Dal Piano territoriale, all’Abaco Progetti al Piano Strategico. dr. Ippolito Ostellino Un caso illustrativo delle modalità che l'approccio di Roberto Gambino ha recentemente illustrato nella sua Letio magistralis dell'ottobre 2009 al Politecnico di Torino e che è oggetto della presentazione fatta nell'ambito del corso nel quale questa lezione è inclusa, può essere rappresentato dall'area protetta del Po piemontese, ed in particolare del tratto torinese di questa, uno dei segmenti nei quali proprio il prof. Gambino ha svolto una delle sue sperienze più significative legate alla pianificazione del territorio, quella appunto del Fiume Po e del progetto Territoriale Operativo del Po della fine degli anni 80, poi divenuto sistema di aree protette della Regione Piemonte nel 1990. In questa esperienza emerge con una certa chiarezza come il processo di gestione del territorio con forti elementi naturali non può essere limitato all'approccio parziale della “tutela ambientale”, ma deve misurarsi con una serie articolata di elementi e di culture, muovendosi inoltre verso le aree disciplinari del progetto e dell'integrazione dello strumento di tutela con le politiche di sviluppo locale, legandosi fortemente ai contesti molteplici nei quali l'area protetta sorge. Lo stesso team che lavorò al piano del Po era composto da una ricca e differenziata serie di competenze, percorrendo una importante esperienza di multidisciplinarietà. Dal Piano territoriale, all’Abaco Progetti al Piano socioeconomico, un percorso a ritroso dal Piano territoriale urbanistico al Piano socioeconomico è il dunque percorso di riflessione che propongo, cercando di seguire l'idea che parte spesso dall'imposizione di norme regolamentari e di vincoli d'uso del suolo (il piano), ma che successivamente divengono, appunto a ritroso, elementi che possono davvero giungfere ad una piena efficacia se accompagnate da un “abaco di progettualità” e da un modello di sviluppo, alle quali rinviare gli stessi progetti e norme del piano. D'altro canto già questa gerarchia fra piano e sviluppo locale era vista ed interpretata da Valerio Giacomini in Uomini e Parchi come qui di seguito ripreso:"Dovrebbe infine sancire l’identità fra pianificazione territoriale, economica e urbanistica dell’area e attuazione del parco. A questo proposito è bene però specificare che tale principio non deve semplicisticamente esaurirsi nell’obbligo di redigere un piano territoriale del parco il quale preveda nei dettagli ogni destinazione e ogni funzione territoriale. Intanto occorre osservare che un simile strumento necessiterebbe, per la sua definizione, di molto tempo e di molti sforzi politici per una composizione costruttiva (si pensi alle difficoltà che incontrano i piani urbanistici comprensoriali), ma soprattutto si deve tener presente quanto sottolineato in precedenza e cioè che la pianificazione, e quindi lo stesso parco, deve intendersi come processo, sia conoscitivo che normativo. Pertanto il piano di un parco, così come estratto da una eventuale legge istitutiva, dovrà consistere più che altro in un convincente avvio di processi pianificativi ed eventualmente essere preceduto da un piano di sviluppo socioeconomico che contenga significativi riferimenti alla protezione dell’ambiente. Inoltre, a fianco se non a monte di un intervento di pianificazione urbanistica, potrebbe utilmente prevedersi la redazione di un piano paesistico, redatto ai sensi della legge del 1939, che contempli però tutte le valenze che attualmente si conferiscono al termine “paesaggio” ed alle sue implicazioni territoriali e culturali......”. E' questa una lettura del problema di dove si collochi lo strumento del Piano e quale sia la sua efficacia complessiva che genera nel contempo la diretta conseguenza che vede le tematiche dell'area protetta misurarsi fortemente con il contesto esterno a quello nella quale essa sorge, rendendo indispensabile muoversi verso un approccio che elimina i recinti diretti del parco, per lavorare negli spazi aperti e contigui a questo. In questo percorso la prima tappa spetta al tema del Piano ed alla sua efficacia nell'esperienza del Parco del Po torinese, una esperienza di gestione del Piano d’Area che ha fornito numerosi elementi di lavoro di particolare valore, fra i quali emergono: 1. Il ruolo e l’importanza delle indicazioni progettuali (le schede progettuali o ambiti), 2. L’importanza del peso delle trasformazioni esterne e quindi la parallela crescita di attenzione sul valore dei progetti di iniziativa pubblica, 3. L’utilità di avere a disposizione un progetto di riferimento generale. L’Esempio del PISL. Infatti è certamente singificativa la capacità che il piano ha avuto di regolare le previsoni dell'esterno, indirizzandole o regolandone anche reprimendole, ma tuttavia è anche vero che 1
