MO(O)NDAY Testo e illustrazioni di Enrico Mancini “Lunedì, sveglia alle 7:00 am. Il giorno del colloquio di lavoro è finalmente arrivato.Un grande giorno che può cambiare la mia Vita.” Così ho scritto sulla mia agenda tascabile. Si, dopo tante attese e curriculum inviati è arrivata una nuova opportunità. Grande Ansia. L’ansia è stata sempre una cattiva compagna che mi ha sempre fatto affrontare le situazioni della vita in maniera esasperante,ciò mi ha precluso un ampia possibilità di scegliere liberamente e di prendere le giuste decisioni. L’ansia ti porta a precipitare gli eventi, ad agire in modo impulsivo per la paura di aspettare o di perdere qualcosa.
Per allontanare pensieri negativi prima del colloquio di lavoro devo immaginarmi di trovarmi in luoghi che trasmettono una certa calma, come gli ambienti lacustri con le distese di grano, le barche e i pescatori oppure scene di vita contadini con i suoi silenzi e il canto degli uccelli.
In questo mio vagare con la mente sento una vocina squillante che proviene dalla cucina. Mia madre “ Ho preparato il caffè, vieni a prenderlo.” Gonna o pantaloni? Camicia o maglia? Ci vuole qualcosa che catturi l’attenzione, qualcosa di elegante ma non troppo. Mi chiedo se ci sono degli stratagemmi per dare una buona impressione all’esaminatore di turno. E intanto alla radio dicono che le temperature si abbasseranno ancora. La mia temperatura è oscillante, sto quasi bollendo dall’agitazione nonostante siamo a metà autunno. Siamo alla fine di ottobre ma sembra di stare ai Caraibi, sto già facendo il bagno…ma di sudore. Faccio ricognizione, controllo la borsa, o meglio il sacco. L’abbonamento mensile dei trasporti non lo trovo. Guardo in mezzo alle cianfrusaglie che avevo preparato per il mercatino e infatti se ne sta buonino in mezzo alla collezione di figurine di Lady Oscar. Non credo che a lei serva, non deve prendere la metropolitana perché preferisce andare a cavallo, non è vero? Purtroppo per racimolare qualche soldo l’ultima spiaggia è vendere le cose datate ai mercatini. E’ ora di andare. Saluto diretto al resto della famiglia, in cucina. Mio padre con netta calma sorseggia il cappuccino
e ingurgita una fetta di crostata, mio fratello mi fa cenno con la mano per augurarmi il suo “In bocca al lupo”. Mentre scendo le scale mi sono accorta del fiocco azzurro sulla porta della famiglia Tranquilli, finalmente la signora Silvana ha partorito un bel maschietto. Quando ritorno dal colloquio la andrò a trovare, sono curiosa di sapere che nome ha scelto per suo figlio. Buca delle lettere vuota. Zero risposte ai miei curriculum spediti. Alla fermata del bus vedo volti accigliati, smarriti, molti rassegnati e qualcuno gesticola e protesta. Ci risiamo, ennesimo ritardo. Bisogna prendere le cose con filosofia, del resto alle superiori avevo la media del 9, espertissima, quindi anche in questo frangente non mi dovrebbe essere difficile gestire la situazione stressante. E invece no. Un conto la teoria e un conto è la pratica, riuscite a capirmi? Ci si sente una sardina dentro un autobus, quando ritarda, si respira aria malsana, si è costretti a guardare fisso il tizio perché non si sa dove volgere lo sguardo tanto è il disagio. Il rischio è che tizio si crede di aver fatto colpo su di me e comincia ad atteggiarsi , almeno così penso. Solo che stavolta il tizio che ho di fronte, fa delle smorfie, sembra accennarmi qualcosa, poi alla fine un po’ vergognoso mi avverte che c’è un escremento, forse di piccione sul mio cappello nuovo, comprato per l’occasione , per darmi un tono. Meno male che ci sono ancora brave persone in giro che si preoccupano del prossimo, anche quando guardano “fisso” non è sempre per flirtare.
Cerco di trovare un fazzoletto per rimuovere lo sfregio al mio cappello, ma non riesco a prenderlo dalla borsa che rimane schiacciata dalla schiena di almeno due persone, sul bus si sta veramente strettini. Aspetto di scendere alla fermata e vado in cerca della prima fontanella che trovo. Arrivata a destinazione. Citofono. Mi dicono che devo salire al quinto piano. Caspita. Soffro di claustrofobia occasionale. Mi viene alla mente un pensiero, un dubbio. Arrivare trafelata e sgualcita, sudata salendo le scale o tenere a bada l’ansia da ascensore ma fresca come una rosa? Si aprono le porte dell’ascensore in contemporanea con la porta dell’azienda, esce un tizio che mi accoglie con uno straccetto in mano e lo sgrassatore, sorridendo mi segnala che ha da poco lavato il pavimento e che non devo oltrepassarlo. Non ho sbagliato piano per l’ansia da ascensore, la sede della FORTUNA EXPORT è proprio qui. Il tizio mi fa presente che d’urgenza è stata convocata una riunione straordinaria di consiglio fra soci dell’azienda. “Sai la crisi incombe anche qui nelle esportazioni”lui mi dice convintissimo. “Provi a guardare sul cellulare, l’avranno sicuramente avvertita”. No, purtroppo mi accorgo che il mio cellulare ipertecnologico quando è scarico da tempo non comunica diventa uno strumento inutile e sembra di ritornare indietro nel tempo.Ma come facevano una volta? Non dovevano avere l’ansia da ricarica e nemmeno di essere cercati continuamente.
