SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE ART2 COMMA 20 LEGGE 662/96 AUT. TRIB. LUCCA DEL 31/05/89
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numeri di TALP.
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TALP N 52, Giugno 2016 Rivista della Federazione Speleologica Toscana Pubblicazione semestrale Spedizione in A.P. Art.2 Comma 20/c Legge 662/96 Filiale di Lucca 55100 Aut.Trib. Lucca N.499 del 31/05/1989 Direttore Responsabile PAOLO MANDOLI Redazione ELEONORA BETTINI LUCA DERAVIGNONE LUCIA MONTOMOLI Coordinamento Grafico a cura della Redazione a questo numero ha collaborato M. Croci, M. Menchise, L. Piccini, E. Poggetti.
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Liste di lavoro: lista-editoriale@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una mail a : lista-editoriale-subscribe@speleotoscana.org lista-scientifica@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: lista-scientifica-subscribe@speleotoscana.org lista-ambiente@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: lista-ambiente-subscribe@speleotoscana.org lista-informatica@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: lista-informatica-subscribe@speleotoscana.org Lista Speleo Toscana: speleotoscana@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: speleotoscana-subscribe@speleotoscana.org Newsletter di informazione sulla FST: fst@speleotoscana.it - per iscriversi istruzioni sul sito www.speleotoscana.it
FIGURE E FOTO È spesso capitato di dover lavorare con foto a risoluzione troppo bassa; questo ha comportato in alcuni casi il riadattamento, ed in altri l’inevitabile eliminazione. Mandare foto inadeguate comporta un aspetto peggiore per la pubblicazione e, di conseguenza, un aspetto peggiore dell’articolo che vorreste condividere con gli altri. Seguendo alcune piccole regole questo può essere facilmente evitato. Quando una foto viene pubblicata a centro pagina le sue dimensioni sono circa 14 cm x 10 cm, che a 300 DPI (la qualità minima di stampa richiesta) fa 1654 x 1181 pixel. Questo significa che se volete essere sicuri della qualità, queste sono le misure minime a cui attenersi. Se la foto è un pò più piccola non è un problema, ma diminuendo la dimensione scende anche la qualità e quindi saremo costretti a ridurre la misura dell’immagine pubblicata o, nel caso sia veramente piccola, a non pubblicarla affatto. Le foto vanno mandate in formato TIFF oppure JPG, preferibilmente a bassa compressione; niente GIF, PNG o altri formati, né tanto meno come parte di documenti PDF e peggio ancora WORD. Se volete che le foto vengano inserite esattamente dove le avete predisposte voi nell’articolo e con il relativo commento, sarebbe opportuno allegare uno schema di come le vorreste o magari l’articolo montato in PDF o WORD, in modo che in fase di creazione del numero venga rispettata la disposizione originariamente pensata per l’articolo. TESTI I testi vanno consegnati come documento di testo: Rich Text Format (.rtf), OpenOffice o Word (.doc), senza particolari marginature o impaginazioni di sorta, senza foto ed immagini inserite. Sono invece necessari: • titolo-eventuale sottotitolo-nome e cognome dell’autore del testo, eventuale autore delle foto, se è unico per tutte le foto-Gruppo/ente/associazione di appartenenza. Facoltativa, ma gradita, eventuale bibliografia. Il testo può essere diviso in capitoli. ALCUNE NORME E REGOLE DI SCRITTURA: • unità di misura: sono simboli, non sono abbreviazioni, quindi non necessitano del punto. Sono definite da norme internazionali e quindi non ce le possiamo inventare: metro si scrive m e non mt o peggio mt.; • la punteggiatura è sempre seguita da uno (uno solo, ma almeno uno) spazio, mai preceduta da uno spazio; • gli spazi fra le parole sono necessari ma sono sempre uno solo. Non possono essere usati per aggiustare la lunghezza della frase; • le iniziali maiuscole accentate (ma anche le minuscole) si fanno con l’apposito carattere, mai con la lettera normale e l’apostrofo! Se uno non le sa inserire faccia fare al correttore automatico, basta inserire la corrispondente minuscola dopo il punto e come per incanto il programma la inserisce al vostro posto! (esempio: E’, e’ errato, È, è corretto); • “Perché è bello” si scrive con gli accenti diversi, aperto e chiuso; • la punteggiatura esclamativa o interrogativa va inserita una volta sola, anche se siete emozionati, per cui mai !!!! né ??? o !?!?; • i puntini di sospensione sono tre per regola, evitate di metterne di più, non significano niente. RILIEVI E CARTE I Rilievi e la cartografia devono essere inviati nei formati JPG o TIFF nelle dimensioni reali di stampa, quindi con disegno e caratteri leggibili adatti ai vari formati: - rilievo/cartografia a doppia pagina: misure cm 30 x 19; - rilievo/cartografia a una pagina: misure cm 14 x 19; - rilievo/cartografia a mezza pagina: misure cm 14 x 12; - rilievo/cartografia a ¼ di pagina: misure cm 7 x 9. Nel rilievo deve essere riportato: il dislivello dall’ingresso al fondo, numero di catasto, sigla della provincia e nome della grotta, data, autori dei rilievi, gruppo/i speleologici. In una tabella a parte possono essere inseriti gli altri dati: comune, località, area carsica, quota d’ingresso, coordinate chilometriche Gauss Est – Nord, dati metrici di sviluppo della grotta, ecc. Sia i rilievi che le cartine (geografiche, geologiche, ecc...) devono avere riportata la scala grafica.
SOMMARIO giugno
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NEWS
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EDITORIALE
GEOLOGIA
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Le aree carsiche della Toscana, un nuovo censimento 45 Tante grotte, tanti archivi del clima passato: dati preliminari della convenzione INGV-FST di S. Panichi, L. Piccini di I. Isola, G. Zanchetta, E. Regattieri
FACCIAMO IL PUNTO SU
20 Grotte dimenticate: la Buca della Risvolta (T/LU 158)
di L. Piccini
ARCHIVIO
di S. Panichi
TALPIMMAGINI
SPELEOTEMI
MEMORIE
51 Ricordo di Benedetto Lanza (1924-2016) di P. Agnelli (La Specola), F. De Sio (GSF), F. Utili
27 Le grotte del Bosco di Lappata
40 Strettoie
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NOTIZIE T A L P
Congresso di biospeleologia in sardegna Dal 7 al 9 aprile 2017 in Sardegna, a Cagliari, si terrà un Congresso di Biospeleologia. Un importante evento che si prefigge come obiettivo quello di aggiornare lo stato attuale delle ricerche biospeleologiche, capire quali frontiere possano essere aperte e non ultimo valorizzare la tutela della biodiversità sotterranea. L’occasione sarà inoltre importante per far incontrare i diversi ricercatori che svolgono studi sulla biospeleologia, dando modo di condividere i dati e creare nuove collaborazioni. L’evento è organizzato dall’associazione Natural Oasis, la Federazione Speleologica Sarda, l’Università degli Studi di Cagliari e l’Università degli Studi di Sassari. È aperto a tutti: ricercatori, appassionati e semplici curiosi. Per avere maggiori informazioni si può visitare il sito: http://congressobiospeleo.wix.com/biospeleo2017, scrivere una mail a congressobiospeleologia@gmail.com o cercare su facebook con account e pagina Congresso Biospeleologia. Gli organizzatori del congresso
90 anni del GSPi È con orgoglio che il Gruppo Speleologico CAI Pisa annuncia il raggiungimento di un importante traguardo: nel 2016 ha compiuto 90 anni! Nel 1926 il Prof. Cav. Rodolfo Giannotti, fondatore, anni più tardi, anche della Federazione Speleologica Toscana, valente e appassionato speleologo, ha dato vita al gruppo più longevo della Toscana (terzo in Italia), contribuendo altresì alla fondazione di altri gruppi toscani. Il GSPi, grazie al Cav. Giannotti e alle generazioni che si sono susseguite, sempre con un occhio di riguardo per la formazione e la divulgazione della speleologia, ha partecipato anche alle grandi esplorazioni in Apuane, senza mai dimenticare i vicini Monti Pisani. Per l’occasione, nei giorni 7, 8 e 9 del mese di ottobre p.v., presso la Stazione Leopolda di Pisa si terrà un convegno con mostre, proiezioni e tavole rotonde. Invitiamo tutti gli amici speleo a partecipare, sarà comunque una bella occasione per ritrovarci prima del consueto raduno nazionale. Nei prossimi mesi pubblicizzeremo l’evento con tutti i dettagli sul nostro sito www.speleopisa.it. Gruppo Speleologico Pisa CAI
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Mezzo secolo di FST Maggio 1967, viene depositato l’atto costitutivo della Federazione Speleologica Toscana. Nel 2017, la FST compie i suoi primi 50 anni. Anni pieni di attività speleologica svolta ad ogni livello, locale, regionale e nazionale. Esplorazioni, studio, ricerche, collaborazioni con università, enti, amministrazioni, anni pieni di piccole e grandi battaglie per poter crescere ed essere riconosciuta. Vorremmo raccontare questa storia attraverso la memoria degli speleologi toscani che in questi anni ne hanno fatto parte, hanno portato aventi le commissioni, hanno redatto le pagine di TALP, attraverso le tante storie dei gruppi grotta che hanno partecipato alle molte attività che si sono svolte insieme: racconti, foto, video, aneddoti, pensieri, volti, grotte… Mandateci tutto il materiale che ritenete esplicativo a redazione@speleotoscana.it per festeggiare insieme questi 50 anni: e grazie fin da ora del vostro indispensabile aiuto! La redazione di TALP
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TALPIMMAGINI: Strettoie approfondimento online: ... e le strettoie continuano.
www.speleotoscana.it/talp_online/category/talp-online/ 2
ONLINE
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RIFLESSIONI
EDITORIALE
Da quando, nella metà degli anni ‘80, alcuni appassionati di speleologia fondarono questa rivista sono avvenuti, nella società italiana e mondiale, cambiamenti epocali nel processo di comunicazione e scrittura. E’ cambiato il modo di rappresentare la realtà e anche l’espressione. La stessa grammatica ha subito profonde trasformazioni dovute essenzialmente alla diffusione della rete ed alla necessità di esprimersi in maniera nuova. I paradigmi dell’attuale stile di comunicazione sembrano essenzialmente due: velocità e condivisione. Da un lato è notevolmente aumentata (e questo è sicuramente un bene) la possibilità di condividere esperienze ed emozioni anche con l’ausilio di supporti multimediali fruibili tramite dispositivi che ormai tutti ci portiamo dietro quotidianamente. Dall’altro si è persa la capacità “di prendersi quell’attimo” per scrivere ad un amico, per parlare di un’esperienza, per raccontare o semplicemente per riflettere. L’attimo, ormai include sia il momento in cui un’esperienza la si vive, sia il momento in cui la si comunica, ossia la si condivide. E spesso, purtroppo si esaurisce lì, con l’abuso impudente della parola “condivisione”, maschera meneghina di “esibizione”. Le stesse parole che si usano a voce per raccontarsi, non vengono più usate, vengono trasformate, contratte, per essere inserite sui social network sotto forma di emoticons. I racconti che una volta erano scritti sulla carta e che spesso spingevano i lettori a fantasticare sui luoghi e sui personaggi descritti, oggi rimangono sul web lo spazio minimo per un commento o un riduttivo “I like” che, spesso, preclude anche la possibilità di formulare un giudizio più articolato. Che sia questa la nuova strada, non lasciare nulla o poco di se stessi? Che una rivista prestigiosa come TALP, densa di approfondimenti, sia destinata ad essere confinata in una sorta di “splendido isolamento”? Forse i nostalgici della vecchia scuola dovranno uniformarsi ai nuovi modelli di questa società, forse “tempo” e “ricordo” prenderanno le forme di speleotemi, su cui curiosi speleologi, misureranno, un giorno, le ere geologiche di un tempo passato. Bisognerà capire se la rete sia in grado di favorire le nostre possibilità espressive o non finisca invece per inchiodarci, sempre e di nuovo, a comportamenti non coinvolgenti ed impersonali che nulla lasceranno di noi. Michela Croci, Marco Menchise, Angela Salsini
Vi segnaliamo
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Già da TALP n. 45 stiamo proponendo degli approfondimenti di alcuni articoli pubblicati con contributi multimediali che trovate caricati sulla pagina online della redazione di TALP CORRIERE DELLA NOTTE. Vi invitiamo quindi a prendere spunto e pensare anche a questa opportunità ogni volta che preparate del materiale per articoli da pubblicare sulla nostra rivista. La Redazione
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La redazione di Talp nel prossimo numero, per la rubrica dal nome TALPIMMAGINI, raccoglierà fotografie sul tema POZZI E MEANDRI. Potete inviare gli scatti a: redazione@speleotoscana.it. Verranno scelte un massimo di 10 immagini. Vi ringraziamo fin da adesso della vostra collaborazione. Il tema trattato in questo numero rimane aperto: se ci volete continuare a mandare foto sull’argomento, le raccoglieremo in una pagina dedicata sul CORRIERE DELLA NOTTE. Contiamo sulla vostra collaborazione.
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Nel prossimo numero
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Le aree carsiche della Toscana, un nuovo censimento
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di Siria Panichi, Leonardo Piccini
Fig. 1. Carta della Toscana con riportata l’estensione delle formazioni potenzialmente carsificabili, classificate in base al loro grado di carsificabilità e i limiti delle aree carsiche individuate (elaborazione grafica Siria Panichi).
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Nel corso del 2015, grazie ad un accordo fra la Regione Toscana e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, è stato possibile riprendere in mano il lavoro già iniziato negli anni ’90 sulle aree carsiche della Toscana, aggiornandolo sulla base delle nuove conoscenze e rendendolo maggiormente fruibile grazie all’impiego delle attuali tecnologie informatiche.