spesso questa capacità è stata affiancata dallo strumento guida del progetto, tradotto in pratica di piano dalle schede progettuali del piano stesso, elementi di indicazione metaprogettuale del territorio al quale la pratica di useo delle norme ha spesso rinviato. In questa esperienza è emerso come a fianco di una capacità regolativa la reale capacità di gestione del paesagio si possa quindi raggiungere grazie a progetti di paesaggio, per poi sfociare a dotarsi di veri abachi di progetto come è stato l'esempio del PISL, che ha riportato allla regia pubblica l'oggetto delle trasformazioni territoriali, costruendo un mosaico di interventi e progetti sul territorio. Questo è appunto il secondo elemento di riflessione: la capacità di uno strumento di piano di essere veicolo o contenitore di schemi progettuali consente di proporre al territorio una serie di opzioni di uso che divengono indispensabili per rendere efficace il piano stesso, che, in assenza di questi, resta come una maglia che attende i ricami altrui, senza poter esprimere sino in fondo la sua idea di forma del territorio. Nel suo complesso l'esperienza del Piano è risultato quindi utile e fondamentale perchè resa efficacie grazie al tipo di strumenti dati ed alla loro gestione: in particolare la presenza del parere, come struemnto consultivo obbligatorio per i comuni e il modello di gestione del parere stesso, volto al dialogo ed alla comunicazione virtuosa degli elementi dle piano, conuna gestioen poco burocreatese e molto dialogativa e di coinvolgimento. La considerevole quantità e tipologia differenziata delle trasformazioni che hanno negli anni interessato il territorio protetto e che si sono potute monitorare proprio con l'istituto del parere preventivo di coerenza con il Piano d'Area, ha messo in luce, oltre alla estrema differenziazione e mole delle trasformazioni (circa 3000 pareri analizzati su 14.000 ettari di estensione in 15 anni), anche la necesità di poter dare corso all'attuazione del Piano mediante proposte di carattere attivo, e di parte pubblica, delle previsioni di destinazione del territorio protetto che in ordine alla ricostituzione del paesaggio, delle reti ecologiche, e della riqulaificazione paesaggistica in senso lato, rarissimamente o mai sono scaturite dalle proposte delle trasformazioni “private”, a meno dei casi dei progetti delle aree estrattive presenti, guidate però sulla base delle schede progettuali incluse nel Piano d'Area. E' importante sottolineare il valore di queste speciali aree di approfondimento del piano che con un approccio nel dettaglio e multiscalare sul piano, ha individuato vere aree di prefigurazione di destinazione progettuale del territorio del fiume in ambiti a particolare complessità, e nei quali err necessario definire con uno schema specifico una possibile destinazione del territoio, pur mantenendola con una certa flessibilità applicativa, inserendo nella normativa la possiiblità di mettere a punto delle modifiche non sostanziali delle stesse schede e rispondenti maggiormente allo stato di attuzione lungo il processo di vita del Piano. Lungo la considerazione dell'importanza di dotare l'azione dell'Ente di una progettualità differenziata, in aggiunta a quelle schede progettuali, è stata quindi sviluppata una particolare attività di regia progettuale ad esempio con il caso dei Programmi per lo sviluppo locale (PISL) che avevano proprio l'intezione dicostruire uno schema di coerenza progettuale, dalla quale far derivare una serie di azioni progettuali di valore sul territorio e che l'ente, con i comuni, ha sviluppato lungo diversi assi strategici di lavoro: - Obiettivo 1.: qualità ambientale. Completare la creazione delle infrastrutture ambientali della rete ecologica fluviale del sistema ambientale del Parco del Po-tratto torinese, comprensive delle azioni per la riqualificazione del paesaggio agrario. (Studi di Fattibilità sulle Reti Ecologiche - SFRE). - Obiettivo 