A Bruno e Benedetta
MARIA SIRAGO
GENTE DI MARE ISBN 9788895178882 © Edizioni Intra Moenia 2014 Il Distico Srl Via Costantinopoli 94, 80137 - Napoli www.intramoenia.it - info@intramoenia.it Progetto grafico e impaginazione: Luca Mercogliano In copertina: “Pescatori a Mergellina” di Giuseppe Giardiello
MARIA SIRAGO
GENTE DI MARE STORIA DELLA PESCA SULLE COSTE CAMPANE
PREFAZIONE di nicola ostuni*
Nonostante le numerose pubblicazioni elencate nella ricca bibliografia del volume di Maria Sirago, non si può dire che la pesca nelle acque del Mediterraneo sia stata oggetto di studi paragonabili, per ampiezza e profondità di temi, a quelli del mare del nord. La pesca delle aringhe aveva forti connotazioni economiche e soprattutto sociali, perché forniva un alimento fondamentale, almeno fino all’introduzione della patata, alla nutrizione di paesi in cui l’apporto del pescato doveva necessariamente abbinarsi a quello di un’agricoltura che, per ragioni climatiche, non poteva mai essere sufficiente. Lo stesso clima, invece, favoriva la conservazione del pesce, che poteva restare nelle barche anche più giorni, prima di essere inviato ai mercati. Per questo motivo ed anche per l’abbondanza del pesce, che in determinati periodi passava in banchi molto lontano dalla costa, la pesca doveva coordinare un gran numero di persone. La quantità del pescato era proporzionale al numero delle persone impiegate, senza alcun limite, considerata la ricchezza dei banchi. Per questo nessuno era escluso per gelosia di mestiere. 5
Come è noto, nei periodi del passaggio delle aringhe si creava un vero e proprio ponte di barche, che si muovevano dalle terre più vicine al luogo della pesca per ritirare il prodotto e procedere alla salagione durante il trasbordo e il viaggio di ritorno. Questo sistema creava una maggiore sicurezza per i pescatori, che potevano spingersi anche lontanissimo dalla costa, se vi fosse stata necessità, consapevoli che avrebbero avuto maggiore probabilità di salvezza, se ci fosse stata un’avaria o addirittura l’affondamento della loro barca. Il coinvolgimento di numerose persone imponeva anche la necessità di una contabilità, che giustificasse costi e ricavi. Di tutto bisognava dare conto e ragione a tutti: acquisto e riparazione di reti, di barili per la conservazione, di sale per la salagione e poi certificazione sia di sbarchi e di successive consegne a mercanti, sia di vendite in patria e all’estero. Si trattava di un’imponente massa di documentazione, fonte di numerosi lavori di storia economica e sociale. Nel Mediterraneo la pesca non ha mai avuto una rilevanza paragonabile a quella dei paesi del nord Europa, nonostante la maggiore estensione delle terre che si affacciano su di esso. Proprio per questo motivo il mare doveva dare nutrimento ad un numero di persone maggiore e non proporzionale alla produzione. Per di più, come ci insegna Braudel, il Mediterraneo non è quel lago quasi immobile, come appare agli sprovveduti, bensì un mare infido 6
nel quale la tempesta sopraggiungeva senza quasi alcun preavviso. Il pesce, per un numero esorbitante di persone, doveva essere preso nelle vicinanze della costa, presso il porto nel quale riparare al più presto nel caso ci fosse stata necessità. Allontanarsi non era consigliabile anche per un altro motivo. Il clima del Mediterraneo non consentiva una conservazione anche solo temporanea del pescato neppure tramite salagione. Quindi si doveva pescare a poca distanza da una costa che era sempre più sfruttata. Di qui l’impoverimento dei fondali e la conseguente gelosia di mestiere, che toglieva ogni connotazione sociale a questa attività. Il pescatore accoglieva sulla sua barca solo i figli o gente fidata. Imparava presto a triangolare per determinare esattamente il luogo dove aveva trovato una secca particolarmente pescosa e a nessuno mai avrebbe svelato il suo segreto. La pesca nel Mediterraneo non consentiva guadagni che da soli avrebbero potuto affrancare una famiglia dal bisogno. Era soggetta agli stessi ritmi imposti alla navigazione dall’alternarsi delle stagioni, per cui in “inverno”, cioè da ottobre a marzo, non veniva quasi praticata. Si dovevano trovare altri lavori, che la affiancassero non soltanto quando le barche sulla spiaggia, poggiate su una murata, attendevano una nuova calafatura per rituffarsi nel mare, ma anche in estate. “Un piede nella barca e uno nella vigna” recita la celebre frase di Del Treppo citata dalla Sirago. Ma non bastava. Bisognava avere anche un piede nel bosco per fare legna e carbonella, 7
