarono così ricchi come ci si aspettava e l’intera operazione non poté dirsi ben riuscita. Le evidenze maggiori sono date dagli ingressi delle gallerie, in gran parte ostruiti da materiali detritici portati dal torrente e/o provenienti dall’interno dei cunicoli. Alcuni tratti delle gallerie sono percorribili, in particolare un settore che corre parallelamente allo Zanca un paio di metri sopra l’alveo ed interamente rivestito in blocchetti di pietra: muniti di una luce e di un caschetto lo si può percorrere per circa 50 metri. In questo caso il torrente, per erosione di sponda, ha reso “sospesa” la galleria scalzando il terreno d’appoggio e rendendola “a sbalzo”. Occorre quindi verificare lo sato dell’opera prima di entrarci. Nello Zanca, in più parti dell’area vicino alle gallerie Rovis, si trovano parti dei muri in pietra appartenenti al rivestimento e alla struttura delle gallerie, oltre che a resti di edifici e costruzioni che sono i ruderi di quanto fatto nella speranza di trovare minerale da estrarre. Ritornando sui nostri passi riprendiamo a percorrere il percorso n. 45. Dopo poco tempo ci troveremo ad attraversare il Podere Camparelli. Continuiamo a seguire i segni rosso/bianco del CAI che si trovano sulla strada principale, fino ad arrivare ad un bivio dove ritroviamo i cartelli di legno che indicano i sentieri n. 45 e 32. Prendere a sinistra, in salita, seguendo il percorso n. 32. Al successivo trivio prendere la strada sulla destra. Si lascia alle nostre spalle una villetta recintata con cancello e una strada in discesa che prosegue a sinistra. Noi proseguiamo a destra, sulla via principale, fino a raggiungere una strada asfaltata, la vecchia via che collega Capanne Vecchia alla città di Massa Marittima. Prendere a destra in direzione della città. In prossimità del cimitero (a destra) svoltiamo a sinistra, ad un grosso incrocio. Percorriamo questa strada per circa 50 m. All’altezza di un parcheggio posto sulla destra, prendiamo un piccolo sentierino,
a destra, che costeggia il marciapiede della Via Spinelli. Quello che rimane di questo piccolo sentiero è la via che nel secolo scorso, attraversando campi e boschi, collegava la località Poggio al Podere della Camilletta. È di particolare interesse da un punto di vista botanico, perché vi si trovano raggruppati la maggior parte degli esemplari che compongono la nostra macchia mediterranea, alcuni dei quali di età secolare. Alla fine di questo percorso, attraversando Via Ugo La Malfa ci immettiamo direttamente nel parco che si apre di fronte a noi e o andando in direzione sud ovest possiamo raggiungere le Tane della Camilletta. Nella zona si trovano 6 cavità principali raccolte in un’area dove sono presenti segni di attività estrattiva, molto probabilmente legata alla produzione di calce. Dal punto di vista geologico ci troviamo su di un affioramento di Travertini che furono usati, con ogni probabilità, come materia prima a scopi edili. In generale si tratta di una zona con evidenti segni di escavazioni, fra questi sono da considerare anche le grotte segnalate, per le quali non è da escludere una qualche origine naturale, ma che in ogni caso presentano forti antropizzazioni. Le cavità Tane 1 e Tane 2 sono quelle che, nella “zona 1”, hanno la maggiore complessità ed estensione; nell’area si
trovano anche depressioni, oltre alle altre cavità segnalate, e fra la depressioni una in particolare, avente diametro di circa 3 metri e profondità attuale di circa 2.5, potrebbe essere ciò che resta di un forno da calce. Riportiamo di seguito un elenco riassuntivo con le coordinate per poterne raggiungere gli ingressi: Cavità n. ingresso le Tane 1 le Tane 2 le Tane 3 le Tane 4 le Tane 5 le Tane 6
1 2 1 2 3 1 1 1 1
Nord UTM Est UTM 4767530 4767518 4767504 4767493 4767473 4767503 4767547 4767548 4767564
654341 654347 654347 654349 654332 654331 654325 654360 654344
Alla fine della nostra escursione presso le Tane della Camilletta, il nostro percorso ci porta ad uscire dal parco in prossimità di Via Pietro Nenni, all’imbocco di una galleria stradale (la galleria del Minatore, a sinistra). Noi attraversiamo la strada e prendiamo a destra, in direzione del Campo Sportivo. Al primo grande incro-
Vista sulla parete calcarea di Poggio al Montone scattata dal Podere Camparelli, foto di G. Dellavalle.
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La Cattedrale di San Cerbone, foto di A. Roncioni.
cio che troviamo sulla nostra sinistra, prendere a sinistra, percorrendo la strada principale, che costeggia lo Stadio cittadino e seguire le indicazioni per il Parco di Poggio. Attraversandolo tutto arriviamo nei pressi di una scalinata che ci porta nel centro storico. Sbuchiamo in via Fratti e attraversando la Porta delle Formiche ci portiamo dentro il centro medievale della città di Massa Marittima. Scendendo delle scale subito sulla nostra sinistra ci troviamo, sulla destra, nei pressi delle Fonti dell’Abbondanza (un esaustivo articolo su queste fonti lo trovate sul n. 45 della nostra rivista TALP). Proseguendo verso il Duomo ci troviamo nella splendida Piazza Garibaldi, circondati dalla Cattedrale di San Cerbone, il Palazzo Vescovile, il Palazzo del Podestà, che attualmente ospita il museo di Archeologia, la Palazzina e la Torre dei Conti di Biserno, il Palazzo Comunale e le logge del Comune. Qui la vista non può non essere catturata dal bellis-
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simo gioco di colori del travertino, usato per edificare questi meravigliosi palazzi medievali. Percorrendo tutto il corso (Via della Libertà) e giunti in Piazza Cavour si prende a destra per Via Albizzeschi. Usciamo dal centro storico da Porta San Rocco, continuando a dritto, fino ad arrivare davanti alla ex chiesina di San Rocco, attualmente sede del Terziere di Borgo. Imbocchiamo la stradina in forte discesa che costeggia la chiesina (Via Mascagni), attraversiamo la grande strada Via Massetana Nord, e prendiamo una piccola strada asfaltata (posta sulla sinistra di Via Massetana) che si diparte dall’Albergo Il Girifalco. Dopo circa 30 metri in discesa, sulla destra troviamo le Fonti di Bufalona, tappa ultima del nostro itinerario. Costruite nel XII/XIII secolo, erano poste sull’antica via senese e si trovano appena fuori dalla vicina porta omonima (distrutta e mai più ricostruita nel 1337) Queste fonti persero di importanza nell’uso cittadino quando, nel 1265, fu ritrovata l’allora Fonte Nuova, oggi denominata Fonte dell’Abbondanza, posta nei pressi della Piazza del Duomo. Per chi avesse ancora un poco di forza nelle gambe, proseguendo la piccola strada asfaltata che ci porta fuori dalla città, può raggiungere la vicina Ghirlanda, dove possiamo trovare un’altra grande fonte, la Fonte del Tordino e la Galleria di Drenaggio del Piano di Ghirlanda, ampliamente descritta nel n. 47 della nostra rivista. Luoghi di interesse speleologico nel paese sono i pozzi descritti nell’articolo, la Cisterna del Cassero, Pozzo Aramis, il Pozzo del Pianello e la Grotta del Forno, rispettivamente posti in Via Garibaldi, in un piccolo vicolo senza nome che collega Piazza Mazzini a Via Toscana, in Piazza Guerrazzi e in Via Castellazzo, ma sono tutti posti in abitazioni private e quindi impossibili da vedere senza il permesso dei proprietari. Appena fuori del paese troviamo Fonte Vecchia, i Mulini delle Carse e la Buca della Vecchina. A Fonte Vecchia ci si arriva in pochi minuti da Piazza Guerrazzi prendendo la vecchia strada provinciale che porta a Massa Marittima, scen1
dendo a sinistra, in concomitanza dei cassonetti della nettezza urbana, in una strada che porta verso un piccolo quartiere di palazzine nuove e proseguendo verso il Canale delle Carse. Nei pressi del piccolo oratorio dedicato alla Madonna del Canale, partirebbe un sentierino che porta ai due ruderi dei Mulini delle Carse, uno dei quali è descritto nel nostro articolo, ma al momento della redazione del nostro articolo il sentiero è stato nuovamente invaso da un macchione di rovi che ne impediscono il transito. La Buca della Vecchina è posta in una proprietà privata, quindi anche in questo caso per poter visitare la grotta bisogna avere il permesso dei proprietari del terreno. 2 Un piccolo fuori percorso ci porterebbe, in circa 10 minuti, ad un’altra bella fonte, Fonte Canali, dove troviamo una grande opera di captazione, eseguita negli anni ‘50 del XX secolo, per portare un ulteriore approvvigionamento idrico al paese che, in seguito al richiamo di operai che prestavano lavoro nelle vicine mi-
niere di Niccioleta e Boccheggiano, aveva aumentato tantissimo il numero dei propri abitanti. Una piccola cannella posta all’esterno permette ancora oggi, ai passanti, di potersi dissetare a questa fonte.
Ringraziamenti A tutti i prategiani che ci hanno aiutato nell’indicarci vecchie strade e località sopra e sotto Prata, alla signora Carrucoli Fulvia per averci indicato il sentierino di Via Spinelli, al Gruppo Speleologico Massa Marittima che ci ha messo a disposizione la sua approfondita e preziosa conoscenza dei luoghi carsici di Massa Marittima e dintorni, a Luciano Porcinai e in particolar modo un sentito ringraziamento a Maurizio Negri e tutta la sua bella famiglia.
Le particolari vasche delle Fonti di Bufalona, foto di G. Dellavalle.
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Foto di ?. Bacci: in alto, femmina di geotritone italiano (Hydromantes italicus) con uova; in basso, femmina di Meta menardi; nella pagina di fianco in alto, femmina di Tegenaria sp. Foto di A. Roncioni: nella pagina di fianco in basso, esemplare di ??????????????????????????????.
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Foto di E. Lunghi: pagina a fianco in alto, femmine (primo piano e sfondo) di Meta menardi; pagina a fianco in basso, Dolichopoda laetitiae in accoppiamento. Foto di M. Verole Bozzello: di lato, esemplare di Niphargus orcinus. Foto di L. Tinagli: sotto, esemplari di rospo comune (Bufo bufo) trovati nella Buca della Vacca (T/LI 2019) in fondo al pozzo d’ingresso. La grotta presenta una colonia permanente e numerosa (non possono uscire) di rospi.