2.: capacità gestionale (manutenzione e promozione). Sostenere ed avviare la costituzione di un soggetto, a partecipazione pubblica e privata, avente il compito di garantire: la manutenzione e l’amministrazione dei beni a titolarità pubblica presenti nella fascia; la gestione dei servizi per la fruizione e la promozione del Parco del Po tratto torinese; le azioni di formazione dei soggetti coinvolti nell’offerta dei servizi di fruizione e di ricettività. (Programma Integrato per la Gestione – PIG). - Obiettivo 3.: programmazione della mobilità. Completare la creazione delle infrastrutture di accessibilità del sistema di fruizione del Parco del Po-tratto torinese per gli aspetti legati alla navigazione ed alla balneabilità. (Studi di Fattibilità sulle Modalità della Fruizione fluviale - SFMF). - Obiettivo 4.: recupero della rete insediativa e patrimonio storico-culturale. 2
Riqualificare e recuperare siti e beni di interesse storico-architettonico e documentario di carattere primario e secondario, facenti parte entrambi del sistema territoriale connesso al Parco del Po-tratto torinese, nei quali inserire anche funzioni di informazione e comunicazione, di percorsi museali e di visita. (Studi di Fattibilità sul Sistema Insediativo – SFSI). Questo approccio all'abaco progettuale è stato poi ripercorso anche in occasione dei lavori dell'importante Piano strategico Valle del Po avviato nel 2009 dall'Autorità di bacino del Fiume Po. Un approccio quindi, del valore del progetto, che trova nel piano stesso una sua origine con le schede progettulai e che l'ente ha poi cercato di espandere e sviluppare mediante l'uso di diversi strumenti di carattere complesso e integrato. Il terzo passaggio è quello di passare dal Piano alla catena di progetti ad un programma di territorio strategico, che sottintende una visione territoiale di sviluppo specifica. Ora per giungere a questa terza fase ritengo utile percorrere una descrizione più puntuale di alcuni passaggi dell'esperienza dell'area protetta che di eseguito vengono riprese per poi raggiungere il tema dello strumento strategico e di sviluppo del piano, in una ipotesi di circuito virtuso fra i tre momenti della pianifcazione ,della progettualità e della strategicità nell'ambito di un percorso di sviluppo locale. L’esperienza applicativa del Piano d’Area. L’Ente gestore del Parco fluviale del Po torinese ha ispirato il suo lavoro al principio della rete, sviluppando in questi ultimi 10 anni una intensa attività di costruzione di relazioni materiali ed immateriali con il territorio e i soggetti che in esso operano. Un progetto complesso, che ha inteso costruire una forte maglia di legami con organizzazioni sia intese come istituzioni che come soggetti. Dai Comuni, agli Istituti di ricerca, alle Associazioni di categoria, alle Cooperative sociali ad altri cento soggetti. Un lavoro che ha voluto portare il nome e il messaggio dell’area protetta in ogni spazio, per far comprendere la vicinanza del concetto della salvaguardia, come strumento per migliorare la qualità della vita e non come solo momento vissuto come vincolo e come impedimento alla innovazione ed alla crescita. Questo lavoro si è svolto poggiando in buona parte su un elemento di continuità e coerenza rappresentato dalla costante attività di regolazione dell’uso del suolo che lo strumento di riferimento territoriale, il Piano d’Area, ha permesso di condurre. Centinaia di pareri di coerenza con la normativa stabilita da questo strumento urbanistico, hanno costruito una casista di occasioni di applicazione concreta di una idea guida sulle trasformazioni della fascia fluviale. Un bagaglio di esperienze che si sono basate su un mix valutativo di competenze professionali, chiamate a lavorare in una commissione interdisciplinare autonomamente attuata dall’Ente: un organismo che ha rappresentato il luogo di confronto tecnico e di dibattito su mille questioni, dal dettaglio della recinzione, al generale di una area di un milione di metri quadri interessata da una attività estrattiva o di un tracciato di chilometri di una nuova viabilità. Un lavoro che ha portato, perchè condotto con lo strumento del dialogo, a significativi risultati, a momenti di confronto costruttivo che sono da segnare in maggioranza rispetto ai momenti di scontro, che hanno anche impegnato sul fronte legale l’Ente. Villette a schiera cambiate, palazzi