Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% LOM/MI/5192 - ISSN 2532-1846
Nutrition Health Supplemento al N. 2
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Rho (Milano) | 8-11 Maggio 2017
Abstracts
In concomitanza con:
Sede Congressuale:
CON L’ALTO PATROCINIO DEL
COMITATO SCIENTIFICO Sergio Bernasconi
Luisa Collina
Michele Carruba
Paolo Corvo
Claudia Sorlini
Antonio Paoli
Luigi Bonizzi
Vincenzo Russo
Dario Buzzi
Francesca Zajczyk
Piersandro Cocconcelli
Gian Vincenzo Zuccotti
Supplemento al n. 2 maggio 2017
Direttore Responsabile: Raffaella Tavan raffaella@glmmedia.it General Manager: Stefano Mazzù stefano@glmmedia.it Art Director: Emanuela Gazzetta emanuela@glmmedia.it Marketing e pubblicità: Mary Mazzù - mary@glmmedia.it Direzione, Redazione e Amministrazione: GLM Media, Via Medeghino, 10 - 20141 Milano Ph. +39 02 84216680 Fax +39 02 39195775 e-mail: redazione@inpharmamag.it
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8 MAGGIO 2017 UTILIZZO DEI PROBIOTICI IN TUTTE LE FASI DELLA VITA Moderatore: Paolo Aureli 12.00
Probiotici in associazione all’antibiotico: sono utili? Quando? z Gian Vincenzo Zuccotti - direttore Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Milano, Ospedale dei Bambini V. Buzzi
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i definiscono probiotici quei microrganismi capaci, una volta ingeriti, di modulare l’equilibrio della microflora intestinale apportando un beneficio all’ospite. Nel 1906 Henry Tissier ipotizzò un ruolo benefico dei bifidobat-
teri nel ricostituire un’adeguata microflora intestinale in pazienti con diarrea. In effetti lo studio di ceppi batterici come L. casei GG e S. boulardii ne ha dimostrato l’efficacia nel ridurre la durata media della diarrea, il rischio di episodi infettivi prolungati e la frequenza delle evacuazioni, portando l’ESPGHAN e l’ESPID a pubblicare nel 2014 un update in cui indicavano la somministrazione di probiotici nei bambini affetti da gastroenterite acuta. In concomitanza è stato dimostrato anche un ruolo protettivo dei probiotici nella diarrea associata all’uso di antibiotoici: Szajewska ha verificato come la somministrazione di Lactobacillus rhamnosus GG riduca il rischio di diarrea in bambini in terapia dal 22,5% al 12,3%, dato confermato da Johnston, utilizzando ceppi diversi quali L. rhamnosus spp e S. boulardii a dosi elevate, e senza la comparsa di eventi avversi significativi. Infine, nel 2013 una revisione Cochrane ha verificato l’efficacia dei probiotici nel ridurre la diarrea associata a infezione da C. difficile. L’efficacia dei probiotici nelle patologie sopra citate sembra legata alla loro capacità immunomodulante, proprietà che è al momento sotto analisi per il loro utilizzo anche in campi diversi da quello gastroenterologico. (Cecilia Mantegazza)
12.30
Dal concepimento alla nascita: perché utilizzare i probiotici z Francesco Tandoi - S.C. Nido, Neonatologia, Terapia Intensiva Neonatale e Pediatria, Verbano, ASST - Sette Laghi, Varese
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l microbiota intestinale è l’insieme dei microrganismi presenti nell’intestino che, mantenuti nel corretto equilibrio, contribuiscono alla salute dell’ospite. Appare chiaro che un sovvertimento di tale equilibrio espone un individuo
al rischio di sviluppare una condizione di malattia, che non necessariamente interessa l’intestino, ma può riflettersi su un qualsiasi distretto del proprio organismo, anche in una prospettiva a lungo termine. Alla luce di quanto indagato finora, questi effetti sono tanto più evidenti, quanto più risultano precoci. Sebbene possa sembrare una provocazione, il destino del microbiota intestinale inizia quindi molto precocemente e le prime fasi della vita, fin dal concepimento appunto, rappresentano una fase sensibile in cui poter indurre un più o meno corretto sviluppo del microbiota umano. A partire dalla microflora vaginale e dai condizionamenti che possono derivarne sulla fertilità della donna, nonché al mantenimento di questo ambiente batterico durante la gravidanza, al momento del parto e durante l’allattamento, questo vero e proprio “tessuto”, condiziona in maniera rilevante il destino di salute non soltanto dell’ospite-donna, ma anche del feto/neonato/lattante, interessando molte delle sue iniziali capacità di adattamento alla vita extrauterina (disturbi funzionali gastrointestinali, allergie, intolleranze alimentari) nonché successivamente. Appare quindi chiaro come l’identificazione di quei segnali che possono essere ricondotti a una tale origine, meritino una attenzione e una risposta pronta, appropriata e proporzionata. È scopo di questo intervento chiarire e approfondire questi punti.
13.00
Dolori addominali nel bambino
z Ruggiero Francavilla - Clinica Pediatrica “B. Trambusti”, Università degli Studi di Bari
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l dolore addominale cronico funzionale rientra nei disordini funzionali che raggruppano un’eterogeneità di manifestazioni gastrointestinali non organiche ricorrenti definite dai Criteri di Roma IV nel 2016. L’uso dei probiotici in
tale condizione è controverso, tuttavia una review pubblicata su Gut su 1.650 pazienti apriva spiragli applicativi per la sindrome del colon irritabile (IBS). Il nostro gruppo ha studiato l’efficacia del LGG nell’indurre un miglioramento della sintomatologia dolorosa (riduzione del numero e dell’intensità degli episodi) in bambini con DAR. Furono
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8 MAGGIO 2017 randomizzati in doppio cieco 141 bambini trattati con LGG o placebo per otto settimane e seguiti in follow-up per altri due mesi. I risultati hanno dimostrato l’efficacia del LGG, rispetto al placebo, nel ridurre significativamente la frequenza (p<0,01) e la severità (p<0,01) degli episodi dolorosi a fine terapia e alla conclusione del follow-up (p<0,02 e p<0,001, rispettivamente). Tali vantaggi risultarono significativamente più evidenti nei soggetti affetti da IBS. I nostri risultati sono stati sostanzialmente confermati in una successiva metanalisi sugli effetti del Lactobacillus rhamnosus GG nei disordini funzionali gastrointestinali caratterizzati da dolore addominale. Il lavoro difatti ha mostrato la valenza terapeutica di questo ceppo probiotico nel ridurre l’intensità del dolore nelle diverse espressioni cliniche e nel ridurne significativamente la frequenza nel sottogruppo di soggetti con IBS. 13.30
LUNCH
14.00
I probiotici sono tutti uguali?
z Marina Elli - consigliere e responsabile R&D di AAT Srl, spin off Università Cattolica
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ella definizione di probiotico non è riportato il concetto di “ceppo-specificità” dell’effetto benefico, ma sia la letteratura scientifica sia le linee guida internazionali supportano l’evidenza che, all’interno della stessa spe-
cie batterica, il singolo individuo abbia caratteristiche proprie e peculiari tali da determinarne un comportamento diverso una volta ingerito dal consumatore. Un approfondimento del concetto di “ceppo batterico” sembra quindi rilevante per meglio comprendere la diversa azione dei batteri probiotici. La capacità di permanere nell’intestino è la prima caratteristica ceppo-specifica; la potenzialità di esprimere apposite strutture di adesione (pili) è stata dimostrata essere ceppo-specifica, con studi sia a livello fenotipico sia genomico. Anche la capacità di interazione con il sistema immunitario è stata dimostrata essere ceppo-specifica: la produzione di capsule, esopolisaccaridi esterni alla parete cellulare batterica, ha un ruolo fondamentale nei rapporti batterio/sistema immunitario.
14.30
Uso dei probiotici in gastroenterologia pediatrica z Alfredo Guarino - Dipartimento di Scienze mediche traslazionali, Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli Federico II
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probiotici hanno un ruolo fondamentale nel mantenere e ristabilire l’equilibrio intestinale. È stata studiata la loro efficacia nella prevenzione e nel trattamento di diverse patologie del tratto gastrointestinale: • Gastroenterite
acuta - Le linee guida ESPGHAN raccomandano l’utilizzo dei probiotici, nello specifico Lactobacillus GG e Boulardii, nel trattamento della gastroenterite acuta in associazione alla reidratazione orale. • Diarrea associata agli
antibiotici - C. difficile è l’agente eziologico più frequentemente causa di AAD. Le evidenze dimostrano che LGG
e Boulardii sono efficaci nel ridurre il rischio di AAD. • Infezioni nosocomiali del tratto gastrointestinale - L’utilizzo di LGG riduce l’incidenza delle infezioni nosocomiali, principalmente quelle del tratto GI. È confermata l’ipotesi che la somministrazione di LGG possa essere una valida strategia nella prevenzione delle infezioni nosocomiali. • Malattie infiammatorie intestinali - Sono poche le evidenze che suggeriscono l’utilizzo dei probiotici nella RCU, il loro uso non è dimostrato nel MC. I probiotici sono utili nel mantenimento della remissione antibiotico-indotta delle pouchiti ricorrenti. • Celiachia - Studi in vivo e vitro dimostrerebbero un potenziale ruolo dei probiotici nella prevenzione dell’alterazione del microbiota intestinale causata dalla malattia celiaca; ulteriori studi sono necessari per confermare questa evidenza. 15.00
Probiotici in gastroenterologia: nuove prospettive z Sandro Ardizzone - professore, direttore UOC Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva, Dipartimento Scienze Biochimiche e Cliniche “L. Sacco”, ASST Fatebenefratelli Sacco, Università degli Studi di Milano
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ecenti evidenze suggeriscono il potenziale ruolo dei probiotici nella prevenzione e nel trattamento di varie patologie dell’apparato digerente. Diversi studi hanno dimostrato che i probiotici sono utili nel trattamento di
infezioni gastrointestinali, quali diarree virali, da Clostridium difficile, diarrea del viaggiatore e da antibiotici. Dati
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ancor più recenti sono dimostrativi di un loro ruolo nel trattamento della colite ulcerosa e della pouchite. Altre patologie gastrointestinali, potenzialmente sensibili a un trattamento con probiotici, sono la sindrome dell’intestino irritabile, l’infezione da Helicobacter pylori e la diarrea secondaria a radioterapia. Gli effetti di alcuni ceppi microbici, contenuti in alcune varietà di probiotici presenti in commercio, sulla produzione di citochine e relativi rapporti immunologici con le cellule tumorali nel carcinoma del colon sono stati recentemente valutati, suggerendo un possibile ruolo dei probiotici nel ridurre l’incidenza di carcinoma colo-rettale. La vitamina D, attraverso il legame con il suo specifico recettore, vitamin D receptor (VDR), è un importante fattore nel regolare l’infiammazione, la risposta immune e nell’inibire i processi di carcinogenesi. Dati recenti suggeriscono che i probiotici sono efficaci nel modulare il legame vitamina D/VDR e il microbioma intestinale, sia nel soggetto sano sia nelle patologie gastrointestinali. 15.30
Dieta e probiotici per la cura dei tumori z Massimo Libra - professore associato di Patologia Generale, Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche, Università di Catania
I
l cancro è una patologia multifattoriale su base genetica ed epigenetica in cui la modulazione dei fattori epigenetici può avere un ruolo chiave. In questo contesto, si inseriscono gli alimenti e i probiotici. Numerosi studi mostra-
no come l’alimentazione sia importante nella protezione e nello sviluppo del cancro, in quanto i cibi che ingeriamo rappresentano il principale fattore in grado di modificare la differenziazione, la proliferazione e la morte cellulare. In parallelo, gli studi sui probiotici, specialmente in oncologia, sono aumentati esponenzialmente nel tempo. Tra i primi studi merita menzione quello relativo agli effetti del Lactobacillus Rhamnosus GG (LGG) sul controllo dello sviluppo del tumore del colon nel ratto, specialmente quando sottoposto a un’alimentazione ad alto contenuto di grassi. Studi più recenti associano la riduzione dei disordini intestinali a una diminuzione della comparsa di tumori, specialmente quelli del tratto gastroenterico. Infatti, è ormai noto che le alterazioni del microbioma intestinale rappresentano un modello di trasformazione neoplastica. Attualmente i probiotici in oncologia possono trovare applicazione durante i programmi di prevenzione, di terapia integrata e di terapia di supporto. Su queste basi, appare evidente che gli interventi terapeutici, comprendenti programmi dietetici personalizzati integrati dall’assunzione di probiotici, si inseriscono nel contesto della medicina di precisione specialmente in ambito oncologico.
16.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
OBESITÀ: MALATTIA NEGLETTA Moderatori: Michele Carruba; Fabrizio Muratori 11.30
L’obesità è una malattia curabile z Paolo Sbraccia - past president della Società Italiana Obesità (SIO), professore ordinario di Medicina Interna, Policlinico Universitario Tor Vergata, Dipartimento di Medicina, Università di Roma Tor Vergata
A
differenza di quanto si possa pensare, l’obesità è una vera e propria malattia. L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in questo senso parla chiaro: l’obesità possiede tutti i criteri per essere considerata una
patologia vera e propria. Se ne conosce l’eziologia, i sintomi e i cambiamenti strutturali. Una condizione medica caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo che può portare effetti negativi sulla salute con una conseguente riduzione dell’aspettativa di vita. Ciò si verifica perché il grasso corporeo della persona obesa (in par-
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8 MAGGIO 2017 ticolare se localizzato a livello viscerale) agisce come una vera e propria “bomba a orologeria”. Se nei primi stadi della patologia -quando la persona è in sovrappeso- può non comportare grossi problemi, con il passare del tempo e l’aumento dell’accumulo di tessuto adiposo il paziente obeso è destinato ad andare incontro principalmente allo sviluppo di malattie cardiovascolari, diabete, alcune forme di cancro, patologie polmonari, cataratta, pancreatiti, malattie del fegato, patologie renali, osteoartriti, infertilità e disfunzione erettile, depressione. Secondo le più recenti statistiche, un terzo dei pazienti obesi non presenta comorbilità. In realtà si tratta di un dato parziale. Più aumenta il tempo passato nelle condizioni di obesità e maggiori sono le probabilità di incorrere nei diversi disturbi descritti. Il grasso, accumulandosi a livello addominale, quando è in eccesso provoca uno stato di infiammazione cronica che alla lunga è responsabile delle diverse patologie associate all’obesità. Eppure, nonostante queste evidenze in Italia la malattia viene spesso percepita come un problema puramente estetico. 12.00
Terapia chirurgica dell’obesità z Marco Antonio Zappa - direttore Dipartimento di Chirurgia Generale e d’Urgenza, Ospedale S. Famiglia Fatebenefratelli, Erba (Co)
L’
incredibile evoluzione della tecnica chirurgica ha permesso che la chirurgia bariatrica diventasse allo stato attuale dell’arte uno strumento efficace, sicuro e con risultati che si mantengono nel tempo per la cura della
grande obesità non soltanto in termini di calo ponderale, ma anche in risoluzione delle comorbilità associate. I pazienti candidati a questo tipo di chirurgia devono avere: un indice di massa corporea (BMI)>40 Kg/m2 o BMI>35 Kg/m2 (in presenza di comorbidità), un’età fra 18-60 anni, un’obesità di durata superiore ai 5 anni, un dimostrato fallimento di precedenti tentativi dietetici o farmacologici, l’assenza di cause endocrine dell’obesità, l’assenza di ogni stato patologico non correlato all’obesità che aumenti in maniera significativa il rischio operatorio o che riduca significativamente la spettanza di vita, l’assenza di abuso di alcol o droghe. Tutti i pazienti candidati a un intervento di chirurgia bariatrica devono necessariamente seguire un percorso multidisciplinare (endocrinologo, dietista, psicologo, anestesista, chirurgo) importante per la scelta e l’idoneità all’intervento più corretto e teso a ottenere il miglior risultato a lungo termine sulla perdita di peso. Tale percorso si ottiene unicamente in centri selezionati sia per numero di interventi sia per acquisita professionalità specifica. Le tecniche operatorie utilizzate possono essere divise in tre gruppi: un primo gruppo che comprende interventi che riducono la superficie intestinale assorbente, inducendo malassorbimento (mini gastric by-pass, diversione bilio pancreatica), un secondo gruppo di interventi che riduce il volume gastrico (plicatura, bendaggio gastrico regolabile) e un terzo che unisce il trattamento restrittivo a quello funzionale (by-pass gastrico, sleeve gastrectomy). A questi interventi standardizzati si uniscono nuove metodiche chirurgiche ancora in fase di sperimentazione e le procedure endoscopiche come il pallone endogastrico.
12.30
Impatto economico dell’obesità z Lorenzo Mantovani - professore associato di Igiene e Sanità Pubblica, Università degli Studi Milano, Bicocca
L’
obesità è un problema di natura endemica nel mondo occidentale. Si stima che oltre 3 italiani su 10 sia sovrappeso e che 1 su 10 sia obeso. L’obesità è una condizione patologica e un importante fattore di rischio
per il diabete, le malattie cardiovascolari, le malattie muscoloscheletriche, i tumori. È ampiamente dimostrato che l’obesità riduce sia la qualità della vita, sia la sua durata e ha ripercussioni sia sui costi medici (diretti) sia sui costi legati alla perdita di produttività (indiretti), dovuti all’insorgere delle patologie. Diversi studi stimano che i costi diretti legati all’obesità rappresentino circa il 2-8% del totale dei costi sanitari totali a livello mondiale e che la spesa sanitaria sostenuta da un obeso sia in media il 25% più alta di quella di un soggetto normopeso. In Italia si calcola che l’eccesso ponderale sia responsabile del 4% della spesa sanitaria nazionale, per un totale di circa 4,5 miliardi di euro nel 2012. In particolare, lo studio SISSI ha documentato che, rispetto ai soggetti normopeso, la spesa è più alta del 18% quando il BMI è tra 30 e 34,9, del 41% tra 35 e 39,9 e del 50% quando il BMI è sopra il 40. Il costo incrementale maggiore attribuibile all’obesità si registra nella fascia tra i 45 e i 64 anni. In termini assoluti un obeso
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grave/molto grave costa ogni anno tra i 450 e i 550 euro in più rispetto a una persona normopeso. 13.00
Organizzazione dei centri reginali per l’assistenza al paziente obeso
z Roberto Vettor - Clinica Medica III
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inora nessuna Regione italiana ha pensato e pianificato di organizzare e coordinare la cura integrata dell’obesità nel territorio amministrato. La Regione Veneto ha una popolazione di circa 6 milioni di abitanti e una pre-
valenza dell’obesità intorno al 9%. La Regione Veneto, per coniugare l’utilizzo ottimale delle risorse disponibili con il mantenimento di adeguati standard di cura, ha stabilito nel proprio piano sanitario di erogare l’assistenza socio/ sanitaria secondo Reti assistenziali. Grazie alla collaborazione con i professionisti sanitari veneti che da tempo si dedicano allo studio e al trattamento dell’obesità è stata deliberata anche l’istituzione della Rete Veneta Obesità (ROV), che raccoglie al suo interno strutture pubbliche e private accreditate. La ROV può e deve svolgere un ruolo chiave nella gestione delle risorse, nella garanzia di erogazione di livelli assistenziali uniformi nel territorio e professionalmente adeguati, con importantissime ripercussioni nella gestione del rischio clinico e del contenimento dei costi. La ROV inoltre in quest’ottica è un importantissimo strumento di stimolo per la ricerca scientifica qualificata e per gli investimenti privati in sanità pubblica. La ROV è stata ideate per garantire livelli di cura e assistenza integrata adeguata per i soggetti affetti da obesità con lo scopo di migliorare i risultati e ridurre le disparità di cura e trattamento. In ultima analisi questo può tradursi in una riduzione complessiva dei costi. L’analisi prospettica dei dati ottenuti è destinata a dare più chiare indicazioni sui migliori standard di cura dei soggetti affetti da obesità (Mirto Foletto - Clinica Medica III; Claudio Pilerci, Domenico Mantoan - Regione Veneto, Direzione Programmazione Sanitaria).
13.30
LUNCH
14.30
Preparazioni galeniche: fatti e misfatti
z Nello Martini
15.00
Obesità nell’anziano
z Mauro Zamboni
15.30
Best practices nella diagnosi e nel trattamento dell’obesità pediatrica
z Giuliana Valerio - professore Università degli Studi di Napoli Parthenope
I
l contrasto all’obesità infantile rappresenta uno degli obiettivi prioritari nell’agenda sanitaria in Italia. Studi molto recenti hanno messo in evidenza che le complicanze metaboliche, cardiovascolari, epatiche, respiratorie, orto-
pediche e psicosociali compaiono già durante l’infanzia e l’adolescenza e persistono nell’adulto, pregiudicando il benessere globale e riducendo l’aspettativa di vita. La gravità di queste complicanze è tanto maggiore quanto più precoce è l’esordio dell’obesità e quanto maggiore è la gravità dell’eccesso ponderale. Tutte queste considerazioni portano a definire l’obesità come una malattia cronica per la quale è necessario identificare un chronic care model, che preveda una continua formazione dei professionisti coinvolti e l’interazione di tre livelli assistenziali di cura, che si differenziano per la complessità delle procedure diagnostiche e terapeutiche richieste. Nel 2016, su iniziativa della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica e della Società Italiana di Pediatra e grazie al contributo di numerosi esperti nel campo, è stato stilato un Consensus sull’Obesità pediatrica con l’intento di produrre raccomandazioni a supporto delle decisioni cliniche in tema di obesità, basate sulle migliori e più aggiornate evidenze scientifiche. La relazione mira a sottolineare gli aspetti relativi alle procedure diagnostiche e terapeutiche più appropriate ed efficaci.
16.00
Le criticità del SSN in nutrizione clinica z Lucio Lucchin - professore a contratto, direttore UOC di Dietetica e Nutrizione Clinica, Comprensorio sanitario di Bolzano
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8 MAGGIO 2017
D
opo EXPO 2015, il Manifesto delle Criticità in Nutrizione Clinica e Preventiva (www.manifestonutrizione.it) è stato recepito come documento traccia dal Ministero della Salute. Per un’azione legalmente vincolante si
è istituito un Tavolo Tecnico (ottobre 2015-giugno 2016) e il passaggio alla Conferenza Stato-Regioni. Approvazione il 24 novembre 2016, con la dicitura: valutazione delle criticità nazionali in ambito nutrizionale e strategie d’intervento 2016-2019. Con questo passaggio sono state fissate basi normative “vincolanti”, qualora sollecitate. Le azioni da intraprendere a livello nazionale: 1. Ufficializzazione sui siti ministeriali del ruolo strategico della nutrizione clinica e preventiva. 2. Inserimento della nutrizione clinica nel core curriculum formativo degli studenti di medicina. 3. Sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla differenza tra consigli nutrizionali generici e specialistici, per contrastare la mala-informazione e gli abusi. 4. Attivazione di un osservatorio epidemiologico sui dati di sorveglianza. 5. Attivazione di un centro studi di raccordo nazionale. A livello locale (regionale): 1. Presenza di un referente medico per la nutrizione clinica in ogni complesso ospedaliero. 2. Identificazione di una struttura di riferimento regionale per la nutrizione clinica e per gli aspetti connessi alla sicurezza alimentare e prevenzione (modello HUB-SPOKE). 3. Organizzazione di eventi di aggiornamento per i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. 4. Messa a regime della sorveglianza di popolazione. 5. Promozione della qualità nutrizionale della dieta nella ristorazione collettiva. 6. Implementazione dei PDTA relativi ai vari aspetti della scienza dell’alimentazione.
16.30
Terapia farmacologica dell’obesità z Enzo Nisoli - Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale, Università degli Studi di Milano
L’
epidemia mondiale di obesità e diabete di tipo 2 ha stimolato in maniera determinante l’interesse per la biologia e la fisiologia dell’organo adiposo, il ruolo che i batteri intestinali giocano nel metabolismo sistemico e lo
scambio di informazioni tra centro e periferia, al fine di identificare nuovi bersagli farmacologici. L’organo adiposo, nelle sue diverse componenti cellulari, è in grado di rispondere sia allo stato nutrizionale dell’organismo sia alle condizioni ambientali in cui questo si trova. In particolare, gli adipociti bianchi immagazzinano o liberano energia sotto forma di grassi a seconda delle necessità, mentre gli adipociti bruni contrastano la bassa temperatura ambientale producendo calore. Tali processi sono finemente coordinati e regolati da complessi circuiti neuronali, attraverso l’azione di ormoni (leptina e adiponectina), di neuropeptidi (GLP-1) e del nervo vago. Le aree cerebrali implicate sono numerose e comprendono, oltre ai nuclei ipotalamici che modulano le sensazioni di fame e sazietà, l’ippocampo, il nucleo accumbens e la corteccia cerebrale, che sono coinvolti nella memoria e nel piacere del cibo. Il malfunzionamento di questi circuiti e della loro interazione con gli organi periferici sembra spiegare sia l’insorgenza di obesità sia di diabete, oltre che il riguadagno di peso che avviene normalmente nei pazienti in sovrappeso od obesi alla sospensione della terapia dietetica o farmacologica. Evidenze sempre più numerose e solide suggeriscono che tale malfunzionamento possa conseguire anche alle modificazioni della composizione dei batteri intestinali. Il microbioma intestinale, infatti, si modifica in seguito all’assunzione di cibi a diversa composizione in macro e micronutrienti. Inoltre, la sintesi dei neuropeptidi intestinali, come il GLP-1, è regolata dai batteri dell’intestino tenue. A questo proposito, molto interesse è stato stimolato dalla recente introduzione della liraglutide, l’analogo di sintesi del GLP-1, come farmaco antiobesità. Il controllo, dunque, del bilancio energetico dell’organismo si dimostra sempre più diffuso a livello sistemico, suggerendo nuovi potenziali target farmacologici per la terapia dell’obesità e del diabete.
17.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
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DIMAGRIMENTO E CONTROLLO DEL PESO: ESERCIZIO, ALIMENTAZIONE E INTEGRAZIONE Moderatori: Antonio Paoli; Giovanni Posabella 13.30
Estratti naturali per il controllo del peso z Alexander Bertuccioli - biologo nutrizionista, professore aa contratto, Laboratorio di valutazione antropometrica, Dipartimento di Scienze Biomolecolari, DISB, Scuola di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Comitato scientifico Associazione Italiana Fitness e Medicina (AIFeM), Comitato scientifico Federazione Italiana Fitness (FIF)
L’
estratto di curcuma longa viene da tempo studiato in quanto in grado di interferire, per meccanismi di mimetismo molecolare, con numerosi processi biologici tra cui l’infiammazione. Le evidenze presenti in letteratura
hanno permesso di studiare potenziali applicazioni relativamente alla modulazione dell’attività endocrina dell’organo adiposo con l’obiettivo di modularne effetti utili nella gestione del sovrappeso e dell’obesità. La curcumina si è mostrata in grado di agire nella modulazione di diverse adipochine con importante attività nell’accumulo adiposo tra cui: leptina, resistina, adiponectina, contestualmente all’azione sull’attività enzimatica dell’11-betaHSD-1, correlata all’incremento di insulino-resistenza, altra criticità relativa all’accumulo adiposo viscerale. Uno studio preliminare su soggetti aderenti a un programma nutrizionale con perdita di peso inferiore al 2% a cui è stato somministrato un estratto di grado farmaceutico di curcumina contro un gruppo a cui è stata somministrata fosfatildiserina (funzione analoga su asse HPAA) ha mostrato la netta superiorità della curcumina nella riduzione del peso, Fat Mass, circonferenza della vita e dei fianchi e del BMI. Le criticità relative alla biodisponibilità della curcumina possono essere risolte mediante tecnica farmaceutica con soluzioni come, per esempio, la tecnologia del fitosoma o l’addizione di piperina.
13.50
Il tessuto adiposo: bianco, bruno o multicolore? Comunque un regolatore del metabolismo
z Saverio Cinti - MD, Dpt Experimental and Clinical Medicine, Università Politecnica delle Marche
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ost of white and brown adipocytes, in spite of their well known different functions: i.e. storing energy (white) and thermogenesis (brown), are contained together in visceral and subcutaneous depots (adipose organ)
in all mammals including humans (S Cinti The Adipose Organ, Kurtis Milan 1999, A Frontini et al Cell Metab 2010). A growing body of evidence suggests that the reason for this anatomical mixture could reside in the fact that adipocytes have peculiar plastic properties allowing them to convert directly each other under appropriate stimuli (S Cinti Am J Physiol EM 2009). Under chronic cold exposure white convert into brown to support the need for thermogenesis and under obesogenic diet brown convert into white to satisfy the need of energy storing. Adipocyte population in the mammary gland offers another striking example of adipocyte plasticity: during pregnancy and lactation adipocytes transdifferentiate into milk-producing epithelial cells (we propose to call them: pink adipocytes) and vice versa in the post-lactation period (Morroni M et al PNAS 2004, DeMatteis R et al Stem Cells 2009). The white into brown transdifferentiation is of great medical interest because the brown phenotype of the adipose organ is associated with obesity resistance and drugs inducing the brown phenotype curb obesity and related disorders (Giordano et al Nature Rev Drug Discov 2016). Type 2 diabetes is the most common disorder associated to visceral obesity. Macrophages infiltrating the adipose organ are thought to be responsible for the low-grade chronic inflammation dealing to insulin resistance and T2 diabetes. Macrophages form characteristic histopathologic figures we called: crown like structures (CLS) due to the need of removal debris deriving from the
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8 MAGGIO 2017 death of adipocytes. Death of adipocytes is tightly related to their hypertrophy up to the critical death size (Cinti S et J Lip Res 2005). We recently showed that most hypertrophic adipocytes of genetically obese mice have ultrastructural features consistent with a stressed state. Some hypertrophic adipocytes show also degenerative signs before CLS formation. Visceral adipocytes are more stressed than subcutaneous adipocytes and have a critical death size smaller than subcutaneous adipocytes, thus offering an explanation for the higher inflammation and morbidity of visceral fat (Murano et al J Lip Res 2008; Giordano et al J Lip Res 2013). 14.10
Whole body vibration and weight control
z Pedro Emilio Alcaraz - Ph.D., CSCS*D, NSCA-CPT*D, Head UCAM Research Center for High Performance Sport
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n the past 10 years the prevalence of obesity has increased by 10–40% in the majority of European countries, resulting in more than 50% of the people being overweight or obese. Obesity contributes significantly to a
number of health conditions, including cardiovascular and metabolic diseases, and maintaining a healthy weight is associated with optimal health. There is also a concurrent increase in other health-related problems, such as sarcopenia and bone health. A healthy body weight may be achieved through a combination of exercise and a healthy diet. Despite these established concepts, and the increasing availability of weight loss products and programs, the incidence of such health-related problems continues to escalate. Whole-body vibration (WBV) training is a wellknown exercise by automatic adaptations to rapid and repeated oscillations from a vibrating platform, which is also a simple and convenient exercise for young adults and older people. Interestingly, WBV may be an alternative approach to increase strength and power, muscle and bone mass, and in some cases decrease boy fat. Changes in musculoskeletal properties and bone mineral density may be partially explained by the oscillatory action of the vibration, as it places more demand on the biological tissues (ie, muscle and bone) to absorb and dampen the energy that is being transferred from the vibratory source.
14.30
Diete chetogeniche e controllo della fame
z Antonio Paoli - Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Padova
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e diete chetogeniche (DC) hanno vissuto momenti di grande popolarità così come attacchi feroci. Al di là di schieramenti preconcetti, le più recenti ricerche sembrano aver dimostrato come in regime assolutamente
controllato (metabolic ward) non via sia un “vantaggio metabolico” delle DC rispetto a una dieta ipocalorica (Hall 2017; Hall et al. 2015; Hall et al. 2016). Il problema di tali approcci (Ludwig and Ebbeling 2016) è che essendo effettuati in regime rigidamente controllato (metabolic ward), non riflettono quello che è l’ambiente in cui normalmente vive la persona. In realtà le metanalisi più recenti sembrano confermare un maggiore effetto, almeno nel medio termine, delle DC rispetto alle diete ipocaloriche equilibrate (Bueno et al. 2013); questo sembra possa essere ricondotto (oltre all’abbassamento del quoziente respiratorio) principalmente alla loro capacità di ridurre la sensazione di fame (Paoli et al. 2015). L’azione delle DC anche sugli ormoni anti-fame, effetto che perdura a distan-
za di mesi (Sumithran et al. 2013, 2011), potrebbe inoltre spiegare perché una dieta chetogenica adeguatamente condotta -e cioè con una fase di transizione “dolce” dal regime low carb a quello normale- sia in grado di ridurre il rischio della ripresa del peso e quindi del pericoloso effetto yo-yo (Paoli et al. 2013). 14.50
Esercizio per la perdita di peso: trick and secret
z Nicola Sponsiello - medico, specialista in Scienza dell’Alimentazione
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e esperienze condotte per capire l’impatto che l’esercizio fisico ha sul peso hanno dimostrato, sia sul sano sia sul patologico, che la sola pratica dell’esercizio non conduce a calo ponderale. Altrettanto chiaro è che esiste un
tipo di esercizio utile e altri no. La ragione per la quale la pratica motoria sia di enorme aiuto sta in diversi fattori: il dispendio durante, quello successivo e quello indotto sul metabolismo basale, c’è poi un non trascurabile impatto indiretto sulla regolazione della fame. L’efficacia dell’attività fisica è proporzionale alla sua intensità, un esercizio blando, anche se prolungato, ha un modestissimo effetto sulle diverse conseguenze, può essere interessante come dispendio durante, se molto prolungato, ma quasi ininfluente sul post-esercizio e sul “basale”. La pratica di attività
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ad alta intensità, invece, non soltanto determina un più alto dispendio, ma comporta anche un lungo periodo successivo di recupero, nel quale persiste un’attivazione metabolica. Si deve poi considerare che l’alta intensità ha un effetto sulla funzione e sulla proliferazione mitocondriale e questo comporta un incremento del dispendio anche a muscoli non attivi. L’obeso va trattato con il giusto esercizio, oltre alla necessaria individualizzazione della pratica, serve un’attenta gradualizzazione e una gestione dell’allenamento di forza per favorire un riequilibrio del rapporto muscolo/peso, che spesso non è ottimale. Si può decidere di fare attività reale o simulata, ma è comunque bene monitorarla con gli strumenti ormai facilmente disponibili, in modo da averne uno storico che stimoli e gratifichi. 15.10
Neurotrasmettitori e appetito: ingannare il cervello? z Roberta Imperatore - Dipartimento di Scienze e Tecnologie, Università degli Studi del Sannio, ERG Groupe
L’
appetito vien mangiando non è più solo un luogo comune. Affinché questo accada, il nostro cervello mette in atto una precisa strategia attraverso un meccanismo di plasticità sinaptica. Quando la fame ci assale, il livello
circolante dell’ormone leptina cala, mentre nell’ipotalamo aumenta significativamente il livello dell’endocannabinoide 2-arachidonoil-glicerolo (2-AG), un neuromodulatore lipidico che riconosce il recettore CB1, lo stesso a cui si lega anche il principale costituente psicotropo della cannabis, il THC (Δ9-tetraidrocannabinolo), modulando così il rilascio dei neurotrasmettitori in questa area. L’ipotalamo è la regione del cervello che regola le principali funzioni neuroendocrine riorganizzando i circuiti neuronali per rispondere alla fame e produrre, tra gli altri, un peptide di appena 33 amminoacidi chiamato orexina-A. Recentemente, il gruppo di ricerca della dottoressa Cristino all’ICBCNR di Pozzuoli ha rivelato come l’orexina-A sia un potente induttore della sintesi del 2-AG che, a sua volta, attiva il recettore cannabinoide CB1 dei neuroni sintetizzanti l’ormone preopiomelanocortina (POMC) spegnendo la produzione dell’ormone anoressizzante stimolante i melanociti (alpha-MSH). Sebbene tale meccanismo sia alla base di un corretto apporto di energia durante la veglia in individui normopeso, esso diventa difettoso durante l’obesità a causa del malfunzionamento del segnale della leptina.