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Foto di F. Serena: di lato, Androniscus dentiger. Foto di M. Tavernello: sotto, esemplari di ??????????????????????? Grotta MHX29 THAM KUNAI , Thakhek, Laos.
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Foto di E. Poggetti: pagina a fianco, Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), Valle delle Dispense, San Vincenzo (LI).
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Galleria Teresa, Massa Marittima (GR)
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di Maurizio Negri e Cinzia Lombardi, Gruppo Speleologico Massa Marittima
. Alcune volte accade che un’azione dell’Uomo, fatta per chissà quali scopi, sia modificata da un’azione della Natura e l’interazione crei delle vere e proprie opere d’arte. Una cavità fatta per ricerca mineraria può diventare uno scrigno che protegge gioielli (naturalistici...) ed un museo che conserva opere mirabili (ancora in senso naturalistico) da valorizzare e tutelare: Galleria Teresa è questo, un piccolo e meraviglioso ambiente creato dall’Uomo e impreziosito dalla Natura. Come già accennato parlando della “gemella” Galleria Giulia (M. Negri, C. Lombardi, 2013), la ricerca bibliografica è stata fondamentale per individuare le cavità e gallerie di saggio minerario nel massetano e nel caso specifico su Poggio Ventura, un rilievo di quasi 400 m (391.7 m da C.T.R. 1/10.000, sezione 306150) situato 2.2-2.3 km a Sud-Est del centro storico di Massa Marittima. Un articolo della rivista “L’Industria Mineraria” (B. Burtet Fabris, P. Omenetto, 2014) riporta che presso Poggio Ventura furono scavate due gallerie, denominate Giulia e Te-
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L’ingresso di Galleria Teresa, foto di G. Dellavalle.
resa, poste rispettivamente sul versante settentrionale e su quello meridionale dell’altura. Nel testo di Fabris e Omenetto si legge: “In tempi più recenti, qualche tentativo di ripresa delle vecchie ricerche non ha dato esito soddisfacente e se ne hanno solo scarni resoconti nelle relazioni del Servizio Minerario. I lavori attualmente riconoscibili constano di alcune trincee e gallerie, di cui le principali sono la Galleria Rigalloro o Galleria Giulia, aperta sul versante settentrionale del Poggio Ventura, e la Galleria Teresa, ubicata sul versante meridionale dello stesso colle, 0.5 km a Sud-Est della precedente. La prima è ancora percorribile per tutta la sua estensione; alla seconda non è più possibile accedere perché allagata...(omissis)”. L’articolo prosegue con la descrizione di Galleria Giulia mentre le notizie su Galleria Teresa si fermano a quanto sopra. Le ricerche in campagna hanno portato al ritrovamento di Galleria Giulia nel 2008 e, grazie alla testardaggine di alcuni soci del Gruppo Speleologico Massa Marittima, anche a quello
di Galleria Teresa, avvenuto nel 2012. La galleria non era allagata e fu possibile l’accesso. Il pavimento della prima parte della cavità era costituito da fango secco con uno spessore tale da ridurre l’altezza apparente dell’opera a circa 1 m. Procedendo verso l’interno il fango si inumidiva con l’effetto di far apparire la sezione della cavità per intero ma, anche, di formare un deposito (20/30 cm di profondità) micidiale, tenace e così egoista da volere per sé gli stivali di chi vi si avventura! Questo avviene a circa 30 m dall’ingresso, in corrispondenza di una biforcazione della galleria. Il ramo di sinistra (dando le spalle all’ingresso) è lungo meno di 20 m e per arrivarci occorre passare per qualche metro nel lago di fango. In questo tratto i colori giallomarrone delle pareti indicano la presenza di limonite e poi, sul fondo, si trovano concrezioni calcitiche ben sviluppate a testimonianza che lo scavo probabilmente raggiunse una piccola cavità naturale dove si fermarono i lavori. Tornando alla biforcazione si deve rientrare nel fango e, se si vuole andare verso l’altro ramo (quello sulla destra, dando le spalle all’ingresso) occorre proseguire per una decina di metri nel pantano prima di trovare un pavimento solido, anch’esso bagnato ma che dà al visitatore la stessa sensazione che prova un naufrago quando tocca terra. La scelta di andare nel ramo di destra, anzichè uscire, permette di vedere la parte più bella e particolare della cavità.
Foto1. Strati di calcari a Palombini intercettati dal ramo di sinistra di galleria Teresa, foto di G. Dellavalle.
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Le rocce nelle quali è scavata Galleria Teresa sono prevalentemente argilliti, con presenza di strati calcarei silicei detti “palombini” (Foto 1). La denominazione della formazione in affioramento, secondo quanto riportato nelle differenti edizioni e versioni della cartografia geologica regionale è: - “Argille a Palombini (membro pelitico-
arenaceo del torrente Carsia)” con simbolo “APA2”, appartenente alla Dominio Ligure, Unità Tettonica Ofiolitifera della Argille a Palombini (progetto CARG, sezione 306 II alla scala 1/25.000). - “Arenarie quarzose torbiditiche (litofacies arenacea)” con simbolo “APAb” e datate Cretaceo inferiore, con le “Argilliti grigie e calcilutiti”, simbolo “APA” come unità litologica d’appartenenza gerarchicamente superiore.
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Note di geologia
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... LE NOTIZIE SU GALLERIA TERESA SI FERMANO. LE RICERCHE IN CAMPAGNA HANNO PORTATO AL RITROVAMENTO DI GALLERIA GIULIA NEL 2008 E, GRAZIE ALLA TESTARDAGGINE DI ALCUNI SOCI DEL GSMM, ANCHE A QUELLO DI GALLERIA TERESA, AVVENUTO NEL 2012. LA GALLERIA NON ERA ALLAGATA E FU POSSIBILE L’ACCESSO.
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Stralcio dalla cartografia geologica regionale relativo all’area d’interesse. Il cerchio rosso indica la zona dell’ingresso, in tratto rosso l’andamento della galleria.
Il dominio d’origine è quello ligure interno - Unità di Monte Gottero (sezione 306150 alla scala 1/10.000, disponibile anche attraverso le pagine web del database geologico regionale dal portale Geoscopio). L’origine della mineralizzazione sembra sia d’origine idrotermale formatasi in seguito agli eventi di magmatismo, metamorfismo e tettonica distensiva tardo appeninici che hanno interessato la Toscana meridionale durante il Miocene - Pliocene (Cuteri F., Mascaro I., 1995). Nel medesimo lavoro Cuteri e Mascaro producono una scheda (n. 22) relativa alle località Poggio alle Vedette – Poggio Rigalloro – Poggio Ventura – Poggio Donzellino. Nella scheda viene indicato che: - le sostanze estratte erano Cu (rame) e Pb (Piombo), quest’ultimo dato come incerto; - come minerali, nella zona, si trovavano calcopirite, pirite, blenda, galena, malachite, calamina, limonite, calcite, quarzo, ortoclasio, caolinite. Sempre nella scheda 22 viene fornita una descrizione naturalistica riguardo la locale mineralizzazione: “lungo una serie di faglie e frat-
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ture ad andamento circa parallelo alla faglia di Fenice Capanne si rinvengono filoncelli e vene discontinue costituite da calcite e quarzo, con impregnazioni a solfuri polimetallici. Le rocce incassanti, argilloscisti e calcari appartenenti alle U. Liguridi, sono silicizzate, parzialmente caolinizzate e impregnate di pirite. Sul versante di Nord-Est del Poggio di Massa, fra il Donzellino e il Molino Petrocchi si rinvengono vene feldspatiche sterili.” L’interpretazione storica data è “coltivazioni di rame e piombo avvenute in età medievale e moderna”, con epoche di sfruttamento “medievale, XIX secolo”.
Descrizione di Galleria Teresa La cavità ha uno sviluppo di 175 m e medesima estensione. Il dislivello interno è -1 m: la misura è fra il punto più elevato (ingresso) e le parti finali delle due diramazioni. I riferimenti sono alla situazione attuale, è molto probabile che in origine il dislivello interno dell’opera fra l’ingresso ed i fondi fosse “0” o, più facilmente, +1 m per consentire il drenaggio naturale del-
Foto 3. Deposito di fango con fratture da essiccamento, foto di G. Dellavalle.
la cavità. Nelle condizioni odierne l’accesso è un’apertura “a volta” con altezza massima di 1.1 m e larghezza di 1.45 m, parzialmente interrata (n.d.r., foto 2 in apertura di articolo). La presenza del riempimento continua, con minore spessore, fino ad una diramazione (circa 30 m dall’ingresso). Il materiale proviene dall’esterno e forma un pavimento con pendenza verso l’interno, che in condizioni di normale accessibilità è costituito da uno strato di fango essiccato nel quale, a pochi metri dall’esterno, si notano fratture (Mud Cracks. Foto 3) che terminano quando, avvicinandosi alla biforcazione, il tasso di umidità del materiale è tale da renderlo elastico...e poi liquido-viscoso (Foto 4). Il terreno proveniente dall’esterno ha formato un accumulo che impedisce il drenaggio per vie naturali e questo determina il ristagno di acqua nella cavità (proveniente sia da stillicidi interni sia dall’esterno visto che l’ingresso è in un impluvio), con il conseguente allagamento fino al livello di tracimazione corrispondente alla soglia esterna. Tale situazione ha portato a considerare la cavità allagata da vari autori ed in effetti, durante i sopralluoghi fatti per la redazione del presente lavoro, in alcune occasioni Galleria Teresa è stata trovata allagata. La presenza di acqua nella cavità, per un battente di alcune decine di
centimetri, è da considerare quindi solo relativa a determinati momenti dell’anno in funzione del regime delle precipitazioni e del ruscellamento
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Foto 4. Il “lago di fango” presso la biforcazione, foto di G. Dellavalle.
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esterno in ingresso. L’accumulo di acqua viene poi smaltito per infiltrazione nei terreni che costitutiscono il pavimento dell’ipogeo. A partire dall’esterno la cavità è rivestita in pietrame per circa 6 m, poi si continua in roccia viva fino alla biforcazione, con larghezza variabile fra 1.4 e 1.6 m ed altezza che dal minimo dell’ingresso (1.1 m) arriva a 1.70 m circa al termine del tratto rivestito e ai 2.5 m circa presso il bivio. In generale Galleria Teresa ha la forma in pianta di una “Y” asimmetrica, con il ramo di sinistra notevolmente più corto di quello di destra. Nel database geologico minerario disponibile on line e gestito dal Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena, dopo il nostro rilevamento abbiamo trovato un disegno “d’epoca” della cavità che, confrontato con il “nostro”, è stato di conforto.
