I Siciliani - giugno 2013

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I Siciliani giovani “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”

Pacifisti, movimento NoPonte, artisti del Teatro Pinelli, studiosi dei beni comuni, preti di periferia: a Messina la società civile s’è messa insieme. “Non vi chiediamo il voto, vi chiediamo di lottare”

giugno 2013

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Mazzeo “IO PONZIO, TU PILATO” IL GIOCO DELLE PARTI FRA REGIONE E GENERALI

ModelloSicilia La società civile entra in politica. E vince

“Viva le grandi intese!”, “Solo il mio MoVimento!” La crisi brucia e la politica gioca Intanto, giù in Sicilia, sta crescendo un’altra cosa

Fabio D’Urso Luciano Bruno Lettere all’Italia/ Diario Roccuzzo/ “Ragazzi di Fava” Cavalli/ Silenzio sull’antimafia Bongiovanni/ Bancomafie dalla rete Giacalone/ Quei silenzi su D’Alì Ognibene/ Stato disperso Orsatti/ Roma mafiosa dei Siciliani Di Girolamo/ Marsala bevi e taci Giammusso/ Periferie Capezzuto/ Politici di Camorra giovani De Gennaro/ Quando c’era Lui Jack Daniel Caruso/ Catania si “rinnova” Abbagnato/ Grazie Dell’Utri Satira/ “Mamma!” Salvo Vitale/ Belvedere malvedere ebook gratis Milano Gli studenti con Lea e Denise C.Catania/ Le città perdute Rossi/ Piccole omertà Frisullo Il pacifista Spina/ Il cinema di Giuseppe Fava Vita/ Prism ti spia Fotoreportage/ Romeo D'Amico Cenarli Flaccavento/ L'altro ieri a Istanbul

Dalla Chiesa/ Poca antimafia al nord

Caselli/ Quei giudici “accaniti”


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facciamo rete http://www..it/

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“Giornalisti, pentitevi!”

E' indubbio che giornali e televisioni abbiano un ruolo non piccolo nel mantenere il Sistema italiano. Basta guardare Berlusconi. O, in Sicilia, Ciancio. Vari colleghi partecipano purtroppo, in posizione subordinata, alla gestione del Sistema. Non tutti sono di destra, e anche a “sinistra” a volte l'avidità di audience fa brutti scherzi. La maggior parte dei giornalisti, però, non ne fa parte. Svolge il proprio lavoro onestamente non occupandosi di manovre politiche ma di cronaca e di informazione. Negli ultimi anni la loro condizione è decaduta moltissimo e il giornalista tipico oramai è un precario. Io ho avuto spessissimo polemiche con colleghi. Ma non ho mai fatto confusione fra il giornalista, che può sbagliare, e il suo padrone, che invece ha interessi precisi. Nè mi sono mai associato alle ricorrenti (e interessate) campagne contro l'Ordine dei giornalisti, il sindacato dei giornalisti ecc. Con mia grande sorpresa, negli ultimi tre anni a volte me li sono invece ritrovati a fianco (parlo dei nazionali e non dei siciliani), ad esempio nella difesa del giornalista perseguitato Pino Maniaci. Nessuno invece ha mai fatto campagne - che Dio sa se servirebbero - contro l'Ordine degli Editori. Che, anche se formalmente non esiste, si può facilmente individuare nell'insieme dei grossi imprenditori italiani.

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Perciò mi sembra screanzato, e anche ingiusto, quel perentorio “giornalisti pentitevi!” lanciato nei giorni scorsi da un politico professionista italiano. Uno che, parlando in piazza a Catania, ha ignorato completamente il vicinissimo Ciancio prendendosela viceversa... con la lontana e incolpevole Gabanelli.

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Ci sono giornalisti che non hanno di che pentirsi. Dopo trentatre anni di giornalismo antimafia, con giornali liberi, sempre coi movimenti di base e mai coi potenti, personalmente non capisco bene di che cosa dovrei mai pentirmi. Io, o i miei colleghi giovani che, in condizioni non meno precarie, lavorano con noi. Noi dei Siciliani, di Avvenimenti e degli altri giornali liberi non abbiamo mai ricevuto alcun aiuto d'alcun genere dai numerosi politici di mestiere che abbiamo incontrato nel corso di tutti questi anni: niente imprenditori, niente pubblicità, niente di niente. Non che ce l'avessero con noi giornalisti antimafia, ci mancherebbe. Ma avevano cose più urgenti a cui pensare.

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E' facile urlare ogni tanto contro "i giornalisti". Facile, e remunerativo. E' difficile impegnarsi concretamente ogni giorno per fare il giornalismo libero, non a parole ma a fatti. Difficile, e di altissimi costi, perché significa rinunciare a una vita normale, alle minime comodità e sicurezze della vita, da quando si è giovani a quando si diventa (se si diventa) vecchi. Quando i politici di mestiere come Grillo verranno umilmente e seriamente a chiederci come si fa il giornalismo di cui non pentirsi, allora potremo prenderli sul serio. Prima li ascolteremo distrattamente: dei politici fra tanti.