riprogettati, indicazioni di recupero riprese e realizzate, tanti momenti di concreta applicazione della pianificazione visti dipanarsi nel concreto delle realizzazioni. L’esame del singolo caso confrontato con un apparato di norme ha permesso di applicare con efficacia i problemi della regolazione dell’uso del suolo, sviluppando con particolare estensione la fase della “prevenzione”: accanto al classico sistema repressivo dell’agire contro una regola, il classico approccio dell’area protetta, il fare urbanistica ha permesso di indirizzare e quindi di contenere i casi di conflitto sul territorio. A fianco dei guardiaparco, specializzatisi in controllo urbanistico, sono cresciute professionalità tecniche. Una esperienza di grande interesse, che ha permesso di mettere a fuoco alcuni temi di attenzione che è utile richiamare: 1. la necessità del coordinamento degli enti controllori nella lettura dello spirito del piano territoriale, spesso nella pratica non scontato, e legato anche ad una diversa matrice formativa e culturale dei vari apparati tecnici presenti, dai comuni alle province alla stessa regione. Tale aspetto pone in evidenza la difficoltà, ma nel contempo la estrema necessità, di un coordinamento operativo ed organizzativo fra i diversi livelli, senza il quale tanti 3
momenti di valutazione rischiano di non poter cogliere tutti gli aspetti. Un coordinamento che può esprimersi in diverse occasioni che vanno dell’esame congiunto di alcune problematiche e istanze mediante l’uso sistematico dell’istituto della conferenza istruttoria, alla valutazione comune delle fasi di predisposizione o aggiornamento degli strumenti urbanistici locali. 2. lo stile di gestione dei rapporti e l’approccio dolce ai temi tecnici coniugato alla decisione ferma rispetto alla applicazione delle norme del piano, in un principio di comune costruzione dei percorsi di recupero o di progettazione, individuando più i punti forti che quelli deboli dei progetti, senza cedere a errati compromessi di attuazione delle norme, ma accettando e discutendo con concretezza i diversi casi senza opporre le norme ma cercando di leggerle con flessibilità intelligente. Uno stile che si basa sostanzialmente sul tema del confronto e che l’ente ha applicato con numerose e a volte difficili ma utili riunioni di confronto che hanno permesso di superare nel dialogo le problematiche tecniche, affidandosi ad un approccio non burocratico ma pratico. 3. tale stile assume un particolare valore nel rapporto con i privati, segnalando la particolare necessità in questo caso di garantire un dialogo serio, basato sul rispetto del quadro degli indirizzi e delle norme, ma cosciente che il luogo di esplicazione delle attività, in particolare economiche, risiede nell’azione del privato, dalla quale possono essere tratte risorse e servizi utili ed importanti. In tale contesto la richiesta di includere azioni migliorative, interventi compensativi e soprattutto di tenere in maggiore considerazione il contesto degli interventi permette di migliorare in tanti casi le condizioni di progetto proposte. il valore dei dettagli degli interventi e del riconoscimento della pari dignità dei temi di piccola scala con quelli di grande scala. L’attenzione interdisciplinare nella analisi dei progetti (con la commissione mista con agronomi, architetti, idrogeologi, naturalisti) ha permesso spesso di poter analizzare aspetti che nel loro insieme possono conferire ai progetti un esito finale adeguato. Un recupero di una struttura rurale se accompagnato da una recinzione e da un cancello fuori luogo non rischia di vedere il suo risultato percettivo finale del progetto vanificato? Per tale ragione l’analisi condotta ha tenuto conto dei dettagli e degli aspetti generali, conferendogli, appunto, eguale dignità nel valore del progetto analizzato. 4. il tema della mitigazione/compensazione quale argomento spesso sottovalutato o male interpretato. In particolare per tale seconda ragione si è spesso fatto fatica ad affermare il principio: infatti in molte occasioni il grado di consumo delle risorse territoriali ha rischiato di porre un serio problema di compatibilità che è stato proposto in soluzione con qualche “filare di siepi”. Il tema compensativo non ha nulla a che fare con la mitigazione e che l’approccio “oscurante dell’intervento proposto” che invece sembra essere spesso valutato come la soluzione del problema. La distinzione fra compensazione ambientale, ovvero impronta ecologica dell’opera, e sua collocazione nel paesaggio, ovvero mitigazione di inserimento, è uno dei temi di maggiore interesse che ha rappresentato un tema di confronto nel lavoro della emissione dei pareri. 