Antonio Emanuele Piedimonte
Nella terra delle janare Viaggio nell’Irpinia segreta, tra leggende, magia e misteri
La valle d’Amsanto in Irpinia.
Indice Prefazione Nota introduttiva
streghe e fattucchiere
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15 Janare / Dee, guerrieri e serpenti: il Sabba / Le streghe di Giovan Battista Della Porta / Erbe, piante e magia / Il Noce di Avellino / Il Gobbo di Altavilla / Baiano, il Maio e la strega / Il castagno di Torella / Le signore di Montecalvo / Montoro, il tiglio e le janare / La Masciara di Conza / La strega e il principe, giallo a Gesualdo / Cenni e divagazioni sulla stregoneria
Virgilio mago a Montevergine 65 I misteriosi poteri del poeta / Quel sacro monte alle porte di Avellino / Trekking esoterico: l’orto di Virgilio / Il culto della dea Cibele e i travestiti / Le Sibille e le profezie / Il mistero di san Gennaro / Madonne nere, da Iside all’Odigitria / Storie di lupi e altre magie / Scazzamauriello e malocchio Sulfuree leggende: l’ombra del diavolo 107 La dea Mefitis e la porta degli Inferi / Un santuario famoso in Italia / Un reportage del “Corriere della Sera” / Rocca San Felice, il diavolo e la scienza / Il ponte di Luogosano / Montella, il caprone e l’abate Goglia / Le leggende di Calitri / Avella, il diavolo e altre storie / Brevi cenni sull’Avversario Sogni, visioni, anime e santi 139 Apparizioni, fantasmi, visioni / Spiriti in tribunale ad Altavilla Irpina / L’Aldilà e la storia della “Mammasanta” / San Pompilio e il mistero del teschio / Le anime del Purgatorio / I sogni e il gioco del lotto / Cripte e candele a Torrioni / Greci, il pranzo mortuario / San Prisco a Mirabella Eclano / Sulle orme dei lupi mannari: Calitri, San Mango sul Calore, Montoro / Possessioni ed esorcismi
X-files e altre storie 179 Leonarda, la prima serial killer / Il mistero della mummia di Bonito / I saraceni di Montefusco / Ufo e dintorni / Volturara Irpina: il drago e la rosa / Dolmen e malocchio: Pratola Serra / Caposele, la pietra e il santo / Le leggende di Torre le Nocelle / Avalon e re Artù / Noterelle sulla superstizione / Gesti, giorni, oggetti e altre credenze: piccola mappa delle superstizioni Bibliografia essenziale e letture consigliate
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Prefazione Irpinia terra di janare. Non bisogna andare molto indietro con il tempo per trovarne traccia. Ricordo le serate della mia infanzia in un grande salone. Al centro un braciere, intorno le donne di casa mia, a Lioni, la nonna e le zie. I loro volti increspati sui quali la luce rossa della brace scavava espressioni antiche come misteri. Ogni racconto finiva con l’evocazione della janara e l’incoraggiamento verso noi piccoli a non averne paura. Basta mettere una scopa dietro la porta, dicevano, e qui non entreranno. Ma dalle parole scarne come l’essenza di una terra dura, si sprigionava un’altra verità: le janare sono donne libere, capaci di girare da sole di notte, di far paura anche ai princìpi e ai re. È a questo potere che ho ripensato leggendo l’affascinante e colto viag‑ gio di Antonio Emanuele Piedimonte nell’Irpinia segreta, dal quale sono riemersa con una convinzione: le janare sono il più antico esorcismo del po‑ tere femminile, la figurazione simbolica dell’ombra che il sapere delle donne getta sulle certezze codificate. Le janare nascevano nella notte della vigilia di Natale. Erano dunque cre‑ ature sacrileghe sin dal loro primo atto, perché osavano venire al mondo nello stesso giorno del più potente dei re. Quella, sembra dire la tradizione, è la notte del Dio‑uomo e ogni intromissione è nefasta. Ecco dunque la de‑ monizzazione di chi, sin dalla nascita, cerca un posto paritario al fianco dei potenti. L’antica metafora delle janare ci parla, sia pure attraverso il mito popolare, del presente. Del disagio che il potere del femminile genera anche nel secolarizzato e illuminista mondo contemporaneo. Ricercare il capo di questo ininterrotto filo di Arianna nei nodi “affatati”, stretti con sapienza dalle antiche abitanti dell’entroterra di questa regione, significa recuperare una civiltà che, naturalmente, non è solo femminile. Rosetta D’Amelio ex sindaco di Lioni e Presidente del Consiglio regionale della Campania
