GIGI PROSDOCIMO ANTOLOGICA 1962 - 2007
GIGI PROSDOCIMO ANTOLOGICA 1962 - 2007
In copertina Gigi Prosdocimo, Riflessi n.10 (particolare), 2007
GIGI PROSDOCIMO ANTOLOGICA 1962 - 2007
Art director Francesco Maria Paolini
a cura di Sergio Momesso e Carlo Sala
Progetto grafico intermedia design
Centro Arti Visive “La Castella” Motta di Livenza (TV)
Redazione Maria Prosdocimo
30 settembre - 21 ottobre 2007
Referenze fotografiche Luigi De Zotti Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’autore. © Gigi Prosdocimo, per le immagini © Sergio Momesso e Carlo Sala, per i testi critici Finito di stampare nel mese di settembre 2007 a cura di Imprimenda, Limena (PD) Printed in Italy
Uno speciale ringraziamento a quanti, a vario titolo, hanno consentito la realizzazione della mostra e del catalogo Renzo Cester, Marino Clementi, Cristina Marson, Pietro Marson, Paolo Melani, Elsa Prosdocimo, Pietro Prosdocimo, Livio Reschiotto, Roberta Rorato, Renato Saccardi, Diego Sala, Laura Sartor, Germano Tauro, Antonio Tolfo, Ermanno e Mariagrazia Vaccari, Antonio Verrio, Norman Zoia Cooperativa “Madonna dei Miracoli” Comune di Motta di Livenza
Con il sostegno di
CARTOFLEX il nido d’ape
SOMMARIO
Carlo Sala
Sergio Momesso
PRETESTI VISIVI TRADOTTI IN MATERIA Considerazioni sul percorso artistico di Gigi Prosdocimo RIFLESSI Appunti sulle ultime opere
CATALOGO DELLE OPERE 1998 - 2007 1987 - 1995 MISCELLANEA
APPARATI BiograďŹ a Mostre, premi e riconoscimenti Breve antologia critica
Quando si ha il privilegio di nascere e crescere in una famiglia di artisti, alimentando quotidianamente la propria anima di Bellezza ed Armonia, si dovrebbe assumere interiormente l’imperativo categorico di restituire ciò che è dono ed appartiene a tutti, poiché la Bellezza è nel mondo e del mondo. Ne avessi avuta la possibilità e il tempo, avrei reso omaggio anche agli altri membri della mia famiglia paterna; dal nonno, straordinario restauratore di opere d’arte e pittore, allo zio architetto originale ed innovativo, a mio padre, magnifico disegnatore e fine restauratore. La personalità unica ed originale di zio Gigi si esprime anche attraverso modalità comportamentali e aspetti caratteriali appartenuti al padre ed ai fratelli, di cui v’è ancora traccia in noi nipoti e figli. Ecco allora che restare ad osservare, in religioso silenzio, l’artista all’opera nel suo laboratorio di ceramica, o apprendere da lui i segreti del disegno, le ferree regole del lavoro artistico, diventa per me occasione irripetibile di identificazione e riscoperta di un comune sostrato umano, esperienza privilegiata di conoscenza del bello. Zio Gigi è generoso, aperto alla vita, gode nel condividere con chiunque ciò che ha imparato in tanti anni di ricerca e sperimentazione; è artista fecondo ed originale, sotto le cui mani la materia esprime ciò che possiede in nuce e che ai più resta oscuro. Armonia delle forme, colore, ritmo e forza, sono elementi sempre presenti nelle sue opere, esaltati da una creatività inesauribile, che si alimenta della sua anima di autentico artista. Questa importante mostra antologica, che ho fortemente voluto e che grazie alla collaborazione di molte, straordinarie persone, trova finalmente ospitalità nel comune di Motta di Livenza, rappresenta quindi un omaggio dovuto, fin troppo atteso, a Gigi Prosdocimo da parte di tanti suoi estimatori, nonché un dono speciale dell’artista stesso a tutti i suoi concittadini. Maria Prosdocimo
Persone più autorevoli e competenti ci hanno precedute nel descrivere Luigi Prosdocimo come artista. A noi non resta che descriverlo come padre e persona. Anche noi, come tutti i figli, abbiamo visto papà come un grande albero, forte ed alto, che ci ha sempre protette e difese dai pericoli. Ci ha insegnato la differenza tra il bene e il male, supportato dalla presenza costante della mamma. A mano a mano che crescevamo si andavano sempre meglio definendo le due figure complementari, talvolta contrapposte, di padre e di uomo impegnato nel sociale e nell’esprimere la propria creatività attraverso la meravigliosa arte della ceramica. Da nostro padre abbiamo imparato, grazie alle lunghe conversazioni avute durante la nostra adolescenza, il rispetto delle regole fondamentali della convivenza e l’attenzione per ogni altro essere umano, la condivisione di ciò che possediamo, l’amore per la natura, per Dio e per tutto ciò che Egli ha creato. L’orgoglio di lavorare sodo, cercando sempre di superare i nostri limiti. Da Luigi uomo, impegnato nel sociale, abbiamo imparato la gratificazione del donarsi agli altri gratuitamente e ad accettare di buon grado la fatica dell’impegno. Egli ci ha trasmesso la gioia di accogliere il nostro prossimo con umiltà e ci ha insegnato a vivere la diversità come un valore aggiunto, mai come un elemento negativo, poiché “il colore della pelle di Dio è nero, rosso, giallo, bruno e bianco e Gli siamo tutti figli.” Da Luigi artista abbiamo appreso l’intelligenza della creatività, che si esprime attraverso l’osservazione delle meraviglie della natura e dell’essere umano, tramite le più svariate tecniche che consentono all’artista di raccontare il mondo così come egli lo vede. Gli insegnamenti di papà ci hanno permesso di ammirare ed apprezzare la bellezza e la verità presenti in ogni espressione artistica. Vivere e crescere accanto ad un uomo simile è certamente cosa impegnativa, ma tutto ciò che egli ci ha trasmesso, insieme alla mamma, ci ha aiutate ad affrontare la vita al meglio delle nostre forze ed ad essere le persone che siamo. Sara e Alessandra Prosdocimo
PRETESTI VISIVI TRADOTTI IN MATERIA Considerazioni sul percorso artistico di Gigi Prosdocimo Carlo Sala
La ceramica ha origini molto antiche e nei secoli ha seguito variegate linee creative. Nonostante le numerose scuole che sono sorte e i progressi espressivi ottenuti fino al Novecento questa è sempre stata relegata al ruolo di arte decorativa. Nel periodo delle avanguardie vi sono stati numerosi autori che nello sperimentare le varie espressioni artistiche hanno sentito la ceramica come un mezzo congeniale alle loro istanze. Altri invece, che portavano avanti tutt’altre ricerche, ne hanno sentito il fascino, utilizzandola in peculiari momenti del loro operare. Giacomo Balla ha saputo tradurre le esigenze del futurismo mediante quest’arte, infondendo alle sue formelle trame dinamiche. Arturo Martini mediante la ceramica ha realizzato delle opere dal forte sapore plastico, percependo gli umori della parte più avanzata della scultura europea. Lucio Fontana ha ridato vigore all’arte sacra, la sua Via Crucis del 1956 ne è ancora uno dei massimi esempi. E poi numerosi autori contemporanei: Enrico Baj, Giosetta Fioroni, Luigi Mainolfi, Giuseppe Penone fino ai nostri giorni con alcune creazioni che spaziano in vari versanti, da Bruno Ceccobelli a Luigi Ontani, da Jeff Koons a Enzo Cucchi. Gigi Prosdocimo si affaccia sullo scenario nazionale dell’arte nei primi anni Sessanta. Un momento in cui l’uso della ceramica ha un forte slancio creativo. Il 1962, quando egli partecipa alla sua prima Biennale di Venezia, è un anno cruciale per tali ricerche. A distanza di pochi mesi Lucio Fontana realizza una personale alla galleria Pater di Milano. In quell’occasione il critico Marco Valsecchi presenta in catalogo le ceramiche dell’autore che ottengono un lusinghiero