5. l’utilità dei filtri valutativi che permettono di passare dalla rigida norma alla valutazione della compatibilità dell’intervento. Il Piano d’Area prevede in proposito l’applicazione dell’istituto della VCA (valutazione di compatibilità ambientale) così descritto: ….. I progetti degli interventi espressamente indicati nella tabella di cui all'art. 2.8. e da questa assoggettati alle condizioni C2, C3, C4 o da altre prescrizioni delle presenti Norme devono essere corredati da uno studio di verifica di compatibilità ambientale (VCA). Lo studio di VCA deve contenere i seguenti elementi informativi e valutativi: a) la descrizione dell'ambiente interessato anche indirettamente dal progetto (risorse e componenti, condizioni e pressioni in atto, prima dell'attuazione e processi evolutivi); b) la descrizione del progetto (con particolare riguardo al consumo delle risorse ed alle emissioni previste) e delle alternative considerate, compresa quella di non 4
realizzazione del progetto; c) l'identificazione e la valutazione degli impatti prevedibili sull'ambiente, nelle fasi di costruzione, di esercizio e di dismissione delle opere previste, e delle diverse alternative; d) la descrizione delle misure previste per eliminare o mitigare gli impatti previsti, per monitorare le condizioni ambientali. Nella relazione, redatta e firmata da tecnici di comprovata esperienza, deve essere inoltre contenuta una esplicita valutazione della congruità dell'intervento di trasformazione proposto rispetto agli obiettivi del Piano e deve essere accompagnata da un riassunto in linguaggio non tecnico dei punti precedenti. Gli studi di VCA sono sottoposti alla valutazione delle Amministrazioni competenti al rilascio dei provvedimento autorizzativi, previo parere dell'Ente di gestione. Gli studi di VCA integrano anche i progetti relativi agli interventi diversi da quelli già richiamati nel presente comma qualora sussistano fondati timori di rischio ambientale o di impatti meritevoli di attenzione. La VCA costituisce quindi uno strumento previsto per alcuni casi nei quali, pur avendo la condizione normativa del piani espresso una generale ammissibilità dell’opera, essendo in situazioni di potenziale criticità attuativa, questa deve essere sottoposta ad un secondo screening nel quale non è tanto la rispondenza a principi schematici m soprattutto gli aspetti ambientali in senso lato, le situazioni locali e la visione diacronica dell’opera costringendo a porre attenzione al problema della situazione prima e dopo l’intervento, per esaminarne i problemi di relazione con il contesto. Uno strumento importante ma di estrema complessità applicativa che propri necessita di linee guida e manuali applicativi, come sviluppato dal nostro ente in via sperimentale con il Politecnico di Torino Dipartimento progettazione architettonica e design industriale. 6. l’importanza di un quadro di scala territoriale di area vasta per la salvaguardia della lettura del contesto territoriale. Ogni intervento in se comporta le sue specifiche conseguenze, che se non valutate con l’insieme degli interventi circostanti rischia di essere giudicato in termini parziali. Le diverse situazioni di contesto che il Piano ha individuato con specifici “ Strumenti attuativi” quali: a) Piani di settore, in particolare il Piano di regimazione delle acque e di sistemazione delle sponde, di cui all'art, 4.1.1; b) Ambiti di integrazione operativa (A1, AM, A2, A3) di rilievo regionale, comprendenti ampi tratti della fascia fluviale, anche esterni all'area protetta, ma ad essa correlati; c) schede progettuali, corredate da schemi grafici illustrativi in scala 1/10.000. Fanno parte delle modalità individuate e di grande efficacia capacità di poter avere sempre sullo sfondo un opportuno palinsesto di territorio. Ad esempio con gli Ambiti di integrazione operativa il Piano ha definito che è opportuno assicurare, anche mediante appositi progetti regionali, il coordinamento e l'integrazione di azioni ed interventi diversi, facenti capo a soggetti e settori di competenza differenti ed interagenti per