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autori
Sofia Righetti e Irene Saccani corso di studi
Corso di Typographic Design Design della Comunicazione Sezione C3 Anno Accademico 2013/2014 Politecnico di Milano font per testi
Optima Medium 10/12 font per titoli dei paragrafi
Optima Bold 10/12 font per didascalie
Optima Demi Italic 8/9.6 font per titoli dei capitoli
Bodoni Roman 48/57.6 tipo di carta utilizzata
120gr
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INDICE introduzione
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hollywood, la fabbrica dei sogni
Introduzione The roaring Twenties The golden age Il boom del periodo bellico Il divismo degli anni Cinquanta La nuova Hollywood e l’era del blockbuster
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il cinema in europa
Il cinema europeo di inizio Novecento Germania Inghilterra Francia Il cinema di propaganda La propaganda nazista Il cinema del fascismo Il Neorealismo Gli anni del boom Il cinema europeo fino ad oggi
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bibliografia
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Introduzione Di decennio in decennio, lo stile generale delle locandine cambia notevolmente. Il movimento artistico espressionista ha certamente avuto grande influenza sullo stile del cinema dei primi decenni del Novecento; in particolare la Germania ha prodotto pellicole dal carattere espressionista, con uno stile che si è inevitabilmente rispecchiato nelle relative locandine, trattate come dipinti. Negli anni Trenta le locandine sono molto allegre e brillanti, nonostante la Grande Depressione: il pubblico sentiva la necessità di evadere dalla dura realtà che lo circondava. Durante gli anni Quaranta e Cinquanta il colore domina ancora, e i titoli dei film, in modo particolare nel panorama hollywoodiano, sono composti da caratteri grandi quanto il nome del protagonista. L’immagine fa da protagonista negli anni Sessanta e Settanta: la fotografia acquisisce importanza e le locandine tendono a mostrare immagini tratte direttamente dal film. A metà degli anni Settanta compaiono disegni o caricature dei personaggi, in modo da
incuriosire e divertire lo spettatore. Negli anni Ottanta convivono tecniche di illustrazione diverse, ma molte locandine sono ancora realizzate con disegni. Gli anni Novanta vedono prevalere le composizioni fotografiche con le immagini degli attori protagonisti. Durante gli anni Duemila, a causa della sempre maggiore anticipazione della promozione di un film rispetto alla sua uscita, si sono diffusi i teaser poster: un’immagine ben riconoscibile accompagnata solamente dalla data di uscita. Si sono inoltre diffusi i set di poster sui personaggi singoli dei film, impiegati soprattutto per le saghe di genere fantascientifico e fantastico o per i film d’animazione. Questo libro analizza il manifesto cinematografico e la sua evoluzione ed è suddiviso in due blocchi principali: nella prima parte sono contenute le locandine che hanno segnato la storia di Hollywood, mentre la seconda parte tratta il manifesto cinematografico europeo.
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HOLLYWOOD, LA FABBRICA DEI SOGNI
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Hollywood è da sempre uno dei piÚ importanti centri della cinematografia mondiale. Per lungo tempo, il noto distretto della città di Los Angeles, in California, ha rappresentato il centro della produzione cinematografica americana. La fortuna di Hollywood ha origine negli anni dieci del 1900, quando affaristi e registi provenienti da New York e desiderosi di investire nel cinema si riuniscono a Los Angeles: qui trovano il luogo ideale per girare gli esterni dei film, con ambienti e condizioni climatiche favorevoli. Mentre lo sforzo bellico aveva indebolito le produzioni cinematografiche in nazioni come Francia o Italia, l’industria Hollywoodiana diventa al contrario una delle principali fornitrici di pellicole a livello mondiale.
Hollywood sign
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THE “ROARING TWENTIES”
Metro Goldwin Meyer
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IL DIVISMO Nel corso degli anni Venti il cinema diventa un vero e proprio sistema commerciale e dello spettacolo: produttori, attori e registi danno vita ad un’industria di proporzioni gigantesche. Allo stesso tempo attori e attrici sono visti come vere e proprie divinità e ricoprono le riviste grazie agli eccessi, alle stravaganze, alle ricchezze e talvolta anche ai crimini che li coinvolgono, influenzando enormemente mode e pensieri dell’epoca. Erano gli attori a garantire il successo commerciale del film: tra i grandi modelli femminili e maschili si ricordano Rodolfo Valentino, Mary Pickford, Greta Garbo, Marlene Dietrich e Douglas Fairbanks. Negli anni venti Hollywood definisce la struttura in generi: comico, melodramma, di guerra, horror, gangster, commedia, esotico e western. Molti registi e attori comici di questo tempo sono: Charlie Chaplin, Buster Keaton, Harold Lloyd, Harry Langdon, Stanlio & Ollio. La comicità era basata sulla pantomima, poiché non era ancora presente il sonoro, e soprattutto sulle acrobazie.
Rodolfo Valentino
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La font utilizzata per i nomi è piena e giocosa, con bordi tondeggianti, colorata di blu (come la divisa del polizziotto). I cognomi sono messi molto in risalto rispetto ai nomi e al titolo del film, realizzato con un carattere a mano, in verde (come la cravatta). L’immagine mostra i due protagonisti che ridono: ciò anticipa il fatto che sia un film comico, basato anche sulla fisicità dei personaggi. La locandina si basa su colori freddi: blu, verde, nero, con qualche comparsao di tinte più calde (giallo e rosso). Lo sfondo passa da blu a bianco, creando un centro di attenzione concentrato sui volti dei personaggi e sul titolo del film.
Leave ‘Em Laughing (Lasciali ridendo) 1928 Clyde Bruckman
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Una seconda versione della locandina di Sunrise
L’AVVENTO DEL SONORO Nel 1927 la Warner Bros distribuì con enorme successo The Jazz Singer, film che segna la nascita dell’era del sonoro: la maggior parte dei cineasti si rese così conto che il sonoro poteva rappresentare un’importantissima forma espressiva, destinata a cambiare per sempre la produzione cinematografica. I REGISTI Durante gli anni Venti cominciò ad affermarsi la generazione di registi che avrebbe dominato i tre successivi decenni del cinema americano: John Ford, King Vidor, D.W.Griffith, Eric von Stroheim, Murnau e altri ancora. Murnau, autore di Nosferatu, produrrà con America Sunrise (1927) uno dei primi film a essere distribuito con la colonna sonora sincronizzata alle immagini.
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Sunrise (Aurora) 1927 Friedrich Wilhelm Murnau
Il titolo della pellicola è presentato in un’etichetta posta in alto a destra: lo sfondo è rosso. Il titolo è invece giallo, come se volesse rappresentare la luce; presenta inoltre un’ombra nera, come se il Sole stesse di fronte alla scritta e la illuminasse. Il titolo segue inoltre una forma leggermente arcuata, imitando la comparsa del Sole all’alba sull’orizzonte. Le tinte del disegno sono calde e accoglienti, traspare una storia d’amore e sembra che sia irradiato calore lungo tutta la locandina (anche i fanali delle automobili possono ricordare i raggi del Sole). È quindi presente una fortissima continuità tra il titolo e l’immagine proposta.
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Il nome dell’attore protagonista si staglia in rosso sulla locandina; la lettera “j” ricorda una nota musicale appoggiata al pentagramma. Il titolo, con una font diversa e scritto in bianco, segue un moto ondulatorio, richiamando ancora una volta il percorso delle note sul pentagramma. Nei nomi degli attori c’è una gerarchia: dal più importante (in rosso, notevolmente grande) ai non protagonisti, la cui font si rimpicciolisce e infine cambia. Il clima della locandina è dinamico e gioioso, come se la musica rendesse tutti felici. La seconda versione della locandina influenzò, a distanza di anni, la pubblicità delle liquirizie Tabù: lo spot è realizzato a cartoni animati e ha come protagonista un uomo nero, riconoscibile sullo sfondo solo grazie agli occhi e alla bocca. Il personaggio canta un jingle jazz ed è ispirato al musicista Al Jonson.
A sinistra: The Jazz Singer (Il cantante di jazz) 1927 Alan Crosland In alto a sinistra: The Jazz Singer (Il cantante di jazz) 1927 Alan Crosland In alto a destra: spot Liquirizie Tabù
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THE GOLDEN AGE
1929, prima cerimonia di consegna degli Oscar
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IL PERIODO D’ORO La fine degli anni Venti e gli anni Trenta sono, malgrado la Grande Depressione, il periodo d’oro di Hollywood. Nel 1929 si assiste alla prima cerimonia annuale di consegna degli Oscar, evento con il quale Hollywood si mette in mostra celebrando il cinema in una sfarzosa cronaca televisiva e mondana di impatto internazionale. LE LOCANDINE Nonostante la maggior parte dei film fosse girata in bianco e nero, e nonostante il clima di preoccupazione costante, le locandine dei film di questo periodo sono quasi sempre allegre, ottimiste, gioiose e dai colori brillanti. I GENERI I generi degli anni Venti continuano ad aver successo, ma prendono inoltre piede generi più realistici e critici come i gangster e i noir (quest’ultimo soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale). Dopo l’avvento del sonoro si affermano anche i film epici in costume, i cartoni di Walt Disney, i “film di donne” con Bette Davis; tuttavia è il musical il genere preferito dal pubblico, con la coppia Astaire/Rogers.
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Il titolo del film è un font a bastoni, con lettere molto spesse e occhielli e aste trasversali molto piccoli. Il titolo è in giallo e sembra disposto su un pentagramma: anche la nota in alto a sinistra richiama il tema musicale. In italiano il significato del titolo è “Cappello a cilindro”: le lettere molto rigide e spesse, in particolare la “t”, ricordano infatti la geometria di questo particolare tipo di copricapo. Anche i nomi degli attori protagonisti sono realizzati con lo stesso stile, richiamando in questo modo il titolo. Il nome proprio della donna si distingue poiché è realizzato con un carattere script, dando maggiore idea di femminilità e grazia; inoltre le ascendenti delle lettere “g”, molto allungate, sono opposte ai vertici superiori molto appuntiti delle lettere “a” presenti nel cognome del protagonista maschile. I protagonisti sono ritratti in basso in primo piano: hanno espressioni allegre e sorridenti. La donna rivolge lo sguardo direttamente allo spettatore, mentre l’uomo guarda all’indietro rivolgendosi alla “compagna” che gli dà le spalle. La locandina è in generale molto allegra ed è presente una discreta corrispondenza tra testo e immagine.
Top Hat (Cappello a cilindro) 1935 Mark Sandrich
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Il nome dell’attrice protagonista è scritto con una font estremamente aggraziata, con lettere sottili e strette. La “s” maiuscola imita la silhouette del corpo femminile e suggerisce sensualità, come la donna con gambe e spalle scoperte, protesa verso lo spettatore. Richiama inoltre le onde formate dai capelli e dalle pieghe della vestaglia. La lettera si sovrappone in parte col disegno, accentuando questi richiami. Il colore rosa è lo stesso utilizzato per le labbra, i capelli e dell’interno della vestaglia. La font del titolo, di colore blu, è realizzata con caratteri a bastoni, molto sottili. Si notano alcune somiglianze tra il titolo e il disegno della donna, ad esempio le “i” assomigliano alle gambe, magre e allungate, o la punta delle scarpe richiama le ascendenti molto accentuate delle lettere “a”. Lo sfondo della locandina è a tinta unita: così facendo mette in risalto scritte e immagine. Tra disegno e caratteri utilizzati c’è una forte corrispondenza.
A sinistra: Ladies They Talk About 1933 Howard Bretherton A destra: una seconda versione della locandina di Ladies They Talk About
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Il nome dell’attore protagonista e regista è realizzato con un carattere molto spigoloso: la “a” a punta e le lettere molto rigide e rettangolari richiamano i grattacieli che si stagliano sullo sfondo. C’è una corrispondenza molto forte tra il nome, giallo su sfondo nero, e la sagoma del protagonista, nera contornata di giallo. Il titolo del film è rosso su sfondo nero; le lettere sono più sottili rispetto al titolo, ma viene mantenuta una certa somiglianza col disegno sullo sfondo: le ascendenti appuntite delle “t” richiamano le terminazioni a punta dei grattacieli, i puntini delle “i” ricordano le finestre illuminate e la lettera “g” sembra attraversata da un raggio obliquo, presente anche nell’immagine. Inoltre le ascendenti o discendenti di alcune lettere sono allungate fino a toccare i margini del riquadro nero in cui sono contenute. Nel disegno, i colori caldi in fondo ai palazzi richiamano le guance rosee della donna.
City Lights 1931 Charlie Chaplin
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Il titolo è realizzato a mano e in questo caso in colore bianco; ci sono sia lettere in maiuscolo, sia lettere in minuscolo, ovvero “l” e “d”: le loro ascendenti (messe in risalto) suggeriscono la geometria verticale di un grattacielo. Il nome del protagonista è di colore giallo, con caratteri molto vicini tra loro, come a ricordare una città affollata in cui le costruzioni sono fitte. La scritta in alto riprende il colore del nome e le lettere ricordano le finestre illuminate dei palazzi sullo sfondo. In questo caso i protagonisti sono ritratti al centro della locandina, e vediamo frontalmente anche il personaggio maschile. I due personaggi sono posti in relazione, sia perchè si guardano, sia perchè il colore arancione del gilet dell’uomo riprende il vestito della donna. I protagonisti illuminano lo sfondo con colori vivaci e caldi. C’è una certa corrispondenza tra testi e immagini, ma non forte come nella locandina originale.
Luci della città 1931 Charlie Chaplin
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Il titolo è scritto a mano, è di colore rosso sangue e di conseguenza risalta molto sullo sfondo blu scuro. Presenta un tratto tremolante, instabile, adatto per creare un clima di tensione e paura. È interessante notare come la lettera “t”, il cui incrocio trasversale è molto corto, ricordi i chiodi conficcati nel collo del mostro. Lo sfondo è dipinto con pennellate rapide e decise, le quali sembrano squarciare la locandina, di colori freddi che coprono sfumature del viola, blu e verde. Le stesse pennellate oblique sono presenti nel vestito della donna in basso a destra, ma questa volta i colori sono caldi: gli stessi colori sono utilizzati per i volti degli altri protagonisti. Sul volto di Frankenstein sono presenti invece anche sfumature di colore verde, che danno al mostro un aspetto innaturale e ancora più spaventoso.
