TALP 53

Page 1

SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE ART2 COMMA 20 LEGGE 662/96 AUT. TRIB. LUCCA DEL 31/05/89

53


TALP N 53, Dicembre 2016 Rivista della Federazione Speleologica Toscana Pubblicazione semestrale Spedizione in A.P. Art.2 Comma 20/c Legge 662/96 Filiale di Lucca 55100 Aut.Trib. Lucca N.499 del 31/05/1989 Direttore Responsabile PAOLO MANDOLI Redazione ELEONORA BETTINI LUCA DERAVIGNONE ELENA GIANNINI LUCIA MONTOMOLI SIRIA PANICHI ADRIANO RONCIONI

Coordinamento Grafico a cura della Redazione a questo numero ha collaborato L. Piccini. Stampa NUOVASTAMPA - Ponsacco PI Di questo numero sono state stampate 900 copie. Il contenuto degli articoli impegna solamente gli autori. La riproduzione anche parziale di articoli, notizie e disegni è consentita citandone la fonte. In copertina: Ingresso della Buca dell’Acquafredda (275 T/MS) Foto di: Simone Lenci

ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA SENESE c/o Franco Rossi, Via di Nottola, 19 Fraz. Stazione - 53045 Montepulciano (SI) ass@speleotoscana.it COMMISSIONE SPELEOLOGICA I CAVERNICOLI c/o C.A.I. di Siena Piazza Calabria 25/A - 53100 SIENA cavernicoli@gmail.com GRUPPO SPELEOLOGICO ALPINISTICO VALFREDDANA Via Provinciale - Loc. Mattino 55060 San Martino in Freddana (LU) gsavalfreddana@speleotoscana.it GRUPPO SPELEOLOGICO ARCHEOLOGICO APUANO Via della Posta 8 - 54100 Canevara (MS) www.gsaa.altervista.org gsaa@speleotoscana.it GRUPPO SPELEOLOGICO ARCHEOLOGICO LIVORNESE via Roma 234 - 57127 LIVORNO www.speleolivorno.it gsalivornese@yahoo.it GRUPPO SPELEOLOGICO ARCHEOLOGICO VERSILIESE C.P. 96 - 55045 Pietrasante (LU) www.gsav.org info@gsav.org GRUPPO SPELEOLOGICO CAI FORTE DEI MARMI Via Michelangelo, 47 p.1 - 55042 Forte dei Marmi (LU) gruppo_speleologico@caifortedeimarmi.it

Presidente Comitato Federale MARCO INNOCENZI Consiglieri Comitato Federale SANDRA BASILISCHI MICHELA CROCI DAVID FUCILE LUCIA MONTOMOLI EMILIO POGGETTI FABRIZIO SERENA

GRUPPO SPELEOLOGICO MONTAGNA PISTOIESE Via Villaggio Orlando, 100 51028 Campo Tizzoro (PT) www.caimaresca.it gsmp_cai@yahoo.it GRUPPO SPELEOLOGICO PISTOIESE CAI Via Antonini, 7 - C.P. 1 - 51100 PISTOIA www.gruppospeleologicopistoiese.it gspistoiese@speleotoscana.it SEZIONE CAI VALDARNO INFERIORE Piazza Vittorio Veneto, 4 50054 Fucecchio (FI) speolo@speleotoscana.it gruppocss@speolo.it SEZIONE SPELEOSUBACQUEA TOSCANA c/o Carletti Carlo Via V. Bellini, 40 - 50144 FIRENZE sst@speleotoscana.it SOCIETÀ NATURALISTICA SPELEOLOGICA MAREMMANA c/o Cavanna Carlo Via Petrarca, 17 - 58100 Marina di Grosseto (GR) speleo@gol.grosseto.it SPELEO CLUB FIRENZE c/o Utili Franco C. P. 101 - 50039 Vicchio (FI) speleoclubfirenze@speleotoscana.it

GRUPPO SPELEOLOGICO CAI PISA Via Fiorentina, 167 - 56121 PISA www.speleopisa.it info@speleopisa.it

SPELEO CLUB GARFAGNANA CAI Via Vittorio Emanuele 55032 Castelnuovo Garfagnana (LU) www.speleogarfagnana.blogspot.com speleo.garfagnana@alice.it

GRUPPO SPELEOLOGICO FIORENTINO CAI Vialetto Gomez SNC - 50136 FIRENZE www.gsfcai.it info@gsfcai.it

UNIONE SPELEOLOGICA CALENZANO Via Buonarroti 12/a - 50041 Calenzano (FI) www.speleocalenzano.it unionespeleocalenzano@yahoo.it

GRUPPO SPELEOLOGICO L’ORSO: Via G. Marconi, 75 - 58034 Castell’Azzara (GR) gsorso@speleotoscana.it

UNIONE SPELEOLOGICA PRATESE Via dell’Altopascio, 8 - 50047 PRATO www.spelelogiapratese.it info@speleologiapratese.it

Commissione Catasto FABRIZIO FALLANI Via di Soffiano 166 - 50143 Firenze Tel. 0557398836 catasto@speleotoscana.it

GRUPPO SPELEOLOGICO LUCCHESE CAI Cortile Carrara, 18 - 55100 LUCCA info@gslucchese.it news@gslucchese.it

Commissione Catasto Cavità Artificiali ODOARDO PAPALINI Via Marconi, 75 - 58034 Castell’Azzara (GR) catastoartificiali@speleotoscana.it

Gruppo Speleologico Maremmano cai Via Papa Giovanni XXIII, interno 13b - 58100 GROSSETO gsm.altervista.org gsmaremmanocai@gmail.com

Commissione Editoriale LUCA DERAVIGNONE Via Scansanese Ponte, 618 - 58100 (GR) redazione@speleotoscana.it

GRUPPO SPELEOLOGICO MASSA MARITTIMA Via Norma Parenti, 80 - 58024 Massa Marittima (GR) www.gsmmspeleo.it info@gsmmspeleo.it

Commissione Scientifica EMILIO POGGETTI scientifica@speleotoscana.it Commissione Ambiente

F E D E R A Z I O N E

ambiente@speleotoscana.it

Via Roma 230, c/o Museo di Storia naturale del Mediterraneo - 57127 Livorno

Commissione Informatica Marco Menchise informatica@speleotoscana.it

www.speleotoscana.it info@speleotoscana.it federazione.speleologica.toscana@pec.it facebook.com/talponline facebook FST: goo.gl/nEdgA0

Indirizzi Federali: Presidente e Rap. FST nel CNSS-SSI Marco Innocenzi presidente@speleotoscana.it cnss@speleotoscana.it Tesoriere Sandra Basilischi tesoriere@speleotoscana.it Segretario Michela Croci segretario@speleotoscana.it

S P E L E O L O G I C A

T O S C A N A

Liste di lavoro: lista-editoriale@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una mail a : lista-editoriale-subscribe@speleotoscana.org lista-scientifica@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: lista-scientifica-subscribe@speleotoscana.org lista-ambiente@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: lista-ambiente-subscribe@speleotoscana.org lista-informatica@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: lista-informatica-subscribe@speleotoscana.org Lista Speleo Toscana: speleotoscana@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: speleotoscana-subscribe@speleotoscana.org Newsletter di informazione sulla FST: fst@speleotoscana.it - per iscriversi istruzioni sul sito www.speleotoscana.it


SOMMARIO dicembre 2

NOTIZIE

3

EDITORIALE

ESPLORAZIONI

4

Raccolta fondi pro terremoto centro Italia

CF della FST

GATE 17

di V. Mantovanelli (GSPT)

di D. Magnani (GSAA), S. Rastelli (GSPT), R. Alberti (GSAA), S. Lenci (GSL)

di G. Fralassi

18 La Grotta Maona

di E. Poggetti (GSM)

TALPIMMAGINI 36 POZZI E MEANDRI

di G. Montanari Canini

74 Analisi geofisica integrata per la caratterizzazione della micrometeorologia ipogea di L. Palazzolo, A. Crespi, M. Maugeri, G. Badino

di S. Panichi, L. Lucchesi, L. Piccini

28 Un mistero svelato per caso: piccola esplorazione nei Monti di Campiglia Marittima

PREMIO GIANNOTTI

64 Grotta dei Santi, Monte Argentario (GR): i piccoli mammiferi dei livelli musteriani

Un nuovo (?) piccolo complesso: la Buca dell’Acquafredda e la Buca della Frana

41 Caratterizzazione delle formazioni superficiali e monitoraggio di un ambiente ipogeo: il Bottino di Fonte Gaia, Siena

9

2016

FST INFORMA

di E. Bettini, G. Ledda

91 DiversamenteSpeleo Toscana 2016. Una volta sognato un sogno non può finire nel nulla... 95 Un progetto silenzioso, altri modi di fare speleologia

di L. Montomoli (CF)

100 ToscoBAT premiato dalla SSI

di P. Agnelli

53


NOTIZIE T A L P

Raccolta fondi pro terremoto centro Italia Il CF della FST, ascoltando e raccogliendo la proposta di alcuni speleo, anche se ben cosciente che questa attività non appartiene per statuto alla FST, ha deciso di non stare a guardare, ma di mettere a disposizione i propri canali a coloro che si vorranno adoperare per raccogliere fondi da destinare alle popolazioni colpite dal forte sisma che ha coinvolto le regioni centro Italia nei mesi che vanno da agosto a novembre, con i mezzi che riterranno più opportuni (eventi, cene, speleogite, ecc.). Come la cronaca ci racconta quotidianamente, l’emergenza non è finita. Sicuri che molti di noi/voi avranno già provveduto a titolo personale, speriamo che questa iniziativa possa aiutare ad attivare una ulteriore raccolta di fondi da destinare a chi ha perso tutto. Pertanto: il CF per la Federazione Speleologica Toscana attiva una raccolta fondi da destinare alle popolazioni coinvolte. Sarà possibile effettuare versamenti con bonifico bancario sul conto corrente intestato a: FEDERAZIONE SPELOLOGICA TOSCANA aperto presso Poste Italiane Il bonifico dovrà essere accompagnato dalla causale «Terremoto centro Italia». L’Iban da utilizzare per le donazioni è il seguente: IT 83 T 07601 02800 000010770501. Il Comitato Federale Vi ringrazia per il vostro aiuto.

Il CF della FST

Progetto Bomba 6 Finalmente anche le Panie hanno il loro abisso bello profondo. In realtà lo avevano già, insieme a chissà quanti altri ancora da esplorare, ma noi lo conoscevamo solo in minima parte. L’abisso Luigi Bombassei, dopo le prime esplorazioni bolognesi del 1962 e le nuove iniziate nel 2012, raggiunge ora i – 890 m. Dopo diverse uscite dedicate ad allargare le strettoie a – 530, nel maggio di quest’anno si è finalmente riusciti a passare, trovando subito una seconda serie di profondi pozzi che nel giro di tre punte ci hanno portato a fermarci su un piccolo laghetto, alimentato da un torrente di discreta portata (2-3 l/s in secca). A fine settembre un’ultima punta ha sceso un pozzo parallelo a – 840, che ributta sul piccolo collettore, poi le piogge autunnali hanno impedito altre discese. Numerose finestre aspettano di essere viste, lasciando quindi aperta la possibilità di trovare qualche prosecuzione. Si tratta di un bel risultato che premia il lavoro di rivisitazione dei tanti pozzi dei versanti settentrionali delle Panie che stiamo conducendo ormai da diversi anni. Le esplorazioni sono state condotte da un gruppo variegato e poliglotta di speleologi provenienti principalmente da Toscana, Liguria e Emilia Romagna, con il supporto tecnico di Unione Speleologica Pratese, Gruppo Speleologico Lunense e Gruppo Speleologico-Unione Speleologica Bolognese. Leonardo Piccini

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

talp informa Nel prossimo numero La redazione di TALP nel prossimo numero per la nuova rubrica dal nome TALPIMMAGINI, raccoglierà fotografie sul tema Speleotemi. Potete inviare gli scatti a: redazione@speleotoscana.it. Verranno scelte un massimo di 10 immagini. Vi ringraziamo fin da adesso della vostra collaborazione. La Redazione di TALP

T A L P

ONLINE

SEZIONE: FST Informa approfondimento online: Diversamentespeleo, le testimonianze dei ragazzi che hanno partecipato.

www.speleotoscana.it/talp_online/category/talp-online/ 2


T A L P

DE SPELAEOLOGIA ELOQUENTIA

Dal vocabolario Treccani: “Speleologia (dal greco spélaion=caverna e lògos=discorso), scienza che studia le grotte e le caverne naturali, la loro origine ed evoluzione, i fenomeni fisici, biologici e antropici che vi si svolgono e le attività connesse con la loro esplorazione. Come scienza la speleologia si è da tempo organizzata in modo autonomo e inquadra organicamente un complesso di acquisizioni alla cui elaborazione concorrono molte discipline. Pertanto, data la complessità, vastità e varietà del suo campo di indagine, la speleologia si distingue in geografia fisica, geologia, idrologia sotterranea, mineralogia, meteorologia, paleontologia, petrografia, zoologia, botanica, microbiologia, antropologia, paletnologia e folclore. Così la speleologia si può suddividere in speleologia fisica; speleologia antropica; speleologia biologica (o speleobiologia o biospeleologia), che studia le forme e le condizioni di vita attuale nelle grotte e nelle acque sotterranee. La speleologia scientifica si realizza principalmente attraverso apposite istituzioni, presenti in vari paesi, ma è anche ovviamente dispersa nelle sedi di ricerca delle singole branche. Esistono molti periodici specializzati pubblicati da istituti, società o gruppi speleologici e vengono regolarmente convocati congressi e simposi a carattere nazionale e internazionale”.

EDITORIALE

“… mi feci coraggio, e col lodato Sig. Corradi, e con uomini avanti, che portavano fiaccole accese, volli penetrar dentro, mettendo appena piede innanzi piede, col dorso curvo, per l’angusto foro …” da “Lezione accademica intorno all’origine delle fontane” di A. Vallisneri.

Da “L’abisso” di F. Sauro: “… Sottoterra tutto è buio, nascosto e se l’esploratore non arriva a illuminare quei luoghi con la propria lampada nessuno può mostrarglieli indicandoglieli da lontano. In grotta si può esplorare andando oltre la linea dell’orizzonte (…) e vedere con i propri occhi ciò che altrimenti sarebbe invisibile (…) è come trovarsi in una valle attorniata da montagne che precludono l’orizzonte e sapere che dietro quelle montagne non c’è mai andato nessuno (…). Due sono le cose che possono accadere: aver paura di tutto quell’ignoto e restare per sempre nella valle con infiniti interrogativi oppure decidere di sapere, di vedere. Paura e desiderio, come scrisse Leonardo Da Vinci, sono i sentimenti che nascono nell’animo quando ci si trova davanti all’ignoto.(…) Ma qualora venga intrapreso, il cammino della conoscenza si rivela infinito(…)”.

D E L L A F S T

3

R I V I S T A

La Commissione Editoriale

T A L P

n.d.r. … e allora che dire: buone grotte a tutti ed esplorate, documentate, scrivete, scrivete, scrivete, scrivete e divulgate!

53

Da “Un color bruno” di G. Badino: “… L’azione dell’esplorazione delle grotte è quindi in tre fasi: esplorazione, documentazione e divulgazione. La prima fase è senza dubbio la più coinvolgente ed è rivolta a noi stessi, ci dà forma e consistenza (…). La seconda fase di documentazione è rivolta ad un pubblico specialista (…). L’ultima fase è principalmente diretta alle popolazioni del luogo (…). La divulgazione è proprio la fase in cui si coinvolge la popolazione nelle nostre ricerche (…). La divulgazione della nostra attività può incuriosirli (…), li rende partecipi di un mistero risolto, di un potenziale tesoro conoscitivo che stava là (…)”.


ESPLORAZIONE

GATE 17

T A L P

di Valentina Mantovanelli, Gruppo Speleologico Pistoiese foto di Arnaldo Paltrinieri e Giulia Bravi

.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Il gruppo degli esploratori brindano alla congiunzione.

Il caso prima e l’unione dei gruppi con tante persone poi, hanno portato alla congiunzione di due grotte in sole tre uscite. Il Gruppo Speleologico di Pistoia e il Gruppo Speleologico di Forte dei Marmi l’11 ottobre 2016 trovano il passaggio per mettere in comunicazione il Golem con il Rocciolo. La Buca di Renara (T/MS 228) e La Buca del Rocciolo (T/MS 229) sono state scoperte dai fiorentini nel 1956 e negli anni hanno accolto molti speleologi. Nel 1999 i lucchesi scoprono la Buca del Golem. Da allora molti si sono avvicendati nella ricerca di una congiunzione, ragionevolmente intuibile data la vicinanza in pianta tra le due grotte. Geologicamente le cavità fanno parte dell’area carsica delle Alpi Apuane, del comune di Massa nella zona di Renara. Mentre i due gruppi cercavano la congiunzione, il Gruppo Speleologico di Massa, faceva sopralluoghi alla Buca di Golem (T/MS 1450) per

4

realizzarne il rilievo mai fatto prima. Evidentemente la fortuna arride agli audaci. Senza sforzo alcuno è stato possibile documentare in pianta il risultato. Danilo Magnani ha infatti generosamente fornito il rilievo aggiornato delle due grotte ancora mai pubblicato dove è stato possibile segnare il punto di contatto tra le due grotte.

La storia dell’esplorazione 1a uscita 10/07/16 “IL CASO” Partecipanti GSPT: Loriano, Valentina, Pier, Diletta e Maurizio. Quattro componenti del GSPT organizzano un’uscita per migliorarsi nell’armo. I giovani speleo non vantano ancora un’eccellente organizzazione, così che davanti ad un armo ci si accorge che servono dei bulloni, ovviamente dimenticati in macchina. Loriano quindi esce dal Rocciolo e va a prenderli.


53

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

5


m

Itinerario

per

gli

ingressi di Rocciolo:

BUCA DI RENARA

da Massa seguire le indicazioni per Resceto. Arrivati nel paesino di Gronda, un ponte sulla destra porta alla cava della Tassara. Si prosegue sulla strada bianca fino ad un piazzale. Uno degli ingressi della grotta si trova lungo il canale di destra, poco prima del piazzale, a 50 metri di altezza dalla strada, il secondo ingresso alla stessa altezza, spostato sulla destra una cinquantina di metri. Itinerario ripreso dall’articolo di Luca Benassi su Sottoterra, Rivista di Speleologia del GSB-USB, n.103.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

A lato: localizzazione delle cavità menzionate (elaborazione grafica Siria Panichi).

Torna poco prima dell’ipotermia dei poveri tre, scusandosi del ritardo, ma nel tragitto riferisce che aveva incontrato tre componenti del gruppo di Forte dei Marmi che andavano a visitare la buca del Golem. Arnaldo e Monica, hanno una mezza idea dell’area in cui le due grotte potrebbero collegarsi e si ripropongono così di scambiarsi qualche fischio in quella zona, verso l’ora di pranzo. Dopo una puntata nella “galleria delle vaschette” e un giro nella “galleria concrezionata”, ci si appresta a raggiungere il punto stabilito, quando nel silenzio della “macinatura” del panino, udiamo delle voci, in particolare quella di una donna. Cominciamo tutti ad urlare il

6

nome di Monica, correndo da una parte all’altra come moscerini impazziti. Si avverte anche odore di sigaretta, ma nessuno di noi sta fumando. Ci sentono...

2a uscita 07/08/16 “L’UNIONE DEI GRUPPI” Decidiamo di continuare l’esplorazione insieme. Ci consultiamo sulla data per l’uscita e partiamo carichi di entusiasmo. Questa volta però ci mescoliamo. Gruppo Golem: Loriano, Arnaldo, Chiara. Gruppo Rocciolo: Monica, Valentina,


Diletta, Michele. Raggiungiamo a tutta velocità i due punti (punto sigaretta e punto voci), quando nel punto voci udiamo Loriano che chiacchiera con Arnaldo a decibel contenuti. Ci concentriamo e individuiamo il punto. Cominciamo con urla, fischi, botte sui sassi e alla fine ci sentono. Saliamo su, per una strettoia impervia (corridoio in frana) dove le voci sembrano più vicine ma non vediamo luci. Accendiamo sigarette per incrementare la ricerca con il fumo, ma nell’eccitazione, la comunicazione non ha successo e anche dall’altra parte cominciano a fumare così che alla fine non si capisce più nulla. Usciti come salmoni dall’affumicatoio, decidiamo di tornare con una maggiore organizzazione, ponendo la nostra speranza sull’aiuto di ARVA e WALKIE-TALKIE.

3a uscita 11/09/16 “TECNOLOGIA E POSITIVITÀ“ L’entusiasmo dei pochi alimenta la curiosità dei tanti formando l’armata Potiomkin. Ha-

Il passaggio della congiunzione.

noi e finalmente dal sasso più vicino a loro vediamo la luce. Decidiamo di spostare i sassi dal

... QUANDO NEL SILENZIO UDIAMO DELLE VOCI, IN PARTICOLARE QUELLA DI UNA DONNA. COMINCIAMO TUTTI AD URLARE IL NOME DI MONICA, CORRENDO DA UNA PARTE ALL’ALTRA COME MOSCERINI IMPAZZITI. SI AVVERTE ANCHE ODORE DI SIGARETTA, MA NESSUNO DI NOI STA FUMANDO. CI SENTONO... 53

D E L L A F S T

7

R I V I S T A

Golem, usando tutto il necessario per scoperchiare quella porta chiusa dalla frana. Durante l’attesa per la disostruzione, da sotto il masso sul quale era seduto Arnaldo esce un fortissimo odore di fumo e dopo una discreta pioggia di massi smossi, udiamo chiaramente i colpi del martello e capiamo che stanno scendendo. Pochi secondi dopo, dalla strettoia scendono Massimiliano seguito da Leonardo. È festa! Salti, applausi, baci, abbracci e via trepidanti con lo scambio delle grotte. Gruppo Golem scende ed esce da Buca del Rocciolo, Gruppo Rocciolo sale ed esce da Buca Golem. 17 anni dopo, si stappa e si brinda alla congiunzione.

T A L P

bemus ARVA,WALKIE-TALKIE, il necessario per il disarmo e una bottiglia da stappare. Gruppo Golem: Loriano, Monica, Massimiliano, Leonardo, Diletta, Chiara, Gian Luca. Gruppo Rocciolo: Arnaldo,Valentina, Elisabetta, Gemma, Francesco, Giulia, Elena. Un arva nel Golem in modalità “invio segnale” e altri due ARVA nel Rocciolo in modalità “ricerca”. Una volta entrati nel Rocciolo, accendiamo l’ARVA e cominciamo a cercare Golem. Il segnale arriva solo nel settore voci (altrove il silenzio). Risaliamo nuovamente la strettoia fino a quando l’ARVA indica poco più di un metro. Il gruppo Golem è proprio sopra di


Considerazioni e ringraziamenti Avvistato pipistrello proprio nel corridoio in frana che congiunge le due grotte. Il Rocciolo è una grotta fredda, mentre Golem è calda e curioso è stato il ruolo del fumo. Il fumo della sigaretta che Massimiliano fumava nel Golem, ricadeva di sotto, nel Rocciolo. Uno speciale ringraziamento all’unione che ha fatto la forza, che ha trasmesso una forte motivazione agli speleo “anziani”, che continuano a tramandare la loro grande passione speleologica ai giovani futuri speleo. Partecipanti gruppo di Forte dei Marmi FdM: Monica Gambi, Arnaldo Paltrinieri, Chiara Pomposi. Partecipanti gruppo di Pistoia GSPT: Loriano Lucchesi, Valentina Mantovanelli, Diletta Poggi, Maurizio Turacchi, Pier Luigi Morrocu, Michele Di Simone, Simone

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Arnaldo tiene la corda che da Golem scende al Rocciolo.

8

Rastelli, Massimiliano Deledda, Elisabetta Gennai, Leonardo Faggioli, Giulia Bravi, Francesco Taddei, Gian Luca Couston, Gemma Degl’Innocenti, Elena Posarelli.


T A L P

.

ESPLORAZIONE L’ingresso della Buca della Frana.

Un nuovo (?) piccolo complesso: la Buca dell’Acquafredda e la Buca della Frana

D E L L A F S T

9

R I V I S T A

Chissà per quale motivo, questa sera ho voglia di (ri)guardare quelle cose che ormai pochissimi, per non dire nessuno, considera più. Un attacco di nostalgia senile? Macché, sono i primi anni 90, quindi circa cinque lustri fa, con in collo almeno la metà degli anni che ho adesso... Apro quindi la cartellina che contiene i vecchi rilievi, alcuni stampati su carta gialla oppure ormai ingiallita, altri addirittura ricopiati a china

su lucidi, quando evidentemente era più conveniente ed appassionante ricalcare i rilievi trovati nelle riviste o presi in prestito, che farne fotocopie. Altri ancora con la relazione di esplorazione dattiloscritta oppure redatta a mano con una grafia che ho sempre fatto fatica a leggere. Un deciso odore di umido mi suggerisce di trovargli un posto un po’ più asciutto... Scartabellando queste vecchie carte salta fuori un rilievo della Buca della Frana datato 1982. Il gruppo speleo di Massa (il GSAA) nasce l’anno precedente, il 1981, quindi si tratta di una delle primissime grotte esplorate dai massesi, assieme

T A L P

Pianificare: perdere tempo a valutare i modi migliori di ottenere un risultato del tutto casuale. (A. Bierce)

53

di Danilo Magnani (GSAA), con la risalita di Simone Rastelli (GSPT), le rime di Rolando Alberti (GSAA) foto di Simone Lenci (GSL)


agli amici versiliesi. Gli esploratori elencati in calce al rilievo sono (oggi) vecchie conoscenze: qualcuno ancora va per grotte, qualcun altro ha deciso di percorrere altre strade. Ritorniamo al 1991/92: avere i dati catastali aggiornati, venticinque anni fa, non era proprio così facile. Oggi con due clic di mouse sul sito della Federazione oppure una email ai curatori del Catasto Grotte, il gioco è fatto. Insomma dopo qualche ricerca scopriamo che la grotta non è mai stata accatastata, quindi decidiamo che possiamo farlo noi. Un ottimo esercizio nel rilievo e nella rivisitazione di posti per noi comunque sconosciuti.

Ma chi sa rilevare o per lo meno spiegarci come si fa? Tra di noi, per usare un eufemismo, diciamo pochi, in realtà è praticamente uno solo. Quindi decidiamo di far pratica di rilevamento ipogeo andando a misurare la Buca dell’Acquafredda (T/MS 275), una grotta vicinissima alla Buca della Frana. La Buca dell’Acquafredda è una cavità ad andamento pressoché verticale esplorata nei primi anni ‘60 dagli speleologi fiorentini. L’ingresso è uno spettacolare pozzo a cielo aperto non profondissimo, (16 metri) a cui segue un breve salto di 5 metri; dopo pochi passi ci si affaccia su uno

... MARZO 1995. “DAI, ANDIAMO ALL’ACQUAFREDDA A VEDERE IL RAMO CHE C’È SUL FONDO, QUELLO DOPO LA STRETTOIA” ...

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

scivolo che scende per una trentina di metri a cui fa seguito un P23 che conduce all’allora frana terminale della grotta. Quindi l’Acquafredda ci pare essere una buona palestra per imparare a rilevare cavità con andamento prevalentemente verticale. Poi è una grotta che frequentiamo anche per i corsi di speleologia di primo livello, la conosciamo bene e ci sono diversi rami che non sono disegnati nel rilievo a Catasto. Uno di questi è una risalita che abbiamo fatto nella parte superiore dello scivolo: raggiunta la sua sommità, 22 metri sopra la partenza, tra massi di crollo e terrazzi sospesi, si indovina sulla sinistra una condotta che risale ancora e conduce ad una zona di stretti camini dove ci sono evidenti tracce di vicinanza con l’esterno. Un’altra via non particolarmente agevole porta in una piccola sala dove ci prepariamo a rilevare il tutto. Inavvertitamente mi cade un guanto in un piccolo foro sul pavimento. Addio guanto. Irrecuperabile. Manco lo riesco a vedere. Tratta dopo tratta, rilevando ritorniamo sulla testa dello Scivolo... dove ritrovo il mio guanto! Almeno abbiamo

10

L’ingresso della Buca dell’Acqua Fredda.


Il vecchio rilievo della Buca della Frana, anno 1982, Gruppo Speleologico Archeologico Apuano.

La risalita del pozzo dei pistoiesi

D E L L A F S T

11

R I V I S T A

Decidiamo io Loriano ed un paio di amici di andare alla Buca dell’Acquafredda. Lungo il sentiero, a pochi metri dall’ingresso della grotta, una frana colpisce la mia curiosità. Dietro incredibilmente si apre una condotta che porta ad un pozzone. Torniamo la settimana successiva per visitare questa nuova grotta che, nel frattempo con un poco di ricerca, scopriamo essere proprio la Buca della Frana. Siamo nel lontano 2006, ho la soddisfazione di armare la mia verticale im-

T A L P

farne il rilievo e sapevamo quasi con precisione dove si trovasse, ma questa è un’altra piccola vicenda che racconterò dopo. Le grotte sono rimaste separate fino al 2006 quando, credendoci assai, Patrizio Pierallini e Simone Rastelli del GSPT, risalgono un pozzo parallelo al pozzo della Frana. Qui lascio la parola a Simone.

53

la certezza di dove finisce il soffitto sopra le nostre teste. È il 19 novembre 1993. Rileviamo anche un piccolo ramo laterale (Ramo di Albè) sotto il P5 presso l’ingresso: uno stretto ramo cieco che, allargandolo in qualche maniera, forse potrebbe avere qualche minima, quanto inutile possibilità di prosecuzione (verso l’esterno, ipotizziamo) nella parte alta dove le pareti si stringono inesorabilmente. Da “buoni” apuani figurarsi se mandiamo a Catasto gli aggiornamenti di quella grotta! Sono gli anni delle grandi esplorazioni in Apuane e non è certo il tempo di quelle brevi continuazioni che ha l’Acquafredda. Passiamo al Marzo 1995. “Dai, andiamo all’Acquafredda a vedere il ramo che c’è sul fondo, quello dopo la strettoia”. È la via che chiamiamo “Ramo delle Ossa” perché ci abbiamo trovato dei resti di Gulo Gulo (Ghiottone) e di Ursus Arctos (Orso Bruno). Una bella, piccola avventura che abbiamo già raccontato in un articolo pubblicato su TALP n.13. E la Buca della Frana? Dimenticata, ovviamente. Forse è davvero il suo destino esser trovata e ritrovata e mai raccontata. Ci sono altre, più “importanti” grotte che ci aspettano e che andiamo a percorrere, fino al 15 marzo 1998 quando finalmente ritorniamo alla Frana e ne facciamo pure il rilievo. In realtà ne prendiamo soltanto le misure non completando neppure il disegno, però inseriamo i dati nel computer e dalle poligonali vediamo che le due grotte sono separate da pochissima montagna. La grotta praticamente è un unico pozzo da 65 metri che dopo un breve cunicolo iniziale precipita sul fondo della grotta costituito da un’unica grande frana. Proviamo anche a rovistare tra i blocchi sul fondo senza alcun risultato rispetto a quanto trovato nel 1982 (vedi il vecchio rilievo). Passano gli anni ed al solito la Buca della Frana finisce di nuovo nel cassetto delle cose da fare. “Certo che la Frana e l’Acquafredda sono davvero vicine vicine...” Eppure in cima allo Scivolo risalito all’Acquafredda, abbiamo frugato bene e non abbiamo trovato altre vie. A nostra parziale discolpa debbo dire che abbiamo faticato a trovare la via della congiunzione anche quando qualche mese fa siamo andati a


T A L P

12

R I V I S T A

D E L L A

F S T 53


Buca della Frana, le parti iniziali della grotta.

mi consola: “Dai tutto sommato non è andata male abbiamo congiunto due grotte”. Beh non è proprio l’impresa di Badino nel Corchia ma, in quel momento, mi sono sentito felice della compagnia dei miei amici e fiero del risultato ottenuto. Adesso tocca di nuovo a me, Danilo, scrivere.

R I V I S T A D E L L A F S T

13

T A L P

Il corso di speleologia 2016 che abbiamo fatto a Massa è stato particolarmente numeroso ed anche il numero delle persone che sono rimaste a far grotta, non è male. Occorre “inventare” qualche uscita per appassionarli ulteriormente. Quale migliore occasione di (ri)tornare alla Buca della Frana? Ormai è anche congiunta con l’Acquafredda, ma di quella via non esiste rilievo. Grotte facili, anche bellocce, vie nuove... si va! Dal lontano 1982 siamo al settembre 2016. Siamo in otto. Di cui quattro usciti dal corso primaverile. Ce la prendiamo con estrema calma e facciamo armare i nostri bravi novizi. Risaliamo lo scivolo fino alla sommità e cerchiamo la via che conduce alla Frana, così come ci hanno spiegato gli amici pistoiesi. Niente. Mica la troviamo... Edoardo (uso un nome di fantasia per il rispetto della privacy) si arrampica tra dei blocchi di crollo e arriva in una saletta. Chiusa, dice lui. E la vescica gli impone di essere svuotata.