Il rilievo di Galleria Teresa tratto dai documenti del database geologico minerario.
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Il lago di fango rappresenta l’ostacolo da superare, alla biforcazione, se si vuole proseguire. Il consiglio è quello di procedere nella melma velocemente e sapendo che, in ogni caso, dopo 20-30 cm di sprofondamento si arriva ad un substrato solido che è il pavimento originale della galleria. Prendendo a destra si entra nel ramo minore...in tutti i sensi. Si tratta infatti della diramazione più breve (circa 17 m), caratterizzata
Foto 5. In alto, la diramazione di sinistra di galleria Teresa. Foto 6. In basso, rivestimenti su pareti e soffitto all’inizio della diramazione destra, foto di G. Dellavalle.
dalla presenza diffusa di impregnazioni di limonite e rivestimento nei primi metri della parete di destra (Foto 5). Lo scavo termina in una nicchia di concrezioni che probabilmente è una piccola cavità naturale. Tornando alla biforcazione, una volta nella pozza di fango se si vuole proseguire verso la diramazione più lunga, si consiglia di procedere tenendo la sinistra fino ad arrivare, dopo una decina di metri circa, a toccar un pa-
vimento solido in corrispondenza di una nicchia nella parete di sinistra e, subito dopo, di un rivestimento di rinforzo che si sviluppa sulle due pareti e sul soffitto (Foto 6). Qui ci sono diverse cose da far notare. La prima (si veda la precedente figura dov’è riportata la carta geologica con la sovrapposizione della galleria) è che ci troviamo in un punto al di sotto dell’impluvio, che spesso è una zona di minore resistenza della roccia e
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questo giustifica la presenza della struttura di rinforzo su soffitto e pareti. La seconda è che, essendo sotto l’impluvio, ci troviamo in una zona di elevata infiltrazione d’acqua e questo giustifica la presenza di concrezionamento notevole. La terza è che in questo punto troviamo, sulla parete di destra (dando le spalle all’ingresso) un concrezionamento particolarissimo. Si tratta di frustoli vegetali ricoperti di calcare rimasti concrezionati alla parete all’altezza raggiunta dal livello dell’acqua. In pratica del materiale vegetale esterno (ramoscelli, frustoli etc.) è stato portato dall’acqua in ingresso nella galleria fino ad un punto dove è rimasto, galleggiante, in ristagno. Durante questo tempo il carbonato di Calcio presente nell’acqua ha iniziato un processo di ricoprimento dei frustoli, dando luogo a travertinizzazione. Il deposito carbonatico li ha resi un corpo unico, vacuolare e con morfologia tipica dei travertini (Foto 7), che si è saldato alla Foto 7. In alto, dettaglio dei frustoli travertinizzati all’inizio della dira- parete della galleria all’altezza mazione destra della galleria. del livello raggiunto dall’acqua stagnante durante il concrezionaFoto 8. In mezzo, i frustoli travertinizzati concrezionati in parete. mento (Foto 8), quando i frustoli Foto 9. In basso, una “foresta” di spaghetti sul soffitto delle diramazione potevano ancora galleggiare. destra della galleria, foto di G. Dellavalle. Proseguendo nel cunicolo si nota un aumento delle concrezioni verso il fondo, con alternanza di zone più o meno concrezionate (Foto 9) e morfologie d’interesse sia alla micro che alla macroscala. Il pavimento, quando non ricoperto dall’acqua, si rivela essere una sequenza di vaschette di traboccamento che assumono colori variabili in funzione delle mineralizzazioni degli apporti idrici. Oltre al colore bianco dato dal carbonato di Calcio della Calcite, in generale nelle concrezioni si
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Foto 10. In alto a destra, concrezioni di aragonite e di calcite, anche con mineralizzazioni, foto di A. Roncioni. Foto 11. In mezzo a destra, vaschette di traboccamento e crostoni stalagmitici sul pavimento della diramazione destra, foto di D. Fucile. Foto 12. In basso a destra, conoide formata da vaschette di traboccamento alimentate da un arrivo d’acqua dalla parete, foto di A. Roncioni.
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nota l’azzurro delle mineralizzazioni a Rame, il giallo ed il rosso più o meno cupo e/o tendente al marrone delle mineralizzazioni a Ferro, il nero delle mineralizzazioni a Piombo e Zinco. Non sono state ancora fatte analisi sulle acque, le osservazioni riportate sono relative solo a un esame visivo e quindi fallace...la spettacolarità dell’ambiente è comunque garantita! Da non dimenticare, poi, la presenza di Aragonite, che pur restando nell’ambito del carbonato di Calcio (è un polimorfo della Calcite), ha dato luogo a concrezioni coralloidi (Foto 10). In alcuni punti si nota anche la presenza di Gesso, identificato con la prova empirica di scalfittura con l’unghia, che è stato osservato anche nella “gemella” Galleria Giulia, sul versante Nord del Poggio Ventura a circa 500 m in linea d’aria dalla Teresa. Le già citate vaschette di traboccamento si trovano sia sul pavimento, con sbarramento perpendicolare alla direzione di corrente (Foto 11), sia, con dimensioni minori, a formare una conoide che dalla parete, in corrispondenza di un arrivo d’acqua, si estende fino al centro della galleria (Foto 12). In alcune vaschette si trovano pisoliti (Foto 13) che, come le altre concrezioni (Foto 14), assumono varie colorazioni in funzione dei minerali presenti nelle acque che le alimentano. Colate calcitiche sono presenti in vari punti, sulle pareti della diramazione, ed in una di queste è rimasto imprigionato il manico in legno di un piccone, anch’esso
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Foto 13. In alto a sinistra, un “nido” di pisoliti su crosta concrettiva colorata in nero da acque mineralizzate, foto di G. Dellavalle. Foto 14. In mezzo a sinistra, concrezioni stalagmitiche ed a crostone alimentate da acque mineralizzate in maniera diversa, come evidenziato dalle colorazioni differenti , foto di G. Dellavalle. Foto 15. In basso a sinistra, il manico di piccone concrezionato, foto di A. Roncioni.
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in via di concrezionamento (Foto 15). Ricordiamoci che i depositi e le concrezioni che danno “l’aspetto” attuale della cavità, si sono formate relativamente in pochi anni (un secolo?), non abbiamo trovato indicazioni sul periodo di scavo se non quanto riportato in precedenza, dove si fanno riferimenti al XIX secolo (Cuteri F., Mascaro I., 1995). Le acque che entrano in Galleria Teresa devono incontrare nel loro percorso varie mineralizzazioni (Foto 16). In alcuni casi si nota che nella stessa concrezione ci sono zone a colori diversi, segno che l’acqua di alimentazione è entrata in contatto con minerali diversi o che, nel tempo, si sono avuti arrivi d’acqua da zone diverse (Foto 17, 18, 19). Nella diramazione destra si trovano anche molti esemplari di electiti, o eccentriche che dir si voglia (Foto 20). Senza entrare troppo nella questione della loro formazione, vorremmo precisare che nella situazione specifica non siamo in un ambiente nel quale ci siano correnti d’aria (né dominanti né prevalenti) e nello stesso gruppo di stalattiti si trovano sia “spaghetti” perfettamente verticali sia eccentrici. La formazione di electiti è più facilmente attribuibile alle modalità di cristallizzazione ed al fatto che a certe scale la gravità non è la forza più potente. Avvicinandosi alla parte finale della diramazione si incontra una zona con stillicidio perenne presso la quale si trovano concrezioni multicolori. In questo punto la galleria passa per la seconda volta sotto l’impluvio (si veda la carta
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geologica precedentemente riportata) e nonostante lo spessore di roccia soprastante sia valutabile in circa 30 m, l’acqua esterna percola nella galleria. Una ventina di metri di percorso in un ambiente riccamente concrezionato ci portano al termine della diramazione. Per tornare all’esterno non ci resta che seguire la strada già fatta, poiché questa cavità ha un unico accesso.
Il futuro
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La tutela di Galleria Teresa (e non solo) è una priorità assoluta. Un po’ di rovi sull’ingresso, qualche decimetro di battente d’acqua in certi periodi dell’anno e una pozza di fango sono elementi che da soli non sono sufficienti per salvaguardare la cavità da episodi vandalici che in altre gallerie/grotte hanno prodotto danni irreparabili. Una regolamentazione dell’accesso, con modi da definire, è a nostro avviso auspicabile. Il Gruppo Speleologico Massa Marittima si è impegnato fin dal momento della sua scoperta a far conoscere questo particolare ambiente al maggior numero possibile di persone, con iniziative divilgative organizzate in collaborazione con l’Amministrazione locale ed altri soggetti operanti sul territorio. Siamo convinti che il prendere coscienza delle bellezze che la Natura ci offre, anche sotterranee, serva a creare un sentimento di rispetto ed ammirazione nella
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Foto 16. In alto a sinistra, gruppo di concrezioni stalattitiche con esemplari colorati in azzurro da soluzioni mineralizzate a Rame, foto di G. Dellavalle. Foto 17. In mezzo a sinistra, stalagmiti a vela colorate da acque che, nel tempo, hanno interferito alternativamente con zone mineralizzate e non mineralizzate , foto di A. Roncioni.
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Foto 18. Subito sotto a sinistra, due stalattiti a spaghetto, adiacenti ma con alimentazione diversa, foto di A. Roncioni. Foto 19. In basso a sinistra, stalagmiti mineralizzate “a Ferro”, foto di A. Roncioni.
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maggior parte delle persone. A questo proposito è da potenziare una collaborazione, in parte già iniziata, con scuole ed istituti d’istruzione di Massa Marittima (volendo anche di altre località), per rendere partecipi le “nuove generazioni” e anche accompagnare i ragazzi più grandi in un percorso didattico che preveda escursioni in galleria con scopi differenti a seconda delle materie del piano di studi (geologia, geotecnica, chimica etc.), ma rappresenti comunque un momento in cui vengono valorizzati sia il lavoro e le capacità delle persone che hanno creato Galleria Teresa e le miniere che per secoli hanno caratterizzato questo territorio, sia la Natura che ha preso
possesso degli ambienti abbandonati dall’Uomo rendendoli preziosi e fragili contenitori di tesori.
Ringraziamenti Vogliamo dire grazie a tutti i soci del GSMM per la collaborazione alle attività che ci hanno permesso di scrivere questo articolo. Un grazie a Gianni, a Davide e ad Adriano per le foto, per la loro pazienza e disponibilità e per avere accettato di condividere con noi il fango di Galleria Teresa. Infine un grazie gigantesco a Lucia per essere com’è.
