Quaderni del Controsservatorio Valsusa
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Il Controsservatorio Val Susa nasce a Torino nell’autunno 2013 per iniziativa di un gruppo di cittadini (donne e uomini impegnati nella città, intellettuali, tecnici) e di realtà associative sensibili ai temi della democrazia, della partecipazione e della difesa dell’ambiente, dei diritti e delle persone. Il nome ne esplicita il senso e gli obiettivi. Del Tav, il treno ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino e Lione, si parla e si scrive molto. Eppure il livello di informazione dei cittadini (e finanche dei parlamentari) è tuttora assai limitato, come dimostrano articoli e inchieste televisive. La quantità dell’informazione è spesso inversamente proporzionale alla sua qualità. Mentre in tutti i Paesi interessati dal progetto del cosiddetto “Corridoio 5” è in corso una riflessione critica sull’utilità e la sostenibilità economica dell’opera (anche da parte di ambienti liberisti), in Italia queste analisi sono state rimosse e sostitute con l’ossessiva ripetizione di luoghi comuni sulla necessità della nuova linea, sui benefici che la stessa determinerebbe, sul (supposto e inesistente) avanzamento dei lavori in altre realtà territoriali. E, parallelamente, il movimento di opposizione più longevo, radicato e costruttivo del nostro Paese viene per lo più presentato come un gruppo di esagitati e violenti e la questione del Tav viene derubricata a problema di ordine pubblico. Proporre un’altra informazione è, dunque, un’operazione di trasparenza e democrazia. Di qui la nascita del Controsservatorio che, nella primavera del 2014, si è costituito in associazione. Nei suoi oltre due anni di attività esso ha prodotto tre quaderni di documentazione (Come si reprime un movimento: il caso Tav, a cura di L. Pepino; Tav e Val Susa: diritti alla ricerca di tutela, a cura di P. Mattone; Il Tav Torino-Lione: le bugie e la realtà, a cura di Guido Rizzi e Angelo Tartaglia), attivato il sito di informazione www.controsservatoriovalsusa.org, promosso una ricerca sulla qualità dell’informazione relativa al Tav nei maggiori quotidiani italiani, organizzato diverse iniziative e dibattiti di informazione (tra cui il convegno nazionale “Gradi opere, controlli, comunità locali”, TorinoAlmese, 7-8 novembre 2014) e presentato – insieme a numerosi amministratori locali – l’esposto al Tribunale permanente dei popoli sulla situazione in Val Susa che ha dato luogo alla sessione e alla sentenza documentate in questo quaderno. Per saperne di più:
www.controsservatoriovalsusa.org
IL TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI LE GRANDI OPERE E LA VALSUSA
a cura di Livio Pepino
Controsservatorio Valsusa. Quaderno n. 4 Il Tribunale permanente dei popoli. Le grandi opere e la Valsusa, a cura di Livio Pepino ISBN 9788874211746 Š Edizioni Intra Moenia 2016 II Distico Srl Piazza Cavour 19, 80137 - Napoli www.intramoenia.it info@intramoenia.it Progetto grafico e impaginazione: Daniele Pepino Fotografia in copertina: Luca Perino, Clarea 2012 I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
INDICE
7 Introduzione. Una sentenza per la Val Susa, il contesto, le prospettive, di Livio Pepino 25 PARTE PRIMA. UNA SENTENZA STORICA. Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere. Dal Tav alla realtà globale 27 1. Tribunale permanente dei popoli. La sentenza 8 novembre 2015 64 2. Tribunale permanente dei popoli. Il programma della sessione 5-8 novembre 2015
67 PARTE SECONDA. ROMPERE IL MURO DEL SILENZIO. Le tappe del procedimento 69 1. Il ricorso introduttivo al Tribunale permanente dei popoli, 8 aprile 2014. Una richiesta di riconoscimento e di giustizia 91 2. La decisione di ammissibilità del ricorso, 20 settembre 2014. Una prima risposta positiva 94 3. L’atto d’accusa, 14 marzo 2015. La logica del colonialismo nel cuore dell’Europa, di Livio Pepino 102 4. La memoria 7 maggio 2015. Accusati e capi d’accusa 115 5. Le requisitorie finali, 7 novembre 2015. I diritti dei popoli e delle comunità all’alba del terzo millennio, di Livio Pepino
135 PARTE TERZA. IL TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI. Origini, ruolo, fondamento giuridico 137 1. I tribunali di opinione e il Tribunale permanente dei popoli, di Luis Moita 167 2. Lo statuto del Tribunale permanente dei popoli 173 3. Le sessioni del Tribunale permanente dei popoli
L. PEPINO, UNA SENTENZA PER LA VALSUSA
INTRODUZIONE UNA SENTENZA PER LA VAL SUSA, IL CONTESTO, LE PROSPETTIVE di Livio Pepino
1. Si veda al riguardo, per tutti, P. Mattone (a cura di), Tav e Valsusa. Diritti alla ricerca di tutela, quaderno n. 2 del Controsservatorio Valsusa, Intra Moenia, Napoli, 2014. Per il dettaglio si può fare riferimento alla cronologia, dal 1989 al 2011, pubblicata in L. Pepino e M. Revelli, Non solo un treno. La democrazia alla prova della Valsusa, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2012. 2. Cfr. L. Pepino, Come si reprime un movimento: il caso Tav, quaderno n. 1 del Controsservatorio Valsusa, Intra Moenia, Napoli, 2014.
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1. La sentenza emessa l’8 novembre 2015 dal Tribunale permanente dei popoli su “diritti fondamentali, Tav e grandi opere” trae origine da un ricorso presentato l’8 aprile dell’anno precedente dal Controsservatorio Valsusa e da quindici amministratori di Comuni della Valle. Conviene, dunque, partire da lì rispondendo a una domanda obbligata. Perché, dopo 25 anni di opposizione al Tav e di mancate risposte delle istituzioni, rivolgersi a un organismo paragiudiziario come il Tribunale dei popoli? E perché farlo in un momento in cui l’intervento repressivo di polizia e magistratura contro il movimento No Tav, richiesto e sostenuto a gran voce dall’establishment politico e dalla stampa di informazione, era diventato particolarmente duro e sistematico? Per rispondere occorre fare un passo indietro. L’esclusione della popolazione della Val Susa e dei suoi rappresentanti dalle decisioni relative alla nuova linea ferroviaria e il tentativo di trasformare l’opposizione all’opera in problema di ordine pubblico, demandato alla gestione di polizia e magistratura, non sono certo recenti: la prima ha accompagnato il cammino del Tav fin dall’origine1; il secondo – con il corollario di militarizzazione del territorio, denunce, arresti, processi – dura da oltre dieci anni (cioè, quantomeno, dagli scontri del Seghino e dal brutale intervento notturno della polizia nel presidio di Venaus dell’autunno 2005)2.