Introduzione
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Nel 1927, quando la redazione de “Le Grotte d’Italia”, organo ufficiale dell’Azienda Autonoma di Stato delle Regie Grotte Demaniali di Postumia, chiese ai gruppi speleologici di inviare le schede delle cavità conosciute all’epoca su tutto il territorio nazionale, Bianchi, Ciaranfi e Levi, del Gruppo Speleologico Fiorentino, risposero all’appello segnalando quarantasei grotte, rappresentative del fenomeno carsico conosciuto a quell’epoca nel nord della Toscana. Le aree in cui si trovano queste cavità erano state allora ripartite in bacini afferenti al principale corso d’acqua cui questi fenomeni erano ritenuti in collegamento. Qualche decennio più tardi Paolo Marcaccini, raccogliendo i molti studi effettuati su buona parte del territorio toscano, pubblicò un quadro riassuntivo delle informazioni disponibili sul carsismo in Toscana, pur con la consapevolezza che si trattava di un elenco incompleto. Le informazioni di base furono tratte dal primo nucleo del catasto grotte, pubblicato nella “Rassegna Speleologica Italiana” nel 1954, e arricchite da un’accurata ricerca bibliografica. Nello studio, pubblicato nel 1961, non viene considerata solo la presenza di carsismo profondo per la definizione del fenomeno carsico, ma anche dei fenomeni superficiali. Le aree in cui questo fenomeno venne riscontrato sono: • Alpi Apuane e Monte Pisano;
• parte orientale dell’Appennino Toscano (Corfino, Soraggio, Lima, Sassalbo, Monsummano); • Monti della Calvana (e Monte Morello); • Valli dell’Era e dell’Elsa e territorio senese (Orciatico, Casciana, Montagnola, Monte Pilleri, Poggio del Comune); • dintorni di Massa Marittima (Cecina, Merse, Campiglia); • rilievi della Toscana Marittima Meridionale (Albegna, Orbetello, Argentario, Capalbio); • Toscana interna meridionale e orientale (Monte Civitella, Castell’Azzara, Campiglia d’Orcia, Rapolano, Monte Cetona).
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Fig. 2. Carta della distribuzione dei fenomeni carsici della Toscana, estratta dall’articolo di Marcaccini (1961).
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Bisogna tuttavia attendere la Legge Regionale 2 aprile 1984, n. 20 “Tutela e valorizzazione del patrimonio speleologico. Norme per lo sviluppo della speleologia” per sentir parlare di “aree carsiche”. Nel testo infatti non si parla di salvaguardia e valorizzazione delle sole grotte ma anche delle aree carsiche, come luoghi di rilevanza scientifica, culturale, estetica e paesaggistica. In attuazione della legge fu fatto un primo censimento di queste aree presentato congiuntamente da parte del mondo della ricerca (il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze) e dell’amministrazione pubblica (la Regione Toscana) al X Congresso Internazionale di Speleologia (Forti et al., 1990). L’annuncio della realizzazione del catasto delle aree carsiche toscane fu pubblicato anche sul numero 6 di questa rivista (Dicembre 1992). Tale catasto è stato in seguito ampliato e aggiornato dal Dipartimento di Scienze della Terra in collaborazione con la Federazione Speleologica Toscana (Piccini, 2001) nonché riorganizzato secondo il protocollo messo a punto in precedenza dalla Società Speleologica Italiana. Nel frattempo l’utilizzo sempre più vasto dei sistemi informativi geografici, non solo nel campo della gestione del territorio e della ricerca scientifica, ha fornito lo spunto per riprendere in mano le conoscenze sulle aree carsiche, trasferirle in una banca dati geografica, e avviare, contestualmente, un nuovo lavoro d’individuazione, censimento e delimitazione. I sistemi informativi geografici consentono, infatti, di archiviare, manipolare, interrogare, aggiornare, editare e pubblicare informazioni memorizzate all’interno di banche dati che, a differenza di un normale sistema informativo, sono arricchite dalla localizzazione del dato in un contesto territoriale definito all’origine. Ogni tema che è andato a confluire nella banca dati come strato informativo autonomo, è stato quindi georeferenziato. Oltre alla componente geografica, che permette anche di individuare l’oggetto nel territorio, ogni strato informativo viene collegato ad una tabella di attributi in cui troviamo le informazioni che sono state considerate basilari e peculiari, in questo caso nella caratterizzazione degli oggetti che compongono un’area carsica. Il formato vettoriale che è stato
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utilizzato per l’archiviazione di questi dati è lo shapefile, che descrive gli oggetti territoriali tramite punti, linee o poligoni. L’approccio, rispetto ai lavori fatti in precedenza, è stato quindi abbastanza diverso e di carattere meno soggettivo, avendo messo alla base del censimento quelle forme del territorio che dal punto di vista idrogeologico, morfologico e litologico fanno delle aree carsiche zone facilmente riconoscibili rispetto al paesaggio circostante. La raccolta e l’analisi di questi dati hanno posto in seguito le basi per la delimitazione delle aree. Prima di illustrare i dati che sono stati raccolti e su quali basi sono stati inseriti all’interno della banca dati è necessario però fare due precisazioni. Innanzitutto la raccolta dei dati è stata fatta quasi esclusivamente basandosi sull’edito, da intendersi non solo come pubblicazioni tradizionali ma anche banche dati geografiche e cartografia di base da cui estrarre dati pertinenti. Solo in alcuni casi è stato possibile compiere dei sopralluoghi volti ad accertare quello che via via è emerso dall’analisi della bibliografia, poiché per compiere delle indagini accurate su tutte le aree carsiche della Toscana, sarebbero necessari anni di ricerca e non pochi mesi come in questa circostanza. Un’altra precisazione da fare riguarda la scala di lavoro. Nella cartografia digitale la definizione di scala intesa come nella cartografia tradizionale perde il suo significato, potendo adattare la scala alla visualizzazione che ci interessa, ma avendo un limite temporale per la realizzazione della banca dati è stata assunta una scala di lavoro, intesa come scala di acquisizione dei dati, impostata su 1:10.000. Oltre che per ottimizzare i tempi di lavoro, la scala assunta è sembrata un compromesso accettabile anche per dare uniformità alle informazioni reperibili nell’edito, soprattutto riguardo alla bibliografia tradizionale.
Le formazioni geologiche potenzialmente carsificabili
Il lavoro è iniziato con l’individuazione e la classificazione delle formazioni geologiche potenzialmente carsificabili. Il dato esisteva già
ma è stato necessario estrapolarlo dal nuovo Database Geologico in scala 1:10.000 della Regione Toscana, selezionando quelle rocce che hanno una componente predominante in termini di solfati (gesso e anidrite) e carbonati (calcite e dolomite), costituite cioè da minerali a solubilità medio-alta. Queste rocce potenzialmente carsificabili sono state quindi estrapolate dallo shapefile poligonale che contiene tutte le unità litostratigrafiche - ULF (formazioni, membri o litofacies) presenti nella regione Toscana e salvate in un nuovo strato informativo che è stato arricchito dall’inserimento di 4 attributi necessari per la classificazione delle formazioni in tre gradi di carsificabilità, basati in prima approssi-
mazione sulla presenza di forme carsiche superficiali e di grotte, e in 10 classi litologiche.
Le principali forme carsiche e pseudocarsiche
Costituita questa base di partenza è iniziata la raccolta di tutta la documentazione utile per l’individuazione delle principali forme carsiche e pseudocarsiche, con particolare riferimento alle doline di dimensioni maggiori. Queste informazioni sono state trovate principalmente in lavori specifici (tesi di laurea ed elaborati inediti in corso di redazione) e integrate attraverso una
Sopra e a pag. 8: Tabella 1. Elenco delle unità litostratigrafiche (ULF) potenzialmente carsificabili classificate per grado di carsificabilità. Abbreviazioni: sigla_cart = sigla della cartografia geologica regionale in scala 1:10.000, nome_ULF = nome della unità litostratigrafica, grado_cars = grado di carsificabilità relativa (1,2 o 3), descr_grad = descrizione del grado (alto, medio o basso).
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Nella pagina a fianco, lo scosceso versante meridionale della Pania di Corfino, che incombe sulla valle de Il Fiume. Si tratta della piĂš importante area carsica della dorsale appenninica toscana, foto L. Piccini.
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analisi mirata di foto aeree e cartografia tecnica regionale (CTR nelle scale 1:10.000 e 1:5.000). Solo in rari casi è stato possibile riportare dei dati rilevati direttamente sul terreno. L’archiviazione di queste informazioni è stata possibile grazie alla creazione di due gruppi di strati informativi distinti: • uno per le doline; • uno per le altre forme carsiche. Per il censimento delle doline sono stati creati due strati informativi, uno poligonale per la delimitazione di quelle doline che abbiano una larghezza minima maggiore o uguale a circa 20 metri (che diventano 2 mm, l’unità minima cartografabile alla scala di lavoro 1:10.000), e uno puntuale per l’indicazione di una dolina di dimensioni non sufficienti per essere cartografabile alla scala 1:10.000. Per le doline rappresentabili con una delimitazione areale è stato comunque creato un dato puntuale (il centroide del poligono) da poter utilizzare in quelle elaborazioni in cui il dato poligonale non è utilizzabile o necessario. L’inserimento all’unità cartografabile è stato inoltre valutato caso per caso; se in linea generale vengono archiviate le doline con dimensione minima maggiore o uguale a 20 metri si possono verificare casi in cui questa dimensione sia inferiore ma l’altra è più estesa. Spesso con il termine dolina sono state in pas-
sato identificate anche depressioni di origine non carsica, come ad esempio il Lago degli Idoli del Monte Falterona (Pratovecchio-Stia, AR) o il Lago di Casoli (Bagni di Lucca, LU), di origine incerta. In altri casi con il termine sinkhole o voragine catastrofica, sono indicate in realtà delle depressioni di crollo di origine antropica. Per questo lavoro sono state prese principalmente in considerazione, all’interno delle aree carsiche, sia le segnalazioni relative alle depressioni ricadenti negli affioramenti di rocce carsificabili sia quelle segnalate in formazioni non carsificabili (evidenziate dall’assenza del dato relativo alla litologia nella tabella degli attributi) perché possiamo trovarci di fronte a depressioni coperte da formazioni diverse rispetto a quelle in cui queste forme si sono realmente create. Trattandosi di un lavoro svolto quasi esclusivamente su fonti non verificate sul terreno direttamente da noi, sono state inserite nell’archivio anche alcune depressioni che si trovano in aree non carsiche ma indicate in bibliografia come depressioni carsiche, in modo da non perdere la segnalazione, in attesa di poterne verificare la reale natura sul terreno. Anche per il censimento delle altre forme carsiche sono stati creati due strati informativi, uno puntuale e uno poligonale, da utilizzare in base alla tipologia riscontrata. La distinzione fra le varie forme è possibile grazie all’informazione
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Il crinale della Scala Santa sui Monti di Campiglia (LI), foto di G. Dellavalle.
relativa alla tipologia contenuta nella tabella degli attributi. Lo strato informativo puntuale è stato utilizzato per indicare gli assorbimenti in alveo, le valli cieche e le valli chiuse, dove il punto indica rispettivamente il luogo in cui il drenaggio passa da superficiale a sotterraneo, l’inghiottitoio che determina la fine della valle e la sorgente da cui inizia la valle. Lo strato informativo poligonale contiene vari tipi di forme superficiali indicate con diversi nomi nella bibliografia consultata (karren, karren a crepacci, karren liberi e campi solcati, rilievi ruiniformi, depressione a contorno complesso, bacino chiuso, polje): è stato quindi Foto 1 necessario adottare una terminologia unica per indicare le forme analoghe. Nonostante l’indicazione di queste aree sia a volte di tipo puntuale (simbolo grafico, senza indicazione di un limite dell’area indagata) abbiamo deciso di definire degli areali, vista la natura del dato che dal punto di vista concettuale rappresenta delle aree dove si manifestano alcuni fenomeni (che abbiamo per il momento riunito nei seguenti casi:
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bacini chiusi, karren, polje, rilievi ruiniformi, semi-polje e vallecole carsiche a fondo piatto). Trattandosi di un censimento preliminare e sperimentale, le tipologie riscontrate non sono da considerarsi esaustive rispetto a tutte le forme che possono trovarsi in un’area carsica, ma sono legate alle tipologie rilevate nelle aree per cui sono stati condotti e pubblicati degli studi più approfonditi.
Le cavità di origine carsica o pseudocarsica
Il passo successivo ha riguardato l’inserimenFoto 2 to delle cavità naturali che presentano accessi transitabili all’uomo, censite nel Catasto delle Grotte della Toscana, gestito dalla Federazione Speleologica Toscana e integrato nel sistema cartografico regionale come “Censimento delle grotte”. Tale elenco contiene in realtà anche numerose cavità di origine non strettamente carsica, ma legate ad altri fenomeni (spesso di origine gravitativa), ma si è ritenuto preferibile non cre-
are un duplicato per le cavità naturali, rispetto a quello del catasto grotte, essendo la loro natura specificata in un attributo contenuto nella tabella di riferimento. Da questo elenco sono state estratte tutte le informazioni relative alla localizzazione degli ingressi, successivamente catalogati sulla base delle caratteristiche idrologiche e morfologiche secondo una matrice di classificazione già collaudata per la zona delle Alpi Apuane. Purtroppo l’elenco non è completo poiché per qualche cavità mancano i dati relativi al posizionamento geografico.
Le principali sorgenti carsiche e, quando note, le loro aree di alimentazione
L’ultimo dato raccolto riguarda le principali sorgenti carsiche (con portata media stagionale maggiore di 5 l/s) del territorio regionale, che sono state caratterizzate dal punto di vista idro-
logico. Le informazioni presenti in bibliografia in questo caso sono piuttosto esaustive per quanto riguarda la zona delle Alpi Apuane, mentre sono molto lacunose per quasi tutto il resto della Toscana. Per integrare i pochi dati conosciuti abbiamo raccolto le indicazioni presenti in alcune tesi di laurea condotte sulle aree carsiche e in altri lavori specifici. È stato utilizzato anche il Catasto delle Fonti Sorgive gestito dal Servizio Idrologico Regionale, da cui sono state estratte le entità ricadenti o prossime alle aree carsiche, anche se purtroppo le informazioni a corredo di questo dato sono lacunose rispetto alla portata, solitamente elevata nel caso delle sorgenti carsiche, indicata genericamente per le sorgenti più copiose come superiore a 50 l/min (0,83 l/s). Per quanto riguarda le aree di alimentazione, al momento sono stati indicati solo i casi in cui lo spartiacque sotterraneo, accertato tramite colorazioni, è significativamente diverso da quello superficiale; situazione che al momento è conosciuta solo per la parte centrale delle Alpi Apuane.