successo e non vengono più considerate una sorta di produzione minore dell’artista. In quegli anni Prosdocimo sente forte il bisogno di confrontarsi con la materia. A rileggere la produzione di allora, questa risulta quanto mai attuale nell’ambito delle ricerche italiane sulla ceramica. Il percorso di Prosdocimo si esplica mediante numerosi filoni creativi. Questi a volte si esauriscono in un limitato spazio temporale, ma nella maggior parte dei casi restano “sospesi” senza mai terminare per riemergere a distanza di anni. Sarebbe impossibile creare un discorso completo sui vari aspetti della sua produzione, mi limiterò a dare una chiave di lettura seguendo le divisioni proposte da questo catalogo. Da precisare che non sono disposte in ordine strettamente cronologico, ma seguendo linee di conformità e omogeneità tra opere talvolta anche distanti sul piano temporale. Il primo ciclo è quello dei Riflessi. Il corpus principale di questa serie è di recente produzione. I lavori sono ispirati in modo evocativo ai riflessi di luce che si formano sull’asfalto bagnato. Questi lavori hanno dei cromatismi molto intensi in cui i colori mostrano appieno le potenzialità espressive del materiale. La luce che sprigionano non sempre è confortante. A volte è sensuale e attraente e talvolta a dominare sono tonalità sofferte, piene di inquietudine e disagio. Nelle opere non è presente un impianto rigido e formale, il colore può liberarsi e dipanarsi in modo fluido e vitale. Prosdocimo nell’utilizzo del colore sembra sentire una vicinanza ad una tradizione veneta che ha i suoi ultimi interpreti nei pittori astratti degli anni Cinquanta.
L’azzurro, il marrone e il rosso sembrano i colori della ricerche di Gino Morandis o Mario Deluigi, timbri coloristici che non portano ad un’indagine ideale, ma ad una analisi controversa del reale. Un lavoro assimilabile ai precedenti è Composizioni del 1998. Il punto di partenza è un’immagine delle distese di campagna. Sembra che lo spettatore si trovi sulla cima di un campanile o a bordo di un elicottero a osservare la visuale dall’alto. Questa immagine è ovviamente un punto di partenza per attuare una rielaborazione, un barlume di realtà che diviene semplice pretesto visivo. La sfaccettatura naturalistica è resa minima fino a perdersi nei lampi di colore e divenire illeggibile. Ogni immagine del reale è solo un vago ricordo perché Prosdocimo ne persegue la traduzione in materia. La ricerca del vero artista non è realizzata in funzione del commercio e delle ragioni materiali, ma spinta da una serie di stati di vita ed esigenze. Queste inevitabilmente sconfinano fino a influire e mutare il cammino creativo. Nella produzione di Prosdocimo questo è avvenuto nella serie di lavori chiamata Tensioni. Un particolare momento che è emerso in lavori dominati da un senso di sospensione. Gli elementi verticali che compongono il lavoro sembrano essere dei cavi sotto sforzo, tirati dal peso di un macigno. Non vi è staticità, ma un continuo senso di precarietà che cela uno stato di inquietudine. I lavori della serie In Principio sono stati realizzati a seguito della lettura delle opere di David Maria Turoldo. In essi è presente una sorta di luce rivelatrice. E’ un inizio che potrebbe essere visto come il big bang
da cui è nata la terra. Oppure, in chiave biblica, la Genesi dell’antico testamento che ha originato il Creato. Una metafora che indica la verità suprema svelata. Una luce come simbolo di purezza e autenticità per un messaggio al di sopra delle logiche terrene. Nel porre alcune considerazioni sul percorso di Gigi Prosdocimo non si possono dimenticare i premi che ha ricevuto nel corso della sua lunga carriera, come il Bevilacqua La Masa o il Gualdo Tadino. È doveroso ricordare che negli anni Sessanta la situazione artistica veneta, in particolare di Venezia, ha una buona vitalità. I concorsi realizzati da enti e musei hanno un ruolo fondamentale nella ricerca di nuovi talenti che poi si affermeranno nello scenario nazionale. Prosdocimo li affronta presentando dei lavori che partono dal gusto dell’artigianato, elevando tale modo di operare a forma d’arte. Non si possono definire le sue creazioni dei semplici oggetti d’arredo. Hanno la forma di vasi, ciotole, ma racchiudono in sé i valori di una ricerca artistica in senso stretto, divenendo vere e proprie opere d’arte. Allo stesso tempo però i lavori dei ceramisti dell’epoca di Prosdocimo influiscono anche sulle arti decorative, apportandovi dei contributi e un senso estetico propriamente derivante dalle arti visive. A chiudere questo percorso ideale vi sono delle sculture ricche di mistero intitolate Memorie. L’autore realizzandole ha sentito il gusto per una materia rotta, sfaldata e manipolata a suo piacimento. In essa sono impresse delle grafie. Ma queste non sono leggibili e decifrabili in modo diretto e mediato. Nella nostra società ogni comunicazione verbale è
usualmente tesa ad una codificazione diretta. Gli schemi pubblicitari sono applicati a qualsiasi apparenza visiva, dalle vetrine dei negozi ai cartelli stradali, fino alle scritte dei sottotitoli televisivi. Tutto deve portare una nozione diretta, che la persona recepisce senza una possibile interazione. In queste sculture invece le lettere sono poste a caso, quasi ognuno potesse leggervi un qualche arcano significato. Lo strumento visivo è sovvertito dalle sue finalità logiche per diventare decorazione e rendere estetica la composizione. Prosdocimo nella sua carriera ha affrontato molteplici sfide creative nell’arduo mondo della ceramica. Questa mostra tenta di presentare alcuni spunti su un’artista che per sua stessa ammissione non ha mai voluto seguire il tradizionale concetto di coerenza stilistica. I suoi lavori sono molto mutati nel tempo, mantenendo tuttavia quei tratti che contraddistinguono la matrice espressiva dell’autore. Le sue opere non si sono mai piegate alla mera rappresentazione. Quando hanno riflettuto su degli spunti del reale è stata solo un’evocazione, un pretesto per andare oltre, per dare vita ad un rapporto intimo con una materia viva e ricca di suggestioni.
