August Kopisch
La scoperta della Grotta Azzurra Cronaca della nascita del mito di Capri
prefazione di Francesco Durante
August Kopisch
La scoperta della Grotta Azzurra Titolo originale: Entdeckuung der Blauen Grotte auf der Insel Capri Traduzione di Alberto Geremicca ISBN 9788874211784 © Edizioni Intra Moenia 2016 Il Distico Srl Via Costantinopoli 94, 80138 – Napoli www.intramoenia.it – info@intramoenia.it Progetto grafico e impaginazione: Giuseppe Madonna In copertina: Jakob Alt, Die Blaue Grotte auf der Insel Capri, 1835-36
La scoperta della Grotta Azzurra
Ernst Fries, Die Blaue Grotte von Capri
Questo è il primo disegno della Grotta Azzurra, realizzato il 18 agosto 1826 da Ernst Fries, l’amico di Kopisch che l’accompagnò nella “scoperta” della grotta.
Eravamo nell’estate dell’anno 1826, quand’io, col mio amico Ernesto Fries, sbarcai nella bella baia della marina settentrionale di Capri. Allorché saltammo sulla risonante arena, il sole s’abbassava verso Ischia lontana. Capri era la prima isola su cui ponevo piede, e non ne dimenticherò mai l’impressione. Uno dei miei più cari desideri s’appagava; ora sentivo rumoreggiare il mare intorno a tutte quelle rupi dal maraviglioso aspetto, che già da Napoli mi avevan tenuto in magico incanto il pensiero: ogni onda, frangendosi, veniva a cantarmi ch’io ero separato dal continente, su d’uno scoglio dove abitava un semplice popolo di pescatori e giardinieri, e lo scalpitar dei cavalli e il rotolar delle carrozze erano sconosciuti. Già da lontano l’isola, con le sue rupi, le sue grotte e i suoi pensili giardini, con i suoi antichi ruderi, le sue nuove città e le sue scale di roccia, mi era apparsa qual un mondo particolare, 17
pieno di maraviglie, circonfuso d’orride e amabili leggende. Ora che il mio tempo non era più strettamente limitato, potevo sperare di esplorar quel mondo in tutti i suoi confini, e questo pensiero mi rendeva indescrivibilmente felice. Al nostro arrivo la spiaggia s’affollò di gente dei due paesi, uomini e giovanetti, donne e fanciulli, ben propri a far riviver la memoria della bella, antica popolazione greca. Essi presero in consegna il carico della nave mercantile su cui eravamo venuti anche noi, e lo portarono con speciale agilità, parte ad Anacapri, per la scala scavata nella roccia, parte a Capri, per più dolce pendio. Uno svelto giovanetto s’impossessò del nostro poco bagaglio, e noi seguimmo adagio la fila verso quest’ultimo paese. Ci trovammo dapprima come sulla scena d’un gigantesco teatro di rocce: sul davanti, una fila di bianche case dai tetti spianati; al di sopra, vigneti, che, di terrazzo in terrazzo, s’alzavano in sempre più gran semicerchio, fin dove le pareti delle rupi con la loro superba ascesa e la città sovrastante limitavano lo sguardo. Il nostro sentiero serpeggiava accanto a quei terrazzi. Vedevamo i ripidi pendii coperti da ce18
spugli di mirto ed alloro, incontravamo anche alberi di mastice e qualche palma. Gli uccelli svolazzavano sopra di noi, e dagli ulivi le cicale cantavano la loro monotona canzone. La via era lunga, la sera dolce. Tutto ciò che avevo letto di quell’isola sorgeva innanzi al mio ricordo, mischiandosi con la seduzione del presente. Se ci volgevamo a guardare indietro, vedevamo sfavillare in lontanza l’incantevole Golfo di Napoli, Ischia, Procida e le isole Pontine. Mirando e spesso soffermandoci, arrivammo infine sul giogo dell’isola, e per una porta turrita entrammo nella piccola città di Capri, quasi orientale nelle sue fabbriche. Il ragazzo che portava la nostra roba ci condusse, poco oltre la Chiesa, nella bella e bianca locanda di don Giuseppe Pagano, dove in cambio d’una modica ricompensa trovammo le più amichevoli accoglienze. Il nostro oste, un simpatico ometto sui cinquant’anni, ci menò attorno, scala dopo scala, a visitar la sua casa, di strana eppur gioconda costruzione; e com’io mi fermai dinanzi a una piccola raccolta di vecchi libri, mi disse d’averli raccolti a Napoli, quand’era studente, e 19
Antonino Leto, Marina Grande a Capri, 1887
mi si presentò nello stesso tempo per il notaio del luogo. Fui molto lieto di trovare in lui una persona istruita e nella sua biblioteca parecchi libri, latini e italiani, che in parte parlavano di Capri. Egli, come vide che avevo l’allucinazione di conoscere a fondo l’isola, subito e con gran piacere mi radunò tutti quelli che potevan servirmi nello scopo, promettendomi di procurarmene altri ancora, da amici, il giorno dopo. Partecipò anche lui alla nostra cena, consistente in ogni sorta di animali marini, alcuni dei quali mi erano ancora sconosciuti; e presto diventammo buoni amici. Dopo che mangiando e bevendo ci fummo ristorati, tutta la famiglia del notaio salì con noi sul tetto della casa, ove ci ponemmo a sedere e piacevolmente chiacchierando godemmo della bella veduta dell’isola a lume di stelle. Ma don Pagano ci additava nella penombra della chiara notte ogni cosa che gli pareva degna d’osservazione, narrandoci tutto quello che ne sapeva in proposito: i nostri occhi si sforzavano di seguirlo nella mistica tenebra, con curiosità tanto più tesa, quanto meno riuscivamo 21