DA' UNA MANO: I Siciliani giovani, Banca Etica, IT 28 B 05018 04600 000000148119

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I Sicilianigiovani giugno 2013

RIEPILOGANDO Abbiamo perso 3,8 milioni di posti di lavoro in 5 anni. La produzione industriale è calata del 12 per cento. La disocupazione giovanile è al 40,5 per cento. Ci sono (secondo Confindustria) almeno 20 miliardi di evasione fiscale. E più della metà degli elettori, nella capitale d'Italia, non ha votato. Queste sono le cifre. Cantar vittoria ("viva le grandi intee!", "il moVimento va avanti!") è o da irresponsabili o da pazzi. Non c’entra la politica, è solo un sintomo di sfaldamento d’una classe dirigente (vecchia e nuova) profondamete inadeguata. L’unica forza sana sono i movimenti. I movimenti reali, quelli che ogni giorno lavorano nella società civile. Non si esprimono urlando, non hanno ambizioni palingenetiche nè ansia di potere. Vogliono semplicemente vivere, e fare sopravvivere il loro Paese. Nessuno li rappresenta. Ecco, il problema è questo. Non servono improbabili (e puerili) nuovi partiti ma un sistema di obiettivi e contatti che unisca le forze vere. Un comitato di liberazione, avremmo detto una vola; oggi, più sommssamente, una rete. Operai, beni comuni, giovani coraggiosi sono i soggetti di essa. Il tereno comune, il collane più forte, può essere l’antimafia presa sul serio, senza ritualità e fino in fondo. Il nostro infatti è, prima di tutto, un paese caratterizzato dal potere mafioso.

numero quindici

Questo numero “Giornalisti pentitevi!”/ I Siciliani 3 Ricordo di Bruno Caccia / di Gian Carlo Caselli 6 I giudici e l'antimafia al nord/ di Nando dalla Chiesa 7 Polis Lombardia: silenzio sull'antimafia/ di Giulio Cavalli 8 "Lavoro con i ragazzi: loro sono liberi"/ di Antonio Roccuzzo 9 La speranza/ di Riccardo Orioles 10 Il modello Messina/ di R.O. 11 Muos "Io faccio Ponzio e tu fai Pilato!/ di Antonio Mazzeo 12 Liberazioni Lettera da Istanbul/ di *** 16 L'altro ieri a Istanbul/ di Alessandro Romeo, Simone D'Amico, Yigit Cenarli, Delizia Flaccavento 17 Mafie Mafia a Roma/ di Pietro Orsatti 24 I soldi sporchi di Cosa Nostra/ di Giorgio Bongiovanni 26 Ustica: Stato disperso/ di Salvo Ognibene 28 D'Alì: il processo e il silenzio/ di Rino Giacalone 30 Camorra e politica/ di Arnaldo Capezzuto 32 Periferie Dino Frisullo: il pacifista/ di San Libero 33 Oggi è festa anche qui/ di Marcella Giammusso 34 Cittadini: a scuola d'italiano/ di Bruna Iacopino 36 Affari Beni confiscati a Rimini/ di Salvo Ognibene 37 Business rifiuti: laboratorio Catania/ di Salvo Catalano 38 Cemento spacca giunta/ di Giorgio Ruta e Francesco Ruta 40 Catania: il Piano Urbanistico Pua/ di Maurizio Giudice 41 Abruzzo: chi non vuole vedere/ di Alessio Di Florio 42 Sicilia: le città perdute/ di Carmelo Catania 44 Belvedere diventa Malvedere/ di Salvo Vitale 46

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SOMMARIO

DISEGNI DI MAURO BIANI

Satira MAMMA!/ a cura di Carlo Gubitosa, Kanjano, Mauro Biani Culture L'albero Falcone/ di Grazia Bucca Il cinema di Giuseppe Fava/ di Giuseppe Spina Storia Quattro tumuli di frumento/ di Elio Camilleri Storie Treno a errata velocità/ di Jack Daniel Polis "Perché amiamo le stelle"/ di Alessio Occhinegro Catania: il "rinnovamento"/ di Giovanni Caruso "Dell'Utri, grazie per il governo"/ di Giovanni Abbagnato Quando c'era Lui/ di Riccardo De Gennaro Chi ha vinto a Roma/ di Pietro Orsatti Libertà di stampa Grandi parole e piccole omertà/ di Roberto Rossi Marsala bevi e taci/ di F. Appari e G. Di Girolamo Nord e Sud Nord e Sud/ a cura di Tito Gandini Inclusione, cittadinanza, beni comuni/ di P.O. Pianeta Prism Program ti controlla. Ora/ di Fabio Vita

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Culture Mafia e fiction/ di Ludovica Ioppolo Pace Le mamme di Niscemi/ di Attilio Occhipintii Lea e Denise Lea Garofalo, la sentenza/ F. di Stefano e C La Porta Gli studenti con Lea e Denise/ del Presidio Lea Garofalo La scelta di Lea/ di Martina Mazzeo Sicilia Chi c'è alla Commissione Antimafia?/ di Rino Giacalone Italie Da Catania alle Langhe/ di Michelangelo Caponetto Diario dalla nostra rete/ di Fabio D'Urso e Luciano Bruno L'Ingegnere/ di Riccardo Orioles Il filo Quando parliamo di mafia/ di Giuseppe Fava

ebook gratis Storie qua e là racconti di terra e di mare... I Sicilianigiovani – pag. 5

