5 Editoriale IV 6 Buone Nuove
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SPECIALE VENDEMMIA 2017: 10 Che vino sarà? VENI VIDI VINI: 24 Candidaterra, prove di viticoltura eroica 30 Hum, un incantevole moscato SORSI DI ECCELLENZA: 36 I bianchi della Valle Isarco 40 I vini sommersi di Cantina nel Mare 46 Timox, istruzioni per l’uso I PIACERI DEL PALATO: 52 Il nuovo Regno del “Cuciniere”
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LA RICETTA SVELATA: 56 Il Nero a colori I PAESAGGI DEL VINO: 62 Franciacorta, le bolle del Lago d’Iseo E ancora… 66 Progetto WineBar 71 Vitis Vinifera, benessere a grappoli 74 Diritto di tappo, chi ha ragione? 78 Che produttore sei? 82 Vini e racconti di fine estate 87 Le mie degustazioni 90 Appuntamenti da gustare 94 E nel prossimo numero?
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ettembre, il mese della vendemmia da sempre. E questo numero non poteva che partire dalla cronaca di questo antico rituale che da secoli si ripete nelle nostre campagne, accompagnando gli ultimi scampoli di estate. Un evento sempre molto atteso e dal grande valore simbolico, un suggestivo passaggio di consegne, in cui Madre Natura cede definitivamente il suo più nobile frutto all’uomo, che dovrà trasformarlo in vino. Messo però da parte il suo risvolto poetico, la vendemmia è soprattutto un momento molto impegnativo e sempre delicato. Di fatto rappresenta il momento topico di un anno di lavoro di migliaia di aziende vitivinicole, che può risultare compromesso anche all’ultimo momento da un qualsiasi imprevisto. E in effetti, quello che sarà il risultato della vendemmia 2017, forse come non mai, è avvolto nell’incertezza di un’annata al limite, che è stata accompagnata da eventi climatici estremi o addirittura calamitosi. Un’annata quantomeno insolita, che però, prima di essere etichettata come “storta” o “eccezionale”, va analizzata con calma e contestualizzata rispetto ai vari areali di produzione. Ecco perché, nell’articolo di copertina, abbiamo voluto dare la parola direttamente ai vignaioli che, un po’ da ogni parte d’Italia, ci hanno raccontato le problematiche affrontate durante l’annata e ci hanno anticipato le loro prime personali impressioni sulla qualità delle uve appena raccolte od ormai prossime ad esserlo. Ben consci che l’ultima parola spetterà al vostro palato, dal nostro Speciale Vendemmia 2017 è comunque venuto fuori un quadro abbastanza incoraggiante sulle potenzialità del vino che verrà.
Detto ciò, anche in questo numero abbiamo voluto spaziare nel mondo del vino a 360 gradi. Tantissimi gli argomenti trattati, non solo dal nostro punto di vista, ma anche da quello dei vari professionisti e appassionati che sempre più numerosi decidono di collaborare a questo progetto che continua a migliorare con numeri crescenti ad ogni uscita. Troverete ad esempio il wineblogger Costantino D’Aulisio Garigliota a raccontarvi il suo impatto con i bianchi della Valle Isarco, mentre l’Interior designer Anna Veronica Solvino, vi parlerà degli gli aspetti fondamentali della progettazione un winebar. E poi, con l’attento e onnipresente Andrea Salvatore, entrerete nel nuovo Regno del “Cuciniere” stellato Salvatore Tassa. Immancabili infine, le nostre ormai tradizionali rubriche che, complice l’estate appena trascorsa, mai come stavolta sono state sviluppate in riva al mare. Per VeniVidiVini, infatti, ci siamo tuffati tra i vigneti eroici della giovane azienda Candidaterra a Ventotene, per scoprire dove nasce il primo e unico vino prodotto sulla perla nera dell’arcipelago ponziano. Con i nostri Sorsi di Eccellenza ci siamo invece immersi nella natura monumentale di Campo Soriano, a due passi dalla riviera di Terracina, per conoscere più da vicino l’Hum di Cantina Sant’Andrea, un moscato che ci ha lasciato d’incanto. E poi ancora, La Cantina nel Mare e i suoi incredibili vini sommersi nel blu dell’Adriatico. Anche in questo numero avrete quindi tantissima carne al fuoco...da abbinare magari ad uno degli ottimi rossi segnalati dalla nostra rubrica “Le mie degustazioni”… Federico Dini & Andrea Vellone
Federico Dini, 40 anni, Geologo. Da sempre grande enoappassionato, fonda nel 2008 l’Associazione di promozione enogastronomica “Triclinium” che presiede fino al 2014. Ideatore e della rassegna nazionale “Wine Day” e organizzatore di numerosi altri eventi e format enogastronomici.
Andrea Vellone, 44 anni. 20 anni di Marketing, comunicazione, grafica, design nei più disparati campi: elettrodomestici, banche, compagnie aeree, Internet Company. Almeno fin quando non decide di dedicarsi unicamente a quella che è la sua passione di sempre....il vino!
NASCE UNA NUOVA DOC: BENVENUTO “ CHIARETTO DI BARDOLINO ” Il Chiaretto si separa dal Bardolino e diventa una DOC autonoma. Il Bardolino, a sua volta, torna alle proprie origini ottocentesche e valorizza le tre sottozone storiche: La Rocca, Montebaldo e Sommacampagna. Lo ha deciso l’assemblea dei produttori bardolinesi, su proposta del presidente del consorzio di tutela, Franco Cristoforetti. “Con la nascita della doc
autonoma del Chiaretto di Bardolino e il riconoscimento delle tre sottozone del Bardolino – spiega Cristoforetti - trova completamento il piano strategico tracciato dal giornalista Angelo Peretti e approvato dal consiglio di amministrazione del consorzio di tutela nell’estate del 2008. Fu allora che iniziò la scissione del percorso identitario del Chiaretto e del Bardolino, consentendo da un lato al nostro rosé di diventare leader produttivo assoluto tra i vini rosati italiani e dall’altro di mettere in luce la territorialità del Bardolino, facendolo approdare per la prima volta ai gradini più alti delle guide di settore”. Con la Rosé Revolution del 2014 il Chiaretto ha compiuto una netta scelta stilistica, accentuando il proprio carattere di rosé chiaro, secco e agrumato e assume ora piena indipendenza con una doc a sé stante. Il Bardolino accentua invece la propria connotazione territoriale, mettendo a frutto i risultati della zonazione del 2005 e del progetto Bardolino Village
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che ha visto una quindicina di produttori impegnati dal 2015. “Torniamo così – conclude Cristoforetti – per i nostri rossi di punta
a quelle tre sottozone che erano già state dettagliatamente descritte da Giovanni Battista Perez alla fine dell’Ottocento, quando i vini migliori della zona erano esportati in Svizzera per essere serviti insieme con i Borgogna e i Beaujolais”.
Le tre sottozone del Bardolino doc saranno: La Rocca (relativa ai comuni del territorio dell’antico Distretto di Bardolino), Bardolino Montebaldo (inerente il tratto pedemontano dell’ex Distretto di Montebaldo) e Bardolino Sommacampagna (ossia l’area delle colline meridionali più a sud). Esordiranno insieme al Chiaretto di Bardolino DOC con la vendemmia 2018. La nascita della nuova doc del rosé e le modifiche alla doc del Bardolino apporteranno varie modifiche all’assetto produttivo. Il Chiaretto di Bardolino e il Bardolino “base”, che continuerà comunque ad essere prodotto, avranno rese massime di uva di 120q/ha, contro gli attuali 130, mentre per le tre sottozone del Bardolino si scende a 100 q/ha. I vini delle 3 sottozone usciranno sul mercato non prima di settembre dell’anno successivo alla vendemmia. I disciplinari prevedono inoltre che si utilizzino solo uve “fresche”, vietando quindi surmaturazioni o appassimenti. ■
SPARISCE LA DICHIARAZIONE DI GIACENZA CARTACEA L'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura ha accolto l’istanza di FIVI, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, di rinunciare alla richiesta di compilare la dichiarazione di giacenza in cartaceo. Sarà quindi sufficiente compilare il registro telematico. AGEA otterrà il dato direttamente dal database del SIAN, evitando così un inutile doppione. Lo ha comunicato l’Agenzia stessa con un addendum alla circolare 62281 del 31 luglio 2017. FIVI aveva scritto ad AGEA in agosto che era pronta alla disobbedienza civile nel caso in cui non fossero state accolte le proprie richieste. “Siamo molto soddisfatti di questo risultato - dichiara Matilde Poggi, presidente FIVI – e siamo
grati al Direttore di AGEA per aver voluto accogliere le nostre richieste. Ci tengo a sottolineare che questa è una vera semplificazione che va a vantaggio di tutti i produttori di vino italiani, piccoli, medi e grandi. Stupisce vedere come FIVI, che rappresenta i piccoli vignaioli indipendenti, sia stata l’unica ad avere il coraggio di muoversi in questo senso. Nessun' altra associazione di categoria ha ritenuto opportuno alzare la voce per chiedere di cancellare questo adempimento ormai inutile visto il passaggio al sistema telematico di tenuta dei registri”. ■ Fonte: Ufficio stampa FIVI
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“ELMO”, UN NUOVO VITIGNO AUTOCTONO PER LA VALPOLICELLA originario della regione austriaca Una nuova varietà a bacca rossa è della Stiria. Lo studio è avvenuto stata scoperta da Cantina Valpanall’interno di un progetto finantena Verona in un piccolo vigneto ziato dal MiPAAF (denominato della Valdonega, area collinare RGV-FAO) finalizzato alla raccolche sovrasta il centro cittadino ta, conservazione, documentaziodella città scaligera. ne ed utilizzazione di specie vegeUn'uva dai grappoli spargoli ed tali di grande rilevanza, tra cui la acini scuri, ricchi di polifenoli ed vite. Si è formalmente concluso la antociani: l'analisi molecolare ha scorsa settimana con la scelta dimostrato che non ha nessuna concordata da Cantina Valpanteassociazione con varietà finora na e Guglielmo Ferrari del nome conosciute e le è stato quindi dato "Elmo" con cui procedere all’iscriil nome di Elmo. Il ritrovamento zione del vitigno al Registro Narisale ancora al 2009, ma solo in zionale delle Varietà di Vite. questi giorni si è conclusa l'attivi“Le viti di Elmo – spiega Stefano tà di identificazione. ContemporaCasali, agronomo di Cantina Valneamente il vitigno è stato indivipantena Verona – hanno dimoduato anche a Valgatara, nel Costrato un’ottima resistenza ai pamune di Marano di Valpolicella, rassiti. La pianta è molto produtnella proprietà del viticoltore Gutiva, genera grappoli spargoli ed glielmo Ferrari. L'attività di identiacini scuri, ricchi di polifenoli ed ficazione è stata affidata da enantociani, capaci di donare un trambi al CREA (Centro di ricerca colore intenso e vivo al vino. Si Viticoltura ed Enologia) di Conesposa benissimo con le più note gliano, che, in collaborazione con varietà veronesi utilizzate norl’ex Centro per la Sperimentaziomalmente nell’uvaggio del Valpone in Vitivinicoltura della Provinlicella”. cia di Verona, ha avviato uno stu"La biodiversità – commenta Luigi dio di approfondimento sulle caTurco, presidente di Cantina Valratteristiche viticole ed enologipantena Verona - è da sempre un che. L’analisi molecolare dei due valore irrinunciabile per la nostra vigneti ha dimostrato che si tratta cantina cooperativa, che ogni andella stessa cultivar e che questa no investe molte risorse per la era diversa da qualsiasi altra vapreservazione e il miglioramento rietà conosciuta finora. del territorio che viene coltivato. L’attività di identificazione ha Tra le varie attività di tutela che la comportato ben 7 anni di ricerca e Cantina intraprende c’è l’identifidi rilievi sul campo per individuare cazione di vitigni rari e autoctoni i principali caratteri fenotipici e che vengono riscoperti negli oltre produttivi di quest’uva, una sorta 750 ettari coltivati dai soci confedi stesura della sua carta di idenritori". tità, in cui vengono descritti la L’iscrizione di Elmo al RNVV e la forma e la dimensione di tronco, successiva classificazione in amtralci, grappolo, acini e foglie. bito Regionale ne permetterà la Sono state inoltre realizzate dipossibilità di coltivazione e diffuverse microvinificazioni, sottoposione. Appena l'iter di iscrizione ste a panel di degustazione, per sarà concluso, l'intenzione di Cancomprovare le caratteristiche tina Valpantena è di riprodurre il qualitative dell’uva, da cui sono vitigno per ricavarne un vigneto emersi sentori di frutta rossa e sperimentale. La valorizzazione di spezia, che la rendono adatta anquesto vitigno permetterà di dare che all’appassimento. L'analisi un importante contributo alla digenetica ha dimostrato che non versificazione della piattaforma esiste nessun rapporto di parenampelografica e tipicizzare alcutela con altre varietà coltivate in ne produzioni enologiche dell’areloco e solo una lontana somiale viticolo veronese. ■ glianza con il vitigno Wilbacher, finanziato dal
E’ LA SICILIA LA VERA CULLA DELL’ENOLOGIA MONDIALE Il vino più antico d’Italia e del mondo è siciliano. Almeno in base alle ultimissime scoperte. Le analisi chimiche recentemente condotte in un sito del Monte Kronio, a circa 60 km da Agrigento, su contenitori di coccio, hanno fatto registrare la presenza di acido tartarico e sali di sodio, ingredienti tipici del vino, proprio quelli che i ricercatori si aspettano di trovare quando sono a “caccia” di vini preistorici. E i successivi test al Carbonio 14 hanno dimostrato che tali resti risi lessero a circa 4 mila anni prima di Cristo (quindi ben 6 mila anni or sono) nella cosiddetta Età del Rame. Un’eccezionale scoperta che fa spostare ulteriormente indietro la data di nascita della più nobile delle bevande.
PARTITO IL TRENO DEL VINO Domenica 3 settembre ha preso il via dalla stazione di Messina l’originale iniziativa di Regione Sicilia e Fondazione FS Italiane denominata “Il Treno del vino e del gusto”. Complessivamente di 6 eventi in treno storico associati ad altrettante manifestazioni legate all’enogastronomia del territorio, uniti dal denominatore comune delle rotaie. Su di esse, infatti, diversi convogli d’epoca toccheranno alcune tra le principali province dell’isola, da Palermo fino all’Etna, accompagnando i passeggeri-visitatori alla scoperta dei più importanti eventi in programma tra settembre e ottobre. Biglietti in vendita presso tutti i canali Trenitalia. 7
UN PROGETTO DI QUALITÀ E LA PASSIONE DI UNA FAMIGLIA SICILIANA...
Da Camporeale, la città del vino.
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SPECIALE VENDEMMIA 2017
Tra fenomeni climatici estremi e calura record, con la raccolta delle uve si è ormai praticamente concluso quasi ovunque anche quest’ultimo ciclo della vite. E per capire cosa ci riserverà nei calici quest’annata così delicata e particolare, abbiamo interpellato chi gli stivali in vigna se li è sporcati per davvero.
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a diversi anni ormai, appena entrati nei mesi della vendemmia, la fase culminante del ciclo annuale della vite, un’abusata espressione comincia inesorabilmente a riecheggiare nell’etere: “Sarà un’annata eccezionale!!!” è il beneaugurante claim che, tra speranza ed esaltazione, decanta puntualmente l’irripetibile qualità delle uve appena raccolte. Che questo fenomeno sia dovuto a sano entusiasmo o a mera esigenza di marketing poco ci importa, se non fosse che con l’evidenza del poi la maggior parte di quelle annate straordinarie si siano rivelate del tutto ordinarie o, comunque, non tali da far scomodare tutti quei superlativi con una tale regolarità. Ecco però che quest’anno, quella “solita eccezionalità” che accompagnava sistematicamente la raccolta dei grappoli, sembra già essere venuta meno...
SPECIALE VENDEMMIA 2017
In effetti, attualmente, le previsioni ufficiali su scala nazionale per quanto riguarda i quantitativi sono tra le peggiori degli ultimi anni e anche gli umori sulla possibile qualità in bottiglia non sembrano dei migliori. Qualcosa a cui davvero non eravamo abituati, segno che effettivamente la situazione in generale sia preoccupante. Ma allora, concretamente, cosa mai aspettarsi dal vino dell’A.D. 2017? Con i dati di oggi, quello che possiamo dire senza timore di essere smentiti, è che quella che si sta concludendo sia stata un’annata davvero “estrema”, quasi un caso “limite”. Un’annata che qualcuno molto più autorevole di noi non ha esitato a battezzare “africana” o “tropicale”. Questo perché, almeno dal punto di vista meteoclimatico, quest’ultima parte dell’annata viticola ha fatto registrare dati da record che, di fatto, hanno costretto tantissimi Produttori a modificare tempi e modalità della raccolta come forse mai prima d’ora. Tanto per cominciare, la prolungata siccità estiva su quasi tutto il territorio nazionale e i picchi storici di temperatura rilevata, hanno portato spesso a fenomeni di maturazione precoce delle uve, di disidratazione degli acini e di aumento della concentrazione zuccherina. Tutto ciò si è tradotto, in moltissimi casi, in inedite vendemmie anticipate, a partire già dal mese di Luglio. E se poi a questo quadro, già così difficile ed incerto, aggiungiamo anche gli eventi climatici di eccezionale intensità, come le gelate e le forti grandinate di inizio primavera, le trombe d’aria e gli estesi incendi del periodo estivo e le piogge torrenziali di inizio settembre, si capisce come il risultato finale di questa vendemmia sia, mai come quest’anno, una vera incognita per tutti. Ecco perché ad oggi, nessuno di noi ha la pretesa di lanciare via etere salomonici verdetti sulla bontà dell’annata in corso o, peggio, di stilare previsioni accurate su quella che sarà la qualità generale del vino che verrà. Anche perché poi ogni singolo areale e ogni 8
Deficit pluviometrici del 2017 in Italia:
Gennaio + 17% Febbraio - 17% Marzo - 54% Aprile - 36% Maggio - 50% Giugno - 53% Luglio - 45% Agosto - 11% (dati ISAC-CNR)
Il caldo torrido e la prolungata crisi idrica estiva, simile a quelle del 2002, 2007 e 2012, hanno portato ad una sensibile disidratazione dei suoli un po’ in tutte le regioni d’Italia
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“Sicuramente questa annata sarà ricordata per le precipitazioni scarse, per non dire nulle, da Gennaio fino ad Agosto…” (Massimo Bartolini - Enologo) microclima fa storia a sé, specie in un paese tanto eterogeneo morfologicamente come il nostro caro Stivale. Ed è per questo che abbiamo preferito girare l’interrogativo posto nel titolo agli stessi vignaioli alle prese con la vendemmia. Alla fine, siamo riusciti a raccogliere un discreto gruzzolo di testimonianze provenienti da diverse regioni, dall’Etna fino alle Langhe. E il risultato è un piccolo, ma reale spaccato dell’annata vinicola italiana appena conclusasi o quasi: un quadro sicuramente non esaustivo, ma comunque oggettivo e concreto perché basato su testimonianze reali, contestualizzate rispetto allo spazio e al momento in cui ciascuno di loro si è pronunciato. Il primo a farci arrivare le sue impressioni è l’enologo Massimo Bartolini , che subito dopo Ferragosto ci ha offerto un quadro realistico della situazione in generale, almeno fino a quel momento: “Facendo l’enologo consulente
in diverse regioni italiane posso condividere le mie esperienze riguardo questa stagione. Sicuramente questa annata sarà ricordata per le scarse
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(per non dire nulle) precipitazioni da gennaio fino ad Agosto. A questo si uniscono una gelata primaverile che ha messo in ginocchio per lo più l’Italia centro-settentrionale (si parlava di un danno medio intorno al 30% che penso sarà confermato a fine vendemmia, sperando che non sia ancor più negativo) e il continuo persistere della siccità, che ha portato ad una vendemmia molto anticipata (basi spumante al sud Italia raccolte a fine luglio, al centro Italia alcune cantine sociali hanno aperto i battenti prima di ferragosto, cosa che non mi era mai capitato di sentire nelle mie precedenti 18 vendemmie). Abbiamo quindi assistito non ad una maturazione fisiologica delle uve, ma bensì ad un aumento della concentrazione zuccherina per disidratazione. Questo ha comportato una minore produzione, grappoli con acini disidratati e quindi con poco succo e rese in cantina piuttosto basse. Ovviamente non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Un ruolo importante, infatti, lo ha giocato la cosiddetta “irrigazione di soccorso”: chi ha avuto la possibilità e disponibilità (in quanto alcuni vigneti 9
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“Quel che é rimasto sulle piante era di ottima qualità, altrimenti quest'anno avremmo finito per poter non imbottigliare..." (Niccolò Marino)
dotati di impianto di irrigazione avevano laghetti o invasi pressoché asciutti) di somministrare acqua, è riuscito comunque a mitigare gli effetti negativi della stagione. Non vedo comunque questa pratica come una forzatura, almeno per quest’anno ma aiuto alla pianta, necessario per fornirle un elemento indispensabile che è venuto totalmente a mancare, almeno in alcune zone d'Italia. Sto notando però che al sud Italia, dove la cultura dell’acqua è fortemente radicata nei viticultori (spesso “irrigano anche quando piove” per essere tranquilli che l’uva non si asciughi troppo!) e dove le disponibilità idriche sono più consistenti (spesso le aziende dispongono di pozzi molto profondi da dove attingono acqua), la situazione sembra essere più in linea con le stagioni cosiddette normali. Qui le maturazioni seguono un decorso, anche se sempre un po’ anticipato, piuttosto regolare, basti pensare che 10
non hanno avuto la possibilità di irrigare oggi si trovano con uve disidratate, grado zuccherino alto e costrette a vendemmiare anticipatamente con rese in cantina piuttosto basse. Tuttavia confido nella capacità della vite di adattarsi alle situazioni di stress e credo che potremo avere una risposta qualitativa importante. Queste, almeno, sono le mie esperienze sul campo avute fin ora…” Una preziosa testimonianza, quella di Massimi Bartolini, che nell’insieme ci fornisce già diverse chiavi di lettura, utili per meglio comprendere la situazione in generale nel quale affronteremo i vari areali e le singole realtà. Il nostro “Giro d’Italia delle vendemmie” parte però dall’estremo sud della penisola: la Sicilia. Questa è un isola climaticamente molto particolare, perché risente più di qualsiasi altra zona di produzione italiana dell’influenza del continente africano. Piogge scarse e caldo torrido non sono certo una novità da queste parti. Ma a confermarci l’eccezionalità di questa annata anche qui, in particolare dalle parti di Camporeale (PA) è Niccolò Marino, che verso fine agosto, davanti ad una buona tazzina di caffè, ci raccontava:
“La vendemmia qui da noi é stata clamorosamente anticipata. Negli anni scorsi iniziava puntualmente i primi di settembre, mentre quest'anno al 5 di agosto era già terminata. Quindi, praticamente un mese prima. Per quanto le nostre piante siano abituate a temperature elevate e siccità, le condizioni estreme di quest'anno hanno davvero messo a dura prova le aziende della nostra zona. I raccolti, a causa della disidratazione degli acini, sono stati in quantità inferiori di almeno il 30% rispetto al passato, con punte, per alcuni vigneti, di - 50% e addirittura - 70%. Quel che é rimasto sulle piante – conclude - fortunatamente era di ottima qualità, altrimenti quest'anno avremmo finito per poter non imbottigliare... "
Ben altra situazione è l’Etna, che come si sa è una zona che, per caratteri-
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La presenza di queste argille è fondamentale per noi, grazie alla loro capacità di intrappolare acqua e l'umidità in profondità, permettendo alle nostre piante di idratarsi anche in estati torrivendemmia è di solito a metà ottobre! de come questa, senza soffrire un parQuella di quest'anno potrebbe venire ticolare stress idrico. Del resto il Vulanticipata, ma eventuali piogge a setture, oltre che per il nostro pregiatistembre potrebbero cambiare la qualità simo Aglianico, è famoso anche per e la quantità dell’uva e, ovviamente, le sue numerose sorgenti di acqua miperiodo della raccolta... quindi mi è difnerale. Comunque sia ad oggi (11 Setficile farti una stima o affermarti una tembre ndr) la vendemmia che prima previsione! Il mio leit motive è questo: sembrava anticipatissima, forse non sarà quel che sarà...” lo è più! Le giornate sono divenSaliamo quindi in Basilitate fresche e le escursiocata, precisamente a ni termiche che caratBarile (PZ) da cui la terizzano tutta la bravissima Elena durata delle noFucci non ci stre estati, sonasconde il no diventate suo ottimiancora più smo per accentuate. l’annata in Per cui il corso. tutto poMerito trebbe anche del rialline“terroir” arsi con del Monuna vente Vultudemmia re: “Sento classica, dire che che qui la venda noi cademmia pita di soli2017 in Itato verso la lia, causa un seconda metà estate torrida e di Ottobre. (Elena Fucci) secca, è stata e Le quantità sono sarà qualitativasensibilmente ridotmente ottima, ma scarte ma, se i viticoltori sa nelle quantità. Nel Vulhanno lavorato bene, la ture questo discorso è vero, ma qualità dovrebbe essere veramente solo in parte: a Giugno e inizio Luglio ci interessante per tutti. E sono sicura sono state alcune piogge, non abbonche questo andamento climatico condantissime, che però hanno contrastatribuirà a dare una caratterizzazione to in parte il caldo straordinario, ma il ed un’unicità ancora maggiore ai moresto del lavoro – spiega Elena - lo ha sti che nasceranno tra qualche settifatto il terreno, almeno nella mia vimana”. gna. Si tratta di un terreno di origine Buone notizie ci arrivano dal meravivulcanica, che con le sue stratificazioni glioso Salento di Gianfranco Fino . Lo narra le numerose eruzioni che furono scorso 23 di Agosto abbiamo sentito del Vulture. Ad esse si intervallano poi Produttore pugliese per avere un’autostrati di argilla che in pratica rapprerevole testimonianza anche dal tacco sentano le fasi di stasi del Vulcano. d’Italia: “Nelle terre del Primitivo di storia a sé, anche in campo vitivinicolo. A confermarcelo sono le dichiarazioni di Massimiliano Calabretta, praticamente contestuali a quelle del suo collega palermitano: “Sull'Etna la
“Sono sicura che questo andamento climatico contribuirà a dare una caratterizzazione ed un’unicità ancora maggiore ai mosti che nasceranno tra qualche settimana..."
