I Piaceri della Vite - Numero I - Febbraio 2017

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5 Editoriale Uno 7 Buone Nuove ANTEPRIMA 8 Wine Day 2017, ecco i Piaceri della Vite Rubrica: VENI VIDI VINI 12 Un primitivo moderno 20 Guardiani Farchione, una cantina vera L’INTERVISTA ESCLUSIVA 22 Andrea Cervone, il Cortador italiano 28 Daniele Cernilli, il filosofo del vino

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Rubrica: SORSI DI ECCELLENZA 34 Lecinaro, autoctono autentico 38 Saint Patrick’s Ale, un verde sorso d’Irlanda 42 L’olio culturale 46 Erbaluce, sogno piemontese 50 Amando, elisir di San Valentino Rubrica: MORSI DI ECCELLENZA 54 Cheeese, formaggio che passione

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Rubrica: LA RICETTA SVELATA 58 Gricia con tartare di tonno rosso SPECIALE 62 Le Cattedrali di Dioniso (in Italia) - 1a Parte E ancora... 72 Forme di vite intelligenti 78 Wine Packaging: Tappo a chi? 82 E-commerce del vino: facciamo il punto? 87 Assicurati alla radice 90 Il Cinevino 95 Le mie degustazioni 100 Appuntamenti da gustare 101 E nel prossimo numero?


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Uno e siamo arrivati al numero UNO de “I PIACERI DELLA VITE” è perché i consensi sulla prima uscita di questo progetto sono stati pressoché unanimi, con attestati di apprezzamento arrivati un po’ da tutte le parti d’Italia, da amici e sconosciuti, da addetti ai lavori e non. Anche i dati di visualizzazioni e condivisioni sono stati davvero confortanti, se non addirittura oltre le nostre previsioni. Ma quello che ci fa ancor più piacere sono le numerosissime richieste dei Produttori che, da nord a sud, ci invitano in azienda per farci assaggiare i loro vini e farci conoscere le loro meravigliose “storie di vite”. Cercheremo di fare il possibile per arrivare a toccare con mano tutte queste bellissime realtà e avere il piacere di raccontarvi di loro e svelarvi quel movimento di piccole-grandi cantine che stanno cambiando il modo di intendere il vino. Tutto ciò ci carica di entusiasmo per fare ancora meglio e per ben preparare i nostri prossimi appuntamenti. In ordine di tempo, quello a noi più vicino è la rassegna enologica nazionale che affianca e supporta questa rivista: “WINEDAY 2017”. A Maggio arriverà la nona edizione e già all’interno di questo numero troverete una breve anteprima e un piccolo resoconto dello scorso anno. Tantissimi comunque i temi trattati in questo numero, grazie anche al prezioso contributo dei tanti amici che spontaneamente ci hanno chiesto di collaborare.

Partiamo con la nuova rubrica “La ricetta svelata”: siamo entrati nella cucina di uno chef giovane ed estroso che ci ha mostrato come preparare la sua rivisitata versione di un classico piatto della tradizione culinaria italiana: la “gricia”. Per “Veni vidi vini” siamo stati invece nella zona di produzione del Falerno del Massico e in quella del Montepulciano d'Abruzzo, alla scoperta di Cantine con la “C” maiuscola e Produttori veri. Intrigante esclusiva di questo numero è senza dubbio il resoconto del nostro incontro con Andrea Cervone, il “Cortador italiano” che c’ha svelato tutti i segreti dell’arte del taglio al coltello del prosciutto iberico. E, poi, tra una cosa e l’altra, complici le festività natalizie, abbiamo comunque avuto modo e tempo di assaggiare diverse bottiglie. Quelle che più ci hanno soddisfatto e che ci permettiamo di segnalarvi, le trovate nella rubrica “Le mie degustazioni”: sono solo i nostri spassionati consigli, senza punteggi o palette alzate. Tuttavia questa seconda copertina è dedicata al “Doctor Wine” Daniele Cernilli, uno dei più importanti giornalisti enogastronomici italiani e personaggio dalle risposte mai banali, che ci ha concesso un’esclusiva intervista, colma di interessanti spunti di riflessione. Immancabili, infine, le nostre recensioni di quei prodotti di eccellenza che abbiamo scoperto degustando qua e là… A questo punto quindi, non vi resta che continuare a sfogliarci… Federico Dini & Andrea Vellone

Federico Dini, 40 anni, Geologo. Da sempre grande enoappassionato, fonda nel 2008 l’Associazione di promozione enogastronomica “Triclinium” che presiede fino al 2014. Ideatore e della rassegna nazionale “Wine Day” e organizzatore di numerosi altri eventi e format enogastronomici.

Andrea Vellone, 44 anni. 20 anni di Marketing, comunicazione, grafica, design nei più disparati campi: elettrodomestici, banche, compagnie aeree, Internet Company. Almeno fin quando non decide di dedicarsi unicamente a quella che è la sua passione di sempre....il vino!


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RINASCE IL VINO DEI BORBONE A TRENTO UN NUOVO CORSO DI LAUREA IN ENOLOGIA

IN SARDEGNA IL VINO PIÙ ANTICO DEL MEDITERRANEO Non i Fenici, ma i sardi. Sono stati loro la prima popolazione a coltivare la vite per produrre vino nel Mediterraneo. Accadde tutto questo ben 1000 anni prima di Cristo. L’ipotesi è stata confermata da una nuova ricerca portata avanti dal Centro Conservazione Biodiversità dell'Università di Cagliari, guidato dal professor Gianluigi Bacchetta. Già 2 anni fa il botanico aveva dimostrato come alcuni resti organici risalenti all’Età del bronzo medio, ritrovati in un pozzo accanto ad un nuraghe nelle vicinanze di Cabras, fossero in realtà semi di vite, in particolare di vernaccia e malvasia. Questa volta invece, il team del Prof. Bacchetta ha esaminato i residui organici contenuti all’interno di un torchio nuragico ritrovato a Monastir, presso il Monte Zara, trovando tracce dell’acido tartarico presente nell’uva, dimostrando quindi che quel torchio serviva proprio per produrre vino. Dallo studio risulta inoltre che, con buona probabilità, si trattava di una produzione di vino rosso: una sorta di Cannonau di quasi tremila anni fa! Una scoperta che, allo stato attuale delle conoscenze, permette quindi di attribuire ai sardi il merito di essere stati i primi produttori di vino dell’area del Mediterraneo.

L'Università di Trento ha dato il via all'iter che porterà all'istituzione del Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia presso il proprio Ateneo. Il corso, che dovrebbe partire dall’anno Accademico 2017/2018, avrà sede a San Michele all’Adige e prevederà un test d’ingresso con numero limitato a 75 studenti.

Dopo il rosso pompeiano Igp “Villa dei Misteri” che, con tecniche di

2000 anni fa’, vuole riproporre il vino degli antichi Romani a Pompei, sta per arrivare anche il ”Pallagrello della Reggia”. Così sarà chiamato il vino della Reggia di Caserta, che verrà prodotto nell’antica vigna borbonica di San Silvestro, area nella quale fu catalogato per la prima volta il vitigno autoctono del pallagrello (bianco e rosso), allora chiamato “piedimonte”. Questo almeno nelle intenzioni dei promotori che, attraverso un avviso su Facebook, stanno cercando qualche volenteroso viticoltore a cui affidarne la produzione per i prossimi 15 anni.

UN 2016 SUPER PER LE BOLLICINE DI FRANCIACORTA Un anno da incorniciare per le bollicine “made in Franciacorta”. Il 2016 si è infatti chiuso con un incremento di fatturato del 7% rispetto all’anno precedente e un +16% di spedizioni all’estero. A spopolare sono soprattutto le tipologie Rosè e Satèn, le cui richieste sono lievitate di quasi il 20%. Questo è quanto emerso dal consuntivo di fine anno del Consorzio di Tutela. Un dato che va di pari passo con l’aumento di notorietà del brand “Franciacorta”, sia nella conoscenza collettiva, che nei giudizi delle guide di settore. E l’obiettivo per il nuovo anno è semplicemente quello di migliorare ancora, sia nei numeri che nell’immagine. Prevista infatti la costruzione di una nuova e più adeguata sede consortile e poi, soprattutto, una revisione del Disciplinare di produzione che punta ad un incremento ulteriore della qualità del prodotto finale.

BIRRA BELGA PATRIMONIO DELL’UMANITA’ A quanto pare l’UNESCO avrebbe recentemente inserito la birra belga nella lista dei “Patrimoni Immateriali dell’Umanità”. Se da un lato il Belgio può essere pacificamente definito la patria della birra, dall’altro includere in questo elenco una bevanda alcoolica potrebbe forse sembrare un po’ azzardato. E invece dall’Unesco rispondono che in realtà la birra non è una semplice bevanda, poiché non solo costituisce un importante ingrediente per la preparazione di numerose specialità culinarie, ma soprattutto rappresenta un vero e proprio patrimonio culturale, da secoli legato alla vita e ai costumi di tante popolazioni. E come tale merita di essere salvaguardato.

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Fissato a Maggio l’appuntamento con la IX edizione dell’importante rassegna enogastronomica per appassionati e operatori del basso Lazio.

omenica 7 e lunedì 8 Maggio 2017. Sono queste le date fissate per il gustoso appuntamento annuale con “Wine Day”, l’esclusiva rassegna enogastronomica dalla quale è germogliata anche la rivista che state leggendo in questo momento. Una kermesse nazionale ideata nel 2009 da Federico Dini con l’obiettivo di far conoscere e degustare vini buoni, attraverso un lungo percorso di banchi d'assaggio di prodotti ricercati e di qualità. Soprattutto vini, come detto, ma non solo. Ci saranno anche liquori, distillati, birre artigianali, 72


olio d'oliva, prodotti gastronomici tipici e specialità culinarie. A fare da cornice alla due giorni, per il nono anno consecutivo, sarà la bellissima Villa Ecetra a Patrica, in provincia di Frosinone, un antico casale del 1600 immerso nel verde e dotato di ogni confort, che accoglierà i tanti espositori provenienti da ogni angolo della penisola e i numerosi e appassionati visitatori. Una meravigliosa vetrina delle eccellenze enogastronomiche italiane, forte di una formula ormai ben collaudata dalle edizioni precedenti ma che ha saputo evolversi nel tempo, andando sempre più a coinvolgere anche tutti gli operatori e gli intermediari della distribuzione. Ecco quindi che anche quest’anno la kermesse si sdoppierà in due giornate dai contorni ben definiti e distinti: si partirà domenica 7 Maggio, con porte aperte a tutti gli appassionati e ai consumatori finali e possibilità di degustazione di tutti i prodotti in esposizione, e si continuerà poi lunedì 8, giorno invece riservato esclusivamente ad operatori del settore ho.re.ca e a buyers accreditati, con incontri “b2b”, convegni tecnici e degustazioni guidate. Questo e molto altro nel programma di questa nona edizione, che verrà presto presentato nel dettaglio, con tutte le novità e le modalità di partecipazione, nel nostro prossimo numero e anche nel sito ufficiale della rassegna: www.wineday.it. ■

LA LOCATION: anche quest’anno ad ospitare la rassegna enogastronomica sarà l’incantevole location di Villa Ecetra a Patrica: complesso elegante, ma non formale, è il contesto ideale per le degustazioni e per favorire l’allaccio di contatti diretti, veri e duraturi.

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Il racconto dell’edizione 2016... PATRICA (FR): tante realtà produttive a di Costantino confronto nella D’Aulisio Garigliota poliedrica Italia del Docente della Scuola Wine Day, imperdibiEuropea Sommelier le appuntamento in www.enovagando.it terra frusinate, che ogni anno offre al mondo dei “winelovers” l’opportunità di fare una scorpacciata dei più significativi vini italiani, oltre che saggiare anche tanti altri prodotti gastronomici di singolare prelibatezza. La forza del Wine Day, infatti, è data proprio dalla capacità di attirare anche molte aziende del sud e del nord d’Italia in un unicum celebrativo dei “Piaceri della vite ”. Ho particolarmente apprezzato i laboratori di degustazione organizzati nell’ambito dell’edizione 2016: nella giornata riservata agli operatori ed alla stampa specializzata, sono stati allestiti ben due laboratori di degustazione. Il primo è stato dedicato agli strepitosi Sauvignon blanc e Gewurtztraminer dell’altoatesina COLTERENZIO, raccontati dalla voce di Giulio Corti, mentre il secondo ha invece celebrato i polposi rossi pugliesi di GIANFRANCO FINO . A presentare l’Azienda, la vulcanica Simona Natale, cuore pulsante ed indispensabile traino dell’azienda condotta dal marito Gianfranco che, nell’occasione, ha affidato il commento dell’analisi sensoriale dei vini in assaggio alla voce esperta e competente di Luciano Mallozzi. Un gradito fuori programma è stato rappresentato dalla presenza, proprio nel laboratorio dedicato al vino manduriano, di un altro grande Signore del vino: Antonello Coletti Conti , titolare di una delle più prestigiose aziende laziali in rappresentanza di un territorio così diverso e lontano rispetto a quello pugliese, ha compiuto gli onori di casa, introducendo alla gremita platea, la grande amica Simona. Devo ammettere, in conclusione, che l’esperienza di quest’anno è stata decisamente positiva ed ha confermato la validità degli impegni profusi nella cura d’ogni dettaglio tra i quali, non da ultimo, l’incantevole Villa Ecetra come sede della bella rassegna.



A Falciano del Massico nelle viscere dell’Ager Falernus, terra del primo grande vino della storia e del Primitivo di Antonio e Gennaro Papa.

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ell’immaginario collettivo il primitivo è stato purtroppo identificato per troppo tempo come un semplice vino da taglio, “un’etichetta” che di fatto si è portata dietro ingiustamente per decenni. In realtà, si ricorreva a queste uve per “aggiustare” le annate storte di vini molto più famosi e blasonati, migliorandone struttura e consistenza. Eppure il Primitivo non veniva nemmeno citato nella retro-etichetta di questi vini, quasi fosse una vergogna o un disonore dichiararne di averne fatto uso…o abuso? Fortunatamente oggi le cose sono ben diverse, perché finalmente i Produttori hanno deciso rivalutare con orgoglio questo vitigno. Oggi le piante vengono curate maniacalmente e i suoi frutti non vengono più si

hanno deciso giustamente di ridare luce a questo nobile vitigno. Oggi queste piante vengono coltivate con cura spesso maniacale e i loro frutti non vengono più svenduti al miglior offerente, ma si utilizzano finalmente per fare vini di eccellenza e, vivaddio, in purezza. Sembrerebbe la premessa ad una tipica storia pugliese e invece la protagonista di oggi è Falciano del Massico, in provincia di Caserta, perché anche questa è una terra fortemente legata al Primitivo. Ci troviamo nell’antico “Ager Falernus”, lungo il limite nord della grande pianura campana alle pendici del massiccio calcareodolomitico del Monte Massico. Alle nostre spalle, non lontano da qui, si scorge anche


qui si scorge anche la figura sontuosa ma placida della antico cono vulcanico di Roccamonfina, montagna forse più famosa per le sue acque minerali, che non per i grandi vini che oggi si producono sulle sue ceneri. Eppure questa è una zona nella quale la viticoltura trova da sempre le condizioni ideali per esprimersi al meglio: il suolo argilloso di origine calcareo arricchito da ceneri vulcaniche, l’ottimale esposizione a sud-est e l’influenza benefica di quel piccolo oceano del Mar Tirreno, rendono queste aspre e incontaminate colline un ambiente perfetto per la creazione di vini di grandissima fattura. Lo sapevano molto bene gli antichi Romani che attraverso

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Antonio Papa, figlio di Gennaro, è laureato in Lettere Classiche con indirizzo storico archeologico, ma oggi si occupa a tempo pieno dell’Azienda di famiglia. Sotto, l’antica cantina scavata a mano nel tufo.

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Autori come Orazio, Plinio, Marziale e Cicerone hanno più volte tessuto le lodi di questa terra e del suo vino, il ”Falernum”. E non è un caso che ancora oggi in questi campi, durante le attività di spietramento o di sovescio, capiti spesso di riportare alla luce piccoli frammenti delle antiche anfore usate per conservare quel vino così pregiato, apprezzato da patrizi e imperatori. Vino che oggi è ben interpretato in chiave moderna dalla Cantina Gennaro Papa. Questa è una piccola azienda a conduzione familiare che affonda le proprie radici nella viticoltura del Falerno già dai primi decenni del 1900. Tuttavia, la produzione di questo vino è rimasta per diversi decenni legata esclusivamente al consumo privato o poco più, anche se, già allora, veniva molto apprezzata dagli daglijlkjll

esperti del settore dell’epoca. Soltanto negli anni 90 arriverà l’effettiva svolta qualitativa con la nascita dell’Azienda vinicola vera e propria, trainata dalla spinta di papà Gennaro, con l’obiettivo di riportare il vino Falerno ai fasti del passato. Un progetto che prende forma di anno in anno, attraverso l’ammodernamento delle tradizionali tecniche di produzione e la continua ricerca della qualità, sia in vigna che in cantina. Oggi l’azienda è gestita principalmente dal figlio Antonio, laureato in Lettere classiche, che ha rinunciato <<senza rimpianti>> ad un posto fisso nell’insegnamento per continuare a portare avanti la visione di suo padre. Per noi non poteva esserci miglior “Cicerone” di lui per scoprire dall’interno questa antica e moderna realtà vitivinicola. Visitiamo così i locali di vinificazione, per poi ci addentrarci all’interno dell’antica e angusta cantina

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na scavata a mano nel tufo sotto la dimora di famiglia e oggi utilizzata per conservare vecchie bottiglie di annate particolari. Antonio ci racconta con orgoglio del suo lavoro che si divide tra vigna e cantina, un mestiere che porta avanti con tanti sacrifici ma nel rispetto delle tradizioni della sua famiglia e della sua terra. I suoi vini sono creati per essere rappresentativi di quel territorio e per piacere prima di tutto a lui stesso, senza dover per forza rincorrere i gusti del mercato. <<Amo i vini robusti e secchi, - ci spiega -

i vini dotati di una grande struttura sostenuta da un’alcoolicità elevata che deve contribuire a preservare l’integrità dei profumi, senza mai sovrastarli. Per lo stesso motivo facciamo un uso ponderato dei legni, senza uniformarci troppo a procedure e a tempistiche prestabilite. Ogni volta il nostro obiettivo è sempre quello di ricercare la perfezione, ma ciascuna vendemmia è differente e non sempre la perfezione può essere raggiunta, specie con il primitivo. Ecco perché in certe annate abbiamo deciso di non mettere in commercio il nostro top di gamma, una riserva ottenuta dal nostro vigneto più antico >>.