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Giustizia

Bruno Caccia venticinque anni dopo di Gian Carlo Caselli

Sono passati 30 anni dal 26 giugno 1983, quando venne assassinato (da un insediamento torinese della ‘ndrangheta) il Procuratore di Torino Bruno Caccia. Il suo omicidio fu purtroppo l’ennesimo segmento di una interminabile sequenza di uccisioni di valorosi magistrati, vittime della violenza terroristica o mafiosa. A quei tempi, che sembrano tanto lontani ma sono nel cuore così vicini, i magistrati si uccidevano. Ma non si disonoravano. “Quel magistrato è accanito” Nella sentenza di condanna (definitiva) di uno degli imputati dell’assassinio di Bruno Caccia, appartenente lla famiglia Belfiore, si legge che egli “era uno di quei magistrati che non vengono a patti con la criminalità”. E che “era accanito contro la criminalità organizzata”. Accanito… Quante volte abbiamo sentito ripetere questa parola, negli ultimi anni e ancora oggi, con riferimento a magistrati “colpevoli” unicamente di fare il loro dovere, anche nei confronti di poteri forti o di interessi

refrattari al controllo di legalità. Accanito... Ecco una parola che costituisce un titolo di merito se riferita ad un magistrato morto, mentre per i magistrati ancora vivi - ma scomodi - viene spesso usata come una clava. Strano il destino di questa parola. Strano, ma illuminante.

libertà, solidarietà, eguaglianza, fratellanza, giustizia. E però la pacifica convivenza necessita di regole; di regole che devono essere osservate. E compito del magistrato è appunto quello di farle osservare. A tutti. Altrimenti si apre la strada alla sopraffazione del più forte sul più debole, del criminale sulla vittima.

Nulla che non fosse la legge Dai giovani nel nome di Caccia Bruno Caccia era accanito nel senso che ricercava la verità con determinazione. Sempre attento alle regole ma non indifferente ai risultati. Scrupoloso nell’adempimento dei suoi doveri. Senza sconti per nessuno. Per lui non contava lo “status” sociale, economico o politico di questo o di quello, come non contava la caratura criminale. Nulla che non fosse la legge poteva influire su di lui. Dunque, l’accanimento di Caccia intrecciava il senso dello Stato con la responsabilità individuale. Inestricabilmente. La convivenza pacifica nella legge Quel “senso dello Stato” traeva origine da una convinzione profonda: che solo la convivenza pacifica è convivenza civile; nella quale soltanto possono trovar sviluppo altri valori, quali

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Ben si comprende, allora, perché Bruno Caccia sia - ancora oggi - un modello per tutti i magistrati che hanno avuto il privilegio di stargli accanto (io sono stato tra questi ai tempi delle inchieste sui capi storici delle Brigate rosse) o di conoscerne la storia. Ma anche un punto di riferimento ben oltre la cerchia giudiziaria. Come prova il fatto che una cascina di San Sebastiano Po (Torino), confiscata proprio alla famiglia Belfiore e ora assegnata a “Libera”, a Bruno Caccia e alla moglie Carla sia stata intestata dai giovani che coraggiosamente la gestiscono, con impegno quotidiano perchè la legalità renda i cittadini sempre più alleati dello Stato.


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Società civile

I giudici e l'antimafia al nord di Nando dalla Chiesa

Ci mancava pure la magistratura. Sì, c’è qualcosa che non convince nel modo in cui un pezzo importante della magistratura del nord sta affrontando il tema della mafia. Il fenomeno riguarda la Lombardia come il Piemonte come la Liguria. Forse anche l’Emilia. Ci sono procure e direzioni distrettuali antimafia che funzionano bene, e alle quali dobbiamo essere grati per avere tutelato la convivenza civile rimediando agli oceani di ignavia della politica e delle classi dirigenti. “In fondo qui mafia non ce n'è” Ma poi, quando si cerca di seguire lo svolgimento dei processi, quando si mette bene la lente di ingrandimento sul lavoro di piemme e giudici di vario ordine e grado, si compie la sgradevole scoperta. Anche il potere giudiziario dà la sua robusta mano a diffondere l’idea che in fondo al nord la mafia non ci sia.

Sono ormai molte le occasioni in cui si è costretti a constatare che per applicare il 416 bis (ossia per imputare il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso) la magistratura del nord richiede un tasso di mafiosità superiore, a volte molto superiore, a quello sufficiente per applicarlo al sud. Assoluzioni incredibili Sembra quasi che per essere considerati mafiosi in pianura padana o in Liguria si debba risultare affiliati a tutti gli effetti a un clan con tanto di rito di iniziazione, si debba appartenere a famiglie considerate mafiose da generazioni e si debba già essere stati condannati per mafia in altri processi, possibilmente in Calabria o in Sicilia. Da qui le assoluzioni incredibili, la rinuncia aprioristica a contestare l’associazione mafiosa (sono “solo” trafficanti o usurai), la costruzione di una giurisprudenza arbitraria e assolutamente contra legem. La legge Rognoni-La Torre, infatti, non prevede affatto che per realizzare la fattispecie dell’associazione mafiosa debbano ricorrere le condizioni su indicate. Indica invece una via

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maestra: omertà, assoggettamento, intimidazione. La legge Rognoni-La Torre Se ci sono queste tre condizioni scatta l’associazione mafiosa per chi le produce e se ne avvantaggia. Come giustamente ha ricordato recentemente il giudice Maurizio Romanelli, “noi abbiamo considerato mafiosa la famiglia Serraino-Di Giovine” a Milano “anche se non risultavano affiliazioni formali, perché era il suo comportamento che in base alla legge risultava mafioso”.