Veduta dalla sommità del Monte Labro, sui versanti settentrionali dell’omonima area carsica, foto F. Lunghi.
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Fig. 3. Scheda documentativa sull’Area Carsica di Poggio del Comune (elaborazione grafica Siria Panichi).
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Fig. 4. Scheda documentativa sull’Area Carsica dei Colli di Chianciano (elaborazione grafica Siria Panichi).
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Fig. 5. Scheda documentativa sull’Area Carsica di Poggio Pozzagone (elaborazione grafica Siria Panichi).
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La delimitazione delle aree carsiche L’analisi combinata e l’integrazione delle banche dati geografiche descritte sinora, sono state la base per la delimitazione territoriale, sempre in scala 1:10.000, delle zone con caratteristiche tali da essere considerate aree carsiche. Aree potenzialmente carsificabili dal punto di vista litologico, in cui sia stata rilevata la presenza di forme carsiche significative, come cavità sotterranee, doline, altre forme e sorgenti carsiche, sono state prese in esame per la delimitazione, basata su criteri di validità generale in grado di garantire un prodotto il più possibile oggettivo e omogeneo, realizzata seguendo elementi topografici rappresentati cartograficamente sulla CTR 1:10.000 (es.: strade, corsi d’acqua, crinali, ecc.), dove presenti in prossimità delle esigenze di delimitazione. La presenza di cavità naturali conosciute non è stata considerata una caratteristica necessaria, poiché si ritiene che solo una piccola percentuale delle cavità realmente presenti in un territorio abbia accessi aperti in superficie e praticabili dall’uomo. Per questo motivo sono state inserite fra le aree carsiche alcune zone del tutto prive di grotte censite. La presenza di sorgenti, che per la loro portata
e per le loro caratteristiche idrodinamiche siano da considerarsi di tipo “carsico”, è invece una caratteristica di cruciale importanza per l’individuazione di un’area carsica, anche in assenza di elementi morfologici di superficie (forme carsiche epigee) o sotterranee (cavità), poiché l’assetto idrogeologico che le caratterizza è legato all’elevata infiltrazione, causata da fenomeni di dissoluzione superficiale, che rendono le fratture molto permeabili, dalla presenza d’inghiottitoi e da un drenaggio sotterraneo ben strutturato che convoglia le acque in pochi punti di fuoriuscita di portata relativamente elevata. Alcune aree sono state invece considerate “aree carsiche” anche in assenza di grotte, doline e sorgenti carsiche in base alla sola presenza di rocce a elevato grado di carsificabilità.
Le aree carsiche della Toscana Parlando in termini numerici le aree carsiche della Toscana individuate secondo i criteri sopra descritti sono adesso 65, per una superficie totale pari a circa 2400 km2 che corrisponde al 10,5% dell’intero territorio regionale, per lo più collocate nella Toscana meridionale. L’area maggiore è quella delle Alpi Apuane con 653 km2 di superficie. Contrariamente a
Sotto e a pag. 16: Tabella 2. Aree Carsiche presenti in Toscana.
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quanto ipotizzato in un primo momento si è ritenuto di non individuare come area a se le “Alpi Apuane Meridionali” per la difficoltà a trovare un limite oggettivo. Altre aree di notevole estensione sono: la Montagnola Senese (180 km2), l’area di Monte Morello (120 km2), i Monti di Prata (93 km2), i Monti della Calvana (92 km2), la Val di Lima (91 km2) e l’area di Poggio del Leccio (86 km2), per limitarsi alle principali. Si tratta di aree già note agli speleologi e ricche di cavità conosciute da anni, con l’eccezione
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dei Monti di Prata, in cui sono al momento catastate solo poche grotte di limitata estensione. Il quadro che ne viene fuori è un’elevata varietà di situazioni sia dal punto di vista geologico sia dal punto di vista geomorfologico e paesaggistico, avendosi aree con situazioni che vanno da quelle tipiche di carso “alpino”, come le Apuane, alle aree carsiche costiere e insulari; da aree in calcari molto puri a quelle in rocce calcareo-marnose che hanno i caratteri di area carsica solo in particolari condizioni; dalle zone in rocce metamorfiche a quelle in rocce solfa-
Una depressione di origine carsica in prossimità del crinale del Monte Labro, foto S. Panichi.
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tuti in zone che presentano elevate potenzialità benché al momento non siano conosciute grotte o siano noti solo rari fenomeni isolati. Ci sono ad esempio aree anche piuttosto vaste, come Poggio del Comune, Monte Pilleri o i Colli di Chianciano che presentano evidenti fenomeni carsici superficiali e una circolazione prevalentemente sotterranea, in cui al momento non sono praticamente conosciute grotte. Siamo abbastanza convinti che ricerche sistematiche, condotte con criteri basati su caratteri geologici e geomorfologici, possano portare a interessanti e inaspettate scoperte. Un caso emblematico è quello delle aree costituite dal calcare noto come Alberese (in gergo tecnico Formazione di Monte Morello) che presenta un carsismo intensamente sviluppato praticamente nella sola area dei Monti della Calvana, mentre in tutte le altre zone, tra cui alcune molto estese e con fenomeni superficiali di chiara origine carsica, non sono conosciute grotte. Ci sono poi alcune aree di piccole dimensioni, come ad esempio l’area nei gessi di Poggio Pozzagone, nella bassa valle del Cecina, in cui indizi
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tiche (gessi); per non parlare delle aree in cui la presenza di mineralizzazioni ha non solo caratterizzato i fenomeni carsici dal punto di vista genetico, ma ha determinato la presenza di un paesaggio minerario che in certi casi è fortemente interconnesso con quello strettamente carsico, come è il caso dei Monti di Campiglia. Il nuovo censimento delle aree carsiche vuole essere innanzitutto una banca dati di tipo geografico, facilmente aggiornabile e modificabile, in grado di fornire utili indicazioni a tutti quei soggetti, enti pubblici, professionisti, turisti e appassionati, che operano sul territorio e per il territorio. Anche per gli speleologi questo strumento, una volta reso consultabile nell’insieme di banche dati geografiche della Regione Toscana, rappresenterà un utile strumento per condurre ricerche sul terreno, sia per l’individuazione di nuove grotte in aree dal potenziale speleologico già noto, sia per l’individuazione di nuove zone dove indirizzare la propria attività di ricerca. Durante il lavoro di riconoscimento e indagine sulle aree carsiche regionali ci si è spesso imbat-
morfologici lasciano presupporre l’esistenza di un carsismo sotterraneo ben sviluppato. Lo stesso dicasi di altri piccoli ma significativi affioramenti di calcari ben carsificabili presenti nella zona delle Colline Metallifere. In conclusione, riteniamo che questo nuovo censimento si possa dimostrare presto uno strumento utile non solo per le pubbliche amministrazioni, cui è primariamente destinato, ma anche per gli speleologi e per una sempre maggiore e accurata conoscenza del variegato mondo sotterraneo della nostra Regione.
Ringraziamenti
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Si desidera ringraziare Luigi Micheli e Guido Lavorini della Regione Toscana, Giampaolo Mariannelli per i dati riguardanti le doline delle Alpi Apuane, Odoardo Papalini per aver fornito dati inediti su alcune aree della Toscana Meridionale.
Bibliografia La lunga lista bibliografica che segue contiene alcuni dei lavori consultati per la raccolta dei dati. Oltre a questi lavori altre informazioni provengono dal Catasto Speleologico Regionale curato dalla Commissione Catasto della Federazione Speleologica Toscana (CC – FST, 2014), dalla Carta delle Sorgenti delle Alpi Apuane curata ed edita dalla Commissione Scientifica della Federazione Speleologica Toscana (CS – FST, 2014), dal Catasto delle Fonti Sorgive curato dal Servizio Idrologico Regionale della Regione Toscana (SIR-RT), dal Continuum Geologico in scala 1:10.000 della Regione Toscana (ContGeo RT) o raccolte in campagna tramite GPS, come nel caso dei dati inviati da Odoardo Papalini (Papalini, 2015).
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Lungo la forra che incide gli affioramenti calcarei dell’area carsica della valle dell’Albegna, foto F. Lunghi.
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FACCIAMO IL PUNTO SU T A L P 52
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Grotte dimenticate: la Buca della Risvolta (T/LU 158) di Leonardo Piccini
La strada che da Seravezza sale alla Galleria del Cipollaio è probabilmente una delle strade al mondo maggiormente frequentate da speleologi. Il motivo è semplice, trattandosi della strada che porta all’Antro del Corchia e al vasto sistema di grotte che costituiscono l’intero complesso carsico, uno dei più importanti e noti in Europa. La strada si stacca dalla provinciale di fondovalle prima di Ponte Stazzemese e segue fedelmente quello che era il vecchio tracciato delle rotaie della società Tramvie Alta Versilia (TAV) nel tratto da Iacco ad Arni. Questa linea ferroviaria a scartamento metrico, che utilizzava motrici a trazione elettrica, fu realizzata tra il 1923 e il 1926 per trasportare passeggeri e soprattutto per portare giù i blocchi di marmo dalle cave del Monte Corchia, del Monte Cervaiole e del bacino di Arni e Tre Fiumi. Tale tramvia è rimasta attiva sino all’immediato dopoguerra quando, intorno al 1950, fu trasformata in strada carrabile. Al fine di distribuire i quasi 750 metri di dislivello tra Seravezza e il Cipollaio su un tragitto con pendenza non elevata, la strada compie un percorso assai lungo, addentrandosi nella valle del torrente Vezza, invece di salire direttamente verso Levigliani. Questa caratteristica è oggi ben nota e gradita ai cicloamatori, che trovano lungo questo percorso una pendenza costante e senza strappi. Inoltre, sempre per esigenze ferroviarie, la strada non presenta tornanti (come fa ad esempio la strada che da Massa sale al Passo del Vestito) con una sola eccezione, che forse proprio per la sua unicità ha meritato un toponimo tutto suo: la “Risvolta”. Dopo aver percorso con guida rilassata e senza bisogno di scalare di marcia l’ampio tornante, dopo pochi metri, sulla destra, l’occhio di uno speleo non può non notare una scura caverna, al limitare di una strada secondaria e a pochi metri di distanza dalla provinciale del Cipollaio. L’im-
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bocco è quello della Buca della Risvolta, che per la sua posizione “strategica” è probabilmente l’ingresso di grotta più noto agli speleologi toscani, ma forse anche italiani. Ben pochi però si fermano, o perché presi dalla bramosia di salire al Corchia all’andata, o vittime della stanchezza o della voglia di tornare a casa al ritorno. Così è stato anche per me, che da quarant’anni percorro quella strada diretto verso la grotta che più di ogni altra ha attirato la mia attività. A dire il vero, una notte piovosa di diversi anni fa mi ero fermato, insieme ad altri amici, con l’intento di trovare un riparo asciutto, scoprendo che invece gocciolava acqua da tutte le parti e quindi ci adattammo a dormire in una marginetta lungo la strada, dopo il bivio per Terrinca. Recentemente, preso dalla curiosità e dall’intento di fare il rilievo di quella grotta, che mancava a catasto, mi sono fermato a ridare un’occhiata di ritorno da un’uscita di più giorni al Corchia. Con casco, luce e strumenti da rilievo mi addentro nella caverna iniziale, per scoprire che la grotta non consiste nel solo vano d’ingresso ma che continua verso l’alto con una sala sospesa e da qui con una galleria in ripida ascesa. Arrivato in cima, dove la volta si abbassa, tiro fuori bussola e clinometro, che tengo dentro un borsino di protezione. Nel prendere anche il distanziometro dal sacco, il borsino mi sfugge di mano e si mette a rotolare lentamente verso una depressione del pavimento. Non faccio neanche il gesto di chinarmi ad afferrarlo, aspettando che si fermi. Invece a un tratto vedo il borsino scom-
L’ingresso della Buca della Risvolta, ben visibile dalla Strada Provinciale di Arni poco sopra l’omonima località, foto L. Piccini.
un Distox modificato) prestati da Paola. E così, al terzo tentativo, riesco finalmente a portare a casa il rilievo di questa grotta, di cui “tutti” gli speleologi hanno visto almeno una volta l’ingresso, ma in cui assai pochi si sono addentrati.
La Buca della Risvolta
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La grotta, che porta il numero catastale LU 158, si apre a quota 240 metri a poca distanza dalla provinciale di Arni (SP 10) in località Risvolta. L’ingresso è un ampio portale di circa 8 m di larghezza e 5 m di altezza, che immette in un primo ambiente di pianta grossomodo rettangolare. Non è escluso che l’imbocco sia stato modificato, o addirittura aperto durante i lavori di realizzazione della tramvia. Il lato sinistro della sala è costituito da un alto terrazzo di detrito, dal bordo ripido, che si può facilmente arrampicare sulla sinistra. Scavata nel detrito si trova una breve e stretta galleria, che potremmo definire una “grotta nella grotta”. Dal terrazzo superiore, sormontato da un grosso blocco staccatosi dal soffitto, in alto a destra si trova un abbozzo di galleria, mentre a dritto, dove la volta si abbassa, ha inizio una ripida galleria in salita con il pavimento concreziona-
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parire in un anfratto. Chinatomi per recuperarlo scopro, incredulo, che l’anfratto è un buco stretto e profondo più di due metri, dove il borsello è caduto senza essere più visibile. C’è poco da fare… gli strumenti sono al momento irrecuperabili e il rilievo è gioco forza rimandato. Non male come bilancio della mia prima “solitaria” alla Risvolta… ma ora ho un motivo in più per tornare. Nei mesi successivi mi propongo più volte di recuperare gli strumenti, cercando anche aiuto o tra gente molto magra o tra esperti di disostruzioni pesanti. Dopo qualche mese riesco a tornare munito di mazze e scalpelli, ma prima di usare le “maniere forti” decido di fare un tentativo armato di una luce potente, che mi permette di individuare il borsino al fondo del buco, e di un gancio di ferro fissato su una stecca di legno di 3 metri di lunghezza. Dopo un’ora di tentativi infruttuosi, alla fine la pesca miracolosa riesce e gli strumenti tornano nelle mie mani. Il giorno successivo, sempre grazie ad un’uscita di buon’ora dal Corchia, dove la troppa acqua ci aveva fatto desistere dall’andare a rilevare i pozzi del terzo e quarto ingresso, convinco Andrea e Giulio a darmi una mano a fare il rilievo di quella buca, grazie anche ai potenti mezzi (leggasi
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to, larga sui 6-7 metri. Percorsi circa 25 metri, e superata la “trappola per bussole e clinometri”, la volta si abbassa e avendo voglia (e una tuta) si può strisciare ancora per qualche metro. Sulla sinistra della galleria, al suo inizio, si trova invece un basso ambiente di pochi metri di larghezza.