un piede nella campagna per raccogliere il seminato e erbe spontanee, un piede sui pendii di qualche collina per custodire pecore o capre, un piede che con l’altro rincorreva la preda da cacciare, e anche un piede in qualche stamberga per lo svolgimento di varie attività manifatturiere. Nel complesso il pescatore svolgeva un numero indefinito di attività che non consentiva sosta alcuna se non quelle, spesso neanche osservate, delle feste comandate. Che la pesca non abbia dato luogo nel Mediterraneo ad attività di rilievo e ben organizzate lo testimonia l’economia delle isole italiane. Quelle che disponevano di sufficiente terra furono e restano isole di contadini, anche a costo di una coltura dispendiosa in termini di lavoro e di scarse rese, come Pantelleria, Lipari e alcune isole dell’arcipelago toscano. Quando non era possibile praticare attività agricole sembrò più opportuno destinare l’isola a luogo di pena, che garantiva lavoro, al momento della costruzione del carcere e per le manutenzioni, e un “turismo” povero ma continuo, basato sulle visite dei famigliari ai detenuti. Nelle seconda metà dell’Ottocento molti paesi isolani si trasformarono in appendici del vicino carcere. Per quanto riguarda le coste, in luoghi che apparirebbero particolarmente vocati alla pesca e addirittura proibitivi per l’agricoltura come la costiera amalfitana e quella ligure sono stati preferiti faticosi lavori di terrazzamenti e di riporto di terreno da località lontane piuttosto che il primo tipo di attività. 8
Nelle isole e in gran parte dei paesi costieri la pesca era praticata per l’immediato autoconsumo, a causa delle difficoltà della salagione, sia per ragioni climatiche sia per il prezzo proibitivo del sale. Nel Regno di Napoli si preferiva acquistare il pesce salato straniero: ben 40.000 unità annue nella sola capitale a fine Settecento, come ricorda la Sirago. Si trattava di un fenomeno importante, tanto che all’inizio dell’Ottocento tra gli aggravi fiscali l’unico che destò una vera e propria sommossa fu quello che colpì questo genere di importazioni. La storia della pesca del Mediterraneo, quindi, si può fare soltanto guardando ciò che succedeva a terra, dove si costruivano e si armavano le barche, si intrecciavano i fili delle reti e i giunchi delle nasse, si lasciavano testimonianze delle quantità pescate e vendute, sicuramente false, perché raccolte da agenti del fisco. Su queste fonti ha dovuto lavorare Maria Sirago evitando tutti i rischi della scarsa aderenza a quella che deve essere stata la realtà. Ne è scaturito un preciso affresco dell’attività della pesca nel Tirreno meridionale tra età moderna e contemporanea. Nella prima parte l’autrice si sofferma sui sistemi tradizionali di pesca praticati a Napoli e da Gaeta fino alla confluenza del fiume Noce che separa il Cilento dalla Calabria. La costa era infeudata ed anche il mare prospiciente. Di qui le proibizioni, le taglie e quanto contribuiva a rendere ancora più piccolo e aspro il frutto di un lavoro difficile e pericoloso. 9
Nel corso del tempo la forma e, in minore misura, la stazza delle barche da pesca furono dettate sia dalla necessità di adeguare i sistemi di pesca al pesce che si avvicendava e che si esauriva in prossimità della costa, sia alle pretese degli erari feudali o statali. Il mestiere di pescatore, specialmente a Napoli, sembrava quasi voler resistere a dispetto degli uomini e delle forze della natura. Interi villaggi sulle spiagge furono divorati da lenti tsunami, causati dalla costruzione di un porto. Altri abbandonati per far posto a ville e a palazzi signorili edificati nelle più amene località, una volta frequentate solo da pescatori, elette