Non solo riciclaggio Appunto. Percorrere altre strade, alzare sempre di più l’asticella (fino all’impossibile), significa solo una cosa: far proprio il pregiudizio culturale secondo cui al nord la mafia non esiste o “non fa le stesse cose che fa al sud”. Magari giustificandolo con la teoria di clan che in Lombardia pensano al riciclaggio e non al dominio territoriale. Ecco, forse sarebbe meglio che un po’ di magistrati studiassero di più.


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Lombardia

Silenzio sull'Antimafia Assediata dalle mafie, la regione stenta a sviluppare un sentire comune adeguato al pericolo. Silenzi, rimozioni... di Giulio Cavalli C’è qualcosa di sinistro nel silenzio che circonda la Commissione Antimafia del Consiglio Regionale della Lombardia in questi mesi e, più in generale, nell’abitudine nazionale alle istituzioni antimafiose trattate come merletti doverosi per consenso e smussati nell’azione: la sensazione che ci basti così. L’istituzione di una Commissione Antimafia viene celebrata, al solito, con conferenze stampa dai toni polizieschi e severi e dalla ricorrenza di nomi eroici del passato (così difficili, del resto, da scovare nel contemporaneo) insieme alle fotografie di rito. Poi poco o nulla. Qualche commemorazione in sale ben bardate o l’audizione formale di qualche saggio per riempire i verbali sono gli slanci che ci arrivano. Eppure la Commissione Antimafia ha due vie possibili da seguire per essere viva e presente e quindi utile: o essere la voce pungente di una comunicazione che

non vuole concedere spazi e pieghe all’indifferenza (in fondo è il cuore dell’azione di tante associazioni antimafia da Libera fino alle più piccole realtà locali) oppure un luogo di studio silenzioso ed operoso di pratiche amministrative e di analisi (il Comune di Milano sta lavorando sotto questo profilo). Il resto è solo una coccarda effimera e inutile per mettere a tacere le critiche. Una coccarda effimera Stupisce, del resto, che nel luogo in cui nel Consiglio comunale di Milano coordina il presidente David Gentili (che su questi temi lavora da anni nella propria esperienza politica) in Regione Lombardia ci sia Gian Antonio Girelli che pur essendo un ottima persona e un politico capace, per carità, viene da esperienze nel campo sanitario e nelle politiche sociali. Ecco, ogni tanto assale il dubbio che la Commissione Antimafia (in tutte le sue

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mille declinazioni di nome che si ritrova ad avere nelle diverse amministrazioni) sia una testimonianza che “si basta soltanto nell’esistere” come un testimonianza di impegno. Meglio poco che niente? Qualcuno dice che comunque è un inizio, certo, nella Regione dell’ex assessore Zambetti che si comprava tranquillamente voti al supermercato della ‘ndrangheta ma il dubbio, ed è un dubbio doloroso, è che in nome della pochezza passata ci si debba accontentare del brodino presente. Forse varrebbe l’adagio di Giovanni Falcone: “Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia”.


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Giornalismo

“Ho scelto di lavorare con i ragazzi perché loro sono liberi” Lo diceva Giuseppe Fava, trent'anni fa. Cosa c'è di straordinario nella storia del suo giornale, “I Siciliani”? di Antonio Roccuzzo In redazione c’erano una decina di carusi di belle speranze, un proto donna, un grafico milanese, due fototecnici ventenni, due vecchie rotative piane. A chi e perché fece paura quel giornale? Quello era un giornale libero, un miracolo nella Catania dei cavalieri del lavoro, del buio pesto nel centro storico, degli sprechi di denaro pubblico e del sistema delle tangenti, dei sindaci indagati e processati perfino per aver rubato la refezione scolastica ai ragazzini. Quella era la città della mafia che “non esiste”. La città dei cinque spari alla tempia di un giornalista, in via dello Stadio, alle 21,45 del 5 gennaio 1984. Ecco, questo c’era di straordinario in quel giornale: parlava libero. In quel giornale si poteva “parlare di mafia”. Non si taceva. Il ruolo dell’informazione è questo – parlare, parlare, parlare - e questo ci insegnò Fava: “Non c’è giornalismo senza libertà e non c’è libertà senza giornalismo”. Il punto di partenza è tutto qui. Parlare, parlare. Sfidare il silenzio. La cronaca deve rompere il silenzio, deve rompere. Se non lo fa, non è cronaca. Quel giornale fu un attimo fuggente, il mio e nostro attimo fuggente, l’incontro irripetibile con un uomo che ti insegna senza retorica a essere libero, a trovare la tua strada, a fare tesoro di un’occasione rara e negata ai tuoi coetanei. Ma trent' anni fa, Catania che luogo era? In questura, il capo della mobile andava a caccia con il boss locale. In prefettura, il