15.30
Ruolo delle proteine nel controllo del peso z Giovanni Posabella - specialista in Medicina dello Sport, Medico Omotossicologo, Master in Scienza dell’alimentazione e dietetica applicata, responsabile sede di Firenze della Scuola di Nutrizione e Integrazione nello Sport SANIS
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a quantità di proteine nella razione alimentare quotidiana deve essere personalizzata e individualizzata tenendo conto di molti fattori. Il timing di consumo durante la giornata della quota proteica svolge un ruolo importan-
te sul controllo del peso in termini di appetito, sazietà e motivazione. L’influenza sulla scelta della tipologia di proteine, apporto aminoacidico (prevalenza degli aminoacidi essenziali), abbinata con carboidrati a basso indice glicemico e lipidi vegetali ad alto contenuto di omega 3 a un’assunzione precisa nell’arco della giornata, influenza la sazietà e il controllo del peso. La letteratura riporta abbastanza costantemente che l’effetto termico delle proteine è maggiore di quello dei carboidrati o dei grassi. Inoltre, ci possono essere indicazioni che le proteine animali abbiano un effetto maggiore di quello di proteine vegetali a causa di differenze nella composizione aminoacidica. La proteina esercita generalmente un maggiore effetto sazietà rispetto agli altri macronutrienti, non importa se la proteina è in bevande o alimenti solidi. Ci sono prove che l’effetto sazietà delle proteine è in parte mediata da un effetto sinergico degli ormoni GLP-1 e PYY rilasciati dall’intestino tenue. Durante la perdita di peso le diete proteiche preservano il tessuto muscolare, impedendo un’eccessiva riduzione della spesa energetica. Ciò è particolarmente significativo se diete ricche di proteine vengono utilizzati in combinazione con l’allenamento fisico. La riduzione di peso corporeo, preservando la massa magra, la sarcopenia con diminuizione della massa muscolare nel soggetto anziano, gli esercizi di resistenza prolungata con riduzione della forza e scarso recupero e situazioni parafisiologiche, come l’accrescimento, necessitano di un maggior apporto proteico con una buona qualità aminoacidica in combinazione con carboidrati a basso indice glicemico e lipidi polinsaturi di derivazione vegetale.
15.50
Variazioni della composizione corporea e del dispendio energetico in relazione al calo ponderale
z Alberto Battezzati - professore, direttore del centro ICANS, Università degli Studi di Milano
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8 MAGGIO 2017
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uando si intraprende un intervento dietoterapico finalizzato al calo ponderale, l’intenzione è ridurre la massa grassa e non la massa magra, più precisamente ridurre la massa di tessuto adiposo rispetto alla massa mu-
scolare e degli organi interni. Benché generalmente si assuma che solo il 25% del peso perduto sia massa magra, questo dato attualmente non è per nulla scontato. Divergenze da questa assunzione influenzano negativamente il metabolismo basale predisponendo al recupero ponderale comune dopo gli interventi dietoterapici, a sarcopenia e a osteoporosi nell’anziano. Mentre nella ricerca tecniche raffinate e costose devono aiutare a chiarire questo tema, in particolare l’effetto dei diversi tipi di intervento sulla composizione corporea, nella pratica clinica tecniche applicabili sul campo sono necessarie a monitorare l’andamento del singolo paziente. In particolare è opportuno riconoscere i pazienti che perdono una quantità eccessiva di massa magra, non riescono a risparmiare massa proteica e perdono peso in seguito allo spostamento di acqua intracellulare prima nel compartimento extracellulare e poi nelle urine. Impiegati correttamente, calorimetria indiretta, DEXA, antropoplicometria e bioimpedenziometria sono gli strumenti più utili per il monitoraggio clinico delle variazioni di dispendio energetico e composizione corporea nella pratica clinica degli interventi dietoterapici.
16.10
DISCUSSIONE, COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
SICUREZZA ALIMENTARE: IL RUOLO DELLA FILIERA Moderatori: Luigi Bonizzi; Piersandro Cocconcelli; Claudia Sorlini 13.00
I controlli della filiera alimentare
z Luca Magnani - direttore Assicurazione Qualità, Esselunga S.p.A.
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ntro 20 anni il rapporto tra vendite nei negozi e online, oggi 85% a 15%, sarà quasi capovolto (Doug Stephens, Corriere della Sera, 4 aprile 2017). La rivoluzione tecnologica sta imponendo un grande cambiamento a tutto
il mondo produttivo e distributivo. La distribuzione al dettaglio deve fornire al cliente più servizio, possibilità di esperienze pratico-emotive e acquisto di prodotti con QR code. Il consumatore si integra con la produzione, è sensibile alla salvaguardia della propria salute ed esige novità, informazione, qualità e sicurezza. Il cibo diventa strumento di supporto psicologico e prevenzione dei malesseri fisici (free-from), e il cliente è disposto a pagarlo di più. Il prodotto acquista importanza, ma al consumatore arriva con trasmissioni e notizie che evidenziano carenze igieniche, etiche (benessere e lavoro) e frodi. Il flusso delle informazioni è molto veloce e la maggiore trasparenza della filiera la rende più vulnerabile. Pertanto, in ottica di business continuity, la sicurezza alimentare deve prevedere tutti i rischi attuali e futuri per evitare ricadute negative e la filiera si deve adattare prima che il rischio la costringa (resilienza). Esselunga ha sviluppato la “filiera corta”: consegne centralizzate, centri di lavorazione carne e pesce, stabilimenti che producono. Prodotti a marchio (Bio, Equilibrio, Naturama) sono realizzati con PMI di aree strategiche. Il Sistema Qualità (SQ) è attivo sui prodotti della spesa Online e Drive, esegue audit collaborativi alle strutture del Banco Alimentare, interviene sul prodotto della marca quando genera reclami (fidelizzazione). Tre laboratori interni attrezzati con le più moderne tecnologie supportano il SQ. Studi di mercato dicono che la riservatezza e la protezione dei dati saranno l’unico limite alla rivoluzione tecnologica.
13.30
Uso responsabile degli antibiotici
z Arianna Bolla - presidente AISA, Associazione Imprese Salute Animale
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l mio intervento riassume lo stato dell’arte sulla regolamentazione dell’uso degli antibiotici in medicina veterinaria, il loro ruolo nell’ambito dell’antibiotico-resistenza e la posizione dell’industria della salute animale. Il Parla-
mento europeo e il Consiglio europeo stanno lavorando sulla bozza che ha presentato la Commissione europea per i nuovi regolamenti dei medicinali veterinari. Uno riguarda un aggiornamento sull’autorizzazione e l’uso in
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generale, l’altro è specifico per il mangime medicato e la conseguente medicazione di massa. Ne considereremo gli aspetti cruciali e maggiormente critici al fine di sfatare dei falsi miti sull’uso della terapia negli animali che producono alimenti. Nel contesto dell’antibiotico-resistenza diventa oltremodo fondamentale il monitoraggio dell’uso e della quantità di antibiotico prescritto dal medico veterinario: in Europa 29 Paesi entrano a far parte di un sistema di rilevazione comune all’interno dell’European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption (ESVAC), che ogni anno produce un report di riferimento con i dati per ciascun Paese, compresa l’Italia. Vengono riportate anche le misure che ogni anno ogni Stato mette in atto per promuovere l’uso responsabile degli antibiotici in medicina veterinaria. Importante risulta poi evidenziare le differenze di classificazione fra la medicina umana e la medicina veterinaria dei cosiddetti antibiotici critici sulla base del loro reale contributo e della valutazione del rischio/beneficio. Esiste inoltre una piattaforma europea chiamata EPRUMA, nata nel 2005, che ha l’obiettivo di promuovere l’uso responsabile dei medicinali negli animali. L’industria della salute animale italiana aderisce e supporta la piattaforma EPRUMA e si impegna a promuovere l’uso responsabile del farmaco veterinario e la sua tracciabilità. Gli antibiotici sono soltanto uno fra i numerosi strumenti che un allevatore ha a disposizione per assicurare il benessere dell’animale e la sicurezza delle produzioni. L’industria della salute animale italiana riconosce la preoccupazione del consumatore e diffonde informazioni utili che possano rassicurare tutti in merito a come vengono curati gli animali e sulla sicurezza del cibo che mangiamo. Lavoriamo tutti per concorrere a un unico obiettivo, quello racchiuso nel concetto one health: persone sane, animali sani e un sano pianeta. 14.00
Olio di palma: luci e ombre del processo tecnologico e dei contaminanti
z Giorgio Donegani - tecnologo alimentare, consigliere OTALL
z Massimo Artorige Giubilesi - tecnologo alimentare, presidente OTALL
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articolarmente acceso in Italia più che in altri paesi UE, il dibattito sulla sicurezza dell’olio di palma è stato condizionato da un’informazione spesso parziale, confusa e a volte anche deviante. La particolare composizione
in acidi grassi di quest’olio è alla base dell’eccezionale versatilità e dell’elevata stabilità e resistenza all’ossidazione che lo rendono particolarmente adatto all’impiego nell’industria alimentare. Estratto dal frutto della palma, l’olio viene sottoposto a una serie di trattamenti tecnologici, per lo più di tipo fisico, che garantiscono quella purezza e quella neutralità di gusto e aroma indispensabili per il suo utilizzo come ingrediente alimentare. Come avviene per ogni altro olio di origine vegetale, nell’olio di palma in particolari condizioni di lavorazione si possono sviluppare glicidil esteri degli acidi grassi (GE), 3 monocloropropandiolo (3-MCPD) e 2-monocloropropandiolo (2-MCPD), nonché i loro esteri degli acidi grassi. Si tratta di sostanze indesiderate che sono state di recente oggetto di specifiche valutazioni da parte di EFSA per la loro potenziale nocività. Questi contaminanti sono generati da un allungamento del tempo tra raccolta e spremitura dei frutti, ma soprattutto durante le fasi di deodorizzazione dell’olio ad alta temperatura (circa 200°C), nel processo di raffinazione, ma nell’ultimo decennio esistono tecnologie di mitigazione che garantiscono standard di qualità e di sicurezza molto elevati. Ancora una volta, i fattori condizionanti l’insorgenza di questi contaminanti, sono dipendenti dalla selezione della materia prima e dalla qualità delle mild food technologies adottate come standard del processo industriale.
14.20
Food Defense, una nuova dimensione della sicurezza alimentare
z Marco Gerevini - Certified Food Defence Coordinator
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a food defence è un concetto relativamente nuovo che descrive l’insieme delle azioni di prevenzione e di reazione contro gli attacchi perpetrati intenzionalmente lungo tutta la food-chain, in grado di compromettere la ca-
pacità produttiva e commerciale nonché l’immagine e il brand aziendale. A differenza degli approcci di food safety, che sono di tipo science based, la food defence richiede un approccio human based finalizzato all’identificazione delle vulnerabilità durante le fasi del processo produttivo e la successiva implementazione di opportune strategie di mitigazione. Negli USA è di recente introduzione il nuovo regolamento della Food Drug Administration (FSMAIA) che prevede, a partire dal luglio 2019, per tutte le aziende che vogliono esportare e vendere prodotti alimentari
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8 MAGGIO 2017 negli Stati Uniti l’obbligo di elaborare e adottare un food defence plan. Questo nuovo regolamento si estenderà, a breve, anche ad altri Paesi e alle forniture verso la GDO europea. La realizzazione di un sistema di food defence diventerà un’esigenza vincolante per tutte le imprese che operano nei mercati internazionali. Tecnoalimenti, grazie all’esperienza maturata nel progetto Europeo EDEN, è una delle poche istituzione europee in grado di utilizzare gli strumenti messi a disposizione della FDA per l’elaborazione di piani di food defence. 14.40
Case history: i controlli della filiera Grana Padano Dop
z Nicola Cesare Baldrighi - presidente del Consorzio Tutela Grana Padano
I
l successo delle produzioni DOP è certamente dovuto alle competenze e alla determinazione degli agricoltori e dei produttori, che hanno saputo preservare le tradizioni, pur tenendo conto dell’evoluzione delle nuove esi-
genze produttive a partire dalla fase primaria. Per garantire le esigenze di tipicità, tradizionalità e qualità richieste dai consumatori, sono stati creati i marchi di qualità regolamentati, marchi a cui il produttore accede per scelta volontaria, ma per i quali i criteri normativi di riferimento e i procedimenti di valutazione della conformità sono definiti da regole e controlli cogenti. Il Disciplinare di produzione del Grana Padano DOP e il relativo Piano dei controlli approvato dal MIPAAF riportano i parametri necessari per garantire l’autenticità, la qualità e l’origine del territorio del formaggio commercializzato. Sulla base delle indicazioni riportate sul Disciplinare di produzione e relativo Piano dei controlli, al fine di verificare le caratteristiche del formaggio Grana Padano DOP vengono eseguite le seguenti analisi chimico-fisiche: • sostanza secca - umidità non inferiore al 25% e non superiore al 35%
(per tipologia grattugiato); • grasso - minimo 32% sulla sostanza secca (per tipologia grattugiato porzionato); • fosfatasi alcalina - consente di verificare l’impiego di latte crudo (per tipologia grattugiato e porzionato); • lisozima - contenuto corrispondente alla quantità dichiarata e verificata nel processo di caseificazione (per tutte le tipologie); • amminoacidi liberi (AAL) - consente di verificare la composizione amminoacidica specifica alla banca dati depositata presso il MIPAAF (per tipologia grattugiato e porzionato); • contenuto in crosta - contenuto non superiore al 18% (per tipologia grattugiato), consente di verificare la quantità di crosta nel formaggio; • stagionatura - consente di verificare la stagionatura (per tipologia grattugiato e porzionato); • isotopi stabili - consente di verificare la composizione isotopica (e minerale) specifica alla banca dati depositata presso il MIPAAF (per tutte le tipologie), consente di verificare la provenienza del formaggio. 15.00
Utilizzo dell’acqua iperozonizzata nella filiera alimentare z Fortunato Loprete - specialista in Chirurgia Pediatrica, Università di Padova, Diploma di Master Universitario di II° Liv. in Nutrizione e dietetica, Università Politecnica delle Marche, Docente Universitario al Master di II° Liv. in Ossigeno-Ozonoterapia, Università di Pavia
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a oltre vent’anni, l’ozono, molecola triatomica dell’ossigeno (il cui simbolo è O3), viene utilizzato con successo in diverse realtà produttive alimentari, offrendosi come una naturale alternativa ai processi chimici di
disinfezione e sanificazione tradizionali; dal 26 giugno 2001 può inoltre fregiarsi del riconoscimento dell’agenzia americana FDA che ne convalida e ne attesta l’efficacia. Nell’industria alimentare viene utilizzato l’ozono sia nella lavorazione sia nel confezionamento dei prodotti; l’ozono ha, infatti, mostrato una particolare efficacia (rispetto ad altri sterilizzanti come il cloro) nella distruzione di vari patogeni come virus, batteri, muffe e funghi. Grazie al suo potere ossidante, l’ozono presente nell’acqua iperozonizzata è in grado di inattivare in modo rapido e sicuro virus, distruggere batteri, muffe, polveri, lieviti e gli inquinanti presenti nell’aria, disinfettando anche i punti difficilmente raggiungibili dai tradizionali prodotti di sterilizzazione. Essendo instabile e reattivo, si decompone molto rapidamente e per questo motivo deve essere utilizzato subito dopo la sua produzione. Nel luglio 1996 con Protocollo n. 24482, il Ministero della Sanità ha riconosciuto l’ozono come “Presidio naturale per la sterilizzazione di ambienti”. L’ozono è ampiamente utilizzato per la potabilizzazione dell’acqua destinata all’imbottigliamento, la disinfezione di superfici e utensili e per l’ossidazione di inquinanti chimici dell’acqua (ferro, arsenico, acido solfidrico, nitriti e complessi organici). Dato che il ruolo dell’acqua è ormai universalmente accettato come una delle principali fonti
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di salute, sarebbe indicato per tutti l’uso di acqua trattata con la miscela di ossigeno e ozono sia per bere sia per cucinare gli alimenti; questo perché l’acqua iperozonizzata, oltre a essere perfettamente sterilizzata, è anche arricchita di ossigeno.
Moderatori: Maria Grazia Micieli; Isabella Savini; Tiziana Stallone 15.20
Sicurezza alimentare: aspetti microbiologici nell’ambito del Controllo Ufficiale z Elisabetta Delibato - Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria
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e problematiche relative alla sicurezza alimentare rappresentano una priorità strategica nella tutela della salute pubblica. Il quadro normativo sulla sicurezza alimentare ha subito importanti modifiche, dettate dalla necessità
di mantenere, e quando possibile migliorare, tale livello di tutela, consentendo anche la libera circolazione di alimenti ritenuti “sicuri” all’interno della comunità europea. In particolare, il quadro normativo europeo riflette la cosiddetta politica della filiera intesa come sistema integrato “dai campi alla tavola” e poggia su alcuni aspetti fondamentali: l’attribuzione agli operatori del settore della responsabilità primaria di una produzione alimentare sicura, l’esecuzione di idonei controlli ufficiali da parte delle Autorità competenti e la capacità di attuare efficaci e rapide misure di salvaguardia di fronte a emergenze sanitarie. Contestualmente con il Regolamento CE 2073/2005 sono stati armonizzati, in tutti gli Stati membri, diversi criteri microbiologici che definiscono la conformità dei processi produttivi e dei prodotti alimentari. Tale regolamento è in continua revisione in ragione di nuove scoperte scientifiche, tecnologiche, metodologiche e di ulteriori informazioni derivanti da studi di valutazione del rischio, allo scopo di potenziare le strategie di prevenzione e protezione della salute pubblica.
15.50
L’influenza della comunicazione nella filiera agroalimentare
z Stefania Ruggeri - Ph.D., nutrizionista CREA, Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria
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l popolo dei foodies, ovvero degli appassionati di cibo, è cresciuto notevolmente in questi ultimi anni. Programmi televisivi in cui si raccontano i percorsi del cibo, dal campo alla tavola, programmi di gare di cucina, interviste
sulle tribù alimentari, vegetariani, vegani e pareri di nutrizionisti riempiono oramai i canali, le reti, causa di questa attenzione-ossessione sul cibo. Oggi il cibo è studiato, raccontato, mangiato, vissuto non soltanto ovviamente attraverso il mezzo televisivo, ma anche attraverso i social. L’attenzione in questi ultimi anni, non solo dei foodies, ma oramai di tutti i consumatori, quindi è rivolta sempre di più alla ricerca di un cibo buono, naturale, salutare e nuovo. Comunicare il cibo, creare un nuovo modo di mangiare è diventata oggi un’esigenza per tutte le aziende che operano nel settore dell’agroalimentare. Il food design, un fenomeno assolutamente contemporaneo, nato appunto recentemente, cerca di rispondere a questa richiesta di cibo ideale. Il food design interviene nei processi produttivi quando un’azienda progetta un nuovo alimento, per esempio un alimento funzionale, un novel food, oppure diventa creazione spontanea, giocosa rivisitazione di un cibo già esistente. Un esempio tra questi è la Baguette 2000 presentata alla Biennale internazionale Saint-Étienne, una baguette da portare comodamente in mano, invece che sottobraccio. Gli alimenti sono elementi perfetti per il food design poiché hanno tutte quelle qualità proprie dei prodotti di massa, si prestano alla progettazione, alla pianificazione e nel food design diventano elementi centrali del progetto. Il food design si è avvalso finora di tante e diverse figure professionali: di designer, ovviamente, ma anche di psicologi, di chef, chimici, esperti in materiali innovativi e di pubblicitari. Le progettazioni più innovative sono supportate da studi socio-economici e antropologico-culturali. In una progettualità di food
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8 MAGGIO 2017 design, oggi si può inserire una figura nuova, quella del nutrizionista. Il nutrizionista può collaborare nel team di progettazione mettendo a disposizione le sue competenze in ambito nutrizionale nella formulazione di un nuovo alimento nella piccola e media industria, ma anche supportare e indirizzare le piccole aziende nella comunicazione efficace ed etica dei loro prodotti. 16.20
Interferenti endocrini e altri contaminanti della filiera agroalimentare: dalla ricerca alla consulenza di indu-
z Stefano Lorenzetti - Istituto Superiore di Sanità (ISS), LIFE-EDESIA project manager
stria ed Enti istituzionali
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li interferenti endocrini (IE) sono sostanze chimiche a nota e/o potenziale azione ormone-simile, presenti come contaminanti dell’ambiente e della filiera agro-alimentare in quanto prodotti di sintesi, utilizzati sia
per il controllo di contaminazioni microbiologiche sia per la produzione di prodotti e beni di largo consumo. La caratterizzazione dei possibili rischi per la salute umana (malformazioni congenite, disordini metabolici, malattie dell’apparato riproduttivo) associati all’esposizione agli IE di diverse classi chimiche (pesticidi, biocidi e principi attivi-ormone-simili, materiali a contatto con gli alimenti, additivi alimentari) ha indotto le istituzioni europee a considerare in diversi Regolamenti la problematica degli IE, auspicandone la sostituzione con molecole “equivalenti” ad attività di interferenza endocrina minore o assente. Il regolamento europeo REACH (art. 57f), per esempio, considera queste sostanze chimiche “altamente preoccupanti”. In questo contesto, utilizzando un sistema integrato tossicologico in silico/in vitro, nel progetto europeo LIFE-EDESIA (www.iss.it/life) è in via di sviluppo un approccio rapido ed economico per lo screening di sostanze chimiche “equivalenti”, che possano sostituire ftalati (DEHP),
bisfenoli (BPA) e parabeni, in diverse applicazioni industriali. 16.50
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
TAVOLA ROTONDA HEALTH CITY: DALL’URBAN HEALTH ALL’URBAN DIABETES Moderatori: Mario Pappagallo (giornalista); Diego Freri (comunicatore) 14.30
Introduzione
z Michele Carruba (comitato scientifico Spazio Nutrizione)
14.45
La salute nelle città bene comune
z Giulio Gallera (assessore al Welfare, Regione Lombardia)
z Fabio Rolfi (presidente commissione Sanità, Regione Lombardia)
z Roberto Pella (vicepresidente ANCI e presidente europeo delle Piccole municipalità)
z Paola Pelliciari (coordinatore Lombardia Tribunale Diritti del Malato)
z Loredana Poli (assessore all’Istruzione Università, Formazione e Sport, Comune di Bergamo)
z Mattia Fadda (direttore Relazioni Istituzionali Istituto per la Competitività e segretario generale dell’Health City Institute) 15.30
Urban diabetes
z Gerardo Medea (responsabile Area Metabolismo SIMG)
z Federico Serra (responsabile Italia Cities Changing Diabetes)
16.00
Le buone pratiche
z Maurizio Damilano (campione olimpico e mondiale di marcia e presidente Scuola Nazionale del Cammino)
z Giovanni Crupi (direttore sviluppo Museo della Scienza e della Tecnologia, Milano)
16.30
CHIUSURA DEI LAVORI
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9 MAGGIO 2017
NUTRIZIONE FUNZIONALE NEL PRIMO ANNO DI VITA: ALLATTAMENTO E SVEZZAMENTO | STATO DELL’ARTE E CONTROVERSIE
09.00
Saluti e introduzione al convegno
z Sergio Bernasconi - presidente Comitato Scientifico Spazio Nutrizione
z Luciano Proietti - presidente SIPEF
I SESSIONE - Allattamento Moderatore: Sergio Bernasconi 09.10
Esistono EBN (Evidence Based Nutrition) per il primo anno di vita? Proteine dai 6 ai 12 mesi: quante e quali z Carlo Agostoni - IRCCS Cà Granda Policlinico, Dipartimento DISCCO, Università di Milano
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l concetto del programming metabolico nutrizionale è entrato nella cultura pediatrica negli anni ’90, a seguito delle prime osservazioni sulle associazioni tra pattern alimentari precoci e indicatori di sviluppo antropometrico e performance neuro-
comportamentale. Le osservazioni derivate da 25 anni di studi suggeriscono che sui bambini a termine i fattori associati a un prolungato allattamento al seno possano essere i più favorevoli, prevenendo manifestazioni neofobiche e l’aderenza a diete monotone, e favorendo al contempo il consumo di frutta e vegetali a distanza. La questione relativa agli effetti a lungo termine di diete a diverso tenore di grassi e proteine nei primi 12 mesi di vita è ancora aperto, mentre il timing dell’introduzione di glutine di alimenti allergizzanti e/o di glutine non sembra influire sulla predisposizione a patologia.
09.40
Allattamento al seno esclusivo: fino a che età?
z Enrica Fornaro - pediatra-neonatologo, PhD, esperta in medicina integrata, socio fondatore SIPEF
I
l nutrimento del neonato non riguarda solo la capacità di assimilare cibo, ma va considerato nel suo senso più generale di nutrimento affettivo, emozionale (vedi esperimento di Harlow). È certo che l’allattamento al seno è la forma di nutrimento
che meglio risponde a questa esigenza del piccolo, accanto a una nascita “senza violenza” che semina le basi per una sana relazione del piccolo con la mamma e l’ambiente. Il latte che la mamma produce è un latte unico, inimitabile, specifico per il proprio bambino, con una composizione ideale per le sue esigenze nutritive e di sviluppo. Il bambino allattato al seno è più protetto nei confronti di molte malattie, anche nel lungo termine, e vale anche per le infezioni gastrointestinali e delle prime vie respiratorie, la Sids, l’obesità, il diabete e le malattie cardiovascolari, alcuni tipi di tumore, e infine per le difficoltà cognitive e relazionali. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) raccomanda l’allattamento al seno in maniera esclusiva fino al compimento del 6° mese di vita. È importante inoltre che il latte materno rimanga la scelta prioritaria anche dopo l’introduzione di alimenti complementari, fino ai due anni di vita e oltre, e comunque finché mamma e bambino lo desiderino.
10.00
Valutazione auxologica dei bambini allattati al seno esclusivo oltre il 6° mese z Luciano Proietti - pediatra, presidente SIPEF
L
e Organizzazioni sanitarie e pediatriche (OMS UNICEF, aapSIP, ACP, ecc) consigliano che la durata dell’allattamento al seno esclusivo non superi il sesto mese di vita per evitare rischi di carenze nutrizionali, in particolare anemia ferropriva. La relazione
presenta la valutazione auxologica di una casistica di bambini allattati esclusivamente al seno oltre il 6° mese fino al 12° mese.
10.20
DISCUSSIONE
10.40
Formule con proteine vaccine o vegetali
z Ruggiero Francavilla - Clinica Pediatrica “B. Trambusti”, Università degli Studi di Bari
I
primi anni di vita risultano particolarmente cruciali per la prevenzione di errate abitudini alimentari: solo in periodi critici quali gravidanza e prima infanzia eventuali interventi precoci garantirebbero un condizionamento favorevole sulla salute. La
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plasticità epigenetica si riduce sensibilmente con la progressione dell’età. La statunitense Academy of Nutrition and Dietetics asserisce che diete vegetariane correttamente pianificate e integrate risultano essere salutari ed equilibrate per soddisfare esigenze nutrizionali in specifiche condizioni fisiologiche (gravidanza e allattamento) e in tutte le fasi dell’età evolutiva (infancy, childhood). Una varietà di alimenti vegetali assunti nel corso della giornata è in grado di fornire tutti gli aminoacidi essenziali e assicurare l’assunzione e l’utilizzo di azoto e che le diete vegetariane, incluse le vegane, soddisfano o talvolta eccedono l’intake proteico quando i fabbisogni calorici risultano adeguati. Si stima che nel mondo circa il 25% dei bambini in età prescolare sia affetto da anemia sideropenica. L’entità dei depositi marziali è inferiore nei vegetariani nonostante l’intake di ferro sia simile o superiore (ferro non-eme) a quello dei non-vegetariani. Una recente review ha mostrato per il ferro non-eme un range di assorbimento decisamente ampio (1% al 23%), condizionato dal patrimonio marziale individuale e dalla presenza nel pasto di componenti con azione stimolante o inibitoria. In ultima analisi possiamo asserire che non vi è differenza nel patrimonio marziale fra chi segue una dieta vegetariana e una onnivora. 11.00
Allattamento materno o con formule: curve di crescita nel 1° anno di vita
z Claudio Maffeis - UOC Pediatria Indirizzo Diabetologico e Malattie del Metabolismo, Università e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona
L’
andamento della crescita del bambino nel primo anno di vita così pure della composizione corporea sono influenzati in modo determinante dalla nutrizione. Il lattante che ha assunto latte materno ha una crescita più rapida della massa adiposa
nei primi 4-6 mesi di vita e un rallentamento nei mesi successivi, rispetto al lattante alimentato con formula. A 12 mesi di vita il lattante con formula ha una massa adiposa superiore all’allattato al seno. Gli studi più recenti riportano che la crescita di peso e lunghezza è assai simile nei due gruppi. Importante è anche l’alimentazione complementare: eccesso di porzioni, introduzione precoce dei cibi solidi ed eccesso di proteine sono fattori di rischio di obesità nelle età successive.
11.20
DISCUSSIONE
11.30
COFFEE BREAK II SESSIONE - Ruolo dei probiotici Moderatore: Luciano Proietti
11.50
I probiotici: le nuove frontiere della ricerca
z Andrea Maglioni - direttore Scuola Superiore di Oncologia Integrata, Università di Arezzo
S
empre più studi evidenziano che la permeabilità della barriera intestinale e la flora batterica probiotica impattano sulla salute umana e sono in relazione con molte patologie. La permeabilità intestinale, conseguenza della disbiosi, ovvero la carenza
di bifidi e lattobacilli, provoca migrazione batterica sistemica (atopobiosi) e profonde alterazioni del sistema immunitario con diffusione dell’infiammazione su molti distretti. Partiremo da questo concetto per sviluppare quali interazioni avvengono all’interno del corpo e come una corretta nutrizione e i probiotici possono modulare la risposta infiammatoria ripristinando l’eubiosi dell’intestino. Analizzando i meccanismi epigenetici, l’obiettivo sarà quello di mettere nelle mani del medico tutti gli strumenti necessari per un approccio innovativo allo sviluppo del bambino.
12.20
Ruolo dei probiotici in gravidanza e nel primo anno di vita
z Leonardo Pinelli - già professore associato Pediatria, Università di Verona, segretario SIPEF
L’
ambiente durante lo sviluppo precoce influenza lo stato di salute e malattia in età adulta, attraverso meccanismi epigenetici come la metilazione del DNA, modificazioni degli istoni e il silenziamento dell’RNA. Il microbiota intestinale influenza il no-
stro stato di salute e rappresenta il fronte immunitario principale; il suo ruolo viene completamente dimenticato commettendo un errore fatale, causa di patologie degenerative, infiammatorie e su base immunitaria. L’uomo ha bisogno di 114 nutrienti; si tende a riempire il tubo digerente di tanti alimenti, trascurando quelli a base vegetale che sono i più importanti. La dieta mediterranea vera comprende circa l’85-90% di alimenti vegetali. Introduciamo inoltre sostanze tossiche chimiche e farmacologiche: antibiotici, conservanti, antiparassitari e altri veleni come le diossine, trasportati dagli alimenti, in particolare ricchi di grassi, nei quali si sciolgono e si accumulano. I bifidobatteri si cibano di prebiotici, come i FOS e i GOS presenti nel latte materno, e
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9 MAGGIO 2017 poi, con il divezzamento, di alimenti ricchi di fibra solubile come frutta, verdura, legumi. Controllano lo sviluppo del sistema immunitario, stimolano molte funzioni intestinali, prevenendo stipsi, coliche gassose, crosta lattea, dermatiti atopiche, ecc. Pertanto, l’uso di strategie nutrizionali per favorire una popolazione batterica più vantaggiosa e per sostenere lo sviluppo dei sistemi metabolici e immunitari può fornire una buona opportunità per prevenire problemi di salute più tardi, come l’obesità, il diabete e l’allergia. 12.50
DISCUSSIONE
13.10 LUNCH III SESSIONE - Divezzamento: alimentazione complementare Moderatore: Claudio Maffeis 14.00
Esistono EBN o Linee di Indirizzo condivise sul divezzamento? z Elvira Verduci - Clinica Pediatrica Dipartimento di Scienze della Salute, Ospedale San Paolo, Università degli Studi di Milano
L’
alimentazione in età evolutiva ha un notevole impatto in termini di prevenzione e di crescita dell’individuo. Esistono difatti periodi critici dello sviluppo del bambino in cui l’intervento nutrizionale può condizionare la salute del futuro adulto e,
quindi, anche ridurre il rischio di malattie a oggi sempre più frequenti e causa di maggiore morbilità e mortalità: da una parte, le noncommunicable disease (NCD) dall’altra la malnutrizione per difetto, con deficit di macro e/o di micronutrienti. A tal proposito la strategia europea “The EU Action Plan on Childhood Obesity 2014-2020” ha prefissato come obiettivo quello di arrestare l’aumento della prevalenza di sovrappeso-obesità in età pediatrica entro il 2020, attraverso l’impegno di tutte le parti interessate sul piano istituzionale e professionale. È in questo contesto che si inserisce il documento “Corretta alimentazione ed educazione nutrizionale nella prima infanzia F.A.Q.”, recentemente pubblicato dal Ministero della Salute. Questo documento è frutto del lavoro del tavolo tecnico istituito ad hoc per raccogliere la proposta di definire linee guida relative all’alimentazione complementare dei lattanti in cui la Società Italiana di Pediatria insieme alla Società Italiana di Nutrizione Pediatrica e a esperti tecnici del settore ha rivestito un ruolo importante nell’elaborazione. Il documento in oggetto è reperibile sul portale del Ministero della Salute (www.salute.gov.it). (Giuseppe Banderali - Clinica Pediatrica Dipartimento di Scienze della Salute, Ospedale San Paolo, Università degli Studi di Milano)
14.20
Divezzamento precoce, auto svezzamento, fisiologico, vegano? z Maria Antonietta Zedda - pediatra, consigliere SIPEF
P
er divezzamento si intende il periodo nel quale al latte materno (o di formula) vengono integrati alimenti complementari diversi dal latte. L’OMS indica il 6° mese compiuto come inizio. L’ESPGHAN indica il periodo che va da 17 a non oltre 26
settimane di vita, basandosi su studi osservazionali non randomizzati (quindi passibili di bias), valutati da un piccolo gruppo di superspecialisti. Ci sono evidenze che il divezzamento precoce possa accelerare la velocità di crescita e incrementare il rischio di obesità e diabete di tipo 2 in età adulta. Il divezzamento a base vegetale ben pianificato è il più fisiologico. É privo di fibre insolubili e di alimenti di origine animale, fornisce un corretto introito proteico (LARN 2012), è nutrizionalmente adeguato (Academy of Nutrition and Dietetics 2016) e aiuta a prevenire le malattie cronico-degenerative. L’autosvezzamento (bambino libero di scegliere ciò che vuole dal piatto dei genitori) potrebbe comportare il rischio di carenze subcliniche. Proseguire con l’allattamento al seno durante il divezzamento, almeno per il primo anno di vita, è importante perché il latte materno è ricco di nutrienti, di batteri probiotici e oligosaccaridi che favoriscono la crescita dei bifidobatteri e di un microbiota che favorisce lo sviluppo di appropriate risposte immunitarie.