BIBLIOGRAFIA AA. VV. Carta Geologica Regionale, sezione 306150, scala 1/10.000. AA. VV. Carta Geologica progetto CARG, sezione 306 II, scala 1/25.000. Burtet Fabris, B., Omenetto, P. (1974). Zonalità a solfuri misti della zona di Massa Marittima, L’Industria Mineraria, gennaio 1974, 15-25. Cuteri F., Mascaro I. (1995). Colline Metallifere. Inventario del patrimonio minerario e mineralogico - Aspetti naturalistici e storico-archeologici – 1 Schede e bibliografia. Regione Toscana Giunta Regionale Dipartimento Ambiente, dicembre 1995, 1-182. M. Negri, C. Lombardi (2013). Le cavità artificiali di Massa Marittima, TALP n. 47, 64-78.
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Foto 20. Concrezioni eccentriche nel ramo di sinistra di galleria Teresa, si noti che in alcuni casi le concrezioni si sono sviluppate parallelamente in maniera gemellare, foto A. Roncioni.
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INCONTRI
di Michela Croci
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Il CNSAS incontra la speleologia toscana
. L’incontro fra speleo e soccorritori durante le prove pratiche in cava, foto di F. Milazzo.
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Tutti argomenti che i vari componenti dei gruppi grotte apprendono già attraverso gli incontri che vengono affrontati durante i corsi di primo livello di speleologia, durante i corsi di armo oppure attraverso l’amicizia che hanno con volontari del CNSAS che fanno parte del proprio gruppo o di gruppi frequentati assiduamente. Ma in questi due giorni l’apprendimento è stato sviscerato più in profondità e c’è stata la possibilità di entrare in “confidenza” con tutte le varie componenti che fanno parte del Soccorso Speleologico. Il sabato si sono affrontati argomenti prettamente teorici, mentre nella giornata di domenica si sono affrontate le prove pratiche di disimpegno di un ferito bloccato su corda, con metodi aggiornati dalla Scuola Nazionale di Soccorso Speleologico. Una cosa è stata da subito percepita da tutti noi, ossia l’importante compito che il CNSAS è chiamato a svolgere: quello di salvare vite
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Nei giorni 7 ed 8 marzo 2015, si è svolto un interessante appuntamento fra gli speleologi toscani ed il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico III Delegazione Toscana. L’ incontro, voluto fortemente dalla Federazione Speleologica Toscana, ha riproposto la bella esperienza vissuta già nel settembre del 2011, sempre in collaborazione con la III Delegazione. Un confronto fra speleologi e soccorritori suddiviso in due giornate, dove si sono affrontate, in maniera più dettagliata e approfondita, le tematiche della prevenzione di incidenti in grotta, delle manovre fondamentali di primo soccorso e autosoccorso in caso di infortunio, della chiamata di emergenza al CNSAS per attivare la catena del soccorso e le successive dinamiche che si mettono in moto a seguito dell’intervento. L’evento, aperto a tutti gli speleologi toscani, si è svolto presso il Rifugio CAI Carrara, Campo Cecina, (MS) e le prove pratiche si sono svolte nella vicina Cava della Formica.
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Durante la giornata dedicata alle prove pratiche di alcune tecniche di primo soccorso su corda, foto di F. Milazzo.
umane. Per poter svolgere questo lavoro con la massima efficienza, nulla deve essere lasciato al caso, ogni più piccolo dettaglio può avere un’importanza fondamentale, vitale. Proprio la consapevolezza di avere un incarico così delicato, che non permette esitazioni e incertezze, ha portato a capire la necessità di una corretta informazione per chi frequenta il mondo ipogeo. Quando si verificano incidenti in grotta, i soccorritori si trovano spesso ad intervenire in situazioni particolarmente atipiche, rispetto a quanto potrebbe avvenire “all’aria aperta”, quindi si mettono in moto seguendo procedure particolari, che per quanto sicure possano essere, spesso mettono a repentaglio la loro stessa vita. Un’altra cosa che ci è sembrata di vitale importanza è che per poter intervenire con successo è necessario che gli uomini del Soccorso si
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conoscano, che maturino affinità di carattere umano, culturale e professionale. Poiché si lavora in gruppo, fondamentale è la preparazione, l’allenamento ad operare in sinergia per poter arrivare a degli automatismi che poi risulteranno essere la carta vincente nella lotta contro il tempo che sempre viene ingaggiata da chi si dedica al salvataggio di vite umane Questi incontri, che sono assolutamente importanti per chi frequenta consapevolmente il mondo ipogeo, permettono il confronto e quindi l’accrescimento della conoscenza per tutti. Il racconto di esperienze per le quali si sono adottate particolari soluzioni, la conoscenza dei materiali diversi utilizzati e delle molteplici possibili tecniche operative, danno l’opportunità di capire quanto importante sia il sapersi muovere all’interno di un ambiente particolare come è quello della grotta. Fondamentale è ricordare che spesso è l’uomo ad essere al centro del soccorso, quando i mezzi non possono arrivare è proprio la preparazione di tutti, la prontezza, l’esperienza e la capacità di ognuno di noi a determinare il buon esito di un’operazione, e in questi casi si tratta di vita o di morte. Per ridurre il numero di incidenti ci sembra di grande importanza che si continuino a promuovere giornate, incontri e stage tecnici, volti a far capire il concetto di prevenzione e di rispetto delle cavità ipogee in tutti i suoi aspetti.
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di Lucia Montomoli e Giuseppe Mancini, foto archivio G. Mancini
Premessa
del cane
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Non era nei miei programmi una “escursione” in grotta come quella fatta a inizio mese. Ma andiamo con ordine. Già su montagne 360° era stato pubblicato un articolo che riguardava le grotte e la disabilità. Quando lo lessi confesso che per un momento
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Quattro uomini in grotta, per tacer
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di Lucia Montomoli, Comitato Federale FST
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Il 9 maggio 2015 la FST propone, per la prima volta in Toscana, un incontro sull’argomento “Speleologia e Disabilità”. Invitati a partecipare per portare le loro esperienze, varie realtà già vissute e professionalità specifiche nel settore della disabilità che hanno partecipato con interventi puntuali e precisi. I relatori sono stati i seguenti: dalla Toscana i gruppi speleologici Unione Speleologica Calenzano, Gruppo Speleologico Maremmano e Gruppo Speleologico Archeologico Livornese, mentre da fuori regione lo Speleoclub Forlì, il Gruppo Speleologico Padovano in collaborazione con l’associazione Equilibero, lo Speleoclub Orobico e lo Speleoclub Le Nottole da Bergamo; per gli interventi tenuti da associazioni non speleologiche, ma che da anni portano avanti progetti di attività orientate verso il mondo della disabilità, erano presenti Aqua Project di Firenze per la subacquea, la sezione CAI di Firenze con il progetto Montagnaterapia, l’Unione Ciechi di Firenze, l’Associazione Spazzavento di Vicopisano (PI); da parte della FST è stata dedicata una sezione inerente l’argomento della responsabilità civile e penale di chi fa l’accompagnatore. Presente anche la ASL 10 di Firenze con Paolo Cerere che ha sottolineato come la speleologia, così come lo è già il progetto di Montagnaterapia, possa a sua volta divenire strumento utile per una riabilitazione terapeutica al servizio di persone con disabilità. Infine una testimonianza diretta è stata fornita da un atleta disabile. Un intervento a sorpresa è stato quello dello speleologo G. Mancini con la sua personale ed occasionale esperienza in Corchia insieme a suo nipote. Il fine ultimo dell’incontro che la FST si era proposta è stato sicuramente raggiunto: raccontarsi varie realtà con livelli di esperienza diversi, che hanno fornito ai presenti gli strumenti
adeguati per approcciarsi a questo tipo di attività con meno timore, imbarazzo e inadeguatezza, tutta e soltanto a carico di chi, in questo mondo, si ritiene abile. Come FST ci siamo resi conto che alcuni gruppi grotte toscani si sono già avvicinati, con i loro modi, tempi e peculiarità, a questa realtà. Dovremmo poterci fare carico di fare rete e di unire le forze fra le varie persone a cui questo modo di fare speleologia sta a cuore e iniziare a tracciare una strada che dia la possibilità di raggiungere un obiettivo più organico e organizzato possibile. Auspicare che, da un piano di puro e semplice slancio di solidarietà, si possa passare ad un progetto che cresca e impari a camminare stabilmente nel tempo. Un primo passo per radunare assieme le forze, e far uscire dall’imbarazzo chi ancora non è riuscito a farlo (così da poterci contare più numerosi di quelli che erano presenti il 9 di maggio), potrebbe essere quello di dare la propria disponibilità per ospitare in Toscana, il prossimo anno, un Week End con Diversamentespeleo, associazione speleologica nazionale nata già da qualche anno e che organizza uscite in grotta con disabili in varie regioni d’Italia. Speriamo inoltre di incontrarci nuovamente fra un anno e scoprire che alcuni propositi che ci siamo dati a seguito di questa giornata si siano potuti realizzare.