prefetto tagliava il nastro all’inaugurazione della concessionaria di auto gestita dal boss locale. Il quotidiano La Sicilia, quando nell’ottobre 1982 il boss locale fu inquisito da Giovanni Falcone per il delitto Dalla Chiesa, definì quel boss “noto imprenditore catanese”. A palazzo di giustizia, il procuratore capo e il pm di punta retrodatarono a penna la data dei carichi penali pendenti dei cavalieri del lavoro Rendo e Costanzo, per permettere loro di partecipare a gare d’appalto. La guardiania nei loro cantieri la facevano gli uomini del boss locale. In municipio, l’intera giunta era pluri-indagata per gravi reati della pubblica amministrazione. Raccontare il Sistema Nessuno raccontava quel “sistema” e quei fatti, “I Siciliani” invece sì. Da solo. Facile come fare la cronaca. Borsellino lo diceva sempre ai cronisti: “Parlatene, parlatene sempre e comunque. Non spegnete mai i riflettori su questi temi. La mafia ama il buio”. L’informazione locale a Catania invece taceva e confermava bugie collettive. Aveva ragione Thomas Mann che nel 1950 scrisse: “La vera libertà di stampa sta nel dire ciò che la gente non vuole sentirsi dire”. E proprio questo fece la redazione dei Siciliani guidata da Pippo Fava. “I Siciliani” entrò in scena all’indomani del 3 settembre 1982, omicidio Dalla Chiesa.

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Dopo quel grande delitto politicomafioso, la parola ha iniziato a prendere il sopravvento sui silenzi, perché bisognava gridare in piazza la verità terribile che quel delitto sbatteva in faccia a tutti: la mafia non più come fatto di “coppola e lupara”, ma come prima emergenza civile e politico-economica nazionale. La mafia all’assalto di Milano, la mafia in Parlamento, la mafia che si fa economia, Fava la descriveva così. Quale era il suo concetto di giornalismo? Lui scriveva nell’ottobre 1981 un pezzo intitolato “lo spirito di un giornale”: “Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizi sociali. tiene continuamente alrerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane”. Fava lo diceva ai suoi coetanei cinquantenni: “Ho scelto di lavorare con i ragazzi perché loro sono liberi”. Parlava di una rottura generazionale. Importante, come tutte quelle che avvengono nella storia delle idee. Dava ai ragazzi un esempio non retorico di mestiere. E continua a darlo, trent'anni dopo.


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Italia

La speranza e l'omertà E' crollato un regime durato vent'anni. Ma rischiamo di tenerlo in vita per scoraggiamento ed inerzia di Riccardo Orioles Dei due principali partiti progressisti, il primo - il Pd - conta fra i suoi parlamentari ben centouno “traditori” (quelli che dovevano votare Prodi) ma nessuno, nè renziani nè bersaniani nè chiunque altro, osa farne il benché minimo cenno. E’ chiaro che un partito in cui un parlamentare su quattro prima dice una cosa e poi ne fa un’altra non ha molta credibilità, indipendentemente da chi lo dirige in quel momento. Un caso tipico di omertà. *** Il secondo partito progressista, il M5S, fra un’elezione e l’altra ha perso metà dei voti. Ma è vietato parlarne, e se ti azzardi a farlo ti processano e ti buttano fuori. Anche questa è omertà. *** Intanto la produzione agonizza. Via quattro milioni di posti di lavoro. Le aziende imperterrite delocalizzano (nessuno parla mai di Marchionne: altra omertà!) e metà dei giovani è disoccupata.

E i progressisti che fanno? O inciuciano con la destra o si fanno i fatti loro. Epifani: "Irresponsabile dopo la condanna di Berlusconi far saltare il governo". Grillo: "Collaborare con l'antigovernativo Marino? Voi dite sì, e io ordino no". *** Ah, se i giovani dei due “progressisti” riuscissero a prendere in mano i loro partiti, mettendo delicatamente da parte i vecchi (e nuovi) leader ormai bolliti... La maggioranza dei votanti in Italia è per il rinnovamento, anche se divisa. Ma è sempre più scoraggiata. L'inciucio e le urla inconsulte infatti alla fine producono principalmente rassegnazione. Troppe "rivoluzioni totali" e troppi "salvataggi delle finanze" annunziati. Ormai a votare ci vanno solo i più politicizzati, metà degli italiani. Gli altri fanno già fatica a sollevare le palpebre sui telegiornali. Ormai quando i partiti vincono vuol dire che hanno perso solo un quarto dei voti.

Intanto la produzioine agonizza

Perdono “solo” un quarto dei voti

La destra è morta. Quelli che votavano Berlusconi o Lega, dopo vent'anni di promesse e spettacoli, all'improvviso si sono risvegliati in piena crisi. Si guardano attorno sempre più frastornati. A ogni elezione, la destra perde milioni di voti.

Il centrodestra dunque non c'è più, e il centrosinistra.... E dopo? Dopo, ci saranno una destra e una sinistra, com'è sempre stato. Come si comincia a vedere dappertutto, e non solo in Italia. Saranno un po' difficili da riconoscere, perché nuove. Ma questo saranno.

Promemoria Gente di provincia A Milazzo (Messina) un'altra lettera di minacce a Santo Laganà dell'Associazione Rita Atria. Si occupa di mafia e politica e in particolare di un tale Santino Napoli, molto discusso qui in entrambe le categorie. A Militello Catania) incendiata la macchina di Lucio Gambera, della locale “Gazzetta del Calatino”, considerato qui un cronista troppo curioso. Nessuno dei due è un Vip, l'Italia che conta si occupa di altre cose.