RIFLESSI Appunti sulle ultime opere Sergio Momesso
«Una farfalla nello spazio eccita la mia fantasia; liberatomi dalla retorica, mi perdo nel tempo e inizio i miei buchi» Lucio Fontana Non è semplice, a mio avviso, cercare di affrontare seriamente la produzione di Gigi Prosdocimo. Il suo è un percorso davvero lungo e ampio che è iniziato più di cinquanta anni fa e che merita di essere studiato a fondo. Non esistono purtroppo ancora gli strumenti per poterlo seguire con ordine, senza perdersi cioè nella sua vasta produzione e nella grande varietà di temi affrontati. Disponiamo solo di alcuni rari contributi critici, tra cui spiccano i brevi e intelligenti interventi di Manlio Brusatin (1987) e di Luciano Perissinotto (2000), che sono stati realizzati però per occasioni espositive come questa, senza quindi poter approfondire il dialogo con il corpus delle opere di Gigi Prosdocimo o addirittura assumersi l’onere di abbozzare un catalogo ragionato. Una situazione che non è difficile capire, se solo si osserva che dopo i successi giovanili con le partecipazioni alla Biennale di Venezia (1962, 1964, 1968) e ai concorsi internazionali della ceramica d’arte di Gualdo Tadino (1965, 1966, 1968, 1971, 1972), dopo le mostre in laguna alla Bevilacqua La Masa (1963, 1964, 1965) la sua attività espositiva, e quindi anche il rapporto con gallerie e critici di professione, si dirada notevolmente se non del tutto. Mentre allora il suo lavoro si fa sempre più solitario, cresce di importanza invece dal 1975 l’impegno di-
dattico con strutture che operano con persone disabili, con il Centro Riabilitativo “La Nostra Famiglia” di Conegliano, il Centro di Formazione Professionale di Lancenigo e infine la Cooperativa “Madonna dei Miracoli” di Motta di Livenza, che è anche una sua creatura. Seguono perciò anni di grande concentrazione in questo lavoro e di riflessione sulle potenzialità didattiche dei propri strumenti espressivi. Così, con grande generosità, molte energie se ne sono andate verso altri obiettivi, che hanno restituito però esperienze preziose e non comuni conquiste teoriche, che di recente si sono concretizzate in una tesi di laurea a lui dedicata1 e in un saggio dove Gigi stesso ha raccolto le proprie osservazioni, appunto, sull’enorme utilità della figurazione nel rapporto didattico con persone disabili. Un testo impegnativo, dove per esempio si analizza, chirurgicamente, l’attività mentale della figurazione in un modo che pochi altri artisti saprebbero affrontare.2 Ma se proviamo ad immaginare un catalogo, o anche solo un album fotografico dove tutto fosse in ordine e con le date a posto, credo che potremmo leggere attentamente la sequenza delle opere prodotte e osservare la strada percorsa, i dubbi, le conquiste, le cadute, le ripartenze. E potremmo fare tranquillamente anche le nostre scelte qualitative, mettendo bene a fuoco le relazioni culturali e le predilezioni stilistiche. Poiché anche in questa occasione non è possibile affrontare un tale compito, ho creduto opportuno limitarmi a qualche appunto sulle ultime opere, ancora tutte disponibili, insieme agli abbozzi e alle prove cromatiche, nel luogo dove sono state create. Ho cerca-
to però di leggerle in prospettiva diacronica, come si diceva una volta, mettendole in sequenza e tentando di riannodare i fili con la produzione precedente. Perché, come ho già suggerito, non mi è indifferente se un’opera è fatta prima e una dopo. Accostare due o più opere può suggerire un significato che prese da sole, e con la presunzione di poterle guardare senza metterle in relazione con qualcos’altro, quasi sempre si perde. Il laboratorio di Gigi è ora dominato dalla presenza di quattro opere che risultano composte da diverse piastre o formelle di forma quadrata. Si ha subito l’impressione di trovarsi di fronte a quattro grandi quadri, non a ceramiche. Sembra annullata la presenza fisica e la funzionalità di quella sua tecnica che affonda le radici nella preistoria dell’uomo e che ha sempre sostenuto tutto il lavoro di Gigi. La sua produzione è inattaccabile da questo punto di vista. Ma vi sono momenti nella vita in cui finalmente ci si libera dal pensiero e si lavora a memoria, si riesce a superare la tecnica e andare al di là degli strumenti di produzione, entrando in un regno dove si possono raggiungere ormai senza sforzo le proprie ragioni espressive, senza preoccuparsi di dover dimostrare le proprie capacità tecniche o intellettuali. E si riesce perfino a nascondere l’eccellenza della propria strumentazione, a nascondere l’arte (ars est celare artem): la vetta più ardua e più difficile da far capire, un po’ come gli 8000 metri senza ossigeno. Le dimensioni vanno aumentando progressivamente di opera in opera. Dopo due pannelli orizzontali, com-
posti da sei piastre di 30 centimetri per lato, seguono due pannelli ancor più grandi e da guardarsi in senso verticale: il primo realizzato mettendo insieme quattro piastre quadrate da 40 centimetri per lato, l’altro unendone esattamente il doppio. Benché si tratti di opere non figurative, si percepisce subito l’urgenza di un nuovo sentimento per la natura e l’astrazione è veramente un punto d’arrivo dove l’emozione sensuale si sente, ma non si vede. Gigi vorrebbe chiamare queste opere Riflessi, perché lo spunto originario sono immagini di paesaggi d’acqua con luci mobili e ombre impreviste. Accanto ai pannelli, nello studio di Motta, si incontrano anche tre grandi dischi di 50 e 40 centimetri di diametro, dove quello stesso tema ha ancora molto da dire. Poi alzando lo sguardo si possono osservare, in piastre singole, molte prove cromatiche e qualche studio di composizione, attraverso i quali si può cogliere il grande lavoro che sta dietro gli altri risultati. Sono opere realizzate nel corso di una stagione soltanto, dal maggio al luglio di questo anno, con grande slancio ed entusiasmo, tirando fuori energie che forse Gigi non immaginava di possedere ancora. Negli studi preparatori e nei grandi dischi si vede bene la ripresa di problemi affrontati a partire dalla metà degli anni ’90 con altri dischi e forme quadrate dove esplode al centro e si irraggia bruciando verso i margini una grande macchia blu che varia in oltremare, lapislazzuli, turchino e quarzo glauco. Sono del 2005 infatti alcune riprese dirette in forme rettangolari, in cui l’esplosione dei blu assume però una forma