Anche io sono scarica, baciata proprio dalla FORTUNA… export. Ma cosa abbiamo noi da esportare? Io mi farei, al contrario, importare subito un bel sorriso di circostanza ben confezionato e andarmene via. Non rimane altro che schiarirsi le idee, modificare questo mio lato pessimistico, il troppo analizzare le cose, controllare tutto. Vorrei lasciarmi andare, scrollandomi di dosso ansie e paure perché ci sono sempre degli imprevisti che
bisogna
saper
affrontare.
Mi
impegno
già
a
frequentare qualche corso per gestire i conflitti interiori e le dinamiche relazionali. Nella vetrina di quel negozio di ottica mi specchio e vedo già qualche ruga e qualche capello bianco e decido di passare ai fatti. Bisogna arrivare ad una svolta, ad un cambiamento anche se è un lunedì faticoso, inizio di settimana. Forse comincerei col comprare un paio di occhiali color rosa confetto, almeno vedo tutto rose e fiori ma preferisco mangiarli io i confetti anche se sono un po’ ingrassata. Devo cercare degli stimoli. Ecco per esempio l’ennesimo tizio davanti a me, quanti ce ne sono in giro. Anche lui mi fissa ma almeno è sorridente, però ammicca, forse mi invita a rilassarmi. Lui se ne sta in maglia a righe e freneticamente suona il suo tamburo, sembra venire da qualche paese esotico. TAM TAM TAM TAM TATATAM!
Forse è un segnale, un monito da prendere in considerazione. Cambiare ritmo di vita. Ritrovare nuovi ritmi di vita ma non quelli stantii delle serate in disco della mia giovinezza. Nemmeno i ritmi ossessivi degli ultimi anni. Ritmi sostenibili della mia maturità. Non voglio dire che devo mettermi a fare la percussionista insieme al tizio ammiccante che non è nemmeno il mio tipo. Il giorno della Luna, MO(O) NDAY può riservare delle sorprese, un imprevisto può far riflettere. Io infatti sto riflettendo.
I pensieri profondi hanno bisogno di carburante per essere sostenuti, mi è venuta fame. Dal momento che devo pianificare i miei progetti, scegliere le strategie giuste per cambiare vita ho bisogno assolutamente di discrete quantità
di
golosità
varie.
Creme,
panne
montate,
zabaioni, gelati. Ma forse quello che ci vuole è un bel Tiramisù e allora vado dritta e senza ripensamenti alla pasticceria DOLCI ARMONIE proprio dietro l’angolo. Il pasticcere che mi conosce da quando ho assaggiato la prima pastarella mi sorride e intuisce, ho l’aria di essere un tantino sciupata o forse in crisi di astinenza di coccole. Mi dice che la mia porzione di tiramisù è lì che aspetta sul bancone e scherzando pone un ultimatum “A morè, non te ne mangià troppa, non chiede er tris come l’altra volta sennò spicchi er volo e me tocca inventà er tiramigiù. Devo dire che non esistono di pasticceri così delicati e simpatici come lui. Lui è un vero talento per far emergere la propria autostima dagli abissi dello smarrimento.
Gli dico che è un momento delicato il mio, il lavoro non c’è e il colloquio si è rivelato una bufala. E lui replica così:- La vita è come ‘na scatola de cioccolatini, nun sai mai quello che te po’ capità! Sai chi l’ha detta sta frase? Foreste Gampe! Beh, io non sono d’accordo, in qualche scatola ci dovrà pur essere una etichetta con gli ingredienti. Il mio tragitto verso la conoscenza di me stessa prosegue con grande perplessità, lo scroscio degli applausi e le persone che strillano qui vicino interrompe le mie elucubrazioni mentali.
Uh, Artisti di strada, quale gioia. Una ragazza gioca a fare l’equilibrista con i palloncini. Cerca di creare delle forme, li incolonna, poi li libera in aria facendogli fare delle figure. Semicerchi, cerchi. Non ditemi di calcolare aree e perimetri. La mia nevrosi sarebbe capace di arrivare a tanto, ma mi controllo. La mia memoria scolastica è
imbattibile. Quei colori quell’abilità, quel bisogno di giocare, quella leggerezza mi affascinano. La cosa interessante è che i palloncini non scoppiano, non si rompono, sembrano veramente ammaestrati. Io invece ne rompo parecchie di sfere e di parallelepipedi o comunemente si preferisce parlare di “scatole”. Si una rompiscatole, e ce n’è per tutti quelli che incontrano il mio lato permaloso del carattere. Ma adesso voglio assolutamente correggermi, ritrovare ritmi nuovi di vita, coltivare il mio spirito di adattamento e raggiungere un equilibrio. La ragazza finisce la sua performance e porge sorridendo a tutti un invito cartaceo. “Siamo
lieti
di
invitarla
all’inaugurazione
del
Cafè
Chantant. Musica e buffet alla terrazza Belvedere in via dell’imprevisto13” Mi chiedo come si fa a declinare un invito simile.
E così mi ritrovo sulla terrazza Belvedere insieme a tanta gente
allegra,
con
la
musica
di
un
grammofono
funzionante e una coppia che balla sulle note di Chanson d’Amour. Un gatto aspetta l’arrivo del buffet. Io comincio a capire che forse è arrivato il momento di incontrare la mia dolce metà. Vuoi vedere che le mie nevrosi spariscono di colpo?
Riferimenti all’autore: lestrodelviandante.jimdofree.com