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Ma è a partire dal giugno 2011 – dopo il violento sgombero della “Libera Repubblica della Maddalena”, le conseguenti grandi manifestazioni e i connessi scontri tra dimostranti e forze dell’ordine – che si assiste a un cambio di paradigma, destinato ad acuirsi ulteriormente negli anni successivi, sino al picco degli ultimi mesi del 2013 e dell’inizio del 2014. Il salto di qualità riguarda il controllo del territorio e delle manifestazioni da parte delle forze dell’ordine, l’intervento giudiziario e l’atteggiamento dei media (proiettati in primo piano da una sorta di delega delle principali forze politiche, incapaci di iniziativa autonoma e ferme nella ripetizione ossessiva di slogan sempre meno credibili sulla «necessità dell’opera»). Quanto al controllo del territorio, gli eventi precipitano nel giro di pochi mesi. È del giugno 2011 la prima ordinanza del prefetto di Torino, poi ininterrottamente reiterata per oltre quattro anni, con cui l’area circostante il cantiere della Maddalena – in allora inattivo e, dunque, nulla più che un simbolo (circondato di reti e filo spinato) – viene affidata alle forze di polizia con divieto per «chiunque» di «accedervi e stazionarvi»3. Appena un mese dopo, la difesa del cantiere viene attribuita, oltre che a polizia e carabinieri, all’esercito (con truppe già impegnate in teatri di guerra)4 e, contestualmente, si assiste a una continua escalation dell’uso della forza, tra l’altro con l’impiego massiccio di gas lacrimogeni per impedire manifestazioni a ridosso delle reti di recinzione. Ed è del successivo 12 novembre l’intervento legislativo in forza del quale «le aree e i siti del Comune 3. La reiterazione così prolungata delle ordinanze prefettizie è in palese contrasto quantomeno con la ratio della norma su cui si fondano, posto che l’articolo 2 del Testo unico di pubblica sicurezza le legittima solo «nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica». Si veda, sul punto, A. Algostino, Libertà di circolazione e ragioni politiche nell’area di interesse strategico nazionale della Val Susa. Osservazioni a margine delle ordinanze pel Prefetto di Torino sull’area del cantiere e della sentenza Tar Piemonte n. 00969 del 2012, in Democrazia e diritto, n. 4/2014, pp. 69-97 e Id., Vietato avvicinarsi al cantiere. La libertà di circolazione in Val Susa secondo il prefetto e il Tar, in L. Pepino (a cura di), Come si reprime un movimento, cit., pp. 37-52. 4. Cfr., su punto, L. Pepino, Costruire il nemico: una storia esemplare, in L. Pepino e M. Revelli, Non solo un treno… La democrazia alla prova della Val Susa, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2012, p. 91 ss. Merita segnalare che l’intervento dell’esercito in funzioni di ordine pubblico è un’assoluta anomalia in un sistema democratico a cui si è fatto ricorso, nel nostro Paese, solo – e non senza polemiche – per l’azione di contrasto a mafia e terrorismo.
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5. L’unico precedente analogo, nel nostro Paese, è quello del decreto legge 23 maggio 2008, n. 90, che attribuisce la qualifica di «area di interesse strategico nazionale», limi-tatamente alla Regione Campania, a «siti, aree e impianti comunque connessi all’attività di gestione dei rifiuti». 6. Il salto di qualità (su cui mi permetto di segnalare, nell’immediatezza dei fatti, il mio Gli arresti non tornano, in il manifesto, 29 gennaio 2012) venne ignorato dalla maggioranza dei commentatori. E ciò nonostante le avvisaglie contenute in un precedente analogo provvedimento emesso il 22 settembre 2011 nei confronti di due ragazze imputate dello stesso reato per fatti avvenuti nel corso di una manifestazione al cantiere della Maddalena (nel quale si legge, a sostegno del concorso nel reato di una delle ragazze, che «nel caso in cui essa avesse avuto intenzione di limitarsi a manifestare pacificamene, non appena la manifestazione ha assunto carattere violento si sarebbe allontanata»). Merita segnalare che tale impostazione accusatoria è stata disattesa, in sede di giudizio, dal Tribunale di Torino che, con sentenza 11 luglio 2012, ha assolto l’imputata anzidetta con formula piena. 7. Uno degli avvocati impegnati nella difesa di imputati del movimento No Tav quantifica in un centinaio, con circa 500 imputati, i processi da lui seguiti sino al novembre 2013 (C. Novaro, Movimento No Tav e repressione penale, in L. Pepino (a cura di), Come si reprime un movimento, cit., p. 59). 8. Il testo della ordinanza applicativa della misura cautelare può leggersi in L. Pepino (a cura di), Come si reprime un movimento, cit., p. 137 ss.
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di Chiomonte, individuati per l’installazione del cantiere della galleria geognostica e per la realizzazione del tunnel di base della linea ferroviaria Torino-Lione, costituiscono aree di interesse strategico nazionale» assimilati, ai fini del diritto penale, ai «luoghi in cui l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato»5. Non meno significativo quanto accade nel settore giudiziario, dove si assiste a un irrigidimento repressivo inedito, almeno con riferimento a fenomeni specifici e circoscritti. L’inizio della svolta è l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Torino del 20 gennaio 2012 con cui vengono applicate pesanti misure cautelari a 41 esponenti No Tav per resistenza a pubblico ufficiale in relazione agli scontri della Maddalena del 27 giugno e del 3 luglio 20116. A essa segue una stagione che si sviluppa attraverso centinaia di procedimenti penali7 e culmina, a fine 2013 - inizio 2014 in provvedimenti e iniziative senza precedenti: dalla contestazione del delitto di attentato con finalità terroristiche (e connessa custodia in carcere in condizioni di prolungato isolamento) nei confronti di quattro giovani responsabili di un “assalto” al cantiere della Maddalena con incendio di un compressore e senza danni alle persone8 sino all’incrimina-
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zione per istigazione a disobbedire alle leggi dello scrittore Erri De Luca, reo di avere sostenuto che «è giusto sabotare» il cantiere e che a quello «servono le forbici»9, passando attraverso la condanna di tre esponenti del movimento a risarcire a Ltf (Lyon-Turin Ferroviaire) la somma di 191.966 euro per essersi opposti ad alcuni sondaggi in un terreno interessato alla linea ferroviaria10. Le forzature e la sproporzione di tali iniziative giudiziarie sono evidenti e ciò dimostra, agli occhi della valle, un accanimento contro il movimento No Tav in quanto tale. Né vale richiamare, in contrario, l’obbligatorietà dell’azione penale e la doverosa applicazione della legge, come pure fanno, maldestramente, alcuni protagonisti di quella stagione. Nulla, infatti, hanno a che fare con i princìpi di obbligatorietà e legalità fenomeni e prassi come l’attribuzione di una corsia privilegiata ai processi nei confronti di esponenti No Tav, la coreografia che circonda i relativi dibattimenti (celebrati in un’aula bunker annessa al carcere e costruita, anni prima, per i processi di terrorismo e mafia11), l’istituzione presso la Procura della Repubblica di Torino di un pool di sostituti con competenza esclusiva nel settore12, l’immediato e sollecito perseguimento – in caso di collegamento con l’opposizione al Tav – anche di reati di minima entità sanzionabili con la sola pena pecuniaria13, l’uso massiccio delle misure cautelari persino nei 9. La vicenda è ricostruita dallo stesso Erri De Luca, nel pamphlet La parola contraria, Feltrinelli, Milano, 2015, in cui sono riportati anche il capo di imputazione e i documenti su cui lo stesso si fonda. Per una critica all’impostazione accusatoria cfr. L. Pepino, Val di Susa, tre processi che parlano dell’Italia, in il manifesto, 14 ottobre 2015 e Id., Diritto di parola sotto processo, ivi, 20 ottobre 2015. 