14.40
Valutazione dati auxologici a 12 mesi in bambini svezzati con alimentazione fisiologica
z Sabina Bietolini - Unicusano, Università degli Studi Niccolò Cusano, Telematica, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Perfezionamento in Alimentazione vegetariana-vegan, Roma
L
o svezzamento a prevalente (vegetariano) o esclusiva (vegan) base vegetale è in rapida diffusione in Italia, seppure spesso
associato in ambito medico a perplessità circa la sua adeguatezza in età evolutiva. L’alimentazione complementare fisio-
logica si distingue dallo svezzamento vegetariano/vegan per alcune strategie nutrizionali finalizzate a prevenire carenze e consentire una crescita salutare nella norma. In letteratura non sono presenti studi comparativi, e dati relativi allo svezzamento
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fisiologico non sono mai stati pubblicati. La valutazione della crescita a 12 mesi di bambini allattati al seno, esclusivamente fino a 6 mesi, oppure in allattamento misto, svezzati con un’alimentazione complementare fisiologica a partire dai 6 mesi di età, ha evidenziato una crescita nella norma nella maggior parte dei soggetti sia in peso sia lunghezza, in relazione al confronto dei dati con i relativi percentili delle curve di crescita OMS, riferimento nettamente più ampio e affidabile, rispetto a un campione di controllo locale. L’alimentazione complementare fisiologica consente una crescita conforme alle curve di crescita internazionali dell’OMS. (M. Conte - pediatra libero professionista, Roma; Luciano Proietti - già dirigente medico Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino) 15.00
DISCUSSIONE Moderatore: Leonardo Pinelli
15.20
Le nuove vie per la ricerca in nutrizione
z Claudio Maffeis - UOC Pediatria Indirizzo Diabetologico e Malattie del Metabolismo, Università e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona
L
o studio del metabolismo degli alimenti ha sempre presentato importanti difficoltà, soprattutto nel lattante e nel bambino. Nuove possibilità offerte dalla tecnologia permettono oggi di studiare con approcci nuovi l’analisi dei pattern metabolici in
vivo, attraverso l’analisi di metaboliti nei liquidi biologici: proteomica, transcrittomica, ecc. Anche il ruolo del micriobiota intestinale è oggetto di intensa ricerca, per le chiare relazioni evidenziate tra flora intestinale, metabolismo e salute.
15.40
Ruolo e biodisponibilità di alcuni nutrienti chiave nei primi 12 mesi
z Sabina Bietolini z Maurizio Conte - Unicusano, Università degli Studi Niccolò Cusano, Telematica, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Perfezionamento in Alimentazione vegetariana-vegan, Roma
U
na sana crescita è strettamente associata a un’alimentazione equilibrata, la quale sarà tale se fornirà il corretto apporto di alcuni nutrienti, specificatamente coinvolti nello sviluppo durante i primi 1.000 giorni e in partico-
lare nei 12 mesi. Nei primi due anni di vita, i bambini mostrano necessità nutrizionali diverse dall’adulto, le quali verranno soddisfatte prestando particolare attenzione alla presenza e biodisponibilità nella dieta di alcuni nutrienti chiave quali calcio, ferro, iodio, vitamine B12 e D, oltre al DHA, acido grasso insaturo, semiessenziale in questa fascia di età così delicata. Conoscere le fonti nutrizionali di tali nutrienti, nonché i fattori inibenti o favorenti la loro biodisponibilità, consentirà di favorire una crescita salutare, prevenendo possibili carenze dei nutrienti chiave, in riferimento alla dieta a prevalente-esclusiva base vegetale, attualmente in crescente diffusione.
16.30
DISCUSSIONE
17.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE E IL RUOLO DELL’EDUCAZIONE ALIMENTARE I SESSIONE - Disturbi del comportamento alimentare Moderatori: Lorenzo Maria Donini; Umberto Nizzoli 09.30
Il BED entra nel DSM5
z Gianluca Castelnuovo - professore, Servizio di Psicologia Clinica, Laboratorio di Ricerche Psicologiche, Ospedale San Giuseppe, IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica di Milano
I
l Binge Eating Disorder (BED) o Disturbo da Alimentazione Incontrollata è stato riconosciuto ufficialmente come quadro psicopatologico autonomo nel DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders). In realtà, rispetto alla precedente
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9 MAGGIO 2017 versione del manuale (DSM-IV-TR), dove già si erano prospettati dei criteri per tale disturbo, nel DSM-5 si è ridotto il numero di abbuffate necessarie per giungere all’etichetta diagnostica, passando da 2 a 1 per settimana, in un lasso di tempo che ora è di 3 mesi rispetto ai 6 mesi considerati nella precedente versione. Caratteristica fondamentale del BED è compiere grandi abbuffate, in modo vorace e in un tempo rapido, fino a raggiungere spesso un senso di colpa causato dall’avvenuta perdita di controllo sul cibo, senza però le tipiche condotte di compensazione della bulimia nervosa. Il BED è frequentemente legato a forme di sovrappeso e obesità di vario grado. La letteratura scientifica conferma una stretta correlazione tra obesità e BED: il disturbo da alimentazione incontrollata caratterizza circa il 30% dei soggetti obesi con una storia disfunzionale di diete. Esistono varie scale per la misurazione del BED, in particolare la BES (Binge Eating Scale), anche se il colloquio clinico rimane lo strumento principe per individuare questo quadro psicopatologico. A livello di trattamento, l’integrazione di una psicoterapia, di orientamento cognitivo-comportamentale ma non solo, con un approccio psicofarmacologico può condurre a buoni risultati. 10.00
Food Addiction e BED
z Nazario Melchionda - Università “Alma Mater”di Bologna
L
a conoscenza che la perdita di controllo per l’abuso di sostanze, compreso il cibo, e di specifici comportamenti è sottoposta a una raffinata area mesencefalica di regolazione: sistema omeostatico della ricompensa edonica e sistema dell’omeostasi
metabolico-energetica. Questo sistema mira a ottenere un reward. Tale termine consiste nella ricompensa che induce uno stato di benessere psico-fisico per tutti (uomo e animali). La dopamina è il neurotrasmettitore operativo e il nucleo accumbens situato nell’area tegmentale ventrale del mesencefalo è la sede della sua produzione. In alcuni individui predisposti la carenza di dopamina o l’aumento della sua produzione, che segue la restrizione, spiega la perdita di controllo (binge eating). Tale fenomeno ha indotto la comunità scientifica a sostenere il costrutto della food addiction. Per maggiore conoscenza del funzionamento del sistema neuro-biologico del reword vedi il volume di Melchionda N “Food Addiction. Sviluppo dei Disturbi Alimentari e delle Obesità”, Mucchi Editore, 1914. Per gli addetti ai lavori la spiegazione neurobiologica è scontata. Ma per la popolazione generale no. Potrebbe essere utile l’uso di strumenti cognitivi dedicati, vale a dire un’iconografia idonea per la comprensione popolare del modello neuro-biologico. Uno strumento cognitivo foto-pitto-sculto-grafico è stato preparato con un preliminare sondaggio di gradimento (73% su 55 soggetti ha dato punteggio positivo). Lo strumento è stato presentato al Congresso della SISDCA, marzo 2017, dove ha riscosso un unanime consenso per un suo uso clinico (vedi poster 50 “Il Giardino dei Melograni e dei Kaki alla ricerca del “Reword”, Melchionda N, Pasqui F, Vitelli R, Tarrini G).
10.30
L’équipe di trattamento, i luoghi di cura e i percorsi assistenziali specialistici nei disturbi dell’alimentazione z Riccardo Dalle Grave - Unità Funzionale di Riabilitazione Nutrizionale, Casa di Cura Villa Garda, Garda (VR)
N
egli ultimi anni sono stati compiuti progressi significativi nella cura dei disturbi dell’alimentazione. Alcuni trattamenti psicologici, per esempio la terapia cognitivo comportamentale migliorata e la terapia basata sulla famiglia, hanno dimostrato
la loro efficacia in numerosi trial clinici. Inoltre, è stato implementato un modello di cura che si basa su due principi generali: (i) la gestione multidisciplinare e (ii) la molteplicità dei contesti di cura. La maggior parte dei pazienti dovrebbe cominciare il percorso terapeutico al livello meno intensivo di cura e accedere ai trattamenti più intensivi in caso di mancato miglioramento, secondo un modello a passi successivi. Purtroppo, ci sono due problemi maggiori da affrontare. In primo luogo i centri clinici specialistici in Italia sono distribuiti a macchia di leopardo e in molti altri sono mancanti i livelli di cura più intensivi. In secondo luogo i trattamenti evidence based sono raramente somministrati ai pazienti oppure, quando lo sono, i terapeuti deviano spesso dal protocollo raccomandato. Un aumento delle risorse dedicate al trattamento dei disturbi dell’alimentazione potrebbe aiutare a risolvere questi problemi, ma forse può essere sufficiente un migliore utilizzo di quelle disponibili e implementare nuove modalità di insegnamento per formare terapeuti in grado di applicare i trattamenti ambulatoriali evidence based.
11.00
Aspetti di neuroimaging
z Santino Gaudio - MD, Department of Neuroscience, Uppsala University, Uppsala, Svezia
I
disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono sindromi complesse e dall’eziopatogenesi ancora non del tutto definita. Le moderne tecniche di neuroimaging hanno consentito lo studio del cervello in vivo ampliando le conoscenze sulle cause dei
DCA. In particolare, gli studi sulla struttura cerebrale, eseguiti con l’utilizzo della risonanza magnetica nucleare (RMN), hanno evidenziato una vulnerabilità della sostanza grigia e della sostanza bianca delle aree coinvolte nella percezione corporea nei
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pazienti con anoressia nervosa (AN). Gli studi di RMN funzionale hanno evidenziato un alterato funzionamento delle aree cerebrali coinvolte nel controllo dell’appetito, nel reward system, nella costruzione dell’immagine corporea e nell’elaborazione cognitiva nei pazienti con AN e bulimia nervosa. Tali dati confermano come i sintomi chiave di questi DCA (cioè distorsione dell’immagine corporea e alterata condotta alimentare) abbiano dei correlati neurobiologici. Sebbene a oggi gli studi sul binge eating disorder non siano numerosi, alterazioni funzionali simili sono state evidenziate nel reward system e nelle aree cerebrali coinvolte nel controllo dell’appetito, rivelando similitudini con le dipendenze da sostanza e il disturbo da controllo degli impulsi. Nel complesso, i risultati degli studi di neuroimaging dimostrano la presenza di fattori neurobiologici caratteristici nei diversi DCA e rendono possibile lo sviluppo di strategie terapeutiche integrate e focalizzate sui sintomi cardini dei diversi DCA. 11.30
COFFEE BREAK
12.00
Linee guida ISS
z Giovanni Spera - professore di Medicina Interna ed Endocrinologia, “Sapienza” Università di Roma
I
disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono da alcuni anni oggetto di attenzione crescente da parte del mondo scientifico e della comunità degli operatori sanitari e sociali, in virtù della loro diffusione tra le fasce più
giovani della popolazione e della loro eziologia multifattoriale complessa. Il Ministero della Salute ha consolidato, nel medesimo arco di tempo, uno specifico impegno sul tema, inscrivendo questa problematica in un più ampio programma denominato “Guadagnare Salute - Rendere facili le scelte salutari”. Tale programma si avvale di una serie di attività finalizzate alla promozione di raccordi intersettoriali miranti a modificare comportamenti inadeguati, predisponenti e favorenti l’insorgenza di malattie degenerative di rilevanza epidemiologica. A distanza di alcuni anni, tuttavia, si è fatta sentire con forza l’esigenza di aggiornare e meglio dettagliare alcuni aspetti delle conoscenze maturate, nonché di aprire il dibattito sul tema fra i diversi protagonisti che giocano un ruolo nel settore. Si è quindi giunti alla proposta e alla realizzazione di una conferenza di consenso, che ha individuato alcune aree prioritarie di problema in ambito DCA, quali l’epidemiologia del fenomeno, gli aspetti di prevenzione, i modelli e i percorsi assistenziali, e su di esse ha avviato il lavoro di studio. Lo strumento della conferenza di consenso affianca all’esame attento della letteratura scientifica sul tema dei DCA una proficua valorizzazione del contributo di chi opera professionalmente sul campo e di chi vive in prima persona il peso della gestione quotidiana delle sue ricadute. Esso rappresenta anche il punto di partenza e lo stimolo per ulteriori momenti di confronto e arricchimento, sempre nella logica e nell’ottica di potenziare tutti i percorsi di risposta efficace ai cittadini portatori di bisogni complessi e di domanda di assistenza qualificata.
12.30
Linee Guida dell’Academy Eating Disorders (AED)
z Umberto Nizzoli - già direttore Salute mentale e Dipendenze patologiche e direttore Centro per i DCA, ASL di Reggio Emilia
L
e società scientifiche sono tra i soggetti deputati a emettere Linee Guida (LG), i parametri entro cui si pone la responsabilità professionale (v. DM 28.2.17). Nei DA&O le LG sono numerose e ripetitive. Conta l’accreditamen-
to del produttore, il modo con cui sono prodotte, la loro durata (tempo medio di vita 2-3 anni; le LG AED sono alla terza versione nel 2016), la gestione del conflitto di interessi, la multidisciplinarità. Su grandi aree diagnostiche favoriscono la mentalità del lavoro con altri professionisti; identificano dei protocolli assistenziali. Il valore delle LG AED risiede nel dotare un quadro completo delle azioni e dei soggetti che le offrono. Sono un programma assistenziale internazionale, affrontano il tema del superamento dei limiti dell’occidentalizzazione della scienza imposto dalla dirompente necessità di rimodulare gli interventi in funzione delle nuove culture e nuove tradizioni. Sono appropriate per team multidisciplinari, alleati pur nella differenza di discipline e modelli di terapia. Individuano le professioni della rete assistenziale allargata indicandone compiti e funzioni. Contengo la traccia dei contenuti formativi da acquisire da parte delle varie professioni. Sono strumento essenziale di pianificazione per commissioner avveduti, dirigenti sanitari e stakeholder.
13.00
LUNCH
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9 MAGGIO 2017 II SESSIONE - Il ruolo dell’educazione alimentare Moderatori: Luigi Bonizzi; Michele Carruba; Claudia Sorlini 14.00
Educazione alimentare: sinonimo di prevenzione
z Alexis Malavazos - MD, PhD, Unità Operativa di Nutrizione Clinica e Prevenzione Cardiovascolare, Responsabile Centro di Alta Specialità di Dietetica, Educazione alimentare e Prevenzione cardiometabolica (Centro SIO), I.R.C.C.S. Policlinico San Donato
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ttualmente, nel mondo occidentale, il sovrappeso è il fattore di rischio più frequente del bambino e dell’adolescente. Esso rappresenta una minaccia per la loro salute attuale e futura, ma anche per l’economia e per lo sviluppo. L’obesità e
il sovrappeso rappresentano un problema di sempre maggiore rilevanza che interessa ormai il 31,6% circa della popolazione italiana. Le cause di questa epidemia sono indubbiamente multifattoriali, ma quelle che hanno contribuito a questo significativo aumento sono da ricollegarsi soprattutto a: • modifiche dello stile di vita, in particolare sedentarietà o diminuzione dell’attività fisica; • ambiente obesogeno (cibi ad alta densità calorica -snack e bevande zuccherate- presenti in ogni luogo, come scuole, uffici, ospedali); • familiarità (la presenza di sovrappeso in uno o in entrambi i genitori è un fattore predittivo importante) e il livello di istruzione familiare. Il problema del sovrappeso-obesità è stato inserito fra le priorità anche nell’agenda politica del governo italiano dato lo sconfortante riscontro statistico nazionale. La prevenzione, attuata fin dall’età infantile e adolescenziale, rappresenta la modalità relativamente più semplice per contenere il dilagare del fenomeno, ma deve essere affrontata in modo capillare e a livello ambientale, coinvolgendo la famiglia e la scuola nella diffusione di corretti stili di vita e di alimentazione. 14.30
Educazione alimentare: l’esperienza di Milano
z Renata Bracale - University Teaching Fellow in Human Nutrition, Dept. of Medicine and Sciences for Health, Molise University, Campobasso; Center for Study and Research on Obesity, Dept. of Medical Biotechnology and Translational Medicine, University of Milan, Milan, Italy
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remesse. Nel corso degli ultimi decenni, la prevalenza di sovrappeso e obesità nei bambini delle scuole primarie è costantemente in aumento in tutto il mondo. Lo scopo del nostro studio è stato quello di comprendere il ruolo dei fattori
ambientali nelle abitudini alimentari delle famiglie milanesi. In particolare, abbiamo studiato come l’educazione alimentare può giocare un ruolo chiave nella prevenzione dell’obesità infantile. Soggetti e Metodi. Sono state reclutate per questo studio trasversale a Milano 16.588 famiglie con bambini (6-11 anni) afferenti a 109 scuole primarie. Di queste famiglie sono stati raccolti i dati antropometrici, di cittadinanza, di frequenza dei consumi alimentari (frutta e verdura). Si è studiato il tempo che i bambini trascorrevano a guardare la televisione e fare attività fisica. Risultati. Abbiamo verificato che nei bambini il consumo di frutta e verdura correla positivamente con l’attività fisica, ma negativamente con le ore trascorse a guardare la televisione; in particolare, un minor numero di ore passate a guardare la televisione sono un fattore protettivo più forte di più ore trascorse a fare attività fisica. Lo stile di vita dei genitori influenza gli atteggiamenti dei bambini e l’educazione alimentare gioca un ruolo chiave nel migliorare le abitudini alimentari. Conclusioni. I nostri risultati supportano l’importanza dei fattori ambientali e dell’educazione alimentare nella prevenzione dell’obesità infantile nella città di Milano. Questo è il motivo per cui si sottolinea la necessità di progettare interventi ad hoc, secondo le peculiarità socio-economiche delle periferie delle grandi città cosmopolite. (Michele Carruba - Center for Study and Research on Obesity, Dept. of Medical Biotechnology and Translational Medicine, University of Milan, Milan, Italy)
14.50
Nutrition Reference Center. L’accesso alle più aggiornate informazioni evidence-based sulla nutrizione z Silvia Canavesio - regional sales manager EBSCO Information Services
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BSCO Information Services presenta Nutrition Reference Center™ (NRC), la nuova risorsa sviluppata per supportare il lavoro di dietisti, dietologi e nutrizionisti che si interfacciano quotidianamente con i pazienti. NRC offre le più aggiornate
informazioni evidence-based sulla nutrizione in un formato online facile da usare e condividere. Tutti gli autori della banca dati aderiscono a una rigorosa metodologia basata sull’evidenza, perché l’obiettivo è quello di fornire informazioni oggettive e imparziali, che consentano di giungere alle migliori decisioni. Ciò risponde a un bisogno vitale della cura del paziente, sia all’interno sia all’esterno di una struttura medica, e garantisce la possibilità di formazione continua e una base essenziale per tutti i settori di ricerca legati alla nutrizione. Affinché una risorsa di riferimento clinico possa essere veramente definita evidencebased le conclusioni devono basarsi sulle migliori prove disponibili, che si rivelano tali soltanto se sono sistematicamente
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identificate, valutate e selezionate con coerenza e in modo sistematico. NRC risponde dunque al crescente interesse verso la nutrizione e l’impatto che essa riveste sia nel supportare le cure cliniche sia nella prevenzione quotidiana e va incontro alle esigenze di una ricerca internazionale che esige contenuti costantemente verificati e aggiornati dai migliori specialisti del settore.
In collaborazione con:
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca
Moderatori: Valentina Galiazzo; Tiziana Stallone 15.10
Presentazione delle Linee Guida del MIUR per l’educazione alimentare
z Alessandro Vienna - professore, MIUR, Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione - DG per lo studente, l’integrazione e la partecipazione - Uff. III
R
edatte a cura della Direzione Generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione del Dipartimento per il sistema
educativo di istruzione e di formazione del MIUR e del Comitato per l’educazione alimentare del MIUR, le “Linee Guida per
l’Educazione Alimentare, 2015” configurano il quadro epistemologico nel quale collocare l’educazione alimentare nel sistema educativo di istruzione e di formazione italiano, anche alla luce delle eredità educative e culturali di EXPO 2015. Per il tipo di approccio sistemico che sostengono, è indispensabile che tali Linee Guida trovino l’attenzione non soltanto della scuola, ma anche l’interesse di tutti i soggetti diretti e indiretti, esterni alla scuola, chiamati ad agire nell’interesse comune. Il MIUR è un interlocutore privilegiato continuativo dei giovani e degli studenti. Per loro tramite e grazie ai docenti, è possibile partecipare alle famiglie un percorso informativo e formativo sul cibo e sulla cultura alimentare che duri nel tempo, con attualità e aggiornamenti costanti. Soltanto attraverso un’ampia e aggiornata conoscenza del sistema alimentare è possibile fare scelte corrette, per sé stessi e per la collettività della quale facciamo parte. Proprio i giovani potranno realizzare il cambiamento in positivo: meno sprechi di cibo e di acqua, conseguente ricerca della qualità globale, lotta all’illegalità, scelta di prodotti del territorio e secondo la stagione, valorizzazione delle eccellenze del Made in Italy e delle produzioni locali, rispetto delle abitudini e delle usanze alimentari di altri Paesi, dialogo interculturale, sensibilità allo sviluppo sostenibile inteso secondo criteri ecologici, sociali ed economici. Il cibo è cultura, il cibo unisce. Lo si impara a scuola, lo si rafforza nella vita di tutti i giorni.
15.40
Il progetto scuola Enpab: una realtà attiva e in crescita z Roberto Casaccia - biologo nutrizionista, consigliere Enpab
I
l progetto “La cultura e la consapevolezza alimentare nel rispetto coerente dell’ambiente e delle tradizioni” è stato elaborato da Enpab tenendo conto dei dati sul tasso di obesità infantile in Italia (UNICEF-ISTAT) e sulle abitudini alimentari nella fascia
di età della scuola primaria (Okkio alla Salute). Esso si inserisce tra le iniziative di welfare attivo (in accordo con l’art.10 bis della legge 99/13) e promuove la figura del biologo nutrizionista nelle scuole e sul territorio. La sinergia con il MIUR, interessato a divulgare il sano stile di vita già dalla scuola primaria, ne ha permesso una diffusione capillare. Sono state coinvolte oltre 200 scuole primarie di tutta Italia e circa 12.000 bambini di 8-9 anni di età. L’Enpab ha stipulato, per ognuna delle scuole, un contratto di incarico professionale con due biologi, selezionati tramite bando pubblico; questi sono stati formati con FAD e hanno ricevuto specifici materiali didattici. La realizzazione del progetto prevede, per ogni anno scolastico: 18 ore in aula su temi di educazione alimentare, alla salute e all’ambiente; 12 ore di sportello familiare; 6 ore di laboratori interattivi con gli studenti e le famiglie. Quasi al termine del secondo anno di attività, si rileva come il progetto sia stato accolto con entusiasmo dai bambini e dalle loro maestre, mentre sono ancora pochi i genitori che hanno usufruito degli sportelli familiari.
16.10
Bambini e famiglie a scuola di stile di vita e prevenzione
z Antonella Candeloro - biologa nutrizionista, specialista in Biochimica Clinica
L
a nostra epoca è caratterizzata da un inquietante paradosso che vede da una parte dilagare l’epidemia globale dell’obesità e del sovrappeso, dall’altra emergere il terribile contrasto con chi è in condizioni di denutrizione perché non ha abbastanza
cibo. È di estrema importanza, dunque, educare alla consapevolezza e a corretti stili di vita che possano promuovere la corretta educazione alimentare e un approccio al cibo di tipo etico. I dati non lasciano dubbi sul fatto che sovrappeso e obesità rappresentino un grave problema di salute pubblica particolarmente allarmante in bambini e adolescenti italiani. La scuola
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9 MAGGIO 2017 diventa quindi, in maniera naturale, l’ambiente d’elezione dove svolgere progetti di educazione alimentare promuovendo azioni di conoscenza e informazione. Il modo migliore per intraprendere percorsi che portano a un vero cambiamento è quello di coinvolgere nel percorso di educazione l’intera famiglia, che rappresenta il punto di partenza per promuovere una corretta educazione alimentare dal momento che i genitori influenzano direttamente il comportamento dei figli con le proprie condotte alimentari. Per la progettazione dei percorsi di educazione alimentare è essenziale scegliere con attenzione gli argomenti da trattare e, in particolare, strategie comunicative efficaci. 16.40
DISCUSSIONE
17.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
INTEGRAZIONE E SALUTE I SESSIONE - AMINOACIDI E SALUTE METABOLICA Moderatori: Roberto Aquilani; Giuseppe D’Antona 09.00
Sostituire le proteine della dieta con miscele di aminoacidi migliora il metabolismo?
z Enzo Nisoli - Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale, Università degli Studi di Milano
L’
invecchiamento della popolazione si accompagna all’aumento di malattie del metabolismo, come l’obesità e le patologie correlate (diabete mellito, ipertensione arteriosa, dislipidemia, tumori). Far fronte a queste malattie non è semplice, soprat-
tutto se affrontate separatamente l’una dall’altra. Evidenze sempre più convincenti suggeriscono, d’altra parte, che rallentare i processi dell’invecchiamento potrebbe essere una strategia vincente. La riduzione dell’introito calorico, insieme all’esercizio fisico, è una ben nota terapia dell’obesità che si è dimostrata capace anche di rallentare tali processi e dilazionare l’insorgenza delle malattie dell’anziano. Nuovi protocolli di trattamento, come il digiuno a giorni alterni o la riduzione marcata dell’assunzione di cibo per qualche giorno al mese, si stanno dimostrando molto efficaci in tal senso. Come sempre più numerosi sono i risultati che dimostrano come la modificazione delle percentuali dei macronutrienti della dieta possa incidere molto positivamente sulla salute dell’uomo. In questo ambito, una questione ancora non risolta è il ruolo che le proteine possono giocare in relazione con le quantità di grassi e zuccheri presenti nella dieta. Diverse evidenze suggeriscono che diete a basso contenuto proteico siano salutari, almeno fino ai 65 anni, mentre sopra tale età il contenuto proteico dovrebbe aumentare. Più specificamente, si sta cominciando a capire, sia negli animali di laboratorio sia nell’uomo, quali debbano essere le quantità dei singoli aminoacidi, almeno di quelli essenziali che vengono assunti con il cibo, per migliorare il profilo metabolico e favorire una sopravvivenza esente da gravi complicazioni metaboliche. Abbiamo dimostrato qualche tempo fa che supplementando la dieta dei topi C57BL/6 di mezza età (16-18 mesi) con una specifica miscela di aminoacidi (BCAAem) eravamo in grado di aumentare la funzione energetica dei mitocondri nelle cellule muscolari. Tale effetto si accompagnava a un migliorato profilo ossidativo, con riduzione dei livelli di radicali liberi e aumentata sopravvivenza in buono stato di salute. Più recentemente abbiamo esteso tali risultati, alimentando gli animali con una dieta in cui le proteine venivano sostituite dagli stessi aminoacidi utilizzati nel precedente lavoro. Confrontata con una dieta isocalorica e isoazotata, la dieta specificamente modificata nel profilo aminoacidico si è dimostrata più efficace nell’attivare la spesa energetica e nel prevenire, dunque, lo sviluppo di obesità e diabete in animali di giovane età. È importante sottolineare che tale dieta riduceva anche i livelli circolanti degli aminoacidi ramificati, oltre che di tirosina, che sono normalmente aumentati nel soggetto obeso e predicono la probabilità di sviluppare diabete con molti anni di anticipo. L’identificazione dei meccanismi molecolari coinvolti in questi effetti della manipolazione dietetica dei livelli circolanti degli aminoacidi, potrebbe consentire di identificare nuovi approcci nutritivi alle malattie metaboliche dell’invecchiamento.
09.40
Diminuire il consumo degli aminoacidi ramificati migliora la salute metabolica?
z Luigi Fontana - MD, PhD, Professor of Medicine and Nutrition, Department of Clinical and Experimental Sciences, Brescia University, Italy; Department of Medicine, Washington University in St. Louis, USA
P
reclinical and clinical data indicate that nutrition play a key role in the pathogenesis of several age-associated diseases, and in the biology of aging itself. Data from animal studies suggest that the degree of calorie restriction (CR) as well as diet
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composition play major roles in promoting health and longevity, breaking the old dogma that only calorie intake is important in extending healthy lifespan. Data from human studies indicate that long-term CR without malnutrition causes multiple metabolic adaptations that reduce the risk of developing type 2 diabetes, hypertension, cardiovascular disease, dementia and cancer. Moreover, CR improves markers of cardiovascular aging (i.e. left ventricular diastolic function and heart rate variability) and rejuvenates the skeletal muscle transcriptional profile. However, recent findings indicate that meal timing is also crucial, with both intermittent fasting and adjusted diurnal rhythm of feeding improving health and function, in the absence of changes in overall intake. Lowered intake of particular nutrients rather than of overall calories is also key, with protein and specific amino acids playing prominent roles. Nutritional modulation of the microbiome can also be important. More studies are needed to understand the interactions between single nutrient modifications and calorie intake in modulating metabolic and molecular pathways implicated in the pathogenesis of aging and age-associated diseases, so that we can improve nutritional guidelines for the prevention of chronic disease. 10.20
Approccio nutrizionale all’anziano fragile
z Alberto Pilotto - Dipartimento di Cure Geriatriche, Ortogeriatria e Riabilitazione, Area della Fragilità, E.O. Ospedali Galliera,
Genova
L
a fragilità è una condizione dinamica di aumentata vulnerabilità, che riflette modificazioni fisiopatologiche età-correlate di natura multi-sistemica, associata a un aumentato rischio di outcome negativi, quali cadute, delirium, disabilità, istituzionaliz-
zazione, ospedalizzazione e morte. La Valutazione Multidimensionale (VMD), che permette di esplorare in maniera integrata le diverse dimensioni (biologiche, cliniche, funzionali, cognitive e socio-economiche) dell’anziano è considerato oggi lo strumento di prima scelta per identificare e valutare l’anziano fragile. La fisiopatologia della fragilità vede il coinvolgimento dei sistemi neuro-endocrino, immunitario e muscolo-scheletrico; in questo contesto interventi nutrizionali mirati, contrastando la cascata biologico-funzionale caratteristica dell’anziano fragile, possono risultare cruciali nella prevenzione e nel trattamento della fragilità. Studi epidemiologici condotti in soggetti di età anziana dimostrano che adeguato introico proteico (soprattutto di proteine di origine animale), di sostanze antiossidanti (incluse vitamina E, vitamina C, carotenoidi e vitamina D), di acidi grassi polinsaturi a lunga catena, ma anche particolari “stili dietetici” (in particolare la dieta mediterranea) si associano a ridotta fragilità incidente e prevalente in popolazioni di soggetti anziani. Recentemente, uno studio multicentrico controllato in doppio cieco versus placebo condotto in pazienti anziani ricoverati per patologie acute in ambito ospedaliero ha dimostrato che l’integrazione dietetica con aminoacidi essenziali può essere utile a ridurre il grado di fragilità (misurato mediante il Multidimensional Prognostic Index-MPI) soprattutto nei soggetti di sesso maschile. Ulteriori studi sono necessari per valutare l’efficacia di questo intervento nel lungo termine.
11.00
Discussione
11.15
COFEE BREAK II SESSIONE – CURARE LA SALUTE
11.30
Tavola rotonda
Moderatore: Giuseppe Draetta Curare la Salute: un progetto concreto di informazione e di attenzione alla sana alimentazione, stile di vita equilibrato e corretta integrazione alimentare
L
a campagna educazionale “Curare la Salute”, giunta alla sua quarta edizione, riveste un ruolo sempre più rilevante nell’ambito dell’attenzione alla corretta alimentazione e stile di vita. Nonostante un’accresciuta diffusione di informazioni sui criteri
che definiscono una dieta sana e del riconoscimento della sua importanza ai fini salutistici, nelle conoscenze e nei comportamenti degli italiani si evidenziano dubbi e persistenti difficoltà a seguire un corretto regime alimentare. “Curare la Salute” pone, tra i suoi molteplici obiettivi, quello di analizzare le abitudini alimentari degli italiani e di fornire indicazioni concrete che promuovano uno stile di vita e un’alimentazione sempre più corretti, favorendo il ricorso al consiglio del proprio medico di medicina generale e del farmacista di fiducia, stimolando anche il confronto e il dialogo tra tutti gli operatori sanitari coinvolti nel processo informativo ed educativo al cittadino. Un’analisi a cura del Censis degli oltre 26.000 test della Piramide raccolti
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9 MAGGIO 2017 negli ultimi 2 anni consente un’elaborazione statistica dei dati finalizzata a una rilettura delle informazioni ottenute al fine di approfondire il rapporto tra caratteristiche socio-demografiche e abitudini alimentari dichiarate nei test. Nel corso della tavola rotonda si avrà un dibattito tra tutti i principali protagonisti operatori sanitari, si intenderà mettere a fuoco quanto emerso dall’analisi dei test, in tema di comportanti alimentari e di consapevolezza del valore di una sana alimentazione come fattore strategico di promozione della salute, e si porranno le basi per ulteriori iniziative di sensibilizzazione alla sana alimentazione e all’utilizzo corretto degli integratori alimentari.
Intervengono:
z Andrea Mandelli - La farmacia come luogo di educazione alla salute
z Michele Carruba - Curare la salute: un aiuto agli italiani per imparare a nutrirsi
z Ketty Vaccaro - Come mangiano gli italiani
z Alessandro Fornaro - La nuova comunicazione digitale/social in ambito salute
z Claudio Cricelli - Ruolo del medico di medicina generale z Marcello Giovannini - Ruolo del pediatra
z Annarosa Racca - Ruolo del farmacista
13.30
LUNCH III SESSIONE – NUTRIZIONE E SUPPLEMENTAZIONE: UP TO DATE ModeratorI: Filippo Drago; Enzo Nisoli
14.00
Approccio terapeutico con inositoli nella sindrome dell’ovaio policistico z Salvatore Salomone - professore ordinario di Farmacologia, Università di Catania
L
a sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è caratterizzata da anomalie ormonali che causano irregolarità mestruali e riducono il tasso di ovulazione e la fertilità, associati alla resistenza all’insulina. Il mio-inositolo (MI) e il D-chiroinositolo (DCI) rappre-
sentano trattamenti promettenti per la PCOS, avendo mostrato alcuni vantaggi terapeutici senza sostanziali effetti collaterali. Poiché l’uso di inositoli per il trattamento del PCOS è diffuso, è necessaria una profonda comprensione di questa opzione di trattamento, sia in termini di potenziali meccanismi sia di efficacia. Questa presentazione riassume le attuali conoscenze sugli effetti biologici di MI e DCI e i risultati ottenuti da studi interventistici con inositoli nella PCOS. Sulla base dei risultati pubblicati, sia MI sia DCI rappresentano potenziali approcci terapeutici validi per il trattamento della resistenza all’insulina e dei disturbi metabolici e riproduttivi, come quelli che si verificano nelle donne affette da PCOS. Inoltre, la combinazione MI/DCI sembrerebbe essere anch’essa efficace. Tuttavia, sulla base dei dati oggi disponibili, non è possibile stabilire un rapporto preciso MI:DCI da somministrare ai pazienti con PCOS. Ulteriori studi sono quindi necessari per stabilire le quantità reali di MI o DCI captati dall’ovaio dopo somministrazione orale e per identificare dosi ottimali e/o rapporti di combinazione.
14.20
Microbiota e dislipidemie
z Paolo Magni - docente di Patologia Clinica, Università degli Studi di Milano
z Edoardo Felisi - docente al Master di Prodotti Nutraceutici, Università degli Studi di Pavia
L’
alterazione del microbiota intestinale (disbiosi) è coinvolta in varie patologie umane gastrointestinali e sistemiche, quali diabete mellito tipo 2, obesità, ipertensione arteriosa, dislipidemia e sindrome metabolica: tutte condizioni associate a un
elevato rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare (CV). In particolare, la dislipidemia aterogenica (alterazione dei livelli circolanti di colesterolo e trigliceridi) è un importante e ben noto fattore promuovente le patologie CV. Oltre a miglioramento di stile di vita e nutrizione e all’uso di farmaci specifici, oggi hanno un ruolo importante anche i nutraceutici e in particolare alcuni specifici probiotici, quali i bifidobatteri, capaci di ridurre l’assorbimento intestinale di colesterolo. Vari studi hanno dimostrato come l’assunzione di probiotici selezionati all’interno di yogurt/latte fermentato abbia portato a una riduzione della colesterolemia totale e LDL. Un rilevante miglioramento del profilo lipidico aterogenico è stato recentemente ottenuto con uno studio randomizzato e in doppio cieco che ha valutato efficacia e sicurezza di un’associazione nutraceutica contenente Bifidobacterium Longum BB536, presentata qui come forma farmaceutica. In sintesi, l’utilizzo di probiotici con specifica attività ipocolesterolemizzante rappresenta un ulteriore importante strumento per il trattamento della dislipidemia.