Frankenstein (Frankenstein) 1931 James Whale
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Anche in questo caso, il titolo è scritto a mano con un tratto molto tremolante e incerto, seguendo una traiettoria obliqua. É di colore bianco, contornato di un giallo acceso, il quale riprende il colore dei nomi degli attori principali: i testi sono infatti i punti di luce della locandina, dominata da colori freddi e cupi. La lettera “s” è molto allungata e stretta, suggerendo forma e posizione del corpo femminile in basso a destra. I personaggi sono disegnati in una sorta di gerarchia dal protagonista, in alto a sinistra, ai personaggi secondari. Sono realizzati con colori freddi, le cui sfumature vanno dal verde chiaro al nero; lo sfondo è di colore blu scuro. Il corpo della donna rappresenta un punto di luce, poiché indossa un abito bianco e sia il volto sia i capelli biondi sono illuminati dalla luce.
Una seconda versione della locandina di Frankenstein
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I VALORI Il cinema ha un ruolo fondamentale per la popolazione americana, trasmettendo ottimismo, fiducia e valori fondamentali come il lavoro e la famiglia. In seguito alla Grande Depressione i nuovi divi incarnano figure più realistiche, meno trasgressive e più disciplinate (soprattutto in seguito all’introduzione del Codice Hays). IL CINEMA NARRATIVO CLASSICO Per trasmettere questi valori, il cinema doveva essere comprensibile da ogni strato della popolazione: nasce il cinema narrativo classico, un nuovo modo di far cinema basato su azione e dialogo e su una struttura chiara e piacevole. Il pubblico cercava storie d’avventura e d’amore per evadere dalla spiacevole realtà. Tra questi il celeberrimo Via col vento, di Victor Fleming, importante soprattutto perché fu il primo film realizzato in technicolor, ovvero a colori.
A destra: Gone With The Wind (Via col vento) 1939 Victor Fleming
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Il titolo del film è posto al centro della locandina e le lettere sono tutte maiuscole e di colore nero: ciò lo pone in forte risalto. È realizzato con grazie molto ricurve e decorative. L’ombreggiatura è filettata e quindi solamente accennata, riuscendo comunque a dare un certo spessore al carattere. Al centro di ogni lettera (fatta eccezione per la lettera “n”, sui lati, ci sono piccole borchie, che richiamano le forme delle grazie. In alto è posto un disegno dei due protagonisti, immortalati nel famoso bacio finale del film. Non c’è alcuna corrispondenza tra titolo e disegno, ma le grazie dei caratteri (in stile “floreale”) si legano ai fiori dipinti sulla cornice della locandina.
In alto a sinistra: Gone With The Wind (Via col vento) 1939 Victor Fleming A destra: una scena del film
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I caratteri del titolo, in rosso, presentano una leggere ombreggiatura. Le lettere sono disposte in maniera “casuale”, non allineate; in alcuni casi sembrano intersecarsi (come la “i” e la “z”) e in altri respingersi (come la “z” e la “a”, la cui terminazione sembra tagliata). Il risultato finale esprime grande dinamismo. I nomi degli attori sono scritti a mano, con grazie particolari. La scritta “Gaiety! Glory! Glamour!” in alto, è una font script. Le immagini della locandina sono in parte fotografie e in parte disegni: ciò suggerisce l’idea di un mondo tra la realtà e la fantasia.
In alto a sinistra: The Wizard Of Oz (Il mago di Oz) 1939 Victor Fleming A destra: una scena del film
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In alto: altre versioni della locandina di King Kong A destra: King Kong (King Kong) 1933 Merian C. Cooper - Ernest B. Schoedsack
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Il titolo è disegnato in stile fumetto, in giallo, rosso e nero nell’ombreggiatura, con lettere imponenti e massicce. Esprime forza come il protagonista, rappresentato imponente e aggressivo. Il titolo è distorto, come se fosse stato piegato con forza dall’animale. L’andatura che segue è ripresa nello sfondo dai palazzi della città, che sembrano seguire la forma tonda della Terra. Il disegno, soprattutto nella pelliccia dell’animale, è realizzato con pennellate sovrapposte, in netto contrasto con le tinte piatte del titolo. I colori innaturali della pelliccia (ci sono sfumature che vanno dal verde al blu) significano che l’animale non esiste in natura, è un mostro irreale. Le diverse versioni della locandina di questo film si assomigliano molto per quanto riguarda lo stile.
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IL BOOM DEL PERIODO BELLICO
Cary Grant
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IL BOOM BELLICO Hollywood conosce un boom straordinario durante tutta la durata della guerra, contando nel 1946 la maggior affluenza di pubblico in sala mai registrata nella storia del cinema. IL CINEMA E LA GUERRA Nell’imminenza della guerra, i film cominciano a promuovere l’arruolamento nelle forze armate e, in seguito, lo spirito bellico. Vengono prodotti molti film sulla guerra o su nazismo e fascismo, ma anche film antinazisti o che non trattano esplicitamente il tema bellico, ma comunque lo richiamano. In questi anni sono prodotti anche ottimi western, melodrammi che esaltano il sacrificio, commedie e film stereotipati che mirano a ricompensare i soldati americani con sfavillanti comparse di bellissime attrici. Viene inoltre favorita dal clima di guerra la nascita di un genere piÚ aggressivo, il film noir.
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Il titolo del film è composto da caratteri disegnati a mano, riproducendo il tratto veloce e impreciso di un pennello. Il colore rosso conferisce un’aria di pericolo, accentuata da una figura sullo sfondo che si avvicina minacciosa, brandendo una torcia, e dallo sguardo preoccupato dei protagonisti. Della figura sullo sfondo non riusciamo a vedere il volto, in ombra e coperto da un cappello, e ciò rende ancora più minaccioso il personaggio; inoltre egli indossa abiti scuri ed è circondato da fiamme e colori accesi e innaturali. La sua ombra si proietta sui protagonisti, illuminati però in viso. Le scritte dei nomi degli attori e del regista sono realizzate con caratteri disegnati, nel primo a caso sono caratteri a bastoni, nel secondo sono graziati. L’inclinazione obliqua segue quella del titolo del film ed è nella direzione opposta rispetto all’ombra proiettata dalla figura sullo sfondo. C’è corrispondenza tra immagine e testi, sia per l’inclinazione sia per il colore.
Saboteur (Sabotatori) 1942 Alfred Hitchcock
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I colori principali della locandina sono rosso, nero, bianco (come i colori della bandiera nazista) e ocra. Il titolo presenta un font con caratteri e grazie molto obliqui. Le lettere sono piene e contornate di rosso, richiamando la fascia sul braccio del protagonista e il simbolo sul cappello, in cui il sibolo della svastica è sostituito da due croci bianche. La parola “dictator” spicca sulle altre poichè posizionata su uno sfondo scuro a tinta unita. Il nome dell’attore protagonista è disegnato con lettere più arrotondate e inclinate in modo da intersecarsi in parte tra di loro, e di seguire un’inclinazione obliqua (simile a quella delle croci). Il carattere usato nel nome dell’attore è più giocoso, e rompe l’impostazione seria e rigida della locandina. Il protagonista è ritratto con un’espressione seria, dalla figura imponente e dominante; il gesto che compie col braccio richiama la verticalità del microfono posto davanti a lui. In generale, c’è molta corrispondenza tra titolo e immagine della locandina.
A destra: The Great Dictator (Il grande dittatore) 1940 Charlie Chaplin A sinistra: una scena del film
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Testo e immagini si stagliano su uno sfondo giallo a tinta unita. Il titolo del film è scritto a mano; le lettere ricordano, grazie al tratto e al colore con cui sono state realizzate, il disegno della donna. Le forme della lettera “s” riprendono inoltre le curve sinuose formate dai capelli. La scritta in alto riprende a sua volta, sia nel colore sia nel tratto delle lettere maiuscole, il disegno. Il disegno è realizzato con tratti molto spessi e rapidi; sono poste in evidenza le labbra rosse e carnose e le ciglia, molto lunghe e dal tratto molto spesso. La corrispondenza tra immagine e testi è forte.
A sinistra: Sullivan’s Travel (I dimenticati) 1941 Preston Sturges In alto a destra: una scena del film In basso a destra: una seconda versione della locandina
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Il titolo del film è disegnato a mano; i caratteri in alcuni casi hanno grazie molto spesse (come nelle lettere “t”, “a”, “w”). Le lettere sono molto attaccate tra loro e disposte con inclinazioni diverse, non risultano quindi allineate tra loro. Il titolo, di colore giallo, spicca molto sullo sfondo nero. Anche i nomi degli attori protagonisti seguono la stessa direzione obliqua del titolo, dando alla locandina un aspetto dinamico. La scritta in alto segue invece una direzione ondulata; imita la scrittura a mano. I colori bianco e giallo sono ripresi nel disegno dei protagonisti maschile e femminile: la donna risalta molto di più a causa dei capelli biondi e dell’abito bianco, diversamente dall’uomo il cui abito nero si confonde con lo sfondo. Nelle versioni della locandina provenienti da altri Paesi, prevale sempre il carattere obliquo del titolo. Quello che cambia maggiormente è il modo in cui sono rappresentati gli attori: nelle locandine americane e francesi interagiscono tra loro, suggerendo anche una relazione fisica, mentre nella versione tedesca i due personaggi volgono lo sguardo in direzioni opposte, e in generale l’atmosfera della locandina è molto più cupa, spenta e angosciante.
A sinistra: The Postman Always Rings Twice (Il postino suona sempre due volte) 1946 Tay Garnett A destra: una scena del film
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LA FINE DELLO STUDIO SYSTEM Negli anni Quaranta lo studio system finisce a causa delle leggi federali che privano gli Studios della proprietà delle sale cinematografiche e del privilegio di dettare le condizioni del mercato. Ad aggravare la pressione sugli studios contribuiscono controversie coi dipendenti, tutelati da recenti associazioni sindacali; l’esito di questi conflitti fu la nascita di agenzie che rappresentano gli artisti, il cui potere divenne sempre piÚ grande col passare degli anni.
A sinistra: alcune versioni della locandina di The Postman Always Rings Twice
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IL DIVISMO DEGLI ANNI CINQUANTA
Marilyn Monroe
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IL MACCARTISMO Gli anni Cinquanta vedono un clima di tensione a causa dal Maccartismo, periodo caratterizzato da un intenso sospetto anticomunista; lo spirito del accartismo condiziona anche la produzione cinematografica hollywoodiana di questi anni, riducendola a un conformismo privo di valori. LA TELEVISIONE Inoltre, nel dopoguerra, l’invenzione della televisione determinò una radicale riduzione dell’affluenza di pubblico nelle sale. Per attirare nuovamente il pubblico, Hollywood inventò la formula del drive-in e costruì un gran numero di multisale nei centri commerciali, oltre a convertirsi interamente alle pellicole a colori.
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Il titolo del film è scritto con una font a bastoni, di colore rosso (ripreso nell’ombrello della protagonista femminile); segue un andamento ondulato, che ricorda l’acqua (e per associazione la pioggia). La scritta “What a glorious feeling” posta in alto segue lo stesso andamento. I nomi degli attori sono realizzati con una font a bastoni molto sottile, in azzurro, le lettere sono inoltre molto vicine tra di loro: ricordano per questo le gocce della pioggia. Riprende inoltre il colore del cielo, che è molto chiaro rispetto a come ci si aspetterebbe da una giornata piovosa: questo contribuisce a rendere il clima della locandina più allegro, rispecchiando la gioiosità di un musical.
In alto: Singin’ In The Rain (Cantando sotto la pioggia) 1952 Stanley Donen - Gene Kelly A destra: una scena del film
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L’elemento centrale della locandina è la spirale disegnata in bianco, rappresentante la paura dell’altezza e la vertigine che bloccano nel film il protagonista. Al centro di questa spirale si trovano due sagome, che sembrano rincorrersi: la sagoma della donna è solo accennata da un leggero contorno nero, poiché rappresenta l’alone di mistero che circonda le figure femminili del film. Il titolo e le scritte del film sono disegnate a mano con un tratto molto dinamico e inquieto, richiamando ancora una volta il contenuto del film. Spirale e testo tuttavia sono molto in contrasto, a causa di tratti ricurvi in un caso e spigolosi nell’altro. Gli unici colori della locandina sono nero, bianco e rosso/arancio. A fianco sono proposti due esempi (Skyfall e High Anxiety) di locandine che si sono ispirate a quella analizzata.
A sinistra: Vertigo (La donna che visse due volte) 1958 Alfred Hitchcock In alto a destra: Skyfall (Skyfall) 2012 Sam Mendes In basso a destra: High Anxiety (Alta tensione) 1977 Mel Brooks
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IL DIVISMO Cambia anche la concezione del divismo: gli anni Cinquanta sono soprattutto l’era di personaggi come Marilyn Monroe, Marlon Brando e James Dean, che portano sullo schermo un modo piÚ verosimile di rappresentare la realtà .
Marlon Brando
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Il titolo del film, in rosso, è contenuto in un cerchio bianco: colori, forma e tipo di carattere ricordano proprio un cartello alla fermata del bus. La font con cui viene scritto “Marilyn Monroe” è molto simile a quella del titolo: una font a bastoni, di uno spessore abbastanza pronunciato. C’è una forte corrispondenza tra caratteri e immagine: il colore rosso del titolo richiama labbra e vestito della protagonista, e il cerchio evoca le curve femminili mostrate nel disegno e i capelli della donna. I colori rosso, bianco e nero dominano, con un piccolo tocco di blu nello sfondo che fa risaltare in modo ulteriore la figura in primo piano, che rivolge il suo sguardo allo spettatore, e quella sullo sfondo, che dà le spalle (sembrando quindi in procinto di partire) ma continua a volgere lo sguardo verso il pubblico.