oblunga, ellissoidale che, a mio avviso, già prelude alle spezzature e alle torsioni dei Riflessi. Una tematica di una tensione chiaramente mistica, che risulta scaturita dalla lettura dell’ultimo libro di padre David Maria Turoldo (Il dramma è Dio, 1992) e soprattutto dalle poesie e dalle prose che scavano nel primo libro della Bibbia: la luce, l’origine della vita. Un testo che ha talmente avvinto l’interesse di Gigi da spingerlo ad una essenzialità estrema e a lavorare su questi pensieri come per accompagnare, piuttosto che illustrare, le ultime parole di Turoldo. Poi c’è stata una parentesi di lavori dove l’astrazione è divenuta più concettuale e la forma risulta molto più costruita e ferma. Opere che Gigi non ama molto, ma che hanno accompagnato probabilmente il momento di elaborazione teorica del saggio sulla figurazione nella disabilità. La ripresa di motivi del decennio precedente ha perciò ora il significato di un esplicito ritorno su problematiche che non si erano veramente esaurite. Quell’astrazione è rivissuta a partire dal dato reale con un’oltranza che, per contrasto, deve forse qualcosa anche alla parentesi concettuale e teorica. La ripresa del dialogo con un paesaggio o con un evento naturale è molto commovente. Tanto da far venire in mente esempi grandissimi, che di sicuro a Gigi sembreranno sproporzionati e imbarazzanti. Non posso non pensare al tardo Giovanni Bellini o all’astrattismo minimale e mistico di Mark Rothko. Esempi grandissimi e lontanissimi, che non mi dispiace mettere in campo perché so che Gigi lavora in solitudine e si confronta volentieri con i grandi maestri, come l’amato Paul Klee, il Klee
didattico, il professore di pittura della Bauhaus, o il Picasso e il Fontana grandi ceramisti. Ma nelle ultime opere non mancano di farsi sentire, anche più che in passato, suggestioni da Burri e dai celebri cretti dei primi anni ’70. Che affettuosamente Gigi si ostina però a correggermi, come quando avevo trent’anni di meno e un fazzolettone al collo: sono creti – dice – non cretti. Come se il sostrato dialettale interferisse rendendogli più vicine le opere di Burri e richiamando alla memoria inconsciamente un vincolo profondo con la creta, la materia del suo lavoro che si rispecchia nella creta del libro della Genesi su cui non riesce a smettere di riflettere. Un materiale che non può non dialogare nelle sue opere con il suo opposto, la crettatura, il cretto, che è spaccatura, lavoro devastante del calore del sole o del fuoco nel corso del tempo. Le crepe e la ruggine che sono lasciate scoperte, come una ferita, in alcune piastre, si riallacciano ancora a opere più antiche, e sempre della metà degli anni ’90. Il piatto a rilievo con smalti ruggine e nero del 1995 è un buon trait d’union per opere ancora precedenti come una piastra a smalti nero e lucido del 1985, già esposta a Jeddah, in Arabia Saudita nel 1997. Dagli stessi anni e dalla stessa temperie di ricerche escono anche lavori di grande plasticità come la piastra a rilievo a smalti verdi del 1987, in cui l’autore sfrutta sino in fondo il gioco dei frammenti di corda immersi nella creta che, bruciati durante la cottura, restituiscono fasci di forme plastiche slabbrate e vibranti come gustose forme naturali. L’anno 2007 si è aperto con la progettazione di una
grande stele per il centenario dello scoutismo e in onore del gruppo mottense di cui Gigi è stato uno dei fondatori tanti anni fa. Un’opera monumentale da collocare in uno spazio pubblico di Motta di Livenza. S’è lavorato a lungo, producendo anche alcuni bozzetti in scala e sfogando i pensieri non compiutamente espressi in quell’opera con alcuni calchi in cui la creta nuda e appena impastata è impressa dai solchi della sgorbia o dalla forma di bei caratteri tipografici. Nei mesi subito successivi vengono realizzati quindi i pannelli e i dischi che compongono la serie dei Riflessi. Nel gioco a trovare l’incastro delle forme per tradurre la mobilità della luce sull’acqua e dei riflessi sempre cangianti l’autore lascia le fitte trame concettuali e si abbandona alla trascrizione delle proprie emozioni. Sa lavorare a memoria e trovare il momento giusto in cui fermarsi, quando e dove fermarsi, senza il rischio di accalcare troppe cose e annullare la bellezza di una intuizione subito trascritta (anche se il subito nella ceramica non esiste). Sa conservare la semplice e sincera leggerezza del proprio istinto materico, anche se, a dispetto delle apparenze, riesce a superare la materia e ad ottenere effetti sottili, gracili craquelures, semplici opache trasparenze, ombre lievi quasi di acque che ristagnano e potrebbero pullulare di microrganismi. La dimensione razionale rimane ai bordi, nella periferia dell’opera, nel fatto che sono dischi e lastre di ceramica e che l’immagine è tagliata e poi ricomposta, è frammentata e razionalmente ricomposta. Basta questa operazione, il resto è gesto, emozione, e l’imponderabile traduzione delle proprie speranze con il
lavoro del fuoco. Visitando in questi giorni la bottega di Gigi mi è stato possibile anche qualche corpo a corpo con le ultime opere e riempire un poco il taccuino con alcune modeste «spuntature d’impressione immediata» (Longhi). Poiché forse potrebbero tornare utili alla lettura dei pezzi esposti, spero di essere perdonato se ne riproduco qui direttamente, senza troppe limature, qualche brano concludendo questi appunti sulla produzione più recente: «La tendenza a geometrizzare, ad incastrare le forme si attenua di opera in opera fino al pannello orizzontale blu giallo e bianco, che si distende in un largo cromatico amplissimo dove il pensiero rimane sospeso in meditazione quasi senza fine. [...] Grande pannello rosso giallo e nero: il giallo è magma, il rosso brucia. Sembra una lotta tra rosso e giallo vulcanico, e poi tra rosso e nero. Rosso e giallo un po’ si accordano, ma resta duro lo scontro con il nero profondo. Pannello drammatico, ma nel senso, un po’ eroico, di una lotta tra opposti. Non c’è la mediazione e la tenerezza degli altri quadri. [...] Pannello verticale giallo e nero: ha trasparenze violette che sfiorano il giallo tenero, ma poi sprofondano inermi in un lago di nero che fa paura. Sono squarci. [...] L’ultimo riquadro in basso è il più fosco ma anche il più ricco di sottigliezze luminose: giallo sporco di bruno che vira al violetto, è intriso anche di azzurro ma molto chiaro; giallo che poi affoga nel lago nero che diventa ora viola, ora un verde che profuma di muschio e di terra. Nero che non è nero. Va abituato l’occhio alla ricchezza di variazioni. [...] Pannello orizzontale azzurro verde e nero: molto
complesso e costruito. Bella la triste tenerezza degli azzurri che escono dal verde marcio e dal blu quasi nero con rialzi improvvisi di rosso. In questo, e nel pannello grande rosso giallo e nero, si osserva il modo di costruire l’immagine per forme che si incastrano secondo una geometria che si va sfaldando: astrazioni ma anche trascrizioni del reale, perché un triangolo è un oggetto al pari di una sedia (obiezione di Chagall a Malevich nel ‘19). Al centro un grande taglio azzurro con riflessi verde marcio dove ti aspetti che possa galleggiare qualcosa. Già qui vi è qualche trasparenza come si vede meglio altrove. [...] Pannello orizzontale blu giallo e bianco: ritmo largo e incantato, trasparenza delle acque o degli smalti dove qualche insetto (o qualche foglia) potrebbe essere rimasto bloccato per sempre come in gocce di ambra fossile. Nel primo riquadro di sinistra uno sbuffo di bianco sul blu oltremare sembra quasi la spuma di un’onda». Note: 1. Daniela Florian, L’arte didattica di Gigi Prosdocimo nel recupero della persona disagiata, tesi di laurea, relatore prof. Manlio Brusatin, correlatore prof. Paolo Eleuteri, Università Ca’ Foscari di Venezia, anno accademico 2002-2003. 2. Luigi Prosdocimo, Dal segno al simbolo. La figurazione nella relazione educativa con la persona disabile mentale, Edizioni del Cerro, Tirrenia (Pisa), 2006.