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Manduria la vendemmia è iniziata da qualche giorno – racconta Gianfranco – dove, le svariate ondate di caldo hanno reso anticipata la maturazione, del già precoce primitivo, di circa una settimana. Da segnalare la straordinaria resistenza di questo vitigno al caldo estremo, che ormai da qualche anno arroventa il nostro areale. I giorni che hanno anticipato la vendemmia sono stati caratterizzati da venti da nord molto freschi che hanno creato delle ottime escursioni termiche. Ecco perché, tutti i vignaioli di questa terra dall’annata in corso si aspettano ottimi vini, con grandi profumi. Dal punto di vista agronomico sarà ricordata come una annata abbastanza facile, in quanto, complice il clima secco, le principali ampelopatie della vite sono state controllate agevolmente con pochissimi trattamenti. Unica nota dolente sul fronte delle rese, poiché ad oggi si stima un calo di produzione del 30%”.
Gli abbiamo poi chiesto anche un parere su quella che è la sua esperienza diretta e le sue aspettative per i suoi vini che, ormai da diversi anni, ci regalano picchi qualitativi assoluti. E Gianfranco ha aggiunto: “Nel mio caso, ri-
spetto alle vendemmie passate, la resa è rimasta praticamente immutata. Questo perché le mie vigne sono costituite da vecchie viti che, si sa, soffrono meno il caldo e hanno quindi un miglior equilibrio vegeto-produttivo. Per questo, personalmente mi aspetto dei vini di grandissima finezza, moderatamente alcolici e abbastanza freschi”. Vini
che non vediamo l’ora di assaggiare… Arriviamo in Campania in cui, già a fine agosto, si avvertiva invece una certa prudenza. Almeno nelle parole Antonio Papa, per quello che riguardava i suoi storici vigneti (anche per lui di primitivo) nella zona del Falerno del Massico: “Conosciamo tutti ormai le ano-
malie di quest'annata. Dalle gelate primaverili al problema più esteso della siccità, che sta preoccupando non poco anche i produttori di vino. Tendenzialmente nell'area di produzione del Falerno del Massico si respira un certo
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ottimismo, specie sulle varietà a bacca nera: nell'areale sud, zona di vocazione del vitigno primitivo, le uve sono sane e, seppur la pianta abbia sofferto la siccità, pare stia rispondendo bene. Il monitoraggio continuo delle uve ci farà raccogliere solo quando la maturazione fenolica sarà ottimale: infatti, il rischio maggiore quest'anno, è quello di raccogliere uva non perfetta a livello fenolico, anche se con una buona concentrazione di zucchero. Quindi massima prudenza, perché comunque non sarà un’annata facile dal punto di vista delle fermentazioni. Meno ottimistica la previsione per le varietà a bacca bianca, che hanno leggermente sofferto di più il caldo con il rischio di non produrre vini equilibrati. In ogni caso, oggi (25 agosto - ndr) è comunque ancora presto per valutare, ma di sicuro credo che avremo un anticipo rispetto al passato di circa 10 giorni sulle vigne giovani e forse 15 giorni su quelle antiche”.
“Il rischio maggiore, quest'anno, è quello di raccogliere uva non perfetta a livello fenolico...” (Antonio Papa) Nel basso Lazio invece l’annata fortunatamente sembra non aver avuto grandissime problematiche, se non legate ad incendi e altri atti dolosi. E in effetti DOC del Cesanese di Olevano Romano DOC raccogliamo ottime notizie, almeno secondo quanto pronosticato a fine agosto da Lorenzo Migrante: “Nonostante le condizioni atmosfe-
riche avverse per la coltivazione della vite e una gelata che ha colpito i miei vigneti a fine aprile, si presenta una vendemmia con una quantità molto ridotta, ma una qualità eccellente. 15
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I miei vigneti sono tutti inerbiti, quindi penso che questo abbia fatto la differenza rispetto ad altri che invece hanno sofferto molto per la siccità. La vendemmia comunque almeno per me non sarà affatto anticipata, anzi! In questo momento l'uva è ancora in fase di invaiatura, quindi si andrà a raccogliere non prima di metà Ottobre. In due parole: nonostante tutto la natura, se assecondata, fa sempre la sua parte”.
“La natura, se assecondata, fa sempre la sua parte...”
Gli fa eco, un paio di settimane dopo, il contagioso entusiasmo di Tiziana Vela dell’ Azienda Petrucca e Vela, anche lei impegnata nella raccolta del Cesanese di Affile, ma rientrante nella DOCG del Piglio: “Siamo certi che
l’annata 2017 sarà tra le migliori degli ultimi 30 anni. La così tanto sospirata vendemmia anticipata, almeno per il cesanese, non si è verificata. Siamo nei tempi giusti, le ultime visite in vigna per il controllo dei gradi zuccherini, ci fanno stare ancora tranquilli e le piogge di Settembre stanno aiutando i grappoli a rimpolparsi. La nostra previsione? Sarà un’annata eccelsa!”
(Lorenzo Migrante) Anche dal Molise arrivano impressioni molto positive. Sono quelle di Claudio Cipressi, uno dei principali protagonisti della rinascita della Tintilia, con cui abbiamo scambiato due chiacchiere subito dopo Ferragosto: “Premesso
che ogni microzona fa storia a sé, posso dire che per me finora il 2017 si è rivelata un’annata fantastica: i vigneti non hanno sofferto il caldo eccezionale e la maturazione è nella norma. Siamo stati fortunati, perché abbiamo avuto un inverno con abbondanti nevicate e poi durante l’estate abbiamo avuto delle piogge che fortunatamente non hanno arrecato danni. Sono convinto che nella mia zona andremo a vendemmiare tra fine settembre e inizio ottobre, ad esclusione delle uve precoci, che però io non possiedo.
Un pizzico di preoccupazione arriva dalla provincia di Latina, dove Chiara Fabietti, enologa presso l’Azienda Monti Cecubi, lo scorso 13 Settembre, era impegnata nella raccol-ta dell’abbuoto, un autoctono a bacca rossa coltivato da secoli nell’area di Fondi: “Vendemmia difficile. I frutti
che stiamo raccogliendo hanno visto ogni flagello: gelata di aprile, siccità bombe d’acqua dell’ultima settimana e, come se non bastasse, anche l’attacco dei cinghiali. Tuttavia i mosti sono concentratissimi e anche se è davvero presto per valutare l’annata si preannunciano dei vini ricchissimi in profumi e sostanza”.
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Il Vignaiolo Claudio Cipressi alle prese con la raccolta della Tintilia 13
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Per noi, quindi, nessuna raccolta anticipata. Lo scorso anno raccolsi ho le uve per la base spumante il 24 Agosto, ma dai risultati delle analisi di oggi forse quest'anno allungheremo addirittura di qualche giorno…”
Per noi, quindi, nessuna raccolta anticipata. Lo scorso anno raccolsi ho le uve per la base spumante il 24 Agosto, ma dai risultati delle analisi di oggi forse quest'anno allungheremo addirittura di qualche giorno…”
matico globale e l'assenza di precipitazioni hanno reso la vendemmia 2017 sofferta e difficile, con una riduzione del 20% nella produzione delle uve, soprattutto quelle precoci come il pecorino. Fortunatamente le abbondanti nevicate di quest'inverno, abbinate ad un'irrigazione di soccorso effettuata nel mese di luglio, sono risultate un prezioso contributo per l'ottenimento di una buona qualità delle uve“.
matico globale e l' assenza di precipitazioni hanno reso la vendemmia 2017 sofferta e difficile, con una riduzione del 20% nella produzione delle uve, soprattutto quelle precoci come il pecorino. Fortunatamente le abbondanti nevicate di quest'inverno, abbinate ad un' irrigazione di soccorso effettuata nel mese di luglio, sono risultate un prezioso contributo per l'ottenimento di una buona qualità delle uve“.
Dall’Abruzzo raccogliamo il contributo di Stefania Guardiani dell’azienda Agricola Guardiani Farchione che, a Tocco da Casauria tra le colline pescaresi, ha chiamato a raccolta i suoi due cavalli di battaglia, il pecorino e il Montepulciano, già tra fine agosto e inizio settembre: “Il cambiamento cli-
Saliamo ancora per arrivare in Toscana, forse la regione vitivinicola più importante d’Italia, almeno per l’importanza che copre per l’export del vino italiano (in pratica 1 bottiglia su 5 venduta all’estero proviene da qui). In generale la tendenza sembra essere stata quella di una raccolta precoce, con quantitativi ridotti rispetto al 2016 di circa il 15-20% a seconda dei distretti. Nel complesso però la qualità degli acini fa ben sperare, soprattutto nello storico areale di Montalcino. Moderato ottimismo dalla Maremma che non ha dovuto anticipare i raccolti, mentre nella zona Chianti, chi ha potuto, si è difeso dalla siccità intervenendo con irrigazione di soccorso. Da Cortona poi, ci arriva anche la rassicurante testimonianza dell’amico Riccardo Baracchi: “Qui l’annata corrente
è stata contraddistinta principalmente da due fenomeni meteorologici: la gelata primaverile e la siccità prolungata. La prima ha comportato una contrazione dello sviluppo della pianta con conseguente riduzione dei grappoli prodotti. La seconda, invece, ha provo-
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Dall’Abruzzo raccogliamo il contributo di Stefania Guardiani dell’azienda Agricola Guardiani Farchione che, a Tocco da Casauria tra le colline pescaresi, ha chiamato a raccolta i suoi due cavalli di battaglia, il pecorino e il Montepulciano, già tra fine agosto e inizio settembre: “Il cambiamento cli-
Saliamo ancora per arrivare in Toscana, forse la regione vitivinicola più importante d’Italia, almeno per l’importanza che copre per l’export del vino italiano (in pratica 1 bottiglia su 5 venduta all’estero proviene da qui). In generale la tendenza sembra essere stata quella di una raccolta precoce, con quantitativi ridotti rispetto al 2016 di circa il 15-20% a seconda dei distretti. Nel complesso però la qualità degli acini fa ben sperare, soprattutto nell’areale di Montalcino. Moderato ottimismo dalla Maremma che non ha dovuto anticipare i raccolti, mentre nella zona Chianti, chi ha potuto, si è difeso dalla siccità intervenendo con irrigazione di soccorso. Da Cortona poi, ci arriva anche la rassicurante testimonianza dell’amico Riccardo Baracchi: “Qui l’annata corrente è stata contrad-
distinta principalmente da due fenomeni meteorologici: la gelata primaverile e la siccità prolungata. La prima ha comportato una contrazione dello sviluppo della pianta con conseguente riduzione dei grappoli prodotti. La seconda, invece, ha provocato una notevole concentrazione degli zucche17
SPECIALE VENDEMMIA 2017
“Siamo pieni di speranza nel portare nei calici un Verdicchio di qualità, che parlerà di noi e del territorio da cui proviene” (Marika Socci)
cato un’elevata concentrazione degli zuccheri nelle uve e il conseguente anticipo del periodo di vendemmia. Ad oggi, possiamo dire che ci sono state delle notevoli riduzioni nelle quantità raccolte, specialmente per quei vitigni a maturazione precoce come Pinot Nero e Merlot. Per quanto riguarda le altre tipologie di uve come Trebbiano, Sangiovese, Syrah e Cabernet Sauvignon, fortunatamente le piogge degli ultimi giorni hanno migliorato sensibilmente la qualità delle uve, riportando equilibrio e regalando un enorme potenziale qualitativo. Per concludere, quella del 2017 sarà una annata dove avremo sicuramente una riduzione della quantità prodotta ma fortunatamente bilanciata da un incremento della media qualitativa. In definitiva, solo grandi vini!” Nelle Marche c’è un pizzico di apprensione per l’annata difficile, ma anche tanta speranza e fiducia nelle capacità della vite di riuscire anche quest’anno, a svolgere egregiamente il proprio mestiere, come fa da millenni. A raccontarci le sue sensazioni è la bella e brava Marika Socci , che proprio in procinto di raccogliere il suo verdicchio (il 6 settembre scorso), ci aveva confessato: ”Annata imprevedibile la 2017. Sia-
mo arrivati al periodo della raccolta ed ancora non ho trovato un termine per definirla. Ciò che è sicuro è che la natura si rialza sempre, sa come comportarsi e come affrontare al meglio le difficoltà! Il nostro Vigneto a Monte Deserto durante quest'annata è stato messo a dura prova. Innanzitutto ha dovuto convivere con le gelate di Aprile: in particolare quella intorno al 24 del mese, in cui le temperature sono scese di pochi gradi sotto lo zero. Poi il grande caldo e siccità che ci ha accompagnato per tutto il periodo estivo e le 3 grandinate subite tra giugno e luglio: due lievi, ma un’altra, a fine luglio, molto pesante che ha portato il nostro vigneto a produrre quest'anno un 35/40% in meno rispetto al solito. Il risvolto della medaglia è nell'assenza di fitopatie; il gran caldo è riuscito a
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SPECIALE VENDEMMIA 2017
a tenerci alla larga da peronospora, oidio e, non meno importante, da botrite che, a causa della forte ultima grandinata subita, ci avrebbe portato ad avere problemi davvero molto più gravi di quelli che ci siamo trovati ad affrontare e superare. Certo non ci sarà un corretto equilibrio tra qualità e quantità come solitamente accade nelle annate migliori (2016 ad esempio), ma gli acini rimasti hanno fortunatamente preso potenza e risultano ai nostri occhi sani e di un alto profilo qualitativo. Molti colleghi viticoltori hanno anticipato anche di molto la fase di raccolta, ma nel nostro vigneto questo non è accaduto. A causa della grandine la vite, se pur per un breve periodo, si è come fermata per riprendere le forze, per poi reagire e non deluderci. In questa vendemmia raccoglieremo soltanto due, forse tre delle nostre quattro etichette. D'altronde si sa che in annate così non sempre si riesce a completare la produzione. Inizieremo la fase di raccolta il 9 Settembre, come sempre pieni di speranza nel portare prima in botte poi in bottiglia e infine nei calici un Verdicchio di qualità, che parlerà di noi e del territorio da cui proviene”.
Palpabile entusiasmo sulle sponde del Lago di Garda (lato Veneto), in cui si prospetta comunque una buona annata, almeno per il vino Lugana. Qui, la capacità mitigatrice del lago, la presenza del terreno di natura argillosa capace di trattenere molto meglio l'acqua durante i periodi siccitori e il particolare adattamento che la varietà Turbiana ha sviluppato nel territorio di Lugana rendendole capaci di ben sopportare le situazioni climatiche estreme, ha permesso alle viti di non raggiungere un livello di stress idrico tale da compromettere la qualità delle uve, comunque supportate all’occorrenza attraverso irrigazione di soccorso. E in effetti, anche nelle dichiara16
L’entusiasmo di Marika Socci in piena vendemmia
zioni rilasciate il 6 Settembre scorso da Fabio Zenato, agronomo, vivaista e titolare con il fratello Paolo dell'azienda agricola Le Morette, traspare un certo ottimismo: "Indubbiamente la
stagione è stata ricca di insidie. Prima le gelate, poi le temperature elevate e la prolungata siccità, ma queste circostanze nella nostra zona non hanno influito in modo significativo sulla produzione e sulla qualità delle uve. Sarà un'annata – continua - facilmente paragonabile a quella del 2015. Stiamo iniziando la vendemmia, in anticipo di circa dieci giorni rispetto allo scorso anno. Le uve sono molto sane, integre, e con tenore zuccherino elevato: ci daranno vini (Lugana) godibili da fin da subito con un'espressione aromatica più tendente al frutto rispetto al consueto".
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“L’annata la si giudica sempre in vasca” (Paolo Carlo Ghislandi)
Terminiamo il nostro “enogiro” con il Piemonte, da cui ci arrivano diverse testimonianze, abbastanza eterogenee tra loro. La prima in ordine di tempo è quella di Paolo Carlo Ghislandi (“Cascina I Carpini”) che, intorno a Ferragosto, ci fa pervenire il suo sempre autorevole parere su quella che è la situazione da lui riscontrata sui Colli Tortonesi: “Diciamo che
è ancora presto per dire l'ultima parola. L'annata la si giudica sempre in vasca. La vigna conosce il suo mestiere e si adatta meglio di noi. Personalmente ho scelto di non diradare e non sfogliare. La pianta ha subìto un anticipo di fioritura, al quale è seguita una forte gelata e poi uno stress idrico con ritardo di maturazione. Alla fine, per quanto mi riguarda, la vigna ci regalerà un raccolto valido. Bisogna solo lasciarla riprendere con calma a fine stagione, senza cedere alla smania di anticipare la vendemmia. L’irrigazione di soccorso non la pratico e non mi esprimo al riguardo. In generale le forzature non le ho mai amate….”
Dal Monferrato Beatrice Gaudio di Azienda Agricola Gaudio Bricco Mondalino ci fotografa la situazione tra i suoi vigneti a barbera e grignolino: “La vendemmia 2017 sarà molto diver-
sa da quella del 2016, pur essendo state due annate apparentemente simili dal punto di vista delle temperature. Quest’anno abbiamo uva con buccia durissima, rese basse, maturazioni molto disomogenee rispetto alle posizioni delle vigne. Quindi anche la vendemmia segue il ritmo delle campionature. Si vendemmia quando è ora, e non a casaccio. Il Grignolino, che è il nostro vino del cuore, ha raggiunto una maturazione ottimale nei vinaccioli, quindi ci attendiamo equilibrio nei tannini, il colore è leggermente più scarico dello scorso anno. In generale il grado alcolico, sia del Barbera che del Grignolino, sono più alti rispetto il 2016”.
Da Barolo (CN) ci arriva un moderato ottimismo, almeno secondo le dichiarazioni di Aldo Vajra ad inizio vendemmia, nella prima settimana di Settembre: “Nella nostra zona, a diffe-
“I conti si fanno sempre con l’oste, ma ci sono mille e un motivo di gioia e serenità” (Aldo Vajra)
renza di altre in Piemonte, la vendemmia è appena iniziata con i dolcetti, ma ovviamente i nostri cuori pulsano sui Nebbioli. Anche da noi la vendemmia è in anticipo, ma c’è molta serenità. Non è il 2003, molti me lo chiedono, ma la condizioni sono molto diverse; il 2017 è stata una annata calda sì, ma diversa, e darà grandi soddisfazioni. Inoltre siamo entrati da pochi giorni in un clima perfetto, temperature più fresche, notti fredde, grande escursioni termiche. Ovviamente i conti si fanno sempre con l’oste, ma ci sono mille e un motivo di gioia e serenità”.
Grossomodo nello stesso periodo dalla Provincia di Torino ci sono arrivate anche le impressioni di Alessandro Comotto de“La Masera”, azienda nota per il suo ottimo Erbaluce di Caluso:“Per quanto riguarda la stagione viti-
vinicola di quest'anno sicuramente è stata
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SPECIALE VENDEMMIA 2017
oggetto di 2 fenomeni importanti che sono le gelate di maggio e le grandini estive, che hanno interessato anche il nostro territorio, il Canavese. Questi 2 fattori, sommati anche ad un'estate molto calda, hanno contribuito ad avere una minora resa di produzione che, nelle zone più colpite può essere ridotta anche di un 30/40%. Noi personalmente, toccando ferro per queste ultime settimane, siamo stati poco interessati sia dalle gelate che dalle grandinate, che ci hanno toccato di striscio con pochi danni. Superate queste avversità meteorologiche la conduzione della vigna è stata perfetta, in quanto il caldo ha favorito il mantenimento di uve sane con una gestione più "naturale" possibile con pochi interventi. La scorsa settimana abbiamo vendemmiato le uve per la base spumante, la cui vinificazione a metodo classico non disdegna un'acidità più importante per contribuire ad una maggiore solidità e struttura nel tempo. Qui da noi ad inizio settembre è piovuto e si sono abbassate le temperature notturne. Due componenti che favoriscono un'evoluzione di maturazione più ricca di sostanza, di freschezza e di profumi. E' ancora presto per dirlo ma anche la 2017 potrebbe essere, nonostante le avversità che ormai negli ultimi anni ci stiamo abituando a gestire, una buona annata”.