improvvisamente a luoghi di delizie dalla nobiltà e dalla nascente borghesia, come Posillipo e Marechiaro. I pescatori si allontanarono dal mare e spostarono la loro linea di resistenza sempre più all’interno, fino a confondersi con gli altri abitanti e a rinunciare alla loro attività. Anche questo determinò una specializzazione dell'attività in base al tipo di pesca che ciascuno crede più conveniente praticare: tonnare, pesca con i paranzelli, con reti a circuizione, del corallo, da diporto, e allevamenti di ostriche e di mitili. Tali attività vengono descritte nella terza parte del libro, che termina con una puntuale descrizione della pesca in Campania ai primi del ‘900, in cui ai tradizionali nemici dei pescatori si affiancarono i gestori degli stabilimenti balneari che, già presenti nell’Ottocento, diventarono sempre più minacciosi quando 10
il loro numero si ampliò per la particolare vocazione al turismo di molte località costiere. Le vicende della pesca nel Mediterraneo riflettono quelle di Padron ‘Ntoni e di Bastianazzo: una storia di vinti. *Professore ordinario, titolare di Storia economica presso il corso di laurea di Economia Aziendale nell’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro
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introduzione
LO STATO DELL'ARTE
A differenza dell’Atlantico e dei mari del Nord, dove si sono sviluppate ricche attività lavorative di pesca e di salagione del pescato, esportato in tutta l’Europa, il mondo della pesca mediterranea è rimasto sempre immobile e povero, legato a sistemi arcaici ed artigianali usati fin dal mondo antico, e non è riuscito a trasformarsi in una vera e propria industria come quella sviluppatasi nell’area anglosassone. Perciò nel 1789 l’illuminista Francesco Maria Pagano, nel richiedere delle normative per regolamentare il settore della pesca, li ha definiti a buon diritto “agricoltori del mare […] ascritti alla gleba”. Lo studio dei sistemi di pesca negli antichi stati italiani ha avuto un inizio lento, dopo che in Europa, soprattutto nel mondo anglosassone, si era avuta una cospicua produzione, dedicata alle pesche atlantiche, terribilmente faticose ma capaci di accendere la fantasia di numerosi romanzieri, come Herman Melville autore del celebre romanzo “Moby Dick”, considerato uno dei capolavori della letteratura americana, che narra la storia della pesca alle balene, una delle pesche più difficili e faticose. 13
Per l’Adriatico un precursore è stato Sergio Anselmi, col suo lavoro sui pescatori ed i loro sistemi di pesca (1991), da cui ha poi tratto il materiale per i suoi racconti pubblicati in tre volumi, nel 1996, 1997, 2000. Poi lo stesso territorio è stato studiato in modo approfondito da Maria Lucia De Niccolò con numerosi lavori pubblicati tra il 1997 ed il 2012. Ma come nota nella sua presentazione al convegno di Vietri del 2007 il professor Antonio Di Vittorio, in Italia, negli ultimi anni, il filone di studi sulla storia della pesca si è sviluppato sempre più nell’ambito della più generale storia economica, come si evince da uno studio del professore Giuseppe Doneddu, presentato nel convegno della Sise (Società italiana di studi economici) del 2007. In effetti lo stesso Doneddu nel 1994 ha organizzato a Bosa un primo convegno internazionale “Pesca nel Mediterraneo occidentale (secoli XVI-XVIII), curandone gli atti, pubblicati nel 2000, assieme a Maurizio Cangemi. Poi nel 2001 si è svolto ad Alghero e Cabras un secondo convegno, anch’esso promosso da Doneddu, i cui atti sono stati pubblicati nel 2003, “La pesca in Italia tra età moderna e contemporanea. Produzione, mercato, consumo”. Il crescente interesse per la storia della pesca ha spinto ad approfondire a livello regionale tale tematica: la prima area analizzata è stata quella laziale, posta però a confronto con altre aree regionali e con la Spagna: il convegno “La pesca nel Lazio. Storia, economia, problemi regionali a confronto”, è stato coordinato da Luciano Palermo nel 2003, che ne ha curato gli atti in14