Bus Stop (Fermata d’autobus) 1956 Joshua Logan
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Il titolo del film e i nomi degli attori protagonisti sono contenuti all’interno di un cerchio giallo, posto su un piedistallo: ricorda ancora una volta un cartello alla fermata del bus. Viene utilizzata la stessa font sia per il titolo, sia per il nome dell’attrice. Lo sfondo del cerchio fa risaltare le scritte in rosso e in azzurro. Lo sfondo bianco della locandina pone in risalto entrambe le due figure: ancora una volta l’attrice volge lo sguardo direttamente al pubblico, anche se questa volta è meno sensuale. La locandina è più luminosa e dal tono meno provocante e sensuale.
Una seconda veersione della locandina di Bus Stop
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La prima cosa che si nota nella locandina è un’alternanza di giallo e rosso: ciò rappresenta un contrasto interno che ha il protagonista, il quale subisce uno sviluppo morale durante il film. Il titolo del film è nero contornato di giallo, con grazie molto spigolose, le quali simboleggiano un atteggiamento forte, quasi aggressivo e pericoloso, da ribelle appunto. Il nome dell’attore è in rosso, non contornato. Le lettere maiuscole iniziali sono molto grandi rispetto al resto della scritta; la lettera “j” è inoltre allineata in basso con le altre lettere, mentre la “d” è allineata al centro. Il protagonista è al centro della locandina, con un atteggiamento da ragazzo pieno di sé; la sua fotografia è in bianco e nero, in contrasto con lo sfondo.
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Le versioni straniere della locandina propongono approcci molto diversi: da un’atmosfera più cupa nella versione italiana, a una più brillante in quella spagnola, fino ad un’interpretazione estremamente “fredda” nella locandina russa.
In alto: Rebel Without A Cause (Gioventù bruciata) 1955 Nicholas Ray A destra: altre versioni della locandina
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LA NUOVA HOLLYWOOD E L’ERA DEL BLOCKBUSTER
Fotogramma dal film Easy Rider
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I “MOVIE BRATS” Alla fine degli anni Sessanta apparvero sulla scena molti registi nuovi; alcuni di questi erano migranti conosciuti per le loro opere nel cinema d’arte europeo (ad esempio Roman Polanski). Tuttavia, erano altri i nomi che attiravano maggiormente l’attenzione, i cosiddetti “movie brats”: registi come Francis Ford Coppola, George Lucas, Steven Spielberg, David Linch e Martin Scorsese, che si imposero all’inizio degli anni Settanta. A inizio anni Ottanta nasce poi una seconda generazione di registi eclettici e rispettati, come Tim Burton, James Cameron e Quentin Tarantino, che avrebbero diretto alcuni dei blockbuster di maggior successo nella storia del cinema. LE NUOVE TENDENZE Molti registi lavoravano all’ombra di generi e opere ormai consacrati: sotto molti aspetti, la “Nuova Hollywood” si rifaceva al passato. I registi cominciarono a utilizzare espedienti stilistici tipici del periodo d’oro di Hollywood, ma cercarono anche di differenziarsi con nuove dimostrazioni tecniche. Un’altra tendenza di questi anni fu quella di portare le convenzioni del cinema d’arte
nella produzione di massa e nei generi popolari. Entrambe queste tendenze prevedono una profonda consapevolezza della storia del cinema e della sua influenza sulla cultura contemporanea. Molti film di questi anni puntano semplicemente a continuare la tradizione dei generi hollywoodiani, mentre altri li rivisitano: Il Padrino e Gangster Story fecero rinascere il genere del gangster, L’Esorcista e Jaws divennero film esemplari per il genere horror, così come 2001: Odissea nello spazio, Guerre Stellari, E.T., Blade Runner e Incontri ravvicinati del terzo tipo furono esemplari per il genere fantascientifico in particolare. IL CINEMA D’ARTE Il desiderio di creare un cinema d’arte americano incoraggiò alcuni registi a realizzare film più personali accostando e rielaborando tutte le convenzioni narrative classiche alle tecniche del cinema d’arte europeo. Furono in particolare Woody Allen e Martin Scorsese a fondere i propri interessi personali con il cinema d’arte. Altri registi, come Oliver Stone e Spike Lee, espressero la loro visione critica della società attraverso film che presentassero un impegno civile.
Steven Spielberg
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Nel titolo, viene data grande importanza all’anno, mentre il resto sembra quasi messo in secondo piano. Gli speroni delle lettere “y” richiamano la navicella nel disegno, che provoca una scia obliqua. Lo stesso carattere, alla stessa grandezza, è utilizzato per la scritta in alto: mentre il titolo però è in giallo su fondo nero, la scritta è in nero su fondo bianco. Il carattere ha curve molto accentuate, che richiamano alcuni elementi del disegno (il pianeta, la nave spaziale). Il disegno occupa gran parte della locandina. I nomi degli attori non sono presenti, e il nome del regista è ridotto solamente ad un accenno.
A sinistra: 2001: A Space Odyssey (2001: odissea nello spazio) 1968 Stanley Kubrick A destra: una scena del film
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La scritta “Close encounters” (posta in rilievo, anche se è solo una parte del titolo completo) presenta come pattern un’interferenza che ricorda quelle delle trasmissioni televisive. Il titolo completo è realizzato con un carattere dalle linee molto curve, in particolare la lettera “e” è identica alla “c” senza l’aggiunta dell’asta centrale. Il disegno rappresenta una strada che termina all’orizzonte, coincidendo con un bagliore che illumina il cielo stellato. Il punto di vista è in prima persona, come fossimo al centro della carreggiata: la strada è quindi simbolo di una via che ci porta verso un “oltre”, verso un mondo che non ci è dato conoscere. Gli unici colori della locandina sono l’azzurro e qualche sporadico sprazzo di giallo.
In alto: Close Encounters Of The Third Kind (Incontri ravvicinati del terzo tipo) 1977 Steven Spielberg A destra: una seconda versione
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L’atmosfera della locandina è estremamente futuristica, soprattutto grazie alla presenza di una città immaginaria con grandi palazzi e auto che volano. Anche il titolo riprende questo carattere avveniristico, con forme molto squadrate e oblique; il taglio che attraversa il titolo per tutta la sua lunghezza rappresenta i bisturi posseduti dai protagonisti del racconto da cui è tratto il film. Linee oblique sono presenti anche nel disegno, in particolare nell’inclinazione degli edifici e nei raggi sprigionati in alto a sinistra. Titolo e nome dell’attore principale sono della stessa grandezza, e mentre il titolo è rosso, il nome è bianco. Lo stesso font utilizzato per il nome viene ripreso nel testo in alto a destra, ma in questo caso la dimensione del carattere è più piccola.
In alto: Blade Runner (Blade runner) 1982 Ridley Scott A destra: una seconda versione della locandina
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La maggior parte della locandina è occupata da un disegno raffigurante i personaggi principali. I protagonisti sono dipinti con tinte calde, richiamando le scie di fuoco delle navicelle spaziali, mentre l’antagonista è raffigurato con tinte fredde, così come lo spazio aperto che si staglia dietro di lui. Il titolo della locandina è inclinato e segue la forma geometrica di un tronco di cono (come i famosi titoli di testa del film). Si tratta di una font a bastoni e le lettere “s” e “t” sono collegate tra loro. Lo sfondo del titolo ricorda quello del cielo del disegno, collegando in questo modo titolo e immagine. Dopo l’uscita della seconda trilogia di Star Wars, il carattere del titolo della saga viene modificato. I caratteri sono simili, ma più curvi e non seguono nessuna inclinazione. Inoltre, non solo le lettere “s” e “t” sono collegate tra loro, ma anche “r” e “s”: le lettere “s” hanno una terminazione finale molto allungata, come a suggerire che la saga ha avuto un inizio e avrà successivamente un proseguimento.
A sinistra: Star Wars (Guerre stellari) 1977 George Lucas A destra: una seconda versione della locandina di Star Wars
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Il titolo è molto interessante perché il carattere è modificato per rappresentare le sagome degli edifici della città, Manhattan. Le lettere sono molto sottili, suggeriscono la verticalità dei palazzi più che la loro imponenza. È realizzato nero su bianco, che sono gli unici colori presenti nella locandina, per rappresentare il grigiore di una grande città. I nomi degli attori sono tutti della stessa grandezza, il carattere presenta lettere molto sottili. La relazione tra titolo e immagine è data dal fatto che anche nella fotografia è rappresentata una costruzione, più precisamente un ponte. Sembra sia quello l’elemento importante, poiché i personaggi ci voltano le spalle.
Manhattan (Manhattan) 1979 Woody Allen
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Simile alla locandina di Manhattan, quella di Mean Streets presenta alcuni caratteri in comune. Innanzitutto, ancora una volta il titolo richiama le geometrie degli edifici di una città, grazie a spessori sottili, linee oblique e lettere molto attaccate tra loro (creando ad esempio dei vuoti bianchi che richiamano le finestre delle costruzioni). La pistola si confonde con gli edifici, soprattutto perché la scia di fumo che ne fuoriesce rappresenta gli scarichi di una fabbrica. C’è come un gioco di incastri, forse a voler suggerire che la città rappresentata è molto caotica. La differenza principale tra le due locandine sta nel fatto che il titolo spicca molto sullo sfondo poiché è di un rosso accesso, in contrasto col bianco.
In alto: Mean Streets (Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all’inferno) 1973 Martin Scorsese A destra: una seconda versione della locandina
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LA CONCORRENZA TELEVISIVA Le grandi produzioni degli anni Sessanta batterono ogni precedente record d’incassi. I produttori investirono grandi somme in vari blockbuster, nella speranza di trovare una soluzione alla minaccia rappresentata dal diffondersi della televisione; in certi casi però, andarono incontro a disastri finanziari gravissimi. Andarono quindi alla ricerca di nuovi modi per attrarre il pubblico: il cinema di Hollywood comincia a trattare con crescente libertà le tematiche sessuali, influenzato dai film con Brigitte Bardot e dai nuovi costumi della cultura giovanile dell’epoca. Con la crescente concorrenza rappresentata dal cinema straniero e soprattutto dalla televisione, ci si rese infatti conto che era necessario offrire al pubblico qualcosa che la tv non poteva dare (infatti il codice di regolamentazione televisivo era ancora più restrittivo). Alle commedie romantiche interpretate da Sophia Loren, Gina Lollobrigida e Peter Sellers si affiancano film a basso costo su feste in piscina nelle ville californiane con Elvis Presley e Ann Magret, o la serie di James Bond. Gli studios lanciarono una serie di film giovanili che affrontavano anche altri temi non trattati dalla televisione: il prototipo fu Easy Rider col tema della droga; questo genere di film trattava
inoltre la ribellione universitaria, la controcultura o l’anarchia. Negli anni Settanta si raggiunge il culmine di questa tendenza quando, con l’abolizione del codice Hays (una linea guida che specificava cosa fosse moralmente accettabile o meno nelle produzioni cinematografiche), il mercato americano viene dominato da film erotici e pornografici. LE PRODUZIONI INDIPENDENTI Alla fine degli anni Sessanta molti dei grandi studi hollywoodiani si trovavano in crisi. Successi come i musical importati da Broadway non riuscivano a compensare alcuni fiaschi colossali: gli studios cominciano così a cedere in parte o in blocchi le loro società. Ciò produsse un’esplosione di produzioni indipendenti, soprattutto dopo il successo inatteso di film a basso budget come Gangster Story (che dà nuovo impulso al genere gangster, con protagonisti Bonnie e Clyde), The Graduate e Easy Rider. Come i film indipendenti, anche quelli degli studios focalizzarono maggiormente la loro attenzione sui giovani e sulle tensioni sociali e razziali. Un esempio sono Taxi Driver di Martin Scorsese e Apocalypse Now di Francis Ford Coppola.
Una scena dal film The Graduate
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La locandina si presenta in tre colori dominanti: giallo, nero e rosso. Il titolo, che si staglia su uno sfondo rosso, è realizzato con una font molto curva (che ricorda le curve della motocicletta del protagonista), dall’aspetto quasi tecnologico. Il protagonista è disegnato di profilo, lo sguardo verso l’orizzonte: il suo stato d’animo è infatti quello di un uomo irrequieto, in cerca di qualcosa, così come descritto nel testo in alto. La cornice della locandina ricorda inoltre le tracce lasciate dagli pneumatici sulla strada, richiamando ancora una volta le motociclette.
A sinistra: Easy Rider (Easy Rider) 1969 Dennis Hopper A destra: una scena del film
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Viene usata la stessa font per il titolo e per il nome del regista: il titolo però presenta un effetto in rilievo dato da un’ombreggiatura nera, e le lettere sono molto più attaccate tra di loro. La forma della lettera “a” viene ripresa nella forma triangolare che contiene l’immagine. La terminazione a punta della stessa lettera è inoltre suggerita dalla punta del pugnale, tenuto in mano dal protagonista. Inoltre le lettere “c” ed “o”, contenute all’interno di un cerchio, richiamano sia il significato di “orange” (arancia), sia l’occhio disegnato al centro della locandina. Il colore arancione (altro significato per “orange”) è presente nel bordo della forma triangolare e nelle tinte con cui è colorata la pelle del protagonista. Si nota quindi una forte corrispondenza tra carattere utilizzato e illustrazione della locandina del film.
A sinistra: una scena del film A destra: A Clockwork Orange (Arancia meccanica) 1971 Stanley Kubrick
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La font del titolo presenta grazie egiziane, è imponente e le lettere sono molto attaccate tra loro. Lo stesso carattere viene utilizzato per i nomi degli attori, che hanno tutti lo stesso peso e quindi non sono presentati in un ordine gerarchico. Il colore giallo con cui è realizzato risalta molto sullo sfondo, ma anche sulla fascia rossa in cui è contenuto il tiolo. La protagonista femminile è ritratta in una fotografia, mentre fuma una sigaretta; al suo fianco c’è una pistola, che introduce uno dei tempi principali del genere pulp: la violenza.