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“Racconta la leggenda che dormiva una Principessa incantata che solo poteva svegliare un Infante, che fosse giunto da oltre il muro della via. Doveva, tentato, vincere il male e il bene, per potere, ormai liberato, lasciare la strada sbagliata per quella che conduce alla Principessa […] E, sebbene sia oscuro e ingannevole tutto lungo la via, egli cammina sicuro e, vincendo via e muro, giunge nel luogo ove nel sonno ella dimora E, ancora stordito da tutto ciò che era stato, verso il suo capo, ebbro, alza la mano, e trova l’edera, e vede che era lui la Principessa che dormiva”. Fernando Pessoa, Eros e Psiche in “Poesie esoteriche”
Nota introduttiva Curve e spigoli. Le ombrose strade irpine somigliano ai loro abitanti e alle loro storie. Strisce d’asfalto cullate dentro quel verde che dopo il tramon‑ to abbandona la rassicurante solarità delle piante antiche per trasformarsi in una nerboruta e misteriosa minaccia che s’agita ventosa ad ogni angolo, specchio di quello strano cielo basso capace di mutare i grandi orizzonti blu in cupe tempeste nere o in gelide coperte grige, opaco orizzonte che avvolge pensieri ed emozioni, a volte coccolandoli a volte soffocandoli. Lassù, in quella che Francesco De Sanctis definì “terra di paesi gentili, cavillosi e nebbiosi” (Viaggio elettorale, 1875), dove il tempo a volte sembra fermarsi e la memoria smarrirsi dinanzi agli obbrobri architettonici creati da geometri dalla matita terremotata, lassù, in mezzo agli sguardi e alle parole dei mille paesi e cittadine della grande provincia avellinese abbiamo voluto provare a cercare tra ciò che è rimasto. Tra quello che è sopravvissuto ai dan‑ ni del tempo e, soprattutto, a quelli degli uomini. Così, inseguendo racconti ormai sbiaditi, testimonianze sempre più incerte, sfogliando libri vecchi e nuovi, leggendo articoli ed iscrizioni, abbiamo scavato tra antiche leggende, storie misteriche, fiabe magiche, cronache curiose e molto altro, alla ricerca di quelli che oggi si definiscono “x‑files”, ovvero tutto quello che non ha – e spesso non può avere – una chiarezza indiscutibile, una risposta definitiva, una spiegazione scientifica. Perché, per dirla con Freud: “Anche quando tutti gli elementi sembrano adattarsi l’uno all’altro, come i pezzi di un incastro, occorre tenere presente che il verosimile non necessariamente è il vero, e che la verità non sempre è verosimile”. Così, cercando ai margini, in ciò che spes‑ so non si vede per troppa luce, abbiamo guardato ai piccoli‑grandi enigmi che accompagnano la vita degli esseri umani. Un modo, dunque, per scrutare se stessi e per guardare, magari con occhi diversi, la terra d’Irpinia, il più appartato e misterioso tra i cantoni della Campania segreta. Un percorso che, parafrasando il titolo di una serie tv di alcuni fa, po‑ tremmo anche definire “ai confini della realtà”, ricordando tuttavia le parole di Jung: “Una opinione antica e generale dimostra necessariamente che co‑ 9