1998 - 2007
Riessi n.6, 2007 engobbi e smalti policromi su cotto rosso cm 80 x 160 Riessi n.2, 2007 engobbi e smalti policromi su cotto rosso cm 40 x 160
Riessi n.4, 2007 engobbi e smalti policromi su cotto rosso cm 30 x 180
Riessi n.5, 2007 engobbi e smalti policromi su cotto rosso cm 30 x 180
Riessi n.10, 2007 engobbi e smalti policromi su cotto rosso cm 50 x 50
Riessi n.3, 2007 engobbi e smalti policromi su cotto rosso cm 30 x 30
Riessi n.9, 2007 engobbi e smalti policromi su cotto rosso cm 50 x 50
Frammenti, 2007 engobbi grafďŹ ati cm 50 x 50
Tensioni 2000, 2007 tecnica mista cm 40 x 40
Tensioni 2000, 2007 tecnica mista cm 40 x 40
Magma, 2007 engobbi e smalti policromi cm 30 x 30
Albero, 2007 engobbi su cotto rosso cm 50 x 50
Frammenti, 2007 tecnica mista cm 30 x 30
Composizioni, 2000 tecnica mista cm 40 x 40
Composizioni, 1998 engobbi e smalti policromi cm 25 x 25
Composizioni, 1998 engobbi e smalti policromi cm 25 x 25
1987 - 1995
Tensioni, 1995 tecnica mista cm 53 x 53
In principio, 1995 smalti e cristalline colorate su cotto rosso cm 53 x 53
In principio, 1995 smalti e cristalline colorate su cotto rosso cm 60 x 60
In principio, 1995 cristalline colorate su cotto bianco cm 53 x 53 In principio, 1995 cristalline colorate su cotto bianco cm 60 x 60
In principio, 1995 cristalline colorate su cotto bianco cm 60 x 60
Senza titolo, 2005 cristalline colorate su cotto bianco cm 31 x 79
Ossidazioni, 1987 smalti policromi cm 36 x 36
Big bang, 1987 smalti policromi cm 40 x 40
Movimento centrifugo, 1987 smalti policromi cm 46 x 46
Amicizia, 1987 smalti policromi cm 42 x 42
MISCELLANEA
Ciotole, 1982 smalti policromi dimensioni variabili
Ciotole, 1982 smalti policromi cm 14 x 14
Vaso, 1966 smalti policromi cm 17 x 27
Vaso, 1990 smalti policromi cm 16 x 27
Bottiglia, 1962 smalti policromi cm 17 x 22
Armonie, 1968 smalti su cotto rosso cm 50 x 50
Memorie, 2007 creta fratturata dimensioni variabili
Esclusioni, 1992 tecnica mista cm 12,5 x 25 x 4
BIOGRAFIA
Luigi Prosdocimo nasce a Motta di Livenza (TV), settant’anni fa. È figlio di Domenico, restauratore di gran fama; il padre lo porta, ancora quattordicenne, in giro per la provincia come “ragazzo di bottega”. Partecipa così al restauro di tele ed affreschi dei più noti artisti veneti, dal Veronese a Palma il Giovane, da Jacopo da Ponte a Gian Antonio Guardi. All’età di vent’anni Luigi avverte la necessità di trovare un’espressione artistica propria, oltre che al disegno è interessato alla materia e alla forma. Nel 1960 decide di frequentare un laboratorio di scultura ed inizia così il suo avvicinamento alla materia -fredda e alla modellazione. Fondamentali in questo periodo sono la conoscenza dell’architetto Gualtiero Vendrame, amico del fratello Franco, anch’egli architetto, e l’insegnamento di disegno e ornato alla scuola “Lepido Rocco” di Motta di Livenza, dove il direttore De Faveri gli consente di usare un piccolo forno per la cottura della ceramica e degli smalti. Si reca anche a Nove di Bassano del Grappa, ospite del professor Pianezzola, a perfezionare l’arte della cottura. Studia ed affina la tecnica e l’uso degli smalti. Inizia così il periodo delle mostre (1963); la Biennale di Venezia, la fondazione Bevilacqua La Masa. Entrambe più volte, oltre ad esposizioni all’estero in rappresentanza del veneto e per conto dell’Ente Nazionale Artigiani e Piccole Industrie. Ottiene numerosi premi e riconoscimenti di prestigio internazionale. Conosce l’architetto Gilda D’Agaro, con la quale si perfeziona artisticamente e tecnicamente. Prosdocimo collabora ad alcuni progetti con opere in ceramica; il loro è un incontro particolarmente significativo, che contribuirà
a fargli acquistare un metodo nella ricerca e nello studio. Nel novembre del 1966 Motta di Livenza è travolta da una alluvione di dimensioni catastrofiche. Prosdocimo perdo tutto: colori, creta, stampi e disegni ed è costretto a trovarsi un nuovo lavoro. Rifiuta quelli propostigli dall’industria del settore, non vuole infatti accettare compromessi e neppure abbandonare la sua Motta alluvionata. Espone ancora, seppure più raramente. L’ultima mostra personale nella sua Motta risale al 1987, allestita nel palazzo comunale “La Loggia”, che riscosse grande successo ed interesse di critica e di pubblico. Una nuova stagione creativa lo vede protagonista a partire dalla metà del 2006; nuove idee, innovativi progetti, ardite sperimentazioni e risultati eccellenti vanno accrescendo da un anno a questa parte la già ricca produzione artistica di Luigi. La mostra antologica che proponiamo in questa sede è per l’appunto una summa dell’opera di questo importante artista mottense, con particolare riguardo alla novità ed originalità della più recente fase creativa di cui egli è protagonista ed artefice.