A sinistra: Pulp Fiction (Pulp Fiction) 1994 Quentin Tarantino A destra: una scena del film
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Il titolo sembra realizzato con uno stencil, usando un carattere graziato. Il rosso è ripreso nel nome dell’attore protagonista, anch’esso realizzato con un carattere graziato. Titolo e nomi degli attori si stagliano su una sezione di colore giallo, ripreso poi nel taxi posizionato sullo sfondo. Il protagonista è in piedi davanti allo spettatore, ma lo sguardo è volto da un’altra parte; il suo volto è ben illuminato da una fonte di luce: probabilmente si tratta di un lampione.
In alto: Taxi Driver (Taxi Driver) 1976 Martin Scorsese A destra: una scena del film
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Il titolo, scritto a mano in bianco, presenta dei tratti che ricordano gocce: ciò potrebbe essere la rappresentazione di una scritta realizzata col sangue, oppure l’imitazione della firma di un soldato su una cartolina inviata dal fronte. Il titolo è sovrapposto all’immagine di sfondo, che presenta un’ambientazione estremamente cupa, con colori sulle tinte del rosso, dell’arancione e del giallo, che creano tensione e risaltano molto sullo sfondo nero. Il volto al centro si staglia imponente e minaccioso, in parte in ombra. I nomi degli attori sono presenti in una striscia bianca nella parte inferiore della locandina, non interferiscono minimamente con l’immagine.
In alto: Apocalypse Now (Apocalypse Now) 1979 Francis Ford Coppola A destra: cartoline di un soldato
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I caratteri del titolo e del nome dell’attore protagonista hanno bordi squadrati, i quali riprendono la geometria della rete metallica nell’immagine. Le due lettere “o” sono collegate con un lucchetto rosso, simbolo della “prigionia” dei personaggi nella casa di cura. Il protagonista guarda verso l’alto forse perché è un ribelle al di sopra delle regole e delle “catene materiali”, o forse perché alla fine viene portato alla spensieratezza (o meglio alla pazzia) anche lui. Come suggerito dal titolo infatti, “Cuckoo” nella lingua inglese significa anche “pazzo”.
A sinistra: One Flew Over The Cuckoo’s Nest (Qualcuno volò sul nido del cuculo) 1975 Miloš Forman In alto: alcune scene del film
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Arancione, nero e bianco sono i colori dominanti nella locandina. Il titolo del film è realizzato con una font a bastoni, classica: suggerisce la serietà che un laureato dovrebbe avere. I nomi degli attori sono scritti in parte con la stessa font, in parte con una dalle lettere più sottili: ciò crea una sorta di gerarchia tra gli attori protagonisti e non. La scritta a lato della fotografia è realizzata con una font graziata. Prima introduce il personaggio, poi spiega la sua situazione in poche parole. La scritta suggerisce che il protagonista è preoccupato per il suo futuro, ma nell’immagine di fianco vediamo la gamba di una donna probabilmente mezza nuda davanti a lui: è quindi presente un’ironia celata.
The Graduate (Il laureato) 1967 Mike Nichols
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Al posto dell’arancione troviamo questa volta il rosso. Le font utilizzate sono sempre le stesse, ma scompare il senso di gerarchia tra i nomi degli attori. Al posto di una fotografia troviamo un disegno molto abbozzato, realizzato con un sottile strato nero di carboncino. Il protagonista è al centro della scena, ma le sue dimensioni sono molto più piccole rispetto alla gamba della donna, come se fosse “insignificante” a confronto: con questa rappresentazione non si rivela più necessaria la scritta a lato che racconti in breve la situazione del protagonista. Il titolo è leggermente sovrapposto al disegno della gamba.
Una seconda versione della locandina di The Graduate
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Il titolo della locandina è di colore rosa, realizzato con una font a bastoni, con lettere molto sottili e allungate. In particolare la lettera “s”, molto sinuosa, richiama in modo molto esplicito il corpo della donna la cui fotografia è posizionata al centro della locandina. Il suo corpo è infatti mostrato solo in parte: la donna è nuda, ma le sue parti intime sono “avvolte” dallo sfondo. La donna, i cui capelli e pelle sono sulle tinte dell’oro, volge lo sguardo direttamente allo spettatore. Il richiamo tra titolo e immagine è molto forte e marcato.
In alto: Showgirls (Showgirls) 1995 Paul Verhoeven A destra: Una scena del film
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Il titolo è molto essenziale, ed è significativo il fatto che la parola “beauty” sia in grassetto, per sottolineare il concetto-chiave di tutto il film. La bellezza è rappresentata anche dalla rosa, considerato il più bello di tutti i fiori. Rappresenta passione e carnalità, suggerita ma non svelata da una fotografia del ventre di una ragazza, e dalla scritta che recita “look closer” (che letteralmente significa “guarda più vicino”). C’è quindi un continuo rimando tra testo e immagine. I nomi degli attori protagonisti sono scritti con lo stesso carattere utilizzato nella frase centrale.
In alto: American Beauty (American Beauty) 1999 Sam Mendes A destra: una scena del film
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GLI ANNI SETTANTA Con la diffusione della televisione e il profondo cambiamento dei gusti popolari, nel corso degli anni Settanta si arriva ad un cinema più attento ai cambiamenti (tecnologici e non) e capace di modificare i propri schemi senza però alterare la struttura; in sostanza un cinema con regole proprie, che vuole trasformare o riprodurre la realtà con prodotti che sono prima di tutto spettacoli. L’ERA DEI BLOCKBUSTER Dopo gli anni Settanta, a Hollywood si apre una nuova era, quella dei cosiddetti blockbuster: film di grandissimo successo, spesso d’azione o di fantascienza, ricchi di effetti speciali di tutti i tipi, di immagini computerizzate e di scene spettacolari, con battaglie che si risolvono in un rassicurante trionfo del bene. Il pubblico cui si rivolgono è soprattutto quello giovanile.
Col successo di questo tipo di film i compensi sono saliti alle stelle per gli attori più richiesti e di conseguenza il costo medio delle produzioni hollywoodiane è aumentato notevolmente di anno in anno. Le colonne sonore sono diventate ormai una componente essenziale dei film hollywoodiani, con canzoni di successo interpretate da artisti in cima alle classifiche mondiali. Talvolta inoltre questi film fanno parte di serie cinematografiche, spesso tratte da romanzi o saghe televisive: vengono prodotti sequel e talvolta prequel (basti pensare alle serie come Alien, Star trek, 007, Terminator, Rambo, Il signore degli anelli, Harry Potter). LA TRADIZIONE Dopo gli anni Sessanta, si continuano comunque a produrre pellicole appartenenti ai generi già affermati e amati: thriller, horror, parodie, musical, film romantici, comici e storici.
Arnold Schwarzenegger in Terminator
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Il titolo è estremamente essenziale, ma è da notare il fatto che sia spaziato in modo non usuale, per mettere in rilievo il testo molto breve. Sullo sfondo si staglia l’immagine di un uovo in procinto di schiudersi: all’interno presenta la sagoma di una creatura aliena. I colori della locandina sono nelle tonalità del verde; il verde acido in particolare è molto forte ed è prevalente sugli altri toni.
In alto: Alien (Alien) 1979 Ridley Scott A destra: una seconda versione della locandina di Alien
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Il nome del protagonista è scritto in alto, in rosso: si staglia imponente sulla locandina, dando più importanza all’attore che non al titolo del film. Il titolo si trova infatti in basso, riempito con tinte fredde che vanno dal blu al bianco: l’effetto ricorda una superficie metallica riflettente, che richiama la pistola e una parte del corpo del robot. Le lettere hanno terminazioni curve anche se la font è a bastoni; la lettera “a” è obliqua.
In alto: Terminator (Terminator) 1984 James Cameron A destra: una seconda versione della locandina di Terminator
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L’immagine di una mano dorata è posta in rilievo su sfondo nero: indica non solo il titolo del film, ma anche il mitico re Mida, il cui tocco trasformava ogni cosa in oro. All’interno della sagoma della mano si intravede una fotografia dei protagonisti maschile e femminile. È interessante notare come alcuni testi secondari siano scritti in oro, mentre il titolo in bianco, a caratteri graziati. Lo sfondo è a tinta unita, ma la locandina presenta dinamismo poiché le scritte sono tutte diverse e alternate: per il colore, il carattere o la dimensione. Viene sottolineato il fatto che si tratta di un film con protagonista James Bond: per il successo della pellicola è importante dichiarare già a partire dalla locandina che si tratta di una fortunata serie.
A sinistra: Goldfinger (Agente 007: missione Goldfinger) 1964 Guy Hamilton A destra: una scena del film
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A sinistra in alto: Dr. No (Licenza di uccidere) 1962 Terence Young A sinistra in basso: Octopussy (Operazione piovra) 1983 John Glen
La fortunata serie con protagonista James Bond ha subito un’evoluzione col passare degli anni, evoluzione che si riflette nelle rispettive locandine. Esse infatti sono realizzate seguendo lo stile che caratterizzava le locandine dei diversi decenni. Si è passati dei primi film con locandine prevalentemente disegnate, alle pellicole piÚ recenti in cui prevalgono fotografie dei personaggi principali dai toni epici e drammatici.
A sinistra in basso: License To Kill (Vendetta privata) 1989 John Glen In alto a sinistra: Tomorrow Never Dies (Il domani non muore mai) 1997 Roger Spottiswood In alto a destra: Casino Royale (Casino Royale) 2006 Martin Campbell
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La font utilizzata per il titolo è a bastoni, con caratteri molto stretti e ravvicinati. È forte e d’impatto. Il titolo è di un colore giallo acceso, ed è attraversato da una “crepa” che lo percorre in orizzontale per tutta la sua lunghezza, e in verticale per un piccolo tratto. Questo squarcio è fortemente simbolico e rappresenta la divisione morale del protagonista (dalla doppia personalità), ma anche i tagli provocati dall’uccisione della donna con numerose coltellate. La fotografia della protagonista ha infatti un filtro dello stesso colore, forse per suggerire questo legame visivo tra realizzazione del titolo e svolgimento dei fatti nel film. La donna è presentata in una posa provocante, è seminuda e il suo sguardo suggerisce stupore. Le fotografie dei personaggi maschili presentano invece lo stesso filtro rosso, come se la donna fosse indecisa tra chi dei due scegliere. In generale i colori della locandina sono molto forti e accesi, quasi innaturali.
Le altre scritte sono real izzate con la stessa font, in bianco: i caratteri sono molto sottili e allungati, e come nel titolo sono molto vicini tra loro.
A sinistra: una scena del film A destra: Psycho (Psyco) 1960 Alfred Hitchcock
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Il titolo è disegnato a mano in rosso e con una tecnica che rende l’effetto del sangue che cola: richiama il genere horror sia per come è realizzato, sia per il colore, che rappresenta però anche la sessualità. La sessualità è infatti uno dei temi principali del film, anche se è affrontata in maniera quasi comica; nella locandina è suggerita anche dalla fotografia del protagonista seminudo. La scritta in alto al centro segue un andamento curvo, ripreso nel riquadro contenente l’immagine (ciò suggerisce una corrispondenza tra testo e immagine). Il colore del testo risalta in modo particolare e forte sullo sfondo nero.
A sinistra: The Rocky Horror Picture Show (The Rocky horror picture show) 1975 Jim Sharman A destra: una scena del film
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La font usata per il titolo è molto femminile, con grazie arricciate e quasi “floreali” (come ad esempio per la lettera “m”): questo è un richiamo diretto alla trama del film, poiché la protagonista è una fioraia. Anche i colori utilizzati, molto tenui e prevalentemente caldi, ricordano i fiori. Al centro notiamo la protagonista, messa in risalto poiché colorata di bianco a parte le labbra rosee, che guarda avanti a sé con occhi sognanti. Il disegno, a cui si sovrappongono il titolo e i nomi degli attori protagonisti, occupa gran parte della locandina. La font usata per i nomi è a bastoni, con caratteri molto stretti e allungati che richiamano il manico dell’ombrello al centro della locandina.
In alto: My Fair Lady (My fair lady) 1956 Alan Jay Lerner - Frederic Loewe A destra: una scena del film
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Il titolo, in nero, sembra realizzato con uno stencil; i caratteri sono a bastoni. Le lettere “t” sono particolati, con un incrocio trasversale molto accentuato che fa da “tetto” alla lettera adiacente. È forte il rapporto tra immagine e titolo, il quale sembra un proseguimento del disegno della scala: sia per i tratti orizzontali delle “t”, sia per i tratti obliqui di “w” e “y”. È inoltre presente l’immagine di due ballerini, che si ripete identica in basso in colore bianco e in nero in alto: anche la posizione di queste sagome ricorda tratti obliqui e orizzontali del titolo. Le altre scritte sono composte con lo stesso carattere a bastoni, seppure di dimensioni diverse.
In alto: West Side Story (West side story) 1961 Jerome Robbins - Robert Wise A destra: una scena del film
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Il titolo ricorda chiaramente una scritta al neon: ciò richiama senza dubbio i luoghi di incontro per giovani in cui è ambientato il film. Il titolo è giallo, con sfumature bianche e arancioni che vogliono ricreare proprio l’effetto di una luce al neon. Il disegno, che ricopre gran parte della locandina, è molto colorato e caricaturale, deformando i volti dei personaggi e rendendo il clima spensierato e talvolta comico che si respira nel film. La scritta che recita “Where were you in ’62?” è realizzata con caratteri ricurvi, riprendendo il titolo. Il numero “62” è presente anche sulla maglia della ragazza disegnata al centro: risulta evidente che il film sarà ambientato in quell’anno, evocando atmosfere e ricordi di quell’epoca e generazione.