“Le vendemmie sono tutte grandi e, come i figli, quando arrivano devono per forza essere belle… ...ma cosa aspettiamo a riaprire la caccia al cinghiale?” (Walter Massa)
Ultimo ma non meno importante è il contributo del vulcanico Water Massa, che aggiunge ancora altri interessanti spunti di riflessione proiettati soprattutto sul prossimo futuro: “Le vendemmie sono tutte grandi, e
come i figli, quando arrivano devono per forza essere belle. Sui risultati la natura aiuta sempre noi contadini, anche se non sempre ci lascia fare il filotto. Chiaro è, che, per come si è evoluto il clima da qualche anno, è necessario ripensare le nostre strategie in vigna. Se in passato si pensava a sfogliare e diradare, ora occorre fare il contrario, sempre che ci si trovi in presenza di una vigna equilibrata. Anche se non sembra, noi contadini siamo costretti a stare al passo con i tempi. Lo facessero anche coloro che pensano le politiche agricole; ad esempio, cosa aspettiamo a riaprire la caccia al cinghiale? Che i cinghiali si siano mangiati tutta l’uva? Tra le tante cose utili per crescere, il gioco di squadra è la principale”. ■
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Walter Massa, vice Presidente della FIVI e titolare di Vigneti Massa
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Siamo approdati sulla perla nera dell’arcipelago ponziano per scoprire come nasce “Pandataria”, il primo vino prodotto e imbottigliato sull’isola di Ventotene, .
a r u t l o c i t i v i d e v o pr . . . a c i o r e in di F e deri c o D
uella che vi raccontiamo stavolta è forse molto più di una singolare storia di viticoltura eroica. Perché il posto che abbiamo visitato all’inizio della scorsa estate è un piccolo fazzoletto di terra scura in cui, fuori da ogni schema e ben distante da comodità e convenienza economica, c’è comunque qualcuno che, con caparbietà e ostinazione, ha deciso di coltivare la vite solo per il piacere di produrre vino di qualità. Ci troviamo a Ventotene, la leggendaria “isola delle sirene”, narrata da Omero nella sua celebre Odissea e ben conosciuta nell’antichità anche con i 24
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nomi di Pandataria o Pandaria. Appena 1,3 Kmq di superficie emersa a largo della riviera pontina, poco più di un grande scoglio lavico nel bel mezzo di un mare splendido e pescoso. Un luogo dalla bellezza abbagliante. Lo sapevano bene gli antichi romani, che per primi hanno abitato questo piccolo angolo di paradiso, peraltro lasciando tracce ben visibili della loro lunga permanenza. Su tutte, sicuramente l’antico porto, completamente scavato nel tufo, con le originali bitte scolpite nella roccia ancora oggi utilizzate per l’attracco di pescherecci e di piccole barche private. E poi, a Punta Eolo, c’è “Villa Giulia”, la spettacolare
residenza estiva di Imperatori, ma anche solitaria dimora di meste mogli esiliate. Tuttavia, tantissime altre testimonianze dell’intensa e prolungata attività romana sull’isola, sono ancora conservate sui profondi fondali del mare circostante. Frequenti sono infatti i ritrovamenti di carichi interi di antiche galee, che trasportavano verso l’isola centinaia di vasi e anfore in cui veniva conservato il garum (una sorta di condimento a base di interiora di pesce salato), ma anche l’olio d’oliva e, ovviamente, il vino. Già, il vino. In realtà non è noto se già al tempo dei Romani la vite fosse qui coltivata o se sia stata introdotta solo successivamente in era Borbonica. Quel che è certo è che la totale assenza sull’isola di acquiferi e di sorgenti di acqua dolce, ha comunque reso estremamente difficoltoso lo sviluppo di attività agricole, che si è basato unicamente su risorse idriche di origine meteorica. Eppure, se un giorno l’Isola delle lenticchie, come anche viene chiamata Ventotene in rife-
rimento al suo più famoso prodotto agricolo, dovesse diventare anche una felice “isola del vino”, lo dovrà senza dubbio alla passione e alla tenacia di un giovanissimo produttore locale. Luigi Sportiello nasce 24 anni fa a Gaeta, ma oggi vive stabilmente a Ventotene dove, tra le altre cose, gestisce il pontile galleggiante del “porto nuovo”, un facile approdo per barche private nella stagione estiva. Tuttavia negli ultimi anni, la sua costante permanenza sull’isola, prolungata anche nel più difficile periodo invernale, è stata dovuta principalmente alla sua volontà di seguire da vicino i vigneti e la produzione, in cui sta investendo moltissimo tempo e anche denaro. Ma andiamo per ordine. Abbiamo avuto il piacere di conoscere Luigi alla fine dello scorso mese di Giugno, in occasione di un nostro breve ma rilassante soggiorno sull’isola Quasi non fossimo paghi delle bellissime spiagge di nera sabbia vulcanica, del mare cristallino e del pescato freschissimo che qui è più
Le acque cristalline di Ventotene non sono nuove a ritrovamenti archeologici eccezionali: l’ultimo è avvenuto nel 2010, allorché sono stati reinvenuti i preziosi carichi di ben 5 galee romane, costituiti vasellame, oggetti in vetro e centinaia di anfore in terracotta contenenti garum, olio d’oliva e vino.
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abbondante del pane, abbiamo deciso di andare anche alla scoperta dell’unica vera realtà vitivinicola dell’isola: l’azienda “Candidaterra”. Incontriamo la prima volta Luigi proprio al pontile galleggiante e concordiamo subito una visita guidata ai vigneti. Così il giorno seguente percorrendo l’unica strada asfaltata dell’isola con un piccolo mezzo a motore, Luigi ci conduce in località “Colle Ulivi” nella parte centrale dell’isola, dove si trovano i terreni vitati di proprietà dell’azienda, avviati attraverso la supervisione dell’enologo Vincenzo Mercurio che ha curato la fase di impianto ed ha fornito tutte le preliminari indicazioni. Sfruttiamo il breve il tragitto per farci raccontare l’origine di questo progetto, che, come spesso accade, nasce una sera a cena, quasi per caso: "Eravamo
tutti a tavola durante una cena di famiglia - spiega Luigi - quando mio zio propone scherzando a mio padre di avviare una produzione vitivinicola, proprio qui sull’isola. Mio padre, nonostante fosse astemio, prese la cosa talmente sul serio che decise subito di acquistare i primi terreni per far partire questa nuova avventura..."
E così, nel 2015, nasce l’azienda “ Candidaterra ”, nome scelto in omaggio a Santa Candida, patrona di Ventotene. Il logo invece richiama invece le inconfondibili linee della caratteristica e scenografica rampa di accesso al centro storico dal porto romano, risalente al periodo di colonizzazione borbonica. Ovviamente l’idea di papà Sportiello era quella di coinvolgere attivamente la nuova generazione nel progetto e Luigi, nonostante la giovane età, non si tira indietro. Anzi, diventa subito il fulcro dell’azienda, apportandovi sin da subito tutto il suo entusiasmo. Entusiasmo che in breve tempo si trasforma in una grande passione, che traspare da ogni pianta del vigneto che visitiamo. Appena 1,2 ettari di filari radicati su un fertilissimo terreno di origine piroclastica, che godono di un’esposizione ottimale e di fresche brezze marine provenienti praticamente da ogni punto cardinale. Alle favorevoli condizioni ambientali si aggiungono le premurose cure di Luigi che, non a caso, in alcuni momenti, ci sembra addirittura accarezzare gelosamente le sue piante e i grappoli. E in effetti,
Luigi Sportiello, classe ’93, titolare dell’Azienda vitivinicola “Candidaterra”, nel suo vigneto in località “Colle Ulivi”sull’isola di Ventotene (LT). 26
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camminando tra i filari di falanghina, fiano e greco, notiamo che, nonostante i precedenti 3 mesi di siccità, tutte le piante sono davvero curate e rigogliose. Oltretutto Luigi e Vincenzo hanno previdentemente optato per una minimale potatura delle foglie, in modo tale da lasciare maggior ombreggiamento a protezione dei grappoli, che appaiono visibilmente in ottima forma. Il gran caldo ha comunque consentito alle uve di raggiungere un buon grado di maturazione già al 27 di giugno, giorno della nostra visita. La prima annata qui prodotta è stata quella del 2016, con un bianco (blend dei 3 vitigni succitati) confezionato in appena 1000 bottiglie, affinate in una grotta scavata nel tufo. Un vino che purtroppo non abbiamo avuto modo di assaggiare in quanto le poche bottiglie, frutto della primissima sperimentazione, sono andate rapidamente esaurite. In realtà gli appezzamenti di proprietà dell’azienda sarebbero già sufficienti per una produzione di circa 8-10 mila pezzi, cosa che in effetti avverrà già dall’annata in corso. Ma tutto ciò rappresenta soltanto l’inizio per Luigi, che sta già pensando di migliorare ed ingrandire la produzione acquistando altri terreni, nuove macchine e forse anche un piccolo capannone. Potrebbe sembrare poca cosa, ma il tutto deve essere rapportato alla piccolissima realtà dell’isola. Solo così si può comprendere quanto, in questo luogo, sia sottile il limite tra il riuscire a fare viticoltura di qualità e il non riuscire a farla. Anche perché tutto l’intero processo produttivo dell’azienda, compreso l’imbottigliamento, è svolto interamente sull’isola, con tutte le oggettive difficoltà e i costi che questo comporta. A partire ad esempio dal semplice reperimento di risorse umane per la
preso l’imbottigliamento, è svolto interamente sull’isola, con tutte le oggettive difficoltà e i costi che questo comporta. A partire ad esempio dal semplice reperimento di risorse umane per la vendemmia o dal trasporto delle uve fino ai locali utilizzati per la vinificazione. Ma pensiamo anche all’approvvigionamento di mezzi, merci e materiali specifici per la viticoltura e l’enologia, che qui diventa un’operazione non banale e soprattutto dispendiosa. Del resto anche le scorte di semplici beni primari qui sono sempre molto
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limitate e, comunque sia, soggette alle condizioni meteo marine, che spesso non consentono lo sbarco degli attesi rifornimenti. Te ne rendi conto soltanto soggiornando qui per qualche giorno, facendo le cose più banali. Quando infatti decidi di andare a fare la spesa (a piedi) ti accorgi che ci sono un solo forno e due piccoli alimentari (aperti tra l’altro soltanto nella stagione turistica). E poi pensi anche che tu trovi qui in piena estate (in vacanza per giunta!) e allora, per quanto quest’isola sia un posto davvero meraviglioso, provi a immaginarti cosa possa significare vivere e lavorare qui d’inverno e quanti sacrifici siano necessari per curare quotidianamente quei vigneti, così come un’azienda in toto. Ecco perché quella di Luigi è stata è una scelta appassionata e, soprattutto, coraggiosa. Una scelta “di campo” nel vero senso
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del termine, che lo porta a rimanere in quelle campagne anche nei cupi mesi invernali, durante i quali appena 300 persone abitano l’isola ( contro le 6000 che popolano l’estate). Ed è per questo che, pensando anche alla sua giovane età, siamo rimasti profondamente colpiti dalla sua ultima considerazione: “Purtroppo i giovani di Ventotene non
vogliono più coltivare la terra, vogliono fare altri lavori e magari per questo finiscono per abbandonare l’isola definitivamente… Devo ammettere che in alcuni periodi qui si fa davvero dura, ma poi bere il mio vino mi ripaga di ogni sacrificio". Ecco perché anche noi
moriamo dalla voglia di assaggiare il “Pandataria”: questo è il primo nome che i greci diedero all’isola, ma è anche il nome che Candidaterra ha scelto per quello che sarà il suo primo vino. Il primo vino di Ventotene. ■
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Negli spettacolari vigneti di Cantina Sant’Andrea, dove, tra lande incontaminate e paesaggi lunari, il Moscato di Terracina DOC raggiunge la sua massima espressione...
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o t a c s o m e l o v e t n a Un inc di Federi co Din
A
lmeno fino a qualche decennio fa, Terracina era poco più di un piccolo borgo di pescatori ai piedi dell’antichissimo Tempio di Giove Anxur, avvolto da un’interminabile distesa di oltre 1500 ettari vigneti di moscato. Una sorta di immenso giardino urbano che da monte scendeva fino al mare. Dopo la pesca, infatti, la viticoltura era probabilmente la principale fonte di sostentamento dell’intera comunità. Eppure, a testimonianza di quella tradizione vitivinicola così viva in passato, sono rimasti oggi soltanto pochi e isolati lotti ancora vitati. Questo non solo a causa della rovinosa invasione della
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fillossera, ma anche perché, dal dopoguerra in poi, si è preferito orientare gli investimenti soprattutto nell’edilizia turistica e balneare. Una scelta economicamente vincente, che però ha fatto ben poco per preservare l’integrità di quei paesaggi e di quell’immenso patrimonio ampelografico locale. Nonostante ciò, c’è ancora un posto in cui tuttora è possibile ritrovare ampi ritagli di quella viticoltura storica andata in gran parte perduta. Ci riferiamo all’area protetta di Campo Soriano, un vero Monumento Naturale incastonato tra i Monti Ausoni, ma anche un luogo nel quale la coltura della vite ha saputo mantenersi estremamente viva.
La conca di Campo Soriano è una vasta area carsica o “polje”, nella quale il terreno argilloso ricco di minerali permette lo sviluppo di un’agricoltura di qualità: oltre agli estesi vigneti, sono presenti anche diversi uliveti, con piante spesso centenarie. Inoltre, in queste stesse zone, viene anche coltivato il pregiato “Zafferano di Terracina”.
Siamo a meno di 5 chilometri in linea d’aria dal centro abitato di Terracina. E in effetti, arrivando qui, quello che inizialmente più ci sorprende, è l’incredibile repentinità con la quale si passa dal frenetico caos cittadino in piena stagione turistica, ad un paesaggio vergine e quasi incantato, in cui il verde ed il silenzio regnano incontrastati. Volgendo lo sguardo a 360 gradi per chilometri non si scorge infatti alcun edificio o altra opera antropica, fatta eccezione per la tortuosa strada, che però ci permette di acceder a questo mondo ancora puro ed incontaminato. Del resto qui, la natura è ancora l’elemento predominante del paesaggio, 30
con la fitta macchia mediterranea che colora di verde ogni centimetro quadrato dei rilievi circostanti e pervade la brezza marina dei suoi intensi profumi. Ma è all’interno della conca di Campo Soriano che il paesaggio si fa davvero spettacolare. In questa vasta depressione carsica, che i geologi chiamano “polje”, la lenta azione di dissoluzione chimica del carbonato di calcio, operata delle acque piovane in milioni di anni, ha saputo plasmare la roccia come solo un bravo scultore avrebbe potuto fare. Questo infatti, è il regno dei cosiddetti “hum”, caratteristici spuntoni di calcare dalle forme aguzze che emergono verticalmente dal rosso 31
La “Rava di San Domenico”, anche detta“ La Cattedrale”, è la singolare formazione calcarea di origine carsica che si erge tra i vigneti di Campo Soriano caratterizzando l’intero paesaggio con l’imponenza delle sue guglie rocciose.
suolo argilloso, elevandosi spesso anche al di sopra della vegetazione. Su tutti però, spicca la maestosa “Rava di San Domenico”: anche nota come “La Cattedrale” per l’imponenza delle dimensioni (ben 18 metri di altezza dal suolo) e per la forma dei pinnacoli che ricordano delle guglie gotiche questa singolare formazione è il simbolo indiscusso di Campo Soriano. Per un momento ci sembra quasi di essere atterrati sulla Luna, se non fosse per i curatissimi filari che circondano la “Rava” ad testimonianza di una viva presenza antropica inequivocabile, ma anche parecchio attiva nel difendere e preservare l’unicità di questo luogo. 32
Stiamo parlando dell’Azienda agricola “Cantina Sant’Andrea” di Gabriele e Andrea Pandolfo, che proprio a Campo Soriano, hanno deciso di coltivare e vinificare il più noto delle varietà autoctone della zona. Parliamo appunto del moscato, un uva notoriamente aromatica, ma che in realtà ben si presta anche alla produzione di vini secchi, spumantizzati e passiti. Ed è sempre qui che, dalle vigne di moscato più vecchie (con oltre 50 anni di età), si produce un vero e proprio “cru”: l’Hum è un Moscato di Terracina DOC il cui nome è riferito appunto all’appellativo scientifico de “La Cattedrale”, la spettacolare formazione calcarea che sembra 31
L’elegante etichetta, realizzata sulla base di un acquerello dell’illustratore Luciano Cisi, richiama i tratti caratteristici dei vigneti Campo Soriano, con l’inconfondibile silouette de “La Cattedrale” sullo sfondo. Tuttavia, l’intero packaging dell’Uhm si distacca completamente dalla gamma aziendale, sottolineando l’esclusività del prodotto.
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emergere proprio da questi stessi vigneti, caratterizzando l’intero paesaggio. In realtà le piante sono radicate sulle cosiddette “terre rosse”, suoli argillosi di colore bruno-rossastro, residuo finale del processo di dissoluzione carsica. Estremamente ricchi in minerali e ossidi di ferro, questi terreni offrono alle viti una base particolarmente fertile, dalla quale le radici possono attingere copiosamente. Un terroir davvero perfetto per una viticoltura di qualità. E in effetti durante la nostra visita in vigna alla fine di Luglio, abbiamo potuto osservare viti particolarmente rigogliose con frutti sanissimi. Uve che tra l’altro, complice anche l’annata particolarmente mite, si presentavano già parecchio avanti con la maturazione. Questo è il contesto nel quale viene prodotto l’Uhm. Appena 5 mila bottiglie, che però sono il risultato di ben tre vendemmie, tutte rigorosamente manuali, effettuate in tre momenti differenti: ad inizio settembre, al fine di preservare freschezza e acidità, viene raccolto anticipatamente il primo 25% di uve; la seconda raccolta (circa il 50%) viene effettuata verso la fine di settembre, momento in cui l’uva, giunta a piena maturazione, può donare tutta la complessità, le fragranze e i profumi tipici del moscato; la terza vendemmia, che completa la raccolta, avviene invece a metà Ottobre. In quest’ultima fase si raccolgono uve surmature, al fine di supportare il vino con il maggior grado zuccherino. I 3 mosti vengono poi vinificati separatamente con utilizzo di soli lieviti endogeni, per esser poi assemblati insieme.
Una perfetta alchimia che regala un prodotto eccezionale, espressione autentica del territorio d’origine. Il vino si presenta nel bicchiere con un bel giallo dorato carico, che ricorda il colore tipico del moscato che tradizionalmente veniva prodotto a Terracina alcuni decenni fa, facendolo invecchiare in cantina per qualche anno. Al naso poi, questo vino riesce a regalare gli stessi profumi che avevamo percepito nel verde di Campo Soriano: ritroviamo immediatamente la macchia mediterranea ad avvolgere le nostre narici con intense note di rosmarino e ginestra; ma nel complesso bouquet ci sono anche frutti gialli maturi e poi ancora salvia, timo e basilico. In bocca siamo pervasi da piacevoli sensazioni salmastre e minerali ben amalgamate, sostenute da una base acida sorprendente (specie in relazione all’annata della bottiglia da noi degustata: una 2013). Se vogliamo le note fruttate sono meno intense rispetto ad esempio all’Oppidum (l’altro moscato secco in purezza prodotto a Campo Soriano, da vigneti però più giovani) e anche quella sua tipica aromaticità meno spinta, ma è proprio questo che, alla fine, conferisce all’Hum quell’equilibrio che lo rende il partner ideale di tantissime portate. Un vino facilissimo da sorseggiare, ad esempio, con crostacei, frutti di mare e altro pescato fresco. Noi invece abbiamo optato per un buon pecorino di media stagionatura. Un abbinamento davvero riuscito, che tuttavia vi invitiamo a provare soltanto dopo esservi concessi una visita all’incanto di Campo Soriano. ■
L’AZIENDA:
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Cantina Sant’Andrea ha sede a Borgo Vodice, una piccola frazione di Sabaudia (LT), dove nel 1964 la famiglia Pandolfo acquistò un piccolo podere e impiantò i primi vigneti. Qui hanno sono ubicati anche i locali per la vinificazione delle uve. Tutta la cantina negli ultimi anni è stata completamente rinnovata con impianti di ultima generazione, al fine di perseguire un ulteriore livello di qualità. Un processo di ammodernamento che ha portato risultati tangibili su tutta l’ampia gamma aziendale che, ad oggi, si compone di ben 16 etichette (tra vini autoctoni ed internazionali), molte delle quali vincitrici di premi e attestati nei principali concorsi nazionali ed esteri. Info al sito: www.cantinasantandrea.it
Packaging e Grafica
IdentitĂ e Contenuti
Web e E-commerce
Consulenza e CreativitĂ
idee e progetti per comunicare il vino
www.webnwine.it
di Costantino D’Aulisio Garigliota Docente della Scuola Europea Sommelier www.enovagando.it
I bianchi
della Valle Isarco
Intensi, esuberanti, profumati. Sono i vini prodotti dai vitigni a bacca bianca tipici dell’Alto Adige, quelli dai nomi impronunciabili, ma magistralmente interpretati dal progetto della Eisacktaler Kellerei...
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nche quest’anno il “Wine Day” - nota kermesse enologica del frusinate - ha inteso omaggiare l’Alto Adige, con un laboratorio dedicato ai suoi vitigni autoctoni. Una scelta non casuale, caduta stavolta sulla superba annata 2015 che, già nei giorni conclusivi della vendemmia, aveva alimentato grandi aspettative. Estremo nord d’Italia di nuovo sotto i riflettori della rassegna che, però, rispetto alla pregressa edizione, ci porta ancora più a nord di Bolzano, precisamente nella striscia di terra conosciuta come Valle d’Isarco. Un suggestivo paesaggio naturale, dove è sita Eisacktaler Kellerei, una delle più conosciute cantine sociali unitamente all’antica Abbazia di Novacella.
Ci occupiamo quindi ancora una volta di cantine sociali che, in queste zone incarnano una realtà produttiva necessariamente cooperativa, ma tuttavia, evoluta e lungimirante. Una realtà nell’ambito della quale tanti piccoli viticoltori uniscono le forze conferendo, ciascuno di essi, i frutti di differenti terroir in un unico possibile progetto di qualità. La viticoltura in queste zone è particolare, innanzitutto perché estrema per la pendenza dei suoli, che arrivano anche a 950 metri di altitudine, ma anche per le escursioni termiche caratterizzate dall’intenso caldo estivo e fredde notti nel periodo di vendemmia. Credo sia lecito affermare, senza timore di smentita, che dell’alto Adige debba riservarsi ai bianchi il gradino più alto del podio ed è per tale motivo che il desiderio di un approfondimento sugli “autoctoni dai nomi difficili” mi stuzzicava da un po’ di tempo. Ed è così che proprio il Wine Day 2017 mi ha jjjjjjjjjjjj
mi ha offerto l’opportunità di mettere più a fuoco questi inediti vini di montagna dai profumi sensazionali ed esclusivi, in una parola, unici, che possiedono un immediato impatto seducente ed accattivante per la straordinaria inten-sità olfattiva che in questi territori è possibile ottenere. Quella che vi racconto è la cronaca di una coinvolgente degustazione di quattro autoctoni di straordinaria eleganza, prodotti dalla Eisacktaler Kellerei, cantina sociale operante in un ampio progetto di valorizzazione culturale, dove ogni piccola tessera del mosaico, gioca un ruolo indispensabile per il compimento dell’opera intera. Quando al patriarca di Costantinopoli fu offerta la parte più pregiata e tenera del maiale, egli affermò estasiato: “Aristos!” - il migliore! -. A questo proposito di generare vini d’eccellenza si è ispirata la Eisacktaler Kellerei quando ha inserito la linea Aristos nel progetto produttivo e tutti i campioni in degustazione rientrano in essa.