Il “centrosinistra” d'affari La vittoria dei movimenti a Messina non ha niente a che vedere col "centrosinistra" d'affari (qui il Pd è semplicemente il partito del padrone dei traghetti) ma nemmeno con Grillo, che qui era arrivato come Grande Nuotatore, con telecamere in prima fila. Neanche a Ragusa, dove il "centrosinistra" univa gli amici di Crocetta e quelli di Cuffaro, la presenza del lea-

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Promemoria Dieci obiettivi dell'antimafia sociale ● Abolire il segreto bancario; ● Confiscare tutti i beni mafiosi o frutto di corruzione o grande evasione fiscale; ● Assegnarli a cooperative di giovani lavoratori; aiuti per chi le sostiene; ● Anagrafe dei beni confiscati; ● Sanzionare le delocalizzazioni, l’abuso di precariato e il mancato rispetto degli accordi di lavoro ● Separazione fra capitale finanziario e industriale; tetto alle partecipazioni nell’editoria; Tobin tax; ● Gestione pubblica dei servizi pubblici essenziali (scuola, università, difesa, acqua, energia, strutture tecnologiche, credito internazionale); ● Progetto nazionale di messa in sicurezza del territorio, come volano economico soprattutto al Sud; ● Divieto di altre cementificazioni; ● Controllo del territorio nelle zone ad alta intensità mafiosa. Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 41: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. der ha influito granché: l'M5S ha vinto giustamente - perché localmente aveva un candidato conosciuto e perbene, sostenuto quindi da SeL e dai giovani Pd (qualcuno dei quali per castigo è stato grillato fuori dal partito). *** Addio Grandi Leader, addio "carismi"! La gente non cerca più Padri Pii politici come fino a pochi mesi fa (e come faceva da vent'anni).


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“La politica è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai leader” La politica è diventata troppo seria per lasciarla fare ai leader. Perché ora brucia davvero, sulle piccole vite quotidiane. Non ci sono salvatori supremi: questo almeno s'è cominciato a capire. Via Berlusconi, sparito Di Pietro, divorato Bossi, giù Grillo, illuso Renzi. Come negli anni iniziali, la politica di nuovo tende al collettivo. Normali cose “strane” Cose “strane”. A Messina, col pacifista Accorinti c'è l’ex comandante del Ventiquattresimo artiglieria, general Rampulla: «Ho scelto di condividere l’avventura politica di un uomo onesto che ha sempre pagato e paga le sue scelte di persona». *** Cose “strane”. A Palermo, finalmente sono riusciti a mettere nell'angolo (Messineo, Ingroia...) il pool antimafia. Non c'erano riusciti Andreotti e Provenzano. *** Cose “strane”. Avvisi di garanzia per il capo del Pd messinese Genovese e suo cognato (formazione professionale, ecc.).

Gattopardi “Ma Crocetta con chi sta?” chiede qualcuno. Con chi vuoi che stia: con Sedara, con Crispi, coi Gattopardi. Prima stava con Lombardo, il successore di Cuffaro. Adesso ha un governo rivoluzionarissimo, pieno di vecchi notabili lombardiani o Udc. Auspicabile una diffidenza dei garibaldini per lui e per tutti i suoi passati interlocutori “rivoluzionari”, dai Lumia alle Alfano; con tutte le gradazioni intermedie, che non sono poche. I problemi reali e le persone reali Ma adesso, coraggio tutti. Non è vero che non c'è niente da fare, che debbono vincere sempre quelli. E' vero soltanto che nessuno ci verrà a salvare, nè Letta né Grillo nè nessun altro. Tocca farlo da noi. E questa è la lezione messinese. *** Vincere si può, senza bisogno nè di vaffanculi nè d'industriali del vaffanculo. Basta parlare serenamente dei problemi

reali, alla gente reale, nelle strade reali. E non commettere mai l'errore di sentirsi Grandi Timonieri. La sinistra, quando ha funzionato, ha sempre funzionato così, senza sofisticherie e senza superbia. Ha avuto bandiere diversissime - e alle volte nessuna - ma non s'è mai discostata da questo semplice buon senso. Quando l'ha fatto è diventata un'altra cosa, e di questo è morta. Chi si vede: la Costituzione! Via Berlusconi. Via i dirigenti dei partiti (vecchi e nuovi). Governo di cambiamento. Confisca di tutti i beni mafiosi o da corruzione. Nuova politica industriale. E attuazione dell'articolo 41 della Costituzione: “L'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Governo di cambiamento vuol dire che vogliamo un governo che applichi la Costituzione, papale papale, niente di meno e niente di più di quello che c'è scritto. O qua bisogna fare come in Turchia?

La sinistra che vince

dall'inizio alla fine, e senza grandi leader. E hanno vinto così. Volevate sapere che cosa sono i movimenti dal basso, la famosa società civile? Eccoli: sono questi qua. Speriamo che i politologhi, i grandi esperti dei media, i cuciPacifisti, movimento NoPonte, artisti del Teatro Pinelli, stutori di alleanze e anche i grandi politici New Democrat e della diosi dei Beni Comuni, preti di periferia: a Messina la società civile s’è messa insieme, ha scelto un candidato sindaco - Rena- Democracy 2.0 (nessuno dei quali s'era minimamente accorto che nella lontana Messina stesse accadendo qualcosa) adesso to Accorinti - e l’ha portato avanti. Mesi e mesi di campagna nei quartieri: “Non vi chiediamo il tengano le zampacce lontane da questa vittoria di poveri, di voto, vi chiediamo di lottare”. E via per il prossimo volantinag- gente seria e perbene. Qua infatti si sta cominciando a ricostruire l'Italia, senza gio, per il prossimo incontro per la strada. grandi parole, così alla buona. E' una politica semplice, una paNon c'è stato bisogno di urlare insulti, non c'è stato bisogno rola banale: "democrazia". * di nessun guru e di nessun Vip. Decisioni prese tutti insieme,