American Graffiti (American graffiti) 1973 George Lucas
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Molto simile alla locandina di American Graffiti per quanto riguarda l’impostazione e lo stile del disegno. Anche in questo caso i personaggi sono realizzati in modo caricaturale, ed è evidente il clima di festa e divertimento. Sono presenti principalmente i colori rosso, blu, giallo e verde, oltre a bianco e nero. Il titolo presenta caratteri sia spigolosi (per quanto riguarda le grazie) sia arrotondati (che riprendono i tratti caricaturali del disegno). In particolare il vertice superiore della lettera “a” richiama molto la cima appuntita della casa raffigurata. Anche il carattere utilizzato per la scritta in alto a sinistra è ombreggiato e dello stesso colore del titolo; il suo stile è inoltre non rigoroso, adatto all’impostazione generale dell’intera locandina.
Animal house (Animal house) 1978 John Landis
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La locandina presenta uno sfondo bianco su cui risalta l’immagine di un elmetto da militare: una fila di proiettili è legata all’elmetto tramite una cinghia, e su di essi si infrange un riflesso di luce rossa (simbolo del sangue che i proiettili fanno sgorgare quando colpiscono). Sull’elmetto contrastano nettamente il simbolo della pace e la scritta “Born to kill” (nato per uccidere): i caratteri sono realizzati in modo da dare l’idea di essere stati scritti a mano. Il titolo è composto da caratteri con grazie spigolose e appuntite come un proiettile, richiamando il significato del titolo, che si riferisce ai cosiddetti proiettili incamiciati. Da notare per questi motivi una corrispondenza tra immagine e titolo. Il testo in alto è composto da caratteri a bastoni; ha un peso abbastanza rilevante in confronto al titolo. Gli unici tratti di colore sono suggeriti dai colori complementari rosso e verde.
A sinistra: Full Metal Jacket (Full metal jacket 1987 Stanley Kubrick A destraa: una scena del film
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CONSEGUENZE Le caratteristiche di Hollywood sono cambiate radicalmente: nel periodo aureo dello studio system, si trattava del più potente esempio dei costumi sociali e culturali del mondo occidentale, e influenzava gli stili di vita, le relazioni tra i sessi, la moda. A partire dagli anni Sessanta, i film prodotti a Hollywood non si sono più proposti di diffondere norme morali e sociali, anche se hanno mantenuto comunque voce in capitolo. Il cinema hollywoodiano degli ultimi trent’anni circa ha privilegiato in misura crescente le tematiche della controcultura: personaggi, storie e stili di vita insoliti, vicende scioccanti. I divi di Hollywood e il loro stile di vita sono ancora protagonisti di un glamour che tuttavia non è più enfatizzato nei film come in passato; a ciò provvedono i programmi televisivi dedicati ai film e agli attori di successo. Il cinema hollywoodiano preferisce offrire uno spazio di pura fantasia o proiettato nella dimensione del magico, oppure ispirato a esperienze rare nella vita quotidiana.
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IL CINEMA IN EUROPA
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IL CINEMA EUROPEO DI INIZIO ‘900
Una scena dal film Metropolis (1927)
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Germania Negli anni Venti la Germania era devastata dalla sconfitta della prima guerra mondiale, in piena crisi post-bellica causata dagli enormi debiti di guerra vantati da Francia e Gran Bretagna. La settima arte tedesca diventa allora lo specchio di un’epoca tormentata, in cui la disoccupazione e l’inflazione costituiscono il quotidiano di gran parte della popolazione; è l’emergenza degli «Aufklärungsfilme» (film di delucidazione, di educazione sessuale). Una buona parte di questi film flirtano infatti con la pornografia con un pretesto pedagogico. Le continue speculazioni, i fallimenti e la disoccupazione portarono smarrimento e caos in tutto il paese, con le famiglie borghesi e operai ormai ridotte alla fame e senza casa.
Nella confusione generale tutto si scambiava a mercato nero, proliferavano la prostituzione e le case da gioco. I generi di prima necessità aumentavano di prezzo anche più volte nella stessa giornata, mentre i salari perdevano di valore prima ancora di essere spesi. Questo desolante quadro sociale non poteva non riflettersi nella cultura e nell’arte dell’epoca, ma già prima della guerra erano esistiti alcuni fermenti rinnovatori, con movimenti quali l’astrattismo e l’espressionismo, interessati alla deformazione dello spazio e della figura umana, creando mondi di sogno o, più spesso, d’incubo. Queste opere rappresentano il tentativo di esprimere le emozioni più vere e profonde, nascoste sotto la superficie della realtà.
A destra: Marlene Dietrich
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La locandina è in pieno stile espressionista, trattata come un vero e proprio dipinto. I caratteri sono disegnati con uno stile che evoca preoccupazione e terrore, sono inclinati e distorti. Le linee dei caratteri si inseriscono perfettamente in quelle del dipinto, completandolo. L’intera immagine è nei toni del marrone, dal giallo ocra al nero, le case e le forme sono trattati come fossero delle fiamme. L’unica figura a non essere distorta dal fuoco è il golem, tutti gli altri elementi (compreso il nome del regist) sembrano essere piegati dalla forza del mostro.
Der Golem (Il Golem) 1915 Paul Wegener
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In questa versione, rimane la distorsione delle forme che appaiono come fiamme, in particolare nella parte alta, ma è meno visibile e non si raggiunge lo stesso livello di compenetrazione tra testo e immagine. I colori sono solo tre: il nero, il grigio scuro e il giallo/arancione che crea l’unica leggera sfumatura nel cielo della città raffigurata. Non compare la figura del golem, ma vi sono tre sagome umane al centro della scena, indistinguibili, che stanno svolgendo una qualche azione non meglio ipotizzabile. Il carattere è come scavato all’interno di una fascia nera e grigia; le forme sono meno spigolose e lacerate rispetto alla prima versione, hanno tratti rotondeggianti. Alcune lettere (in particolare nella “m” e nella “w”) richiamano la sinuosità informe delle fiamme.
A sinistra: il Golem in una scena del film A destra: Der Golem (Il Golem) 1915 Paul Wegener
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La locandina del film Il gabinetto del dottor Caligari si inserisce nel periodo dell’espressionismo. Le forme non sono realistiche, ma costruite per evocare emozioni e sensazioni forti, in particolare di ansia e terrore. Il carattere del titolo è spigoloso, così come lo sono i tratti che compongono l’immagine. Se in quest’ultima si possono notare forme sinuose quali i capelli della donna, nel titolo ogni curva è sintetizzata in un triangolo: risulta poco leggibile ma estremamente espressivo. Il giallo e le forme triangolari del titolo richiamano il lampione che spunta da sinistra. La locandina può essere divisa in due sezioni: la parte bassa presenta colori freddi ed è dominata dal nero dell’abito dell’uomo/mostro e dai suoi occhi grandi e inquietanti; la parte alta è realizzata con colori caldi che si fanno opprimenti e risaltano la drammaticità della zona sottostante. Le gambe della donna sembrano infinite, si sviluppano lungo il ponte e non se ne vede il termine. In lontananza si nota la figura di un uomo, in corrispondenza del quale tendono a convergere tutte le linee dell’immagine. In alto: Das Cabinet des Dr. Caligari (Il Gabinetto del dottor Caligari) 1920 Robert Wiene A destra: una scena del film
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In quesa versione della locandina, il titolo si suddivide graficamente in due parti. Una prima parte di colore giallo, con un carattere contenente elementi dell’espressionismo, riconoscibili ad esempio nella forma della lettera “d” e in alcune imperfezioni dei caratteri. Allo stesso tempo lo stile è molto simile a quello futurista che caratterizzerà Depero pochi anni più tardi. “Dr. Caligari” è scritto invece in caratteri gotici dal tratto impreciso: il risultato è un insieme di caratteri di tipo differente, con un uso irregolare di lettere maiuscole e minuscole. L’ombra proiettata dalla luce della candela nell’immagine, fa apparire la stanza in fiamme. Le forme sono allungate e distorte, tutto tende ad allungarsi verso l’alto.
In alto: una seconda versione della locandina di Das Cabinet des Dr. Caligari A destra: due manifesti pubblicitari di Fortunato Depero (1927, 1931)
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Il carattere del titolo della locandina di Metropolis ha uno stile meccanico, metallico. Non ci sono curve: le “o”, ad esempio, sono costruite con brevi segmenti e ricordano la forma di un bullone. Le forme triangolari del titolo sono presenti anche nel cielo dietro di esso, con delle zone di colore che sembrano fasci di luce provenienti dalla città. In contrasto con le linee del titolo così inclinate, vi sono i tratti paralleli e rigorosi con cui sono rappresentati i palazzi. Gli unici tratti sinuosi nella locandina sono rappresentati dalle linee dell’androide in primo piano, in particolare dalle sue spalle (da cui partono due raggi luminosi). Nella versione americana (a destra), la locandina perde il suo stile meccanico. L’immagine è a colori, prevalgono le tonalità del rosso e del verde. Il titolo ha caratteri a bastoni, distorti in modo da ottenere una forma trapezoidale, con caratteri i cui assi seguono l’andamento dei raggi dell’immagine.
A sinistra: Metropolis 1927 Fritz Lang A destra: la locandina americana di Metropolis
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Il titolo del film si divide in due parti: “der” e “engel” su un piano, “blaue” su un altro. Questa scelta da enfasi al “blu”, che è anche il colore della scritta (azzurra). La scritta “blaue” è uno script, con forti contrasti tra gli spessori del tratto; gli occhielli sono tappati dal bordo blu delle lettere. Sembra essere stato scritto in mdo distratto e istintivo, in forte contrasto con lo stile invece rigoroso e squadrato delle altre due parole. La scritta “engel” è in contrasto con il significato letterale della parola: i caratteri sono neri, pesanti, in stile gotico, evocano sensazioni di forza, di materialità, non di innocenza, anche se il bordo giallo acceso sembra voler conferire ai caratteri un riflesso luminoso, vagamente etereo. Tale bordo si collega cromaticamente alla zona in giallo dietro la donna, messa in una posa provocante, tutt’altro che angelica. La versione francese si rifà allo stile della locandina tedesca, ma il titolo perde di forza. Il gotico usato è meno rigoroso ed è inclinato, reso simile al corsivo, e il contrasto che si nota nella versione tedesca della locandina, qui viene meno. I colori sono gli stessi, ed è mantenuto anche lo stile delle parole del titolo (“angelo” in gotico, “blu” in corsivo).
In alto a sinistra: Der Blaue Engel (L’angelo azzurro) 1930 Josef Von Sternberg In basso a sinistra: La locandina francese de L’Ange Bleu (L’angelo azzurro) A destra: una scena del film
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Inghilterra Dalla metà degli anni Venti l’industria cinematografica britannica stava cedendo alla fortissima concorrenza del cinema di Hollywood. Un provvedimento legislativo, il “Cinematograph Films Act” del 1927 fu approvato con l’intenzione di dare impulso all’industria interna, richiedendo alle sale cinematografiche del Regno Unito di mostrare una quota minima di film britannici. Tuttavia, l’urgenza di raggiungere questa quota ebbe l’effetto di dare spazio a film di bassa qualità (i cosiddetti quickies). Bisogna considerare però che molti cineasti britannici si formarono proprio grazie a questi quickies. A partire da Drifters di John Grierson, gli anni
Trenta videro l’emergere di una nuova scuola di film documentari chiamata “The Documentary Film Movement”. Il “Cinematograph Films Act” nella versione rinnovata del 1938 assicurava incentivi per le compagnie del Regno Unito affinché realizzassero meno film ma di qualità superiore e, sotto l’influenza della politica mondiale, incoraggiava gli investimenti statunitensi ed esteri. Con l’arrivo di tecnici, sceneggiatori e registi in fuga dalla Germania nazista, l’industria cinematografica britannica conobbe un improvviso sviluppo, aprendosi al mercato americano. Iniziavano tuttavia anni difficili per le compagnie britanniche.
A destra: Alfred Hitchcock durante le riprese di Blackmail (1929)
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A sinistra: Il protagonista del film The Man Who Knew Too Much A destra: The Man Who Knew Too Much (L’Uomo che Sapeva Troppo) 1934 Alfred Hitchcock
La locandina utilizza colori complementari (il rosso e il verde) su uno sfondo nero, evocando una forte drammaticità. Il titolo è scritto a mano con pennellate violente, le lettere sono molto spigolose (soprattutto le “o”). Le lettere “m” sono costruite come le lettere “w”, però capovolte. Tanto i colori quanto i tratti del disegno e del titolo sono angoscianti; gli elementi più d’impatto sono certamente la pelle verde e labbra rosse del volto raffigurato. L’uomo risulta innaturale, spaventoso, capiamo che è vivo solo perchè sta fumando una sigaretta.
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Lo stile dei caratteri è giocoso, in particolare quello utilizzato per il titolo del film, nel quale maiuscole e minuscole si mischiano e non vi è una precisa altezza dell’occhio delle lettere. Il tipo di caratteri usati per il nome dell’attore protagonista è molto simile a quello del titolo, ma il nome è in corsivo, come fosse una firma, e il cognome è composto interamente da lettere maiuscole. Anche l’uso del colore trasmette vivacità e spensieratezza, le ombreggiature del nome “Robert Taylor” sono gialle come lo sono alcuni tratti presenti nello sfondo della copertina che ricordano dei fuochi d’artificio o delle stelle filanti. Nella parola “yank” vi sono richiami alle stelle e striscie della bandiera americana (il protagonista, nel film, è infatti un americano che studia all’univerisità di Oxford).
I due protagonisti del film A Yank at Oxford
A sinistra: A Yank at Oxford (Un americano a Oxford) 1938 Jack Conway
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Il carattere del titolo di questa locandina è molto particolare. È filettato e ombreggiato, ma ha in più delle linee orizzontali che attraversano i caratteri, enfatizzando il significato della parola “vanishes” (svanisce). Sembra infatti che il titolo stesso stia scomparendo. Le grazie del titolo sono appuntite e la linea di base delle lettere non è mantenuta da tutti i caratteri della riga: le lettere “a” e “y” della parola “lady” hanno una linea di base più bassa rispetto alla “l” e alla “d”, consentendo una spaziatura negativa tra le lettere.