53

portante. Alla base del pozzo la grotta non offre molto. Verso l’alto si scaglia invece maestoso un altro pozzone parallelo a quello sceso. Era il periodo che leggevo delle scoperte fatte in risalita dai fiorentini e delle finestre che aprivano su mondi fantastici. È deciso: risaliremo il pozzo. Le prime volte siamo in diversi ma dopo poco la risalita si complica e la squadra si riduce a due: io ed il Pierallo. Ricordo con piacere una uscita fatta dalle 15.00 del pomeriggio fino alle 4.00 di notte e la difficoltà di ritornare alla macchina per la neve caduta nel mentre. La complessità affrontata per noi non è poca. All’epoca le batterie al piombo pesanti 5 kg consentivano di fare massimo 20/25 fori. Nella parte alta la linea di risalita finisce poi sotto un stillicidio intenso. Meno male avevamo iniziato col torrentismo. L’uomo di sicura in parete, oramai a oltre 50 metri di altezza, se ne può stare al “calduccino” della muta. Finalmente viene raggiunto un terrazzino in cui vi è un buchetto. Tirando il classico sasso si sente rotolare di sotto. Grandioso! Ma di lì non si passa. Viene allargato adeguatamente un passaggio. Finalmente passiamo. Sotto di me un bel pozzo largo e profondo. Sono al settimo cielo. Metto due fix ed inizio a scendere titubante. Fatti 15 metri vedo un maillon di disarmo per doppia. Delusione! Torniamo la settimana seguente e completiamo il giro dall’Acquafredda. Loriano


T A L P

14

R I V I S T A

D E L L A

F S T 53


D E L L A F S T

15

R I V I S T A

“Bella uscita, ci starebbe anche un articoletto per Talp”. Ma le foto? Manco mezza. Nemmeno di quelle fatte con le compattine da 50 euri del supermercato che fanno le facce allampanate e l’unica cosa che si vede bene sono le goccioline e il pulviscolo che galleggiano in tutta l’immagine. Sant’Adriano e San Simone da Lucca ci vengono in soccorso, quindi il 2 ottobre 2016 ritorniamo alla Buca della Frana entrando stavolta dal suo ingresso. Anche in questa occasione siamo in sette di cui tre neo-speleologi. Fotografiamo, rileviamo chiudendo la poli-

T A L P

Dopo diverse ore, è umano che succeda. Ma anche senza saperlo è diabolico pisciare nella strettoia che dopo un bel po’ di ravanare scopriamo essere proprio la via che ci porterà sull’orlo del bellissimo P70 che i bravi pistoiesi hanno risalito dal fondo della Frana. Noi lo scenderemo apprezzando il loro lavoro. Felici della giornata, con calma iniziamo a risalire il pozzo con in testa un unico pensiero: rifare la strettoia ormai battezzata “della Pioggia Dorata” e il pensiero non è per la strettoia, manco troppo stretta ... Passiamo anche quella; si disarma e festa finita.

53

Cronologia delle esplorazioni alla Buca della Frana.


L’uscita in rima di Rolando “Rollo” Alberti La Buca della Frana, non lasciai gambe ma lasciai orgoglio! Poco sopra di lì al curvon’, il travaglio oggi inizia, sian diretti ai Mozz’con’ (*) con passione ed amicizia. Della Buca della Frana son da fare con perizia foto, mappa e cosa strana, senza fretta ed avarizia. Alla buca, ch’è anche tana, il Gi eSse A Apuano coi “Lucchesi” allà sottana, ora imprecan “merda!” (o guano?): il terreno è impervio e ritto, né un appiglio o corrimano, Qui si scivola nel fitto sottobosco in deretano!

Il Pozzo della Frana.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Arriviam dopo ‘l tragitto all’ingresso della Grotta, son già stanco, non relitto, con già zuppa la canotta.

gonale dell’Acquafredda e felici usciamo. Usciamo rapidi quasi tutti, tranne Rollo che pensa bene di trascorrere una quarantina di minuti più o meno incastrato sotto l’imboccatura del pozzo che proprio larga non è. Ma alla fine torniamo a casa pieni di numeri, dati, foto, ricordi. E forse stavolta riusciamo pure a far accatastare la Buca della Frana (T/MS 2110).

16

E i Lucchesi già nel vuoto, con il passo di gavotta, all’Acquafredda fan le foto, altro ingresso della grotta; ma dei Lucché rendiamo noto nome o vulgo oppure stato: uno è conte e gran devoto(?), l’altro a foto è un addestrato. Chi ben ‘nvia è all’opra già a metà, e il prio pozzo dev’esse armato! Intervien chi? Adone! Con bramosità:


“il duro corpo freddo va trapanato!” Tracché tracché tà tà, tà tà sale il rumore su su per il masso e dopo un bel “libera!” è l’ovvietà ad uno ad uno discendere in basso. Io in fine in fondo sono disceso sotto i miei pié fà grande fracasso la grossa frana e il mio grasso peso fan percussione suonar tutto l’ammasso. Doppò di riposo (e desco sotteso) gran gesta in ricordo tramutare dobbiamo: insieme appicciati in gruppo coeso in un dagherrotipo ci impressioniamo! Poi risalita ma con la sorpresa: disarmo, risalgo come pesce all’amo

ma a mo’ di pescato collà corda tesa m’incastro e rincastro a mo’ di ricamo. Non sto qui a tediarvi oltre l’impresa, sappiate soltanto che vivo ne esco e con la mia uscita ormai già ripresa grande finale da canto dantesco. I Partecipanti per questa occasione: Nadia e poi Giorgio e poi continuando Edoardo e Danilo e di Lucca Simone e dulcis in fundo, Adriano e Rolando.

(*) Mozz’con (Mozziconi, in Italiano) è il toponimo del luogo dove si aprono gli ingressi delle due grotte; compreso tra il canale dei Mozziconi ed il canale dell’Acqua Fresca.

BIBLIOGRAFIA AA.VV.., Il fenomeno carsico nei pressi delle sorgenti del Frigido in provincia di Massa, Bollettino Notiziario CAI – Sezione Fiorentina, N.3-4 Luglio-Dicembre 1967, pagg.15-49. Nadia Ricci, Il Gulo nell’acqua, TALP N.13 Ottobre 1996, pagg. 5-6. Maurizio Gabuti, Andrea Rodano, Forno e il Canale Regolo, In scio fondo, Anno VII Numero 8, 2006, pagg. 30-35.

Il gruppo in fondo alla Frana.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

17


di Siria Panichi, Loriano Lucchesi (GSPt), Leonardo Piccini

.

T A L P

ESPLORAZIONE

La Grotta Maona (T/ PT 215)

L’interno della grotta, foto di M. Deledda.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

La storia Nella seconda metà del XIX secolo una cava di calcare iniziò la sua attività nella zona dove, fra il IX e il XII secolo, sorgeva la rocca dei signori “Da Maona”, antica famiglia magnatizia che diede origine ai “Da Montecatini”, da cui presero nome gli attuali insediamenti di Montecatini Alto e Montecatini Terme, nota stazione termale fra Pistoia e Lucca. Questa cava, da cui veniva ricavata roccia incoerente destinata a essere sminuzzata per l’utilizzo in edilizia, si trova a NE dell’abitato di Montecatini Terme, sulla strada che porta al borgo di Montecatini Alto. In una giornata di lavoro in cava, nel 1860, gli operai notarono che, dopo lo scoppio di una delle due cariche esplosive programmate, la polvere e il materiale detritico che di solito si spargevano nell’aria, vennero inghiottiti da un vuoto che si aprì nella montagna, come se ci fosse stato uno “scoppio in dentro”. Il materiale cadde all’interno di una cavità naturale, accessibile dalla parziale distruzione accidentale di una sala riccamente concrezionata. La cavità fu su-

18

bito battezzata “Grotta Maona”, tenendo fede al toponimo che da circa un millennio identificava quei luoghi. I lavori per rendere fruibile ai turisti la cavità iniziarono poco dopo la scoperta e al posto dell’accesso individuato dalle attività di cava, fu preferito aprirne un altro che consentisse ai visitatori di percorrere un tragitto esterno più agevole. All’epoca infatti la zona era profondamente diversa da come la vediamo oggi e al posto dell’ampio parcheggio e del viale d’accesso c’era una montagna di calcare che nel corso degli anni è stata completamente asportata. Venne quindi allestito il percorso di visita, utilizzando per la realizzazione dei gradini il detrito ricavato dall’apertura della cavità, e scelto il punto dove aprire artificialmente un nuovo ingresso anche in relazione alla morfologia esterna. La parete che dette accesso alla grotta venne quindi richiusa con un muro in pietra (allestito sempre utilizzando i detriti della cavità), e nel 1892 iniziarono gli accompagnamenti turistici. Un visitatore del 1906 racconta l’avvicinamento alla grotta come la discesa in una vallata


53

T A L P R I V I S T A F S T

19

D E L L A

La mappa indica la zona dove è situata la grotta e le formazioni carsificabili dell’area (elaborazione grafica di Siria Panichi).


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

La parete in cui si apriva il primo accesso alla cavità, vista dall’esterno, foto di S. Panichi.

attraverso una strada scavata nel calcare e descrive la grotta con queste parole: “No: la parola gioiello è impropria, poiché la meraviglia che sta per apparirci non ha niente di comune con altre meraviglie i cui caratteri principali sono costituiti dalla vita dolce e dall’ambiente lieto. Qui invece è un qualcosa di profondamente misterioso e suggestivo, che non ha soltanto delle liete apparenze, ma sospinge il nostro pensiero lontano, lontano, alle prime origini del mondo; lo inabissa poi nei più cupi recessi dove appena ha toccato terra lo scandaglio della scienza; lo distrae per mille tortuosità o per mille associazioni d’idee. Qui insomma il nostro essere è profondamente scosso, oltreché variamente giocondato. Parlo insomma della Grotta Maona”. Ed è proprio agli inizi del XX secolo, dopo almeno tre passaggi di proprietà, che Giulia Tanteri in Monti acquista la grotta e il terreno circostante, iniziando una tradizione che da allora lega questa famiglia alle vicissitudini della cavità, tutt’oggi di proprietà dei discendenti, interrotta solamente per un breve periodo, approssimativamente dal 1915 al 1920, quando venne venduta e poi ricomprata.

20

Le visite venivano mandate avanti in mezzo ai lavori di cava e furono interrotte solamente durante la seconda guerra mondiale, quando la Grotta Maona divenne luogo di rifugio, principalmente per gruppi di partigiani. All’epoca si accedeva alla cavità solo tramite il suo ingresso naturale, adesso chiuso da un cancello, lungo il Fosso Castagna Regola, che scorre fra il Colle di Montecatini e le minori alture del lato occidentale, fra cui si distinguono le Panteraie, per terminare nell’area termale delle sorgenti Torretta. È a questo periodo che viene fatta risalire la distruzione e le asportazioni di gran parte delle concrezioni, causate dalle persone che avevano libero accesso alla cavità senza una guida che potesse vigilare su di loro. Alla fine della guerra fu necessario eseguire dei nuovi lavori per riaprire la cavità ai visitatori, e oltre a questi la nuova proprietaria, Nola Bustichini, la nipote della Sig.ra Tanteri che la affiancava nella gestione fin dal 1932, fece allestire all’esterno della cavità un Bar/Dancing, attivo fin dal 1952, che ampliò la fama della Grotta Maona, conservandone il nome ed estendendolo a tutta l’attività di intrattenimento.


53

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

21


F S T

53

Sopra, l’attuale ingresso della Grotta Maona. Sotto, il primo accesso alla grotta, nel 1860, poi chiuso per favorire l’attuale percorso. Foto di S. Panichi.

D E L L A

La grotta Grotta Maona è una cavità di dimensioni modeste. La nuova esecuzione del rilievo dà uno sviluppo di 225 m e un dislivello totale di 20 m. Il percorso attrezzato si avvolge su se stesso con un andamento abbastanza labirintico. La sua struttura però è abbastanza semplice. In pratica si tratta di un grande ambiente di forma vagamente emisferica, con qualche diverticolo laterale, in gran parte occupato da concrezioni calcaree che poggiano su un grosso riempimento di detriti e ciottolami di provenienza esterna.

R I V I S T A T A L P

Nel periodo florido che hanno vissuto le terme di Montecatini (dalla fine del XIX secolo fino a tre quarti del XX secolo) la Grotta Maona veniva vissuta come un ottimo svago alternativo alle cure termali, anche per la posizione semicollinare non lontana dalla stazione termale del Tettuccio, contando oltre cento visitatori al giorno nei periodi di punta. Le figlie, Lubiana e Morena Tanteri, e le nipoti di Nola amministrarono in seguito l’attività fino al 2012, quando fu affidata ad altri gestori. Contestualmente la grotta è stata chiusa, in attesa di un necessario adeguamento turistico, soprattutto per adattarla ai nuovi standard per la sicurezza. La Grotta Maona probabilmente cela una storia molto più antica di quella raccontata finora e lo fanno supporre i reperti che furono trovati dai primi esploratori ottocenteschi. Oltre a resti di ossa animali, probabilmente orsi delle caverne, cervi e cinghiali, sono state rinvenute delle lucerne e delle monete, che vengono fatte risalire al periodo in cui poco sopra la cava Maona si trovava la rocca dei “da Maona”. I reperti sono attualmente conservati in una teca posta all’ingresso della grotta. Una leggenda inoltre lega la Buca delle Fate, una piccola cavità naturale non censita che si trova poco sopra l’ingresso naturale della Grotta Maona alla Buca delle Fate di Marliana (T/ PT 181). Utilizzata dai cavatori come deposito per gli esplosivi, da qua la leggenda narra che si potesse raggiungere l’altra Buca delle Fate, a Marliana, purtroppo distrutta da una cava attiva oltre trenta anni fa. di S. Panichi e L. Lucchesi

22


Verso il basso la cavità assume la forma di una specie di forra impostata lungo una frattura orientata circa NNW-SSE. Dal piano basso una galleria orizzontale porta all’esterno in corrispondenza del greto del torrente che scorre nelle vicinanze. La parte superiore è abbondantemente concrezionata, in forma di colate stalagmitiche legate ad acque di percolazione di provenienza locale; la parte bassa invece è meno concrezionata. Si tratta di una grotta molto interessante da un punto di vista morfologico e speleogenetico, che meriterebbe sicuramente uno studio di dettaglio. Le forme di corrosione che si osservano infatti nella parte superiore, con tanto di cupole al soffitto, e in quella inferiore, che presenta grandi concavità di dissoluzione, indicano un’origine prevalentemente freatica, che del resto si apprezza già dall’ingresso. Vista la vicinanza con le sorgenti termali di Montecatini, che sgorgano ai piedi del colle dove si apre la Maona, la genesi di questa grotta potrebbe essere legata alla risalita di acque termali, in seguito a processi quindi analoghi a quelli che si hanno attualmente nella non lontana Grotta Giusti, presso Monsummano Terme, anche se qui

mancano chiare evidenze di uno stazionamento della falda termale in condizioni areate, come invece abbiamo a Monsummano. Potrebbe trattarsi quindi di una grotta di origine ipogenica. In seguito al sollevamento e alla susseguente erosione di questo settore di Appennino, questa porzione di rocce calcaree sarebbe stata portata lentamente in superficie progressivamente svuotandosi dalle acque che la saturavano. Successivamente, l’intercettamento della grotta da parte del corso d’acqua che scorre in vicinanza, avrebbe causato il riempimento della cavità con ciottolami, sabbie e infine argille, occludendo le probabili continuazioni profonde. Con il protrarsi dell’incisione della rete idrografica esterna, infine, il riempimento sarebbe stato in parte evacuato verso il basso, e sarebbe iniziata la fase di concrezionamento che vediamo adesso in forma di colate, stalagmiti e stalattiti, in gran parte ormai inattive. Questo schema evolutivo si basa al momento su poche osservazioni e pertanto è da considerare solo un’ipotesi preliminare e ancora tutta da dimostrare. Inoltre non abbiamo nessuna idea sull’età di questa grotta.

Ambienti concrezionati all’interno della grotta, foto di M. Deledda.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

23


Ricostruzione 3D della Grotta Maona, elaborazione grafica di Leonardo Piccini.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Il rilievo La scusa per andare alla Maona è stata, per me, quella di rifare il rilievo, poiché quello presente a catasto, realizzato dal GSFiorentino insieme a L. Laureti nel 1963, era piuttosto schematico, nonché privo della sezione longitudinale. La spinta per produrre il nuovo rilievo topografico è venuta da Loriano Lucchesi, che circa 50 anni fa, quando ancora non andava per grotte, frequentava il dancing ed ebbe quindi la possibilità di visitare la grotta. Dopo aver conosciuto le grotte come speleologo è voluto tornare alla sua prima avventura ipogea. La tecnica usata è stata quella già sperimentata Foto 1 alla Buca della Risvolta (vedi TALP 51), usando un Distox (distanziometro laser modificato) poggiato su un bastoncino da trekking, dopo aver appurato che questo non deviava la bussola in modo percettibile. Da ogni caposaldo sono state eseguite, oltre alle misure del tiro al caposaldo successivo, 8 misure a raggiera lungo la sezione trasversale perpendicolare al tiro, più varie misure latera-

24

li. Le prime otto misure trasversali contengono quindi anche quelle di sinistra/destra/alto/basso (LRUD), che poi sono utilizzate per la costruzione del modello 3D. La conformazione piuttosto “aggrovigliata” della grotta ha creato non pochi problemi, ed è stato necessario fare tiri piuttosto corti. Inoltre la presenza di corrimano di ferro può aver causato una leggera deviazione della bussola, tant’è che sulla chiusura della poligonale si è avuto un errore di oltre un metro, non proprio trascurabile. Per l’acquisizione dei dati in grotta e il disegno dello schizzo, è stato usato un tablet da 7” con installato il programma Topodroid. I dati di poligonale sono stati elaborati con il Foto 2 programma Csurvey, mentre per il disegno ci si è affidati al software grafico gratuito Inkscape. Il modello 3D è invece stato elaborato con il programma Lock di Therion. Tutto questo per dire che ancora non esiste un software di elaborazione dei rilievi in grotta che soddisfi tutte le esigenze. Il risultato di tutto questo lavoro lo potete osservare nella pagina precedente e in questa pagina in alto.


In alto: particolare delle concrezioni, foto di D. Antonetti; una cartolina della Grotta Maona (anni ‘70 - ‘80). In basso: un particolare della sala, foto di D. Antonetti; l’esterno della grotta come si presentava nel 1906, sulla copertina del volume citato in bibliografia.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

25


La Cava Maona, foto di S. Panichi.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Conclusioni La provincia di Pistoia non è, nel panorama italiano o anche solo toscano, un’area di particolare interesse speleologico: le grotte conosciute sono infatti solo diciannove e tutte di modeste dimensioni. Per estensione la maggiore è la Grotta Giusti, presso Monsummano Terme, che ha uno sviluppo, in buona parte subacqueo, di 420 metri. La seconda, in ordine di grandezza, è Tana a Termini, una sorgente occasionale lungo la Val di Lima, che ha uno sviluppo rilevato di 250 metri. Queste due grotte, lontane in linea d’aria circa 22 km, non hanno apparentemente niente in comune; e invece un legame esiste. Grotta Giusti è una famosa grotta utilizzata da oltre 150 anni per cure idrotermali, poiché in essa affiora una falda di acqua calda, con temperatura di circa 34-36 °C, che trabocca naturalmente alle vicine sorgenti di Grotta Parlanti: per inciso si tratta di un caso assai raro nel panorama mondiale. La sorgente termale di Grotta Parlanti ha una portata di circa 10-15 l/s la cui provenienza non

26

può essere certo la modesta area calcarea del Colle di Monsummano. Da dove viene allora tutta quell’acqua? Con certezza non lo sappiamo, ma ci sono motivi validi di pensare che l’acqua provenga dalla Val di Lima, dove affiora un ampio nucleo di rocce calcaree, tagliato dal torrente Lima, che è in continuità strutturale con il Colle di Monsummano. Stessa provenienza hanno anche probabilmente le acque delle sorgenti e dei pozzi di Montecatini Terme, che erogano diverse decine di l/s a temperature comprese tra 25 e 32 °C. In altre parole è possibile che l’acqua che scorre in Tana a Termini vada, magari solo in piccola parte, ad alimentare le falde idrotermali di Montecatini e di Monsummano Terme e quindi anche il laghetto caldo di Grotta Giusti. Se così è, esiste un sistema di circolazione, che probabilmente si spinge a oltre 1500 m di profondità, che dalla Val di Lima alimenta il sistema di sorgenti di Montecatini e Monsummano. Facendoci trasportare con la fantasia, è possibile che tra un milione di anni o giù di lì, questo


Particolare delle concrezioni, foto di D. Antonetti.

sistema diventi un grande complesso di grotte percorribili, e sai che “traversata”, altro che Corchia! Un domani quindi la provincia di Pistoia potrebbe vantare allora uno dei più grandi complessi carsici del mondo… c’è solo da avere pazienza. Ma che c’entra Grotta Maona con tutta questa storia? C’entra… perché anche nella zona subito a nord di Montecatini Terme, dove si apre la Maona, affiorano le rocce delle formazioni del Calcare Selcifero della Val di Lima e della Maiolica, le stesse che troviamo in Val di Lima e che ritroviamo anche al Colle di Monsummano. Esiste dunque una continuità strutturale, e quindi anche idrogeologica, tra queste tre aree carsiche; inoltre è stato più volte appurato che il torrente Lima “perde” acque nell’attraversare le rocce calcaree tra Tana a Termini e le Strette di Còcciglia. Grotta Maona farebbe quindi parte di questo grande sistema di circolazione sotterranea e potrebbe rappresentare le vestigia di una sua antica configurazione. di L. Piccini

Ringraziamenti 53

T A L P

Desideriamo ringraziare le proprietarie della grotta, Lubiana e Morena Tanteri, per averci raccontato la loro storia, l’attuale gestore del Disco Club, Quinzio Cesare, per averci dato libero accesso al luogo, Simone Rastelli e Patrizio Pierallini del GSPt per l’aiuto fornito.

R I V I S T A

BIBLIOGRAFIA

Pierallini P. (1994): “La grotta che non c’è. Un altro caso di disaccatastamento”. Talp, n. 9, p. 3.

F S T

27

D E L L A

ASFOR (1906): “La Grotta Maona. Impressioni, ricordi e schizzi”. Tipografia della Biblioteca di Cultura Liberale, Firenze, p. 16 Duchi V., Fazzuoli M., Piccini L., Chiappini L. (1998): “Idrogeologia e geochimica del sistema termale di Monsummano” in Fazzuoli M. (cur.), “Il Colle di Monsummano Alto: Le Pietre e le Acque”. Pacini Ed. Pisa, pp. 63-78.


ESPLORAZIONE T A L P

. Fig. 1. Quadro in legno della Galleria principale, primo livello della miniera, foto di E. Poggetti.

Un mistero svelato per caso: piccola esplorazione nei Monti di Campiglia Marittima

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

di Emilio Poggetti (Gruppo Speleologico Maremmano CAI) È primavera, le giornate iniziano timidamente a diventare serene, con Gianluca e Giulio, amici della provincia livornese, decidiamo di dedicare un’uscita per andare alla Buca della Scarpa (T/ LI 1375), che si trova nell’area carsica di Campiglia Marittima. Decidiamo di prenderla con calma e durante l’avvicinamento ci fermiamo a curiosare in alcuni buchetti che ci rubano tempo e non regalano speranze esplorative. Durante l’avvicinamento alla Buca della Scarpa, mi torna in mente anche l’ingresso di una grotta-miniera (ambiente di natura carsica ampliato dall’uomo ad uso minerario; Cascone, 1991), che avevo trovato in passato e che si trovava vicino ad una grande galleria di una miniera.

28

Ritroviamo l’ingresso, armiamo e scendiamo. La grotta-miniera, è un pozzo stretto e profondo circa 20 metri. Solo in seguito abbiamo scoperto che si trattava della Buca Verde (T/LI 474). Giunge l’ora di pranzo e allora usciamo, disarmiamo e decidiamo di mangiare qualcosa. Mentre prendiamo i pasti dallo zaino sentiamo delle voci che si avvicinano seguite dallo schioccare dei legni secchi calpestati. Restiamo un po’ sorpresi di incontrare delle persone in questa zona di bosco e così ci alziamo per far notare la nostra presenza. Con sorpresa scopriamo che sono altri speleo della zona, Massimo Sbrana, Mattia Orlando e Nando Ricceri. Dopo i saluti decidono di farci compagnia e


pranziamo insieme scambiando quattro chiacchiere. Ci raccontano di aver trovato, durante la discesa del versante, uno scavo a trincea nel quale si apre l’ingresso di una grotta-miniera. Dopo il pranzo i tre amici ci salutano e noi, invece di andare diretti alla Scarpa, decidiamo di fare una passeggiata nella galleria mineraria, che si trova lì di fronte. Entriamo e subito ci accorgiamo che sul pavimento si può ancora riconoscere l’impronta delle traversine e dei binari sui quali probabilmente venivano spinti i carrellini carichi di materiale. Gran parte dello scarto della roccia cavata si trova all’esterno e costituisce oggi un terrazzo artificiale nella piccola valle che lo ospita. La galleria mantiene la sezione quadrata per i primi 70 metri, poi ci troviamo a passare sotto ad un quadro (sostegno in legno della galleria; Fig. 1) dove la fratturazione della roccia diventa più frequente. Qui infatti la roccia è più “fragile”, la sezione si allarga per una decina di metri, e sul pavimento si trovano molti detriti che testimoniano

l’instabilità delle pareti. Passata questa sala la galleria principale procede per altri 20 metri prima di essere intercettata, sulla destra, da un altro traforo. Proseguiamo dritto e incontriamo sulla volta della galleria due pozzi carsici che si chiudono verso l’alto. In corrispondenza di queste cavità verticali il pavimento si mantiene comunque in quota con quello della galleria principale a testimoniare che il vero fondo dei due pozzi è stato sepolto da materiale di scarto dell’estrazione. La galleria termina con una grande sala (Fig. 2), si tratta di un vuoto di coltivazione dove infatti i calcari risultano alterati dalla circolazione di fluidi, che hanno permesso la crescita dei minerali estratti in passato. In questo ambiente oltre ad una vecchia scala in ferro completamente arrugginita ci sono assi e tavole in legno a terra, ormai deteriorate, ma che in passato costituivano impalcature che consentivano di cavare materiale anche nei punti più

Inquadramento geografico degli ingressi.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

29


53

F S T D E L L A R I V I S T A T A L P

alti. Torniamo indietro e curiosiamo nel traforo che intercettava la galleria principale. A terra troviamo due tubi in lamiera di grande diametro (circa 30-40 cm) che venivano usati per areare la miniera durante la fase di scavo. La galleria termina dopo una ventina di metri, ma a metà di questa un cumulo di detriti preclude l’accesso ad un altro ambiente. Incuriositi scaviamo e passiamo oltre ritrovandoci così alla base di un pozzo artificiale, di sezione quadrata con a lato un grande tavolato di legno con ancora agganciato un tubo in lamiera identico ai precedenti. Il tutto è ancorato alla parete in maniera un po’ precaria. Il fatto che ci sia un livello superiore ci attira troppo. Decidiamo di concentrare il resto della giornata a esplorare questa vecchia miniera e di rimandare la visita alla Scarpa. Risaliamo il pozzo ed arriviamo in una galleria del secondo livello (Fig. 3). Qui troviamo i resti di alcuni attrezzi: vecchi chiodi, punte di piccone ed una vecchia carriola ormai stanca e

30

stesa al suolo come se un carico pesante l’avesse schiacciata. Da questa galleria accediamo ad un altro vuoto di coltivazione. Scopriremo poi dopo il rilievo che si trova precisamente sopra a quella del primo livello. Osservando le mineralizzazioni a parete ad un tratto mi ritrovo a passare in una piccola saletta nella quale faccio una scoperta che mi lascia sbalordito. Una scaletta in legno, perfettamente conservata, sale verso l’alto arrivando fino ad un terrazzino, anche questo in legno, e da qui ancora un’altra scala che porta ad un terrazzo naturale. Avviso Gianluca e Giulio ed insieme iniziamo a fantasticare. Anche se il loro aspetto sembra buono non ci fidiamo a salire su queste scale. Non abbiamo materiale per tentare una risalita e decidiamo allora di tornare la settimana seguente. Il giorno dopo telefono a Gianni Dellavalle per raccontargli la nostra esperienza e per sapere se conoscesse quella miniera. Mi dice di esserne


a conoscenza ma di non esserci mai stato e poi mi racconta di una “leggenda”, quella della Buca del Serpente (T/LI 638). Si narra che questa miniera intercetti questa grotta, un pozzo carsico che si sviluppa completamente in verticale per 100 metri, e che si trova a monte della galleria. Con Gianni cerchiamo di ricordare le nostre discese nella Buca del Serpente e ci pare difficile non aver mai notato niente, ma tutto può essere, infatti la miniera potrebbe intercettare la cavità a metà pozzo con una piccola finestrella oppure la giunzione potrebbe essere sotto al cumulo di detriti che si trova sul fondo del Serpente. La settimana seguente con Giulio, Luca ed Eleonora ci organizziamo e torniamo alla miniera dove facciamo un primo rilievo per verificare se lo sviluppo e se le quote corrispondono ad un eventuale giunzione con la Buca del Serpente. Con il rilievo ci fermiamo alle scalette di legno e proprio mentre stiamo per tornare verso l’uscita un forte boato coglie la nostra attenzione. Con occhi sgranati ci guardiamo ed iniziamo le nostre supposizioni, anche le più assurde: “È caduto un masso!?”, “È l’esplosivo della cava!...ma no, sparano solo la mattina.”. Poi

usciamo e piove… era un tuono! “Ma allora c’è un ingresso alto, e non siamo lontani!”. Nei giorni seguenti Giulio disegna il rilievo e posiziona in carta sia la miniera che il Serpente. Accidenti, sono vicini e sembra proprio che la miniera gli stia per arrivare sotto! Ci speriamo! Però poi ripensiamo anche a quell’ingresso che avevano trovato Massimo, Mattia e Nando. Che sia quello l‘ingresso alto? Nella terza uscita decidiamo allora di cercare la trincea per scendere la grotta-miniera. Dopo un po’ di ricerca lo troviamo, armiamo e scendiamo. Appena qualche saltino e troviamo scale simili a quelle che avevamo visto la volta precedente nella miniera (Fig. 4). C’era da aspettarselo. Delusi per non aver fatto la giunzione con il pozzone ci godiamo la discesa e concludiamo il rilievo.

Un equivoco bizzarro Alla fine dell’800 erano molti i naturalisti, soprattutto francesi, inglesi e tedeschi, che lasciavano il loro paese per esplorare e descrivere fenomeni naturali che incontravano durante i loro viaggi all’estero.

Fig. 2. Vuoto di coltivazione del primo livello, foto di E. Poggetti.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

31


Fig. 3. Pozzo di collegamento tra il primo ed il secondo livello della miniera, foto di E. Poggetti.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Nel campigliese tra i primi ad aver lasciato una testimonianza furono i francesi Burat (1845) e Simonin (1858). I due descrivendo i “filoni” magmatici che affiorano in superficie, fecero riferimento anche all’antica grotta-miniera (ingresso alto) scrivendo rispettivamente: “Une des lignes d’affleurements et de béblais métalliféres commence au Carboncino, passe au Temperino, traverse toute la masse du Carnasciale, le Monte-Rombolo, et a ètè suivie jusqu’à la Bocca del Serpente, excavation placée vers la cime du contrefort principal. La seconde commence environ à deux cents métres à l’est de la grande Cava, sur le Temperino, suit une ligne paralléle à la premiére en traversant la masse du Carnasciale, passe par les exploitations de la Cava del Piombo et s’élève sur les flancs du mème contre-fort, jusqu’à la Bocca della Colomba. Pendant ce trajet des deux lignes parallèles, quelques affleurements et quelques haldes intermédiaires semblent indiquer quel es gîtes souterrains dont elles révèlent l’existence se rèunissent quelquefois par des ramifications latérales.”