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il mio pensiero fu rivolto a mio nipote Davide... Un parto infausto lo ha privato dell’equilibrio relegandolo ad una sedia a rotelle. Tuttavia la sua tenacia nell’affrontare la vita con questo handicap lo ha portato a deambulare, seppur lentamente e limitatamente, con le stampelle. Una grande vittoria sulla vita e sul genere umano. Era venuto a trovarmi per rimanere con noi un po’ di tempo nei primi giorni di Marzo del 2015. Abita e vive a Palermo, ed è una persona solare e straordinariamente simpatica. C’è un buon feeling fra di noi, e ci divertiamo molto, ed ora ho anche abbastanza tempo da dedicargli. Mi ha fatto veramente piacere averlo in casa. E così un bel giorno di quella primavera, esattamente il primo di quell’Aprile, decidiamo di concederci una “gita” in montagna. Compriamo qualche panino per il pranzo e ci avviamo verso le Apuane. Si parla di un po’ di tutto mentre viaggiamo in auto, ma nascondo la mia vera meta: l’Antro del Corchia! Giungiamo davanti l’ingresso turistico e solo in quel momento Davide si rende conto che siamo giunti in un luogo “particolare”. Purtroppo però la speranza di trovare l’ingresso ai turisti
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aperto fa svanire in me il programma che segretamente avevo in mente, mentre guardo il cancello e la casetta dei souvenir serrati. E spiego a Davide qual era il mio intento. Me ne dispiaccio, sopratutto per lui, e tramonta in me anche il mio mai sopito desiderio di fargli “visitare” una grotta. Cosi, senza mai perdere allegria, propongo a Davide di metterci seduti sotto le tende per consumare il frugale pasto, mentre inizio a spiegargli qualcosa della grotta, e della sua storia esplorativa speleologica, ricevendo una frase di consenso, e di ilarità: “zio, io sono già seduto!”. Ci ridiamo su come facciamo per altre battute che recita spesso, come quella del casellante: un suo cavallo di battaglia, che dimostra come la sua condizione non lo abbia sopraffatto. Improvvisamente, fra una battuta e l’altra, la mia tenera cagnolina Curry inizia ad abbaiare rivolta verso il cancello d’ingresso. Non ci siamo fatti mancare nulla e ci siamo portati anche il cane a tenerci compagnia. Davide è un po’ sorpreso, perché non vede nessuno, ma io intuisco che probabilmente ci sono degli speleo che stanno per uscire dal cancello, e che infatti si materializzano poco dopo nelle
Curry, che avevamo portato con noi, non aveva accennato il ben che minimo “bau”. Come dire, per chi conosce Jerome K. e parafrasarne un suo intramontabile libro dall’inconfondibile humour inglese: “quattro uomini in grotta, per tacer del cane”. Fuori, un breve riposo, un goccio di vino e poi calorosi saluti, ma sopratutto altri ringraziamenti da parte nostra per l’indimenticabile esperienza. Franco poi mi esorta a scrivere qualcosa su questa inimmaginabile escursione da pubblicare sulla rivista della FST. Gli rispondo che ci avrei provato, ma che prima sarebbe stato opportuno informare il responsabile della direzione della grotta per conoscere le sue impressioni su questa iniziativa “privata”. Potevamo tornare a casa molto soddisfatti dei pochi minuti speleologici vissuti, seppure molto modesti, ma abbiamo voluto concederci ancora il tempo di continuare la gita recandoci a Fociomboli, complice un cielo straordinariamente terso: sostare qualche minuto a contemplare i panorami circostanti sotto le cime del retro Corchia, poi con la meravigliosa dorsale delle Apuane dal Sumbra verso l’Altissimo in
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vesti di Franco Occhini e Francesco De Sio, rimanendo a mia volta piacevolmente sorpreso di vederli. Li chiamo e subito ci ritroviamo a parlare di argomenti vari, oltre che di grotte, speleologia ed FST. Mi spiegano che erano entrati la mattina per sistemare e controllare le centraline del monitoraggio ambientale. Ad un certo punto balena in me l’irrefrenabile pensiero: chiedergli l’“autorizzazione” di provare a portare Davide fin dove possibile nel mitico Antro del Corchia. Non se lo fanno ripetere due volte e ne siamo entusiasti. Poco dopo le mie mani stringono con forza le manopole della carrozzina con Davide a bordo, e con un’andatura a “carriola” mi avvio all’interno, ovviamente accompagnato da Occhini e De Sio. Sarò passato decine di volte da questo tunnel artificiale, ma questa era un’occasione speciale e sentivo la “magia” aleggiare: quel sogno nel cassetto stava avverandosi per entrambi. Giungere in cima al tunnel, e poi affacciarci verso la discesa della Galleria degli Inglesi, era già una conquista. Mi riposo ma nella mia mente verifico quanto potrei “scendere” verso il mondo magico, immaginandomi a raccontare i luoghi simbolo di questa zona del complesso ipogeo: la Galleria della Neve, le Risalite dei Romani, la Gronda e la meravigliosa Galleria delle Stalattiti, che noi speleo conosciamo da sempre. Decido: mi carico Davide sul cosiddetto groppone e, seguito dai due “assistenti”, scendo un paio di rampe di scale. Poi mi fermo per riposare ma anche per... decidere di non prolungare la visita. Ora sono consapevole che non il è caso di scomodare il soccorso...! Riprendo fiato, mentre Davide si mette in “posa” per le foto di rito. Facciamo anche un breve filmato, aggiungendo delle informazioni speleologiche sulla grotta da parte dei due nostri accompagnatori, mentre Davide continua a ringraziarli. Poco dopo ricarico Davide sulle spalle e mi avvio verso l’uscita. In cima alle scale sono proprio “senza parole”, e per qualche minuto... Poi piano piano guadagniamo anche l’ingresso all’esterno.
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primo piano, e quindi dalla parte opposta, la Versilia e il mare. Quando si parla di tematiche inerenti la disabilità, e sopratutto come in questo caso degli ambienti naturali e le meraviglie che nascondono, laddove essi siano stati aperti alla fruibilità turistica, è inevitabile scontrarci con la “realtà” che comunque purtroppo esiste. Naturalmente è impensabile immaginare, almeno per certi casi, soluzioni alternative realizzabili. Conosco la grotta, e il percorso, con tutti i suoi punti critici. Mi riesce difficile pensare a modifiche strutturali di adattamento senza affrontare l’aspetto economico, che forse oggettivamente, purtroppo, non troverebbe molto consenso. D’altra parte credo che esista una grotta fruibile ai portatori di handicap in carrozzina: si tratta della Grotta del Vento di Frasassi, che tra l’altro è senza dubbio più bella del Corchia, almeno per quanto riguarda l’aspetto naturalistico legato alla meraviglia delle sue concrezioni. In buona sostanza, quella vissuta da me e Davide credo debba essere vista solo come una singolare esperienza che riguarda il mondo della disabilità e il modo di affrontarla, laddove si ravveda il desiderio di conoscere da dentro il
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mondo ipogeo da parte di soggetti con mobilità limitata, nell’ipotesi che si gettino le basi per nuovi programmi mirati. Ci siamo riusciti, seppure con un risultato, l’abbiamo detto, molto modesto? Non lo so, tuttavia se chiedete a Davide cosa ha provato, quasi certamente vi risponderà che ha visto con i propri occhi “un altro mondo”. Credo che non lo dimenticherà , e io ne sono felice. di Giuseppe Mancini
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La memoria delle grotte:
INCONTRI
Viaggio attraverso la paleontologia di Simone Farina, Museo di Storia Naturale Università di Pisa
. La visita alla grotta, foto Archivio Museo di Calci.
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Abbiamo quindi pensato di organizzare, grazie alla disponibilità del direttore del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, Professor Roberto Barbuti, una giornata di lavoro dedicata allo studio e alla tutela dei resti fossili nella regione Toscana per informare i gruppi speleologici e tutti gli interessati circa i comportamenti da tenere durante l’esplorazione di una grotta, e far comprendere come lo studio di un sito o di un reperto raccolto “seguendo le regole” possa essere scientificamente molto più rilevante. La giornata, che ha visto la partecipazione di 80 iscritti, è stata divisa in due parti: la mattina dedicata ai contributi dei relatori provenienti da tutta la Toscana, mentre nel pomeriggio è stata realizzata una visita guidata alla Grotta del Leone di Agnano (T/PI 76, San Giuliano Terme). L’inizio dei lavori è stato preceduto dai saluti di Maria Elena Bianchi Bandinelli, assessore all’ambiente del Comune di San Giuliano Terme e da Annachiara Galotta, assessore alla cultura del comune di Calci. Ad aprire le comunicazioni è stata la Dot-
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Il 26 settembre 2015, presso il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, situato nella magnifica cornice della Certosa di Pisa, vicino al paese di Calci, si è svolto il convegno “La memoria delle grotte: viaggio attraverso la paleontologia - Scoperta e tutela dei resti fossili nella regione Toscana”. L’idea di organizzare questa giornata è nata da Emilio Poggetti, consigliere della Federazione Speleologica Toscana e responsabile della Commissione Scientifica della FST, che mi ha contattato per la determinazione di due resti di mammiferi trovati in una grotta. La conversazione che ne è seguita ha evidenziato come non sempre sia conosciuta la normativa secondo la quale nessun bene mobile o immobile possa essere prelevato senza la concessione che il ministero può concedere a soggetti pubblici o privati. Spesso, invece, la raccolta o lo scavo di reperti ritrovati all’interno di grotte, che vengono in seguito portati ad un paleontologo o un archeologo per la possibile determinazione, vengono visti come gesti svolti nell’interesse della scienza.
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La Certosa di Calci che ospita il Museo di Storia Naturale Università di Pisa, foto Archivio Museo di Calci.
toressa Claudia Rizzitelli, funzionario di zona della Soprintendenza Archeologia della Toscana, con un contributo dal titolo Concessioni di scavo: il caso della Grotta del Leone in cui è stata spiegata la normativa vigente e l’iter da seguire per l’ottenimento di una concessione di scavo. Per quanto riguarda le comunicazioni scientifiche sono intervenuti docenti, ricercatori e tecnici delle Università di Pisa, Firenze e Siena con i seguenti contributi: Luca Ragaini - Università di Pisa “Il Quaternario: l’influenza del clima su ambienti e faune”; Simone Farina - Museo di Storia Naturale Università di Pisa “Le faune del versante SudOccidentale del Monte Pisano”; Renata Grifoni - Università di Pisa “La preistoria del Monte Pisano”; Paul Mazza - Università di Firenze “La Tafonomia dei Vertebrati in Grotta”; Ivan Martini - Università di Siena “La Grotta del Chiostraccio, un complicato intreccio di passato e presente”;
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Luca Maria Foresi - Università di Siena “La Grotta di Cala di Biagio e i suoi cervi nell’isola/non isola di Pianosa”. Nel pomeriggio sono stati realizzati 4 gruppi che, in modo alternato, hanno potuto visitare la grotta del Leone di Agnano. La visita alla grotta è stata curata dalla Professoressa Giovanna Radi e dalla Dott.ssa Lucia Angeli, con la collaborazione di Jacopo Conforti e Marcella Parisi (Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa). Gli altri gruppi, in attesa di accedere alla grotta, hanno invece potuto visitare i settori espositivi del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa dedicati alla storia geologica, paleontologica e alla preistoria del Monte Pisano, guidati dalla Professoressa Renata Grifoni e da Simone Farina. La Grotta del Leone di Agnano, o Buca del Giannini, si è originata per carsismo e la sua morfologia attuale è legata a fenomeni di crollo. E’ stata oggetto di scavi dal 1947 al 1951 sotto la direzione del professor Ezio Tongiorgi e dal 1969 al 1974 sotto la direzione del profes-
sor Radmilli. L’attività di scavo ha permesso il ritrovamento di abbondanti resti di fauna ed industria litica riferibili al Paleolitico superiore (Epigravettiano antico e finale), Neolitico, Età del Rame, Età del Bronzo fino alle frequentazioni della grotta in epoca storica. Le testimonianze indicano una frequentazione a scopo sia abitativo che culturale-funerario. L’origine del nome non è legata a ritrovamenti fossili di leone, bensì alla presenza di una formazione stalagmitica che ricorda la forma di un leone accovacciato. Nell’estate del 2015, il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, con la direzione scientifica delle Professoressa Giovanna Radi, ha ripreso gli scavi; questi, proseguiranno anche negli anni futuri. La visita alla grotta ha permesso di spiegare ai partecipanti gli obiettivi di ricerca, le tecniche di scavo e l’importanza della registrazione della provenienza stratigrafica dei reperti. L’osservazione diretta di un sito attualmente oggetto di scavo, a nostro avviso, ha rappresentato un momento estremamente importante per
far comprendere come la raccolta di un reperto da parte di un non addetto ai lavori in molti casi possa portare alla totale perdita del valore scientifico del reperto stesso. Crediamo fermamente che iniziative come questa, che hanno come obiettivo non solo la diffusione della cultura scientifica ma anche il coinvolgimento e l’educazione della cittadinanza, rappresentino la strada giusta da percorrere per tutelare e valorizzare al massimo l’enorme patrimonio paleontologico e archeologico presente sul territorio.