munque deve essere vera, cioè psicologicamente vera”. Come tutti i confini, infatti, anche questo è spesso ingannevole e poco visibile. “Un albero – scrive Mircea Eliade – si trasforma in sacro senza cessare di essere un albero, in virtù del potere che manifesta; e se si trasforma in albero cosmico è perché ciò che manifesta ripete punto per punto ciò che manifesta l’ordine tota‑ le”. Imprescindibile il ruolo del simbolo, sostanziale rammentare le parole di René Guénon: “È troppo frequente la tendenza a pensare che l’ammissione di un significato simbolico implichi il rifiuto del significato letterale o stori‑ co; questa opinione deriva dall’ignoranza della legge di corrispondenza, che è alla base di tutto il simbolismo e in virtù della quale ogni cosa, derivando da un principio metafisico da cui ha origine tutta la sua realtà, traduce ed esprime questo principio a modo suo e secondo il suo ordine di esistenza, così che da un ordine all’altro tutte le cose si concatenano e corrispondono per affluire all’armonia universale”. Troppo lontano dal nostro sentiero ci condurrebbe l’ulteriore approfondimento di questi aspetti, torniamo dunque alle storie irpine e al loro inquadramento in questo lavoro. Si badi, ciò che s’affolla disordinatamente nelle pagine che seguono è solo una piccola parte dell’immenso tesoro di storie che si sono conservate nel prezioso scrigno delle montagne dei lupi. Altri paesi ed altre leggende si potranno aggiungere a quelle che abbiamo ricordato, ma per ora si è scelto di lavorare su questi luoghi e queste storie. E lo abbiamo fatto, corre l’ob‑ bligo di ricordarlo, grazie anche a chi ci ha preceduto, a quegli studiosi che si sono arrampicati tra i difficili rilievi della geologia antropologica irpina, e campana in generale, per preservare gli antichi racconti popolari, quelle fiabe perlopiù magiche custodi dell’inestimabile archivio di immagini e simboli che rimandano a quella che Propp individuò come “unica fiaba universale”. Curve e spigoli, dunque, lungo le strade di questo itinerario che vuole esse‑ re al tempo stesso un omaggio all’Irpinia tutta e un pretesto per approcciare, senza pregiudizi e senza pretese di nessun genere, argomenti normalmente poco (o male) frequentati: la stregoneria, la magia e tutto quello che spesso viene racchiuso sotto il termine “superstizione”. Una comoda parola‑conte‑ nitore, dentro la quale ci può stare di tutto, dal culto delle anime del Purga‑ torio (che proprio l’irpino san Pompilio contribuì a far nascere), al cornetto rosso portato in tasca dal governatore della Campania Antonio Bassolino, 10
e persino la seduta spiritica che il futuro presidente del Consiglio, Romano Prodi, fece nell’aprile del 1978, per scoprire dove le Brigate rosse avevano nascosto lo statista democristiano Aldo Moro. Per la cronaca, in quella cir‑ costanza gli “spiriti” comunicarono a lui e ai suoi amici (tutti docenti uni‑ versitari) la parola “gradoli”, che per singolare coincidenza era il nome della strada dove Moro era tenuto nascosto in quei giorni; il rapimento poi, come è noto, finì in tragedia. Insomma, “superstizioni” che hanno poco a che fare con l’arretratezza culturale e sociale e che, agli albori del terzo millennio, continuano ad accompagnare quotidianamente la vita della gran parte degli abitanti del pianeta. Pensando al grande Elémire Zolla – “l’uomo che si illude di essere auto‑ nomo è minato da forze aliene” – possiamo perciò dire che questo libro è dedicato a quelli che Robert Musil indicò come gli “uomini del possibile”, più che a tutti gli altri, gli “uomini della realtà” (L’uomo senza qualità). Un volume per chi ama passeggiare senza guinzagli ideologici e pregiudizi inca‑ tenanti, per chi vuole far correre la mente e il cuore tra i sentieri di un’Irpinia innanzitutto interiore, angolo di antiche magie nel cuore di una ancor più misteriosa regione. Una riflessione ad alta voce tra boschi e montagne, senza la presunzione di offrire facili risposte, ma solo con la voglia di trovare tante domande interessanti, di quelle che fanno venir voglia di leggere altri libri, di porsi nuovi quesiti e di mettersi in auto per andare a scoprire paesi e go‑ dere di paesaggi e monumenti. Magari per osservare da vicino il misterioso teschio che si distingue nell’occhio