A MBIENTE
di Antonio Casaccio
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«RIFIUTI: QUESTO SISTEMA NON FUNZIONA» Interviene il Commissario alla “Terra dei Fuochi”, dott. Filippo Romano
erra dei Fuochi. Poche parole che da anni identificano il dolore di una terra che ha visto il suo ambiente distrutto e che ha patito le morti, troppo spesso giovani, di eco criminali che per il profitto hanno venduto la loro casa e i loro figli. Oggi la situazione è ben diversa da anni fa e i roghi, seppur presenti, sono in diminuzione nella regione Campania. Problema “rifiuti” risolto? No, per niente. Il tema resta un tabù per il nostro Paese, che continua ad allontanarsi dai modelli virtuosi offerti dal Nordeuropa; la causa è una normativa bella sulla carta, ma che non trova riscontro nella realtà (formale ma non sostanziale direbbero i costituzionalisti). Per approfondire il tema abbiamo incontrato il Commissario della Terra dei Fuochi Filippo Romano, Viceprefetto dal 2010 e da anni Commissario prefettizio in svariati comuni italiani. Il Commissario Romano guida la cabina di regia sul contrasto ai roghi, arrivando a risultati incoraggianti senza omettere aspre critiche al sistema rifiuti. Secondo lei qual è il vero problema che c’è dietro il riuso e il riciclo dei rifiuti? «Riguardo i rifiuti e il loro riciclo è importante partire senza alcun preconcetto o luogo comune, per questo tengo a spiegarvi con linearità qual è il nodo centrale per affrontare il problema. I rifiuti sono il prodotto dell’attività di trasformazione e fruizione dei beni, nella nostra società consumistica ovviamente la produzione di rifiuti è molto elevata ed è costante in tutto il mondo occidentale “avanzato”, quindi non è che nella “Terra dei Fuochi” o nell’agro aversano si producano più rifiuti che in altre zone. Tempo fa, particolarmente nel Sud Italia, vi era un’idea passiva dei rifiuti, con la
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creazione di discariche presenti in ogni paese… delle vere e proprie buche nei terreni senza alcuna misura di sicurezza. Tali discariche assorbivano la quantità di rifiuti che man mano andava crescendo, fino a quando accadono due fenomeni essenziali. Il primo è l’aumento costante della quantità dei rifiuti, l’altro è la presa di coscienza che quel tipo di smaltimento non era sostenibile per l’ambiente. Più che le varie soluzioni, ipotizzate e messe in campo, voglio precisare il contenuto del codice dell’ambiente che disciplina tutta la politica ambientale e che ha un’intera parte dedicata al ciclo dei rifiuti. La nostra regola, “copiata” da quella europea, afferma che prima di tutto bisogna ridurre la quantità dei rifiuti; questa non vuol essere l’unica soluzione, ma una tendenza verso la quale bisogna muoversi. È un indirizzo anche di prevenzione perché, rimuovere i rifiuti abbandonati per strada significa agire con ritardo, quel problema va risolto alla radice. Oltre questa linea di indirizzo sulla riduzione, vi è un grande tema: il riuso del rifiuto. Una questione che si scontra con la nostra normativa obsoleta; pensiamo che in molti Paesi dell’Unione i cittadini consegnano il vetro utilizzato nel suo punto d’acquisto, mentre in Italia un operatore economico ha maggior convenienza nel comprare vetro dal rifornitore piuttosto che riprendere e riutilizzare quello ceduto al cliente. Un paradosso rispetto alla cronaca dei maggiori paesi europei. Dopo la riduzione e il riuso, vi è il riciclo ed è proprio qui che casca l’asino perché molto riciclo si dice che si fa, ma
non è così». Ci spiega? «Voglio ribadire un concetto chiave: non è detto che la strada per il riciclo sia la differenziazione domestica, anche se è un’opinione impopolare. Il rifiuto non genera ricchezza di per sé, anche perché altrimenti non sarebbe un rifiuto. Quest’ultimo acquista un valore nel momento in cui, nel riciclo, vi è dietro un lavoro. La carta, ad esempio, conviene raccoglierla perché costa meno e, infatti, costituisce una fonte di guadagno per i comuni, specialmente il cartone delle aziende commerciali. La maggior parte del guadagno, infatti, viene dalle aziende commerciali (il cartone dei grandi imballaggi), mentre dalla carta utilizzata a casa proviene poco e nulla dato che viene maltrattata prima di essere gettata. La raccolta a casa, quindi, non ha guadagno mentre ha dei costi costituiti dal lavoro dei netturbini, ad esempio. A questo punto dalle mie riflessioni sorge una domanda: ma nessuno ha mai pensato di raccogliere la carta insieme a plastica e metallo, per poi passare nello stabilimento che vaglierà il rifiuto? Sembra assurdo, ma per separare questi materiali occorrerebbero semplici impianti di separazione. Negli altri
paesi è questo il metodo utilizzato e, infatti, hanno meno sacchi rispetto all’Italia. A Parigi ce ne sono solo due: secco e umido. In Italia probabilmente il servizio porta a porta c’è perché garantisce lavoro a determinate categorie di persone, oltre al fatto che fare la raccolta differenziata suscita nelle persone un sentimento ambientalista: in quel momento si sta facendo un gesto a tutela dell’ambiente. Ed è anche per quest’ultimo motivo che poi i cittadini si arrabbiano se, nonostante la loro raccolta, vedono che nella loro città vi sono rifiuti abbandonati per le strade e i costi della differenziata aumentano». Costi in aumento e territorio sporco, una responsabilità grave che i cittadini imputano al Comune. Lei ha avuto spesso a che fare con la gestione comunale, qual è il suo parere? È unicamente responsabilità degli amministratori? «Dal 2004 ho ricoperto il ruolo di Commissario prefettizio in diversi comuni e ho dovuto affrontare direttamente questo tipo di problematiche. Molti cittadini pensano che questo fenomeno sia completamente imputabile al comune, ma non è esattamente così. Per spiegarlo meglio stavolta prendo come esempio la plasti-