Il vino di cui ci parla Antonio è il “Campantuono”, riserva di primitivo in purezza prodotto in appena 3500 bottiglie. E’ un prodotto davvero particolare, forse unico, perché ottenuto esclusivamente dai frutti di piante centenarie, forse le più antiche piante di Primitivo presenti in Campania. 38

Mettiamo gli scarponi e accompagnati da Antonio andiamo a visitare quel vigneto così intriso di storia. Proprio davanti l’ingresso troviamo una fila di ulivi monumentali, guardiani secolari di quel prezioso fazzoletto di terra. Subito oltre gli ulivi si scorgono i filari di primitivo più antichi: sono facilmente riconoscibili, anche perché la recente potatura ha messo in bell’evidenza le tortuose evoluzioni dei robusti tronchi, contorti dal vento e dal passare degli anni. Complessivamente si tratta di appena 0,8 ettari di vigneto dalla bassissima resa, nell’ordine dei 25-30 quintali di uve all’anno. Sono però frutti particolarmente ricchi, non solo per le particolari caratteristiche di queste antiche 15


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Un’antica “Signora”: pianta centenaria di Primitivo (subito dopo la potatura) nel vigneto in località“Campantuono”, ubicato a 220 metri s.l.m. sul versante sud-est del Monte Massico.


viti, ma anche perché la quotidiana brezza marina contribuisce ad “asciugare” gli acini, aumentandone rapidamente la concentrazione. Ecco perché i grappoli sono maturi e pronti per essere vendemmiati già agli inizi di settembre. Dalla raccolta in poi, sarà l’attento lavoro in cantina di Antonio e dell’enologo Maurilio Chioccia, a trasformare questi frutti in un vino di grande impatto. Tornati in azienda finalmente arriva l’atteso momento dell’assaggio. Degustiamo così l’intera gamma (attualmente costituita soltanto da rossi), per poi concentrarci sul Campantuono , il prodotto di punta. Il colore di questo vino è un rosso rubino molto intenso, il naso è complesso con un ampio bouquet di profumi che spazia dai frutti rossi maturi alle spezie, con note di tostatura presenti ma mai predominanti grazie ad un sapiente “dosaggio” delle barrique di rovere di Allier. In bocca, bastano tre parole per descrivere l’esperienza: potente, armonico e moderno.

Potente perché al palato questo nettare è caldo, strutturato, piacevolmente denso (quasi masticabile) e con un gran corpo sorretto da un’alcolicità elevata ma poco percettibile (difficilmente avremmo potuto rilevare i 16° gradi alcoolici senza aiutarci leggendo il retro-etichetta). Armonico, perché amalgama con eleganza gli aromi propri del vitigno con le caratteristiche di sapidità e mineralità proprie di questo territorio. E infine è moderno, poiché interpreta in chiave attuale un vino antichissimo, sfoggiando nel bicchiere secoli di storia con grande disinvoltura . ■

Piante centenarie nei vigneti e negli uliveti in vari appezzamenti di proprietà dell’Azienda di Antonio e Gennaro Papa.

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IL VINO CAMPANTUONO Falerno del Massico D.O.C.

SCHEDA TECNICA - Uve: Primitivo 100% - Zona di produzione: Falciano del Massico (CE) - Tipo di terreno: Limo-sabbioso, in parte pietroso - Sistema di allevamento: a guyot - Età media del vigneto: 90-95 anni - Densità dell’impianto: 6000 ceppi/ha - Vendemmia: prima parte di settembre - Produzione per ha: 25-30 q.li - Vinificazione: Fermentazione 18-20 giorni - Maturazione: 36 mesi (acciao, legno, bottiglia) - Colore: rosso rubino intenso - Temperatura di servizio: 18-20°C - Abbinamenti: carne rossa, brasati, arrosti e formaggi ben stagionati.

INFO DI CONTATTO:

CANTINA GENNARO PAPA Piazza Limata, 2 Falciano del Massico (CE) Email: info@gennaropapa.it Telefono: +39 0823 931267

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VINUM FALERNUM, PRIMA VERA DOC DELLA STORIA La nascita del “Falerno” può essere collocata nel III secolo a. C., momento da cui in poi questo vino venne “esportato” rapidamente in tutto l’Impero Romano. La cosa però più sorprendente è che già allora le anfore nelle quali veniva conservato erano munite di targhette (pitaccium) in cui veniva riportata la provenienza, il nome del produttore e l’anno di produzione. Ecco il motivo per cui, sebbene la DOC “Falerno del Massico” sia stata istituita ufficialmente soltanto nel 1989, questo vino viene riconosciuto come il primo “Doc” della storia. Ma non solo. Gli antichi Romani distinguevano addirittura tre sottozone di produzione: la zona di pianura, nella quale il vino veniva genericamente chiamato “Falernum”, la zona di alta collina, in cui si produceva il “Caucinum" e infine zona di media collina, quella più vocata alla viticoltura, da cui proveniva il “Faustianum”, la varietà più pregiata. Queste tipologie rappresentavano il risultato delle diversità pedologiche e microclimatiche che da sempre insistono nei tre areali di provenienza. E, soprattutto all’epoca, in assenza delle moderne lavorazioni in cantina, queste differenze andavano a caratterizzare il prodotto finale in modo molto più marcato e quindi facilmente catalogabile. Di fatto è proprio in queste terre che per la prima volta nella storia venne messo in pratica quel concetto di “cru”, che i francesi fecero proprio solo diversi secoli dopo. 38

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Nel Toccolano alla scoperta di una delle più interessanti realtà vinicole e olivicole delle colline pescaresi...

Guardiani farchione

UNA CANTINA VERA ualche mese fa abbiamo visitato una bella cantina abruzzese. Qual’é la novità? La novità è che questa è una cantina vera. Sottoterra, scavata nel tufo. Sopra la cantina c’è un palazzetto storico costruito nella seconda metà dell’800 nel Corso principale di Tocco da Casauria, un piccolo borgo delle colline pescaresi, a metà tra il mare e la montagna. In questo antico palazzetto vivono e lavorano Paolo Guardiani e Stefania Ricci, marito e moglie che, portando avanti l’azienda di famiglia, tengono anche vivi di 150 anni di storia e nobiltà contadina. Il passaggio tra la casa e la cantina avviene attraverso un’antica scala in 20

pietra. Scendendo i ripidi gradini, avvertiamo una distinzione netta tra il sopra e il sotto: cambia repentinamente la temperatura, la luce, l’ambiente, gli odori, in modo netto, senza sfumature e le atmosfere dei 150 anni di vita di una famiglia vengono sostituiti dai profumi di 150 vendemmie. Tutto ciò inizialmente ci fa quasi pensare che questo luogo sia la sede dei dualismi più netti. E in effetti da una parte vediamo Paolo, uomo cordiale, orgoglioso dei i suoi prodotti e sempre concentrato e assorbito dai suoi pensieri sul come meglio fare il vino e l’olio, mentre dall’altra parte troviamo Stefania, che invece ci parla di fatture, etichette e comunica-


zione con una gentilezza unica e vera, con un sorriso sempre aperto e luminoso dietro al quale si appassiona al suo lavoro. Ma poi, assaggiando i loro prodotti, capiamo che la particolarità di questa azienda risiede proprio nella capacità di trasferire in essi quella sintesi tra la cantina in tufo e il palazzetto storico, tra la serietà nel lavoro e il gioco, tra la meditazione ed il sorriso, tra la franchezza e la cordialità. Apparenti dualismi che si riallineano in vini dalla spiccata genuinità, costruiti con sapienza e lentezza e che meritano un posto nella cantina delle persone oneste e leali. Abbiamo apprezzato tantissimo il Montepulciano d’Abruzzo DOC “Tenuta del Ceppete”, ottenuto da uve Montepulciano vinificate in purezza e invecchiate in botti di rovere di Slavonia: un vino schietto e spontaneo, una forza gentile. Ma senza dubbio il vero asso della

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nella manica di questa azienda è il Pecorino d’Abruzzo DOC vinificato in vasche di cemento vetrificato: è un vino dal colore giallo paglierino brillante e dal bouquet particolarmente complesso, con sentori fruttati molto intensi (mela verde e pesca gialla), erbacei (fieno e salvia) e balsamici (alloro e eucalipto). Un Pecorino autentico al 100%, che, con la propria sincerità libera finalmente questo vino da 20 anni di marketing. Un vino che, forse, condensa in una bottiglia la vera essenza di questa piccola grande cantina abruzzese. ■

INFO DI CONTATTO: Az. Agr. GUARDIANI FARCHIONE Via XX Settembre, 30 65028 - Tocco Da Casauria (PE) www.guardianifarchione.com

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> INTERVISTA DI FEDERICO DINI


Andrea Cervone, 41 anni. Il “Cortador italiano” vive tra Gaeta e Roma, ma la sua casa è girare il mondo.

ndrea Cervone l’abbiamo conosciuto circa 10 anni fa’ a Napoli, nelle storiche mura di Castel Dell’Ovo, tra curiosi e appassionati visitatori di una delle primissime edizioni della rassegna enogastronomica “Vitigno Italia”. Di lui ci colpirono soprattutto due cose: la qualità dei prodotti che ci propose in assaggio e la grande professionalità con cui lo fece. Fu così che, senza pensarci due volte, lo invitammo a partecipare alla prima edizione di Wine Day, nel 2009. Una collaborazione che da allora si è ripetuta per tante altre volte con grande successo. La professionalità di Andrea si è evoluta e raffinata nel tempo, ma ha mantenuto sempre alla base del suo lavoro quel grande rispetto per gli animali, la natura e la storia del prodotto, che sono per lui una vera e propria missione culturale. Sembra incredibile che in Italia, Paese di ottimi prosciutti e grandi prosciuttifici, non esista ancora tale figura. Anzi no, il primo è Andrea Cervone. ■ Andrea, possiamo dire che oggi tu rappresenti il primo e unico testimonial di un mestiere che in Spagna è una vera e propria arte. Parliamo delAndrea, possiamo dire che oggi rappresenti il primo e unico testimo-

dell’arte del taglio del jamón, che tu hai appreso attraverso i tuoi viaggi nella Penisola Iberica. Ti conosciamo ormai da qualche anno e sappiamo bene che, per te, tutto ciò rappresenti più che una semplice professione. Tu la definisci: “Una esperienza tradizionale”. Puoi dirci meglio cosa intendi con questa breve frase? << Sono tre parole dai significati ben distinti e definiti, ma comunque strettamente legati tra essi. Provo a spiegarmi. “Una”, in quanto unica è la passione per il cibo, che nasce in me sin da piccolo, un po’ come per tanti chef, guardando la nonna e la madre cucinare. Quella grande passione nel 2006 mi ha portato ad importare solo prodotti gourmet, per distinguermi nel mercato nazionale tradizionale. “Esperienza” per me è sinonimo di tempo, sacrificio e dedizione al lavoro, necessari per acquisire la giusta conoscenza e padronanza della professione che amo e che forse in Italia non è mai esistita. Con la mia esperienza mi sono reso conto di quanto bello, vasto, interessante ed emozionante fosse il mondo del food. Con “Tradizionale” invece intendo la mia storia, che nasce dal passato, da Boston negli Stati Uniti, dove il mio bisnonno aveva una drogheria, salumeria e prodotti alimentari. Un passato legato ad un mestiere jjjjjjjj 23


Scelsi la Spagna per motivi personali e mi indirizzai subito sui più buoni ed importanti prodotti del Paese…

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antico, tramandato per tradizione, che cerco di salvaguardare, ma anche di riscoprire rendendolo attuale, moderno >>.

autoctona da cui proviene il Jamón, il famoso e squisito prosciutto, conosciuto come “Pata Negra” >>.

■ La tua passione ha quindi origini davvero lontane, non solo dall’Italia, ma anche dalla stessa Spagna. Cosa ti ha portato a scegliere la Penisola Iberica ed i suoi prodotti di eccellenza per farne la tua professione? << Volevo fare la differenza in quello che più amavo fare e ciò poteva avvenire solo attraverso una conoscenza ed uno studio approfondito di ogni singolo prodotto che avrei commercializzato. Del resto non sono partito da una scuola di cucina o da particolari studi di settore. A farmi progredire in questo ambiente è stata semplicemente la passione per la cucina ed il buon cibo. Scelsi la Spagna per motivi personali e mi indirizzai subito sui più buoni ed importanti prodotti del paese: dal tonno rosso selvaggio alle acciughe del Cantabrico, dal manzo della razza Rubia Gallega alla Cecina de Leon, dal queso Manchego al miglior formaggio di pecora, dall’ottimo foie gras all’olio extravergine di oliva, sino ai cosiddetti prodotti di “quinta gamma”, i vini e così via. Selezionavo “eccellenze”, prodotti vincitori di importanti premi internazionali, tra i più buoni al mondo, i migliori! Inevitabilmente finii per avvicinarmi al Cerdo Iberico, il particolare suino di razza jjjjjjj

■ Come è stato l’impatto commerciale nell’importare jamónes in Italia, terra tradizionalmente ricca di grandi eccellenze gastronomiche, prosciutti compresi? << All’inizio non è stato facile, perché di fatto quella italiana era una realtà molto diversa da quella spagnola. Mi domandai: cosa posso fare per attrarre l’attenzione verso questo prodotto e far scoprire questi sapori così particolari? Capii che un prosciutto perfettamente tagliato e ben presentato avrebbe sicuramente attratto l’occhio del consumatore e poi lo avrebbe fatto innamorare del suo gusto unico... Per far questo dovevo necessariamente apprendere l’arte del taglio del Jamón. Così mi specializzai e cominciai a riproporre quest’arte in Italia. Sempre più spesso venivo chiamato per la realizzazione di corsi e di eventi gourmet incentrati sull’arte del taglio del Jamón Iberico. Partecipavo ad importanti eventi istituzionali in cui ci fosse bisogno di grande immagine e professionalità. Eventi in cui i tanti ospiti restavano sempre favorevolmente sorpresi, confermandomi che non avevano mai conosciuto una figura come la mia e che non avevano né mai mangiato, né mai visto prima, un prosciutto così ben tagliato e presentato. Fui considerato così, il maggior esperto in Italia nella presentazione e taglio del Jamón e del prosciutto con osso, praticamente il “primo Maestro di Taglio italiano” >>

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prosciutto così ben tagliato e presentato. Venni considerato così, il maggior esperto in Italia nella presentazione e taglio del Jamón e del prosciutto con osso, praticamente il “primo Maestro di Taglio italiano” >>. ■ A molti, tagliare un prosciutto può sembrare una operazione semplice e forse di poca importanza. Per un “Cortador” invece tagliare un jamón al coltello equivale a suonare un violino. Puoi descriverci più dettagliatamente in cosa consiste questo tuo affascinante lavoro? << Avete visto come vengono tagliati i prosciutti a coltello? Bene, il Maestro di taglio è visto da me come figura nata per valorizzare al massimo il prosciutto, per una questione di rispetto verso una parte nobile dell’animale. Nel caso del jamón iberico parliamo di un’eccellenza ottenuta da un lungo ed attento lavoro, che in Spagna si tramanda da generazioni. Motivo per il quale“cortar un jamón” non è assolutamente un’operazione da improvvisare, ma occorre apprendere la tecnica corretta, fondamentale per non rovinare il prodotto. Si utilizza infatti nnnn

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Non amo definirmi Maestro. Di certo mi lusinga, ma non mi appartiene…

un coltello molto flessibile di 30 cm in una mano e con l’ausilio della pinza nell’altra, si tagliano fettine sottilissime, senza mai disossare il jamón. Questa scuola consente infatti di ottenerne il massimo rendimento e di valorizzare il prosciutto attraverso la miglior presentazione al consumatore. Quest’arte l’ho appresa in Spagna, ma non amo definirmi Maestro. Di certo mi lusinga, ma non mi appartiene. Preferisco definirmi un buon professionista, che ha sempre qualcosa da imparare. Quelli con la M maiuscola sono i Campioni vincitori di un concorso nazionale ed io ho avuto la fortuna di imparare e collaborare con alcuni di loro >>. ■ E’ vero che nelle aziende spagnole il “Maestro Cortador” non si limita al solo taglio del jamón? << Esattamente. Il Maestro ne segue attentamente tutto il processo di maturazione e stagionatura e non solo. A questo professionista 26

nista viene anche dato l’importante ruolo di uomo immagine dell’Azienda stessa che lo porta ad essere il “Brand Ambassador” nel mondo. Non a caso ho parlato di mondo, perché il jamón è riconosciuto come il prosciutto più buono, il più costoso e il più ricercato ovunque nel mondo >>. ■ In tutti questi anni avrai sicuramente tagliato tantissimi “pata negra”. Tra le varie tipologie quali sono le migliori che possiamo trovare sul mercato? << E’ ovvio che ne esistono di diverse marche, tipologie e costi. Sicuramente i migliori sono certificati “bellota” a ghianda, ma ci sono anche l’Iberico classico, dal gusto dolce e l’Iberico 100% o “Puro de Bellota”, la cui differenza è data esclusivamente dalla razza dell’animale. Certo è che per esistere il Jamón Iberico ed Iberico “de bellota”, deve essere preservata la razza pura, nera, da cui tutto ha origine, 51


quella da destinare sempre alle ghiande, alimento che ne caratterizzerà sapore ed aroma della carne in modo inconfondibile. Per questo tipo di allevamento il suino viene lasciato vivere libero in vastissimi boschi di querce. Soltanto gli animali che avranno raggiunto un determinato peso per essersi cibati di ghiande cadute durante il periodo della “montanera”, che va da novembre a febbraio, saranno certificati a “bellota”. Dopodiché i jamones che si otterranno, stagioneranno per un lungo periodo di almeno trenta mesi >>. ■ Come ben saprai questa è una rivista che ama raccontare soprattutto il mondo dei vini. Quasi obbligatoria a questo punto è un’ultima domanda sugli abbinamenti. Puoi consigliarci un vino che si sposi perfettamente al jamón de bellota? << Bene, qui voglio sfatare il mito del vino rosso accostato ad un prodotto di carne, sicuramente di più facile abbinamento. Io, per esempio, amo quei vini invecchiati in botti di rovere, ma si può trovare un perfetto equilibrio anche con delle buone bollicine italiane, uno champagne o un buon bianco fermo. In generale per il jamon iberico “classico” tagliato sottilissimo non c’è bisogno di un grande vino perché è molto delicato al palato. Quindi, possono andar bene le normali abitudini del bere di ognuno di noi. Se però abbiamo nel piatto un Iberico de Bellota o addirittura un Puro (100%), allora l’acidità della ghianda (ci sono 3/4 tipologie), la razza dell’animale, gli aromi e gli intensi profumi incideranno notevolmente nel determinare il giusto vino, che dovrà essere ben strutturato e in grado di sgrassare il palato (sapete ben cosa intendo). Per decidere quindi il giusto abbinamento bisognerebbe capire prima il prodotto che si ha davanti perché, da un Jamón de Bellota, si possono percepire sino a sette sapori differenti. A questo punto non ci resta che organizzare una bella serata di degustazione con qualche jamón e del buon vino...ma a quest’ultimo ci penserete voi...>>

“Pata Negra”, il Re dei suini... Il "Cerdo Ibérico" è una razza di suino molto antica, antenato di tutti i suini domestici del bacino del Mediterraneo. Da esso oggi ne sono derivate una decina di razze differenti che sono accomunate dalla taglia media e dalla notevole muscolatura, nonché dagli arti sottili con unghie e cotenna di colore scuro, (da cui appunto deriva il termine “pata negra”, ovvero “zampa nera”). Di questi suini solo una parte viene lasciata ad ingrassare allo stato brado nei grandi querceti di Salamanca, dell’Andalusia e dell’Extremadura, in cui è garantita un'abbondante fornitura naturale di ghiande. Il suino, in questo ambiente, può mangiare più di 10 kg di ghiande al giorno, arrivando a pesare anche 180 kg. Solo i salumi ricavati da questi animali potranno fregiarsi della denominazione "de bellota". Questa carne è così pregiata poiché accumula molto più grasso intramuscolare, che la rende molto più morbida, gustosa e succulenta. Inoltre l’alimentazione a ghiande rende il grasso particolarmente ricco di acido oleico (tipico anche dell'olio extravergine d’oliva), che dona scioglievolezza al palato e un sapore aromatico. Andrea Cervone consiglia di conservare il jamón con osso a temperatura ambiente, senza mai riporlo in frigorifero né tantameno esporlo a temperature estreme. La perfetta temperatura di degustazione è di 22° C. Una volta iniziato è bene utilizzare i ritagli di lardo per coprire la superficie di taglio evitando così che la carne si secchi e perda aroma e sapore.