della statua della Madonna e le belle stre‑ ghe dipinte di Montecalvo, la mummia di “Zì Vicienzo” a Bonito, il castello di Gesualdo e ciò che resta degli altri manieri, le magiche rovine dell’antica Conza, “l’inferno” della Mefite, lo sguardo di Mamma Schiavona e quello che fu l’orto di Virgilio mago, il rumoroso “drago” di Volturara. Dunque, un pretesto in più per provare ad esplorare la splendida terra scelta da una fiera tribù sannita che prese il nome di un animale dalle mitiche valenze, quel lupo che fu a lungo compagno di sciamani e streghe. E passeggiare tra le rovine di un passato che non muore e che cela arcaici messaggi e nessi da svelare, al di là delle facili apparenze, seguendo le tortuose strade dei simboli e del mito, sino a giungere, possibilmente, alla soglia del luogo dove “non si rimanda a cose note” (Jung). È questo, infatti, lo spirito di questa escursione 11
tra le leggende irpine e campane: avvicinare janare e fantasmi lì dove si mo‑ strano, per seguirli fino al luogo dove hanno trovato dimora. Senza paura di affrontare dissonanze e incoerenze, autentiche o apparenti, affinché si possa tentare di puntare la propria piccola torcia su connessioni e analogie, simboli e sogni, ritmi ed emozioni. Anche perché – come scrisse Ludwig Wittgen‑ stein a proposito del Ramo d’oro di Frazer – spesso “l’impresa di dare una spiegazione è sbagliata già per il semplice motivo che basta comporre cor‑ rettamente quel che si sa, senza aggiungervi altro, perché subito si produca da sé quel senso di soddisfazione che si ricerca mediante la spiegazione”. Il filosofo, ricordiamolo, approfittò del celebre studio sulla magia per mostrare l’illusione che si trova all’origine del mito razionalistico, per il quale, spie‑ ga Jacques Bouveresse nell’introduzione: “L’assenza di rigorose spiegazioni scientifiche dei fenomeni naturali è considerata la vera ragione per cui esisto‑ no concezioni magiche e religiose”. Wittgenstein parlò di “rappresentazione perspicua”, concetto che designa la “nostra forma rappresentativa, il modo in cui vediamo le cose”, ovvero quella intelligibilità che permette di “scorgere chiaramente le connessioni, gli anelli intermedi e le transizioni, le somiglian‑ ze e le differenze fra elementi separati”. Il mito, dunque. Non è possibile parlare di leggende e di magia senza scrutare nel grande universo che si intravede dietro ciò che abita i sogni, le passioni, le angosce e i ripidi sentieri dell’anima. Per usare le parole di Nietzsche: “Chi anche solo in una certa misura è giunto alla libertà della ragione, non può sentirsi sulla terra nient’altro che un viandante, non un viaggiatore diretto a una meta […]. Quando silenziosamente, nell’equilibrio dell’anima mattinale, egli passeggerà sotto gli alberi, gli cadranno intorno dalle cime dai recessi del fogliame solo cose buone e chiare, i doni di tut‑ ti quegli spiriti liberi che abitano sul monte, nel bosco e nella solitudine e che, insieme a lui, nella loro maniera, ora gioiosa ora meditabonda, sono viandanti e filosofi” (Umano troppo umano). Boschi e montagne come quelli che stringono Montevergine, la montagna sacra per eccellenza, che ospitò il vivace culto della dea Cibele, e che ci riporta alla mente il volume di Charles G. Leland Il vangelo delle streghe (1899), e in particolare l’incipit del capitolo dedicato alla dea Diana: “La Madonna è essenzialmente la Dea della Luna” (E. N. Wolfe, Naples in the Nineties). 12