32

“Una delle linee dell’affioramento e dei detriti metalliferi inizia al Carboncino, passa per il Temperino, attraversa l’intera massa di Carnasciale, il Monte Rombolo, e segue fino alla Bocca del Serpente, escavazione situata verso la parte superiore del contrafforte principale. Il secondo inizia a circa duecento metri ad est della Grande Cava, sul Temperino, segue una linea parallela alla prima attraversando la massa di Carnasciale, lo scavo della Cava del Piombo e si eleva sui fianchi dello stesso contrafforte fino alla Bocca della Colomba. Durante questo percorso, delle due linee parallele, qualche affioramento e le discariche intermedie, indicano quali sono i siti sotterranei e rivelano l’esistenza di qualche giunzione che unisce a volte rami laterali.” “Les deux dykes […] sont à peine a 250 métres de distance l’une de l’autre. Elle partent de la Gran Cava, où l’exploitation étrusque a été des plus actives, at aboutissent sur la ligne de fâite du Monte Calvi: l’une à la Buca del Colombo, puits immense ouvert dans les marbres et de plus da 100 mètres de profundeur verticale;


La lunga storia mineraria del campigliese

R I V I S T A D E L L A F S T

33

T A L P

Per quattro secoli coltivarono nuovamente le aree minerarie abbandonate da secoli e fondarono villaggi fortificati come la Rocca di San Silvestro e la Rocca di Campiglia (Dini et al., 2013). All’inizio del 1300 la fortuna mineraria dell’area declina a causa dello sfruttamento delle argentiere sarde da parte dei Pisani e delle nuove aree produttive come la vicina Massa Marittima, e i villaggi minerari di Campiglia si spopolarono nuovamente (Carli, 2010; Dini et al., 2013). Solo nel XVI secolo riprenderà l’attività mineraria grazie alla politica del Granduca di Toscana Cosimo I de Medici, che a seguito di prospezioni minerarie invio sul territorio maestranze di origini tedesca, esperte nell’estrazione e nella fusione dei solfuri di piombo, argento e rame (Dini et al., 2013). La gente locale soprannominò questi minatoti “Lanzi” in ricordo dei soldati mercenari che appena trent’anni prima avevano attraversato la Toscana per andare a saccheggiare Roma. Il loro soprannome rimase impresso nel toponimo della valle che passa ai piedi della Rocca, la Valle dei Lanzi, e risale a questo periodo la costruzione dell’edificio che li ospitava: Villa Lanzi (Carli, 2010; Dini et al., 2013). Ma anche in questo caso lo sfruttamento minerario non durò molti anni e nel 1559 verrà interrotto per la difficoltà di eliminare le impurità che danneggiavano la fusione dei minerali di argento e rame estratti (Carli, 2010). Nel periodo della rivoluzione industriale si ha una ripresa dello sfruttamento delle risorse metallifere ma fu solo dalla seconda metà del XIX secolo ai primi anni del XX secolo che si alternarono varie società inglesi per lo sfruttamento della miniera di Piombo vicino a Villa Lanzi (Carli, 2000). L’ultima di queste, l’Etruscan Mines, riattivò le miniere ancor prima di accertarsi della consistenza delle residue masse mineralizzate, costruendo un imponente impianto di lavorazione e un villaggio minerario annesso, ma la loro attività durò solamente dal 1901 al 1907 (Carli, 2000). La storia dell’attività estrattiva dei marmi di Campiglia, parallela a quella dei metalli

53

Tra i Monti di Campiglia, per tre millenni, quantomeno sin dal tempo degli etruschi per arrivare al secolo scorso, si è sviluppata un’importante attività mineraria legata alla presenza di mineralizzazioni a solfuri misti. Carli (2010) distingue quattro grandi momenti ben differenziati nel tempo; il primo Preistorico e Protostorico, il secondo è il periodo Etrusco Romano (dal VII al I secolo a.C.), il terzo periodo appartiene al Medioevo (dal X al XIV secolo) ed un ultimo periodo considerato Moderno (XVI secolo). La più antica traccia di attività umana ritrovata nel territorio risale al Paleolitico Medio ed è un sito del Musteriano situato vicino a Botro ai Marmi, costituito da una serie di strati, per uno spessore complessivo di 7 metri, nei quali sono stati rinvenuti per la maggior parte raschiatoi ricavati da ciottoli di piccole dimensioni (Carli, 2010). La presenza degli etruschi è testimoniata dal polo insediativo di Poggio Le Strette, sommità equidistante dall’area mineraria ed il mare. A questo insediamento potrebbero essere correlate anche la necropoli con tombe a tumulo alle pendici di Monte Rombolo (Casini 1993). Insediamenti strettamente legati all’attività mineraria, invece, sorgevano a poche centinaia di metri dai giacimenti ed ebbero una vita longeva che proseguì durante la romanizzazione fino al II-I sec. a.C. periodo nel quale sembra esaurirsi l’interesse alle risorse minerarie (Casini, 1993). Il desiderio del metallo spinse gli etruschi a scavare cunicoli, pozzetti e soprattutto grandi camere sotterranee, sfruttando le superfici di discontinuità naturali e vuoti carsici preesistenti. Dimostrazioni di queste attività sono la Buca di Poggio all’Aione (T/LI 635) che attualmente raggiunge i 2 km di sviluppo (Cascone, 1993), e la Buca del Biserno (T/LI 1181) con 600 metri di sviluppo e ben 115 metri di dislivello totale (Cascone, 1995). Attorno al X sec. d.C., si ha la ripresa delle aree estrattive abbandonate ad opera soprattutto della famiglia Della Gherardesca, che dominava sulla costa da Pisa a Campiglia.


53

F S T D E L L A R I V I S T A T A L P

preziosi, è ben descritta dal Merciai (1936), il quale fa riferimento in particolare alle varietà merceologiche che si trovano a M. Rombolo e che sono state sfruttate sin dai romani per usi civili e artistici. Ancora oggi a Campiglia continua l’estrazione di rocce calcaree, come ben visibile anche percorrendo la strada statale SS1 (via Aurelia) dalla quale si possono vedere i fronti di coltivazione delle cave.

Allo stesso tempo una parte dell’area è stata tutelata dalle amministrazioni e affidata alla Parchi Val di Cornia S.p.A. (www.parchivaldicornia.it), che permette di poter apprezzare la ricchezza del territorio e la sua memoria storica, attraverso numerosi percorsi all’aperto e in sotterraneo.

l’oricice est de forme elliptique, et a 12 métres environ sur le grand axe et 5 métres sur le petite. L’autre traînée de déblais se termine à la Buca del Serpente, en aval de la précédente, et le puits vertical ouvert en ce point se divise, aprés une vingtaine de métres, en deux autres puits trésétroits, qui paraissent se rejoindre ensuite […]”

Come Burat e Simonin, successivamente anche il tedesco Gerhard vom Rath descrisse l’ingresso della grotta-miniera aggiungendo che i pozzi di accesso al giacimento, nel 1877 risultavano inaccessibili. Presumibilmente i minatori che poi scavarono la galleria nel XX secolo ebbero l’intenzione di intercettare il giacimento, già coltivato nel passato.

“I due dicchi […] sono distanti appena 250 metri l’uno dall’altro. Partono dalla Gran Cava, dove lo sfruttamento etrusco è stato più attivo, e finiscono sul crinale del Monte Calvi: uno passa per la Buca del Colombo, enorme apertura nei marmi, profondo più di 100 metri; l’ingresso è di forma ellittica, misurando circa 12 metri sull’asse maggiore e 5 metri su quello minore. L’altro percorso di detriti termina alla Buca del Serpente, situata a valle della precedente, e il pozzo verticale aperto in questo punto si divide dopo venti metri in altri due vani molto stretti, che sembrano riunirsi successivamente” Questi brevi paragrafi estratti dalle loro opere riescono a spiegare in modo evidente un equivoco toponomastico che si è creato nel tempo. La cavità che oggi conosciamo come Buca del Serpente (T/ LI 638) in passato veniva chiamata Buca del Colombo o della Colomba, mentre come Buca del Serpente veniva indicata l’antica grotta-miniera, probabilmente coltivata fin dai tempi degli etruschi (come molte altre miniere di quel tipo che si trovano in questo territorio).

34

Il saggio minerario A metà del ‘900, la Società Montecatini possedeva diversi permessi di ricerca a Campiglia M.ma, tra questi quello del “Temperino” e della “Valle dei Lanzi” che erano concessi alla Società Miniera di Campiglia, mentre restava titolare dei permessi “Valle San Silvestro” e “I Manienti” (Benedettini, 1983; Aquater, 1996). La Soc. Montecatini eseguì dapprima indagini geoelettriche, che segnalarono interessanti anomalie di carattere minerario, poi negli anni 1953-54 effettuò campagne di perforazione e negli anni 1957-59 scavò e coltivò il Saggio Minerario della Buca del Serpente, estraendo mineralizzazioni di solfuri che raggiungevano un tenore del 4,5% in zinco e 2,5% in piombo (Benedettini, 1983; Aquater, 1996). La Soc. Montecatini cessò di esistere nel 1966 quando venne incorporata dalla Edison assumendo la nuova denominazione Montedison S.p.a.. Purtroppo le notizie a riguardo di questa miniera non sono molte e ad oggi una parte del


Fig. 4. Pozzo della grotta-miniera con scalette in legno, foto di E. Poggetti.

patrimonio librario di questa società è conservato presso la biblioteca dell’Università degli Studi di Milano Bicocca ma non risulta consultabile al pubblico perché non è stato ancora trattato e catalogato. RINGRAZIAMENTI Ringrazio Gianni Dellavalle e Lucia Montomoli per i loro consigli e gli amici del Gruppo Speleologico Archeologico Livornese, Eleonora Pecunioso, Gianluca Salvadori, Giulio Della Croce e Luca Tinagli, per il lavoro svolto insieme in questa miniera. Un doveroso ringraziamento va al Parco Val di Cornia, e al Comune di Montecatini Val di Cecina per avermi permesso di svolgere le mie ricerche nei loro archivi. In particolare voglio ricordare per il Parco Archeominerario di San Silvestro, la coordinatrice Debora Brocchini, e per il Comune di Montecatini, Fabrizio Rosticci e l’amico Daniele Gianchecchi.

BIBLIOGRAFIA

R I V I S T A D E L L A F S T

35

T A L P

VOM RATH G., 1877. I monti di Campiglia nella Maremma Toscana. Boll. del R. Comitato geologico d’Italia, n.8, pp. 192-193.

53

AQUATER 1996. Relazioni conoscitive, n.7, Storie delle Miniere Lanzi e Temperino. BENEDETTINI G., 1983. Le miniere a Campiglia: dagli Etruschi ai giorni nostri. Editore Bandecchi & Vivaldi, 195 p. BURAT A., 1845. Minerais du campigliese. Etude sur les mines. Théories des gîtes métalliferes. Paris, pp. 230-247. CARLI E, 2010. Etruscan Mines. La complessa storia di un’industria mineraria. Felici Editori Srl, 227 pp. CASCONE G., 1991. Esplorando nella macchia mediterranea. Rivista della Federazione Speleologica Toscana, TALP, 4, pp. 27-31. CASCONE G., 1993. La zona speleologica del Massiccio del Monte Calvi. Primo contributo alla sua conoscenza. La scienza della Terra nell’area della provincia di Livorno a sud del fiume Cecina. Quaderni del museo di Storia Naturale di Livorno. 13 Supplemento n.2, pp. 183-212. CASCONE G., 1995. La buca del Biserno: dedalo verticale. Rivista della Federazione Speleologica Toscana, TALP, 15, pp. 29-33. CASINI A., 1993. Archeologia di un territorio minerario: i Monti di Campiglia. La scienza della Terra nell’area della provincia di Livorno a sud del Fiume Cecina. Quaderni del museo di Storia Naturale di Livorno. 13 Supplemento n.2, pp. 303-313. DINI A., GUIDERI D., BROCCHINI D. & SEMPLICI A., 2013. La storia mineraria. Rame argento stagno: un metallo ogni epoca. Rivista Mineralogica Italiana, 1/2013, pp. 12-20. MERCIAI G. 1936. I Marmi di M. Rombolo presso Campiglia Marittima - Atti Società Toscana Scienze Naturali, Vol. XLVI, pp. 61-73. SIMONIN M.L., 1858. De l’exploitation des mines, et de la métallurgie en Toscane pendant l’antiquité et le moyen age. Annales des Mines, 14, pp. 557-615.


IMMAGINI T A L P T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Foto di A. Roncioni: in alto e in basso, Buca della Carriola (T/LU 1844).

36


T A L P

POZZI E MEANDRI

IMMAGINI 53

T A L P

In alto, foto di M. Faverjon: a destra, passaggio in meandro all’Abisso Satanachia (???? T/??); a sinistra, il Pozzo Firenze, Abisso Saragato (T/LU 350).

R I V I S T A

In basso, foto di E. Poggetti: a lato, seconda risalita alla Buca del Faggeto Tondo (Costacciaro, PG).

D E L L A F S T

37


T A L P

38 38

R I V I S T A

D E L L A

F S T 53

T A L P

IMMAGINI


T A L P

IMMAGINI

Nella pagina a fianco, il pozzo d’ingresso della Buca di Mocesi (T/LU 297), foto di S. Lenci. In basso, Grotta del Sasso Colato (T/GR ?????), foto di G. Dellavalle.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

39 39


PREMIO GIANNOTTI T A L P 53

F S T D E L L A R I V I S T A T A L P

Caratterizzazione delle formazioni superficiali e monitoraggio di un ambiente ipogeo: il Bottino di Fonte Gaia, Siena di Gaia Fralassi

.

Introduzione Il presente lavoro di tesi si inquadra in un più ampio rapporto di collaborazione esistente da oltre venti anni tra l’Unità di Ricerca “Conservazione dei Beni Culturali” del Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena, e gli enti pubblici senesi, in particolare la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Siena e Grosseto, oggi Soprintendenza Belle arti e Paesaggio delle provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, il Comune di Siena nei suoi uffici di Direzione Territorio Ufficio Urbanistica e Servizio Manutenzioni e gli uffici dell’USL 7 Siena. Lo studio è iniziato con la caratterizzazione delle tipologie di alterazione presenti sulle pareti dei cunicoli sotterranei del Bottino di Fonte Gaia, che ha poi portato ad eseguire ulteriori approfondimenti, tra cui il monitoraggio delle condizioni microclimatiche. Tali studi sono trattati nel corso della presente tesi e non sarebbe stato possibile effettuarli senza la grande disponibilità dei dirigenti e del personale della Direzione Territorio, Servizio Manutenzioni, del Comune di Siena e dei soci dell’Associazione La Diana, che non solo ci hanno autorizzato ad effettuare quanto di seguito esposto, ma ci hanno anche fornito supporto logistico, sempre pronti e disponibili all’apertura di aree accessibili al pubblico soltanto in determinati periodi, dandoci la possibilità di effettuare sopralluoghi, campionamenti, ecc. Oltre al monitoraggio di questo ambiente,

40

e allo studio delle alterazioni qui sviluppatesi, questo lavoro si propone di gettare le basi di ulteriori studi e progetti relativi ai Bottini (la cui mappa è illustrata in Fig. 1), da potersi sviluppare in un futuro.

I bottini di Siena Il Governo dei Nove (che prendeva nome dal numero dei suoi rappresentanti) governò dal ‘200 fino al 1355 ed era formato da un’oligarchia di mercanti e banchieri. La loro politica era permeata dal pensiero del Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti legata allo sviluppo della città e della campagna: quella che appare negli affreschi dello stesso (nella Sala della Pace del Palazzo Pubblico di Siena) era la città tanto sognata dai mercanti. Così Siena cambia la propria immagine con il loro operato che modificò in modo inedito la scena architettonica della città: alla pietra grigia e al legno si sostituisce il laterizio con la sua connotazione cromatica rossa, si ha la costruzione del Palazzo Comunale, della Torre del Mangia e la sistemazione di Piazza del Campo. In questo periodo politico di forte sviluppo, uno dei bisogni più elementari e fondamentali delle città era l’acqua.


Fig. 1. Mappa dei 25 chilometri dei Bottini di Siena con il tratto indagato riquadrato in rosso.

Il mormorio delle acque sotterranee della Diana sarebbe udibile nel silenzio più totale in due punti della città: nella zona di Porta Ovile, a nord-est, e nella zona di Pian dei Mantellini, a sud-ovest. Non a caso, attigua a quest’ultima zona c’è una via chiamata Via della Diana, in

53

T A L P R I V I S T A D E L L A

Ciò serviva ad assicurare l’approvvigionamento idrico non solo per dissetare uomini e animali, ma anche per macinare il grano, per lavorare le pelli e la lana, ed anche per spegnere gli incendi che, nell’antichità, erano molto frequenti. Da qui la necessità per la città di costruire i “Bottini di Siena”. Si trova citato nei documenti il termine “Buctinus” per la prima volta nel 1226, quando la città era dotata solo di una modesta rete di acquedotti. Contrariamente al suo significato di “pozzo nero” o “fogna”, il Bottino è qui inteso come “cunicolo”, o meglio, “recipiente per depurare le acque”. Il nome deriva dalla specificità della costruzione dei cunicoli poiché tutte le gallerie hanno volte a “botte” di norma alte circa 1,80 metri e larghe 0,90 metri (Fig. 2), fatta eccezione per quella di Fontanella, di probabile origine etrusca, che presenta una struttura a capanna. Secondo una tradizione medievale, nel sottosuolo di Siena scorrerebbe un fiume: la Diana, che i senesi hanno sempre cercato. Questo fatto deriva dall’importanza che l’acqua ha sempre avuto per questa città sorta su tre colline, in una posizione certamente salubre e difendibile dagli attacchi nemici, ma che rendeva difficile l’approvvigionamento idrico.

41

F S T

Fig. 2. Scorcio di Bottino con la tipica volta a botte.


riferimento al leggendario fiume sotterraneo. A partire dall’inizio del ‘300, il comune approva e finanzia la costruzione di scavi alla ricerca del Diana, con l’aiuto di maghi e astrologi, che intrecciano il loro operato con quello religioso. Nel 1295 il Consiglio Generale della Repubblica di Siena finanziò ulteriori scavi anche in altre zone lontane della città. Nel XIII-XIV secolo si spese molto denaro pubblico nella ricerca del fiume sotterraneo, ma per quanti sforzi si facessero il fiume non si trovava. I notevoli costi della ricerca erano ben noti anche alla rivale Firenze che la considerava un insensato dispendio di risorse, tanto è che Dante la cita nella Divina Commedia: la senese Sapia chiede a Dante di ricordarla ai suoi parenti che troverà a Talamone intenti a scavare insensatamente un porto così come hanno fatto per trovare la Diana: “Tu li vedrai tra quella gente vana che spera in Talamone, e perderagli più di speranza ch’a trovar la Diana; ma più vi perderanno li ammiragli”

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

(Dante, Divina Commedia, Purgatorio, XIII, 151-154) Da qui la necessità per Siena di costruire i Bottini: gallerie scavate nella sabbia, quasi tutte percorribili a piedi, che raccolgono le acque per stillicidio (infiltrazioni delle acque piovane delle colline circostanti) e la trasportano alle decine di approvvigionamenti (fonti e pozzi) medievali sparse per la città. Quando si passeggia per le vie di Siena e si ammirano le fonti medievali, è difficile immaginare che sono alimentate da una rete di 25 chilometri di gallerie costruite nel XIII-XV secolo, ancora oggi funzionanti e che hanno rappresentato l’unica fonte di acqua potabile fino alla prima guerra mondiale. Le prime testimonianze storiche di gallerie usate per l’approvvigionamento idrico di Siena risalgono al 394 d.C., ma i grandi lavori iniziarono nell’XI secolo per rispondere alle esigenze di una popolazione in espansione, talvolta utilizzando preesistenti fonti etrusche o romane. Per secoli si è pensato che i “Bottini” fossero stati progettati e costruiti solo per captare ogni tipo di acqua, mentre gli storici e la documentazione car-

42

tacea, conservata per secoli negli archivi, indicano che esistevano degli “assaggiatori” di acqua che indicavano se questa era buona, cioè captabile dal Bottino, oppure da scartare per evitare la contaminazione delle acque che arrivavano in città. Studi approfonditi hanno dimostrato che c’era un’ampia conoscenza del sottosuolo senese e che venivano fatti studi su come incanalare nei Bottini il maggior numero di litri d’acqua, utilizzando i contatti tra sabbie e argille; questo permetteva di avere uno strato impermeabile naturale che convogliasse le acque all’interno del Bottino (Costantini et al., 1982). I Bottini sono un gioiello di ingegneria idraulica tre-quattrocentesca ancora oggi funzionante, tanto che sono state mantenute alcune utenze.

La realizzazione dei Bottini Il cantiere medievale prevedeva l’operato di centinaia di persone, tra manovali, maestri e donne, anche se il lavoro nei Bottini era abbastanza lento, perché sul fronte della galleria poteva lavorare un solo uomo per volta. Si scavava utilizzando attrezzi rudimentali quali zapponi, picconi da tufo (con una punta sola) o da sasso (con due punte), pale e palette, paletti di ferro, succhielli, mazzapicchio per pietroni e scalpelli, ascioni per sagomare le spallette della galleria ed ancora uncini per togliere il deposito calcareo (gruma) dal gorello (Fig. 3) (operazione detta di “sgrommatura”). Inoltre veniva usato l’archipendolo, uno strumento fatto come una “A” con un filo centrale piombato che serviva per stabilire la pendenza (come un’attuale livella) che spesso era mantenuta costante con una pendenza dell’uno per mille, così che l’acqua, nel suo lento scorrere, potesse anche depositare impurità o calcare. Se il dislivello da coprire era maggiore, si ricorreva all’artifizio delle curve a serpentina: esse avevano la funzione di rallentare la velocità dell’acqua estendendone il percorso per mantenerne inalterata la pendenza. Dopo che un abbozzo di galleria era stato scavato, si provvedeva ad ampliarla e contemporaneamente a rinforzarla con archi, transetti e spesso spalline di laterizio per evitare frane e cedimenti. Quindi dietro ai minatori lavoravano anche carpentieri e molte altre persone, come i vetturali, cioè


Fig. 3. Canaletto di scorrimento dell’acqua detto “gorello”, con pendenza dell’1%o . Fig. 4. Apertura verticale fino alla superficie detta “smiraglio”, utile per areare l’ambiente sotterraneo, portare in superficie i detriti dei depositi rimossi durante i lavori, calare nel sottosuolo i materiali necessari alla manutenzione e orientarsi nel percorso il più possibile rettilineo.

R I V I S T A D E L L A F S T

43

T A L P

Per il Bottino di Fonte Gaia, invece, si iniziò lo scavo da due punti: Fonte Gaia e Santa Petronilla, nella stessa direzione, convergendo nel punto mediale, ed anche, sempre da Santa Petronilla, a Nord verso Fontebecci. Questo metodo era più veloce ma anche più difficile perché poteva capitare che le due gallerie non si ricongiungessero in quanto‚ passanti su piani diversi. Questo si nota in alcuni tratti dove i Bottini sono più larghi o hanno la volta molto più in alto del normale. Proprio per mantenere una certa direzione, in assenza di strumenti adeguati, ogni tanto si scavava in alto fino a sbucare all’aperto e questi pozzi, detti anche occhi o smiragli, servivano anche per areare le gallerie e permettere il trasporto in superficie dei detriti (Fig. 4). I rami principali dei Bottini sono due, situati

53

gli addetti al trasporto dei materiali e gli addetti ai rifornimenti alimentari, perché ci si accorse che il Comune avrebbe risparmiato tempo se avesse provveduto a portare il cibo sottoterra, anziché far uscire i lavoratori per la pausa pranzo. Questi avevano varie qualifiche: i manovali erano reclutati e pagati giorno per giorno ed erano precari. I maestri, gente più esperta, avevano un rapporto di impiego più duraturo e guadagnavano il doppio di un manovale, che a sua volta guadagnava il doppio di una donna. La paga comprendeva sempre anche un pasto: pane, vino, melone e talvolta carne. Accanto alla semplice manovalanza c’erano anche operai specializzati reclutati tra i minatori delle colline metallifere (Massa Marittima, Gerfalco, Montieri, Boccheggiano) che avevano un ingaggio duraturo e sicuro. Questi lavoratori erano chiamati “guerchi”, nome di derivazione tedesca (la spiegazione popolare vuole che fossero chiamati così perché, lavorando per mesi sottoterra, quando rivedevano la luce del sole ne venivano abbagliati tanto da restare privi della vista (guerci). Si riconoscono due metodi di scavo del cunicolo: nel caso del Bottino di Fontebranda, più antico, si scavava attaccando da una sola parte, cioè dalla fonte, risalendo lievemente e tenendosi sempre tra i due strati geologici che formano le colline senesi: uno superiore di sabbia gialla (arenaria pliocenica), porosa e permeabile, che filtra l’acqua piovana e l’altro, sotto, di argilla, compatta ed impermeabile che la raccoglie.


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Fig. 5. I galazzoni, le vasche sotterranee di decantazione.

su due livelli diversi: il Bottino maestro di Fontebranda (7,5 chilometri), che da Fontebecci e dal ramo di Chiarenna (zona nord di Siena) porta l’acqua a Fontebranda e scorre a profondità notevoli, e quello maestro di Fonte Gaia (15,7 km), più recente ma più lungo, che alimenta, col trabocco della Fonte in Piazza del Campo, anche altre fonti poste ad altitudini minori (Casato, Pantaneto, S. Maurizio, S. Giusto). Per far arrivare l’acqua in Piazza del Campo, a 320 m di altezza sul livello del mare, era necessario andare a cercarla più in alto e quindi soltanto a Nord, lungo il crinale che da Porta Camollia arriva a Fontebecci e oltre, unica direzione questa che non fosse interrotta da profonde vallate. Il Bottino maestro di Fonte Gaia ha origine, infatti, dai rami che provengono dal Colombaio e da Uopini e da S. Dalmazio e che si congiungono in prossimità di Fontebecci. E proprio a nord, in aperta campagna, i due Bottini maestri raccoglievano grandi quantità d’acqua che filtrava dai campi soprastanti; questo però costrinse a rivestire le gallerie con mattoni per evitare che l’arenaria, inumidita, crol-

44

lasse ostruendo il gorello. Le murature venivano realizzate con criterio, lasciando degli spiragli che facessero filtrare ugualmente l’acqua dalle pareti e dalla volta. Questo rivestimento in mattoni è spesso assente sotto la città in quanto le costruzioni e le strade lastricate evitano le infiltrazioni di acqua e con l’arenaria più asciutta è minore il pericolo di crolli. Proprio per evitare pericoli del genere e anche altri guai causati dall’incuria dei proprietari dei terreni sovrastanti il Bottino o gli smiragli, il Comune aveva emanato una serie di leggi molto severe che vietavano la circolazione agli estranei nei Bottini; vietavano inoltre le colture e la concimazione nella striscia di terra sotto cui passava il canale (per evitare che le radici lo rovinassero e che l’acqua si sporcasse) e vietavano di prelevare l’acqua per uso privato nel corso del Bottino, ecc.; una sorta di delimitazione delle odierne aree di salvaguardia. Soprattutto la paura che chi entrava potesse scorrazzare tranquillamente sotto la città, portò nel 1467 alla decisione di chiudere i vari ingressi posti fuori dalle mura. Non a caso infatti ci furono vari tentativi da parte dei nemici di penetrare nella città attraverso i suoi acquedotti: nel 1554 l’esercito dell’imperatore Carlo V tentò di prendere Siena passando per i Bottini e per poco non ci riuscì (Assedio di Siena). Nel giugno del 1944 i partigiani progettarono di liberare la città occupata dai tedeschi sempre per questa via, ma rinunciarono.

Il Bottino di Fonte Gaia Nel 1334 la Repubblica Senese affidò a Jacopo di Vanni l’incarico di addurre l’acqua in città captando alcune scaturigini presenti in una zona a nord di Fontebecci. La realizzazione di tale opera richiese otto anni e fu comunque terminata rispetto al tempo pattuito e nel 1342 l’acqua raggiunse la Piazza del Campo attraverso il Bottino maestro “e per la qual cosa i senesi per Siena si fece gran festa” e la fonte, detta pertanto Fonte Gaia, fu costruita, da Jacopo della Quercia, l’anno seguente.


L’acqua dei Bottini, comunque, alimenta ancora le fonti ed alcune utenze private.

I Bottini oggi

F S T

45

D E L L A

In uno studio sulla circolazione idrica nel sottosuolo senese (Ricci F., 1995-1996) è stato riservato un capitolo ai Bottini. I due Bottini principali sono quelli di Fontebranda e di Fonte Gaia; i loro percorsi partono dalla zona nord dell’area esaminata e più precisamente da Fontebecci e dal Colombaio e sono scavati interamente nelle sabbie plioceniche. Dal confronto che è stato fatto fra il percorso

R I V I S T A

Portata e bilancio idrogeologico

T A L P

Per quanto riguarda la situazione attuale, abbiamo una rete di Bottini perfettamente funzionanti nella loro parte terminale, cioè in prossimità della città, in quanto anche se qualche tratto è completamente rivestito di calcare (Fontanella), l’acqua arriva alle fonti nella dovuta quantità e molta se ne perde non essendo utilizzata. Nel 1994, un gruppo di inguaribili amanti di Siena e del suo incommensurabile patrimonio storico – artistico fondarono La Diana, associazione senza fini di lucro, basata sul volontariato e l’entusiasmo di tutti gli iscritti. A distanza di oltre vent’anni dalla sua nascita, la struttura organizzativa dell’Associazione La Diana è ancora attiva e svolge diverse mansioni importanti: - informazione, mirando alla sensibilizzazione dei cittadini nei confronti della problematica “Bottini”; - ricerca, tentando di accrescere ed approfondire il prezioso patrimonio di conoscenze sul tema “acqua”; - visite guidate, poiché sin dalla sua nascita, La Diana ha stipulato con il Comune di Siena una convenzione attraverso la quale si impegna a fornire gratuitamente guide per le visite nei Bottini, nella Fonte delle Monache e al Museo dell’Acqua di Siena; - lavoro, effettuando “sgrumature” (asportazioni delle incrostazioni calcaree) di Bottini ed altri interventi di pulizia e manutenzione di fonti minori, sempre concordati con l’Ufficio Tecnico del Comune di Siena.

53

Nel 1387 viene portato a termine il ramo di Uopini e si tenta di incanalare l’acqua di Mazzafonda nel Bottino di Fontebranda. Nel 1437 si lavora al ramo di Marciano. Nel 1438 si costruiscono, sotto il prato di Camollia, i galazzoni, una serie di vasche a stramazzo in cui l’acqua, che procede molto lentamente, decanta, liberandosi delle impurità e dell’eccesso di calcare per migliorare la qualità dell’acqua (Fig. 5). Nel 1466, anche se si continua a cercare altre vene, si ha la massima estensione dei Bottini, con 25 chilometri complessivi di gallerie. Per tutto il periodo che va dalla resa di Siena nel 1555 fino all’entrata in funzione dell’acquedotto del Vivo dopo la 1° guerra mondiale, Siena ha continuato ad utilizzare i Bottini come unica fonte di approvvigionamento idrico per i vari scopi precedentemente illustrati. La tranquillità e continuità politica derivante dall’inserimento nel Granducato di Toscana ha permesso che si badasse ai Bottini con più assiduità, per lo meno per il loro mantenimento, e così si sono preservati fino ai giorni nostri, subendo modifiche solo nell’ottocento, quando molti privati pretesero di allacciarsi alla rete idrica comunale tramite pozzi che raccoglievano l’acqua derivante dal gorello (cosa che, in verità, fu messa in atto già nel ‘500). Nacquero così le utenze private poiché spesse volte si erano verificati episodi di furti d’acqua. Il consumo di acqua veniva, e viene tuttora, misurato in “dadi”, che corrisponde a circa 400 litri di acqua nelle 24 ore. Per orientarsi nel mondo sotterraneo furono fatte delle piantine e si posero delle targhe (in parte ancora esistenti) in corrispondenza di ogni utenza privata, dove venivano indicati con precisione il nome dell’utente, l’ubicazione esatta della sua abitazione, la quantità dei dadi che doveva ricevere e la piccola pianta di quel ramo di Bottino. Questa rete di acquedotti sotterranei è stata sostituita ai primi decenni del XX secolo da un nuovo e moderno acquedotto che adduce, per gravità, l’acqua alla città di Siena dal Monte Amiata. Più recentemente, l’acqua di Siena arriva anche dalla sorgente del Luco, nella Piana di Rosia.


dei Bottini e la carta delle isopiezometriche redatta in questo studio, si evince che questi sono sempre situati al di sopra della zona satura individuata e ad una distanza variabile da un punto all’altro. Nell’ambito di tale studio, su questi acquedotti medievali è stata compiuta anche una ricerca sulla quantità dell’acqua che i Bottini trasportano verso le fonti. Sono stati raccolti dati storici di portata con misure non continuative relative al periodo compreso fra il 1950 e il 1984 e sono stata fatte misure dirette di valori di portata nei rami e nelle fonti. I dati ottenuti indicano che nei rami dei Bottini la quantità d’acqua non aumenta mano a mano che ci si sposta dalle sorgenti alle fonti: in pratica, tutta l’acqua che è canalizzata inizialmente è quella che poi viene trasportata alle fonti medesime. Mediamente, dai dati storici è stato ricavato che il Bottino di Fonte Gaia ha avuto una portata di circa 3 l/s e quello di Fontebranda di circa 10 l/s. In vari punti dei Bottini sono stati fatti prelievi d’acqua ed i campioni analizzati mostrano caratteristiche praticamente simili a quelle di altri campioni presi nell’area di Siena. L’acqua che circola nell’acquifero è dello stesso tipo di quella trasportata dai rami dei Bottini.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Inquadramento geologico L’area oggetto della presente tesi fa parte del cosiddetto Bacino di Siena (Bossio et al., 1993), uno dei bacini neogenici classicamente riconosciuti nella Toscana Meridionale in seguito all’instaurarsi di un regime tettonico distensivo che ha seguito quello compressivo collegato alla strutturazione della Catena Appenninica. Tali Bacini si sono evoluti a partire dal Tortoniano (Carmignani et al., 1994; Elter & Sandrelli, 1995) anche in relazione a importanti variazioni del livello marino che hanno condotto alla deposizione di spesse successioni sedimentarie marine, costiere e continentali. Il Bacino di Siena, dove ricade l’area della tesi, nel Pliocene è caratterizzato da una sedimentazione marina di tipo clastico: con alternanze di facies argillose, argilloso-sabbiose e sabbiose con intervalli conglomeratici (Lazzarotto, 1993).

46

L’Arenaria Pliocenica è la formazione geologica più caratteristica di Siena. Questa città nasce infatti sopra a tre colli costituiti di arenaria, la stessa che è stata utilizzata per costruire abitazioni e alcuni dei palazzi più importanti di Siena, come Palazzo San Galgano, Forteguerri e Palazzo Spannocchi, oppure utilizzata per costruire elementi architettonici associati con laterizio e intonaci colorati (Fabiani et al., 2001). Tale formazione deriva da livelli di sabbie del bacino pliocenico senese litificati da cemento calcareo. Il suo colore caratteristico è sui toni del giallo, motivo per cui viene spesso erroneamente chiamato “tufo”, data la somiglianza cromatica con questa litologia. La sua composizione mineralogico-petrografica è essenzialmente composta da: quarzo, carbonati, feldspati, frammenti litici, miche, ossidi e idrossidi di ferro e grani alterati di ossatura.

