I piaceri della vite VI

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BUONO Dami j anPodver s i ce Umber t oTr ombel l i c ir ac c ont ano c omes if a.


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5 Editoriale VI 6 Enotizie: buone nuove dal mondo del vino

ANTEPRIME EVENTI: 10 Wineday Xperience 12 Simposio, sarà “trionfo del gusto”

VENI VIDI VINI: 16 Cantine Cos, in Anphora Veritas 20 Petra, monumento enologico tra mare e Maremma 24 Fattoria del Pino, la rosa di Montosoli

SORSI DI ECCELLENZA: 30 Un Ferrari (quasi) dimenticato... 32 Fracanton, Sagrantino#nofilter

SPECIALE:

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38 I Nuovi Vignaioli: Menti (e braccia) donate alla viticoltura

INTERVISTA A UMBERTO TROMBELLI E DAMIJAN PODVERSIC: 44 Il Vino Buono...

I PAESAGGI DEL VINO: 52 DiVini scorci di Orvieto

E ancora… 56 La Dieta dello Champagne 60 Sogno di mezzo inverno 62 Doggy-Bag: wine not? 66 L’evoluzione del Social Wining 72 Wine tv: 50 domande ai winelovers 75 Le mie degustazioni 79 Appuntamenti da gustare 83 E nel prossimo numero?


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ome avrete modo di scoprire addentrandovi nelle pagine seguenti, questa nostra prima uscita del nuovo anno è stata, non volutamente, in gran parte dedicata ai vini artigianali o “naturali”. Quel “non volutamente” è quantomeno doveroso perché, alla base di ogni scelta redazionale di questa rivista non c’è mai stato alcun indirizzo finalizzato a porre i riflettori sui vini artigianali anziché sui prodotti convenzionali. E viceversa. E questo semplicemente perché tale diatriba, secondo noi, non ha davvero senso di esistere. Se proprio debbano crearsi delle “fazioni” nel mondo del vino, sarebbe bene che ci si concentrasse di più nello sviluppare e sostenere un fronte dei “vini buoni”, da contrapporre ai “vini cattivi”. Una cosa però, possiamo dirla chiaramente, senza timore di essere accusati di “faziosità”: sempre più frequente ci capita di degustare vini, cosiddetti “naturali”, che si rivelano essere anche estremamente piacevoli. E’ il caso ad esempio del Sagrantino di Montefalco firmato da Cantina Fongoli che vi raccontiamo in “Sorsi di Eccellenza”; è il caso del Brunello di Montalcino di Fattoria del Pino assaggiato, per noi e per voi, dalla brava “wine-writer” Valentina Di Carlo; ed è anche il caso dei vini di Cantine Cos, visitate da Giuseppe Caprì. Tutti questi vini hanno in comune di essere il frutto di un jjj

Federico Dini, 40 anni, Geologo. Da sempre grande enoappassionato, fonda nel 2008 l’Associazione di promozione enogastronomica “Triclinium” che presiede fino al 2014. Ideatore della rassegna nazionale “Wine Day” e organizzatore di numerosi altri eventi e format enogastronomici.

viscerale amore per la vigna e di un lavoro artigianale in cantina, attuato secondo procedure antiche; sono vini che dimostrano, con assoluta certezza, come un’agricoltura biodinamica non fine a sé stessa, ma effettuata con criterio e coscienza, non solo non produce difetti e anomalie ma, al contrario, sa regalare veri capolavori . Come già sapete, questo è il discorso che abbiamo deciso di approfondire nel nostro articolo di copertina, con il contributo prezioso dell’enologo Umberto Trombelli e del Produttore Damijan Podversic, che hanno condiviso il loro autorevole punto di vista rispondendo alle stesse identiche domande; ovviamente vi lasciamo il gusto di scoprire da soli cosa ci hanno raccontato andando a pag. 44. Da non perdere anche il nostro “speciale” su quelli che abbiamo definito “I Nuovi Vignaioli”: questo articolo è figlio di un questionario che avevamo messo online sul nostro sito, con una serie di quesiti indirizzate ai Produttori di tutta Italia; in poche settimane ci hanno risposto in tantissimi, da nord a sud, aiutandoci anche a delineare alcuni profili di Vignaiolo ben definito, ma restituendoci anche un bello spaccato della cultura, della storia e delle tradizioni della viticoltura italiana. Adesso però, basta con le anticipazioni. E’ arrivato il momento di voltare pagina... Federico Dini & Andrea Vellone

Andrea Vellone, 44 anni. 20 anni di Marketing, comunicazione, grafica, design nei più disparati campi: elettrodomestici, banche, compagnie aeree, Internet Company. Almeno fin quando non decide di dedicarsi unicamente a quella che è la sua passione di sempre....il vino!


E’ NATO IL CORRDINAMENTO DELLE STRADE DEL VINO Avrà sede al Palazzo della Corgna a Castiglion del Lago in Umbria, il nuovo Coordinamento delle Strade dell’olio, del vino e dei sapori italiane, nato lo scorso Dicembre grazie alla sottoscrizione di uno del Protocollo d’Intesa (con decorrenza dal 1 gennaio 2018), sottoscritto da ben 23 “Strade” nazionali. Un obiettivo raggiunto con grande determinazione e la cui valenza sarà quella di poter avere una coordinazione comune e una voce univoca nel dialogo con le Istituzioni, su progetti di ampio respiro e di lungo periodo. Infatti, delle 23 strade che hanno aderito al Protocollo, fanno parte migliaia di aziende agricole, cantine, attività di ristorazione e hospitality, dell’artigianato tradizionale, oltre a tantissimi Enti locali e territoriali. Elementi fondanti del Protocollo d'Intesa del Coordinamento Nazionale, ad esempio, sono: lo scambio di buone pratiche, anche attraverso la partecipazione in maniera congiunta ad iniziative; la condivisione di materiali, informazioni e dati ritenuti di reciproco e generale interesse; la creazione di un gruppo di lavoro per studiare pacchetti turistici congiunti, attività didattiche e formative, attività promozionali, educational tour per buyer, educational per giornalisti; lo studio e l'attuazione di accordi culturali, commerciali e promozionali incrociati; l'impegno ad operare congiuntamente nella ricerca delle risorse indispensabili per la realizzazione di progetti condivisi. E molto altro ancora... 6

ANNATA RECORD PER L’EXPORT ALIMENTARE ITALIANO Boom nel 2017 per le esportazioni del food made in Italy, con un valore d’affari che ha raggiunto i 40 miliardi di euro. Un record assoluto e un +6% rispetto all’anno precedente. Questo il bilancio dell’agroalimentare tricolore, con quasi i due terzi delle esportazioni che hanno interessato i Paesi Ue, dove l’appeal del cibo nostrano cresce costantemente. Tuttavia, in termini assoluti, il principale mercato extracomunitario, resta quello degli Stati Uniti. Ad aiutare in modo considerevole tale crescita sono stati soprattutto i prodotti dolciari artigianali, specie quelli natalizi: si pensi che solo nel periodo nel settembre 2016 ed agosto 2017, tra panettoni, pandoro e cioccolato è stato calcolato che si è sfiorato un fatturato totale di circa 600 milioni di euro (un +5,8 percentuale rispetto al 2016). Un picco storico, stimolato ovviamente dal periodo natalizio, che però dimostra come i nostri prodotti alimentari piacciano sempre di più in Italia e nel mondo. E come ha sottolineato il Presidente di Confartigianato Giorgio Merletti: "il merito, prima di tutto, è dei no-

stri artigiani del cibo se la qualità tipica delle nostre 90.055 imprese artigiane del settore alimentare è sempre più apprezzata. Di queste ben 43.063 sono specializzate nella pasticceria e danno lavoro ad oltre 155000 addetti. Un patrimonio economico e di tradizione culturale che va costantemente difeso e valorizzato". Come dargli torto?

“SOMMELIER DELLA CARNE” AL DEBUTTO Alla Trattoria dall’Oste, nota chianineria nei pressi di Santa Maria Novella a Firenze, debutta una nuova figura professionale: un consulente per aiuterà i clienti nella complessa scelta del miglior secondo disponibile nel menù. E’ stato definito, forse impropriamente, il “sommelier della carne”, perché specializzato su razze e provenienze, frollature e cotture, tagli e pezzature. Eppure, in un ristorante di questo tipo, dove la “fiorentina” è un vero e proprio culto, l’idea di assoldare un esperto dell’amata ciccia, non appare poi così bizzarra. Del resto, non è poi cosa da tutti orientarsi tra le dieci razze (italiane ed estere) proposte in carta: oltre alla celebre Chianina in questo locale è possibile degustare anche la Marchigiana, la Maremmana, la Romagnola, la Frisona, ma anche la Black Angus, la Rossa Spagnola, la Pezzata Rossa croata, la Wagyū e la Podolica. Una scelta che ci trova pienamente favorevoli, in quanto una tale figura, oltre che a migliorare in generale il servizio di ristorazione, non può far altro che rendere l’esperienza culinaria degli avventori ancora più ricca, anche dal punto di vista puramente culturale. Tuttavia la sua attività non si limita soltanto alla sala, in quanto il “macellaio a vista”, come viene definito dai titolari della chianineria fiorentina, avrà anche mansioni prettamente manuali, come occuparsi dei tagli, preparare polpette e disossare prosciutti. 7


NUOVE SCUOLE DI CUCINA NASCONO NEL LAZIO Due nuovi centri di formazione in pochi mesi sono spuntati recentemente nel Lazio per la gioia di aspiranti chef (e non solo). Il primo, in ordine di tempo, è sorto a Frosinone. Da qualche mese infatti è stata attivata la cosiddetta “Scuola del Gusto”, progetto nato dalla trait d’union di 3 diverse aziende leader nei loro settori (Dolcemascolo, Grossi e Petrucci), nel quale il food è protagonista a 360 gradi. Molteplici i corsi di formazione: pasticceria, gelateria, panificazione e, ovviamente, cucina, con docenti di fama nazionale, ma con un occhio di riguardo nel valorizzare in primis le ottime le specialità culinarie della Ciociaria. Il tutto destinato soprattutto ai giovani che vorranno inserirsi nel mercato del lavoro, ma anche a chi è già nel settore da tempo e vorrà comunque aggiornarsi. La seconda scuola, ancor più recente, ha invece visto la luce nella Tuscia-Viterbese, precisamente a Nepi, dove è nata Food Bunker, una scuola di formazione per appassionati di cucina e futuri chef. Un ex-capannone industriale trasformato in vero e proprio polo del gusto, inaugurato lo scorso 11 Gennaio e destinato ad essere frequentato da chiunque ami la buona cucina: uno spazio dal design piacevole, ma anche ecosostenibile, grazie al basso consumo energetico. E poi un corpo docenti dal curriculum invidiabile, formato da chef e pasticceri di esperienza pluriennale per propone corsi di formazione, sia a livello amatoriale che professionale. 6

MINNELLA BIANCA SULLA VIA DEL RILANCIO E’ di un giovane laureato in Tecnologie alimentari ed enologiche all’università della Tuscia a Viterbo, il tentativo di valorizzare un autoctono etneo quasi dimenticato, eclissato forse dai più noti Nerello Mascalese e Cappuccio, Carricante e Catarratto. Parliamo della Minnella bianca, oggetto della tesi del giovanissimo Rosario Raciti di Lingaglossa (CT): la Minnella è un raro vitigno autoctono coltivato quasi soltanto sull’Etna, su una superficie di appena 3 ettari, il cui nome è dato dalla caratteristica forma degli acini che un po’ ricordano un seno di donna. E’ una pianta molto difficile da coltivare e parecchio soggetta a malattia, ma anche molto resistente alla siccità. Nella sperimentazione di Raciti si è proceduto alla vinificazione in purezza, utilizzando l’uva di alcune aziende che già da alcuni anni la producono: sono quella di Mariano Raciti, di Massimiliano Calabretta e di Giovanni Raiti. Sono state effettuate 3 vinificazioni, relative a vendemmia anticipata, vendemmia a maturazione avanzata e vendemmia tardiva. La migliore è risultata essere quella a vendemmia anticipata, che ha permesso di ottenere vini con una maggiore complessità aromatica e con marcate note di banana matura, rosa e frutti esotici. Ma al di là di tutto, ciò che ci preme sottolineare è la forte attenzione che questa nuova generazione di produttori e agrotecnici sta riservando ai vitigni più rari del nostro ineguagliabile giacimento ampelografico.

L’ELBA DOC FESTAGGIA I SUOI PRIMI CINQUANT’ANNI 50 anni di “DOC Elba”. Una denominazone di origine controllata seconda, da un punto di vista cronologico, solamente a quella di San Gimignano in Toscana. Era infatti il 1967, quando venne riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica. Allora il disciplinare della denominazione prevedeva le sole tipologie Elba Bianco ed Elba Rosso, vini a base rispettivamente di Procanico (Trebbiano toscano) e Sangiovese, poiché la maggior parte dei vigneti coltivati sull’isola dai Produttori elbani erano costituiti da queste due varietà. Solo negli anni ‘90, con l’introduzione nella bella isola tirrenica di nuove varietà come Ansonica, Vermentino, Aleatico e Moscato, si arrivò a modificare il disciplinare Elba con il riconoscimento della denominazione d’origine anche per l’Elba Ansonica (nella versione secca e passita), per il Vermentino, e per i Vini passiti Aleatico e Moscato. L’ottenimento della DOCG per l’Aleatico Passito dell’Elba è invece arrivata solo nel 2011, prima in assoluta (e unica) per un vino passito toscano. Arrivando ai giorni d’oggi, precisamente alla vendemmia 2017, si giunge così al 50° anniversario della Doc, che oggi rappresenta una delle più importanti aree vitivinicole della regione Toscana. Attualmente circa il 70% della produzione è rappresentata proprio dai Produttori del Consorzio di Tutela della Doc Elba, di cui fanno parte soltanto aziende che producono e vinificano sull’isola. 7


MODIFICATI I DISCIPLINARI DEI VINI ASOLO MONTELLO Con la votazione dell’Assemblea del Consorzio dei vini Asolo Montello sono state approvate ben tre modifiche ai disciplinari. Le variazioni riguardavano esattamente la DOCG Asolo Prosecco Superiore e la DOC Montello-Colli Asolani. La prima novità riguarda l’etichettatura dell’Asolo Prosecco Superiore DOCG. Finalmente i Produttori potranno scegliere se apporre sui loro prodotti la dicitura di Asolo Prosecco Superiore DOCG o la più semplice Asolo DOCG. Un modo per legare ancora di più il vino con la zona di produzione e con la città dei cento orizzonti. Aria di cambiamento anche per l’Asolo Prosecco DOCG “Colfondo”, che da quest’anno cambierà il suo nome in Asolo Prosecco Superiore DOCG sui lieviti e potrà essere prodotto nella versione Brut Nature o relativi sinonimi. L’altra importante modifica riguarda invece la DOC Montello-Colli Asolani, che abbrevierà la sua denominazione sostituendo la dicitura “Colli Asolani” con quella, più semplice, di “Asolo”. Il marchio DOC potrà quindi essere riportato sulle etichette delle bottiglie come DOC Asolo Montello o, a discrezione, DOC Montello Asolo. Attesa l’approvazione definitiva prima della vendemmia 2018. Le modifiche, infatti, sono in fase di approvazione da parte della Regione; la successiva convalida da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali è prevista nel corso dell’anno, in modo che le variazioni siano attuative già dalla vendemmia 2018. 8

DONALD TRUMP PREFERISCE IL PRIMITIVO DI GIOIA DEL COLLE

A MONTEPULCIANO NASCE LA TUSCANY BARRIQUE ART

Il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America ama bere italiano, precisamente vino pugliese. E come dargli torto? Ha fatto molto parlare di sé l’ordine di ben quello prodotto 720 casse di vino di un ottimo Primitivo di Gioia del Colle. E così, la Casa bianca è stata letteralmente “invasa” da ben 4320 bottiglie, precisamente della Tenuta Chiaromonte, con sede ad Acquaviva delle Fonti (BA). Una piccola azienda di famiglia di pochi ettari, portata avanti di padre in figlio e da sempre strettamente legata alla vita rurale e contadina, ma anche una realtà simbioticamente legata al primitivo, se non altro perché attiva già dal lontano 1826, pochi anni dopo il riconoscimento ufficiale di questo vitigno. E sono due le etichette di quest’azienda scelte dall’uomo più potente del mondo: la prima è “Il Mascherone”, un Primitivo Igt prodotto da vigneti molto giovani, un vino semplice, di facile beva e comunque adatto ad ogni occasione nonostante i sui 13,5 gradi alcoolici; l’altra è il “Muro Sant’Angelo Contrada Barbatto”, un Primitivo della DOC Gioia del Colle. Quest’ultimo è un vino davvero importante, che arriva da vigneti di circa 80 anni allevati ad alberello. Un rosso di quasi 17 gradi, che, per struttura, può sostenere qualsiasi portata in qualsiasi pranzo o cena di lavoro con Capi di Stato e altri potenti della Terra, senza alcun timore reverenziale. Peccato solo che, a quanto pare, Donald Trump sia praticamente astemio.

Se da sempre fare il vino è stato visto come una raffinata forma di arte, mai, prima d’oggi, l’arte era stata applicata anche ad una barrique. E invece, dal bellissimo borgo senese, già patria del Nobile, la prima docg italiana, arriva una nuova tecnica artistica che riesce ad unire design e tecnologia ad uno degli oggetti simbolo dell’enologia. Parliamo appunto della “Tuscany Barrique Art”, un modo originale e piacevole di recuperare le botti esauste realizzando opere d’arte. Il progetto è di Massimo Pagliai, un giovane geometra senese, che ha saputo sfruttare una tecnica innovativa per dare nuova vita e valore alle barrique. L’idea, semplice ma efficace, è quella di rimuovere (attraverso fresatura manuale) il colore porpora lasciato dalla vinaccia sul legno per imprimerci la sua arte con immagini a contrasto dall’aspetto molto caratteristico. Anche perché questa tecnica, lascia comunque inalterati quei tipici colori e i profumi che solo una barrique a fine carriera può possedere. E così le sue opere rappresentano principalmente luoghi, paesaggi, monumenti e oggetti simbolo della sua Toscana e dell’Italia in generale. Un’idea senza dubbio simpatica ed originale, che potrebbe essere anche utilizzata soprattutto per arredi e rivestimenti personalizzati di cantine, ristoranti, enoteche e winebar, ma anche di casa propria, per il più suggestivo degli angoli bar.

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6-7 Maggio Villa Ecetra Patrica (FR)

e d i t i o n www.wineday.it


ANTEPRIMA EVEN

Torna, con l’edizione del decennale, Wine Day 2018, l’appuntamento con la più longeva Kermesse enologica del Lazio: fissato per il 6&7 Maggio l’appuntamento per Produttori, operatori ed enoappassionati.

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omenica 6 e lunedì 7 Maggio 2018. Sono queste le date da segnare sul calendario per partecipare al gustoso appuntamento annuale con il “Wine Day”, l’esclusiva rassegna enologica da cui è anche nata la rivista che state “sfogliando” in questo momento. Quel che è certo sin d’ora, è che non sarà un’edizione come le altre, se non altro perché questa kermesse, nata nel lontano 2009 come vetrina delle eccellenze italiane del food and beverage, quest’anno raggiungerà la cifra tonda, delle 10 edizioni: un traguardo importante, che ne testimonia non solo costanza, ma anche continuità di risultati nel tempo che, oggi, rendono oggi il “Wine Day”, una delle più “longeve” vetrine enogastronomiche di tutto il Lazio. 32


ANTEPRIMA EVEN

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2009 Un format ormai collaudato, ma che ha anche saputo evolversi e migliorare, proprio come un buon vino, con il passare degli anni, seguendo e, a volte anticipando, le tendenze del mercato, spesso utilizzando anche le novità più innovative della comunicazione digitale e andando a coinvolgere tutti i principali stakeholders della filiera, dal Produttore fino al consumatore finale. Ma come da tradizione, ormai decennale, Wine Day 2018 sarà soprattutto vino; e a fare da sfondo a questa ormai prossima “X Edition” sarà, come di consueto, la bellissima Villa Ecetra a Patrica (FR), un incantevole casale immerso nel verde, che accoglierà confortevolmente gli oltre 90 Espositori provenienti da ogni angolo della penisola e le centinaia di visitatori che affolleranno le sale e i giardini della villa. Tuttavia l’evento sarà strutturato in modo tale da essere perfettamente funzionale alle esigenze sia del B2B che del B2C: la kermesse, infatti, sarà sdoppiata in due giornate dai contorni ben definiti e distinti. Si parte alle 15:30 di Domenica 6 Maggio, con la giornata destinata a tutti gli appassionati e i consumatori finali che, attraverso un lungo percorso di banchi d'assaggio, avranno la possibilità di degustare vini e leccornie gastronomiche scegliendo tra centinaia di referenze. Il giorno, seguente, lunedì 7, sarà invece riservato esclusivamente ad operatori del settore ho.re.ca e a buyers accreditati, con convegni, degustazioni guidate ed incontri commerciali liberi per l’intero orario giornaliero (dalle 11:00 fino alle 19:00). Questo e molto altro ancora in questa edizione “Xperience”, che, nel prossimo numero vi presenteremo in ogni dettaglio. Nel frattempo potrete trovare le modalità di partecipazione nel sito ufficiale della kermesse: wineday.it. In alternativa è possibile contattare gli Organizzatori al numero: (+39) 349 0750182 . ■ 78

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sarà “Trionfo del Gusto”! Dal 14 al 15 Aprile 2018 a Caprino Veronese (VR), la dimora storica di Villa Cariola diventerà “location del gusto” con la 1° edizione de “I Percorsi del Simposio”, kermesse enologica e gastronomica firmata dai fratelli De Ventura.