La Eisacktaler kellerei ha sede nel bel mezzo della Valle Isarco, uno dei paesaggi più suggestivi di tutto l’Alto Adige, caratterizzato da antichi masi e castelli, montagne maestose e versanti vitati
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Il 2015 è stato un millesimo di piccole quantità ma di grandi vini, destinati a far acquisire particolare pregio alle bottiglie prodotte nell’anno. Nel complesso l’annata ha originato vini dalla possente spalla acida, con eccellenti potenzialità di invecchiamento di cui sarà interessante seguirne l’evoluzione nel tempo. Le uve sono riuscite a raggiungere un grado di maturazione ottimale accumulando zuccheri ed estratti, soprattutto nell’ultima fase estiva calda ed asciutta, in cui la natura ha favorito un provvidenziale stress idrico alla vite, creando i presupposti per una “condizione di vendemmia perfetta”. Dei quattro vini che vi racconto il Veltliner ed il Sylvaner, fermentano a temperatura controllata per metà in grandi botti di acacia e per metà in acciaio, mentre
il Kerner ed il Gewürztraminer fermentano solo in acciaio. Per tutti e quattro è prevista una breve permanenza delle bucce nel mosto prima della trasformazione ed un successivo affinamento sur lies di almeno 7 mesi. Il primo che ci viene proposto è il Gruner-Veltliner , un vino dal colore giallo paglierino carico con riflessi verdi. Un incipit olfattivo di floreale e fruttato, con piacevoli note erbacee di fondo. Esuberanza di profumi, frutti tropicali, ananas, pesca ed una spiccata suggestione minerale. Al sorso manifesta una piena coerenza gusto olfattiva i cui profumi ritornano tonici e si addolciscono con un delicato tocco di anice. Fine fresco, rotondo ed estremamente saporito, con una lunga persistenza. Ci viene quindi servito il Sylvaner , che si presenta nel nostro calice con un bel giallo
Alcuni grappoli di Kerner in piena maturazione. Questo vitigno è stato creato in Germania nel 1929 incrociando Schiava Grossa e Riesling. 38
NON SOLO GEWÜRTZ... Protagonisti della degustazione, insieme al celebre Gewürztraniner, anche quei vitigni “minori” coltivati in Valle Isarco, come il Sylvaner, il Kerner ed il Veltliner, che però, alla prova del bicchiere, hanno saputo dare dimostrazione di grande personalità.
con evidenti toni verdognoli. Al naso emana potenti evocazioni di frutta gialla, delicata albicocca, accenno di banana e leggere note agrumate di cedro. La concentrazione di estratti è davvero notevole, a tratti quasi smisurata. Alla beva si percepisce subito una grande struttura di succo, mediamente fresco il sorso con spiccata nota mandorlata sul finale. Nel complesso comunque la morbida rotondità è in perfetto equilibrio con la dominanza acida. Passiamo poi al Kerner , vino cromaticamente caratterizzato da un giallo paglierino scarico. La pesca bianca è da subito netta, unita ad un frutto della passione e un soffuso sottofondo di fiori gialli. Al sorso poi, esplode in freschezza e ricchezza di aromi, frutta matura, agrumi, lime. Rotondo e caldo, delicatamente sapido, con un finale persistente. Non potevamo che terminare l’intrigante scaletta con il o
celebre Gewürztraminer . In un primo momento irrompe il consueto floreale tipico del vitigno, che lo rende immediatamente riconoscibile, ma che rimane delicato senza divenire invadente. L’esclusiva complessità di profumi floreali segue coerente nella beva. Diritto e di esile struttura, con un finale reso piacevole da un intenso ricordo di mandorla amara. Chiusura in bellezza di una gradevole degustazione che ha avuto soprattutto il merito di dare spazio, insieme al più famoso e ormai onnipresente Gewürztraminer, anche a quei vitigni meno noti, ma non meno interessanti, che affondano le proprie radici nella stessa terra della stessa valle. ■
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Ecco l’innovativo “concept” di Cantina nel Mare: “perle enologiche” affinate sui fondali dell’Adriatico e un modo tutto nuovo di fare marketing territoriale a 360 gradi.
di Federico Dini 40
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l vino e il mare. Due mondi tanto affascinanti, quanto lontani loro, almeno fino a ieri. Perché a sancire il sodalizio tra Dioniso e Nettuno ci ha pensato un piccolo gruppo di cocciuti sommelier di Cesenatico. Ma facciamo qualche passetto indietro. Abbiamo conosciuto questa nuova e interessantissima realtà romagnola quasi per caso, durante l’ultima edizione di Vinitaly. Almeno inizialmente, a catalizzare la nostra attenzione in particolare su questa cantina “immersa” tra le centinaia di stand del padiglione Romagnolo, è stato, non a caso, lo scenografico “acquario dei vini”...
Operazioni di posizionamento delle bottiglie sul fondale a largo della riviera Romagnola. Cantina nel mare è stata la prima azienda in Italia ad ottenere una concessione demaniale per l’affinamento di vini in mare.
Al suo interno, tra conchiglie e pesci colorati, vediamo adagiate alcune bottiglie completamente ricoperte da concrezioni marine. E proprio qui che incontriamo Marcello Fornari, ideatore e principale promotore di questo suggestivo progetto che, sin da subito, è ben felice di introdurci nel suo affascinante mondo sommerso. L’idea de “La Cantina nel Mare” nasce dalla notizia del ritrovamento, avvenuto nel 2010, del relitto di una nave affondata intorno al 1880 nell’arcipelago delle Aaland, fra Svezia e Finlandia. A bordo, i sommozzatori vi trovarono ben 168 preziosissime bottiglie con impresso il celebre marchio “Veuve Clicquot Ponsardin”. 30
Un ritrovamento eccezionale, che molto probabilmente faceva parte di una fornitura diretta alla corte degli zar di Russia, grandi consumatori di champagne. Solo nel maggio del 2012, una di quelle bottiglie è stata oggetto di un’esclusiva degustazione, con risultati talmente sorprendenti da incoraggiare il progetto denominato “A cellar in the sea”, una sperimentazione nell’arco di 50 anni del processo di invecchiamento dello Champagne in fondo al mare. I tecnici di Veuve Clicquot hanno inoltre concepito e realizzato un contenitore ritenuto ideale per l’invecchiamento sott’acqua, il “Caveau d’Aaland”, che è stato stipato d’una 41
Bottiglie di spumante ancestrale appena recuperate dal fondale. Nel corso dei sei mesi passati sott’acqua le bottiglie beneficiano di un “remuage” naturale ad opera del continuo movimento generato dalle correnti marine.
selezione delle famose “yellow label” di Vintage Rosé millesimato 2004 e di Demi Sec e poi immerso a 40 metri di profondità. E così, ispirato da questa incredibile esperienza, Marcello fa partire il suo progetto in Romagna, impostato però su una filiera cortissima e quindi, già esclusiva di per sé. Vengono infatti selezionati due antichi vitigni autoctoni romagnoli quasi estinti, l’Uva Longanesi ed il Famoso, con i quali vengono prodotti quattro vini. Le bottiglie vengono sigillate con gommalacca sul tappo e poi stivate dentro ad alcuni cestoni blindati brevettati, denominati
“Pupitres d’acciaio per remuage natu42
le marino”. Il tutto, grazie alla collabo-
razione dei pescatori di Cesenatico, è stato poi calato sul fondale del Mar Adriatico, precisamente 7km a largo dalla costa, ma solo dopo aver ottenuto un’apposita concessione demaniale (la prima in Italia per l’affinamento di vini in mare). Ed è proprio in queste acque vergini che avviene la simbiosi tra il vino ed il mare. Ad una profondità che garantisce condizioni microclimatiche irriproducibili sulla terra ferma, con la quasi totale assenza di luce, temperature costanti e sovrappressioni esterne intorno alle 4 atm, i vini possono maturare coccolati unicamente dall’armonico massaggio delle 51
Conchiglie ed altre concrezioni marine ricoprono l’esterno della bottiglia, creando un packaging unico per ogni singolo pezzo. Veri e propri tesori del mare, confezionati con cellophane trasparente, corda e un cartellino con certificato di proprietà e QR code.
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L’acquario dei vini, è l’originale idea d’arredo dedicata ai ristoranti e alle enoteche che vogliano avere in bella vista (e tenere in fresco...) gli esclusivi prodotti di Cantina nel Mare
maree. Un procedimento completamente naturale che conferisce ai vini caratteristiche eccezionali di gusto, profumo e longevità. Oltretutto, l’intera gamma che ha beneficiato dei sei mesi di stagionatura in mare, presenta un aspetto davvero unico. Le bottiglie infatti, vengono ricoperte naturalmente da conchiglie, molluschi ed altri organismi marini che con il tempo si accumulano all’esterno, realizzando così un inimitabile packaging naturale, ricercato e sempre originale in ogni singolo pezzo. Vere e proprie opere d’arte create dal mare, quasi un elemento d'arredo per le enoteche e i winebar più esclusivi. Oltretutto, La Cantina nel Mare riesce a venire incontro ai gusti di chiunque, offrendo un ampio assortimento di vini che vanno dagli spumanti ancestrali, bianchi o rosé, fino ai tradizionali bianchi fermi e ai rossi. Ovviamente, il comun denominatore dell’intera gamma è il profumo del mare conservato all’interno del cellophane che sigilla ogni bottiglia e che accompagnerà la fase dell’assaggio trasformandola in un’esperienza davvero singolare. 44
Ad aprire la gamma è il Brut Ancestrale “AdNovas”, forse il vero “must” della Cantina, a base di uva “Famoso”, del raro vitigno autoctono romagnolo a bacca bianca prodotte dall’Azienda Randi di Fusignano. Uno spumante schietto, dal sapore non alterato da zuccheri o aromi particolari, che si impone con la fragranza e il gusto aromatico deciso ed inalterato, proprio del vitigno. Metodo ancestrale utilizzato anche per le bollicine del “Rosatum di Bursòn”, prodotto da uve Longanesi provenienti dal ravennate. Uve a bacca rossa stavolta, ma vinificate in rosato come il nome latino suggerisce. Il colore tenue e il retrogusto morbido lo rendono il nettare ideale da accompagnare delicatamente piatti di pesce, senza sovrastarli. C’è poi il “Candidum” un bianco fermo da uve Famoso, vitigno romagnolo districato su territori come Fusignano, Bagnacavallo, Lugo Forlì, le cui uve sono conosciute col nome di “Rambela”. Un vino secco dal sapore morbido, ma strutturato. A differenza del brut prevalgono note più soavi, con una prevalenza aromatica dovuta alla sua particolare affinatura.
Infine, uve Longanesi anche per il “Rosso Corposo Atrum di Bursòn”, che si fa notare per il sapore deciso tipico della vinificazione in rosso di questo vitigno che viene esaltato attraverso la stagionatura in mare. In bocca è secco e pieno, con un'esplosione di sapori perfetti per accompagnare il gusto dei tradizionali piatti di carne della cucina romagnola. Questo vino sembrerebbe chiudere alla grande e invece Cantina nel Mare riesce a regalarci ancora un’altra “chicca”, forse ancor più inaspettata. Questo perché in realtà il procedimento di affinamento marino è stato esteso anche ad una birra artigianale! Ed così che, le elevate pressioni e le basse temperature delle acque, donano alla bionda “Agricolae” un sapore molto più energico, ben distinguibile rispetto alla versione classica, quella rimasta sulla terraferma. Ennesima dimostrazione della capacità del processo di stagionatura abissale di fornire benefici alle caratteristiche organolettiche di qualsiasi bevanda alcolica. Davvero “tanta roba”, eppure l’originale “concept” de “La Cantina nel Mare” non si limita al solo affinamento abissale. Ogni cliente, infatti, può prenotare in anticipo la propria bottiglia, anche prima che questa sia sott’acqua in affinamento. La prenotazione è seguita dall'inoltro di un certificato di proprietà numerato, dotato di un QR code, che consente di geolocalizzare istantaneamente la posizione esatta della bottiglia sul fondale. Il QR indica anche lo stato di affinamento del vino, dando così al cliente la possibilità di monitorare in tempo reale la stagionatura del prodotto. E se a tutto ciò aggiungiamo anche le escursioni estive di pescaturismo sulle barche dei pescatori locali, che prevedono anche una “visita” in alto mare alla Cantina, si capisce quanto nnnnnnnalto 54
quanto questa idea sia coinvolgente per il cliente, che diventa partecipe di tutte le fasi della lavorazione. Un vero e proprio crescendo di emozioni che culmina nel momento della consegna della tanto desiderata bottiglia. Oltretutto, dalla vendita di ciascuna bottiglia, Cantina nel Mare donerà 1 euro al Comune di Cesenatico in favore del recupero di un’antica fornace romana ritrovata proprio nel podere di proprietà dei Fornari, in località “Ca’ Turchi”. In essa venivano prodotte orcie olearie in terracotta utilizzate anche per conservare il vino e che oggi, non di rado, sono oggetto di importanti ritrovamenti subacquei sui fondali dell’Adriatico. Per questo tutti i vini di Cantina nel Mare hanno nomi in latino e si fregiano del marchio “PIVNCIL” di Publio Giulio Cilone, l’antico proprietario della fornace. E per favorire la riscoperta di quel suggestivo angolo di storia, la Cantina propone numerosi eventi degustativi e culturali in loco, atti a promuovere quel luogo meraviglioso, situato ad appena 7 km dalla frequentatissima riviera, eppur ancora sconosciuto non solo ai turisti, ma anche agli stessi Cesenaticensi. Un progetto quindi non soltanto estremamente affascinante e suggestivo, ma anche tecnicamente valido e sicuramente vincente, perché supportato da un modello davvero originale e innovativo. Soprattutto soppesando il fatto che tutto ciò è il frutto degli sforzi di una piccola cantina romagnola che, però, con la sua lungimiranza è riuscita a coinvolgere un intero territorio, intrecciando sinergicamente aspetti non solo puramente enogastronomici, ma anche culturali, storici, turistici e tecnologici. Chapeau. ■
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o s u ’ l r e p i n o i z istru Il Timox di Cascina I Carpini non è soltanto una grandissima interpretazione del timorasso, ma anche una privilegiata porta d’ingresso per entrare nell’incredibile mondo degli “orange wines”...
di Federico Dini 46
’ L
unico vero rammarico di questa fantastica esperienza è stato quello di non aver avuto il piacere di conoscere Paolo Carlo Ghislandi di persona. Almeno finora. Nel frattempo però, possiamo farci vanto di essere nella stretta cerchia di coloro che hanno avuto la fortuna di apprezzare gli straordinari frutti del suo lavoro... Paolo è un produttore dei Colli Tortonesi, geograficamente il punto d’incrocio di quattro grandi regioni del Nord Italia (Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia), ma anche storico snodo di attività culturali e commerciali che nei secoli hanno finito per influenzarsi e arricchirsi reciprocamente. Non colpisce, quindi, assag-
giando questi vini, che Paolo e la sua azienda “Cascina I Carpini”, siano attecchiti proprio in quello straordinario crocevia di culture, incastonato tra terre vergini e incontaminate colline. La sua, infatti, è un’enologia fatta di modernità e di cura verso la natura, che si realizza nella salvaguardia non solo della più autentica tradizione vitivinicola, ma anche dell’ecosistema, da cui si ispira e attinge a 360 gradi. Paolo, oltretutto, definisce sé stesso un “Vignaiolo per scelta”: la sua, infatti, è una scelta di vita che lo ha trascinato verso questo lavoro (quando ne svolgeva egregiamente un altro) e che lo ha portato a creare un’azienda praticamente dal nulla. Il tutto passando attraverso valutazioni radicali e rischiose che però, oggi, “col senno del poi”, assomigliano molto più a geniali intuizioni. Ecco perché, sin da subito, ha orientato la sua filosofia produttiva verso un certo tipo di agricoltura, fi-nalizzata a valorizzare il prodotto e
rispettosa dell’ambiente da cui deriva. Si spiegano così gli ingenti investimenti iniziali in tecnologia, al fine di creare cicli produttivi a basso impatto ambientale. Investimenti che, nel corso del tempo, gli hanno anche portato tantissime certificazioni di qualità (Bio in conversione, VeganOK e GreenCare). Tra l’altro, per sua scelta tutti i suoi vini sono prodotti unicamente attraverso l’utilizzo di uve da vitigni autoctoni di proprietà, al fine non solo di valorizzare il territorio ma anche di garantire al suo consumatore la provenienza delle materie prime utilizzate. Un prodotto quindi davvero a Km zero. Tutta la gamma, peraltro, viene vinificata senza inoculazione di lieviti selezionati. Ci si affida esclusivamente alle fermentazioni spontanee, anche perché, come dice Paolo “bisogna lasciare che il tempo lavori per noi…i nostri vini
escono solo quando sono pronti, senza forzature...per questo che sono capaci di reggere il tempo oltre il tempo…”
Tutta la bellezza di un grappolo di timorasso in piena maturazione: il timorasso è un autoctono dalla produzione abbastanza limitata ma dall’altissima qualità; con esso possono essere realizzarsi vini bianchi e “orange” di notevole struttura e con grandissime capacità di invecchiamento. 47
La lunga premessa era dovuta, in questo caso, per far meglio comprendere l’unicità di questi vini a chi ne legge qui adesso, senza magari aver mai avuto la possibilità di degustarli. Noi invece abbiamo avuto il piacere di farlo ed è per questo che oggi vi parleremo del Timox. Questo è un vino prodotto in pochissime bottiglie (appena 1000 nell’annata 2012) ottenuto dalla macerazione sulle bucce di uve timorasso in purezza, con il mosto che viene lasciato a fermentare in vasca scolma, con tanto di fioretta. Il passaggio successivo è un parziale elevaggio in vasi di ceramica, a cui segue l’imbotigliamento senza filtrazione. Non a caso, nella controetichetta è riportata un’inequivocabile avvertenza da parte del produttore: “Si consiglia di capovolgere e agitare la bot-
tiglia per rimettere in sospensione l’eventuale deposito”. L’istruzione suddetta non è il solito
monito a decantare il prodotto prima servirlo. E’ invece un vero e proprio invito a gustarlo torbido, rimettendo in sospensione il fondo che è parte vitale del vino e contribuisce a completarne le proprietà organolettiche. Un’altra accortezza per bere questo vino, è quella di non servirlo troppo freddo. Anzi, bisogna orientarsi più sulla temperatura di servizio di un rosso che non su quella più adatta a degustare un bianco o un rosato. Noi seguiamo alla lettera le “istruzioni per l’uso” di Paolo. All’inizio però siamo molto indecisi su quale pietanza sia meglio accostare ad un vino del genere. Fondamentalmente il Timox è prodotto da uve a bacca bianca, ma non è un vero e proprio vino bianco. Non è nemmeno un rosso, anche se viene macerato per lungo tempo sulle bucce come si fa con i grappoli a bacca nera. La sua caratteristica tonalità cromatica è un po’ una via di mezzo, ma non ha niente a che vedere con il tipico “buccia di cipolla” dei rosati. Si avvicina più al colore giallo ambrato di un passito ma, chiaramente, non è nemmeno questo. In realtà il Timox fa parte di una particolare nicchia di vini, assolutamente non convenzionali: sono i cosiddetti “orange wines”, termine coniato dagli anglosassoni per indicare quei vini dal colore arancione dorato che vengono ottenuti da uve bianche, ma mediante fermentazione del mosto con prolungato contatto con le bucce degli acini. Un procedimento di non facile realizzazione, dal quale però i vini traggono non solo la caratteristica tonalità, ma anche una maggiore complessità organolettica che, di fatto, li rende una categoria a sé. Dopo il primissimo assaggio realizziamo che trattasi di un vino davvero estremo, troppo strutturato e complesso per essere accompagnato dal piatto che avevamo individuato inizialmente. E così anche la nostra scelta si fa radicale. Decidiamo di degustarlo da solo, senza cibo. E soprattutto con la giusta calma. Perché il Timox, un po’ come un vino da meditazione, necessita dei suoi tempi per distendersi ed aprirsi perfettamente al naso del fortunato 48
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Paolo Carlo Ghislandi, owner dell’azienda vitivinicola “Cascina I Carpini”, al lavoro nella sua cantina di Pozzol Groppo (AL).
suo fortunato consumatore. Così, ricordandoci anche parole di Paolo, lasciamo “che il tempo lavori per noi” nel nostro calice, per godere a pieno delle intense e imprevedibili sensazioni che solo un vero e proprio “vino d’arte” riesce generosamente ad infondere con il passare dei minuti. E in effetti ogni singolo sorso è un viaggio in un mondo nuovo, fatto di sfumature diverse che, minuto dopo minuto, si evolvono senza soluzione di continuità. Si passa dai sentori agrumati tipici di un bianco fresco, a note che si fanno sempre più complesse, avvicinandosi lentamente a quelle proprie di un vino rosso. Col passare dei minuti si passa dal floreale (fiori d’arancio, ginestra e camomilla) allo speziato (pepe e cannella), per poi arrivare in alcuni momenti ad un sorprendente balsamico carico di menta e di alloro. Ma poi alla lunga il Timox ti catapulta davvero nel mondo dei vini da meditazione, sprigionando sorprendenti note di frutta gialla matura (nespola e albicocca) e frutta secca (fico secco, mandorla e nocciola), ma anche arancia candita, uva passa e miele d’acacia. E’ un vino che ama giocare a fare il trasformista
tra infinite contorsioni ed evoluzioni gusto-olfattive. Un appagante nettare aranciato che, in un interminabile crescendo, ti stupisce ad ogni sorso con sensazioni sempre nuove e dalla lunghissima persistenza. Un vino intrigante, suadente, ma anche non facilissimo da bere, bisogna dirlo, sia perché necessita delle giuste accortezze per essere degustato al meglio, sia perché richiede un preliminare approfondimento sul particolare procedimento produttivo e sulla filosofia aziendale, molto lontana dai classici schemi. Comunque sia, bere questo tipo di vini diventa un’esperienza davvero indimenticabile, che consigliamo soprattutto ai veri appassionati del genere. Tra i quali, ormai, ci siamo anche noi. ■
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Cascina I Carpini, non solo “orange”... O
vviamente la produzione di Cascina I Carpini non si limita all’incredibile “orange” descritto in precedenza. Anzi, la gamma aziendale si presenta davvero molto variegata e completa. In essa, il comun denominatore è la fermentazione spontanea di soli vitigni autoctoni, quasi tutti vinificati in purezza e solo in determinate annate. La gamma si apre con le suadenti bollicine del “Chiaror del Masso”, Brut ottenuto da uve mature di timorasso provenienti dal cru Maddalena. Il timorasso è anche il protagonista assoluto di una strepitosa riserva: il “Brezza d’estate 2012”, che abbiamo degustato insieme al “Timox”, è un altro vino che vi consigliamo caldamente. Rispetto al fratello “minore” però, cambia la vigna, che è radicata su un terreno più chiaro e alcalino, e cambia anche il grado di maturazione delle uve, che vengono raccolte più tardivamente, fermentate in acciaio e affinate in bottiglia dopo circa tre anni dalla vendemmia...ma la filosofia produttiva resta la stessa. Nella riserva ritroviamo infatti tutti i sapori del “Timox” ma forse ancor più esaltati (ed esaltanti!), tra l’altro supportati da una freschezza davvero sorprendente per un duemiladodici. Ulteriore conferma dell’estrema longevità di questo tipo di vini. Grande attenzione però, è riposta anche sui vitigni autoctoni a bacca rossa, con l’autoctona barbera del “Fine del Mondo 2007” su tutti. Ma la vera “chicca” è il “Terre D’Ombra 2012”, una fantastica interpretazione di Paolo Carlo Ghislandi della rara varietà “Albarossa”. L’albarossa è il figlio naturale di “papà” Nebbiolo e “mamma” Barbera. Nato nel 1938 dalla geniale intuizione del Prof. G. Dalmasso, questo interessante incrocio è stato legittimato solo nel 2001 con il riconoscimento da parte del “Centro di studio per il Miglioramento genetico e la Biologia della Vite” come vitigno idoneo alla coltivazione per il Piemonte. Anche questo è un prodotto intrigante e piacevolissimo, che vi segnaliamo per le intense note di ciliegia sotto spirito e il finale di cioccolato fondente. Nell’ampia gamma però trovano spazio anche i vitigni internazionali con il cabernet sauvignon del “Roccolo dei Carpini” (prodotto soltanto nell’annata 2011) e una grappa artigianale di Timorasso, la “Cinquantagradi”, ottenuta utilizzando un antico alambicco in rame. Tuttavia, è interessante sottolineare come alcuni tra i vari prodotti che vi abbiamo voluto segnalare sono ancora solo in fase di affinamento, in quanto, per dichiarata filosofia aziendale, l’ultima parola per la commercializzazione viene lasciata al tempo, unico deputato a decidere il momento giusto per immissione sul mercato. Del resto l’artigianalità è il vero marchio di “fabbrica”, passateci il termine, di un azienda, per scelta, agli antipodi di qualsiasi procedimento industriale. ■
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i Viaggi del gusto
Il nuovo Regno del
Cuciniere
Ad Acuto (FR) è nata “NU’ Trattoria”: più che un ristorante, è un vero atto d’amore di Salvatore Tassa per la Cucina Tradizionale Italiana.
di Andrea Salvatore
www.foodwineadvisor.wordpress.com
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T
utti conoscono il mitico Cuciniere
Salvatore Tassa. Il Genio di Acu-
to, durante le sue giornate d’estro, è capace di emozionare fino alla commozione tramite le sue pietanze. I più conoscono e hanno fatto esperienza con il suo piatto più popolare denominato “La Cipolla Fondente”, un classico esempio di come si possa fare grande cucina con materia prima povera, ma il mio consiglio è di provare l’ancora più umile e bistrattata carota. Quando i vostri occhi s’illumineranno, pensatemi...