Caratterizzazione delle superfici e del loro stato di conservazione degli ambienti ipogei

Nel presente lavoro si riportano i risultati di un monitoraggio ambientale effettuato nel ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia, il cui interesse è dovuto alla presenza al loro interno di manufatti che versano in uno stato di conservazione alterato, all’afflusso di pubblico e alla non facile gestione di tale ambiente. Tale monitoraggio è stato finalizzato alla conoscenza e al controllo delle condizioni di conservazione e alla definizione delle cause di alterazione delle stesse. I Bottini di Siena rappresentano un ambiente ipogeo unico e raro, costruito non come luogo di sepoltura o di abitazione ma come sistema acquifero; infatti questa vasta rete di cunicoli attraversa la città ed è servita nei secoli a portare acqua alle numerose fonti dislocate dentro le mura per l’uso pubblico e più recentemente all’interno delle case dei più abbienti per usi privati. Lo studio dello stato di conservazione delle superfici costituisce un supporto e un documento di sintesi prima, durante e dopo il restauro. L’Italia è il primo paese a livello mondiale ad essersi dotata di una normativa specifica per la


- fisici: dissoluzione, idratazione, idrolisi dei materiali costitutivi, azione meccanica come il gelo e la cristallizzazione dei sali; - chimici: acidi e sali disciolti generano soluzioni corrosive (azioni sul legante carbonatico innescate da anidride carbonatica, o anidride solforosa oppure da acido solforico o ossidi di azoto); - biologici: attecchimento di licheni e piante infestanti che danneggiano e alterano la struttura della superficie lapidea. La causa principale dello svilupparsi di tali processi è l’acqua, la cui origine può essere: - meteorica (pioggia battente, acqua di ruscellamento); - umidità di condensa (consolidazione superficiale e interstiziale); - umidità di risalita (acque di scorrimento, falda freatica). La patina si presenta come un orizzonte superficiale complesso, costituito da più livelli variamente congiunti tra loro, spesso di diverso significato (es. croste nere, pellicole ad ossalato di calcio, fenomeni di ossidazione e solfatazione della superficie lapidea, incrostazioni di natura organica e inorganica, ecc.). Di questi “strati” occorre conoscere non solo la genesi ma anche le caratteristiche composizionali, per impostare al meglio l’intervento conservativo. La verifica del livello di qualità microclimatica degli ambienti espositivi deve essere valutata attraverso monitoraggi in continuo delle 53

T A L P

conservazione di quei beni che costituiscono il patrimonio culturale. Nasce per i bisogni di tutti nel 1977 la Commissione NorMaL. Lo scopo della Commissione era quello di stabilire metodi unificati per lo studio delle alterazioni dei materiali lapidei dei monumenti e per il controllo dell’efficacia dei trattamenti conservativi in essi operati. Essa pose una limitazione, interessandosi unicamente ai materiali lapidei, intendendosi con tale termine non solo le pietre naturali, ma anche i materiali artificiali utilizzati in architettura, quali stucchi, malte (indipendentemente dalla destinazione d’uso), prodotti ceramici (laterizi). Nel 1996 fu firmata dal Ministro per i Beni Culturali e l’UNI una convenzione, con lo scopo di attivare una collaborazione finalizzata all’elaborazione comune di norme tecniche, valide a livello nazionale ed idonee ad essere proposte a livello europeo. La mappatura dello stato di conservazione prevede le seguenti fasi: - osservazione macroscopica del complesso storico-architettonico, o manufatto, per individuare zone di maggiore interesse soggette da alterazioni superficiali; - campionamento sistematico delle superfici lapidee del Bene in tutte le sue varietà di aspetti, macroscopicamente osservabili e verosimilmente riconducibili a stati di conservazione diversi (fase di cantiere); - individuazione dei fenomeni alterativi sui campioni prelevati (fase di laboratorio) tramite analisi mineralogico-petrografiche; - definizione della corrispondenza tra dati diagnostici di laboratori e relativo aspetto macroscopico.

R I V I S T A

Principali processi di alterazione e degrado I processi di degrado possono essere divisi in tre categorie:

D E L L A

Fig. 6. Problemi di cedimento dell’arenaria.

F S T

47


condizioni microclimatiche su base annuale così da coprire le varie stagioni ed i diversi assetti impiantistici. L’elaborazione di base dei dati di monitoraggio consiste essenzialmente nell’analisi statistica dei valori medi orari e dei gradienti orari e giornalieri dei parametri presi in considerazione, nonchè nella loro elaborazione in termini di profili temporali.

L’ambiente ipogeo del bottino maestro di

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Fig. 7 - 8. Sopra, radici di alberi che si sono insinuate nella volta murata del Bottino. Sotto, radici sviluppatesi all’interno del gorello: la parte a ridosso della parete destra .

48

Fonte Gaia

Le principali problematiche che interessano i Bottini sono note da tempo. Tra le più significative occorre citare i numerosi e frequenti distacchi di porzioni di roccia (Fig. 6), talvolta anche significativi che possono dar luogo a vere e proprie frane sotterranee e la precipitazione di carbonato di calcio che in alcuni casi ha portato alla formazione di consistenti incrostazioni e stalattiti. L’eccessiva presenza di calcare nel gorello è sempre stata una minaccia continua per la funzionalità della rete idrica, perché, diminuendone la sezione, l’acqua esondava dal gorello stesso, con la conseguente problematica di interessare, per risalita capillare, le pareti laterali del Bottino. Frane e smottamenti erano provocate anche dalle coltivazioni proprio al di sopra del condotto, perché le radici degli alberi, attratte dall’umidità, penetravano nelle volte del Bottino, sconnettevano i mattoni, ne compromettevano la stabilità e favorivano la penetrazione delle acque superficiali. Purtroppo questa problematica è tutt’oggi presente, soprattutto nel tratto al di sotto dei Giardini della Lizza e di Piazza Gramsci (Fig. 7 e 8). Altri importanti tipi di alterazione riguardano l’interfaccia tra l’aria e la superficie dei solidi di questo ambiente ovvero pareti del cunicolo, targhe e mezzane applicate sulle pareti dei Bottini in corrispondenza delle diramazioni di questi (Fig. 9). Queste “lapidi” indicavano le utenze che sfruttavano la risorsa idrica, quindi il nome dei proprietari, la via di destinazione ed il quantitativo di acqua espresso in dadi (1/2 dado, 1, 2, 3 dadi, ecc.), spesso accompagnati da una bozza della cartina di quel tratto di Bottino.


Fig. 9. Una “targa” in buono stato di conservazione . Fig. 10. Tratto mattonato nel ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia interessato dalla presenza di funghi di notevoli dimensioni.

F S T

49

D E L L A

Il degrado delle targhe che riportano le utenze sfruttate nel passato è dovuto a diversi fattori legati principalmente alla condizione ipogea degli ambienti dei Bottini. Le infiltrazioni di acqua dalle volte, le correnti di aria, le condizioni

R I V I S T A

dagini scientifiche

T A L P

Stato di conservazione dei Bottini: in-

microclimatiche più o meno favorevoli, hanno favorito la cristallizzazione di sali solubili e la crescita di microrganismi bio-deteriogeni sulla superficie di questi oggetti. Sono state quindi condotte una serie di indagini scientifiche e un attento studio di tipo ambientale che ha visto coinvolti in un costante dialogo interdisciplinare i laboratori di geologia, geochimica, geofisica e biologia. L’attento esame dei fenomeni di alterazione presenti sulle superfici e le analisi di laboratorio hanno permesso di identificare vari tipi di bio-deteriogeni, tra cui alcune colonie fungine della classe Xerocomus rubellus, funghi che crescono nei nostri boschi e che prediligono i querceti (non sono velenosi anche se si consiglia di

53

Allo scopo di capire se le variazioni dei parametri microclimatici all’interno dei Bottini, e quindi gli scambi termo-igrometrici con l’aria esterna, possano essere causa determinante di queste alterazioni, sono stati monitorati i valori di temperatura e umidità relativa interni con appositi strumenti, per un arco temporale circa annuale (dal 16 Luglio 2014 al 15 Giugno 2015) e messi poi in relazione con i dati termo-igrometrici esterni. I risultati ottenuti sono riportati nel capitolo conclusivo. I Bottini senesi sono caratterizzati da valori di temperatura tra i 15° e i 18° C, con un’umidità relativa dell’aria di circa il 100%, con murature e volte impregnate di acqua carica di sali solubili. In queste condizioni estreme ogni minima variazione del microclima interno, dovuto a scambi con l’ambiente esterno, alla presenza di turisti, ecc., può essere causa di conseguenze per la conservazione delle delicatissime targhe delle utenze, con fenomeni di degrado quali attacchi microbiologici, cristallizzazione di sali sulla superficie pittorica, disgregazione dei pigmenti e degli intonaci.


Fig. 11. Particolare di una zona con forte presenza di fecal pellets.

allo stereo-microscopio, analisi ed osservazioni in sezione sottile e analisi spettroscopica.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Metodologie di indagine

mangiarli dopo buona cottura e aver buttato via la prima acqua) (Fig. 10). Sono state analizzate anche delle alghe simili al Cianobatterio (exalga azzurra) del gruppo Stigonematales, ovvero organismi filamentosi e ramificati, ma non sono state trovate caratteristiche distintive per cui si è potuto classificarli soltanto come “organismi viventi”. È stato trovato anche un micelio bianco di cui non è chiara la classe di appartenenza: si è potuto dire soltanto che è un Basidiomicete, forse sempre parte degli Xerocomus. I risultati di questa collaborazione sono stati presentati al “XVII Congress of European Mycologists” a Madeira nell’ Ottobre 2015, in un poster dal titolo “A surprising finding underground”, a cura della Prof. ssa Aggr. Claudia Perini del Dipartimento di Scienze della Vita. Sono stati individuati anche diversi piccoli organismi viventi come una lumaca della Classe Limacus Flavus e un millepiedi, “Miriapodo” (Classe degli Artropodi). Tali organismi, assieme ad altri non ancora classificati, come zanzare e anellidi trasparenti, lasciano resti biologici sulle pareti, tipo fecal pellets (Fig. 11), che possono contribuire al degrado dell’arenaria e delle targhe. Le alterazioni di natura chimica individuate sono state caratterizzate mediante campionamento, analisi ed osservazioni macroscopiche

50

Determinare la composizione chimica e mineralogica e la struttura delle rocce è compito della petrografia; vengono utilizzati tutti i metodi di analisi chimica (XRF, ICP-OES, SEM-EDX, TEM), compresi quelli per rivelare la presenza di elementi in tracce minime (ICP-MS), mentre per il riconoscimento delle singole specie minerali vengono impiegati la diffrattometria a raggi X e la microscopia in luce polarizzata. Per quanto riguarda il campionamento, è bene affrontarlo dopo aver approfondito tutte le notizie storiche, archivistiche ed iconografiche disponibili, dalla realizzazione dell’opera o del monumento, fino agli eventi subiti in tempi recenti, quali gli eventuali interventi di restauro. Sul posto è necessario osservare il fenomeno a livello macroscopico, per poter individuare le zone da cui prelevare campioni significativi, sfruttando, dove possibile, lacune, fessure, distacchi, che agevolino il campionamento. Una volta individuato il punto da cui asportare il campione si procede con la documentazione fotografica, che dovrebbe essere eseguita a vari ingrandimenti, sia per ubicare il campione nell’insieme dell’opera, sia con foto macro, se possibile anche in luce radente, per documentare nel dettaglio l’aspetto della superficie. Si procede poi al prelievo vero e proprio che consiste nell’asportazione, tramite bisturi o scalpello, di un frammento di formazione superficiale, possibilmente con una piccola porzione di substrato. Se possibile è opportuno prelevare anche polvere da analizzare al diffrattometro a raggi X. Devono essere poi annotati il motivo del prelievo, l’aspetto ed il tipo di campione e ogni altra informazione utile per indirizzare le successive analisi e per individuare le eventuali correlazioni tra campioni diversi. Una volta in laboratorio, la prima operazione da fare è quella di osservare i campioni allo ste-


scopio polarizzatore, vengono ricoperte con un vetrino copri oggetti, fatto aderire per mezzo di una goccia di olio di cedro.

Fasi dello studio diagnostico La prima fase di una campagna di analisi e restauro di un’opera d’arte qualsiasi prevede la realizzazione di un rilievo architettonico del monumento; nel nostro caso, il supporto di tipo cartaceo è rappresentato dalla mappa del ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia (forniti dall’Associazione La Diana). Si passa poi alle osservazioni fenomenologiche macroscopiche. L’osservazione diretta è volta ad una prima caratterizzazione visiva dei materiali e delle condizioni delle loro superfici. In questa fase vengono stabiliti i settori da campionare. La fase successiva è quella del prelievo dei campioni, seguita dalla fase analitica in laboratorio. Successivamente, si procede con la mappatura dei materiali e dello stato di conservazione. Poi, nel caso che sia già stata individuata la ditta di restauro, vengono eseguite le prove di rimozione di livelli e sostanze estranee all’opera in studio, consolidamento e protezione. Si eseguono in posto, da parte di un restauratore, prove con tecniche e prodotti diversi per la rimozione, il consolidamento e la protezione delle superfici, valutandone gli esiti con le analisi in laboratorio. 53

T A L P R I V I S T A

reo-microscopio, per lo studio delle superfici dei micro-frammenti che possono fornire indicazioni sullo stato di conservazione, sulla presenza di più livelli, sulla trasparenza o opacità delle pellicole, ecc. Questo tipo di osservazione è usata anche per la scelta dei frammenti da sottoporre alla preparazione di sezioni sottili. A questo punto il micro-frammento viene analizzato al diffrattometro a raggi X. Se disponibile si analizza il campione sotto forma di polvere, altrimenti si passa alla frantumazione e alla macinatura meccanica (con appositi pestelli di agata, Fig. 12) di frammenti del campione. I dati di diffrazione ottenuti vengono poi interpretati attraverso il confronto con banche dati di riferimento. La preparazione delle sezioni sottili prevede innanzitutto il corretto posizionamento del micro frammento in modo da ottenere sezioni perpendicolari alla superficie esterna del campione. In linea generale, il micro frammento viene posizionato all’interno di un contenitore in plastica riempito per metà con resina epossidica già indurita sul quale viene versata la resina liquida. Dopo aver trascorso 24 ore in stufa a 30°, il cilindretto in resina ottenuto viene estratto dal contenitore in plastica e spianato, attraverso smerigliatura, fino a raggiungere il frammento sul lato prescelto. Su questo viene incollato un vetrino portaoggetti. Dopo aver sottoposto il tutto ad irraggiamento con UV per alcune ore, si esegue, con apposito apparato, il taglio del cilindretto di resina in esubero, che può essere utilizzato poi, nel caso che racchiuda ancora una parte del campione, per la preparazione di una sezione lucida, e l’abbassamento del preparato incollato sul vetrino fino a raggiungere uno spessore di circa 70 micron. Il tutto viene poi passato su disco abrasivo per portare il preparato ad uno spessore di 30-40 micron. Le sezioni così ottenute, prima delle osservazioni al micro-

D E L L A

Fig. 12. Pestelli di agata di tre diverse dimensioni e vetrini porta oggetti.

F S T

51


Infine, si redige un computo metrico estimativo: una volta stabilite le tecniche ed i prodotti da utilizzare per il restauro dei vari materiali interessati dalle diverse tipologie di degrado è possibile effettuare una stima dei costi dell’intervento.

Metodi sperimentali in situ: XRF portatile, Campionamento di matrici ambientali (acqua fluviale) e Monitoraggio termo-igrometrico

Fig. 13. Spettrofotometro Olympus Delta Premium Handheld XRF Analyzer.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Fig. 14. Termo igrometro HygroLog D con sonda HygroClip S/S1 situato nel ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia. Come si può vedere sia dal valore riportato che dalla condensazione del vapore acqueo sullo strumento, l’umidità in questo ambiente è estremamente elevata.

52

La spettroscopia di fluorescenza X è una tecnica analitica basata sull’analisi della radiazione X emessa dal materiale. Si tratta di un’analisi non-distruttiva che può essere effettuata in aria (non in vuoto come per esempio il microscopio elettronico) e con strumentazione portatile. Essa è largamente adoperata per il riconoscimento degli elementi costitutivi di manufatti di interesse storico-artistico. Presso il ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia sono state effettuate rilevazioni speditive in situ sulle alterazioni cromatiche e sulle pigmentazioni presenti sulle targhe e sulle mezzane. Per effettuare tali misurazioni è stato utilizzato lo Spettrofotometro Olympus Delta Premium Handheld XRF Analyzer (Fig. 13), gentilmente messo a disposizione dal Prof. Alessandro Donati e dalla Dr.ssa Vanessa Volpi, del Dipartimento di Biotecnologie, Chimica e Farmacia di Siena. Il campionamento delle acque fluviali deve riguardare esclusivamente le acque di scorrimento (running waters). Per quanto possibile, bisogna porsi al centro dell’alveo dell’asta fluviale e prelevare il campione d’acqua a circa 2/3 d’altezza dal fondo. Nel prelievo del campione di acqua fluviale si devono evitare zone di turbolenza, di torbida nonché settori particolarmente ricchi in sostanza organica. In base agli elementi/specie chimiche da analizzare sono due i tipi di campione di acqua fluviale che usualmente sono prelevati: - campione di acqua fluviale filtrata ed acidificata (F-A); - campione di acqua fluviale “tal quale”, non


Fig. 15. Mappa del ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia con la collocazione dei campioni prelevati.

Per il monitoraggio del microclima dell’ambiente ipogeo dei Bottini di Siena sono stati usati registratori di umidità e temperatura, quali Termo-Igrometri Hygrolog D Rotronic con Sonda HygroClip S/S1 (Fig. 14), che effettuano, grazie al concetto di sonda digitale, misure estremamente precise. Sono stati posizionati 6 apparecchi termoigrometrici e attivati nel periodo che va dal 16 Luglio 2014 al 15 Giugno 2015, con scaricamento dati pressoché mensile. 53

Rilevamento dati e campioni

D E L L A F S T

53

R I V I S T A

Per questo lavoro sono stati effettuati prelievi sui materiali degli apparati decorativi ed elementi materici che si incontrano nel ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia. Sono stati riportati tutti i dati di laboratorio ottenuti, riportando, per ogni singolo campione, tutte le fasi diagnostiche, dalla descrizione macroscopica, con relative immagini del punto di prelievo (Fig. 15), all’analisi eseguita allo stereo-microscopio, alla descrizione micro-stratigrafica di ogni sezione analizzata al microscopio polarizzatore, alle analisi per diffrazione di raggi X.

T A L P

filtrata e non acidificata (NF-NA). Il campione di acqua fluviale filtrata ed acidificata (F-A) è utilizzato per la determinazione delle concentrazioni di gran parte degli elementi/specie chimiche in traccia ed ultratraccia (metalli, metalloidi e non metalli) mediante tecniche analitiche quali spettrofotometria di assorbimento atomico (AAS), spettrofotometria di emissione ottica accoppiata al plasma induttivo (ICP-OES) e spettrometria di massa accoppiata al plasma induttivo (ICP-MS). Il campione di acqua fluviale “tal quale”, non filtrata e non acidificata (NF-NA), è adoperato per la determinazione delle concentrazioni dei cationi (Na, K, Mg e Ca) ed anioni (cloruri, solfati, carbonati/bicarbonati) maggiori, nonché di altre specie anioniche (per es., nitrati, fosfati, fluoruri e bromuri) mediante tecniche analitiche quali spettrofotometria di assorbimento atomico (AAS), cromatografia ionica e titolazione colorimetrica. Le acque di scorrimento nei Bottini sono state campionate il 15 Luglio 2014 nel ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia. La strumentazione usata per misurare i parametri chimico-fisici in situ, è il Misuratore Portatile pH-mV-T Modello HD/8705 della Delta Ohm.


Tabella 1. Tabella riassuntiva dei campioni prelevati con relativa descrizione e collocazione.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Sopra è riporata la Tabella riassuntiva dei campioni prelevati (Tabella 1) e un esempio descrittivo del campione PI 506.

CAMPIONE PI 506 Descrizione del campione e punto di prelievo Frammento di arenaria prelevato dalla volta del Bottino all’ingresso di Fonte Gaia. Sull’arenaria sono state osservate delle concrezioni di colore violaceo (Fig. 16). Descrizione del campione allo stereo-microscopio Frammento di arenaria ocracea a grana medio-grande con alterazione superficiale di colore violacea. L’alterazione mostra un aspetto granuloso e a più strati, con cristalli grigio-giallognoli trasparenti (circa 0,04 mm) alla base, aggregati

54

più fini di colore bianco soprastanti ed un livello più superficiale di colore violaceo. Il campione mostra quindi 3 strati: arenaria non alterata, arenaria con alterazione bianca, arenaria con alterazione violacea che forma una specie di crosta (Fig. 17 e Fig. 18). Descrizione micro-stratigrafica del campione La struttura di questo campione di arenaria è di tipo clastico, caratterizzata da frammenti di rocce e di cristalli di diversa origine e natura. La tessitura è anisotropa, di tipo matrice-sostenuta (con matrice compresa fra il 15% e il 75%) e la classazione è moderata, con cristalli di grandezza eterogenea e forma abbastanza sferica da sub-angoloso a sub-arrotondato. Il campione ha una elevata maturità mineralogica, in quanto il quarzo è molto abbondante, e ha una bassa maturità tessiturale poiché la ma-


Fig. 16. Campione PI 506: punto di prelievo a diversi ingrandimenti. Fig. 17. Campione PI 506: il campione in una foto macro.

T A L P

Fig. 18. Campione PI 506: particolare a diversi ingrandimenti allo stereo-microscopio.

53

trice è presente in quantità elevata. Tra i minerali che formano lo scheletro della roccia, in ordine di abbondanza troviamo il quarzo, che si trova sia come quarzo monocristallino che composito. Il primo è presente in clasti a forma variabile, senza tracce di sfaldatura, con rare alterazioni interne e con estinzione prevalentemente retta. Il quarzo policristallino è presente sotto forma di clasti più o meno arrotondati e con i contatti tra i cristalli sia di tipo suturato che poligonale. Al solo polarizzatore appare incolore, limpido e trasparente, mentre a nicols incrociati ha colori di birifrangenza bassi sui toni del grigio del I° ordine; alcuni cristalli mostrano estinzione ondulata. Un altro minerale molto abbondante è il feldspato, presente in clasti di forma sub-angolosa, sia del tipo microclino, con geminazione polisintetica che forma la tipica struttura a graticcio, sia del tipo ortoclasio con geminazione Carlsbad. A nicols paralleli hanno un aspetto torbido di solito incolore, mentre a nicols incrociati hanno bassi colori di birifrangenza sui toni del grigio del I° ordine. Sono presenti anche i plagioclasi, feldspati calcico-sodici, con geminazione di tipo albite e con zonature evidenziate dalla variabilità degli angoli di estinzione che gli

R I V I S T A D E L L A F S T

55


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Fig. 19. Campione PI 506: sezione sottile osservata in luce trasmessa a nicols paralleli. Fig. 20. Campione PI 506: sezione sottile osservata in luce trasmessa a nicols incrociati.

conferisce il tipico aspetto zebrato. In generale, i feldspati si trovano spesso in parte alterati in sericite e minerali argillosi. I carbonati sono rappresentati principalmente dalla calcite, sia in forma clastica, formata da cristalli di diverse dimensioni associati in forma spatica e microcristallina, sia come calcite interstiziale, rappresentando la sostanza cementante dell’arenaria. Di seguito è possibile osservare la sezione sottile del campione PI 506 osservata in luce trasmessa a nicols paralleli (Fig. 19) e incrociati (Fig. 20). Al solo polarizzatore la calcite risulta incolore, mentre a nicols incrociati ha elevati colori di birifrangenza del IV° ordine. Tra i frammenti litici, abbondanti sono i frammenti delle rocce sedimentarie presenti in forma di clasti micritici sub-arrotondati, frammenti di selce e miche. Le miche sono presenti sia come prodotto di alterazione sericitica dei feldspati che in forma clastica. I cristalli di muscovite mostrano abito cristallino allungato, con tracce di sfaldature evidenti e elevati colori di birifrangenza a nicols incrociati del III° ordine, mentre a nicols paralleli risultano incolori. Sono presenti anche cristalli di biotiti, di colore bruno-giallastro al solo polarizzatore, con tracce di sfaldatura evidenti ed estinzione retta rispetto ad esse, spesso fortemente alterata fino ad assumere carattere interstiziale o a formare ossidi idrati di ferro. La sezione del campione PI 506 osservata in luce trasmessa a nicols incrociati è ben rappresentata in Fig. 20.

56

Gli ossidi e idrossidi di ferro hanno aspetto terroso, di colore bruno scuro e sono presenti principalmente a carattere interstiziale, in associazione al cemento di natura carbonatica, costituito principalmente da calcite microcristallina. Sono presenti come minerali accessori alcuni minerali opachi. Sulla superficie del campione è presente uno strato di spessore esiguo, circa < 20 micron, costituito da bio-deteriogeni di colore bruno scuro in luce riflessa, responsabili dell’alterazione cromatica violacea superficiale (Fig. 21 e Fig. 22).

Geologia e radon Per quanto riguarda l’origine e le sorgenti del Radon, questo è un elemento chimico radioattivo, scoperto nel 1900 dal chimico tedesco Friedrich Ernst Dorn come prodotto gassoso derivante dal decadimento del radio; è privo di colore e di odore. È il più pesante dei gas nobili e il meno inerte, infatti, se pur modestamente, può reagire con elementi più elettronegativi: fluoro, ossigeno, azoto e cloro. Il radon è solubile in acqua a bassa temperatura e come gas disciolto, viene trasportato anche a notevole distanza attraverso le acque di falda consentendo così la sua grande diffusione in natura. L’isotopo più abbondante ha numero di massa 222 e si forma per decadimento del radio 226; è radioattivo, e decade con tempo di dimezzamento di 3,8 giorni emettendo particelle alfa e


Fig. 21. Campione PI 506: sezione sottile osservata in luce riflessa, campo scuro con sfondo chiaro. Fig. 22. Campione PI 506: sezione sottile osservata in luce riflessa, campo scuro.

palmente: diffusione, convezione e trasporto da parte di un altro fluido (liquido o gassoso). In generale, considerato il breve tempo di dimezzamento, il radon presente nel suolo è dovuto al decadimento del radio degli strati più superficiali delle rocce e del suolo stesso. La quantità di radon presente negli stati superficiali del suolo dipende da una serie di fattori locali e variabili nel tempo; particolarmente rilevanti sono gli effetti del clima e delle variazioni climatiche stagionali e giornaliere, sia di pressione atmosferica che di temperatura ed umidità, fattori che influenzano fortemente la diffusione del radon dal sottosuolo alla superficie.

La misura delle concentrazioni del Radon

R I V I S T A D E L L A F S T

57

T A L P

Lo scopo della misura è quello di valutare se la concentrazione rientri nei limiti indicati a livello europeo dalla raccomandazione 90/143/ Euroatom del 21/11/1990 sulla tutela della popolazione contro l’esposizione a questo gas in ambienti chiusi. Tali misure normalmente, hanno una durata di un anno, o eventualmente, nel caso in cui sia possibile ricondurre il valore misurato ad una stima annuale, alcuni mesi. Le tipologie di campionamento nel tempo sono diverse: - la misura istantanea: questa può essere eseguita sul posto con uno strumento portatile che permette di campionare e di misurare in breve tempo la concentrazione di radon, oppure raccogliendo uno o più campioni di aria (anche in

53

trasformandosi in un isotopo del polonio. Il radon viene liberato continuamente da alcune rocce della crosta terrestre, in particolare da lave, tufi e alcuni tipi di granito. La presenza di radon dipende in massima parte dalla presenza nelle rocce e nel suolo di uranio e di radio. Tali elementi sono presenti sulla crosta terrestre in tutti i tipi di rocce e nei suoli in concentrazione variabile, generalmente comprese tra 0,5 e 5 mg/ kg, ma è possibile riscontrare localmente valori anche più elevati, come ad esempio: - nelle zone idrotermali: può accadere che i fluidi termali durante la loro naturale circolazione entrino in contatto con rocce contenenti grandi quantità di uranio e radio soprattutto se sono legate a masse di rocce magmatiche in fase terminale di raffreddamento; - nelle aree interessate da un carsismo sviluppato: tale processo di dissoluzione chimica che si sviluppa generalmente su rocce calcaree povere in uranio e radio, determina l’accumulo di residui insolubili ricchi di ossidi che possono contenere elevati tenori di questi elementi. Per quanto riguarda la sua migrazione, invece, il radon, una volta formato ed esalato dalle rocce e dai minerali, può entrare a far parte del sistema dei gas interstiziali delle rocce e dei suoli, oppure venire disciolto nelle acque di falda. In entrambi i casi il radon comincia un percorso di migrazione la cui estensione dipende in gran parte dal suo tempo di dimezzamento. I processi che determinano la migrazione del radon, come di qualsiasi altro gas, sono princi-


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

diverse stanze) in appositi contenitori, che vengono poi portati ed analizzati in laboratori specializzati. Normalmente la misura ha la durata di alcuni giorni. In questo tipo di misura la concentrazione di radon misurata darà solamente una informazione puntuale, valida cioè per quella ora e quel giorno: - la misura integrata; questo tipo di misura ci permette di ottenere un valore medio della concentrazione di radon nel periodo di osservazione. Può essere utilizzata o per un breve periodo di tempo (alcuni giorni) a titolo di studio o per un lungo periodo di tempo per stime più accurate (generalmente un anno). Inoltre, le tecniche di misura adoperate per il monitoraggio del gas radon possono essere classificate in base al metodo di campionamento ed in particolare possono essere suddivise in: - metodi di misura attivi: il campionamento prevede l’utilizzo di pompe. A questa categoria appartengono, per esempio, le camere a ionizzazione, le celle di lucas (cella a scintillazione), e la cartuccia di carbone attivo; - metodi di misura passivi: sono metodi di misura che utilizzano dei dispositivi in cui il campionamento dell’aria per la captazione del radon avviene per diffusione naturale. I dosimetri passivi sono dispositivi di misura adatti ad un campionamento di medio-lungo termine: da pochi giorni ad un semestre. Nel monitoraggio delle concentrazioni di Radon nei Bottini saranno utilizzati i dosimetri con camera a ionizzazione (Dosimetri E-Perm).

Discussione dei risultati Gli studi condotti hanno riguardato il monitoraggio del ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia (tratto da Fonte Giusta a Fonte Gaia) e i suoi interni. Lo scopo principale della presente

tesi è stato quello di approfondire le conoscenze sulle varie tipologie di formazioni superficiali presenti lungo il tratto indagato. Sono state inoltre eseguite indagini in situ, a livello sperimentale, tramite campionamento geochimico delle acque, per la loro caratterizzazione chimica, indagini con XRF portatile per determinare la composizione dei vari pigmenti e delle cromie di alterazione e un monitoraggio delle concentrazioni del radon presente nei Bottini. In questa pagina sono stati riportati i valori misurati in situ dei relativi campioni di acqua prelevata lungo il gorello nel ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia (Tabella 2). Ai fini della caratterizzazione idrochimica delle acque, la conoscenza della temperatura dell’acqua è determinante perché esercita un ruolo importante sul pH e sulla solubilità dei sali disciolti e, di conseguenza, sulla salinità e sulla conducibilità elettrica. In base alle nostre misure (Tabella 2), l’acqua dei Bottini può essere classificata come “acqua minerale fredda”. Ovvero acqua caratterizzata da T < Ta e < 20° C (dove T: temperatura media annua e Ta: temperatura media annua esterna). Risulta inoltre essere definita da valori di conducibilità elettrica che la fanno ricadere nella categoria delle acque molto mineralizzate, ovvero da acque caratterizzate da valori maggiori di 500 µS/cm e neutre, in quanto definite da valori di pH compresi tra 6,6 - 7,3. Il monitoraggio delle condizioni termo igrometriche e la registrazione continua delle condizioni ambientali del ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia sono state ottenute tramite 6 termo igrometri HygroLog D e sonde HygroClip S/S1, posizionati in punti considerati strategici per la presenza delle maggiori correnti d’aria o delle condizioni di degrado più spinte (Fig. 23). La digitalizzazione dei diagrammi a registra-

Tabella 2. La tabella riporta i valori misurati in situ dei relativi campioni di acqua prelevata lungo il gorello nel ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia.

58


Fig. 23. Mappa del ramo maestro del Bottino di Fonte Gaia con la collocazione spaziale delle sonde termo igrometriche.

R I V I S T A D E L L A F S T

59

T A L P

to dalle condizioni climatiche esterne. Pertanto, a nostro giudizio, non sembra necessario l’applicazione di soluzioni di condizionamento forzato artificiale o pareti per la realizzazione di camera di confinamento, in quanto modificare la natura stessa dell’ambiente causerebbe (forse) più danni che benefici per i Bottini stessi. Le alterazioni individuate, di natura chimica, sui 28 campioni che sono stati prelevati, sono state caratterizzate mediante campionamento, analisi ed osservazioni macroscopiche allo stereo-microscopio, analisi ed osservazioni in sezione sottile e analisi diffrattometrica; sono state poi condotte anche analisi con XRF portatile. Le indagini hanno mostrano la natura dei diversi campioni: di base si tratta di arenaria pliocenica (campioni PI 510, PI 520, PI 525), spesso interessata dallo svilupparsi di organismi bio-deteriogeni che provocano alterazioni cromatiche sulle superfici dell’arenaria (campioni PI 506, PI 508, PI 509, PI 511, PI 516, PI 519, PI 520). Sulla superficie di alcuni campioni sono presenti degli strati, più o meno importanti, di natura gessosa (campioni PI 514, PI 515, PI 517, PI 521, PI 531, PI 533, PI 535) e calcitica (campioni PI 513, PI 519, PI 521, PI 522, PI 523, PI

53

zione continua ha permesso la realizzazione dei grafici di seguito esposti, dove sono riportati i dati giornalieri (normalizzati all’ora legale) di temperatura e umidità relativa per tutto l’arco temporale considerato (dal 16 luglio 2014 al 15 giugno 2015), che evidenziano le variazioni di temperatura e di umidità relativa che sono state registrate nell’arco di 24 ore, ad intervalli di 30 minuti (vedi tabella 3 con valori medi, massimi e minimi dei vari mesi). Le modalità di registrazione dei valori ogni mezz’ora ha permesso la produzione di un database di oltre 14.000 dati; in questo modo si ha la possibilità di estrapolare l’andamento delle variazioni in un particolare giorno o settimana del periodo monitorato. A titolo d’esempio, si riporta l’andamento settimanale registrato dal 25 dicembre 2014 al 2 gennaio 2015 nella postazione 1 (Grafico 1). La sintesi del ciclo annuale di rilevazione è di seguito riportata (Grafico 2). Dal confronto dei dati ottenuti dal monitoraggio dei Bottini con i dati di temperatura e umidità rilevati dalla centralina metereologica del Comune di Siena si può affermare che l’ambiente ipogeo non risulta significativamente influenza-


53

F S T D E L L A R I V I S T A T A L P

Tabelle di confronto dei dati ottenuti con le varie sonde (riportate in Fig. 23).