Questo è Andrea Cervone, un Professionista vero, sempre pronto a presentare un prosciutto, ovunque ce ne sia uno da tagliare. Lo trovate su: www.andreacervone.com e LinkedIn. Info al: (+39) 328 0503545 51

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> INTERVISTA DI ANDREA VELLONE


lasse 54, laureato in Filosofia Teoretica, è stato tra i fondatori del Gambero Rosso e il curatore della Guida “Vini d’Italia” per quasi 25 anni. E’ stato anche Direttore del canale "Gambero Rosso Channel" su RaiSat. Nel 2011 ha fondato il sito internet “doctorwine.it”, per poi pubblicare nel 2014 la prima “Guida essenziale ai vini d’Italia”, giunta nel 2016 alla terza edizione in lingua italiana e alla seconda in lingua inglese. Ha anche scritto il libro "Memorie di un assaggiatore di vini" edito da Einaudi, ha collaborato con riviste come "Sette" del Corriere della Sera e, come se non bastasse, è stato anche candidato alla Camera dei Deputati nel 2013…

quaranta. Nel mondo del vino è cambiato molto. Basti pensare che produzione e consumi si sono dimezzati, ma la percentuale dei vini a Doc o a Docg è passata da meno del 10% all’attuale 38%. Il che significa che ha sostituito gran parte del vino sfuso e comune dell’epoca, facendo innalzare la qualità media in modo impressionante. Sono semplici dati che dimostrano come la cultura del vino di qualità sia enormemente aumentata. >>

■ Insomma Daniele, non ti sei fatto mancare davvero nulla. Hai iniziato la tua attività divulgativa più di 30 anni fa, quando ancora pochissimi erano i tecnici e il vino era una bevanda di cui semplicemente si fruiva a tavola a pranzo e cena. Oggi, la platea di professionisti e di appassionati è notevolmente aumentata, ma, al di là dei numeri, cosa è cambiato in questi ultimi anni nel mondo del vino e in tutto ciò che gli gira intorno?

<< Veronelli non si laureò, ma ci arrivò vicino. Fece anche l’assistente volontario, che ai suoi tempi, nel dopoguerra, si poteva fare anche da “laureandi”. Si occupò della Fenomenologia di Husserl, ma non discusse mai la tesi. L’imprinting filosofico però ce l’aveva eccome, con una capacità di analisi e di comprensione “storica” che lo portò a individuare tematiche che sarebbero attuali anche oggi. Io ho attinto molto da lui, che è stato un vero maestro e una persona di rara intelligenza. Conoscere, capire, analizzare, interpretare, queste sono le doti che la filosofia accresce. Sono utili in qualunque disciplina si affronti, anche nella critica enologica. >>

<< A dire il vero ho cominciato nel 1979, collaborando con Veronelli e con l’Ais dell’epoca, quindi gli anni sono ormai quasi quaran

■ Nel tuo lungo curriculum spicca anche una Laurea in filosofia teoretica e forse non è un caso che anche lo stesso Luigi Veronelli studiò questa materia. Quanto aiuta questa scienza nella critica enologica?

Ho attinto molto da Veronelli, che è stato un vero maestro e una persona di rara intelligenza…

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Nasco Professore e ho adattato quella che era la mia originaria professione alle tematiche legate al mondo del vino...

■ Nel corso degli anni sei riuscito a coniugare vino e comunicazione praticamente su tutti i canali oggi disponibili. Da quale di questi hai avuto le maggiori soddisfazioni? << Forse dall’insegnamento. Io nasco Professore e ho adattato quella che era la mia originaria professione alle tematiche legate al mondo del vino. Ci riesco bene, dicono, e il rapporto con il pubblico è l’aspetto più gratificante in assoluto. Ho svolto attività di docente ai corsi dell’Ais e ora dell’Onav, associazioni benemerite che divulgano in modo molto efficace. >> ■ Sei stato l’inventore degli ormai celebri “Tre bicchieri”, un sistema di valutazione che esprime se vale la pena o meno di arrivare a vedere il fondo di una bottiglia. Ora, nella tua ultima guida non posso non notare l’articolato sistema di valutazione che tiene in considerazione, oltre al vino dentro la bottiglia, anche il contesto in cui l’azienda lo produce e il rapporto tra qualità e prezzo. Ci puoi spiegare il perché di queste scelte e le differenze con le monumentali guide enciclopediche in commercio? 30

<< “I Tre Bicchieri” nacquero nel 1987. Fu una mia idea e fu possibile applicare quel sistema perché allora vini e aziende erano ancora poche e anche un sistema così semplice, quasi elementare, era sufficiente. Ora la realtà è più complessa e i distinguo, a mio avviso, devono essere più sfaccettati. I punteggi dei vini in centesimi rendono più chiare le differenze e consentono di fare quello. >> ■ Mi ha molto colpito il tuo articolo “Piccoli vini crescono”, nel quale riconosci alle piccole cantine il merito di far scoprire territori e storie particolari, di essere in qualche modo dei “guardiani della terra”, che ridanno un senso all’agricoltura e che frenano lo spopolamento e l’incuria di interi territori italiani di pregio. Noi de “i Piaceri della vite” guardiamo spesso proprio a loro. Dopo l’uscita del primo numero abbiamo ricevuto molte mail da piccolissime aziende che ci chiedono di far conoscere la loro storia e notiamo in generale un grande fermento intorno agli autoctoni e a questo tipo di sperimentazioni. Non credi che il valore etico, storico e culturale di una piccola azienda dovrebbe avere un peso maggiore 51


so maggiore nelle valutazioni dei vini? << Devono avere valore nello “story telling”, nel racconto del vino, non nell’esame organolettico, altrimenti basterebbe essere piccolo per essere bravo e buono, e questa è una mistificazione e crea confusione. Si scrive per il pubblico, abbiamo tutti il dovere di rendere comprensibile prima di tutto una valutazione tecnica, poi si possono raccontare storie di territori e di personaggi. Ma il “buono”, come dice anche Carlo Petrini viene sempre prima del “pulito” e del “giusto”. >> ■ Restando in tema di piccoli Produttori, noto che nei tuoi articoli li esorti spesso a non farsi travolgere dalle "globalizzazioni"… Molti di loro però ci raccontano le varie difficoltà che si trovano ad affrontare proprio per il loro essere "piccoli": ci parlano di poca o pochissima visibilità e delle difficoltà nella distribuzione del prodotto, non solo all'estero ma anche nello stesso territorio nazionale, ma soprattutto di un costo produttivo molto alto in relazione al numero di bottiglie prodotte, che finisce per assottigliare il margine. Soffrono, insomma, di uno svantaggio enorme rispetto ad altre aziende a parità di qualità. Secondo te, nel concreto, cosa dovrebbero fare queste piccole cantine per non correre il rischio di scomparire o di essere assorbite da realtà commercialmente più rilevanti? << Dovrebbero mettersi insieme e fare “branding territoriale”, come è avvenuto a Montalcino, in Franciacorta e, guarda caso, per i piccoli produttori di Champagne. Devono sviluppare la vendita diretta, aderire a “Cantine aperte”, realizzare piccoli consorzi per l’esportazione, partecipare in gruppo alle maggiori fiere internazionali, iscriversi alla Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), realizzare siti ben fatti, magari con vendita “on line”. Di cose da fare ce ne sono davvero tante. >>

■ Leggendo alcuni tuoi editoriali del Lunedì ho notato in generale una certa antipatia per la parola “eccellenze”, potresti spiegarcela? << E’ un termine retorico, molto usato dai politici, che copre una sostanziale ignoranza della materia e un vuoto pneumatico di argomenti. Fa il paio con “sinergie” e con “gente”. “Eccellenze” sono gli ambasciatori e i cadaveri del film di Francesco Rosi. >> ■ Come ben sai, è da poco operativo il nuovo Regolamento del vino. Forse è ancora presto per dare dei giudizi, ma nel frattempo, basandoti sulla tua lunga esperienza nel campo, puoi esporci almeno la tua opinione al riguardo? << E’ il solito pasticcio politico fatto di compromessi e di burocrazie. Il comparto dell’agricoltura in Italia è quasi sempre stato considerato come un trampolino per personaggi politici che poi volevano fare altro. Un semplice scalino nella loro carriera. Pensate agli ultimi ministri e a cosa fanno ora. Zaia è governatore del Veneto, Alemanno ha fatto, malissimo, il sindaco di Roma e ora non parla più di agricoltura, devo continuare? >>

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Tutto sono, tranne che una Wine Star...

Zaia è governatore del Veneto, Alemanno ha fatto, malissimo, il sindaco di Roma e ora non parla più di agricoltura, devo continuare? >>

“talk show”, dicendo spesso banalità. C’è un bel proverbio milanese che dice “offelé fa il tò mesté”. Mi pare opportuno citarlo in questi casi. >>

■ Lo scorso anno a Vinitaly ho visitato il tuo stand e ho notato questa simpatica scenetta: due ragazze ti si sono avvicinate, poi ti hanno chiesto un autografo e pure un selfie… Sei molto lontano dall’apparire un "Mick Jagger" eppure hai comunque le tue “groupies”. Questo per dire che nel mondo del vino, così come nel mondo dei fornelli, si sta creando un vero e proprio star system, nel quale ormai si vede praticamente di tutto: sommelier campioni del mondo, degustatori compulsivi, file chilometriche all’ingresso delle degustazioni e Produttori corteggiati più di Belen Rodriguez. Tu che sei la nostra "winestar" preferita, cosa ne pensi di questa particolare evoluzione?

■ Un’ultima cosa. Per me il calice di vino, quando torno a casa dal lavoro, sia d’estate in balcone o d’inverno vicino al caminetto, rappresenta quasi un passaggio obbligato, quale cesura tra il mio pubblico e il mio privato. Ma per me è facile, io sono un appassionato, non un critico. Qual’è invece il rapporto di Daniele con il vino quando sveste i panni del “DoctorWine”?

<< Tutto sono, tranne che una “winestar”. Poi ora sto dimagrendo molto dopo un’operazione di resezione gastrica (avevo raggiunto quota 136 e non riuscivo neanche ad allacciarmi le scarpe). Credo che la sovraesposizione mediatica sia sempre un problema, più che una moda. Poi detesto francamente i “fenomeni” del mondo enogastronomico, a partire da quei brutti esempi di “guittagine” dei cuochi di Masterchef, che talvolta vanno a fare gli opinionisti nei gggg 32

<< Dico sempre che chi fa il critico e analizza il vino, così come l’arte o il cinema, rischia la “sindrome del ginecologo o dell’androloga” che si rapporta al sesso come fa un medico e non come farebbe un amante. Io cerco di fare entrambe le cose. Ho iniziato come un comune appassionato e non me lo dimentico. Stefano Bonilli, fondatore di quel che fu il Gambero Rosso nel suo periodo più fulgido, che ci ha purtroppo lasciato un paio di anni fa e con il quale ho lavorato per oltre vent’anni, si sorprendeva sempre del fatto che “emanavo” passione per il vino in modo quasi ingenuo, senza il cinismo giornalistico così comune nel mondo della stampa. Senza distacco, insomma. In privato frequento il mio wine bar preferito, il “Goccetto” di via dei Banchi Vecchi, nel cuore di Roma. Lo faccio dal 1984. Bevo con gli amici e non parlo quasi mai di vino.>>


IX edizione / 7- 8 maggio 2017 / Villa Ecetra / Patrica (Fr)

www.wineday.it


o c i t n e t u a o n o autoct Scopriamo questo raro e antico vitigno arcese che ancora oggi riesce a regalare vini eleganti e sinceri, espressione della tipicitĂ di un intero territorio di Sandro Notargiacomo

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entre Thomas Edison inaugurava la prima centrale elettrica a New York, Sua Maesta’ il Lecinaro faceva la sua apparizione in Ciociaria. Era il 1882. E da allora questo raro e prezioso autoctono a bacca rossa continua ad essere coltivato esclusivamente nelle campagne di Atina, Arce, Picinisco e Settefrati, piccoli comuni della provincia di Frosinone, una terra di vitigni antichi dalle potenzialità forse ancora espresse solo in parte.


Al lecinaro, conosciuto anche come “Lecinara”, si identificano localmente anche altre sinonimie, come ad esempio “Zinna di Vacca” a Settefrati, “Lecina” a Sora e “Cicirana” a Cassino. Dal punto di vista ampelografico vi si associano le caratteristiche dell’Agrestone, meno che per la foglia, la quale è invece pelosa nella pagina inferiore. Il grappolo è disordinato con acini mediograndi dalla buccia coriacea, che custodiscono una polpa carnosa e semicroccante. E’ un vitigno capace di regalare vini emozionanti, potenti ed eleganti, accompagnati da un colore rosso rubino sempre accattivante. Ed è grazie alla tenacia e all’intuizione quasi pioneristica di alcune realtà del territorio se oggi è possibile godere di un prodotto d’eccellenza che riflette perfettamente il clima e le terre d’origine. Tra queste, c’è senza dubbio l’Azienda Palazzo Tronconi di Arce (FR), la bella realtà di Marco Marrocco, enologo e viticoltore che, proprio per assecondare

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la terra e permetterle di restituirci vini autoctoni quanto più possibile caratterizzanti il territorio di appartenenza, ha anche sposato con convinzione e consapevolezza il metodo biodinamico. E una delle espressioni più riuscite di questo vitigno la si può apprezzare degustando un calice di “Zitore”, il lecinaro vinificato in purezza con lieviti indigeni che Marco ha dedicato a suo nonno Salvatore, la persona che prima di lui accudiva quegli stessi vigneti e che gli ha trasmesso l’amore e il rispetto per la terra. Zitore è un prodotto davvero unico nel suo genere, un vino vero e ancora autentico, espressione della tipicità del territorio arcese, senza sofisticazioni, senza compromessi. Caratterizzato dal suo colore ciliegia e da intense note di prugne secche, visciole, spezie e cioccolato, ed elegante al palato, con una notevole persistenza gusto-olfattiva. ■

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LECINARO

SCHEDA AMPELOGRAFICA Descrizione Morfologica - Pianta: apice del germoglio aperto, ricurvo scarsamente lanuginoso, biancastro con orli leggermente carminati. Portamento del germoglio eretto. - Foglia: medio grande, pentagonale, pentalobata con profilo revoluto; seno peziolare aperto a V; seni laterali superiori chiusi a U; pagina superiore bollosa. - Acino: medio-grande, rotondo, con buccia mediamente consistente molto pruinosa di colore blu scuro; polpa mediamente consistente di sapore neutro; peso medio dell'acino g 3,40. - Grappolo: di grandezza medio grande, piramidale, mediamente compatto tendente allo spargolo; peso medio del grappolo g 280. Caratteristiche Agronomiche - Varietà: vitigno caratterizzato da notevole rusticità, in grado di adattarsi alle varie condizioni ambientali vegetando senza problemi sia su terreni mediamente compatti, sia calcarei con presenza di scheletro. Normalmente allevato a spalliera semplice in coltura promiscua, con potatura a cordone speronato di royat con 36

speroncini di due gemme. Concimazioni con letame; l'uso del concime minerale è molto limitato. - Produzione: mediamente produttivo. - N° medio di infiorescenze per germoglio: 1-2. - Resistenza alle malattie: normale per peronospora, oidio e botritis. - Epoca del germogliamento: media (1 decade di aprile) - Epoca di fioritura: precoce (3 decade di maggio) - Epoca di invaiatura: medio-tardiva (dal 10 al 20 agosto) - Maturità dell’acino: tardiva (dal 1 al 15 ottobre) Caratteri del succo - pH medio: 3,31 - Zuccheri: 21,06 - Acidità totale: 5,09 % Caratteristiche chimiche del vino - Grado alcolico: 12,01-13.34 vol % - pH: 3,30-3,55 - Acidità totale: 4,27-5,35 g/l - Acidità volatile: 0,18-0,60 g/l.


IL VINO:

ZITORE

PALAZZO TRONCONI

SCHEDA TECNICA Tipologia: Frusinate IGP – Rosso Vitigni: Lecinaro 100% Caratteristiche del vigneto: Viti di 4 anni di età coltivate con metodo biodinamico Allevamento: a spalliera con potatura a guyot Densità: 4000 ceppi/ettaro Resa per ettaro: 30 quintali/ha Gradazione alcolica: 13% vol. Vinificazione: fermentazione alcolica e malolattica spontanee con lieviti indigeni, nessuna stabilizzazione, chiarificazione o filtrazione Affinamento: per 8 mesi in barriques usate di rovere francese. Concentrazione massima solfiti: 45 mg/l Colore: ciliegia tenue Profumo: profumo intenso, con note fruttate di prugne secche e speziate di pepe, cioccolato e vaniglia Sapore: vino di corpo rotondo e di struttura elegante. Persistente. Abbinamenti: zuppa di baccalà, polenta verde, tagliatelle al ragù, selvaggina. 37


E L A S ’ K C I R T A P T N I SA d’Irlanda ’ o d s r o s e d r u n ve

ta per iniziare l’ormai tradizionale “settimana della birra artigianale”, l’annuale festa dedicata alla promozione della birra non filtrata e non pastorizzata di qualità. Un’iniziativa che prenderà vita dal 6 al 12 Marzo con una lunghissima serie di appuntamenti ed iniziative sparse in tutta Italia, a conferma di quanto, questa genuina e dissetante bevanda, abbia ormai preso piede anche nel “Bel Paese”. In effetti la birra artigianale sta vivendo in questi ultimi anni un momento di grande popolarità: tantissimi sono i curiosi che si avvicinano e si appassionano a questo affascinante mondo, non solo 38

Tradizioni brassicole celtiche e ciociare si fondono nella “Green Ale” del Birrificio Eureka di Castrocielo (FR).


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solo da semplici consumatori ma anche da produttori. Un tendenza che abbiamo potuto constatare chiaramente anche noi durante le recenti edizioni di “WineDay”, una rassegna sostanzialmente enologica nella quale tuttavia le birre artigianali si sono ritagliate un spazio sempre maggiore tra i banchi d’assaggio, suscitando curiosità e apprezzamento anche tra gli appassionati di vino. E’ il caso ad esempio dei prodotti confezionati dall’emergente Birrificio “Eureka” di Castrocielo (FR), attualmente una delle principali realtà brassicole della Ciociaria e non solo. L’azienda di Rocco Piccirilli è forse la dimostrazione più tangibile di quanto l’amore per il mondo della birra sia molto radicato anche in questo territorio, forse conosciuto più per il vino e per la buona cucina, che non per la produzione della birra. Eppure storicamente il più antico monastero noto per aver prodotto birra è proprio

buona cucina, che non per la produzione della birra. Eppure storicamente il più antico monastero noto per aver prodotto birra è proprio quello di Montecassino: è qui, infatti, tra il 629 e il 643 d.C., venne prodotta la prima birra, che oggi, non a caso, chiamiamo appunto “d’Abbazia”. Una precisazione dovuta, poiché è proprio da una serie di studi e ricerche sulle ricette e sulle tecniche di produzione della birra dei monaci benedettini di Montecassino che parte il percorso intrapreso da Rocco nel 2012 per realizzare il proprio sogno: tornare a produrre artigianalmente la birra nella Terra di San Benedetto. Questo obiettivo oggi è stato ormai pienamente raggiunto, grazie ad un’apprezzata produzione che spazia tra birre classiche e stagionali, coinvolgendo soprattutto le materie prime locali, come il farro della Val di Comino, il peperoncino di Roccasecca o le castagne di Terelle….