Il modello Messina

Turchia-Italia

Le voci di Gezi Park "Cari amici, io e molte milioni di persone siamo qui e ora posso dirvi che la senz'azione è assolutamente magnifica. E' tutto così semplice e così veloce! Solo quando sei stato risvegliato, realizzi che il potere è sempre stato lì e che l'avevamo semplicemente dimenticato. Svegliatevi! Ciò che succede oggi qui, accadrà domani nel vostro paese, il gioco è lo stesso". Queste parole arrivano da Istanbul, dove da settimane studenti, professori, avvocati, anziani e famiglie intere protestano contro le prepotenze del potere. Perchè non sappiamo alzare la testa, come fanno gli uomini e le donne lì a Gezi Park? Eppure - per esempio a Catania – di motivi ne avremmo: - l'abbandono e il degrado, fisico e morale, dei quartieri, - il territorio "consumato"dalle ruspe e dal cemento, - il porto e il mare nascosti alla città per gli interessi di pochi; - imprenditori che con i loro "progetti di finanza" stravolgono

le nostre piazze per i loro profitti. E parliamo anche del MUOS, quel terribile strumento di guerra e morte che ci vuole imporre il governo Usa, con la complicità di quello Italiano e del presidente Crocetta che "blocca" i lavori della base sapendo che dovrà desistere. Ma soprattutto la cosa più insopportabile, il male dei mali: l'oppressione mafiosa infiltrata con prepotenza nella nostra società, locale, regionale e nazionale. Se è vero che lo Stato siamo tutti e tutte noi, si può dire che i governi - locali, regionale e nazionale - indossano solo la maschera della democrazia? E che bisogna prendere esempio dalla Turchia? E che ci vuol la forza e la costanza di una lotta pacifica che continui fino a vincere contro un potere politico e mafioso? Noi crediamo di sì. Pensiamo alle ragazze e ai ragazzi imprigionati in un sistema politico-mafioso che li vorrebbe prigionieri dell'individualismo, ognuno per sè, senza coscienza collettiva. E allora, cosa rispondiamo a quel ragazzo che lotta a Gezi Park? A lui che ci invita a svegliarci? Giovanni Caruso

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Muos/ Le carte segrete

“Io faccio Ponzio e tu fai Pilato” Un prefetto, un diplomatico Usa e una sfilza di generali e ammiragli. E un ministro della guerra e un viceministro degli esteri. Forse persino una talpa dell’Ambasciata Usa in un prestigioso istituto pubblico italiano

di Antonio Mazzeo Tutti insieme appassionatamente per individuare una strategia che consenti alle forze armate statunitensi di aggirare lo stop ai lavori d’installazione del terminale MUOS nella riserva naturale di Niscemi. Sulla pelle e alle spalle di centinaia di attivisti No war che dal gennaio 2013 bloccano gli ingressi della stazione siciliana di telecomunicazione con i sottomarini nucleari in navigazione negli oceani per impedire il transito degli operai chiamati a realizzare il nuovo sistema di guerra satellitare. A fine maggio gli hacker di Anonymus Italia hanno fatto incetta di e-mail e comunicazione riservate del Ministero degli interni. Oltre 2.600 documenti prontamente messi online che svelano le trattative del Viminale per l’acquisizione di apparecchiature d’avanguardia da usare per fini investigativi e l’affidamento al cantiere navale “Vittoria” (Adria, Rovigo) dell’ammodernamento di otto unità libiche nell’ambito dei famigerati accordi di cooperazione Italia-Libia per il contrasto all’immigrazione (un contratto da 5 milioni di euro).

Oggetto: Manifestazioni anti-Muos Ma ci sono pure le informative sulle più recenti mobilitazioni studentesche a difesa dell’istruzione pubblica e le “istruzioni” per la garantire la sicurezza ai viaggi del Capo dello Stato. E, dulcis in fundo, i carteggi tra la Prefettura di Caltanissetta, la Farnesina, il Ministero della difesa e l’Ambasciata degli Stati Uniti a Roma. Oggetto il MUOS in via di realizzazione in Sicilia. Il governo italiano è sotto il pressing delle autorità USA indispettite dal provvedimento di revoca delle autorizzazioni ai lavori del terminale terrestre di Niscemi firmato il 29 marzo 2013 dalla Regione siciliana. Ma soprattutto i militari statunitensi invocano un’azione energica contro i presidi e le azioni dirette non violente del Movimento No MUOS. Il 12 aprile, il colonnello B. Tucker, a capo dell’ufficio di cooperazione militare USA in Italia, invia una e-mail al tenente colonnello Filippo Plini e al generale Luca Goretti (entrambi in forza al Capo gabinetto del Ministero della difesa), lamentando gli effetti del blocco dei cantieri del MUOS. Il pressing americano “Per ogni giorno di sospensione dei lavori, il governo degli Stati Uniti d’America perde 50.000 dollari”, scrive l’ufficiale. “Il sito deve diventare operativo non più tardi del dicembre 2014 per non pregiudicare la missione. In conseguenza di tutti questi ritardi, abbiamo la necessità di tornare a lavorare immediatamente per rispettare questa data operativa”. Due ore prima, in altra e-mail indirizzata al colonnello Plini, il responsabile dell’ufficio di cooperazione militare aveva stimato il danno economico generato dalla sospensione dei lavori tra i 43 e i 53.000 dollari al giorno, più i costi per il personale. “Le azioni degli attivisti – conclude il colonnello