Qualche anno fa, Salvatore ebbe la buona idea di affiancare, al suo ristorante stellato “Colline Ciociare”, un locale più easy. L’allora formula del “NU’ Bazzar” voleva essere una proposta innovativa e cosmopolita che intendeva portare la cucina del mondo a conoscenza dei giovani di Acuto e non solo. Da pochi giorni, sempre due piani sotto il ristorante, ha iniziato a lavorare “NU’ Trattoria Italiana dal 1960” che vuole essere un vero atto d’amore verso la Cucina Italiana. Sì, proprio quella che praticavano, in questo oramai storico luogo, i suoi genitori: Esterina e Bino. Certamente i tempi sono cambiati e con essi anche le ricette della neonata Trattoria. Immagino, occupando il posto a tavola, che le stesse saranno state alleggerite, proprio per poter andare meglio incontro alle mutate esigenze di alimentazione dei moderni avventori che, nella maggioranza dei casi, non fanno più lavori di “fatica”. Mi accoglie con un caloroso sorriso la Cuoca Grazia Zangrilli, in arte Tina, moglie di Salvatore. Il discorso vira subito sulla storia dei locali (ristorante e trattoria) e più in generale delle vicissitudini di vita. Il risultato è che mi sento subito avvolto in un’atmosfera familiare e di relax e mi immagino un poco come quei muratori, che da bambino, vedevo fermarsi nelle osterie
prima di far rientro nelle rispettive famiglie. In quei luoghi della memoria, essi riuscivano a rigenerarsi dalle fatiche del lavoro, grazie a quattro chiacchiere amichevoli, aiutati anche dal quartino di vino, corretto dalla gassosa. Parto a “razzo” tramite le caldissime “Crepinette”, un fritto nel quale la pasta fillo contiene il baccalà e i porri. Un antipasto “rubato” al Ristorante Le Colline Ciociare che lo proponeva negli anni 90, tanto per intenderci, insieme alla Cipolla Fondente. Ottimo, anche se andava asciugato meglio l’olio di frittura. La Tradizione richiama un vino di Territorio che sappia sgrassare bene la bocca. Chi meglio dello “charmat” di Cesanese di Casale delle Ioria potrebbe farlo? In effetti, questo vino spumante
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mi avvolge con la sua eleganza e inaspettata finezza e quindi decido di usarlo sul resto del pasto. Un doveroso ringraziamento va a Iolanda Margarita Maggio, cara Amica e Donna di squisita gentilezza e che è qui oggi, in via del tutto eccezionale, per assistere Tina, con la sua classe e il suo inarrivabile sorriso. La Tradizione è rispettata anche nel restante antipasto. Tra i salumi, oltre l’nduja, ci sono il prosciutto, la sella di maiale e la Susianella di Viterbo, mentre nei formaggi noto il pecorino e l’erborinato di Picinisco, il fiocco della Tuscia e i caprini dell’azienda Monte Jugo. Appena il tempo di prendere fiato, degustando il piacevole Rosé di Paolo Perinelli, ed ecco Tina che arriva trionfante al tavolo con un piatto di fettuccine e funghi porcini che già affascina alla vista. Lo spessore della pasta, lasciato giustamente generoso, la cottura precisissima della stessa e la freschezza del fungo creano una corale e piacevole resistenza al morso. In bocca, il trionfo di sapore di bosco è rinfrescato e reso giustamente amaro da un’opportuna spolverata di prezzemolo. Evviva la Tradizione. Ormai sono nelle mani della Cuoca. Eccola, nuovamente arrivare al tavolo per assestarmi il colpo del knock-out. I fini fini, vero vanto della Cucina Ciociara, sono qui serviti conditi dal sugo ai tre pomodori che esalta la pasta tagliata al coltello, più sottilmente dei tagliolini. Lo ammetto, questo è un piatto che non smetterei mai di mangiare. La Bravissima Tina mi ha colpito e fatto affondare in un mare di piacere. Torno sulla Terra con la portata di carne: spuntature e salsicce di maiale, appoggiate su un letto di patate al forno. Tanto per non farmi mancare nulla, Tina insiste per aggiungere anche dei funghi porcini. Il piatto richiede un vino con più spessore. Lo accompagno con Tenuta della Ioria, sempre un Cesanese di Perinelli, che abbina perfettamente sia la carne, sia il fungo, con la sua eleganza e l’intensità dei frutti 54
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rossi. Queste successive note del vino mi fanno immergere in un bosco virtuale, dove già il fungo Porcino mi aveva trasportato. Volendo è possibile abbinare un vino alla mescita, proprio quel quartino dei bei tempi andati, limitando così la spesa enologica. Il locale è stato reso ancora più luminoso. La bella terrazza esterna, nel periodo estivo, offre riparo dalla calura, aggiungendo la suggestione di cenare in un vicolo di paese. Al di là della diversificazione tra le due proposte, credo che la possibilità che ora ha Salvatore Tassa di proporre sia la Cucina Gourmet, che quella Tradizionale, sia giusta e vincente. Mi permetto di suggerire nel caso della Trattoria, di apportare, nel tempo, quei correttivi, che personalmente ritengo opportuni, verso l’uso di minor sale, grasso e zucchero, in verità oggi già minimi, che con poca sottrazione potrebbero portare la proposta verso la soluzione de La Trattoria Moderna.
Una soluzione, quest’ultima, alla quale credo dovrà essere dato sempre più spazio in futuro, proprio per rendere ancora più vincente la Cucina di Tradizione Italiana. Non sarà facile, perché la consuetudine e i palati sono stati educati a dare e ricevere “sapore”, fatte salve le talentuose eccezioni, con l’uso del trio “grasso, sale e zucchero” e questo potrebbe essere un deterrente non di poco conto. Sono altresì certo che Salvatore e Tina saranno vincenti e tra i Leader anche in quest’ulteriore e specifica opportunità della Cucina Italiana. ■
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Un piatto cucinato dallo chef Fabrizio Leone Siamo entrati nelle cucine dell’Osteria “L’Uva e un quarto” a Rocca d’Arce (FR) per scoprire i segreti di un piatto semplice nella preparazione ma complesso al palato...
A cura di Sandro Notargiacomo. Servizio fotografico di Marco Reali. 56
er il secondo appuntamento di questa gustosa rubrica consegniamo le nostre papille gustative all’Osteria “L’Uva e un quarto”. Più che un ristorante, un piccolo gioiello gastronomico ubicato in posizione strategica sulla cima dell’appuntito scoglio roccioso di Rocca D’Arce, minuscolo Comune della provincia di Frosinone di appena mille anime. E ad attenderci sul bellissimo terrazzo panoramico dell’hosteria, c’è Fabrizio Leone, fusion-chef che da tre anni ne guida con naturale innovazione la sua cucina tradizionale. Nemmeno il tempo di un fugace aperitivo che subito Fabrizio ci spalanca le porte del suo mondo, invitandoci a seguirlo davanti ai fornelli. E così ci svela i segreti di un suo piatto dal titolo accattivante ed evocativo: “Il Nero a Colori”...
Una pietanza di sicuro impatto non solo in bocca ma alla vista ma anche dai bel colore rosa acceso del gambero fresco che viene esaltato ancor più dal contrasto bianco-nero della base e della pasta. Il procedimento potrà sembrare non particolarmente impegnativo, tuttavia, nella preparazione di pietanze del genere il rischio di ottenere un piatto squilibrato verso mare o verso terra è sempre dietro l’angolo, oltre al fatto che spesso può capitare di non riuscire a far legare bene tra loro i vari sapori. E’ chiaro quindi che, per realizzare questo piatto a regola d’arte, oltre agli ingredienti base che tra poco vi sveleremo, è necessario soprattutto un bel pizzico di esperienza per dosare bene le quantità delle materie prime, che devono essere necessari mante freschissime e di prima qualità, e nel saper modulare al secondo i singoli tempi di cottura. Innanzitutto, prima ancora di accendere i fuochi, è conveniente prepararsi tutti gli ingredienti base per poi averli pronti e a portata di mano nel momento esatto in cui andranno aggiunti alla pasta. Quindi è consigliato iniziare tagliando a cubetti un bel pezzo di lardo di Colonnata. Subito dopo si andrà a preparare la tartare di gamberi di Mazara del Vallo, da tagliare a coltello in piccoli cubetti dopo averli sgusciati. Ovviamente bisognerà lasciarne qualcuno integro per poi essere utilizzato come guarnizione finale. Stesso discorso per la rana pescatrice, che però andrà appena scottata in padella. Nel frattempo bisognerà cominciare a preparare la base per la salsa, per la hhhhhhh
quale sono invece necessari un rametto di rosmarino, uno spicchio d’aglio e appena un filo di un buon extravergine di oliva. Appena scaldato l’olio andrà subito aggiunto il lardo, che servirà a dare succulenza e struttura alla pietanza. Solo a questo punto ci si potrà concentrare completamente sulla cottura pasta, che dovrà essere rapidissima. Essa andrà scolata al dente per poi finire direttamente in padella dove, per un altro paio di minuti verrà fatta addensare al nero di seppia. Al tutto andrà aggiunto un mezzo mestolo di brodo di pesce e un sorso di vino bianco per sfumare. Raggiunta la giusta mantecatura si potrà finalmente passare all’impiattamento. Questa, ovviamente è la fase in cui maggiormente è possibile esprimere la propria fantasia e il proprio senso estetico. Tuttavia, il consiglio di Fabrizio al riguardo, è solo quello di non perdere mai troppo tempo in questa operazione. Qualsiasi sia la forma e la guarnizione vogliate dare alla pasta è categorico che sia fatto velocemente, per non rischiare di far arrivare a tavola il piatto già freddo. Ma ciò non significa non dedicare la dovuta attenzione a questo passaggio fondamentale per la presentazione del risultato finale al cliente. Il segreto è sempre quello di arrivare pronti a questa fase cruciale. Fabrizio in questo caso ha optato per una forma a cono, sulla quale ha posto un top a base di rana pescatrice, gambero di Mazara e rosmarino, preparata ovviamente con debito anticipo. Lo stesso motivo si ripete anche alla base, che risulterà quindi quasi completamente circondata dai colori dei jjjjjjjjjj 57
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frutti di mare. L’aspetto definitivo del piatto a noi ha ricordato quasi quello di un dessert e alla fine quasi ci dispiace infilare la nostra forchetta nell’invitante bellezza di questo “Nero a colori”. Tuttavia siamo “costretti” a farlo per poterne apprezzarne anche il sapore. O per dire meglio, i sapori. Perché questo piatto è un infinito accavallarsi di sensazioni di freschezza e succulenza, al quale si aggiunge la leggera sfumatura speziata del rosmarino. Un vero tripudio di sensazioni gustoolfattive che conquistano il palato dal primo boccone e che fanno diventare scarso l’etto abbondante della nostra porzione. E’ il piatto perfetto? Difficile rispondere, ma di certo questo non è un piatto in cui capita di affondare i denti tutti i giorni. A meno che, in cucina, non abbiate anche voi un Fabrizio Leone. ■
FABRIZIO LEONE, nasce
IL NERO A COLORI Ingredienti x 2 persone: - 240 gr di tagliolini al nero di seppia - 150 gr di rana pescatrice - 12 gamberi di Mazara del Vallo - 4 fettine sottili di lardo di ColonnaTa - Un dito di Lentisco Bianco IGT - Olio extravergine d’oliva, uno spicchio d’aglio e un rametto di rosmarino Tempo di cottura della pasta: 4’ in acqua + 2’ in padella
Fabrizio Leone 54
a Sora, in provincia di Frosinone, quarantadue estati fa. Muove i suoi primi passi nella cucina nel ristorante di famiglia. Qui, il padre Angelo vede in lui un certo talento e così finisce per spedirlo a Roma in una scuola per chef del Gambero Rosso ad affinare quelle sue doti naturali. Ad appena 25 anni si ritrova già a dirigere una cucina, ma soltanto quattro anni fa decide finalmente di aprire un ristorante tutto suo: “L’uva e un Quarto” è un piccola perla con la quale può proporre una cucina elegante e raffinata in grado di esaltare il territorio. Il tutto è esaltato dal panorama mozzafiato sulla splendida vallata e sui monti antistanti. Un fattore fondamentale perché - come ci spiega Fabrizio - “la perce-
zione visiva, il profumo che penetra nel naso e le proprietà organolettiche che captano le nostre papille gustative, devono sempre essere in grado di equilibrarsi e abbracciarsi vicendevolmente tra loro”. E in effetti i suoi
primi piatti sono puro godimento per occhi e palato, un mix di estetica e sapori unici ed equilibrati. ■
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“LENTISCO” - Bellone IGT 2010 / Terra delle Ginestre Il “Lentisco” è un Bellone in purezza che nasce dalla lunga ricerca di “Terra delle Ginestre” di un vitigno capace di esprimere la tradizione dei vini bianchi del territorio adiacente al mare di Formia, Gaeta e Minturno. Per individuarlo si sono svolte per anni interviste ai pochi produttori “superstiti” nell’area. Oltretutto dall'assaggio dei vini emergeva che la botte di castagno era un formidabile elemento per armonizzare i caratteri di durezza di questo vitigno con la sua imponente alcolicità. Ma solo dopo diverse prove è nato questo vino che, ad oggi, già riveste un punto di riferimento per l'enologia di recupero di tecniche e caratteri tradizionali di origine. Già all'impatto visivo esprime il carattere di un vino molto particolare, con il suo colore paglierino intenso con riflessi di oro antico. 60
All'olfatto è ricchissimo di sentori di frutta matura, mandorla e miele, con una gradevole nota di affumicato donata dalla permanenza in botti di castagno. Al gusto poi, è davvero unico nella sua ricchezza di stimoli sensoriali ma diventa emozionante per la particolare tostatura di caffè che accompagna un corpo perfettamente armonico con la sua sapidità e freschezza. Un vino che regala belle sensazioni e che quindi si presta egregiamente all’abbinamento con questo pietanza. La delicatezza del piatto unita alla grassezza e agli aromi del lardo di Colonnata, allo speziato del rosmarino, alla tendenza dolce della rana pescatrice e alla scivolosa croccantezza della tartare di Gamberi di Mazara del Vallo, hanno dato vita al matrimonio (enogastronomico) perfetto, di cui noi siamo stati testimoni. ■
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Sulle incantevoli sponde di un piccolo lago nascono le più eleganti bollicine italiane, frutto di coraggio, sperimentazione e investimenti nella valorizzazione del proprio territorio italia è una nazione da un punto di vista paesaggistico (e non solo) fortemente eterogenea. Anche a distanza di pochi km il paesaggio cambia in maniera importante e con esso tradizioni, produzioni, dialetti. Nel precedente numero de “i Piaceri della Vite” abbiamo parlato dei paesaggi dell’Etna. Un luogo sospeso tra la forza del vulcano e la dolcezza dei vitigni, un luogo dai forti contrasti, i colori dell’agricoltura e le nere lingue di terra di vecchie eruzioni, un luogo dove l’uomo ha strappato al vulcano la terra con fatica e perizia. In questo numero cambiamo completamente latitudini e concetto di paesaggio e voliamo virtualmente in Franciacorta. La Franciacorta è una zona collinare situata tra Brescia a sud e le sponde meridionali del lago d’Iseo molto famosa per il successo e la qualità 62
indubbia del suo ottimo spumante. Nonostante che il suo intorno abbia subito negli ultimi 50 anni del secolo scorso una notevole pressione industriale, al punto che oggi la provincia di Brescia sia ormai divenuta una delle zone d’Italia più industrializzata, la Franciacorta è rimasta una enclave intatta, sfuggita alla corsa della “fabrichetta” e alla industrializzazione italiana, operosa, geniale ma anche disordinata, che ha mangiato e impoverito la ruralità e il paesaggio. Questa è la prima riflessione importante sulla quale dobbiamo soffermarci. Perché l’industria non ha 63
La Franciacorta è stata il laboratorio che ha dimostrato che in Italia è possibile dare valore ai territori attraverso un’agricoltura evoluta e attenta al paesaggio.
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toccato la Franciacorta? C’è da dire che la zona non è isolata, non è impervia né difficile da raggiungere, anzi, è vicinissima a Brescia e ben collegata con Bergamo e Milano. Oltretutto è ben fornita di corsi d’acqua ed popolata da persone operose. Per dare una risposta a questo quesito basta guardare alla storia del vino Franciacorta. Questa zona è sempre stata area vinicola, fin dalla preistoria, ma è negli anni ‘50 che ritrova smalto iniziando a produrre vini che potessero essere delle ottime basi per gli spumanti. E negli anni ‘60 questa buona idea viene anche legittimata dall’attribuzione della DOC. Negli anni ’70, mentre tutto intorno si investiva in industrie manifatturiere, la voglia di sperimentare, la passione e il fiuto per gli affari portò molti imprenditori a comprare vigne, come attività secondaria di investimento. Inizialmente essi si limitarono per lo più a tenerle ordinate e pulite proprio come le loro fabbriche ma, in seguito, lo stesso genio e visione profuso nel creare uno dei distretti industriali più considerati in Europa fu applicato alla produzione di spumanti, passando dai Pinot agli Chardonnay e affinando le tecniche di produzione. Tutto ciò dimostra che il paesaggio è un asset che, se ben utilizzato, porta ricchezza. Il paesaggio della Franciacorta è stato preservato perché semplicemente conveniva e, oltre a portare benessere economico, ha portato altre fortune intangibili agli abitanti e ai turisti stessi. In sostanza, la Franciacorta è stata il laboratorio che ha dimostrato che in Italia è possibile dare valore ai territori attraverso un’agricoltura evoluta e attenta al paesaggio. Ma come il vino Franciacorta ha influenzato e cambiato il luogo geografico Franciacorta? Questa è una zona collinare, ordinata, dolce, armonica. Rispetto all’Etna che mostra un paesaggio denso di cesure e passaggi improvvisi e sorprendenti, in Franciacorta prevale l’ordine, l’armonia, la regolarità. Le vigne rincorrono a perdita d’occhio i dolci declivi delle colline e in lontananza le montagne recludono 63
lo sguardo e lo fermano sul primo piano. Il tutto è costellato da importanti testimonianze architettoniche, perfettamente integrate: monasteri, chiese, abbazie, ville e castelli dell'epoca medioevale. Fanno da contrappunto i tanti paesini che insistono nel territorio della DOCG, piccoli borghi maniacalmente conservati che, dall’alto delle colline, si affacciano a dominare i paesaggi. Tuttavia, a prescindere dalle favorevoli caratteristiche morfologiche dei territori, è stato anche grazie alla viticoltura se oggi la Franciacorta è ciò che rappresenta. Far prevalere un tipo di agricoltura rispetto ad un altro, a volte può richiedere cicli decennali affinché il paesaggio ne risulti cambiato in positivo. La visione e il genio degli imprenditori
di questi luoghi, ha saputo sfidare l’inerzia delle tradizioni per creare un paesaggio completamente nuovo, grazie alla sperimentazione di tecniche innovative che qui hanno attecchito più velocemente che in altri posti. Se ad esempio sull’Etna abbiamo visto fare viticoltura su terrazzamenti che contano i millenni e con viti e tipologie che contano i secoli, qui in Franciacorta invece si è sperimentato. Con grande coraggio. Basti solo pensare all’introduzione dello Chardonnay che ha sostituito quasi completamente i vari tipi di Pinot, ma soprattutto il disciplinare che prevede impianti a densità medio-alta con investimenti compresi tra i 4.500 e i 6.000 ceppi per ettaro con una distanza massima tra le file di 2,5 m e una distanza minima sulla fila
A prescindere dalle favorevoli caratteristiche morfologiche dei territori, è stato anche grazie alla viticoltura se oggi la Franciacorta è ciò che rappresenta.. 64
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(consigliata) di 0,8 m. Le forme di allevamento a spalliera, con vegetazione ascendente su un solo piano, sono le uniche ammesse per i nuovi impianti e le potature più frequenti sono quella a guyot (tralcio rinnovato) e a cordone speronato (cordone permanente). Il paesaggio viticolo è inoltre riconoscibile per le vigne permanentemente inerbite. Più frequentemente il sottofila è lavorato, al fine di ridurre la competizione tra le specie erbacee e la vigna. L’inerbimento dell’interfila, anche alternato a lavorazioni periodiche, garantisce una maggiore protezione del suolo, il mantenimento della fertilità, l’incremento della sostanza organica e il controllo della vigoria del vigneto. Queste tecniche, eseguite sempre a regola d’arte, sono state sicuramente pensate per esaltare le caratteristiche
del vino, ma è altrettanto innegabile che hanno cambiato lo stesso paesaggio armonizzandolo, disciplinandolo e rendendolo quello che è. Rispetto all’agricoltura Etnea dove è il vino che si piega al paesaggio, qui è il paesaggio che è stato piegato dal vino, in tutte e due i casi vino e paesaggio si accostano, si assomigliano e si completano, . Qui il paesaggio rispecchia il vino. E uno spumante Franciacorta è ormai qualcosa di ben riconoscibile, ordinato, e armonioso. Bellezza e qualità altissima, che misura le sue eccellenze dalle sfumature, proprio come queste colline vitate che si perdono tra le montagne fino al lago. Rimanere lì, ad osservarle, restituisce una rilassante, gioiosa e regolare armonia. Un po’ come fissare le bollicine di un buon Franciacorta che salgono su per il bicchiere. ■
La Franciacorta è bellezza e qualità altissima, che misura le sue eccellenze dalle sfumature, proprio come queste colline vitate che si perdono tra le montagne fino al lago. 64
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Da dove si deve partire per realizzare da zero un locale di successo? Abbiamo provato ad analizzare gli aspetti fondamentali della progettazione di un winebar, dal “concept” iniziale fino ai più piccoli particolari, quelli che possono fare la differenza . . .
di Anna veronica Solvino Interior Designer
uando ho iniziato a scrivere questo articolo, ho dovuto immediatamente porre a me stessa una semplice ma basilare domanda: “Da quale
punto di vista scrivere? Da quello più tecnico della progettista di winebar, enoteche, ecc o da quello di chi ha vissuto personalmente anche l’esperienza della titolarità e della gestione diretta di un locale?”.