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materie prime locali, come il farro della Val di Comino, il peperoncino di Roccasecca o le castagne di Terelle…. Tuttavia il rispetto per le antiche tradizioni e i prodotti locali non hanno impedito a Rocco, sempre pronto a sperimentare, di allargare ulteriormente i propri orizzonti brassicoli: la sua ultima “cotta” infatti si ispira direttamente alla tradizionale festa in onore di San Patrizio, ricorrenza in origine celebrata soltanto in Irlanda, che poi nel tempo si è imposta in diversi paesi del mondo, tra cui anche l’Italia. Ecco quindi che abbiamo deciso di raggiungere Castrocielo per sorseggiare insieme a Rocco un paio di abbondanti pinte della sua verdissima “St. Patrick’s Ale”. Trattasi di una speciale birra ad

alta fermentazione, con 5,2 gradi alcolici, tecnicamente annoverabile tra le “Green Ale”: la caratteristica tonalità è stata ottenuta grazie all’aggiunta di clorofilla durante la lavorazione, un ingrediente completamente naturale che oltre alla particolare colorazione dona anche alla birra un sapore unico, corposo e dall’aroma inconfondibile. Un prodotto nel quale cultura celtica e tradizione brassicola locale si fondono perfettamente insieme, creando un risultato davvero originale e caratteristico, che stupisce non soltanto per l’insolita colorazione, ma anche per il gusto fresco e davvero gradevole. Senza dubbio la birra giusta per chi, il prossimo 17 marzo, vorrà brindare alla salute del leggendario Patrono della verde Irlanda. ■

La “Saint Pa-

La “Saint Patrick’s Ale” è la speciale birra alla clorofilla firmata da Rocco Piccirilli.

Info di contatto: BIRRIFICIO EUREKA

Via Casilina Sud 135, 03030 - Castrocielo (FR) Tel: 349 4796571 birraeureka@gmail.com

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mentazione,

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frant oio o n r e d o m l e n o s i f o nd on a r u lt u c e a r u lt Co a n te d i un ls u p e r o u c i, c ir li Ern d i Olivicola de g s e m p re . a d o v li ’o ll a o t lega inte ro t erritor io

i troviamo in Ciociaria in una valle dominata dal borgo medioevale di Vico nel Lazio, a circa 60 km a sud di Roma. In questa piccola valle circondata da uliveti centenari sorge il Frantoio Culturale, una costruzione avveniristica ispirata però dai valori contadini di sobrietà e funzionalità. “Questo - come ci conferma l’Architetto Aldo Mastracci, uno dei principali promotori del progetto, - è prima di tutto un luogo che

unisce il lavoro e la produzione, fatta con i macchinari più moderni, alla divulgazione e conservazione della cultura contadina, che in questi luoghi è legata a doppio filo con l’olivo”.

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Il frantoio “culturale” dell’Olivicola degli Ernici a Vico nel Lazio (FR)


Qui gli ampi locali diventano spazi utili per corsi, degustazioni, convegni, eventi promozionali, ma soprattutto luoghi di incontro tra gli attori della rinascita dell’olio di queste terre. Per capire a fondo il movimento che si cela sotto le moderne volte in legno lamellare del frantoio culturale bisogna analizzare e capire le trasformazioni di queste terre negli ultimi 50 anni. Queste terre, nel comprensorio dei comuni di Vico del Lazio, Alatri, Vallecorsa, Collepardo, Guarcino, ma anche più a sud, tra Torrice e Arnara, hanno una cultura millenaria dell’olio d’oliva. Qui, ancora oggi, ogni famiglia ha un piccolo appezzamento di terreno coltivato ad uliveto, che cura nei fine settimana e che usa per l’autoproduzione di extravergine d’oliva. Ogni anno, dopo la raccolta, la domanda più inflazionata nei bar e nelle piazze è la seguente: “Comme t’è scite gl’uoglie?” E da lì partono infinite discussioni sui tipi di potatura, di raccolta, di molitura, che capita anche finiscano a male parole. Purtroppo l’industrializzazione effimera degli anni 60 di queste zone ha rubato molte braccia all’agricoltura e l’emigrazione verso Roma degli anni 70 dei figli di contadini che avevano ottenuto “un posto al Ministero” ha lasciato i terreni incolti e i terrazzamenti senza manutenzione. Il colpo di grazia è poi arrivato dalle suddivisioni testamentarie tra fratelli, che hanno frammentato le proprietà rendendo assolutamente antieconomica la coltivazione dell’olivo. Nonostante ciò l’ulivo e l’olio è jgkfglfkgj 43

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rimasto patrimonio delle famiglie della zona che, con passione, ogni anno si ritrovano a portare le proprie cassette di olive nei frantoi per la molitura, aspettando pazientemente il proprio turno. Oggi, un luogo come il Frantoio culturale permette il confronto e agevola l’unione delle forze, favorisce il “mettersi insieme”, per cercare, oltre alla convenienza economica, anche una qualità superiore. La sua missione è proprio mettersi al centro di questi processi, agevolarli, guidarli. Ed è così che oltre 150 ettari di uliveti tra i comuni di Vico nel Lazio, Guarcino e Collepardo, sono stati recuperati e destinati alla produzione di olio di qualità. Terreni per lo più abbandonati nel tempo che ora, grazie a questo progetto, risorgono, cambiando il paesaggio di queste montagne e donando nuova dignità ad una tradizione millenaria, che può anche diventare volano per il turismo locale. Ed è in questi terreni, tutti certificati biologici, che si coltivano le olive dalle quali si ricava olio biologico extravergine di oliva “Ernico”, firmato da Olivicola degli Ernici, nella linea Platinum e Gold. Un prodotto di altissima qualità, che quest’anno è stato anche inserito nella Guida internazionale degli Oli EVO di alta qualità Flos Olei 2017: “un olio dal fruttato er-

baceo medio alto con una nota sensoriale di erba fresca, al gusto appare amaro e piccante. Queste note presenti ed evidenti si uniscono armonicamente alle note erbacee”. In parole povere, l’oro

verde ciociaro... ■ 44

Vico nel Lazio, olioturismo e non solo... Al “Frantoio Culturale” è possibile organizzare visite guidate e degustazioni di olio extravergine di qualità, da associare anche ad un tour di una zona densa di attrazioni culturali e paesaggistiche eccezionali: prima tappa, è ovviamente Vico del Lazio, con le sue antiche mura medioevali che racchiudono l’antico borgo, nel quale è possibile anche visitare l’antico frantoio museo “Pietro Capriati”. Ma meritano una visita anche altri gli posti meravigliosi nelle vicinanze, come Alatri con le sue mura megalitiche, Fumone e Collepardo, detta la città delle erbe, con la storica Certosa di

Trisulti.

La zona è a soli 70 km da Roma ed è facilmente raggiungibile in auto uscendo dal casello autostradale di Frosinone.

Dove dormire:

- IL BORGHETTO - Bed and Breakfast Via Libertà, 8 - Vico nel Lazio (FR) - FLORA E IL FAUNO Via Mario Tolomei 4 - Collepardo (FR)


maioprints

Origins •••••••••• Santos yellow bourbon (Amarelo) | Ethiopia washed Yergacheffe Mexico washed Altura | India Plantation Peaberry | San Domingo washed AA Honduras washed SHG | Columbia washed Supremo 18 | Panama washed Tanzania AA Top Quality Kilimanjaro, | Guatemala SHB Genuine Antigua

CLICK AREA W W W . C A F F E I C A F. C O M

I N F O @ C A F F E I C A F. C O M


e s e t n o m e i p o n sog

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L’Erbaluce Passito dell’Az. Agricola La Masera è molto più di un grande vino da meditazione. E’ la realizzazione del sogno di 5 amici, che, da bambini, si confidavano l’un l’altro il loro lungimirante progetto comune: poter, un giorno, riuscire produrre quel vino.

edevamo i nostri nonni aspettare un intero anno con l’ansia che un temporale estivo avrebbe potuto vanificare l’intero raccolto, ma poi gli ultimi raggi di un’estate ormai finita consegnavano al rituale della vendemmia quegli amati grappoli di vitigno autoctono e tenace: l’Erbaluce o Albaluce, come la chiamavano gli antichi. Oggi come allora, con il nostro progetto proviamo a ripercorrere quei gesti antichi, per ridare vita a quel prodigio di gusto e di ricerca interiore che prende vita da un buon bicchiere di Erbaluce Passito di Settimo Rottaro.


Queste parole, recitate quasi in coro da Alessandro, Gian Carlo, Davide, Sergio e Marco, riassumono il desiderio di infanzia di un gruppo di amici, di far rivivere la produzione dell’Erbaluce Passito, vino autoctono del Canavese in Piemonte. Questa storia è ambientata a Settimo Rottaro, in provincia di Torino, tra le colline dell'Anfiteatro morenico di Ivrea, zona in cui questo vitigno, ha trovato la sua massima espressione qualitativa. Era il quaternario quando l’immenso ghiacciaio Balteo, discendendo dalla vicina Valle d’Aosta e portando con sé limo, rocce e detriti, plasmava la barriera collinare denominata “Serra”. Ed è proprio su queste ricche pendici che oggi sorgono i vigneti di erbaluce, che traggono la loro specificità e unicità proprio dalla particolare composizione del terreno così formatosi.

E poi sullo sfondo c’è il lago di Viverone, la cui placida presenza caratterizza in maniera importante le fasi della vendemmia, influenzando temperatura e umidità a cui è sottoposta l’uva. Il fresco della notte ha effetti sorprendenti sui profumi dei futuri vini, mentre le nebbie mattutine avvolgono e proteggono i grappoli per poi dileguarsi, permettendo al sole di infondergli la giusta dolcezza. Questo è il contesto in cui ha sede La Masera, l’azienda nata dalla tenacia di quel determinato e lungimirante gruppo di amici di cui vi parlavamo pocanzi. Questa realtà rappresenta la realizzazione di quel sogno, che tutti loro avevano immaginato da bambini: poter produrre un giorno l’Erbaluce Passito, quel vino “magico” di cui, nelle sere d’autunno, parlavano con i loro nonni e genitori.

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Ecco perché, se pure La Masera oggi vinifichi egregiamente anche nebbiolo, barbera, freisa, vespolina e neretto, venga comunque dedicata un’attenzione particolare alle amate piante di Erbaluce, tutti i giorni dell’anno. Non a caso le punte di diamante di quest’azienda sono proprio i vini basati su questo autoctono in purezza (uno spumante medoto classico, due bianchi fermi e un passito). A noi ha colpito particolarmente l’Erbaluce di Caluso Passito DOC “Venanzia”, forse la dimostrazione più tangibile di come quel sogno di giovinezza sia divenuto una concreta ed interessante realtà. Si tratta di un vino

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Vino da meditazione, ottenuto da un’attenta selezione sui grappoli da appassire, con fermentazione alcolica in barriques di rovere francese per 30 mesi, a cui seguono almeno 6 mesi di affinamento in bottiglia. Nel calice sfoggia un bel giallo paglierino carico con riflessi dorati; elegante e avvolgente al naso, con sentori di frutta secca su gradevoli sfumature tostate. Il sorso è dolce e persistente, ma mai stucchevole, con un piacevole retrogusto mandorlato. Noi lo abbiamo degustato con degl’ottimi tozzetti alle nocciole del Piemonte, abbinamento che ha trovato l’unanime gradimento dei commensali alla nostra tavola. ■

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Focus sul vitigno L’ERBALUCE è un vitigno autoctono piemontese molto versatile. Grazie all’elevata acidità e dolcezza dei suoi acini possono infatti prodursi diverse tipologie di vino, sia secchi (fermi o spumanti) che dolci o passiti. Già noto in epoca Romana come Alba Lux (luce dell'aurora) il suo nome deriva probabilmente dal colore e dalla luminosità degli acini, che sono più invaiati nel lato più esposto ai raggi del sole. Fin dall’antichità, questo vitigno veniva coltivato sulle ripide pendici collinari dell’area incorniciata dall’Anfiteatro Morenico di Ivrea, agevolato da un terroir unico e irripetibile. Storicamente la prima produzione si fa risalire già intorno all’anno mille, quando pare fosse forte la richiesta del cosiddetto “vino greco” ricco di alcol, dolce e fortemente aromatico. Sin da allora sensibili alle richieste del mercato, i vignaioli piemontesi iniziarono a coltivare una serie di nuovi vitigni definiti “greci”, tra i quali appunto l’Erbaluce. Al di là delle suggestioni, più o meno fantasiose, già nel 1500 Sante Lancerio, bottigliere del Papa, segnalava il vino ottenuto da tali uve. Nel 1833, Lorenzo Francesco Gatta nel “Saggio intorno alle

viti ed ai vini della provincia d’Ivrea”, scriveva: “I vini bianchi di alcune terre di questa provincia sono pure pregiati; e tali specialmente sono quelli di Settimo Rottaro, Caluso, Orio e Lessolo, che, ben fatti, hanno un colore di paglia, son sottili, spiritosi e tendenti al dolce”.

E’ di epoca molto più recente, con l’onore di essere il primo bianco piemontese ad ottenerlo, il riconoscimento per l’Erbaluce della DOC, istituito con decreto del Luglio 1967. Nel 2010, tale riconoscimento è stato esteso con la tutela della Denominazione di Origine Controllata e Geografica (D.O.C.G.) dei vini.

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O N I T N E L A V N A S I ELISIR D

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o i a r b b e F 4 1 l er i p a t s o p o r p i d o t a n La nostra o m i t l l’ u e r e s s e e h c , à t i l a u s n non poteva e s , os r e i d x i m n u . i r r e F DF Gocce: o i r a D i d e n o i s s a p a l e tutta

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esi, forse anni di ricerca e sperimentazioni. Un processo lungo e complesso quello che ha portato nei nostri calici da degustazione l’ultima intrigante creazione di Dario Ferri del Liquorificio sorano DF GOCCE. Un elisir di sette selezionate radici ed erbe afrodisiache assemblate magistralmente insieme. Diciamocelo subito. Amando è stato concepito per essere un vero e proprio "mix" di eros e sensualità. Gli ingredienti sono segretissimi, ma possiamo almeno rivelarvi le nostre sensazioni dopo un assaggio di questo liquore così particolare e stuzzicante, che non ha tradito le nostre aspettative. Il colore non poteva che essere il rosso, un acceso e limpidissimo rosso, il colore della passione! Al naso il primo impatto si rivela subito intensamente fruttato, ma poi è soprattutto in bocca che sorprende per la complessità delle sensazioni che scatena sul palato: dopo la piacevole nota dolce iniziale sulla punta della lingua, bbbbgua, improvvisamente una

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In alto la bellissima bottiglia di “AMANDO” in still life. Nella foto a destra lo stand DF GOCCE all’evento enogastronomico “Calici d’Estate” a Terracina e nella pagina precedente alla rassegna nazionale “WINE DAY 2016” svoltasi a Patrica (FR) nel maggio scorso.

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improvvisamente una calda e gradevolissima piccantezza irrompe nella bocca (peperoncino? Beh, molto probabile...). Deglutendo, la sensazione di "calore" tende lentamente a sfumare in favore di una lunghissima nota finale di amaro (forse genziana?), che persiste piacevolmente sul retro della lingua per diversi minuti. Che dire. Al di là dell'altissima qualità generale, alla quale l’intera gamma di liquori e distillati DF Gocce ci ha ormai abituato, "Amando" ci ha stupito soprattutto per l’originalità e per la grande intensità e persistenza delle sensazioni di piacere che è capace di scatenare nella bocca. Un vero e proprio "colpo di fulmine" già al primo sorso, per un liquore dalla grandissima personalità, qualcosa forse di unico nel suo genere, ma nel contempo complesso e poliedrico, che ben si presta per molteplici finalità: sicuramente è l'ideale come dopo pasto in dolce compagnia, da bere rigorosamente freddo, ma può anche essere utilizzato come ingrediente “segreto” per rendere più colorati ed intriganti numerosi cocktail da aperitivo. In ogni caso, siamo certi, sarà mira e meta anche dei vostri desideri olfattivi, gustativi e, perché no, erotici... ■

Tante altre “gocce” di qualità Oltre ad “Amando” la gamma di prodotti di DF GOCCE comprende una completissima serie di liquori, tutti di qualità artigianale, come ad esempio la ratafia, la liquirizia, la genziana bianca, la genziana rossa, l’amaro, la sambuca, il nocino e i freschissimi limoncello e Gocciarancia. Presente anche una interessante linea di distillati, con le classiche grappe bianche e barricate e una particolare grappa “Melè”, a base di bucce e semi di mela verde. INFO DI CONTATTO Tel: 333 1518098 - www.dfgocce.com



o i g g a form . . . e n sio s a p e h c

Regole di servizio e modalità di degustazione del più nobile dei derivati del latte. Senza dimenticare gli abbinamenti... 54

i odia o si adora. Si detesta o si venera. Non ci sono mezze misure per questo pregiatissimo prodotto. La sentenza del palato è sempre inoppugnabile e noi non potremmo mai contestare l’una o l’altra posizione. Nemmeno però vogliamo nascondere il nostro debole per il più nobile dei derivati del latte. Stiamo appunto parlando del formaggio, quel nutriente e gustoso alimento ricavato dal latte bovino, ovino o caprino, per coagulazione della


caseina. Un processo produttivo di antica tradizione, un’arte che nel corso dei secoli si è diversificata tantissimo, dando origine ad infinite varietà, con le più disparate caratteristiche di colore, consistenza, sapori e aromi. Tuttavia il fine di questo articolo non è quello di addentrarsi nelle varie tipologie e tecniche di preparazione, bensì quello di mettere in luce alcuni aspetti di base della degustazione e del suo abbinamento con il vino. Come per il vino, infatti, esistono una serie di regole di servizio e di assaggio, anche se forse, in questo caso, molto meno note. La temperatura ad esempio è un parametro fondamentale, seppure per il formaggio il discorso sia molto meno complicato: infatti, diversamente dal vino (in cui ogni tipologia ha la propria Temperatura di servizio), i formaggi, a prescindere dal tipo, andranno sempre assaggiati a temperatura ambiente. Sebbene sia giusto conservarli in frigorifero, è altrettanto importante, prima di degustarli, aspettare il tempo necessario per far si che la temperatura si assesti, perché altrimenti i profumi e i sapori risulterebbero attenuati dal freddo. Raggiunta la temperatura ottimale, particolare attenzione dovrà essere prestata al taglio e, di conseguenza, alla scelta del coltello. In questo caso vale la regola che più la pasta del formaggio è molle, più la lama deve essere sottile e stretta. Utilizzare una superficie grande con un formag-

un formaggio a pasta morbida potrebbe infatti produrre fette malformi o comunque imperfette. Nei casi limite, per tipologie particolarmente molli, è anche possibile utilizzare un filo metallico. Per contro, con formaggi a pasta dura, dovranno utilizzati coltelli a lama larga e spessa. Per quelli a grana grossolana, come pecorini stagionati, o per Parmigiano e Grana, bisognerà invece ricorrere al classico “coltello a mandorla”, attrezzo che scheggia la pasta creando scaglie irregolari che ne esaltano la granulosità. In ogni caso, a prescindere dalla tipologia, è sempre bene tagliare porzioni con uguali quantità di crosta. Una volta correttamente porzionato, si procederà, come per un vino, con l'analisi sensoriale. Si partirà con la valutazione dell'aspetto visivo e tattile, analizzandone forma e dimensioni generali, per poi passare alle caratteristiche della crosta. Un formaggio di qualità dovrebbe presentare una colorazione omogenea, senza eccessive sfumature, pulita e priva di fessurazioni. L’eventuale muffatura, dovrà essere distribuita uniformemente. Anche l'esame della pasta potrà fornirci diverse informazioni utili. Generalmente, i formaggi caprini e ovini presenteranno un colore chiaro, mentre i formaggi molto stagionati avranno colori dalle tonalità visibilmente più intense, dal giallo paglierino fino al dorato. Il tatto invece ci aiuterà a valutare la consistenza 55