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14.50
Microbiota e Microbioma, le radici del nostro Ben-Essere psico-fisico
z Vincenzo Mazzuca Mari - medico chirurgo naturopata, perfezionato in Patologie Gastroenteriche e Omeopatia Clinica
N
el corso degli ultimi 10-15 anni, la nostra comprensione della composizione e delle funzioni del microbiota intestinale umano è aumentata esponenzialmente, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie che hanno facilitato l’analisi su larga scala
del profilo genetico e metabolico della community microbica, ma anche al fatto che sempre di più emergono evidenze sul ruolo potenziale del microbiota nell’eziopatogenesi di diverse malattie, con interessanti possibili ricadute terapeutiche. Se da un lato è ormai assodato che cambiamenti qualitativi e quantitativi del microbiota intestinale hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo di patologie intestinali (SII, malattie infiammatorie croniche, etc.) e di disturbi metabolici (obesità, sindrome metabolica, dislipidemie, steatosi epatica, etc), un numero crescente di lavori sta mettendo recentemente in luce una possibile implicazione eziopatogenetica anche per patologie autoimmuni (celiachia, fibromialgia, artrite reumatoide, etc) e disturbi psichici (ansia, depressione). In definitiva, il microbiota intestinale è un vero e proprio organo di fondamentale importanza per il nostro organismo e interviene in modo determinante sull’equilibrio psico-fisico dell’individuo.
15.10
Heme iron: the best absortable iron z Freya Vervoort - biotechnologist
I
ron is one of the most abundant minerals in the earth’s crust, yet iron deficiency is the most common nutrient deficiency in the world. Iron deficiency occurs in different stages, depending on the severity, from iron depletion to severe iron deficiency anemia.
Globally, around 2 billion people suffer from anemia, which is primarily caused by iron deficiency. Treatment for iron deficiency focuses on increasing the iron stores to normal level. Iron can be taken in two forms: heme iron and non-heme iron (iron salts). In addition to understanding the absorption of both iron forms and the reason of the most common side effects seen with iron salts, we will talk about the benefits of heme iron: reduction of side effects, better patient compliance, and shorter treatment period.
15.30
L’olio extra vergine di oliva come anti-aging dall’infanzia all’età adulta
z Maurizio Fadda - S.C. Dietetica e Nutrizione Clinica, Città della Salute e della Scienza, Torino
L’
invecchiamento è un processo multifattoriale e progressivo, universale e irreversibile. Tra i fattori modificabili del processo d’invecchiamento la dieta e l’attività fisica e mentale sono attualmente tra i più studiati. Fattori estrinseci pro-ossidanti
(esposizione a tossine, radiazioni, ecc.) e sostanze ossidative prodotte dall’organismo tramite i processi metabolici possono contribuire a causare i danni cellulari che si verificano durante il processo di invecchiamento. Dati sperimentali hanno dimostrato l’utilità della supplementazione in acidi grassi per migliorare gli score cognitivi e ridurre i processi di ossidazione cellulare e dello stato infiammatorio. Si suggerisce quindi che gli acidi grassi monoinsaturi potrebbero avere un effetto protettivo contro il declino cognitivo legato all’età. L’olio extravergine d’oliva è un prodotto naturale particolarmente ricco in acidi grassi monoinsaturi, principalmente acido oleico, le membrane cellulari ricche in acidi grassi monoinsaturi hanno un’ottima fluidità e sono meno propense a subire la perossidazione lipidica. Altri elementi contenuti nell’olio extravergine d’oliva sono molecole antiossidanti, come i composti fenolici e il coenzima Q, che hanno la capacità di prevenire la formazione di radicali liberi negli stadi precoci, proteggendo la cellula dall’ossidazione. L’uso di olio extravergine d’oliva rappresenta un’opzione promettente e di facile utilizzo per la prevenzione delle malattie croniche associate all’invecchiamento grazie ai suoi effetti antiossidanti e probabilmente ai suoi effetti antinfiammatori.
15.50
Obesità: è possibile un controllo neuro-immuno-endocrino e nutraceutico?
z Simonetta Marucci - endocrinologa, esperta in Disturbi del Comportamento alimentare, omotossicologa, omeopata
L’
obesità, ormai molto diffusa anche in età pediatrica, sta assumendo le caratteristiche di una vera e propria epidemia, con gravi conseguenze sulla salute pubblica e con risvolti economici e sociali rilevanti. Negli anni la
ricerca si è focalizzata sullo studio di molecole che potessero influire sul metabolismo, allo scopo di fronteggiare l’accumulo di tessuto adiposo, ma non è stata individuata, a tutt’oggi, una terapia farmacologica efficace. Da alcuni anni si sta facendo sempre più strada un approccio chirurgico che produce però esiti di malnutrizione e non contribuisce al miglioramento della qualità della vita. Si vuole cercare di proporre un nuovo approccio che associ alla correzione degli stili di vita, un’integrazione con nutraceutici e rimedi in low dose che abbiano lo scopo di rimodulare il sistema neuro-immuno-endocrino e il metabolismo dei soggetti in sovrappeso-obesi.
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9 MAGGIO 2017 16.10
The importance of delayed food allergy in the management of chronically ill patient
z Camille Lieners - PhD, responsabile scientifico ImuPro
R
ecent clinical and experimental studies imply that dietary factors may be more important in the pathogenesis of chronic inflammatory diseases than was earlier anticipated. Especially low grade chronic inflammation induced by food can alter
the intestinal functions, the microbiota, the immune system, hormone production and neurotransmitter production and lead to intestinal and extra-intestinal disorders. Precise patient history and the time of onset of symptoms after the ingestion of food are essential to guide the physician to use the appropriate diagnostic tool. Subjective food hypersensitivity is prevalent in the general population. Although big confusion exists concerning immediate type food allergy, delayed type food allergy and food intolerance. Food allergy is divided into 2 subgroups, allergy type 1 and allergy type3. IgE mediated food allergy type 1 reactions to food antigens lead to atopic reactions or anaphylactic shock, with a prevalence of approx 4-8% and can be life threatening. It only plays a minor role in chronic inflammatory diseases, because concerned subjects avoid this food automatically. IgG mediated Type 3 allergy show delayed immunological reactions and association to a particular food to a symptom is difficult. Prevalence is expected to be more than 50% in chronically ill patients. Exclusion diet is one tool, but very hard to perform if a large spectrum of food or ingredients must be tested. In several studies it could be shown that exclusion of food based on IgG detection leads to significant improvement of most chronic inflammatory diseases, such as IBS, IBD, hypertension, migraine, vertigo, asthma, depression, chronic fatigue, rheumatoid disorders, autoimmune diseases. Apparently disparate conditions such as insulin resistance, diabetes, and hypertension, syndrome X, obesity, ADHD, depression, psychosis, sleep apnoea, inflammation, autism, and schizophrenia may operate through common pathways, and treatments used exclusively for one of these conditions may prove beneficial for the others. In combination with reassessment of normal gut permeability, food exclusion based on specific IgG detection is a powerful tool to reduce chronic inflammatory diseases, and to design personalised dietary recommendations to meet individual needs.
16.30
Microbiota e dieta: possibili implicazioni per la salute z Elena Bigi - U.O. Pediatria, Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena
L’
ecosistema di batteri che convivono e interagiscono nell’intestino (microbiota) rappresenta un organo metabolico capace di regolare molte funzioni sistemiche e contribuire allo stato di salute dell’uomo. Il microbioma, il genoma del microbiota,
è 100 volte superiore rispetto al genoma umano. Recenti studi, sia su modelli animali sia sull’uomo, hanno dimostrato come l’alterazione dell’equilibrio nel microbiota intestinale (disbiosi) sia in grado di modificare l’assorbimento di energia dal cibo introdotto, sia in grado di influenzare il sistema immunitario e dunque l’insorgenza di patologie infiammatorie e/o autoimmuni. La composizione del microbiota intestinale è influenzata da diversi fattori, tra cui: sesso, età, tipo di allattamento durante l’infanzia, dieta, fattori ambientali e utilizzo di farmaci. Da recenti studi si evince come l’alimentazione, in particolare, possa modificare, anche per brevi periodi di tempo, la composizione del microbiota intestinale agendo sull’equilibrio tra le diverse specie presenti. In relazione a queste caratteristiche, dieta, assunzione di farmaci e fattori ambientali potrebbero rappresentare fattori di rischio modificabili, in grado di svolgere un ruolo importante nella prevenzione dell’insorgenza di alcune patologie croniche tra cui obesità, diabete, malattie infiammatorie croniche intestinali.
16.50
Il concetto di nutrizione nel nuovo paradigma salute z Monica Bossi - specialista in Medicina Interna, Medicina Olistica e Omeopatia, Università di Urbino, Nutrizione Biologica
C
onsiderando la salute come stato di equilibrio, la moderna medicina integrata e della prevenzione tiene inevitabilmente conto di tutti i fattori che possono concorrere a spostare l’organismo da questo stato verso quello di malattia. E tra tutti i
fattori che possono contribuire a ciò o a ripristinare lo stato di salute, l’alimentazione riveste, coscientemente e scientificamente soltanto negli ultimi anni, un ruolo fondamentale: non è solo il potere del cibo, ma anche il suo effetto nel sovvertire o ripristinare equilibri di più sistemi o organi del nostro corpo. A partire dalla sua interazione con il sistema digerente, secondo portale di ingresso (dopo quello psico-emozionale) di informazioni che diventano molecole. Molecole di infiammazione (citochine), ormoni (serotonina, leptina, endorfine, colecistochinina, etc.), neurotrasmettitori (5-idrossi triptofano, dopamina, adrenalina, etc.), attivatori metabolici (aminoacidi, vitamine) o di processi di ossidoriduzione. A sostenere questo ruolo, la moderna nutraceutica
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-attraverso l’alimento naturale, la sua forma arricchita, o attraverso un derivato di quell’alimento (integratore)- fornisce elementi “funzionali” al ripristino di quell’equilibrio salute. O della sua preservazione. Fino ad agire sulla predisposizione genetica individuale a sviluppare una malattia metabolica, degenerativa neurologica o tumorale. Nutraceutici come curcuma, resveratrolo, vitamina E, zinco e selenio diventano allora uno dei principali aiuti del medico per affrontare, in ultima analisi, uno stato di infiammazione dei sistemi, intesa già come attivazione subdola e cronica di uno stimolo di malattia: ormonale, di eccesso di sistemi di ossidoriduzione, o degenerativa. 17.10
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
SALUTE DONNA 09.00
Apertura dei lavori e presentazione del corso
z Serena Missori I SESSIONE Moderatori: Damiano Galimberti; Serena Missori
09.15
Lo stress al femminile biotipizzato z Alessandro Gelli - presidente Accademia delle Scienze Uranus-Salute e benessere globale, Head master accademico in aging and stress management; responsabile scientifico e docente corso Ecm in Strategie e metodologie pratiche anti aging e anti stress (Omceo), Ordine dei medici di Roma
A
ttualmente si parla sempre più di medicina di genere. La donna vive evidenti differenze psico-fisiologiche rispetto all’uomo. Inoltre, in quest’epoca le viene richiesta una costante efficienza operativa: oltre al lavoro professionale, si trova a
svolgere una miriade di altri compiti di tipo tecnico-pratici familiari. Tale costante impegno è un’evidente situazione di oggettivo stress. Ma le donne hanno tutte la stessa resistenza allo stress e capacità di adattamento? Già alla fine del V secolo a.C., Ippocrate, padre della medicina occidentale, identificò i quattro psico-biotipi base: Cerebrale, Linfatico, Bilioso e Sanguigno. Partendo da questi quattro biotipi base con le principali combinazioni tra essi e ampliando lo studio dello psico-bio-tipo morfologico di base (marker) con il relativo assetto neuro-endocrino e il soggettivo stile di vita, potremo avere una prima e ipotetica idea di base di come una donna in esame potrebbe adattarsi allo stress di routine (stressor quotidiani e ben noti al soggetto), e con l’aiuto di specifici test effettuati con strumentazioni di ultima generazione, potremo anche avere un’idea di massima di come questa donna possa eventualmente reagire a degli stressor di tipo eccezionali. Lo psico-bio-tipo morfologico è sì un marker genotipico, ma il risultato finale (fenotipo) di un singolo soggetto è influenzato anche notevolmente dallo stile di vita (come spiega la scienza dell’epigenetica) e dal tipo di alimentazione (come spiega la nutrigenomica); infatti, l’espressione genica può essere influenzata anche in notevole percentuale da alimentazione e stile di vita che potremo definire pro-stress e pro-aging o, al contrario, anti aging e anti stress. In pratica, la psico-biotipizzazione neuro-endocrinologica moderna considera la donna nella sua totalità e, soprattutto, valuta come questa si presenta in uno specifico momento, considerando l’anamnesi, ma anche le sue condizioni attuali.Quindi il risultato globale del suo marker e delle influenze sull’espressione genica è condizionato anche dal tipo di alimenti ingeriti (anche sostanze assunte in modo inconsapevole dall’acqua e dall’aria, oltre che dai cibi) e dallo stile di vita condotto. 09.45
I pannelli genetici al femminile: malattie cardiovascolari, metaboliche, oncologiche z Damiano Galimberti - specialista in Scienza dell’alimentazione e dietetica, esperto in Medicina Antiaging, Laserterapia/Laserchirurgia, presidente AMIA, Associazione Medici Italiani Antiaging, professore a contratto in Me-
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9 MAGGIO 2017 dicina Anti-Aging e Nutrigenomica, Università di Catania, Cattedra di Biochimica e Patologia Clinica, docente in Nutrigenomica e Medicina Antiaging, Master in Medicina Potenziativa, Università di Genova
D
all’interazione tra genoma e nutrienti, così come tra genoma e stile di vita nella sua accezione più ampia, deriva un’influenza diretta e/o indiretta sull’espressione di geni coinvolti nelle attività funzionali metaboliche
dell’organismo e che possono condizionare positivamente o negativamente lo stato di salute. Un’analisi della letteratura medica ha evidenziato le conseguenze della suscettibilità genetica individuale sugli effetti della terapia ormonale in menopausa, in particolare in caso di polimorfismi presenti sui geni coinvolti nel metabolismo ormonale e nelle fasi I e II di detossificazione. Sotto il profilo cardiovascolare i tradizionali fattori di rischio non sono sufficienti a spiegare tutti i casi di malattia ischemica che si manifestano in individui non a rischio: per questo motivo la ricerca e gli studi clinici si sono indirizzati anche verso l’individuazione di nuovi marcatori, sia legati ai vari cicli metabolici (tra cui i processi emo-coagulativi e infiammatori) sia a livello genico, al fine di individuare la predisposizione genetica allo sviluppo di una determinata patologia cardio- piuttosto che cerebro-vascolare.
10.15
Gli ormoni del dimagrimento z Serena Missori - medico, specialista in Endocrinologia e Diabetologia, nutrizionista, cefalee, Medicina Anti Aging e Anti Stress, presidente AINMA, Accademia Italiana di Nutrizione e Medicina Anti Aging
L’
eccesso del grasso è un sintomo, la punta dell’icerberg, non è la causa dell’obesità. Per innescare il processo di dimagrimento è fondamentale conoscere gli equilibri fra i fattori denominati fat burning e i fattori denominati
fat storing. L’equilibrio tra questi fattori determina il dimagrimento della massa grassa, quindi è fondamentale conoscere l’equilibrio di ogni persona per poter far innescare il processo di dimagrimento. I principali ormoni brucia grasso (fat burning) sono GH, GF-1, glucagone, adrenalina, ormoni tiroidei, testosterone, irisina, leptina, adropina. I principali ormoni ingrassogeni (fat storing) sono insulina, estrogeni, cortisolo, grelina. Il concerto armonico fra questi consente il mantenimento del peso.
10.45
Il Gut, il Gut Microbiota, Cervello Cranico e Cardiaco: up to date z Alessandro Gelli - presidente Accademia delle scienze Uranus-Salute e benessere globale, Head master accademico in aging and stress management, responsabile scientifico e docente corso Ecm in Strategie e metodologie pratiche anti aging e anti stress (Omceo), Ordine dei medici di Roma
R
ecentemente si è sempre più compresa e studiata un’importantissima correlazione-interazione tra più strutture che integra quella già nota del PNEI (network psico-neuro-endocrino-immunologico), ovvero l’interazione tra
cervello cranico, Gut e Gut Microbiota. L’interazione, è stata denominata come Asse Gut-Cervello (Gut-Brain Axis, GBA). Oltre a Pnei e GBA si evidenzia che strutture di tipo neurale, con analogie a quelle del cervello cranico, sono state scoperte nel tratto gastrointestinale, e altre nel tessuto cardiaco; è quindi ipotizzabile una sorta di grande connessione tra le varie strutture neuronali, ubicate in vari distretti corporei, e il Gut Microbiota. L’interazione e l’interscambio che avvengono in modo afferente ed efferente tra cervello cranico e Gut (con il Gut Microbiota contenuto nel Gut), se ben bilanciati permettono al soggetto umano di stare in uno stato di equilibrio psico-fisico efficente. Al contrario, uno stato di interscambio squilibrato per un tempo prolungato può essere causa o concausa di vari disturbi e problematiche sia fisiche sia psichiche. Un intenso stato di disbiosi del Gut Microbiota e alterazione della struttura fisica del Gut (Leaky Gut) possono essere correlati anche a patologie che un tempo si ritenevano scollegate. In base agli ultimi studi l’obesità, la sindrome metabolica, l’infiammazione, l’autismo, l’artrite reumatoide, l’aterosclerosi, l’infarto miocardico, le alterazione del sistema immunitario, la stanchezza cronica, l’ansia, la depressione, e pare anche il cancro, potrebbero essere influenzate dall’alterazione del Gut e del Gut Microbiota. Lo stress cronico non gestito agisce marcatamente in modo negativo sull’interazione tra strutture neuronali, Gut e Gut Microbiota, così come l’alimentazione errata. Si evidenzia una reazione a catena distruttiva: lo stress peggiora lo stato di disequilibrio e disbiosi del Gut Microbiota, di conseguenza il soggetto diminuisce ancora le sue capacità di adattamento e di far fronte a ulteriori stressors. Le “Metodologie Anti aging e Anti Stress”, come sistema completo, si basano
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su un’azione globale a più livelli per coadiuvare il riequilibrio del Gut Microbiota e del GBA, a partire dalla gestione tecnica ed efficace dello stress sia di quello di routine (stressors noti al soggetto) sia di quello di tipo eccezionale (stressors ignoti al soggetto). In sintesi, alla luce delle più recenti scoperte, il Gut Microbiota sembra coinvolto, a più livelli, in vari tipi di patologie e disturbi; appare quindi necessario agire mediante le molteplici strategie attualmente a disposizione sul riequilibrio del Gut Microbiota stesso, cercando anche di ripristinare un corretto interscambio del GBA, condizione di base per favorire l’iter terapeutico specifico riferito a una specifica patologia. 11.15
COFFEE BREAK Il SESSIONE Moderatori: Alessandro Gelli; Serena Missori
11.30
Gli alimenti funzionali per la donna z Serena Missori - medico, specialista in Endocrinologia e Diabetologia, nutrizionista, cefalee, Medicina Anti Aging e Anti Stress, presidente AINMA, Accademia Italiana di Nutrizione e Medicina Anti Aging
G
li alimenti funzionali della donna sono alimenti che oltre alle proprietà nutritive hanno dei principi attivi in grado di indurre un effetto benefico sulla salute, di prevenire le malattie e anche di curarle. Devono favorire il
dimagrimento, favorire il controllo dell’assetto lipidico, controllare i sintomi della sindrome premestruale, controllare i sintomi annessi alla menopausa come vampate e secchezza vaginale, e favorire un equilibrio neuro-ormonale il più duraturo possibile. Combinare gli alimenti in modo intelligente favorisce la salute e il benessere.
12.00
Essere mamma: urgenze ed emergenze in età pediatrica
z Gianfranco Grelli - medico chirurgo BLS-D (Adult/Paediatric Care) Instructor
I
l passaggio dall’essere donna all’essere donna e mamma rappresenta un’avventura meravigliosa che coinvolge e stravolge allo stesso tempo. L’arte di essere mamma non si eredita né si apprende sui libri, ma si sente, nasce e
compare di colpo grazie a una piccola nuova vita che genera un legame indissolubile, un amore profondo, ma anche dubbi, perplessità, ansie, paure e tante domande tra cui: saprò proteggerlo dai pericoli della vita? Il bambino ha diritto di essere protetto in tutte le situazioni di vita così come previsto dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che nei Paesi occidentali gli infortuni domestici rappresentano la prima causa di morte per i bambini soprattutto nella fascia d’età in cui i bambini non sono ancora in grado di valutare rischi e pericoli. In Italia 1 bambino a settimana perde la vita per l’ostruzione delle vie aeree. La fascia più esposta è quella dei bambini dai 12 ai 36 mesi. Emerge la necessità di promuovere la cultura del primo soccorso pediatrico sottoponendo la popolazione a interventi di tipo educativo/informativo. Ogni mamma e ogni papà hanno il diritto e il dovere di conoscere poche ma fondamentali regole e manovre salvavita da mettere in atto per gestire nel miglior modo possibile emergenze e urgenze.
12.30
Presentazione dei libri:
Anti·Aging e anti-stress per tutti e La dieta dei biotipi
z Serena Missori; Alessandro Gelli
13.00
LUNCH IlI SESSIONE Moderatori: Alessandro Gelli; Gianfranco Grelli
13.30
Integrazione per la menopausa, la sindrome premestruale, la disbiosi e la candida
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9 MAGGIO 2017 z Serena Missori - medico, specialista in Endocrinologia e Diabetologia, nutrizionista, cefalee, Medicina Anti Aging e Anti Stress, presidente AINMA, Accademia Italiana di Nutrizione e Medicina Anti Aging
L
a terapia integrativa per la menopausa, la sindrome premestruale, la disbiosi intestinale nonché l’infezione della candida è fondamentale per il benessere psichico e fisico della donna. L’integrazione in menopausa è volta preva-
lentemente alla riduzione degli hot flash, ovvero delle vampate di calore, alla riduzione della secchezza vaginale, ma
soprattutto a prevenire l’aumento di peso, il controllo del profilo lipidico e la prevenzione dell’osteoporosi. L’integrazione per la sindrome premestruale è volta alla riduzione dei sintomi che sono tipici della fase premestruale, come gli sbalzi di umore, la depressione, gli attacchi d’ira, di collera, la ritenzione idrica, il desiderio di dolci, segno appunto di fluttuazioni ormonali fisiologiche e repentine che ledono la qualità della vita della donna stessa. La disbiosi intestinale invece è causa di malessere, gonfiore, sovrappeso, obesità. Deve essere inquadrata a 360° attraverso l’integrazione e l’alimentazione e la gestione dello stress. La terapia della disbiosi e soprattutto della candida intestinale deve riportare equilibrio tra le popolazioni microbiche e batteriche presenti all’interno dell’intestino, affinché questa non rappresenti fonte di disagio, malattie e stanchezza cronica. 14.15
Strategie pratiche anti-stress al femminile z Alessandro Gelli - presidente Accademia delle scienze Uranus-Salute e benessere globale, Head master accademico in aging and stress management. Responsabile scientifico e docente corso Ecm in Strategie e metodologie pratiche anti aging e anti stress (Omceo), Ordine dei medici di Roma
L
e “Metodologie Anti Aging e Anti Stress” non sono le stesse per ogni tipo di donna, anzi è fondamentale partire dalla biotipizzazione della donna in esame, ampliando agli adattamenti e cambiamenti psico-fisici che lo stile di
vita, l’alimentazione e altri fattori che la donna in esame ha potuto/voluto adottare, con i relativi adattamenti, evolutivicostruttivi o involutivi-distruttivi ai fini della salute globale. Le varie tecniche pratiche al femminile vanno correttamente somministrate sia come qualità sia come intensità e durata, pena un possibile aggravamento dei disturbi preesistenti; da qui si evince l’assoluta differenza tra le “Metodologie Anti Aging e Anti Stress” e un semplice corso di yoga con esercizi uguali per tutti. In base alle specifiche situazioni vi sono strategie e metodologie ben precise e l’uso errato di queste, adottato da personale non qualificato, può provocare momentanei disturbi nella donna in questione. L’abbinamento razionale e mirato delle varie pratiche psico-fisiche, associato al corretto uso di alcune sostanze naturali, può quindi aiutare a ridurre le fluttuazioni emotive, le ripercussioni a livello fisico e quindi migliorare sia la qualità della vita della donna sottoposta a ritmi di vita frenetici, sia la sua performance psico-fisica e capacità di adattamento, migliorando le possibilità di successo sul lavoro e in famiglia. La donna sotto stress cronico non gestito potrebbe anche essere in stato di disbiosi. Attualmente, è stato dimostrato come l’alterazione della interazione-interscambio tra cervello cranico e Gut e Gut Microbiota possa essere dannosa per la salute a vari livelli. È stato anche dimostrato che lo stress stesso è causa/concausa di alterazione dell’equilibrio salutare per la specie umana del Gut Microbiota. La donna soggetta a periodi di marcato stress dovrebbe quindi imparare a gestire il suo specifico stress con i suoi stressor, adottare uno specifico e personalizzato piano di nutrizione integrato con le sostanze naturali idonee.
15.00
SESSIONE PRATICA: in cucina con gusto in base al biotipo z Serena Missori - medico, specialista in Endocrinologia e Diabetologia, nutrizionista, cefalee, Medicina Anti Aging e Anti Stress, presidente AINMA, Accademia Italiana di Nutrizione e Medicina Anti Aging z Francesca Romana Barberini - autrice e conduttrice televisiva, food wryter
È
fondamentale imparare a cucinare i cibi rispettando i gusti personali e le modalità di cottura salutari, ma soprattutto è importante farlo in base alla propria costituzione e al biotipo morfologico. Ecco perché le combinazioni idonee
degli alimenti possono favorire il benessere, il dimagrimento e l’azione anti-aging, così come le combinazioni errate, al contrario, possono favorire il sovrappeso, l’invecchiamento precoce, le malattie metaboliche e quelle cardiovascolari.
16.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
34
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10 MAGGIO 2017
LA MEDICINA PERSONALIZZATA DAL FETO ALL’ADULTO Moderatori: Benito Cappuccini; Lucia Migliore
14.30
Saluti del presidente del corso
14.40
La SI-DOHaD (Società Italiana-Developmental Origins of Health and Disease): why, when, who, what?
z Sergio Bernasconi
z Vassilios Fanos - professore ordinario di Pediatria, Università degli Studi di Cagliari, direttore Terapia Intensiva Neonatale, Patologia Neonatale e Nido, AOU Cagliari
S
i è costituita formalmente la Società Italiana DOHaD (Developmental Origins of Health and Disease), in col-
legamento con la DOHaD Internazionale, dopo il nucleo iniziale di fondatori ad Assisi nel dicembre 2015. La
Società lavora in una rete multidisciplinare diffusa in tutta Italia (ostetrici, neonatologi, pediatri, biologi, genetisti, esperti di genetica, esperti di ambiente, esperti di epigenetica, endocrinologi, cardiologi, nefrologi...). Ha l’obiettivo di lavorare per diffondere la ricerca e la cultura sulle tematiche del perinatal programming (programmazione perinatale). David Barker ha coniato l’espressione fetal and infant origins of adult disease (origini fetali e neonatali della malattia dell’adulto) o perinatal programming. Il viaggio della nostra vita dal concepimento alla nascita,
dalla vita intrauterina (prima della nascita) a quella extrauterina (dopo la nascita), all’infanzia e all’età adulta è un percorso continuo attraverso il quale i diversi organi e apparati acquisiscono progressivamente una struttura e una funzione. Fino a non molto tempo fa, si pensava che il neonato fosse un essere sostanzialmente sano e che l’uomo si deteriorasse progressivamente e inevitabilmente con il tempo. Oggi si ritiene invece che il neonato alberghi in sé, fin dall’epoca prenatale, la vocazione ad ammalarsi. Moltissimo della vita dell’adulto si decide in epoca prenatale e perinatale, al di là e oltre l’ereditarietà genetica: è quello che viene chiamato epigenetica. Quello che succede in epoche precoci della vita può influenzare profondamente la biologia dell’uomo: la crescita del neonato, la maturazione del bambino, la salute a lungo termine dell’individuo e la longevità. In altre parole, precoci eventi nel corso dello sviluppo, nel bene e nel male, possono influenzare il resto della nostra vita. Questa consapevolezza può farci agire nella prevenzione delle malattie dell’adulto con il massimo di efficacia e il minimo di investimento di risorse economiche. In my beginning is my end, recita un verso di T. S. Eliot: nel mio principio è la mia fine. (Vassilios Fanos - Cagliari, Irene Cetin - Milano, Benito Cappuccini - Perugia, Gian Paolo Donzelli - Firenze, Sergio Bernasconi - Parma, Ernesto Burgio - Palermo, Lucia Migliore - Pisa, Luca Ramenghi - Genova, Federico Mecacci Firenze, Kathleen Mc Greevy - Firenze) 15.00
Dal grembo materno alle malattie dell’adulto: l’importanza della nutrizione
z Irene Cetin - professore ordinario, Ostetricia e Ginecologia, Università degli Studi di Milano, Dipartimento Materno Infantile Ospedale Luigi Sacco, Milano
L
a maggior parte dello sviluppo umano si completa nei primi 1.000 giorni dopo il concepimento. Ogni sistema e organo ha dei periodi critici, spesso brevi, durante i quali si completa il suo sviluppo, e la maggior parte di que-
sti periodi critici avviene durante la vita intrauterina. Ognuno di questi periodi è caratterizzato dall’espressione di geni specifici, attraverso l’attivazione con meccanismi cosiddetti epigenetici. Alterazioni che si verificano fin dalle fasi del concepimento e successivamente, si associano a potenziali esiti avversi per il prodotto del concepimento (dall’aborto, alle malformazioni, alla morte in utero), ma anche a nascita prematura e ad alterazioni della crescita fetale che predispongono a rischi futuri delle cosiddette malattie noncommunicable (NCD), attraverso meccanismi
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di programming epigenetico. Vi sono diversi fattori che possono contribuire a modulare l’espressione dei geni, in realtà tutto quello che si verifica nell’ambiente esterno può essere rilevante. In questo contesto, la nutrizione e l’ambiente metabolico in cui l’embrione e il feto si sviluppano sono stati riconosciuti di particolare rilevanza. In particolare, sono importanti sia gli aspetti legati all’intake energetico complessivo sia la qualità dell’alimentazione. L’intake energetico di macronutrienti è facilmente individuabile attraverso la valutazione del BMI pregravidico e dell’incremento ponderale gravidico. BMI superiori o inferiori ai valori normali si associano ad aumentati rischi per la gravidanza e per gli esiti futuri. In particolare, in presenza di obesità materna è molto probabile che si verifichi una crescita fetale in eccesso, in particolare per un aumento della componente adiposa. Importantissima è anche la qualità dell’alimentazione materna, già dalle fasi preconcezionali. La dieta mediterranea è stata in particolare associata ai migliori esiti sia nel breve sia nel lungo termine, in relazione soprattutto all’apporto di micronutrienti che arrivano attraverso la frutta, la verdura, l’olio di oliva, gli scarsi acidi grassi saturi. Tuttavia, anche in Paesi come l’Italia sono state evidenziate carenze significative nell’apporto di micronutrienti, in particolare per folati, ferro, iodio e vitamina D. 15.20
Le molecole narrative: una nuova era
15.40
Ambiente, cibo, epigenetica
z Gian Paolo Donzelli
z Ernesto Burgio - ECERI, European Cancer and Environment Research Institute
P
arlare oggi di ambiente, cibo ed epigenetica significa essenzialmente affrontare il grande problema delle origini della cosiddetta pandemia di obesità e diabesità, che rappresenta forse l’esempio più emblematico e che
meglio illustra le origini embrio-fetali (epigenetiche più che genetiche) della transizione epidemiologica in atto. Se per quanto concerne tumori e/o malattie del neuro-sviluppo e neurodegenerative un incremento rapidamente progressivo è ancora negato da alcuni, negli ultimi decenni per quanto concerne l’incremento drammatico di obesità e diabete II giovanile non sussistono dubbi di sorta, al punto che le maggiori istituzioni sanitarie del mondo l’hanno definita come la probabile emergenza sanitaria del XXI secolo. Definizione che non deve stupire, visto che non si tratta soltanto del diffondersi in tutto il mondo di un habitus fenotipico disarmonico in grado di incidere negativamente sulla vita di centinaia di milioni di esseri umani, ma anche e soprattutto di una condizione endocrinometabolica francamente patologica, in grado di favorire l’insorgenza di gravi complicanze come insulino-resistenza, sindrome metabolica-diabete 2, ipertensione, malattie cardio-vascolari e di altre patologie cronico-degenerative, infiammatorie e neoplastiche. E potenzialmente in grado di travolgere i sistemi socio-sanitari di tutto il mondo, messi già a dura prova dell’incremento drammatico delle altre patologie cronico-degenerative e tumorali.