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Tutto qui: sviluppo totale 85 metri, dislivello + 26 metri. Insomma niente di speciale, almeno come dimensioni. La grotta presenta però aspetti interessanti sotto molti punti di vista. Intanto è interamente scavata nel detrito, cosa abbastanza singolare per una cavità di queste
dimensioni. O meglio, in una breccia a clasti marmorei e dolomitici a spigoli vivi, con dimensioni sino a qualche decimetro e ben cementati tra loro. Probabilmente si tratta di una breccia di versante, accumulatasi ai piedi dei ripidi pendii meridionali del Monte Alto, forse a parziale riempimento di un avvallamento. La grotta appare formatasi durante più cicli di asportazione del detrito, come testimoniano alcuni livelli di concrezioni spessi sino a 30 cm. La domanda a questo punto è: come si può formare una grotta del genere in un detrito cementato? Nei calcari, come sappiamo, l’acqua s’infiltra nelle discontinuità carica di CO2 e scioglie la roccia allargando le fessure sino a che sono abbastanza ampie da permetterci di passare. Un detrito grossolano invece è già pieno di buchi, come una spugna, e l’acqua di pioggia vi s’infiltra veloce attraverso; se anche scioglie un po’ di roccia quel che si può ottenere è un leggero assestamento dei clasti in superficie, quindi non si forma niente che assomigli a una grotta, alme-
no per noi umani, mentre magari un coleottero troglobio avrebbe di che rilevare per anni gironzolando tra i frammenti di roccia… È quindi difficile che le acque che entrano dall’alto possano scavare una cavità all’interno di un ammasso di detrito; potrebbero però farlo acque che arrivano da sotto: acque sottosature e abbondanti. In effetti, il pavimento della sala iniziale è inciso da un solco, che pare scavato dall’acqua (ma forse anche dall’uomo). C’è anche una piccola sorgente, di lato, mentre dal cunicolo alla base del terrazzo sembra possa uscire acqua, almeno in particolari occasioni. Qualche decina di metri più in basso, sotto la locanda che porta ora lo stesso nome, si trova anche una vera sorgente, la cui portata media è stimata in circa 25 l/s: una discreta emergenza, quindi, e di portata decisamente alta per sgorgare dalle filladi del basamento. Sospetto: vuoi vedere che quel detrito nasconde una sorgente sepolta? E se la vera emergenza fosse più in alto, al contatto tra Grezzoni e ba-
Fig. 1. Modello tridimensionale della Buca della Risvolta ottenuto con il programma CaveOX di Compass. Come si vede nella prima parte, i bruschi cambi di direzione introducono delle distorsioni, mentre la parte superiore, più lineare, si presenta con una forma più fedele a quella della grotta. Il box in verde ha come base 50 x 30 metri e un’altezza di 25 metri.
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Vista dell’ambiente iniziale dall’alto del terrazzo. Si nota il soffitto costituito dalla breccia cementata con grossi blocchi irregolari di marmo, foto L. Piccini.
samento, e fosse poi stata coperta da una coltre di brecce di versante? E se l’attuale Buca della Risvolta fosse in realtà una sorta di “troppopieno” che entra in attività quando la portata della emergenza sepolta è troppo alta per riuscire a filtrare attraverso il detrito e uscire in basso? In realtà esiste anche la possibilità che le acque che hanno scavato questa grotta siano quelle assorbite più a monte dalla stessa coltre di detrito, ma come si sa, noi speleologi siamo inguaribili sognatori. Per il momento queste sono solo fantasie ma spiegherebbero molte cose. Un flusso idrico occasionalmente forte proveniente da sotto potrebbe, in effetti, riuscire a scalzare il detrito, mentre la volta si reggerebbe nel tempo grazie alla cementazione dei clasti operata dalle acque d’infiltrazione, che sciolgono il calcare (marmi e dolomie) nella zona superficiale coperta di suolo e vegetazione, per poi farlo riprecipitare poco più sotto tra i pori della breccia. È anche possibile che la lingua di detrito comprendesse delle lenti con clasti filladici, quindi meno soggetti a essere cementati e più facili da essere erosi.
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E perché fermarsi qui con la fantasia? Perché non immaginare che là sotto ci sia anche l’imbocco di un’antica galleria, ora sepolta da quel detrito… magari una paleo sorgente del sistema del Corchia? Insomma… chissà quante cose potrebbe nascondere questa grotta dimenticata. Ora ci sta che la prossima volta che le passate davanti vi venga anche la voglia di fermarvi a dare una sbirciatina…
Brevi note sul rilievo Il rilievo di questa grotta è stato eseguito utilizzando un distanziometro laser Leica Distox310 modificato con l’inserimento di una scheda elettronica (progettata dallo svizzero Beat Heeb) che aggiunge la funzione di misura della direzione magnetica, oltre a quelle di misurazione della distanza e dell’angolo sulla verticale già in dotazione. Si tratta di uno strumento che si sta rapidamente diffondendo in ambito speleologico e che rappresenta per molti versi una rivoluzione delle tecniche di rilievo in grotta, ma come tutte
le rivoluzioni ha anche i suoi contraccolpi negativi. Di fatto uno strumento del genere richiede un ripensamento delle procedure di rilievo, rispetto a quelle utilizzate con gli strumenti classici, soprattutto se si vuole sfruttarne pienamente le potenzialità. Con il Distox modificato le misure diventano, infatti, comode e velocissime e quindi non ha più senso cercare di ridurle al minimo, come invece si fa con gli strumenti tradizionali. Inoltre diventa semplice misurare anche l’ingombro laterale dei condotti e non solo le tratte delle poligonali su cui costruire il disegno. Le misure sono visionabili sul monitor e registrate dallo strumento nella sua memoria interna e possono essere trascritte direttamente su un classico libretto di rilievo, oppure lasciate nella memoria e scaricate poi a casa, oppure trasferite immediatamente su un palmare o un tablet, dotati di appositi programmi, ed elaborate in modo da avere una visione in tempo reale del rilievo eseguito. Per l’occasione è stato usato un tablet
da 7 pollici, dotato del software Topodroid, realizzato da Marco Corvi e scaricabile liberamente da internet. Questa grotta di dimensioni modeste e dalla conformazione abbastanza semplice, è diventata così l’occasione di testare con comodità lo strumento in questione e provare una procedura di rilievo adeguata che serva non solo a creare una rete di misure su cui appoggiare il disegno della grotta, ma anche a sviluppare il modello tridimensionale. Quello che appare chiaro è che bisogna cercare di raccogliere una buona mole di dati dimensionali sulla grotta, senza però eccedere in misure che poi diventano difficili da gestire. Non è certo questa l’occasione per discutere nei dettagli tutte le implicazioni metodologiche che l’uso di questo strumento impone, anche perché occorrerebbe prima una discussione a livello generale per la messa a punto di standard condivisi. Il rilievo allegato a questo breve articolo è stato eseguito realizzando una poligonale con
L’assenza di crolli recenti testimonia l’elevato grado di cementazione della breccia, che appare quindi essere un deposito non recente, foto L. Piccini.
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i caposaldi in posizione centrale, usando come base di appoggio dello strumento e del traguardo (rappresentato dal libretto di campagna) due bastoncini da escursionismo regolati a un’altezza di 120 cm. In questo modo i caposaldi hanno altezza costante dal pavimento (dove possibile). Questo metodo permette di seguire più fedelmente l’asse centrale della grotta e di avere una migliore misurazione delle sezioni trasversali ma ha il difetto di rendere difficile la marcatura dei caposaldi. In genere invece è preferibile posizionare ogni tanto un caposaldo su una parete, o meglio su qualche spuntone o blocco di roccia collocato in posizione centrale, e marcarlo visibilmente. Da ogni caposaldo è stata eseguita prima la misura del tiro di poligonale verso il successivo, che si ottiene eseguendo tre misure ripetute, quindi una serie di otto misure disposte su un piano verticale circa ortogonale alla direzione del tiro di rilievo, partendo dall’alto con angolazione ogni 45 gradi circa in senso orario. La prima, terza, quinta e settima di queste misure rappresentano quindi le ormai classiche misure di ingombro verticale e laterale nell’ordine alto-destra-basso-sinistra (up-right-down-left). A queste otto misure ne sono state aggiunte almeno altre due sul piano orizzontale e generalmente rivolte in avanti a circa 45 gradi a destra e a sinistra, rispetto alla direzione del tiro. In totale quindi per ogni caposaldo sono state eseguite minimo 13 letture, che poi si riducono a 11 nel momento che le prime tre sono mediate nel tiro principale della poligonale. L’uso del tablet da 7” ha permesso di tracciare direttamente sul monitor un primo schizzo del contorno delle pareti, mentre il libretto è servito non solo come bersaglio per il raggio laser, ma anche per disegnare con più dovizia di particolari la conformazione della grotta in pianta e in sezione. Un accorgimento seguito è stato quel-
lo di fare tiri di poligonale non troppo lunghi, anche quando sarebbe stato possibile vedersi a distanze ben maggiori. In altre parole, rispetto a quella che pare essere una procedura abbastanza diffusa, che consiste nel fare poligonali con tratte lunghe e poi da ogni caposaldo prendere molte misure di ingombro all’intorno (i cosiddetti splay), si è preferito fare tiri corti di poligonale e prendere meno misure d’ingombro. In questo modo si ottiene una tabella da cui possono essere estratti più facilmente i dati di rilievo richiesti da programmi come Visual-Topo, Compass e Therion, che permettono poi di ricavare anche un modello tridimensionale. Per la restituzione del rilievo si sono utilizzati per confronto il programma Csurvey e Compass, mentre per il disegno in bella si è utilizzato il software gratuito Inkscape. Il modello tridimensionale è invece stato ottenuto con il programma CaveXO associato a Compass, ma è evidente dalla figura che la restituzione non può essere ancora ritenuta soddisfacente. In totale quindi la restituzione di questo rilievo ha richiesto l’utilizzo di ben quattro diversi software, rendendo quindi l’operazione piuttosto complessa, ma, di fatto, al momento nessun programma da solo soddisfa tutte le esigenze per la restituzione di un buon rilievo. La Buca della Risvolta, nel sottrarmi “dispettosamente” per quattro mesi gli strumenti da rilievo tradizionali, ha in un certo qual modo sancito per me il passaggio alle nuove tecniche di rilievo. Il passaggio ai nuovi strumenti non è stato facile ed ha messo in luce molti aspetti ancora da mettere a punto, per evitare che quello che appare come un grosso passo avanti sul piano tecnico si risolva poi in una perdita di informazioni sulla conformazione delle grotte.
LINK UTILI Catasto online: www.speleotoscana.it/programmi_php/catasto/grotta.php?num=&num1=158&Submit=DATI+OK+Invia DistoX: paperless.bheeb.ch TopoDroid: code.google.com/topolinux Compass: fountainware.com/compass/ Csurvey: www.csurvey.it Inkscape: inkscape.it/ Therion: therion.speleo.sk/
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Durante il 2015 il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, in collaborazione con la Regione Toscana, nell’ambito di un’apposita convenzione denominata “Censimento e Delimitazione delle Aree Carsiche della Toscana” ha svolto un lavoro di revisione che ha portato all’individuazione e alla delimitazione di nuove aree carsiche precedentemente classificate come entità locali di minore importanza. Fra queste, nel territorio collinare della città di Pistoia, è stata identificata, e inserita nella nuova banca dati creta per lo svolgimento del progetto, l’area carsica denominata “Colle de Le Grazie”.
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di Siria Panichi
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Le grotte del Bosco di Lappata
Inquadramento geografico fianchi infatti si concentrano quasi tutti i fenomeni carsici attualmente conosciuti ed il suo corso accompagna quasi per intero il piccolo affioramento di calcare Alberese (chiamato dai
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L’area si trova a nord della città di Pistoia, in una zona collinare dove si alternano oliveti e boschi di robinia e pungitopo mentre gli insediamenti sono limitati a poche case sparse e piccoli nuclei rurali. Proprio l’alternanza fra oliveto e bosco ci accompagna nell’individuazione di questo piccolo affioramento carbonatico, raggiungibile sia dal paese di Saturnana, da est, oppure dal Podere Calabiano (o Calabbiana), da ovest. Entrambe le località sono raggiungibili dalla strada che fiancheggia il fiume Ombrone e da Pistoia conduce a Piteccio. Poco più a nord troviamo la località “Le Grazie” che da il nome all’area carsica.
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Il fenomeno carsico
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A dispetto del nome assegnato all’area carsica, che la identifica maggiormente rispetto al territorio in cui si trova, il luogo evocativo rispetto alla presenza di grotte e carsismo è sicuramente il Fosso di Lappata, protetto dall’omonimo bosco. Lungo i suoi
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Il Fosso di Lappata, foto di S. Panichi.
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Scheda documentativa sull’Area Carsica del Colle del Le Grazie (elaborazione grafica Siria Panichi).