della pasta, che potrà essere molle, semidura o dura (con la durezza che normalmente è un indicatore del grado di stagionatura), ma anche elastica o granulosa, untuosa o secca. Nell’esame olfattivo, forse la fase più complessa dell’intera analisi sensoriale, la difficoltà consisterà non tanto nell’identificare, ma soprattutto nel dare un nome preciso ai profumi che si riescono a percepire. Ecco perché, oltre ad avere buone capacità olfattive, è fondamentale fare anche molta pratica, esercitandosi all’inizio con il riconoscere almeno le principali famiglie degli odori riferiti al formaggio (lattico, vegetale, speziato, floreale, tostato e animale), per poi con il tempo imparare a individuare più precisamente i vari profumi presenti. Ancora più appagante sarà la terza e ultima fase, l’esame gusto-olfattivo. Oltre ai gusti in senso stretto (il dolce, il salato, il piccante, l'acido, l'amaro e l'astringente) si potranno percepire anche sensazioni aromatiche per via retronasale, simili ai profumi percepiti con l'olfatto ma molto più complessi. Con la lingua, molto più sensibile della mano, potremo completare la valutazione della consistenza, anche se la salivazione e la masticazione finiranno per modificarla rapidamente. In ultimo, come per il vino, si potrà valutare persistenza, ovvero la durata del sapore nella bocca. Ecco che il gustoso boccone appena deglutito non farà altro che invogliare un buon sorso di…..? Beh, completare la domanda precedente non è 56

dente non è poi così facile, perché disciplinare gli abbinamenti con i formaggi è un impresa tutt’altro che agevole. Troppo spesso, quando si struttura sulla carta il menù di una cena nella quale è prevista anche una portata di formaggi, capita di cadere in errori grossolani che finiscono inevitabilmente per rovinare il palato a noi e ai

palato a noi e ai nostri commensali. Questo perché a volte si considera questa pietanza con troppa leggerezza e superficialità. In realtà, è proprio su questo abbinamento che bisognerebbe prestare l’attenzione maggiore, perché il formaggio ha un variabilità di tipologie e sfumatu-


re di gusto estremamente ampia, forse più di qualsiasi altro alimento. Senza contare le ulteriori variabili di gusto dovute alle varie salse e mieli con le quali spesso ci vengono serviti. Non possiamo (e non vogliamo ) addentrarci troppo in considerazioni dettagliate, che comunque restano argomento di approfonditi corsi di degustazione. E’ però possibile affermare, tout court, che, passando da formaggi freschi a formaggi sapidi e stagionati, è bene procedere da vini bianchi leggeri o bollicine a vini rosati e rossi e sempre più strutturati. Con formaggi molli o spalmabili dal sapore neutro, il vino non dovrà rischiare di sovrastarne il sapore: pertanto si potrà optare per un bianco leggero, fresco e non troppo impegnativo. Con i freschi a pasta molle e sapore tendente al sapido è sempre buona norma abbinare un bianco, ma dotato, in questo caso, di profumi più intensi e di una maggiore struttura. Passando ai formaggi di media stagionatura, anche il vino da proporre salirà di corpo e struttura: entriamo quindi nel campo dei rosati e dei rossi giovani e fruttati. bbbb

Nel caso invece dei formaggi di lunga stagionatura potremo finalmente sfiziarci con rossi di grande struttura, invecchiati, ricchi di mineralità, note speziate e tostate. Un capitolo a parte meritano gli erborinati, o “blue cheese”, ovvero quei formaggi nei quali si sono sviluppate quelle particolari muffe responsabili del colore venato da strie o chiazze verdi-blu. I sapori molto intensi rendono necessario l’accostamento a vini liquorosi o passiti, anche se il rischio qui potrebbe essere quello di finire per sovraffollare le sensazioni gusto-olfattive nel cavo oronasale: il suggerimento in questo caso è quello di ben dosare le quantità dell’uno e dell’altro, in modo tale da non rendere stucchevole l’assaggio. Resta inteso che queste linee-guida, valevoli in senso generale, sono suscettibili di tantissime eccezioni, proprio quelle che più spesso ci portano in errore. Ecco quindi che il consiglio più prezioso che possiamo darvi non è altro che quello di affidarvi semplicemente ai quei potentissimi strumenti di valutazione di cui madre natura ci ha dotato: il naso e il palato. ■ 57


Un piatto cucinato da Igor Palombi, chef del Ristorante “Ratafia” di Frosinone...

er la “prima volta” di questa nuova rubrica, abbiamo ricevuto il graditissimo invito del rinomato Ristorante “Ratafià”, nel cuore del centro storico di Frosinone. Ad attenderci sulla porta della cucina, c’era Igor Palombi, l’eclettico chef che da poco ne ha autorevolmente preso in mano mestoli e padelle. E così Igor ci ha svelato la ricetta e i segreti della preparazione di un classico piatto della cucina italiana, rivisitato in chiave moderna con la sua verve creativa. Parliamo appunto della “gricia con tartare di tonno rosso”, una pietanza apparentemente di facile realizzazione, che in realtà nasconde 58

de non poche insidie. Gli ingredienti base sono infatti costituiti da materie prime sia di mare che di terra: la chiave di questo piatto risiederà quindi nel trovare il giusto equilibrio tra sapori molto diversi e in contrasto tra loro. Ovviamente dovranno utilizzarsi materie prime fresche e di altissima qualità. Serviranno quindi un bel pezzo di guanciale ciociaro, un filetto di tonno freschissimo e una manciata di granella di pistacchi, rigorosamente di Bronte, oltre ad un etto abbondante di spaghettoni artigianali di Gragnano trafilati in oro. La preparazione inizia dalla tartare di tonno fresco, che deve essere lasciato perfettamente al naturale, senza marinature e scottature su piastra, e tagliato a coltello in piccoli cubetti di mezzo centimetro di lato al massimo. Si passa poi al guanciale, che va tagliata in listelle rettangolari non trop-


marinature e scottature su piastra, e tagliato a coltello in piccoli cubetti di mezzo centimetro di lato al massimo. Si passa poi al guanciale, che va tagliato in listelle rettangolari non troppo sottili, per poi essere messo una padella assolutamente non unta da olio o burro, in modo da sfruttare unicamente il grasso della carne. La pasta deve andare in pentola per 9 minuti esatti (3 in meno di quelli indicati in confezione). Fondamentale però, utilizzare 2 mestoli di acqua di cottura per la mantecatura della pasta che deve avvenire nella stessa padella utilizzata per il guanciale, per il tempo necessario ad ottenere una crema di consistenza media, né troppo liquida, né troppo rappresa. Dopo aver aggiunto un bel pizzico di pepe nero è possibile impiattare. E’ consigliabile utilizzare un piatto fondo di grandi dimensioni, magari tiepido, per fare in modo che la pasta resti calda più a lungo possibile. Una volta disposta la pasta con una struttura conica o a nido, sarà possibile guarnire con le listelle di guanciale intorno alla base. A questo punto sarà possibile sistemare la tartare di tonno proprio sulla sommità del cono di pasta, a mo’ di ragù, per poi concludere con la fine granella di pi-

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A questo punto sarà possibile sistemare la tartare di tonno proprio sulla sommità del cono di pasta, a mo’ di ragù, per poi concludere con la fine granella di pistacchi di Bronte a neve. Il piatto a questo punto non ha bisogno di ulteriori guarnizioni ed è pronto per essere servito in tavola. E fortunatamente noi eravamo seduti a quella tavola! Alla fine ci è sembrato un piatto molto ben riuscito ed invitante, non solo dal punto di vista estetico ma anche al palato: la grassezza del guanciale e la freschezza del tonno sono infatti ben bilanciati tra loro, grazie anche alla scelta di non utilizzare olio a crudo, né tantomeno in cottura. E’ inoltre pietanza molto versatile, che può essere abbinata sia a vini bianchi strutturati, che a rosati o rossi giovani (noi lo abbiamo accompagnato ad un ottimo Vermentino “Colli di Luni DOC”di Cantine Lunae, di cui vi parliamo in dettaglio nella rubrica “Le mie degustazioni” a pag. 96). Purtroppo però, del nostro piatto non è rimasta alcuna traccia. ■

Gricia con tartare di tonno rosso

Ingredienti x 2 persone: 110 gr di spaghettoni di Gragnano trafilati in oro - 60 gr di guanciale ciociaro - 70 gr di tonno rosso - 20 gr di pistacchi di Bronte - Sale e pepe nero ■

Tempo di cottura della pasta: 9’ in acqua + 3’ in padella 60

IGOR PALOMBI, nato a Frosinone, classe 86. 31 anni ancora da compiere, ma già alle spalle una grandissima esperienza, che oggi gli permette di padroneggiare con maestria 3 cucine internazionali e di parlare ben 4 lingue straniere. Merito di un trascorso di 15 anni tra i fornelli di mezza Europa. Igor infatti si specializza a Roma in una Scuola per chef, ma poi si trasferisce subito a Londra, dove lavora nel “Cotidie Restaurant” dello chef stellato Bruno Barbieri. Si sposta poi sul mare delle Isole Baleari e della Grecia dove perfeziona la cucina di pesce. Da qui, 3 anni a Monaco di Baviera presso il ristorante stellato "Porta Capuana". Una breve parentesi a Zurigo e poi ancora 2 anni a Regensburg, dove cucina, tra gli altri, per Miss Germany. Infine il ritorno nella sua terra natale, per dirigere la cucina del Ristorante Ratafià dello storico Hotel Garibaldi (4 stelle) di Frosinone.


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Di che cosa ha più bisogno un produttore di vino?

Marta 30 anni. Enoappassionata

Raccontiamo il tuo vino, sul web, sui social, attraverso gli eventi. Creiamo e pensiamo i contenuti più adatti; i contenuti istituzionali, le descrizioni dei prodotti, i contenuti emozionali, testi, foto, immagini da condividere. Creiamo storie che facciano capire di che vino parliamo. Li creiamo già inseriti in una precisa strategia, in un discorso continuo, coerente ed efficace. I contenuti li inseriamo nei siti web

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Le

di

Imponenti, supertecnologiche e perfettamente integrate con il territorio circostante. Firmate da famosi scultori e archistar internazionali sono le cantine di ultima generazione, spettacolari “monumenti� moderni in onore di Bacco. 62

1° PARTE: ITALIA


Il “carapace” Tenuta di castelbuono - Bevagna (PG) Nel cuore dell’Umbria, la Tenuta della famiglia Lunelli a Bevagna, nella quale viene prodotto un ottimo Sagrantino di Montefalco, è nota per la particolare struttura della cantina, disegnata dal famoso scultore Arnaldo Pomodoro. Per la forma che ricorda il guscio di una tartaruga l’opera è stata chiamata “Carapace”. Nell’idea iniziale questo progetto in pratica doveva rappresentare la realizzazione del sogno della famiglia Lunelli: una cantina che fosse uno scrigno per il vino. Il noto scultore ha accettato la sfida, cercando di realizzare anche un’opera che mettesse in discussione i confini fra scultura e architettura e che si legasse al tempo stesso con il paesaggio in cui sarebbe stata inserita. Ecco quindi che “Carapace” regala allo sguardo la spettacolare visione di una grande cupola di rame, che svetta su una dolce collina circondata da vigneti. Completa il tutto un enorme dardo rosso che si conficca nel terreno, quasi ad indicare il punto ad un osservatore lontano. All’interno della grande cupola troviamo la bellissima sala da degustazione, sotto la quale è invece presente la altrettanto spettacolare barricaia. Un grande investimento per la famiglia Lunelli, che però ha regalato al territorio di Bevagna una vera e propria opera d’arte moderna che si integra bene con l’ambiente, rappresentando un’ulteriore attrazione enoturistica per la bella cittadina umbra.

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petra Azienda agricola petra - Suvereto (li) L’originale struttura monolitica della Cantina Petra sorge sulle colline ferrose della Val Cornia. Progettata dall'architetto Mario Botta per diventare un elemento definitivo del paesaggio è caratterizzata dal grande volume cilindrico rivestito in pietra di Prun attraversato da una maestosa scalinata che porta alla sommitĂ , da cui è possibile ammirare il Mar Tirreno e le sue isole. Nel cuore della struttura si snodano la zona di pigiatura, la sala acciai e due scenografiche barricaie. Un disegno intelligente completato da un innovativo impianto energetico ad impatto zero.

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TENUTA AMMIRAGLIA Frescobaldi - MAGLIANO (GR) Nel cuore della Maremma sorge la Tenuta Ammiraglia, la moderna struttura dei Marchesi di Frescobaldi. La cantina d’autore della tenuta ha origine dal progetto di Piero Sartogo e oggi rappresenta un tempio di design al servizio della qualità produttiva e del rispetto per l’ambiente circostante, integrandosi a meraviglia con esso. Qui infatti ogni spazio è concepito per essere in diretta connessione con la campagna. Anche la copertura è completamente coltivata, come fosse un giardino.

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Cantina antinori nel chianti classico

Marchesi antinori - Bargino di san casciano (GR) Una struttura davvero avveniristica. Progettata dall’Architetto fiorentino Marco Casamonti è stata costruita interamente con materiali locali e con grande rispetto per l’ambiente e per il paesaggio toscano. Essa rappresenta una pietra miliare nella storia della famiglia Antinori: con questa cantina infatti, per la prima volta in 26 generazioni, la famiglia Antinori apre le porte al pubblico di enoappassionati, consentendo a tutti finalmente di entrare a contatto con questa storica e, nello stesso tempo, moderna realtĂ .

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Le mortelle Marchesi antinori castiglione della pescaia (gR) La nuova cantina di Marchesi Antinori in Maremma è una fantastica e modernissima struttura di forma cilindrica su tre livelli. Questa particolare forma architettonica consente di effettuare tutto il ciclo produttivo “per caduta”, a partire dall’arrivo delle uve nella parte sopraelevata, continuando poi con i processi di vinificazione nella parte intermedia fino all’affinamento nella parte più interrata. Il fulcro della cantina è costituito da una grande scala elicoidale nel grande pozzo centrale, che funge da lucernaio e mette in comunicazione funzionale e visiva tutti i piani dell’edificio. La cantina delle Mortelle è una struttura quasi totalmente ipogea, con la cupola che sovrasta la cantina ricoperta da suolo vulcanico su cui cresce la tipica vegetazione della macchia mediterranea.

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“rifugio del vino” Les cretes - AYMAVILLES (AO) Un edificio che ricorda la struttura dei monti valdostani, costruito a fianco della storica cantina dell’Azienda Les Cretes. Un progetto ambizioso: l’unione del vino, della cultura della montagna e dell’architettura di Domenico Mazza di Courmayeur, ispirata dai nuovi rifugi alpini, lo rendono luogo ideale per le degustazioni. Sotto la grande corte coperta infatti trovano spazio i diversi ambienti della produzione tenuti insieme da un’interessante percorso di visita.

Casa del gewurztraminer Tramin - termeno (bz) La nuova sede di Cantina Tramin, inaugurata nel 2010, è firmata da Werner Tscholl, che è intervenuto sul corpo originario della cantina senza sottrarre terreno alle preziose vigne. Ecco quindi che dal corpo preesistente si estendono due lunghe braccia verdi, che contengono l’enoteca e la sala di degustazione. Una bolla luminosa sospesa fra cielo e terra, che permette ai visitatori di gustare in ogni senso l’esperienza in Tramin.


Cantina ZÝMĒ ZÝMĒ - San pietro in cariano (vr) Il progetto di Moreno Zurlo si pone in relazione dinamica con il territorio in cui sorge: un’antica cava di arenaria nella quale attualmente è stata realizzata la barricaia. Al piano terra si trova la zona produttiva e un piccolo wine shop, mentre l’involucro esterno della cantina è caratterizzato da un rivestimento in acciaio che rende più etereo l’intero volume.

Rocca di frassinello L’astemia pentita L’astemia pentita - barolo (cn) Disegnata dall’Architetto Gianni Arnaudo , la nuova cantina de l’Astemia Pentita sorge sulle dolci colline di Cannubi. Il progetto è stato concepito per contenere al minimo la volumetria esterna della cantina (circa 200 mq – in pratica la superficie coperta di una villetta residenziale) rispetto invece alla parte produttiva vera e propria che si sviluppa invece per circa 4.000mq sotto la collina. Ma quello che colpisce particolarmente è la parte visibile, con l’inequivocabile silhouette ispirata a 2 cassette di vino in legno sovrapposte.

Domini castellare di castellina gavorrano (gr) L’imponente ed efficiente edificio progettato dal famoso architetto Renzo Piano, inaugurato nel 2007, nasce da una proficua da collaborazione tra Castellare di Castellina, storico marchio del Chianti, e Domaines de Baron de Rothschild, rinomata maison francese. Spettacolare la barricaia sotterranea, in pratica un teatro a pianta quadrata, con tanto di gradinate. E sugli spalti le barriques sono gli spettatori silenziosi della scena centrale, illuminata solo dai raggi del sole convogliati all’interno attraverso un sistema di specchi. 69


“Le bolle” Distillerie nardini - Bassano del grappa (vi) Inaugurate nel 2004, in occasione del 225° anniversario della fondazione dell’azienda, sono tutt’ora una delle più moderne opere di architettura progettate da Massimiliano Fuksas. Un luogo futuristico nato come laboratorio di ricerca e come spazio per promuovere la cultura della grappa grazie ad eventi e visite guidate.

“L’acino” - ceretto Ceretto - alba (cn) L’antico casolare della Tenuta MonsordoBernardina nel 2009 è stato integrato con un nuovo spazio dedicato alla degustazione e ad eventi culturali. Una cupola trasparente, una grande bolla ovale sospesa tra le vigne per rappresentare un acino d’uva, affacciato sulle colline delle Langhe. 70

“Cittadella del vino” Rotari - mezzacorona (tn) Un’opera di architettura contemporanea, armonicamente inserita tra i vigneti, dove vengono utilizzate le più moderne tecnologie e soluzioni di sostenibilità ambientale. Il suo suggestivo tetto “a onda” riprende il susseguirsi dei vigneti coltivati a pergola trentina, tipico dell’ambiente che la ospita.