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ncora una volta sarà “trionfo del gusto”. Perché è proprio questo il “claim” che accompagna tutte le ormai classiche rassegne enogastronomiche curate da Daniele e Michele De Ventura. Questa volta però, hanno deciso di portare il loro collaudato format nel cuore del nord d’Italia. Il 14 e 15 Aprile 2018, infatti, presso la splendida Villa Cariola di Caprino Veronese (VR) andrà in scena la prima edizione de “I Percorsi del Simposio”, una kermesse itinerante che ha la finalità di mettere in vetrina eccellenza e la qualità della migliore produzione agroalimentare e vitivinicola italiana. Due date scelte, tra l’altro, per venire incontro ai tanti operatori, buyers internazionali che giungeranno a Verona per partecipare 7


ANTEPRIMA EVEN

anche alla cinquantaduesima edizione di Vinitaly, che si svolgerà proprio in quei giorni nel capoluogo veneto e raggiungibile con appena mezz’ora di macchina da Caprino Veronese. Saranno circa un centinaio infatti, le realtà produttive artigianali del nostro Bel Paese che presenteranno, in esclusiva, le loro specialità ad un pubblico di appassionati del settore, operatori, ristoratori, titolari di boutiques del gusto. Una due giorni conviviale dove si incontreranno, tra sapori e profumi, colori ed emozioni, le storie di uomini e donne che hanno creato, attraverso il loro lavoro quotidiano fatto di passione e professionalità, la storia del l’enogastronomia nazionale, in un ponte ideale tra passato, presente e futuro. Dalla grande tradizione di insaccati dell’Emilia Romagna e del Friuli Venezia Giulia a quella storica della norcineria laziale, toscana, umbra e marchigiana. Dai formaggi d’alpeggio piemontesi e lombardi, ai pecorini toscani e laziali, dalle tome dell’entroterra ligure alla mozzarella di bufala campana e alle decine di altre chicche casearie dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. E ancora, dalla pasta di Gragnano fino al riso della Pianura Padana. E poi sfiziosità dolci e salate in vasetto, sottolio o al naturale, provenienti da ogni parte d’Italia, ma anche prodotti da forno declinati, fino a quelli realizzati in occasione delle festività. Anche il vino, ovviamente, reciterà un ruolo da protagonista con moltissime etichette in degustazione, in grado di rappresentare al meglio il panorama completo della nostra produzione vitivinicola. Durante l’evento, inoltre, accanto alla presenza dei banchi d’assaggio, ci saranno anche numerosi momenti calendarizzati, dedicati a degustazioni guidate, laboratori di cucina, show cooking e seminari. Una manifejjjj 6

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stazione di sicuro successo, che unirà la bellezza della location di Villa Cariola, una vera e propria oasi di tranquillità sulle colline del Lago di Garda Villa Cariola, alla bontà delle eccellenze enogastronomiche selezionate dai bravissimi fratelli De Ventura. MMMM Una vera manna per gli appassionati e i professionisti del settore che vi faranno visita e che avranno la possibilità, non solo di degustare centinaia di prodotti, ma anche di acquistarli direttamente in loco. ■

INFO UTILI: “I Percorsi del Simposio a Villa Cariola” Location: Villa Cariola, Via Preele, 11 Località Pazzon, Caprino Veronese (VR) Date e orari: sabato 14 (10:30 - 23:00) domenica 15 Aprile (10:00 - 20:00) Ticket ingresso: € 10 con degustazioni (gratuito per operatori) Info: (+39) 334 3290811 www.simposioroma.it

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: ... Vi portiamo a Vittoria, nell’estrema punta sud-orientale della Sicilia, dove Cantina Cos ha fatto delle anfore di terracotta il marchio di fabbrica dei suoi vini di punta: una felicissima scelta, che riempie i calici dei profumi più autentici della campagna iblea. a cura di Giuseppe Caprì

Sommelier e appassionato comunicatore del mondo del vino e del cibo

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una calda mattina d’agosto mentre proseguiamo il nostro giro per la Sicilia Barocca rinata dopo i terremoti del 1693, quella ormai diventata famosa per le storie straordinarie del commissario Montalbano. Ci troviamo a Ragusa e vorremmo arrivare a Caltagirone passando per Vittoria, se non altro per visitare la cantina COS di cui ho letto alcune cose molto particolari. Percorriamo una campagna misteriosa e afosa di quel calore rassicurante che si vive all’ombra di una pergola di cannucce. La luce è devastante e a quest’ora della giornata, tenere gli occhi aperti diventa arduo. Passiamo per strade solitarie fiancheggiate da vigne e uliveti, agrumi e fichidindia, incontrando poche altre auto.


Non abbiamo un appuntamento vero e proprio, ma la cantina è aperta al pubblico e speriamo di trovare ospitalità e qualcuno che ci accompagni nella visita. Ci accoglie una ragazza gentilissima che, con grande padronanza, ci illustra le tipicità del territorio e le caratteristiche dell’azienda. La cantina è giovane, fondata nel 1980 da Giambattista Cilia, Giusto Occhipinti e Cirino Strano (da cui l’acronimo COS), ma parte con dei precisi fondamenti: agricoltura biodinamica, rispetto delle caratteristiche del terreno e distacco da una produzione standardizzata. Per questo si sceglie di utilizzare recipienti di terracotta, vasche di cemento vetrificato o botti grandi per lasciare esprimere liberamente i loro prodotti. Sorprende l’idea di utilizzare le anfore in terracotta, chiamate in questi luoghi “giare”, impiegate anticamente nelle zone caucasiche, dove sono state rintracciate le prime radici della coltura della vite e della produzione del vino. La terracotta è un materiale che, al contrario dell’acciaio, respira ma, allo stesso tempo, non rilascia aromi al vino come può fare il legno di una barrique. L’ossigenazione è un aspetto importantissimo per l’affinamento del vino e in questo caso mantenere questo scambio bilanciato è la chiave per ottenere un prodotto complesso e con jjjj

una forte espressione aromatica. La scelta del fornitore per le anfore è stata quindi lunga e difficoltosa: gli aspetti di cui tenere conto sono la forma e la capacità, il tipo di impasto e la temperatura di cottura che determina la vetrificazione e quindi il grado di porosità del materiale. Alla fine sono state scelte quelle provenienti dal sud della Spagna in quanto sono risultate quelle che garantivano un risultato migliore e una buona asetticità rispetto a tutte quelle provate. Spesso sono interrate, come in questo caso, quasi a voler mantenere il contatto con la terra che le abbraccia e le protegge, garantendo una regolazione naturale della temperatura del mosto. Qui sono custodite all’interno di una cascina e utilizzate per i vini Pithos rosso e Pithos bianco. L’intera produzione utilizza solo lieviti autoctoni, pratiche di follatura e kkkkkkk

La cascina dell’Azienda Agricola Cos a Vittoria, in provincia di Ragusa, dove vengono riposte le giare destinate alla produzione dei vini “Pithos”.

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rimontaggi manuali. I vini prodotti utilizzando questo recipiente manterranno ovviamente le caratteristiche dell’uva e la propria personalità per nulla intaccata dai sentori che potrebbero essere ceduti da contenitori diversi come il legno; insomma risulteranno più autentici. Anche lo stesso edificio che ospita la cantina di produzione è interrato: soluzione che, oltre ad essere rispettosa dell’ambiente, garantisce una corretta movimentazione delle uve in funzione delle varie fasi di lavorazione e, dal livello del terreno, arrivano fino al fondo, dove sono collocate le zone di affinamento. Qui trovano posto alcune vasche in cemento e botti grandi utilizzate per la produzione dei vini, per così dire, “tradizionali” che non svolgono il processo di macerazione riservata ai vini “Pithos”. La nostra guida ci racconta anche la storia affascinante legata alla forma della bottiglia scelta per accogliere i vini dell’azienda. Infatti, durante lo scavo per la realizzazione della nuova cantina è stata ritrovata una vecchia bottiglia rimasta chissà da quanto tempo interrata, quasi fosse un segno del destino. Così, anche per l’originalità della forma, è stato deciso di adottarla per identificare ancora di più la produzione della cantina. Il Pithos Bianco (100% Grecanico) è un IGP che si ottiene macerando per sette mesi il mosto a contatto con le bucce all’interno delle anfore interrate. Questo procedimento gli permette di estrarre aromi e sentori inaspettati. Il colore è intenso e dorato, al hhhhhhhh 18

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naso oltre alla frutta matura e essiccata si percepiscono profumi di erbe aromatiche e sensazioni salmastre. In bocca è secco, riempie e meraviglia per la complessità e, nonostante la bassa gradazione, se ne percepisce il calore profondo. E’ un vino oggi definito “orange”, ma che esalta la terra da cui proviene e riporta alla luce antiche sensazioni. Il Pithos Rosso (60% di uve Nero d’Avola e 40% di Frappato di Vittoria), prodotto con lo stesso uvaggio della DOCG Cerasuolo di Vittoria, ma denominato DOC Vittoria Rosso per motivi di disciplinare. Anche qui siamo di fronte a lunghe macerazioni (anche un anno) tra le pareti di terracotta vetrificata delle giare interrate. Il colore caldo ti avvolge e il vino ti accoglie con sentori di frutta a bacca rossa, una buona acidità, una grande profondità e i tannini che garantiscono una certa lunghezza. Insomma un vino che vorresti continuare a bere e in cui riconosci il territorio. Infine, una particolare menzione è per il bianco IGT Ramì da uve Insolia e Grecanico in parti uguali, un vino che offre sensazioni contrastanti, senlll

tori dolci di frutta matura da una parte, ma una freschezza entusiasmante dall’altra a controbilanciare. Anche questo nettare è espressione inconfondibile della campagna siciliana, dura ma dolce, se ne rispetti l’anima. ■

L’Azienda Agricola COS viene fondata nel 1980, da Giambattista Cilia, Cirino Strano e Giusto Occhipinti, tre amici, all’epoca i più giovani produttori italiani, che iniziarono la loro avventura prendendo in affitto la vecchia cantina della famiglia Cilia e anche i quasi 4 ettari di vigneto ad alberello in località di Bastonaca. E se oggi questa azienda è sinonimo di Cerasuolo di Vittoria, lo deve principalmente al rigore con il quale viene seguito ogni passaggio della produzione: dalla cura per la vigna seguendo i dettami della biodinamica, fino alla vinificazione in recipienti in terracotta.

Giusto Occhipinti e Gianbattista Cilia, attuali proprietari dell’Azienda Agricola COS, nella loro cascina in cui utilizzano circa 150 anfore.

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monumento enologico

tra mare e Maremma A Suvereto (LI), in visita alla cantina del gruppo Terra Moretti: progettata dall'archistar Mario Botta, non è soltanto una tra le più famose e spettacolari cantine d'Italia, ma anche un monumentale laboratorio produttivo da cui nascono alcuni tra migliori vini di tutta costa toscana. a cura di Simone Vergamini

wine & food consultant e sommelier, www.wineafterwine.it

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rovandomi a Suvereto per alcuni giorni di vacanza, non ho potuto resistere alla tentazione di visitare una cantina. Nella zona sono presenti tante interessanti possibilità, ma alla fine ho scelto Petra, azienda che avevo in agenda da un bel pezzo e che conoscevo per l’avveniristica cantina e per averne assaggiato i vini in occasione di alcune manifestazioni. “Petra” significa pietra, un elemento presente in abbondanza nei suoli e soprattutto nel sottosuolo dei vigneti. Nasce esattamente 20 anni fa grazie ad un’idea di Francesca Moretti, figlia di Vittorio Moretti, noto imprenditore nel ramo dell’edilizia, che nel corso degli anni ha creato e acquistato una serie di aziende vitivinicole dalla Franciacorta alla Sardegna.


Francesca dopo aver viaggiato molto nella zona del Bordeaux voleva creare un suo personale “chateau” e la scelta è ricaduta su quest’area dal grande potenziale enologico. Assieme al padre individuano nel grande architetto Mario Botta la persona giusta per progettare la cantina; e la scelta è più che mai azzeccata, con una struttura che oggi è tra le più belle del territorio nazionale, capace di attrarre non solo gli appassionati di vino ma anche quelli di architettura. Tutt’intorno i vigneti affondano le radici in terreni di matrice variabile dall’argilla alla sabbia, con percentuali di ciottoli da assenti ad abbondanti. Le prime produzioni sono state avviate sfruttando le vigne già presenti di Merlot e Cabernet Sauvignon, portati in loco circa due secoli fa da Elisa Bonaparte. Nel corso degli anni i vigneti hanno subito notevoli ampliamenti, con l’inserimento di varietà a bacca bianca come Vermentino e Viogner, mentre tra le rosse sono stati introdotti Sangiovese e Syrah. Visto il limitato numero di trattamenti in vigna e la grande attenzione verso il rispetto dell’ambiente, Petra ha ottenuto la certificazione biologica. Sono 350.000 le bottiglie prodotte, con la gamma di maggiore prestigio che è affiancata da una linea dedicata ai vigneti più giovani denominata “Belvento”. Premetto di aver richiesto la visita con scarsissimo preavviso e nonostante questo, assieme alla mia compagna, siamo stati accolti con estrema disponibilità. La visita è iniziata nel wine shop e, dopo una breve introduzione, siamo passati in una sala proiezioni: la storia dell’azienda e dei suoi attori principali, dai proprietari ai tecnici. Petra è azienda al femminile, essendo costituita al 70% da dipendenti donne e, in uno dei video, Vittorio Moretti evidenzia questo fattore rapportandolo ai vini, che a suo avviso si esprimono attraverso il filo conduttore dell’eleganza. Concluse le proiezioni, ci spostiamo nel locale di fermentazione nel quale grandi cisterne in acciaio, munite dei più moderni sistemi hhhhhh 43

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La spettacolare barricaia illuminata da luci a LED all’interno della cantina dalle linee avveniristiche disegnata dall’architetto Mario Botta: qui viene affinato il “Petra”, top di gamma aziendale, che nasce a partire dalle uve di due vitigni internazionali, il Merlot e il Cabernet Sauvignon.

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di raffreddamento e di rimontaggio, si stagliano verso l’alto in questa splendida “cattedrale” concepita nel rispetto di principi quali il basso impatto ambientale e la sostenibilità energetica. La cantina è studiata per sfruttare la gravità, con la parte superiore che è riservata alla diraspatura, mentre al piano sottostante le uve giungono nelle cisterne e, per effetto del peso, gli acini si schiacciano avviando i processi fermentativi. Nei locali adiacenti sono presenti due magnifiche bottaie ricavate nella roccia, esattamente al di sotto del vigneto del Sangiovese dove, oltre alle barrique di legno francese, sono presenti tonneax e botti grandi. Per garantire l’umidità ottimale sono state realizzate delle “corsie” di sassi che fungono da naturali catalizzatori. Molto affascinante la cantina che si pone di fronte al visitatore, dotata di un particolare sistema di illuminazione in grado di rilassare anche i visitatori claustrofobici. L’eterogeneità dei vigneti in termini di varietà allevate, composizione dei suoli e microclimi ha portato Petra a scegliere la strada delle vinificazioni parcellari, con gli assemblaggi stabili dall’enologo Giuseppe Caviola sulla base degli assaggi eseguiti da ogni contenitore. Terminiamo il tour con la degustazione di alcune etichette: quattro i campioni 43

pioni, per l’occasione abbinati ad interessanti proposte gastronomiche. Il primo della batteria è il viogner denominato “La Balena” dell’annata 2015, un vino dalla suadente sfera aromatica di pesca, mela e fiori bianchi uniti ad agrumi, con un sfondo minerale che trova conferma nella sapidità di bocca. Segue il Sangiovese Alto del 2014, complesso al naso con tipiche note varietali arricchite da sensazioni scure e terrose, fresco e sapido al sorso. Passiamo poi al Merlot “Quercegobbe” sempre 2014, con un bel naso fruttato di prugne e lamponi, decisamente floreale, con ricordi di geranio e spezie nobili. Concludiamo con il cavallo di razza, quello che porta il nome dell’azienda e che viene prodotto con un 70% di Cabernet Sauvignon e 30% di Merlot, il “Petra” 2013: invecchiamento di 18 mesi in barrique e altrettanti in bottiglia per un vino ampio nella sfera olfattiva, capace di raccontare il territorio attraverso un mix di aromi di sottobosco, rosmarino e mirto, menta, tabacco, frutti rossi e neri. Bocca che unisce volume ed eleganza, in cui tannini soffici lasciano spazio a freschezza e sapidità nel lungo scorrere del tempo, prima che ne rimanga solo il bellissimo ricordo. La degna conclusione di una visita che ha superato ampiamente le mie aspettative. ■ 23


Fattoria

Del pino, La rosa di

Montosoli Sulle colline a nord di Montalcino, per un assaggio dei vini naturali di una giovane Produttrice, la cui storia assomiglia tanto ad una moderna favola bucolica: siamo andati a trovare Jessica Pellegrini, una rosa tra i filari di Sangiovese... a cura di Valentina Di Carlo Wine Writer

a nebbia che avvolge il fondo valle, magicamente si dissolve mentre si sale verso Montosoli, versante nord/nord-ovest di Montalcino. Diventa una metafora perfetta, dopo aver conosciuto Jessica Pellegrini e la sua storia. Una storia fatta di coraggio, di sogni da realizzare, di momenti difficili, che Jessica ha affrontato con quella “naturaleâ€? forza che la contraddistingue. La storia di Fattoria del Pino... Era il 2006, Jessica aveva un piccolo negozio di abbigliamento in paese e si dilettava nel mestiere di sarta. Le forbici sapeva usarle bene. Una perdita improvvisa, di quelle che farebbero chiudere chiunque nel solo dolore, ma non lei; perchĂŠ lei voleva che suo fratello continuasse a vivere tra i vigneti che curava ogni giorno‌ 24


Vendeva l’uva Jessica, come suo fratello era solito fare, ma il suo sogno nel cassetto diventava sempre più grande, al punto di uscirne quasi da solo. Con l’aiuto dei genitori e di sé stessa costruì la sua piccola cantina e decise così di iniziare a produrre vino. Nacque così il suo secondo figlio, la “Fattoria del Pino”. Dico secondo perché Jessica è mamma di un figlio maschio, quasi l’unico oltre lei, a poter mettere piede in cantina, la sua forza. Era il 2010. Quasi un segno del destino, un’annata meravigliosa a dare i natali ai suoi primi vini. E’ meraviglioso sentirla raccontare quella vendemmia, “ho por-

tato l’uva in cantina, ma poi mi sono detta: e ora?”.