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Di fianco: una delle antiche fornaci di calce presenti nella zona, foto di F. Lunghi.
Sotto: le opere di captazione della sorgente carsica, foto di S. Panichi.
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locali “alberese cinerino variegato”) in cui questi si sono sviluppati. Siamo ben lontani, seppur di fronte alla stessa formazione litologica, dalla consistenza di ciò che troviamo nei vicini Monti della Calvana, ma sono comunque presenti molti elementi caratterizzanti il carsismo ipogeo, mentre sono scarse, quasi assenti, le manifestazioni epigee. La presenza di calcare è individuabile a prima vista per la presenza di numerose cave, alcune molto antiche, dove si ricavava la materia prima per alimentare le fornaci in cui la pietra calcarea veniva trasformata in calce. Le fornaci e le cave spesso sono collocate nello stesso luogo fisico e costellano l’intera zona collinare presente sopra la Villa Poggiolino, a cui queste attività facevano riferimento. Nonostante si sia di fronte ad una piccola area carsica anche la componente idrogeologica è ben rappresentata. In condizioni normali infatti lungo il Fosso di Lappata il flusso idrico è assorbito in alveo a monte dell’area dove troviamo le cavità, perdendosi nell’attraversamento dei calcari. Probabilmente l’acqua in parte riemerge da una piccola sorgente carsica che va ad alimentare il Fosso di Corneto, affluente in destra idrografica del Fosso di Lappata, poco più a valle del punto in cui riceve questo apporto. La presenza di opere di captazione, non recenti, di una cisterna di accumulo delle acque, che ha la forma di una grossa vasca, e di un lavatoio, fa supporre che lo scorrimento idrico sia perenne. Oltre a questo punto di emergenza captato, è probabilmente presente anche un altro poco più a monte che funziona da troppo pieno. Basandosi sugli elementi che compongono il territorio, il bacino di assorbimento sembrerebbe limitato ma al momento non sono stati condotti studi volti a determinare la portata. Le caratteristiche della sorgente sono tali comunque per ipotizzare che essa sia alimentata da un circuito sotterraneo alimentato dall’acquifero carbonatico carsificato.
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L’ingresso della Buca di Nadia, foto di S. Panichi.
Le grotte
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Il carsismo ipogeo è rappresentato da 5 cavità, inserite nel catasto speleologico regionale attorno alla metà degli anni ’80 del XX secolo da parte di studiosi di fauna ipogea appartenenti al Gruppo Speleologico Fiorentino, ed altre di dimensioni inferiori. I nomi con cui queste cavità sono state catastate sono probabilmente dediche a persone a loro care (Buca di Nadia T/
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L’ingresso della Buca di Anna, foto di F. Lunghi.
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PT 732, Buca di Anna T/PT 829, Buca di Anna Elisa T/PT 776) ed in due casi toponimi locali (Tecchia di Calabbiana T/PT 775, Buca delle Fate di Calabbiana T/PT 830). Le due cavità di maggiori dimensioni (Buca di Nadia e Buca di Anna) sono costituite da condotti di piccole dimensioni e non sempre comodamente percorribili, che si approfondiscono con brevi salti, fino a raggiungere zone ostruite dall’accumulo di sedimenti provenien-
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Uno degli ingressi della Buca della Fate di Calabbiana, foto di F. Lunghi.
ti dall’esterno, forse provenienti da qualche inghiottitoio superiore ostruito o molto vecchi e legati ad una quota maggiore dell’alveo. Non mancano fenomeni di concrezionamento e segni di erosione tipici del carsismo ipogeo. Le altre tre sono: un breve cunicolo di piccole dimensioni (Buca di Anna Elisa), una cavità con più ingressi collegati da cunicoli interni, in parte alterata artificialmente, probabilmente durante la seconda guerra mondiale, quando fu
utilizzata come rifugio d’emergenza durante i bombardamenti per far saltare i ponti di Piteccio (Buca delle Fate di Calabbiana) e una tecchia sottoroccia con ampio ingresso di cui è molto dubbia l’origine naturale (Tecchia di Calabbiana). In quest’ultima cavità, nei primi anni del XX secolo, è stato costruito un muretto a secco che alcuni collegano ad un ipotetico utilizzo della cavità per la celebrazione di messe nere.
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Un cunicolo nella Buca della Fate di Calabbiana, foto di F. Lunghi.
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La Tecchia di Calabbiana, foto di F. Lunghi.
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La fauna troglobia, che spinse qua gli studiosi di Firenze, interessati soprattutto a nuove
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La Grotta Bianca, foto di F. Lunghi.
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specie o sottospecie di Duvalius, è ancora ben rappresentata e numerosa nel caso di chirotteri, geotritoni, dolicopode e tipule. Gli abitanti di Saturnana, la più vicina località abitata con continuità fin dall’antichità, conoscono e indicano genericamente le cavità come “alle grotte” o “alle buche”, ma per due luoghi che non rientrano fra le grotte che conosciamo hanno idee più precise su come debbano essere indicati. Uno è quello che viene chiamato “La Grotta Bianca” grazie alle sue concrezioni bianchissime; la particolarità è che non si tratta di una grotta vera e propria ma di una nicchia nella parete del Fosso di Lappata, poco a valle rispetto alle cavità conosciute dagli speleologi. In Toscana il termine grotta spesso indica un tetto sporgente da una parete, quindi il toponimo è appropriato, mentre per le grotte vere e proprie viene più spesso usato il termine Buca. L’altro è sempre stato chiamato Grotta delle Fate ma non si tratta della Buca delle Fate di Calabbiana e molto probabilmente non rientra nemmeno fra le cavità elencate sopra, inserite nel catasto speleologico regionale. Andiamo per ordine.
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Il tratto del sentiero di Saturno che passa di fronte alla Tecchia di Calabbiana, foto di S. Panichi.
Un poema epico di un secolo fa Ferdinando Bardini, detto Nandino (18341916), carbonaio, taglialegna, operaio nella vicina ferriera ma nell’animo poeta carbonaro, nel 1910 realizza il sogno di pubblicare un poemetto epico, “La Storia delle sette ragazze ossia La grotta delle Fate”, ambientato nel bosco di sua proprietà lungo il Fosso di Lappata, proprio quello in cui si trova la nostra area carsica. La grotta che compare nel titolo, e in cui è ambien-
sette diverse famiglie anni prima, si danno per il giorno della merenda di Pasqua, il 17 Aprile 1857, da consumarsi in un luogo poco frequentato (lo descrivono come solitario e cupo): il bosco di Lappata. Appena arrivate nel bosco vengono sorprese da un temporale, e quindi, impaurite, invocano l’aiuto del Signore che per tutta risposta invia in loro soccorso una vecchietta che le invita a seguirla, per trovare riparo nella grotta dove vive. Le ragazze accettano l’invito e appena entrate in grotta il temporale diventa
... APPENA ARRIVATE NEL BOSCO VENGONO SORPRESE DA UN TEMPORALE, E
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QUINDI, IMPAURITE, INVOCANO L’AIUTO DEL SIGNORE CHE PER TUTTA RISPO-
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STA INVIA IN LORO SOCCORSO UNA VECCHIETTA CHE LE INVITA A SEGUIRLA,
ancora più minaccioso, con grandine e vento, per placarsi poco dopo, come predetto dalla vecchietta. Allora le ragazze, pensando che la vecchietta sia una maga, le chiedono di vegliare sul loro futuro. La vecchietta, il cui nome è in effetti maga Crolice, risponde che lo farà a pat-
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tata la vicenda, oltre a Grotta delle Fate viene chiamata anche Grotta della Conoscenza per le informazioni storiche che trasmette a chi avrà la temerarietà di visitarla. Il racconto inizia con un appuntamento che sette ragazze di Saturnana, accolte e adottate da
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PER TROVARE RIPARO NELLA GROTTA DOVE VIVE ...
to che loro visitino la sua dimora, questa grotta verso cui le ragazze mostrano resistenza (ai loro occhi sembra una prigione) ma, fidandosi ormai di lei, la seguono. La grotta si mostra articolata, con passaggi in cui è necessario salire, scendere e passare un “piccol pertugio” … “tra sasso e sasso” di fronte al quale le ragazze riappaiono titubanti, ma la maga Crolice le rincuora dicendo che al di la grotta è larga. Passa avanti lei: 58. Cio detto rannicchiossi nell’istante, Colle natiche poste sul tallone. Piega il capo a sinistra e mand’avante La manca man che a guida la dispone. Passa qual biscia, tra le rocce infrante, E nella destra il suo doppier ripone, Poi che passata al buco si rivolta Chiamando le donzelle una per volta.
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La grotta si spalanca; arrivano ad un lago, con acque placide e delimitato da roccia calcarea. Una ragazza le chiede se qualcuno vide mai quel luogo e la maga risponde che sono le prime dal momento che la cascata, il lago che si forma ai
suoi piedi e il canale che prosegue in basso scorrono tutti sottoterra. Un’altra ragazza le chiede dove si trovano rispetto all’esterno e la maga traccia un percorso che passa sotto al bosco per poi arrivare alla località “Il Santo” ed infine sotto a Fontana, dove una parte delle acque fuoriescono per alimentare il lavatoio e “tonte”. Proseguono per ampie sale dove incontrano anime dannate e ricche sculture antiche fino ad arrivare alla stanza della maga che lì inizia a raccontare la storia della sua vita confessando di essere la loro vera madre, costretta da molto tempo a vivere in questa grotta. Dopo aver regalato a ciascuna di loro una boccetta di “acqua dell’obblivione”, che serve per rimanere contente, le conduce a vedere la storia narrata dalle sculture e dalle incisioni scolpite nelle pareti di questa grotta. Si inizia dalla mitologia greca per poi passare alla mitologia romana che sconfina negli albori della storia romana repubblicana. La narrazione prosegue con i fatti salienti dell’impero romano e della sua interazione con gli altri popoli (etruschi, cartaginesi, egizia-
In alto: copertina della Ristampa Anastatica del poemetto di Ferdinando Bardini.
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Di lato: indicazioni del sentiero di Saturno, ideato da Amelio Bucciantini, foto di S. Panichi.
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ni, galli). Da qui si passa ai fatti principali del Medioevo e del Rinascimento, soprattutto legati alla storia italiana, toscana e pistoiese, fino ad arrivare alla storia recente con Mazzini e Garibaldi. Le sette ragazze protagoniste del poemetto sono realmente vissute a Saturnana, dove è possibile rintracciare ancora oggi alcuni loro discendenti. Fatti reali si alternano alla descrizione fantastica, dando lo spunto per narrare la mitologia classica e la storia dell’umanità inserendola in una cornice immaginaria. La memoria relativa all’esistenza di questo poemetto è ancora viva a Saturnana grazie anche all’interessamento di uno dei suoi abitanti: lo scultore e pittore Amelio Bucciantini, che nel 2009 ha curato la sua ristampa anastatica, con l’aggiunta in calce di diciotto sue illustrazioni originali che raffigurano la vicenda narrata. Già nel 2007 Bucciantini aveva allestito un percorso ispirato al poemetto e alle origini di Saturnana, il “Sentiero di Saturno. Il Re guerriero signore della grande selva nell’età dell’oro”. Il percorso, oggi in avanzato stato di abbandono, attraversa luoghi legati alla storia locale, alla storia narrata nel poemetto e ispirati dalla fantasia, riconoscibili da vari cartelli in legno: la Cava del Santo, documentata a partire dal 1673, poi la Cava dei Ronchi, la Cava Fontana, la Piazza del Poeta Ferdinando Bardini detto Nandino, la Piazza delle Sette Civette, Piazza dei Maghi Cecco, Gosto, Clorinda, Zampi, per poi arrivare alla nostra Grotta delle Fate, e alle vicine Grotta dell’Istrice, Grotta della Maga Clorice e Grotta del Falco di Lappata. Queste grotte sono le stesse (tranne la Grotta dell’Istrice) inserite nel catasto speleologico regionale ma i nomi assegnati dal Bucciantini sono stati ispirati oltre che dal poemetto, dalla storia locale e dalle caratteristiche naturali del luogo. In particolare la Grotta delle Fate (o Grotta della Conoscenza) viene oggi identificata sommariamente in quella che gli speleologi hanno
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In alto: La Grotta delle Fate, illustrazione di Amelio Bucciantini.
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In basso: La storia delle Sette Ragazze , Canto I, Verso 48., pag. 19, illustrazione di Amelio Bucciantini.