Boschi e montagne abitati da antiche divinità e, soprattutto, da streghe e janare, gelose custodi dei segreti, nel cui sguardo si cela la malia più insidio‑ sa, la seduzione più pericolosa, “il segreto della follia che viene dalle ninfe”, per dirla con Roberto Calasso. Un pericolo di cui erano consapevoli persino i maestri dell’Inquisizione, che nei loro testi spiegavano agli aspiranti tor‑ turatori che non dovevano permettere che la donna interrogata li guardasse negli occhi, perché in quel modo avrebbe potuto colpirli con la sua magia. Naturalmente, quello che i volenterosi carnefici della Chiesa non potevano neppure immaginare è che il nemico che stavano combattendo non si può sconfiggere. Non potevano sapere, infatti, che “l’alieno”, quello vero, nella stragrande maggioranza dei casi, non viene da fuori, ma è dentro. Il mito, dunque, o meglio l’archetipo del mito, la grande fonte dei sim‑ boli inaccessibile all’osservazione diretta proprio come la divinità: “Tu non potrai vedere la mia faccia, perché l’uomo non può vedermi e sopravvivere” (Esodo, 33). Archetipo che, pensando a Jean Cirlot, potremmo definire come l’apparizione del latente attraverso l’arcano: visione, sogno, fantasia e, per l’appunto, mito. E qui il pensiero corre all’ira della grande Ishtar che urla a Gilgamesh: “Io farò risalire i morti, ed essi divoreranno i vivi, io renderò sulla terra i morti più numerosi dei vivi”. Ishtar, figlia di Lilith, la prima Eva, della quale l’antichissima tradizione rabbinica ci dice che abbandonò Adamo (perché non voleva stare sotto di lui durante l’amore, ma sopra, simbolico desiderio di liberazione degli istinti e illuminazione dal caos delle forze primeve) e per questo fu inseguita e cat‑ turata da tre angeli molto vendicativi, ma riuscì a non tornare da Adamo e anche i suoi figli (lillim, i folli) sopravviveranno alla collera divina. La gran‑ de Lilith, destinata ad esistere sino al giorno del giudizio, archetipo oscuro della luna nera. Lilith, abitatrice delle profondità marine come quelle della psiche. La tradizione cabalistica la chiama anche “la nera”, come ricorda Massimo Marra in L’oscura vergine, aggiungendo: “Con la sua presenza al capezzale del morto, col suo potere di tormentarlo, Lilith la Nera conferma ancora una volta la sua associazione col mondo infero e potenziale”. E più avanti: “La Dea Nera che imbianca è la realizzazione del vero volto di Eca‑ te, Lilith, Astarte e Artemide. È la Dea Oscura che ‘partorisce la luce’, che la contiene in potenza e che la nutre al suo seno. La sua visione oltre i veli 13
della coscienza ordinaria è il segno della stella nascente, la stella maris cui tende ogni vero amore”. Lilith, la strega primordiale. Che farà scrivere ai padri della Chiesa “Ho trovato la donna più amara della morte perché è una trappola, il suo cuore una rete, le sue mani catene; chi piace a Dio la fugge, chi è peccatore è cat‑ turato’’ (Proverbi, VII). Fiera e invincibile, come le “streghe” irpine che, oggi come sempre, guidano le stelle degli uomini e, insieme a tutte le altre janare del mondo, fanno girare il pianeta. Quelle dolcissime e insostituibili streghe a cui questo libro è dedicato. A.E.P.
P.S. Tra i tanti a cui abbiamo guardato con la dovuta attenzione durante il nostro percorso, ricorderemo soltanto (non se ne abbiano a male tutti gli altri) Claudio Corvino e Aniello Russo, entrambi autori di vaste e approfondite ricerche sul campo. E, in tema di antropologia, un deferente e affettuoso pensiero va rivolto a due maestri: il compianto Alfonso Maria Di Nola e Luigi Maria Lombardi Satriani, del quale ci piace qui citare un passaggio: “Interiorizzando continuamemente i simboli e le rappresentazioni, la realtà è, per noi, né può non essere la rappresentazione che ce ne diamo, la narrazione che di essa moduliamo…” (Santità e tradizione). 14
streghe e fattucchiere
Janare / Dee, guerrieri e serpenti: il Sabba / Le streghe di Giovan Battista Della Porta / Erbe, piante e magia / Il noce di Avellino / Il gobbo di Altavilla / Baiano, il Maio e la strega / Il castagno di Torella / Le signore di Montecalvo / Montoro, il tiglio e le janare / La Masciara di Conza / La strega e il principe: giallo a Gesualdo / Cenni e divagazioni sulla stregoneria