In realtà, quando si rivolgono a me per la progettazione, ad esempio di un winebar, non riesco mai a scindere i due lati della medaglia che, ormai, si sono fusi inevitabilmente in me in un’unica esperienza. Il mio intento sarà quindi, quello di condividere con voi il frutto di questa mia duplice consapevolezza, augurandomi di trasmettervi un contenuto, non solo puramente tecnico, ma anche volto a cingere il ruolo di chi il locale lo gestisce, di chi vi lavora e, non ultimo, di colui che alla fine paga per usufruirne: il cliente. 66
“Estetica e funzionalità del locale dovranno essere sempre al servizio di chi vi lavora E di chi vi viene accolto”
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Questo perché oggi, a mio avviso, lo studio di una qualsiasi soluzione progettuale atta alla realizzazione di un winebar di successo, deve necessariamente valutare molteplici aspetti, dei quali tuttavia il principale resta sempre quello che lega tra loro i vari protagonisti della storia in un rapporto di relazione quasi simbiotico, ovvero cliente, titolare e locale stesso. Questo deve essere un concetto di comunicazione molto più profondo, che può e deve andare parecchio oltre il banale nesso tra domanda e offerta. Ma per far questo è necessario mostrare al cliente professionalità e preparazione e offrirgli un prodotto e un servizio di qualità. E il tutto dovrà svolgersi in un ambiente che sia davvero accogliente. Coerentemente, il design del vostro winebar dovrà riuscire a comunicare che lì si potrà bere del buon vino, servito e consigliato in maniera professionale, e che si potranno degustare dei prodotti selezionati in un luogo accogliente e curato in ogni dettaglio. Estetica e funzionalità, dovranno essere sempre al servizio di chi vi lavora ma, soprattutto, di chi vi viene accolto. Del resto, il winebar non è un luogo che si frequenta per necessità ma, al contrario, per vivervi una pura e semplice esperienza di convivialità, che però potrebbe protrarsi anche per diverse ore. Pertanto la location va scelta sempre con cura. Innanzitutto sarebbe utile optare per una posizione centrale e con facilità di parcheggio, oppure per un quartiere specifico della città. Il top sarebbe avere anche un dehor. Sullo spazio minimo vitale la valutazione si deve fare essenzialmente in base alla tipologia di winebar: se si vuole proporre una cucina completa, sono necessari almeno 70/80 mq, mentre nel caso di una proposta solo fredda e solo di composizione, come ad esempio i classici taglieri di salumi e formaggi o insalate, allora anche 40/50 mq potrebbero bastare. Ovviamente bisogna assicurarsi subito che il locale scelto abbia tutti i requisiti igienico-sanitari per poi poter procedere al suo allestimento. Per questo, è sempre molto 67
utile affidarsi ad un tecnico specializzato, che provvederà a presentare un progetto alla Asl di competenza del territorio per richiedere un parere preventivo, affinché vengano fatte le opere regolamentari e previsti gli impianti adeguati. Il consulente in questione vi guiderà in tutto il percorso da affrontare prima di aprire, perché nella situazione che si presenterà, sia essa una ristrutturazione radicale, sia essa parziale del locale, saprà occuparsi in toto di permessi e richieste specifiche al Comune di appartenenza. Nel caso sceglieste di aprire la classica enoteca con semplice vendita di vino da asporto e dei prodotti ad esso correlati, la questione burocratica sarà ovviamente molto più semplice, ma nel caso optiate per un wine-bar, in cui l’offerta riguardi anche una cucina più o meno complessa, dovrete attenervi alle norme relative alla preparazione e somministrazione di alimenti e bevande, il che implica l’organizzazione di ambienti di lavoro e di servizio specifici, nonché il rilascio di diverse auto-
rizzazioni. In ogni caso, ad accompagnare tutti gli aspetti puramente tecnici, ce ne sono degli altri, forse un po’ meno tecnici, ma molto più significativi. Innanzitutto bisogna essere ben preparati, nel senso di conoscere adeguatamente ciò che si vende. I clienti di un winebar sono di solito persone abbastanza informate nel campo enogastronomico, ma non per questo disdegnano di confrontare il loro sapere con qualcuno che si è specializzato nel settore. Pertanto, saper consigliare un vino in abbinamento ad una selezione di cibi, vi farà sicuramente guadagnare la fiducia del vostro cliente. L’esperienza ovviamente si acquisisce sul campo, ma è necessario non essere mai impreparati. Via libera quindi a corsi di specializzazione. Tuttavia, sia che abbiate deciso di fare una cucina complessa, sia che abbiate deciso invece di fare una proposta di piatti semplici, magari freddi, create sempre e comunque un menu con poche proposte. Nel primo caso proponete un paio di primi, un paio di secondi
“concept, stile e arredamento Rappresentano il vostro biglietto da visita, l’anticipazione della qualità dell’esperienza Che i clienti vivranno da voi…” 68
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e vari contorni, sempre diversi e preferibilmente con prodotti di stagione. Nel secondo caso proponete taglieri selezionati di salumi e formaggi, insalatone e quant’altro. Troppe portate, oltre che difficili da gestire in cucina, potrebbero finire per disorientare il cliente. Per quanto invece riguarda il vino, potete fare un’esposizione ragionata, dividendo le etichette per regioni, o per caratteristiche proprie, ma in ogni caso, il menu e la carta dei vini devono essere chiari e veloci da consultare. Ovviamente, l’elemento comunicativo più importante del vostro winebar risiede sempre nella sua immagine in sé: il concept, lo stile, l’arredamento, sono tutti aspetti che rappresentano il vostro biglietto da visita, l’identità del vostro locale, l’anticipazione stessa della qualità dell’esperienza che i vostri clienti vivranno da voi. E per creare un ambiente dalla giusta atmosfera nessun dettaglio deve essere mai lasciato al caso. L’arredamento è l’insieme di tutti gli elementi che vanno a creare quella sorta di “vestito” che identifica in modo preciso la personalità del locale. Una scenografia di cui
“tutto ciò che é parte del locale dovrà essere legato ad un filo conduttore, coerente con l’immagine che vorrete dare”
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“Affidarsi ad un’azienda che sia in grado di offrire un servizio completo di progettazione e assistenza tecnica, alla fine, risulta essere sempre la scelta vincente…”
fanno parte non solo gli arredi, ma anche tutti quegli elementi complementari, a partire dal “naming” e dal logo aziendale, passando per la divisa dei collaboratori e le decorazioni della sala, fino all’allestimento del tavolo o al packaging dei vari complementi di servizio. Ecco perché è molto importante scegliere inizialmente uno stile bene definito: in pratica, tutto ciò è parte del locale dovrà essere legato ad un filo conduttore, coerente con l’immagine che vorrete dare. Per far questo, è fondamentale curare adeguatamente anche la comunicazione, che a sua volta dovrà trasferire il “concept” di base nella grafica, senza contraddizioni; essa potrà anche occuparsi di promuovere il locale sui principali social networks, ma solo e soltanto dopo aver progettato un logo fortemente rappresentativo e di aver creato i menu e le carte dei vini con una grafica accattivante, la stessa che si vedrà sull’insegna, sui biglietti da visita e sulle divise dei collaboratori. Questi ultimi poi, sono un altro importante elemento per comunicare l’identità del locale: sono proprio loro, infatti, le persone deputate a confrontarsi direttamente con il cliente. Pertanto, dovranno essere sempre impeccabili, professionali e competenti e, soprattutto, capaci di interfacciarsi con la clientela, guidandola nella scelta dei piatti e dei vini più adatti da abbinarvi. Ecco che, alla luce di quanto appena esposto, risulta evidente come decidere di aprire un wine bar (di successo) zione di 70
sia alla fine un’avventura molto stimolante ma, allo stesso tempo, anche parecchio complessa e impegnativa. Potrebbe quindi diventare cosa non facile curare ogni singolo aspetto senza avere accanto le giuste figure profes-sionali. Motivo per cui, affidarsi ad un’azienda che sia in grado di offrire un servizio completo di progettazione e assistenza tecnica, alla fine, risulta essere sempre la scelta vincente. In questo modo si ci potrà avvalere dell’assistenza continua di tecnici esperti che seguiranno le varie fasi della realizzazione in ogni suo aspetto: dall’ideazione del “concept”, con una presentazione di progetti che mostrino in anteprima il “rendering” del locale, fino alla progettazione degli impianti, dall’indicazione precisa degli arredi più adatti da utilizzare fino allo studio dell’illuminazione ottimale. Non ultimo, un’azienda specializzata potrà fornirvi supporto per quanto riguarda la valutazione delle attrezzature specifiche più adatte alle vostre esigenze ed alla conformazione del locale, ottimizzando spazi e costi, e aiutarvi persino ad orientarvi nella scelta dei suddetti corsi di formazione professionale. Un supporto quindi a 360 gradi che può fare la differenza se il vostro obiettivo è quello di realizzare un locale a misura di cliente e di sicuro successo. ■
NOTA DELLA REDAZIONE: Tutto il materiale fotografico contenuto in questo articolo è stato gentilmente concesso da Alternative - Design Italiano.
Da sempre la “vitis vinifera” è l’ingrediente fondamentale per realizzare un buon vino. Ma oggi, a questa nobile pianta vengono riconosciute anche innumerevoli proprietà benefiche e curative che, insieme alle ottime caratteristiche nutrizionali del frutto, ne fanno un alleato sempre più prezioso in campo medico, dietetico e cosmetico.
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enza dubbio, la stragrande maggioranza dei nostri appassionati lettori amerà la vitis vinifera soprattutto per quello che è il più famoso derivato del suo pregiato frutto. Del resto in Italia il vino è certamente la bevanda più apprezzata e diffusa, un prodotto con origini antiche ma consumato quotidianamente in milioni di case. Anche perché è ormai risaputo che il vino, specialmente quello rosso, sia un grande alleato della salute del sistema cardiovascolare. Ma oltre agli ormai ben noti effetti positivi per il cuore, questa nobile pianta possiede tantissime altre proprietà benefiche, forse meno note, ma altrettanto utili per l’organismo. 71
Tanto per cominciare, il “chicco” d’uva dal punto di vista dietetico è uno dei frutti più energetici, ricco com’è di glucosio e fruttosio. E’ anche una buona fonte di calcio e ferro, potassio e magnesio, sodio e fosforo e possiede anche una buon contenuto di fibre e vitamine. Un vero e proprio concentrato di preziose sostanze che, non a caso, sono anche alla base della cosiddetta “ampeloterapia”, una dieta già praticata nell’antichità che utilizza l’uva come alimento principale o addirittura esclusivo, per sfruttarne le innumerevoli virtù terapeutiche. Ma andiamo per ordine. Nel corso degli ultimi anni innumerevoli ricerche e studi in campo nutrizionale sulla vite rossa, hanno evidenziato la presenza di diversi principi attivi contenuti sia jjjjjjjjjj
L’ampeloterapia, dal greco “ampelos” = vite, è quella cura che si basa essenzialmente su una dieta a base di uva e succo d’uva, da consumarsi rigorosamente senza buccia e senza semi, per non più di una settimana. E’ comunque una terapia molto “zuccherina” per cui, specie se praticata in dosi massicce, non è priva di controindicazioni, soprattutto per i diabetici.
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nella pianta in sé, in particolare nelle foglie, che nel frutto, specialmente all’interno dei vinaccioli e della buccia. E’ il caso ad esempio dei “flavonoidi”, composti con proprietà antiossidanti e proprietà antimutagene. Tra questi i più noti forse sono gli “antociani”, pigmenti idrosolubili responsabili del colore violaceo scuro, tipico dell’uva rossa. Essi sono un toccasana soprattutto per la circolazione sanguigna, ma hanno anche effetti positivi sulla vista, sulla ritenzione idrica e sui disturbi epatici. Tuttavia, altrettanto importanti per la nostra salute sono i famosi “tannini”, ben noti ai nostri amici sommelier perché responsabili di quella tipica astringenza nella bocca, quando si assaporano determinati vini. Questi composti polifenolici possiedono anche proprietà vasocostrittrici, antiedemigene, antibatteriche e antidiarroiche. Tuttavia negli ultimi anni, il composto che più di ogni altro ha fatto parlare di sé è sicuramente il “resveratrolo”,
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un fenolo non flavonoide presente in semi e buccia. Oltre ad avere fondamentali proprietà di difesa della pianta stessa, ad esempio da infezioni funginee e batteriche, questa molecola è stato dimostrato essere molto utile anche all’organismo umano, per le sue ottime capacità antiossidanti, in grado di contrastare i radicali liberi. Da qui il suo recente largo utilizzo in campo cosmetico per prodotti “antiaging” o rivitalizzanti della pelle”, anche se già la semplice applicazione di una purea di uva in viso può avere visibili e immediati. Una sorta di elisir di giovinezza, ma non solo questo. Perché se il resveratrolo è anche stato definito come la “molecola tuttofare” lo deve soprattutto alle sue proprietà di riduzione del colesterolo cattivo (LDL), di prevenzione delle malattie cardiache, di controllo del metabolismo e di antinfiammatorio. Come se non bastasse uno studio pubblicato sull’autorevole rivista “Science”, ne ha anche evidenziato addirittura le capacità di bloccare la proliferazione di cellule cancerose. Ma le proprietà curative della vite e dei suoi derivati non si fermano qui, perché gli utilizzi in campo medico sono pressoché infiniti. Non tutti sanno che ad esempio piccole applicazioni di succo d’uva o di mosto sulle labbra affette da “herpes simplex” possono
accelerarne di parecchio la guarigione. In caso di blefarite, cheratite, orzaiolo o congiuntivite viene invece sfruttata la linfa di vite per preparare dei benefici lavaggi agli occhi, mentre dalle foglie e i viticci si ottiene un eccellente depurativo del sangue, utile soprattutto ai sofferenti di artrosi e gotta. Un capitolo a parte meritano poi i vinaccioli: i semi degli acini sono infatti una buona fonte di olio vegetale, non solo dal gradevole sapore, ma soprattutto dalle ottime caratteristiche nutrizionali, con un elevato contenuto di acidi grassi essenziali, i famosi “grassi buoni”, fonte di benessere per l’organismo in generale e, in particolare, per la pelle. Ecco quindi che, un po’ come con il maiale, della vite non si dovrebbe buttare via nulla, perché ogni sua più piccola e apparentemente insignificante parte, risulta in realtà ricchissima di principi attivi dalle più disparate proprietà terapeutiche. Per non parlare poi delle eccellenti caratteristiche nutrizionali del suo frutto e del suo derivato più nobile e famoso. E’ ovvio tuttavia che, prima di iniziare una qualsiasi dieta o terapia a base esclusivamente di vite rossa (o magari di vino rosso!) è sempre categoricamente indispensabile rivolgersi al proprio medico curante.■
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Chi ha ragione urante l’estate appena trascorsa abbiamo assistito (da sotto l'ombrellone) ad un acceso ma interessante dibattito incentrato sul tema del cosiddetto “diritto di tappo”. Una spinosa e ancora irrisolta questione che, per diversi giorni, ha catturato l’attenzione di addetti ai lavori e non solo su alcuni gruppi di discussione del più famoso dei social networks. Innanzitutto, per chi non ne fosse a conoscenza, il “diritto di tappo” o “corkage fee” è quella pratica nata qualche decennio fa in Gran Bretagna che consiste nel consumare le proprie bottiglie di vino presso un ristorante, a fronte però di un pagamento di una quota fissa o in per74
centuale, a titolo di rimborso per le spese di utilizzo (e relativo lavaggio) di calici, decanter, glacette e quant’altro sia utile per la degustazione. L’interessante discussione che si è sviluppata su questo argomento ha avuto il merito di sviscerare la questione portando alla luce tantissimi spunti di riflessione, sia da parte dei ristoratori che dei clienti. Temi che abbiamo raccolto e sviluppato in queste pagine, in cui cercheremo di affrontare il tema in modo quanto più possibile asettico e privo di opinioni personali. Tuttavia chiariamo sin d’ora che quello che faremo è esporvi le ragioni dell’una e dell'altra parte, ma senza pretendere di arrivare a dare risposte definitive all’interrogativo posto
nel titolo. Anche perché si potrebbe finire per discutere ad oltranza sulla legittimità delle tesi dall’una e dall’altra parte, senza riuscire a definire una “buona norma” che possa mediare le esigenze del cliente e del ristoratore. Partiamo però subito col dire che portarsi al ristorante la propria bottiglia da viene visto molti clienti come un diritto sacrosanto. I sostenitori più radicali di questa tesi rivendicano la necessità di approvvigionarsi di vini della propria cantina prima di raggiungere il ristorante a causa di ricarichi troppo elevati e spesso immotivati. Una posizione molto chiara e parzialmente condivisibile, ma alla quale, d’altro canto, si potrebbe semplicemente obiettare come in quei casi sia sufficiente prenotare in un altro posto. Tuttavia, per tanti altri, l’andare “a cena fuori” viene visto essenzialmente come la possibilità di usufruire di una cucina diversa e più elaborata e l’attingere dalla sola dalla cantina del ristorante per i vini da abbinare non viene sempre visto come un passaggio obbligato e imprescindibile. Anche perché molti locali, anche di alto livello, non sempre hanno al proprio interno un sommelier o comunque una figura sufficientemente competente per consigliare il vino più adatto. Se poi a tutto questo aggiungiamo anche il fatto che molto spesso le carte dei vini non sono molto fornite o, peggio, a volte sono assenti, si capisce perché spesso un cliente appassionato ed esigente finisca per portarsi da casa le bottiglie da abbinare alla cena per andare sul sicuro. Ovviamente, buona norma sarebbe quella di verificare sempre che il locale scelto preveda la possibilità di accettare bottiglie “esterne” e comunque il tutto andrà concordato preventivamente con il ristoratore 82
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in fase di prenotazione del tavolo. In linea di principio, quello appena descritto potrebbe sembrare l’iter più corretto da seguire, eppure in tantissimi, sia tra i ristoratori che tra gli stessi clienti, hanno esternato perplessità o addirittura una chiusura totale anche verso una tale dinamica. Per molti infatti questa è semplicemente una pratica di cattivo gusto, un gesto che innanzitutto manca di rispetto al ristoratore stesso, che è lì per lavorare e vive anche dei ricarichi sulle bevande, vino incluso. Tesi più moderate, dall’una e dall’altra parte, ne giustificano la legittimità soltanto in determinati casi, come ad esempio quando la bottiglia sia particolarmente pregiata o comunque non sia presente nella carta, fermo restando il pagamento di un contributo per il servizio of-
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ferto dal ristorante. Secondo alcuni tale contributo non dovrebbe superare i 5 euro, per molti dovrebbe valere quanto il costo della bottiglia più economica presente in carta, ma per tanti altri andrebbe calcolato in percentuale sul valore delle bottiglie consumate. Eppure nella pratica capita anche che i ristoranti applichino poi un sovrapprezzo sul conto finale che a volte anche risulta essere sproporzionatamente elevato rispetto all’effettivo servizio ricevuto: una sorta di “tassa” pensata per disincentivare tale pratica senza tuttavia rifiutarla in toto, cosa che rischierebbe di far perdere definitivamente il cliente. Come premesso, è ben lungi da noi volerci schierare in favore delle ragioni di una delle due “fazioni”. Anche perché, nell’infinito dibattito tra sostenitori e detrattori del
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“diritto di tappo”, si finisce sempre per perdersi tra tante altre vecchie questioni ancora aperte ed irrisolte: più di qualcuno ha infatti sollevato interrogativi di ancor più difficile soluzione. Ve ne riportiamo giusto qualcuno:
“Chi decide quale debba essere il giusto ricarico sul costo dei vini?”. Oppure:“Se è lecito portarsi il vino da casa, può valere lo stesso principio anche per l’acqua, la birra, l’olio evo e magari anche alcuni cibi?”. E poi ancora:“Di chi è la responsabilità se un cliente avverte un malore causato dal consumo del proprio vino in un pubblico esercizio?”. Lasciamo a voi le ardue sentenze… Quello che invece ci preme di segnalarvi sono quei ristoratori che, non solo hanno deciso di tollerare quei commensali portano a tavola i propri vini, ma ne hanno addirittura sposato l’usanza, facendone un ser84
vizio aggiuntivo che è diventato subito il punto di forza del locale: attraverso lo slogan “BYOB - Bring your own bottle”, il cliente viene incentivato a portare le proprie bottiglie di vino, sulle quali molte volte sono stati anche banditi quei fastidiosi o necessari (dipende dai punti di vista) ricarichi sul servizio. Un risparmio tale che in alcuni casi può diventare un vero e proprio “tesoretto”, che poi i clienti magari finiscono per reinvestire sul menù, senza più lesinare sulle portate o badare troppo ai prezzi. Fatto che va grossomodo a controbilanciare quel mancato guadagno sul ricarico dei vini. Oltretutto questo ci sembra un modo intelligente e pratico per attirare nel proprio locale nuovi clienti, specie tra quei gruppi di enoappassionati che amano riunirsi per assaggiare insieme le “chicche” della propria cantina. ■ 77
Che Produttore sei di Andrea Vellone
Sei un Blasonato? Un Territoriale? Un Vignaiolo? Un Gioielliere o un Industriale? Scopri in quale di questi 5 profili ti riconosci meglio…
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l vino è un prodotto molto particolare, qualcosa che va ben al di là del concetto di brand. Se non altro perché coinvolge allo stesso tempo l’identità di un Produttore e la tipicità del suo territorio. Ed è proprio attraverso questa sua unicità che la casa vinicola solletica l’interesse del suo consumatore. Anche l’acquisto del vino, infatti, è un processo “identitario”, nel senso che allo stesso modo coinvolge la soggettività e l’emotività del consumatore che, in quel momento, vibra all’unisono con l’immagine che un determinato Produttore ha dato di sè. Ma non è detto che tale immagine sia sempre il frutto di un mero modello di marketing studiato a tavolino...