Grazie all’appoggio e ai consigli di tanti amici produttori, Jessica si è tirata su le maniche e ha vinificato le sue uve, in modo completamente naturale. La naturalezza e la sincerità fanno parte di lei, e i suoi vini non potevano che somigliarle. Le vigne sono quasi lasciate guidare dalla sola natura, con interventi delicati, ascoltando la luna e rispettando i cicli vitali. La potatura, che Jessica considera fondamentale, è gestita UUUUUUUUUU

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Gestita interamente da lei attraverso un dialogo quotidiano con le sue viti. In cantina le fermentazioni sono portate a termine da lieviti esclusivamente indigeni, a temperature non controllate. Ogni operazione è gestita da lei senza l’utilizzo di alcun coadiuvante esterno. Anche la chiarifica è lasciata alla naturale sedimentazione durante la maturazione in botte. Un minimo di solfitazione solamente per la corretta conservazione ed affinamento negli anni dei vini. Nonostante questo, Jessica è molto puntigliosa nel volere i suoi vini esprimere il loro carattere in modo sempre composto e pulito. Fa moltissima attenzione all’igiene in cantina, utilizza solo contenitori acquistati “da nuovi”, tiene sotto controllo la volatile attraverso mirate operazioni meccaniche sui vini in vasca. Nulla è lasciato al caso. I suoi vini sanno di Rosa Canina, il fiore che a mio avviso la rappresenta perfettamente. Una Rosa spontanea, selvaggia, particolarmente resistente ma dal profumo leggiadro. Li potresti riconoscere tra mille. Ci tiene ad essere sempre precisa, sottolineando che la sua proprietà si

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si estende per “5,66 ettari per l’esattezza” ad un’altitudine di 400 mt sul livello del mare. I terreni sono piuttosto omogenei e composti, per lo più, da argille e pietre calcaree. Entro in cantina con lei, dopo aver ammirato i curatissimi filari che la circondano. Già mi accorgo dell’amore immenso che vive qui, si respira nell’aria, nella semplice compostezza. Niente fronzoli, niente tecnologie complicate, solo meravigliose Botti di Rovere, vasche in acciaio, strumenti necessari al lavoro di cantina e tanta, tantissima pulizia. Sono 3 gli ettari dedicati alla produzione dell’IGT Toscana VinValè, vino che Jessica ha voluto dedicare al fratello Valentino. Mi avvicino alla prima vasca, in cui sta riposando l’annata 2015 prossima ad essere imbottigliata. Un Sangiovese giovane e fresco, che nasce da vigne nuove. Il suo colore è sincero, il profumo di Rosa Canina predomina e preannuncia un sorso molto vivace, i tannini sono leggiadri e sostenuti da una bellissima acidità. L’annata 2014, già in bottiglia da tempo, ha un colore leggermente più intenso, alla rosa canina si aggiungono profumi speziati, note di viola e pepe verde. Al sorso è estremamente bevibile e di nuovo l’acidità ne sottolinea il carattere giovane e scattante. I vigneti da cui provengono le uve del Rosso di Montalcino DOC si estendono su un totale di circa 1,6 ettari. Iniziando dal più giovane, il 2015: trovo molte somiglianze con il “fratellino” IGT, soprattutto nei profumi, mentre GGGGG 26

al sorso si rivela decisamente più strutturato e vellutato. Nella 2014 a mio avviso esprime perfettamente il suo carattere. Un colore rosso rubino limpido e brillante, ai profumi floreali guidati dalla Rosa Canina si affiancano note di piccoli frutti rossi e tabacco fresco. Una struttura leggiadra dall’acidità spiccata che rende il sorso estremamente piacevole. Il corpo si irrobustisce nell’annata 2013, più profondo e vellutato. I profumi si fanno complessi, con tabacco che si va intensificando e frutti rossi più maturi, rimangono presenti le note floreali che però vengono svelate solo sul finale. La meraviglia appare sul mio volto quando Jessica mi fa assaggiare da Botte il vino atto a divenire Brunello di Montalcino DOCG 2015. E’ qui che HHHHH 33


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veramente sento Lei, tutto il suo lavoro e i sacrifici fatti per arrivare ad avere un vino che esprima perfettamente le sue idee. Ha una freschezza estrema, la Rosa di nuovo mi inebria mentre lo avvicino al naso. Si arricchisce di note balsamiche di Pino accanto ai piccoli frutti rossi e rivela una struttura imponente, equilibrata da un’acidità meravigliosa. Un vino che saprà evolvere favolosamente nel tempo. L’annata 2014, sempre in Botte, preannuncia il carattere della 2015, arricchendosi questa volta di liquirizia e di viola. Ha un tannino leggermente più immaturo che necessita di integrarsi nel tempo, ma preserva quella spichhhhhhhhhh 28

cata acidità tipica degli altri vini di questa annata. Il Brunello di Montalcino 2013, annata appena uscita in commercio, ha una struttura importante ma sempre equilibrata. I suoi profumi, sempre accompagnati dalle note immancabili di Rosa Canina, si fanno più fruttati e complessi. Al sorso è meravigliosamente pieno, riempie il palato senza mai rinunciare alla freschezza. I tannini sono integrati e fini. Prima annata in cui inizia a rivelarsi l’identità dei vini di Jessica. L’annata 2012 ha un carattere più “internazionale” dato anche dalle caratteristiche climatiche della stessa. La giovinezza dei legni conferisce ancora al Brunello dei profumi più balsamici e tostati con note di vaniglia, che si affiancano ai frutti rossi in confettura ed alle note floreali più leggere. Al sorso ha una struttura importante con tannini ancora giovani anche se perfettamente integrati. Il Brunello 2011 è storia a sé. Completamente diverso dagli altri finora degustati, rivela profondi profumi di sottobosco. La sua struttura è potente e decisa, con tannini finissimi e lunghezza meravigliosa. Si finisce questa emozionante verticale con la prima annata prodotta, la 2010, che Jessica custodisce gelosamente. Annata meravigliosa che rivela immediatamente il carattere floreale con la distintiva Rosa. Le note di vaniglia e di tostato sono più presenti, naturalmente dovute al legno ancora nuovo. Nonostante questo l’acidità è favolosa e preannuncia un’evoluzione jjjj 33


in bottiglia che sarà sorprendente. Un Brunello da ristappare assolutamente tra almeno 10/15 anni. Jessica continua a raccontare il suo modo di lavorare, la sua anima da vignaiola prende il sopravvento, com’è naturale che sia. Si parla della difficilissima annata 2017, che ha comunque portato ottimi risultati a chi ha sapientemente interpretato i vigneti. Sotto le terre di Fattoria del Pino scorre una vena d’acqua che è grazia divina, soprattutto in annate come questa. Jessica prima di tutto è intervenuta pochissimo sulla vigna durante il periodo vegetativo delle viti, ha lasciato che si difendessero da sole dal calore e dalla siccità. Le rigogliose foglie hanno protetto i grappoli che sono arrivati così in cantina sani e maturi. Mi ha poi raccontato di come ha “genialmente” affrontato il maggiore accumulo degli zuccheri. Il rischio era quello di avere vini con gradazioni alcoliche troppo superiori alla media delle annate più equilibrate. La soluzione anche qui l’ha adottata in vigna, damento 74

attraverso un minore diradamento dei grappoli in una parte dei vigneti, in modo da avere un po’ di quantità a concentrazioni più contenute. Le uve sono state vendemmiate e vinificate separatamente e verranno assemblate solamente al momento del loro passaggio in botte per l’affinamento. A giudicare dalle due vasche che ho avuto l’onore di poter assaggiare, credo proprio che l’intuizione di Jessica sia stata ottima. Ma lo scopriremo davvero soltanto nel 2022… ■

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Nata come un semplice esperimento mai andato in commercio e ritrovata per caso soltanto di recente, la Cuvée Fratelli Lunelli ‘95 è oggi protagonista di una di quelle rare esperienze sensoriali che solo un grande Ferrari riserva riesce a regalare.

Un Ferrari (quasi) dimenticato... A cura di Tommaso Giorgi

www.tommyberebene.it

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uella che vi sto per raccontare è una storia che ha dell'incredibile! Dopo un periodo di tempo, durato ben ventitre anni, Giovanni D'Andrea, storico rappresentante di Cantine Ferrari, originario di Terracina e conosciuto da tutti come “John Wine”, mentre era in atto il trasloco del suo ufficio, quasi per caso, fa un ritrovamento davvero eccezionale: una magnum di una cuvée fratelli Lunelli annata 1995 e sboccatura 2003, perfettamente custodita e mantenuta alla giusta temperatura all’interno della sua personale cantina!

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La cosa entusiasmante di questa bottiglia è che non è stata mai commercializzata. Faceva parte di una serie destinata unicamente ad omaggi e regali della famiglia Lunelli; in pratica, possiamo definirla una prova di “lusso” in vista dell’uscita della Riserva Lunelli, millesimato 2002. Nonostante ciò, qualche notizia sono riuscito a reperirla ugualmente. E’ stato prodotto con sole uve 100% chardonnay nell'anno 1995, che come tutti sappiamo è stata un'annata strepitosa; una volta pressato, il vino base è stato parzialmente fermentato in grandi botti di rovere austriaco e sboccato dopo ben 8 anni. Recentemente “John Wine” ha finalmente deciso di stapparla e condividerla durante un pranzo con alcuni amici, tra cui c’era anche il sottoscritto: per me, poter raccontare di un qualcosa che ufficialmente non esiste, è un privilegio che mi emoziona ancora oggi. Del resto, la longevità del metodo classico di Ferrari è nota a qualsiasi appassionato di vino ma, dopo 23 anni, tutti noi eravamo davvero ansiosi di stapparla per capire come si potesse essere mantenuta al suo interno. kkkkkkkkkkk

Appena versato nel bicchiere presentava una bella e compatta spuma, la quale, man mano che scompariva, lasciava intravedere bollicine finissime e persistenti. Il colore era di un giallo dorato carico brillante, con un olfattiva molto intensa; inizialmente il vino era ancora leggermente “ chiuso” e presentava una minuta nota ossidata ma, passato qualche minuto, ha poi espresso tutta la sua intensità. Definirei il naso di questo vino ampio, con sentori floreali, come i fiori appassiti, con note di panificazione che si avvicinano più alla pasticceria, di frutta matura come la pesca, di frutta candita e secca, di nocciole tostate, di miele di acacia e di vaniglia. In bocca era cremoso, sapido e minerale, con una bollicina finissima e per nulla invadente; si percepiva anche una nota legnosa, ma un legno che migliorava il gusto, senza nasconderlo; un vino equilibrato, elegante, intenso e persistente, che mi ha lasciato in bocca un grande sapore, che sembrava non voler mai svanire. Senza dubbio, una delle più grandi esperienze enologiche della mia vita. ■

L’ANNATA MIGLIORE DEL SECOLO “Questo Magnum ha percorso un lento cammino di affinamento, che ha permesso di ottenere, dalla vendemmia migliore del secolo, un prodotto unico, orgoglio della centenaria storia delle Cantine Ferrari”. Così recita la controetichetta del Trento Doc “Cuveè Fratelli Lunelli” Brut, rivendicando l’eccezionalità dell’annata 1995 di questo fantastico chardonnay metodo classico.

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racanton , sagrantino#nofilter Il vino di punta di Cantina Fongoli è un Sagrantino vero, autentico, senza ritocchi la cui naturale bontà si fa ambasciatrice della nuova anima biodinamica dell’azienda.

A cura di Federico Dini 32

i troviamo in Umbria, unica regione dell’Italia peninsulare non bagnata dal mare; geograficamente e, se vogliamo, anche enologicamente, una sorta di “isola nella penisola”, specie quando si guarda alla zona di Montefalco e il suo celebre autoctono a bacca rossa: il Sagrantino. Un vitigno dalla storia lunga e articolata, arrivato in queste zone probabilmente dalla Siria come “bottino” del pellegrinaggio di alcuni frati Francescani e poi coltivato qui per secoli unicamente per ottenerne un vino dolce; è infatti solo dagli anni ’80 che inizia anche la produzione in versione secca la quale, ben presto, diventa un vero e proprio “must” per quei bevitori che inseguivano la moda dei “barricati”, vini estremamente tannici, alcoolici e muscolosi come un culturista...


Il “Francanton� uno scaffale del punto vendita aziendale di Cantina Fongoli a Montefalco (PG): un vino prodotto in appena 665 bottiglie numerate e soltanto in annate particolarmente favorevoli (2009, 2011 e 2012).

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Ne scaturisce così un inatteso ed insperato “boom” del Sagrantino che ha portato, specie dopo l’ottenimento della docg nel 1992, alla nascita e alla rapida crescita di tantissime aziende tra Montefalco, Bevagna e Foligno. Un fenomeno che però è rallentato moltissimo negli ultimi anni allorché la subentrata richiesta di vini più morbidi e di facile beva ha finito per generare eccessi di produzione che spesso si sono accumulati sugli scaffali della GDO (anche con le etichette più famose). Ovviamente non è stato il caso dell’azienda di cui vi parleremo tra poco, e che abbiamo avuto il piacere di (ri)scoprire proprio recentemente. Infatti, per quanto Cantina Fongoli fosse una nostra vecchia conoscenza, l’impatto è stato di quelli che ti lasciano estremamente impressionati. A lasciarci stupefatti, non è stato soltanto lo strepitoso “Fracanton”, che vi descriveremo esaustivamente più avanti, ma l’intera gamma aziendale (olio compreso). Merito di quella kkkkkkk

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maniacale attenzione che Letizia e Angelo Fongoli ripongono in ogni prodotto, dal vino d’ingresso fino al prodotto di punta. Alla base di tutto ciò, c’è sicuramente quella brillante intuizione che li ha portati ad integrare i dettami dell’agricoltura biologica e biodinamica ad una tradizione produttiva centenaria. E così, al fine di proteggere il più possibile l’integrità del vigneto, tutte le attrezzature meccaniche rotative sono state bandite in favore di attrezzi a strascico. Nessun terreno viene concimato se non con sovescio, mentre l’adiacente uliveto è stato invece recintato per consentire il libero pascolo di capre e cavalli che contribuiscono a gestire le erbe infestanti e ad aumentarne la biodiversità. E poi, un utilizzo comunque molto contenuto di zolfo e rame. Il tutto per rendere l’ecosistema sempre più forte con il passare degli anni, permettendo di ridurre progressivamente gli interventi in campo. Tutto ciò ha effetti visibilmente positivi anche in cantina, dove è possillllllll

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bile trasformare l’uva in mosto e il mosto in vino attraverso un lavoro molto meno invasivo, che si attua semplicemente attraverso fermentazioni spontanee, follature manuali, nessun controllo della temperatura e nessuna filtrazione. Una vera propria rivoluzione iniziata circa 10 anni fa e che adesso finalmente inizia a concretizzarsi in un intera gamma di vini priva di qualsiasi sovrastruttura, accomunata da una pulizia estrema e dal sapore del frutto sempre in primo piano. A cominciare dal brioso “Laetitia Bullarum 2016”, il vino che apre (col botto) la sorprendente gamma Fongoli e che, per primo, ha riempito di gioia il nostro calice. Oltre che un gentile omaggio di Angelo a sua moglie Letizia, questo trebbiano spoletino frizzante (appena 2 atm) è davvero il biglietto da visita perfetto per comunicare tutto l’entusiasmo e la vitalità di questa famiglia: metodo ancestrale, nessuna filtrazione e aggiunta di solforosa, tappo a corona e bottiglia trasparente per esaltarne il colore giallo volutamente torbido; un’esplosione di fiori di campo e frutti gialli e poi, in bocca, una freschezza quasi imbarazzante, che kkkkk 43

disseta come una spremuta di agrumi in piena estate. Lo stesso uvaggio è poi riproposto anche nella versione “ferma” con permanenza sulle bucce fino a 12 giorni in tino scolmo: si ottiene così il “Maceratum 2016”, un rosso vestito di bianco che ci invade con tutto il suo carico di frutta esotica matura, di nespole e albicocca, di arancia candita; e poi ancora miele, liquirizia e anche una fresca nota mentolata che ogni tanto si fa viva da dietro le quinte; in bocca è strutturato, sapido e molto persistente, anche se non c’è mai un vero e proprio finale, perché nel bicchiere questo vino evolve continuamente nel tempo concedendo, a chi sa aspettare, un quadro organolettico quasi infinito. Varchiamo l’ingresso del mondo dei grandi rossi “naturali” di Fongoli, prima con il Bicunsio 2015 (Montefalco Rosso Doc) e poi conil Serpullo 2014 (Montefalco Rosso Riserva Docg): questi due vini, se pur vogliano comunque offrire un piccolo richiamo alla propria tradizione, fregiandosi in etichetta dei soprannomi di due storici mezzadri dell’azienda, alla prova dell’assaggio risultano essere comunque jjjjjjjjjj 35


allineati perfettamente alla nuova filosofia produttiva. Anche in questo caso infatti, si è puntato tutto sull’ottenimento di vini dominati dal frutto e quanto più possibile naturali: i passaggi in legno pertanto, sono protratti solo per il tempo minimo imposto dal disciplinare e per completare il bouquet e conferire struttura, senza alterare gli aromi primari delle uve, avvengono in botti molto grandi e vecchie (fino a 70 anni). Due vini di una franchezza e di un’eleganza talmente appagante, che sembra davvero impossibile pensare che sia possibile fare di meglio. Almeno finchè nel nostro calice non viene versato il “Fracanton”, una magistrale interpretazione di Angelo Fongoli del Sagrantino di Montefalco, ma anche la più autentica e fedele riproposizione di questo vino come qui si produceva 40 anni fa, quando tutti i passaggi venivano fatti manualmente senza l’ausilio aiuto di mezzi meccanici e senza il benché minimo aiuto dalla moderna “chimica” enologica. E tutto questo è possibile solo perché gran parte del lavoro, prima ancora che in cantina, è stato realmente svolto in vigneto, con una cura sartoriale per ogni singola pianta. Banalizzando il concetto potremmo dire di trovarci di fronte a un grande vino; in realtà, questo è un vero e proprio “fuori-concorso”; se non altro perché, al contrario di tanti altri presunti e decantati “top-wine”, non ha necessitato di lieviti selezionati, di aggiunta di solfiti, di temperatura controllata o di pompe per i rimontaggi. La fermentazione (spontanea) è avvuta in anfore di terracotta aperte con macerazione post fermentativa a cappello sommerso per circa 3 mesi totali. Per i 33 mesi di affinamento è stata invece utilizzata una botte grande di rovere di Slavonia, che ha consentito anche un illimpidimento naturale con semplici travasi gravitativi, senza filtraggi. Il risultato è una produzione davvero limitatissima, sia nella quantità che nel tempo. Infatti il Fracanton è stato prodotto finora soltanto in 3 annate particolarmente (‘09, ‘11 e ‘12) favorevoli e comunque kkkk 36

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sempre in una serie limitata di bottiglie in 665 pezzi, tutti numerati. Noi possiamo descrivervi le nostre sensazioni relative alla bottiglia n° 443 che, grazie alla disarmante ospitalità di Letizia e Angelo, abbiamo avuto il privilegio di provare: il “Fracanton 2012” è un sagrantino in purezza dal tipico colore rosso cupo con riflessi granati, che sorprende alla vista per pulizia e limpidezza, specie considerando anche l’assenza di qualsiasi tipo di filtrazione pregressa. Nel calice ha bisogno del suo tempo, ma non appena comincia a concedersi riesce a regalare al naso una successione olfattiva di rara finezza ed ampiezza: un frutto fresco e polposo è subito il protagonista di una fitta trama, in cui a poco a poco si inseriscono lunga serie di delicati sentori terziari che creano un quadro dalla complessità non facile da descrivere. Riconosciamo note di tabacco biondo, cioccolato bianco, humus, cannella e liquirizia perfettamente amalgamate tra loro. Il sorso poi è qualcosa di superbo: dimenticate lo scalpitante tannino tipico del sagrantino, perché questa è una soffice carezza che avvolge e conquista il palato; un capolavoro di equilibrio delle componenti di freschezza, calore, mineralità e struttura. Ecco perché il Francanton di Cantina Fongoli è entrato di diritto tra i nostri “Sorsi di Eccellenza”: un prodotto che, con la sua naturalezza, non solo ha saputo portare il Sagrantino di Montefalco su picchi di rara piacevolezza ma, soprattutto, è riuscito nell’impresa di depurarlo, si spera definitivamente, da circa venti anni di marketing, inutili filtri e vecchi luoghi comuni. ■ 44

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I NUOVI VIGNAIOLI: braccia (e menti) donate alla viticoltura Il nostro questionario online, indirizzato a Produttori di tutta Italia, ci ha restituito un piccolo spaccato della cultura, della storia e delle tradizioni della viticoltura italiana dal secolo scorso ad oggi, aiutandoci anche a delineare due ricorrenti profili di vignaiolo, ma anche un “outsider”… a cura di Andrea Vellone

ome tutte le cose, anche il vino può essere analizzato da diversi punti di vista. Il più delle volte viene trattato nella sua accezione più semplice, quella di bevanda dalle qualità organolettiche eccezionali, sviscerandone quelle che sono le forme di coltivazione della vite e i processi di vinificazione quali fonti di odori e sapori. Altrettanto spesso il vino viene associato alla tradizione dei luoghi d’origine, tant’è che, all’interno di tutti i disciplinari, c’è sempre un capitolo che si occupa di evidenziare i legami tra un dato vino e le tradizioni del territorio in cui viene prodotto. Oggi invece, con questo articolo siamo voluti andare ad approfondire le diverse origini culturali del vignaiolo... 38


Lo abbiamo fatto approfondendo le loro singole storie, chiedendo loro di raccontarci i loro aneddoti e i loro ricordi, con lo scopo ultimo di costruirne uno o più identikit. Questo perché l’immagine del contadino che ancora hanno in molti, è quella di una persona che lavora solo di braccia, di qualcuno che non ha affrontato studi importanti, che magari non ha mai viaggiato e che non legge molto. E così via di luogo comune. Ma la verità dei fatti, soprattutto nel mondo del vino è molto, molto diversa: quello che sta accadendo oggi, è che interi territori italiani hanno riscoperto l’agricoltura grazie al vino, un prodotto agricolo che ha in sé un grande valore aggiunto (anche economico). E tale valore è costituito esattamente dalla cultura del vignaiolo, espressa nella sua capacità di trasmettere sé stesso e il proprio territorio attraverso una bottiglia di vino. E così, un paio di mesi fa, abbiamo lanciato online un questionario (con poche domande chiuse e molte domande aperte) che ha ricevuto oltre 50 risposte solo nei primi 10 giorni. Il metodo non era propriamente di tipo scientifico e il questionario non aveva pretese di avere valenza statistica. In verità, volevamo semplicemente ascoltare delle storie per disegnare delle biografie. Le domande chiuse erano quelle più classiche: “Età? Titolo di studio? Da

quanti anni produci il vino? Quanti libri leggi al mese? Quanti viaggi hai fatto?”