10. Ulteriori riferimenti sulla vicenda e la sentenza del Tribunale di Torino possono leggersi nel già citato: Come si reprime un movimento, pp. 25 e 90 ss. 11. La prassi della celebrazione dei dibattimenti contro esponenti No Tav nell’aula bunker annessa al carcere delle Vallette a Torino (nel tempo diventata una costante) inizia, significativamente, nel 2011 nel processo a carico di due sindaci della Val Susa, imputati per lesioni di lieve entità riportate da due operatori di polizia nel corso di una manifestazione di cinque anni prima (sic!). Merita aggiungere che, all’esito del dibattimento, i due pericolosissimi sindaci saranno assolti con formula ampia. 12. Si tratta di un unicum nella esperienza giudiziaria ché i cosiddetti pool specializzati delle Procure hanno tradizionalmente riguardato reati connessi con fenomeni generali di grave e indiscussa rilevanza sociale (come il terrorismo, le mafie, la corruzione e via elencando) 13. Ciò è accaduto, per esempio, per reati di danneggiamento, costruzione abusiva di un presidio o violazione di sigilli, pur nella vigenza, presso la Pro-
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confronti di incensurati14, la dilatazione delle ipotesi di concorso nel reato fino a costruire una impropria “responsabilità da contesto”15, le imputazioni mirabolanti che giungono a evocare i fantasmi del terrorismo16, l’utilizzazione nelle motivazioni di sentenze e ordinanze di espressioni truculente (quasi a supportare o sostituire i fatti con gli aggettivi)17, l’omessa considerazione di scriminanti e attenuan-
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cura di Torino, di una disposizione organizzativa che prevedeva il trattamento prioritario dei reati più gravi e di maggior allarme sociale. 14. Alcuni esempi possono leggersi nel mio La Val Susa e il diritto penale del nemico, in Come si reprime un movimento, cit., p. 20 ss. 15. L’espressione è di M. Pelissero, Concorso di persone nel reato e responsabilità da contesto, in Associazione giuristi democratici (a cura di), Conflitto, ordine pubblico, giurisdizione: il caso Tav, Giappichelli, Torino, 2014, p. 17 ss. 16. L’abnormità dell’accusa di terrorismo a fronte di un fatto come l’episodio sfociato nell’incendio del compressore cui si è fatto riferimento, certamente illecito ma di dimensioni modeste, è evidenziata in modo lapidario dalla Corte di assise di Torino nella sentenza 17 dicembre 2014 che, nell’assolvere gli imputati da tale reato, usa parole di elementare buon senso: «pur senza voler minimizzare i problemi per l’ordine pubblico causati da queste inaccettabili manifestazioni, non si può non riconoscere che in Val di Susa – e a fortiori nel resto del Paese – non si viva affatto una situazione di allarme da parte della popolazione e [dunque] se il contesto in cui maturò l’azione [degli imputati] non era oggettivamente un contesto di particolare allarme, neppure l’azione posta in essere rivestiva una “natura” tale da essere idonea a raggiungere la contestata finalità». L’insussistenza del reato di terrorismo è stata confermata anche dalla Corte di assise d’appello di Torino, con sentenza del 21 dicembre 2015. Sul punto si veda anche la sentenza 15 maggio 2014 della VI sezione della Corte di cassazione, emessa in sede cautelare, in www.questionegiustizia.it con nota di R. Barberini, La pronuncia della Cassazione sulla natura degli attentati dei No Tav, del 13 novembre 2014. Cfr., in dottrina, S. Zirulia, No Tav: la Cassazione fissa i parametri interpretativi in merito alle condotte di attentato e alla finalità di terrorismo, in Diritto penale contemporaneo, 30 giugno 2014; A. Valsecchi, Attacco «No Tav» e attentato per finalità terroristiche: la Cassazione fissa le coordinate fondamentali per l’interprete, in Questione giustizia, n. 3/2014, p. 229 ss.; P. Ferrua, La prova nel processo penale, vol. I, Struttura e procedimento, Giappichelli, Torino, 2015, p. 53 ss. e L. Pepino, Movimenti e repressione penale: il caso Tav, ne Il Ponte, fascicolo monografico dedicato a “Qualegiustizia”, n. 5-6/2015, p. 123 ss. 17. Il rilievo è della Corte di cassazione che, nella sentenza 10 maggio-7 settembre 2012 (di annullamento, per due imputati, della citata misura cautelare 20 gennaio 2012), stigmatizza l’uso, nell’ordinanza applicativa, «di affermazioni, rectius, di evidenziazione di circostanze che appaiono sovradimensionate ed eccedenti rispetto ai fatti esposti, quasi funzionali a sollecitare una diversa dimensione giuridica rispetto a quella oggetto dell’imputazione».
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ti pur previste nel sistema (talora addirittura dal codice Rocco)18, l’accurata costruzione di un processo a mezzo stampa parallelo a quello formale19 e via elencando. Queste prassi sono, all’evidenza, frutto di scelte discrezionali20, rispondenti alla concezione – propria dei poteri forti e assai diffusa nella politica – secondo cui le società si governano in modo centralizzato e autoritario e che il confitto sociale è un elemento di disturbo inaccettabile praticato da “nemici” meritevoli di repressione esemplare. Si tratta – superfluo aggiungere – di scelte produttive di effetti assai gravi non solo sulle persone coinvolte nei procedimenti ma anche in termini di criminalizzazione, nell’immaginario collettivo, dell’intero movimento No Tav. I descritti interventi di polizia e magistratura si saldano con gli atteggiamenti di una stampa (spesso controllata da gruppi interessati all’opera), dapprima arruolata nell’attività di propaganda e, poi, onnipresente partecipe delle operazioni di ordine pubblico al seguito delle forze di polizia anche dove è inibito l’accesso a ogni Anche in questo caso l’ordinanza del Tribunale del riesame e la sentenza della Corte di cassazione possono leggersi in L. Pepino (a cura di), Come si reprime un movimento, cit., p. 97 ss. 18. Il riferimento è alla scriminante dell’aver commesso il fatto «in reazione all’atto arbitrario del pubblico ufficiale» e alle attenuanti dell’avere agito «per motivi di particolare valore morale o sociale» o «sotto l’influenza della folla in tumulto», che non hanno mai trovato cittadinanza nella vicenda valsusina. 19. Rinvio sul punto, ancora una volta, al mio La Val Susa e il diritto penale del nemico, cit., p. 31 ss., in cui si riportano, a titolo di esempio, alcune suggestive affermazioni rese dall’allora procuratore della Repubblica di Torino in una trasmissione televisiva del 28 aprile 2012 e in un articolo su Il Fatto quotidiano del 22 ottobre 2013. Illuminante, a dimostrazione del tentativo di evitare ogni critica all’impostazione “ufficiale”, è, poi, la mancata autorizzazione da parte della apposita Commissione della Corte d’appello di Torino all’uso di un’aula del Palazzo di giustizia per un convegno di studio, organizzato dall’Associazione giuristi democratici e rivolto prevalentemente agli avvocati, dedicato a «Conflitto sociale, ordine pubblico, giurisdizione: il caso Tav e il concorso di persone nel reato» programmato per il 2 dicembre 2013 con la partecipazione di docenti universitari, magistrati, avvocati e operatori di polizia. 20. Che di scelte discrezionali e non di atti necessitati si tratti risulta anche dalle ormai numerose smentite dell’impostazione accusatoria da parte di giudici di merito e della Corte di cassazione (alcune delle quali in precedenza richiamate) e dal recente smantellamento, nella nuova organizzazione della Procura della Repubblica di Torino, del pool di sostituti preposti ai processi riguardanti il Tav.