Un momento del convegno, foto Archivio Museo di Calci.
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Corso di Rilievo con Topodroid di Cristian Leonardi, Gruppo Speleologico Archeologico Versiliese
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Il 24 di gennaio 2015 a Levigliani si è svolto il corso sul programma di rilievo Topodroid sviluppato dallo speleologo di Recco Marco Corvi. Si tratta di un programma molto simile a Pockettopo. Per chi non usa il DistoX forse questi due programmi possono risultare difficili da capire ma per chi invece ne ha uno è possibile che utilizzi già Pockettopo (c’è anche chi lo utilizza con carta e penna). L'idea è nata dal fatto che Topodroid si utilizza su smartphone o Tablet, in pratica su un sistema Android, mentre l'altro programma funziona sui vecchi PDA ormai non più in produzione. Quindi essendo il programma di Corvi poco
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conosciuto era necessario diffonderlo e iniziare ad insegnare come si usa a chi utilizza il DistoX proprio perché la tecnologia ormai sta andando in quel senso. Con questo voglio dire che entrambi i programmi sono validi e non sono gli unici, come Marco Corvi ha fatto notare nella sua lezione, ma è giusto poter scegliere cosa ci torna meglio e cosa risponde meglio alle nostre esigenze. Forse qualcuno si chiederà chi si porta un cellulare in grotta per un rilievo ma la risposta è semplice perché esistono sia smartphone impermeabili che custodie per quelli che non lo sono, d'altronde sono strumenti delicati come anche la bussola tradizionale e bisogna averne cura anche se si è in grotta e poi in fin dei conti i vecchi PDA non sono molto resistenti all'acqua. Topodroid fu presentato al raduno di Negrar ma nacque qualche anno prima. Da allora è sempre stato aggiornato con nuove versioni fino all'attuale 2.4. Non è diffuso solo in Italia ma è apprezzato in tutto il mondo, in particolare in Spagna. La lezione è si è svolta a partire dalle nove del mattino fino alla pausa pranzo per poi proseguire fino a tardo pomeriggio. Sono stati spiegati i primi rudimenti sull'utilizzo, come scaricarlo (Google Play) e una breve introduzione sulla storia del programma. Sono stati presentati altri sistemi simili ed è stato anche spiegato brevemente l'uso del DistoX. Poi si è passati all'uso vero e proprio del programma che va dalle impostazioni iniziali (sempre necessarie per adeguarlo alle nostre esigenze), allo scarico dei dati e alla loro gestione. Si è visto inoltre come disegnare la grotta mentre la poligonale viene elaborata dal programma e poi come si esporta il tutto per poterci lavorare sul PC. Ormai la tecnologia sul rilievo ha raggiunto traguardi notevoli ma in ogni caso l'originalità
personale che ognuno può metterci non mancherà mai. La partecipazione ha visto anche due speleologi di Trieste ed uno della Calabria e ed è stata numerosa. Alla fine eravamo in 24 più il relatore Marco anche se le adesioni erano state molte di più. Come già detto molti erano avvantaggiati dall'uso dell'altro programma ed altri in previsione di comprarsi un DistoX o iniziare ad usarlo come si deve sono partiti da zero. Forse non saranno riusciti a capire tutte le funzioni ma almeno sanno da dove e come partire.
Abbiamo pure avuto i complimenti dal Presidente FST Marco Innocenzi che è passato a trovarci. Presente anche Emilio Poggetti della commissione scientifica FST. Il corso di un giorno e il suo relatore hanno riscosso un ottimo successo con grande soddisfazione di tutti. E' stato un momento didattico ma anche un momento in cui rivedersi e scambiare opinioni.
SITOGRAFIA Google play Topodroid speleoapps: https://sites.google.com/site/speleoapps/home/topodroid
Un momento durante le lezioni del corso, foto Archivio Gruppo Speleologico Archeologico Versiliese.
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Corso di introduzione pratica al rilievo 3D per la speleologia Alberese (GR) 2-4 ottobre 2015
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di Simona Barbasso Gattuso, Gruppo Speleologico Maremmano CAI
Si è svolto il 2-3 e 4 ottobre 2015 ad Alberese, presso il Centro visite del Parco Regionale della Maremma, il “Corso di introduzione pratica al rilievo 3D per la speleologia” Corso SSI di 2° livello con validità per il mantenimento della carica di Istruttori Tecnici, organizzato dal Gruppo Speleologico Maremmano CAI con il contributo della Federazione Speleologica Toscana, promosso dal Comitato Esecutivo Regionale Toscano. Al Corso, proposto a seguito della presentazione del progetto di rilievo 3D con il metodo fotogrammetrico al “XXII Congresso Nazionale di Speleologia a Pertosa e Auletta (SA)” dove ha riscosso ampi consensi e richieste di divulgazione del metodo, hanno partecipato con interesse 20 speleologi provenienti da tutta Italia. Le lezioni, teoriche e pratiche, sono state tenute da speleologi appartenenti al Gruppo Speleologico Maremmano autori e sviluppatori del progetto suddetto. Il corso si è aperto il venerdì pomeriggio con i saluti del Presidente del Parco Regionale della Maremma Dott.ssa Lucia Venturi e del Presidente del CAI sezione di Grosseto, Giancarlo Gentili, che hanno mostrato particolare apprezzamento per il progetto presentato ed in special modo per gli impieghi che il rilievo 3D può trovare nello studio, valorizzazione e divulgazione della conoscenza del patrimonio ipogeo. Dopo i saluti, il corso è proseguito come da programma con la presentazione delle finalità e dei vantaggi dell’utilizzo del metodo fotogrammetrico nel rilievo in grotta. Visto
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che alcuni partecipanti avevano già sviluppato esperienze simili in materia, il pomeriggio è stato dedicato al confronto e all’analisi delle possibilità di sviluppo delle stesse. La mattina del secondo giorno è stata dedicata alla teoria sull’utilizzo degli strumenti di rilievo, sulle caratteristiche tecniche, hardware e software nonché all’installazione dei programmi nei PC necessaria per poter svolgere l’esercitazione pratica del pomeriggio. Questa si è tenuta presso una cavità artificiale (ex riservetta delle munizioni situata sotto la Fattoria Granducale dell’Alberese) nei pressi del centro visite, dove i partecipanti hanno potuto mettere in pratica il metodo illustrato per l’acquisizione delle foto ai fini dell’elaborazione del modello 3D. Dopo il coffee break, si è dato inizio all’immissione su PC e all’elaborazione dei dati raccolti, operazione questa che ha richiesto anche l’impegno serale dei partecipanti. Il corso si è poi concluso la domenica mattina con la visualizzazione dei risultati del processamento dati e con l’esposizione di nozioni tecnico-pratiche sulla gestione del modello 3D su PC e piattaforme Web, consegna degli attestati di partecipazione e saluti. Aspetto molto interessante delle tre giornate è stato il taglio prevalentemente pratico, che ha consentito ai partecipanti di non essere semplicemente allievi ma principalmente attori del corso e di contribuire allo sviluppo del metodo fotogrammetrico a servizio di tutti. In quest’ottica, si è creato un gruppo di lavoro attivo anche al di fuori del corso, i cui partecipanti hanno mantenuto i contatti tra loro
e con il Gruppo Speleologico Maremmano, al fine di un continuo scambio di informazioni e dell’implementazione del progetto. Si ringraziano il Parco regionale della Maremma per l’ospitalità e la disponibilità, la Federazione Speleologica Toscana per il patrocinio ed il contributo, la Sezione CAI di Grosseto ed il suo presidente, gli istruttori, i docenti, gli allievi e tutti coloro del GSMaremmano che hanno contribuito anche
indirettamente alla realizzazione del progetto e del corso. Un ringraziamento anche all’Azienda Regionale “Tenuta di Alberese” per gli alloggi messi a disposizione.
Durante le lezioni teoriche, tenute all’interno della sede del Parco Regionale della Maremma,foto di F. Milazzo.
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Corso di GPS e speleologia Massa Marittima (GR) 7-8 novembre 2015
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di Pietro Bartolini, Gruppo Speleologico Maremmano CAI
Il 7-8- novembre 2015 si è svolto a Massa Marittima il corso “GPS e Speleologia” dell'Organo Tecnico Territoriale Operativo (OTTO) della Scuola Nazionale di Speleologia (SNS) del CAI organizzato dal Gruppo Speleologico Maremmano CAI e valido per l'aggiornamento per gli Istruttori Sezionali di Speleologia e di Torrentismo della SNS CAI ed ha visto una quindicina di partecipanti. Il corso è iniziato come da programma con la prima giornata in aula dedicata a delle lezioni teoriche, mirate alla conoscenza dei dati di base della cartografia e del funzionamento del GPS, e teorico pratiche, basate sull'utilizzo del GPS ed i software per l'interfaccia con il PC. Il secondo giorno è proseguito con l'uscita pratica in esterno. Le lezioni sono state tenute da docenti che nella loro professione fanno normale utilizzo di GPS e software vari connessi per l'utilizzo e l'elaborazione dei dati su computer e da tecnici del
CNSAS della Stazione Amiata che hanno mostrato alcuni degli utilizzi pratici del GPS, come ad esempio l'impiego nella ricerca di dispersi. L'escursione del secondo giorno è stata fatta a pochi chilometri da Massa Marittima in località Pianizzoli-Perolla, dove si trova una delle più caratteristiche aree carsiche della Maremma e d'Italia, ricca di doline di vario tipo, canyon, inghiottitoi, valli cieche, risorgenze carsiche e numerose grotte. Agli allievi, divisi per squadre, è stato affidato il compito di ricercare gli ingressi di alcune cavità i cui punti erano stati presi dal catasto della Federazione Speleologica Toscana e caricati sui GPS il giorno precedente, riposizionare l'ingresso su carta delle cavità il cui punto era poco pre-
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Le due foto ritraggono la campagna sul campo della ricerca con GPS, foto di F. Milazzo.