Ma quello che più ci intrigava era conoscere erano le altre esperienze kkkkkk 43

lavorative, le informazioni sull’attività e sulla famiglia, ma anche le opinioni sul valore che tipicità, storicità e territorialità possano aggiungere al vino e così via. Tra coloro che ci hanno risposto ci sono sia giovanissimi (25 anni) che meno

giovani (fino a 71 anni di età), ma tutti con un’ottima cultura generale (solo 2 licenze medie e poi una sfilza di lauree e master) e un numero di libri letti molto al di sopra della media nazionale (anche se per questo non è che ci voglia poi molto, purtroppo). Comunque sia, già da queste prime indicazioni, possiamo dire di aver scoperto come il vignaiolo moderno non risponda alla classica idea di contadino nell’immaginario collettivo. Abbiamo poi letto e riletto tutte le loro storie, per cercare di categorizzare degli identikit: un compito veramente complesso, perché i nostri amici vignaioli sono spesso sfuggenti e difficili da “ etichettare”. Alla fine ne sono comunque stati definiti due profili ben definiti e anche…un “outsider”. 39


“I GIOVANI (SCALPITANTI) DI BUONA FAMIGLIA”: sono quei “ragazzi” che

hanno sempre lavorato nell’azienda di famiglia. Non a caso, alla domanda sulle esperienze lavorative precedenti a quelle di cantina, Davide Lazzari, dell’Azienda Lazzari Vini, ci risponde così: “Sempre

Davide Lazzari

in cantina! Mio padre e mio zio hanno iniziato le prime prove di imbottigliamento agli inizi degli anni '90. Alle elementari il mio compito era quello di spennellare di colla le etichette (non adesive), perché poi mio nonno le applicasse sulla bottiglia. Con l'avvento delle etichette adesive sono stato promosso da spennellatore a etichettatore. Alle scuole medie riuscivo, cronometrandomi, a etichettare, incapsulare e inscatolare circa 80 bottiglie ogni ora. Solo che dal 2009 una macchina etichettatrice mi ha rubato il lavoro…” Stesso tono da Mario Bagella della Cantina 1 Sorso in Sardegna “L'unico

lavoro che ho sempre fatto fin da piccolo è stato nelle vigne di famiglia, iniziando col trasportare le casse vuote tra un filare e l'altro in vendemmia, fino a lavori più impegnativi col passare degli anni.” Poi, parlando del suo rapporto con la famiglia e con il paesaggio del suo territorio ci racconta: “La tra-

Mario Bagella 40

dizione di famiglia e di un intero territorio mi hanno insegnato a saper osservare il vigneto sotto tutti i punti di vista. Mi spiego meglio: se osservassimo da vicino un semplice foro in un muro, potremmo apprezzare soltanto delle dimensioni stesse di quel foro. Allontanandoci ancora ci accorgeremo che quel foro è situato tra due mattoni, andando ancora più indietro vedremmo un muro intero per accorgerci, infine, che stiamo osservando il Colosseo. Allo stesso modo, se osservassimo una vigna soltanto da vicino, perderemmo la complessità di tutto l'ecosistema. jjjjjjj 39


complessità di tutto l'ecosistema. Mio nonno, forse involontariamente (o forse no) quando mi portava in vigna da piccolo, per prima cosa mi faceva sempre ammirare il panorama dalla collina più alta del nostro appezzamento per poi farmi passeggiare, o meglio, correre tra i filari. E l'aiuto più grande che abbia ricevuto è stato proprio questo, ovvero la capacità di osservazione e la volontà di tutelare il paesaggio agricolo”. Ma non dobbiamo pensare, come spesso si fa, che questi siano giovani che hanno avuto il piatto già pronto a tavola; molti di loro hanno saputo rivoluzionare il lavoro dell’azienda di famiglia e hanno dovuto aspettare il loro turno, scalpitanti, nell’attesa di “ uccidere il padre”. Per esempio, Adriano Moretti dell’azienda Bajaj di Monte Roero (CN), a proposito del valore della tradizione, ci scrive: “La tradizione di famiglia

mi ha aiutato a comprendere cosa non avrei mai dovuto fare in futuro, ovvero, ciò che avevano fatto loro fino a quel momento. La tradizione non sempre è positiva se soffoca la curiosità e l'apertura mentale. Malgrado ciò, devo dire che, dai miei antenati, ho appreso il giusto atteggiamento da tenere verso il lavoro: lavorare sempre con il sorriso e con gioia”. E continua: “Se per molte aziende la tradizione è stata una linea guida, così non è stato per me. Ho rivoluzionato tutto, dal lavoro in vigna fino alla cantina, introducendo nuove metodologie di vinificazione e macchinari più moderni. Non ho trovato la "pappa fatta", ma ho dovuto combattere con le unghie e con i denti per ciò in cui credevo. Oggi la mia famiglia mi appoggia, ma ho passato anni caratterizzati da discussioni continue. Al momento, il connubio perfetto tra l'aiuto della mia famiglia e quello degli amici, sono la mia più grande forza”. Kkkkkk 40

Adriano Moretti

“I PROFESSIONISTI DI RITORNO ALLA TERRA”: l’altra categoria che abbiamo

individuato è composta appunto da coloro che abbiamo chiamato “i professionisti di ritorno”. Hanno chiaramente un’età media più alta dei “giovani scalpitanti” e, la maggior parte di loro, ha curriculum accademici e lavorativi di altissimo livello. Ne fanno parte Avvocati di grido, docenti universitari, medici, ricercatori e ingegneri, ma anche persone che hanno avuto un notevole successo nel campo della finanza o in campo immobiliare. Non abbiamo indagato a fondo sul perché del loro ritorno alla terra, ma, tra le righe, abbiamo capito che per molti di loro è stata una liberazione e, nel contempo, una nuova sfida. Se per altri Produttori questo ritorno alla terra è stato un semplice investimento che poi li ha appassionati, per qualcuno si è trattato di un omaggio ai loro nonni contadini. 41


Archetipo di questo profilo è sicuramente la storia di Sandro Caramelli dell’azienda La Ripa di Barberino Val D’Elsa: 72 anni e una vita nomade tra Italia, Usa, Brasile e Sud Africa a fare l’ingegnere. Poi però, ad un certo punto inizia la sua storia di vignaiolo, esattamente quando “ho sentito l’obbligo (e il pia-

cere) di non far morire la tradizione di famiglia che parte dal 400 ed è riconducibile a Lisa Gherardini, la Monna Lisa di Leonardo”.

Identico ritorno alle tradizioni di famiglia anche per Paolo Chirillo dell’azienda Le Moire in Calabria: un PHD in biologia molecolare preso a San Diego e un’esperienza lavorativa internazionale, ma poi, quando gli domandiamo in che modo la famiglia lo abbia aiutato, ci risponde: “Mi hanno soste-

nuto e indirizzato i ricordi di un nonno materno vignaiolo a Lamezia Terme nel dopoguerra”. Ed ancora: “Mio nonno coltivava con orgoglio il Magliocco, il re degli autoctoni di razza della Calabria…”

Sandro Caramelli

E forse non è un caso se anche l’Avvocato Francesco Niccolai di Fattoria Santa Vittoria (Arezzo) rievochi la figura di suo nonno: “Il viticoltore più

impegnato e capace della famiglia era mio nonno, che nel già prima della Grande Guerra aveva ricevuto alla Fiera di Verona riconoscimenti per il miglior Chianti”.

Il nonno è presente anche nel racconto di Gerardo Giuratrabocchetti, ricercatore universitario, docente a contratto, consulente, dirigente, responsabile nazionale del laboratorio di ricerca di genetica animale e, oggi, vignaiolo, agronomo ed enologo, della sua azienda “Le cantine del Notaio ”: sul suo sito internet Gerardo descrive il padre di suo padre come un “ burbero”, che però lo designò come erede della sua vigna. E nel nostro questionario approfondisce proprio quel tema di rispetto per il lavoro che ha avuto ddddddddd 42

Gerardo Giuratrabocchetti 41


con l'avvento negli anni 50 dell’industria chimica, è stato completamente stravolto tutto il tessuto sociale agricolo, rastrellando tutta la manodopera attratta da guadagni che la nostra povera agricoltura non poteva assolutamente dare. Così si è consumato uno strappo profondo che ha spazzato via le arti e i mestieri. In tale periodo i vigneti del siracusano erano quasi del tutto scomparsi e così ci siamo dovuti reinventare tutti gli annessi mestieri. Io sono stato fortunato ad avere mio padre, che mi ha trasmesso il suo sapere e mi ha permesso di istruire le maestranze ad eseguire i vari lavori.”

Francesco Molinari

in dono dalla sua famiglia: “La famiglia

mi ha trasmesso la cultura del lavoro (meglio dire una religione del lavoro) e i principi del rispetto inteso come cura e attenzione nei confronti di ambiente, persone ed esseri viventi più in generale. Mi ha certamente trasmesso (da parte di moglie) una forte esperienza imprenditoriale e coscienza di cosa significhi: fare azienda!”. Ecco quindi come nelle motivazioni che spingono persone affermate a sporcarsi le scarpe in campagna, non ci siano solo eredità familiari, ma anche il fardello di gestire e valorizzare un patrimonio che potrebbe perdersi per sempre. Questa è anche la storia di Gaetano Blundo, 71 anni, un laureato al Politecnico di Milano con una vita passata tra la professione di ingegnere e l’insegnamento, ma anche un bravo vignaiolo che produce Moscato di Siracusa, un vino che stava scomparendo ma che oggi vanta ben 8 Douja D'or ad Asti: ”Siamo in un zona in cui,

Ecco, erano questi i 2 principali contorni dei Vignaioli che ci hanno fatto pervenire le loro risposte. Tuttavia, poi ci siamo imbattuti in un profilo che non siamo riusciti ad incastrare in nessuno dei precedenti, ma non poteva assolutamente essere trascurato: il nostro “OUTSIDER” è Francesco Molinari di Cantina Aietta che, da quanto ne sappiamo, pare produca un Brunello di Montalcino di ottimo livello. Francesco ha iniziato la sua avventura di vignaiolo da giovanissimo, durante l’anno del Diploma: è partito accudendo una piccola vigna abbandonata, che gli ha regalato appena 700 bottiglie, ma poi ha continuato. Attualmente possiede l’azienda più piccola di Montalcino, ma è anche l’unica con vigneto terrazzato ed impianto ad alberello. Nessuno in famiglia faceva il vino prima di lui, la sua è stata una scelta libera, spontanea, naturale: ”Mi aiuta solo mio Padre,

ormai in pensione, in qualche lavoretto di cantina - ci spiega - ma senza alcuna influenza. Il mio vino è cresciuto con me e con la mia esperienza...” Noi lo vediamo appunto come un “outsider” con una piccola-grande storia da approfondire, magari nel prossimo numero… ■

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a cura di Andrea Vellone Vino convenzionale o vino naturale? Partendo da questa annosa e irrisolta diatriba, con l’aiuto di un affermato Enologo come Umberto Trombelli e di un grande Produttore come Damijan Podversic, abbiamo provato a capire come nasce il vino buono…

egli ultimi tempi è scoppiata una virulenta polemica sul vino naturale, che ha assunto toni che in alcuni momenti sono risultati addirittura ridicoli. Da un lato c’è chi ha il dubbio che la dicitura naturale sia un tentativo di ingannare i consumatori, dall’altro c’è chi accusa alcuni Produttori di avvelenare le persone. Entrambe le accuse sono vere. Nel senso che in un settore così vasto da produrre, solo per fare un esempio, un fatturato annuo di 5 miliardi di euro, esiste tutto e il suo contrario. Esistono neofricchettoni, travestiti da guru, che fanno vini pieni di difetti spacciandoli per peculiarità dei territori, rifacendosi “ai bei tempi andati” che poi, per quanto riguarda il vino, 44


tanto belli non erano; esistono anche produttori che stiracchiano al massimo i disciplinari e che, per produrre bottiglie da 1 euro al litro, stravolgono con la chimica il loro vino. Ma a noi certe cose non interessano. Noi ci occupiamo solo dei vini buoni che al massimo contrapponiamo ai vini cattivi (di cui però non raccontiamo). Noi parliamo solo con persone leali ed oneste e non con chi è abile nel turlupinare il consumatore. Ed è solo con lo scopo di fare chiarezza che abbiamo deciso di scrivere questo articolo, correndo il rischio, tra l’altro, che gli “ultras” dei due schieramenti ci inseguano sui social con la bava alla bocca. Innanzitutto cerchiamo di definire cosa sia il vino naturale. E’ un’ impresa abbastanza complessa, prima di tutto perché non esiste una definizione ufficiale e poi perché il termine “naturale” è usato in modo abbastanza ambiguo e fuorviante, se non altro poiché, se preso alla lettera, è evidente a tutti che le bottiglie di vino non crescano direttamente sulle vite. La definizione “vino naturale” apparve per la prima volta nel 1906 in Francia, precisamente a Montpellier, durante una grande manifestazione con oltre 600 mila vignaioli che chiedevano una regolamentazione contro chi modificava il vino, aggiungendovi zucchero o acqua: lo slogan era appunto “Lunga vita al vino naturale”. Da allora ne è passato davvero tanto di vino sotto i ponti. Se nel recente passato, con l’utilizzo delle Doc e delle Docg, la normativa risultava essere comunque abbastanza chiara, negli ultimi anni sono state introdotte una serie di specificazioni 43

che possono portare un po’ di confusione. Oggi in commercio possiamo trovare “i vini liberi”, “i vini biologici”, “i vini biodinamici” e “i vini naturali”, definizioni che possiamo trovare sia in etichetta che sui siti internet dei produttori. I “vini liberi” sono prodotti essenzialmente da chi ritiene che il proprio vino non debba essere certificato: di solito sono vini biologici di fatto che, magari non hanno ancora potuto ottenere la certificazione. “I biologici” sono vini certificati come tali in base ad un regolamento europeo del 2012, che prevede un utilizzo minimo della chimica sia in vigneto che in cantina, limitando soprattutto l’utilizzo della solforosa. Altra definizione che va per la maggiore è “vino biodinamico”, o meglio,

“prodotto da agricoltura biodinamica”.

Anche in questo caso non esistono regolamenti e norme ma solo un ente di certificazione privato (che oltretutto usano in pochissimi) chiamato “Demeter”. Ma che cos’è la biodinamica? La biodinamica è una serie di pratiche agricole che si basano sulla visione antroposofica di Rudolf Steiner, un personaggio carismatico vissuto nella prima metà del 900 che ha trattato molti argomenti, dalla medicina all’agricoltura, declinandoli secondo una visione olistica della scienza. Secondo tale visione bisogna sempre guardare

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non alle singole parti ma all’insieme: pertanto, lo scopo di chi pratica l’agricoltura biodinamica è tendere a raggiungere l’equilibrio con l’ecosistema terrestre, considerando come un unicum la terra e la vita che su di essa si sviluppa. In ultimo, ci sono i vini naturali prodotti da enologi “non interventisti”, ovvero coloro che riducono al minimo gli additivi e le manipolazioni. Nei fatti un vino naturale proviene da un’agricoltura quantomeno in biologico, con fermentazioni spontanee e senza chiarifiche e filtrazioni. E’ ammessa solo una quantità minima di anidride solforosa a seconda delle esigenze. Detto ciò va comunque spiegato che in Italia tutti i vini, di qualsiasi tipo, e a prescindere da cosa abbiano scritto in etichetta, devono rispondere alle stringenti regole della legislazione nazionale che, forse, è la più severa al mondo in fatto di sanità e salubrità del vino. Per approfondire ulteriormente la questione, abbiamo chiesto lumi a due esperti del settore, due grandi interpreti del vino convenzionale e di quello naturale. Così, abbiamo creato una lista di domande “tecniche” che poi abbiamo girato ai nostri due autorevoli interpreti per capire come nasca un vino buono...

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Umberto Trombelli, classe 64 è un enologo che collabora con Aziende in tutta Italia. Diplomato alla scuola enologica di Alba, è stato allievo di Giacomo Tachis, enologo del “Rinascimento del vino italiano” e padre del Tignanello e del Sassicaia. Ha lavorato, tra le altre, con Tenuta L’Entrata a Incisa Val d’Arno della famiglia Della Valle, Fattoria della Talosa e Vecchia Cantina a Montepulciano, Fattoria La Vialla, Castello di Roncade a Treviso, La Staffa nel Verdicchio e Vigne del Vulture, ma anche con tante aziende bio e biodinamiche, poiché crede fermamente nell’agricoltura sostenibile. Poco tempo fa, ha fatto molto rumore un suo intervento sui social in cui ha chiarito il suo punto di vista sul concetto dei difetti, sui vini naturali e sull’uso di additivi nel vino. Da qui l’idea di conoscere la sua opinione per approfondire l’annosa questione. ■ Partiamo da una definizione che circostanzi il concetto di Vino Naturale. E’ uno di quegli argomenti che rimangono sotterrati per parecchio tempo e poi, all’improvviso, il dibattito esplode. Che cosa si intende per Vino Naturale? Secondo lei andrebbe normato?