16.00
Perinatal programming e cuore
16.20
Perinatal programming e rene
16.40
Dalla ricerca di base al futuro
z Giuseppe Mercuro z Tino Gesualdo
z Chiara Mandò - PhD, Laboratorio di Ricerca Traslazionale Materno-Fetale Giorgio Pardi, Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche Luigi Sacco, Università degli Studi di Milano
L
a “teoria DOHaD” descrive come l’esposizione in utero a fattori ambientali possa avere effetti a lungo termine sullo sviluppo fetale. Molti studi hanno riportato correlazioni tra dieta/stato nutrizionale materno e rischio di
patologie della gravidanza o di sviluppo di patologie nel futuro adulto. I nutrienti assunti con la dieta materna regolano infatti l’espressione del DNA feto/placentare attraverso modificazioni epigenetiche, che avvengono senza cambiamento nella sequenza di DNA (metilazione del DNA, acetilazione degli istoni, microRNA). Molte osservazioni sono nate da studi di ricerca di base effettuati sulla placenta. La regolazione epigenetica della funzione placentare è stata ampiamente studiata in modelli di restrizione calorica in topo: per esempio, geni placentari imprin-
37
10 MAGGIO 2017 ted (IGF2, H19) agiscono come “sensori nutrizionali” variando il loro stato di metilazione. Nel nostro laboratorio abbiamo recentemente riportato minore funzionalità delle placente di donne obese e sovrappeso, con un ruolo importante del sesso fetale. Tali placente presentano anche alterazioni del contenuto mitocondriale suggerendo uno squilibrio bioenergetico placentare, risultato di un alterato intake nutrizionale. Alterate modificazioni epigenetiche possono essere coinvolte in questi meccanismi. La ricerca di base futura consentirà di comprendere a fondo i meccanismi alla base delle patologie della gravidanza in relazione alla nutrizione materno-fetale. 17.00
Discussant
z Federico Mecacci
DISCUSSIONE 17.30
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
DIETA MEDITERRANEA Moderatori: Pasquale Strazzullo; Andrea Ghiselli 09.00
Dieta mediterranea: un bene universale?
z Andrea Ghiselli - presidente della Società Italiana Scienza dell’Alimentazione e CREA, Alimenti e nutrizione
D
ieta mediterranea è sinonimo in tutto il mondo di alimentazione sana e gradevole, capace di mantenere l’organismo in salute, prevenire la gran parte delle patologie del nostro tempo e regalare una lunga aspettativa
di vita, gratificando al contempo il palato. Nasce da un’intuizione di Ancel Keys negli anni ’60, che individua nel livello di colesterolemia (e quindi in maniera indiretta nella dieta) il responsabile delle profonde differenze nella mortalità cardiovascolare in differenti campioni di popolazione reclutati in diversi centri di raccolta in 7 Paesi: il Seven Countries Study. Nonostante il Giappone fosse il Paese con la più bassa mortalità cardiovascolare, la sua dieta
è rimasta confinata in qualche Sushi-bar, mentre la dieta mediterranea ha guadagnato maggior fortuna, spinta anche dal suo “ideatore”, stabilitosi in un paesino del Cilento e testimoniando con la sua vita centenaria la validità del modello. Il nome dieta mediterranea riporta dentro di sé tuttavia un bias territoriale da superare poiché è un modello alimentare universale protettivo per la salute indipendentemente dal fatto che sia costituita da alimenti tipici del bacino mediterraneo o lontani. Indipendentemente quindi dalla fonte di amido, che può essere grano, riso, patata o mais; indipendentemente dal condimento dei vegetali (olio di oliva o di soia), indipendentemente dalla bevanda (vino o tè). Non dobbiamo considerare più mediterranea la pizza rispetto a un riso cantonese, a un blini russo o a un taco messicano o ancora a un biryani persiano. Il concetto di dieta mediterranea dovrebbe quindi varcare i confini del mare nostrum per confluire in un più alto concetto di dieta salutare che è simile, pur con alimenti diversi, in tutto il mondo: base vegetale a conferire la maggior parte dell’energia e dei nutrienti, con piccole integrazioni di prodotti animali per quei nutrienti che sono assenti o scarsi nei vegetali. 09.30
Sostenibilità della dieta mediterranea
z Marika Ferrari - PhD, ricercatore CREA-Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione
E
sistono ormai evidenze certe sugli effetti benefici per salute della Dieta Mediterranea (DM) grazie alla composizione dei suoi alimenti caratteristici, che sono prevalentemente di origine vegetale e al loro consumo diver-
sificato e bilanciato. La dieta mediterranea è anche un modello di dieta sostenibile, essenzialmente per il ridotto impatto ambientale dei suoi alimenti caratteristici, la cui produzione richiede una quantità di emissioni di gas serra
38
minore rispetto a un modello alimentare basato sul consumo di carni e grassi animali. Nel 2010 la FAO ha identificato una definizione chiara del concetto di diete sostenibili come diete che hanno un basso impatto ambientale, contribuiscono alla sicurezza alimentare e a uno stile di vita sano per le generazioni attuali e future, concorrono alla protezione della biodiversità e degli ecosistemi, sono culturalmente accettabili e accessibili. La sostenibilità della DM dipende anche dall’adozione di un modo di vivere fatto di convivialità e tradizione che si ritrova nella dimensione culturale e sociale della definizione. Per la dimensione economica è stato dimostrato che individui a basso reddito presentano un’aderenza alla dieta mediterranea più bassa rispetto a quelli con un reddito più elevato. Lo studio evidenzia che le persone con bassa scolarità e ridotte disponibilità economiche hanno abitudini alimentari meno salutari, a causa della priorità che viene data al prezzo del cibo a discapito della salubrità degli alimenti. L’educazione e la disponibilità di denaro sono, quindi, due aspetti che si correlano nell’analisi dell’adesione alla DM e da considerare nella formulazione di una dieta sostenibile. 10.00
Dieta mediterranea e olio di oliva
z Maddalena Vitale
10.30
Qualità delle proteine nella dieta mediterranea: quanto importante?
z Laura Rossi - Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Roma
P
er potersi definire sana la nostra alimentazione deve: coprire i nostri fabbisogni di energia e di nutrienti essenziali, fornirci sostanze protettive, minimizzare la nostra esposizione a contaminanti chimici e microbiologici
presenti negli alimenti e avere un impatto ambientale il più basso possibile. Le fonti di proteine animali, come la carne rossa e in particolare le carni conservate (i salumi), hanno un forte impatto sull’ambiente. La carne rossa e alcuni altri prodotti di origine animale, come i formaggi e il pesce, inquinano perché il ciclo di produzione di questi alimenti è la terza fonte di emissioni inquinanti (CO2). Inoltre l’allevamento è un’attività molto impattante sulle riserve idriche. È dunque importante limitare il consumo eccessivo di carne per gli effetti sulla salute, ma anche per l’impatto sull’ambiente. Nel consumare occasionalmente carne preferiamo il pollame: oltre a essere più salutare sotto il profilo alimentare, il pollame è notevolmente meno impattante sotto il profilo ambientale della carne di suini e bovini. Una delle caratteristiche peculiari della dieta mediterranea è che le fonti di proteine sono per la maggior parte di natura vegetale. Il consumo di legumi è parte integrante della dieta mediterranea. I legumi sono buone fonti di proteine vegetali, fibra, micronutrienti e molecole ad azione protettiva. Il consumo di legumi è associato alla prevenzione di malattie cronico degenerative, come le malattie cardiovascolari, il diabete, l’obesità, la sindrome metabolica e alcune tipologie di cancro. Per avere una dieta variata ed equilibrata è bene includere 2-4 porzioni a settimana di legumi. Come per la frutta e la verdura, non occorre fissare un limite superiore alla frequenza di consumo: l’unico limite è dato dall’equilibrio generale della dieta e dalla presenza di tutti gli altri alimenti nelle giuste proporzioni.
11.00
COFFEE BREAK
11.30
Sindrome Metabolica: rischi per la salute e possibili strategie di intervento
z Gabriele Riccardi - Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Università Federico II, Napoli
L
a Sindrome Metabolica (SM) è caratterizzata dall’aggregazione di tre o più alterazioni metaboliche e/o cardiovascolari, tra cui una localizzazione del grasso corporeo a livello dell’addome. Essa rappresenta un importante
fattore di rischio per lo sviluppo di diabete (se non è già presente), malattie cardiovascolari e alcuni tipi di tumori. Infatti, nelle persone affette da questa condizione è presente una ridotta efficacia dell’insulina che coinvolge il metabolismo glico-lipidico, la funzionalità dei vasi sanguigni e la crescita cellulare. La causa di questa condizione morbosa è da ricercarsi in uno stile di vita caratterizzato da eccessivo introito energetico e sedentarietà, che predispongono al sovrappeso. Il primo obiettivo per prevenire o curare la SM è la riduzione, anche se di pochi chili, del peso in eccesso. La dieta mediterranea per le sue caratteristiche nutrizionali è certamente utile per combattere la SM grazie, in particolare, alla presenza di alimenti poveri in grassi animali e ricchi in fibre vegetali, come i legumi, gli ortaggi, la frutta, i cereali integrali e la frutta secca. Una riscoperta di questo modello alimentare, che affonda le sue radici nella tradizio-
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10 MAGGIO 2017 ne culturale del nostro Paese, rappresenta la scelta vincente per contrastare la SM non soltanto per l’ottimale profilo nutrizionale, ma anche per la facilità di implementazione legata al suo ricco e condiviso background gastronomico. 12.00
I polifenoli nella dieta mediterranea: quanto rilevanti per la prevenzione?
z Gian Luigi Russo - primo ricercatore Istituto Scienze dell’Alimentazione, Consiglio nazionale delle Ricerche (CNR), Avellino
L
a prevenzione della gran parte delle patologie cronico e degenerative può essere più facilmente raggiunta con l’attuazione di programmi educativi volti a indurre modifiche nello stile di vita, incluse le abitudini alimentari.
Negli ultimi decenni, studi osservazionali e d’intervento hanno cercato di stabilire una relazione funzionale tra l’incidenza e la mortalità per patologie degenerative e la dieta, tra cui la Dieta Mediterranea (DM). Il settore si è scientificamente evoluto quando i ricercatori hanno cercato di identificare quali componenti sono responsabili dei potenziali effetti protettivi associati al consumo di specifici alimenti della DM. Una parte rilevante di tali indagini ha riguardato il ruolo di molecole antiossidanti che abbondano nella DM, tra cui i polifenoli. Nella presente comunicazione si valuteranno criticamente gli studi clinici e sperimentali relativi al consumo di polifenoli che hanno contribuito a sostenere il concetto, profondamente radicato nella popolazione, che i polifenoli, in quanto antiossidanti, contribuiscono alla prevenzione di malattie non trasmissibili. Verrà posto l’accento sulle contraddizioni e paradossi derivati dall’applicazione di modelli sperimentali (cellule e animali) che poco rispecchiano l’assunzione dei polifenoli attraverso la DM e, soprattutto, la differenza tra utilizzo preventivo e terapeutico di questa classe di molecole.
12.30
Dieta mediterranea e bilancio minerale
z Pasquale Strazzullo - ordinario di Medicina Interna, Università di Napoli Federico II
L
a dieta mediterranea è stata associata a un effetto protettivo verso le malattie cardiometaboliche. I principali componenti di questo pattern alimentare sono l’elevato consumo di alimenti di origine vegetale, un regolare
consumo di latte e derivati, un moderato consumo di carne e di pesce e l’uso di olio extravergine di oliva come condimento prevalente. Meno si sa riguardo all’apporto di minerali associato a questo modello alimentare. Alcuni studi sembrano suggerire che una maggiore adesione al modello mediterraneo comporti una minore assunzione non discrezionale di sodio e un apporto di potassio e di magnesio significativamente più alti rispetto al modello occidentale. In parziale discrepanza con questi dati, tuttavia, un recente studio su bambini greci di età 10-12 anni ha riscontrato un maggior consumo di sale non discrezionale in relazione alla maggiore adesione al modello alimentare mediterraneo, attribuibile prevalentemente al sale nascosto all’interno di pane, cereali per la prima colazione e formaggi. È attualmente in corso l’analisi della dieta abituale di una popolazione adulta del Cilento (Sud Italia) che dovrà chiarire se la maggiore adesione al modello mediterraneo sia associata o meno a un apporto adeguato dei principali minerali.
13.00
Recuperare innovando la tradizione alimentare mediterranea: è possibile?
z Francesco Sofì - MD, PhD, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi di Firenze, SOD Nutrizione Clinica, AOU Careggi
C
orrette abitudini alimentari rappresentano un valido strumento di prevenzione per molte malattie croniche, incluse l’obesità, il diabete mellito di tipo 2 e alcuni tipi di cancro. Nonostante la letteratura sottolinei con forza i vantaggi
collegati a un’alimentazione sana, i dati epidemiologici mostrano un aumento dei comportamenti a rischio, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione. Complici la globalizzazione, il cambiamento degli stili di vita e la necessità di rispondere alle nuove esigenze che la società di oggi richiede, si sta infatti assistendo a una progressiva e inesorabile occidentalizzazione della dieta salutare che per secoli ha caratterizzato i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, la dieta mediterranea. Secondo dati ISTAT, giovani e giovanissimi saltano sempre più spesso i pasti, si orientano con maggiore facilità verso il cosiddetto junk food (cibo spazzatura), a scapito di frutta, verdura, legumi, pesce, cereali integrali e olio d’oliva, e conducono una vita sempre più sedentaria, incollati a televisione, computer o telefoni cellulari. In aggiunta, è stato evidenziato un aumento del consumo fuori pasto di alimenti calorici, ricchi di grassi, sale e zuccheri e di bevande zuccherine, che non rispondono a una reale necessità dell’organismo, ma obbediscono all’offerta continua
40
di alimenti e bevande sulla spinta della pubblicità. Negli ultimi anni sono state messe in atto numerose iniziative coordinate a livello nazionale e internazionale, con l’obiettivo di recuperare le tradizioni tipiche della dieta mediterranea. 13.30
LUNCH
14.00
I prodotti ittici nella dieta mediterranea: gestione e mantenimento delle qualità organolettiche e nutritive
z Paolo Giuseppe Ubaldi - responsabile Assicurazione Qualità Pesce di Esselunga
N
ell’ambito della dieta mediterranea i prodotti ittici rivestono una forte importanza, in quanto il loro consumo è consigliato in circa 2/4 porzioni settimanali. Oltre all’apporto degli acidi grassi polinsaturi (omega 3-6-9), i
prodotti ittici sono un’importante fonte di macroelementi, quali fosforo, calcio, ferro, e microelementi quali iodio, selenio, zinco. I prodotti ittici freschi sono alimenti molto delicati, che degradano rapidamente. Per mantenere le proprietà nutrizionali intatte è importante conservarli nel modo più corretto, in modo che non presentino un pericolo per il consumatore. Sostanze indesiderate, come l’istamina, e batteri e virus patogeni, quali listeria, salmonella, epatite A, si sviluppano essenzialmente a causa di un’interruzione della catena del freddo. Oltre a fattori microbiologici legati al variare della temperatura, il prodotto ittico può essere interessato da fenomeni di inquinamento ambientale legati ad attività antropica. In particolare, è utile ricordare i metalli pesanti (HG, CD, PB, AS), PCB e diossine, I.P.A., radiazioni. L’insieme delle azioni preventive e dei controlli analitici rappresenta un valido strumento per restituire sicurezza alimentare a un prodotto nobile che, oltre ad avere azione nutritiva, ha anche azione nutraceutica. Esselunga propone una panoramica della gestione dei rischi nei prodotti ittici durante la commercializzazione nel canale della GDO.
14.30
Dieta mediterranea e osso
z Silvia Migliaccio - Dipartimento di Scienze motorie, Umane e delle Salute, Sezione di Scienze della Salute, Unità di Endocrinologia, Università Foro Italico di Roma; socio della Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione (SISA)
U
na dieta equilibrata svolge un ruolo fondamentale per il mantenimento del benessere dell’individuo, la prevenzione delle malattie metaboliche croniche e l’ottimizzazione del patrimonio genetico dell’individuo. Una dieta
equilibrata prevede la presenza di tutti i macro e i micronutrienti distribuiti in maniera equilibrata nei diversi pasti giornalieri. Modello ideale di dieta equilibrata è la Dieta Mediterranea (DM). Nessun alimento fornisce da solo tutti i nutrienti fondamentali per mantenere il benessere dell’organismo, compreso quello del tessuto scheletrico ed è quindi fondamentale che una corretta alimentazione sia quanto più variata per ottimizzare anche l’omeostasi dello scheletro. Molteplici sono gli studi clinici che hanno dimostrato un effetto positivo della DM sulla riduzione del rischio cardiovascolare e delle patologie metaboliche croniche. Minore è il numero degli studi che abbia valutato un’associazione tra DM e benessere scheletrico. Tuttavia, alcuni studi in modelli sperimentali animali hanno dimostrato come componenti della DM possano modulare l’omeostasi scheletrica. Fondamentale il ruolo di macronutrienti, quali proteine, e micronutrienti, quali calcio e fosforo. Inoltre, studi recenti sembrano suggerire un ruolo protettivo di alcuni componenti dell’olio di oliva sul mantenimento dell’omeostasi cellulare, mediante la riduzione dello stress ossidativo e dell’infiammazione. Ulteriori studi saranno necessari per confermare il ruolo protettivo della DM sullo scheletro e caratterizzare i meccanismi attraverso cui questo effetto si attua. (Emanuela A. Greco - Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Fisiopatologia Medica, Endocrinologia e Scienza dell’Alimentazione, Università Sapienza di Roma; socio SISA)
15.00
Quali alternative alla dieta mediterranea
z Umberto Scognamiglio - nutrizionista, ricercatore presso il Centro di ricerca CREA - Alimenti e Nutrizione
È
ormai noto che una dieta salutare previene la malnutrizione in tutte le sue forme, in particolare quelle cronicodegenerative. Di contro, una dieta sbilanciata e l’assenza di attività fisica sono determinanti chiave dell’aumen-
to globale di rischio di malattia. Tra i modelli alimentari salutari, la dieta mediterranea è quello più noto perché capace di coniugare sostenibilità ambientale, sanitaria ed economica. È lo stile alimentare tipico dei Paesi del bacino del Mediterraneo degli anni ‘50. È costituita prevalentemente da verdure, frutta, olio d’oliva, legumi, pane, pasta e altri cereali. Pochi e sporadici gli alimenti di origine animale. Questa era un’alimentazione povera, che traeva ener-
41
10 MAGGIO 2017 gia (poca) da alimenti che dovevano essere coltivati con fatica fisica. Tale regime dietetico è tra i più studiati ed è maggiormente correlato con minore incidenza di malattie cronico degenerative e assicura un invecchiamento sano e a lungo. Tuttavia esistono nel mondo altre aree geografiche (definite zone blu) che presentano caratteristiche demografiche in cui le persone vivono più a lungo della media. Okinawa in Giappone o Loma Linda in California o Nicoya in Costa Rica, sono tutti luoghi dove le persone vivono di più e hanno una percentuale più bassa di malattie quali il cancro, cardiocircolatorie e neurodegenerative. Nelle popolazioni che abitano nelle “zone blu” sono stati individuati diversi aspetti in comune nel modo di vivere, come fare attività fisica moderata, concludere i pasti prima della sazietà, maggiore consumo di legumi e minore di carne, convivialità e frugalità dei pasti. 15.30
La dieta mediterranea in tempo di crisi: l’esperienza del progetto Moli-sani
z Giovanni De Gaetano - Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione, IRCCS Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed, Pozzilli (IS)
L
a Dieta Mediterranea (DM) è un valido alleato contro le principali patologie croniche e neurodegenerative. Tuttavia negli ultimi anni questo modello alimentare appare sempre meno popolare, soprattutto nelle zone
del Mediterraneo. Lo studio epidemiologico prospettico Moli-sani, in corso dal 2005 su una coorte di circa 25.000 persone adulte randomizzate dai registri della popolazione residente in Molise, ha confermato i numerosi vantaggi della DM sulla salute, ma ha anche messo in evidenza un marcato gradiente socioeconomico nell’adesione alla dieta stessa, in contesti non caratterizzati da forti disparità sociali. Questo gap rischia di aumentare ancora di più dal momento che la crisi economica degli ultimi anni sembra agire come un pericoloso spartiacque all’interno del tessuto sociale. Il declino dell’adesione alla DM, iniziato molti anni fa, ha subito nell’ultimo decennio un’accelerazione critica. Concordi sono anche i dati di consumo, che registrano meno pesce, frutta e verdura, pasta e, unica nota positiva, meno carne. Sono soprattutto le famiglie meno abbienti a ridurre gli alimenti di base della DM. Nell’ultimo anno hanno ridotto il consumo di pesce il 35,8% delle persone meno abbienti, ma soltanto il 12,6% delle più ricche, mentre per la verdura, riducono il consumo il 15,9% delle famiglie a basso reddito e il 4,4% delle più abbienti. A partire dal 2007, le risorse materiali, come il reddito, hanno assunto un ruolo determinante nell’adesione alla DM della coorte Moli-sani, un fenomeno che rischia di esacerbare le disuguaglianze in relazione all’alimentazione. È chiaro quindi che parlare dei benefici della DM non basta più. È necessario capire quali sono i fattori socioeconomici, culturali e psicosociali che favoriscono l’adozione di una sana alimentazione e intervenire per evitare che siano proprio le fasce più deboli della nostra popolazione a pagare il prezzo più alto di questa deriva alimentare. (Marialaura Bonaccio, Maria Benedetta Donati e Licia Iacoviello - Dipartimento di Epidemiologia e
Prevenzione, IRCCS Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed, PozzillI, Isernia) 16.00
Dieta mediterranea, elisir di lunga vita
z Vito Amendolara - project leader, delegato confederale Coldiretti Reggio Emilia
R
iconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità, la Dieta Mediterranea (DM) ha ricevuto dall’Oms e dalla Fao il riconoscimento ufficiale di “modello alimentare e stile di vita più efficace al mondo”.
Non va sottaciuta in tale contesto la forte correlazione tra i principi e i valori della DM con quelli sanciti nell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, dove il miglioramento dell’alimentazione e la sicurezza alimentare sono requisiti fondanti per garantire una vita sana, salute e benessere di tutti a tutte le età. Sono questi i driver su cui far
scorrere la promozione della salute delle persone anziane, una risorsa per l’economia e per la società. Si tratta di costruire percorsi di divulgazione, informazione e formazione con dimensioni stabili e una sede istituzionale, con contenuti di facile apprendimento, trasferimento e applicazione da parte dell’utenza. Anche l’uso dello strumento della Prassi di riferimento UNI/PDR 25:2016, individuata dall’Uni, rappresenta un primo passo verso un processo di valorizzazione e di definizione dei principi fondanti della DM e costituisce una formidabile opportunità attraverso la quale l’immaterialità dichiarata dall’Unesco diventi materialità e avvii un nuovo processo di sviluppo sostenibile e duraturo, esaltando la qualità della vita delle generazioni presenti e future. 16.30
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
42
NUTRIZIONE DI GENERE E RISTORAZIONE COLLETTIVA I SESSIONE - NUTRIZIONE DI GENERE Moderatori: Michele Carruba; Flavia Franconi 09.00 09.30
Come sesso e genere influenzino la cinetica di cibo e bevande nell’essere umano z Flavia Franconi
Lo Studio TOSCA.IT: Differenze di genere nelle scelte alimentari e rispetto delle raccomandazioni nutrizionali
nei soggetti con diabete tipo 2
z Olga Vaccaro - Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università di Napoli Federico II, a nome del Gruppo di Studio TOSCA.IT
L
e donne con diabete presentano un profilo di rischio cardiovascolare più avverso rispetto agli uomini. Lo stile di vita, e in particolare le abitudini alimentari, potrebbero avere un ruolo nella modulazione di tali differenze,
ma questo aspetto è poco studiato. Lo studio descrive le abitudini alimentari di un numeroso campione di donne (1.038) e uomini (1.535) con diabete tipo 2, afferenti a centri specialistici per la cura del diabete distribuiti in tutta Italia, e analizza la relazione tra le scelte alimentari, il rispetto delle linee guida nutrizionali e il profilo di rischio cardiovascolare. Le donne consumano più legumi, vegetali e frutta, ma anche più uova, latte e zuccheri aggiunti rispetto agli uomini. Pertanto la proporzione di calorie della dieta derivanti da acidi grassi saturi e zuccheri aggiunti è leggermente, ma significativamente, maggiore nelle donne (12.0±2.4 vs 11.5±2.5 e 3.4±3.2 vs 2.3±3.2 % rispettivamente, p<0.05) così come la quantità di fibra (11.2±2.8 vs 10.4±2.6 g/1000Kcal/die, p<0.05). L’adesione alle raccomandazioni nutrizionali per grassi saturi e fibra si associa a livelli significativamente più bassi di colesteroloLDL, mentre l’adesione alle raccomandazioni per il consumo di zuccheri aggiunti si associa a valori significativamente più bassi di trigliceridi e più elevati di colesterolo-HDL. I dati si confermano quando le analisi vengono ripetute sul sottogruppo di pazienti non in terapia ipolipidemizzante. In conclusione, nelle persone con diabete ci sono significative differenze di genere nelle scelte alimentari e nell’adesione alle raccomandazioni nutrizionali. L’adesione alle raccomandazioni nutrizionali si associa a un migliore profilo lipidico indipendentemente dal genere.
10.00
Consumo di alcol: differenze tra i generi
z Roberta Agabio - Centro di Studio dell’Abuso Alcolico, Dipartimento di Scienze biomediche, Sezione di Neuroscienze e Farmacologia Clinica, Università di Cagliari
L’
alcol, la sostanza psicoattiva maggiormente utilizzata nei Paesi occidentali, è una sostanza sedativa, ma, a basse dosi, induce effetti piacevoli, riduce l’ansia e aumenta la socializzazione. Per questi effetti l’alcol viene per-
cepito come una sostanza ad azione stimolante. In realtà l’assunzione di dosi elevate, in acuto, aumenta il rischio di incidenti stradali e intossicazione alcolica mentre, in cronico, di patologie quali alcolismo, cirrosi epatica, tumori dell’apparato gastrointestinale e, negli individui che assumono farmaci, interazioni alcol-farmaci. L’alcol inoltre fornisce 7,1 kcal/g, valore superiore a quello dei carboidrati e delle proteine. D’altra parte, l’assunzione di dosi moderate riduce il rischio di mortalità da infarto del miocardio negli individui a rischio. Uomini e donne differiscono negli effetti percepiti e nelle conseguenze indotte dal consumo di alcol. Le donne sono più vulnerabili agli effetti negativi e subiscono conseguenze specifiche quali la sindrome feto-alcolica, se l’alcol è assunto in gravidanza. Per promuovere consumi più sicuri per la salute, sono state calcolate le quantità di alcol a basso rischio o “moderate”, al di sopra delle quali il consumo diventa ad alto rischio. Queste quantità differiscono per uomini e donne, in base a età, presenza di patologie, terapie farmacologiche o eventi fisiologici quali gravidanza e allattamento.
43
10 MAGGIO 2017 10.30
Obesità: differenze tra i generi
z Letizia Petroni - presidente Sezione Lombardia dell’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI)
E
sistono differenze di genere inerenti gli stili alimentari. Le donne hanno maggiore propensione all’effettuazione di spuntini e al piluccamento su base emotiva, gli uomini tendono maggiormente a consumare i pasti fuori casa
e a mangiare nelle ore notturne. Il piluccamento nelle donne può anche avere una base biologica, in particolare da carenza marziale e da ridotto/maldistribuito apporto proteico. In ambito clinico, le donne hanno un numero significativamente superiore di pregressi tentativi dietetici e hanno aspettative sulla perdita di peso maggiormente irrealistiche rispetto agli uomini. La maggiore percentuale di massa grassa a parità di peso nel sesso femminile rispetto al maschile contribuisce all’elevata prevalenza di ipovitaminosi D, che a sua volta influenza negativamente gli aspetti, inclusa la refrattarietà alla riduzione ponderale. Anche nella scelta della composizione bromatologica della dieta occorre tenere conto degli aspetti genere-specifici. Nelle donne affette da obesità con sindrome dell’ovaio policistico, diete ipocaloriche a basso indice glicemico e tenore moderato in carboidrati (diete a basso carico glicemico) sembrano maggiormente favorevoli nella PCOS per la loro ridotta insulinogenicità, stesso dicasi negli uomini con marcata adiposità viscerale. Nelle donne (ma anche negli uomini) con significativa componente adiposa gluteo femorale si assiste sovente a un ridotto dispendio energetico a riposo, che può essere di converso peggiorato da un’eccessiva riduzione della quota carboidratica della dieta, così come da un apporto subottimale di proteine ad alto valore biologico.
11.00
COFFEE BREAK
11.30
Tavola rotonda: le linee guida nutrizionali dovrebbero differire tra uomo e donna?
12.00
Differenze di genere nel metabolismo
z Lorenzo Donini, z Silvia Migliaccio, z Olga Vaccaro
z Adriana Maggi - Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi di Milano
N
ella storia evolutiva della nostra specie due funzioni biologiche sono sempre state sotto uno stretto, reciproco, controllo: la riproduzione e la nutrizione. Il nostro laboratorio ha studiato quali siano le relazioni funzionali
tra nutrizione e attività riproduttiva, identificando i meccanismi attraverso i quali il fegato svolge un ruolo nel controllo della fertilità negli organismi di sesso femminile. Più recentemente, abbiamo dimostrato che il fegato è l’organo fondamentale per l’adattamento del metabolismo alle diverse fasi della attività riproduttiva (ovulazione, gravidanza e allattamento) e il recettore degli estrogeni epatico agisce quale sensore dello stato riproduttivo per regolare il metabolismo epatico in relazione alle diverse necessità energetiche. I meccanismi di regolazione crociata tra attività riproduttiva e nutrizione sono molto importanti per il mantenimento dello stato di salute della donna adulta e per assicurare il bilanciamento delle risorse energetiche nei mammiferi femmina durante la gravidanza e l’allattamento. Con l’invecchiamento e la cessazione dell’attività ovarica, il controllo ormonale viene meno portando all’accumulo epatico di lipidi e a un’alterata distribuzione dei grassi a livello sistemico. Le conseguenze di tale squilibrio sono una maggiore suscettibilità alle malattie cardiovascolari e metaboliche che caratterizzano il postmenopausa. La domanda che ci siamo posti è se i meccanismi di regolazione crociata tra riproduzione e nutrizione siano mantenuti in qualche modo anche negli organismi di sesso maschile. Infatti l’attività riproduttiva maschile non è cambiata nel corso dell’evoluzione della specie e quindi è postulabile che nei mammiferi il fegato maschile non abbia mutato significativamente il proprio metabolismo, divergendo quindi significativamente dal metabolismo epatico femminile. Lo studio dell’attività del recettore degli estrogeni nel fegato maschile ha indicato come questi abbia funzioni sessualmente dimorfiche e come questo si associ ad attività epatiche estremamente dissimili tra loro in grado di spiegare, almeno in parte, perché la diversa suscettibilità di organismi maschili e femminili a selezionate patologie sia caratteristica dell’età fertile e non sia presente quando la donna cessa di essere fertile. (Sara Della Torre - Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi di Milano, Milano)
12.30
DISCUSSIONE
13.00
LUNCH
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II SESSIONE - LA RISTORAZIONE COLLETTIVA Moderatori: Santino Altomari; Michele Ettorre; Tiziana Stallone 14.00
Linee guida per il recupero degli alimenti ai fini caritativi
z Claudia Balzaretti - ricercatore confermato, Dipartimento di Scienze Veterinarie, per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare
U
n recente studio realizzato dal Politecnico di Milano, “Surplus Food Management Against Food Waste”, affronta
il tema della gestione delle eccedenze e degli sprechi alimentari in Italia. Il suddetto studio rileva che, nella filiera
agroalimentare italiana, le eccedenze ammontano a 5.590.000 tonnellate/anno mentre la quantità di cibo che ogni anno è sprecata in Italia ammonta a 5.110.000 tonnellate. Nel 2015 le Organizzazioni Caritative (OC) appartenenti alla rete Banco Alimentare hanno recuperato e hanno distribuito 381.345 tonnellate di prodotti alimentari ai fini di solidarietà sociale, provenienti da 2.292 donatori, rappresentati da settore primario, industria e grande distribuzione organizzata, che a oggi in Italia rappresentano i principali canali di donazione. Nel 2016 le OC si sono impegnate a realizzare un Manuale GHP- buona prassi igienica, in accordo con i Regolamenti europei, per gestire correttamente tutte le fasi del recupero degli alimenti ai fini caritatevoli. Il Manuale è stato in seguito validato dal Ministero della Salute e attualmente viene utilizzato dai donatori e donatari come linea guida per gestire il percorso della seconda vita degli alimenti secondo i criteri igienico sanitari previsti dalla normativa vigente. Inoltre la rete Banco Alimentare, supportata dalle competenze scientifiche e dalla ricerca universitaria, sta sviluppando e ampliando nuovi percorsi di recupero con l’obiettivo di garantire una maggior sicurezza sui prodotti recuperati al fine di implementare il recupero.
14.30
La gestione operativa dell’appalto per i diversi stream z Andrea Legato - direttore Stream Education
Q
uali sono le sfide che ogni giorno i gestori di un servizio di ristorazione devono affrontare? Certamente negli anni abbiamo assistito a cambiamenti importanti nell’ambito della ristorazione collettiva: le sfide di un mercato
sempre più frammentato, la spending review, che mette in difficoltà il settore pubblico, e un consumatore sempre più esigente richiedono un costante monitoraggio di tutte le attività che ruotano intorno alla preparazione e all’erogazione dei pasti per tutte le tipologie di collettività. Certamente gli aspetti nutrizionali e la qualità dei prodotti serviti sono elementi importanti da preservare ed è necessario guardare costantemente alle mutazioni che il mercato di riferimento presenta, cercando di non tralasciare nessuno dei tanti aspetti che concorrono a determinare la soddisfazione dell’utente. Per far ciò è necessario avere una solida conoscenza di tutti gli elementi che caratterizzano le diverse collettività, cercare di conoscere quanto più possibile la tipologia di cliente e di utente, tutti i possibili servizi che si possono offrire, ma si rende soprattutto necessario cercare delle forme di comunicazione e collaborazione con tutti gli interlocutori, in modo che ognuno possa dare il proprio contributo per una gestione efficace del servizio.
15.00
L’elaborazione dei piani alimentari per i diversi stream: criteri di valutazione per una corretta stesura dei
z Martina Soliman - biologa nutrizionista
piani alimentari per mense scolastiche, ospedaliere e aziendali
I
n un passato non troppo lontano i pasti consumati fuori casa erano prevalentemente quelli consumati a scuola o nelle comunità, poiché i tempi della pausa pranzo erano tali da poter permettere alle persone di rincasare. Ma
negli ultimi decenni, a seguito della globalizzazione, vi sono state delle mutazioni nelle abitudini quotidiane che hanno portato alla nascita di un tipo di ristorazione molto diversa da quella tradizionale, capace di soddisfare contemporaneamente i bisogni di tipo nutrizionale e le diverse esigenze di tempo del singolo lavoratore. Sono quindi sorte in pochi anni apposite strutture di preparazione dei cibi (centri-cottura, etc.) attrezzate in modo particolare,
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10 MAGGIO 2017 capaci di produrre in poco tempo centinaia di pasti per poi veicolarli alle strutture di riferimento. Nasce così il concetto di ristorazione collettiva, ovvero un servizio di preparazione e somministrazione di pasti su larga scala (mense aziendali, scuole, ospedali, carceri etc.). Quest’ultima viene suddivisa in tre grandi stream: - ristorazione scolastica; - ristorazione sanitaria/ospedaliera; - ristorazione aziendale. Diventa quindi di fondamentale importanza una corretta progettazione del menù per ottemperare alle esigenze di metabolismo, crescita, prevenzione, e favorire il raggiungimento progressivo degli obiettivi di qualità totale del pasto e soddisfazione degli utenti, incoraggiando la progressiva accettazione dei diversi alimenti. 15.30
L’esperienza pratica svolta all’interno dell’azienda ristoratrice
z Piera Stefania Arfò - biologa nutrizionista, specialista in Patologia Clinica. Master universitario di secondo livello in Nutrizione Umana
L’
obiettivo dello stage è quello di ridefinire e rivisitare, in chiave nutrizionale, il comparto della ristorazione scolastica, analizzando un campione di capitolati e di relativi menù scelti in città capoluoghi di regione. Si terrà conto
in primis di una verifica della norma UNI 1147: 2011. Il razionale della scelta trova adeguatezza nella necessità di apportare un’innovazione nella costruzione di un nuovo capitolato per la ristorazione scolastica.
z Viviana Marras - biologa nutrizionista
A
ttualmente il lavoro riguarda il calcolo delle chilocalorie per singolo ingrediente in riferimento alle ricette dell’azienda. Le informazioni sono ottenute attraverso la consultazione del sito CREA (Centro di ricerca per
gli alimenti e la nutrizione) ex INRAN per la composizione degli alimenti. Le chilocalorie sono riferite a 100 g del singolo ingrediente le quali, attraverso una semplice proporzione, vengono attribuite alla grammatura precisa a cui l’azienda fa riferimento nelle sue ricette. 16.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
NON SOLO ALLENAMENTO: NUTRIZIONE E RECUPERO E IL LORO RUOLO SINERGICO PER LA PERFORMANCE Moderatori: Pasqualina Bono; Antonio Paoli 09.00
Saluti della presidente SISMES
09.15
Ruolo di esercizio fisico e nutrizione nella regolazione del metabolismo proteico muscolare
z Pasqualina Buono
z Elena Volpi - MD, PhD, University of Texas Medical Branch, Galveston, USA
L
e proteine contrattili muscolari sono un fattore determinante della massa e funzione del muscolo scheletrico. La quantità di proteine contrattili del muscolo viene regolata dal bilancio tra le sintesi proteica e la proteolisi.