Molto spesso, infatti, tale immagine rappresenta l’autentica personalità dell’azienda, esplicata, senza costruzioni di sorta, attraverso la semplice riproposizione dei valori e dei principi che guidano il lavoro di un Produttore in ogni aspetto della politica aziendale. Valori infusi non solo nei metodi produttivi e nel vino stesso, ma anche nella selezione dei prodotti da commercializzare, nelle modalità di distribuzione, nella scelta dei prezzi. Valori poi trasmessi anche sulle etichette e su tutto il packaging, sul sito internet e su tutta comunicazione social. Tuttavia, nonostante il mondo dei Produttori di vino sia sempre stato un qualcosa di molto variegato, abbiamo comunque voluto provare a raggrupparli in 5 macrocategorie dai confini ben definiti. E’chiaro che, sebbene lo stile di ogni Produttore possa a volte anche essere un mix di tutte queste tipologie, alla fine si finisce sempre per individuarne una dominante. E forse, anche Voi, continuando a leggere, potreste riuscire a riconoscervi in uno dei seguenti profili… IL BLASONATO: questo è il profilo del Produttore più classico. Dalla sua la storia di una famiglia con origini antiche, dedita alla produzione del vino da generazioni. Egli vende il suo prestigio e il suo marchio famoso ed affermato (e di solito anche un grande prodotto, ma non è sempre detto) e così facendo ci rende partecipi della sua esclusività. Comprare il suo vino significa accedejjjjjjjjj 54
re ad una storia centenaria, acquisire un punto di nobiltà, gustare un prodotto costruito in anni e anni di perfezionamento continuo. L’atteggiamento del “Blasonato ” è contemporaneamente distaccato ma coinvolgente. Dall’alto della sua posizione ci fa partecipi con benevolenza del suo prestigio. Decanta i posti meravigliosi in cui il suo prodotto è nato e la passione inestinguibile della sua famiglia. Una stirpe nobile, ma sempre e comunque
pronta a sacrificarsi per la terra. Le sue storie sono tanto antiche quanto autentiche e ci parlano di tempi lontani, di castelli e latifondi, di contadini fedeli e di un amore per la vigna così grande che si è tramandato nei secoli fino ad oggi. Coerentemente i suoi vini fanno largo sfoggio di stemmi araldici, di disegni di fortezze, di fregi e cartografie storiche. Etichette che sono immutate da decenni e non verranno mai cambiate, perché ormai sono diventate vere e proprie icone. Un immagine volutamente vetusta quindi, volta a sottolineare la storia e la nobiltà dell’azienda e del suo vino. Un vino aristocratico e austero, ma comunque vero e da sempre fatto a regola d’arte. 79
IL TERRITORIALE: in questo caso parliamo di quel Produttore che ama coltivare quasi esclusivamente vitigni autoctoni. E’ estremamente legato al suo territorio, in modo quasi simbiotico. Non ha una sua personalità distinta, ma spesso diventa sinonimo di una DOC o una DOCG ed è traino per tutto il suo areale produttivo. I tratti caratteristici della sua terra diventano i tratti caratteristici suoi , della sua azienda e dei suoi prodotti. Del resto lui è lì da sempre ed è così che diventa testimonial del suo territorio, prima ancora che del suo vino. I suoi racconti sono legati essenzialmente alle tradizioni della sua gente. L’immagine ricorrente impressa sulle sue bottiglie è la stilizzazione del luogo simbolo della sua zona, con un borgo, una chiesa o un elemento naturale distintivo di quel territorio, raffigurato in modo semplice e pulito, senza troppi orpelli. E allo stesso modo, anche il suo vino è un prodotto schietto, sincero, senza sofisticazioni, ma soprattutto perfetta espressione del luogo d’origine e anche delle sue stesse origini. IL VIGNAIOLO: questa è forse la categoria più recente. O meglio, la figura del “Vignaiolo” è sempre esistita, ma solo da poco è diventata, forse inconsapevolmente, anche un’efficacissima leva di marketing. Egli, in pratica, rappresenta un’azienda che vive della passione di un uomo solo, di un esperto che ha coniugato la passione per la terra con la scienza e la tecnica vitivinicola, che ha saputo integrare la cultura contadina con lo studio, la tecnologia e la sperimentazione sistematica. Scelte che sottoscrive personalmente e che poi condivide con il consumatore, con il quale si propone in modo diretto. E così, in breve tempo il “Vignaiolo” ha preso i suoi spazi, imponendo i suoi hhhhhhhhh 80
valori con un’immagine leggera, essenziale ed asciutta. E’ attento all’ecologia e alla biodinamica, preferisce vigneti autoctoni su cui investe in ricerca e sviluppo. E’ anche attento alla pura ricerca dell’esclusività, intesa però, non come lusso, bensì come particolarità, come unicità. E in tutto questo lui ci mette la faccia, perché il suo vino porta, innanzitutto, il suo nome e cognome. Ecco perché poi partecipa personalmente alle varie rassegne enologiche presentando sé stesso, la sua storia e la sua passione. In soldoni, il suo vino è egli stesso e viceversa. E per questo si sente portatore consapevole di una missione: essere testimonial non del vino in generale, ma del solo del suo vino. Ama narrare in prima personale storie fatte di fuga dalle città alla ricerca di valori importanti, di competenza e di sacrificio, di sudore e di totale dedizione per la sua vigna. E così spesso finisce per diventare la “winestar” di tanti fan appassionati. A questo punto potrebbe quasi sembrare che pecchi di divismo, ma in realtà il “Vignaiolo” è un personaggio semplice e discreto, un umile agricoltore che guarda al vino come risultato finale di tante lunghe e faticose giornate di lavoro.
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IL GIOIELLIERE: anche questa è una categoria relativamente giovane. “Il Gioielliere” ha una azienda moderna e dinamica, è estremamente professionale, anche se non ha il carisma del “Vignaiolo” e neppure il sangue blu del collega “ Blasonato ”. Fa ottimi vini ma lavora molto bene anche fuori dalla cantina. E così finisce per imporsi prepotentemente sul mercato. Di base è un bravo imp r e n di to re , che conosce i mercati, che sa gestire le dinamiche dei prezzi, che fonde una grande capacità manageriale ad un ottimo marketing. Non impone mode o modelli al suo cliente, ma sa comunque offrirgli un’adeguata suggestione. Non racconta i suoi vini attraverso storie e tradizioni locali, con le quali spesso non ha un legame troppo profondo, ma li propone semplicemente come oggetti intriganti e preziosi. Pone infatti i suoi prodotti in cornice, come costose opere d’arte. E per veicolare l’esclusività del suo prodotto sceglie un packaging ricercato e curato nei minimi dettagli, con etichette che sfoggiano un design moderno e mai banale ed eleganti bottiglie che spesso ricordano quelle di un profumo. Quasi dei prodotti di gioielleria, il cui acquisto non lascerà delusi coloro che ritengono che, oltre al palato, anche l’occhio debba sempre avere la sua parte. 88
L’INDUSTRIALE: è il grande imprenditore prestato all’enologia. Produce milioni di bottiglie, anche di buona qualità, ma sarebbe stato altrettanto bravo anche se avesse voluto cimentarsi nel produrre smartphone. Non che la passione per il vino gli manchi, ma soprattutto possiede quelle qualità manageriali di base che spesso mancano a molte delle categorie precedenti e che lo rendono competitivo sul mercato anche nelle annate storte o in quei momenti di crisi economica globale che ammazzerebbero tanti altri piccoli colleghi. Non ha particolari legami con un territorio specifico, anzi, spesso finisce per coinvolgere nel suo progetto aree produttive di tutta Italia, proponendo sugli scaffali (soprattutto della GDO) diverse Denominazioni e svariate etichette. Per scelta la sua filosofia produttiva non ricerca l’artigianalità né, tantomeno, l’esclusività, bensì è orientata verso l’obiettivo di arrivare ovunque e a chiunque. Per questo produce quantitativi davvero enormi, cercando però di contenere costi e ricarichi. Del resto per lui il vino è un piccolo piacere quotidiano da condividere sulla tavola di ogni consumatore: un patrimonio comune che deve sempre rimanere alla portata di tutti. ■
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di Andrea Vellone
PS: ogni riferimento a persone, fatti e vini citati nelle storie seguenti è solo parzialmente casuale...
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a prima uscita di questa nuova rubrica semiseria è dedicata alla mia estate, o meglio, ai migliori vini bevuti quest’estate, attraverso narrazioni surreali che però si snodano tra persone, luoghi e contesti reali... L’estate, per chi ama il vino e ama anche condividerlo, è sempre la stagione più attesa. Di norma c’è più tempo a disposizione, ci sono le vacanze, si incontrano i vecchi amici a cena e magari se ne fanno di nuovi. E nei nostri viaggi possiamo associare le sensazioni del vino a quelle della scoperta, legare i profumi dei luoghi a quelli nel bicchiere, accostare il carattere del vino alle persone che si incontrano. Questo perché, ne siamo convinti, i vini regalano sensazioni diverse a seconda del contesto in cui vengono bevuti. Purtroppo, o per fortuna, tutto ciò non viene mai preso in considerazione nelle degustazioni ufficiali, ma è evidente che ogni vino agevoli le relazioni in modo diverso influenzando il grado so, jjjjjjjjjj 82
di confidenza tra le persone che lo bevono. Altro fattore spesso non considerato, alla stregua di un segreto di pulcinella, è che il vino contiene alcool! Sorpresi vero? Eppure l’alcool è un altro elemento che interagisce con le persone. Le porta alla rissa o all’amicizia, le allontana o le avvicina all’amore, le rende più fracassone o più meditative. Alla fine quindi, tutti i nostri stati d’animo sono sempre il prodotto di più fattori, quali appunto le persone, il contesto, i luoghi e, senza nasconderci, anche l’alcool. Chiaramente le valutazioni dei prodotti che troverete citati di seguito, non saranno descritte con la rigorosa grammatica del vino ma, a parere di chi scrive, delineeranno un vino nella sua vera essenza, restituendolo alla sua funzione primaria, ovvero quella del dare gusto, del cagionare godimento, del creare convivialità e, soprattutto, dello scatenare l’immaginazione di chi il vino lo beve davvero…
Come il “Peroncino” può salvare Andrea e il mondo. Ma il Raboso di più...
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L’estate il caldo colpisce forte, proprio appena si torna dal mare. Sembra di vivere in una bolla di fastidio continuo, che toglie il sonno, che toglie la fame, e qualsiasi attività si faccia ci lascia stremati e sudati. La sera tardi, in un illusorio tentativo di sfuggire alla calura, cerco il divanetto fuori al balcone. Non si sentono suoni, assorbiti dall’immobilità dell’aria. Alla ricerca di tregua, provo il tutto per tutto. Stappo, con l’accendino, un peroncino gelato e lo butto giù in tre sorsi. Purtroppo però, per il “Teorema di Peroni-Heineken”, in queste condizioni di temperatura e umidità, all’assunzione di 33 centilitri di birra immediatamente se ne sudano circa 66. Annebbiato dal caldo - non dal Peroncino sia chiaro - rifletto a fondo su come questo fatto ci possa liberare dalle leggi immutabili della fisica, rivoluzionando il mondo. Inizio ad immaginare un’umanità liberata dalla schiavitù grazie all’energia creata attraverso centrali elettriche alimentate a peroncini, in grado di sfruttare quel surplus di sudore… Ma, un’impercettibile brezza mi distoglie da questi profondi pensieri. E’ intermittente, la devi quasi ricercare, non dona completo sollievo, però è un illusorio segno di speranza. Ma la speranza mette fame. E il fatto di avere fame inficia la mia teoria sui peroncini. Del resto è provato, non nutrono. Così mi trascino verso il frigo e poi apparecchio in balcone. Melone, qualche fetta di prosciutto, uva fresca, fichi appena colti, una salsiccia secca, pizza bianca, ancora morbidissima. E il vino? E qui la tragedia. Non ho in frigo neanche una bottiglia di bianco. Peccato, avrei bevuto volentieri uno di quei vini che sanno di mare, per poi struggermi di malinconia immaginandomi su una di quelle stupende spiagge siciliane o salentine.
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nandomi su una di quelle stupende spiagge siciliane o salentine. Guardando bene, in frigo c’è solo un bottiglia di Raboso. Un vino Rosso, con fuori 40 gradi. Da dove salta fuori? Ah si, ricordo, lo presi a Zagarolo. C’era anche la Produttrice. Lei era la tipica veneta, di quelle tutto sorriso e aperture, con quell’accento strusciato e cantilenante che non conosce mezzi termini, o fa simpatia o li ammazzeresti… lei faceva simpatia, e molta. Parlammo di FIVI e dell’essere contadini e, dopo il terzo bicchiere, anche di come il vino può salvare il mondo… molto di più del mio peroncino! Ok, ci sta, stappo il Raboso. Almeno è bello gelato. E speriamo che Désirée Bellese non se la prenda per questa degustazione un po’ fuori dalla righe, senza nemmeno rispettare la temperatura di servizio. Ne verso un primo calice. Non è profumato, ma è di quell’acido buono ed è fresco, freschissimo. Ogni sorso dona piccoli brividi alla bocca. E il fatto che non abbia il corpo di un Brunello del ‘73 lo rende ancor più adatto allo scopo. Questo vino rinfresca, da speranza e dopo un po’, con il crescere della temperatura, anche qualche buon profumo di marasca, forse ribes. Faccio ampie sorsate. Il Raboso non si fa pregare e si unisce bene un po’ a tutto. Con i fichi poi è una goduria, ne smorza la sfacciataggine, li ingentilisce. Un paio di calici chiamano il terzo, perché con la pancia piena il Raboso da il meglio di sé. Così mi allungo sulla sdraio a godermi l’ultimo calice. Oddio, la bottiglia sarebbe da finire. Ma no, siamo responsabili. Va bé, ancora un dito e rimetto il Raboso in frigo. Porca miseria che caldo. Ok, allora ancora un goccio e a letto. Caldissimo… ultimo goccio… e un altro ancora… ■
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Jaco, la Sardegna e un sogno al Vermentino di Gallura. Jaco fa girare il suo bicchiere e vi poi avvicina il naso. I profumi diventano solidi, gli vorticano attorno, lo rapiscono e come un turbine lo trasportano sulla strada che da Santa Teresa di Gallura porta a Castel Sardo. A destra c’è un mare potente e imponente, evocativo, che porta brezza fresca mista a sale. A sinistra c’è la macchia mediterranea che lentamente si alza fino alle pendici di colline rocciose dalle forme lisce e sognanti. Dalla terra arriva calore misto di profumi, erba e terra. Jaco si gira indietro, verso la stradina appena percorsa che dalla spiaggia sassosa porta alla strada. Lei sale con lentezza. Ha un bikini nero a triangolini, la pelle tesa, il sole le illumina gli occhi, i capelli ancora bagnati e intrisi di sale le escono dal cappello di paglia accarezzandole il viso e le guance impreziosite da impercettibili lentiggini dovute al sole. Nonostante la stanchezza il suo sorriso è in modalità sempre acceso. E lì, proprio dove si trova Jaco, mare e terra si incontrano, con il sole che rafforza l’aria al punto che sembra di nuotarci dentro. Proprio in quel punto si è creato il sogno di lei, fatta d’aria, sale, mare, terra, rocce ed erbe… Lei è ignara del miracolo che le dà forma e vita e si siede al tavolino apparso lì in mezzo a quella strada, in mezzo a quel sogno. Sul tavolino c’è un Vermentino di Gallura dell’Agricola “La Neula”. Fresco e corposo, con lo stesso spessore, sapore e profumo dell’aria di quel punto magico, in cui terra e mare si toccano. Improvvisamente Jaco riapre gli occhi. Intorno a lui ci sono tante persone, in una lunga tavolata chiassosa ed allegra. La bottiglia è finita, ma lui ne ha ancora un sorso nel bicchiere. Lei è lì vicino. Lui le porge il bicchiere. Lei lo annusa e lo beve. “Buonissimo” esclama e, per un secondo, le brillano gli occhi. E poi continua a parlare di altro… ■ 87
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Gigi, il sommelier barbone e il Moscato d’Asti Ciao, mi chiamo Gigi. Sono un barbone o clochard, per chi vuole essere più fine. Nell’altra mia vita, quella senza libertà, ero sommelier e facevo il rappresentante di vini. Tutta roba di gran qualità e gran nome. Molti rossi francesi, qualche Champagne. Insomma, la mia vita era fatta tanti chilometri in macchina, di locali di gran moda di degustazioni e...di abbinamenti. Già gli abbinamenti…ma ditemi voi, con un Mathusalem di Champagne Dom Pérignon Rosé Vintage 2000 da 10 mila euro che diamine ci vuoi abbinare? Il Rolex d’oro e diamanti? L’American Express Platinum? O forse tanta ignoranza? Questo per dire che non vendevo solo bottiglie di vino, vendevo riflettori che illuminavano chi quelle bottiglie poteva permetterselo, imprenditori con conti correnti alle Cayman, trafficanti internazionali di tutte le droghe del mondo, industrialotti in cerca di legittimazione sociale, che si rispecchiavano nel fondo di quei calici con altezzosa benevolenza. Poi però, nel tempo libero, mi toglievo la giacca e la cravatta e iniziavo a girare in incognito per piccole cantine, alla ricerca di cose nuove e vere. Mi godevo vini e compagnie eccezionali, cercavo vini che fossero l’espressione del rapporto tra terra, vigna e 86
persone… e me ne fregavo di quei maledetti abbinamenti! Ed è proprio in quei giorni passati da vagabondo, che ho tagliato con il mio passato ed ho scelto di essere quel che sono oggi. Adesso la sera, all’ora dell’aperitivo per intenderci, mi trovate fuori a qualche enoteca del centro. Sto lì, seduto a terra, sorrido agli avventori che entrano porgendo loro il mio calice e mostrando il mio cartello con su scritto “HO SETE...”. Non va sempre bene, ma spesso, capita anche chi voglia condividere un calice con me. L’altra sera, a Ferragosto, un ragazzo gentile è uscito fuori con una bottiglia in mano e mi ha versato un calice di dicendomi: “Gigi, te che andavi a Champa-
gne, che ne pensi di questo Moscato d'Asti DOCG Cu Bianc dell'Azienda Agricola Seirole?”
Così ho rigirato quel bicchiere tra le mani. Un vino dolce, da dessert, ho pensato: “oggi mi ha detto male”... Primo sorso. Un vino composto, vivace e splendido, che subito mi ha riportato alle colline dell’Astigiano. Non ho mai adorato i vini dolci, sono complicati e sfuggevoli, sempre in equilibrio tra lo stucchevole e l’insignificante. Ma questo non era stucchevole e neppure insignificante. Aveva struttura, acidità, freschezza e corpo. In quel momento ho ripensato agli abbinamenti. E allora ho tirato fuori il mio panino con la mortadella... e ne ho goduto fino alla fine... ■
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VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE DOCG BRUT - RONFINI IL VINO: soprattutto glera coltivata su colline moreniche alla base di queste eleganti bollicine, che si elevano nel bicchiere disegnando fili di perle regolari e continue su una base cromatica che parte giallo paglierino e vira poi sul verdolino. Il ricco bouquet elargisce al naso un ampio spettro di profumi, con prevalenza di sentori floreali e frutta esotica. La buona acidità e la giusta sapidità lasciano la bocca fresca, pulita e subito pronta ad un nuovo assaggio. CONSIGLIATO PERCHE': la raccolta manuale delle uve e una tecnologia d’avanguardia
in cantina conferiscono a questo spumante brut da autoclave una spuma cremosa e un perlage molto fine e gradevole alla vista. Un vino che ci ha lasciato ottime sensazioni da tutti i punti di vista ed è l’ennesima dimostrazione che lavorare in vigna puntando sulla qualità premia a prescindere.
“DONNA GRAZIA ” BRUT METODO CLASSICO - GURRIERI IL VINO: è un riuscitissimo bianco di nero d’Avola e frappato affinato fino a 24 mesi sui lieviti. Il colore è un bel giallo limpido ravvivato da dei bei riflessi rosari che rivelano l’impiego di uve esclusivamente a bacca rossa. Il perlage è fine e regolare e la spuma abbastanza persistente. Al naso rivela una fresca fragranza, con note di fiori freschi e frutta gialla di buona complessità e intensità. In bocca regala sensazioni di freschezza e sapidità decisamente piacevoli, che invitano a nozze il sorso successivo. CONSIGLIATO PERCHE': è molto più che una sperimentazione ben riuscita di vinificazione
in bianco con rifermentazione in bottiglia di due rossi autoctoni della Sicilia orientale. Questa è una bolla di carattere, che però riesce a solleticare delicatamente il palato ad ogni sorso, trasmettendogli l’integrità dei sapori e degli odori della terra da cui proviene.
"TO YOU " BOLLE DI LAMBRUSCO IGT - CANTINE CECI IL VINO: fragola, more e lampone sono le intense sensazioni, tipiche del lambrusco,
generosamente elargite roteando un calice di “To You”. Morbido ed equilibrato, pulisce il palato con la sua frizzantezza, che non è mai troppo aggressiva. Cantine Ceci ce lo consiglia con companatici e piatti strutturati della cucina parmigiana, ma a noi non dispiace immaginarcelo come un fresco aperitivo, magari in dolce compagnia. CONSIGLIATO PERCHE' : ci piace l’originale idea della bottiglia-lavagna (con tanto di
gessetti e cancellino!) che danno libero sfogo alla fantasia rendendo la degustazione un qualcosa di meno "ingessato". Ma non bisogna fare l’errore di considerare questa bottiglia soltanto come una bellissima idea regalo, perché nell’innovativa forma è custodita anche tanta sostanza.
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“PAVANA ROSE’ BRUT ” - COLESEL IL VINO: arriva direttamente dalle Dolomiti, precisamente dai vigneti di proprietà dell’Azienda Agricola De Bacco, questo Pavana 100% che, dopo la prima fermentazione in Trentino, viene spumantizzato da Colesel a Valdobbiadene mediante Metodo Martinotti. Con un perlage finissimo e una spuma cremosa e persistente, sprigiona intensi aromi di frutti di bosco, di fragola, di mora e di mirtillo oltre ad una gradevole sfumatura di rosa canina. E in bocca non tradisce le aspettative, confermando quanto già lasciato intendere all’olfatto. CONSIGLIATO PERCHE': trattasi di una validissima alternativa a molti metodo classico.
Molto più che una semplice sperimentazione, questo è uno spumante assolutamente da provare già solo per la particolarità del vitigno. Un vino affascinante alla vista con il suo rosa acceso, profumato ed intrigante al naso, sapido e piacevolmente fresco in bocca.
"PECORINO” ABRUZZO DOC - TENUTA I FAURI IL VINO: eccellenza d’Abruzzo, il Pecorino è qui magistralmente interpretato in questo fresco nettare dal colore giallo paglierino lucente e dall’articolato quadro olfattivo che libera ampie fragranze di fiori di campo, mela gialla e frutti tropicali. Il ricco sorso è avvolto dalla freschezza e da una trama minerale piacevolmente persistente, che sfuma in una lieve aromaticità finale. CONSIGLIATO PERCHE' : il meritato successo di questa azienda è tutto nella famiglia
Di Camillo e nella sua voglia di dar vita ad un brand pulito, fresco e delicato. Proprio come questo piacevolissimo pecorino in purezza che, di anno in anno, vediamo crescere nella struttura e nella complessità, ma non nel prezzo. Molto ampio il campo degli abbinamenti che spazia dai formaggi alle carni bianche, sebbene resti insuperabile con le fritture di pesce, i frutti di mare e le crudités.