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La zona in cui potrebbe trovarsi la vera Grotta delle Fate, foto di F. Lunghi.
ribattezzato Tecchia di Calabbiana ma in realtà la memoria storica la localizza lungo il “fosso che viene giù da Pitornecca”, cioè il Fosso di Lappata, più a monte rispetto al luogo dove si trova la tecchia. La descrizione che viene data è di una grande cavità con l’aspetto di un “tunnel sotterraneo” che aveva termine sotto la chiesa di Saturnana. La prima esplorazione di cui si abbia una memoria storica dovrebbe averla compiuta il Sig. Birilli, operaio nelle cave presenti nella zona negli anni della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, che si inoltrò nella cavità con un lume ad acetilene ed il sagolino che gli permise di ritrovare l’uscita quando il flusso d’aria presente nella cavità gli spense la luce. Il racconto di un crollo, uno dei tanti che troviamo lungo il Fosso di Lappata, che ne avrebbe ostruito l’ingresso, sembra corrispondere ad un luogo che troviamo poco a monte delle cavità conosciute, dove, alla base di una parete aggettante, la frana di un muretto a secco ostruisce un approfondimento intuibile fra il materiale instabile. Rispetto all’aspetto idrogeologico la gente del luogo ha sempre pensato che l’acqua, assorbita in subalveo a monte del bosco di Lappata, potesse essere raggiunta di nuovo all’interno della Grotta di Anna, per poi riemergere, come abbiamo visto, sotto Corneto. Non sappiamo se que-
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sta credenza sia basata su ipotesi concrete o su un altro passo del poemetto del Bardini: 49. Amabile, col dolce accento usato, Disse alla maga: Ci sapreste dire Quel perenne ruscel che abbiam passato, In che parte va fuori a scaturire? Gli rispose: Quel fonte è consacrato Alle ninfe che qua soglion venire, Qua dentro è detto il fonte dell’Amore, Il qual sotto Corneto sorte fuore. 50. Tempo verrà che un nobil signore Quell’onda pregierà come un tesoro E per condurla ad innaffiare il fiore, Non curerà né spesa e né lavoro; Ma per ora sortita ch’è di fuore Non gode nessun pregio, né decoro Ma sterpi e spine che gli stanno addosso Mentre discorre il limaccioso fosso. Comunque l’osservazione quotidiana del territorio da parte dei locali fornisce molti particolari legati allo scorrimento idrico e su come esso sia cambiato nel corso degli anni: pare che nei tempi passati l’acqua, dopo forti piogge, quindi in regime di piena, uscisse dalla sorgente ini-
zialmente con aspetto limpido ed in seguito diventasse torbida. Adesso pare che già dal primo arrivo dell’ondata di piena, l’acqua esca subito torbida, dopo mezza giornata dal momento in cui inizia a piovere. Per fare un po’ di chiarezza fra le conoscenze spelologiche, quelle locali e ciò che viene narra-
to nel poemetto, nonché rispetto ai nomi inseriti nel “Sentiero di Saturno”, auspicando che un giorno qualcuno voglia recuperare questo intento di valorizzazione del territorio, è stata predisposta una tabella che chiarisce quante e quali grotte troviamo nell’area carsica del “Colle de Le Grazie”.
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Il podere Calabiano, foto di S. Panichi.
Il vecchio toponimo Calabbiana (in precedenza Callabiana), in passato attribuito anche al Fosso di Lappata, è stato sostituito nelle carte moderne da Podere Calabiano, mentre la cartografia in uso all’epoca dell’inserimento nel catasto speleologico riportava l’antica e probabilmente corretta dicitura, rintracciabile fin dal 1627.
Ringraziamenti Ringrazio due abitanti speciali di Saturnana: Amelio Bucciantini di Cerchiaio e Lamberto Albertazzi di Corneto, nonché Francesco Lunghi, Leonardo Piccini, Loriano Lucchesi e Luca Venturi per l’aiuto fornitomi.
La Buca di Anna Elisa, foto di S. Panichi.
Bardini F. (1910) La Storia delle sette ragazze ossia La grotta della Fate. Pistoia Officina Tipografica Cooperativa, 106 p. (rist. anast. Pistoia, Il Papyrus miniedizioni, 2009) Cecchi A. (1984) Toponomastica del territorio di Saturnana dal 1449 al 1673. Bullettino Storico Pistoiese, Anno LXXXVI, 3 ser., n.19, p. 75 - 91. Magrini P., Vanni S. (1986) Note su alcuni Duvalius della Toscana, con descrizione di una specie e di due sottospecie nuove (Coleoptera Carabidae). TALP, Rivista della Federazione Speleologica Toscana, 1, p. 5 - 17.
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La Tecchia di Calabbiana, foto di F. Lunghi.
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foto di A. Roncioni, di fianco l’ingresso della Buca del Fontanino, Arnetola, Vagli di Sotto, Alpi Apuane (1383 T/LU); in basso un passaggio angusto nella grotta Buca Nuova, Orto di Donna, Minucciano, Alpi Apuane ( 1732 T/LU).
A pagina 41: foto di G. Dellavalle, in alto un passaggio angusto nella grotta La Bucaccia, Donoratico (639 T/ LI); in basso cunicolo nella grotta/miniera Buca degli Spagnoli, Valle in Lungo, San Vincenzo (2012 T/LI).
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In questa pagina: foto di G. Dellavalle, di fianco l’ingresso della Buca della Capra, Suvereto, non ancora registrata al catasto;
A pagina 43: foto di C. Pia, vari passaggi nella Risorgenza Sette Fontane, Maissana ( 1267 LI/SP).
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foto di C. Pia, in basso passaggio nella Risorgenza Sette Fontane, Maissana ( 1267 LI/SP).
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IMMAGINI foto di F. Lunghi, di fianco un passaggio angusto in una grotta in esplorazione sul Monte Memoriante, Bagni di Lucca (LU); in basso lo stretto meandro che costituisce gran parte della Buca di Anna, Calabiano (829 T/PT).
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Dati preliminari della convenzione INGV-FST di Ilaria Isola1, Giovanni Zanchetta2, Eleonora Regattieri3 1 Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Pisa; 2 Dipartimento di Scienze della Terra, Pisa; 3 Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria CNR, Roma.
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ti i dati cronologici provenienti dalle diverse grotte, è quindi possibile individuare le fasi di crescita o assenza di crescita e i tassi di deposizione delle concrezioni, tutti elementi che possono avere un significato climatico a scala regionale. Nell’ambito della convenzione firmata tra INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e la Federazione Speleologica Toscana, che prevedeva ricostruzioni paleoclimatiche nell’area toscana partendo dall’uso di concrezioni di grotta (Isola et al., 2013), sono state selezionate diverse cavità carsiche in cui è stato effettuato un campionamento preliminare. La selezione, i primi sopralluoghi preliminari ed il prelievo dei campioni da queste cavità hanno visto la partecipazione attiva di molti gruppi speleologici toscani. Per questo progetto sono state visitate numerose grotte, in dieci delle quali (segnate in rosso in Fig.1) sono stati prelevati campioni di concrezioni tramite carotaggi a basso impatto ambientale e/o raccogliendo frammenti di stalagmiti preferibilmente già rotte (Figg. 2, 3). In totale sono stati raccolti 33 campioni. Le singole stalagmiti sono state tagliate, lucidate (Fig. 4) e selezionate in base a morfologia, stratificazione, presenza di detrito ecc.
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Utilizzando le grotte come archivi del clima passato (vedi Bruschi et al., 1999; Zanchetta et al., 2002, 2006), ed in particolare le concrezioni, abbiamo più volte messo in evidenza come uno dei maggiori vantaggi sia la possibilità di poterle datare con accuratezza e precisione con il metodo U/Th (Hellstrom, 2006). La crescita delle concrezioni è già di per sé un importante indicatore ambientale e rappresenta uno strumento fondamentale per inquadrare cronologicamente l’evoluzione dei sistemi carsici, almeno nella loro fase finale. La crescita di una concrezione è principalmente legata alla presenza di acqua allo stato liquido, in grado di penetrare nel suolo sovrastante la grotta e disciogliere il carbonato per poi riprecipitarlo all’interno della cavità. Per questa ragione nei deserti e nelle zone con suoli perennemente ghiacciati (permafrost) le concrezioni sono rare se non assenti. In questo contesto, le datazioni di antiche fasi di crescita di concrezioni possono ad esempio indicare fasi più umide o fasi di scioglimento del permafrost (Vaks et al. 2006; 2013). In generale l’analisi comparata delle fasi di crescita di più cavità carsiche può quindi fornire importanti informazioni climatiche, come il verificarsi di fasi glaciali e/o aride. Nel caso di precipitazioni meteoriche sufficienti, il tasso di crescita delle singole stalagmiti dipende da numerose variabili come la temperatura, il tasso di gocciolamento, il contenuto di calcio nella soluzione e il suo grado di sovrasaturazione (Genty et al., 2001), anch’essi tutti parametri ricollegabili alle condizioni climatiche esterne. Attraverso l’analisi spaziale ed altitudinale di tut-
SPELEOTEMI
Tante grotte, tanti archivi del clima passato
Fig. 1. In rosso localizzazione dei campioni raccolti all’interno della Convenzione INGV – FST, in blu localizzazione di dati presenti in letteratura.
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Su quelle più promettenti, sono stati prelevati i primi campioni per le datazioni U/Th. Solitamente in questa fase vengono anche effettuate sezioni
ni, ma di questo parleremo più diffusamente in futuro, quando le serie geochimiche realizzate saranno ancorate ad un maggior numero di datazio-
LA CRESCITA DI UNA CONCREZIONE È PRINCIPALMENTE LEGATA ALLA PRESENZA DI ACQUA ALLO STATO LIQUIDO, IN GRADO DI PENETRARE NEL SUOLO SOVRASTANTE LA GROTTA E DISCIOGLIERE IL CARBONATO PER POI RIPRECIPITARLO ALL’INTERNO DELLA CAVITÀ.
sottili per valutare la qualità del materiale da datare e per scegliere gli intervalli più idonei (cioè meno contaminati da materiale clastico) per le datazioni. Il progetto prevedeva inoltre, lo studio geochimico isotopico di alcuni di questi campio-
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ni. Le datazioni effettuate fino ad ora (molte altre saranno in arrivo nei prossimi mesi) nei campioni delle grotte selezionate nell’ambito del progetto, sono rappresentate nel grafico di Fig. 5, distribuite secondo le quote di campionamento (asse Y).
Fig. 2. Raccolta della stalagmite BCO2 alla Buca Cava dell’Onice.
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che Urla, ma tracce se ne individuano anche alla Buca Cava dell’Onice e alla Grotta di Punta degli Stretti. È interessante notare la presenza di un ulteriore periodo di concrezionamento molto più antico che sembra ancora una volta corrispondere ad un periodo interglaciale, il MIS9, sicuramente ben documentato al Corchia ma che risulta presente anche alla Tana degli Istrici e alla Grotta di Cala dei Santi. Questo quadro molto preliminare fornisce certamente delle indicazioni che fanno ben sperare per il proseguimento delle ricerche, in particolare per quanto riguarda lo studio dell’Olocene, periodo che rappresentava il focus principale del progetto sviluppato con la FST. I dati riguardanti i periodi più antichi invece, suggeriscono un futuro potenzialmente promettente, non solo per quanto riguarda le ricerche paleoclimatiche, ma anche per lo studio dell’evoluzione delle cavità stesse, aiutandoci a comprendere se esistano fasi comuni di sviluppo dei sistemi carsici anche a scala regionale. Queste ricerche preliminari ci fanno quindi ben sperare e suggeriscono l’esistenza di numerose cavità, al di là di quelle già note e studiate, che possono rivelarsi
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A queste sono aggiunti i dati derivanti da studi pregressi relativi a speleotemi del Corchia (Drysdale et al., 2004, 2005, 2007, 2009; Zanchetta et al., 2007; Regattieri et al., 2014a), della Tana che Urla (Regattieri et al. 2012, 2014b), della Buca della Renella (Drysdale et al. 2006; Zhornyak et al. 2011) e della Grotta del Vento (Piccini et al., 2003). I dati ottenuti al Corchia negli anni, sono molto più numerosi di quelli riportati in figura, ma abbiamo fatto riferimento solo ai dati sostanzialmente già pubblicati o in corso di pubblicazione. In figura è riportata inoltre, la curva isotopica globale dell’δ18O ricavata dai gusci dei foraminiferi bentonici marini (piccoli organismi unicellulari con guscio calcareo che vivono nei fondali oceanici), che rappresenta, in prima approssimazione, le grandi variazioni climatiche terrestri con l’alternarsi di periodi glaciali (valori maggiori) ed interglaciali (valori minori) (Lisiecki e Raymo, 2005). Come si può vedere dall’immagine (Fig. 5), generalmente le datazioni (all’interno del margine di errore), ricadono principalmente in corrispondenza delle fasi con valori isotopici tipici degli interglaciali. In particolare durante l’interglaciale più recente (MIS1 o Olocene) si concentra il massimo numero di datazioni. Questo suggerisce che una parte importante del concrezionamento delle grotte studiate si sia sviluppata durante l’ultimo periodo caldo. L’ultimo periodo glaciale (ca. 70-11 ka) vede invece un minor numero di datazioni, suggerendo fasi di minor concrezionamento. Durante questo intervallo di tempo, possono essersi verificati, alle quote più elevate, periodi di congelamento del suolo con conseguente mancanza di stillicidio, mentre per grotte situate a quote più basse, la drastica diminuzione di concrezionamento può essere imputata ad un notevole aumento dell’attività fluviale all’interno delle cavità stesse, come è sicuramente riscontrabile in alcune grotte apuane. Una fase di crescita importante si osserva anche durante il penultimo periodo caldo (conosciuto in generale, sulla base della nomenclatura delle curve isotopiche marine come MIS5e). Questa fase è sicuramente presente in Corchia e alla Tana
preziosi archivi per lo studio del clima passato e dell’evoluzione carsica e morfologica della nostra regione. Crediamo che questa sia una ulteriore opportunità di collaborazione tra enti di ricerca e Federazione Speleologica Toscana, collaborazione fino ad oggi foriera non solo di grandi risultati scientifici ma anche di crescita comune.
Ringraziamenti Un sentito ringraziamento va agli Organi Federali che si sono succeduti in questi ultimi anni e,
in particolare, a tutti coloro che si sono interessati a queste ricerche dedicandovi tempo e fatica di seguito menzionati in rigoroso ordine sparso (con l’auspicio di non dimenticare nessuno): Ilaria Baneschi (IGG-CNR), Carlo Cavanna (SNSM), Luca Deravignone e Davide Fucile (GSM), Giovanni Gatti (GSC), Marta Lazzaroni, Emilio Poggetti e Luca Tinagli (GSAL), Leonardo Piccini (UNIFI), Silvia Tamburini, Enzo Barlacchi e Davide (USC), Adriano Roncioni e Andrea Tori (GSL).
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Fig. 3. Tracce dei carotaggi effettuati nella Grotta di Cala dei Santi.
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In alto: Fig. 4a. Sezione della stalagmite FB4 (Grotta di Fonte Buia). Fig. 4b. Sezione della carota CDS-C1(Grotta di Cala dei Santi). La scala indica 5cm (rettangolo nero). In basso: Fig. 5. Distribuzione delle datazioni di speleotemi toscani (cerchi rossi) secondo le quote di campionamento (in nero la barra di errore , 2Ďƒ). In azzurro i valori isotopici marini relativi ai cicli glaciali/interglaciali globali (Lisiecki e Raymo, 2005). Sono evidenziati con rettangoli azzurri i periodi caldi relativi al MIS1, MIS5e e MIS9e.