60


Grafico 1. Sopra, grafico che mostra l’andamento settimanale dal 25-12-14 al 02-01-15 della postazione 1. Grafico 2. Sotto, grafico con i valori massimi, minimi e medi di temperatura e umidità della postazione 1.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

61


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Fig. 24 e 24a. A sinistra, stato di conservazione delle mezzane. A destra, particolare ingrandito della porzione superficiale di una mezzana (campione PI 535: sezione sottile osservata in luce riflessa, campo scuro).

529, PI 530, PI 533, PI 534). La loro presenza è probabilmente da attribuirsi ad una migrazione di sali trasportati e concentrati dalle acque e a fenomeni di deposito degli inquinanti provenienti dall’esterno. Inoltre, sono stati prelevati anche campioni di laterizio (campione PI 512) e di malte (campioni PI 507, PI 509, PI 518, PI 524, PI 528, PI 532, PI 533). Le targhe e le mezzane (Fig. 24 e 24a), oggetto di studio in questo lavoro, sono caratterizzate da una base di malta con legante a calce, risalente alla seconda metà del 1800, sulla cui superficie è stato steso uno strato uniforme di colore bianco, ovvero biacca.

Conclusioni Il presente lavoro di tesi porta nuovi contributi per la conoscenza dell’ambiente ipogeo dei Bottini senesi. È stato preso in esame il tratto finale del Bottino Maestro di Fonte Gaia, dove sono presenti varie iscrizioni circa le utenze ottocentesche, tratto che corrisponde anche al percorso oggetto di visite guidate. Sono state intraprese in primo luogo indagini relative a temperatura e umidità e analisi dello

62

stato di conservazione delle iscrizioni ottocentesche. Alcune di queste necessitano di interventi di restauro, da concordare con gli uffici preposti, Comune e Soprintendenze. Per questo è in corso lo studio del possibile utilizzo di prodotti innovativi. Durante i sopralluoghi e le osservazioni in situ sono emersi vari altri aspetti, alcuni dei quali trattati in modo preliminare in questa tesi, che meritano ulteriore approfondimento. Si tratta di fenomeni lenti e poco appariscenti, come, ad esempio, la localizzata e temporanea tracimazione dell’acqua dal gorello, la presenza di organismi vegetali ed animali, ecc. Un ulteriore auspicabile sviluppo per la conservazione dei Bottini è quello di intensificare le fattive collaborazioni già in atto tra Università, Comune di Siena, Associazione La Diana, AUSL 7 di Siena, coinvolgendo anche la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, e la Soprintendenza Archeologia della Toscana, in modo da arrivare ad un progetto più ampio che comprenda ricerca, monitoraggio, manutenzione, realizzazione di aere di rispetto, utilizzo delle acque e interventi di restauro.


BIBLIOGRAFIA ADAMS A. E., MACKENZIE W. S., GUILFORD C. “Atlante delle rocce sedimentarie al microscopio” BALDI A. M. (TOT). “Gli antichi Bottini senesi” BALESTRACCI D., COSTANTINI A., SANTINI R., SERRINI G. (2010). “Museo dell’acqua, Fonte di Pescaia, Siena” BALESTRACCI D., LAMBERINI D., CIVAI M. “I Bottini medievali di Siena” BALESTRACCI D., VIGNI L., COSTANTINI A. “La memoria dell’acqua: i Bottini di Siena” BARONE P., MASINI M., SANTINI R., SERRINI G., ZAGAGLIA C. “Siena città dell’acqua” BARTOLETTI L. “Il radon: tecniche di monitoraggio ed esempi di bonifica dal radon Indoor”. Tesi di Laurea della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Università di Siena (2003-2004) BOSSIO A. (*), MAZZEI R. (**), SALVATORINI G. (**), SANDRELLI F. (**). (2000-2002). “Geologia dell’area compresa tra Siena e Poggibonsi (“Bacino del Casino”)” CARLETTI C., PIAZZA A., SCIURPI F. (2007) Abstract “Monitoraggio della qualità dell’aria in ambienti ipogei” CAUSARANO M.A., SALZOTTI F., 2012, “Recenti interventi di recupero a Siena”, VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (L’Aquila, 12-15 settembre 2012), a cura di F. Redi, A. Forgione, All’Insegna del Giglio, Firenze, pp. 757-762 COPPOLA M. “Aspetti conservativi di antichi ambienti ipogei in arenaria sabbiosa: la collina di Poggio Gaiella a Chiusi (Si) COSTANTINI A., LAZZAROTTO A. E SANDRELLI F. (1982). “Conoscenze geologico-strutturali. In: il Graben di Siena.” P.F.E., Energia Geotermica. CNR FABIANI F., GIAMELLO M., GUASPARRI G., SABATINI G., SCALA A. (2001). “I materiali lapidei dell’architettura senese: l’arenaria pliocenica (“tufo impietrito”), il supporto scientifico all’intervento di restauro di palazzo spannocchi” FERRI S.- “Studio petrografico – applicativo delle sabbie plioceniche dell’area urbana di Siena”. Tesi di Laurea. Università di Siena (1992-1993) GIAMELLO M. (2013-2014). Dispense delle lezioni del corso “Le rocce dell’architettura storica” GURRIERI F., RENAI R. (2000). “Villa Salviati alla Badia: l’acquisizione della villa, l’opera di restauro, le grotte” “I Bottini di Siena” sito web dell’Associazione La Diana MENCHELLI D., MATTIVI M. L. (2006). “Toscana underground” NARDI A., UNIV. DI ROMA LA SAPIENZA. (2002). “Petrografia: manuale per lo studio delle rocce in sezione sottile” PELLEGRINI M.- “Gli speleotemi del Bottino di Fontanella”. Tesi di Laurea Triennale. Università di Siena (2010-2011) PIERI G. “Le Fonti di Follonica - Siena: applicazioni mineralogico-petrografiche, geofisiche e geoarcheologiche”, Tesi di Laurea Magistrale. Università di Siena (2014-2015) PIERINI M. (2001). “A ritrovar la Diana”. PINTO I., PICCIOLO F., STACCHINI F., CAVARRA N., CAPPELLO A. ASL 7 di Siena, Regione Toscana - Dipartimento di

53

T A L P R I V I S T A

Prevenzione - Laboratorio Agenti Fisici. “Studio pilota sul rischio di esposizione a Radon presso luoghi di lavoro interrati e presso stabilimenti termali sul territorio della Toscana meridionale”. PROTANO G. (2012-2013). Dispense delle lezioni del corso “Geochimica Applicata, Laboratorio” RICCI F.- “La circolazione idrica nel sottosuolo senese: idrogeologia e vulnerabilità”. Tesi di Laurea. Università di Siena (19951996) SALLEOLINI M. (2012-2013). Dispense delle lezioni del corso “Idrogeologia Applicata” SERIO V. (1997). “Siena e l’acqua: storia e immagini di una città e delle sue fonti” SIANO S. (2012). “Archeometria e restauro. L’innovazione tecnologica”. Nardini Editore TOTI E., DEI S. (2011). “La Fonte Gaia di Jacopo della Quercia: storia e restauro di un capolavoro dell’arte senese” UNI 10924 (2001) (“beni culturali – Malte per elementi costruttivi o decorativi – Classificazione e terminologia”) WORKSHOP, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO, COMPLESSO DI SAN MICHELETTO, LUCCA. (2012) “La conservazione dei sistemi ipogei: metodi, analisi, materiali ed esperienze di restauro”

D E L L A F S T

63


PREMIO GIANNOTTI

i piccoli mammiferi dei livelli musteriani di Guido Montanari Canini

Introduzione La Grotta dei Santi (o Grotta di Cala dei Santi) si apre nella falesia di calcare cavernoso risalendo verso nord da Punta Avoltore. Oggi la grotta è raggiungibile solamente via mare ma durante le fasi fredde del Pleistocene superiore il mare lasciava spazio ad una grande pianura. Lo studio dei piccoli mammiferi permette, se applicato ad un giacimento archeologico, di meglio definire le oscillazioni climatiche e quindi di ricostruire l’ambiente presente nelle zone limitrofe al giacimento. Le prime nozioni stratigrafiche riguardanti la Grotta dei Santi provengono dal lavoro di A.G. Segre (Segre, 1959) che nel corso di due sopralluoghi nella grotta raccolse, senza intraprendere attività di scavo, alcuni manufatti litici musteriani, accompagnati da resti faunistici. Segre identificò, fra le due formazioni stalagmitiche alla base e al tetto del deposito continentale, una sequenza stratigrafica che egli attribuì ad un pe-

.

riodo compreso all’incirca fra i 120 mila anni fa e l’inizio dell’Olocene (Moroni Lanfredini et al., 2010). Visto l’interesse e le potenzialità del sito, nel 2007 l’Università di Siena (attuale Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente – Unità di Ricerca di Preistoria e Antropologia) dette inizio, sotto la direzione scientifica di Adriana Moroni, alle ricerche nella grotta in collaborazione con l’allora Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana. I risultati estremamente positivi conseguiti nei primi anni di indagini furono di stimolo al proseguimento delle ricerche (attualmente ancora in corso) e la Grotta è considerata oramai uno dei più importati giacimenti preistorici attribuiti all’uomo di Neandertal dell’Italia centrale (Freguglia et al., 2007; 2008; Moroni et al. 2013; 2015). Nel corso del Pleistocene medio la cavità fu

F S T

53

T A L P

Grotta dei Santi, Monte Argentario (GR):

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

Localizzazione di Grotta di Cala dei Santi.

64


Veduta dello scavo di Grotta di Cala dei Santi, foto V. Spagnolo.

T A L P

di scarso spessore permette di supporre frequentazioni da parte dell’Uomo di Neandertal brevi e ripetute (forse stagionali) nel tempo. Lo studio dei resti dei grandi mammiferi (Crezzini, Moroni 2012), dei manufatti in pietra, dei focolari e di altre strutture, fornisce informazioni sulle abitudini alimentari sulle capacità tecnologiche e sulle attitudini comportamentali dei gruppi umani che abitarono la grotta. Per quanto riguarda i micromammiferi, le specie rinvenute nei giacimenti del Pleistocene superiore sono quasi tutte ancora oggi esistenti; è perciò possibile mettere a confronto i dati preistorici con quelli presenti. Questo facilita le ricostruzioni paleoambientali e permette di comparare l’areale di distribuzione attuale con quel-

53

soggetta a varie fasi di riempimento e di erosione delle quali sono testimonianza lembi di brecce concrezionate alle pareti a diverse quote. Il deposito (che in origine colmava la cavità) accumulatosi dopo il ritiro del mare tirreniano (circa 120 mila anni fa) è conservato oggi nella parte più interna mentre la zona striale è stata interamente svuotata dell’ingressione del mare olocenico. Tale deposito è caratterizzato da un’alternanza di sabbie e argille (queste ultime sterili). Nella sequenza stratigrafica sono presenti vari livelli di abitato, intervallati da fasi di abbandono da parte dell’Uomo in cui la grotta era utilizzata come tana dalla iena macchiata come dimostrano i numerosi coproliti (escrementi fossili) rinvenuti. La presenza di numerosi piani d’abitato

R I V I S T A

Veduta dall’interno di Grotta di Cala dei Santi, foto S. Ricci.

D E L L A F S T

65


53

F S T D E L L A R I V I S T A T A L P

lo che le stesse specie avevano in passato. Le problematiche inerenti agli accumuli fossili a micromammiferi sono state oggetto di molti studi fra i quali è d’obbligo menzionare quello di Andrews (1990) che fornisce una definizione generale dei piccoli mammiferi e descrive i loro predatori e le alterazioni cui vanno soggette le ossa delle prede. I principali motivi per cui i piccoli mammiferi sono utilizzati per effettuare studi paleoambientali, paleoclimatici e biocronologici sono i seguenti: - hanno un’attività prevalentemente notturna, il che li rende quasi esclusivamente prede degli strigiformi; questi ultimi cacciano normalmente in un’area compresa tra i 2 e i 4 km dai loro posatoi. I piccoli mammiferi ritrovati nei giacimenti e frutto delle borre dei rapaci danno quindi informazioni sull’ambiente immediatamente circostante il sito. Vi è più possibilità di trovare un ricco accumulo di micro-mammiferi all’interno di cavità, ovvero dove alcuni rapaci notturni vanno a consumare il pasto e a nascondersi durante il giorno; - sono ottimi indicatori cronologici ed ambientali poiché hanno solitamente una distribuzione molto ampia e molto rapida all’interno del territorio che occupano e speciano (soprattutto gli arvicolidi) molto più velocemente rispetto ai grandi mammiferi. I roditori in particolare sono ottimi indicatori ambientali perché occupano habitat specifici (Andrews, 1990): - è di grande aiuto, durante la fase di studio, il fatto che vengano predati dagli strigiformi; infatti questi rapaci producono borre (ossia rigurgiti del materiale che non viene digerito). All’interno di una borra troviamo solitamente ossa lunghe, cranio, peli ed unghie dei micromammiferi oltre che penne ed ossa di uccelli. Inoltre, se paragonati ai rapaci diurni, ed in generale ai carnivori, gli strigiformi hanno succhi gastrici molto meno corrosivi che non alterano in modo eccessivo le superfici ossee e dentarie, facilitando le operazioni di determinazione (Andrews, 1990).

Materiali e metodi Il materiale studiato è stato fornito dal Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente – U.R. Preistoria e Antropologia dell’Università di Siena ed è stato determinato presso

66

la Sezione di Scienze Preistoriche ed Antropologiche del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Ferrara. I resti paleontologici erano già stati lavati, setacciati e vagliati durante lo scavo. Si è dunque proceduto ad un ulteriore vaglio del materiale attraverso un microscopio binoculare Leica M8 utilizzando, per questa fase di smistamento, ingrandimenti da 4x a 8x. In un primo momento si è suddiviso il materiale in categorie quali: Aves, Pisces, malacofauna, erpetofauna e micromammiferi determinabili e indeterminabili. Una volta separati i piccoli mammiferi dal resto della fauna si è passati alla fase di determinazione, che è stata effettuata con un microscopio binoculare “Wild M5” normalmente con ingrandimento a 25x. Per la fase di determinazione è stata utilizzata la letteratura specialistica di volumi e articoli (Chaline, 1972; Dodelin, 2002; Dupuis, 1986; Felten et al., 1973; Kowalski, 2001; Miller, 1912; Nadachowski, 1982; Niethammer e Krapp, 1978; Paloma, 1988) e la collezione di confronto disponibile presso il Laboratorio di micro-vertebrati della Sezione di Scienze Preistoriche ed Antropologiche del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Ferrara. La fase di determinazione ha portato all’identificazione di 891 resti appartenenti a 16 specie differenti. Di questi 891 resti, 653 si sono rivelati provenienti da strati in giacitura primaria e sono stati presi quindi in considerazione per l’elaborazione dei dati successivi. Esistono diversi metodi per conteggiare la composizione cumulativa di un’associazione a micro-mammiferi, e poter apprezzare l’abbondaza delle varie specie in un contensto archeologico. Il Numero dei Resti (NR) non è altro che la totalità dei resti determinati; è utile per avere un quadro complessivo sul materiale determinato. Il Numero Minino di Individui (NMI) venne proposto per la prima volta dal un paleontologo americano Theodore White (1953). Citando l’autore “…il metodo che ho utilizzato per lo studio sulle tecniche di macellazione e quello di separare, per ogni specie, l’elemento anatomico più abbondante in destri e sinistri e usare il valore maggiore come unità di calcolo; questo può introdurre un piccolo errore nel conteggio


non potendo avere la certezza che tutti i destri combacino con i sinistri…”. Nel 1953 White non ritenne producente “… spendere una grande quantità di fatica per un piccolo ritorno…”; non ritenne fosse necessario controllare se effettivamente i destri e i sinistri fossero realmente di un individuo, fatto che venne corretto da Flannery (1967). Il calcolo viene effettuato quindi scegliendo come dato finale la parte anatomica destra o sinistra più rappresentata di ogni specie. Vista la scarsa quantità di materiale si è deciso di calcolare anche il Numero degli Individui (NI) che introduce minori errori di calcolo. Il NMI tende a ridurre di molto il numero del campione rendendo difficile la successiva interpretazione dei dati. Il calcolo del NI è simile a quello del NMI: si tiene come unità finale sempre l’elemento anatomico più rappresentato di ogni specie non prendendo in considerazione la lateralità (Berto e Rubinato, 2013).

Nell’interpretare i dati, bisogna tenere in considerazione alcuni problemi legati al NR e al NMI. Il NR tende a sovrastimare tutti quei taxa dei quali si può effettuare la determinazione con diverse parti anatomiche (ad esempio, per il genere Arvicola sono determinabili tutti i molari mentre nel genere Microtus sono determinabili solo gli M1, e talvolta gli M2, avremo quindi una sovrarappresentazione di Arvicola rispetto a Microtus). Durante il calcolo del NMI bisogna tener conto della diversa taglia, dell’alterazione e dell’usura dei resti; ad esempio, se nel record fossile è presente un M1 ed un M2 di Arvicola, entrambi destri, dei quali uno si presenta più usurato (indicatore di una diversa età) rispetto all’altro, non dovremo calcolarli come appartenenti ad un solo individuo ma a due. Per la produzione di diagrammi sulla distribuzione e per un loro utilizzo al fine di effettuare ricostruzioni paleoambientali, vi è la necessità

Determinazione dei chirotteri in base alla morfologia dell’epifisi distale dell’omero (Felten et al., 1973 modificata).

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

67


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Morfologie dal ramo mandibolare e del cranio di chirotteri (da Pucek 1981, modificata).

di avere un’associazione faunistica distribuita in modo quanto più uniforme possibile all’interno della sequenza. Visto che l’associazione di Grotta dei Santi (data la fase preliminare della ricerca) non sempre rispondeva a questo canone, si è deciso di accorpare i materiali fossili di strati adiacenti, al fine di avere una quantità di reperti statisticamente valida. Lo strato 100 è stato omesso, vista la poca microfauna contenuta: lo strato 105 è stato unito al 106; lo strato 110 è stato unito al 111. È stato escluso per il momento dallo studio lo strato 1004 alla base della sequenza perché indagato solo su una superficie minima.

Risultati Sin dal conteggio dei Numero dei Resti (Tabella 1) si è constatata un’alta percentuale di chirotteri, in particolar modo nello strato 110-111, all’interno dell’associazione. I taxa meglio rappresentati nella sequenza sono Apodemus (Sylvaemus), Arvicola amphibius e Microtus arvalis. Per la specie Nyctalus noctula è da tenere in

68

considerazione il fatto che essendo determinabili anche gli omeri vi è una forte riduzione durante il calcolo del NMI. Si nota invece che per tutte le altre specie, delle quali sono determinabili pochi resti (come ad esempio in Microtus), è normalmente determinabile solo il M1; si ha quindi una riduzione di circa il 50%. Durante la fase di calcolo del NMI si è tenuto conto sia dei diversi gradi di usura dei pezzi che delle diverse alterazioni al fine di non calcolare individui differenti come lo stesso individuo. Il metodo utilizzato per la produzione dei grafici cumulativi si basa sulla variazione percentuale di ogni specie all’interno della sequenza. Questo approccio, che permette di dedurre il quadro ambientale ed i suoi mutamenti nel tempo, è principalmente basato sull’attualismo, cioè sulle informazioni sull’ecologia e biologia dei micro-mammiferi viventi. Le tabelle sulla distribuzione si ottengono convertendo il NMI di ogni taxon, strato per strato, in termini percentuali. Nella fase di produzione della tabella di distribuzione si è deciso di omettere i chirotteri che verranno considerati


Tabella 1: NR, NMI e % dell’associazione di Grotta dei Santi.

T A L P

la stratigrafia, una diminuzione percentuale delle specie rappresentanti ambienti boschivi a favore di un aumento di quelle indicatrici di ambienti aperti. Nella parte bassa della stratigrafia si nota come il sottogenere Apodemus (Sylvaemus) domini l’associazione arrivando ad occuparne il 40%, risalendo la stratigrafia la sua diminuzione viene compensata dall’aumento di Microtus arvalis che nello strato 105-106 occupa il 50%

53

separatamente in seguito. Si sono omesse inoltre le specie poco rappresentate nell’associazione quali Erinaceus europaeus e Sorex ex gr. araneus. Si è deciso, inoltre, di escludere Arvicola amphibius in quanto la percentuale di questa specie, legata solo ad ambienti caratterizzati da corsi o specchi d’acqua, non varia lungo la sequenza. Dall’analisi del Grafico 1 notiamo, risalendo

R I V I S T A D E L L A

Apodemus sylvaticus

F S T

69


presenza più settentrionale durante il Pleistocene superiore di questa specie.

Discussione e considerazioni conclusive

Esemplare di Nyctalus noctula.

dell’associazione. Anche la presenza di Eliomys quercinus, indicatore di ambienti a copertura forestale, nella parte bassa della stratigrafia e la sua scomparsa nel livello superiore, sembrerebbe avvallare l’ipotesi di una riduzione forestale sino a condizioni di un ambiente più aperto. La presenza nell’associazione di Microtus (Terricola) savii, specie endemica dell’Italia meridionale, è estremamente interessante perché attesta la

L’associazione di Grotta dei Santi è caratterizzata anche da una consistente quantità di chirotteri. Lo studio dei chirotteri è stato per molto tempo trascurato rispetto a quello degli altri micromammiferi per via delle loro particolari strategie comportamentali. Essendo mammiferi “volanti”, come gli uccelli, non vengono fortemente influenzati dai cambiamenti ambientali ma tendono piuttosto a cambiare areale di distribuzione. È quindi difficile includerli all’interno degli studi effettuati sugli altri micromammiferi. Interessante è la presenza di Nyctalus noctula (Nottola gigante); questa specie è stata raramente individuata nei giacimenti del Pleistocene superiore, mentre è abbondante a Grotta dei Santi. Analizzando le percentuali notiamo che il 60% della popolazione di questo taxon è contenuto nello strato 110. Questo livello nei suoi tagli su-

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Piccoli mammiferi di Grotta dei Santi. 1-3: M. (Terricola) savii, 4-5: M. arvalis, 6: M. agrestis, 7-8: A. amphibius, 9: A. sylvaticus, 10-12: E. quercinus, 11: T. europaea, 13: R. gr. euryale-mehelyi, 14: N. noctula.

70


Eliomys quercinus

periori non presenta tracce antropiche e proprio in questi tagli la presenza di Nyctalus noctula è più marcata, favorita dall’assenza antropica dalla quale questi animali sono infastiditi (Pereswiet-Soltan, 2014). È stato quindi ipotizzato che l’accumulo di questa specie nei tagli non antropici dello strato 110 sia stata causata dalla morte naturale di individui che avevano utilizzato la grotta come luogo di ibernazione o di nursery. Questo dato dovrà essere confermato da analisi tafonomiche sui resti appartenenti a questa specie nelle varie macro-unità per constatare se vi sono differenze nelle alterazioni. Lo scavo di Grotta dei Santi è ancora in cor-

so e dunque ancora in corso sono la definizione stratigrafica del deposito continentale e il suo inquadramento cronologico nell’ambito del Paleolitico medio. Considerando l’insieme dei dati disponibili, inclusi quelli derivati dallo studio delle associazioni a macro- e micromammiferi si possono fare alcune considerazioni di carattere biocronologico. L’associazione faunistica a micromammiferi è, in generale, tipica del Pleistocene superiore e non vi sono specie o taxa tipici di periodi precedenti o successivi. Inoltre l’alta percentuale di Apodemus (Sylvaemus) è comune a molte sequenze del versante tirrenico durante gli interstadiali dello Stadio Isotopico 3 (MIS 3).

Grafico 1. Distribuzione cumulativa, escludendo i chirotteri, della sequenza di Grotta dei Santi.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

71


Datazioni radiometriche non ancora pubblicate attestano che almeno una parte della stratigrafia di Grotta dei Santi potrebbe essersi formata verso la metà del MIS 3 (Moroni, com. pers.). È possibile dunque ipotizzare che l’oscillazione temperata, evidenziata nell’associazione, sia indicativa di un periodo temperato del MIS 3, mentre l’oscillazione arida (tenendo sempre in considerazione il calo drastico del NMI di questa macrounità) potrebbe essere correlata all’inizio di un Heinrich Event o a una fase stadiale (cioè più fredda). Al momento, con i dati a nostra disposizione, non è possibile correlare con sicurezza la sequenza di Grotta dei Santi a precisi periodi stadiali e interstadiali della curva isotopica, ma solo riconoscere la presenza, nell’ambito del MIS 3, di una fase interstadiale seguita da una stadiale (presumibilmente comprese tra 50 e 45 mila anni fa).

Ringraziamenti Ringrazio Adriana Moroni, Giulia Capecchi, Giulia Marciani e Vincenzo Spagnolo dell’Università di Siena, responsabili scientifici delle ricerche a Grotta dei Santi, per avermi fornito i dati relativi allo scavo e avermi permesso di stu-

diare il materiale oggetto della mia tesi di laurea magistrale. Si ringraziano tutti coloro che mi hanno aiutato alla stesura della tesi in modo particolare Claudio Berto, Benedetto Sala, Elisa Luzi. Per il supporto logistico e finanziario dello scavo di Grotta dei Santi si ringraziano: Corpo dei Vigili del Fuoco di Grosseto, Comune di Monte Argentario, Ufficio Circondariale Marittimo di Porto Santo Stefano, Guardia Costiere di Porto Ercole, Accademia Mare Ambiente di Porto Santo Stefano, Banca di Credito Cooperativo di Castagneto Carducci, Croce Rossa di Porto Ercole, Argentario Divers Porto Ercole, Rotary Club di Orbetello, Rotary Club di Monte Argentario, Coop Tirreno di Orbetello, Associazione La Venta. Si ringraziano, infine, tutti coloro che hanno partecipato alle attività di scavo a Grotta dei Santi.

ana di Michela Croci

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

BIBLIOGRAFIA Andrews, P., 1990. Owls, Caves and Fossils. Predation, preservation and accumulation of small mammals bones in caves, with an analysis of the Pleistocene cave faunas from Westbury-sub-Mendip, Somerset, UK. Natural History Museum, London. Berto, C., 2013. Distribuzione ed evolzione delle associazioni a piccoli mammiferi nella penisola italiana durante il Plaistocene Superiore. Berto, C., Rubinato, G., 2013. The upper Pleistocene mammal record from Caverna degli Orsi (San Dorligo della Valle – Dolina, Trieste, Italy): A faunal complex between eastern and western Europe. Quat. Int. 284, 7–14. Chaline, J., 1972. Les rongeurs du Pléistocene moyen et supérieur de France. Cahiers de Paléontologie, Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique. Crezzini J., Moroni A. 2012, Archeozoologia. La ricostruzione del comportamento umano dall’esame dei resti faunistici recuperati nei siti archeologici, Etruria Natura, IX, pp. 36-43. Dodelin, B., 2002. Identification des chiroptères de France à partir de restes osseux. Fédération française de spéléologie. Dupuis, I., 1986. Le chiropteres du Quaternaire en France. Felten, H., Helfritch, A., Storc, G., 1973. Die bestimmung der europaischen Fledermause nach der distalen Epiphyse des Humeros. Senckenbergiana biol. 54, 291–297. Flannery, K., 1967. Vertebrate fauna and hunting patterns. Freguglia, M., Gembogi, P., Milani, L., Moroni Lanfredini, A., Ricci, S., 2007. Monte Argentario (GR). Cala dei Santi: Grotta

72


dei Santi. Not. della Sopraintend. per i beni Archeol. della Toscana 3, 488–491. Freguglia M., Bernardini F., Boschian G., Cavanna C., Crezzini J., Gambogi P., Longo L., Milani L., Moroni A., Parenti F., Ricci S., 2008, Monte Argentario (GR). Cala dei Santi: Grotta dei Santi, in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, 4, pp. 377-380. Kowalski, K., 2001. Pleistocene rodents of Europe. Folia Quat. 72, 3–389. Miller, G.S., 1912. Catalogue of the Mammals of Europe in the collection of the British Museum. Order of the Trustees of the British Museum. Moroni Lanfredini, A., Freguglia, M., Bernardini, F., Boschian, G., Cavanna, C., Crezzini, J., Gambogi, P., Longo, L., Milani, L., Parenti, F., Ricci, S., 2010. Nuove ricerche alla Grotta dei Santi (Monte Argentario, Grosseto). Protostoria, Preist. Etruria Atti del I, 649–662. Moroni A., Freguglia M., Gambogi P., 2013, Gli antichi abitanti del Monte Argentario, Talp Rivista della Federazione Speleologica Toscana, 47, pp. 53-59. Moroni A., Parenti F., Araujo A., Boschian G., Boschin F., Capecchi G., Crezzini J., Hublin J.J., Marciani G., Spagnolo V., Talamo S., Gambogi P. 2015. Monte Argentario (GR). Grotta di Cala dei Santi (Concessione di Scavo). Notiziario della soprintendenza per i Beni Archeologici della toscana, 10/2014, pp. 364-366. Nadachowski, A., 1982. Late Quaternary rodents of Poland with special reference to morphotype dentition analysis of Voles. Pol. Akad. Nauk. Zakl. Zool. Syst. i Dóswiadczalnej (1982), 1–108. Niethammer, J., Krapp, F., 1978. Handbuck der Saugetiere Europas. Pereswiet-Soltan, A., 2014. Chirotteri italiani del Quaternario recente. Pucek, Z., 1981. Keys to Vertebrate of Poland Mammals. Segre, A.G., 1959. Giacimenti Pleistocenici con fauna e idustria litica a Monte Argentario (Grosseto). Riv. di Sci. Preist. 14, 1–18. Sevilla, P., 1988. Estudio paleontologico de los Quiropteros del Cuaternario espagnol. White, T.E., 1953. A method of calculating the dietary percentage of various food animals utilized by aboriginal peoples. Am. Antiq. 396–398.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

73


PREMIO GIANNOTTI T A L P 53

F S T D E L L A R I V I S T A T A L P

Analisi geofisica integrata per la caratterizzazione della micrometeorologia ipogea di L. Palazzolo1,3, A. Crespi1,3, M. Maugeri1, G. Badino2 1

.

Università degli Studi di Milano, 2Università degli Studi di Torino, 3Club Alpino Italiano, Scuola Nazionale di Speleologia (SNS – CAI)

Abstract Le grotte sono sistemi all’equilibrio secolare con l’ambiente esterno e risultano essere degli interessanti laboratori naturali. Questo lavoro presenta un’analisi innovativa dell’aerologia ipogea, utilizzando dati derivanti da misure meteorologiche standard e anemometriche di precisione da due differenti ingressi del sistema carsico del Monte Corchia: Buca d’Eolo e Buca del Serpente. In particolare, l’utilizzo di anemometri ultrasonici ha permesso di misurare simultaneamente la velocità delle correnti d’aria in entrambi gli ingressi, con una risoluzione di 5 s, acquisendo di conseguenza dati applicabili allo studio comparato degli effetti circolativi delle correnti d’aria ipogea. I dati sono stati elaborati sviluppando alcuni algoritmi per la caratterizzazione statistica, l’analisi a cluster e la caratterizzazione dipendente da un modello teorico, il quale prevede due principali regimi di circolazione delle masse d’aria: barometrico o convettivo. L’analisi ha permesso di evidenziare le differenti tipologie di circolazione, determinandone alcune proprietà fondamentali e i comportamenti sincroni delle masse d’aria nei due ingressi dello stesso complesso. Tra i principali risultati ottenuti, sono stati identificati in Corchia gli effetti barometrici, che risultano essere prevalenti in presenza di forti gradienti positivi di pressione esterna e sono stati identificati e caratterizzati i moti convettivi, verificando la relazione teorica di linearità tra la velocità delle correnti d’aria e la radice quadrata della differenza tra la temperatura all’interno e all’esterno della grotta. La metodologia di ricerca utilizzata,

74

unitamente agli algoritmi sviluppati, è quindi in grado di caratterizzare l’aerologia di un complesso ipogeo, con la possibilità di prevederne sviluppi, volumi dei vuoti ed eventuali ingressi non ancora collegati.

Introduzione Capire la fisica dei sistemi carsici ipogei è tanto complesso quanto affascinante. Le grotte infatti, sono dei vuoti immersi nella roccia, nei quali scorrono acque a differente temperatura e chimismo. Per modellizzare da un punto di vista micrometeorologico un sistema ipogeo è necessario considerare una serie di variabili e la misura e l’analisi dei valori locali e globali di esse richiede l’applicazione di strumentazione sofisticata e l’intervento di operatori ben formati. Solo con buone misure e con una buona conoscenza della fisica delle grotte è infatti possibile cogliere gli effetti di variazioni minime dell’equilibrio delle masse d’aria presenti là sotto, al fine di comprendere come la micrometeorologia possa guidare nelle esplorazioni speleologiche e scientifiche. Descriviamo nel seguito brevemente le principali variabili e i tipi di circolazione rilevanti nella micrometeorologia ipogea.