Come proteggere le piante dall’azione del vento: ecco alcune tra le più ingegnose ed efficaci soluzioni della viticoltura mediterranea

di EDOARDO CELLETTI Agronomo, sommelier e autore del blog: www.langolocoltivato.it

ggi intensamente domesticata e selezionata, la vite è allevata con diverse forme in funzione delle varie condizioni pedoclimatiche nelle quali questa antica coltura è stata praticata nei secoli. Diverse si, ma oggi tutte indirizzate verso il massimo rendimento qualitativo della pianta. Esso si ottiene ottimizzando l’interazione degli elementi che influenzano costantemente la sua crescita, ovvero sole, atmosfera, suolo e acqua. E per andare ad ottimizzare tali interazioni il viticoltore è costretto ad adoperare delle scelte agronomiche su chioma, fusto e radici: si va 72

così a creare uno standard di pianta riconducibile ad una forma di allevamento ben definita, in cui la crescita del singolo individuo è programmata dedicando ad ogni organo della pianta un settore spaziale specifico. Ovviamente diversi luoghi di coltivazione avranno differenti forme di allevamento anche per lo stesso clone, e così saranno diverse nei modi e nei tempi anche le operazioni colturali. In tutto ciò un ruolo fondamentale viene giocato dal fenomeno fisiologico dell’evapotraspirazione. Essa è lo starter necessario per garantire la risalita dell’acqua dalle radici alle foglie, che sfrutta


il differenziale di concentrazione tra il vapore d’acqua atmosferico e quello della camera stomatica. In condizioni di climi torridi e molto ventosi, con scarsità di a pp ro vv i gi onamento idrico, i processi di dispersione dell’acqua i n te rc e tta ta verranno accelerati notevolmente. La pianta regolerà le aperture delle camere stomatiche, ma limitando però anche l’assorbimento per diffusione della CO₂. In questi casi, per ottenere comunque buone produzioni, i coltivatori dovranno fare in modo che la pianta sia capace di non disperdere acqua e, nel contempo, sia in grado di continuare ad assorbire anidride carbonica. Un’ottima strategia per contrastare l’evapotraspirazione è sicuramente quella di cercare di ridurre l’azione del vento sulla pianta. Diminuirne la taglia è sicuramente il primo passo: coltivando ad alberello si lavorerà in una sezione dove la velocità del vento è più bassa, limitando così i suoi effetti sull’evapotraspirazione. Inoltre, la minore vicinanza dei grappoli al terreno che raggiunge temperature elevate, faciliterà la realizzazione di vini con grande struttura. Alla scelta di ridurre la taglia può affiancarsi

Carignano del Sulcis coltivato ad “alberello latino” nelle Vigne Bentesali presso Sant’Antioco (Sardegna).

carsi anche un’altra tecnica per moderare ancor di più l’azione del vento. Essa consiste nel coltivare la pianta all’interno di una piccola buca. In questo caso la pianta si troverà ad un livello più basso del suolo, con una velocità laminare del vento molto ridotta. La buca di coltivazione avrà anche altre funzioni: innanzitutto l’acqua meteorica si concentrerà per gravità sotto il fusto mettendosi a completa disposizione del solo apparato radicale; in secondo luogo, la struttura concava della buca rifletterà la radiazione infrarossa dal suolo verso la pianta (come uno specchio verso il fulcro), irra-

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Vigneto di Zibibbo ad alberello con buca di coltivazione nell’isola di Pantelleria (Sicilia).

struttura concava della buca rifletterà la radiazione infrarossa dal suolo verso la pianta (come uno specchio verso il fuoco), irradiando completamente il grappolo e garantendo un’alta efficienza foto sintetica nella fase di preinvaiatura. In climi a In climi ancora più torridi ed ventosi, si osserva l’adozione di un ulteriore accorgimento, ovvero la posa in opera di un piccolo muretto a secco sul margine della buca di coltivazione. E’ il caso ad esempio dell’isola di Lanzarote, nell’arcipelago spagnolo delle Canarie, dove le scarsissime precipitazioni, l’esposizione alla costante ventilazione oceanica e il terreno vulcanico 74

canico sciolto in superficie, limitano fortemente le riserve idriche: ecco quindi che l’allevamento della vite ad alberello in buca protetta da muretti a secco è l’unica valida tecnica per poter coltivare in questi ambienti così estremi. Tuttavia sia sull’isola di Pantelleria che sull’isola di Santorini in Grecia è anche praticato un ancestrale stratagemma per combattere l’azione negativa del vento. In pratica la coltivazione delle viti di Cataratto e Assyrtiko (Riesling) avviene con fusti prostrati a forma di cesti per proteggere l'uva dal forte vento: la particolare struttura è definita a “cesto” o “a paniere”, in dialetto pantesco kdd 73


“a tuppo” mentre in greco è chiamata “kouloures” (ad anello), o “kalathia” (a cestino). Questa forma, costituita da tralci non potati ed intrecciati tra loro, appesantisce la l’intera struttura garantendo stabilità ed aderenza al terreno, ma anche un maggior trattenimento dell’umidità notturna. La fortissima competizione per la radiazione solare di tralci e gemme, dovuta alla loro stretta vicinanza nella forma di allevamento, determina uno scarso sviluppo verso l’alto dei germogli e quindi una ridotta attività vegetativa (a legno) a favore di una più efficiente attività fruttifera (a fiore). Questa ulteriore riduzione della taglia, ottenuta però giocando sulla risposte fisiologiche della pianta, limita così il fenomeno dell’evapotraspirazione. Oltretutto, la funzione del paniere è anche quella di proteggere i grappoli che crescono al suo interno dagli agenti atmosferici, regalando acini perfetti e sani. C’e da dire tuttavia che, tale forma di coltivazione, unica nel suo genere, può essere realizzata solo in siti dal clima fortemente arido e ventilato, con k

Coltivazione della vite con muretti protettivi in pietra a Garnacha, sull'isola di Lanzarote (Canarie - Spagna).

terreno sciolto e povero di sostanza organica: questo perché in altri luoghi, un fusto prostrato sul suolo per lungo tempo, andrebbe incontro ad attacchi fungini che ne causerebbero una rapida senescenza e infine la morte. ■

Coltivazione di Assyrtiko con struttura “a cestino” sull’isola di Santorini (Grecia).

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SIA NELLA VERSIONE TRADIZIONALE CHE NELLE TIPOLOGIE PIÙ MODERNE, IL TAPPO RESTA SEMPRE L’ELEMENTO PIU’ IMPORTANTE DELL’INTERO PACKAGING DELLA BOTTIGLIA, FONDAMENTALE PER UNA CORRETTA CONSERVAZIONE DEL VINO E PER LA SUA EVOLUZIONE NEL TEMPO.

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i scuseranno i nostri cari amici sommelier se, durante il classico rituale di apertura di una buona bottiglia di vino, godiamo sempre così tanto nell’ascoltare quel dolce e affascinante scricchiolio che termina con quell’inequivocabile “POP!” finale. Ci riferiamo ovviamente al caratteristico stridere del sughero sul del sughero sul metallo mento della definitiva

metallo del cavatappi, mentre viene estratto dal collo della bottiglia. Purtroppo però, questa romantica e suggestiva colonna sonora delle nostre migliori bevute, potrebbe in futuro diventare qualcosa di sempre più sporadico, se non addirittura un bellissimo ricordo. Il motivo è il lento, continuo e forse irreversibile processo di rimpiazzo del vecchio e amato sughero con materiali nuovi e tecnologicamente


materiali nuovi e tecnologicamente più avanzati. Una tendenza dovuta alla sempre minore reperibilità di sugheri di buon livello rispetto alla richiesta del mercato, ma se vogliamo anche determinata da un’esigenza tecnico-commerciale: i nuovi materiali consentono risultati pari o quasi a quelle ottenuti utilizzando il tappo naturale, con costi sensibilmente inferiori e soprattutto con rese ottimali, pari praticamente al 100%. Ci riferiamo principalmente al vecchio problema del “vino che sa di tappo” che, non solo finisce per rovinare il nostro bel momento conviviale, ma comporta spesso per l’azienda la sostituzione gratuita della bottiglia difettata. Un’incognita che potrebbe influire non poco nel bilancio di una piccola o media cantina. Ecco quindi che oggi cercare valide alternative alla corteccia del “Quercus Suber” diventa un’esigenza sempre più sentita dai produttori. Una delle più diffuse è sicuramente il tappo sintetico: da circa vent’anni ormai i polimeri termoplastici hanno cominciato ad essere presi seriamente in considerazione dai produttori, anche perché ormai molto migliorati non solo nelle caratteristiche tecniche, ma anche in quelle estetiche, cosa per il consumatore di vino ha sempre la sua importanza. E questo tipo di tappi ha in effetti i suoi punti di forza, con qualità proprie decisamente non trascurabili: sono sterili e quindi inattaccabili dalle muffe; sono abbastanza elastici ma non si deteriorano; sono visivamente nnnnnnnnn

molto simili ai tappi naturali e perfettamente funzionali al mantenimento delle caratteristiche organolettiche del vino, per un almeno un paio di anni. Il loro limite risiede tuttavia nella non elevata porosità rispetto ai tappi tradizionali, caratteristica fondamentale per microossigenare il vino e per la sua evoluzione nel tempo. Ecco perché risultano essere ottimali per vini più semplici che vengono consumati giovani. Eppure, quando si cominciò ad immettere sul mercato questo tipo di tappi, furono in molti a gridare alla scandalo, forse più per ragioni esclusivamente “romantiche” che non per motivazioni puramente tecniche. In realtà, sarebbe buona norma utilizzare sempre il tappo sintetico nei vini di largo consumo: questo consentirebbe di avere a disposizione più sugheri di elevata qualità per i vini da invecchiamento, che invece necessitano di questo tipo di materiale più per le già citate esigenze di micro-ossigenazione, che non per quegli aspetti puramente “romantici” di cui parlavamo nelle prime righe dell’articolo. Il discorso potrebbe estendersi anche al cosiddetto tappo “Stelvin”. Questo per capirci è il classico tappo

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a vite in metallo, soluzione molto funzionale che oltre ad offre una chiusura organoletticamente neutra, permette anche un’agevole apertura a “mani nude”. Purtroppo il suo limite risiede evidentemente nell’aspetto estetico di scarso impatto, anche se America e Australia e in molti paesi del nord Europa si sta diffondendo rapidamente ritagliandosi una discreta fetta di mercato. Tendenza che invece ritarda ad avvenire nei paesi dell’area Mediterranea occidentale, Italia inclusa, vuoi per motivi di retaggio culturale, che per l’ancora relativa abbondanza di querceti. Un’altra valida alternativa al sughero che invece sta prendendo piede molto rapidamente, forse anche per la percezione di rara esclusività che trasmette, è senza dubbio il tappo in vetro temprato. Questo tipo di chiusura, ispirato alle confezioni utilizzate in passato per i prodotti farmaceutici, è forse la via di mezzo tra il sughero e il sintetico. E’ anch’essa assolutamente sterile e garantisce una tenuta perfetta. La chiusura ermetica è assicurata infatti dalla guarnizione ad anello in materiale neutro collocato tra il corpo e la 80

testa del tappo, che entra in contatto con il vino solo per il 3% della superficie di apertura della bottiglia. Non avrà la capacità di microossigenazione dei tappi tradizionali ma garantisce la totale assenza di difetti da TCA (la molecole che conferisce lo sgradevole odore di tappo). Inoltre sorprende piacevolmente il consumatore che rimuove la capsula dalla bottiglia perché non necessita di cavatappi ed è anche molto bello a vedersi. Il costo non è inferiore al sughero, ma il vetro è praticamente un materiale inesauribile, riciclabile e disponibile ovunque. Tuttavia questo estratto non vuole essere la disamina di tutte le varianti di tappatura presenti attualmente sul mercato. In realtà stiamo semplicemente cercando di porre la dovuta attenzione sulla gravosa funzione del tappo stesso e sulla diversa influenza che le varie tipologie di chiusura possono determinare sulla conservazione del vino. Del resto, oltre al vetro della bottiglia (peraltro materiale neutro), il solo materiale fisicamente a contatto con il liquido risulta di fatto essere proprio il tappo. Eppure quest’ultimo é l'unico elemento del packaging non valutabile al momento dell'acquisto nnnn


di un vino. In pratica, quando in enoteca o in GDO scegliamo una bottiglia, possiamo valutare praticamente soltanto la qualità dei materiali “esterni”, quali vetro, etichetta e capsula. L'unico componente non visibile della confezione, perché risulta quasi sempre “mascherato” dalla capsula, é proprio il tappo stesso. Sfortunatamente questa è anche la variabile che più incide sulla corretta conservazione ed evoluzione del vino stesso. Ecco perché sarebbe quantomeno auspicabile che, per maggiore trasparenza, si cominciasse ad indicare nel retroetichetta anche la tipologia del tappo utilizzato e la sua provenienza: un semplice accorgimento che, non solo otterrebbe il sicuro apprezzamento del consumatore, ma darebbe finalmente il giusto “peso” a questo piccolo, ma fondamentale, elemento della bottiglia di vino. ■

TCA, se lo conosci lo eviti Il tricloroanisolo è una molecola esogena al vino derivante da contaminazione da “Armillaria Mellea”, un fungo che sviluppa proprio il TCA come prodotto del metabolico. Più che creare un suo cattivo odore, il Tca è capace di sopprimere le nostre capacità olfattive, facendo in pratica da inibitore degli odori. I maggiori sforzi per evitare che venga trasmesso al vino sono stati indirizzati sulla prevenzione, cercando quindi di evitare le fonti di contaminazione. Altra strada è invece quella di intervenire direttamente sul sughero attraverso la bollitura, che si realizza attraverso l’immersione totale in acqua pulita bollente, oppure con metodi di distillazione a vapore controllata, che sfruttano la volatilità del TCA, al fine di trascinarlo via. Tuttavia non è sempre e solo il sughero a conferire al vino il cosiddetto “sapore di tappo” al vino: a volte infatti può essere anche trasmesso al vino sia dalle botti per l’affinamento, che dalle stesse attrezzature di imbottigliamento.

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E-commerce del vino:

facciamo il punto? Abbiamo analizzato le principali difficoltà del mercato italiano sul web, ma anche gli scenari futuri e le possibili soluzioni per aumentare le vendite online.

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umeri impietosi. Nel 2015 in Italia appena lo 0,2 (zerovirgoladue ! ! ! ) delle vendite di vino sono state effettuate attraverso internet. Giusto per fare dei raffronti illuminanti, in Francia viaggiano già su valori del 10%, 8% per la Spagna, 11% per il Regno Unito e 5% per la Germania. Questi numeri, presentati lo scorso maggio ad un bel convegno a cura di “Svinando Wine Club”, sono solo in parte imputabili al ritardo sistemico italiano nella digitalizzazione. Perché lo 0,2 è


davvero troppo poco anche per il contesto italiano, nel quale comunque il commercio elettronico vale, sul totale del retail, almeno il 4%. Il vino ha quindi numeri 20 volte più bassi della media di tutte le altre categorie merceologiche. Questo è il bicchiere mezzo vuoto. Se, però, vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, questi numeri lasciano intravedere anche gli ampi margini di crescita che in prospettiva potrebbero tradursi, prima o poi, in un grande “boom” di vendite. Un po’ come è avvenuto ad esempio per la moda, una categoria merceologica partita con grande lentezza nel commercio elettronico, ma che poi negli ultimi anni ha conosciuto uno sviluppo vertiginoso. Anche in questo caso si parlava inizialmente di difficoltà strutturali legate alle caratteristiche intrinseche del prodotto e all’importanza dell’esperienza di acquisto in negozio. Eppure grazie alla presenza di operatori illuminati che hanno tracciato la strada e inventato nuove tecniche di vendita, i problemi iniziali sono stati affrontati e risolti, trasformandosi in punti di forza. Per vendere il vino on line sarebbe auspicabile fare un po’ la stessa cosa, sfruttando soprattutto quella che è la vera forza del vino italiano: la sua grande varietà. Oggi è molto complicato per un appassionato entrare in contatto con tutte le specificità di territori lontani da lui. Fatte le dovute differenze, solitamente i vini di una certa zona di produzione si vendono soprattutto nell’area geografica di appartenenza. 83

Ecco quindi che per un piemontese, ad esempio, può diventare complicato assaggiare un buon autoctono siciliano dell’Etna: probabilmente potrà riuscire a trovarne in grande distribuzione qualche espressione di una delle grandi realtà produttive siciliane, ma difficilmente potrà reperire i prodotti delle piccole cantine, quelli che davvero esprimono al massimo le caratteristiche di quel “terroir”. Già soltanto rimescolare il mercato interno farebbe benissimo alle vendite totali del vino. Poter entrare in contatto con realtà vitivinicole lontane potrebbe sollecitare la nostra curiosità e far decollare definitivamente il commercio di vino online. E, perché no, potrebbe avere interessanti ricadute anche sul turismo enogastronomico. Quale miglior biglietto da visita per una masseria pugliese o per un agriturismo abruzzese di una buona bottiglia di vino prodotta in loco? Ma quali sono i motivi per cui il vino su internet stenta a partire in Italia? Beh le ragioni sono diverse, alcune intrinseche al prodotto vino ed altre dovuti ai contesti economici generali. Prima di tutto il vino nella nostra penisola è generalmente un prodotto di facile reperibilità. Ormai c’è un bar, un winebar o enoteca anche nel più piccolo paese italiano. E non scordiamoci l’ormai onnipresente GDO, che vende quasi il 70% del vino totale (dati di winemonitor.it). Ecco quindi che la grande diffusione di punti vendita diretta finisce per penalizzare particolarmente le vendite online. In realtà la 83


facilità di approvvigionamento esiste se e solo se si tende a vedere il vino come un singolo prodotto. Ma non è così. Il vino ha infinite varietà e sfaccettature e viene comprato da consumatori molto diversi tra loro (vedi box “Le persone del vino ”). E con la crescente divulgazione della cultura del vino si tende a non comprare più sempre lo stesso prodotto ma, al contrario, si cerca di volta in volta di provare vini sempre nuovi, andando alla ricerca di particolarità geografiche o di “chicche” produttive. Se vediamo il mercato da questo punto di vista allora scopriamo che il vino non è poi un prodotto di così facile reperibilità. Ed allora andare mettere “in rete” anche quelle le bottiglie più ricercate dagli appassionati, quelle “chicche” introvabili delle piccole produzioni, potrebbe, già di per sé, andare a stimolare l’utilizzo del commercio elettronico. Un altro cruciale problema per cui l’e-commerce del vino stenta a decollare è legato all’emozione dell’acquisto. Il vino appartiene all’economia del desiderio e non a quella della necessità. E’ il prodotto di lusso per antonomasia, è volatile, non durevole, può essere molto costoso e soprattutto non è un bene necessario. Acquistando una bottiglia di vino si cerca un’esperienza, non un semplice prodotto. E le esperienze partono dal momento dell’acquisto e, se si acquista in enoteca, aiutati da un esperto, il tutto diventa ancora più coinvolgente. Ecco perché da questo punto di vista l’e-commerce appare, agli occhi del consumatore di vino, come un canale di acquisto ancora troppo penalizzante. Fatte le dovute eccezioni, i grandi siti di commercio elettronico oggi si presentano come semplici e immensi cataloghi. Metaforicamente potremmo pensarli come dei distributori automatici o come gli scaffali di un supermercato, di fronte ai quali siamo soli, con un numero elevatissimo di etichette ben schierate tra cui dover scegliere. Le informazioni presenti sono niente 84

di più delle classiche “schede tecniche”, che proprio perché “tecniche”, ci parlano ben poco delle emozioni. Ci si sente spaesati. I prezzi magari saranno anche invitanti, ma è chiaro che l’esperienza di acquisto è sicuramente triste, solitaria e poco avvincente. Inoltre, molti grandi siti e-commerce italiani, non mancano soltanto delle informazioni necessarie per un acquisto emozionale, ma anche di un’area “social”, uno spazio libero e utile al confronto tra consumatori su un prodotto nato per essere condiviso con gli altri. Il linguaggio di questi siti è invece soltanto promozionale. Si parla talmente tanto di prezzo, di sconti e coupon, che molti Produttori si rifiutano di inserire il proprio vino in questi cataloghi online, per il timore che possa finire essere sminuito se non addirittura svalutato. Senza considerare che queste politiche commerciali al ribasso, portate alla lunga, potrebbero danneggiare l’immagine generale del 84


l’intero comparto. Quanto detto sembrerebbe già abbastanza. Ma c’è di più. L’anello più debole di qualsiasi e-commerce è legato alle spedizioni (costi di imballaggio e di trasporto, le risorse da utilizzare, la gestione del magazzino, ecc). Del resto, per qualsiasi corriere espresso una bottiglia di vino è prima di tutto una merce “pesante” e “fragile”. Molti di loro non spediscono oggetti in vetro, se non confezionati in imballaggi certificati. Anche in quel caso la gestione resta comunque molto complessa. Ecco quindi che in alcuni casi i costi per la spedizione possono facilmente lievitare oltre il costo della bottiglia stessa. Eppure anche queste difficoltà intrinseche apparentemente irrisolvibili, sono almeno in parte superabili attraverso un serio lavoro di analisi del proprio catalogo prodotti e delle abitudini e gusti dei propri clienti. Fatto ciò, poi è possibile ad esempio strutturare offerte “in bundle”, che nel caso in bbbbbbbbbb 84

esame significa vendere un insieme di bottiglie diverse ma selezionate per una determinata categoria di appassionati, con un un’offerta vantaggiosa per chi compra, ma anche ottimizzata per aumentare i margini di chi vende. La nostra impressione è quindi che non si stia sfruttando nel giusto modo le immense potenzialità del web, vuoi anche per mancanza di competenze, di coraggio e creatività. Forse non si è capito bene cosa sia il prodotto vino e chi ne sia il compratore. Bisognerebbe rifondare completamente la struttura dei siti, ripartendo da un grande lavoro editoriale di scoperta e coinvolgimento degli appassionati di vino, i veri consumatori finali. Fortunatamente c’è anche qualche bella novità che si comincia a vedere online. Tra le più interessanti c’è il sito “wineowine.com” ad esempio, ma anche lo stesso “Viniamo.it” con le sue innovative playlist. Ma di questo ne parleremo nel prossimo numero. ■