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2. Che fare, dunque? Continuare a mettere in campo determinazione, fantasia e intelligenza politica per svelare le manovre dell’avversario, sparigliare i giochi, aprire ulteriori fronti, creare nuove alleanze, inserire nello scontro attori inediti e via di seguito. È in questo quadro che si colloca l’iniziativa del Controsservatorio Valsusa23 e degli amministratori della Valle di presentare un ricorso 21. Tale tipo di informazione, ampiamente sperimentata in contesti bellici, è oggi sempre più diffusa nelle cosiddette “democrazie autoritarie” (dalla Russia alla Turchia) e non solo in esse… 22. Per ulteriori annotazioni al riguardo rinvio al mio Costruire il nemico: una storia esemplare, cit., p. 97 ss. Si vedano inoltre, nel sito www.controsservatoriovalsusa.org, le ricerche di I. Pepe e M. Bonato presentate nel convegno «Il Tav e i media: quale informazione?» (Torino, 18 febbraio 2014) e le registrazioni di quest’ultimo. 23. Il Controsservatorio Valsusa è stato costituito il 4 novembre 2013 da personalità e associazioni torinesi con la finalità di dare «una risposta ferma e urgente all’aggravarsi della situazione in Valle, alle strumentalizzazioni e alle falsificazioni, all’inasprimento repressivo in atto» e di informare i cittadini
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altro (compresi i giornalisti non accreditati). In questa operazione si distinguono, in particolare, le pagine locali dei grandi quotidiani diffusi in Piemonte (La Stampa e la Repubblica) e del Tg3, con i relativi siti, sempre più simili a mattinali della Questura o a uffici stampa della Procura, talora con manifestazioni grottesche come il precipitoso ritiro (dai siti) di articoli fuori linea. Ma l’intero panorama dei media nazionali (con poche eccezioni: il manifesto e, parzialmente, Il Fatto quotidiano tra i giornali e alcune isolate trasmissioni televisive, come Report, Servizio pubblico e Piazza pulita) riproduce consolidati modelli di informazione embedded21 che ignora il dibattito sul merito della nuova linea ferroviaria ed enfatizza, da un lato, i (presunti) progressi dei lavori e, dall’altro, gli scontri e gli episodi di violenza accaduti in Valle (attribuendone apoditticamente e acriticamente la responsabilità al movimento No Tav22). L’obiettivo – o, comunque, l’effetto – di questa azione congiunta, anche per mascherare la sempre più evidente insostenibilità dell’opera (ormai tale anche agli occhi dei proponenti), è l’isolamento del movimento, la sua chiusura in un angolo, la riduzione dell’opposizione a scontro muscolare (con il movimento in posizione di inevitabile inferiorità).
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al Tribunale permanente dei popoli chiedendone un intervento teso a ripristinare la verità su quanto sta accadendo in Val Susa. Una strada ardita e rischiosa, indotta, anche, dal muro opposto dall’establishment ad appelli, petizioni24, ricorsi, denunce25. Strada ardita – si è detto – perché il Tribunale permanente dei popoli (Tpp) appariva ad alcuni interessato ad altro tipo di situazioni, conflitti, violazioni di diritti. Organismo di opinione di carattere non istituzionale26 esso si è costituito, infatti, nel 1979 a Bologna come
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«su cosa sta accadendo in Val Susa e su chi ha a cuore la legalità». Nei suoi due anni di vita ha prodotto tre quaderni di documentazione, una ricerca sull’informazione relativa al Tav, un convegno nazionale sulle grandi opere e varie iniziative a livello locale. Tutti i materiali prodotti sono reperibili nel sito www.controsservatoriovalsusa.org. 24. Alcuni di tali appelli e petizioni possono leggersi in P. Mattone (a cura di), Tav e Valsusa. Diritti alla ricerca di tutela, cit. 25. Merita segnalare che, parallelamente al ricorso al Tribunale dei popoli, altre iniziative sono state assunte sul versante istituzionale e su quello giudiziario da varie espressioni del movimento No Tav: dal disegno di legge presentato il 25 novembre 2013 dal senatore Scibona + altri, avente ad oggetto «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul progetto e la realizzazione dell’opera denominata “Linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione”», all’esposto denuncia presentato alla Procura della Repubblica di Roma il 31 marzo 2014 da Cancelli + 3, avente ad oggetto «forzature, irregolarità e false attestazioni» di potenziale rilevanza penale intervenute nell’iter dell’opera. Superfluo dire che la prima iniziativa non ha avuto seguito e la seconda è stata archiviata de plano senza neppure sentire gli esponenti. 26. Il Tpp si compone attualmente di oltre 70 “giudici” provenienti da 29 Paesi di tutti i 5 Continenti. I suoi membri, che devono godere «della più ampia considerazione morale» (articolo 6 dello statuto), sono magistrati, giuristi, economisti, scrittori, artisti e personalità politiche o religiose di riconosciuta autorevolezza (ci sono stati e ci sono – tra gli altri – anche alcuni premi Nobel), nominati dal Consiglio della Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli. Essi godono di garanzie di assoluta indipendenza, durano in carica per un triennio (rinnovabile) ed eleggono, al loro interno, il presidente e quattro vicepresidenti, che costituiscono l’ufficio di presidenza. Il Tpp ha competenza «in merito a ogni tipo di violazione grave e sistematica dei diritti dei popoli» commesso «sia dagli Stati che da autorità non statali o da gruppi o organizzazioni private» (articolo 1). Viene attivato da richieste avanzate da «Governi, organismi internazionali (governativi o non governativi), movimenti di liberazione, gruppi politici o sindacali, gruppi di privati cittadini» (articolo 3). Il comitato di presidenza giudica sulla ammissibilità della richiesta e provvede, nel caso, alla designazione della giuria preposta alla relativa sessione. Gli accertamenti e i giudizi del Tpp si svolgono con
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regole procedurali simili a quelle giudiziarie (donde il nome di “tribunale”) e nel contraddittorio, ove accettato, di tutte le parti interessate. Le decisioni del Tpp spaziano dall’accertamento delle violazioni dedotte alla condanna (etica e politica) dei responsabili e a conseguenti raccomandazioni agli Stati circa i comportamenti da tenere in futuro. Esse vengono rese in forma di “sentenze”, con lettura pubblica del dispositivo e successivo deposito della motivazione. Ovviamente, trattandosi di un organo di opinione, le decisioni finali non sono suscettibili di esecuzione in alcuna forma ma vengono trasmesse alle parti, agli organismi internazionali competenti e alla stampa. 27. Per un’ampia illustrazione della storia e delle caratteristiche del Tpp si veda, in questo quaderno, L. Moita, I tribunali di opinione e il Tribunale permanente dei popoli, parte terza, p. 137 ss. 28. Il testo integrale della dichiarazione (nota anche come Carta di Algeri) può leggersi in www.tribunalepermanentedeipopoli.fondazionebasso.it. 29. Così L. Moita, I tribunali di opinione, cit., p. 151. 30. L’elenco delle sessioni svolte può leggersi infra, parte terza, pp. 173-74.