Anche la linea di base della lettera “v” in “vanishes” è stata spostata verso il basso, questa volta per permettere un’interlinea negativa, ottenendo così un titolo molto più compatto. Il volto della donna che compare dalla banda di colore giallo centrale richiama il titolo. La font utilizzata per tutte le altre scritte della locandina ha un tratto sottile, senza grazie. Il nome del regista spicca grazie al suo tratto spesso e alla presenza di lettere a piena larghezza, a differenza delle altre scritte che utilizzano invece caratteri condensati.
A destra: The Lady Vanishes (La Signora Scompare) 1938 Alfred Hitchcock
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Francia Il cinema francese d’avanguardia ebbe luogo nell’epoca del muto, negli anni venti. Anche in Francia il cinema in quegli anni stava vivendo una grande stagione di novità e rivoluzioni, sebbene, rispetto al cinema russo o al cinema tedesco, le avanguardie francesi avessero una natura meno ideologico-sociale e più filosofica, fantastica, interessata alle connessioni tra soggettività e oggettività. La produzione cinematografica d’avanguardia si legò ai principali movimenti artistici in corso, anzi furono spesso gli stessi pittori, scultori, fotografi a produrre film sperimentali. Dall’uso frequente e innovativo dei vecchi effetti speciali nacque un nuovo linguaggio, che, nonostante il suo contenuto rivoluzionario, venne poi filtrato e sviluppato nel successivo cinema moderno e nel metalinguaggio, che ebbe il culmine durante la Nouvelle Vague.
Mentre la Germania era afflitta da fame e inflazione, la Francia viveva un periodo di benessere e di prosperità, grazie alla vittoria della prima guerra mondiale e al forte sviluppo industriale. Si trattava di un proseguimento della Belle Époque, anche se la fiducia positivista verso la scienza era ormai superata. Louis Delluc introdusse il concetto di photogènie, sottolineando come ciascun soggetto reale trovasse nuova forma nella sua trasposizione su pellicola. Questo concetto portò a una vera e propria rivoluzione intellettuale e poetica. Il Surrealismo creò una vera e propria nuova estetica, basata sul brutto, sullo sporco, sulle sensazioni violente, forti e dure. Divennero soggetto di pellicole per la prima volta temi allora banditi, come la sessualità, le pulsioni umane, l’inconscio, l’amour fou, la pazzia, l’indagine spietata sulle persone.
A sinistra: donne sedute ad un cafè parigino (1930 ca.)
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Les Visiteurs du Soir (L’Amore e il Diavolo) 1942 Marcel Carné
Il titolo del film sulla locandina è disegnato, con caratteri gotici. La prima lettera è molto elaborata, e i due tratti che compongono l’asta verticale, di colore grigio, riprendono anche nello spessore le colonne che incorniciano la locandina e le completano. Fatta eccezione per la prima “l”, tutti caratteri del titolo sono di colore rosso, come la figura demoniaca che domina l’immagine e incombe sui due amanti. Tutti gli altri caratteri sono in stile gotico, elaborati e di colore grigio, dando l’idea che l’intera locandina sia ambientata in un castello. Nell’immagine, i pipistrelli sembrano essere parte del mostro, che nasce dalle fiamme (in basso) e punta il dito con uno sguardo che sa più di accusa che di sfida.
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La locandina italiana di L’amore e il diavolo
Nella versione italiana della locandina, il titolo è suddivisibile in tre parti: “l’amore” è scritto con caratteri dalle grazie arricciate; “e il” ha un carattere a bastoni, dai tratti omogenei, il braccio centrale della “e” non presenta la leggera rientranza che normalmente è utilizzata per equilibrare il carattere a livello percettivo; la parola “diavolo” ha caratteri che sembrano vere e proprie fiamme, imperfette e pericolose. Il contrasto tra “l’amore” e il “diavolo” è accentuato dall’uso dei due colori complementari rosso e verde. Vi è un legame tra la parola “diavolo” e il volto maligno presente nell’immagine, sia per l’utilizzo del colore rosso che per la somiglianza tra la forma dei capelli e quella della parola.
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IL CINEMA DI PROPAGANDA
Benito Mussolini con Adolf Hitler in Italia
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La propaganda nazista Il nazismo diede vita ad un elaborato sistema di propaganda, che ricorse all’uso delle nuove tecnologie pertinenti alla settima arte. Obiettivo principale della politica nazista in materia di cinema fu quella di promuovere l’escapismo, teso a distogliere il popolo e a mantenere alto l’umore di tutti. La propaganda aperta era riservata a documentari e cinegiornali. La nazionalizzazione del cinema fu completata nel 1942, quando tutte le case di produzione tedesche furono unificate sotto una gigantesca holding chiamata UFA-Film (ma abbreviata in UFI). Tuttavia, il fine della maggior parte dei film dell’epoca era l’intrattenimento e il contenuto politico era ridotto se non addirittura nullo. Nessuno dei film prodotti attaccava il regime, dato che tutti dovevano superare il controllo di Goebbels, ma si trattava in gran parte di innocue produzioni girate in studio, non molto diverse da quelle confezionate nello stesso periodo a Hollywood o in Inghilterra. I primi film vigorosamente propagandistici apparvero nel 1933. L’intento era di stimolare l’adesione al Partito glorificando eroi del nazismo, con trame ambientate in un’epoca precedente alla nascita del
regime, descritta come teatro di lotta tra comunisti perfidi e prodi sostenitori di Hitler. L’antisemitismo è solo un elemento secondario e il bersaglio principale della propaganda sono i Paesi nemici e il Partito comunista tedesco. Uno dei bersagli favoriti rimase l’URSS, poiche i nazisti intendevano schiavizzarla sterminando le popolazioni slave. Dopo la sconfitta subita a Stalingrado nel 1943, uno degli episodi cruciali della guerra, i nazisti non sembrarono piu molto ansiosi di attirare l’attenzione sull’URSS e i film antisovietici scomparvero. I piu famigerati tra i film sui “nemici” furono i lungometraggi antisemiti ordinati da Goebbels nel 1939, poco dopo che Hitler ebbe per la prima volta evocato in pubblico l’annientamento totale come “soluzione finale” al “problema ebraico”. La propaganda cinematografica aveva la più estrema priorità anche nelle condizioni più difficili degli ultimi anni della Seconda guerra mondiale. Mentre scuole e teatri avevano smesso la loro attività nel 1944, i cinema continuarono i loro spettacoli fino alla fine del conflitto. A Berlino per esempio, unità antiaeree furono specialmente approntate a protezione dei locali cinema nel 1944.
A destra: una manifestazione nazista (1940 ca.)
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La locandina è in bianco e nero, disegnata con tratti incisivi, come fossero dei graffi su un foglio di carta nero. Il titolo è in stile gotico, spigoloso, disegnato a mano. Le lettere iniziali ricordano le miniature dei testi medievali. Le grazie e i tratti decisi riprendono la svastica posta al centro della locandina, in una posizione di rilievo. Anche il riempimento dei caratteri è lo stesso della svastica. L’aquila domina l’immagine enfatizzando l’idea della “Grande Germania” dominatrice e “rapace” che Hitler sognava. Il becco dell’aquila richiama la forma delle grazie del titolo, e i suoi artigli stringono la svastica e vi si poggiano: è chiaro il parallelismo tra l’aquila e la Germania hitleriana.
A destra: Triumph des Willens (Il Trionfo della Volontà) 1935 Leni Riefenstahl
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La locandina fa uso di soli tre colori: il giallo, il nero e il bianco. Il giallo e il nero sono i colori della stella di David che gli ebrei doveavano portare al petto durante il periodo di dominazione nazista. Il titolo è di colore bianco, con un bordo nero sottile, disegnato a mano; ricorda fortemente lo stile dell’alfabeto ebraico, con grazie arricciate, eseguite senza interrompere il tratto nelle terminazioni delle lettere. L’immagine riporta il volto di un uomo ebreo (lo si intuisce dai tratti e dai riccioli che scendono ai lati del viso, caratteristici degli uomini di religione ebraica). L’uomo ha uno sguardo enigmatico: è difficile stabilire se sia sofferente o perfido. Le altre scritte passano quasi inosservate di fronte alla forza del titolo: hanno caratteri a bastoni, dal tratto sottile e delicato, straniante rispetto allo stile generale della locandina. Si nota molto contrasto tra bordi frastagliati e “rabbiosi” dell’immagine e il bordo e il riempimento definito delle lettere del titolo.
Una seconda versione della locandina di Der Ewige Jude
A sinistra: Der Ewige Jude (L’Ebreo Errante) 1940 Fritz Hippler
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Il cinema del fascismo Nel 1932 il regime di Mussolini inaugurò anche la Mostra del Cinema di Venezia, ideata come vetrina internazionale per i film italiani. Il governo riconobbe che l’industria cinematografica era un’importante forza ideologica che non doveva deteriorarsi, era convinto che gli spettatori italiani avrebbero rifiutato film pesantemente propagandistici. Il cinema italiano non divenne mai un cinema politico statalizzato come quello delle Germania o dell’URSS; come Stalin, Mussolini vedeva in anteprima ogni singolo film realizzato nel Paese, ma di rado li faceva vietare. In generale, il regime si limitava a sovvenzionare un settore fragile lasciandolo in gran parte in mani private. Un forte motore per lo sviluppo del cinema fascista fu l’inaugurazione, nel 1932, della Mostra del cinema di Venezia. Nel 1934 nacque la Direzione Generale della Cinematografia e nel 1937 vennero fondati a Roma gli studi di Cinecittà, vera e propria fucina di talenti per futuri celeberrimi attori, registi, soggettisti e sceneggiatori.
L’invasione dell’Etiopia nel 1935 ispirò parecchie opere propagandistiche, e lo stesso avvenne per il sostegno offerto a Franco nella guerra civile spagnola. Le politiche fasciste furono glorificate m modo piu indiretto in spettacoli storico-patriottici. Il regime, comunque, spesso disapprovava il modo in cui il Partito era ritratto nei film; per di piu, molti erano insuccessi commerciali. Fino alla seconda guerra mondiale, nessuna particolare tendenza propagandistica emerse nel cinema italiano come era avvenuto in altri Paesi e la norma fu quella di un cinema di evasione. A livello estetico e tematico il cinema di propaganda è virile, eroico, rivoluzionario (secondo i canoni fascisti) e celebrativo del regime e dei suoi ideali. Intendeva raffigurare i cambiamenti positivi e celebrare i valori del fascismo, esaltare una grandezza dell’Italia e la dedizione alla patria, valorizzare le operazioni militari e le azioni belliche compiute dalle varie forze armate italiane e dai volontari nelle varie guerre combattute dall’Italia fascista, denigrare e ridicolizzare gli avversari del regime.
A destra: studi di Cinecittà (1937)
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La locandina del film (a sinistra) è dipinta, così come lo è il titolo. Non compaiono altre scritte, oltre al titolo della pellicola. I tratti non sono precisi e definiti, nel cielo, tra le nuvole, compare inverosimilmente l’ombra della mano alzata e delle bandiere sul carro, elementi che sottolineano la grandezza del fascismo. Il titolo è realizzato riprendendo lo stile della scritta “a noi” sulle bandiere dell’immagine. Non usa caratteri dallo stile grandioso e importante, come è solito nei film del periodo fascista, bensì sembra essere stato scritto di pugno da uno dei soldati del carro. Il colore del titolo è di un rosso scuro, tendente al marrone, del colore del sangue, probabilmente lo stesso sangue lasciato sulla terra dove i soldati sono appena passati. Nella seconda versione della locandina (a destra), è da notare la scritta “Il film della vigilia fascista”: in corsivo, scritta a mano, come i messaggi sulle cartoline dei militari.
In alto: una seconda versione della locandina A sinistra: una cartolina degli alpini durante la seconda Guerra Mondiale
A sinistra: Vecchia Guardia 1934 Alessandro Blasetti
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La locandina è divisa in due dal titolo, inclinato e di colore giallo con bordi neri che nella parte alta si confondono con il colore del mare in tempesta, mentre nella parte bassa risaltano sul rosso delle fiamme nel cielo. L’immagine mostra soldati in battaglia, forti, muscolosi e vittoriosi, molto piÚ grandi dei loro nemici, schiacciati e tutti uguali. La font usata per il titolo ha caratteri molto vicini tra loro, tutti maiuscoli e allungati verso l’alto. Le grazie sono mozzate e gli occhielli sono molto stretti e allungati.
Immagine tratta da una scena del film
A sinistra: Scipione l’Africano 1937 Carmine Gallone
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Il titolo di questa locandina è di colore rosso; è inclinato e si collega all’uomo a terra intimorito dal vigoroso Primo Carnera, simbolo della forza dell’Italia fascista. I caratteri sono a bastoni, con un tratto spesso, ombreggiati e leggermente distorti. La lettera “s” ricorda molto le “s” utilizzate tipicamente in epoca fascista, allungata e composta con un unico tratto. La font utilizzata per i nomi è a bastoni, gialla, con contorni neri e lettere leggermente squadrate.
A sinistra: Traversata Nera 1939 Domenico Gambino A destra: Primo Carnera
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IL NEOREALISMO
Anna Magnani
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Il Neorealismo è un movimento culturale nato e sviluppatosi in Italia durante il secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra, che ha avuto dei riflessi molto importanti sul cinema contemporaneo. In ambito cinematografico, il movimento del Neorealismo sorse spontaneamente e prese forma grazie all’opera di registi che segnarono, con le proprie pellicole, la storia del cinema italiano e mondiale.