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<< I loro portabandiera lo definiscono

Il termine “Vino Naturale” trae in inganno il consumatore, poiché lo induce a pensare che i vini “convenzionali”, compresi i bio e biodinamici, non lo siano. Umberto Trombelli 46

come il prodotto derivante dalla fermentazione spontanea del mosto di uva, ottenuta dalla coltivazione a impatto “0”, senza condizionamenti esterni, aggiunte e, addirittura per qualcuno, senza il controllo delle temperature in fermentazione: il vino come “Natura” crea. A prescindere dal libero pensiero di ognuno e del rispetto per tutti, soprattutto di chi rischia i propri capitali intraprendendo un’attività imprenditoriale, bisogna comprendere che il vino in Natura non esiste, non esiste l’uva che fa il vino ma esiste il vino come prodotto dell’uomo. Da quando l’uomo esiste! L’Enologia è una Scienza nata affinché si potesse produrre vino sempre più buono e durevole nel tempo, perché si potesse conservare al meglio. Il termine “Vino naturale” deve essere normato e ridefinito, perché tutti i vini sono naturali cioè provenienti dalla fermentazione alcoolica del mosto di uva ad opera dei lieviti. Il termine trae in inganno il consumatore, poiché lo induce a pensare che i vini “convenzionali”, compresi i bio e biodinamici, non lo siano. Puntualizzato questo, possiamo anche sostenere che si arriverà, nel prossimo futuro, a norme più restrittive sull’indicazione in etichetta degli additivi e dei coadiuvanti utilizzati in Enologia e che oggi sono dichiarati solo se a rischio allergico; ma, a quel punto, si dovrà finalmente riconoscere l’esatta demarcazione tra additivi presenti naturalmente nei vini e nei mosti, additivi diversi da questi e coadiuvanti >>. ■ Il difetto in un vino è appunto un difetto, una caratteristica che rende quel vino non così gradevole da poter essere bevuto. Alcuni, a dir la verità pochi, sostengono invece che i difetti siano diretta conseguenza dell’espressione sincera di un territorio e quindi non siano un mancanza. Vogliamo provare a definire, una volta per tutte, il concetto di difetto nel vino? 47


<< Il difetto in un vino è una percezione sensoriale negativa, più o meno rilevabile, dovuta alla formazione di molecole di sostanze generate da fermentazioni e conservazione dei vini inopportune. Dovunque si pratichi una vinificazione senza conoscerne il processo di base, si può generare un difetto, con caratteristiche comuni in tutto il mondo: gli etil-fenoli, l’acido acetico oltre misura, l’acetaldeide, si sviluppano in America come in Europa, e lo stesso vale per tutte le sostanze odorose riconosciute come tali. Quindi in realtà il difetto è omologante, se vogliamo anche globalizzante, tutto il contrario di ciò che sostengono alcune persone. Il tema è: quanto è sensibile il consumatore a questi difetti? E’ l’educazione al bere che fa la differenza, è la capacità di riconoscere i pregi di un vino senza difetti. Nel vino senza difetti si percepiscono i caratteri originali dell’uva che l’ha prodotto, il terroir. Come enologo sono felice di sentire finalmente che tra i Produttori di vini Naturali riconoscano i difetti per quello che sono. Vuol dire che l’educazione al bere vale anche per loro: i nostri sensi hanno bisogno di esercitarsi e di allenarsi e, procedendo in questo percorso, diventano sempre più esigenti. I vini naturali sembrano, per questi motivi, destinati quindi ad un pubblico giovane o poco allenato oppure ad un gruppo di consumatori che fa del “naturale” in genere un life style >>. ■ L’uso di coadiuvanti nel oppure la stessa temperatura trollata, può allontanare un dall’esprimere l’essenza del territorio?

vino, convino suo

<< E’ vero il contrario. L’uso sapiente della tecnica enologica esalta i caratteri di un territorio. I profumi del vino si volatilizzerebbero se si lasciasse fermentare liberamente un mosto senza controllarne le temperature. Il raffreddamento dei mosti in fermentazione è una tecnica per preservare i profumi. A chi sostiene il contrario gli è mai stato chiesto se hanno un frigorifero in casa per conservare i loro cibi? jjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjj 48

L’uso ponderato dei conservanti aiuta i vini a conservarsi sani e stabili nel tempo. L'uso di lieviti selezionati, quelli identificati come veloci e sicuri attivatori della fermentazione, l'uso di batteri malolattici, magari ottenuti dalla conservazione in cantina nell'anno precedente, l'uso dei solfiti in modo corretto e non invasivo, non sono il male. La barrique e il contenitore in legno in genere sono nati per uno scopo: affinare, illimpidire e stabilizzare naturalmente il vino; non conciarlo su un gusto di legno! Tutte queste sono tecniche e strumenti che l'uomo ha escogitato nei secoli per migliorare e rendere fruibile nel tempo il vino. In più, la Scienza va avanti, si ricrede, è capace di tornare sui suoi passi se necessario: basti pensare alla rivalorizzazione dei serbatoi in cemento o ai contenitori in terracotta non smaltati, l’abbandono dell’acciaio e delle resine epossidiche, il ritorno alle botti di medie dimensioni a scapito della barrique se viste come strumenti di “Concia” e non di affinamento. La sinergia tra Enologia e una Viticoltura attenta e mirata sono l’essenza per valorizzare un vino in un territorio. Se è vero che sono stati selezionati ceppi di lieviti che caratterizzano e generalizzano il bouquet di un vino, è anche vero che ne esistono tantissimi che sono solo buoni fermentatori che non intaccano le peculiarità originali delle uve. La scelta è ampia. Pensiamo solo per un attimo a che cosa sarebbe oggi la produzione di Champagne o di Spumanti, di qualsiasi zona del mondo, se non ci fossero i lieviti selezionati: sono stati selezionati appositamente per raggiungere quel risultato enoico e senza snaturare, anzi, per valorizzare gli stessi. Che dire poi, di come si selezionino nell'ambiente "Cantina" i lieviti cosiddetti “Spontanei” che fermentano i mosti di quei Produttori “Naturali”: essi sono microorganismi che vivono in quiescenza nelle loro cantine (non nei loro vigneti!), si risvegliano a contatto dei mosti e si propagano durante tutto l'arco della vendemmia per poi ritornare, alcuni, di nuovo dormienti. jjjjjj 47


In una cantina non esiste un lievito unico che inizia e porta a termine un processo fermentativo, nemmeno quelli selezionati possono fare ciò. Per caso, chi sostiene il contrario ha mai fatto fare delle ricerche microbiologiche per capire chi sono e che origine hanno i loro agenti lievitanti? A loro posso dire che se facessero delle indagini, delle mappe genetiche di quei ceppi “Indigeni”, scoprirebbero che quei lieviti si trovano anche commercializzati e venduti come buoni vinificatori; troverebbero dei comuni Saccharomyces Cerevisiae, un fungo, l'agente della fermentazione. Troverebbero anche colture di lieviti apiculati, lieviti "non buoni", "pericolosi", non perché mostri, ma perché in determinate condizioni ambientali preferiscono mangiare altro oltre agli zuccheri e questo “altro” è un problema, un difetto, 9 volte su 10. E scoprirebbero semplicemente che ciò che dicono è senza fondamento >>. ■ E’ possibile produrre un vino buono senza l’uso di solfiti? E a quale prezzo ?

I solfiti aggiunti sono fastidiosi, tossici, ma se usati in modo accorto, non arrecano tutto il fastidio di cui si sente vociferare. Umberto Trombelli 48

<< Come dicevo ho provato a vinificare uve e ad affinare vini senza l'uso dei solfiti per più vendemmie. Il risultato che ne ho tratto è che si possono produrre, ma con un risultato qualitativo privo di personalità. Per un effetto ossidativo i profumi si perdono, rendendo i vini insignificanti rispetto ai tradizionali. A oggi non esiste una tecnica che permetta di produrre vini di pregio, soprattutto a lungo invecchiamento, senza l'uso di questo complesso additivo che funge da antisettico, da conservante e da stabilizzante. A che prezzo poi? Perché se proprio si volesse evitarne l'uso bisognerebbe usare altri additivi quali tannini, tannini e ancora tannini. È vero: i solfiti aggiunti sono fastidiosi, tossici, ma se usati in modo accorto, non arrecano tutto il fastidio di cui si sente vociferare. I limiti legali di essi sono stati abbassati nei vini negli ultimi tempi e subiscono continui ritocchi al ribasso mano a mano che cresce l'esperienza degli 49


operatori ma non è, al momento, possibile farne a meno. A chi ne contesta l'uso, vorrei chiedere se compra e consuma crostacei freschi, senape, sottoli, sottaceti, salse in genere, ecc. Ci si chiede mai quanti solfiti aggiunti ci sono in gran parte dei cibi conservati? E quando si fa un conto della dose massima ingeribile per chilo corporeo di solfiti si considerano mai quelli ingeriti attraverso i cibi tutti? Troppo facile parlare senza sapere! Sono un Enologo e cerco di valorizzare al meglio i vini dei miei clienti lavorando sulle peculiarità delle uve che producono in uno specifico territorio. Uso pochi coadiuvanti e solo quando sono necessari. Nonostante questo non si può trovare una identità comune tra tutti i vini a cui lavoro, passando dal Nord al Sud dello Stivale e non per questo credo di essere un “Alchimista”. Credo di essere solo un buon “Pilota” che usa le tecniche che la Scienza mi dà per svolgere bene il mio lavoro >>. ■ Il vino oggi in Italia rappresenta un’importante voce economica, ma è anche un testimonial all’estero che ben rappresenta la complessità e le capacità di una intera nazione. Può il vino naturale aiutare migliorare la qualità globale del “ Made in Italy ” e la qualità del vino in generale?

<< Credo che nel Mercato ci sia posto per tutti i Produttori seri e per i loro vini. Ritengo che l’Italia possa e debba distinguersi su Mercato perché può legare il suo Patrimonio artistico, le sue Bellezze, la sua Cultura gastronomica e i suoi vini ad una infinità di Territori unici al Mondo. Nessuno può vantare quello che noi abbiamo, basti pensare ai vitigni autoctoni italiani. Ma queste potenzialità vanno incanalate in una unità di intenti, dobbiamo lavorare insieme perché ciò che ci rende unici è essere Italiani: farci la guerra per un pugno di lieviti significa far vincere gli altri. I cosiddetti vini naturali hanno certamente una loro nicchia nel Mercato purché, un giorno, si possa definirli con termine più appropriato. nnnnnn 50

Possono essere un’alternativa e non li condanno. Da consumatore non li bevo, li assaggio per tenermi aggiornato ma non li apprezzo: il gusto, d’altronde, è soggettivo! Non critico però chi li produce né chi li beve: non mi permetterei mai! Pretendo però che si rispetti anche il mio pensiero ma, soprattutto, che non si punti il dito per mera polemica o per mancata conoscenza. Cosa dire poi dei vini comuni? Sul Mercato non ci sono solo i vini famosi, ci sono anche quelli che si bevono tutti i giorni, come si beve una semplice birra; perché c'è anche un consumatore che qualche volta vuole bere soltanto un buon vino senza pensare se sta bevendo un Cabernet o un Sangiovese. Ci sono dei consumatori novizi che per arrivare ad un vino importante devono educare il proprio palato iniziando a bere vini semplici. I vini semplici non sono dei veleni! Sono dei vini ottenuti da Uva! I loro mosti sono vinificati con tecniche moderne e affidabili usando anche coadiuvanti e additivi alimentari autorizzati per ottenere anche vini "piacioni". E allora? Dovremmo lasciare queste quote di mercato? Dovremmo dire a migliaia di operatori di cambiare mestiere perché qualcuno che non conosce e non si informa pensa che stiano facendo qualcosa di inaccettabile? Che stanno perseguendo un business contro natura? Il vino deve essere considerato in tutte le sue varianti qualitative e commerciali da un Paese che è il primo produttore mondiale: purché prodotto rispettando le leggi e le regole >>. Parola ora a Damijan Podversic. Insieme a sua moglie Elena, è oggi uno dei migliori interpreti del vino naturale, frutto della vicinanza con quello che è stato il suo più grande maestro: Josko Gravner. Così, con un’attenzione maniacale per la salute delle piante porta avanti i suoi 10 ha di vigneti sparsi per il Friuli, regalando vini incredibilmente buoni, fermentati sulle bucce con lieviti naturali e messi in commercio soltanto quando perfettamente pronti per essere degustati. Ribolla Gialla, jjjjjjjj 49


Malvasia e Friulano, vini che esaltano i sapori e gli aromi tipici del Collio, ma anche vini a base di vitigni internazionali. In pieno regime di “par condicio”, gli abbiamo posto, le stesse identiche domande rivolte a Trombelli e questa è stata la sua testuale risposta: << Ho letto le tue domande, e mi trovo

in difficoltà. Io sono un produttore di vino legato a un forte lavoro in vigna. Per cercare degli equilibri, per preservare la vita che c'è lì e per dare futuro ai miei figli, ho sempre ritenuto che la terra che lavoro sia in affitto da loro. Fottendo la terra fotterei i miei figli. Sono alla trentaquattresima vendemmia, ho studiato enologia e ho prodotto vini in tutti i modi. Ho imparato che per produrre vino non ci sono solo tecnica, ma anche filosofia, infatti i miei figli frequentano il liceo classico. In cantina uso solo un elemento che è la SO2, l'unica cosa che a mio avviso serve nella produzione del vino. Sono anche certificato biologico, ma non dichiaro le mie certificazioni nella iiiiiiiiiiiiiii

L'uomo che ha bisogno di alimentare l'anima, deve bere grandi Vini. Altrimenti perde tempo. Damijan Podversic 50

vendita del mio vino. Sono amareggiato quando mi presentano un vino "naturale" pieno di difetti e problemi e, credimi, che ce ne sono una enormità. Oppure mi presentano un vino con due dita di sedimenti, cosa impossibile, perché ad un vino dopo 30 giorni di botte è già crollato il 90% di sedimenti. Potremmo star qua una notte intera ad analizzare quello che sta succedendo nel mondo del vino. Produttori che si vantano di esse biodinamici ma, se studi Stainer, scopri che non ha mai parlato di vino, perché non serviva all’uomo per la sopravvivenza. Ritengo che il Vino sia una droga, ma non esiste al mondo bevanda più spirituale del Vino. E l'uomo che ha bisogno di alimentare l'anima, deve quindi bere grandi Vini. Altrimenti perde tempo. Oggi hanno creato il ketchup del vino e tutti lo bevono. Hanno inventato l’“Aperol-Spritz”, azzeccando i tre elementi che piacciono: zucchero, ghiaccio e bollicina. Il vino invece è per me Storia, Territorio, Bellezza, Finezza, Sorsi Supremi, Serietà, Filosofia, Amore, Sentimento… Quindi scusami se non riesco aiutarti, dovresti chiedere ad un estremista del vino, uno che è convinto che una volatile a 2 è una cosa grande e che una puzza è un sinonimo di grande vino >>. Ora, se vogliamo, le differenze di impostazione tra questi due grandi interpreti del vino moderno si notano anche da come hanno risposto alle nostre domande: tecnico e puntuale Trombelli, mentre Podservic ha avuto un approccio che possiamo definire olistico, che ha affrontato tutte le domande e le ha poste in una risposta d’insieme. Eppure, alla fine, quello che sembra emergere è che entrambi condividono la nostra convinzione: i vini devono essere buoni, e i vini buoni sono sempre il risultato della somma tra il lavoro in vigna e il lavoro in cantina, il valore aggiunto è dato dalla competenza, dalla cultura e dalla visione di chi quel vino lo fa. Ed è solo dall’equilibrio di tutti questi elementi si ottiene il prodotto perfetto: il Vino Buono appunto. ■

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Suoli fossiliferi e rupi vulcaniche in un territorio legato alla viticoltura sin dai tempi degli Etruschi: è l’orvietano, terra di bianchi profumati e grandissimi muffati.

a cura di Federico Dini 52

on è solo grazie a condizioni ambientali estremamente favorevoli se quello della Doc Orvieto è oggi un territorio così simbioticamente legato alla coltivazione della vite. Questo è si un’areale ideale per coltivazione della vitis vinifera, per caratteristiche geologiche, morfologiche e climatiche, ma è anche un territorio permeato da secoli di storia e tradizioni antiche, in cui il fattore umano è sempre stato determinante. Perché è solo grazie a questo fondamentale legante, se ora il paesaggio risulta così fortemente caratterizzato dalla viticoltura. Ed ecco che arrivando oggi nelle campagne di Orvieto e dintorni si possono ammirare come quei friabili e fossiliferi suoli argillosi pliocenici alla base delle antiche rupi vulcaniche, siano stati riempiti dalle geometrie dei verdi filari di vigneti, che impongono jjjjjjjjjj 32


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linee ordinate ed armoniche ad un paesaggio originariamente impervio e selvaggio. Del resto, tutta quest’area era sfruttata per la coltivazione di uva da vino già al tempo degli Etruschi, che avevano compreso come le caratteristiche geologiche e morfologiche della zona potevano tornare utili anche nelle fasi successive alla vendemmia. Già dal X secolo a.c. in poi, infatti, questo antico popolo aveva intuito che le compatte formazioni tufaecee che costituiscono la sommità di tutte le principali rupi e spuntoni rocciosi, potevano essere scavate e plasmate per ricreare un ambiente perfetto, non solo per la vinificazione, ma anche per la successiva conservazione del vino. Una volta pigiata a livello del suolo infatti, attraverso un complesso sistema di cunicoli si poteva trasferire il mosto in cisterne artificiali epigee dove veniva fatto fermentare. Dopo la svinatura, sempre sfruttando la gravità, il vino veniva trasferito in locali ancora più in profondità, dove poteva affinarsi e maturare in un ambiente con temperatura costante e privo di luce. Non abbiamo

sfruttando la gravità, il vino veniva trasferito in locali ancora più in profondità, dove poteva affinarsi e maturare in un ambiente con temperatura costante e privo di luce. Non abbiamo idea del prodotto finale, ma ci sarebbe piaciuto parecchio assaggiarne un bel sorso. Molto probabile che quel vino fosse un qualcosa di qualità superiore, specie rispetto a tanti altri prodotti dell’epoca. In seguito, la produzione della vite si diffuse talmente tanto da arrivare ad essere coltivata anche sulla stessa aspra rupe di Orvieto. Del resto il bel borgo umbro sempre più stava diventando albergo di nobili e religiosi, nei cui orti non potevano mancare appezzamenti vitati che potessero garantire scorte private di vino sempre abbondanti; tant’è che, ad un certo punto, la vigna era arrivata a lambire anche il retro del meraviglioso Duomo del tredicesimo secolo. 53


I vini di oggi, hanno comunque mantenuto quell’antico legame uomoterritorio che caratterizza così tanto i frutti della viticoltura locale. La DOC è arrivata già nel 1971, anche se in seguito sono state apportate diverse modifiche al disciplinare che hanno dato sempre maggior importanza alla presenza del Grechetto per l’ottenimento di vini qualitativamente migliori. In generale, nella Orvieto DOC predomina la versione secca secca, ma anche il tradizionale Orvieto amabile continua ad essere prodotto. Anzi, alcuni Produttori oggi ne realizzano espressioni davvero eccellenti, utilizzando uve surmature attaccate da Botrytis cinerea, la muffa nobile che conferisce a questi vini caratteristiche uniche di concentrazione, aromaticità e raffinatezza che vengono apprezzate in tutto il mondo. ■

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L’AREALE DI PRODUZIONE: La DOC “Orvieto” e la sottozona “Orvieto Classico”, che rappresenta la zona intorno alla Rupe, comprende in vini ottenuti principalmente da uve Grechetto minimo 60% e Trebbiano Toscano (Procanico); possono concorrere altri vitigni a bacca bianca coltivati in Umbria o in Provincia di Viterbo fino a massimo del 40%. L’ambiente produttivo si sviluppa inizialmente nell’alto Lazio, per poi continuare in modo molto più esteso all’interno dell’ambiente collinare del sud ovest dell’Umbria. Precisamente, i vigneti devono ricadere all’interno dei comuni di Orvieto, Allerona, Alviano, Baschi, Castel Giorgio, Castel Viscardo, Ficulle, Guardea, Montecchio, Fabro, Montegabbione, Monteleone d’Orvieto, Porano in provincia di Terni e Castiglione in Teverina, Civitella D’Agliano, Graffignano, Lubriano, Bagnoregio in provincia di Viterbo. In queste zone vengono prodotte varie tipologie di vini a denominazione “Orvieto Doc”: secco, abboccato, amabile, dolce, superiore, e muffa nobile e vendemmia tardiva, quest’ultima rivendicabile come “Superiore”.