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diretta prosecuzione della esperienza del Tribunale Russell I, sulla guerra del Vietnam, e del Tribunale Russell II (1974-1976), promosso da Lelio Basso per denunciare i crimini commessi dai regimi militari in America Latina27, trovando il suo fondamento nella Dichiarazione internazionale dei diritti dei popoli, proclamata ad Algeri il 4 luglio del 1976 per affermare, tutelare, difendere il diritto all’autodeterminazione dei popoli28. La Dichiarazione di Algeri, evidentemente, era ancorata ai valori e alle questioni fondamentali dell’epoca e alle lotte dei popoli per liberarsi dal colonialismo, ma con grande lungimiranza, «considerava i popoli come soggetto collettivo di diritti, integrando in questo modo la visione corrente sui diritti umani» e «avvicinava un nuovo tipo di diritti […] come il diritto dei popoli all’esistenza, all’identità culturale, all’autodeterminazione politica ed economica, il diritto al progresso scientifico in quanto patrimonio comune dell’umanità, il diritto alla protezione dell’ambiente e all’accesso alle risorse comuni del pianeta e i diritti delle minoranze»29. In esecuzione di questo disegno il Tpp, nei suoi oltre 35 anni di vita, ha svolto 40 sessioni30. La storia raccontata nelle sue sentenze disegna una significativa mappa di lotte dei popoli per il riconoscimento dei loro diritti. Nei primi 10-15 anni il Tpp si è occupato prevalentemente – né avrebbe potuto essere altrimenti – di vicende e situazioni connesse con la liberazione dal colonialismo (Sahara Occidentale, 1979; Eritrea, 1980; Timor Est, 1981), l’autodeterminazione interna di alcuni Stati (Argentina, 1980; Filippine, 1980; El
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Salvador, 1981; Zaire, 1982; Guatemala, 1983), le persecuzioni di minoranze di diversa natura (Armenia, 1984; Amazzonia brasiliana, 1990; Tibet, 1992), l’autodeterminazione di alcuni Stati a fronte di ingerenze esterne (Afghanistan I e II, 1981,1982; Nicaragua, 1984). Ma con il passare del tempo il catalogo dei suoi interventi si è arricchito e diversificato sino a comprendere la mancata applicazione del diritto internazionale e l’impunità di crimini contro l’umanità in situazioni in cui gli individui e le comunità sono condannati all’esclusione, alla povertà, alle diseguaglianze. Sono riportabili a questo filone le sessioni su “Le politiche del Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale” (1988 e 1994), “L’impunità dei crimini contro l’umanità in America Latina” (1991), “La Conquista dell’America Latina e il diritto internazionale” (1992) e poi, in maniera ancora più esplicita, alcuni interventi dedicati al rapporto tra economia, diritto, democrazia e impunità, come quelli sul disastro di Bophal (1992, 1994), sulle imprese europee in America Latina (2006-2010), sulle politiche di libero commercio in Messico (20112014). In questa dimensione il Tpp, nella sentenza 23 luglio 2008 relativa alle “Politiche delle transnazionali in Colombia”, si è spinto ad affermare «il diritto delle donne e degli uomini a essere consultati al fine di ottenere il consenso libero, previo e informato prima di adottare e applicare misure legislative o amministrative che li danneggino, prima di adottare qualsiasi progetto che comprometta le loro terre o territori o altre risorse».
Gradualmente, dunque, l’orizzonte del Tribunale si è esteso dal colonialismo storico (e dalle connesse lotte di liberazione) alle molte nuove forme di colonialismo – diverse ma egualmente incidenti sulla vita e i diritti fondamentali dei popoli, delle comunità e delle persone – veicolate, in prevalenza, non più dagli Stati quanto da poteri economici nazionali e sovranazionali e dallo stesso sistema economico affermatosi come egemone. C’è, di questo percorso e delle sue caratteristiche, una recente, efficace sintesi: «Nella storia del Tpp, i tanti popoli che si sono incontrati – infinitamente diversi per le problematiche, le culture, i bisogni, i linguaggi, le appartenenze – hanno avuto in comune il coraggio, la pazienza, la lucidità di farsi avanti, non come vittime, ma come portatori di una identità di dignità che nessun sopruso aveva potuto spegnere. Tutte/i erano
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3. È qui che le due strade si incontrano: quella del Tpp, impegnato nella rivisitazione delle proprie competenze in un mondo in cui sempre più spesso le organizzazioni internazionali e i Governi sono espressione di un sistema economico in aperta collisione con i diritti fondamentali di popoli e comunità, e quella del movimento di opposizione della Val Susa, forte della consapevolezza, acquisita negli anni e nel confronto con esperienze analoghe, che le grandi opere faraoniche progettate o in corso di esecuzione in Europa e nel mondo (e, tra esse, la nuova linea ferroviaria Torino-Lione) non realizzano solo devastazioni dell’ambiente e delle condizioni di vita delle popolazioni interessate ma disegnano nuovi e incontrollati luoghi di decisione, escludendo i cittadini dalle scelte che li riguardano e contribuendo a minare le basi stesse della democrazia (intesa come governo “dei più” fondato sulla partecipazione concreta e reale delle donne e degli uomini). Nasce in questo contesto il ricorso del Controsservatorio Valsusa e degli amministratori della Valle, esplicito fin dall’esordio: «il presente esposto intende investire il Tribunale, tramite la ricostruzione e l’analisi del caso Val Susa, di alcune questioni che vanno oltre il caso concreto e hanno una evidente rilevanza generale: dalle 31. S. Fraudatario e G. Tognoni, 1976-2011: attualità della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, prefazione a F. Rigaux, I diritti dei popoli e la Carta di Algeri, 2a ed., Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2012, p. 12. Merita segnalare che Gianni Tognoni è segretario del Tpp sin dalla fondazione e che Simona Fraudatario compone, con lui, l’attuale segreteria.