i seguenti settori: A1 per il tratto Faule –Moncalieri, AM per il tratto Moncalieri-Chivasso, A2 per il tratto CrescentinoCasale, A3 per il tratto Casale-Bassignana. In tali ambiti, ai fini di una efficace tutela e valorizzazione dei siti e delle risorse, è necessario approfondire e specificare le valutazioni e le scelte del Piano anche alla luce di analisi più specifiche e dettagliate. Al fine di facilitare il processo attuativo ed i necessari accordi programmatici tra i soggetti interessati, tali ambiti possono articolarsi in "sub-ambiti di concertazione operativa", quali quelli già individuati dal Piano per l'ambito A1. Il Piano definisce i termini di riferimento per assicurare l'operatività integrata nei suddetti ambiti e, più precisamente, i campi d'applicazione e di operatività, i principali problemi da affrontare, gli obiettivi da perseguire e gli indirizzi progettuali da seguire nel quadro delle norme generali stabilite per tutta la fascia fluviale. In sintesi l’istituto di legge del parere previsto come pronunciamento di compatibilità espresso 5
dall’Ente di gestione sugli interventi soggetti ad autorizzazioni da parte dei comuni, ha permesso di accumulare una importante serie di esperienze ed una buona pratica applicativa di uno strumento di scala media come il Piano d’Area, impostato sul PTO del Po Progetto Po. Questioni e temi per traguardare nuovi orizzonti. Anche sulla base di queste considerazioni e valutazioni del lavoro sin qui svolto, lavorando direttamente con lo strumento pianificatorio è emersa sempre di più la necessità di poter però anche guardare sotto altre angolature, in un processo che richiama la necessità di adeguare i nostri utensili al mutare delle condizioni esterne e di aggiornare conseguentemente i processi ed i progetti di piano. In particolare tre sono le questioni generali emerse: 1. quella del progetto, ovvero della possibilità e capacità di attuare direttamente dei progetti, ed anche di poter meglio incidere con indirizzi applicativi sui progetti presentati. La qualità del progetto e non tanto la possibilità o meno del fare, che una griglia normativa tende a governare, è emersa come la sostanziale questione sulla quale misurare le trasformazioni: non tanto quindi fare o non fare ma “come fare”. 2. quella del paesaggio percepito che da queste decine di trasformazioni si veniva costruendo, in un Lego spaziale mal percepibile nel suo risultato finale dato dalla sommatoria delle singole azioni, per il quale era necessario dotarsi di “contesti di coerenza” territorializzati, come porzioni di visioni metaprogettuali di luoghi in grado di dare conto almeno per grandi pennellate della qualità del disegno complessivo che si viene a determinare. 3. quella dei modelli di sviluppo locale da considerarsi come il flusso di energia di utilizzarsi per far vivere le dinamiche sociali ed economiche del territorio, atte ed in grado di dare vita alle attività ritenute compatibili con le condizioni delle risorse locali. Da queste tre necessità sono così nate tre esperienze di crescita: l’elaborazione del PISL, la costituzione dell’Osservatorio del Paesaggio, la nascita del Progetto del marchio territoriale Po Confluenze Nord-Ovest. Anticipando le conclusioni ed il fine di questo percorso sulla pianificazione dell’area del Po, occorre mettere a fuoco un elemento: queste tre esperienze che hanno teso a dare risposte alle tre questioni del progetto, del paesaggio e del modello di sviluppo, hanno portato a recuperare il ruolo di uno strumento già previsto e configurato fra quelli utili alle politiche di gestione territoriale delle arre protette, quale il piano socioeconomico, da intendersi come modello si sviluppo del contesto locale e non come macchinario di incentivazione delle economie, ma organismo di attuazione del disegno del territorio e del paesaggio, ovvero delle modalità del suo uso. Si è venuta così a creare la possibilità di individuare una nuova ipotesi di equazione territoriale: a fronte di un fattore x di input trasformativo sul territorio e di un fattore y di output di progettualità presenti, la loro ricomposizione in una possibile variabile z da determinarsi la si può individuare nello strumento del Piano di Attuazione del modello di sviluppo, che diviene il fattore orientativo che si esplica attraverso due diverse unità, da un lato una idea progettuale (Infrastruttura