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LE CANTINE: ARGILLAE AZ. AGRICOLA CIRULLI BARBERANI BARBI BARONCINI BIGI CANTINA ALTAROCCA CANTINA CARDETO CANTINA COLLI AMERINI CANTINA SALVIANO CANTINE MONRUBIO CARDETO CARPINETO CASTELLO DELLA SALA CASTELLO DI CORBARA CASTELLO DI MONTEGIOVE CUSTODI DECUGNANO DEI BARBI FALESCO LA CARRAIA PALAZZONE PODERE BARBI ROCCA DELLE MACIE Nella foto, il fantastico Castello della Sala a Ficulle (TR), di proprietà dei Marchesi Antinori. Qui viene prodotto uno dei vini più famosi della zona, il “Cervaro della Sala”, un uvaggio di Chardonnay e Grechetto, che vanta numerosi riconoscimenti, ma anche il “Muffato della Sala ”, da uve Sauvignon Blanc, Grechetto, Traminer e Riesling attaccate da Botrytis Cinerea, muffa nobile che si sviluppa sulle uve aumentandone concentrazione di zuccheri ed aromi. 56

RUFFINO SCAMBIA SCHENK SERGIO MOTTURA TENUTA LE VELETTE TENUTA POGGIO DEL LUPO TITIGNANO AGRICOLA VITALONGA 55


La Dieta Dello

Champagne D

Ma davvero ci si può mettere a dieta senza perdere il sorriso? Pare proprio di sì. La formula è semplice: bere Champagne per rimanere in forma…

A cura di Mario Federzoni

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imagrire in modo sano, gustando prelibatezze della buona tavola e brindare alla vita: questo è il must di Cara Alwill Leyba (sempre sia lodata!) una blogger che ci spiega come lo champagne possa essere il protagonista di una dieta. Secondo la 31enne scrittrice newyorkese le bollicine producono un duplice effetto: danno euforia e sono utili al dimagrimento. Nel suo libro

“The champagne diaries: rules and cocktail recipes for living an effervescent life”, spiega come da depressa cronica

sempre a dieta, le sia bastato qualche calice di Champagne ed uno stile di vita diverso, per ritrovare il buonumore e la voglia di tornare a godersi il mondo. Parlare tout-court di una dieta dello Champagne sembra in effetti un paradosso, le diete, infatti, sconsigliano l’uso degli alcolici a causa del loro 32


“Il principio è semplice: a tavola solo cibo e bollicine di alta qualità”

elevato apporto calorico. Ma come si fa allora a rimanere a dieta senza poter brindare al Natale o all’arrivo del nuovo anno? Ecco così che la dieta dello Champagne si rivela utile e piacevole: oltre ad inserire l’alcol nell’alimentazione, incoraggia a bere un flute o due al giorno di Champagne o di un buon vino spumante metodo classico. Il principio è semplice: a tavola solo cibo e bollicine di alta qualità. Una bottiglia di Champagne contiene 547 calorie, un flute ne ha quindi circa 90, un apporto calorico modesto, se confrontato coi cocktail più bevuti. Inoltre lo champagne ha una caratteristica: entra in circolo rapidamente grazie al suo contenuto di “arginina”, basta berne poco, uno, massimo due bicchieri al dì. Nella “Champagne Diet” quindi è ammessa l’assunzione di alcol, ma solo sotto forma di Champagne. Infatti, per converso, i cocktail più richiesti specialmente dai giovani sono tanti, anche buoni, ma si rivelano essere veri e propri concentrati di calorie: un bicchiere da 15 cl di Moijto = 200 calorie; Margarita = 255 cal. mmmmmmmmmm ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, nnnnnnnnnnnn

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Alexander = 240 cal.; Pina colada = 260 cal. Lo Champagne invece ne ha meno della metà: 90 calorie per un flute e circa 109 per un bicchiere da 15 cl. Nella “Champagne Diet” non esistono le varie classificazioni tra cibi concessi e proibiti, si può mangiare ciò che si vuole ma con senso di responsabilità. Secondo Cara Alwill meglio sostituire cibi troppo grassi con piatti gourmet, eliminare le abbuffate spazzatura; si dovrebbe iniziare ad apprezzare pietanze gustose, nutrienti e salutari, ma non in grandi quantità. Un esempio? Salmone affumicato, carpaccio di Angus con insalata, il tutto accompagnato da Champagne. Questo regime prevede il consumo di 12001400 calorie al giorno e la giornata verrebbe così suddivisa: - Colazione: fette biscottate integrali, marmellata senza zucchero e un caffè. - Merenda della mattina: una banana; - Pranzo: focaccia o panino con formaggio di capra, peperoni e funghi. - Merenda del pomeriggio: tè caldo. - Cena: sformatino di verdure miste con 1 o 2 bicchieri di Champagne. “La Champagne Diet è come un co-

cktail: due parti di vita sana e una di divertimento - dice la blogger - lo Champagne è in genere riservato per le feste e le grandi occasioni, berne un calice al giorno avrà effetti positivi sulla linea e sul morale”.

L’unico danno che potreste subire, diciamo noi, non riguarda il vostro benessere fisico, ma la vostra carta di credito quindi, anche per questo, bere champagne sì, ma sempre con moderazione! L’uscita dell’articolo sulla Champagne Diet tuttavia ha diviso ed infiammato gli animi e le polemiche non sono mancate; l’alcol pur essendo calorico non è nutriente e non può mai trasformarsi in un sostituto del pasto, meglio perciò esortare tutti alla moderazione ed al buon senso. Come dire, nessun dietista consiglierebbe mai di iniziare a bere solo per dimagrire. Quindi tu e il tuo benessere in primis… per tutto il resto: prosit! ■ 58

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Doggy-Bag:

WINe not? Dopo il “Diritto di tappo�, proviamo ad affrontare un’altra spinosa questione legata al consumo di vino al ristorante: come comportarsi con le bottiglie che non riusciamo a terminare?

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ualche numero fa, abbiamo provato a snocciolare, non senza incontrare dubbi e difficoltà, il controverso dibattito sul cosiddetto “Diritto di tappo”: una regola non scritta della ristorazione che, in soldoni, consiste nel portarsi da casa le bottiglie di vino, a fronte di una eventuale “fee” da pagare al locale in cui vengono consumate. Un “caso” ancora aperto che continua a fare proseliti dell’una e dell’altra “fazione” ed è tuttora ben lungi dall’essere risolto. Ma se è vero come è vero, che in molti ristoranti il “diritto di tappo” vige di fatto, allora ha senso andare ad approfondire anche le dinamiche che regolano l’altrettanto sacrosanto diritto del cliente di portare via con sé, nella cosiddetta “doggybag”, la bottiglia o il cibo ordinato al tavolo e non del tutto consumato. Per chi non lo sapesse la “doggy-bag” è il contenitore utilizzato nato per accogliere le rimanenze di un pasto al ristorante da destinare ai nostri amici a quattro zampe, che spesso sono costretti ad aspettarci a casa o fuori dal locale. Tuttavia con questo inglesismo ormai ci si riferisce generalmente al classico “sacchetto” per gli eventuali avanzi da destinare a sé stessi. In effetti, complice la crisi, questo fenomeno si è andato diffondendo in moltissimi Paesi del mondo per limitare gli sprechi: ad esempio negli Stati Uniti, questa prassi è ormai talmente ben consolidata che da diverso tempo molti ristoranti si sono muniti di “doggybag” personalizzate con tanto di marchio del locale, proprio per far fronte, in maniera adeguata, alla crescente richiesta; così, questo fenomeno si è trasformato in un elegante servizio che viene proposto dal cameriere al cliente direttamente al tavolo, prevenendo anche ogni possibile imbarazzo da parte del cliente. Tutto ciò, alla fine, non ci sembra affatto una cattiva idea, anche perché utile per ampliare la propria clientela. In Francia però, sono andati oltre: dal 2016, infatti, la fornitura “doggy bag” è un obbligo per tutti i ristoranti che superano i 180 coperti. 60

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Fatto il quadro generale, a questo punto a noi interessa soprattutto approfondire il tema relativamente al prodotto vino. A chiunque di noi, infatti, sarà capitato di essere a cena con una persona astemia o che, semplicemente per l’onere della guidala, preferisce evitare il “goccetto”: in una tal situazione, l’alcol contenuto in un’intera bottiglia potrebbe, evidentemente, risultare eccessivo per un unico commensale. Ecco che da qui nasce l’esigenza di una sacchetta da asporto per usufruire in seguito della rimanenza della bottiglia che, comunque è stata pagata per intero. E’ chiaro che esistono anche altre possibilità per evitare inutili spre-jjjjj 62

sprechi inutili, senza dover necessariamente ricorrere alla “doggy-bag”. La soluzione più semplice è chiaramente quella di ordinare il vino al bicchiere: di solito però, le bottiglie proposte alla mescita non hanno un profilo particolarmente elevato o, peggio, molto spesso hanno perso gran parte delle proprie caratteristiche organolettiche a causa del troppo tempo trascorso dall’apertura. Qualcuno dirà che oggi la soluzione a questo problema arriva dai dispenser automatici o con gli spillatori manuali e, secondo noi, questo è anche vero, ma fino ad un certo punto: i primi sono macchine tecnicamente perfette ma comunque onerose e quindi non alla portata di tutte le attività; i secondi invece, sono parecchio più economici, ma anche molto meno pratici. In ogni caso, entrambe le soluzioni sembrano al momento essersi diffusi soprattutto in locali esteri, in cui il vino alla mescita ha costi comunque maggiori. Un’altra possibilità sarebbe quella di optare per la bottiglia da 375 ml; se non fosse che è sempre molto difficile trovare nella carta di un ristorante una scelta adeguata di etichette in questo formato, anche perché non tutti i produttori amano commercializzare i propri vini nella “mezza”. Da qui si capisce come l’esigenza del consumatore di portare con sé l’eventuale rimanenza di una 0,75, per poterla terminare con calma a casa propria, sia del tutto legittima. Per tutti questi motivi il “doggy-style” applicato al vino è già diventato una consuetudine per tantissimi ristoranti ed enoteche di tutto il mondo a cominciare, ancora una volta, dagli Usa e in seguito diffusasi anche nel vecchio continente. Per contro, in Italia questa tendenza non sembra proprio prendere piede; infatti, ad eccezione di alcuni locali di alto livello e di una ristretta cerchia di ristoratori illuminati, questo tipo di servizio - perché di vero e proprio servizio si tratta - risulta quantomeno faticare a diffondersi come dovrebbe. Eppure, in passato, qualche spunto interessante c’era stato anche Bel Paese. 61


Ad esempio, in Piemonte era partito nel 2000 il progetto “Buta Stupa”, che in dialetto piemontese significa appunto “bottiglia ritappata”. Davvero una bella iniziativa alla quale potevano aderire soltanto i locali che promuovevano il non-spreco di vino: in questo caso, l’invito a portarsi a casa quanto non consumato al tavolo, era incentivato da un elegante sacchetto di cartone, identico per tutti i ristoranti aderenti. Peccato che, andando a spulciare il sito ufficiale, scopriamo che i locali “buta-stupa friendly” sono attualmente meno di una trentina e comunque quasi tutti ubicati in Piemonte. Ciò nonostante, un’altra bella spinta in questa direzione era comunque arrivata da “Le Donne del vino”, associazione tutta al femminile che, recentemente, aveva rilanciato quella vecchia idea: con l’eloquente slogan “Da finire con chi vuoi tu...” apposto sulle classiche sacchette da asporto, si incitava ad “allungare la vita di una bottiglia di vino”. In realtà, quello era soprattutto un esplicito invito ai ristoratori a far diventare questa pratica una regola fissa, per togliere definitivamente il cliente dall’imbarazzo di dover chiedere lui stesso tale servizio. Perché se è vero che sia quantomeno legittimo (se non sacrosanto) portare via con sé una bottiglia acquistata e non del tutto consumata, nella pratica poi, le cose non risultano di così facile realizzazione. Questo perché, nei casi in cui l’asporto delle rimanenze non venga incoraggiato dal responsabile di sala o dal ristoratore stesso, potrebbe risultare parecchio antipatico richiederlo. Per contro, ad esempio ad un pranzo di lavoro o ad una cena galante, potrebbe risultare altrettanto sgradevole sentirsi chiedere se per caso gradissimo portarci a casa i nostri fondi di bottiglia. Ma allora, come fare ad uscire dall’impasse? Semplice, basterebbe indicare in modo discreto (ma sempre nero su bianco) la presenza di questa possibilità, specificando procedura ed eventuali costi. Ovviamente, lasciando sempre la scelta finale al cliente. Un po’ come avviene jjjjjj 62

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in quei locali, in cui attraverso sigla all’esterno “BYOB” - “Bring Your Own Bottles” (“Porta le tue bottiglie!”) incitano all’utilizzo di vini portati da casa propria, allo stesso modo si potrebbe inserire nella carta dei vini lo slogan “Take Away Your Own Bottles” (“Porta via le tue bottiglie!”): un piccolo accorgimento che, però, non solo eviterebbero tanti impacci ed inutili imbarazzi, ma verrebbe visto dal cliente come un segnale di un servizio trasparente, qualitativo, utile e, perché no, esclusivo; oltretutto, siamo sicuri che tutto ciò troverebbe anche il favore dei più accaniti “ wine-lovers”, che amano tenersi un ultimo sorso per il giorno seguente, al fine di constatarne l’evoluzione. Così facendo, anche un eventuale sovrapprezzo legato al costo dei sacchetti (che volendo potrebbero essere brandizzati e ceduti gratuitamente a fini pubblicitari) non sarebbe visto in modo negativo, perché comunque consentirebbe di usufruire al 100% dell’ “investimento” fatto per il vino. E alla fine, il tutto si tradurrebbe anche in una maggiore possibilità di guadagno anche per il ristoratore che, giocandosi bene queste “armi”, potrebbe “piazzare” con maggiore facilità anche le etichette più onerose della carta. lllllll 64

Purtroppo, tornando alla realtà (specie quella italiana), solo di rado capita di vedere un locale che suggerisca ed incentivi esplicitamente l’utilizzo della “doggy-bag” alla sua clientela. E le rare volte in cui ciò si realizza, è quasi sempre su esplicita richiesta di un cliente al quale, magari, la parte bevuta ha abbassato di parecchio le barriere inibitorie. Detto ciò, a questo punto molti di voi si staranno chiedendo quale fine avrà fatto la bottiglia mezza vuota (o mezza piena???) che sabato scorso avete tristemente abbandonato sul tavolo del vostro ristorante preferito: sarà forse stata riciclata nella glacette dei vini alla mescita? O magari sarà finita in cucina per sfumare i piatti del giorno dopo? Oppure, poverina, avrà drammaticamente concluso la propria serata nel lavandino del bancone? Noi non abbiamo la risposta che, chiaramente, dipende in gran parte dall’etica commerciale del vostro ristoratore. Una cosa però ci sentiamo di consigliarvi: almeno finché la fornitura della “doggy-bag”, o “wine-bag”, non diventi un servizio base di ogni locale che si rispetti, quando ordinate una bottiglia di vino, a scanso di equivoci, godetevela sempre tutta, fino in fondo… ■ 63


di mezzo inverno...

a cura di Dario Tersigni

enerdì sera e poca voglia di uscire! Pioggia fuori dalla finestra e fame di qualcosa di caldo, qualcosa che mi avrebbe fatto sentire il calore della famiglia tradizionale! Così la chiamano! Magari un fuoco, con i nonni che raccontano storie della guerra… Ed ecco che dalla business page di “instagram” della Cantina Sant’Andrea di Terracina arriva uno spunto:

“Quale vino abbineresti alla polenta?”

Bene, in casa ho entrambi i vini proposti e adoravo la polenta di mio nonno e come mi ha insegnato a farla! Il clima era di quelli ideali, casa, tv e divano. Niente più Instagram quindi, ma una buona bottiglia di vino da degustare e un piatto da abbinare! La mia scelta è caduta sul “Sogno” Igt Lazio 2012 con polenta “Molino Marello” integrale, senza glutine e macinata a pietra, con sugo di spuntature di maiale e salsicce. Proprio come nelle migliori tradizioni laziali e abruzzesi... 64

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Giudichiamo prima la polenta: beh, nessuno aveva dubbi che mio nonno la faceva decisamente meglio. Poi il vino: è un 85% merlot e 15% cesanese da uve surmature (14,5 gradi alcolici) che si affina per oltre un anno in piccole botti di rovere. Nel bicchiere il colore è un rosso rubino, denso e impenetrabile, confermando quanto scritto in retro etichetta, mentre l'unghia inizia ad accennare lievi sfumature mattonate. Gli archetti fitti e densi presagiscono un corpo da grande vino rosso. Al naso è ricco, ancora netta la polpa dell'uva con note di ciliegia sotto spirito, prugna e leggero humus. Forse la nota più elegante sono le sfumature di torrefazione, un caffè tostato suadente e raffinato e vaniglia. In bocca i profumi trovano la loro armonia, pieno grasso, tannini presenti ma non aggressivi, gli aromi trovano continuità percorrendo ogni angolo e regalando una buona persistenza. Si abbina perfettamente al sugo corposo della polenta, ma ho continuato a berlo anche dopo il pasto, perché non stanca mai. Lo consiglio anche come “vino da meditazione”, specie nell’annata 2012, che credo sia stata ottima per questa bottiglia. ■

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L’evoluzione del

SOCIAL WINING

Alla luce dei recentiSSIMI Aggiornamenti al più azzurro dei social networks, abbiamo analizzato le ultime tendenze della COMUNICAZIONE sociale del vino: dalle CLASSICHE pagine DI PRODUTTORI, winebloggers ed influencers, fino ai gruppi tematici più Movimentati DEL MOMENTO. di Andrea Vellone

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acebook è ormai diventato un mezzo di comunicazione molto pervasivo. Sembra infatti che, in media, controlliamo il nostro smartphone circa 150 volte in un solo giorno e che, il più delle volte, è perché vi troviamo una notifica blu che ci avverte che qualcosa, sul social network di Mark Zuckerberg, è successo. Se fino a poco tempo fa questo social network era un mezzo pensato esclusivamente “per aiutarci a rimanere in contatto con le persone della nostra vita”, negli ultimi tempi si è evoluto talmente tanto da diventare un vero e proprio sottoinsieme di internet: in questo “mondo” possiamo parlare con i nostri amici ma anche conoscere gente nuova, possiamo tenerci informati su gli argomenti che più ci interessano e addirittura fare acquisti in sicurezza. Il tutto senza mai uscire da quella sua rassicurante interfaccia blu... 32


E così, se prima per informarci seguivamo blog e riviste online, oggi invece ci informiamo sempre più frequentemente (e rapidamente) dal feed di Facebook, attraverso i contenuti che le persone condividono. E se da un lato questa nuova modalità risulta essere sicuramente molto comoda, dall’altro, in qualche modo, ci toglie la possibilità di scelta delle fonti e anche dell’ordine in cui le visualizziamo. Infatti, è lo stesso algoritmo di Facebook a scegliere (per noi) cosa è più “conveniente” farci vedere, prediligendo (guarda caso) i contenuti a pagamento. Oltretutto, è notizia recente l’ufficializzazione di ulteriori consistenti cambiamenti nel suddetto algoritmo che, seppur, in via sperimentale abbiamo già avuto modo di saggiare. Chiunque amministri una Pagina Facebook si sarà accorto quanto, ultimamente, le interazioni con i propri fan siano drasticamente diminuite. In realtà, i contenuti delle pagine vengono penalizzati in favore dei contenuti postati dalle persone. La “ratio” di questa scelta è quella di dare valore ai rapporti tra persone per aumentarne le interazioni. Questo perché, ad esempio, quando una notizia viene condivisa da un quotidiano nazionale su Facebook, il nostro comportamento più frequente è quello di andare a leggerla jjjjjjj

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senza interagire. Molto più probabile invece, che si inneschi un’interazione quando la stessa notizia sia stata condivisa da un nostro amico. Ecco quindi come, attraverso il filtro operato sulle notizie da parte degli utenti, diventi possibile anche un controllo a monte delle fonti (prospettiva che sinceramente mi fa davvero paura). Dietro queste discutibili scelte, che Facebook giustifica affermando di “volerci rendere più felici”, ci sono semplicemente grandi interessi, finalizzati soprattutto a capitalizzare l’immenso valore intrinseco della propria piattaforma. Ora, se siete arrivati a leggere fino a questo punto, vi starete sicuramente chiedendo: ma in tutto ciò, cosa cambia per noi enoappassionati? Dove e come possiamo ricercare i contenuti a noi più congeniali? Come si dovrebbero comportare wineblogger? E cosa dovrebbero fare i Produttori di vino per non sparire da questo nuovo orizzonte virtuale in cui, erano finalmente cominciati ad entrare? Partendo da quest’ultimo punto, io stesso, negli ultimi anni, ho consigliato ad almeno un centinaio di loro di crearsi una propria pagina facebook, nella quale raccontare e condividere giornalmente la vita della loro azienda; li ho spronati a scrivere, a fotografare, e poi a postare yyyyyy