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passate/i (e continuano a cercare di passare) anche per le vie “tradizionali” del diritto. Tutte/i ne sanno e ne sperimentano le parzialità senza scampo. Tutte/i condividono il sogno necessario di un diritto diverso: che non ha bisogno di nuovi concetti, ma di un nuovo “punto di vista” per l’interpretazione e l’applicazione dei princìpi esistenti. Può essere molto semplice, ma è per questo molto radicale, soprattutto oggi: la dignità della vita delle persone è misurata e misurabile solo dalla progressiva scomparsa di tutte quelle realtà umane che sono sottoposte ai trattamenti inumani e degradanti (è una delle definizioni della tortura) della miseria, della fame, delle malattie evitabili, dei salari-non-degni, delle espropriazioni… Sono questi gli indicatori di sviluppo umano che il diritto deve avere come criterio dottrinale e operativo di riferimento da garantire e promuovere»31.
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crescenti devastazioni ambientali lesive dei diritti fondamentali dei cittadini attuali e delle generazioni future fino alla drastica estromissione dalle relative scelte delle popolazioni più direttamente interessate (anche in violazione di specifici atti internazionali come la Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998). Di tali questioni, comprensive del trasferimento a poteri economici e finanziari nazionali e internazionali di decisioni di primaria importanza per la vita di intere popolazioni e/o di quote significative di cittadini, il caso Val Susa è espressione e simbolo. Molte e crescenti, peraltro, ne sono le manifestazioni nel mondo e nel nostro Paese, a dimostrazione della loro centralità e attualità. Si tratta – la cosa è ben chiara agli esponenti – di situazioni in cui la violazione dei diritti fondamentali di persone e popolazioni avviene in modo meno brutale di quanto accaduto in altre vicende prese in esame dal Tribunale, soprattutto nei primi decenni di attività, ma che rappresentano – su scala locale e regionale – la nuova frontiera dei diritti a fronte di attacchi che mettono in pericolo lo stesso equilibrio (ecologico e democratico) del pianeta»32.
L’impostazione dei ricorrenti è profondamente innovativa – non affronta solo il tema (pur centrale) della Val Susa ma quello delle grandi opere nel mondo – e apre una prospettiva politica di estremo interesse e suggestione sulla esistenza (e la necessità di contrastare) una deriva neocoloniale nel cuore dell’Europa: «Le grandi opere e le pratiche che le accompagnano, in Valsusa e nel mondo, non esauriscono i loro effetti nella costruzione di un megaponte o nel traforo di una montagna o nell’abbattimento di una foresta ma incidono – come l’esperienza di questi anni insegna – sui meccanismi complessivi di funzionamento delle istituzioni e della stessa democrazia. Al Tpp chiediamo di dire che oltre al colonialismo classico esercitato su Paesi lontani dall’Europa, c’è – non sembri eccessivo il termine – un colonialismo interno all’Europa che mortifica le persone e i loro diritti, tracciando linee ferroviarie e grandi opere come un tempo si tracciavano, con una linea sulla carta geografica, i confini di nuovi Stati»33.
32. Il ricorso è riportato per intero infra, parte seconda, p. 69 ss. Il senso dell’iniziativa del Controsservatorio è lucidamente segnalato da A. Algostino, Democrazia e partecipazione: il Tribunale dei popoli e la Val Susa, in Costituzionalismo.it, 1 ottobre 2014. 33. Atto d’accusa presentato nella sessione inaugurale del 14 marzo 2015, infra, parte seconda, p. 94 ss.
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«questo diritto, oltre a essere espressione del diritto di partecipazione degli individui e dei popoli al proprio governo – come stabilito 34. Cfr. provvedimento 20 settembre 2014 Comitato presidenza Tpp, infra, parte seconda, p. 91 ss. 35. Nel sito www.controsservatoriovalsusa.org si trova la riproduzione in video della intera sessione. 36. Il programma dettagliato della sessione può leggersi infra, p. 64 ss., mentre gli interventi in essa svolti, le testimonianze assunte e la lettura del dispositivo della sentenza sono consultabili sul sito www.controsservatoriovalsusa.org. 37. L’intera sentenza è pubblicata infra, p. 27 ss.
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La ritenuta ammissibilità del ricorso da parte dell’ufficio di presidenza del Tpp34 apre una lunga stagione preparatoria, che coinvolge l’intero Movimento No Tav e altre realtà associative come il Forum contro le grandi opere inutili e imposte. Si stabiliscono contatti con movimenti di opposizione analoghi in Italia e in Europa (dai No Mose ai No Muos, dai No Tav di Firenze ai No Ponte di Messina, dai movimenti contro le trivellazioni a pioggia nei mari e sulla terraferma a quelli contro la centrale solare termodinamica della Basilicata, dai movimenti contro l’aeroporto internazionale di Notre-Dame-des-Landes a quelli contro la miniera d’oro a cielo aperto di Rosia Montana in Romania e contro l’alta velocità ferroviaria tra Londra e Birmingham, nei Paesi Baschi spagnoli e francesi, a Stoccarda e via elencando), si organizzano confronti e approfondimenti in Val Susa e in varie parti d’Italia, si coinvolgono giuristi, tecnici e cittadini, si prepara – per metterlo a disposizione del tribunale – un materiale ingente. E si arriva così – dopo la seduta inaugurale di Torino del 4 marzo 201535 – alla sessione di merito, che si svolge a Torino e ad Almese dal 5 all’8 novembre 2015, nella quale vengono sentiti, dal vivo o attraverso filmati, oltre 40 testimoni ed esperti italiani e stranieri in udienze che vedono la presenza attenta e partecipe di centinaia di persone36. Quella dell’8 novembre 2015 ad Almese è una data importante per il movimento No Tav e non solo. Il Tribunale, infatti, accoglie in toto l’impostazione del Controsservatorio Valsusa e pronuncia una sentenza37 di grande rilievo sia nella ricostruzione dei fatti che nelle affermazioni di principio, a cominciare dal riconoscimento tra i diritti fondamentali degli individui e dei popoli, di «quello alla partecipazione ai procedimenti di deliberazione relativi alle [grandi] opere». Si legge, in particolare, nella sentenza che:
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nella Dichiarazione universale dei diritti (art. 21) e nel Patto sui diritti civili e politici (art. 25) – è funzionale ai princìpi della democrazia e della sovranità popolare e alla garanzia dell’effettivo rispetto degli altri diritti umani, incluso il diritto all’ambiente e a condizioni di vita conformi alla dignità umana degli individui e delle comunità locali coinvolte dalle opere [sì che sono] censurabili tutti quei Governi che, in diritto e nella prassi, non aprano a forme efficaci di partecipazione – il cui modello può essere attinto dalla Convenzione di Aarhus – nei procedimenti relativi alle grandi opere».