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Ricordo di Benedetto Lanza
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L’11 marzo 2016 il Professor Benedetto Lanza, conosciuto da molti come Bettino, ci ha lasciato dopo una breve malattia all’età di 92 anni. Non è mai facile scrivere il ricordo di una persona e nel raccontare un grande personaggio come quello di Lanza si corre un po’ il rischio di scrivere cose banali e scontate, che non gli renderebbero giustizia. Per i pochi lettori che, soprattutto per questioni anagrafiche, non ne hanno mai nemmeno sentito parlare, una sintesi del personaggio può essere questa: un genio, un caparbio, un romantico, una vera “forza della natura”! Si laurea in Medicina e Chirurgia nel 1949 ma, fin da giovanissimo, mostra una grande passione per il mondo naturalistico dedicandosi molto precocemente alla raccolta e allo studio di animali e piante. Gli inizi della sua carriera di naturalista lo vedono impegnato proprio in ricerche biospeleologiche, tanto che dal 1952 al 1955 si guadagna la carica di Presidente del Gruppo Speleologico Fiorentino. La sua passione lo avvicina sempre più al mondo della zoologia e viene nominato membro del Comitato Scientifico Centrale del Club Alpino Italiano. Parallelamente prosegue la sua carriera verso la docenza universitaria e nel 1969 vince la cattedra di Biologia Generale all’Università di Bologna per poi passare nel 1971 all’Università di Firenze. Ora la sua attività di ricerca può crescere liberamente e lo impegna anche con molte missioni all’estero, tanto che nel 1980 decide di abbandonare, con grande dispiacere dei suoi pazienti, la sua attività di medico. Nello stesso anno viene eletto Membro Onorario del Gruppo Speleologico Fiorentino. Il suo contributo di zoologo alle scienze naturali è stato enorme. Alla sua prima pubblicazione scientifica del 1946 (aveva solo 22 anni!), seguono oltre 500 lavori riguardanti un’ampia varietà di argomenti, dall’ecologia alla biogeografia, dalla sistematica zoologica alla botanica
e ancora anatomia, evoluzione e, cosa che ci riguarda più a vicino, molti importanti contributi di biospeleologia. Fondamentali e ancora oggi citati da Autori odierni sono i suoi lavori sulla speleofauna, principalmente quella toscana, pubblicati dal 1946 fino ad almeno il 1999. Poliedrico ed eclettico naturalista ha studiato la biospeleologia trattando di numerosi gruppi zoologici, dedicandosi in particolare a Molluschi, Crostacei, Anfibi e soprattutto ai Chirotteri sui quali il suo contributo è stato davvero importante e ponderoso, prolungato praticamente fino alla fine della sua vita. Il che vuol dire circa 70 anni di presenza sul palcoscenico della ricerca scientifica italiana ed europea! Al di là dell’imponenza del suo curriculum professionale, credo che le cifre che meglio raccontano la sua attività siano queste: 68 sono le nuove specie o sottospecie che ha descritto nei suoi lavori e ben 40 le specie o sottospecie a lui dedicate! Cifre impressionanti e specialmente la seconda ci dà un’idea della grande considerazione che godeva nel mondo scientifico e dell’affetto e della gratitudine che molti hanno avuto per lui. Qual era il segreto di tanto successo professionale di Bettino Lanza? La determinazione e l’energia con cui affrontava ogni lavoro, senza mai cercare scorciatoie, ma organizzando sempre con completezza e tanta fatica la documentazione che serviva a realizzare una pubblicazione. Qualunque essa fosse. Dalla monografia edita dal Ministero Ambiente all’articolo divulgativo. E la meticolosa abilità che aveva di scrivere in modo chiaro ed esaustivo sul soggetto dei suoi studi, la capacità di giudicare il suo lavoro e di accettare le critiche in funzione di un migliore risultato. La sua ostinazione nel voler andare oltre l’ordinario per cercare un risultato migliore. Conoscevo Bettino fin dal 1976, quando frequentavo il suo corso di Biologia Generale alla Specola a Firenze. Erano le più belle lezioni del Corso di Laurea in Scienze Naturali e subito noi studenti fummo conquistati dal suo entusiasmo, dalla sua energia e dalla sua sconfinata cultura naturalistica. Era capace di parlare per ore di
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n.d.r. Sono state raccolte tre testimonianze che ci raccontano le molte cose che Benedetto ha fatto, anche per e con la speleologia e non solo.
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ecologia animale toccando argomenti di etologia, sistematica, fisiologia, anatomia comparata, tanto che per dei giovani studenti affascinati da tanta bellezza era spesso difficile seguire il rapido guizzo dei suoi pensieri. A differenza però di molti altri Professori era sempre attento alle nostre domande e incoraggiava i nostri diversi punti di vista, sempre pronto a cogliere un’idea nuova, uno spunto che si potesse sviluppare o semplicemente per mettere alla prova il suo personale punto di vista. Per questa sua incredibile energia e dedizione Bettino è sempre stato per me e per tantissimi altri naturalisti un faro, un riferimento, un esempio da seguire. Fino all’ultimo. Basti pensare che ancora oggi ogni zoologo che si occupi di pipistrelli conosce bene il suo famoso volume della Fauna d’Italia sui Chirotteri pubblicato nel 1959. Per almeno 50 anni è stato la “bibbia” dei chirotterologi italiani, ancora citato in molte pubblicazioni sino a pochi anni fa. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui per la pubblicazione di alcuni lavori sui pipistrelli e come tutti quelli che hanno provato questa esperienza posso senz’altro dire che lavorare insieme a lui non era facile. Perché Bettino chiedeva sempre ai suoi collaboratori la stessa totale dedizione che chiedeva a se stesso. Lavorando al suo fianco si potevano però ammirare la sua acuta intelligenza, la sua infallibile logica e la sua abilità nell’organizzare centinaia di informazioni per ottenere sempre qualcosa di nuovo e di utile. Chiunque resistesse al suo approccio, imparava molto non solo sul mondo naturale, ma anche e soprattutto su se stesso e sul modo di affrontare un impegno. E poi non si lavorava e basta, ma si scherzava e ci si prendeva anche in giro, perché una cosa che a Bettino non è mai mancata è stato un meraviglioso senso dell’umorismo e di autoironia. Quando nel 1996 Bettino Lanza va in pensione, a 72 anni, finalmente libero dagli impegni di docente e di Direttore del Museo de “La Specola” di Firenze, inizia una nuova fase produttiva.
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Tra le pubblicazioni di argomento a noi più vicino che si realizzano negli ultimi anni ricordiamo i ponderosi Volumi sull’Iconografia dei Mammiferi (Chirotteri) 1999, i Parassiti dei Chirotteri del 1999 (con circa 840 lavori consultati e 756 taxa trattati!), la sua seconda edizione della Fauna d’Italia Chirotteri del 2012, pubblicata all’età di 88 anni e il volume sui Chirotteri dell’Africa Orientale nel 2014, pubblicato all’età di 90 anni! La sua morte ha comportato una grande perdita per la scienza e per chi lo conosceva personalmente. Ci deve però consolare il fatto che Bettino ha avuto una vita meravigliosa, dedicata alla sua passione, attorniato da una grande e bella famiglia e da una grande quantità di amici e di estimatori del suo lavoro. di Paolo Agnelli Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, Sezione di Zoologia “La Specola”
di Francesco De Sio Gruppo Speleologico Fiorentino
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Ho conosciuto Benedetto Lanza, che nel 2013 l’erpetologo inglese A. M. Bauer ha definito “a Renaissance man in the modern age”, sempre chiamandolo Bettino, nel 1958 all’Oratorio Salesiano di Via Gioberti in Firenze, ove con alcuni amici avevo fondato il Club Amici della Natura approntando un piccolissimo museo con raccolta di insetti e altri assortiti animali. Lo accompagnavano i fratelli Marinelli, del CAI, come lui, che gli avevano parlato della raccolta.
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Coreglia Antelminelli. Il Gruppo Speleologico Fiorentino, tornato in vita sotto la direzione di Leandro Ambregi, aveva organizzato una gita speleologica con il Liceo Michelangelo, appunto alla Buca delle Fate di Coreglia. Quasi all’ingresso era stato trovato un “serpente” che era stato prontamente …neutralizzato. Appena avuta la notizia Bettino corse a Coreglia alla ricerca del cadavere a vedere se per caso fosse stata una vipera! E come rimasi male quella volta che, con cure infinite, gli portai un pipistrello raccolto, su sua indicazione, non ricordo in quale grotta e lui, velocissimo, lo anestetizzò ...per l’eternità! Una delle nostre ultime uscite fu nel 1961 alla Grotta di Punta degli Stretti. Nel 2007 ci siamo risentiti per il caso, rimasto irrisolto, dei protei dell’acquasantiera della Chiesa di S. Francesco a Iglesias. In Sardegna per il XX Congresso Nazionale di Speleologia, girando per la città tra una comunicazione e l’altra, trovammo, io ed altri colleghi speleo, nella chiesa di S. Francesco, un’acquasantiera con scolpiti in rilievo, sul fondo, alcuni animali che ci sembravano protei. Contattai immediatamente Bettino e lui, entusiasta, iniziò una ricerca storico-archeologica, per risalire alle origini dell’acquasantiera o ad eventuali contatti di qualcuno dei religiosi o di qualche scalpellino di Iglesias con le località di origine dei protei. Ma inutilmente. E poi gli auguri il 24 maggio di ogni anno. Ma quest’anno... no. Prima di andarsene aveva espresso il desiderio che le sue ceneri venissero disperse sulla Montagnola Senese, alla Buca della Nebbia. Riposi in pace.
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Il giorno 11 marzo 2016 ci ha lasciati Benedetto Lanza, Bettino per gli amici, medico, naturalista, già professore ordinario di Biologia Generale della Facoltà di S.M.F.N. dell’Università di Firenze e Direttore del Museo di Storia Naturale “La Specola”. Zoologo ed erpetologo di fama mondiale, socio onorario della Unione Zoologica Italiana, nasce a Firenze il 24 Maggio 1924. Nel 1949 si laurea in Medicina e Chirurgia all’Università di Firenze e mostra, fin da giovanissimo, un grande interesse per il mondo naturalistico. Ma lascio ad altri il compito di parlare di Benedetto Lanza naturalista e scienziato. Io qui voglio parlare di Bettino Lanza speleologo …attraverso i miei ricordi. Le prime notizie sulla sua attività speleologica risalgono al 1941, quando, a 17 anni, cattura nelle grotte della Calvana alcuni esemplari di Hydromantes che successivamente descrive sull’Archivio Zoologico Italiano, la sua prima pubblicazione. In quel tempo, non ancora laureato in Medicina e Chirurgia, collabora con l’Istituto di Anatomia e Fisiologia Comparata dell’Università di Firenze. È stato socio della Sezione Fiorentina del Club Alpino Italiano e socio Onorario del Gruppo Speleologico Fiorentino. Dopo la parentesi bellica il Gruppo Speleologico Fiorentino era pressoché inesistente: solo l’attività di alcuni ricercatori tra i quali appunto B. Lanza ne testimonia l’esistenza. Fin dal 1948 si interessa del Catasto delle grotte della Toscana e nel 1954 pubblica il “Primo elenco Catastale delle grotte della Toscana” in collaborazione con Rodolfo Giannotti e Giorgio Marcucci, pubblicazione fondamentale per l’attività speleologica dei gruppi toscani e non solo. Dopo la laurea Lanza inizia la sua attività di medico e di biologo: io l’ho conosciuto negli anni ’50 perché eseguiva analisi di gravidanza, usando rane, e la farmacia di mio padre si appoggiava a lui per questo servizio. Saputo del mio interesse per le grotte, iniziò a portarmi con sè nelle gite, che ricordo ancora con piacere, nel senese e nel grossetano, a mettere trappole e a raccogliere insetti. Ed i miei genitori furono ben contenti che uscissi in sua compagnia, invece che con quegli scalmanati del Gruppo Speleologo Fiorentino! È del 1955, il “serpente” della Buca delle Fate di
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La visita fu lunga e accurata e alla fine ricevette un lodevole apprezzamento. Fu una visita foriera di scelte che si sarebbero sviluppate nel tempo. Ci lasciarono due pubblicazioni: Le grotte in Arenaria della Provincia di Firenze e la Tana dell’Orso presso Giogarello. Queste pubblicazioni segnarono l’inizio della mia attività speleologica con la visita alla Grotta delle Fate di Tosi e poi alla Grotta di San Manetto. Fu però solo nel 1962 che ci incontrammo di nuovo. Mi ero associato al CAI e al GSF e dato che ero appassionato di biologia un incontro alla Specola mi rese subito operativo: raccogliere insetti e altri animali nelle grotte che si visitavano. Bettino Lanza, socio del CAI Firenze, questa raccolta la faceva già dal 1941, a 17 anni, in una forma diciamo così privata, vale a dire che pochi lo seguivano. Con lui il geometra Giorgio Marcucci, Giorgio Marinelli e Franco Tonani. Quell’anno cattura nelle grotte della Calvana alcuni esemplari di Hydromantes che descriverà sull’Archivio Zoologico Italiano. Benchè non ancora laureato in Medicina e Chirurgia collabora con l’Istituto di Fisiologia Comparata dell’Università di Firenze. L’attività però, data la mancanza di materiale – il GSF non era più attivo dal 1938 – e la guerra in corso, si limitò forzatamente allo studio specialmente biologico di grotte più o meno facilmente percorribili. Essa portò alla scoperta di numerose entità faunistiche, anche troglobie, nuove per la scienza e per l’Italia peninsulare. Furono inoltre catastate e rilevate varie grotte e non mancarono reperti paleontologici e paletnologici di un certo interesse. Pubblicò parzialmente i risultati di queste ricerche (talora in collaborazione con Rodolfo Giannotti, del G.S. del CAI di Pisa, e con Giorgio Marcucci) e in diversi altri scritti di naturalisti italiani. Nel frattempo, ancora studente di Medicina viene mandato alla Scuola di Sanità Militare in Costa San Giorgio. La sua natura profondamente antirazzista e libertaria lo porta ad avvicinarsi al movimento partigiano con l’aiuto dei professori gravitanti nell’area del Museo Zoologico “la Specola”. Così il 7 giugno del 1944 fa il suo ingresso nella Brigata Sinigaglia, attestata a Monte Scalari in Chianti, accolto dal comandante Angiolo Gracci, nome di battaglia