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E-commerce

people

■ Esistono diversi modi per vendere il vino on line. Nell’articolo precedente ne abbiamo toccato qualcuno, ma per ognuno di essi esistono varianti anche importanti che coinvolgono la gestione del magazzino, il dropshipping (far partire le merci direttamente dai produttori, senza avere un magazzino), il collegamento con esercizi commerciali fisici, le vendite flash, la politica dei prezzi, la politica delle spedizioni. Insomma Gianluca c’è grande confusione sotto il cielo, ci racconti qual’é la tua idea? <<Io credo che finché si considera l’e-commerce come un settore e il vino un prodotto “unitario” non se ne esce. L’unico modo di vedere correttamente la cosa è a livello di user personas, o di microtarget (e di punti di acquisto convenienti e comodi per ciascuna). Per ognuno il vino rappresenta un oggetto (inteso in senso motivazionale) differente. Ogni user persona è differente anche per nazionalità, quindi il discorso si complica ulteriormente.>> ■ Quindi esistono persone differenti che comprano vini in piattaforme on line diversificate. Puoi delinearci dei profili? << Il primo è il light consumer. Per lui il vino è qualcosa che gli viene offerto da qualcun altro a buon prezzo e senza rischi… è quasi un prodotto di design e di social object per lo storytelling. Il suo modello preferito è il flash deal, con propaggini differenti come newsletter, app, ecc. Il Light Consumer va nelle enoteche hipster, tanto odiate da“espertone” e “attivista” (vedi poi) e l’enoteca vecchio stile gli fa paura solo a guardare dentro dalla vetrina. Il suo modello? Tannico e altri. Se magari gli fai un’offerta conveniente, potrebbe pure sottoscrivere un abbonamento al tuo magazine (no, non è un errore)… Per c’è “l’espertone”, per il quale il vino è qualcosa con cui consolidare il proprio status: per lui, la ricerca è fondamentale. Non è una fatica, ma una passione. Scavare online e offline è qualcosa per cui vale la pena vivere. E’ l’unico che trova con google gli inusabili siti e-commerce delle singole cantine (dove non acquista perché le spese di spedizione gli sembrano elevatissime, visto che per lui andare in cantina è un viaggio esperienziale che pagherebbe per fare). Insomma, per vendergli qualcosa devi per forza avere un sito con un database infinito, che forza 86

Intervista a GIANLUCA DIEGOLI

comprenda pure il vino libanese (annata 2010, non quello imbevibile del 2011) che conosce solo lui e che poi però magari fa comprare alla sua enoteca sottocasa che conosce da 50 anni. Il suo modello: non lo so, non lo vorrei tra i piedi, ma ho l’impressione che buona parte dei siti di e-commerce di vino pensino a lui… Poi abbiamo l’acquirente del vino del supermercato: per lui il vino è un prodotto come un altro da mettere nel carrello, non ha più dignità della pasta o dell’affettato. “Lo consumiamo in famiglia, deve andare bene a tutti. Dammi la promo della settimana o il solito che compro sempre, che sono sicuro che mi piace. Anzi, fammi un abbonamento a un prezzo a cui non posso dire di no e toglimi il problema”. Se poi ha meno di 40 anni: “Amazon Prime? finalmente.” E poi infine, c’è l’attivista: conosce i vignaioli indipendenti, va a vederli dal vivo, pensa che la cocacola sia il male e che il vino deve essere una cosa genuina anche nella filiera. Si sente solo, ha bisogno di condividere online e offline (bevendo assieme). E’ il gruppo di acquisto, che deve essere sostenibile. Per lui lo sbattimento di dover conoscere di persona gli altri che nella sua città hanno comprato lo stesso DOC introvabile del vignaiolo di Montebudello per dividersi il carico non è uno sbatti (come per tutti gli altri personaggi) ma il momento in cui organizzare la “hasta la victoria siempre”, l’esperienza top del mese, che poi documenta in infinite gallery su Facebook. Il suo modello? Vinix, Grassroot e altri >>.

GIANLUCA DIEGOLI scrive minimarketing.it dal 2004, un blog che parla di marketing, e-commerce ed interazioni tra persone ed aziende. Laureato alla Bocconi, fa il consulente e il temporary manager, insegna allo IULM, scrive su riviste, scrive dei libri organizza con Digital Update corsi ed altro ancora...


i t a r u A s si c e c i d a r alla di Augusto Ianni

Tutelarsi dalle “avversità atmosferiche” e da tutti gli altri rischi connessi alla produzione è oggi una scelta possibile oltre che auspicabile

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ome tutte le attività imprenditoriali, la gestione di un’azienda vitivinicola o agricola in generale, è soggetta a tutti i più comuni rischi legati all’attività d’impresa. Tuttavia, questo particolare tipo di attività si svolge principalmente a cielo aperto, motivo per cui il Produttore deve tenere in conto anche i rischi legati agli eventi climatici. Grandine, fulmini, vento, nevicate o incendi, possono provocare seri danni patrimoniali, colpendo senza preavviso non solo le strutture, ma anche le stesse piante o il raccolto. Ovviamente questo tipo di eventi non sono prevedibili con precisione nell’intensità e nel tempo. KKKK 87


SICCITÁ ALLUVIONE

VENTO FORTE

COLPO DI SOLE

AVVERSITA’

ATMOSFERICHE

SBALZI TERMICI

GELO O BRINA

VENTO CALDO

GRANDINE ECCESSO DI PIOGGIA O NEVE

Sappiamo però che, prima o poi, si potranno verificare e quindi dovranno essere sempre tenuti in considerazione. Oltretutto è scientificamente provato che gli eventi naturali calamitosi che avvengono in un determinato luogo, si ripetono con una ciclicità che ha un tempo di ritorno direttamente proporzionale all’intensità: in pratica più grande è la forza sprigionata da un certo evento, tanto maggiore sarà il tempo che potrebbe trascorrere prima che si verifichi di nuovo con la medesima violenza. Ecco quindi che non aver subito in passato gravi eventi naturali, magari per 5, 10 o 20 anni, potrebbe inconsciamente indurci a sottovalutare o, peggio ancora, a non prendere proprio in considerazione una tale eventualità, che qualora invece si verificasse, potrebbe essere davvero rovinosa. Questa è la tendenza tipica dell’imprenditore imprudente, un soggetto generalmente caratterizzato da un elevato grado di “avversione al rischio”: ovvero una scarsa propensione 88

ne ad affrontare il rischio stesso, se non ad ignorarlo. Eppure, diverse compagnie assicurative hanno da tempo creato strumenti che tutelano il lavoro svolto nei campi dalle varie “avversità atmosferiche”. Queste, così come annualmente definite dal Piano Assicurativo Annuale Nazionale, sono precisamente la grandine, il vento forte, il gelo, la brina, lo sbalzo termico, l’eccesso di pioggia o neve, la siccità, il vento caldo, il colpo di sole e l’alluvione. Al verificarsi di ciascuno di essi, la tutela esercitata dalla compagnia si concretizzerà nell’erogazione di un equo indennizzo in tempi rapidi, consentendo all’impresa di far fronte prontamente alle spese di ripristino delle strutture o al mancato guadagno. Ma non solo. Alcune polizze hanno ulteriormente esteso le coperture, prevedendo indennizzi anche per i danni alle viti dovuti a insetti o larve, per il deterioramento al frutto trasportato (uva persa durante il trasporto in cantina), per i danni al prodotto finito (malfunziona87


mento degli impianti frigoriferi, rottura di bottiglie, tappo saltato, ecc), per atti vandalici o dolosi (piante tagliate o incendiate) e per molti altri casi ancora. E' sottointenso che ogni imprenditore avrà sempre la libertà di “incollarsi” tali rischi sulle proprie spalle. Una decisione discutibile, ma del tutto legittima, che nel breve periodo si tradurrebbe in un risparmio economico per l’azienda, che non dovrà impegnarsi a corrispondere (anticipatamente) un premio assicurativo. E’ però altrettanto vero che nel lungo periodo questo tipo di scelta potrebbe rivelarsi anche molto, molto pericolosa, andando a mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza dell’azienda. Ecco perché, specialmente per un’azienda agricola, che per caratteristiche proprie risulta essere maggiormente vulnerabile ed esposta al rischio naturale (e non solo), sarebbe sempre opportuno mettere a budget la stipula di una polizza, a copertura sia delle attrezzature che della stessa produzione. Del resto, non stiamo parlando di una spesa “strictu sensu”, ma di un investimento economico adeguatamente controbilanciato dalla certezza della tutela del proprio patrimonio nel (malaugurato) caso si verificasse un "sinistro". Argomenti forse scontati e assodati per l’imprenditore previdente, ma che comunque vale la pena di suggerire a chi ha iniziato a cimentarsi da poco tempo nell'affascinante mestiere di vignaiolo. ■

PRINCIPALI COPERTURE ASSICURATIVE PER AZIENDE VITIVINICOLE: RESPONSABILITÁ CIVILE TERZI - DANNI DA UTILIZZO BENI AZIENDALI - DANNI D A PRODOTTI - SPESE DI RITIRO PRODOTTI DAL MERCATO - DANNI DA PRELIEVO MERCI - DANNI DA PARTECIPAZIONI A FIERE - DANNI DA VISITE DIDATTICHE - DANNI DA MACCHINE AGRICOLE FUORI SAGOMA - DANNI DA INQUINAMENTO - R.C. PRESTATORI DI LAVORO - LESIONI A TERZI TRASPORTATI SU MEZZI AGRICOLI

BENI AZIENDALI: - INCENDIO - DANNI DA FUORIUSCITA DI ACQUA CONDOTTA - DANNI DA EVENTI ATMOSFERICI - ATTI VANDALICI E DOLOSI - FURTO - CYBER RISK - IMPIANTI FOTOVOLTAICI E BIOMASSE

MATERIA PRIME E PRODOTTI: - GRANDINE E ALTRE AVVERSITÁ ATMOSFERICHE - INCENDIO - DISPERSIONE VINO - ROTTURA BOTTIGLIE - FURTO DI VINO - ATTI VANDALICI E DOLOSI - DANNI DA FUORIUSCITA DI ACQUA CONDOTTA - PERDITA DI QUALITÁ DEL VINO IN REFRIGERAZIONE

’ AUGUSTO IANNI - Intermediario di Assicurazioni.

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Augusto si occupa da sempre di circoscrivere e di trasferire i rischi puri delle aziende e dei professionisti alle migliori condizioni. Anni di esperienza e di studi lo hanno portato a sviluppare expertise e competenze particolari che oggi mette a disposizione delle imprese agricole. Se volete potete contattarlo al numero: +39 331 9391715 oppure via e-mail: augustoianni@gmail.com


ilCinevino Setacciando a fondo il catalogo di Netflix, la piattaforma di streaming on demand più famosa al mondo, abbiamo scovato le migliori “pellicole” dedicate al settore enogastronomico.

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ai come in questo periodo in cui “il gelo at-

tanaglia la nostra penisola” (citando un abu-

sato gergo meteo-giornalistico), il trittico divano-camino-televisione esprime il meglio di sé, regalando un fascino unico a queste fredde e piovose serate invernali. E se in tutto questo disponiamo anche di un moderno servizio di streaming online e di un buon bicchiere di rosso, allora c’è davvero da sperare che la primavera non arrivi mai. E così siamo andati a curiosare nell’enorme catalogo di “Netflix” noto servizio di streaming online kkk


sbarcato in Italia poco più di un anno fa’, alla ricerca di tutti quei filmati, documentari o serie TV, dedicate a noi irriducibili enofili. C’è da premettere che il catalogo di questa piattaforma “born in the USA”, risente di un’impostazione globalizzata che non concede tantissimo spazio al vino e al cibo italiano. Comunque, è possibile trovare una discreta presenza di titoli che abbracciano il settore di nostro interesse. Tra i più gettonati troviamo l’interessante documentario “Somm” (2013), diretto da Jason Wise. Questa è la storia di quattro sommelier che stanno preparandosi a sostenere l’esame più duro al mondo, quello della “Court of Master Sommeliers” che, nella sua storia quarantennale, ha visto meno di 200 persone prenderne la qualifica. Il documentario ha uno stile serrato ed è comunque ben girato. Si passa dalle interviste ai quattro protagonisti della storia, durante il loro avvicinamento all’esame, a filmati di approfondimento sul vino e interviste a produttori e ad esperti del settore. La parte forse più interessante è legata principalmente ad uno dei protagonisti, Brian McLintic, un ex-atleta che spesso mette in relazione la preparazione fisica al percorso di studi che sta affrontando per diventare sommelier. Negli Stati Uniti “Somm” ha riscosso un enorme e forse inaspettato successo ed ha avuto il merito di aver avvicinato molte persone al mondo del vino. Tuttavia esprime una concezione del vino che esaspera un po’ troppo gli aspetti competitivi e che, dal nostro punto di vista, parla forse troppo poco del vino italiano. In ogni caso è sicuramente un “must have”, che ha di positivo anche il fatto di essere in lingua originale con sottotitoli in italiano, 64

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italiano, cosa che aiuta non poco ad apprendere il wine slang anglosassone. Nel 2015 “Somm” ha avuto anche un sequel, intitolato “Somm into the bottle”, che ne riprende lo stile documentaristico, aggiungendo però le voci dei produttori. Il saggio tramite i protagonisti racconta in modo molto affascinante l’assaggio di 10 importantissime ed introvabili bottiglie. Alla fine restituisce uno spaccato più complesso e completo del mondo vino, che viene descritto non solo attraverso l’esame di odori e sapori, ma anche analizzando le varie tecniche di produzione, i meccanismi della distribuzione, i prezzi e il collezionismo. Resta comunque un filmato da vedere possibilmente sobri, vuoi per le difficoltà linguistiche, ma anche per la complessità degli argomenti trattati. Passando dal vino alla birra vi segnaliamo “Una Nazione alla Spina”, altro filmato girato con stile hfhgh

documentaristico, che narra la nascita del birrificio Black Shirt Brewing dei fratelli Miller e del loro lavoro per raggiungere il successo. Una bella storia dal taglio molto americano, nella quale tuttavia emergono temi già visti che ruotano intorno alla famiglia unita, alla forza di volontà e al sacrificio, con l’immancabile l’happy ending. Troviamo poi un altro interessante documentario, che però questa volta ci parla del sakè, la bevanda ottenuta dalla fermentazione alcolica del riso. “The birth of sakè” è uno splendido affresco del Giappone, che riassume un’intera cultura millenaria attraverso le storie quotidiane che si sviluppano all’interno del laboratorio artigianale “Yoshida”, nella Prefettura di Ishikawa. E’ un laboratorio con 140 anni di storia, giunto alla sesta generazione, in cui non si ricorre ad alcun macchinario e in cui gli unici strumenti utilizzati per la produzione

Una scena tratta dal documentario “The birth osf sakè”di Erik Shirai.

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Massimo Bottura chef pluristellato dell’Osteria Francescana di Modena in una scena della serie “The chef table”

zione, sono solo l’olfatto, il gusto e la vista. Puro culto dell’artigianalità al servizio del sakè. Il filmato di Erik Shirai è una sorta di Grande Fratello che mostra le vicende di una dozzina di dipendenti che lasciano le loro famiglie, da ottobre ad aprile, per andare a vivere insieme nel laboratorio, lavorando dalle cinque del mattino fino a notte tarda alla ricerca della qualità estrema. 94 minuti davvero coinvolgenti e affascinanti anche per la maniera in cui sono girati: le riprese interne e le storie degli operai fanno da controcanto a fantastiche esterne nell’inverno giapponese, una fotografia malinconica degna delle migliori xilografie di Hokusai. Questa, oltre che una meravigliosa opera cinematografica, vuole essere anche una denuncia dell’attuale deriva giapponese che sta omologando cultura e tradizioni, rischiando di farle rapidamente scomparire. Dopo tanto bere sintonizziamoci ora sul food. In questo caso la produzione più ambiziosa del catalogo è senza dubbio “The Chef’s Table”, una serie di due stagioni, per 94

ble”, una serie di due stagioni, per

un totale di 12 puntate. Ogni episodio racconta la storia, le ricette e la filosofia in cucina, di uno chef di fama internazionale. Parliamo di gente del calibro di Massimo Bottura (Osteria Francescana, Modena, Italia), Dan Barber (Blue Hill Restaurant, Stone Barns e New York, USA), Francis Mallmann (El Restaurante Patagonia, Buenos Aires, Argentina), Niki Nakayama (N/Naka Restaurant, Los Angeles, USA), Ben Shewry (Attica, Melbourne, Australia) e Magnus Nilsson (Fäviken, Järpen, Svezia). Ricercato ed esteticamente curatissimo, su alcune puntate perde forse un po’ di ritmo, non tanto per colpa della regia, quanto per la personalità dei protagonisti, che attirano tutta la scena su di sé. Assolutamente da non perdere è la puntata dedicata al “nostro” Massimo Bottura, impegnato nella preparazione di un classico modenese: il “tortellino”. Solo un ultimo consiglio: non guardateli a frigorifero vuoto. Dopo viene fame. ■ 64


"ABISSI RISERVA” SPUMANTE METODO CLASSICO PAS DOSÉ - BISSON IL VINO: Bianchetta, Genovese, Vermentino e Pigato delle colline liguri per uno spumante

metodo classico dal perlage fine e persistente e colore giallo paglierino. Al naso è ampio e intenso, con note floreali e salmastre, ma anche di frutti maturi. In bocca rivela una spiccata mineralità, amalgamata a piacevoli speziature, note vanigliate e una gradevole crosta di pane.

CONSIGLIATO PERCHE': lo “spumante sommerso” di Bisson è uno prodotto davvero unico.