Verde) dall’altro una idea regolativa (il Piano territoriale). Il percorso per giungere a questa visione che rappresenta una proposta di lavoro e il risultato dell’esperienza del Parco del Po torinese, ha dunque le seguenti tre tappe. L’elaborazione del PISL (Piano integrato di Sviluppo Locale), che ha rappresentato il banco di prova di straordinario valore per la costruzione di progetti multiobiettivo e in partenariato con soggetti del territorio e privati. Una esperienza che ha permesso di toccare con mano come alla necessità di tutelare si debba gioco forza affiancare anche l’azione progettuale e dell’intervento, come condizione per riportare ed aggiornare a funzioni attuali (contemporanee) gli spazi non più utilizzati o nati per altre funzioni. La costituzione dell’Osservatorio del Paesaggio come momento di riflessione più di stile culturale e scientifico sulla qualità e l’assetto del paesaggio, dotandosi quindi di una lente di natura critica e progettuale, più fine di quella del Piano d’Area che invece guarda a regolare l’attuale restando, fra il resto, vincolata ad una visione figlia del periodo in cui nacque nel quale la zonazione costituiva l’elemento di principale efficacia. 6
Il marchio territoriale “Po Confluenze Nord-Ovest”, un progetto mirato a ricostruire una visione di un territorio ed a offrirne una visione nuova, con le proprie frontiere circostanti e i propri lineamenti distintivi. Una iniziativa nata dalla convinzione che la presenza di una serie di immagini territoriali presso il mondo dell’urbanistica non può tradursi in vero e reale progetto sul terreno se la non trova un humus fertile, una partecipazione e condizione dell’insieme degli attori locali. Per questo il progetto è stato avviato con l’ATL di promozione del turismo competente. Dal “piano” costruire un “progetto” di “Infrastruttura Verde”. Queste tre esperienze hanno posto in evidenza la necessità di dotarsi di progetti per i quali già il piano stesso indica la necessità quando ad esempio si afferma, come richiamato poco sopra, che; “……. Ad esempio con gli Ambiti di integrazione operativa il Piano ha definito che è opportuno assicurare, anche mediante appositi progetti regionali, il coordinamento e l'integrazione di azioni ed interventi diversi, facenti capo a soggetti e settori di competenza differenti ed interagenti.” La evidente necessità di rispondere alla domanda di recupero con una azione diretta e di progetto e non solo con l’indirizzo normativo, porta con se anche la necessità di costruire grandi processi trasformativi, secondo l’approccio delle operazioni di modifica del paesaggio a scala complessa: per tale ragione l’idea di implementare le diverse reti di territorio, quella ecologica, quella storicoculturale e quella fruitiva, sta alla base della costruzione di uno scenario di grande scala di una complessa e integrale “Infrastruttura”. Con questa intenzione il lavoro dell’Osservatorio si è concentrato su questo tema, costruendo le tesi e i materiali qui raccolti ed ai quali si rimanda, proponendo nel contempo con le valutazione del successivo paragrafo quella visione di flussi dell’azione territoriale che mira a connettere i tre livelli Piano-Progetto-Sviluppo. Idee per una “Macchina pianificatoria, Officina per la crescita”. Si pone dunque un tema da affrontarsi in ultima analisi: se questa che abbiamo evocato e che è sviluppata nel volume è la dotazione di strumenti dei quali si ritiene di avere bisogno, quale è l’energia in grado di muovere il tutto, ovvero da dove può provenire? Di quali gambe dotarsi per far camminare un progetto come l’Infrastruttura verde? Diviene a questo proposito vitale ragionare intorno a due nodi: 1. quali debbano essere le modalità del coinvolgimento degli operatori territoriali, dell’imprenditoria e delle risorse finanziarie, ovvero quale progetto di promozione socioeconomica attivare; 2. di quale natura debbano essere le competenze professionali per controllare e gestire il processo. Il primo aspetto ha diretta attinenza con il tema degli strumenti per l’avvio dei processi di sviluppo locale, che nella materia delle aree protette coincide con il cosiddetto “Piano socioeconomico” previsto dalla normativa stessa in materia di parchi (vedasi artt. 14 e 25 della L. 394/91 e dell’art. 34 della L.R. n. 12190 e s.m.i piemontese). Il Piano socioeconomico che in questa esperienza intende