Foto scattata durante le riprese di un film di Mario Monicelli nel periodo neorealista
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L’IMPEGNO DEI NEOREALISTI Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Michelangelo Antonioni, Giuseppe De Santis e molti altri hanno rinnovato e rivoluzionato l’immaginario del cinema di quell’Italia fascista, che aveva nutrito la popolazione con le sue pellicole nazionaliste ed utopistiche. Attaccavano i film dei “telefoni bianchi”, che con immagini lussuose e trame “patinate” regalavano sogni e nulla di più ad un popolo che questi registi volevano invece spronare perchè potesse disseppellirsi dalle macerie della guerra e rialzarsi, seppur con grande sforzo. Essi si impegnarono moralmente a fare un cinema utile all’uomo. Come l’ha definito Italo Calvino, il Neorealismo cinematografico non è una scuola, ma “un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie”. CARATTERISTICHE DEL CINEMA NEOREALISTA Le riprese furono svolte in larga parte all’aperto. Questa particolarità è dovuta in parte all’impossibilità da parte dei registi del tempo di sfruttare gli studi di Cinecittà, nei quali erano rifugiati gli sfollati dopo la guerra, in parte alla volontà di raccontare storie che fossero il meno possibile costruite e che avessero sullo sfondo le immagini reali delle devastazioni belliche. Venivano spesso ingaggiati attori non professionisti per le parti secondarie e a volte anche per quelle primarie. Un ruolo molto importante era dato anche ai bambini, largamente
presenti e spesso fondamentali per rendere quella spontaneità che il Neorealismo ricercava. Venne accantonata la parlata radiofonica, prediligendo un parlato naturale, spesso dialettale. I FILM Elemento portante del cinema neorealista sono le storie che esso si impegna a raccontare. Le trame dei film sono ambientate prevalentemente tra le classi meno abbienti e lavoratrici, e gli epiloghi sono privi di colpi di scena e di meraviglia. Gli argomenti trattati sono soprattutto la situazione economica e morale del dopoguerra italiano e riflettono i cambiamenti sociali e culturali del periodo. I protagonisti delle vicende vivono nella speranza, nel riscatto, nel desiderio di ricominciare a vivere, in condizioni di frustrazione e disperazione. L’EPILOGO DEL NEOREALISMO Il movimento neorealista accompagnò la popolazione nei suoi anni più difficili e con essi si concluse. Si dovette scontrare con il cinema dominante, con i gusti di un pubblico che tornava a sognare e che si affacciava ai ricchi e positivi anni del Boom. Il Neorealismo propriamente detto si esaurì attorno alla metà degli anni Cinquanta. Altri movimenti negli Stati Uniti, in Francia, in Polonia, in Giappone, nel Regno Unito si svilupparono partendo dalle idee articolate per la prima volta dal Neorealismo cinematografico, e la sua influenza è arrivata fino ad oggi.
A destra: Lamberto Maggiorani in “Ladri di Biciclette”
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Questa locandina è molto particolare: non è un disegno (come è solito per le locandine di quegli anni) ma una foto ritoccata, con forti contrasti e un filtro rosso che dona all’immagine un’aria inquietante e macabra. I nomi propri degli attori sono in corsivo, mentre nome e cognome del regista e cognomi degli attori sono scritti con una font a bastoni che risalta la sinuosità del carattere del titolo. Il titolo domina la locandina con la sua imponenza, riesce a rendere visivamente il concetto di ossessione. Un’ossessione amorosa, come quella trattata all’interno del film di visconti: le lettere sono sinuose, dalle curve morbide, tanto da far sembrare le “i” delle “s”, ma hanno terminazioni appuntite, quasi fossero degli uncini. Trasmettendo il senso della morbosità di una passione che arriva ad essere pericolosa e nociva. Le figure umane sono trattate in modo da sembrare delle ombre, piatte e sovrapposte. La sensazione che si percepisce osservando questa locandina è quella di avere davanti un qualcosa di innaturale, pericoloso, che preoccupa e destabilizza. Ossessione 1943 Luchino Visconti
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Questa versione è molto meno incisiva, la foto è color seppia, sembra di trovarsi davanti ad una locandina del cinema dei telefoni bianchi tanto in voga nel periodo fascista. Il titolo è scritto a mano, molto evidente rispetto alla foto di sfondo, ma non rende allo stesso modo dell’altra il vero senso di ossessione. Anche la forma delle lettere del titolo, delle “s” in particolare, con cui sono composte le altre parole in maiuscolo nella locandina, richiama lo stile del periodo fascista. La particolarità sta nel fatto che in realtà questo film rientra a pieno titolo nella categoria dei film neorealisti, fortemente contrari al modello del film fascista.
Una seconda versione della locandina
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La scritta “città aperta” è realizzata con un carattere a bastoni, italic, di colore rosso e con un tratto molto spesso, tanto da far sparire quasi interamente l’occhiello della lettera “a”. Questa scelta evoca dinamicità, importanza, forza e monumentalità: sentimenti emblematici del periodo fascista. Tutto ciò si trova ad essere in netto contrasto con il significato letterale dell’espressione “città aperta”, creando un ossimoro. “Roma” è scritto con caratteri a grazie egiziane, si differenzia dalla scritta “città aperta”, ma ne mantiene i colori, seppur più sbiaditi. Sembra voler porre Roma su un piano neutrale, che sta a metà tra il soldato e i protagonisti, tra il rosso acceso della “città aperta” e il verde che fa da sfondo. I nomi degli attori sono in corsivo, scritti a mano, sono in netto contrasto con “città aperta” sia dal punto di vista cromatico, che nello stile del carattere. Elemento importante in questa locandina è il legame che si crea tra la figura del soldato e la scritta in rosso, e tra i nomi degli attori e gli attori stessi. Vediamo i protagonisti negli occhi, mentre il soldato è solo una figura oscura senza identità. La locandina è disegnata, con una forte presenza di chiaroscuro, molto evidente sui volti dei due attori. Il soldato è circondato da un alone bianco, che lo isola dal resto della scena evidenziandolo come presenza estranea, incombente. Una scena del film Roma Città Aperta
A destra: Roma Città Aperta 1945 Roberto Rossellini
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In questo caso “città aperta” non è posto in contrasto con il proprio significato, è una scritta fatta a mano, imperfetta ma ordinata, quasi scolastica. “Roma”, invece, è scritto con caratteri romani, neri, importanti come la città in questione. La locandina vede la protagonista mimetizzata con lo sfondo, in alto il colore del cielo è scuro così come i capelli e l’ombra sul viso di Anna Magnani. Anche gli occhi dell’attrice sono infossati, scuri, indicano sofferenza. Scendendo, i colori si vanno schiarendo, e allo stesso modo si dissolve l’ombra dal volto della donna che appare più luminoso e roseo. Nella parte bassa della locandina si nota un profilo della città di Roma all’orizzonte. Spiccano su tutto le labbra e la sciarpa, con il loro rosso acceso, lo stesso colore del sangue che sporca il tratto di filo spinato.
La locandina dell’attrice Anna Magnani per Roma Città Aperta
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Nella versione francese, il carattere utilizzato nel titolo è di colore rosso acceso e si lega alla vistosa macchia rossa che sovrasta lo sfondo. Simboleggia l’oppressione, anche in questo caso crea un ossimoro con il significato del titolo. Il soldato entra a contatto con la protagonista, ritratta in un gesto di ribellione e nel tentativo di proteggere il figlio.
La locandina francese di Roma CittĂ Aperta
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Sciuscià 1946 Vittorio De Sica
La locandina è disegnata, così come lo è il titolo del film. Il titolo risalta sull’immagine grazie all’ombreggiatura nera su fondo chiaro e grazie al colore rosso acceso. Il carattere non è rigoroso, non ha dei contorni ben definiti: richiama il gesto degli “sciuscià”, sembra che il titolo stesso sia stato scritto con uno strofinaccio. Il rosso della scritta è ripreso da altri tratti all’interno dell’immagine: le linee della maglietta del ragazzino , la fascia rossa sull’elmo del militare
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e il bollino delle Lucky Strike che il soldato sta offrendo al giovane. Sono posti in contrasto il volto illuminato e chiaro del ragazzo e il viso scuro e in ombra del soldato (in tal senso, la locandina richiama quella di “Roma città aperta”). Le figure non sono ben definite e in questo caso sembrano quasi infinite: questo è molto evidente specialmente nel braccio del soldato. Il carattere delle altre scritte è a bastoni, tranne la parola “regia”, in corsivo, che riprende le linee morbide del titolo.
La versione francese della locandina di Sciuscià
Nella versione francese scompare l’ombreggiatura dietro il titolo del film, ma viene mantenuto ed accentuato lo stile del carattere usato nella versione italiana. È un’immagine che trasmette molta inquietudine: i colori contrastanti del rosso (sul titolo e sul bambino subito dietro ad esso) e del blu (sullo sfondo) accentuano il chiaroscuro del disegno ed evidenziano quelle forme bianche che sembrano dei ritagli e che isolano il bambino sorridente dai due bambini dietro le sbarre. Elemento particolare della locandina è l’uso del colore: sul bambino sorridente vi sono delle pennellate di colore rosso, mentre i bambini dietro le sbarre sono immersi in uno sfondo blu scuro, cupo e denso.
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Il titolo è scritto a mano, rosso come la bottiglia di veleno e come il vestito della ragazzina. Il carattere è spigoloso, con uno stile gotico, richiama la Germania anche da un punto di vista visivo. L’immagine e la scritta sono in netto contrasto dal punto di vista del tratto: l’immagine ha tratti imprecisi, non definiti, evoca una preoccupazione che si fa ancor più pesante con la presenza di quel bicchiere posto vicino alla bottiglia di veleno, davanti al giovane protagonista. I colori che prevalgono sono il rosso, il giallo e il nero delle ombre opprimenti: i colori della bandiera tedesca. La via della Berlino in cui il film è ambientato non ha forme definite e precise, è frammentata, i colori non riempiono le campiture completamente, si confondono un po’, si interrompono, e le figure umane stesse non sono ben definite rispetto allo sfondo. Questa rappresentazione evidenzia la condizione in cui Berlino si trovata al termine della guerra, bombardata e distrutta, fisicamente e moralmente. Il nome del regista è scritto con una font a bastoni, nero; il tratto è spesso e risalta in relazione al titolo, rosso con quelle grazie appuntite e quella forte differenza tra i tratti spessi e i tratti sottili.
Una scena del film Germania Anno Zero
A sinistra: Germania Anno Zero 1948 Roberto Rossellini
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Ladri di Biciclette 1948 Vittorio De Sica
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In questa locandina, i caratteri hanno una font a bastoni, il titolo in rosso spicca sulla locandina dominata dai colori freddi. La prima “c” della parola “biciclette” è stampata al contrario. La locandina è disegnata e, cosa non molto frequente per i film del Neorealismo, il titolo è posto in basso, distaccato dall’immagine, anche se lo sfondo è lo stesso di quello dell’immagine e l’elemento di distacco è dato dal taglio delle figure del protagonista e della bicicletta che risultano incompleti. Particolare il segno nero dietro il bambino, sembra una macchia d’olio, e il bambino stesso ha un’espressione decisa e un po’ triste. Questo identifica molto bene il personaggio che il bambino interpreta all’interno del film: è un piccolo adulto, responsabile e lavora come quasi tutti i bambini di allora. La sagoma della bicicletta, circondata da quel tratto azzurro, rende bene l’idea di una bicicetta che c’è e non c’è, elemento fondamentale della pellicola di De Sica. La locandina rappresenta non una scena, ma tre immagini significative e frammentate, vicine tra loro ma che allo stesso tempo non si toccano, stanno su piani differenti. Queste figure sono poste sulla diagonale della locandina partendo dall’angolo in basso a destra, sopra il titolo. Le parole del titolo sono molto spaziate e l’azzurro del cielo viene ripreso nel colore del nome del regista.
In questa versione, la scena raffigurata è più drammatica, il titolo e le scritte interagiscono maggiormente con l’immagine. Vengono utilizzate font a bastoni, ad eccezione di quella del titolo che ha delle grazie molto sottili, in contrasto con le aste invece molto spesse e che danno un forte effetto di chiaroscuro. C’è un contrasto tra i colori tendenti al verde dell’immagine e il rosso acceso del titolo, che viene richiamato nella giacchetta del bambino e, in modo quasi provocatorio, nel dettaglio della bicicletta che i protagonisti inseguono per tutta la durata del film.
In alto: una seconda versione della locandina A destra: una scena del film
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In questa locandina (a sinistra) il carattere del titolo è scritto a mano, di colore giallo, con un tratto frammentato, che ricorda le spighe di riso al momento del raccolto (spighe che la stessa protagonista tiene in mano). Spicca nella locandina il colore rosso, presente sulla maglia, tra i capelli e sulle labbra della protagonista. In basso, sullo sfondo, compaiono molto piccole le mondine, quasi insignificanti. I due uomoni sullo sfondo sono posti sullo stesso piano, con lo sguardo di entrambi rivolto verso la donna, che guarda invece dritto verso l’osservatore. Gli uomini sono rappresentati con colori freddi, tendenti al blu, con tratti non realistici, trascinati. Le font utilizzate per tutte le altre scritte della locandina sono a bastoni. Nella parte bassa i caratteri sono di colore nero e la font (nei cognomi e nel nome del regista) è allungata, a differenza di quella usata per “diretto da” e per i nomi degli attori che è invece molto più proporzionata, con lettere “o” che formano dei cerchi quasi perfetti. Una seconda versione della locandina di Riso Amaro
A sinistra: Riso Amaro 1949 Giuseppe De Santis
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GLI ANNI DEL BOOM
Marcello Mastroianni
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UN MONDO IN CAMBIAMENTO In Europa la liberazione sessuale, la musica rock, le nuove mode e nuove forme di turismo divennero i simboli della generazione che raggiungeva la maturità attorno al 1960. L’impulso verso una comoda vita urbana fu rafforzato dal boom economico, che dopo il 1958 favorì in tutta Europa un netto miglioramento nella qualità della vita. Qualsiasi Paese si prenda in esame, il nuovo cinema è un disordinato assortimento di cineasti molto diversi le cui opere di solito non rivelano quell’unità stilistica presente nei vari movimenti dell’epoca del muto. Non si può tuttavia negare che le varie tendenze condivisero alcuni elementi generali. IL NUOVO CINEMA I giovani registi assorbirono in particolare l’estetica del Neorealismo e del cinema artistico degli anni ‘50, sviluppandone l’esperienza. A partire dalla fine degli anni ‘50, e per tutti gli anni ‘60, si misero a punto macchine da presa senza bisogno di cavalletto, mirini reflex per vedere esattamente ciò che inquadrava l’obiettivo, e le pellicole divennero più sensibili. Diventava così possibile girare in presa diretta, registrando il rumore d’ambiente del mondo reale. La perdita di chiarezza delle storie raccontate parve allontanare il cinema dalla missione di documentare il mondo e la società. Unendosi alla profonda conoscenza della storia del cinema da parte dei giovani registi, l’abbandono del realismo oggettivo rese autoreferenziale forma e stile dei film: molte pellicole non cercavano più di riflettere una realtà esterna e il cinema si ripiegò su di sé concentrandosi sui suoi stessi materiali, strutture e storia. Giulietta Masina in Le Notti di Cabiria (1957)
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Nella locandina (a sinistra) il titolo e l’immagine sono perfettamente integrati. L’immagine mostra un foglio di giornale sul quale vi sono quattro volti, il quinto, al centro, è quello di Totò che compare da un buco nel foglio. Il titolo del film è in alto, un vero “titolo a nove colonne”, parte del giornale stesso. La locandina è a colori, risalta il contrasto tra il bianco e nero del giornale e il colore del volto di Totò. Le scritte sono state composte con una font stretta, con un tratto spesso, ponendo i nomi degli attori protagnisti in giallo, tutti gli altri nomi in azzurro o blu, mentre le scritte di descrizione sono in bianco, molto piccole.