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escursione di speleologia urbana nella condotta delle antiche Fonti dell'Abbondanza nel centro della città. Si ringraziano l'Associazione dei Comuni delle Colline Metallifere per aver donato ad ogni allievo alcune pubblicazioni inerenti la storia dei paesi e delle terre della zona assieme ad una cartina dei sentieri, il GSMM per aver organizzato l'interessante escursione alle Fonti dell'Abbondanza, la Federazione Speleologica Toscana per il patrocinio ed il contributo, l'OTTO Toscano ed il suo presidente per il contributo e l'organizzazione, la Stazione Amiata del CNSAS, la Sezione CAI di Grosseto ed il suo presidente, gli istruttori, i docenti, gli allievi e tutti coloro del GSM che hanno dato una mano anche indirettamente per la realizzazione di tale corso. Un ringraziamento anche all'Ostello Sant'Anna che ci ha ospitato per la logistica del corso.
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ciso, tracciare i percorsi fatti. Le grotte cercate sono state, in ordine crescente di difficoltà di ricerca causa l'ordine crescente di “infittimento” della macchia mediterranea: Buca del Frate di Perolla, Caverna di Pinizzoli, Buca di Pianizzoli n. 1 e Buca di Pianizzoli n. 2, Grotta Prato. L'escursione si è conclusa con la visita al corso d'acqua che esce dalla sorgente carsica della Grotta Prato 2. Gli allievi sono stato accompagnati da due Guide Escursionistiche Ambientali appartenenti al GSMaremmano e da alcuni tecnici del CNSAS Stazione Amiata. Nel pomeriggio, in aula, gli allievi hanno dovuto restituire ed elaborare su calcolatore quanto tracciato e segnato la mattina in campagna. Inoltre, una volta terminate le lezioni del sabato, grazie alla collaborazione del Gruppo Speleologico Massa Marittima, è stato possibile offrire agli allievi un'estemporanea ed interessante
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Premio di laurea “Rodolfo Giannotti” I edizione
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di Siria Panichi Il 19 Dicembre 2015, presso l’Auditorium del Museo di Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno, si è svolta la cerimonia di assegnazione del Premio di Laurea “Rodolfo Giannotti”, bandito dalla Federazione Speleologica Toscana per “incentivare la ricerca scientifica collegata al mondo ipogeo, contribuire alla protezione, valorizzazione e tutela del paesaggio carsico di superficie e delle grotte, favorire gli studi di prospezione idrogeologica e protezione delle risorse idriche del sottosuolo ipogeo (con particolare attenzione all’approvvigionamento idrico degli abitati) e sostenere gli studi sul patrimonio paleontologico, paletnologico e storico o inerenti il folklore”. Considerata la multidisciplinarietà che caratterizza gli studi legati al mondo ipogeo il bando non ha posto limiti rispetto a disciplina, tipologia e luogo di laurea, purché i temi affrontati nella tesi fossero legati alla Regione Toscana e venisse dimostrata innovazione ed eccellenza nel percorso di studi compiuto. L’esperimento, fortemente voluto dalla vicepresidente della FST, Lucia Montomoli, non è un unicum in Italia, poiché per alcuni anni accademici anche presso l’Università degli Studi di Trieste è stato istituito un Premio di Laurea intestato alla memoria di Carlo Finocchiaro, noto speleologo e studioso del mondo ipogeo, per una tesi che vertesse su temi attinenti aspetti fisici, naturalistici, geografici o storici delle aree carsiche. La commissione di valutazione, composta dall’Arch. Michela Croci (Segretaria della Commissione), il Dott. Luca Deravignone (Responsabile della Commissione editoriale della FST), l’Ing. Marco Innocenzi (Presidente della Commissione), la Dott.ssa Siria Panichi e Adriano Roncioni, ha valutato, e poi considerato idonei alla riscossione del premio, tre elaborati di tesi magistrale (sui cinque totali pervenuti), gli
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unici, tra l’altro, che rispondevano ai parametri richiesti dal bando. Sono quindi stati assegnati tre dei sei premi previsti dal bando (3 per le lauree magistrali e 3 per le lauree triennali), ma probabilmente l’aspettativa di reperire tesi legate ad un luogo poco visibile come il mondo ipogeo è stata forse troppo elevata. I temi trattati nei tre elaborati pervenuti abbracciano comunque aspetti molto diversi, dandoci quindi una panoramica del tipo di analisi su cavità naturali o artificiali che vengono condotte nelle università italiane. Sono stati quindi proclamati vincitori del Premio di Laurea: · la Dott.ssa Gaia Fralassi (Laurea in Scienze e Tecnologie Geologiche - Università di Siena) · il Dott. Guido Montanari Canini (Laurea in Quaternario, Preistoria e Archeologia – Università di Ferrara) · il Dott. Luca Palazzolo (Laurea in Fisica – Università di Milano) I premi sono stati consegnati da Franco Utili, decano della speleologia toscana e amico di Rodolfo Giannotti, che è stato uno dei pionieri della speleologia toscana, ricordato durante la cerimonia dalle nipoti. L’unica laurea proveniente da un’università toscana è stata quella di Gaia Fralassi (relatore Prof. Marco Giamello) dal titolo “Caratterizzazione delle formazioni superficiali e monitoraggio di un ambiente ipogeo: il Bottino di Fonte Gaia, Siena”. Il sistema di ipogei artificiali conosciuto come “I bottini di Siena” è probabilmente molto più famoso che studiato, almeno dal punto di vista scientifico. Lo studio effettuato è descritto in questo abstract redatto dall’autrice: “I Bottini di Siena sono un complesso sistema di cunicoli sotterranei, scavati nell’Arenaria Pliocenica per una lunghezza di 25 km, quasi tutti percorribili, realizzati nel Medioevo
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spesso prese in considerazione solo come contenitore privilegiato di materiali. In questo caso, la tesi dal titolo: “Grotta dei Santi, Monte Argentario (GR): i piccoli mammiferi dei livelli musteriani” (relatore: Prof.ssa Ursula Thun Hohenstein e correlatore Dr. Claudio Berto), analizza alcuni reperti ossei rinvenuti in questa spettacolare cavità maremmana, come descritto nell’abstract a cura dell’autore: “Grotta dei Santi è localizzata sul versante Sud-Est del Monte Argentario (Comune di Monte Argentario, Grosseto); al momento l’entrata si apre direttamente sul mar Tirreno. Dal 2008 è stata condotta una campagna di scavo dall’Università di Siena in collaborazione con la soprintendenza per i beni archeologici della Toscana. La cavità contiene un’importante sequenza stratigrafica parzialmente erosa dall’entrata del mare durante l’Olocene. La sequenza è composta dall’alto verso il basso da: un deposito olocenico poggiante su una crosta stalagmitica che sigilla i livelli pleistocenici inferiori, composti da numerosi strati di sabbie sterili intervallati da livelli di occupazione musteriana. 653 resti di micro mammiferi sono stati identificati, e corrispondono a 254 individui suddivisi in 16 taxa: 8 roditori, Eliomys quercinus, Apodemus sp., Apodemus cf. flavicollis, Apodemus sylvaticus, Arvicola amphibius, Microtus arvalis, Microtus agrestis e l’attestazione più settentrionale durante il Pleistocene superiore di Microtus (Terricola) savii; 5 chirotteri, Rhinolophus gr. euryale/ mehelyi, Rhinolophus ferrumequinum, Nyctalus noctula, Myotis sp e Miniopterus schreibersii; 3 insettivori, Erinaceus europaeus, Sorex ex gr. araneus e Talpa europaea. Il cambio nelle percentuali fra Apodemus gr. sylvaticusflavicollis e Microtus arvalis (indicatori di habitat differenti) nella sequenza testimonia un cambio nell’ambiente nei dintorni della cavità da copertura boschiva ad ambienti più aperti caratterizzati da macchie boschive. Fra i chirotteri la dominanza, nello strato 110, di Nyctalus noctula che usualmente vive nelle cavità degli alberi è stata interpretata come la presenza nella grotta di una colonia di questa
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per portare l’acqua a Siena. Lo scopo della presente tesi è stato quello di caratterizzare dal punto di vista mineralogico-petrografico gli elementi che costituiscono l’arenaria, le targhe (supporti che riportano le informazioni degli utenti che sfruttavano l’acqua dei Bottini) e le alterazioni presenti lungo il tratto indagato. Tale caratterizzazione ha portato ad eseguire ulteriori approfondimenti, tra cui il monitoraggio delle condizioni microclimatiche di questo ambiente ipogeo. Oltre a ciò, questo lavoro si propone di gettare le basi di ulteriori studi e progetti, da potersi sviluppare in futuro. La tesi inizia con dei cenni sulla storia dei Bottini, passando brevemente ad un inquadramento geologico dell’area di Siena e ad una panoramica di quelle che sono le problematiche riscontrate in questo ambiente. La presenza di queste problematiche ha condotto al monitoraggio delle condizioni microclimatiche, con lo scopo di capire se le variazioni dovute agli scambi termo-igrometrici con l’aria esterna, possano essere causa determinante di queste alterazioni (monitoraggio eseguito da Luglio 2014 a Giugno 2015 con l’istallazione di appositi strumenti termo-igrometrici). Si è, poi, proceduto con la caratterizzazione delle formazioni superficiali e delle tipologie di alterazione qui sviluppatesi (analisi integrate da indagini eseguite con XRF portatile). Tra i progetti trattati in modo preliminare nel presente lavoro, una parte è dedicata all’analisi chimica delle acque (sui campioni prelevati sono stati misurati i parametri chimico-fisici caratterizzanti, direttamente in situ) e una parte al monitoraggio delle concentrazioni di gas radon, eventualmente presente nei Bottini. Sono state condotte anche indagini di tipo biologico per classificare gli organismi incontrati nel tratto studiato.” La tesi di Guido Montanari Canini è invece un esempio tipico degli argomenti trattati nella maggior parte delle tesi di laurea collegate al mondo ipogeo. Si tratta delle tesi in archeologia o in paleontologia, discipline per cui le cavità naturali spesso rappresentano uno scrigno indisturbato dal passare del tempo, ma purtroppo vengono