proporsi è visto come strumento di innovazione della visione di scelta strategica del ruolo del territorio protetto e del suo ente di gestione nello scenario locale territoriale, come strumento e soggetto al quale affidare proprio la funzione di costituire “l’Officina per la crescita”. L’occasione non deve essere infatti interpretata come una mera applicazione di uno schema di strumento, quello del piano socioeconomico che, se interpretato nel suo concetto tradizionalista, mostrerebbe ampiamente alcuni elementi di arretratezza nel contemporaneo quadro delle logiche e delle discipline delle discipline dello sviluppo locale. Il percorso originale che si intende dare a questa fase vuole essere un terreno sperimentale di costruzione di un processo innovativo, in grado di potersi porre come leva di integrazione delle politiche di gestione dell’area protetta nel territorio e nel suo contesto, incardinandone a fondo il proprio ruolo nelle politiche ambientali locali e di scala regionale. Solo le politiche di rete sono infatti oggi considerate vere politiche di carattere ambientale, in quanto un approccio di insieme alle problematiche può garantire il vero raggiungimento degli obiettivi di qualità ecologica ed ambientale che l’area protetta ha fra le sue prime missioni. La tipologia di approccio al territorio si ispira al concetto ed al paradigma dello “Statuto dei luoghi” che ha nella nostra letteratura in particolare ispirazione a Alberto Magnaghi ed alle sue elaborazioni, che hanno trovato in 7
particolare sviluppo nel noto saggio Progetto locale. Alla luce di questa impostazione assume rilievo il procedere ad indagini che coinvolgano almeno tre grandi assi: • quello di conoscenza del Tessuto territoriale e paesaggistico • quello di conoscenza del Tessuto socioeconomico • quello di conoscenza del Tessuto culturale Il primo livello è dal nostro Ente, insieme all’Ente della collina torinese, affrontato e sviluppato da un anno attraverso il lavoro dell’Osservatorio del Paesaggio costituito con il Politecnico di Torino e sostenuto dalla struttura dell’Osservatorio Città Sostenibili OCS del Prof. Carlo Socco, struttura che ha anche partecipato alla redazione dello studio di Corona verde che rappresenta altro scenario di riferimento per il nostro Ente. Il secondo livello rappresenta quello della conoscenza delle dinamiche economiche del territorio interessato dal Piano nonché dell’apporto degli ambiti disciplinari di valutazione economica e di scenario senza i quali i disegni territoriali rischiano di non avere alcun aggancio con la realtà locale. Tale aspetto è poi l’aspetto cardine intorno al quale poter sviluppare le azioni connesse alla promozione delle attività economiche compatibili. Un elemento di particolare innovazione che si intende sottolineare in tale ambito è la necessità di collegare questo campo al precedente: ogni azioni di utilizzo è infatti materialmente connessa ad una scala progettuale e non può essere astrattamente connessa ad un contesto di attività economica. Ogni attività ha il suo risvolto e ricaduta sulle modalità di uso del suolo e pertanto l’espletamento delle attività ha un suo risvolto con le condizioni di trasformazione territoriale. Il terzo livello rappresenta quello della conoscenza del carattere storico culturale di un luogo e delle sue dinamiche sociali ed antropologiche. La conoscenza dei contenuti delle culture locali, dei saperi locali e delle tradizioni è un elemento di fondamentale importanza che costituisce l’intima essenza delle modalità con le quali le economie locali si sono integrate con il luogo dando vita a quell’intreccio di segni e di sedimentazioni culturali locali che costruiscono la traduzione della visione del paesaggio a scala della popolazione che risiede nel dato luogo. Guardando a questo insieme di approcci l’ipotesi della Infrastruttura verde diviene il braccio di progetto ed insieme “l’utopia concreta” con la quale proporre una azione riqualificativa e di recupero all’uso condotta con due acceleratori a fianco del freno (sempre utile) della sola conservazione: l’acceleratore del piano come strumento regolativo e l’acceleratore del progetto di paesaggio, come strumento per innescare ed indirizzare il “fare” degli attori territoriali, ispirato da un disegno e non lasciato ad un confuso e disordinato utilizzo.
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