MOSTRE, PREMI E RICONOSCIMENTI
1962 / XXXI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 1964 / XXXII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 1968 / XXXIV Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 1962 / Mostra dell’artigianato Veneto – Vibo Valentia 1963 / Mostra dell’Artigianato Veneto di Padova / Premio Ministero Industria e Commercio / 51a Mostra collettiva Opera Bevilacqua La masa di Venezia (3° Premio) / Mostra dell’artigianato Veneto – Fiera Campionaria del Levante - Bari 1964 / Mostra pannelli artistici - Padova / 52a Mostra Collettiva Opera Bevilacqua La Masa di Venezia (2° Premio) / 2° Concorso della ceramica d’arte di Cervia (RA) / Mostra dell’artigianato Veneto – Tel Aviv - Israele 1965 / 3° Concorso della ceramica d’arte di Cervia (RA) / 53a Mostra Collettiva Opera Bevilacqua La Masa di Venezia / 23° Concorso Internazionale ceramica d’arte di Faenza (RA)
/ 7° Concorso Internazionale ceramica d’arte di Gualdo Tadino (PG) / 30a Mostra Mercato Nazionale dell’artigianato di Firenze / Mostra Internazionale dell’artigianato - Monaco di Baviera (Germania) / Fiera Internazionale di Sardegna - Cagliari 1966 / 4° Concorso della ceramica d’arte di Cervia (RA) / 54a Mostra Collettiva Opera Bevilacqua La Masa di Venezia (2° Premio) / 2° Concorso Nazionale della ceramica e scultura Francesca da Rimini - Rimini / 3° Concorso Nazionale Domus Mariae - Roma / 8° Concorso Internazionale della ceramica d’arte di Gualdo Tadino (PG) 1967 / Concorso Settimana Venezia/Monaco di Venezia (Medaglia d’oro) / 32a Mostra Mercato Internazionale dell’artigianato di Firenze (Medaglia d’argento) 1968 / 10° Concorso Internazionale della ceramica d’arte di Gualdo Tadino (PG) Sezione piatti da muro (Targa d’argento) Sezione servizi da cucina (Medaglia d’oro) 1970 / 1° Premio Biennale San Marco – Artigianato per il turismo di Venezia (Targa d’oro)
/ 35a Mostra Mercato Internazionale dell’artigianato di Firenze
1973 / Circolo Culturale Voci – Maron (UD)
1971 / 13° Concorso Internazionale della ceramica d’arte di Gualdo Tadino (PG) (Targa d’oro) / Mostra dell’artigianato trevigiano ad Orleans (Francia) / Mostra dell’artigianato italiano a Johannesburg (Sudafrica) / Mostra dell’artigianato trevigiano alla Mostra dell’artigianato di Pieve di Cadore – (BL)
1974 / Circolo Culturale 4 Cantoni – Oderzo (TV)
1972 / 14° Concorso Internazionale della ceramica d’arte di Gualdo Tadino (PG) (Targa d’oro) 1978 / Arte e Lavoro – XIII Rassegna Nazionale dell’artigianato artistico – S. Giorgio di Livenza (VE) / 13a Rassegna Naz. Arte e Lavoro – San Giorgio di Livenza (VE) 1987 / Terre ferme ceramiche del ‘900 a Venezia e provincia, a cura dell’Assessorato Artigianato e Turismo della Provincia di Venezia
1976 / E.P.P.A.T. Treviso a cura della C.C.I.A.A. di Treviso 1977 / Galleria “La Loggia” – Motta di Livenza (TV) 1979 / Galleria Leonardo, a cura del Circolo Culturale Leonardo – Conegliano (TV) 1985 / Piancavallo – Azienda Autonoma – Aviano (PN) 1987 / Galleria “La Loggia”, a cura dell’Assessorato alla Cultura – Motta di Livenza (TV) 1992 / A.P.T. - Oderzo (TV)
PERSONALI
1995 / “San Raffaele” - Milano / “Ca’ Lozzio Incontri” – Piavon (TV)
1964 / a cura dell’Opera Bevilacqua La Masa - Venezia (Premio 1963)
1997 / Centro Culturale Italiano - Saudita a Gedda (Arabia Saudita), promosso dal Consolato Generale d’Italia e
dall’Associazione Civiltà Altolivenza 2007 / Centro Arti Visive “La Castella” – Motta di Livenza (TV) COLLETTIVE 1989 / Arte e Poesia – Biblioteca Civica – Motta di Livenza (TV) 1991 / Galleria “La Loggia” – Motta di Livenza (TV) 1994 / Casa dei Carraresi - Treviso 1995 / San Raffaele - Milano / San Vito al Tagliamento (PN) / Basilica Madonna dei Miracoli – Motta di Livenza (TV) / Galleria “La Loggia” – Motta di Livenza (TV) 1996 / Sala Esposizioni del centro Esav – Motta di Livenza (TV) 1997 / Arte da usare, Biblioteca Cominiana e Comune di Jesolo - Sala Tintoretto
BREVE ANTOLOGIA CRITICA
Luciano Perissinotto L’incanto di una parola antica, 2000 Parlare di ceramica alla fine del XX secolo può sembrare puro esercizio retorico, espresso in funzione di nostalgico compiacimento archeologico. Ciotole e piatti di terracotta sono le testimonianze più eloquenti di un segno di vita che inizia con gli albori della civiltà. E poiché la forma circolare che li contrassegna è ideale a richiamare, allusivamente, l’immagine del sole e degli astri, il senso che essi evocano è quello delle relazioni con cui i nostri antenati erano persuasi di essere in rapporto con la totalità dell’universo. La ceramica è nata per soddisfare le esigenze pratiche della vita domestica: forse per questa ragione i suoi modelli decorativi hanno conosciuto una codificazione allergica alla sperimentazione innovativa. Ma oggi, oggi che tutte le suppellettili domestiche sono prodotte industrialmente, in metallo, vetro e plastica, in che rapporto si trovano gli oggetti in ceramica con le necessità pratiche dell’esistenza? La risposta ci viene suggerita da Gigi Prosdocimo. Egli modella ancora ciotole, piatti e formelle di vario tipo e dimensione, ma sono tutte proposte che, chiaramente emancipate dalle incombenze del quotidiano, si presentano con le uniche credenziali della valenza estetica. Esse s’introducono, infatti, nell’ambiente domestico con la discrezione di chi sa di non essere indispensabile, ma è consapevole di proporsi quale elemento suscitatore di ammirata contemplazione. Anzi, di magia, perché ad incantare non è più la inequivocabile regolarità della decorazione geometrica di un tempo, che si conformava all’astratta perfezione della forma in