Le proteine alimentari sono fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi proteica muscolare in quanto apportano aminoacidi essenziali per sostituire quelli liberati dalla proteolisi e poi persi nei processi ossidativi. Gli aminoacidi stimolano direttamente la sintesi proteica muscolare tramite l’attivazione dei segnali anabolici, in particolare mTOR. I segnali anabolici muscolari sono anche attivati dall’esercizio di forza con stimolazione della sintesi proteica e anabolismo muscolare. L’esercizio di forza attiva anche la proteolisi, promuovendo quindi il ricambio e la plasticità delle proteine muscolari. L’esercizio aerobico migliora la sensibilità insulinica, la circolazione sanguigna periferica e il trasporto di aminoacidi, contribuendo quindi al ricambio proteico e all’accrescimento muscolare. Esercizio fisico e nutrizione proteica hanno un effetto sinergistico sull’anabolismo proteico muscolare, particolar-
46
mente quando le proteine vengono consumate dopo la seduta di allenamento. Questa sinergia è particolarmente importante quando si voglia accelerare l’anabolismo proteico muscolare sia in individui sani o atleti sia in pazienti con malattie che inducono cachessia o sarcopenia. L’utilizzo prolungato di queste strategie alimentari abbinate ad allenamento specifico possono condurre a un aumento della massa, forza e funzione muscolare. 10.00
DISCUSSIONE
10.15
La fatica neuromuscolare negli atleti: valutazioni centrali e periferiche
z Alberto Rainoldi - PhD, Centro Ricerche Scienze Motorie, SUISM, Università degli Studi di Torino
È
possibile studiare il sistema neuromuscolare a partire dal segnale elettrico registrato durante la contrazione, in qualunque modalità essa sia ottenuta (volontaria, stimolata elettricamente, isometrica o dinamica). Le altera-
zioni dei timing di attivazione e/o delle caratteristiche del segnale elettrico sono causate da adattamenti centrali o periferici generalmente legati all’insorgere di condizioni di fatica. Tali adattamenti di tipo centrale si presentano fin dall’inizio della contrazione e rispecchiano le strategie messe in atto dal SNC per portare a termine il compito affidato. Si potranno osservare reclutamenti di differenti unità motorie, di muscoli sinergici in maniera alternata, l’uso di fibre lente o veloci a seconda del tipo di contrazione (isometrica, concentrica, esplosiva o a endurance). Gli adattamenti periferici implicano invece la modificazione del muscolo stesso e si osservano per esempio nella vecchiaia, in alcune forme patologiche e a seguito di condizionamenti allenanti. L’analisi del segnale elettromiografico registrato con elettrodi posti sulla cute permette quindi di osservare e quantificare tutte queste alterazioni fisiologiche e monitorare nel tempo la loro evoluzione.
10.40
Ruolo dell’acqua nell’alimentazione dello sportivo: non solo idratazione
z Marco Neri - Comitato Scientifico Federazione Italiana Fitness, Associazione Italiana Fitness e Medicina
N
egli sport con categorie di peso sono diffuse le pratiche estreme di disidratazione forzata per rientrare in categoria (sauna, diuretici, lassativi, privazione di liquidi) con rischi sia per la prestazione sia per la salute. L’ACSM (American
College of Sports Medicine) sconsiglia di bere più di 1,5 l d’acqua all’ora. Il surplus corre il rischio di non venire assorbito e potrebbe creare problemi gastrointestinali. Consigliabile bere 0,5/0,750 ml di liquidi 1,5 h prima della prestazione. Così si garantisce un’adeguata preidratazione e si fornisce il tempo necessario all’organismo di eliminare i liquidi in eccesso. Helen M. Parretti et al. Efficacia di un precarico d’acqua prima dei pasti principali come strategia per la perdita di peso, Obesity (Silver Spring). 2015 Sep;23(9):1785-91. doi: 10.1002/oby.21167. Epub 2015 Aug 3. 84 adulti obesi monitorati per 12 settimane. A 41 soggetti è stato detto di bere 500 ml di acqua 3 volte al giorno mezz’ora prima di un pasto; agli altri 43 è stato chiesto di immaginare di avere lo stomaco pieno e senso di sazietà prima di mangiare. Al termine delle 12 settimana la totalità del gruppo di studio è stata di 2,1 kg. Il risultato medio del gruppo di controllo è stato di 1,76 lbs (0,8 kg); questo porta a una differenza media fra i 2 gruppi di 1,3 Kg a favore del gruppo di studio.
11.05
DISCUSSIONE
11.20
COFFEE BREAK
11.30
Le tre Q dell’apporto proteico: Quali, Quante, Quando...
z Antonio Paoli - Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Padova
Q
uante - Numerosi studi suggeriscono che individui fisicamente attivi o che praticano regolarmente esercizio fisico, richiedono un fabbisogno proteico superiore alla RDA (0,8 g/kg/die) (Campbell et al. 2007). Per gli
sport di potenza e per gli atleti impegnati in regimi di allenamento intenso il suggerimento è di 1,2-2,2 g/kg/ die (Antonio et al. 2014). Il limite di quantità di proteine a pasto è stato recentemente dimostrato essere più alto di quanto comunemente si credesse, non i 20 g ma anche fino a 70 g (di proteine della carne) (Kim et al. 2016). Quali - Esistono diversi modi per determinare il valore delle proteine: uno dei più recenti e affidabili è il DIAAS (Digestible Indispensable Amino Acid Score) (Wolfe et al. 2016) dove la carne ha 111,6 mentre la media delle fonti vegetali ha 61,1 (Ertl et al. 2016). Quando - Vi è una teoria della finestra anabolica: un lasso di tempo considerato “critico” per ottimizzare la sintesi proteica in acuto e per introdurre proteine o aminoacidi (entro 1-3 ore dall’allena-
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10 MAGGIO 2017 mento) (Esmarck et al. 2001). Tuttavia, in letteratura vi sono diverse prove in conflitto con questi dati (Aragon and Schoenfeld 2013), che rimandano la parola definitiva. 11.55
Ruolo della fatica nel recupero dell’atleta
z Maria Francesca Piacentini - PhD, Dipartimento di Scienze Motorie, Umane e della Salute, Università degli Studi di Roma, Foro Italico
L’
elevazione progressiva del livello di qualificazione e del numero di competizioni sportive ha portato a un aumento considerevole dei carichi di lavoro fisico proposti agli atleti. I calendari agonistici pongono spesso gli atleti
nelle condizioni di dover recuperare il più rapidamente possibile per affrontare competizioni sempre più ravvicinate. Diventa pertanto sempre più difficile mantenere in equilibrio il delicato rapporto tra carico di lavoro e recupero (fisico e mentale). Mentre la quantificazione del carico esterno è relativamente semplice, sia dal punto di vista quantitativo sia qualitativo, gli effetti che questo ha sull’atleta (carico interno) sono più complessi da determinare. Scopo della relazione è quello di presentare dati recenti di letteratura scientifica sulle nuove definizioni internazionali di overreaching funzionale (FOR) e non funzionale (NFOR), e quali siano gli strumenti più idonei che l’allenatore ha a disposizione per monitorare il recupero dell’atleta. Verranno presentati dati di atleti amatori, master e di atleti di élite, per comprendere meglio il ruolo della fatica e del recupero nel percorso che porta al picco prestativo.
12.15
L’ossigeno nel recupero muscolare
z Gerardo Bosco - MD PhD, Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Padova
I
l carico di allenamento di alta intensità e/o prolungato nel tempo può essere associato sia a un aumentato rischio subclinico sia alla comparsa di sintomi reali con diagnosi di patologie correlate (traumatiche e non). Quando l’at-
tività fisica è intensa, il meccanismo aerobico non riesce a soddisfare la richiesta energetica muscolare e per sopperire a questo aumentato fabbisogno energetico inizia il metabolismo anaerobio con produzione di acido lattico. Per quanto riguarda il concetto di debito di ossigeno, ancora oggi ampiamente utilizzato, recenti ricerche mitigano l’associazione tra metabolismo e lattato come causa di un elevato consumo di ossigeno post esercizio (EPOC). In alcuni studi questo stesso evento è rappresentato dal dispendio energetico in eccesso riferendosi nello specifico al consumo energetico piuttosto che a quello di ossigeno. La fatica muscolare rappresenta un fenomeno complesso che comprende vari fattori, quali i cambiamenti strutturali ed energetici nei tessuti muscolari locali e i cambiamenti a livello di attività ed efficienza del sistema nervoso. La stanchezza muscolare, pertanto, è indicata anche come fatica neuromuscolare, che è divisa in tre sezioni basate sui livelli a cui è indotta fatica: l’affaticamento centrale, la fatica della giunzione neuromuscolare e la fatica del tessuto muscolare locale. L’iperemia reattiva e la fatica dopo la contrazione muscolare sono modulate dai ROS. A livello tissutale, l’azione primaria dell’ossigeno è in grado di provocare una vasocostrizione generale attraverso la riduzione del flusso ematico. Studi a riguardo indicano che una modesta iperossia indotta dalla respirazione di ossigeno sia in grado di attenuare sia l’iperemia post-contrazione sia l’iperemia reattiva indipendentemente dai ROS, diminuendo il rilascio di vasodilatatori ossigeno-dipendenti. Miscele iperossigenate non soltanto forniscono un significativo aumento della disponibilità di ossigeno a livello dei tessuti, ma riducono anche l’edema, grazie alla vasocostrizione e ai meccanismi di omeostasi migliorati. Inoltre un elevato gradiente di ossigeno è un potente stimolo per la neoangioneogenesi, e per la stimolazione dei processi riparativi. Vi sono anche altre funzioni cellulari e tissutali ossigeno-dipendenti. Alcuni studi suggeriscono che vi sia una correlazione tra l’assunzione di ossigeno nel periodo di recupero e l’aumentato numero di mitocondri e conseguentemente dell’attività ossidativa (con genesi di ROS). In particolare l’iperossia iperbarica ha l’effetto di inibire l’adesione dei leucociti all’endotelio, diminuendo il danno tissutale, migliorando la motilità leucocitaria e la microcircolazione. Inoltre numerosi studi evidenziano come la respirazione di ossigeno puro in condizioni di iperbarismo abbia effetti benefici nella stimolazione della vascolarizzazione, nella rigenerazione di alcuni tessuti, nell’abbassare i livelli infiammatori e stimolare la produzione di antiossidanti (enzimatici e non). In questa review proveremo a evidenziare le recenti acquisizioni scientifiche: la nuova tendenza in ambito sportivo è volta a integrare la quantità di ossigeno nei tessuti mediante tecniche di ossigenoterapia topiche o sistemico inalatorie. (Alex Rizzato, BSc; Silvia Quartesan, PhD Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Padova)
48
12.40
Carico di allenamento e recupero
z Antonio La Torre - Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi Milano
P
erché ci si allena? La domanda è assolutamente pertinente. Ci si allena per agire sull’organismo al fine di determinare dei cambiamenti tali per cui l’organismo stesso sia in grado di fornire una prestazione migliore.
L’allenamento, quindi, può essere definito come la sistematica ripetizione di uno o più esercizi fisici (carichi) volti a causare diverse tipologie di adattamenti a loro volta correlati a intensità, volume, densità, frequenza, tipologia di carico di lavoro. Studi scientifici hanno mostrato come per un atleta di alto livello i margini di adattamento diventano sempre più ridotti e con essi anche i margini di miglioramento. Perché anche questi adattamenti minimi siano conseguiti è importante considerare le fasi di adattamento e la scelta corretta degli stimoli, ma anche le fasi di recupero a seguito della somministrazione di uno stimolo. Il recupero, quindi, dovrebbe essere sempre considerato come parte integrante dell’allenamento in quanto non soltanto strumento indispensabile per smaltire la fatica accumulata a seguito di una o più sedute di allenamento, ma anche per permettere ai processi di adattamento di operare in maniera efficace ed efficiente. Di conseguenza, si dovrà stabilire di volta in volta quale sia la durata ottimale di ciascun allenamento e controllare, durante lo svolgimento dell’allenamento stesso, se si stiano verificando gli adattamenti prefissati o meno. Occorre, quindi, sottolineare come il controllo dell’allenamento è importante non soltanto perché permette di verificare l’accuratezza degli stimoli utilizzati, ma anche per poter intervenire prontamente in caso ci si accorga di una risposta adattattiva non prevista. Inoltre, al fine di valutare la qualità dell’allenamento proposto non è sufficiente monitorare solo il carico esterno, è bensì indispensabile associare il monitoraggio del carico interno, ovvero quanto avviene all’interno dell’organismo durante la somministrazione di un determinato stimolo di allenamento. Il carico di allenamento viene definito tramite alcuni parametri: intensità (forza dello stimolo allenante), volume (durata e numero di stimoli per unità di allenamento), densità (rapporto tra stimolo e recupero) e frequenza (numero di unità di allenamento quotidiane o settimanali). Ecco perché l’approccio all’allenamento oggi non può più prescindere dal considerare insieme carico e recupero. (Massimiliano MazzilliScuola di Scienze Motorie, Università degli Studi di Milano)
13.05
DISCUSSIONE
13.15
LUNCH Moderatore: Antonio Paoli
14.00
Il recupero del muscolo: ruolo dell’autofagia
z Vanina Romanello - PhD, assistant professor del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova
I
I muscoli sono le principali riserve energetiche del corpo e servono come risorsa di aminoacidi, i quali possono essere utilizzati per la produzione di energia da vari organi, come cuore, fegato e cervello, durante periodi di calo
energetico. Il trofismo delle fibre muscolari è controllato da due processi opposti, la sintesi proteica e la degradazione proteica. È noto che l’esercizio per tempi prolungati aumenta la sintesi proteica e può portare a importanti miglioramenti della fisiologia muscolare. L’eccessiva attivazione del sistema degradativo nel muscolo scheletrico può essere molto dannosa per il corpo umano e portare a morte. L’atrofia muscolare è una conseguenza debilitante di digiuno, cancro, denervazione e altre patologie sistemiche. Una diminuzione della sintesi proteica e un parallelo aumento della degradazione sono stati dimostrati contribuire alla perdita di massa: infatti, in queste condizioni, i due principali sistemi degradativi, ubiquitina-proteasoma (UPS) e autofagico lisosomiale (ALS), sono attivati. Tuttavia, l’identificazione di una precisa cascata di segnali che porta alla perdita della massa muscolare rimane ancora poco chiara. Capire quali sono i segnali che controllano il mantenimento della massa muscolare è un importante step per trovare un buon target per lo sviluppo di nuovi farmaci che possano bloccare la perdita di massa.
14.30
Digiuno e sport: un connubio impossibile?
z Pierluigi Pecoraro - StudioSANA, Torre del Greco (NA)
49
10 MAGGIO 2017
N
egli ultimi anni il digiuno ha suscitato un notevole interesse nel mondo della ricerca per le sue applicazioni come approccio terapeutico soprattutto nella sua forma di digiuno intermittente (Klempel et al. 2013;
Rothschild et al. 2014). In generale gli effetti del digiuno sono stati studiati paragonandoli a quelli della restrizione calorica (Longo and Mattson 2014). Nel mondo dello sport i periodi di astensione dall’alimentazione sono stati studiati soprattutto per quanto riguarda il Ramadam (Alkandari et al. 2012) indicando in genere una sostanziale non influenza sulla performance. Recentemente modelli particolari di digiuno intermittente (time restricted feeding o TRF), 16/8: 16 ore di digiuno e 8 ore di alimentazione, sono stati studiati su soggetti che si allenavano con sovraccarichi (Moro et al. 2016; Tinsley et al. 2016), suggerendo come questa modalità di digiuno non influisca sulla forza ma riduca la percentuale di grasso a parità di calorie (Moro et al. 2016) diminuendo al contempo gli indici di infiammazione. Il TRF sembra non avere effetti negativi sulla massa muscolare (almeno a breve termine) riducendo però le concentrazioni di ormoni anabolici. In regime non controllato il TRF porta invece, a lungo termine, (un anno) a una spontanea riduzione dell’apporto calorico con valori più bassi di IGF-1 e testosterone e riduzione della massa muscolare.
14.55
Il recupero nel calciatore d’élite: un elemento fondamentale per la preservazione dell’integrità fisica dell’atleta z Bill Tilson - athletic trainer certified (ATC)
U
na partita di calcio porta a un decremento fisico della prestazione in relazione alle variazioni di alcuni parametri psico-fisiologici che gradualmente tornano ai valori normali durante il processo di recupero. Nel calcio di élite,
i giocatori spesso giocano partite molto ravvicinate tra loro, con anche solo tre giorni di distanza tra un match e il successivo, durante i quali peraltro si allenano; un recupero inadeguato in questi casi può facilmente portare a una diminuzione della performance o anche a un maggior numero di infortuni. Per ridurre la fatica, accelerare il tempo di un recupero completo e ridurre la possibilità di infortuni da tempo si stanno studiando molte strategie. La fatica ha origini multifattoriali e molto comunemente è stata correlata alla disidratazione, alla deplezione di glicogeno, al micro-danno muscolare e alla fatica mentale (centrale). Le strategie di recupero vanno indirizzate verso queste cause. L’apporto nutrizionale, le immersione in acqua fredda o la crioterapia, il sonno, il recupero attivo, lo stretching,
vari metodi di compressione e drenaggio, il massaggio e la stimolazione elettrica sono alcune delle strategie che vengono utilizzate. Uno studio che ha esaminato il calcio di élite ha mostrato che l’immersione in acqua fredda e quella con contrasto di temperature (88%), il recupero attivo (81%), il massaggio (78%), lo stretching (50%), le terapie di compressione (22%), e la stimolazione elettrica (13%) sono le strategie più utilizzate (Nedelec et al, 2012). Da uno studio collaterale emerge come nutrizione e idratazione siano da considerarsi metodi di recupero molto efficaci (Nedelec et al, 2013). 15.20
Alimentazione nel recupero del calciatore
z Matteo Pincella - biologo nutrizionista e preparatore fisico
O
ggi più di ieri la frequenza ravvicinata delle competizioni calcistiche e il livello di fisicità richiesto sul campo da gioco impongono di considerare con attenzione strategie mirate al recupero fisico individuale. La ricerca
scientifica avanza, permettendo a chi lavora a contatto con i giocatori di proporre soluzioni nutrizionali in grado di provare a ridurre i tempi necessari al ripristino della massima forma fisica. Tali soluzioni possono avere una valenza determinante per ridurre l’insorgenza precoce della fatica nelle gare successive. La bibliografia a nostra disposizione indica disidratazione, esaurimento del glicogeno e microlesioni muscolari come principali punti sui quali porre attenzione. L’intervento ha lo scopo di illustrare la mia personale esperienza sul campo in qualità di fruitore delle scoperte fatte dalla ricerca e adattate ad personam alle necessità oggettive di ogni singolo atleta.
15.45
DISCUSSIONE
16.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
50
FOCUS ON: SALUTE ALIMENTARE E CORRETTO STILE DI VITA PER UN “SUCCESSFUL AGING” I SESSIONE Moderatori: Vittorio Calabrese; Damiano Galimberti 09.00
Il DNA test del microbiota intestinale
z Barbara De Giorgio - product specialist, Gruppo Labospace srl
I
l microbiota intestinale è l’insieme di tutti i microrganismi che vivono in simbiosi nel nostro intestino, mentre, tutti i rispettivi genomi costituiscono il microbioma. Il microbiota intestinale non è stabile durante l’arco della vita di un
individuo, ma subisce modificazioni in funzione dell’età, dell’alimentazione, dello stato di salute e del consumo di antibiotici. Il microbioma svolge numerose funzioni tra cui: produzione di metaboliti, regolazione dell’assorbimento di sostanze nutritive, regolazione del sistema immunitario e protezione da patogeni. Lo studio del microbiota ha subito una rapida evoluzione con lo sviluppo delle piattaforme di sequenziamento di nuova generazione che consentono l’analisi simultanea di intere comunità di microrganismi, attraverso il sequenziamento delle regioni ipervariabili del 16S rRNA. Dall’analisi e dal raggruppamento delle sequenze per grado di similarità è possibile effettuare l’assegnazione tassonomica e quantificare l’abbondanza relativa di ogni specie. I principali phyla identificati a livello intestinale sono quello dei: Firmicutes, Bacterioides, Proteobacteria, Fusobacteria, Cyanobacteria e Verrucomicrobia. Oltre ai batteri, un altro dominio di microrganismi identificato mediante queste nuove tecnologie è quello degli archeabatteri. Infine, l’analisi di questi dati permette di calcolare importanti parametri per la valutazione dello stato di salute dell’individuo quali: biodiversità (ricchezza di specie batteriche presenti) ed enterotipo di appartenenza (batteri predominanti).
09.15
GUT Microbiota e GUT Microbioma: correlazioni con aging stress
z Alessandro Gelli - presidente Accademia delle scienze Uranus-Salute e benessere globale, Head master accademico in aging and stress management. Responsabile scientifico e docente corso Ecm in Strategie e metodologie pratiche anti aging e anti stress (Omceo), Ordine dei medici di Roma
L’
influenza del GM e del suo Gut microbioma appare, in base anche alle recenti pubblicazioni, sempre più marcata e molto più rilevante rispetto a quanto si potesse ipotizzare sino a pochi anni addietro. La gestione efficace dell’a-
ging passa necessariamente sia dalla gestione tecnica dello stress sia dal mantenere il GM con un assetto-equilibrio adatto per la salute. Lo stress cronico non gestito, così come l’alimentazione errata, agiscono marcatamente in modo negativo sulla interazione tra strutture neuronali, Gut e GM. Le “Metodologie Anti Aging e Anti Stress”, come sistema completo, si basano su un’azione di riequilibrio globale a più livelli per coadiuvare il riequilibrio del GM e del GBA. Per avere più probabilità di successo, considerando un piano di gestione dell’aging e dello stress (aging and stress management) è necessario che le pratiche e le tecniche psico-fisiche siano davvero efficaci e quindi fortemente personalizzate, così come l’alimentazione. Quest’ultima, infatti, in uno stato di disbiosi va rielaborata, talvolta anche profondamente, eliminando alimenti (riduzione o eliminazione di glutine e lattosio, ecc) e inserendone altri, utilizzando sostanze naturali per aiutare il Gut e il riequilibrio del GM (lattoferrina, 1-3 beta glucani, estratto di semi di pompelmo, quercetina, etc.), cercando gradualmente di far tornare lo stato di eubiosi. In sintesi, alla luce delle più recenti scoperte, sembra importante per ogni tipo di patologia e disturbo agire, mediante le molteplici strategie attualmente a disposizione, anche sul riequilibrio del GM e sul corretto interscambio del GBA. Questa azione di base è necessaria per favorire l’iter terapeutico riferito anche a una specifica patologia, nonché per gestire con successo stress e aging. Le recentissime scoperte hanno apportato non solo più conoscenza, ma anche più consapevolezza,
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10 MAGGIO 2017 base per la motivazione: infatti un percorso aging and stress management è maggiormente possibile rispetto al passato ma, tendenzialmente è necessaria un’applicazione piuttosto costante del sistema pro eubiosi del GM, che ha come fondamenta la gestione quotidiana dello stress, l’alimentazione e l’integrazione personalizzata. 09.35
GUT Microbiota e GUT Microbioma: correlazioni con l’alimentazione e la salute
z Serena Missori - medico, specialista in Endocrinologia e Diabetologia, nutrizionista, cefalee, Medicina Anti Aging e Anti Stress, presidente AINMA, Accademia Italiana di Nutrizione e Medicina Anti Aging
È
ormai appurato che l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale nel benessere e nel mantenimento della salute, soprattutto del GUT Microbiota e nel GUT Microbioma. La popolazione microbica e fungina residente
nel nostro apparato è chiamata in causa nel nostro benessere, nel mantenimento dell’omeostasi, nella sintesi e la produzione dei neuro trasmettitori e degli ormoni ed è anche responsabile in parte di quella che viene definita endotoxemia metabolica, che innesca meccanismi infiammatori che possono sfociare in malattie cardiovascolari e malattie metaboliche. L’alimentazione quindi deve essere mirata e funzionale, in grado di favorire una migliore coabitazione di tutte le specie batteriche e micotiche presenti nell’intestino.
09.55
Micoterapia e modulazione dell’espressione genica: razionale per un utilizzo preventivo e di supporto z Stefania Cazzavillan - biologa, specializzata in Genetica
I
l termine epigenetica si riferisce alle modificazioni del DNA ereditabili, alcune di esse reversibili, che avvengono senza modificazioni della sequenza del DNA. La ricerca nell’ultima decade ha evidenziato un suo importante ruo-
lo nella regolazione differenziale di geni e dei loro prodotti in stretta relazione con l’organizzazione fisica del DNA genomico. I meccanismi epigenetici coinvolgono la metilazione del DNA, le modificazioni istoniche e la regolazione dell’espressione genica a opera di RNA non codificanti. Una regolazione aberrante dei meccanismi epigenetici può portare allo sviluppo di malattie croniche quali il cancro, le malattie cardiovascolari e le patologie neurogenerative. Stimoli ambientali, alimentazione, integrazione e attività fisica possono influenzare la regolazione epigenetica e quindi l’espressione genica. I funghi medicinali sono stati molto studiati negli ultimi anni in vitro e in vivo e numerosissime evidenze hanno evidenziato la loro azione di regolazione dell’espressione genica, e ultimamente anche la loro capacità di modificare i meccanismi epigenetici sia a livello di metilazione del DNA sia come produzione di RNA non codificanti. In quest’ottica, poiché le alterazioni epigenetiche sono alla base dell’esordio e dell’evoluzione di molte patologie, il loro utilizzo potrebbe costituire un ottimo strumento di prevenzione e un supporto nel rallentamento della progressione di eventuali condizioni cliniche già in atto proprio attraverso un’azione di regolazione dell’espressione genica.
10.10
Detossificazione e chemoprevenzione
z Giovanni Battista Gidaro - biologo, MSc. Statistica Medica e Genomica
S
iamo portati a considerare ciò che vediamo abitualmente intorno a noi come sicuro per la nostra salute. In realtà anche nella vita di ogni giorno possiamo essere esposti a xenobiotici di varia natura attraverso la via orale, quella
inalatoria e quella cutanea. La maggior parte di queste sostanze tossiche sono immesse nell’ambiente dall’uomo (pesticidi, insetticidi, fungicidi, fumiganti, diossina, PCB, metalli pesanti) e l’esposizione cronica a bassi livelli produce effetti tossici nel lungo termine. Alcune sostanze tossiche, come gli ftalati e i parabeni, si ritrovano in prodotti per la cura personale (per esempio, cosmetici) e di uso quotidiano (detergenti) e l’esposizione cronica a tali sostanze può risultare in un’alterazione del quadro ormonale. La capacità di detossificare gli xenobiotici dipende in buona parte dal profilo genetico e dalla presenza di polimorfismi nei geni codificanti per gli enzimi detossificanti. Alterazioni genetiche in questi enzimi sono associate a un maggiore rischio di tumore, a parità di altri fattori di rischio. La conoscenza del genotipo individuale consente di individuare i soggetti con ridotta capacità detossificante e di attuare strategie di prevenzione fondate sull’alimentazione, sull’integrazione con nutraceutici e sulla riduzione dell’esposizione alle sostanze tossiche.
10.30
Carcinogenesi e alimentazione
z Alberto Izzotti - Dipartimento Scienze della Salute, Università di Genova, IRCCS AOU San Martino IST Genova
L’
alimentazione rappresenta il maggiore fattore di rischio per l’insorgenza di cancro. I tumori maggiormente correlati con l’alimentazione sono quelli di stomaco, colon, fegato, pancreas, prostata, mammella ed endometrio.
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La dieta può essere cancerogena per sue alterazioni quantitative e/o qualitative. Una dieta ipercalorica rispetto alle calorie consumate porta a sindrome metabolica, diabete, sovrappeso e obesità, tutti fattori di rischio importanti per il cancro. Anche le diete normocaloriche possono però essere cancerogenetiche se qualitativamente caratterizzate dalla presenza di cancerogeni. Le fonti principali di cancerogeni alimentari derivano dalla manipolazione degli alimenti per finalità di cottura o di conservazione. La cottura di cibi proteici alla fiamma rappresenta un importante fattore di rischio del cancro con particolare riferimento al carcinoma del colon. Cotture a minori temperature sono in grado di prevenire l’esposizione a questo fattore. La cottura a elevate temperature produce derivati cancerogeni anche dagli amidi complessi (acrilammine) e semplici (5-idrossimetilfurfurale). L’addizione di nitrati alle carni (insaccati) è uno strumento fondamentale di conservazione ed è inoltre utile per prevenire il botulismo. Tuttavia nell’ambiente acido gastrico, gli amminoacidi interagiscono con i nitrati realizzando la reazione di nitrosazione il cui risultato è la produzione di nitrosammine potentemente cancerogene per stomaco e colon. È interessante notare come la reazione di nitrosazione può essere inibita dalla presenza negli alimenti di acido citrico. Pertanto il consumo di agrumi con gli alimenti o a fine pasto è un efficace strumento di prevenzione del cancro. La conoscenza degli specifici meccanismi di cancerogenesi realizzati dalle eterogenee componenti dell’alimentazione permette oggi di mettere in atto efficaci misure di prevenzione primaria del cancro focalizzate sul corretto stile di vita alimentare. 10.50
DISCUSSIONE
11.00
COFFEE BREAK II SESSIONE Moderatori: Vittorio Calabrese; Samir Sukkar
11.20
Dalla protemica alla metabolomica anti-aging: ruolo dei vitageni
z Vittorio Calabrese - School of Clinical Biochemistry and Clinical Pathology, Faculty of Medicine, University of Catania, Italy
E
fficient functioning of maintenance and repair processes is crucial for both survival and physical quality of life. This is accomplished by a complex network composed of several genes termed vitagenes1-8. The term vitagenes
refers to a group of genes which are strictly involved in preserving cellular homeostasis during stressful conditions. The vitagene family is actually composed of the heat shock proteins (Hsp) the thioredoxin and the sirtuin system9. Dietary antioxidants, such as polyphenols and nutritional mushrooms, are neuroprotective through the activation of hormetic pathways, including vitagenes10-12. Recently, there has been a remarkable increase of interest in hormesis. Hormetic dose-response has the potential to affect the design of pre-clinical studies and clinical trials as well as strategies for optimal patient dosing in the treatment of numerous diseases. With a redox proteomics approach we have recently focused our research on the role of Hydroxytyrosol and mushrooms, such as Coriolus versicolor and Hericium erinaceus against cellular stress and neurodegeneration. Our findings are relevant to potential pharmacological interventions in healthy medicine strategy, pointing to maximize cellular stress resistance of the brain thus providing neuroprotection9-12, and will be extended to other systemic oxidant disorders such as diabeties and cancer.
11.40
I centenari come modello di successful aging
z Giulia Accardi - PhD, docente a contratto di Patologia Generale, Università degli Studi di Palermo, Scuola di Medicina e Chirurgia
L’
invecchiamento è un processo inevitabile che inizia quando nasciamo e termina con la morte. Può evolversi con e senza successo e, convenzionalmente, un soggetto si definisce anziano a partire dal 65° anno di età. I
centenari rappresentano il miglior modello di invecchiamento di successo, ovvero il miglior modello per studiare i meccanismi e le eventuali strategie da mettere in atto nel corso della vita per vivere a lungo in buona salute, seppur con disturbi e disabilità, ma senza l’insorgenza di patologie età-correlate gravi. Se da un lato la genetica costituisce la base per poter arrivare a 100 anni, dall’altro è necessaria una buona combinazione di fattori ambientali. Ciò al fine di ridurre l’insorgenza di tali patologie e di modulare, a livello molecolare, alcune vie di segnalazione
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10 MAGGIO 2017 che possano variare l’estensione della durata della vita. Tali vie prendono il nome di Nutrient-Sensing Pathway e includono la via dell’IGF-1/insulina e quella del mTOR. Evidenze scientifiche provano, inoltre, che grande aiuto proviene dallo stile di vita mediterraneo che include l’assunzione giornaliera di nutraceutici e cibi funzionali nonché una costante dose di esercizio fisico, come dimostrato da studi condotti sui centenari delle zone blu e di Sicilia. 12.00
Inibizione dell’angiogenesi a mezzo di fitonutrienti
z Adriana Albini - direttore scientifico Fondazione MultiMedica Onlus, direttore Laboratorio di Biologia Vascolare e Angiogenesi IRCCS MultiMedica, Sesto San Giovanni e Milano
L’
interesse per la prevenzione di patologie ad alta incidenza nella nostra società ha acquistato in questi anni sempre più rilevanza per il suo impatto sulla sopravvivenza. Dal momento che un trattamento farmacologico
preventivo deve essere protratto nel tempo, requisito fondamentale è che sia poco tossico per evitare che il costo, in termini di effetti collaterali, sia maggiore del beneficio. Recenti studi hanno dimostrato che alcuni derivati della dieta, come il tè verde, la curcumina del curry, gli isoflavoni della birra e del vino, le vitamine del gruppo A ed E, il selenio e la soia, diminuiscono il rischio di tumore. Tra i molti composti che hanno mostrato un notevole potenziale terapeutico vi sono i flavonoidi. Noi abbiamo condotto studi sperimentali su diversi fitonutrienti, in particolare lo Xantumolo (XN), contenuto nel luppolo della birra, che possiede proprietà antileucemiche sorprendenti e a dosi basse. La pianta del luppolo e le sue infiorescenze femminili (hop cones o hops) contengono diversi tipi di flavonoidi prenilati che hanno mostrato un’attività anti-tumorale in sistemi sperimentali di laboratorio. Tra questi lo XN è il più abbondante. Dai nostri studi appare che possa inibire proliferazione e vitalità di cellule tumorali e ha evidenziato la capacità di interferire con le cellule endoteliali inibendo l’angiogenesi, uno dei fenomeni che spesso occorre durante le fasi acute nei pazienti oncologici. La doppia capacità di colpire direttamente le cellule maligne e di inibire le cellule endoteliali sottolinea ancor più le promettenti caratteristiche anti-tumorali di questo composto e ne suggerisce un suo uso come chemiopreventivo, ovviamente in combinazione con altri farmaci. Un altro derivato sintetico dei terpeni oleanici, chiamato CDDO-Me, è un potente “farmaco” anti-angiogenico. Questa molecola è anche antinfiammatoria. Date le promettenti attività di questo terpenoide sintetico sono stati condotti studi clinici di fase I negli Stati Uniti per varie neoplasie. I terpeni sono oli essenziali, il più noto è il limonane che si trova nella scorza degli agrumi.
12.20
Infiammazione, nutrizione e cancro
z Benvenuto Cestaro - professore di Chimica Biologica e Biochimica della Nutrizione della Facoltà di Medicina di Milano
L
a diminuita efficienza mitocondriale e la concomitante perdita di fluidità delle membrane cellulari sono tra i marker più predittivi dell’invecchiamento e delle co-morbilità a esso correlate, in primis il cancro. L’irrigidimen-
to delle membrane biologiche è causato da diversi eventi biochimico-molecolari, quali un aumento dei processi infiammatori e di perossidazione (che comportano danni strutturali a carico delle proteine e dei fosfolipidi di membrana) e delle mutazioni genetiche a carico del DNA. Le proteine di membrana perdono il loro grado di libertà e la possibilità di movimento all’interno del bilayer lipidico “irrigidito”, con minore probabilità statistica di collidere con i propri ligandi. Da ciò origina un progressivo deterioramento di tutte quelle omeostasi metabolico-funzionali delle cellule alla base del controllo dell’infiammazione e dei processi perossidativi. Si pensi alle attività dei complessi enzima-substrato, recettore-ormone (o neurotrasmettitore), carrier proteici-nutrienti e proteine-canale per gli ioni. Conoscere questa spirale di danni biochimico-funzionali è fondamentale per evidenziare il grande ruolo che dieta e integratori nutrizionali, personalizzati ai fabbisogni dei singoli pazienti, possono giocare per prevenire questi eventi fisiopatologici e/o coadiuvarne il trattamento farmacologico.