Una seconda versione della locandina de I Soliti Ignoti
A sinistra: I Soliti Ignoti 1958 Mario Monicelli
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La locandina del celebre film simbolo dell’Italia negli anni del boom economico mostra sullo sfondo l’attore Marcello Mastroianni, intento ad osservare le sensuali movenze di Anita Ekberg. Il titolo è in caratteri spigolosi, richiama i tratti con cui è realizzato il protagonista, contrapposto alle forme sinuose dell’attrice. Il colore giallo del titolo e del nome del regista
spiccano sulla locandina dominata dai colori freddi. Il rosso del drappo è ripreso nella sigaretta accesa dell’attore, creando un legame tra le due immagini ed avvicinando i due protagonisti. Le altre scritte sono composte con una font a bastoni, con un tratto piuttosto spesso, di colore azzurro.
A sinistra: La Dolce Vita 1960 Federico Fellini In alto: una scena del film
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La locandina ha come sfondo un occhio che sbircia attraverso la fessura di una serratura. Il blu usato per le zone in ombra e il giallo per la luce evocano instabilità e ansia, e l’occhio spalancato che ci fissa enfatizza queste sensazioni. La scritta in alto è disegnata a mano, il tratto è tremolante, sembra essere stata scritta da una persona spaventata, da una vittima più che dall’aggressore. Inoltre la parola “frightening” è in maiuscolo, sottolineando ulteriormente questa ricerca di suscitare paura. La font del titolo ha grazie rettangolari, dello stesso spessore del tratto, ed è di colore bianco come la parola “frightening” e l’avviso che indica una visione del film destinata a soli adulti. Le scritte nella parte bassa sono di colore giallo, riprendendo il colore della luce della fessura; sono realizzate con caratteri a bastoni, con un tratto spesso.
Peeping Tom (L’Occhio che Uccide) 1960 Michael Powell
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Lo sfondo dell’immagine è la fotografia di un’impalcatura immersa in una leggera nebbia, che ricrea un paesaggio onirico ma inquietante. L’unica figura scontornata è quella del protagonista: tutti gli altri volti sono donne, non inglobate nell’immagine di sfondo, quasi fossero soltanto appoggiate. Questa locadina rappresenta in maniera efficace la situazione del protagonista all’interno del film: vive a metà tra realtà e fantasia, lui stesso fatica a distinguere i sogni da quello che gli accade realmente, e la sua vita è allo stesso tempo tormentata ed alleviata dalla presenza di donne che non sembrano mai capirlo appieno. Il titolo è scritto in cifre, con un carattere filettato ed ombreggiato, ricco di decorazioni all’interno. L’ombreggiatura è di colore rosso, mentre il tratto è bianco. Bianco è anche il nome del regista, immediatamente sopra il titolo, con una font graziata. I nomi degli attori compaiono invece in una font a bastoni, le lettere sembrano schiacciate, hanno un tratto molto spesso e sono poste su rettangoli neri che fanno da sfondo. Una seconda versione della locandina di 8 ½
A sinistra: 8½ 1963 Federico Fellini
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La locandina è in stile minimalista, con un rosso piatto sullo sfondo ed una font a bastoni per i testi. Il titolo è di colore bianco, di grande impatto, con un tratto spesso che si restringe molto poco nei punti di naturale assottigliamento dei caratteri. Le altre scritte sono di colore nero, di dimensione più piccola rispetto ai caratteri del titolo. L’immagine è molto significativa: il fotografo e la ragazza sono ritratti in una posa volutamente provocante, che spezza il rigore della locandina. Anche l’immagine è in bianco e nero, e spicca dal fondo rosso essendo l’unico elemento ombreggiato della composizione. Immagine e testi non interagiscono, sono anzi posti su piani differenti; i soggetti risultano isolati e decontestualizzati, come su un set fotografico.
In questa pagina: alcune scene del film A destra: Blow Up 1966 Michelangelo Antonioni
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La locandina del film di Fellini (a sinistra) appare divisa in due: nella parte alta vi è una spiaggia surreale, con una serie di caricature di personaggi dalle personalità più disparate. Il colore compare solamente nell’immagine, i testi sono neri su fondo bianco, senza ombreggiature nè sfumature. Il titolo è disegnato, con lettere che si incastrano tra loro e che si deformano. L’elemento che contraddistingue questa locandina è la figura della donna costruita distorcendo la lettera “m”. Questa diventa il busto di una donna procace dalle curve evidenti (il seno, i capelli, le labbra, il trucco sugli occhi). Le due “a” a destra e sinistra della “m”sembrano comporre le braccia della donna; la “c” e la “o” sono incastrate in modo da richiamare la forma di un occhio. La font delle altre scritte è a bastoni, con un tratto sottile, condensato.
In alto: altre due versioni della locandina di Amarcord A sinistra: Amarcord 1973 Federico Fellini
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IL CINEMA EUROPEO FINO AD OGGI
Una scena del film The Artist (2011)
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IL CINEMA ITALIANO Il cinema italiano vide negli anni Settanta l’affermazione e la prevalenza dei film cosiddetti “Poliziotteschi” mentre, nel genere commedia, del filone della commedia sexy, i cui attori simbolo sono Lino Banfi ed Edwige Fenech. Gli anni Ottanta sono quelli dello “smarrimento”, nel senso della ricerca di nuovi contenuti, di nuova poetica, di un progetto utile. La crisi creativa ed economica emersa in tutta la sua gravità nella metà degli anni Ottanta, comincerà ad attenuarsi, per il cinema italiano, nel decennio successivo anche se il cinema di genere scompare totalmente, non essendo più in grado di competere con i grandi blockbuster hollywoodiani. Una parentesi di speranza c’è stata con il trionfo internazionale di Roberto Benigni, vincitore del premio oscar con La vita è bella (1997). Si confermano campioni di incasso i cosiddetti cinepanettoni, così chiamati perché vengono distribuiti nelle sale cinematografiche durante il periodo natalizio; nonostante tali pellicole siano spesso accusate di banalità, ripetitività e volgarità dalla critica, sono amatissime dal pubblico. Nel 2008 Gomorra, tratto dall’omonimo libro denuncia di Roberto Saviano sulla camorra napoletana e casertana, mostra il tentativo di tornare a raccontare, attraverso il cinema, aspetti critici della società italiana. Il film segna il rilancio di un cinema italiano d’autore e di denuncia civile capace di raggiungere il vasto pubblico. Grande successo è ottenuto dal film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza, presentato in concorso al Festival di Cannes del 2013: il film è
una versione moderna de La dolce vita, e riscuote un buon successo di pubblico in Italia ed ottiene numerosi riconoscimenti internazionali. IL CINEMA BRITANNICO Benché le major statunitensi continuassero a girare negli studi di posa britannici anche negli anni Ottanta, questo decennio cominciò con la peggiore recessione che l’industria cinematografica britannica abbia mai visto. Quando Momenti di gloria vinse quattro premi Oscar nel 1982, compreso quello per il miglior film, il suo sceneggiatore Colin Welland dichiarò “the British are coming!” (i britannici stanno arrivando!) (citando Paul Revere). Questo incoraggiò l’avvio di un ciclo di produzioni con grande budget. La produzione di film britannici toccò un altro picco negativo nel 1989. E mentre nei primi anni Novanta il pubblico tornò a riempire le sale del Regno Unito, erano pochi i film britannici che raccoglievano successi commerciali significativi, anche nel mercato interno. Con l’introduzione di finanziamenti pubblici attraverso la National Lottery (Lotteria nazionale) si ebbe una sorta di boom produttivo verso la fine degli anni Novanta, ma poi solo pochi di questi film ebbero un successo commerciale significativo, e molti non furono nemmeno distribuiti. Dal 2000 la popolarità dei film nazionali nel mercato interno crebbe al punto da permettere un’ondata di film derivati dalla televisione e altre commedie aventi come unico obiettivo il solo pubblico britannico.
Una scena del film La Vita è Bella (1997)
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Nella locandina di Spaghetti a mezzanotte, il titolo è di colore rosso, scritto a mano, con caratteri dalle grazie molto arricciate e lettere tutte differenti tra loro, in particolare la “a” minuscola che si distingue dalle altre lettere, tutte in caratteri maiuscoli. L’andamento del titolo riprende la silhouette del corpo della donna nell’immagine. Il disegno ha colori molto accesi, i prevalenti sono il blu e il rosso. La donna è in biancheria intima, coperta solamente dalla tovaglia che l’attore porta infilata nel colletto della camicia. Il disegno propone un soggetto provocante, presentato in modo comico, caratteristica che rispecchia appieno lo stile del cinema italiano di quel periodo: sono infatti gli anni della commedia sexy. Nella locandina di Pierino colpisce ancora, i colori principali della locandina sono il giallo, l’azzurro e il rosso, oltre al bianco e al nero. La locandina è divisa in due parti: nella parte alta vi è l’immagine di Pierino che porta sul guantone una donna in posizione provocante. Nella parte sottostante vi è il titolo, di colore giallo su fondo azzurro, ombreggiato e con bordi neri. I caratteri sono giocosi, disegnati a mano, le lettere non sono allineate, lo stile è quello di un fumetto. I caratteri sono tutti maiuscoli, ad eccezione della lettera “i”. Sulla lettera “p” sono disegnati un berrettino e una fionda, che legano il titolo all’immagine, contribuendo a rendere l’idea di giocosità della locandina. Gli altri caratteri sono neri, a bastoni, con una font che mantiene lo stile giocoso del titolo.
In alto: Spaghetti a mezzanotte 1981 Sergio Martino In basso: Pierino colpisce ancora 1982 Marino Girolami
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Nell’arco degli anni, le produzioni cinematografiche italiane hanno visto una serie di pellicole che, tra ironia e doppi sensi, hanno mantenuto in vita lo stile della commedia sexy.
In alto a sinistra: Attila flagello di Dio 1982 Franco Castellano In alto a destra: Natale in crociera 2007 Neri Parenti In basso a sinistra: Vacanze di Natale a Cortina 2011 Neri Parenti
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Il titolo è scritto con una font dalle grazie appuntite, con un tratto sottile, elegante. La “i” è stata sostituita dal numero “1”, in quanto la regina protagonista è Elisabetta Prima d’Inghilterra. La stessa font è utilizzata per tutte le altre scritte, ad eccezione della prima riga e delle scritte in basso, riquadrate, che usano una font a bastoni. Il titolo è nero, ma il numero “1” ha lo stesso colore del filtro applicato alla fotografia di Cate Blanchett, che interpreta la regina. Sotto alle fotografie degli attori protagonisti vi è un aggettivo riferito al personaggio in questione, bianco e con l’ombreggiatura del colore del filtro delle fotografie.
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A destra: la locandina tedesca del secondo episodio (Elizabeth the Golden Age, 2007) In alto: Elizabeth 1998 Shekhar Kapur
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La locandina è in bianco e nero, e gli attori si confondono con lo sfondo; i tratti dei loro volti sono visibili grazie ad una luce che li illumina timidamente. Il titolo è di colore rosso, per questo posto in forte risalto dallo sfondo. La parola “The” sembra essere scritta a mano, con tratti molto rotondeggianti ed ampi. In particolare risalta la linea ascendente della lettera “h”, che si ritorce su se stessa. La parola “Artist” è invece in maiuscolo, con la “a” di dimensioni maggiori. La font è a bastoni, le lettere sono molto alte e sottili. Il tratto orizzontale della “t” è molto sottile, la “s” è sinuosa, così come la coda della “r”. La stessa font è utilizzata anche per i nomi degli attori, in alto, di colore bianco.
Una scena del film The Artist
A sinistra: The Artist 2011 Michel Hazanavicius
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Bibliografia e sitografia IMMAGINI Film Poster of the 30s, Evergreen, 2005 http://www.impawards.com http://www.cartelespeliculas.com http://www.cinemaposter.com/FSTindexF.html http://posterwire.com/ http://www.ifilmdavedere.it/tag/anni-20/ http://www.wired.it/play/cinema/2013/10/25/le-50-migliori-locandine-di-sempre http://filmup.leonardo.it/posters/ TESTI DI INTRODUZIONE DEI CAPITOLI http://www.cinemadelsilenzio.it/ http://it.wikipedia.org/wiki/Hollywood http://it.wikipedia.org/wiki/Cinema_italiano http://it.wikipedia.org/wiki/Neorealismo_(cinema) http://it.wikipedia.org/wiki/Cinema_nel_Terzo_Reich
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