Dalle affermazioni di principio, poi, la sentenza trae conseguenze perentorie:
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- «dichiara che in Val di Susa si sono violati i diritti fondamentali degli abitanti e delle comunità locali. Da una parte, quelli di natura procedurale, come i diritti relativi alla piena informazione sugli obiettivi, le caratteristiche, le conseguenze del progetto della nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione (conosciuto come Tav), previsto inizialmente nell’Accordo bilaterale tra Francia e Italia del 29 gennaio 2001; di partecipare, direttamente e attraverso i suoi rappresentanti istituzionali, nei processi decisionali relativi alla convenienza e, eventualmente, al disegno e alla costruzione del Tav; di avere accesso a vie giudiziarie efficaci per esigere i diritti sopra menzionati. Dall’altra parte si sono violati diritti fondamentali civili e politici come la libertà di opinione, espressione, manifestazione e circolazione, come conseguenze delle strategie di criminalizzazione della protesta» […]; - «dichiara che il ricorso alla denigrazione e alla criminalizzazione della protesta è la documentazione più evidente della inconsistenza e della mancanza di credibilità degli argomenti dei promotori delle grandi opere, che mirano a convincere le persone e le comunità colpite della bontà e dei vantaggi dei progetti. In questa attività partecipano in modo determinante i mezzi di comunicazione più diffusi, che sostituiscono con una esplicita disinformazione al servizio degli interessi dei loro proprietari e gestori la loro funzione di servizio al diritto all’informazione» […]; - «raccomanda agli Stati italiano e francese, di procedere a consultazioni serie delle popolazioni interessate, e in particolare degli abitanti della Val di Susa per garantire loro la possibilità di esprimersi sulla pertinenza e la opportunità del progetto e far valere i loro diritti alla salute, all’ambiente e alla protezione dei loro contesti di vita [esaminando] tutte le possibilità senza scartare l’opzione “Zero”» […]; - «finché non si garantisce questa consultazione popolare, seria e completa, la realizzazione dell’opera deve essere sospesa in attesa dei
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suoi risultati, che devono essere in grado di garantire i diritti fondamentali dei cittadini» […]; - «raccomanda al Governo italiano di sospendere l’occupazione militare della zona [e] di non ostacolare l’espressione della pacifica protesta sociale».
38. La notizia della sessione e del contenuto della sentenza rompono il muro di silenzio del Tg3 e, parzialmente, persino quello delle pagine locali di La Stampa e la Repubblica (che avevano sostanzialmente ignorato la sessione inaugurale del 14 marzo 2015). Parzialmente – si è detto – ché, per esempio, lo spazio dedicato all’evento dal sito de la Repubblica è di poche righe superiore a quello destinato alla strabiliante notizia, pubblicata il 12 dicembre, mentre questo testo viene chiuso, che – come recita il titolo – a Susa «No Tav insultano un operaio: dieci identificati» (sic!). 39. Tra i promotori si segnala l’architetto Mario Virano, già presidente dell’Osservatorio Val Susa e, oggi, direttore di Telt sas (società incaricata di costruire e gestire la sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria) che, su la Repubblica - Torino dell’11 novembre 2015 – ironizza sulla “sentenza” del Tpp e le contrappone l’avvenuta «ammissione di Telt nel Global Compact dell’Onu, la rete delle società e organizzazioni pubbliche che si pongono il comune obiettivo di creare un’economia sostenibile attraverso la tutela dell’ambiente e la lotta alla criminalità», omettendo peraltro – lui e il giornale che ospita lo scoop – di segnalare che tra le 8000 “imprese etiche” ammesse al Global Compact ne spiccano alcune (come Coca Cola, Nestlé, Monsanto, Cmc di Ravenna, Italcementi, Eni, Unicredit, Intesa San Paolo, Monte dei Paschi) sul cui carattere di esemplare “eticità” c’è, a dire il vero, qualche dubbio… 40. È il caso, sempre sulle pagine torinesi de la Repubblica dell’11 novembre, dell’ex magistrato Gian Carlo Caselli (procuratore della Repubblica di Torino negli anni della massima escalation della repressione giudiziaria del movimento No Tav) il quale si esibisce in una severa censura della sentenza e del «sedicente tribunale» asserendo di agire «per il rispetto dovuto a tutte le persone oneste che il tribunale ha “condannato” calpestando le regole più
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4. La sentenza, inattesa, almeno in quei termini, dall’establishment politico ed economico italiano provoca reazioni di diverso segno. I siti dei movimenti e i social rimbalzano soddisfazione e conferma nella determinazione di dare nuovo impulso a una lotta che è, prima di tutto, per i diritti. Qualche spiraglio si apre persino sui media mainstream38, mentre – tra i promotori dell’opera39 e non solo – c’è chi mostra stupore o addirittura indignazione e non disdegna volgarità e reprimende40, a dimostrazione che la sentenza ha colpito nel segno, sia sul presente che in prospettiva.
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Gli insegnamenti della vicenda sono, infatti, numerosi. Merita segnalarne alcuni. Primo. È sempre più evidente che, di fronte alla complessità dei problemi e dei rapporti internazionali e interni ai singoli Stati, le giurisdizioni istituzionali non bastano, anche perché la storia dimostra il loro prevalente allineamento a difesa dell’esistente, con la rimozione di norme, come l’articolo 3 capoverso della Costituzione italiana, che impone alle istituzioni (e, dunque, anche quelle giudiziarie) il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Questa rimozione ha come conseguenza che assai spesso nel mondo «ci sono Governi in guerra contro i loro popoli e che a questi ultimi bisogna dare voce»41. Dunque, in una prospettiva di reale crescita democratica, occorre inserire voci plurali di giustizia: «Come in una sorta di dialogo tra poteri e contro-poteri si disegna, così, una dialettica di opposizione e complementarietà tra sentenze e correnti di opinione. L’applicazione della giustizia, in quanto tale fallibile e suscettibile di abusi, non si esaurisce nella giurisdizione dei tribunali ma si prolunga nella capacità sociale di protesta. Ciò non significa, ovviamente, che quest’ultima abbia qualsivoglia garanzia di successo elementari, che neppure un processo farsa dovrebbe trascurare» ed evocando «una “piazza” selezionata e ristretta, ma rumorosa, che a Torino nella “Fabbrica delle E” come ad Almese nel teatro Magnetto, urlando e manifestando scompostamente, pretendeva in “aula” la testa degli “imputati”: mentre fin dai banchi di scuola si insegna che un giudice che voglia onorare la propria funzione deve sottrarsi alle pressioni di chi chiede giustizia sommaria, senza arrogarsi poteri che solo quella piazza gli riconosce». Tutto ciò dimenticando la storia del Tpp, la sua composizione e, ancor più, la verità, cioè la circostanza – ricordatagli giorni dopo sullo stesso giornale dal segretario del Tribunale – che «il Tpp ha comunicato tempestivamente e secondo statuto l’atto di accusa e il conseguente invito alla difesa alle parti in causa; tutte le procedure relative ai rapporti con queste stesse parti sono documentate nel dettaglio nel testo che introduce il dispositivo; tutto il procedimento si è svolto a Torino e ad Almese nel più pieno rispetto delle opinioni e senza un neppur lontano accenno a “chiedere la testa degli imputati”». 41. Così L. Moita, I tribunali di opinione e il Tribunale permanente dei popoli, cit., p. 146.