"GALLIENO ” MALVASIA PUNTINATA LAZIO IGP - RISERVA DELLA CASCINA IL VINO: luminoso del suo bel giallo verdolino con sfumature dorate, questo profumato
nettare offre un vasta gamma di aromi, che vanno dai fiori bianchi e al fieno fino ai frutti gialli maturi. Note burrose e lievemente aromatiche finali ne arricchiscono ulteriormente il già ampio bouquet. Il sorso è secco, fresco, sapido e di buon corpo, ideale non solo con il pesce, ma anche con formaggi stagionati e piatti a base di verdure cotte. CONSIGLIATO PERCHE': il vino proviene dai vigneti aziendali radicati su suolo basaltico all’interno del Parco dell’Appia Antica, e condotti in agricoltura biologica. La vinificazione in purezza, il minimo contenuto di solfiti, l’ottima bevibilità e l’aromaticità espressa in maniera delicata e gradevole, rendono il “Gallieno” una delle etichette che valorizza maggiormente le caratteristiche di questo intrigante autoctono laziale.
"753 ” ROMA DOP ROSSO - CASALE VALLE CHIESA IL VINO: da un fitto rosso rubino con venature violacee si sprigionano intensi profumi
di frutti rossi, che fanno da apripista all’interessante spettro olfattivo. Seguono infatti eleganti note di pepe nero, rosmarino, liquirizia e una leggera nota finale di vaniglia che conquista piacevolmente il naso. In bocca è armonico, morbido, quasi vellutato, con un tannino setoso e una buona persistenza in chiusura. CONSIGLIATO PERCHE': il 753 è un assemblaggio ben calibrato di Montepulciano (60%),
cesanese (30%) e cabernet (10%) in cui si fondono perfettamente vigoria, freschezza ed estrema vitalità. Colpisce per la facilità di beva che lo rende spalla ideale di cene invernali a base di salumi, formaggi e carni al fuoco. Una nuova produzione, confezionata in soli 10 mila pezzi all’anno, che è solo l’ennesima prova del valido percorso di ammodernamento intrapreso di recente da questa storica realtà del frascatano. 88
"PRIMUS ” CALABRIA ROSSO IGT - CANTINE ENOPOLIS IL VINO: arriva dalla vallata della Stilaro questo ottimo sorso di Calabria. Montonico nero
Gaglioppo e Calabrese, le varietà autoctone più rappresentative del territorio, fermentano e maturano in acciaio, prima di passare 9 mesi in barriques. Ostenta un bel colore rosso rubino carico e un bouquet di profumi non banale, completato da un gusto pieno, armonico, vellutato e molto persistente. CONSIGLIATO PERCHE': troppo spesso sottovalutata, l’enologia calabrese riesce invece a regalare graditissime sorprese al bevitore più attento e slegato dai soliti classici blasoni. L’ottimo rapporto qualità/prezzo ne fa una vera chicca di cui è possibile godere a tavola tutti i giorni senza accendere mutui, accompagnando egregiamente primi piatti strutturati, carni alla brace, formaggi e salumi anche piccanti.
"VERSUS " NEGROAMARO SALENTO IGP - ROMALDO GRECO IL VINO: è un negroamaro in purezza dal color porpora che stupisce per intensità e
bilanciamento generale, merito anche di un giusto “dosaggio” della barrique. Vastissimo lo spettro olfattivo, con frutta sciroppata, liquirizia e speziature prevalenti. Il sorso è pieno, morbido ed equilibrato, il finale piacevolmente lungo. Un vino che, secondo noi, già possiede i numeri per diventare uno dei migliori negroamaro in circolazione. CONSIGLIATO PERCHE' : in tempi non sospetti ci aveva colpito per l’originale e utilissima etichetta cromo-termica che, illuminandosi al raggiungimento della corretta temperatura di servizio, può indicare il momento giusto per servire il vino. Oggi però, constatiamo che l’innovativo packaging del “Versus” custodisce al suo interno anche tanta pregiata materia. Un prodotto curato in ogni sfaccettatura che, siamo sicuri, farà molto parlare di sé nel prossimo futuro. Nel frattempo, ha già saputo cambiare faccia alla nostra serata.
"MARINA CVETIĆ " MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC - MASCIARELLI IL VINO: questo fantastico Montepulciano in purezza, che porta la firma di Marina Cvetić,
è il risultato dell’assemblaggio di uve degli storici crus di San Martino con elevaggio in barrique di rovere per almeno un anno. Elegante opulenza, subito ostentata dal suo colore rosso rubino carico e poi dalla complessità delle sensazioni olfattive, che vanno dai frutti rossi alla liquirizia, fino al cioccolato fondente. Al palato è caldo e denso, con un finale così lungo che un sol sorso potrebbe accompagnare un pasto intero. CONSIGLIATO PERCHE' : da vent’anni ormai, è una vera e propria icona dell’enologia
abruzzese. Un vino che continua a farsi valere per il suo carattere forte e inconfondibile, che non smette mai di stupire. E puntualmente, aprire una bottiglia di Marina Cvetić diventa ogni volta un’esperienza che rimane impressa per tanto, tantissimo tempo. Sempre che non si ceda subito alla tentazione di stapparne un’altra bottiglia…
"BRUNELLO DI MONTALCINO RISERVA ” DOCG - CASTELLO ROMITORIO IL VINO: ben sei anni di invecchiamento, di cui ben tre in rovere francese, hanno dotato
questa riserva di un bouquet così complesso da avvolgerti in un infito orgasmo olfattivo, fatto di frutti rossi maturi, confettura, liquirizia, vaniglia e spezie. Una vera e propria opera d’arte, che da sola appaga il palato rendendo superfluo ogni abbinamento. CONSIGLIATO PERCHE': attraverso la bella etichetta pittorica sembra quasi che il suo
Produttore Sandro Chia, illustre esponente della transavanguardia Warholiana, voglia come ricordarci che quello abbiamo versato nel calice è davvero un vino d’artista. Ma arriveresti alla medesima conclusione anche ad occhi chiusi, solamente immergendo il naso nell’armonia dei suoi aromi. E se mai un giorno anche noi dovessimo iniziare a “dare i numeri”, pochi dubbi avremmo sull’assegnare il più elevato dei punteggi ad un siffatto capolavoro. 89
IL MERCATO DEI VINI FIVI
PIACENZA - Sabato 25 e domenica 26 novembre 2017 torna il Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti. L’appuntamento organizzato dalla FIVI (Federazione
Italiana dei Vignaioli Indipendenti)
in collaborazione con Piacenza Expo, giunge quest'anno alla settima edizione e si preannuncia fin da ora come uno degli appuntamenti caldi dell'autunno enologico. Previste un massimo di 500 postazioni, limite che potrebbe non accontentare tutti. Il successo dell'edizione 2016 ha messo in luce il grande valore di questa manifestazione e ha dimostrato al pubblico che qui non si scoprono solo vini, ma soprattutto storie e persone. E poi il Mercato della FIVI è l'unico dove trovi 500 carrelli da riempire di bottiglie. L’immagine della locandina di quest'anno è stata realizzata dall'illustratrice vicentina Carla Manea con l’idea di rappresentare il legame imprescindibile che c'è tra uomo, lavoro e natura. Ingresso avrà il costo di € 15 comprensivo di bicchiere per degustazioni. Per soci AIS, FIS, FISAR, ONAV e Slow Food (mostrando tessera associativa valida nell’anno corrente) e per tutti possessori del biglietto della manifestazione MareDivino 2017 a Livorno, l’ingresso sarà ridotto a soli 10 euro. L’orario di apertura al pubblico è invece fissato dalle ore 11.00 fino alle 19.00 ■
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MARE DI VINO
LIVORNO - Anche quest’anno, dopo il grande successo della Sesta Edizione 2016, la Delegazione di Livorno della FISAR, Slow Food Livorno, Comune e Provincia di Livorno, organizzano per sabato 18 e Domenica 19 Novembre 2017, la VII edizione di MareDiVino, evento istituzionale di promozione e conoscenza dei vini della Provincia di Livorno. Una grande “vetrina” dei vini del territorio livornese e della Costa degli Etruschi, ricco di prodotti di eccellenza, con la possibilità di assaggiare i vini di Bolgheri e della Val di Cornia, ma anche quelli dell’area limitrofa del Montescudaio e di Riparbella, delle zone del Terratico di Bibbona e delle Isole d’Elba e Capraia. La location è quella degli splendidi saloni del Terminal Crociere Porto di Livorno 2000, con più di 3.000 mq espositivi. Ancora una volta, attorno alla Grande Degustazione al Banco, con 60 aziende e quasi 300 vini in assaggio, si svolgerà la settima edizione del Concorso “Rosso Buono Per Tutti”, selezione “a giuria popolare” con assaggio alla cieca dei vini rossi di prezzo inferiore a 18 Euro. Ma MareDiVino includerà anche quest’anno “C’è Olio e Olio: regalati un prodotto del tuo territorio”, con gli stand dei produttori (più di 50) di olio e di gastronomia della Provincia di Livorno e zone limitrofe. Orari previsti: sabato 28 dalle ore 14:00 alle 19:30 - Domenica 29 dalle 11:00 fino alle 19:30. ■ .
SIMPOSIO 2017
ROMA - Nuovo appuntamento con il “Trionfo del Gusto” nella bella location del Salone delle Fontane, in zona Eur. Un weekend enologico con centinaia di cantine che, dal 21 al 23 Ottobre catalizzerà, l’attenzione degli operatori del settore dell’area romana. Ma la vera novità di quest’anno è rappresentata proprio dalla giornata “Business” di lunedì 23, nella quale aziende potranno prenotare degustazioni o appuntamenti privati con potenziali clienti, per trasformare gli incontri fatti in fiera in concrete opportunità commerciali. Altre info al sito: wwwsimposioroma.it ■
MERANO WINE FESTIVAL
MERANO - Dal 10 al 14 Novembre 2017 aprirà le sue porte la 26esimo edizione del prestigioso Festival di Merano. 5 giornate piene di emozioni, contenuti, idee da scoprire e tanti amici: oltre 450 aziende, quasi 200 artigiani del gusto, 15 chef di spicco, con una novità: uno spazio dedicato ai vini biologici, biodinamici e naturali. Questa è l’espressione del meglio che il nostro paese ha da offrire, perché un’azienda selezionata dall Merano WineFestival fa parte del gotha dell’alta qualità. ■
HOST MILANO: EQUIPMENT, COFFEE AND FOOD
OLIOLIVA 2017
IMPERIA - Splendide giornate,
MILANO – Host fa quaranta edizioni e per 5 giornate dal 20 al 24 Ottobre 2017, ancora una volta Milano diventa la capitale dell’accoglienza professionale. Una fiera che si conferma l’appuntamento immancabile per gli operatori del Ho.Re.Ca, foodservice, retail, GDO e hotellerie, in cui presentare in anteprima l’innovazione nella tecnologia per la lavorazione del food. Ma Host, con i suoi 14 padiglioni, è anche punto di riferimento per tutta la filiera dell’ospitalità, che si avvale di in un contesto organizzato per merceologie affini e sinergiche, che valorizza le specificità di ogni settore e ogni singola azienda, garantendo il giusto palcoscenico a prodotti, macchine e attrezzature d’avanguardia. E come per le aziende espositrici questa è un occasione unica per fare business internazionale di qualità con buyers attentamente selezionati e con elevata capacità di spesa, per gli operatori questo è un vero è proprio must per conoscere le novità delle aziende e capire le nuove tendenze del mercato. Anche i visitatori sono guidati all’interno della filiera attraverso percorsi funzionali che ottimizzano il tempo a disposizione e l’esperienza di visita. Tutto questo per garantire la massima soddisfazione di aziende e operatori professionali e per confermare Host come scenario ideale per esperienze, tecnologie, qualità e innovazione provenienti da ogni parte del mondo. Del resto i numeri di Host sono sempre più da capogiro: sono ben oltre 2 mila gli espositori (da oltre 47 Paesi di tutti i continenti), con un incremento del 18% rispetto all'edizione precedente, soprattutto grazie alla sempre più co
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spicua partecipazione di aziende estere; 151 mila gli operatori professionali, di circa 60 mila stranieri da 172 Paesi del mondo a coprire tutti i settori del food: ristorazione professionale, pane, pizza, pasta, caffè, gelato, pasticceria e poi arredo e tavola. Tanti gli eventi in programma, con partecipazione di chef stellati di fama mondiale che si cimenteranno in show cooking di alto profilo. Uno spettacolo esclusivo per la Ristorazione Professionale a cui si aggiungono performance e competizioni di elevato contenuto tecnico e artistico a cui parteciperanno i migliori Maestri del gelato, cioccolato e pasticceria da ogni angolo del pianeta, per animare anche il settore più goloso della fiera. Mentre il mondo del Caffè, Bar e Vending vedrà protagonisti i principali stakeholder, baristi e trainer di tutto il mondo in eventi di grande portata internazionale che offriranno ai visitatori interessanti momenti di confronto. Nuovi format e un premio all’innovazione tecnologica completano la vocazione di Host per tutto ciò che è ricerca e tendenza. Gli orari per d’ingresso alla fiera di operatori professionali e Press, validi tutti i giorni, sono dalle 9.30 alle 18.30. I costi per le tessere di ingresso sono i seguenti: € 45 per la singola giornata, oppure di € 86 per l’abbonamento a 3 giornate e di € 99 per l’abbonamento a tutte le 5 giornate. Per facilitare le operazioni di entrata in fiera è consigliabile la pre-registrazione on line. Per tutte le info e i dettagli dei vari appuntamenti in programma all’interno della fiera potete visitare il sito ufficiale: www.host.fieramilano.it ■
dal 10 al 12 Novenbre, nell'incanto dei borghi dell’entroterra, con itinerari tra storia, cultura, tradizione ed enogastronomia. OliOliva è un’opportunità imperdibile per coniugare arte, divertimento e turismo con la cucina locale e le ricette tipiche impreziosite dall'extravergine delle vallate imperiesi. Assaggi, degustazioni, visite ad aziende, oliveti, frantoi, botteghe artigiane, chiese, monumenti, ristoranti e osterie tipiche incastonate nello straordinario paesaggio della Liguria d’altri tempi. Un’occasione per andare alla scoperta di un territorio che si offre all'ospite italiano e straniero in un insieme di inquadrature mozzafiato. Sarà possibile coglierne le bellezze naturali ed artistiche e naturalmente concedersi il piacere di gustare la genuinità dei prodotti tipici, tra cui appunto una delle grandi ricchezze di questa zona, almeno partire dall’inizio dell’Ottocento: l’oliva di cultivar Taggiasca. La produzione olearia ha contraddistinto l’economia della città, con la nascita di aziende che hanno saputo imporsi a livello nazionale ed internazionale. E la storia della produzione è ben documentata nel Museo dell’Olivo della Fratelli Carli, cui non deve mancare una visita durante la manifestazione. Oltretutto, quest’anno il Museo dell’Olivo festeggia il 25° anniversario: un traguardo che testimonia come, di anno in anno, attraverso il passaparola, il Museo si sia confermato un importante punto di riferimento per chi ama la cultura legata all’olivo e ai preziosi doni di questa nobile pianta. ■ 91
BENVENUTA VENDEMMIA
FIERA TARTUFO D’ALBA
Tra Settembre ed ottobre il profumo delle uve e del mosto chiama a raccolta gli enoappassionati nelle cantine del Movimento Turismo del Vino. È il momento in cui le aziende si animano del lavoro incessante in vigna e della selezione dei grappoli migliori, un periodo suggestivo per visitare i vigneti, partecipare insieme ai vignaioli alla raccolta dell'uva e alle prime fasi di lavorazione. Così, per accogliere al meglio gli appassionati, le aziende organizzano eventi speciali come mostre d'arte, spettacoli, concerti e molto altro. Trattasi di un evento che, data la specificità di epoche di raccolta diverse fra regioni e regioni, zone e zone, dà modo di organizzare un calendario più lungo per una fruizione turistica che consente, perché no, di andare anche in regioni diverse. Per tutte le info e le cantine aderenti potete visitare il sito: www.movimentoturismovino.it. ■
Dal 7 ottobre al 26 novembre, dalle ore 9 alle ore 20, il centro storico di Alba si trasforma nella capitale del tartufo bianco. Tantissimi gli eventi, incentrati soprattutto il sabato e la domenica, che avranno come protagonista principale il pregiato fungo ipogeo. Tanti ospiti d'eccezione, incontri, dibattiti, presentazioni di libri, ma anche showcooking con i grandi Chef di Langhe, Roero e Monferrato. E poi seminari, analisi sensoriale del tartufo, wine tasting Experience e tantissime attività folckloristiche che animeranno le vie e le principali piazze della piccola cittadina del cuneese. Vi segnaliamo inoltre la Festa del Vino, programmata per domenica 24 settembre e Albaromatica, domenica 8 ottobre, entrambe in Piazza Risorgimento. Non solo tartufo quindi, ma anche tante altre specialità gastronomiche locali: dalla carne piemontese Igp alla Nocciola Piemonte Igp, dai formaggi Dop alla pera Madernassa, dal cioccolato degli artigiani pasticceri della provincia di Cuneo, fino alle pregiate grappe dell'Istituto Grappa Piemonte. E poi ancora mostre, poesia, arti, scienze ed eventi culturali, vanno ad arricchire ulteriormente l’offerta di un evento davvero completo che punta, come ogni anno, a soddisfare qualsiasi palato, anche il più esigente e raffinato. Per scoprire il calendario dettagliato degli eventi basta consultare il sito ufficiale della manifestazione www.fieradeltartufo.org , che contiene anche foto e videogallery delle precedenti edizioni, una sezione notizie molto aggiornata, una guida alla degustazione tecnica del tartufo. Il sito contiene inoltre un comodo Borsino del tartufo bianco d’Alba, per tenere sottocontrollo l’andamento dei prezzi riferiti ad alla pezzatura più comune che si aggira intorno a i 20 grammi. ■
ANTEPRIMA VITIGNOITALIA
Vitigno Italia, la più importante fiera enologica del Sud d’Italia, sbarcherà a Roma al Festival della Gastronomia organizzato da Witaly e Luigi Cremona. L’evento si svolgerà presso le Officine Farneto dal 7 al 10 ottobre 2017. Diverse le iniziative in programma, tra le quali, nella giornata di lunedì 9 alle ore 17, ci sarà l’Anteprima Vitigno Italia 2018 (che si svolgerà a Napoli nel mese di maggio). L’ingresso sarà riservato esclusivamente agli operatori di settore e ai media. Per partecipare è necessario scaricare il modulo di registrazione dal sito www.vitignoitalia.it, compilarlo e poi inviarlo per email all’indirizzo: info@vitignoitalia.eu. ■
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AUTOCHTONA 2017
BOLZANO - Torna, dal 16 al 17 Ottobre, l’appuntamento a Bolzano con i vini autoctoni italiani di eccellenza. Autochtona è una vetrina in grado di esaltare le tipicità dei vini provenienti da vitigni unici o rari della ricca tradizione italiana. Nel cuore dell’Alto Adige, dove la cultura enologica è tra le più antiche d’Europa, Autochtona accende i riflettori sulle denominazioni più note così come su quelle meno conosciute del grande patrimonio vitivinicolo italiano. Oltre 100 aziende provenienti da 15 regioni italiane presenteranno direttamente il meglio della propria produzione vitivinicola. Un tour d’Italia calice alla mano per conoscere le tipicità e le eccellenze dei terroir italiani, scoprire vitigni rari e ricercati, incontrare direttamente i produttori di piccole ottime cantine. ma anche due giornate per consentiranno agli operatori di incontrare realtà di nicchia, spesso sconosciute, che custodiscono e difendono vini tipici che attirano un numero sempre crescente di appassionati. Del resto, i numeri dell’edizione 2016 parlano chiaro sulla portata dell’evento: oltre 1.300 visitatori specializzati, 46 media del settore accreditati, 54 banchetti per la degustazione, 74 produttori presenti, 338 etichette provenienti da 17 regioni italiane e 15 buyer internazionali da 12 Paesi. L’orario di apertura per entrambi i giorni è previsto dalle ore 11.00 fino alle 18.00. Il costo dei biglietti d'ingresso sono di € 30 (intero) e di € 25 (solo tramite acquisto online). ■
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OLTRE IL BLOG DEL VINO I “Piaceri della Vite” è una rivista completamente digitale, che si occupa di cultura del vino. Il blog è uno strumento eccezionale, immediato, ma non ha, a nostro parere, la struttura per poter ottenere il giusto approfondimento. La rivista, anche per la sua forma di impaginazione, racchiude in se il piacere di una lettura continuativa e più approfondita. L’impaginazione grafica permette di mettere in risalto i temi, la sequenzialità delle rubriche, è parte stessa del piacere di leggere. A questa forma però aggiungiamo il web che ci dà una capacità distributiva che una rivista stampata non può avere, attraverso il sito di riferimento ci permette di avere un archivio ben catalogato delle aziende e dei temi trattati, permette ai vari numeri di vivere per sempre e di essere sempre consultati e ricercati attravero google e sulle diverse piattaforme di distribuzione.
Canali di distribuzione
Statistiche di lettura Dal 22 Dicembre 2016 data di uscita del numero zero ad oggi
8.500 3.600 lettori
ore di lettura
155.000 email inviate
è un progetto
info@ipiaceridellavite.it | andrea: 348 401 66 36 | federico: 349 075 01 82
Anno II - Numero IV Settembre 2017 Nella foto in copertina:
Acini di Verdicchio dei Castelli di Jesi (foto di Marika Socci)
..................................................... Editore: Antea dev Srls Via Tiburtina, 912 00156 - ROMA CF e P.IVA: 13784521000
.....................................................
I Paesaggi del Vino: Le terre del Cesanese
Responsabili del Progetto editoriale: Federico Dini e Andrea Vellone. Per la pubblicità: pubblicita@ipiaceridellavite.it Cell: (+39) 349 0750182 Distribuzione online: www.ipiaceridellavite.it www.wineday.it Facebook: WINE DAY .....................................................
Agricola Gizzi, un dolce lento gustare
Hanno collaborato a questo numero: Costantino D’Aulisio Garigliota, Sandro Notargiacomo, Andrea Salvatore, Ugo Bertana, Anna Veronica Solvino. ..................................................... Si ringraziano anche:
Vino e salute
Il Consorzio per la tutela del Franciacorta, Luigi Sportiello, Marika Socci, Paolo Carlo Ghislandi, Marco Reali, e tutti i Produttori citati all’interno. ..................................................... “I Piaceri della Vite" è un prodotto editoriale online realizzato unicamente su supporto informatico e diffuso esclusivamente per via telematica. Visto che gli Editori non hanno fatto domanda di provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100mila euro, non sussiste alcun obbligo di registrazione al registro della stampa tenuto dal tribunale, né al R.O.C., né gli stessi sono soggetti agli obblighi di cui alla delibera dell'AGCom n. 666/08 del 26 novembre 2008. Per ricavi annui da attività editoriale si intendono i ricavi derivanti da abbonamenti e vendita in qualsiasi forma, ivi compresa l’offerta di singoli contenuti a pagamento, da pubblicità e sponsorizzazioni, da contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati. (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale”)
Antiqvis, brivido caldo
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