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tutto questo, cercando di incrementare continuamente il proprio numero di fan. Oggi, invece, mi sento di far partire il contrordine! Questo perché il capitale di fan ha diminuito di parecchio il suo valore e, oltretutto, quello storytelling emozionale legato ai piccoli gesti quotidiani di un Produttore e al racconto della sua terra, sta diventando una attività pericolosa. Pericolosa perché, negli ultimi tempi, più di qualcuno ha esageratamente abusato di retorica, creando un contesto nel quale, oggi, anche un onesto racconto, rischierebbe di diventare caricaturale o cadere nel ridicolo. Nel migliore dei casi, sarebbe un racconto già sentito, stanco e scontato, che quindi avrebbe poco di interessante per meritarsi di essere condiviso. Allora come bisognerebbe comportarsi? Beh, bisognerebbe semplicemente ricominciare a mettere in gioco se stessi. Il che non significa abbandonare in toto la “pagina” per concentrarsi esclusivamente sull’utilizzo del proprio profilo personale: è necessario continuare a creare contenuti sulla pagina ma bisogna anche diventare il vettore dei nostri stessi contenuti, cercando, in qualche modo, di coinvolgere i propri contatti a condividerli a loro volta. In concreto, il Produttore dovrebbe fare in modo che il racconto della propria vita su Facebook sia quanto più corrispondente possibile alla realtà del proprio lavoro, lasciando trasparire vera passione e tutto ciò che sia attinente al proprio quotidiano, evitando come la peste gli eccessi di retorica e di autocompiacimento. Insomma, il consiglio spassionato per i nostri cari amici Produthhhhh 68

tori è semplicemente il seguente: siate voi stessi! In ogni caso, le pagine Facebook non sono ancora morte e se volete ricevere ogni giorno i contenuti delle vostre pagine enologiche preferite potete giocare sulle impostazioni personali. Anche perché attualmente si possono trovare davvero un’infinità di pagine che raccontano il vino, frutto spontaneo di un recente e incontrollato boom delle nascite di winebloggers. Fenomeno positivo di per sé, poiché testimone di un interesse reale verso il settore, ma che, allo stesso tempo, rende abbastanza difficile discernere tra punti vista per lo più amatoriali (ma comunque legittimi) e fonti più accreditate e qualificate. Ad ogni modo, tra quelle più che vi consigliamo di seguire per autorevolezza, annoveriamo senza dubbio la pagina di “Doctor Wine”, che ogni giorno condivide contenuti originali autoprodotti: analisi, degustazioni, notizie curate da un’autorevole redazione, coordinata da Daniele Cernilli. Altre pagine, che io stesso seguo, sono ad esempio quella di “Intravino”, blog a più mani dal taglio sempre ironico ma puntuale; oppure quella di “Luciano Pignataro”, ricca di contenuti orientati per lo più su vini e cibi del sud. E poi ancora, vi segnalo una pagina da un taglio nuovo e quasi

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rivoluzionario: parliamo di “ Vini al supermercato”, contenitore di approfondimento sui vini venduti nelle più grandi catene GDO, dal quale possono spuntare fuori davvero belle sorprese. Eppure, negli ultimi tempi, a riscontrare il maggiore successo dei “ winefollowers” sono sicuramente i cosiddetti “Gruppi”. Questi sono quasi un “ ecosistema nell’ecosistema”, una comunità autonoma di persone che si “ incontrano” quasi quotidianamente e dibattono intorno ad un certo argomento. Il meccanismo interno è molto simile a quello dei vecchi forum tematici, ma il tutto avviene chiaramente all’interno del social network più utilizzato al mondo. Che siano “aperti”, “chiusi” o addirittura “segreti”, tutti i gruppi vengono moderati dai loro creatori (o “ amministratori”) che hanno diritto di scrivere un regolamento e di “bannare” chi non lo rispetta. Ovviamente esistono anche tantissimi gruppi dedicati al vino e a tutte le sue declinazioni, ma probabilmente il più attivo e frequentato è sicuramente il gruppo denominato “Sommelier”. Creato qualche anno fa dal sommelier Giampaolo Polese è arrivato ad avere, nell’istante in cui scriviamo, ben 22.700 “membri”. E’ sicuramente un gruppo molto eterogeneo, in cui è possibile trovare il neofita assoluto a confrontarsi con l’enologo più illustre. E così capita di leggere un po’ di tutto: da chi sta cucinando e chiede aiuto per gli abbinamenti, a chi ha ritrovato una vecchia bottiglia dimenticata in cantina e vuole averne un giudizio tecnico o una valutazione economica. C’è pure chi 78

chi pubblica domande spesso scontate, alle quali magari più di qualcuno risponde seccato. Ogni tanto capita anche di assistere a qualche “guerra tra bande” su questioni irrisolte (e forse irrisolvibili) che vanno avanti per giorni e giorni in un delirio di post, Likes, commenti e commenti dei commenti che si accavallano tra loro e rendono quasi impossibile seguirne il filo. Continuando a scrollare i post in bacheca è tutto un susseguirsi di bottiglie, etichette, degustazioni, link ad articoli di foodblogger e wineblogger e così via. Insomma, in questo gruppo le persone sono tante, i pareri spesso discordanti e a volte si finisce per fare confusione; ma se si è appassionati di vino, è quasi impossibile starne fuori perché, alla fine, scorrendo la bacheca di questo gruppo c’è sempre e comunque qualcosa da imparare. Molto numeroso è anche “Sommelier Appunti di degustazione”, altro gruppo dedicato al vino che conta tra le proprie fila oltre 12.000 membri. Qui, però, il topic è ancor più specifico e delimitato, perché indirizzato precisamente verso una descrizione tecnica del vino. 69


Tuttavia, anche qui ci sono esperti e neofiti, appassionati e professionisti che bevono vini prestigiosi o meno, naturali e non, bollicine italiane o francesi. Insomma scorrendo il feed del gruppo c’è di tutto, un infinità di bottiglie, etichette e degustazioni comunque sempre interessanti. Da seguire. Un altro gruppo molto attivo e vivace è anche “Vini naturali” gestito da Marcello Roversi e Veronica Sanna. I vini naturali sono quei vini prodotti con metodi artigianali, macerati e magari fermentati in anfora, senza l’aggiunta di lieviti e con un contenuto di solforosa minimo o addirittura assente. Sono vini particolari, a volte al limite, ma se vi piace sperimentare questo è sicuramente il gruppo da cui partire per entrare in questo mondo; anche perché si possono incontrare persone piene di entusiasmo, che rendono il kkkkkkkk

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gruppo molto partecipato e pieno di scambi e commenti. Infine vi segnalo che anche noi, de “i Piaceri della vite” abbiamo recentemente creato un gruppo omonimo al quale consigliamo di iscrivervi, non solo perché ricco di anteprime e anticipazioni sui prossimi numeri, ma anche perché è un grande raccoglitore di contenuti esclusivi che non troverete nel Magazine. Tuttavia, il motivo principale per cui il gruppo è stato creato, è proprio quello di dare voce a voi lettori per discutere degli argomenti trattati nei nostri articoli, per suggerirci nuovi temi da approfondire, vini da degustare o cantine da visitare. L’ultimo consiglio però, forse il più prezioso di tutti, è quello di seguire i gruppi con una certa moderazione poiché, soprattutto quelli sul vino, possono creare una certa dipendenza. ■

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Vendiamo Bevitori

Di che cosa ha più bisogno un produttore di vino?

Marta 30 anni. Enoappassionata

Raccontiamo il tuo vino, sul web, sui social, attraverso gli eventi. Creiamo e pensiamo i contenuti più adatti; i contenuti istituzionali, le descrizioni dei prodotti, i contenuti emozionali, testi, foto, immagini da condividere. Creiamo storie che facciano capire di che vino parliamo. Li creiamo già inseriti in una precisa strategia, in un discorso continuo, coerente ed efficace. I contenuti li inseriamo nei siti web

che progettiamo, nelle pagine social che alimentiamo, nelle etichette e nei cataloghi, li inseriamo nelle mailing list, nelle rassegne stampa, li raccontiamo alle vostre reti vendita, li traduciamo in testi ed immagini che possano aiutarvi nella vendita all’estero. Questo perchè conosciamo il vino, conosciamo il marketing e conosciamo il web, conosciamo i vostri clienti. Conosciamo anche Marta.

webnwine.it


Wine Tv , il canale tematico di Sky dedicato al vino in tutte le sue forme e declinazioni, lancia un questionario online con lo scopo di fare il punto sulle abitudini e preferenze degli enoappassionati italiani. E la “ricompensa” per tutti coloro che parteciperanno, non poteva che essere in buoni sconto per acquisti di vino.

A cura di Chiara Calcagno 72

ine Tv lancia la prima indagine a 360 gradi sui gusti e le abitudini degli appassionati di vino in Italia. Dal 5 Febbraio, infatti, è on line sul sito del canale (www.wine-tv.it), un questionario diviso in 50 domande a risposta multipla che spaziano dalle bollicine al vino rosso, dal convenzionale al biodinamico, dalle barrique alle anfore. Vitigni, territori, doc e docg di ogni regione, abitudini enoiche. Ma spazio anche ad altri prodotti affini come caffè, acqua, distillati, aceto. E, perché no, a ciò che si lega e si sposa al mondo vino, come il cibo – e abbinamenti – e il turismo esperenziale. 32


Un ricerca dettagliata che riuscirà a dare un quadro completo sulle consuetudini e le preferenze dei winelovers. Obiettivo? Quello di sottoporlo al maggior numero possibile di appassionati. “Abbiamo

deciso di realizzare questo progetto per riuscire a capire il consumatore di vino. Noi di Wine Tv - dice sorridendo il direttore Cristiano Cini –

siamo i primi appassionati e curiosi e, dato che spesso (e fortunatamente) all’interno del gruppo la pensiamo in maniera completamente diversa quando affrontiamo determinate tematiche, abbiamo deciso di scoprire quali sono le opinioni o i desideri più diffusi. Non pensiamo che nel vino si posa ragionare su numeri o percentuali ma per parlare di un argomento è bene avere un quadro completo”.

Partner importanti hanno, da subito, appoggiato e sostenuto la ricerca: l’AIS, Associazione italiana sommelier, che aiuterà il canale nella promozione del questionario, e “Signorvino”, brand nuovo e giovane del gruppo Calzedonia, specializzato in vini italiani, che riconoscerà a chiunque porterà a termine il questionario (della durata di circa 10 minuti), un buono sconto del 10 %, utilizzabile su ogni acquisto in tutti i negozi Signorvino a partire da giugno 2018. “Vogliamo raggruppare – ha aggiunto il brand manager Marco Rossi – con un unico sguardo d’insieme le

Nella foto in alto Cristiano Cini , Direttore di WINETV e sommelier AIS con alle spalle ben tre finali al “Miglior Sommelier d’Italia”. In basso invece, l’ingresso di uno dei punti vendita di SIGNORVINO, enoteca e wineshop online specializzato nella vendita di vino 100% italiano di qualità.

abitudini degli appassionati senza favorire chi ama i grandi vini piuttosto che i piccoli produttori, chi beve vini convenzionali, chi quelli solo naturali o chi si rivolge solo ad aziende biodinamiche. Non ci sono giudizi, nessuno ha ragione o torto, si tratta di dare voce a tutti quelli che amano il vino”. E dopo un lungo lavoro di studio e analisi, il questionario è finalmente on line. Eccovi di seguito qualche anticipazione: “Qual è il valore me-

dio delle bottiglie che acquisti?” “Se vuoi sapere di più di un vino, dove fai le tue ricerche?” - “Quale dei seguenti vini si trova immancabilmente nella tua cantina?” - “Cosa ti cucini a casa per un pasto veloce?” A questo pun-

to non vi resta che iniziare a rispondere… ■ jjjjjj 78

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6-7 Maggio Villa Ecetra Patrica (FR)

e d i t i o n www.wineday.it


“BANDAROSSA” VALDOBBIADENE SUPERIORE DOCG - BORTOLOMIOL IL VINO: da una selezione di uve glera in purezza nasce questa “special reserve” di prosecco Extra dry Millesimato in edizione limitata a sole sei mila bottiglie. La bolla, viva e gradevole alla vista, è immersa in una massa cristallina dal bel colore giallo paglierino brillante. L’olfatto è gratificato da sentori citrici e di frutta esotica, delicate sfumature floreali e una lieve nota tostata. In bocca è morbido e cremoso, rotondo e minerale, con il ritorno di quelle soffici sensazioni fruttate a rendere il sorso perfettamente pieno. CONSIGLIATO PERCHE': la banda rossa, tratto distintivo che il fondatore, Giuliano Bortomiol, apponeva alle sue migliori bottiglie, è lì ad indicarci quanto questo spumante si elevi al di sopra dell’infinito universo del prosecco. Metodo charmat lungo, con oltre 3 mesi di contatto con i lieviti, e successivo affinamento in bottiglia di 4 mesi, permettono di estrarre l’aromaticità più tipica e raffinata di quest’uva, troppo spesso erroneamente sottovalutata.

“TERSILIO ” OLTREPO’ PAVESE BRUT DOCG - MARCHESI DI MONTALTO IL VINO: ravviva i calici di un perlage finissimo avvolto da in una bella veste giallo paglierino

ed esalta i nasi con la freschezza della frutta, la delicatezza dei fiori bianchi e la fragranza della crosta di pane. Regala un sorso citrico e minerale, con un leggere retrogusto biscottato finale. Un vino che emana fragranze complesse ed evolute e che in bocca concede un bell’assaggio della grande struttura e della personalità del pinot nero vinificato in purezza. kkkkkkkkkkkkk CONSIGLIATO PERCHE' : se Marchesi di Montalto è oggi una delle grandi realtà dell’Oltrepò Pavese è forse proprio perché ha focalizzato almeno la metà dell’intero progetto aziendale sulla nobiltà del pinot nero. E il punto di arrivo di tanto lavoro in vigna e in cantina è sicuramente riconducibile a questa Riserva del Fondatore, uno spumante metodo classico che nasce da vecchi vigneti di oltre 7 decadi e soltanto quando l’annata particolarmente favorevole ne offre la possibilità. E il punto di arrivo di tanto lavoro in vigna e in cantina è sicuramente

riconducibile a

"LOUIS XV " BRUT MILLESIME’ - CHAMPAGNE DE VENOGE IL VINO: pinot nero e chardonnay in parti identiche per questo top player della maison

De Venoge, che si distingue non solo per l’eleganza della bottiglia ma anche per il bagliore di quell’oro zecchino che lascia generosamente trapelare. Nel calice incanta lo sguardo con il suo perlage estremamente sottile e persistente che libera in superficie un’esplosione di aromi: agrumi, fiori bianchi, un lievito appena accennato, qualche morbida nota burrosa e una leggera scia vanigliata. Si conferma in bocca, che conquista con estrema facilità. CONSIGLIATO PERCHE' : è raffinato come l’oro, luminoso come il cristallo e delicato come

la carezza di un bambino. E se a questo aggiungiamo una grande tradizione, dieci anni sui lieviti ed un’eleganza senza pari, si capisce come questo Grand Cru, annata 2006, sia riuscito nell’ardua impresa di ammaliare anche bestie rare come noi, non sempre in prima fila tra i fans delle bolle d’oltralpe. 75


“I FRATI” LUGANA DOC - CA’ DEI FRATI IL VINO: turbiana in purezza, per questa classica etichetta della storica cantina di Sirmione.

Un vino che sa bene come reggere l’invecchiamento, tant’è che in molti ne consigliano l’apertura dopo almeno 5 anni. Noi però lo amiamo anche in gioventù, in tutta la sua freschezza, che esprime sia al naso, con note agrumate di limone e pompelmo e sentori iodati, sia in bocca, che riempie con la sua grande struttura, sostenuta da un spiccata trama acida e da una gradevole sapidità. CONSIGLIATO PERCHE' : Ca’ dei frati è stato sicuramente tra le prime aziende a saper

valorizzare queste uve e questa denominazione, che oggi rappresenta una delle espressioni più godevoli e intriganti del vino bianco italiano. Un prodotto che, una volta stappato, si lascia bere con una facilità disarmante, tanto è piacevolmente beverino, quasi dissetante. Attenzione però, perché in due persone una sola bottiglia potrebbe non bastarvi.

"ALEA VIVA" LAZIO ROSSO IGT - ANDREA OCCHIIPINTI IL VINO: solo quattromila bottiglie per questa versione secca dell’aleatico di Gradoli

in purezza. Un vino dall’impatto cromatico rosso rubino tipicamente poco carico, ma estremamente affascinante al naso grazie ad un ampio bouquet che si apre con un’elegante trama, permeata da frutti di bosco e rosa canina e che poi vira verso note balsamiche e speziate. In bocca si fa apprezzare per il sorso di grande freschezza ed equilibrio generale. CONSIGLIATO PERCHE' : se in pochi anni Andrea Occhipinti è diventato, con i fatti, uno dei

pilastri dell’enologia laziale, è perché è stato tra i primissimi a saper valorizzare il grande potenziale del terroir vulcanico del Lago di Bolsena. Un’ascesa che è passata soprattutto per i suoi autoctoni più rappresentativi, come il Grechetto Rosso e, appunto, l’Aleatico, vitigno di grande personalità e tipicità. Caratteristiche esaltate da una produzione focalizzata in toto su metodi naturali, fermentazioni spontanee e vinificazione in cemento.

"PIASTRAIA” BOLGHERI SUPERIORE DOC - MICHELE SATTA IL VINO: andando a ficcare il naso in un calice di Piastraia si l’impressione di entrare

in un bosco incantato in cui regnano i profumi di ribes, mirtillo nero, fragoline selvatiche e mora di rovo. Distintamente avvertibili anche freschi sentori vegetali di erba appena tagliata e peperone verde. Segue una leggera nota di muschio e una tipica scia speziata. In bocca la sensazione è quella di una lunga e calda carezza che sfiora il palato, lasciandolo pago, ma allo stesso tempo voglioso di nuova dose di goduria. CONSIGLIATO PERCHE': è un armonioso uvaggio in parti uguali di Cabernet Sauvignon,

Merlot, Syrah e Sangiovese, vinificato naturalmente, non filtrato ed affinato in barrique per 18/24 mesi. Un vino morbido, caldo e dalle note piacevolmente amalgamate, nel quale è l’equilibrio a farla da padrone. Un vino regale che, ad ogni singolo sorso, dispensa eleganza e ed emozione pura al fortunato assaggiatore.

"LA FIRMA ” AGLIANICO DEL VULTURE DOC - CANTINE DEL NOTAIO IL VINO: un aglianico in purezza raccolto tardivamente, fermentato con lunga macerazione

e fatto maturare per un anno in rovere francese all’interno di antiche grotte di tufo. Il colore è un rubino molto denso, quasi impenetrabile, mentre il naso è caratterizzato da frutti neri in confettura, note di cacao e torrefazione e una scia speziata e balsamica che ne rifinisce il bouquet. Un vino che in un sol sorso sa esprimere tutta l’opulenza dell’aglianico ma con una finezza olfattiva e un’armonia gustativa che trasformano l’assaggio in un’esperienza di cui potersi vantare. CONSIGLIATO PERCHE': praticamente tutta la gamma di prodotti dell’azienda della

famiglia Giuratrabocchetti meriterebbe una menzione in questa rubrica; ma se abbiamo scelto proprio “La Firma” è semplicemente perché con questo vino si raggiunge di fatto l’apice produttivo di un intero terroir. 76


"ARDESIA" PLANARGIA ROSSO IGT - CANTINE ZARELLI IL VINO: l’elevaggio in barrique di rovere francese solo per 3 mesi, consente di donare maggiore struttura, preservando però i profumi mediterranei della campagna sarda, sospesa tra terra e mare. Aromi di foglie di mirto e rosmarino si intrecciano a note di piccoli frutti rossi di rovo e a gradevoli sfumature iodate. Caldo e vigoroso, ma anche deciso nella sua freschezza e mineralità, lascia al palato una lunga scia di vellutata piacevolezza per poi congedarsi con una chiusura da manuale. CONSIGLIATO PERCHE' : nell’impentrabile bottiglia dell’Ardesia sono racchiusi ben otto

anni di sperimentazioni sulla Malvasia Nera di Bosa. Questa non è solo la punta di diamante della Cantina Zarelli, ma anche una raffinata chicca dell’intera enologia sarda, di cui si candida a essere portabandiera.