cui s’inscriveva, ma la sontuosità di un cromatismo che supera i limiti dell’immaginazione, perché rivela la presenza di qualcosa che percepiamo senza renderci razionalmente conto di come possa aver conosciuto concretizzazione. Le esigenze sono da tempo soddisfatte da una produzione industriale che conosce l’imprimatur dell’“industrial design”, vale a dire di una fase progettuale nettamente distinta da quella produttiva vera e propria, dove l’intervento del polpastrello è scomparso, anzi considerato fuorviante perché controproducente ai fini di una produzione che non ammette digressioni al progetto. Gigi Prosdocimo invece modella e decora emancipato dal rischio, che per lui è tale, della serialità. La sua opera suscita un rapporto di compiacimento spirituale, espressione di una dimensione che ci sovrasta e che, lungi dall’ossessionare, invita a cogliere il senso di una realtà altra, allusa da una forma che riesce a parlare con la voce di un colore esaltato dalla metamorfosi operata con la “cottura”. Non occorre chiamare in causa le perplessità e le inquietudini che assillano il contemporaneo per porsi in consonanza con le opere di Prosdocimo. Se qualcosa di (apparentemente) impenetrabile può sorprenderci nella sua opera, è senz’altro da attribuire anche ad una tecnica funzionale alle esigenze della sua immaginazione, vale a dire a quell’imponderabile dovuto alla trasformazione della materia ad opera del calore, che la rende incandescente, consegnandole, a fase conclusa, una preziosità cristallina. La materia ha così conosciuto una metamorfosi che, anche se controllata dall’autore, appare sempre imprevedibile. Ceramica, quindi, ma nei termine
dell’uso che ne può fare l’uomo d’oggi: di godimento squisitamente estetico. Prosdocimo ha sempre riservato attenzione ad un presente tanto diverso dal contesto socio-economico in cui è maturata la tradizione ceramica. Egli ha cercato di corrispondervi sperimentando tecniche diverse e forme inusuali, mai però abbandonandosi all’eccentrico per pura velleità innovativa. E ciò perché il suo equilibrio ed il suo senso della vita lo hanno sempre orientato verso soluzioni originali sì, ma non spregiudicate. Nella ceramica, infatti, egli ha sempre avvertito il sapore antico di una manifattura che ha accompagnato per millenni il lento evolversi delle esigenze primarie dell’uomo. Ed è così che Prosdocimo consegna alla sua ceramica il bisogno di ingentilimento ambientale ampiamente avvertito dalla nostra società, mantenendo viva, anzi esaltando, la singolarità dell’attività artigianale. E proprio in questo senso di schietta umanità riconosciamo il valore della proposta di Prosdocimo, proposta che interpreta le esigenze spirituali di un mondo incerto se riconoscersi nelle matrici della sua identità o consegnarsi al dilagare di un comportamento puramente artificioso. Un’incertezza da cui Gigi Prosdocimo non è stato nemmeno sfiorato. Giuseppe Manzato Gigi Prosdocimo un artista contro, 1996 Terra e fuoco in una intensa commistione di forme e colori, capaci di liberare dall’essenza della materia un messaggio di speranza sempre nuovo (...) Dai disegni che offrono sostegno all’opera astratta fino ai dischi punteggiati da innumerevoli mondi variopinti
che riverberano l’esplosione cosmica – il big bang originario – si legge quel sentimento di ricerca che, nel rincorrersi di forme sempre nuove, strappate alla materia e manipolate con la difficile arte del fuoco, accompagna tutta la vicenda artistica di Prosdocimo. Nei piatti, nei dischi luminescenti che sfumano dal blu all’azzurro, dal bianco al giallo, proiezioni di un universo dove l’essere si colloca come microscopico segno di colore, s’intravvede un lampo di gioia, un anelito di speranza (...) La speranza di un futuro migliore, che tiene per mano la vera arte, non le attività di estetizzazione dell’esistente, veicolate da pubblicità e mass-media. Il denominatore comune di artisti, poeti, filosofi e scrittori che, come Gigi Prosdocimo, hanno scelto un percorso narrativo contro; un sentiero di segno contrario all’età dell’opulenza. Giuseppe Migotto Sentimenti nell’argilla, 1995 (...) “Non cerco di raffigurare un tramonto, ma di trasferire nella materia l’emozione provata in quel momento. Preferisco raccontare le sensazioni più che gli oggetti, col linguaggio universale del cuore.” La ruggine delle inferriate, le contorsioni, la consunzione della materia, la corrosione del tempo: ecco il processo di rigenerazione. Dalle ceneri rispunta la vita. E riecheggia un motivo evangelico: se il chicco non muore... Ogni tanto, un lampo di luce, una macchia di colore, un riflesso si sprigionano dal caos. E il nero si fa scheggia luminosa di speranza. La definizione della forma le imprime calore. Si ripete il momento magico della Creazione (...)
Manlio Brusatin Fuoco, terra e anima, 1987 La terra, la più umana e materna essenza materiale, matura la sua forma e il suo colore con la febbre del fuoco. È il sospinto desiderio di colui che dà immagine e funzione alle scodelle e ai vasi formati per gli uomini e fatti assolutamente come loro. La loro storia non è ancora il denso strato di cocci da decifrare che ci fa sospendere il pensiero sul passato ma la favola così necessaria al presente che si forma sotto i nostri passi, come la terra che si percorre. Così i vasi diventeranno uomini e gli uomini vasi. Prosdocimo è un maestro che mantiene il sorriso paziente di chi sa guardare e interrogare la terra e il cielo, per trarre auspici semplici ed essenziali e produrre oggetti nei giorni propizi, conoscendo ogni rischio di quel mago bizzoso e infido che è il fuoco. Anzi sa ottenere dai suoi giochi, lampi e scintille improvvise sprigionate nell’aria da una vampa che si ferma nel fondo di un disco di terra, formato di luce cupa che respira effervescenze. Prosdocimo ama quelle forme che stanno dentro ai frutti e che si dicono, dizionario alla mano, noccioli ma che nel linguaggio di tutti si chiamano gli ossi dei frutti. Egli sa che queste piccole sculture di legno durissimo vengono sepolte ma emanano già una vita che spunterà presto con una piuma verde. Prosdocimo guarda all’osso di un frutto come un’anima segreta e rifiutata ma la vera parte buona ed eterna di una polpa già andata, e sembra tramandarle nella forma alveolata, portata a sottigliezze e spessori avvertiti per farla vibrare come un corpo sonoro. Le forme che trascrivono l’immagine del cuore di un frutto