sieme a Donatella Strangio e Miguel Vaquero Piňero, pubblicati nel 2007. Un altro momento di approfondimento dello studio sulla pesca si è avuto con il seminario internazionale di studi svoltosi a Bari nel 2005 e coordinato dal professore Antonio Di Vittorio sul tema “Pesca e patrimonio industriale. Tecniche, strutture e organizzazione (Sicilia, Puglia, Malta e Dalmazia tra XIX e XX secolo)”, i cui atti, curati da Maurizio Gangemi, sono stati pubblicati nel 2007. Infine si è svolto a Fisciano, Vietri sul Mare e Cetara (Sa) il convegno internazionale di studi “Pesci, barche, pescatori nell’area mediterranea dal medioevo all’età contemporanea”, dal 3 al 6 ottobre 2007, coordinato dai professori Valdo D’Arienzo e Biagio di Salvia, i cui atti, curati dagli stessi professori, sono stati pubblicati nel 2010. Con questi atti, rimarca il professor Di Vittorio nella citata presentazione, si “chiude un ciclo”, anche perché “questa volta l’area di attenzione è il Mediterraneo nel suo insieme, ad indicare l’esigenza […] di allargare l’area del confronto sul tema pesca al bacino dell’intero Mediterraneo”, specie per gli studiosi italiani, già impegnati come relatori in convegni internazionali. Quanto alla zona da me studiata, la Campania, si possono menzionare gli studi di Marco Armiero ed Alida Clemente, che però puntualizzano in modo accurato la situazione della regione nel periodo tra l’800 ed il ‘900. Perciò in questo libro il mio intento è quello di ampliare i miei precedenti studi su tali questioni, incentrati in epoca moderna (tra il ‘500 e l’800), esaminando soprattutto la cesura che si è avuta quando il 15
mare è stato “liberato” dalla servitù dei diritti feudali, dopo la promulgazione della legge eversiva della feudalità ad opera dei francesi, nel 1806. Il presente lavoro è una rielaborazione di alcuni lavori già editi. La prima parte trae spunto da “La gente di mare nel Mezzogiorno moderno. I pescatori ed i loro sistemi di pesca (1503 - 1806)”, lavoro pubblicato nella “Rassegna Storica Salernitana”, ed ha ottenuto il primo premio per la sezione storica, con medaglia del Presidente della Repubblica, nella prima edizione del Premio Letterario nazionale “Costa del Cilento”, bandito dal Centro Studi “Costa del Cilento”, del 15 giugno 2003, con la seguente motivazione: “Una approfondita analisi condotta con un’appuntabile metodologia storica e con scientificità documentaristica che svela i multiformi aspetti della cultura materiale ed esistenziale di un universo umano configurante, lungo le coste del meridione d’Italia, una propria ed esclusiva civiltà. Il rapporto terra-mare in età moderna è delineato sia a livello socio-antropologico e relazionale che a livello economico e commerciale. I vari aspetti che lo sostanziano nella naturale evoluzione sono visti ed esaminati sotto il profilo sincronico con grande maestria ermeneutica ed interpretativa”. La parte sulle “pesche speciali”, inerente le tonnare, è stata presentata negli atti del secondo convegno di studi sulla storia della pesca, “La pesca in Italia tra età moderna e contemporanea. Produzione, mercato, consumo” edito a cura di G. Doneddu e A. Fiori nel 2003, col titolo “Le tonnare dell’Italia me17
ridionale fra ‘700 e ‘800”. Quella inerente il corallo è stata presentata nel convegno “Un fiore degli abissi. Il corallo: pesca, storia, economia, leggenda, arte” (tenutosi a San Vito Lo Capo - Trapani, 11 - 13 ottobre 2002), edito a cura di N. Ravazza nel 2006, con il titolo “La città del corallo: commercio, artigianato e attività marinara a Torre del Greco in età moderna”. Inoltre nel volume “Le città e il mare. Economia, politica portuale, identità culturale dei centri costieri del mezzogiorno moderno”, ESI, Napoli 2004, sono presenti molte notizie sulla pesca, in particolare nelle tabelle in appendice. Infine un compendio di questi lavori è in “Fishing systems in the gulfs of Naples and Salerno in modern age (1503-1861)”, “Journal of Mediterranean Studies”, Malta, in corso di stampa. Ed altre notizie si ricavano dal mio volume sulla balneazione, “La scoperta del mare. La nascita e lo sviluppo della balneazione a Napoli e nel suo golfo tra ‘800 e ‘900”, pubblicato da Intra Moenia nel 2013. Per i diritti feudali “di mare” sono stati utilizzati i dati riportati in un mio lavoro del 1993, “Attività economiche e diritti feudali nei porti, caricatoi ed approdi meridionali tra XVI e XVIII secolo”, in “Sopra i porti di mare”, a cura di G. Simoncini, Il Regno di Napoli, Vol. 2, Firenze 1993, pp.329-389 e pp. 391-433, Appendice, “Gli scali meridionali fino al 1806: descrizione, lavori e diritti feudali”, pp. 329-30. Per il computo della popolazione impegnata nelle “attività del mare” e delle imbarcazioni esistenti in Napoli si conservano solo i pochi dati reperiti 18