Fig. 1.1. Gradiente ipogeo di temperatura misurato nel complesso del Monte Corchia (Badino, 2008).

Variabili termodinamiche Temperatura

All’origine dei venti che si incontrano sottoterra ci sono due tipi principali di circolazione: la

F S T

75

D E L L A

Circolazioni ipogee dell’aria

R I V I S T A

La pressione (Pint), come variabile termodinamica in un complesso ipogeo, a differenza della temperatura, non è all’equilibrio secolare con l’esterno, ma risponde in modo abbastanza

L’umidità nell’atmosfera di un carso ipogeo è generalmente all’equilibrio in ogni punto del complesso a causa del contatto diretto dell’aria con superfici d’acqua libera in un sistema quasi chiuso e si hanno condizioni di saturazione (RH = 100%). È quindi importante studiare cosa accade quando la pressione di vapore è lievemente al di sopra o al di sotto del livello d’equilibrio, poiché in questo caso intervengo in maniera preponderante l’evaporazione o la condensazione. È possibile infatti individuare fenomeni quali nubi di miscelamento o speleogenesi distruttiva/ costruttiva legate a sovrasaturazioni di vapore d’acqua all’interno di una massa d’aria (Badino, 2004; Lismonde, 2002).

T A L P

Pressione

Umidità

53

La temperatura è il parametro termodinamico più interessante e significativo per lo studio della meteorologia ipogea. All’equilibrio la temperatura di una grotta è data dalla media locale della temperatura delle acque che si sono infiltrate all’interno del complesso carsico da quando esso esiste (Malacarne, 2013). La temperatura in un complesso carsico, pur non risentendo delle variazioni di temperatura esterna, però non è costante e varia con la quota di circa 3 / 4 °C ogni km di dislivello (Badino, 2010), in base all’attività del complesso stesso e da eventuali nuovi arrivi d’acqua. In Figura 1.1 è rappresentata la variazione di temperatura (gradiente) interna al Monte Corchia (Badino, 2008 non pubblicato), dalla quale sono ben visibili arrivi d’acqua a circa 1300 m.s.l., 1000 m.s.l. e 850 m.s.l. che determinano una variazione nella pendenza del gradiente stesso.

rapido alle variazioni locali di pressione esterna (Pext). Infatti, per ogni variazione di Pext, Pint varia rapidamente per raggiungere un nuovo punto d’equilibrio tra il sistema epigeo e quello ipogeo (Lewis, 1991).


53

F S T D E L L A R I V I S T A T A L P

Figura 1.2. Circolazione convettiva determinata da una Text > Tint (periodo estivo).

Figura 1.3. Circolazione convettiva determinata da una Text < Tint (periodo invernale).

convettiva, in cui il moto è determinato dalla differenza tra la temperatura all’interno e all’esterno della grotta, e la circolazione barometrica, in cui gli spostamenti delle masse d’aria sono invece determinati dalle differenze di pressione fra grotta ed esterno. Vediamo prima di tutto le velocità dell’aria che sono generate da questi disequilibri. Il sistema carsico è approssimabile ad un sistema di due bacinelle poste a differenti quote (z1 e z2=z1-H) contenenti un fluido ad una densità ρ1, immerse in un sistema avente densità ρ2 e collegate tra loro mediante una tubatura avente un rubinetto, allora ai lati del rubinetto si avrà una differenza di pressione (pressione motrice) data da:

Gutfinger, 1995).

Una volta aperto il rubinetto, il fluido della bacinella posta a z1, tenderà a scorrere, mosso dalla pressione motrice, verso la bacinella posta a z2 fino a raggiungere una velocità di regime v in corrispondenza della quale si avrà un equilibrio tra la pressione motrice e la caduta di pressione determinata dalle forze di attrito:

dove f è una costante adimensionale legata alla morfologia, ρ la densità del fluido considerato, L la lunghezza e D il diametro della condotta, v la velocità entro la condotta stessa (Pnueli &

76

Circolazione convettiva La densità dell’aria interna ad una grotta è costante mentre quella esterna varia in base alle variazioni di temperatura stagionali: è più elevata durante l’inverno, inferiore durante l’estate. Infatti, la densità specifica dell’aria a 25 °C a 1 atm è pari a 1.184 kg m−3, mentre per una temperatura di 5 °C la densità specifica dell’aria diviene pari a 1.269 kg m−3. Questa differenza crea un disequilibrio tra le varie colonne d’aria interne (poste ad una temperatura pari a Tin) ed esterne (aventi una temperatura Text) ed è la causa della pressione motrice, in analogia con l’esempio del paragrafo precedente, che si instaura tra due lati di una ipotetica porta posta in prossimità dell’ingresso del carso ipogeo. In particolare, la pressione motrice è data in prima approssimazione da:

in cui l’aumento della pressione motrice è legato al dislivello tra gli ingressi H ed alla differenza di temperatura ∆T tra interno ed esterno (Badino, 1995). La velocità del vento ipogeo è quindi proporzionale alla radice quadrata della differenza di temperatura, con valori caratteristici attorno ad 1 m/s, anche se, in determinate condizioni, è possibile raggiungere i 5 m/s. Le circolazioni sono quindi stagionali e rappresen-


tate nelle Figure 1.2 e 1.3: nelle stagioni in cui Text > Tint gli ingressi alti aspirano aria, mentre gli ingressi bassi soffiano. Viceversa per le stagioni in cui Text < Tint.

carsici complessi e molto estesi a livello orografico, risponderanno invece molto più lentamente, portandosi all’equilibrio con il sistema epigeo entro qualche giorno.

Circolazione barometrica

Materiali e metodi

La circolazione barometrica per un carso ipogeo è quel regime che si instaura a seguito di una variazione della pressione esterna. Le oscillazioni della pressione esterna inducono infatti correnti d’aria nei sistemi ipogei, dette appunto correnti barometriche, le quali sono entranti nella grotta se la pressione esterna è maggiore di quella interna, uscenti se avviene il contrario (Figure 1.4 e 1.5). La pressione interna arriva comunque ad eguagliare quella esterna in un tempo finito, che rappresenta il tempo tipico con cui la cavità risponde a variazioni della pressione esterna ed è essenzialmente determinato dalle dimensioni fisiche della cavità (Badino, 2008; Pflitsch, Wiles, Horrock, & Piasecki, 2010). In particolare, approssimando i sistemi carsici a dei semplici cilindri di volume V e sezione S, dotati di pistone mobile, allora è possibile determinare la velocità del pistone stesso soggetto alle variazioni di pressione esterna, in condizioni isoterme:

Inquadramento geografico Il Monte Corchia (1678 m s.l.m.) si eleva nella frangia meridionale delle Alpi Apuane e si presenta come un piccolo massiccio isolato ed allungato in direzione NW-SE, delimitato a SW e W da pareti verticali, mentre verso N e NE scende con ripidi pendii erbosi. Il complesso carsico del Monte Corchia rappresenta uno dei più interessanti sistemi carsici al mondo per complessità morfologica, sviluppo ed antichità. In Figura 1.6, dove è rappresentata la sezione schematica di tutto il Complesso del Monte Corchia, è possibile osservare la complessità delle gallerie ipogee e l’elevato numero di ingressi ad oggi conosciuti (18), oltre che l‘ampiezza del fenomeno carsico interno al monte. Gli ingressi interessati dalla presente analisi sono Buca d’Eolo e Buca del Serpente, ingressi bassi del sistema del Monte Corchia.

Tecniche di acquisizione dati e strumentazione

Tutti i dati relativi alla temperatura interna, sono stati campionati mediante l’utilizzo di un termometro TESTO 950 con sensore PT100, con risoluzione pari a 0.01 °C. Per ogni misura

R I V I S T A

Figura 1.5. Circolazione barometrica determinata da una Pext < Pint..

T A L P

Figura 1.4. Circolazione barometrica determinata da una Pext > Pint..

Temperatura interna

53

A partire da questa relazione è possibile calcolare il volume di un sistema ipogeo: sistemi carsici di ridotte dimensioni, risponderanno più velocemente alle variazioni di pressione, portandosi all’equilibrio in qualche ora; sistemi

D E L L A F S T

77


Fig. 1.6. Ubicazione degli ingressi principali del complesso del Monte Corchia e relativo sviluppo ipogeo (Gruppo Speleologico Archeologico Versiliese, 2007).

si è lasciato equilibrare per 30 minuti il sensore del termometro con la temperatura locale della grotta, avendo cura di posizionarlo sopravento rispetto all’operatore, in modo da non interferire con la misura stessa.

Per lo studio delle correnti d’aria nei differenti complessi si sono utilizzati due anemometri ultrasonici biassiali “WindSonic” della Gill Instruments, aventi soglia compresa tra 0.01 e 60 m·s−1 e una ottima robustezza agli urti, mentre come data logger si è impiegato un GP1 della Delta-T Devices. Nelle Figure 2.1 e 2.2 è mostrata l’installazione dei due anemometri biassiali rispettivamente agli ingressi di Buca d’Eolo e Buca del Serpente.

53

Pressione e temperatura esterna

D E L L A

F S T

Il barometro è composto da un sensore di pressione piezoresistivo caratterizzato da un basso ciclo di isteresi che garantisce misure accurate, con una precisione di 0.05 hPa in un intervallo di 800-1200 hPa. La temperatura esterna invece è misurata da un sensore PT100 integrato che permette di avere misure con una precisione di 0.2 °C comprese tra -30 e + 80 °C. I dati di pressione e temperatura esterna sono stati inoltre integrati con quelli provenienti da quattro stazioni del Servizio Idrologico Regionale (SIR) della regione Toscana e riportati alla quota media degli ingressi del sistema carsico del Monte Corchia.

R I V I S T A T A L P

Velocità delle correnti d’aria

Figura 2.1. Anemometro posizionato all’interno di

78

Buca d’Eolo con data logger.


Tecniche di analisi dati Correlazione e stazionarietà

Cluster analysis

Analisi dipendente dal modello teorico Come descritto nella sezione precedente, la circolazione convettiva e quella barometrica hanno forzanti differenti. Per questo, si sono scelte due differenti strade analitiche per caratterizzare le differenti tipologie di moto: la prima, per i moti convettivi, è l’analisi di linearità (klin =v ); la seconda, per i moti barometrici, è l’analisi della derivata della pressione (dp/dt). Semplificando la relazione tra le velocità delle correnti d’aria e la radice delle differenze di temperature, è possibile infatti ricavare la seguente relazione: v2 = klin*ΔT, in cui il coefficiente klin è rappresentativo del rapporto tra le due grandezze e la linearità nel tempo di questo valore indica la dipendenza della velocità delle correnti d’aria dalla differenza tra la temperatura interna ed esterna alla grotta. In questo modo è possibile dunque caratterizzare i periodi convettivi. I periodi barometrici, invece, dipendono fortemente dalla positività della dp/dt, in quanto per variazioni significative di pressione esterna, il sistema ipogeo ha la necessità di equilibrarsi, variando il moto delle proprie masse d’aria in base al tipo d’ingresso considerato. Un esempio, può essere un ingresso basso, nel periodo estivo, che risponde ad un aumento di pressione: questo anziché soffiare aria ad una velocità con-

F S T

79

D E L L A

La Cluster Analysis è una delle più semplici e diffuse tecniche di analisi descrittiva multivariata che consente di raggruppare le osservazioni in classi (cluster) secondo criteri di similarità. Dopo aver definito un termine di distanza tra i

dati considerati, è possibile individuare un certo numero di cluster in modo da ottenere la massima omogeneità tra i dati sperimentali appartenenti allo stesso cluster e la massima disomogeneità tra dati appartenenti a cluster differenti.

R I V I S T A

– per k=2 si prendono in considerazione il valor medio e la varianza (nst).

del Serpente con data logger.

T A L P

– per k=1 si prende in considerazione il valor medio dei dati (rns);

Figura 2.2. Anemometro posizionato all’interno di Buca

53

L’analisi di correlazione, basata sullo studio del coefficiente di correlazione di Pearson (R), è stata effettuata sia considerando i dati (velocità delle correnti d’aria e differenze di temperatura e di pressione) nella loro totalità, sia suddividendoli in intervalli temporali più ristretti. Inizialmente si sono considerati i dati nella loro totalità e si sono calcolati ed analizzati i coefficienti di correlazione tra le velocità delle correnti d’aria degli ingressi del sistema; successivamente i valori relativi alle velocità delle masse d’aria sono stati ottenuti applicando alcuni metodi classici proposti in letteratura (referenze). Poi si sono suddivisi i dati in intervalli più ristretti. La suddivisione temporale delle serie di dati raccolte per la successiva analisi di correlazione è stata eseguita sviluppando un algoritmo ricorsivo tale da massimizzare localmente il valore di R2. Si è inoltre operata un’analisi di stazionarietà. Essa è una tecnica analitica utilizzata per indagare l’indipendenza temporale delle variabili studiandone l’omogeneità stocastica. La scelta di applicare l’analisi di stazionarietà ai dati di micrometeorologia ipogea si basa sull’ipotesi che in regimi puramente convettivi il profilo delle correnti d’aria ipogee risulti stazionario in qualche senso (forte o debole), poiché la forzante del moto (la differenza di temperatura) mostra un pattern ben ripetuto a livello temporale. Parliamo quindi di stazionarietà in senso forte quando tutte le proprietà statistiche del sistema sono indipendenti dal tempo e di stazionarietà in senso debole quando l’invarianza temporale vale solo fino ad un certo ordine di stazionarietà k:


Figura 3.1. Correlazione tra vEolo e vSerpente (espresse in m·s−1). In rosso è evidenziata la retta di interpolazione.

La prima analisi eseguita sui dati meteorologici raccolti nel complesso carsico del Monte Corchia riguarda la relazione tra i valori delle velocità delle correnti d’aria di Eolo e Serpente. Essa viene mostrata in Figura 3.1. I grafici evidenziano la forte correlazione esistente tra le correnti d’aria di Eolo e Serpente, anche se è possibile comunque individuare delle sottostrut-

ture di valori che si discostano maggiormente dalla retta risultante dall’interpolazione lineare dei dati. Queste sottostrutture potrebbero essere indicative del fatto che i comportamenti dei campi di vento delle due grotte mostrino comportamenti differenti per brevi periodi temporali, probabilmente associati a variazioni del gradiente termico esterno. Successivamente, sono stati analizzati i valori di correlazione della velocità delle correnti d’aria con la temperatura e la pressione esterna e, come è possibile osservare dalla Tabella 3.1, la velocità delle correnti d’aria risulta debolmente correlata con la temperatura, mentre non è evidente alcuna correlazione significativa con la pressione. Al fine di definire il modo più opportuno in cui organizzare i dati raccolti, si sono studiate le differenze del rapporto tra vEolo e vSerpente dal valore medio di questo rapporto (Figura 3.2, linea ocra). Esse consentono di individuare i periodi in cui le correnti d’aria in Eolo e in Serpente non hanno il medesimo comportamento. In questo modo sono stati evidenziati tre sotto-periodi in cui il comportamento delle correnti d’aria in termini di pressione, temperatura e velocità mostra andamenti distinti. In particolare, per ciascuno dei tre sotto-periodi individuati, è possibile dedurre quando i due ingressi si muovono di moto convettivo, in quanto il valore di correlazione con la radice delle temperature è massimo. In Tabella 3.2 sono riportati i valori di varianza, mentre invece in tabella 3.3 sono riportati i valori di correlazione tra le velocità vEolo e vSerpente

Tabella 3.1. Correlazioni tra vEolo, vSerpente con

e pext.

frontabile con quella caratteristica di un periodo convettivo puro, o soffierà aria ad una velocità decrescente, oppure aspirerà aria fino ad avere la pressione media interna al complesso all’equilibrio con la pressione esterna. Il profilo delle velocità delle correnti d’aria dovrà quindi corrispondere al profilo nel tempo della dp/dt.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Risultati Correlazione e stazionarietà

80


Tabella 3.2. Varianze peri i residui, vEolo e vSerpente, divise nei tre sotto-periodi individuati e correlazioni tra vEolo, vSerpente con

divise nei tre sottoperiodi individuati.

con per i tre sotto-periodi individuati. Applicando infine l’analisi di stazionarietà sull’intero data set rappresentante i campi di vento dei due ingressi ed ai sotto-periodi individuati con il ragionamento precedente, si è ottenuto come risultato quello riportato nelle Tabelle 3.3 e 3.4. Questi valori indicano la stazionarietà in senso debole al primo ed al secondo ordine ed è possibile individuare il fatto che per entrambi gli ingressi la serie di dati nel periodo 9-13 lu-

glio risulta essere stazionaria in senso debole al primo ordine, con valori rispettivamente pari a 0.27 e 0.20. Buca d’Eolo non risulta essere stazionaria in senso debole al secondo ordine per nessuno dei sotto-periodi individuati, anche se la serie 9-13 luglio ha valori inferiori rispetto alle restanti serie ad ogni passo temporale d’analisi; Buca del Serpente risulta invece essere stazionaria in senso debole al secondo ordine sia complessivamente, sia nei sotto-periodi considerati.

Tabella 3.3. Valori rns e nst per Buca d’Eolo.

Tabella 3.4. Valori di rns e nst per Buca del Serpente.

53

D E L L A F S T

81

R I V I S T A

La cluster analysis dei dati meteorologici misurati sul Monte Corchia è stata applicata allo scopo di determinare le analogie tra le velocità delle correnti d’aria dei due ingressi (vEolo e vSer) e quelle tra vEolo/Serpente e ΔT. A partire dai pente dati di vEolo e vSerpente, è stata calcolata la matrice delle distanze euclidee tra le due variabili mediante l’approccio di Lancet-Williams. Al fine di determinare il numero di cluster più adeguato per la caratterizzazione dettagliata dell’aerologia ipogea, sono stati confrontati i risultati ottenuti tagliando il dendrogramma sia a tre classi sia a due sole classi. Inoltre, allo scopo di indi-

viduare il miglior criterio di raggruppamento dei dati entro uno stesso cluster, sono stati applicati due differenti metodi di clusterizzazione (Median e Ward). I risultati qui proposti si riferisco al metodo Ward, con taglio del dendrogramma a due soli cluster. Il metodo Ward definisce ad ogni iterazione i due gruppi dalla cui aggregazione deriva il minimo incremento possibile della varianza entro gli stessi, massimizzando la differenza tra le classi stesse. Le Figure 3.3 e 3.4 rappresentano rispettivamente il risultato della cluster analysis dei dati derivanti dall’analisi vEolo-∆T e vEolo-vSerpente, rispettivamente, e mostrano una sovrapposizione quasi perfetta tra le due differenti clusterizzazioni.

T A L P

Cluster analysis


Fig. 3.2. Velocità delle correnti d’aria in Buca d’Eolo (blu), Buca del Serpente (verde) ed i residui calcolati (arancione).

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Fig. 3.3. Suddivisione in cluster di vEolo con metodo Ward e taglio a 2, analizzando vEolo-∆T1/2.

82


Fig. 3.4. Suddivisione in cluster di vEolo con metodo Ward e taglio a 2, analizzando vEolo-vSerpente.

F S T

83

D E L L A

lega la v alla , si è andato a studiare il rapporto di linearità (klin) tra le due variabili, al fine di caratterizzare, mediante la metodologia consolidata in precedenti lavori di letteratura, le diverse tipologie di circolazione che possono instaurarsi nell’ambiente ipogeo del Monte Cor-

R I V I S T A

Considerando dunque la relazione teorica che

andamenti temporali del rapporto tra le v e (colori scuri) e quelli tra v e ΔT (colori chiari) sia di Buca d’Eolo che di Buca del Serpente al fine di determinare rispettivamente i valori di klin e parallelamente avere un riferimento di scala su cui confrontare i valori relativi (Badino, 2008). Come evidenziato dalla figura 3.5, osservando la varianza del rapporto, particolarmente poco disperso nell’intervallo centrale dei dati, è possibile distinguere con maggiore precisione i periodi in cui le masse d’aria ipogee si muovono sotto l’effetto della circolazione convettiva da quelli in cui invece subentra l’effetto di altri tipi di circolazione. Per affrontare quindi il problema della determinazione del tipo di moto delle correnti d’aria, l’analisi di temperatura è stata integrata con quella di pressione, valutando la relazione tra variazione di pressione e variazione nelle velocità delle correnti d’aria. Allo scopo di calcolare la derivata della pressione (dp/dt), si è considerato solo il segnale portante estratto dalle misure di pressione, eliminando, mediante tecniche di smoothing, le variazioni con periodi inferiori alle sei ore. Dopo aver calcolato la deri-

T A L P

Analisi dipendente dal modello teorico

chia. Nelle Figure 3.5 e 3.6 sono rappresentati gli

53

Le Figure 3.3 e 3.4 rappresentano rispettivamente il risultato della cluster analysis dei dati derivanti dall’analisi vEolo-∆T e vEolo-vSerpente, rispettivamente, e mostrano una sovrapposizione quasi perfetta tra le due differenti clusterizzazioni. Tale risultato conferma l’ipotesi precedente: Il primo cluster di entrambe le analisi coincide con il sotto-intervallo (II) dell’analisi statistica che si era in precedenza identificato come convettivo a causa della buona correlazione con i valori di differenza di temperatura per quel periodo stesso. Negli altri due intervalli temporali, le correnti d’aria dei due ingressi risultano essere invece poco accoppiate e non governate dalla circolazione convettiva.


Fig. 3.5. Linearità Buca d’Eolo.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Fig. 3.6. Linearità Buca del Serpente.

84


Fig. 3.7. Sovrapposizione di vEolo (in violetto), Pext (in nero) e della derivata della pressione (in verde).

F S T

85

D E L L A

.

R I V I S T A

la relazione

T A L P

li differenti. In particolare, possiamo definire la prima, la seconda e la quinta serie come periodi in cui si ha una forte influenza della circolazione barometrica sulla corrente d’aria; nella terza serie è possibile identificare una debole interferenza tra le due circolazioni; la quarta serie invece è puramente convettiva. La prima e la quinta serie appaiono inoltre molto rumorose, con valori minimi negativi ed un andamento della corrente d’aria confrontabile con quello della derivata di pressione. La negatività dei valori del campo di vento è indicativa dell’inversione del moto, dovuto evidentemente ad una variazione importante della pressione che ha determinato un forte disequilibrio del sistema ipogeo. La seconda e la terza serie presentano invece una dispersione più contenuta e minori variazioni di pressione, che determinano una caduta di 1 m/s del campo di vento rispetto all’equilibrio instabile precedentemente raggiunto e successivamente la risalita di 2 m/s dovuta all’assestamento con il moto convettivo delle correnti d’aria. Dopo aver analizzato e caratterizzato le due tipologie di circolazione identificate, è stato elaborato un modello di circolazione convettiva basandosi sulla relazione di linearità individuata per la quarta serie temporale del data set di Buca d’Eolo: partendo dal profilo della ΔT, si è associato un coefficiente klin medio, calcolato sulla base del periodo classificato come convettivo utilizzando

53

vata di pressione mediante metodi analitici, sono state esaminate la positività, la negatività ed in particolare gli zeri della variabile derivata, allo scopo di indagare l’influenza delle variazioni di pressione sovrapposte al moto convettivo. In Figura 3.7 è rappresentata, oltre al profilo della pressione ed al segnale portante, la derivata (in verde scuro), alla quale sono state aggiunte delle linee verticali per mostrare gli zeri della derivata, che rappresentano i punti in cui il profilo di pressione cambia pendenza, proiettati sul profilo delle correnti d’aria in Buca d’Eolo (in violetto sullo sfondo). Gli zeri della derivata sono stati individuati nei giorni 9, 10 e 13 luglio. Gli intervalli positivi della derivata indicano un aumento della pressione esterna, che, secondo il modello barometrico, indurrebbe nella grotta una corrente d’aria entrante. Gli effetti barometrici in Buca d’Eolo e Buca del Serpente, a differenza di altre grotte oggetto di studio (Pflitsch et al., 2010), sono parzialmente nascosti dalle correnti convettive, dato lo sviluppo altimetrico del complesso, ma è comunque possibile individuarli. Quando la derivata della pressione è positiva (Figura 3.7), e quindi quando si ha un aumento della pressione esterna, le velocità delle correnti d’aria in Buca d’Eolo appaiono smorzate rispetto alle velocità caratteristiche per il moto convettivo di 5-6 m/s. È quindi possibile suddividere l’intero data set in base agli zeri della derivata della pressione, individuando in questo modo almeno 5 interval-


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Fig. 3.8. (vmod)2-(vmis)2 Per Buca d’Eolo (Azzurro) con sovrapposizione di dp/dt (viola).

Tale modello è stato inoltre calibrato al fine di individuare la massima correlazione possibile tra (vmod)2 e (vmis)2 del periodo identificato come convettivo. La massima correlazione ottenibile su tutta la serie è risultata pari a 0.79 per Buca d’Eolo, mentre per Buca del Serpente la correlazione massima ottenibile è pari a 0.84. Confrontando graficamente (vmod)2-(vmis)2 (Figure 3.8 e 3.9) con la derivata della pressione, è possibile ottenere un grafico in cui a valori positivi della derivata della pressione, devono corrispondere valori positivi del valore (vmod)2-(vmis)2, rappresentativi dei periodi in cui la grotta è in regime barometrico; se le curve della dp/dt e di (vmod)2(vmis)2 seguissero lo stesso andamento, allora si avrebbe l’opportunità di osservare un puro moto barometrico e la conseguente possibilità di stimare il volume d’aria interessato. In particolare, analizzando i risultati per Buca d’Eolo e riprendendo la suddivisione in serie precedentemente proposta, è possibile riscontrare che per la prima e la quinta serie è predominante l’influenza barometrica sul moto convettivo, in quanto si riscontra una differenza molto marcata tra (vmod)2 e (vmis)2 che corrisponde a valori di velocità ad entrambi gli ingressi molto più bassi rispetto a

86

quello medio di circa 6 m/s del periodo convettivo. Per la seconda serie si ha invece un periodo in cui ad una derivata negativa, ossia un periodo in cui la pressione esterna diminuisce, corrisponde un massimo relativo nella differenza tra (vmod)2 e (vmis)2 che non è correlabile con nessun evento esterno e progressivamente diminuisce fino ad annullarsi nella terza serie. Queste due serie presentano quindi delle difficoltà intrinseche nell’analisi modellistica: la seconda non è giustificabile né con un comportamento barometrico, né con uno convettivo, mentre la terza sembra essere governata dalle leggi del moto convettivo, ma se considerata tale mostra delle anomalie rispetto al modello teorico. È quindi lecito supporre la presenza di effetti transienti tra i due modelli o, essendo in corrispondenza di un periodo di alternanza tra alta e bassa pressione con un periodo caratteristico di circa 24 ore, l’influenza di effetti legati alla risposta di tutti gli ingressi del complesso alla differenza di pressione e tali da rendere di difficile interpretazione i tipi di moto. Infine, il modello per il moto convettivo è stato validato calcolando la deviazione standard per la quarta serie ed ottenendo un valore pari a 0.17, un ordine di grandezza inferiore


Fig. 3.9. (vmod)2-(vmis)2 Per Buca d’Eolo (Verde) con sovrapposizione di dp/dt (viola).

giore regolarità degli effetti causati dai diversi regimi di circolazione che interessano le correnti ipogee.

Conclusioni Metodologia d’analisi

Correlazione e stazionarietà

D E L L A F S T

87

R I V I S T A

Con l’analisi di correlazione tra le differenti variabili meteorologiche è possibile studiare le relazioni tra le principali grandezze esterne e le correnti d’aria ipogee. Questa tipologia d’analisi porta però con sé alcune problematiche legate alle risposte fisiche del sistema, e soprattutto risulta essere molto sensibile alla variabilità intrinseca delle grandezze che si considerano. Inoltre, la correlazione è indicativa di comportamenti interessanti quando tra due variabili sussiste una relazione di linearità, e nel caso della

T A L P

Le differenti tipologie d’analisi studiate ed utilizzate in questo lavoro consentono di caratterizzare le correnti d’aria che determinano la micrometeorologia ipogea.

53

rispetto a quella dei restanti periodi. Le stesse considerazioni possono essere estese a Buca del Serpente. In questo caso però, il modello utilizzato mostra una maggiore correlazione tra (vmod)2 e (vmis)2 e pari a 0.84. Il comportamento di Buca del Serpente nel periodo convettivo risulta pertanto maggiormente in accordo con il modello teorico rispetto a quanto osservato per Buca d’Eolo. Le dimensioni dell’ingresso, molto più contenute rispetto a quelle di Buca d’Eolo, e la quota cui è collocato, la più bassa di tutto il complesso del Monte Corchia, potrebbero favorire una maggiore regolarità degli effetti causati dai diversi regimi di circolazione che interessano le correnti ipogee. Le stesse considerazioni possono essere estese a Buca del Serpente. In questo caso però, il modello utilizzato mostra una maggiore correlazione tra (vmod)2 e (vmis)2 e pari a 0.84. Il comportamento di Buca del Serpente nel periodo convettivo risulta pertanto maggiormente in accordo con il modello teorico rispetto a quanto osservato per Buca d’Eolo. Le dimensioni dell’ingresso, molto più contenute rispetto a quelle di Buca d’Eolo, e la quota cui è collocato, la più bassa di tutto il complesso del Monte Corchia, potrebbero favorire una mag-


meteorologia ipogea, è possibile avere differenti tipi di moto che si susseguono o interferiscono. In quest’ottica lo studio dell’esistenza di alcune strutture consistenti nei grafici di correlazione permette di individuare i periodi convettivi, oppure, applicando questo procedimento all’analisi delle correnti d’aria di diversi ingressi di uno stesso sistema è possibile valutarne il movimento accoppiato. A completamento dell’analisi statistica lo studio della stazionarietà in senso debole al primo ed al secondo ordine a differenti passi temporali risulta essere un promettente metodo di caratterizzazione delle differenti tipologie di moto delle masse d’aria ipogee. Infatti, si è osservato che il moto convettivo è stazionario in senso debole al primo ordine, mentre il moto barometrico può essere anch’esso stazionario in senso debole al primo ordine, oppure non stazionario, in dipendenza da fattori esterni quali la rapida crescita o decrescita della pressione esterna che determina picchi nel profilo temporale delle velocità delle masse d’aria.

D E L L A

F S T

53

Cluster Analysis L’utilizzo della Cluster Analysis ha molteplici implicazioni nello studio della micrometeorologia ipogea in quanto consente sia di relazionare le variabili meteorologiche esterne con le velocità delle correnti d’aria in un complesso, sia di aggregare i periodi in cui diversi ingressi hanno comportamenti accoppiati partendo da sole misure anemometriche. In particolare, il metodo Ward risulta essere il più robusto ed è quindi considerabile come riferimento nell’analisi di base per la caratterizzazione mediante la Cluster Analysis. Tale metodo consente di aggregare cluster derivanti da dati che descrivono comportamenti similari tra le variabili, sfruttando la linearità delle relazioni. Inoltre, attraverso questa metodologia d’analisi è possibile avere dei riscontri diretti su comportamenti accoppiati dei diversi ingressi di uno stesso complesso e utilizzare tale informazione per valutare possibili congiunzioni, qualora queste non siano note.

T A L P

R I V I S T A

Analisi dipendente dal modello teorico L’analisi modello dipendente risulta essere infine un approccio complementare all’analisi statistica, con il quale è possibile definire e caratterizzare al meglio sia le correnti d’aria ipogee, sia le condizioni micrometeorologiche ad esse collegate. Sono stati considerati prevalentemen-

88

te i rapporti tra vwind e e gli andamenti dp/ dt. Si è quindi trovato che l’analisi del rapporto, definita in letteratura [8], è il primo approccio modellistico per separare i dati in serie caratteristiche di determinati comportamenti fisici. L’analisi della derivata della pressione definisce questi periodi in base alla propria negatività e quindi in base ai propri zeri. Per complessi a prevalente sviluppo verticale, il regime convettivo è favorito nei periodi in cui la pressione esterna diminuisce (dp/dt < 0) oppure risulta essere stazionaria, mentre invece si hanno delle interferenze tra circolazione convettiva e barometrica quando si hanno aumenti di pressione esterna (dp/dt > 0). Per complessi a prevalente sviluppo orizzontale, invece, la derivata della pressione determina l’andamento delle correnti d’aria, in quanto il sistema risponde alle variazioni di pressione cercando l’equilibrio. In questa casistica si ha inoltre la sovrapposizione di variazioni di pressione a breve periodo, che introducono una variabilità del dato maggiore e di difficile analisi, in quanto tutti gli effetti risultano essere sovrapposti.
Per calcolare la derivata della pressione si sono usati metodi numerici a seguito di uno smoothing dei dati; tale procedura risulta abbastanza robusta a passi di campionamento che permettono di approssimare i dati a variazioni di pressione con periodi di circa 3 ore. A passi di campionamento maggiore, tale procedura introduce errori sistematici nelle analisi, in quanto determina la perdita di informazioni utili. L’utilizzo integrato delle tre metodologie d’analisi con un passo di campionamento ottimale di 1 minuto, consente dunque di caratterizzare i flussi d’aria in complessi carsici che determinano la meteorologia ipogea e in generale l’energetica dei complessi sotterranei.

Scheda meteorologica del Monte Corchia Periodo di misura: 7-15 luglio 2008, periodo estivo. Numero di ingressi conosciuti, sviluppo verticale del complesso: sono conosciuti attualmente 21 ingressi, per uno sviluppo verticale complessivo di oltre 1000 m.
 Ingressi analizzati: Buca del Serpente, Buca d’Eolo.


Congiunzioni conosciute: i due ingressi risultano comunicanti e la traversata tra questi è considerata una escursione speleologica classica nel Monte Corchia.