sono talvolta limate come in un giuoco d’infanzia per ottenere da loro un fischio modulato e una voce inattesa: il lavorio che le circonda riproduce la tenera custodia della terra che trattiene i frutti caduti e li risveglia alla luce e al suono per farli prendere. Questo guardare ed essere sollecito verso l’anima di un frutto, per riplasmarlo nei giochi della sua arte, risveglia assolutamente l’anima pedagogica di Prosdocimo, la profonda corteccia morale che hanno coloro che operano nelle arti e le trasmettono nel silenzio leggero e nella fatica diluita per orientare mani inesperte. Accanto ai segreti frutti della terra, come le sementi e i baccelli e gli involucri naturali come astucci tanto ricchi quanto essenziali per trasmettere il messaggio di una vita, Prosdocimo ama la luce e l’ombra dei pianeti. I suoi dischi densi di oscurità e di luminescenze, ci appaiono come piccoli mondi raffreddati dal loro fuoco creatore e appesi in un universo profondo e interrogativo. Questi sono mondi e universi che pulsano al loro interno come sistemi di pianeti e filanti galassie. La loro immensità è tanto dilatata e inesprimibile che diventano immediatamente piccoli e minuscoli, frammenti di esseri ancora interrogativamente laterali alla scena del mondo. Noi. Questi schermi circolari sono in fondo i minimi e i massimi sistemi dell’aprirsi della terra impastata e cotta alla sfera della qualità. Infatti i colori che sono, come la dea Iride, i messaggeri della qualità tra cielo e terra, si producono per differenze e opacità e ci fanno intuire le schegge di luce dei piccoli sassi colorati che li compongono. Punti gialli, verdi e violetti sono improvvise scintille di tanto rivelatori fuochi fra terra
e cielo. Prosdocimo lavorando e fondendo i molti filamenti della terra ci produce davanti questo universo dai piccoli e grandi falò con il riflesso prudente di questo mondo. Il globo di cristallo che ci ostiniamo a interrogare non sarebbe nulla se non contenesse il fiato e la voce di un uomo che libera particelle scintillanti di verità. Cioè un artista. Osserviamo dentro ai cerchi luccicanti di Prosdocimo quell’argilla di campo che diventa polvere d’oro. Lì vedremo la nostra anima, grazie alla sua. Gina Roma Pittrice, 1974 Nella sapiente “bottega” del padre di Gigi Prosdocimo, le “Cose d’arte” ed il “parlare d’arte” erano di casa: nutrimento dello spirito e continua educazione visiva. Poi la scoperta e la scelta della “ceramica” come mezzo più aderente, tattile, plasmabile per portare avanti il proprio discorso, la lenta conquista di una tecnica personale, avvantaggiata anche dalla lontananza dai centri della ceramica tradizionale. Un lavoro ostinato, paziente, nella sperimentazione del mezzo, nella ricerca di forme suggerite dalla materia e dal ricordo di elementi naturali capaci di rivelare l’atteggiamento interiore dell’uomo. Gigi Prosdocimo ha una sua problematica: l’uomo e la natura intesi come elementi compenetrati e come bene prezioso da salvare. Attraverso gli aspetti esteriori delle sue immagini d’uomo egli cerca le convinzioni intime ed i mascheramenti segreti dell’individuo. Gli smalti hanno una loro personalità di cui bisogna tener conto al momento dell’uso e il fuoco, elemento vitalizzante,
può esaltarli o distruggerli. Prosdocimo ne è cosciente ma li sceglie ugualmente per le maggiori possibilità di risultati in aderenza alla sua ricerca. L’uso della materia è portato alle estreme possibilità tanto da liberare le forme (suggerite a volte dalla stessa creta modellata e dalle colate degli smalti) dai vincoli della materia stessa. Così nascono “oggetti” di uso comune preziosi di colori, di smalti, di segni; pannelli come racconti eleganti ed impegnati, sculture dove la forma umana è pretesto per situazioni interiori in un sensibilissimo equilibrio cromatico, nel rispetto dell’idea da esprimere e della personalità dell’artista. Pierino Sam Scultore, 1973 Conosco Prosdocimo da parecchio tempo ed ho seguito le sue ricerche nel campo della ceramica con molto interesse; mi sembra che ora la sua produzione, in questa difficile arte dove pittura e scultura formano un’unica espressione, sia giunta ad un notevole livello artistico. Prosdocimo si esprime mediante forme e colori modernissimi, dove si sente sempre presente lo studio delle grandi tradizioni regionali tanto che dal solo colore si potrebbe conoscere la matrice veneta dell’artista. I suoi temi sono spesso semplici ed efficaci, ispirati al mondo della natura: forme composite di insetti (farfalle, scarabei, libellule) trasfigurate nella ceramica in smaglianti, calde tonalità di colore. Esorterei l’artista e l’amico a continuare su questa strada, anche con la produzione di interessanti modelli di piatti e vasi che rivoluzionano in modo originale le strutture tradizionali di forma e colore.
Carlo Toffolo Pittore, 1973 L’arte della ceramica è una delle più antiche che l’umanità abbia conosciuto. Il mestiere del vasaio risale agli albori della civiltà, quando l’uomo cercando una materia a portata di mano, con la quale fabbricare i suoi recipienti, scoprì che la terra, l’argilla manipolata ed essiccata al sole, gli permetteva di creare l’oggetto cavo di cui aveva bisogno. Successivamente, per quel naturale e necessario evolversi del senso estetico, la ceramica assurse a valore d’arte. In quest’arte, nel connubio forma-colore, Gigi Prosdocimo si destreggia con bravura e disinvoltura che è sì mestiere e tecnica, ma anche fantasia e sensibilità. Questo artista ha passione, puntiglio, entusiasmo e le sue ceramiche riflettono appieno questi attributi, direi, indispensabili alla creazione di un’opera. Dirò anzi che l’entusiasmo di questo giovane che è commovente, è la sua qualità predominante, è un punto di forza dal quale scaturiscono freschezza e purezza, è ciò che gli permette di elaborare la materia, di tradurla in linguaggio pittoricamente affascinante. Ma Gigi Prosdocimo ha in serbo anche delicatezze materiche impensabili, impostazioni robuste ma nel contempo eleganti; ammiravo nelle sue ultime produzioni l’imprimere sicuro, gioioso di atmosfere sognate, dalle quali tuttavia emergeva con graduale consistenza. Sempre alla ricerca di proposte e di aperture nuove, teso al miglioramento stilistico oltre che tecnico, avvincente nelle sue variazioni creative, questo rinnovarsi continuo accresce la sua arte, raffinando le sue creazioni. Oggi egli è nell’avanguardia
sicuramente un artista vincente, e lo troveremo anche più avanti tra i pochi più impegnati, tra coloro che con forma e colore esprimeranno sempre meglio. Gualtiero Vendrame Architetto, 1973 La manipolazione e lo studio di oltre cinquecento campioni di smalti, l’indagine visiva sulla materia, usando per lungo tempo anche il microscopio, la passione per le forme di ogni tempo, nonché la costanza nel ricercare le ragioni che le hanno determinate, sono un segno di Luigi Prosdocimo. Le sue applicazioni negli interni e negli esterni dell’edilizia residenziale hanno un respiro nuovo, in grande coerenza con il pensiero che la scuola “Bauhaus” elaborò e propose.