da Carla Petraccone nei registri parrocchiali e quelli reperiti da Galasso, poiché i dati delle numerazioni non si sono stati conservati. Per i paesi rivieraschi e le isole dei golfi di Napoli e Salerno sono stati utilizzati i dati riportati dal Di Vittorio per il 1727. Per la metà del ‘700 sono stati utilizzati i dati del Catasto Onciario, non reperiti per Gaeta e Sperlonga, riportati in tabella nel mio lavoro del 2004, “Le città e il mare”: sono stati contati i fuochi (famiglie) moltiplicati per un coefficiente di 4,5, secondo quanto proposto negli ultimi studi su tale fonte. Difatti tale fonte fiscale non è del tutto attendibile, in quanto molto spesso si tendeva a non denunciare i beni, specie le imbarcazioni, in modo da evadere dalle tassazioni, come ricorda Mirella Mafrici nel suo lavoro del 1986. Gli stessi dati sono stati utilizzati in modo capillare per la costa amalfitana nel mio lavoro “Le attività commerciali della costa di Amalfi in età moderna”, pubblicato nella “Rassegna Storica Salernitana”, 1988, 10, pp. 623-47. Tali dati sono poi stati comparati con quelli della Statistica Murattiana del 1811, pubblicati da Stefania Martusciello e da Domenico Demarco, dove già si vedono i benefici effetti della abolizione della feudalità, visto che si registra un incremento di addetti alle attività marinare. Infine, per il periodo post unitario sono stati utilizzati i dati forniti da Adolfo Targioni Tozzetti. Quanto alle tonnare, oltre al mio lavoro, ci si è serviti di quello di Bruno Centola e per le statistiche di quelli del Pavesi e del Targioni Toz19
zetti. Per quanto riguarda la fine dell’800 sono stati utilizzati invece i lavori di Maurizio Gangemi. Bisogna poi ricordare un particolare tipo di associazionismo, quello delle “Confraternite” e dei “Monti” dedicati alle attività marittime, presenti nell’antica Campania sia nella capitale che in tutto il golfo, studiati da Angelo Broccoli, da Carlo Maria Moschetti, da Luigi Mascilli Migliorini, da Giuseppe Di Taranto, da Daniele Casanova, di cui sono stati utilizzati i dati, riportati in appendice nel mio lavoro del 2004.Quanto alla tipologia delle imbarcazioni è stato utilizzato il lavoro di Antonio Formicola e Claudio Romano. Infine per il capitolo sulla pesca da diporto dei sovrani borbonici, inedito, molte notizie sono state tratte dal Diario di Ferdinando di Borbone, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, volumi 111 - 138 , pubblicato in parte da Umberto Caldora. Si ringraziano i direttori ed i dirigenti degli Archivi di Stato di Napoli e Salerno, degli Archivi spagnoli di Simancas (Valladolid) e Madrid, delle Biblioteche Nazionali di Napoli e Madrid, della Biblioteca della Società di Storia Patria di Napoli, per il valido aiuto datomi nel corso delle mie ricerche. Si ringraziano Marco Armiero, Alida Clemente, Maria Lucia De Niccolò, Giuseppe di Taranto, Antonio Di Vittorio, Giuseppe Doneddu, Maurizio Gangemi, Giulio Fenicia, Paola Massa, Luciano Palermo, Biagio Salvemini per le suggestioni tratte dai loro lavori. 20
indice
prefazione di Nicola Ostuni
pag. 5
introduzione Lo stato dell'arte
pag. 13
prima parte La pesca di sussistenza, con sistemi tradizionali
pag. 21
seconda parte Le “pesche “speciali”
pag. 115
terza parte La pesca in Campania dall’Unità ai primi del ‘900
pag. 189
Conclusioni
pag.203
appendice L’ultimo rais della tonnara di Procida
pag. 207
Bibliografia
pag. 215
finito di stampare nel mese di giugno 2014 per conto delle edizioni Intra Moenia presso TipolitoGiglio Srl