Frutto di una brillante idea di Pierluigi Lugano si ispira alle antiche anfore ritrovate in fondo al mare con all’interno vini rimasti sorprendentemente intatti. Un vino che riposa sul fondale della Baia del Silenzio di Sestri Levante per 18 mesi a 60 metri di profondità, senza luce, in contropressione e a una temperatura costante di 15° C. Da provare almeno 1 volta.

"FRANCIACORTA PAS DOSE’ - RISERVA” - BELON DU BELON IL VINO: al naso questo metodo classico dal colore giallo paglierino brillante evoca sfuma-

ture agrumate che si fondono piacevolmente a note di mandorla amara e crosta di pane. Al palato rivela una trama ricca e ben tessuta, in cui si elevano la spiccata acidità e la mineralità del territorio, con le fini bollicine che accarezzano dolcemente il palato.

CONSIGLIATO PERCHE': è “semplicemente” uno dei migliori interpreti del terroir di Francia-

corta. Prodotto da uve chardonnay al 90% e pinot nero con elevage sui lieviti protratto fino a ben 72 mesi. Sei lunghi anni di sacrificio che però regalano percezioni gusto-olfattive davvero ricche e complete. Il nome stesso suggerisce l’abbinamento con la regina delle ostriche, ma la sua complessità aromatica lo rende all’altezza di accompagnare egregiamente un intero pasto.

"KIUS ROSÉ“ SPUMANTE EXTRA BRUT MET. CLASSICO - M. CARPINETI IL VINO: un extra brut biologico prodotto da un antico autoctono locale in purezza, il Nero-

buono di Cori, spumantizzato con metodo tradizionale. Appagante già alla vista, con quel suo delicato e bellissimo rosa salmone che fa da sfondo a sottilissimi filari di bollicine. Ma poi le complesse note floreali e agrumate e la spiccata freschezza rendono l’esperienza ancora più interessante e complessa. In sintesi un vino seducente nel colore, intenso nel profumo, vibrante ma equilibrato nel gusto: una vera e propria esperienza sensoriale. CONSIGLIATO PERCHE': è un vino dedicato agli amanti delle bollicine da vitigni autoctoni

italiani. Perfetta sintesi del lavoro dell’uomo al servizio della tipicità del territorio di appartenenza. Vivamente consigliato l’acquisto, anche per il packaging elegante e ricercato che rende la bottiglia ancora più importante. 95


"SYRAH ROSATO SPUMANTE BRUT" IGP LAZIO - ÔMINA ROMANA IL VINO: questo Syrah Brut spumantizzato in autoclave si presenta in una elegantissima

bottiglia trasparente che ci lascia ammirare il suo colore rosato molto acceso. Nel bicchiere invece rivela un perlage sottilissimo e sprigiona profumi di frutti rossi e spezie. Ancor più interessante in bocca, nella quale spiccano l’acidità e le piacevoli note di frutta matura con la ricca nota sapida finale.

CONSIGLIATO PERCHE': Ômina Romana beneficia di un terroir ideale per la coltivazione del syrah, grazie al terreno vulcanico, all’esposizione a sud-ovest e alle intense brezze marine tirreniche. E questo prodotto in particolare è un qualcosa di difficilmente ripetibile perché realizzato unicamente nell’annata 2013, ovvero quando anche le condizioni climatiche sono state reputate idonee al raggiungimento del livello di qualità prefissato.

"CARDITO" MALVASIA PUNTINATA LAZIO IGP - DONATO GIANGIROLAMI IL VINO: è una malvasia puntinata in purezza prodotta da coltura biologica nei vigneti di

Doganella di Ninfa, nei pressi di un’oasi naturale in provincia di Latina. Al naso regala sensazioni davvero complesse, con gradevoli note floreali ed erbacee iniziali a cui segue un intenso fruttato di nespole e albicocca, pesca gialla e pompelmo rosa. In bocca impressiona per freschezza e per la lunga persistenza sapida che invoglia il sorso successivo .

CONSIGLIATO PERCHE' : è un prodotto davvero piacevole, pulito e sincero, che, grazie al

processo di criomacerazione riesce ad esprimere profumi intatti, definiti e intensi. E’ il vino che più spesso accompagna le nostre cene estive sul mare, fedele partner di crudi di pesce e fritture di crostacei ma anche di formaggi freschi e sapidi.

"COLLI DI LUNI - NUMERO CHIUSO” VERMENTINO DOC- LUNAE BOSONI IL VINO: un vermentino vinificato in purezza, proveniente da vigneti allevati sulle colline

spezzine prospicienti il mar ligure. Il colore è giallo paglierino brillante con riflessi dorati. Il bouquet olfattivo è completo, con note vegetali di macchia mediterranea e sentori di melone bianco, pera e miele. Il sorso è sapido e armonico, con buona freschezza, balsamicità e mineralità. Il finale di mandorla bianca è gradevole e particolarmente lungo per un bianco. CONSIGLIATO PERCHE': “Numero chiuso” è un vino dai “numeri” davvero importanti. Le rese

di appena 60 quintali per ettaro con grappoli selezionati, i 40 mesi di affinamento tra acciaio e botti di rovere e la preziosa etichetta di coloro nero e oro, apposta su appena 2600 bottiglie numerate, ne fanno un prodotto talmente esclusivo da non essere nemmeno menzionato nel sito istituzionale dell’azienda.

"GRAMINÉ” PINOT GRIGIO VIGNETI DELLE DOLOMITI IGT - LONGARIVA IL VINO: pinot grigio in purezza da viti allevate a pergola trentina. Questa però è una versio-

ne davvero particolare che colpisce subito per il colore “ramato” o a buccia di cipolla e l’eleganza degli aromi. Il quadro olfattivo presenta note floreali e aromi fruttati. Al palato è morbido e ben bilanciato, tra note fruttate e freschezza. CONSIGLIATO PERCHE': è un vino ben riuscito, strutturato e poliedrico, quasi da tutto pasto. Si abbina infatti molto bene con tantissimi piatti, dagli antipasti e i primi di mare fino ai secondi a base di carne bianche. E’ inoltre un prodotto che rispecchia perfettamente la filosofia del Produttore, Marco Manica, che realizza i suoi vini evitando sempre gli assemblaggi tra vigne diverse al fine di salvaguardare la tipicità di ciascun appezzamento. E questo vino può considerarsi l’archetipo del pinot grigio trentino.

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"TITOLO" AGLIANICO DEL VULTURE DOC - ELENA FUCCI IL VINO: versando nel calice questo Aglianico del Vulture DOC ciò che di bello risalta subito agl’occhi è il suo splendido colore rosso rubino con leggeri riflessi granati. Da qui si aprono intensi profumi di frutti rossi di bosco, rosmarino e cannella, mentre sul palato spicca il sapore piacevolmente secco e minerale, dovuto al suolo vulcanico, e la lunga persistenza aromatica nel finale. CONSIGLIATO PERCHE': il maniacale lavoro di questa azienda incentrato su un’unica

etichetta ha dato risultati davvero meravigliosi, grazie anche alle particolare condizioni pedoclimatiche della zona di Barile, alla base dell’antico vulcano spento del Monte Vulture. Siamo davanti a una delle più importanti espressioni dell’enologia lucana, che gli amanti dell’aglianico, e noi siamo tra questi, non dovrebbero assolutamente farsi scappare.

"ARNIONE” BOLGHERI SUPERIORE DOC - CAMPO ALLA SUGHERA IL VINO: è un riuscitissimo assemblaggio di merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc e petit verdot raccolti a mano, perfezionato da 18 mesi a contatto con legni francesi e 12 mesi di affinamento in bottiglia. Un vino dal color rosso rubino intenso, dal naso ricco e variegato, con frutti rossi e peperone verde su una fine base speziata di liquirizia, vaniglia e tabacco. Al palato è armonico, equilibrato e ben strutturato, con tannini vellutati e un finale estremamente appagante. CONSIGLIATO PERCHE': Campo alla Sughera produce vini con il fine ultimo dell'eccellenza.

Obiettivo ambizioso che però si realizza facilmente per merito sia del terroir di Bolgheri, che della perfezione produttiva di quest'azienda. E l’Arnione è forse il vero fuoriclasse della gamma, che preferiamo anche rispetto ad altri “supertuscans” molto più famosi e costosi.

"28 QUINTALI" MONTEPULCIANO D’ABRUZZO RISERVA DOP - LAMPATO IL VINO: bere questo vino è senza dubbio un’esperienza gustativa di grande impatto che richiama alle origini più pure di questo vitigno. Il rosso rubino molto carico, gli intensi sentori di ciliegia, liquirizia, vaniglia e tabacco, la rotondità e la persistenza fuori dal comune sicuramente non ne fanno un vino da bere tutti i giorni, bensì lo rendono ideale per i pasti a base di primi piatti al tartufo e selvaggina da pelo. CONSIGLIATO PERCHE': il vino di punta di Lampato è un prodotto elitario. Un pregiatissimo

Montepulciano 100% in tiratura limitata, con una produzione di soli 28 quintali l'annata e appena 3000 bottiglie. Una paziente lavorazione artigianale in acciaio, legno e bottiglia, che trasmette nel calice tutta l’autenticità del Re degli autoctoni abruzzesi.

"ES" PRIMITIVO DI MANDURIA DOC - GIANFRANCO FINO IL VINO: l’Es è un primitivo di Manduria da vigne con età fino a 90 anni, allevate ad alberello pugliese. Realizzato con rese bassissime (appena 400 gr di uva per pianta) è un vino potente, profumato, complesso, concentrato e caldo (oltre i 16° alcoolici) ma facilmente bevibile, con toni di amarena, macchia mediterranea, cioccolato e caffè perfettamente incastrati tra loro. Semplicemente un grande vino, di personalità e con una forte identità territoriale. CONSIGLIATO PERCHE': se oggi quest’azienda pugliese è meta di turisti ed enoappassionati che giungono da ogni parte del mondo, è perché Gianfranco Fino ha avuto il merito di elevare definitivamente il Primitivo di Manduria al rango dei più blasonati vini italiani. Anzi, ha fatto molto di più, perché il suo “Es” è attualmente riconosciuto come il miglior vino rosso d’Italia, quello che mette d’accordo le 6 principali guide italiane da ben 4 anni. Anche al nostro palato è piaciuto davvero tanto. A prescindere dai punteggi delle varie guide.

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"ISOLA DEI NURAGHI” ROSSO IGT - CARPANTE IL VINO: un Rosso dal colore impenetrabile, ottenuto da uve Cagnulari e altre uve locali,

tra cui Bovale e Pascale, che invecchia dodici mesi in botti di rovere francese e sei mesi in bottiglia; al naso annuncia l’intrigante carattere territoriale, ricco di intensi e complessi aromi di confettura, note speziate e balsamiche di macchia mediterranea. Il sorso è pieno e consistente, equilibrato e molto persistente. CONSIGLIATO PERCHE': è il top di gamma di questa importante realtà produttiva sarda.

E’ ottenuto dai vigneti più vecchi allevati ad alberello sui terreni collinari delle campagne di Usini, vicino Sassari. Un ottima espressione della zona del Coros, terroir capace di regalare ai vini mineralità e freschezza, aromaticità e una buona capacità di evoluzione nel tempo. In sintesi è un prodotto che regala un’esperienza territoriale.

"PIGNOLO” - COLLI ORIENTALI DEL FRIULI DOC - COLUTTA GIAMPAOLO IL VINO: è un rosso dotato di una grande acidità e morbidezza, ricco dei profumi tipici di

queste uve, come mora e mirtillo, che si fondono armonicamente alle note di vaniglia e cannella donate dall’invecchiamento in legno. Il bocca il vino è strutturato, con un tannino presente ma equilibrato. Il sorso è appagante, ma esige piatti tipici della tradizione friulana a base di carne sia bianca che rossa. CONSIGLIATO PERCHE': l'azienda di Gianpaolo Colutta ubicata nel Comune di Manzano,

nell’udinese, è una delle realtà vitivinicole più interessanti dell’intera Friuli-Venezia Giulia, grazie alla sua produzione molto attenta alla valorizzazione dei numerosi autoctoni locali. Questo in particolare, è un prodotto realizzato in sole 1500 rarissime bottiglie con uve in purezza di Pignolo, antichissimo vitigno friulano a bacca nera, che giova anche di un sapiente affinamento di due anni "barrique" di rovere.

"BOLLA DI URBANO - RISERVA” CESANESE DEL PIGLIO DOCG - PILEUM IL VINO: regala nel bicchiere un colore rosso rubino intenso e un’ampio spettro olfattivo,

che spazia dai netti sentori di frutti rossi tipici del vitigno fino agli aromi di sottobosco, spezie e vaniglia, dovuti alla maturazione in legni di Slavonia. In bocca è secco, strutturato e molto concentrato, con tannini morbidi e avvolgenti e un finale amarognolo, persistente e molto gradevole. Nettare ideale per paste con ragù di carne e secondi piatti di selvaggina. CONSIGLIATO PERCHE': è ricavato da un vitigno autoctono di antichissima tradizioni,

il Cesanese del Piglio, che oggi è la prima e unica DOCG rossa del Lazio. E questa Riserva, prodotta dopo un'attenta selezione delle migliori uve degli appezzamenti più vecchi della zona, è una delle etichette più ricercate in assoluto per gli amanti di questa Denominazione, perché particolarmente rappresentativa delle caratteristiche del vitigno di provenienza.

"VIN SANTO DEL CHIANTI DOC” - POGGIO TERRALBA IL VINO: il colore ambrato scuro tradisce il lungo invecchiamento in botte e in bottiglia,

ma i riflessi dorati ancora accesi sono solo il primo indizio della suo stato di forma. E’ un nettare molto denso e profumato, che però ha bisogno del suo tempo regalare al naso le sue infinite sfumature: inizialmente impone sentori di confettura, uva passa e miele di castagno, per poi lasciare lentamente la scena a note di cioccolato bianco, caffè e tabacco. Il gusto è equilibrato e delicatamente dolce, con un finale estremamente prolungato. CONSIGLIATO PERCHE': è un vino da meditazione (blend di trebbiano e San Colombano) da agricoltura biologica, in tiratura sempre limitatissima (mai oltre le 500 bottiglie da 0,375). Colpisce per la spiccata acidità (nonostante i 16 anni della bottiglia da noi degustata), la longevità e le capacità evolutive. Perfetto per accompagnare erborinati o dolci secchi a base di mandorla, ma anche da solo sa rendere il fine pasto estremamente appagante e piacevole.

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VINITALY 2017

PROWEIN 2017

SAPORI IN SCENA

VERONA - Immancabile appuntamento con la più grande fiera del vino al mondo, in quel di Veronfiere, da domenica 9 a mercoledì 12 aprile. Una cinquantunesima edizione che si prospetta ancora più ricca, con la riconferma quasi totale delle singole aziende e con tanti nuovi espositori. Produttori, importatori, distributori, ristoratori e giornalisti provenienti da tutto il mondo, arriveranno a Verona per conoscere le tendenze del mercato, scoprire le innovazioni e creare nuove opportunità di business. Quattro giorni di eventi, rassegne, degustazioni e workshop finalizzati all’incontro delle cantine espositrici con gli operatori del comparto e con il consumatore finale. In generale si prospetta un aumento del numero delle cantine presenti (tra i nuovi arrivi anche produttori da Usa e Regno Unito) e un miglioramento complessivo del layout del quartiere fieristico e dei servizi annessi. Novità sostanziosa per Toscana e Vininternational, con la creazione di un grande spazio espositivo di circa 4.000 metri quadrati che andrà a rimpiazzare le due tensostrutture separate allestite fino alla scorsa edizione. Inoltre sarà rivisto e ampliato il layout dei padiglioni di Piemonte e Sardegna, che saranno molto più ampi, garantendo maggiore spazio e confort agli stand dei numerosi espositori.

DÜSSELDORF - Al via la 24a edizione che si terrà dal 19 al 21 Marzo 2017 con orario dalle ore 9 alle ore 18.00. Una fiera diventata riferimento nel mondo grazie al suo alto grado di internazionalità. Vini provenienti da tutte le più importanti zone di produzione del mondo, con ben 6.200 espositori provenienti da 59 nazioni (di cui circa 1500 dalla sola Italia) che hanno utilizzato l’ultima edizione della ProWein per concludere i loro affari. Previsti oltre 55.000 visitatori specializzati provenienti da tutto il mondo, per un appuntamento ormai irrinunciabile per ogni professionista del settore.

MARIANO COMENSE (CO) - Dal 3 al 5 marzo 2017 ritorna “Sapori in Scena”, fiera del gusto promossa da Expopoint. Un “weekend di gusto” all’insegna della grande tradizione culinaria briantea e lariana in programma presso il Palazzo Storico delle Esposizioni di Mariano Comense. Tre piani espositivi con un’area disponibile di oltre 1.800 mq, divisa in 3 aree tematiche, food, wine, beer con la presenza di produzioni tipiche locali, affiancate a tipicità e a prodotti di altre regioni italiane per offrire al visitatore, uno spaccato delle eccellenze dell’enogastronomia italiana.

BUON VIVERE

OLIO CAPITALE

PIACENZA - Dal 3 al 5 Marzo apre i battenti a Piacenza Expo la mostra mercato dedicata dedicato ai prodotti enogastronomici tipici e di qualità. Un percorso volto a valorizzare i prodotti agroalimentari tipici, attraverso un’ampia area espositiva, laboratori culinari degustazioni guidate e convegni in collaborazione con Istituzioni e Categorie di settore.

TRIESTE - Dal 4 al 7 marzo 2017 si aprirà la 11a edizione di Olio Capitale, l’importante fiera che punta esclusivamente sull'extravergine di qualità. Oltre 300 aziende presenti al salone già nel 2016, provenienti da Italia, Croazia e Grecia. Un appuntamento per conoscere i produttori, capire come scegliere un buon prodotto e imparare i corretti abbinamenti.


Anno II - Numero Uno Febbraio 2017 Nella foto in copertina: Daniele Cernilli .......................................................

Gli eroici vigneti della Costiera

Editore: Antea dev Srls Via Tiburtina, 912 00156 - ROMA CF e P.IVA: 13784521000

..................................................... Responsabili del Progetto editoriale: Federico Dini e Andrea Vellone. Per la pubblicità: pubblicita@ipiaceridellavite.it Cell: (+39) 349 0750182 Distribuzione online: www.ipiaceridellavite.it www.wineday.it Pagina Facebook: WINE DAY

Un Cesanese non convenzionale

..................................................... Hanno collaborato a questo numero: Edoardo Celletti Castantino D’Aulisio Garigliota Augusto Ianni Sandro Notargiacomo .....................................................

Le moderne Cattedrali di Dioniso (2a parte: estero)

Si ringraziano: Daniele Cernilli Gianluca Diegoli Igor Palombi

Andrea Cervone Iolanda Maggio Antonio Papa

..................................................... “I Piaceri della Vite" è un prodotto editoriale online realizzato unicamente su supporto informatico e diffuso unicamente per via telematica. Visto che gli Editori non hanno fatto domanda di provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100mila euro, non sussiste alcun obbligo di registrazione al registro della stampa tenuto dal tribunale, né al R.O.C., né gli stessi sono soggetti agli obblighi di cui alla delibera dell'AGCom n. 666/08 del 26 novembre 2008. Per ricavi annui da attività editoriale si intendono i ricavi derivanti da abbonamenti e vendita in qualsiasi forma, ivi compresa l’offerta di singoli contenuti a pagamento, da pubblicità e sponsorizzazioni, da contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati. (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale”)

Le enoteche on line

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Abbuoto, un grappolo di storia


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