"ATER ” PRIMITIVO DI MANDURIA DOC - CANTINE IONIS IL VINO: impressiona già da chiuso per il peso della sua bottiglia, che preconizza la presenza

al suo interno di una materia scalpitante e vigorosa. Un impatto che si conferma anche una volta aperto, con quel liquido denso e concentrato che tinge il calice di un profondo vermiglio tendente al violaceo. Al naso si concede comodamente, svelando pian piano un bouquet ampio e ammaliante, fatto di confettura di frutta rossa, di spezie orientali, di note tostate e vanigliate. Conquista infine il palato con il suo equilibrio, la sua complessità e la sua godevole facilità di beva. CONSIGLIATO PERCHE' : l’Ater è solo l’ulteriore conferma della bontà del territorio di Sava

nello sfornare vini primitivo di grande sostanza e franchezza. Il clima sempre mite, la coltivazione ad alberello pugliese e le basse rese per ettaro, ci consegnano un vino caldo e strutturato, ma anche estremamente pulito e carico di aromi pregiati.

"CONFORTA ” TOSCANO BIANCO DOLCE IGT - FATTORIA SANTA VITTORIA IL VINO: Il “Conforta” è un vino dolce ottenuto da uve lasciate nelle nobili mani della

Botrydis per appassire direttamente in vigna per essere raccolte in più trance. Già dalla bottiglia lascia trasparire la sua tenue colorazione dorata che lascia prevedere la delicatezza della sua massa viscosa e profumata. Morbide note di miele si intrecciano a fresche fragranze agrumate e balsamiche, mentre il sorso rapisce il palato in una prolungata estasi di dolcezza. CONSIGLIATO PERCHE' : semillon, gewurtztraminer e Incrocio Manzoni sono i complanari

protagonisti di questa vendemmia tardiva di Fattoria Santa Vittoria. Una cantina da sempre interprete di progetti sperimentali mai banali e che forse, proprio in questa piccolissima produzione, riesce esprimere al meglio la parte più tradizionalista e, nel contempo, innovatrice, della propria filosofia aziendale.

"BEN RYE’ " PASSITO DI PANTELLERIA DOC - DONNAFUGATA IL VINO: ottenuto da uve Zibibbo provenienti da viti coltivate ad “alberello pantesco”,

il Ben Ryé è da molti considerato il Re dei passiti italiani. E in effetti, nel calice ostenta subito il suo aspetto regale, fatto di tonalità brillanti di ambra e oro antico. Ma è soprattutto al naso che riesce ad elargire lo sfarzo e la suadenza delle sue dolci note di nespola, albicocca, ma anche mandarino e scorza d’arancia, fichi secchi e uva passa. In bocca poi, è estasi pura, liquefatta in una rotonda simmetria di freschezza, mineralità e dolcezza. CONSIGLIATO PERCHE' : è un prezioso nettare dorato che, sorseggiato ad occhi chiusi,

ha il potere di catapultarti magicamente nell’esotico paesaggio di lave nere battute dal sole cocente di Pantelleria. E’ un vino fresco, succoso, avvolgente, ammaliante, longevo, quasi impossibile da dimenticare; un vino in cui sorso segue sorso, senza stancare mai. 77


Il primo Magazine esclusivamente DIGITALE, INTERATTIVO e GRATUITO dedicato al mondo del vino… Perché un DigiMag? Perché la rivista digitale racchiude in sé il piacere della lettura approfondita e continuativa tipica di una rivista tradizionale, aggiungendo le opportunità della tecnologia e la potenza del web che dona capacità distributiva capillare e visibilità praticamente a tempo indeterminato. Vantaggi che un prodotto cartaceo non potrebbe mai avere. MODALITÀ di DISTRIBUZIONE Sito web posizionato:

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A ROMA “I MIGLIORI VINI ITALIANI” SECONDO LUCA MARONI

BIRRA PROTAGONISTA A RIMINI CON BEER ATTRACTION

A MILANO C’E’ “LIVE WINE”: IL SALONE DEL VINO ARTIGIANALE

Torna l’importante manifestazione dedicata al mondo del vino firmata da Luca Maroni, una delle più autorevoli firme dell'enologia italiana. Quattro giornate, dal 15 al 18 Febbraio 2018, nelle quali le porte della prestigiosa location del “Salone delle Fontane” (zona Eur) verranno aperte a tecnici ed enoappassionati che potranno accedere al suggestivo percorso di banchi d’assaggio con le migliori etichette della produzione italiana selezionate nell’Annuario dei vini dello stesso Maroni. Oltre 100 espositori presenti per conoscere più da vicino i migliori prodotti della tradizione italiana, gustarne le straordinarie caratteristiche e scoprirne i segreti del successo. L'evento sarà inaugurato da una speciale serata di premiazione su invito, durante la quale saranno premiati “I Migliori vini italiani” presenti nell’Annuario 2018 dello stesso Luca Maroni, una delle guide più autorevoli del settore, giunta alla sua 25a edizione. Al termine della premiazione, subito via alla degustazione libera dei vini dedicata a tutti gli appassionati ed esperti: il biglietto d'ingresso ha un costo di € 25 a persona per singola giornata. Nel ticket sono incluse le degustazioni presso i banchi di assaggio (Wine, Food, Wine Bar) e l'accesso ai laboratori (previa prenotazione dal sito e fino ad esaurimento posti disponibili). Non incluse invece le singole consumazioni presso l'Area Ristoro.

Torna a Rimini, con la quarta edizione in programma da sabato 17 a martedì 20 febbraio 2018, Beer Attraction, la fiera di settore rivolta a tutti gli operatori professionali della filiera. Un format originale e dinamico in cui sono rappresentate tutte le categorie merceologiche al servizio dell’horeca e che, in sole 3 edizioni, si è affermato come l’unico evento B2B in Italia rappresentativo dell’intera filiera, dalla tecnologia al prodotto finito. Anche quest’anno, le aziende presenteranno qui le novità in maniera interattiva, contestualizzando i loro prodotti in proposte innovative di ristorazione. Ampio spazio verrà dato ai contenuti e agli eventi, che puntano soprattutto alla professionalizzazione degli operatori e contribuiscono quindi allo sviluppo e alla crescita del settore. A Beer Atrraction sarà rappresentata l’intera filiera della birra ma, dall’edizione 2017, il tutto viene affiancato da “Food Attraction”, la sezione interamente dedicata al FOOD per il canale Horeca, realizzata in collaborazione con la FIC - Federazione Italiana Cuochi. Ovviamente la sezione dedicata alla birra resterà il cuore della manifestazione, concentrandosi sulle eccellenze brassicole italiane ed internazionali. Beer Attaction è organizzata da Italian Exhibition Group in collaborazione con Unionbirrai, con il patrocinio è di Italgrob. Media partner sono GBI e Il Mondo della Birra.

Il Salone Internazionale del vino artigianale riaprirà i battenti da sabato 3 a lunedì 5 marzo presso il Palaghiaccio di Via G.B. Piranesi. L’evento sarà realizzato in collaborazione con la manifestazione Vini di Vignaioli-Vins de Vignerons e l’AIS Lombardia. Per 3 giorni consecutivi vignaioli italiani e internazionali presentano vini capaci di regalare emozioni uniche: un salone nel quale è possibile degustare tutti i vini presenti con il solo biglietto d’ingresso e acquistare le bottiglie preferite direttamente dai produttori. Saranno presenti anche banchi dedicati agli alimenti artigianali e all’editoria specializzata. Parallelamente, all’interno della panoramica Sala Piranesi (foto), sarà possibile partecipare agli incontri e iscriversi alle degustazioni a tema guidate da Samuel Cogliati. Queste ultime sono a numero chiuso con un biglietto aggiuntivo. Solo nel pomeriggio di domenica 4 marzo sarà anche disponibile un’area bambini, dove i genitori che lo vorranno, potranno possono affidare i loro piccoli a un’animatrice. Il ticket singolo intero ha un costo di €15 e dà diritto ad un ingresso all'evento in una delle giornate di apertura. Il ticket Ridotto AIS con tariffa agevolata di € 12,50 è invece riservato ai soli Soci che presenteranno la tessera associativa AIS al punto di ritiro dei braccialetti. Per la lista completa dei Produttori presenti potete consultare il sito ufficiale della manifestazione: www.livewine.it

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18-20 Marzo 2018 DÜSSELDORF, GERMANIA

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PRO WEIN: IL MONDO DEL VINO SI INCONTRA A DÜSSELDORF

A PESARO IL FESTIVAL DEL VINO ARTIGIANALE

GOLOSITALIA 2018, AL VIA LA SETTIMA EDIZIONE

Dal 18 al marzo 2018 riapre i battenti a Dusseldorf, in Germania, la fiera internazionale di vini e liquori N° 1 al mondo. Da anni questo è ormai un punto di riferimento mondiale inequagliabile: oltre 6.600 espositori rappresenteranno 295 territori di produzione di 60 Paesi. Mostre speciali, seminari e master class presenteranno con sistematicità gli sviluppi più importanti del settore. Qui potrete scoprire quali sono le maggiori tendenze del settore, discutendo personalmente delle vostre ambizioni con viticoltori e personale specializzato. Oltre al business chiave, è previsto un programma quadro composto da circa 500 manifestazioni specialistiche, con degustazioni e seminari enologici. Praticamente tutte le grandi ed innumerevoli regioni emergenti del mondo espongono alla ProWein, un vero melting pot per sommelier e commercianti specializzati che ricercano nuove origini per i loro vini. In nessun altro luogo l’interconnessione risulta più semplice e fitta. Nessun mercato rappresenta il settore in maniera così completa. Diversamente da tutte le altre fiere, ProWein realizza un concetto di B2B vero, con l’accesso al solo pubblico specializzato. Pertanto, ogni singolo contatto è davvero professionale e non c’è da stupirsi del fatto che tutti gli espositori siano entusiasti della qualità dei visitatori. Tuttavia, per pianificare al meglio la vostra visita, consigliamo di entrare prima nel sito www.prowein.com.

Un festival di primavera dedicato al vino a Pesaro, nelle Marche, regione che nel settore enologico occupa un posto di assoluto rilievo per l’alta concentrazione di aziende vitivinicole. Dal 7 al 8 Aprile 2018 infatti, l’evento enologico organizzato dall’Associazione culturale Pesaro Vino Cultura con il patrocinio del Comune, aprirà le porte a visitatori e operatori. Pesaro è anche città della musica che ha dato i natali a Gioachino Rossini, celebre compositore e raffinato gourmet, dove ogni anno avviene il Rossini Opera Festival, tra i più importanti festival musicali del panorama europeo e unica manifestazione lirica internazionale interamente dedicata al celebre compositore. Anche in omaggio a Rossini, a cui sono intitolati il teatro e il Conservatorio, e al suo fine palato, la città organizza PesaroWineFestival. Circa una cinquantina le aziende che hanno partecipato all’edizione precedente, che ha fatto registrare un’ottima affluenza di pubblico che, anche quest’anno, potrà acquistare anche online il proprio biglietto d’ingresso ad un prezzo di € 15. Previsto invece uno sconto di € 5 per tutti i soci Onav, Ais, Fisar, Fis Slow Food e Aspi, mentre sono invece previsti sconti e prezzi promozionali dedicati a ristoratori, gestori di enoteche e bar, ma anche a giornalisti. Nelle giornate di apertura del Festival gli orari al pubblico saranno i seguenti: 07/04/2018 dalle 10.30 alle 19.00; 08/04/2018 dalle ore 10.30 alle ore 18.00.

A Brescia, presso il Centro Fiera del Garda di Montichiari, dal 24 al 27 Febbraio 2018 va in scena l’enogastronomia italiana di Golositalia 2018, fiera di riferimento nel nord est Italia per il settore food, beverage & technology. Un evento, giunto ormai alla settima edizione, che ha saputo raggiungere tutti gli attori del settore agroalimentare, a partire da buyers della filiera distributiva manager GDO e piccola media distribuzione, grossisti specializzati, gestori di bar, snack bar, pub, birrerie, take away, società di catering, chef e stampa specializzata, fino ad arrivare direttamente al consumatore finale. Ancora una volta, questa fiera sarà un'ottima occasione per conoscere e valorizzazione al meglio le eccellenze enogastronomiche italiane: in particolare l’attenzione verrà focalizzata sui prodotti che caratterizzano il nostro territorio e che migliorano l’appeal dell’Italian Food agl’occhi del mondo: non a caso, oltre a contare su un bacino di aggregazione unico in Italia, Golositalia è stata capace, sin dalle primissime edizioni, di attirare a sé anche numerosi buyers internazionali. E poi,ancora, ampio spazio riservato alle attrezzature professionali con le ultime novità tecnologiche per gli operatori del settore. Una fiera che ha i visitatori giusti, perché rivolta non soltanto ad operatori del settore, ma anche al pubblico generico, colui che realmente acquisterà i prodotti finali.

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TERRE DI TOSCANA, ECCELLENZA ALL’UNDICESIMA POTENZA

TORNANO IN PIEMONTE I “ROERO DAYS” AL CASTELLO DI GUARENE

APPUNTAMENTO A TRIESTE CON L’EXTRAVERGINE DI OLIO CAPITALE

“Eccellenza nel bicchiere” è il claim dell’undicesima edizione di “Terre di Toscana”, l’evento più significativo a livello nazionale per i vini e i produttori di questa regione, che sarà animato da ben 130 produttori, fra vignaioli di nicchia e marchi di livello internazionale. Uno spaccato unico e irripetibile, perché solo di raro è possibile incontrare, nel medesimo contesto, nomi tanto prestigiosi. Il tutto piacevolmente fruibile grazie agli ampi ed eleganti spazi della prestigiosa location di Una Hotel Versilia (Lido di Camaiore - LU). Terre di Toscana nasce nel 2007, inserendosi di diritto nell'ambito di un ciclo di eventi ideato a partire dal 2003 e denominato Orizzonti e Vertici. Un contenitore di eventi, quest'ultimo, le cui peculiarità si possono riassumere in tre punti fondanti: temi enologici differenti, presenza diretta dei produttori, target indirizzato sia verso gli operatori sia verso il grande pubblico degli appassionati. Con la costante del teatro di rappresentazione, la Toscana costiera, soprattutto la Versilia. L’ingresso, al costo di €25, darà diritto a degustare tutti i vini presenti. Previsto un ticket ridotto a €20 per i soci AIS, FISAR, ONAV, AIES, SLOW FOOD, TOURING e per tutti gli abbonati al notiziario de “L’Acquabuona”. Infine, prevista anche la possibilità di accredito per Professionisti del settore, media e stampa specializzata al sito ufficiale della manifestazione: www.terreditoscana.info

Roero Days, dopo la bella parentesi al Museo dei Navigli di Milano nel 2017, torna in Piemonte, nelle date di domenica 8 e lunedì 9 Aprile 2018. L’evento, organizzato dal Consorzio di Tutela Roero, proporrà anche quest’anno un assaggio delle perle enologiche di 70 cantine e degustazioni guidate, ma anche tutta una serie di laboratori, momenti di dibattito e tour nel territorio. Sarà il Castello di Guarene, a ospitare la manifestazione che prenderà il via alle ore 10.00 con l’apertura del grande banco d’assaggio. Ovviamente il calendario dell’evento prevede anche altri appuntamenti da segnare in agenda, come la presentazione delle nuove annate di Roero Arneis 2017, Roero 2015 e Roero Riserva 2014, a cura del Consorzio di Tutela, che si terrà lunedì 9 aprile, alle 12.00, sempre a Guarene. Alla programmazione prevista tra le mura del Castello di Guarene si aggiungeranno anche una serie di eventi collaterali che, grazie a uno speciale autobus, coinvolgerà tutta la denominazione. L’evento, infatti, quest’anno propone percorsi guidati che attraverseranno la zona nella giornata di domenica 8 aprile. Tra le tappe principali vi sono: il Castello di Monteu Roero, aperto al pubblico dalla famiglia Berta, la Fiera dei Libri di Montà e le località di Canale e Borbore di Vezza d’Alba (dove passerà un mezzo ogni 30 minuti e dove sono disponibili comodi parcheggi).

L’Olio in esclusiva, dal 3 al 6 Marzo 2018 a Trieste ad “Olio Capitale”, la fiera dei migliori oli extra vergini, che riaprirà le sue porte al pubblico per presentare la nuova produzione olearia italiana: una vetrina di eccellenza a livello internazionale che, per filosofia, punta esclusivamente sull'olio extravergine di qualità. Saranno presenti in fiera le migliori produzioni italiani e non solo di oro verde, con centinaia di etichette tra olio Dop, Igp, biologici, fruttati intensi, fruttati medi e leggeri. Il Salone, che da sempre si avvale della collaborazione di qualificati esperti del settore, si presenterà come un evento specializzato, attento anche agli aspetti formativi, dove saranno presenti le migliori produzioni nazionali ed estere dell’olio extra vergine d’oliva. Ma perché visitare Olio Capitale? Perché se sei un consumatore questa è l’occasione giusta per conoscere direttamente i produttori e comprare l'olio più giusto in una salone che presenterà centinaia di aziende. Oltretutto sarà possibile imparare dagli esperti come assaporare e scegliere un buon olio, seguire i mini corsi d'assaggio e partecipare alla giuria che premierà i migliori oli in circolazione. Per i visitatori professionali invece, è già stata attivata una segreteria organizzativa che sarà a disposizione per aiutare a preparare un'agenda personalizzata e per fissare incontri b2b con i produttori.

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Anno III - Numero VI Febbraio 2018 Nella foto in copertina: “Umberto Trombelli e Damijan Podversic”

..................................................... Editore: Antea dev Srls Via Tiburtina, 912 00156 - ROMA CF e P.IVA: 13784521000

REPORTAGE:

Anteprime di Toscana

..................................................... Responsabili del Progetto editoriale: Federico Dini e Andrea Vellone. Per la pubblicità: info@ipiaceridellavite.it Cell: (+39) 349 0750182 Distribuzione online: www.ipiaceridellavite.it ..................................................... Hanno collaborato a questo numero: Chiara Calcagno, Valentina Di Carlo Simone Vergamini, Giuseppe Caprì Mario Federzoni, Tommaso Giorgi e Dario Tersigni

VENI VIDI VINI:

Tenuta Regaleali

..................................................... Si ringraziano anche: Daniele De Ventura, Riccardo Gosi, Sandro Notargiacomo, Emiliano Polizzi la redazione di WINE TV e tutti i Produttori citati all’interno. ..................................................... “I Piaceri della Vite" è un prodotto editoriale online realizzato unicamente su supporto informatico e diffuso esclusivamente per via telematica. Visto che gli Editori non hanno fatto domanda di provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100mila euro, non sussiste alcun obbligo di registrazione al registro della stampa tenuto dal tribunale, né al R.O.C., né gli stessi sono soggetti agli obblighi di cui alla delibera dell'AGCom n. 666/08 del 26 novembre 2008. Per ricavi annui da attività editoriale si intendono i ricavi derivanti da abbonamenti e vendita in qualsiasi forma, ivi compresa l’offerta di singoli contenuti a pagamento, da pubblicità e sponsorizzazioni, da contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati. (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale”)

.....................................................................................

VENI VIDI VINI:

A Ravello da Ettore Sammarco

Copyright:

Tutto il materiale pubblicato, testi, foto e illustrazioni, è da ritenersi di proprietà degli Autori e, qualora non indicato, dell'Editore. Tuttavia, alcune foto o immagini presenti nella rivista sono costruite da materiale largamente diffuso nel web e ritenuto di pubblico dominio. Su tali foto ed immagini il sito non detiene, quindi, alcun diritto d'autore e non è intenzione dell'Autore di appropriarsi indebitamente di immagini di proprietà altrui. Pertanto, se detenete il copyright di qualsiasi foto, immagine o oggetto presente, oggi ed in futuro, su questa rivista, o per qualsiasi altro problema riguardante il Diritto d'Autore, inviate immediatamente una e-mail all'indirizzo info@ipiaceridellavite.it indicando i vs dati e le immagini in oggetto così che si possa risolvere rapidamente il problema (ad esempio con l'inserimento, gratuito e permanente del nome dell'Autore, oppure sostituendo o rimuovendo definitivamente la foto o quant'altro).

SCRIVI ALLA REDAZIONE: info@ipiaceridellavite.it Siamo sempre alla ricerca di vini e storie originali per i nostri appassionati lettori... Se siete Produttori e volete farci assaggiare i vostri vini o volete raccontarci la vostra storia la ascolteremo volentieri. Se invece amate scrivete di vino e volete collaborare con noi inviateci le vostre idee o i vostri articoli: saremo lieti di valutarli ed eventualmente pubblicarli nel prossimo numero. 83



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