Risultati delle analisi

Aerologia ipogea: In base ai risultati delle analisi, è possibile affermare che Buca d’Eolo e Buca del Serpente sono due ingressi a prevalente moto convettivo nel periodo estivo, sensibili però a fenomeni barometrici, i quali hanno l’effetto di ridurre le velocità dei flussi d’aria nelle due grotte. Applicando dunque il modello teorico a tutto il complesso carsico conosciuto, è possibile dedurre che nel periodo 9-13 luglio le correnti d’aria che attraversano il complesso hanno un moto convettivo. L’aria entra infatti dagli ingressi alti ed esce dagli ingressi bassi, con velocità mediamente costanti ed influenzate dalle escursioni termiche giornaliere. Nei periodi 7-9 luglio e 13-14 luglio, le correnti d’aria nel complesso hanno un moto convettivo inerziale, che determina flussi in uscita dagli ingressi bassi, ma parallelamente si hanno variazioni di pressione tali da contrastare questo effetto negli ingressi bassi. Se infatti si ipotizza che l’effetto barometrico sia distribuito spazialmente su tutto il complesso del Monte Corchia, allora: • gli ingressi alti non subiscono modifiche nel proprio comportamento in quanto aspirano aria già per moto convettivo;

In base a tale suddivisione è possibile valutare geograficamente la disposizione di possibili fe-

F S T

89

D E L L A

• gli altri eventuali ingressi bassi del sistema assumono un comportamento come quello di Buca d’Eolo, aspirando aria e sovrapponendo i due effetti.

R I V I S T A

• gli ingressi neutri (ingressi eventualmente non attivi del complesso) iniziano ad aspirare aria acquisendo un moto puramente barometrico;

T A L P

del rapporto tra vwind e
 . Dall’analisi della derivata di pressione è stato inoltre possibile caratterizzare il comportamento convettivo, in

Interpretazione dei risultati

53

Analisi statistica: si ha una correlazione tra i due ingressi pari a 0.96, la quale indica l’accoppiamento di Buca d’Eolo e Buca del Serpente. Dall’analisi della varianza dei residui tra le due correnti d’aria normalizzate in base alla media, sono state individuate tre serie temporali che indicano comportamenti differenti nella tipologia di moto delle correnti d’aria. In base a questa divisione in serie, studiando le correlazioni, risulta maggiormente evidente il comportamento accoppiato degli ingressi e vengono individuate delle sottostrutture consistenti nei grafici di dispersione. Analizzando invece la stazionarietà in senso debole al primo ed al secondo ordine, è possibile individuare il fatto che sia per Buca d’Eolo, sia per Buca del Serpente, la serie 9-13 luglio risulta essere stazionaria in senso debole al primo ordine, con valori rispettivamente pari a 0.27 e 0.20 Inoltre, Buca d’Eolo non risulta essere stazionaria in senso debole al secondo ordine per nessuna delle serie individuate, anche se la serie 9-13 luglio ha valori inferiori rispetto alle restanti ad ogni passo temporale d’analisi; Buca del Serpente risulta essere stazionaria in senso debole al secondo ordine sia complessivamente, sia nella scomposizione in serie. Cluster Analysis: i metodi utilizzati sono in grado di suddividere in serie temporali i dati di entrambi gli ingressi, sia in base alle proprietà statistiche tra le variabili meteorologiche e le correnti nei due differenti ingressi, sia tra i flussi d’aria stessi di Buca d’Eolo e Buca del Serpente, trovando le medesime scomposizioni. Analizzando la Cluster Analysis con taglio due e metodo Ward, emerge infatti che il periodo 9-13 luglio ha lo stesso ordine gerarchico per entrambe le tipologie di analisi e quindi interpretabile come periodo convettivo sia per Buca d’Eolo che per Buca del Serpente. Model Dependent Analysis: dall’analisi di linearità è stato possibile suddividere in base alla varianza dei dati la parte convettiva da quella con interferenze barometriche ed analizzando direttamente la distribuzione

quanto tale moto risulta avere poche o nessuna interferenze barometrica quando si hanno valori negativi della derivata della pressione. Il moto con interferenze barometriche, determinato da valori positivi della derivata, ha effetti evidenti sul moto delle masse d’aria in quanto riduce la velocità delle correnti d’aria e nel caso di Buca d’Eolo fa invertire il moto delle stesse. In relazione a questo periodo Buca del Serpente annulla le velocità delle correnti che la percorrono. Non è stato possibile stimare il volume interessato da questi effetti in quanto la variazione del moto delle masse d’aria non è monotona.


nomeni meteorologici ipogei, come ad esempio le nubi di mescolamento che si creano in zone in cui si hanno arrivi d’aria a differenti temperature ed umidità.

Prospettive future Queste tipologie d’analisi, applicate al mondo ipogeo, sono ancora agli albori per tecnica sperimentale ed analitica e non sono in grado di caratterizzare al meglio periodi transienti tra cicli convettivi e barometrici in quanto mancanti di dataset completi ed estesi a livello temporale su cui applicare analisi e ragionamenti. Inoltre, a causa del periodo limitato in cui si sono acquisiti i dati, non è stato possibile stimare il volume del complesso interessato dalla circolazione delle

correnti d’aria mosse da forzanti barometriche, e pertanto si stanno disegnando alcune campagne di acquisizione dati, su complessi lombardi, volte proprio alla caratterizzazione ed al calcolo del volume interessato. Parallelamente, sono allo studio due differenti set di dati, sempre derivanti dal monte Corchia, in qui è stato registrato un gong: con i due anemometri ultrasonici posizionati in Buca d’Eolo e Buca del Serpente, è stata aperta e chiusa la porta dell’ingresso turistico, osservando una repentina risposta dei due ingressi. L’analisi di questi dati avrà l’obiettivo di individuare i tempi caratteristici di risposta del Sistema, valutarne lo spettro di frequenza e possibilmente calcolare il volume interessato dalla circolazione della corrente d’aria.

BIBLIOGRAFIA Badino, G. (1995). Fisica del clima sotterraneo. Bologna: Memorie dell’istituto italiano di speleologia.

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Badino, G. (2004). Clouds in caves. Speleogenesis and Evolution of Karst Aquifer, 2(2), 1–8. Badino, G. (2008). Il clima sotterraneo. Torino: La Venta. Badino, G. (2010). Underground meteorology - “ What ’ s the weather underground ?” Podzemna meteorologija : “ Kakšno je vreme v podzemlju ?,” 427–448. Gruppo Speleologico Archeologico Versiliese. (2007). Complesso carsico del Monte Corchia. Retrieved from http://www.apuane2007.it/italiano/ corchia/zona_corchia.php. Lewis, W. C. (1991). Atmosferic pressure changes and cave airflow: a review. The NSS Bulletin, 1–12. Lismonde, B. (2002). Climatologie du monde souterrain. (Édition du Comité Départemental de Spéleologie de l’Isére, Ed.) (I). Malacarne, D. (2013). L ’ influenza del clima e della meteorologia esterna sugli ambienti sotterranei. Università degli Studi di Torino. Pflitsch, A., Wiles, M., Horrock, R., & Piasecki, J. (2010). Dynamic climatologic processes of barometric cave systems using the example of Jewel Cave and Wind Cave in South Dakota , USA Dinamika klimatoloških procesov v barometričnih jamah : primer jam Jewel Cave in Wind Cave v Južni. Acta Carsologica, 39(3), 449–462. Pnueli, D., & Gutfinger, C. (1995). Meccanica dei fluidi.

90


F S T

INFORMA

DiversamenteSpeleo Toscana 2016: Una volta sognato un sogno non può finire nel nulla... di Eleonora Bettini e Gianni Ledda foto di Simone Lenci mente non omogeneo, con problemi fisici e sensoriali. Casualmente nessuno ha difficoltà di tipo psichiatrico. Parlo con chi non conosco ancora, cerco di capire problematiche e abilità personali, perché sono queste ultime su cui si concentra la nostra attenzione. I nostri amici non ci vedono, o ci vedono poco, in altri l’autonomia del cammino è limitata, oppure sono in carrozzina. Insomma, per capirsi, per loro già una strada sterrata può essere un ostacolo difficile da oltrepassare. Ma hanno tutti voglia di lanciarsi in questa avventura e si fidano di noi. Capito questo bisogna decidere cosa fare, con che tipo di progressione, come andare insieme in grotta. Non li ‘portiamo’, questo vocabolo è riservato solo ai sacchi e al materiale. La barella per chi ha difficoltà motorie non ci piace, sappiamo che è stata utilizzata con successo in altre giornate simili, ma a noi ricorda incidenti, ambulanze, ospedali. Poi è scomoda e permette solo una visione parziale dell’ambiente

.

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

91

53

Come sia nato in Italia il progetto di Diversamente Speleo lo abbiamo già raccontato negli atti dell’ultimo congresso della FST (TALP 50) e all’incontro a Livorno del 2015 “Speleologia e Disabilità”. A quel tempo avevamo solo dei propositi, ma in pochi mesi, circa sei, siamo riusciti a realizzare il progetto di scendere in grotta con persone disabili. Come si organizza DiversamenteSpeleo? La ricetta è abbastanza semplice: tempo, idee, coraggio, competenze e persone: speleologi e diversamente speleo. Follia quanto basta. Andiamo con ordine. Prima tappa del viaggio è decidere una data. Facile, cosa ci vorrà mai. Niente di speciale, ma bisogna tenere conto dei corsi di introduzione, degli aggiornamenti, delle esercitazioni, delle ferie... Fine giugno ci sembra andar bene, ma nel giro di pochi giorni un impegno fa slittare il tutto di una settimana, optiamo per il 2 luglio, ci sembra perfetto, ma non calcoliamo il Palio di Siena e ci giochiamo qualche senese. Definita la data iniziamo a contattare gli amici con disabilità, non poniamo limiti alle patologie e in poco tempo si forma un gruppo assoluta-


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

il suo corso, tenendo sempre il Corchia come jolly, non si sa mai. I permessi arrivano e si muove anche la pro-loco, entusiasta della nostra iniziativa. Tic tac, il tempo scorre. I lavori si fanno più urgenti. Si individua il responsabile tecnico, cuore e anima di tutta la giornata, agli speleo che vogliono intervenire chiediamo un’iscrizione preliminare, un afflusso eccessivo di persone non potrebbe essere altro che un ostacolo, poi ci sono da formare le squadre per permettere ad ognuno di noi di essere parte attiva della giornata, cerchiamo di analizzare tutte le necessità primarie e anticipare le richieste. Ancora una volta il CFS si dimostra un partner eccezionale e ci permette di utilizzare la foresteria, così per i nostri amici disabili se necessario ci sono bagni e stanze dove riposarsi. Inoltre un piccolo spuntino, bottiglie d’acqua, le assicurazioni, seggioline per la grotta, la raccolta differenziata dei rifiuti, il logo, le magliette, la pagina facebook, i comunicati stampa, la presenza di un medico, il materiale, i patrocini... Un lavoro enorme. Vista la decisione di puntare alla massima autonomia, si organizza a giugno una palestra speleo a Figline di Prato, un manipolo di non ipogeo. Optiamo senza indugio per il già sperimentato imbrago da paracadutismo, si scende tutti nella stessa posizione. Per i non vedenti basta il nostro imbrago, ma l’idea che passa è farli scendere e risalire un pozzo in autonomia: discensori e bloccanti. A questo punto dell’avventura si decide dove andare. Anche questo è facile, ci serve una grotta con un avvicinamento breve e fattibile almeno con un fuoristrada, ombra dove ripararsi dal sole vista la stagione calda, un ingresso abbastanza largo, un pozzo iniziale, un bel salone da far vedere. Ci sarà una grotta come questa sulle oltre duemila a catasto! Si, qualcuna ci viene in mente, ma per un motivo o per un altro la scartiamo. Qualcuno mi sussurra quasi timido e in segreto che forse c’è nella zona di Roccastrada, ma prima occorrono dei sopralluoghi. E il tempo passa. Alla fine la troviamo, è la Buca del Belagaio. Ha tutte le qualità, solo un piccolo problema, è sul terreno del Corpo Forestale dello Stato, occorrono richieste della Federazione per l’autorizzazione al transito dei mezzi e anche per scendere. Incrociamo le dita mentre la burocrazia fa

92


mentespeleo, ma non so se questo è dovuto alle responsabilità o se magari con un poco di baldoria in più si poteva rimediare. Ho provato a descrivere a grandi linee il lavoro che c’è dietro un evento del genere, non so se sono riuscita a far capire quanto impegno e tensione emotiva sono servite, il numero di mail, telefonate e ore dedicate. Mi auguro che questo sia l’inizio di progetti futuri, lo stimolo a mettersi in gioco. Scrivo queste poche righe dallo speleoraduno di Lettomanoppello dove ho avuto un piccolo spazio per raccontare la nostra esperienza veramente unica, mi ha fatto piacere essere salutata da chi era presente quel giorno (perdonami se non ti ho riconosciuto), ma anche da chi non è riuscito a venire al Belagaio, e casualmente sentire una conversazione di bolognesi che si sono emozionati ad ascoltare le interviste fatte ai ragazzi una volta usciti. Ringrazio tutti senza nominare nessuno, perché ogni apporto personale è stato fondamentale. I miei sogni continuano ad avverarsi, anche se non avevo sognato così tanto. di Eleonora Bettini n.d.r. sul Corriere della Notte troverete ancora foto, alcuni servizi andati in onda sulla rete RAI regionale e una bellissima testimonianza registrata di una partecipante alla giornata.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A

vedenti e di istruttori si cimenta tutto il giorno sulle corde. Ci inventiamo come attrezzare le calate, spieghiamo brevemente gli strumenti e la tecnica di progressione, aspettiamo che i fumi dell’alcool si diradano in chi si è presentato dopo una notte di baldoria (anche i ciechi si ubriacano), ci sono spiegazioni in inglese per chi arriva da terre lontane, con tanta pazienza si risolve un momento di tensione a un frazionamento. Anche questa è una bella giornata che ci lascia stanchi, ma pieni di sorrisi. Tic tac, e arriviamo a poche ore dal 2 luglio. Un grave problema personale ci lascia senza il coordinatore della logistica tecnica, la notizia ci sconvolge, ma non ci arrendiamo, lavoriamo anche per lui. Prepariamo i passaggi in macchina per chi deve raggiungere Roccastrada da Firenze, Pistoia, Lucca, Pisa. E alla fine siamo al Belagaio. Inizia la confusione, il caos, domande, e ancora domande, mi sento chiamare per risolvere l’irrisolvibile. La prima sensazione è che non ce la faremo mai, viene voglia di mettere la marcia indietro. Poi arrivo all’ingresso, e i primi gruppi iniziano a scendere, ma non escono dalla grotta! Giustamente è stato detto loro di prendersi tutto il tempo necessario per godersi l’ambiente e così rapidamente si aggiusta il tiro. La festa si trasferisce all’interno; solo quando riesco a scendere in fondo al pozzo e mi metto ad osservare dal buio inizio a rilassarmi. Vedo scendere piano piano tutti quanti, mi colpisce la scena di uno di noi, uno di quelli bravi, che appena si ritrova con un non vedente pare impacciato e accetta immediatamente un aiuto. Capisco le difficoltà di interagire con queste persone, il dubbio di usare parole sbagliate, di non essere all’altezza, di andare ad urtare la sensibilità. La diversità, come tutte le situazioni che non si conoscono, mette timore, anche se in grotta ci sentiamo a casa. Lentamente escono le squadre e si disarma, la grotta torna al suo silenzio. E’ solo in macchina, durante il viaggio di ritorno, che inizio a rilassarmi e a realizzare che è andato tutto a meraviglia. E questo lo focalizzo ancora meglio quando ascolto il messaggio vocale della mia amica, parole toccanti, un’attenta e acuta riflessione e una profonda lezione di speleologia, che ogni tanto vale la pena di ascoltare. I problemi ci sono stati, come qualche incomprensione, c’è anche chi dovendo aspettare troppo non si è divertito veramente, dovendo tenere a freno la sua indole irrequieta. A me è mancata l’aria di festa vissuta in altre giornate di diversa-

F S T

93


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Un appuntamento importante Ci sono dei momenti, degli appuntamenti, ai quali non si può mancare ed io, insieme a tanti altri, ho avuto la fortuna di esserci ad uno di questi. Accompagnare dei ciechi in grotta, fare con loro una palestra per insegnare la progressione su corda, per mostrare come si supera un frazionamento è stato semplicemente esaltante e non già per i risultati, comunque più che soddisfacenti oltre che superiori ad ogni previsione, quanto per la piacevolezza dei momenti. Ti dimentichi subito che sono diversi da te e questo succede con una semplicità disarmante e senza ricorrere a chissà quali riflessioni perché è la normalità del loro interagire che ti spiana la strada e che ti fa sembrare tutto normale. Non ti stupisci che dopo due prove l’uso del discensore sia cosa fatta o che passare un frazionamento, cosa non proprio banale per chi non vede, si risolva in tre balletti e senza troppe complicazioni e lo trovi normale visto la loro voglia di fare, di capire, di provare. E’ bello “sentire” questa vitalità gioiosa, questa curiosità, questa predisposizione all’emozione, al desiderio di provare nuove sensazioni e se unisci il tutto a delle squillanti risate ed ad una comunicatività contagiosa ecco che il gioco è fatto. Mancava è vero la prova del nove ma il due di luglio, in occasione della giornata toscana del DiversamenteSpeleo, anche questo tassello è andato a posto. Una splendida giornata di sole ci ha accolto ed il ritrovo alla foresteria del Corpo Forestale, vicina alla Buca del Belagaio, si è presto popolato di novelli e maturi speleologi uniti dalla voglia di fare e di provare, di condividere e di fare conoscere. Miscela splendida e perfetta che ha permesso a tutti di fare la propria parte e di passare una giornata piena, davvero piena, di belle emozioni, di incontri, di gioie e di scambio che ci ha fatto sentire alla fine soddisfatti, gratificati. Qualcosa sicuramente poteva andare meglio, qualche lamentela c’è anche stata perché le esigenze sono diverse, perché anche le aspettative possono essere diverse ma il risultato è di quelli che non si discutono e lo leggevi sui visi soddisfatti, sorridenti via via che ritornavano alla superfice. La cosa bella, anche questa volta, era la reciprocità della soddisfazione che si poteva cogliere sia negli accompagnatori che nel “diverso” accompagnato. Un’organizzazione perfetta e la grande disponibilità di tanti speleologi hanno permesso che tutto filasse via senza

94

il benché minimo problema; le grotte sono state magistralmente armate con le tecniche del soccorso ma, a parte chi proprio non poteva per motivi di mobilità, la maggior parte ha affrontato la discesa con i propri mezzi sotto lo sguardo vigile e premuroso di due di noi che avevano il compito di seguire il diversamente speleo in tutte le fasi, dall’avvicinamento alla discesa, dalla visita alla grotta alla risalita. Alla fine, ospiti della Proloco di Roccastrada abbiamo mangiato e bevuto e raccolto le diverse sensazioni che ci hanno dato la misura della nostra grande, reciproca, soddisfazione. Erano soddisfatti e felici i diversamente speleo che avevano coronato il desiderio di provare quelle sensazioni ed emozioni che noi avevamo loro raccontato, soddisfatti e felici di avere superato un confine che tanti, troppi, considerano insuperabile. Da parte nostra il piacere di avere contribuito a far sì che le loro emozioni, le loro gioie avessero riscontro con le nostre. I diversamente speleo ci hanno tanto ringraziato ma io credo che dovremmo essere noi a dover essere loro grati per le tante cose che il loro comportamento insegna, per la forza e la determinazione che dimostrano e che lasciano in ognuno di noi una traccia da approfondire, da seguire. Grazie dunque a Lara, Marianna, Niccolò, Sonia, Smart, Davide, Gianluca, Luciana, Giusi, Giuseppe e Andrea Ugo. Gianni Ledda


F S T

INFORMA

Un progetto insolito: altri modi di fare speleologia testo e foto di Lucia Montomoli (Comitato Federale)

T A L P R I V I S T A D E L L A

95

F S T

La locandina dell’evento fatto in collaborazione con la Casa Circondariale di Massa Marittima, la FST, Slow Food Monteregio e il GSMassa Marittima.

iniziativa di divulgazione?”. Rimango un attimo spiazzata ovviamente, io non mi sono mai mossa all’interno di un simile volontariato, quello che mi si prospetta davanti, se accetto il suo spunto, è un vero salto nel buio. Ma in fondo nel buio la speleologia si muove abitualmente; in fondo davanti a me non si prospetta altro che un ingresso nuovo di un percorso sconosciuto che solo se mi ci addentrerò saprò dove mi porterà; in fondo non è quello che sempre facciamo e che più ci affascina della speleologia? Così rispondo che sì, forse qualcosa si può inventare, che mi prendo una settimana di tempo

53

Tutto è cominciato all’inizio dell’anno 2016, con la necessità da parte della Commissione Editoriale di cercare di distribuire le pubblicazioni della Federazione rimaste in magazzino: TALP, Atti dei Congressi, pubblicazioni scientifiche ed altro. Nascono così due piccolissimi progetti che prendono il nome di Adotta una scuola e Adotta una biblioteca. Con l’aiuto di alcuni componenti del CF, la commissione prepara delle borsine dove vengono messi i volumi di maggior rilievo che la Federazione in questi anni ha stampato e, con l’aiuto di alcuni gruppi grotte federati che hanno aderito all’iniziativa, è iniziata la distribuzione presso alcuni complessi scolastici e biblioteche della Toscana. Anche io mi ritrovo ad avere a casa alcune borsine da distribuire presso le biblioteche e, all’ultima rimasta, mi viene da chiedere ad alcuni conoscenti se la Casa Circondariale della città di Massa Marittima (comune dove io vivo) ha al suo interno una biblioteca. So che presso quella struttura vengono svolti molti programmi rilevanti, perché non provare a capire se possa interessare loro avere dei volumi di carattere speleologico? Prendo così contatto con l’educatrice del penitenziario che è ben felice di accogliermi per visionare il materiale che la nostra Federazione propone. Ricordo ancora la sua frase che non lasciava alternative ad una mia eventuale risposta “Interessante, molto belle queste pubblicazioni, ma un’attività da proporre a seguito di questa vostra


Avere un programma

T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Una delle due “casette” poste all’interno della struttura carceraria.

per sentire cosa ne pensano gli altri componenti del CF della FST e poi sicuramente la richiamerò per mettersi d’accordo su come muoverci. Ed è così che parte un progetto di speleologia all’interno della Casa Circondariale di Massa Marittima, che tutt’ora è in corso e che, sicuramente, ci vede percorrere dinamiche inusuali rispetto a quello che normalmente è un approccio di conoscenza alla speleologia, ma che è altrettanto stimolante ed esaustivo. In questo articolo cercherò di riassumere le tappe fondamentali che abbiamo tracciato e spero possa essere di spunto a chiunque voglia riproporre un percorso analogo all’interno di altre realtà penitenziarie, e raccontando la mia/nostra esperienza, lasciare testimonianza di quali sono i passi giusti da fare e come si possano anche affinare per rendere migliore il tutto.

96

In tutti i corsi di introduzione alla speleologia che ogni gruppo grotta svolge normalmente, ci sono lezioni teoriche che affrontano ed approfondiscono le varie discipline che ruotano intorno alla nostra attività. Quindi questa parte del programma non è stata assolutamente difficile da preparare. Il difficile era, di ogni argomento, portare la grotta dentro al carcere. Nei nostri corsi si fanno lezioni ed uscite speleologiche in sincronia fra di loro e l’interesse verso una piuttosto che un’altra materia, accresce ogni qual volta ci si approccia ad una nuova uscita in grotta. Ma in questo particolare corso non ci sono state uscite in grotta, capirete bene il motivo, quindi bisognava trovare il modo di ricostruirne virtualmente una, che fosse il più possibile vicina all’argomento affrontato durante gli incontri teorici. Quello che mi è sembrato il più vicino possibile era visionare filmati e documentari di alto livello che approfondissero i vari argomenti trattati di volta in volta: speleogenesi, carsismo, geologia, idrogeologia, biospeleologia, sono stati fatti conoscere attraverso Power Point multimediali, semplici, pieni di immagini e piccoli video che ricreassero virtualmente quello che dal vivo non avremmo potuto vedere, i quali sono sempre stati accompagnati nel breve periodo, da documentari che riassumessero in se i vari aspetti della speleologia (esplorazione, ricerca, racconto) e che ci portassero a fare un piccolo viaggio simulato dentro varie grotte del mondo. Lo schema delle lezioni non è mai stato troppo rigido però, la lezione successiva si modulava molto a seconda delle richieste e delle curiosità che venivano direttamente presentate dai corsisti, altro metodo che, a mio avviso, poteva sopperire all’eventuale calo di attenzione sull’argomento, visto che non potevamo mai toccare con mano e dal vivo il mondo ipogeo. Un altro escamotage da me ideato per creare empatia con le grotte, anche se non c’era la possibilità di frequentarle dal vero, è stato quello di creare un percorso parallelo che ne approfondisse un aspetto in particolare. Qui non ci sono limiti alla creatività. A me è venuto in mente di fare un laboratorio di attività manuale dove costruire delle Bat Box, casa artificiale dei nostri amici pipistrelli. Strada facendo poi ho anche cercato di mettere in correlazione il “Progetto Speleologia Casa


Circondariale” con altri percorsi già esistenti all’interno del penitenziario, e ne sono nate, così, interessanti interazioni che vi andrò a raccontare in seguito. Fondamentale è cercare di non gettare mai la palla troppo lontano, con proposte o promesse difficilmente attuabili, visto il particolare mondo dove ci stiamo muovendo, collaborare a stretto contatto con il personale lavorativo, sempre preventivamente confrontandosi con gli educatori sulle varie iniziative che si vogliono proporre e accettare consigli ed eventuali restrizioni che ci vengono dati. Ogni realtà penitenziaria ha le sue regole a seconda del contesto che vive, modularsi a queste è di basilare importanza per ben riuscire nel progetto.

La seconda Bat Box posta all’interno della Casa Circondariale.

Correlazioni possibili

T A L P R I V I S T A D E L L A

97

F S T

Il laboratorio della costruzione delle Bat Box ha prodotto 4 casette per adesso, tutte fatte con legname riciclato, ecco perchè i colori del legno cambiano anche all’interno dello stesso manufatto.

da tantissimi anni collabora con la Casa Circondariale con laboratori del gusto che si svolgono al proprio interno. Studiando la geologia carsica del territorio del comune dove la struttura è posta è nata l’idea di creare una collaborazione con

53

Una prima preziosa collaborazione all’interno di questo progetto l’abbiamo avuta con Paolo Agnelli della Specola di Firenze. Dopo averlo informato dell’idea di attuare un laboratorio dove si sarebbero costruiti dei rifugi per chirotteri mi è sembrato naturale cercare di coinvolgere il padre di questo importante e riuscitissimo progetto delle Bat Box. Chiedendo il permesso alla direzione del penitenziario di poter svolgere una lezione con la sua presenza, siamo riusciti a tenere un incontro sui pipistrelli e sul progetto. Incontro che è stato fondamentale per trasmettere l’importanza della esecuzione di queste casette. Abbiamo investito una somma veramente esigua come FST per l’acquisto di un’attrezzatura di base per il laboratorio (piccoli utensili di falegnameria) e raccolto legname di recupero che fosse adeguato agli standard richiesti per la costruzione delle casette, dopodiché ne abbiamo iniziato la realizzazione. Laboratorio riuscitissimo, che ha visto anche l’aggiungersi di nuovi partecipanti durante il suo svolgimento e che ha dato spunto per maggiori approfondimenti sulle grotte e la vita della fauna ipogea. Per adesso abbiamo realizzato quattro Bat Box, due sono state collocate all’interno della struttura penitenziaria e altre due presso delle private abitazioni i quali proprietari ne avevano fatto richiesta. Una seconda iniziativa è nata insieme a Slow Food Monteregio di Massa Marittima, che già


T A L P

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Un momento durante la preparazione, davanti all’ingresso delle Tane della Camilletta (Massa Marittima, Grosseto), poco prima di entrare tutti in grotta.

loro mettendo insieme le rocce carbonatiche che ospitano le innumerevoli grotte di Massa Marittima con i maggiori prodotti tipici del luogo, ovvero olio e vino. Ne è nato un incontro aperto non solo agli ospiti della Casa Circondariale ma anche al pubblico, con un intervento del Gruppo Speleologico di Massa Marittima a cura del loro presidente nonché geologo Maurizio Negri, alcune aziende del territorio che hanno messo a disposizione i loro prodotti per delle degustazioni, e la collaborazione straordinaria della pittrice, che da anni tiene corsi di educazione artistica all’interno del penitenziario, che ha fatto sì che la locandina dell’evento fosse interamente ideata e prodotta dai detenuti. Un altro momento particolarmente importante è stato quello che ha visto nuovamente impegnato il GSMM in collaborazione con FST e l’iniziativa “Diversamentespeleo Massa Marittima 2016” che si è tenuta nella città nel mese

98

di settembre. Questo evento ci ha dato modo di coinvolgere chi dei detenuti godeva del permesso di libera uscita nell’aiuto necessario per accompagnare gli speciali speleo per un giorno in un parco della città che ospita alcune piccole cavità artificiali. Un modo per dare la possibilità ad alcuni dei partecipanti al “Progetto Speleologia” svolto all’interno della Casa Circondariale, non solo di collaborare ad un’attività a sfondo sociale, ma anche di avere un piccolo approccio dal vivo con il mondo sotterraneo. La correlazione fra tutte queste realtà esistenti e operanti sul territorio e all’interno del penitenziario ha dato modo di poter ampliare l’impianto iniziale del progetto e renderlo vivo e dinamico nonostante le ovvie limitazione del caso. Conclusioni Spero che questo progetto possa finire con un’ultima iniziativa che con la Direzione della Casa Circondariale di Massa Marittima e l’Edu-


catrice che opera al suo interno stiamo cercando di mettere in atto: una vera e propria uscita in grotta, proprio come quelle di un vero Corso di Introduzione alla Speleologia che noi tutti speleologi ben conosciamo. Ultima casella da poter posizionare all’interno di un percorso che si è rilevato particolare ma pieno di relazioni importanti ed emozionanti, degno di una vera esplorazione ipogea! Non bisogna mai dimenticarsi di una cosa però: l’entusiasmo che spesso contraddistingue la nostra attività non dovrà mai mancare, ma la serietà, la costanza, la trasparenza, la piena collaborazioni con gli organi preposti e l’impegno dovranno essere le basi imprescindibili che, chiunque voglia sperimentare questo percorso, deve mettere al primo posto.

e al suo presidente Maurizio Negri che ci hanno affiancato in ben due iniziative importanti svolte all’interno di questo progetto che altrimenti non avremmo potuto attuare; al presidio Slow Food Monteregio di Massa Marittima e al suo responsabile Fausto Costagli che è stato un partner superlativo; alla pittrice Angela Casagrande che mi ha dato la sua disponibilità e ci ha aiutato nel creare una locandina legata all’evento “Le rocce del Gusto”; un particolarissimo ringraziamento personale alla Dott.ssa Marilena Rinaldi che svolge il suo lavoro con una dedizione e un amore straordinari; infine, e soprattutto, a tutti i partecipanti di questo particolare corso che hanno seguito con una curiosità e una partecipazione inusitata, che difficilmente si trova in un normale corso di speleologia. Grazie a tutti.