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o qualsivoglia prerogativa di “superiorità morale”. Ma segnala come il diritto […] non sempre risponde alle esigenze delle complesse situazioni umane, e ciò sia nelle decisioni assunte che nelle omissioni, sia per deficienze interpretative che per lacune del sistema. Da ciò deriva la necessità storica della creazione di istanze di correzione, di riabilitazione, di contestazione, come antidoto alla possibile deformazione della giustizia provocata dai suoi stessi operatori. A questa esigenza rispondono i tribunali di opinione»42.
«Perché noi nominiamo noi stessi? Esattamente perché non lo fa nessuno. Solo i governi o i popoli potrebbero farlo. Ma i governi vogliono riservarsi la possibilità di commettere crimini senza incorrere nel rischio di essere giudicati; per questo non creerebbero un organismo internazionale abilitato a farlo. In quanto ai popoli, se si esclude la rivoluzione, non nominano tribunali e, quindi, non potrebbero nominarci»43.
Terzo. Per le ragioni sin qui dette le decisioni del Tpp non sono suscettibili di esecuzione e, dunque, gli Stati possono prescinderne o eluderle. Non per questo esse sono inutili: perché possono incidere sulla opinione pubblica, modificare degli equilibri, rafforzare le posizioni dei movimenti di liberazione, mettere in evidenza lacune o limiti dei sistemi interni e internazionali di tutela dei diritti umani, indicarne linee di sviluppo per tale tutela. La libertà dagli Stati del Tpp ne esclude poteri coercitivi ma ne esalta la valenza di sostegno alle lotte di liberazione e per i diritti. Esso non è un organo neutrale tra autoritarismo e libertà, bensì – come recita l’articolo 2 del suo 42. Ivi, pp. 140-41. 43. Ivi, p. 145.
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Secondo. I tribunali di opinione – e il Tpp tra questi – non sono “sedicenti” tribunali, pur avendo caratteristiche e legittimazione diverse da quelli istituzionali e non avendo (né volendo avere) natura giudiziaria. Essi sono organi, per così dire, “paragiudiziari”, legittimati da imperativi di coscienza, dal riferimento a princìpi fondamentali di diritto interno e internazionale, dall’uso di procedure di accertamento rigorose e dalla indipendenza dei loro componenti. Certo, non sono nominati dagli Stati. Ma non per caso né per scelta di autoreferenzialità bensì, come ebbe a scrivere J.P. Sarte in risposta al generale De Gaulle che vietava di tenere in Francia una sessione del Tribunale Russell I sul Vietnam:
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statuto – un veicolo di «promozione del rispetto universale ed effettivo dei diritti fondamentali dei popoli». Si spiega così il fatto che, in conclusione della sentenza sulle grandi opere e la Val Susa, il Tribunale, dopo avere accertato le violazioni di diritti in atto e avere rivolto agli Stati specifiche raccomandazioni per rimuoverle, esprima un altro auspicio, rivolgendosi «ai movimenti sociali, alle associazioni e ai comitati che si battono o potrebbero battersi contro le violazioni degli obblighi in materia di grandi opere» e raccomandando loro:
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«di richiedere, esercitando i propri diritti e col necessario vigore, secondo l’esempio di quanto avvenuto pacificamente in Val di Susa, agli Stati e agli altri soggetti tenuti ad assicurare la partecipazione del pubblico alle procedure di deliberazione di grandi opere di praticare in concreto tali procedure fin dall’inizio di ogni attività di deliberazione e per tutta la loro durata, così come richiesto dalla Convenzione di Aarhus; nonché di sperimentare ogni legittimo strumento per costringerveli in caso di inadempimento degli obblighi suddetti, in particolare il ricorso al Comitato sull’adempimento della Convenzione di Aarhus».
5. Una raccomandazione, dunque, di continuare a esistere e a condurre «con il necessario vigore» l’opposizione al Tav! La sentenza del Tribunale dei popoli, per sua stessa ammissione, non è, per il movimento No Tav e per gli altri movimenti analoghi, la soluzione. Ma è una tappa significativa che conferma la validità di una scelta, dimostra la vitalità e la lungimiranza del movimento e può aprire nuove prospettive di azione comune delle molte realtà che si sono raccolte a Torino e ad Almese. Torino, 21 dicembre 2015
PARTE PRIMA UNA SENTENZA STORICA Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere. Dal Tav alla realtà globale
In questa parte del volume si pubblicano la sentenza emessa l’8 novembre 2015 dal Tribunale permanente dei popoli e il programma della sessione che l’ha preceduta, dedicata a “Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere. Dal Tav alla realtà globale”. L’atto di accusa formulato dai ricorrenti (Controsservatorio Valsusa e amministratori locali) nella sessione di apertura del 14 marzo 2015 e le requisitorie finali, richiamati nell’originale della sentenza e ad esso allegati, sono qui pubblicati, per comodità espositiva, nella seconda parte. La videoregistrazione della sessione conclusiva del 5-8 novembre 2015 è pubblicata per intero nel sito www.controsservatoriovalsusa.org. Per comodità di consultazione a ogni intervento corrisponde un video autonomo. La Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ripetutamente citata nella sentenza, può leggersi nel sito del Controsservatorio Val Susa. Per una agevole consultazione può essere utilizzato il link http://controsservatoriovalsusa.org/images/convenzione_aarhus_25_06_1998.pdf.
LA SENTENZA 8 NOVEMBRE 2015 DEL TPP
1. TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI La sentenza 8 novembre 2015
DIRITTI FONDAMENTALI, PARTECIPAZIONE DELLE COMUNITÀ LOCALI E GRANDI OPERE Dal Tav alla realtà globale TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI* collegio composto da
Philippe Texier (Francia), già consigliere della Corte di cassazione francese, già membro e presidente del Comitato per i diritti economici, sociali e culturali dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, presidente Umberto Allegretti (Italia), giurista, docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Firenze, già direttore di “Democrazia e diritto”, studioso di democrazia partecipativa Perfecto Andrès Ibáñez (Spagna), magistrato del Tribunal supremo spagnolo e direttore della rivista “Jueces para la Democracia” Mireillle Fanon Mendès France (Francia), presidente della Fondazione Frantz-Fanon e componente del Gruppo di lavoro di esperti per le popolazioni afrodiscendenti del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite * Il Tribunale è attualmente presieduto da Franco Ippolito (Italia), presidente di sezione della Corte di cassazione italiana. La segreteria è composta da Gianni Tognoni (Italia) e Simona Fraudatario (Italia).
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SESSIONE dedicata a