12.40
Nutraceutici come endo-modulatori dell’espressione genica: nuovi modelli interpretativi epigenetici
z Damiano Galimberti - specialista in Scienza dell’Alimentazione, Presidente AMIA - Associazione Medici Italiani Anti-Aging
E
at right for your genotype, mangia giusto in relazione al tuo genotipo: nasce così il concetto di nutraceutico, evoluzione moderna del vecchio termine di integratore. Un mix di sostanze in grado di interagire con il proprio
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assetto costituzionale (genotipo) in funzione della sua interazione con l’ambiente (fenotipo). Assumono pertanto il ruolo di modulatori cellulari e funzionali in grado di assicurare un’ottimizzazione dei processi fisiologici dell’organismo umano. L’epigenoma, in un certo qual senso, decide quale gene debba essere on (acceso), oppure off (spento) in una singola cellula, comportando un segnale di specifica espressione genica. L’epigenoma è inoltre suscettibile di una varietà di stimoli ambientali, quali l’alimentazione: ogni volta che si mangia, in pratica si cambia la composizione del sangue in funzione delle molecole ingerite attraverso i cibi e si genera uno stato metabolico, ormonale, genico, che rende diverso l’organismo da quello che era prima del pasto o dell’introduzione del nutraceutico. A questo proposito, fitochimici alimentari, i nutraceutici, sono emersi come una fonte promettente di molecole in grado di invertire le stesse alterazioni epigenetiche e di regolare attivamente l’espressione genica e molecolare anche per prevenire le patologie cronico-degenerative proprio grazie a modulazioni epigenetiche. 13.00
La steatosi epatica non alcolica: un aiuto dalla nutrigenetica per la sua prevenzione
z Vittorio Lucchini - responsabile R&D area nutrigenetica, NGB Genetics Srl
L
a steatosi epatica non alcolica (NAFLD), più comunemente detta fegato grasso, è una patologia del fegato caratterizzata dall’accumulo di trigliceridi nel tessuto epatico. L’eccesso di questi acidi grassi protratto nel tempo
può innescare un processo infiammatorio cronico che può successivamente degenerare in steatoepatite, con la conseguente compromissione dell’attività funzionale del fegato e gravi conseguenze per la salute. La NAFLD è fortemente associata all’obesità e sta diventando una delle patologie più comuni nelle società industrializzate. Recenti studi hanno scoperto alcune varianti genetiche che rendono una persona più predisposta di altre a sviluppare il fegato grasso e, in alcuni casi, a essere più a rischio di evolvere la patologia nella forma più grave di steatoepatite. Lo studio di alcuni geni ha dimostrato che esiste una relazione tra specifici polimorfismi e la predisposizione alla NAFLD e al maggior rischio di cronicizzazione ed evoluzione in steatoepatite. Queste varianti però non sono di per sé sufficienti a far sviluppare la patologia, ma necessitano di una condizione ambientale favorente, spesso dovuta a sovrappeso o carenze nutrizionali. Per questo motivo un’attenta cura della propria alimentazione e una riduzione del peso, in particolare nei soggetti a rischio, può diventare un fattore determinante nella prevenzione della patologia e della gravità del suo decorso.
13.15
DISCUSSIONE
13.30
LUNCH III SESSIONE Moderatori: Francesco Balducci; Massimo Spattini
14.00
Cibo secondo natura: non solo alimentazione ma anche prevenzione
z Francesco Balducci - medico antiaging esperto in alimentazione secondo natura
O
ggi più di ieri è fondamentale scegliere con cura il cibo al fine di mantenere uno stato di benessere e fugare le svariate malattie degenerative correlate sia a pessimi stili di vita sia a scorretta alimentazione, soprattutto
di derivazione industriale. Troppo sovente il cibo è considerato soltanto fonte di calorie, mentre è un potente induttore ormonale in grado di condizionare e regolare il nostro assetto ormonale, rallentando o incrementando il nostro invecchiamento. Inoltre, il cibo ha una valenza essenziale anche per l’equilibrio acido basico. Da ultimo, ma non per importanza, il cibo può influenzare l’espressione dei nostri geni, accendendo o spegnendo polimorfismi sia positivi sia negativi. Ecco quindi perché il cibo, secondo natura e specie specifico per l’essere umano, è il primo contrafforte nella prevenzione dell’invecchiamento deleterio.
14.20
Ritmi circadiani e nutrizione z Massimo Spattini - specialista in Scienza dell’Alimentazione e in Medicina dello Sport, presidente AFFWA (Accademia Funzionale del Fitness-Wellness-Antiaging), professore a contratto Università degli Studi di Salerno
55
10 MAGGIO 2017
L’
orologio circadiano è sincronizzato sulle 24 ore e risponde a stimoli precisi luce/tenebre ed è quel complesso meccanismo che regola i nostri ritmi vitali quotidiani in completa sintonia con l’ambiente esterno. Comprende
tutte le funzioni dell’organismo che oscillano in modo ritmico: organi (sistole e diastole), pressione del sangue, temperatura corporea, battito del polso, ecc. La luce influenza l’ipotalamo e questi agisce sull’orologio circadiano in due modi: uno direttamente attraverso l’occhio, l’altro indirettamente attraverso la maggiore o minore produzione di melatonina, secreta dalla ghiandola pineale, la cui produzione aumenta al buio e diminuisce alla luce. Un regolare ciclo di sonno e veglia fa sì che il nostro orologio biologico influisca positivamente sulla produzione ormonale, ottenendo una sufficiente condizione di vigilanza diurna e un soddisfacente riposo notturno. Durante il sonno i bassi livelli di adrenalina e di corticosteroidi, danno la possibilità all’organismo di sfruttare i più elevati livelli di ormone della crescita, prodotto dall’ipofisi nelle ore notturne. Negli esseri umani la temperatura corporea si alza e si abbassa di circa un grado con ciclo giornaliero, e altrettanto fanno la pressione del sangue, l’attività ormonale, gli enzimi e numerosi fattori. Il cortisolo è soggetto a una secrezione basale costante nelle 24 ore, con una fase impulsiva di primo mattino, mentre il minimo è notturno. Anche la regolarità dei pasti influisce sui ritmi circadiani. Una migliore comprensione del loro funzionamento molecolare potrà sicuramente portare a terapie per la cura dei disturbi del sonno e altri disordini psichici e organici.
14.40
Ossido Nitrico, alimentazione e stili di vita
z Marco Tullio Cau - coordinatore della Wellness Clinic Salvator Mundi International Hospital EFS/ESSM Certified Psycho-Sexologist, laureato in Psicologia, Sociologia e Scienze della Comunicazione, Master in Psicologia dello Sport, Master in Psicologia del Comportamento Alimentare, Master in Nutrizione Clinica, Master In Sessuologia
L
a relativamente recente “scoperta” dell’ossido nitrico (1998) ha consentito a tre ricercatori di guadagnarsi un Nobel e la storia di questa sostanza è curiosamente legata proprio ad Alfred Nobel e alla sua dinamite: infatti le prepa-
razioni orali basati sulla nitroglicerina favoriscono il rilascio proprio dell’ossido nitrico e uno dei premiati di cui sopra, Ignarro, era un appassionato degli studi dello stesso chimico svedese. Questo elemento gassoso si presenta in natura come monossido d’azoto ed è altamente inquinante; nel corpo umano invece, almeno fino a un certo punto, svolge numerose azioni benefiche: modula la trasmissione nervosa, favorisce il rilassamento della muscolatura liscia (non volontaria) con un’azione vasodilatatoria sull’endotelio, migliora le difese immunitarie, diminuisce l’aggregazione piastrinica (mediante un effetto antitrombotico) e stimola la mitocondrogenesi. È utile anche nella pratica sportiva e il suo re-uptake è alla base del funzionamento dei noti inibitori delle fosfodiesterasi V, le famose pilloline bleu! Per sfruttarne le doti positive è necessario seguire una dieta corretta e fare dell’attività fisica in maniera continuativa: i giusti nutraceutici potranno poi aiutare a magnificarne ulteriormente le potenzialità e anche a ridurne i possibili effetti negativi.
15.00
La lifestyle medicine
z Elisabetta Bernardini - Lifestyle Medicine consultant, Corso post laurea di Alta Formazione in “Health Sciences -The Lifestyle Medicine”, Harvard Medical School (Boston, USA) e Università La Sapienza, Roma
L
a Lifestyle Medicine, nata nel 1999 alla Harvard Medical School, viene definita come il campo interdisciplinare della medicina, delle scienze psicosociali, della salute pubblica e della biologia. Il suo fondamento sta nel rico-
noscere il ruolo centrale degli stili di vita nel causare l’insorgenza delle malattie del nostro secolo. È un insieme di protocolli scientifici elaborati a partire da scoperte e ricerche mondiali e che muove dai due presupposti fondamentali: il presupposto epigenetico e l’evidenza, a esso collegata, che le cause di morbiditá e mortalità sono drasticamente cambiate nel corso degli ultimi cent’anni e sono riconducibili alle noncommunicable diseases (NCD), malattie croniche non trasmissibili. La Lifestyle Medicine si prefigge l’uso terapeutico di interventi che richiedono ai pazienti di sostituire comportamenti e abitudini altamente rischiosi per la salute, relativi ad alimentazione, uso di alcool, tabacco, esercizio fisico, gestione dello stress e delle emozioni, scelte di vita sociali, relazionali, e di ambiente, per contrastare le cause che innescano i processi patologici; il tutto in un setting clinico, applicando principi di medicina, insieme a quelli comportamentali e motivazionali, psicosociali e ambientali. È una medicina personalizzata, predittiva, preventiva, con un grande scopo di promozione della salute, attraverso la necessaria divulgazione scientifica e attraverso l’alfabetizzazione del paziente, che è chiamato a partecipare attivamente al
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processo di cura, assumendosi responsabilità e attuando scelte di vita corrette, supportato nel proprio percorso di cambiamento non più dal singolo medico, ma da un team di professionisti della salute, con differenti competenze complementari e che opera in sinergia. 15.20
Biofeed back nella gestione dello stress e dell’ormesi: update
z Paolo Conforti - medico in formazione specialistica presso la Medicina dello Sport di Bologna-Ferrara
N
el mondo odierno ritmi frenetici e abitudini di vita poco salutari portano l’uomo a gestire uno stress che può pesantemente condizionare la qualità della vita e la performance. L’alimentazione e l’attività fisica strutturata
sono senz’altro la base per il cambiamento dello stile di vita, ma spesso vengono vissuti in modo ostile vanificando parte dei risultati. In quest’ottica risulta quindi fondamentale un intervento per modulare le reazioni fisiologiche che l’organismo mette in moto in risposta a queste alterate percezioni. Il biofeedback è utilizzato per dare al soggetto informazioni sullo stato del suo sistema autonomico. L’analisi della coerenza cardiaca può essere impiegata per la valutazione dello status di questo sistema e delle sue risposte in funzione a determinati stimoli o condizioni. Ci sono device completi che rilevano molte variabili fisiologiche oppure ci sono strumenti più semplici (da campo) che possono permettere una valutazione veloce in qualsiasi momento della giornata. Se il feedback che riceviamo dallo strumento è alterato o se desideriamo implementare le nostre capacità di compenso e gestione dello stress questi device permettono di allenare il sistema parasimpatico mediante tecniche di respirazione guidate dal sistema che riportano la condizione in equilibrio, mettendo l’organismo in condizione di gestire al meglio gli altri interventi.
15.40
Protocollo normoproteico chetogenico: aspetti di efficacia e sicurezza
z Marco Marchetti - farmacista, giornalista pubblicista, laureato in Biologia della nutrizione
I
l sovrappeso e l’obesità sono due fenomeni in costante aumento nella società moderna. Stili di vita errati e abitudini alimentari scorrette sono soltanto alcune delle cause. La dieta mediterranea, intesa come corretto stile di
vita oltreché come corretto regime alimentare basato sulla piramide alimentare mediterranea, pur rappresentando il cardine della corretta alimentazione, presenta delle criticità che la rendono scarsamente efficace nelle terapie alimentari tese al dimagrimento a causa della bassa compliance. In quest’ottica il protocollo normoproteico chetogenetico rappresenta la scelta di elezione per un dimagrimento inteso nella corretta accezione del termine, poiché garantisce una perdita di massa grassa in tempi brevi e in totale sicurezza per il paziente. Caratteristiche di un protocollo proteico chetogenetico sono infatti l’efficacia, la velocità e la sicurezza. In questo lavoro, tramite l’illustrazione di decine di casi clinici trattati, con il conforto di studi pubblicati, avvalendoci del sussidio di testi noti e accreditati e, attraverso lo studio osservazionale dei risultati forniti da un software normalmente in commercio, verrano illustrati i risultati e i profili di efficacia e sicurezza che un protocollo normoproteico chetogenetico ha garantito, in tempi inferiori ai 30 giorni di terapia, a più di 200 pazienti trattati.
15.55
Infiammazione e neuroinfiammazione. Nuovi contributi della low dose medicine e della nutrizione fisiologica z Leonello Milani - MD, PhD, direttore scientifico de La Medicina Biologica e di Physiological Regulating Medicine
N
ell’ultimo decennio è divenuto sempre più evidente che l’infiammazione cronica sistemica di basso grado (ICSBG) sia il primum movens di molte gravi malattie -sistemiche e non- caratteristiche dei Paesi industrializza-
ti, centrate su quello che è stato definito il quartetto mortale: obesità, alterata omeostasi del glucosio, ipertensione e dislipidemia aterogenica. Tra i fattori proinfiammatori dell’alimentazione: eccessivo consumo di trigliceridi, ac. grassi trans, alterata ratio Ω6/Ω3, basso intake di vitamine D, K e di Mg; molti grassi/poche fibre, carboidrati ad alto indice glicemico, sbilanciamento pro-ossidasi/anti-ossidasi, scarsa assunzione di verdura/frutta. I fattori indiretti dieta-correlati: composizione anomala della flora batterica del cavo orale e dell’intestino; pato-stress/distress cronico; fumo+inquinamento ambientale. Nei siti di sofferenza adipocitaria i macrofagi M1 formano cluster e cooperano con le cellule giganti mononucleate all’innesco della cascata mortale sostenuta da: a) aumento di IL-6; delle CKs della Superfamiglia IL-1 (IL-1α, IL-1β, IL1-Ra, ecc.); di TNFα e di leptina; b) diminuzione di adiponectina. A livello del SNC, le cellule dell’astroglia (A) e della microglia (M) hanno azione simil-macrofagica. Le A cooperano
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10 MAGGIO 2017 con i neuroni al traffico e al riciclo dei neurotrasmettitori, all’omeostasi dei canali ionici e alla difesa contro lo stress ossidativo. Le M, i macrofagi cerebrali, mutano la propria morfologia, si upregolano ed espongono numerosi antigeni mieloidi --> malattie neurodegenerative. La proposta terapeutica low dose della ICSBG: A - Terapia generale per favorire 1) il metabolismo intracellulare (Ubichinon comp. + Coenzyme comp.); 2) il metabolismo extracellulare (Galium-Heel + Lymphomyosot). Per contrastare la ICSBG: Arnica-Heel, Guna-Anti IL1, Guna-TGF Beta, GunaIL10; l’acidosi metabolica: Guna Basic. B - Terapia specifica organo-funzione: 1) protezione epatica (Lycopodium comp.), intestinale (Colostrononi, Proflora); 2) sostegno energetico-metabolico (Gunamino Formula, Vit Formula). La proposta della nutraceutica fisiologica della ICSBG: alimentazione alcalinizzante (con supporto di Guna Basic) con alto contenuto in fibre (con supporto di Colostrononi e di Proflora) e di acidi grassi poli-insaturi omega 3 (con supporto di Omega Formula). 16.15
Diffondere la cultura delle good practices: l’esperienza del progetto Educazione Nutrizionale Grana Padano z Maria Letizia Petroni - medico nutrizionista clinico, project coordinator
I
l progetto Educazione Nutrizionale Grana Padano da tredici anni contribuisce alla diffusione della conoscenza dell’equilibrata alimentazione e del corretto stile di vita, con strumenti di supporto alle famiglie e alla classe medi-
ca. Il portale - Ogni mese sono visitate 750.000 pagine che dispensano informazioni sui comportamenti alimentari, i nutrienti, le diete per patologie, applicazioni che propongono menù settimanali bilanciati atti alla prevenzione delle malattie cronico-degenerative, oltre a un programma alimentare e di attività motoria, per aiutare la riduzione ponderale in persone sovrappeso o con obesità di grado lieve. L’Osservatorio - L’Osservatorio è uno strumento semplice e veloce disponibile gratuitamente online che permette il calcolo bromatologico dell’alimentazione abituale e il confronto con i LARN. Il software è utilizzato da 1.431 medici di medicina generale, 673 pediatri di libera scelta e 372 dietisti provenienti da tutte le regioni italiane che hanno raccolto i dati antropometrici di 30.493 soggetti (14.347 bambini e 16.146 adulti) e valutato l’assunzione di macro e micronutrienti, oltre a misurare l’attività motoria, i comportamenti sedentari, tabagismo e consumo di alcol. A ogni operatore è riservata un’area personale accessibile con password. I dati centralizzati sono mondati all’ingresso da elementi identificativi e sono periodicamente elaborati e utilizzati per studi e analisi diffusi alla comunità scientifica e a oltre 600 media: stampa, radio, TV e testate online. Grazie alla sua semplicità, affidabilità e disponibilità del database, è uno strumento utile anche nella ricerca clinica.
16.30
PNEI System: il tuo stato psicobiologico in numeri e colori
z Maria Corgna - professore, specialista in Endocrinologia e Malattie Metaboliche, docente ed esperta di Psiconeuroendocrinoimmunologia, ideatrice della metodologia Pnei4u/Pneisystem
L’
emergente paradigma mente-corpo, scientificamente delineato dalla psiconeuroendocrinoimmunologia, ha come fulcro lo studio dei sistemi dello stress e lo stato di infiammazione cronica che deriva dall’iperattività
degli stessi. Tale infiammazione cronica, meglio nota come infiammazione cellulare silente, rimane “muta” fino a esplodere in modo apparentemente improvviso nelle patologie che colpiscono le società moderne: tumori, autoimmunità e incidenti cardiovascolari. La metodologia “Pneisystem: diagnosi integrata e terapie sistemiche” è un innovativo percorso diagnostico e un altrettanto avanzato percorso terapeutico nel quale al farmaco, sia esso convenzionale o fitoterapico o nutraceutico o integratore, si affianca un percorso di nutrizione antiossidante il cui scopo è quello di spegnere la dinamica infiammatoria, movimento ad hoc ed efficaci, semplici e rapide tecniche di gestione dello stress. La diagnosi integrata è la misurazione del “sovraccarico allostatico” attuale e prende in considerazione test psicometrici, stress ossidativo, barriera antiossidante, pH urinario, profilo di acidità dell’alimentazione corrente e altri dati che danno origine a un grafico a colori e a un punteggio che sintetizzano lo stato di salute della persona, ma soprattutto consentono di evidenziarne i progressi terapeutici.
16.45
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
58
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11 MAGGIO 2017
NUTRIZIONE E SICUREZZA SPECIALIZZATE NEI PRIMI TRE ANNI DI VITA Moderatori: Sergio Bernasconi; Gian Vincenzo Zuccotti 10.00
Il bambino non è un piccolo adulto
z Alberto Villani - responsabile UOC Pediatria Generale e Malattie Infettive, Dipartimento di Pediatria Universitaria Ospedaliera, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù IRCCS, Roma
L’
importanza delle prime fasi della vita per la salute dell’individuo nel corso intero della sua vita è documentata da molta autorevole letteratura scientifica. È vero che il bambino non è un piccolo adulto, ma l’adulto sarà in
gran parte il bambino che è stato. Un ruolo importante sulla salute del soggetto in età evolutiva, poi dell’adulto di domani, è determinato dall’alimentazione. Il ruolo del pediatra è quindi fondamentale nell’accompagnare lo sviluppo delle competenze nutrizionali del bambino e della sua famiglia. Momenti cruciali sono rappresentati dall’allattamento materno esclusivo nei primi mesi di vita, lo svezzamento (che deve essere guidato dal pediatra) e l’alimentazione nei primi anni di vita in cui si acquisiscono molte delle competenze nutrizionali che caratterizzeranno l’individuo per il resto della sua vita. È bene quindi che il pediatra abbia adeguate competenze nutrizionali e dedichi tempo all’educazione alimentare dei bambini che segue. Ogni occasione d’incontro con il bambino e la sua famiglia è un’opportunità per il pediatra per educare a una corretta alimentazione, per ribadire la peculiarità di un organismo in continua crescita e con esigenze nutrizionali che cambiano di mese in mese, di anno in anno. In Italia tutta la normativa di legge dedicata agli alimenti è tra le più evolute e garantisce sicurezza e qualità. Il pediatra ha un ruolo di grande responsabilità che deve assolvere in pieno nel favorire, indirizzare, garantire le giuste scelte nutrizionali dei bambini che non possono essere fatte con leggerezza e approssimazione da chi non ha le giuste competenze, perché il bambino non è un piccolo adulto.
10.20
Linee guida di indirizzo nutrizionale nella prima infanzia
z Bruno Scarpa - Ministero della Salute, DGISAN, direttore Ufficio 4 “Alimenti particolari, integratori e novel food”
R
accogliendo il suggerimento della strategia europea “The EU Action Plan on Childhood Obesity 2014-2020” il ministero della Salute ha divulgato lo scorso anno le linee guida “Corretta alimentazione ed educazione
nutrizionale nella prima infanzia” per fornire adeguate indicazioni in materia di alimentazione complementare del lattante e del bambino. Si tratta di uno strumento orientativo su un tema complesso, in forma di F.A.Q, destinato a tutti i soggetti interessati sul piano istituzionale e professionale, ma comprensibile anche per il pubblico. Si affrontano i principali punti meritevoli di trattazione, come il divezzamento, il momento del suo avvio e le modalità da seguire anche in riferimento al rischio di allergia, l’importanza e i vantaggi dell’allattamento al seno durante il divezzamento e anche successivamente, l’alimentazione del bambino dopo il primo anno di vita, la normativa europea sugli alimenti per la prima infanzia. Per quanto concerne quest’ultima, a seguito dell’evoluzione della legislazione alimentare europea che ha portato all’abrogazione del settore dei prodotti “destinati a un’alimentazione particolare”, gli alimenti destinati alla prima infanzia ricadono oggi nel campo di applicazione del regolamento (UE) 609/2013 che disciplina gli alimenti destinati a soggetti nutrizionalmente vulnerabili.
10.40
Il ruolo del pediatra come garante del benessere nutrizionale del bambino
z Valentina Fabiano - Università degli Studi di Milano, Ospedale dei Bambini V. Buzzi, Milano
L’
evoluzione delle più moderne acquisizioni sull’alimentazione e sulla nutrizione umana, verificatasi soprattutto in seguito alle numerose e approfondite ricerche svolte nel corso degli ultimi anni, porta la nutrizione ad
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assumere un ruolo di primo piano nella formazione sia del medico sia delle altre figure professionali coinvolte in quest’ambito e, più in generale, nella tutela della salute. Quando si considera l’infanzia, la figura del pediatra assume una rilevanza assoluta: è infatti il pediatra che ha il compito di disegnare il programma di volo del bambino, secondo un percorso, anche in termini di educazione alimentare, che gli garantisca un futuro da adulto sano. In ambito nutrizionale, il pediatra deve essere in grado di ascoltare la famiglia, raccogliendo la sua richiesta di informazioni e dipanando dubbi e incertezze riguardo all’alimentazione del bambino. Il pediatra deve osservare la crescita del bambino ed essere in grado, attraverso i diversi strumenti a disposizione, di rilevare prontamente quelle “deviazioni” dalla normalità che possono risultare da un sottostante problema nutrizionale. Infine, il pediatra è la prima figura che, in collaborazione con eventuali altri specialisti, deve intervenire per correggere eventuali errori nutrizionali ed educare famiglia e bambino a una corretta alimentazione. 11.00
Alimenti per l’infanzia: il quadro normativo di riferimento per il biologico e il convenzionale
11.20
DISCUSSIONE
11.30
COFFEE BREAK
11.50
La ricerca scientifica a sostegno dell’allattamento al seno: metabolomica, milk-oriented microbiota (MOM)
z Neva Monari
e multipotenti cellule staminali
z Vassilios Fanos - professore ordinario di Pediatria, Università degli Studi di Cagliari, direttore Terapia Intensiva Neonatale, Patologia Neonatale e Nido, AOU Cagliari
I
tre temi di grande attualità nella ricerca del latte materno sono i seguenti: metabolomica, milk-oriented microbiota (MOM) e multipotenti cellule staminali. La metabolomica, chiamata anche la nuova biochimica clinica, è un
approccio basato sullo studio sistematico del set completo di metaboliti di un campione biologico. Il metaboloma è cosi vicino al fenotipo da essere considerato il fenotipo stesso. Il profilo metabolico costituisce una caratteristica unica di ogni soggetto, tale da permetterne l’identificazione col 100% di specificità. Il primo studio sulla metabolomica nel latte è stato pubblicato dal nostro gruppo nel 2012. Nel latte è presente è presente una quantità di batteri (microbiota): 50 generi, 200 specie. Si parla di MOM (Milk-Oriented Microbiota). Ciò che determina una grande differenza nel MOM è il tipo di parto: cesareo o vaginale e tra i cesarei, quelli urgenti o iterativi. Le mamme che hanno ricevuto un taglio cesareo urgente hanno microbiota del latte più simile a quello delle madri che hanno partorito spontaneamente (questo è legato agli ormoni dello stress). Infine le staminali del latte materno, scoperte recentemente, oltrepassano la barriera intestinale, ma anche quella cerebrale e migrano per localizzarsi nel cervello e in altri organi e apparati, tra cui sicuramente timo, pancreas, fegato. Nel cervello si trasformano in oligodendrociti, astrociti e neuroni. Le conoscenze in questi tre campi ci faranno fare ulteriori passi avanti nel comprendere i miracoli del latte materno.
12.10
Alimentazione complementare fino ai 3 anni di vita: aspetti applicativi z Silvia Scaglioni - pediatra, endocrinologa
T
utti gli aspetti dell’alimentazione nei primi anni di vita, quantità di macro e micronutrienti, qualità e sicurezza delle materie prime, gusto, modalità di offerta e comportamento dei genitori, hanno importanti ricadute sul
comportamento alimentare e sulla salute negli anni successivi. L’introduzione di alimenti nell’alimentazione nei diversi Paesi è stata soprattutto legata a tradizioni e disponibilità di cibi adeguati. I limitati dati evidence-based sono dovuti all’estrema variabilità delle raccomandazioni (non presenti in tutti i Paesi) e della pratica in tema di alimentazione complementare. Il pediatra è chiamato a rispondere con competenza alle sempre più attente richieste dei genitori in tema di alimentazione. La prima valutazione è legata alla scelta del momento adeguato di introduzione degli alimenti solidi legato a modalità di allattamento, curva di crescita e sviluppo psicomotorio. Il timing non può quindi essere fissato a priori, ma personalizzato al singolo bambino, ovviamente nell’ambito del range previsto dalle direttive più recenti. Esiste quindi una discrezionalità lasciata al pediatra per stabilire i tempi e i modi, ma è bene ricordare che l’allattamento esclusivo al seno è raccomandato fino al sesto mese per tutti i bambini. Le
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11 MAGGIO 2017 maggiori novità in tema di alimentazione complementare sono rappresentate dalla mancanza di rigidità delle impostazioni e dalle modalità di introduzione degli alimenti. Secondo le indicazioni più recenti non vi sono evidenze scientifiche che l’abolizione o la ritardata introduzione di alimenti potenzialmente allergenici (pesce, uova, etc.) riducano le allergie sia in bambini considerati a rischio sia nella popolazione generale. Tutti gli alimenti potranno essere introdotti quindi seguendo la stagionalità, senza una regola che ne regolamenti la successione. Gli studi sulla nascita del gusto suggeriscono di stimolare fino dalle prime pappe il lattante con sapori ben definiti, evitando la monotonia, allo scopo di rendere familiari i sapori di tutta la varietà di frutta e verdura tipici di ogni regione, seguendo la stagionalità. Attraverso l’offerta ripetuta e l’esempio i genitori possono favorire nel bambino il piacere di una dieta varia e quindi salutare. Per quanto riguarda le quantità di macro e micronutrienti, particolare attenzione dovrà essere rivolta all’apporto proteico e lipidico, perché risultino pari a quanto raccomandato. Sempre più è necessario che il pediatra conosca fabbisogni nutrizionali del lattante e composizione degli alimenti per adeguarsi alle indicazioni degli studi scientifici e utilizzi parametri di crescita adeguati al proprio paziente (morfogrammi per allattati con latte materno o con formula). 12.30
Genitori attenti! La sua alimentazione è davvero a misura di bambino?
z Gian Vincenzo Zuccotti - direttore Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Milano, Ospedale dei Bambini V. Buzzi
L
o studio Nutritake 6/36 è stato condotto con l’obiettivo di raccogliere dati relativi all’alimentazione nei bambini tra 6 e 36 mesi di vita. Lo studio è stato coordinato dalla Clinica Pediatrica dell’azienda Ospedaliera Buzzi/
Sacco in collaborazione con pediatri di libera scelta delle città di Milano e di Catania e si è svolto nel periodo settembre 2012/febbraio 2013. Sono stati arruolati 390 bambini, 189 a Milano e 201 a Catania, tra i 6 e i 36 mesi d’età. I genitori hanno compilato un diario alimentare settimanale, in cui sono stati raccolti dati precisi circa gli alimenti consumati e le relative porzioni. Tra i principali risultati emersi sono stati evidenziati consumi eccessivi di zuccheri, in particolare di quelli semplici, già nei primi 12 mesi di vita rispetto a quanto raccomandato dalla Società Italiana di Nutrizione Umana; di proteine, anche in questo caso superiori alle raccomandazioni nella totalità della popolazione analizzata; di grassi saturi e sodio, abitudine quest’ultima che mostra una tendenza a peggiorare con l’aumentare dell’età. Sono stati inoltre evidenziati alcuni deficit che riguardano l’introito di fibre, insufficiente in quasi il 50% dei bambini di età superiore a 12 mesi e quello di ferro, al di sotto delle raccomandazioni in quasi la totalità dei soggetti di età inferiore a 12 mesi e nell’80% dei bambini di età superiore all’anno. I dati di questo studio hanno evidenziato come le abitudini alimentari dei bambini nella prima infanzia non siano ottimali rispetto alle raccomandazioni, senza differenze significative tra i bambini residenti nel Nord e quelli residenti nel Sud d’Italia. Abbiamo da poco terminato lo studio Nutrintake 2, che consiste nella rivalutazione dei bambini studiati da Nutrintake a 2 anni di distanza dal primo studio. L’analisi di questi dati fornirà ulteriori informazioni sull’alimentazione nell’età dello sviluppo.
12.50
Il punto di vista dell’industria
z Andrea Budelli - presidente AIIPA, Sezione Alimentazione Particolare
L
a nutrizione infantile è una tematica delicata che include aspetti relativi alla sicurezza, nutrizionali e di ricerca. Il bambino non è un piccolo adulto e ha necessità specifiche. Il disegno degli alimenti per l’infanzia è quindi
specifico e normato da leggi specifiche. AIIPA (Associazione Italiana Produttori Alimentari) da sempre si impegna insieme al mondo scientifico e alle istituzioni per la corretta evoluzione dell’informazione nutrizionale degli alimenti per l’infanzia. In questo contesto ha lanciato una campagna di informazione e comunicazione sul territorio nazionale con al centro la sicurezza del bambino.
13.05
DISCUSSIONE
13.15
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
62
NUTRIZIONE E CANCRO Moderatore: Mauro Boldrini; Michele Carruba 09.00
Qualità di vita e ruolo dell’alimentazione
z Carlo La Vecchia - ordinario di Statistica Medica ed Epidemiologia, Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano
D
opo tabacco e alcool, obesità, sovrappeso e alcuni aspetti della dieta sono tra le principali cause di cancro. Il sovrappeso e l’obesità sono, in particolare, fattori di rischio definiti per i tumori della mammella in post-menopausa, dell’endometrio e
della colecisti, e un probabile fattore di rischio per altre neoplasie, quali intestino, prostata e pancreas. Il 14% di tutte le morti per tumore nei maschi e il 20% nelle donne negli USA è dovuta a sovrappeso e obesità. Considerando la minor prevalenza di sovrappeso e obesità in Italia, la più verosimile stima attuale è del 3-5% di tutte le morti per tumore. Negli ultimi 30 anni non si è osservato un progressivo aumento del peso corporeo nella popolazione italiana. Infatti, alcuni aspetti della dieta e dello stile di vita mediterranei sembrano evitare l’epidemia di obesità. La dieta gioca un ruolo particolarmente importante nei tumori del tratto digerente, ma anche di altri organi quali laringe e polmone, mammella, genitali femminili o prostata. I dati epidemiologici, inoltre, sono stati in grado di identificare una serie di profili dietetici favorevoli -o sfavorevoli- all’insorgenza di molti tumori comuni, e quindi possono fornire indicazioni per ridurre il rischio individuale di sviluppare una neoplasia. È quindi possibile fornire un quadro globale di una dieta (pattern) a basso rischio di cancro, basato sulle indicazioni di preferire frutta e verdura, oltre che limitare il consumo di grassi e in particolare di grassi saturi e alcool, e propendere per l’utilizzo di olio di oliva. È importante in ogni caso focalizzare non solo la ricerca epidemiologica, ma anche gli interventi di prevenzione verso una migliore comprensione e quantificazione del ruolo di ciascun specifico componente della dieta mediterranea sul rischio di cancro, con lo scopo ultimo di aprire prospettive di intervento attraverso l’industria alimentare, oltre che di informazione e prevenzione a livello di sanità pubblica.
09.30
Epigenetica e trattamenti di riprogrammazione con integratori
10.00
Studi clinici ed efficacia dei fattori di differenziazione dello zebra fish in supporto alla chemioterapia
z Mariano Bizzarri
z Pier Mario Biava - medico del lavoro, ricercatore IRCCS Multimedica, Milano
D
a diversi anni si è dimostrata in vitro l’efficacia dei fattori di differenziazione staminale nel rinormalizzare il ciclo cellulare delle cellule tumorali. Numerosi studi pubblicati hanno spiegato i meccanismi coi quali i fattori di differenziazione sono in grado
di rallentare e spesso bloccare la moltiplicazione delle cellule tumorali; ciò avviene sia attraverso l’attivazione del gene oncorepressore p53, sia attraverso l’attivazione della proteina del retino blastoma. Si è pertanto passati a studi in vivo, prima su modello animale (topi singenici C57BL/6), poi clinici. Vengono presentati i risultati promettenti degli studi clinici su pazienti con epatocarcinoma trattati con fattori di differenziazione staminale in associazione sinergica con i trattamenti chemioterapici standard.
10.30
La prevenzione con l’alimentazione
z Anna Villarini - nutrizionista, specializzata in scienza dell’alimentazione, nutrizione clinica e preventiva
S
i stima che più del 30% di tutti i tumori dipende dall’alimentazione e più del 50% potrebbe essere evitato se venissero seguite le raccomandazioni del Codice Europeo contro il cancro. Seguire le seguenti raccomandazioni può aiutare anche
patologie cardiovascolari, diabete e altre patologie cronico-degenarative. 1. Non fumare. Non fare uso di tabacco. 2. Fai in modo di mantenere il peso salutare. 3. Sii fisicamente attivo tutti i giorni. Limita il tempo che trascorri seduto. 4. Segui una dieta sana: • mangia principalmente cereali integrali, legumi, verdura e frutta; • limita i cibi ad alto contenuto calorico (cibi con alto contenuto di zuccheri e grassi) ed evita le bevande zuccherate; • evita la carne conservata, limita la carne rossa e i cibi ad alto contenuto di sale. 5. Se bevi alcolici, limitane l’assunzione. Per la prevenzione del cancro non è consigliabile bere alcolici. Il
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11 MAGGIO 2017 consumo di alcol è correlato allo sviluppo dei tumori della bocca, della gola, del colon-retto e del seno. Più bevande alcoliche si consumano, più il rischio si innalza. 6. Evita lunghe esposizioni al sole, con particolare attenzione ai bambini. Usa le protezioni solari. Non utilizzare lampade solari. 7. Sul luogo di lavoro, proteggiti dall’esposizione ad agenti cancerogeni seguendo le istruzioni in merito alla sicurezza. 8. Controlla se in casa sei esposto ad alti livelli di radiazioni radon. Attivati per ridurre i livelli di esposizione al radon. 9. Per le donne: • l’allattamento riduce il rischio di cancro nella donna. Se puoi, allatta il tuo bambino. Allattare i bambini fino al sesto mese di età li protegge da malattie tipiche dell’età infantile e da patologie croniche da adulti. Inoltre diminuisce il rischio per la madre di sviluppare un tumore alla mammella; • la terapia ormonale sostitutiva (HRT) aumenta il rischio di alcuni tipi di cancro. Limita l’uso dell’HRT. 11.00
Microbiota e probiotici: prevenzione o supporto per il paziente oncologico? z Heide De Togni - direttore tecnico Pegaso Srl
L
e recenti evidenze scientifiche attribuiscono un ruolo centrale all’interazione gene-ambiente nello sviluppo della cancerogenesi anche se il peso specifico dei singoli fattori è ancora poco noto. In questa visione, il microbiota residente nell’intestino e
nelle altre mucose è riconosciuto come fattore in grado di modulare predisposizione e progressione tumorale. Si ipotizzano più meccanismi, tra cui la modulazione infiammatoria, l’influenza sulla stabilità genomica dell’ospite, la produzione di metaboliti in grado di regolare a livello epigenetico l’espressione genica. L’utilizzo di probiotici e prebiotici, come supporto all’alimentazione e allo stile di vita, può diventare una strategia di supporto sia in termini preventivi sia come sostegno del paziente nell’alleviare i disturbi derivanti dalle terapie oncologiche, in particolare a livello di funzionalità intestinale e modulazione immunitaria.