Ringraziamenti I ringraziamenti sono dovuti a: la FST e il suo attuale CF che ha creduto di poter mettere in atto questo progetto appoggiandolo e dandomi una fiducia incondizionata durante il percorso svolto; alla Direzione della Casa Circondariale di Massa Marittima e a tutto il suo personale lavorativo che a sua volta ci ha dimostrato disponibilità e fiducia anche se era la prima volta che collaboravamo insieme; a Paolo Agnelli della Specola di Firenze, ineguagliabile la sua passione nel divulgare la conoscenza dei pipistrelli; al Gruppo Speleologico Massa Marittima

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

99


INFORMA F S T 53

F S T D E L L A R I V I S T A T A L P

ToscoBAT premiato dalla SSI di Paolo Agnelli (Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze) Abbiamo vinto! Incredibile ma vero! A premiarci è la Società Speleologica Italiana, che ha giudicato ToscoBAT (http://toscobat.msn.unifi.it) come il miglior progetto italiano di salvaguardia dell’ambiente ipogeo! Siamo felicissimi e ripenso a qualche anno fa, a quelle prime chiacchierate “pipistrellesche” con gli amici speleologi, al ritorno da emozionanti uscite in grotta, quando grazie all’aiuto di speleo ben più esperti di me, riuscivo a raccogliere un po’ di preziose informazioni sulla presenza dei pipistrelli nelle nostre grotte toscane. Era l’inverno 2013-14 e raccontavo di come io stesso, come altri chirotterologi prima di me, avevo tentato inutilmente di raccogliere le tante osservazioni di pipistrelli che gli speleo fanno occasionalmente durante le loro escursioni in grotta. Avevo distribuito delle schede di segnalazione cartacee tra i gruppi speleo che conoscevo meglio, ma ahimè senza risultati apprezzabili. Durante una di quelle chiacchierate con Eleonora Bettini finalmente capii grazie a lei una cosa importante: gli speleo non potevano sapere se e quanto una loro segnalazione sarebbe stata utile per lo studio dei pipistrelli. Alcuni pensavano che io conoscessi già certe colonie e credevano inutile segnalarle sulle schede. Ma soprattutto non immaginavano quanto quelle segnalazioni fossero importanti per la conservazione dei pipistrelli. Bisognava pensare a qualcosa di più coinvolgente, di condiviso. Qualcosa che permettesse a tutti di partecipare per la miglior comprensione della biodiversità ipogea e dell’importanza della raccolta dei dati sul campo. Quella sera nacque l’idea di una nuova formula di segnalazione e nei mesi successivi con Eleonora, Gianni, Sabrina, Fabrizio, Davide, Marco, Juan e tanti altri ancora, sviluppammo ToscoBAT. Questi i punti più innovativi e originali del progetto: • l’accesso al database mediante un sistema di iscrizione che permette di legare gli speleologi alle loro segnalazioni e di escludere l’accesso a visitatori occasionali non adeguatamente

100

preparati al fine di garantire la salvaguardia dei siti e degli animali censiti; - un programma di incontri pubblici, articoli e presentazioni a congressi per informare e sensibilizzare gli speleo e garantire la proficua e scientificamente corretta raccolta dei dati, minimizzando il disturbo alle colonie. Ma anche e soprattutto con lo scopo di diffondere una maggior consapevolezza dell’importante ruolo degli speleologi nella conservazione della biodiversità ipogea: - la possibilità di inserire nella segnalazione, oltre alle semplici informazioni di data, orario, numero di individui e loro attività, anche eventuali fotografie, utilissime per la determinazione della specie. - un’innovativa “catalogazione” delle grotte secondo tre codici colore per definirne il grado di sensibilità: un “bat-semaforo” che a seconda della stagione può essere verde (accesso senza rischi per i pipistrelli), giallo (occorre muoversi con cautela per non disturbare) o rosso (si sconsiglia la frequentazione in quel periodo); - un semplice “galateo cavernicolo”, elaborato dai ricercatori, per sintetizzare il miglior comportamento da tenere in grotta quando si è in presenza di pipistrelli. - la disponibilità di una aggiornatissima e originale guida ai pipistrelli e al loro riconoscimento tramite schede organizzate, liberamente scaricabile dal sito web, per il bio-speleologo che vuole saperne di più sulle specie italiane. Il programma on-line è stato realizzato grazie alla grande perizia tecnica, disponibilità e pazienza di Walter Santi della società IMSEO s.r.l. di Roma. Con lui abbiamo costruito, testato, corretto e affinato l’interfaccia con i segnalatori. Un tassello fondamentale del progetto è stata la collaborazione ufficiale tra il Museo di Storia Naturale di Firenze e la Federazione Speleologica Toscana, che ha permesso il coinvolgimento di tutti i gruppi grotte regionali, la corretta trasmissione della mission di questo progetto e quindi l’indispensabile supporto degli speleologi. Il premio della SSI ci ripaga tutti di tanto la-


voro, ma occorre dire che i veri vincitori sono proprio i bat-segnalatori di ToscoBAT. Se il progetto funziona è soprattutto grazie alle segnalazioni degli speleo toscani, al loro aiuto durante i rilievi più impegnativi, al loro appoggio, alla loro simpatia e al loro sostegno! Un grandissimo GRAZIE a tutti ! Per il futuro ci proponiamo di incrementare il numero di bat-segnalazioni, per meglio comprendere la distribuzione delle diverse specie di chirotteri e le loro esigenze ecologiche nelle diverse stagioni.

Ma il proponimento più ambizioso è quello di allargare il coinvolgimento delle persone per sensibilizzare l’opinione pubblica e soprattutto la Pubblica Amministrazione sull’importanza della biospeleologia, della conservazione dei Chirotteri e della biodiversità dell’ecosistema grotta.

Una piccola colonia di pipistrelli alla Buca Grande di Montorsi (T/LI 633), foto di G. Dellavalle.

53

T A L P R I V I S T A D E L L A F S T

101


INDICE T A L P

indice genereale gli articoli apparsi su TALP

elenco aggiornato al numero 52 (giugno 2016)

n°Talp/pag. Appendici carsiche Abisso della Focolaccia 37/4 Grotta Maria Colombo, Salerno, Campania 45/4 Archeologia Gli Antichi abitanti del Monte Argentario Archivio Le grotte del Bosco di Lappata

47/53 52/27

Biospeleologia La Tana di Castel Tendine, un ecosistema ipogeo da studiare 38/22 Difesa del territorio in Speleomantes italicus: relazione del progetto 40/43 Incontri con la fauna cavernicola 45/77 Grotta dolce grotta: utilizzo delle grotte ... 48/48 ToscoBat: il monitoraggio dei chirotteri ... 48/56 Progetto (geo)salamandra 50/22 ToscoBat: il monitoraggio dei Chirotteri .. 0/141 Campi speleo Emozioni al Veladro Carcaraia Carcaraia, diario del Campo Majella 2002

R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Catasto Commissione catasto Guida al catasto delle grotte Proposta di una scheda per il catasto delle cavità artificiali La nuova scheda del Catasto Speleologico Toscano Il catasto delle cavità artificiali Il web gis del censimento grotte della toscana Quanto è lungo il Corchia Orchi, lupi e gallerie perdute

T A L P

2016

10/14 17/44 25/26 25/38 4/11 13/20 19/46 28/58 34/32 35/42 46/39 48/61

Cavità artificiali Una città e le sue acque: Pistoia 6/34 Non solo grotte 7/28 Opere sotterranee in Cappadocia 14/40 Speleologia urbana: Portoferraio 1996 15/21 La grande galleria dell’Appennino e i suoi aereatori 15/48 Buca dell’Antina 16/19 Storia delle cavità artificiali dell’abitato di Portoferraio... 19/4 I cunicoli del territorio di Sorano, Grosseto 19/10 Le condotte del sottopassaggio del torrente Siele 19/14 Esplorazione e rilievo di tre cisterne medioevali 19/20 Pistoia sotterranea 19/28 A Livorno tra chiese, conventi, lazzaretti e … fabbriche di carburo 19/32 Pistoia sotterranea: una mostra 19/36 Rifacimenti urbani e distruzioni moderne a Pistoia 19/38 Siena sotterranea: i bottini 19/42 La galleria di Pian del Lago 19/50 Sotto Siena: gli altri bottini 29/32 Cavità artificiali nel senese 37/26

102

Ipogei salmastri... 39/64 Gli annessi agricoli al Podere Pian de Vignoli 44/17 La Galleria delle Fonti dell’Abbondanza 45/47 Le cavità artificiali di Massa Marittima 47/64 Il rilievo di una cavità artificiale 48/74 Gli insediamenti rupestri nella contea degli Ottieri, tra Toscana e Lazio 50/9 Il sistema minerario della Valle in lungo... 50/196 Galleria Teresa, Massa Marittima (GR) 51/74 Convegni Convegno tecniche speleologiche Commissione Soccorso F.S.T dietro le quinte 4/4 1°Convegno Italiano sui chirotteri 17/23 Atti congresso FST Gavorrano 23/Alla ricerca di grotte in…,.Biblioteca 25/10 1926-2006, 80 anni di speleologia a Pisa 32/40 Alpi Apuane: non solo cave 36/34 Apuane 2007, un anno dopo 37/44 Una scommessa vinta 49/12 Impressioni su Toscanaipogea 49/14 L’impatto ambientale dell’attività speleologica 49/30 Didattica speleologica: vecchie e nuove idee a confronto 49/31 Nuove e vecchie forme di associazionismo speleologico 49/32 Corrige Gerfalco Volume I: Poggio Mutti 47/86 Corsi Metodi di ricerca preistorica in grotta 20/22 Corso di Speleoglaciologia 21/70 II corso di topografia e rilievo 29/64 37° corso nazionale di fotografia in grotta 31/42 3° stage di qualifica Istruttori e Aiuto Istruttori di tecniche speleologiche SSI 35/40 Corso di I° livello in… Amicizia 36/38 I colori del buio 37/48 Grotte di ghiaccio 39/68 49° corso di perfezionamento tecnico 43/69 Corso di aggiornamento per accompagnatori in grotte turistiche 43/71 Informare d’ambiente, agire consapevolmente 44/47 Primo corso di speleologia in Etiopia 46/82 Il primo Corso di Introduzione alla Speleologia svolto in Etiopia 50/20 Dentro la Montagna. Alla Scoperta del mondo Ipogeo apuano 50/93 Ritorno a scuola 50/94 Speleobox per la didattica speleologica: analisi, criteri progettuali e linee guida 50/105 Corso di rilievo con TOPODROID Corso 3D Corso GPS Cronaca Richiamo alla successione temporale delle esplorazioni dell’Abisso Olivifer Progetto, studi e ricerche A.Milazzo Pozzo la Ragnaia Cari cavatori Speleologia e ambiente La montagna è scoppiata Relazione dei sopralluoghi nelle zone alluvionate... I ragazzi di Fornovolasco

51/94 51/96 51/98

3/27 4/33 8/32 10/28 12/46 13/27 13/29 13/38

Il G. S. “l’Orso’ e la Grotta del Sassocolato Le grate dell’Antro del Corchia: la sentenza E il Corchia va Un episodio da tener presente Giallo al buco Giallo Grotta del Vento e dintorni Cobardine - Fate: punto a capo

15/12 15/34 17/41 20/16 21/84 22/10 24/4

Documenti Le grotte naturali della provincia di Livorno 21/10 Emozioni Archivio storico 1/8 Scritti del colatoio 1991 3/25 La prova 4/25 La montagna vuota 5/32 Emozioni 7/35 Le porte della montagna 8/45 Il chiostro di S. Brandano 9/28 Cantico della vita 11/47 Una discesa nel Pozzo Revel 12/40 Incontri ravvicinati del terzo tipo 14/17 XXVII Corso di Biospeleologia di 3°Livello 17/38 8 Ottobre 1998: il giorno del serpente 18/18 … ed in fondo la luce 27/22 Vie 31/60 Cronache turistiche e speleologiche siciliane. Diario di un viaggio bellissimo... 44/34 Astrea, venti anni dopo 47/79 Tre luci, mille occhi, un solo respiro ... 49/10 Esplorazioni Grotta Lilliput Abisso Sole dell’ovest Abisso Cheek to Cheek Grotta di S.Anna Vecchia Abisso Gnomo (monografia) Buca di Foce Luccica Abisso Topolinia Alla ricerca delle gallerie perdute Watanka un nuovo abisso delle Alpi Apuane Una nuova grotta in Orto di donna: la buca Wil Coyote Abisso del Giglio Le Buche dei Menhir Belfagor Buca del Carbonaio I nostri primi due anni Buca di cavallo pazzo Buca della doccia La Buca di Piastreta e dintorni Canale di Renara: nuove cavità Abisso Olivifer Abisso dei Tarzanelli Buca della cava di Uliveto Terme Abisso Guaglio: ramo dei vespasiani Abisso Perestrojka Il colore del buio Esplorazione “fatale” Amarcord NgoroNgoro Esplorando nella macchia mediterranea Tra Milazzo e patatine BucaCino Buca del Magazziniere

1/10 1/14 1/17 1/19 1/21 1/32 1/39 2/6 2/15 2/19 2/25 2/33 2/35 2/38 2/41 2/44 3/7 3/10 3/17 3/30 3/38 3/42 3/45 3/47 4/6 4/17 4/21 4/24 4/27 5/6 5/18 5/32


5/35 6/3 6/7 6/10 6/14 6/19 6/26 6/46 7/3 7/13 7/15 7/18 7/30 8/4 8/13 8/25 8/29 8/34 9/4 9/14 9/30 10/3 10/20 10/22 10/32 10/39 11/3 11/9 11/19 11/28 11/36 11/42 12/16 12/22 12/26 12/36 13/7 13/16 13/22 13/40 13/44 14/20 14/26 15/29 15/37 15/50 16/26 16/33

26/10 26/20 26/40 26/44

27/38 28/4 28/12 28/28

50/118

Media Val di Lima 50/154 Area carsica della Calvana 50/175 Carcaraia: dal 2001 ad oggi 50/190 La Piera non fa tabacchino, ovvero il 19° ingresso del Corchia 51/4 La buca Hydra CMG 51/13 Prata di Massa Marittima (GR), grotte naturali e cavità artificiali 51/18 .Facciamo il punto su “Punta degli Stretti” passando per... La Buca del Beato:.. L’Abisso Franco Milazzo II Pozzo dell’Argentiera Il rilievo del complesso Astrea-Bagnulo-Generatore-Buca di V

28/46 28/52 31/52 32/16 36/4

13/47 14/36 14/37 18/28 20/12 27/4 28/70 31/65 43/73 45/85 51/100

Geologia La lenta agonia della Grotta di Torri 15/16 Note geomorfologiche sul complesso calcareo mesozoico del Monte Rotondo 22/6 Proposta di studio geologico 27/40 Geologia assetto strutturale della grotta di Montecchio 34/10 Analisi di facies nei depositi terrigeni di grotta 35/22 Toscana sotterranea sconosciuta... 49/34 Rilevamento geologico sotterraneo di skarn e mineralizzazioni a Pb-Fe, Buca Grande di Montorsi 50/107 Cavità di origine ipogenica nelle aree carsiche minori della Toscana centro-meridionale 50/108 Analisi di facies epi-ipogea e carsismo dei depositi pleistocenici dell’area di Perolla 50/178 Il carsismo di tipo “ghost-rock weathering” nelle grotte della Montagnola senese 50/194 Le aree carsiche della Toscana, un nuovo censimento 52/4 Grotte Marine Le grotte marine della Toscana: primo contributo 41/4 Primo censimento delle grotte marine della Toscana 50/63 Idrogeologia Risultato della prova di colorazione all’abisso E. Orsoni-Vetricia 1/48 La colorazione del Panne’ 15/52 Un nuovo modo di analisi dei fluocaptori 16/42 Colorazione: Sperucola del Senzossi 18/26 Le “colorazioni” di Mani Pulite e Farolfi 29/43 Una piena ad Equi Terme 29/60 Idrologia a Fornovolasco 36/10 Il progetto LISCA: laboratorio idro ... 45/69 Il progetto LISCA a Equi Terme 48/20 Progetto di indagine del sistema idrocarsico della Grotta del vento 48/36 La carta degli acquiferi carsici delle Apuane 48/42 Risultati sondaggio Commissione Scientifica Toscanaipogea 49/44 Primi monitoraggi alla Grotta del Vento 50/4 Incontri XVII Congresso Nazionale 5/39 Tutti insieme appassionatamente 6/36 Nebbia’93 8/20-22-24 Lago novantaquattro 9/38 Sogno di una notte di fine estate 10/6 Alcool e incidenti 10/10 Casola ‘95 11/27 SpeleoFotoContest 2006 32/44 Tentativo di studio idrogeologico della sorgente di Equi Terme: analisi dei dati disponibili 38/70

F S T

103

D E L L A

27/6

Grotte d’Amiata

FST informa FST informa Quota 500 Sottoscrizione pro alluvionati Convenzione Parco Apuane Corchia: dal 1841 al 2000 Inaugurazione della sede F.S.T. La nuova sede di Firenze Convegno di Castelnuovo: sono pronti gli atti Marzo 2012, fine mandato: tiriamo le somme Novità e progetti per TALP Premio di Laurea R. Giannotti I edizione

R I V I S T A

20/8 20/24 21/4 22/4 22/22 22/26 25/4 25/34

Esplorazione geomorfologica e speleologica dell’area carsica del Monte Cetona 40/22 Andar per grotte: quando esplorare è anche scoprire 43/20 Buca del Teschio: una grotta ritrovata dopo 50 anni! 51/44 Grotte dimenticate: la Buca della Risvolta 52/20

T A L P

17/3 17/17 17/27 18/6 18/40

L’Abisso Cann’Abiss e altre ricerche.. 28/36 La Buca del Canneggiatore 29/4 U.S.P.: Abisso Gigi-Squisio 29/12 Il “Ramo dei Romani” nell’Antro... 29/24 I Rami dei Fiorentini nell’Antro... 30/2 Grotta Lilliput, riveduta e corretta 31/4 Sperucola del Buffardello, FV 92 31/24 La grotta Vittorio Prelovscek 31/28 La “Buca del Rospo” una grotta... 32/4 Un’avventura che si chiama Buca dell’evento 32/10 Andar per grotte… sull’Etna 33/4 Nuove scoperte all’Abisso dello Smilodonte 33/36 Gerfalco volume I: l’area carsica di Poggio Mutti 33/42 E abbiamo trovato… 34/4 La grotta di Montecchio, ultimo aggiornamento: il Ramo dei dannati 34/6 Pardessealmolonovo: il quattordicesimo ingresso dell’Antro del Corchia 35/4 Mirandola: nuove esplorazioni dell’abisso 5 luglio 35/14 Aria nuova: Monte Tambura, Resceto, Massa 36/8 Abisso Chimera, Speleo Club Garfagnana 37/6 Alta Val Boana - 685T/LU, Buca Gofredo 37/10 Abisso Gigi Squisio, il “comunicare” nell’USP 37/18 Grotta Vittorio Prelovsek 38/4 Su Cava Torre e nei marmi e calcari selciferi dell’Orto di Donna 38/16 Abisso Chimera, Speleo Club Garfagnana La storia, da -68 a -1006! 39/4 Nello Squisio più profondo 39/13 Le risalite del Bertarelli 39/18 Il Fosso di Capricchia, Careggine, Castelnuovo Garfagnana, Lucca 39/26 Grotta della Turrite 40/4 Inghiottitoio di Rio Rimonio 40/14 Le grotte di Poggio Pinzo sul Monte Argentario 43/4 La Grotta della Cava, M57 44/4 Sul Monte Freddone, fra ripidi canali ... 45/6 Le risalite dei Maremmani 45/21 Speleologia a chilometro zero, la Buca del Col dei Burroni 45/34 Due cavità naturali nelle vulcaniti dei Monti Vulsini settentrionali 45/41 La Buca delle Fate di Formentale 46/6 Sassetta, tra vecchie e nuove scoperte 47/6 Gerfalco Volume II: Fosini 47/30 T/GR 2000: Grotta di Cala Finestra 47/40 L’area carsica del Monte Argentario 47/46 I rami del Cenenario in Corchia 48/4 Le esplorazioni al salone del Centenario... 50/19 Il carsismo nell’area di Massa Marittima 50/30 La Buca dell’olocco o della rinascita... 50/59 Grotte dei Monti pisani, in volo d’uccello 50/102 Le grotte della Montagnola senese 50/103 Buca Del Campo: Ingresso Lorenzo Brizzi... 50/106

53

Note su un nuovo ramo esplorato all’abisso Coltelli A proposito di grotte marine La nascita di Alice Nota su un nuovo ramo esplorato all’abisso Coltelli La Buca delle Aquile di Ripanaia La Buca delle Zanzare La Sperucola del Serpente Volastro Tre brevi storie sulle sorgenti di Roggio Astrea Neil Moss La Buca di Noceta Operazione Mani Pulite La Buca di Mamma Ghira A&B La Buca delle Ombre La congiunzione Mamma Ghira Pelagalli e oltre Pianiza: P56 Siamo tornati all’Abisso S.Vincenzo Congiungendo….. congiungendo -1 p. Speleologia in Pania Fontanino: ovvero la via di mezzo Buca a Nord del monte Pallerina Attività nella Toscana centrale La strana vicenda di Icaro Aria ghiaccia: l’abisso trasversale Alcune cavità dell’Isola d’Elba Monte Memoriante: una montagna sconosciuta Arnetola: il punto della situazione Ramo del Mulino: Abisso della buca del Poggione Pozzo La Ragnaia Sulle pendici del Pizzo d’Uccello Congiungendo... congiungendo - 2 p. Buche, sempre buche,… solo buche Una piccola grotta nell’arenaria Val Serenaia La via di Mamma Ghira La buca di V L’avventura del Mota-Mota Il nuovo fondo dell’Abisso Bologna Abisso Pozzi La Buca delle Nottole La Buca di Mamma Gracchia Coltelli-Gnomo... La Buca del Biserno Via di “Buca Sotto la Strada”... Stazzema Caves Buca Aione vent’anni dopo Boana’96 L’area carsica dei Poggi ad est di Orbetello La Buca di V Le Fate 1415-LU: Abisso Garfagnana FV82 Golem Monte Freddone: piccole grotte e verdone Pelagalli e dintorni Il decimo ingresso: i “Gracchi” La Buca Libre Le voci di dentro Mani Pulite Buckellen A.Montemurlo – Bocciolix Carcaraia 2002 La Tomba (Belagaio): un graziosissimo gioiello Oltre le Apuane: la Bucaccia, Voragine Maris Morelli Le grotte del Comune di Pescaglia Abisso 5 Luglio Oltre alle Apuane 2. L’inghiottitoio dei Casini di Corte Abisso 5 Luglio: aggiornamento dell’esplorazione L’inghiottitoio del Mulinaccio 254T/Gr-Grotta di Montecchio Buca Kelly: aspettando le Apuane


R I V I S T A

D E L L A

F S T

53

Seguire i fiumi della notte 42/4 Le sorgenti di Equi 42/8 La sorgente del Frigido 42/28 La sorgente de la Pollaccia 42/44 Le sorgenti di Pontestazzemese 42/58 Le colorazioni nell’area carsica dei Monti della Calvana 42/76 Colorazioni, ovvero tutto quello che c’è da sapere... 42/92 Incontro del CNSAS con la speleologia toscana 43/63 Aquae Frigidae: Forno 7 luglio 2012 46/72 Divulgare la speleologia giocando 46/78 Pronti Attenti si Parte: Aquae Lucidae 48/16 Disabilità e Speleologia: incontrarsi... 50/28 Fotografati con il dovuto rispetto 50/95 Il CNSAS incontra la speleologia toscana 51/85 Speleologia e disabilità 51/87 Quattro uomini in grotta, per tacer del cane 51/87 La memoria delle Grotte: viaggio attraverso la paleontologia 51/91 Itinerari Dalla Grotta di Equi alla Polla di Forno 48/30 Itinerario Speleologico: dalla Buca del Gallo alle Fonti di Bufalona 51/58 Materiali Il carburo di calcio 17 Memoria Rodolfo Giannotti 15/56 A Vittorio 16/32 In ricordo di Francesco Viciani, socio fondatore dell’Unione Speleologica Calenzano 26/48 Luciano Salvatici e Giovanni Noferini 28/68 Igino Trombi 31/23 Mario Lazzarini 32/48 Pietro Gittarelli 37/52 Giovanni Adiodati 42/96 Dino Coltelli 47/96 Meteorologia Stima del volume di un sistema carsico basata sull’oservazione della circolazione d’aria agli ingressi. Analisi meteorologica della Buca del Cane di Scorgiano 38/54 Paleontologia I “morti” della 482T 5/8 Il Gulo nell’acqua 13/5 Recensioni libri Carlo Cavanna, Le grotte della provincia di Grosseto 18/36 Il labirinto di Chiusi 27/44 Soccorso speleo Soccorso Speleo 14/38 Abisso Saragato 15/7 Spedizioni Speleologia toscana all’estero 1/40 Luglio’91 Su Spiria 5/21 In Bolivia sulle orme dei dinosauri 10/15 Etiopia 2002: ricerca preistorica nella grotta di Harurona (Gesuba) 29/4 Le grotte del Wolayta (Etiopia meridionale) 3/24 Speleo informatica Server speleo 11/44 Speleologia Toscana in Internet 12/47 Speleo Quark Alcuni dati dell’analisi statistica delle grotte delle Alpi Apuane 3/20 Bere o non bere: questo è il problema 9/24 Il Re della grotta è in pericolo 13/3 Paleontologia I “morti” della 482T Il Gulo nell’acqua

5/8 13/5

Recensioni libri Carlo Cavanna, Le grotte della provincia di Grosseto Il labirinto di Chiusi

18/36 27/44

Rilievo

T A L P

Progetto ORSO-3D: Operazione Rilievo con Senso-

104

re Ottico in 3D

50/24

Soccorso speleo Soccorso Speleo Abisso Saragato

14/38 15/7

Spedizioni Speleologia toscana all’estero 1/40 Luglio’91 Su Spiria 5/21 In Bolivia sulle orme dei dinosauri 10/15 Etiopia 2002: ricerca preistorica nella grotta di Harurona (Gesuba) 29/4 Le grotte del Wolayta (Etiopia meridionale) 3/24 Speleo informatica Server speleo Speleologia Toscana in Internet

11/44 12/47

Speleo Quark Alcuni dati dell’analisi statistica delle grotte delle Alpi Apuane 3/20 Bere o non bere: questo è il problema 9/24 Il Re della grotta è in pericolo 13/3 Ricerca preistorica nel “Riparo Cavanna” 14/47 Stalattiti eccentriche 16/23 Alcune osservazioni in Maremma 18/22 La strana metereologia degli ingressi delle grotte 18/32 L’impossibile meteorologia delle grotte 20/4 Gli speleotemi come archivi naturali del clima passato 20/30 I gradienti di temperatura nei monti: un indicatore esplorativo 21/72 Il clima sotterraneo è sottosopra? 21/81 Cosa deve fare uno speleologo quando trova un baby pipistrello? 22/18 Le implicazioni paleoambientali della composizione isotopica del carbonio di alcune stalagmiti delle Alpi Apuane 24/50 Il clima delle Alpi Apuane tra 280.000 e 370.000 anni fa 26/30 Che tempo fa in grotta? 31/32 Al limite del tempo 33/20 Variazioni climatiche, speleotemi e Corchia 34/30 Antro del Corchia: un tempio sotterraneo del clima 35/36 La Buca del Frate di Perolla, uan grotta “mozzafiato” 40/28 Tre anni di rilevamenti del radon in Forra Lucia, Monti della Calvana 44/25 La Tana che Urla: quando il colore ... 45/62 Speleosub Speleologia subacque La risorgenza della Pollaccia Studi sulla curva di esaurimento di una sorgente del monte Morello Esplorazione della risorgenza del Tinello Luglio’91: Suspiria Un’occasione tutta Toscana In fondo … è … un sifone Fortissimamente Milazzo Risorgenza del Tafornione e dintorni Al di là del Vadoso La storia continua Esplorazione post sifone abisso Urli Finalmente in acqua

2/30 3/14 5/21 5/37 8/10 9/22 10/24 13/8 13/13 16/16 18/12

Speleotemi Piccole grandi grotte: la Renella

38/50

1/45 2/21

Il monitoraggio della composizione isotopica delle acque di pioggia e di stillicidio dell’Antro del Corchia: implicazioni idrologiche e paleoclimatiche 50/96 Studi paleoclimatici sugli speleotemi toscani: ultimi dati e nuove prospettive 50/147 Tante grotte, tanti archivi del clima passato: dati preliminari della convenzione INGV-FST 52/45 Talp Appunti Magica...magica lampada

8

Note di geologia per speleologi Chiacchierando di poligonali Fotografare in grotta L’area carsica dei Poggi ad est di Orbetello Alla scoperta del sottosuolo dei monti di Campiglia Marittima (LI) Talp Archivio Sopra alcune cavità del Monte del Giardino Tana Termini La Tana che Urla Una gita alla Tana di Cascaltendine nel Monte di Gragno A grotte, rovistando negli archivi... Di alcune grotte della Garfagnana... Eremiti: gli speleonauti del passato Cavità artificiali minori: strani casi 150 anni di “unità speleologica”

9 10 14 18 19

12/6 14/14 16/35 25/18 31/12 32/22 36/20 39/50 43/46

Tecnica Per un foro in più 5/23 Ni-Cd che passione 6/23 Trapano Bosch, bello...Bello impossibile! 7/9 Fotografare a -1.000 16/3 Nuovi strumenti: il GPS 16/12 Speleolaser 17/42 Abisso Mani Pulite: non solo esplorazioni 22/31 Complesso Cobardine - Fate: fotografare l’acqua 24/42 Il monitoraggio delle temperature agli ingressi delle grotte 27/12 Una nuova luce 34/16 ARVA come strumento di ricerca 35/28 Torrentismo Torrentismo 2/28 Torrentismo sui Pirenei spagnoli 7/25 Rio Alba & Rio Simon 9/6 Non solo speleo 27/28 Tutela ambietale Tutela e valorizzazione del patrimonio speleologico Un disaccatastamento Una grotta che non c’è Delle strade in Apuane o il progress Diamoci un taglio Alpi Apuane: escavazione e tutela ambientale... Parco Alpi Apuane Chirotteri: l’orecchione Grotte, cave & gallerie I geo-trioni delle Alpi Apuane È l’anno delle acque? Case Castello “disostruita” dal legname Turismo estero Garfagnini alla Pierre S.Martin In Bolivia sulle orme dei dinosauri Avventura speleologica in Etiopia Indonesia ‘95 Yugoslavia Usi e Costumi Storia del fondatore dello Speleoclub Pontedera Note di viaggio Nove Con La scoperta dell’Acqua Calda De rerum speleologica 1° Speleo-comunicare De rerum speleologica 2° Chi cerca trova Prepariamo insieme i sacchi per le esplorazioni di domani Oggetti smarriti De rerum speleologica 3° Riservato ai neofiti De rerum Speleologica 4° HomoSpeleus

6/40 8/3 9/3 9/36 12/35 15/3 16/47 18/20 20/28 25/16 27/34 31/40 9/19 10/15 11/24 12/13 13/18

1/42 2/18 5/16 6/31 7/36 8/42 9/33 10/34 11/15 11/43 12/3 12/44 14/11 16/29


Specifiche per l’invio di materiale da pubblicare su TALP FIGURE E FOTO È spesso capitato di dover lavorare con foto a risoluzione troppo bassa; questo ha comportato in alcuni casi il riadattamento, ed in altri l’inevitabile eliminazione. Mandare foto inadeguate comporta un aspetto peggiore per la pubblicazione e, di conseguenza, un aspetto peggiore dell’articolo che vorreste condividere con gli altri. Seguendo alcune piccole regole questo può essere facilmente evitato. Quando una foto viene pubblicata a centro pagina le sue dimensioni sono circa 14 cm x 10 cm, che a 300 DPI (la qualità minima di stampa richiesta) fa 1654 x 1181 pixel. Questo significa che se volete essere sicuri della qualità, queste sono le misure minime a cui attenersi. Se la foto è un pò più piccola non è un problema, ma diminuendo la dimensione scende anche la qualità e quindi saremo costretti a ridurre la misura dell’immagine pubblicata o, nel caso sia veramente piccola, a non pubblicarla affatto. Le foto vanno mandate in formato TIFF oppure JPG, preferibilmente a bassa compressione; niente GIF, PNG o altri formati, né tanto meno come parte di documenti PDF e peggio ancora WORD. Se volete che le foto vengano inserite esattamente dove le avete predisposte voi nell’articolo e con il relativo commento, sarebbe opportuno allegare uno schema di come le vorreste o magari l’articolo montato in PDF o WORD, in modo che in fase di creazione del numero venga rispettata la disposizione originariamente pensata per l’articolo. TESTI I testi vanno consegnati come documento di testo: Rich Text Format (.rtf), OpenOffice o Word (.doc), senza particolari marginature o impaginazioni di sorta, senza foto ed immagini inserite. Sono invece necessari: titolo-eventuale sottotitolo-nome e cognome dell’autore del testo, eventuale autore delle foto, se è • unico per tutte le foto-Gruppo/ente/associazione di appartenenza. Facoltativa, ma gradita, eventuale bibliografia. Il testo può essere diviso in capitoli. ALCUNE NORME E REGOLE DI SCRITTURA: unità di misura: sono simboli, non sono abbreviazioni, quindi non necessitano del punto. • Sono definite da norme internazionali e quindi non ce le possiamo inventare: metro si scrive m e non mt o peggio mt.; la punteggiatura è sempre seguita da uno (uno solo, ma almeno uno) spazio, mai preceduta da uno • spazio; • gli spazi fra le parole sono necessari ma sono sempre uno solo. Non possono essere usati per aggiustare la lunghezza della frase; • le iniziali maiuscole accentate (ma anche le minuscole) si fanno con l’apposito carattere, mai con la lettera normale e l’apostrofo! Se uno non le sa inserire faccia fare al correttore automatico, basta inserire la corrispondente minuscola dopo il punto e come per incanto il programma la inserisce al vostro posto! (esempio: E’, e’ errato, È, è corretto); • “Perché è bello” si scrive con gli accenti diversi, aperto e chiuso; la punteggiatura esclamativa o interrogativa va inserita una volta sola, anche se siete emozionati, per • cui mai !!!! né ??? o !?!?; • i puntini di sospensione sono tre per regola, evitate di metterne di più, non significano niente. RILIEVI E CARTE I Rilievi e la cartografia devono essere inviati nei formati JPG o TIFF nelle dimensioni reali di stampa, quindi con disegno e caratteri leggibili adatti ai vari formati: - rilievo/cartografia a doppia pagina: misure cm 30 x 19; - rilievo/cartografia a una pagina: misure cm 14 x 19; - rilievo/cartografia a mezza pagina: misure cm 14 x 12; - rilievo/cartografia a ¼ di pagina: misure cm 7 x 9. Nel rilievo deve essere riportato: il dislivello dall’ingresso al fondo, numero di catasto, sigla della provincia e nome della grotta, data, autori dei rilievi, gruppo/i speleologici. In una tabella a parte possono essere inseriti gli altri dati: comune, località, area carsica, quota d’ingresso, coordinate chilometriche Gauss Est – Nord, dati metrici di sviluppo della grotta, ecc. Sia i rilievi che le cartine (geografiche, geologiche, ecc...) devono avere riportata la scala grafica.


contributo annuo (due numeri) 8,00 euro Versamento c.c.p. n. 10770501 Bonifico Bancario IBAN: IT83 T076 0102 8000 0001 0770 501 intestato a: FEDERAZIONE SPELEOLOGICA TOSCANA c/o Museo di Storia naturale del Mediterraneo Via Roma 234, 57127 Livorno NOTA BENE È possibile fare un versamento unico per più abbonamenti. In ogni caso si prega di inviare a talp@speleotoscana.it copia del versamento effettuato e il nominativo/i e l’indirizzo/i a cui devono essere spediti i

51

numeri di TALP.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.