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Gracco, che lo assegnò al Distaccamento Internazionale della Prima Compagnia “Mario Pagni”, in tutto una trentina di uomini. La mattina del 4 agosto 1944 marciano su Firenze cantando l’inno della loro Brigata “Insorgiam” Vanno sul monte mosse dal vento di vittoria van le bandiere rosse a rinnovar la storia. Dagli aspri monti ai piani cantano i partigiani, dagli aspri monti ai piani cantano i partigian. Nel 1944 si laurea in Medicina e Chirurgia, col massimo dei voti e lode, ed esercita la professione di medico dal 1944 al 1980. Di speleologia se ne riparla nel 1949 quando partecipa al Congresso Nazionale di Speleologia assieme al Prof. Ezio Tongiorgi (G.S. CAI Pisa) e al Dott. Francesco Gerini (Sez. Livorno Unione Italiana Naturalisti) ove presenta una breve relazione intorno a lo “Stato attuale delle nostre conoscenze topografiche e faunistiche nelle caverne della Toscana”. Nel 1950 è al IV Congresso Nazionale di Speleologia in Puglia. La Toscana è rappresentata dal Dott. Gerini di Livorno, dal prof. Tongiorgi e dal Sig. Rodolfo Giannotti di Pisa, dal Prof. Ciaranfi, dal Dott. Marcucci e dal Dott. Lanza di Firenze. Finalmente nel 1952 rinasce il Gruppo Speleologico Fiorentino, della Sezione del CAI di Firenze, con Presidente Benedetto Lanza che riprende studi e pubblicazioni, studi che in pratica non si erano mai interrotti. Nel 1952 si esplora la Grotta delle Fate di Firenzuola, la Cava dell’Orso presso Giogarello (Scarperia), la grotta “Tanone” di Carrara. Benedetto Lanza è tra partecipanti in compagnia di Loredana Fantini, Verzocchi, Porri, Toderi, Frullini e Umberto Lanza. E nel 1954 esce il primo numero di “Eco Speleologica” giornale ciclostilato con notizie sull’attività del Gruppo e notizie sulle grotte d’Italia con particolare riferimento alle grotte della Toscana. Contiene anche una interessante rubri-
del CAI, 2014, quando fu premiato come socio ultrasettantennale. Dovevo passare a trovarlo ma non l’ho fatto. Peccato. In un mondo in cui tutto va alla rovescia e i valori vengono ignorati quando non messi sotto i piedi non si può fare a meno di apprezzare chi a questi valori teneva: la Costituzione, l’amicizia, la conoscenza, la ricerca, l’accoglienza di chiunque a prescindere da colore e religione. Questo per me è stato Bettino Lanza. Ce ne vorrebbero di più...altro che toglierci i pochi che abbiamo! di Franco Utili
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ca bibliografica. Viene redatto in lingua italiana e inglese e viene inviato gratuitamente ai gruppi speleologici italiani e ai più importanti gruppi grotte stranieri. Pubblica, assieme a Rodolfo Giannotti e Giorgio Marcucci il “Primo elenco catastale delle grotte della Toscana”. In questo periodo inventa un’analisi di gravidanza usando rane che, per la gioa di Paola, stazionavano nel bagno di casa. Poi, siamo nel 1955, viene data notizia dello scioglimento del Gruppo Speleologico Fiorentino e della sua ricostituzione su tono maggiormente selettivo. La presidenza passa a Leandro Ambregi, che dura fino al 1958. Ma nel frattempo vengono rilevate e studiate sistematicamente dal punto di vista biologico tutte le cavità della Calvana grazie all’infaticabile Bettino. Il Gruppo passa a Enrico Fanfani e poi a Claudio De Giuli, come Reggente. Si ricostituisce nel 1962, quando anch’io mi iscrissi al CAI, e cominciai a rapportarmi con Bettino per la comune passione degli abitanti sotterranei. I nostri incontri divennero frequenti, anche a tavola, e assieme a lui conobbi tutta la famiglia: Paola, Laura, Marco. Saverio sarebbe venuto dopo. I reperti raccolti finivano a “La Specola” e la nostra amicizia si approfondì tanto da farmelo scegliere quale mio medico di fiducia, finchè dovette lasciare la professione nel 1980 scegliendo di dedicarsi esclusivamente alla biologia. Cosa vera fino a un certo punto perché nel contempo suonava e pitturava, traslando questa sua capacità nella raffigurazione dei reperti che descriveva. Nel contempo era Professore Ordinario di Biologia Generale presso l’Università di Firenze (19691996) e Direttore Del Museo Zoologico e delle Cere Anatomiche “La Specola” della stessa Università (1972-1992). Per le sue ricerche ho collaborato andando a raccogliere lucertole sull’isola di Montecristo, lucertole e rane in Corsica, altri reperti in Turchia. Quando gli propinavo le mie pubblicazioni, ove c’era sempre un repertorio sulla fauna, mi ragguagliava su chi mi aveva citato in questo o quel lavoro. Da quando mi sono trasferito a Vicchio i nostri incontri si sono rarefatti. Gli ultimi quando gli portai il volume “L’Antro del Corchia o Buca d’Eolo” nel 2013 e alla riunione di novembre
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Raduno Nazionale di Speleologia
STRISCIANDO 2016 28 Ottobre - 1 Novembre Lettomanoppello (PE) Parco Nazionale della Majella Abruzzo Temi dell’incontro saranno: Speleologia ed esplorazioni nelle aree parco, interazione tra speleologi ed istituzioni. Difficoltà operative in aree protette.
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giorni del raduno verranno proposte:
• visite a grotte, forre, sentieri nelle aree del parco, eremi, tholos (capanne in pietra a secco), miniere di bitume dismesse del bacino minerario della Majella; • incontri e presentazioni di reportage esplorativi nazionali ed internazionali; • presentazioni di libri e di ricerche scientifiche nell’ambito naturalistico, montano, speleologico, biologico, geologico e ambientale; • mostre e presentazioni multimediali; • conferenze, dibattiti e tavole rotonde con le Istituzioni del territorio sui temi della difesa ambientale, turismo nei Parchi in rapporto alla ricerca scientifica all’interno delle grotte, laboratori didattici nelle scuole del territorio; • riunioni Istituzionali degli organi nazionali della Società Speleologica Italiana e del Club Alpino Italiano.
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Specifiche per l’invio di materiale da pubblicare su TALP
TALP N 52, Giugno 2016 Rivista della Federazione Speleologica Toscana Pubblicazione semestrale Spedizione in A.P. Art.2 Comma 20/c Legge 662/96 Filiale di Lucca 55100 Aut.Trib. Lucca N.499 del 31/05/1989 Direttore Responsabile PAOLO MANDOLI Redazione ELEONORA BETTINI LUCA DERAVIGNONE LUCIA MONTOMOLI Coordinamento Grafico a cura della Redazione a questo numero ha collaborato M. Croci, M. Menchise, L. Piccini, E. Poggetti.
ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA SENESE c/o Franco Rossi, Via di Nottola, 19 Fraz. Stazione - 53045 Montepulciano (SI) ass@speleotoscana.it
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COMMISSIONE SPELEOLOGICA I CAVERNICOLI c/o C.A.I. di Siena Piazza Calabria 25/A - 53100 SIENA cavernicoli@gmail.com
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In copertina:
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“La storia delle Sette Ragazze” Canto I, Verso 84, pag. 28, Illustrazione: Amelio Bucciantini.
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GRUPPO SPELEOLOGICO MONTAGNA PISTOIESE Via Villaggio Orlando, 100 51028 Campo Tizzoro (PT) www.caimaresca.it gsmp_cai@yahoo.it GRUPPO SPELEOLOGICO PISTOIESE CAI Via Antonini, 7 - C.P. 1 - 51100 PISTOIA www.gruppospeleologicopistoiese.it gspistoiese@speleotoscana.it SEZIONE CAI VALDARNO INFERIORE Piazza Vittorio Veneto, 4 50054 Fucecchio (FI) speolo@speleotoscana.it gruppocss@speolo.it SEZIONE SPELEOSUBACQUEA TOSCANA c/o Carletti Carlo Via V. Bellini, 40 - 50144 FIRENZE sst@speleotoscana.it SOCIETÀ NATURALISTICA SPELEOLOGICA MAREMMANA c/o Cavanna Carlo Via Petrarca, 17 - 58100 Marina di Grosseto (GR) speleo@gol.grosseto.it SPELEO CLUB FIRENZE c/o Utili Franco C. P. 101 - 50039 Vicchio (FI) speleoclubfirenze@speleotoscana.it
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UNIONE SPELEOLOGICA PRATESE Via dell’Altopascio, 8 - 50047 PRATO www.spelelogiapratese.it info@speleologiapratese.it
Commissione Catasto FABRIZIO FALLANI Via di Soffiano 166 - 50143 Firenze Tel. 0557398836 catasto@speleotoscana.it
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Liste di lavoro: lista-editoriale@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una mail a : lista-editoriale-subscribe@speleotoscana.org lista-scientifica@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: lista-scientifica-subscribe@speleotoscana.org lista-ambiente@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: lista-ambiente-subscribe@speleotoscana.org lista-informatica@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: lista-informatica-subscribe@speleotoscana.org Lista Speleo Toscana: speleotoscana@speleotoscana.org - per iscriversi inviare una email a: speleotoscana-subscribe@speleotoscana.org Newsletter di informazione sulla FST: fst@speleotoscana.it - per iscriversi istruzioni sul sito www.speleotoscana.it
FIGURE E FOTO È spesso capitato di dover lavorare con foto a risoluzione troppo bassa; questo ha comportato in alcuni casi il riadattamento, ed in altri l’inevitabile eliminazione. Mandare foto inadeguate comporta un aspetto peggiore per la pubblicazione e, di conseguenza, un aspetto peggiore dell’articolo che vorreste condividere con gli altri. Seguendo alcune piccole regole questo può essere facilmente evitato. Quando una foto viene pubblicata a centro pagina le sue dimensioni sono circa 14 cm x 10 cm, che a 300 DPI (la qualità minima di stampa richiesta) fa 1654 x 1181 pixel. Questo significa che se volete essere sicuri della qualità, queste sono le misure minime a cui attenersi. Se la foto è un pò più piccola non è un problema, ma diminuendo la dimensione scende anche la qualità e quindi saremo costretti a ridurre la misura dell’immagine pubblicata o, nel caso sia veramente piccola, a non pubblicarla affatto. Le foto vanno mandate in formato TIFF oppure JPG, preferibilmente a bassa compressione; niente GIF, PNG o altri formati, né tanto meno come parte di documenti PDF e peggio ancora WORD. Se volete che le foto vengano inserite esattamente dove le avete predisposte voi nell’articolo e con il relativo commento, sarebbe opportuno allegare uno schema di come le vorreste o magari l’articolo montato in PDF o WORD, in modo che in fase di creazione del numero venga rispettata la disposizione originariamente pensata per l’articolo. TESTI I testi vanno consegnati come documento di testo: Rich Text Format (.rtf), OpenOffice o Word (.doc), senza particolari marginature o impaginazioni di sorta, senza foto ed immagini inserite. Sono invece necessari: • titolo-eventuale sottotitolo-nome e cognome dell’autore del testo, eventuale autore delle foto, se è unico per tutte le foto-Gruppo/ente/associazione di appartenenza. Facoltativa, ma gradita, eventuale bibliografia. Il testo può essere diviso in capitoli. ALCUNE NORME E REGOLE DI SCRITTURA: • unità di misura: sono simboli, non sono abbreviazioni, quindi non necessitano del punto. Sono definite da norme internazionali e quindi non ce le possiamo inventare: metro si scrive m e non mt o peggio mt.; • la punteggiatura è sempre seguita da uno (uno solo, ma almeno uno) spazio, mai preceduta da uno spazio; • gli spazi fra le parole sono necessari ma sono sempre uno solo. Non possono essere usati per aggiustare la lunghezza della frase; • le iniziali maiuscole accentate (ma anche le minuscole) si fanno con l’apposito carattere, mai con la lettera normale e l’apostrofo! Se uno non le sa inserire faccia fare al correttore automatico, basta inserire la corrispondente minuscola dopo il punto e come per incanto il programma la inserisce al vostro posto! (esempio: E’, e’ errato, È, è corretto); • “Perché è bello” si scrive con gli accenti diversi, aperto e chiuso; • la punteggiatura esclamativa o interrogativa va inserita una volta sola, anche se siete emozionati, per cui mai !!!! né ??? o !?!?; • i puntini di sospensione sono tre per regola, evitate di metterne di più, non significano niente. RILIEVI E CARTE I Rilievi e la cartografia devono essere inviati nei formati JPG o TIFF nelle dimensioni reali di stampa, quindi con disegno e caratteri leggibili adatti ai vari formati: - rilievo/cartografia a doppia pagina: misure cm 30 x 19; - rilievo/cartografia a una pagina: misure cm 14 x 19; - rilievo/cartografia a mezza pagina: misure cm 14 x 12; - rilievo/cartografia a ¼ di pagina: misure cm 7 x 9. Nel rilievo deve essere riportato: il dislivello dall’ingresso al fondo, numero di catasto, sigla della provincia e nome della grotta, data, autori dei rilievi, gruppo/i speleologici. In una tabella a parte possono essere inseriti gli altri dati: comune, località, area carsica, quota d’ingresso, coordinate chilometriche Gauss Est – Nord, dati metrici di sviluppo della grotta, ecc. Sia i rilievi che le cartine (geografiche, geologiche, ecc...) devono avere riportata la scala grafica.
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