11.30
COFEE BREAK
12.00
Use of Complementary and Alternative Medicine (CAM) in cancer patients: an Italian multicenter Survey
z Massimiliano Berretta - MD, PhD, Department of Medical Oncology, National Cancer Institute, Aviano (PN), Italy
I
ntroduction. Complementary and Alternative Medicine (CAM) include a wide range of products (herbs, vitamins, minerals, and probiotics) and medical practices, developed outside of the mainstream Western medicine. Patients with cancer are more
likely to resort to CAM first or then in their disease history; the potential side effects as well as the costs of such practices are largely underestimated. Patients and method. We conducted a descriptive survey in five Italian hospitals involving 468 patients with different malignancies. The survey consisted of a forty-two question questionnaire, patients were eligible if they were Italian-speaking and receiving an anticancer treatment at the time of the survey or had received an anticancer treatment no more than three years before participating in the survey. Results. Of our patients, 48.9% said they use or have recently used CAM. The univariate analysis showed that female gender, high education, receiving treatment in a highly specialized institute and receiving chemotherapy are associated with CAM use; at the multivariate analysis high education (Odds Ratio, (OR): 1.96 95% Confidence Interval, CI, 1.27-3.05) and receiving treatment in a specialized cancer center (OR: 2.75 95% CI, 1.53-4.94) were confirmed as risk factors for CAM use. Conclusion. Roughly half of our patients receiving treatment for cancer use CAM. It is necessary that health professional explore the use of CAM with their cancer patients, educate them about potentially beneficial therapies in light of the limited available evidence of effectiveness, and work towards an integrated model of health-care provision.
12.30
Importanza del microbiota nella prevenzione e trattamento del cancro
13.00
Immunonutrizione nel paziente onologico
z Cinzia Randazzo
z Taira Monge - dietista, SC Dietetica e Nutrizione Clinica, Azienda Ospedaliera Universitaria, Città della Salute e della Scienza di Torino, Presidio Molinette
È
ormai conoscenza consolidata che una condizione di malnutrizione si riscontra con elevata frequenza nei pazienti oncologici e che essa influenza negativamente la prognosi ed è particolarmente frequente nei pazienti con tumori del tratto gastroin-
testinale superiore: secondo recenti stime ne è colpito lo 80% dei soggetti: se presente alla diagnosi può compromettere ulteriormente la risposta e le difese immunitarie nel paziente candidato all’intervento chirurgico, compromettendone l’esito, prolungando il periodo di recupero e la degenza ospedaliera e incidendo così sulla spesa sanitaria. Lo stato attuale delle cono-
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scenze raccomanda per i pazienti neoplastici da sottoporre a un intervento di chirurgia maggiore dell’addome una nutrizione enterale preoperatoria con immunonutrienti (arginina, acidi grassi omega-3 e nucleotidi), per una durata di almeno 5-7 giorni e questo indipendentemente dallo stato nutrizionale del soggetto: ne derivano una riduzione delle complicanze infettive postoperatorie e una riduzione dei tempi di degenza. Dopo l’intervento, la precoce nutrizione orale si è rivelata efficace come parte di un protocollo di riabilitazione post-operatoria nella chirurgia del colon-retto, nella chirurgia maggiore ginecologica, urologica e vascolare (fast-track surgery o ERAS), non è ancora praticata routinariamente dopo chirurgia gastrointestinale. Anche nel post-operatorio possono verificarsi complicanze nutrizionali: la presenza di malnutrizione con conseguente ridotta qualità di vita è molto frequente. Secondo le Linee Guida dell’ESPEN, le specifiche finalità dell’intervento nutrizionale nel paziente oncologico sono prevenire e trattare la malnutrizione, potenziare gli effetti della terapia antitumorale, ridurre gli effetti collaterali della terapia antitumorale, migliorare la qualità di vita. Il supporto nutrizionale deve essere personalizzato in relazione oltre che allo stato nutrizionale del paziente, anche alla storia clinica, all’organo colpito dalla malattia, all’eventuale tipo di trattamento oncologico in atto e alla prognosi. 13.30
Prevenzione prima e dopo la malattia oncologica: quali evidenze
z Patrizia Gnagnarella - Staff Scientist, Divisione di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano
A
lterazioni del DNA determinate da vari fattori sono la genesi del cancro. Si ipotizzano cause di tipo ambientale, genetiche, infettive, legate agli stili di vita e a fattori casuali. L’alimentazione scorretta, la sedentarietà e il fumo di sigaretta rappre-
sentano ben noti fattori di rischio. Negli USA il fumo di tabacco da solo è responsabile del 33% delle neoplasie, mentre un altro 33% è legato agli stili di vita (dieta, sovrappeso, abuso di alcool e inattività fisica), percentuale che scende leggermente in Europa (29%). La prevenzione primaria in oncologia si focalizza quindi anche sull’adozione di comportamenti e stili di vita in grado di evitare o ridurre il rischio dell’insorgenza e lo sviluppo della malattia. Il World Cancer Research Fund International (WCRF, 2007) ha prodotto delle raccomandazioni per la prevenzione del cancro andando a raccogliere e valutare in maniera sistematica i dati della letteratura, e solo le evidenze più forti, convincing e probable vengono utilizzate per produrre le raccomandazioni. Secondo l’ultimo Report dell’AIRTUM-AIOM del 2016, ogni giorno circa 1.000 persone ricevono una diagnosi di tumore. La sopravvivenza dei pazienti affetti da tumori in Italia è mediamente più elevata rispetto alla media europea per molte sedi tumorali e oggi nel nostro Paese oltre 3 milioni sono le persone vive con pregressa diagnosi di tumore. Sono numeri importanti che evidenziano il peso della patologia oncologica e lo sforzo continuo atto a migliorare la sopravvivenza dei pazienti non soltanto in termini quantitativi, ma anche in termini di qualità di vita. La prevenzione quindi non finisce con la diagnosi, ma continua in questo caso nel contrastare le complicanze e ridurre la probabilità di recidive di una pregressa malattia. 14.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
IL RUOLO DELLA NUTRIZIONE NELLA FERTILITÀ DI COPPIA 10.00
Saluti istituzionali e introduzione al corso z Tiziana Stallone
I SESSIONE - FERTILITÀ E STILE DI VITA ModeratorI: Antonino Guglielmino; Tiziana Stallone 10.15
La fertilità in Italia oggi. Dall’invecchiamento della popolazione alla fecondazione assistita z Fabrizio Cerusico - professore, responsabile Attività Clinica, Centro R.A.P.R.U.I.
I
n Italia la sterilità nella coppia è ormai un disagio sociale. Una su cinque non riesce ad avere figli in modo naturale. Solo vent’anni fa la percentuale era la metà. Siamo tra i Paesi in Europa dove nascono meno bambini (1,39 per donna nel 2013) e
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11 MAGGIO 2017 tra quelli dove l’età media delle donne al primo parto supera i 30 anni Rispetto al 2012, le madri over 40 sono raddoppiate (dal 3,1% al 6,2% nel 2012) e particolarmente elevato è stato l’aumento delle quote di donne che avevano più di 40 anni quando è nato il loro primo figlio (passate dal 1,5% al 4%). Al contrario, le madri fino a 24 anni sono diminuite dal 13 all’11,4%. Due dati, denatalità ed età media delle madri, che devono essere letti congiuntamente, perché proprio l’età è il fattore prevalente nel determinare la fertilità femminile. E se è vero che le tecniche di procreazione medicalmente assistita possono aiutare la fertilità naturale, è altrettanto vero che non possono sostituirla. Se dunque le italiane e gli italiani non cominceranno a prendersi cura della propria fertilità, l’Italia sarà destinato a diventare un Paese sempre più composto da anziani. Le previsioni per il 2050 sono queste: il 12,6% di persone con età inferiore a 15 anni, il 54,4% nella cosiddetta fascia di età attiva (da 15 a 64 anni), un terzo di residenti con 65 anni e, infine, il 7,6% di persone con 85 anni e più. Previsioni demografiche: nel 2050 ci saranno 262.8 anziani ogni 100 giovani. Nel 2011 erano 147. Le previsioni demografiche stimano, nel 2050, una quota di ultrasessantenni pari al 22% della popolazione mondiale (circa 2 miliardi di persone) e pari al 37% della popolazione europea. L’aumento della sopravvivenza e il calo della fecondità hanno reso anche l’Italia tra i Paesi con il più elevato livello di invecchiamento, con un processo destinato ad accelerare nel prossimo futuro. 11.00
Epigenetica e infertilità
z Marina Baldi - biologa, specialista in Genetica Medica
L’
influenza dell’ambiente sulle caratteristiche fenotipiche degli individui ha dato origine a una nuova branca, l’epigenetica, che analizza le modalità con cui il fenotipo di un organismo possa essere modificato, modulando il silenziamento e l’espres-
sività dei geni, senza che questo tipo di ereditarietà sia presente nelle sequenze del DNA. Nel solo anno 2015 sono stati pubblicati quasi diecimila articoli su riviste scientifiche in merito a studi sugli effetti dell’ambiente sull’espressività dei geni, ma l’epigenetica risale ai tempi della cultura ellenica, quando Aristotele ipotizzò che l’ambiente potesse influenzare le caratteristiche di un individuo. Oggi sappiamo che tale influenza è vera ed estremamente efficace. Le principali modificazioni epigenetiche coinvolgono sia il DNA sia le proteine istoniche che lo rivestono. L’interazione gene-ambiente diviene di fondamentale importanza nell’ambito della procreazione assistita, in quanto le cellule gametiche sono manipolate all’esterno del corpo umano, che è il loro ambiente naturale, in un ambiente esterno, il laboratorio di embriologia, condizione che può condurre a modificazioni epigenetiche delle cellule in coltura. Numerosi studi hanno infatti evidenziato che i nati da PMA hanno un maggiore tasso di sindromi rare dovute a fattori epigenetici e che in maschi infertili in cui sono individuate alterazioni epigenetiche vi è una maggiore frequenza di produzione di embrioni con alterazioni dello sviluppo.
11.30
L’impatto dell’inquinamento ambientale sulla fertilità
z Donatella Caserta - Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e Medicina Traslazionale
R
ecentemente l’attenzione si è focalizzata su possibili effetti sul sistema riproduttivo da parte di inquinanti presenti nell’ambiente: gli interferenti endocrini (IE), sostanze che rilasciate nell’ambiente resistono a lungo come composti di partenza o
sottoprodotti più pericolosi. Sono definiti dal 1996 in ambito europeo come: agente esogeno naturale o di sintesi che interferisce con la produzione, il rilascio, il trasporto, la metabolizzazione, l’azione o l’eliminazione di ormoni naturali nell’organismo, responsabili del mantenimento dell’omeostasi e della regolazione dei processi riproduttivi e di sviluppo. L’omeostasi degli steroidi sessuali e della tiroide sono i principali bersagli degli effetti degli IE e la salute riproduttiva e l’infanzia sono le fasi biologiche più suscettibili. I dati indicano gli effetti ritardati sullo sviluppo per un’esposizione prenatale o perinatale con effetti quali: declino del liquido seminale, disregolazione dell’ovulazione, endometriosi, cancro della mammella, della prostata, del testicolo, sindrome da ipereccitabilità nell’infanzia, disordini apprendimento. Essi possono avere azione mimetica, di blocco o scatenante per la risposta ormonale, legati al recettore trasmettono un segnale nel modo, nel tempo e nella quantità sbagliata. Lo sviluppo intrauterino è il momento di maggior pericolo. La placenta non costituisce barriera, il latte materno è un veicolo di trasmissione in quanto sostanze altamente liposolubili. Un elenco sommario degli interferenti endocrini include i contaminanti alogenati persistenti (DDT, diossine, PCB), fitofarmaci, biocidi, antiparassitari e pesticidi, sostanze di uso industriale (composti fenolici, ftalati, alcuni solventi, metalli pesanti). La principale via attraverso cui veniamo in contatto con gli interferenti endocrini è quella alimentare.
12.00
Obesità e disturbi della riproduzione
z Valentina Galiazzo - biologa nutrizionista, specialista in Biochimica Clinica
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C
ome dimostrano gli ultimi dati Istat, l’obesità è fenomeno in costante aumento nel nostro Paese e si registra fin dalle fasce d’età più giovani. Questa patologia comporta numerosi effetti negativi sulla salute umana, come insulino-resistenza, dia-
bete, ipertensione arteriosa, e problematiche coinvolgenti la fertilità sia maschile sia femminile. Numerosi studi evidenziano, infatti, come l’incremento del numero di adipociti o cellule adipose determini un incremento dell’enzima aromatasi che converte il testosterone (ormone sessuale maschile) in estrogeni (ormoni sessuali femminili). Questi a loro volta inibiscono la produzione di ormoni fondamentali per la normale crescita e differenziazione degli spermatozoi. Allo stesso tempo l’eccesso di grasso nella donna provoca la cosiddetta dominanza estrogenica. In questa condizione, simile a quella che si verifica quando si è in terapia anticoncezionale, l’elevata presenza di estrogeni influisce negativamente sulla capacità della cellula uovo di raggiungere l’ovaio, rendendo difficoltoso il concepimento. Le implicazioni dannose date dall’obesità sulla fertilità non sono solo queste e i diversi meccanismi d’azione sono in fase di studio. La relazione vuole essere un focus sullo stato dell’arte, le implicazioni nutrizionali sulla fertilità ed esperienza pratica.
12.30
DISCUSSIONE
13.00 LUNCH II SESSIONE - ALIMENTAZIONE E FERTILITÀ ModeratorI: Marina Baldi; Tiziana Stallone 14.30
Alimentazione e stili di vita nella fertilità maschile e femminile
z Stefania Ruggeri - PhD, nutrizionista CREA, Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria
G
li studi scientifici che hanno dimostrato che l’alimentazione e gli stili di vita svolgono un ruolo protettivo fondamentale nella prevenzione delle malattie cronico-degenerative sono ormai davvero numerosi e le evidenze a riguardo davvero ro-
buste. La relazione tra abitudini, stili di vita e infertilità è stata affrontata solo recentemente e solo negli ultimi dieci anni si sono accumulate una serie di evidenze scientifiche, ora con ricerche condotte con disegni sperimentali più completi e complessi. La maggior parte degli studi sta convergendo sul fatto che si può parlare di una dieta della fertilità e che gli interventi nutrizionali atti a migliorare le abitudini alimentari e una valutazione ad hoc di interventi nutrizionali correttivi aggiuntivi porta a una riduzione del rischio di infertilità e più in generale a una riduzione della maggior parte degli esiti avversi della riproduzione (EAR). La maggior parte degli studi retrospettivi sul rapporto tra alimentazione e stili di vita, che hanno tracciato le linee generali di questa dieta della fertilità sono stati condotti sulle donne, gli studi di intervento hanno riguardato sia l’uomo sia la donna. In linea generale, ciò che emerge è che l’adozione di uno stile alimentare che prevede un basso consumo di grassi saturi e acidi grassi trans, buoni livelli di assunzione di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, una bassa assunzione di proteine animali, maggiore assunzione di quelle vegetali e un basso consumo di alcol, si è dimostrata protettiva nel miglioramento dei fattori determinanti l’infertilità sia nell’uomo sia nella donna, e nella riduzione dei fattori di rischio. Il pattern della dieta mediterranea si è dimostrato quello più efficace anche nel caso di interventi di fecondazione assistita. Al di là del pattern alimentare di base, gli studi più recenti hanno dimostrato che, ovviamente, esistono differenze di genere legate alla riduzione dell’infertilità, che riguardano soprattutto alcuni micronutrienti tra cui zinco, folati/acido folico, selenio, o composti bioattivi come polifenoli.
15.30
Nutrizione e fecondazione assistita
z Cecilia Verga Falzacappa - PhD, nutrizionista
R
ecenti studi hanno dimostrato che lo stato nutrizionale preconcezionale femminile e maschile è in grado di influenzare l’esito di procedure di fecondazione in vitro (IVF). Una dieta di tipo mediterraneo, in particolare, sembra influenzare positiva-
mente il buon esito di tali procedure; essa è infatti in grado di migliorare la qualità del seme maschile, così come di aumentare il tasso di concepimento di circa il 40%, tramite l’aumento di folati e vitamine del gruppo B nel fluido follicolare femminile. Insieme al corretto stile alimentare, anche la corretta supplementazione con integratori alimentari può influenzare la risposta alle procedure di fecondazione assistita. Per esempio, è stato dimostrato che gli acidi grassi omega 3 portano a un miglioramento nello sviluppo embrionale dopo IVF, così come adeguati livelli di vitamina D si correlano a un più alto tasso di gravidanza dopo IVF. Un ruolo importante lo gioca anche il microbioma vaginale che subisce profondi cambiamenti durante l’IVF, e la cui composizione, nel giorno del trasferimento embrionale, può influenzare l’esito della gravidanza. Risulta quindi evidente che
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11 MAGGIO 2017 curare la nutrizione preconcezionale, a partire almeno dalle 6 settimane precedenti il concepimento, possa costituire un’ottima strategia per migliorare l’outcome nei percorsi di fecondazione assistita. 16.00
Nutraceutica e fertilità
z Eleonora Caracciolo - biologa nutrizionista, biologa PMA presso Centro Riproduzione Umana
N
el corso degli ultimi anni è stato ampiamente documentato un incremento dell’infertilità. Ne sono colpite il 15% delle
coppie in età riproduttiva. La ridotta fertilità osservata nelle coppie è secondaria a una complessa alterazione dell’equili-
brio ormonale, all’influenza negativa delle abitudini di vita tipiche dei Paesi industrializzati e non per ultimo al fattore tempo. Maggiormente numerose sono le cause dell’infertilità femminile, rispetto alle cause maschili. Si tratta, per lo più, di fattori irreversibili causanti l’infertilità; un esempio è dato dalla sindrome della policistosi ovarica o dal forte aumento della quantità di specie reattive dell’ossigeno nei liquidi seminali che, superando le difese antiossidanti naturali, causano importanti danni cellulari. Oggi la nutraceutica ci viene incontro aiutando a migliorare i parametri spermatici e le condizioni dell’apparato urogenitale femminile. Diversi studi scientifici e i risultati di metanalisi hanno dimostrato che, supplementando la dieta con principi nutritivi naturali, tra cui l’inositolo, i folati e gli antiossidanti in genere, si ottiene un effettivo miglioramento delle condizioni di subfertilità sia maschile sia femminile anche all’interno di protocolli di tecniche di fecondazione assistita.
16.30
DISCUSSIONE
17.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
2° CONGRESSO NAZIONALE AFEN IL RUOLO DEL FARMACISTA NELLA NUTRIZIONE DELLA TERZA ETÀ Moderatore: Emanuele Veronese 08.45
Apertura dei lavori e saluto delle autorità
09.00
La formazione nutrizionale nel nuovo corso di laurea in Farmacia
09.30
Meccanismi fisiopatologici dell’invecchiamento
z Ettore Novellino
z Nicola Sponsiello - medico, specialista in Scienza dell’Alimentazione
L
e diverse teorie che spiegano i fenomeni dell’invecchiamento convergono verso pochi elementi chiave: ossidazione e in-
fiammazione in specie in un organello, il mitocondrio. Gli effetti della combinazione di questi due fenomeni sono alla base
di tutte le teorie sull’invecchiamento, a qualunque livello, organo o metabolismo, si applichi il razionale. Gli studi che invece cercano di misurare il ruolo dei diversi elementi che concorrono a un invecchiamento buono, affermano che lo stile di vita ha un peso enormemente superiore alla genetica (35% contro 65%). Cervello e muscolo sono organi chiave nel qualificare lo stato di invecchiamento, ovvero nel separare l’età anagrafica da quella organica. Sia la nutrizione, con diverse modalità (restrittive o con uso di particolari alimenti), sia la supplementazione (in specie alcuni nutraceutici) sia l’esercizio fisico esprimono un considerevole effetto positivo, in particolare l’esercizio sembra avere i migliori e più completi effetti. Occorre che la gestione dei molti anni di vita in più che stiamo ottenendo sia oculata, attenta e ben pianificata. La spontaneità e la trascuratezza possono non accorciare la durata della vita, ma hanno un effetto molto significativo sulla qualità degli ultimi anni.
10.00
Strategie nutrizionali di contrasto all’invecchiamento
z Bruno Brigo - specialista in Medicina Interna, autore di testi di Medicina integrata
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I
l termine sarcopenia (derivante dal greco sarx, carne, e penia, povertà) indica la perdita di massa muscolare. Può manifestarsi dopo inattività fisica, in soggetti sedentari o nella terza età e comporta la progressiva riduzione della forza muscolare. La
perdita di proteine a livello della muscolatura scheletrica è il risultato dello squilibrio tra la velocità di sintesi proteica muscolare e la sua degradazione. La condizione di sarcopenia comporta un incremento della massa grassa e un aumento della resistenza all’insulina. La prevenzione include il supporto nutrizionale con particolare enfasi per le proteine di alta qualità, in combinazione con l’uso di agenti anabolizzanti. In particolare, per ridurre la massa grassa e favorire la massa magra si ricorre agli aminoacidi essenziali (leucina, lisina, valina, iso-leucina, treonina, metionina, fenilalanina, triptofano). La miscela di aminoacidi essenziali, purché sia nella quantità e nel giusto rapporto reciproco, così come indicato nel documento redatto dall’OMS nel 2007, costituisce una sorgente dal massimo valore biologico di proteine, che permette di favorire il calo ponderale e stimolare la perdita di grassi (lipolisi) senza produrre scorie azotate, pericolose per il rene, sfruttando la proprietà anabolizzante dell’insulina che in presenza di aminoacidi essenziali ricava l’energia per formare massa magra, a partire dal tessuto adiposo.
10.30
Valutazione antropometrica nell’anziano
z Antonio Sartini - farmacista e biologo nutrizionista
I
l processo fisiologico dell’invecchiamento comporta cambiamenti della composizione corporea. La valutazione della composizione corporea e il relativo follow-up permette di prevenire o evidenziare diverse problematiche relative all’età geriatrica,
come la malnutrizione, la sarcopenia, l’edema o la disidratazione. Il farmacista, quale professionista sanitario, in virtù della sua preparazione, della capillare distribuzione sul territorio di farmacie e parafarmacie e del quotidiano contatto con la popolazione anziana, può giocare un ruolo cruciale nella prevenzione delle patologie che conseguono a tali disturbi, operando uno screening di massa con l’autoanalisi della composizione corporea.
11.00
COFFEE BREAK
11.30
La nutrizione cerebrale e il decadimento cognitivo
z Pierluigi Pompei - professore, Dipartimento Medicina Sperimentale e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Camerino
L
o stato nutrizionale dell’individuo e la sua relativa assunzione giornaliera rappresentano fattori determinanti nell’influenzare salute mentale e conseguentemente lo sviluppo di disordini di origine cerebrale. Le principali patologie che affliggono la
sfera cerebrale sono rappresentate da depressione, perdita delle funzioni cognitive, disordini psichiatrici e malattie degenerative centrali. Spesso all’allungamento della vita corrisponde un aumento dell’insorgenza di patologie cerebrali, compromettendo fortemente la salute del soggetto. Una serie di macro e micronutrienti possono essere di sicuro beneficio per l’integrità cerebrale, quali gli acidi grassi omega 3, fosfolipidi, niacina, folati, vitamina B6 e B12. D’altro canto, grassi saturi e zuccheri semplici risultano dannosi per le funzioni cognitive, così come alcuni dati indicano che gli stessi livelli di colesterolo contribuiscono a un aumento del rischio di malattie depressive. Lo scopo di questo lavoro è quello di evidenziare quali fattori positivi nel campo della nutrizione sono di beneficio per uno stato quanto più possibile di salute mentale.
12.00
La terapia antiage con antiossidanti ed estratti erbali
z Carlo Franchini - professore ordinario di Chimica Farmaceutica e Tossicologica, direttore Scuola Specializzazione in Farmacia Ospedaliera, Dipartimento di Farmacia-Scienze del Farmaco, Università degli Studi Aldo Moro, Bari
L’
uso della medicina di intervento, rispetto alla medicina di attesa, è certamente una grande sfida per prevenire alcune patologie o, perlomeno, allontanarne il più possibile l’insorgenza. Volendo perseguire questo obiettivo, diventa sempre più importante
un’alimentazione equilibrata accoppiata a stili di vita corretti e funzionali all’età del soggetto. L’uso di prodotti naturali, di provenienza vegetale, insieme a una particolare attenzione per le caratteristiche salutistiche degli alimenti consumati, associati a eventuale utilizzo di alimenti funzionali o integratori, è certamente una strategia condivisibile, che diventa quasi obbligata in caso di persone della terza età. Tale fascia di popolazione è certamente la più esposta a eventi tossicologici di tipo pro-infiammatorio, sia su base biologica/immunologica sia a causa del prolungato utilizzo di politerapie farmacologiche che, come ben noto, controllano gran parte delle patologie dell’anziano, ma non raggiungono la loro completa remissione. Tutto ciò determina spesso l’insorgenza di interazioni tra farmaci e interazioni farmaci-alimenti. Quindi un’attenta e corretta valutazione dell’alimentazione dell’anziano, sia sotto l’aspetto di apporto di sostanze salutistiche sia per la valutazione calorica energetico-funzionale, produrrà certamente un grande beneficio salutistico per tutti, e non ultimo un notevole risparmio per le ridotte finanze del nostro Sistema Sanitario Nazionale.
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11 MAGGIO 2017 12.30
Ipertrofia e iperplasia prostatica: l’aiuto viene dalla natura
z Gloria Pumilia - referente Ricerca&Sviluppo Industria Farmaceutica Nova Argentia
L’
IPB può essere una patologia progressiva, specie se non adeguatamente trattata. La sintomatologia più comune è di tipo ostruttivo e irritativo con conseguenze sulle funzionalità meccaniche ed emodinamiche. Nel trattamento dell’iperplasia
prostatica benigna (BPH), gli integratori più comuni sono a base di Serenoa repens. La sua efficacia è dovuta all’inibizione degli isoenzimi 1 e 2c della 5-alfa-reduttasi sui recettori delle cellule della prostata. Studi scientifici hanno dimostrato che sia l’infiammazione sia bassi livelli di vitamina D possono essere fattori aggiuntivi per scatenare rispettivamente l’IPB e la predisposizione allo sviluppo del tumore alla prostata. Inoltre esiste una correlazione tra infiammazione, ritenzione urinaria, peggioramento del punteggio nella scala IPSS e maggior volume della prostata rispetto ai pazienti con ridotta infiammazione. Questi aspetti, se non sottovalutati, possono contribuire alla scelta di una corretta strategia terapeutica. Gli acidi boswellici della Boswellia Serrata, noti per le proprietà antinfiammatorie in diversi studi clinici (vitro e vivo) hanno dimostrato un’attività inibitoria nei confronti della crescita delle cellule tumorali. Parecchi studi hanno evidenziato una notevole correlazione tra il ruolo della vitamina D e il tumore della prostata, in particolare sul controllo della proliferazione cellulare nella prostata.
13.00
Fito-integrazione nelle distonie neuro-vegetative e nelle alterazioni sonno-veglia dell’anziano z Maurizio Diamante - medico
I
prodotti vegetali, alla luce dei riscontri scientifici e del profilo di efficacia e sicurezza, possono costituire un eccellente supporto nelle distonie neuro-vegetative e nelle alterazioni sonno-veglia nella popolazione anziana, contribuendo a una migliore
qualità complessiva della vita. La fito-scienza si distingue per l’utilizzo di estratti vegetali costituiti da una miscela di bio-composti che rappresentano il fitocomplesso della pianta. Questa tipica complessità conferisce al fito-derivato caratteristiche peculiari e un profilo di attività diverso dal farmaco monomolecolare. Specifici studi dimostrano che nelle fluttuazioni del tono dell’umore, ma anche negli stati di ansia moderata e nelle forme di esaurimento emotivo è di valido supporto l’uso dell’Iperico. Inoltre, l’associazione sinergica con piante officinali come Passiflora, Griffonia, Melissa, Magnolia e il sostegno micro-nutrizionale di inositolo, magnesio, tiamina e vitamina B6 possono essere di ulteriore aiuto. In aggiunta, l’associazione razionale di adeguati estratti erbali, titolati e standardizzati, e specifici fattori micro-nutrizionali può contrastare fenomeni di insonnia; in particolare, può ottimizzare l’andamento della qualità e della quantità del sonno (riducendo il tempo di addormentamento e migliorando il sonno poco riposante); il tutto senza provocare sedazione e inibire l’attenzione, nel corso della giornata.
13.30
Il farmacista e la gestione del cliente/paziente anziano - Tavola rotonda
z Francesco Maria D’Amore - presidente Associazione Farmacisti Esperti in Nutrizione, farmacista perfezionato in Nutrizione Umana, Master in Scienza dello Sport e del Fitness, Scuola di Alta Formazione in Nutrizione e Integrazione nello Sport, Certified sports nutritionist from the international society of sports nutrition, personal trainer
L’
invecchiamento demografico del nostro Paese ha inevitabili ripercussioni a livello sociale, influenzando in modo importante anche le strategie sanitarie. La capillare presenza del farmacista sul territorio nazionale lo vede protagonista non soltanto
nel ruolo della dispensazione del farmaco, ma anche come educatore ai corretti stili di vita e alla sana alimentazione. Il recente disegno di legge Mandelli/D’Ambrosio Lettieri ridisegna il ruolo del farmacista in ambito nutrizionale, adeguandolo anche ai bisogni di una popolazione sempre più anziana. La sua consulenza, dall’imprescindibile ruolo etico, lo renderà sempre più strategico anche per la riduzione della spesa sanitaria nazionale. L’AFEN ha quindi pensato di realizzare un evento dagli elevati contenuti tecnico-pratici rivolto sia ai farmacisti sia agli operatori della salute e del benessere, che intendano focalizzare la loro conoscenza su un target sempre più numeroso.
14.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
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11 MAGGIO 2017
DISBIOSI E INTESTINO PERMEABILE DALLA GENESI AL TRATTAMENTO DELLA «LEAKY GUT SYNDROME» 09.00
L’intestino: un sistema di sistemi
z Giampiero Di Tullio - medico, specialista in Igiene e Medicina Preventiva, Scienza dell’Alimentazione e Dietetica, presidente AIMES, Associazione italiana medicina sistemica
09.45
Il ruolo del microbiota intestinale nella genesi della salute
10.30
Dalla disbiosi alla flogosi mucosale: evolutività dell’intestino iperpermeabile
11.15
COFFEE BREAK
11.30
Indicazioni dietetiche, probiotici e prebiotici per il riequilibrio del microbiota disbiotico
12.00
Strategie integrate di trattamento della leaky gut syndrome
12.30
DISCUSSIONE
13.00
COMPILAZIONE TEST ECM E CHIUSURA DEI LAVORI
I
z Carla Marzetti - biologa nutrizionista z Giampiero Di Tullio
z Carla Marzetti
z Giampiero Di Tullio
supera il numero totale delle nostre cellule e ha un ruolo
L’
importante nel determinare il nostro stato di salute; se il
allo stress. Negli ultimi decenni osserviamo un notevole incremento delle patologie
delicato equilibrio che ne regola le interazioni con l’ospite
croniche con deficit progressivo della capacità adattativa ed esito sempre più orien-
si altera si rende possibile lo sviluppo di diverse patologie.
tato alla disregolazione metabolica e alla degenerazione, piuttosto che alla guarigio-
La relazione che esiste tra noi e il microbiota è quindi una
ne. Elementi tossici presenti negli alimenti, cibi fast e scadenti di origine industriale,
relazione di simbiosi, cioè vantaggiosa per entrambi i par-
bassa densità nutrizionale, bioritmi alterati di assunzione, sovraccarico iatrogeno,
tecipanti. I principali batteri che popolano la flora intestina-
incapacità di gestione dello stress e alterata igiene di vita rappresentano alcuni dei
le fanno parte della flora protettiva e immunomodulante e
determinanti etiopatogenetici in grado di indurre profonde alterazioni della relazione
tutti insieme svolgono funzioni per noi essenziali. Per esem-
tra microbiota e sistema immunitario intestinale (GALT), determinando nel tempo di-
pio, favoriscono la biodisponibilità di alcuni nutrienti, la me-
smicrobismo intestinale, disregolazioni immunitarie, autointossicazione, deficit della
tabolizzazione degli alimenti, sintetizzano diverse vitamine,
produzione energetica e del ricambio plastico, dismetabolismi, allergie e intolleranze
regolano l’espressione del sistema immunitario, sostengo-
alimentari, malattie autoimmunitarie e patologie degenerative. In sintesi l’apparato
no la peristalsi intestinale e, infine, proteggono la mucosa
gastroenterico e soprattutto le alterazioni di barriera della mucosa (leaky gut syn-
intestinale, e dunque l’intero organismo, dalle aggressioni
drome) promuovono frequentemente effetti patogenetici pro infiammatori a livello
di microrganismi patogeni, prevenendo così la comparsa di
sistemico e il conseguente sviluppo di patologie infiammatorie croniche. Emerge
molte infezioni. È quindi importante una diagnosi specifica
quindi la necessità di intervenire a livello gastrointestinale con una strategia di cura
dei componenti della flora totale, cioè protozoi, batteri e
personalizzata e policausale, protratta nel tempo e comprendente una efficace stra-
funghi. Se i nostri batteri non sono in equilibrio fra loro ab-
tegia di ripristino dell’equilibrio microbiotico intestinale e di regolazione della inter-
biamo uno stato di dismicrobismo o disbiosi che quindi va
connessione tra intestino e network neuroimmunoendocrinometabolico. Attraverso
corretto. È possibile riprogrammare la flora intestinale con
protocolli personalizzati di riabilitazione nutrizionale/dietetica e strategie probiotiche
probiotici specifici e integratori mirati. Il ruolo fondamenta-
e fitonutraceutiche integrate ad azione sia locale sia sistemica (Giampiero Di Tullio).
l microbiota intestinale umano definito dagli scienziati il super organismo è costituito da un numero di batteri che
essere umano è una community di cellule, organi, apparati e sistemi interconnessi in comunicazione e collaborazione continua. Reattività metabolica e regolazione
neuroimmunoendocrina esprimono le basi individuali della capacità di adattamento
le però per il mantenimento e il sostegno del microbiota è sicuramente l’alimentazione adeguata con un programma nutrizionale chiamato nutribiotica (Carla Marzetti).
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INDAGINE SULLO STILE DI VITA E LE ABITUDINI ALIMENTARI