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specie. Sebbene non vi siano ancora datazioni radiometriche, l’industria litica unita alle caratteristiche della macro e microfauna ci permettono di correlare la sequenza di Grotta dei Santi al MIS 3 ed in particolare ad un passaggio fra stadiale ed interstadiale.” L’ultima tesi premiata è quella dello speleologo Luca Palazzolo, dal titolo: “Analisi geofisica integrata per la caratterizzazione della micrometeorologia ipogea” (relatore Prof. Maurizio Maugeri e correlatore Prof. Giovanni Badino). Riportiamo l’abstract inviatoci dall’autore per dare un’idea dello studio effettuato: “I carsi ipogei sono sistemi all’equilibrio secolare con l’ambiente esterno e risultano essere degli indispensabili laboratori naturali per lo studio di differenti aspetti naturalistici e scientifici. L’elaborato di Tesi Magistrale qui riassunto presenta un’analisi innovativa dell’aerologia ipogea, utilizzando dati derivanti da misure meteorologiche standard ed anemometriche di precisione in tre differenti complessi carsici italiani: Corchia (Toscana), Kronio (Sicilia) e Su Bentu (Sardegna). In particolare, l’utilizzo di anemometri ultrasonici ha permesso di misurare la velocità delle correnti d’aria con una risoluzione di 5 s anche in più ingressi di uno stesso complesso simultaneamente. I dati sono stati elaborati sviluppando alcuni algoritmi per la caratterizzazione statistica, l’analisi a cluster e la caratterizzazione dipendente dal modello teorico, il quale prevede due principali regimi di circolazione delle masse d’aria: barometrico o convettivo. L’analisi integrata ha permesso di caratterizzare le differenti tipologie di circolazione determinandone alcune proprietà fondamentali ed evidenziando inoltre i comportamenti sincroni delle masse d’aria negli ingressi di uno stesso complesso (Corchia e Kronio). Tra i principali risultati ottenuti, sono stati identificati in Corchia gli effetti barometrici, che risultano essere prevalenti sotto determinate condizioni meteorologiche esterne; in Kronio è stato possibile validare l’ipotesi di un collegamento tra i due ingressi considerati (Antro di Dedalo e Cucchiara); in Su Bentu si è invece osservato l’effetto di un collegamento non ancora esplorato con la parte alta del Supramonte in base alla classifi-
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cazione convettiva del moto delle masse d’aria. L’innovativa metodologia di ricerca utilizzata, unitamente agli algoritmi sviluppati, è quindi in grado di caratterizzare l’aerologia di un complesso ipogeo, con la possibilità di prevederne sviluppi, volumi dei vuoti ed eventuali ingressi non ancora collegati.” L’approccio di questa ultima tesi si distingue rispetto alle altre due, forse per l’allenamento a vedere il sottosuolo con un occhio diverso da chi ne ha poca pratica. Probabilmente l’associazionismo speleologico deve fare ancora molti sforzi, in alcuni casi ancora più grandi di quelli fatti dalla Federazione Speleologica Toscana nel bandire un premio come questo, per cercare di far conoscere il mondo ipogeo come realtà integrante di studio e non come scatola chiusa da cui portare fuori ciò che allo studioso interessa nel proprio ambito di ricerca. Così come allo speleologo si può chiedere di uscire dal proprio circolo per diffondere le proprie ricerche e attività di documentazione, ci si augura da parte del mondo accademico una maggiore apertura verso competenze non strutturate, in questi settore molto più radicate nel non professionismo, ma spesso uniche nella loro peculiarità. Siria Panichi
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Vieri Mascioli (1944-2016) di Associazione Speleologica Senese Se n’è andato in punta di piedi, discreto e silenzioso, in perfetta sintonia con la sua indole dimessa e taciturna sotto la quale si celava la sua preziosa e insostituibile dedizione alle attività del gruppo. Negli anni ‘60 dello scorso secolo, quando le sofisticate tecniche speleo erano di là da venire, era fondamentale la sua certosina abnegazione: toccava quasi sempre a lui trascorrere ore intere incastrato in una nicchia o ancorato a una cengia ad attendere la nostra risalita dai pozzi manovrando con perizia e pazienza il ruvido canapo di sicurezza che si aggrovigliava come un serpente o si trasformava in una rigida pertica ingestibile quando era fangoso e bagnato. Il suo solido appoggio e le sue robuste trazioni erano ben gradite quando si risaliva su quelle scale autocostruite con cavi rigidi e scalini di acciaio con i bordi di fissaggio schiacciati e taglienti, che mettevano a rischio non solo le tute ma anche le parti ... “nobili”. Di quei marchingegni pesanti e ingombranti che lui chiamava scherzosamente “animali”, se ne occupava di persona per il recupero, la manutenzione e il trasporto. Ma la sua partecipazione alla vita di gruppo era ancor più preziosa e determinante per la sopravvivenza multi decennale dell’associazione: curava i rapporti con gli altri gruppi, con le autorità, con gli studiosi e con il catasto. Provvedeva alla sistemazione periodica della sede. Nel 1967-68 prese parte alla riunione fondativa della FST promossa e voluta dal maestro Rodolfo Giannotti; ne fu uno dei primi sindaci revisori ed è stato sempre il referente ufficiale nei rapporti tra l’associazione e la federazione stessa, mettendo a disposizione il proprio recapito civico. Sarà sempre vivo e presente nei nostri ricordi e nella nostra azione speleologica, avremo nostalgia della sua proverbiale pazienza, della sua sottile ironia e della sua inimitabile precisione. Ciao Vieri. Gli amici della ASS
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TALP N 51, Dicembre 2015 Rivista della Federazione Speleologica Toscana Pubblicazione semestrale Spedizione in A.P. Art.2 Comma 20/c Legge 662/96 Filiale di Lucca 55100 Aut.Trib. Lucca N.499 del 31/05/1989 Direttore Responsabile PAOLO MANDOLI Redazione ELEONORA BETTINI LUCA DERAVIGNONE ELENA GIANNINI LUCIA MONTOMOLI SIRIA PANICHI ADRIANO RONCIONI
Coordinamento Grafico a cura della Redazione a questo numero ha collaborato L. Piccini. Stampa NUOVASTAMPA - Ponsacco PI Di questo numero sono state stampate 900 copie. Il contenuto degli articoli impegna solamente gli autori. La riproduzione anche parziale di articoli, notizie e disegni è consentita citandone la fonte. In copertina: Maschio di tritone alpestre apuano (Ichtyosaura aplestris apuanus) Foto di: F. Bacci
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FIGURE E FOTO È spesso capitato di dover lavorare con foto a risoluzione troppo bassa; questo ha comportato in alcuni casi il riadattamento, ed in altri l’inevitabile eliminazione. Mandare foto inadeguate comporta un aspetto peggiore per la pubblicazione e, di conseguenza, un aspetto peggiore dell’articolo che vorreste condividere con gli altri. Seguendo alcune piccole regole questo può essere facilmente evitato. Quando una foto viene pubblicata a centro pagina le sue dimensioni sono circa 14 cm x 10 cm, che a 300 DPI (la qualità minima di stampa richiesta) fa 1654 x 1181 pixel. Questo significa che se volete essere sicuri della qualità, queste sono le misure minime a cui attenersi. Se la foto è un pò più piccola non è un problema, ma diminuendo la dimensione scende anche la qualità e quindi saremo costretti a ridurre la misura dell’immagine pubblicata o, nel caso sia veramente piccola, a non pubblicarla affatto. Le foto vanno mandate in formato TIFF oppure JPG, preferibilmente a bassa compressione; niente GIF, PNG o altri formati, né tanto meno come parte di documenti PDF e peggio ancora WORD. Se volete che le foto vengano inserite esattamente dove le avete predisposte voi nell’articolo e con il relativo commento, sarebbe opportuno allegare uno schema di come le vorreste o magari l’articolo montato in PDF o WORD, in modo che in fase di creazione del numero venga rispettata la disposizione originariamente pensata per l’articolo. TESTI I testi vanno consegnati come documento di testo: Rich Text Format (.rtf), OpenOffice o Word (.doc), senza particolari marginature o impaginazioni di sorta, senza foto ed immagini inserite. Sono invece necessari: • titolo-eventuale sottotitolo-nome e cognome dell’autore del testo, eventuale autore delle foto, se è unico per tutte le foto-Gruppo/ente/associazione di appartenenza. Facoltativa, ma gradita, eventuale bibliografia. Il testo può essere diviso in capitoli. ALCUNE NORME E REGOLE DI SCRITTURA: • unità di misura: sono simboli, non sono abbreviazioni, quindi non necessitano del punto. Sono definite da norme internazionali e quindi non ce le possiamo inventare: metro si scrive m e non mt o peggio mt.; • la punteggiatura è sempre seguita da uno (uno solo, ma almeno uno) spazio, mai preceduta da uno spazio; • gli spazi fra le parole sono necessari ma sono sempre uno solo. Non possono essere usati per aggiustare la lunghezza della frase; • le iniziali maiuscole accentate (ma anche le minuscole) si fanno con l’apposito carattere, mai con la lettera normale e l’apostrofo! Se uno non le sa inserire faccia fare al correttore automatico, basta inserire la corrispondente minuscola dopo il punto e come per incanto il programma la inserisce al vostro posto! (esempio: E’, e’ errato, È, è corretto); • “Perché è bello” si scrive con gli accenti diversi, aperto e chiuso; • la punteggiatura esclamativa o interrogativa va inserita una volta sola, anche se siete emozionati, per cui mai !!!! né ??? o !?!?; • i puntini di sospensione sono tre per regola, evitate di metterne di più, non significano niente. RILIEVI E CARTE I Rilievi e la cartografia devono essere inviati nei formati JPG o TIFF nelle dimensioni reali di stampa, quindi con disegno e caratteri leggibili adatti ai vari formati: - rilievo/cartografia a doppia pagina: misure cm 30 x 19; - rilievo/cartografia a una pagina: misure cm 14 x 19; - rilievo/cartografia a mezza pagina: misure cm 14 x 12; - rilievo/cartografia a ¼ di pagina: misure cm 7 x 9. Nel rilievo deve essere riportato: il dislivello dall’ingresso al fondo, numero di catasto, sigla della provincia e nome della grotta, data, autori dei rilievi, gruppo/i speleologici. In una tabella a parte possono essere inseriti gli altri dati: comune, località, area carsica, quota d’ingresso, coordinate chilometriche Gauss Est – Nord, dati metrici di sviluppo della grotta, ecc. Sia i rilievi che le cartine (geografiche, geologiche, ecc...) devono avere riportata la scala grafica.
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