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Tucker - impediscono che il personale civile faccia ingresso nella base per eseguire la manutenzione degli impianti di radiotrasmissione che nulla hanno a che fare con il MUOS o di altri impianti come quello di potabilizzazione dell’acqua guasto da qualche giorno”. “Tolleranza zero” Le considerazioni dei militari USA mettono in allarme il governo Monti. Le forze dell’ordine sono chiamate alla tolleranza zero con le proteste, mentre vengono attivati prefetti e questori per individuare una soluzione con la giunta del presidente Rosario Crocetta che consenta perlomeno le opere di predisposizione delle mega-antenne a Niscemi. Il 16 aprile, con una e-mail inviata alle ore 8.20 al viceministro degli esteri Staffan de Mistura (oggi commissario straordinario del governo Letta per sbloccare la vicenda dei fucilieri di Marina accusati in India di omicidio), il prefetto di Caltanissetta Carmine Valente risponde alle considerazioni “sollecitate” dall’interlocutore. “Dopo la riunione di ieri a Palazzo Chigi sembra che la situazione di empasse in cui ci si trova sull’argomento MUOS possa essere superata, anche alla luce di una conversazione informale avuta oggi con Crocetta”, esordisce il prefetto. L'imbarazzo di Crocetta “Il Presidente in effetti ha manifestato imbarazzo a ritirare la revoca in quanto non sarebbe sostenuta da alcuna motivazione plausibile e perché, alla luce dell’accordo politico raggiunto lo scorso 11 marzo, è stata accettata pubblicamente anche dal Governo nazionale la tesi che le autorizzazioni rilasciate precedentemente dalla Regione Siciliana presentassero vistose lacune sotto il profilo ambientale e sanitario”.


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“Ma a Palermo non avrebbero troppe remore a concederci una deroga alla revoca dei lavori” Valente spiega tuttavia di aver percepito che a Palermo “vi sarebbero poche remore a concedere una deroga alla revoca per la prosecuzione di alcuni lavori ben definiti, nelle more della decisione della Commissione istituita presso l’Istituto Superiore di Sanità”. A tal fine, il prefetto suggerisce che il Ministero della difesa presenti alla Regione una richiesta di autorizzazione “di un numero limitato di lavori, indicati anche solo di massima, da portare a termine entro il prossimo 31 maggio”, data fissata originariamente (ma non rispettata) per la consegna degli studi I.S.S. sui rischi elettromagnetici del MUOS. “Tale richiesta diventerebbe oggetto di una Conferenza di servizi durante la quale la Regione accetterebbe il prosieguo di alcuni lavori in deroga”, conclude Valente. “E così la Regione accetterebbe” Mercoledì 17 aprile, alle ore 22.36, il viceministro degli esteri trasmette una raccomandazione al prefetto di Caltanissetta. “Le sarei grato di tenerlo a mente perché se le liste arrivano, mi sono impegnato a suo nome e alla luce di ciò che ha detto di fare si (sic) che gli operai addetti ad opere non MUOS possano avere accesso alla base”, scrive Staffan de Mistura. In effetti, il viceministro si era rivolto qualche attimo prima a Douglas C. Hengel, vicecapo missione dell’ambasciata Usa a Roma, per concordare l’iter da seguire per ottenere dalla Regione siciliana una deroga al divieto di avanzamento dei lavori nel sito di Niscemi. “Dear Doug, quanto segue relativamente a quanto discusso nell’ultima info con il prefetto Valente”, esordiva de Mistura. “Per superare le revoche avremmo bisogno con urgenza da parte delle autorità della base o del ministero della difesa italiano una lista che indichi specificatamente che sono necessari nel posto lavori non relativi alle parabole MUOS. Le liste dovrebbero includere il numero stimato di contractor civili richiesti per que-

sti lavori. La lista che deve essere indirizzata formalmente al governatore Crocetta, con una copia al prefetto, consentirebbe a quest’ultimo di essere in una posizione che assicuri quotidianamente il passaggio (a dispetto delle revoche) dei contractor richiesti, per lavori ordinari fino al 31 maggio quando finisce il divieto. Relativamente ai passi legali del ministero della difesa italiano con oggetto le revoche, essi andranno sicuramente avanti con la speranza che verranno accolti dalle autorità competenti”. Tra i file in mano ad Anonymus Italia compare altresì la nota che sempre il 17 aprile il diplomatico Douglas C. Hengel aveva inviato al viceministro sollecitando una soluzione che consentisse l’ingresso dei tecnici e delle imprese appaltatrici all’interno della base. “La nazione ospitante ha l'obbigo...” “Abbiamo la necessità che i contractor del MUOS facciano ritorno al sito per spegnere e altrimenti mettere a sicuro le attrezzature a cui essi stavano lavorando”, scrive Mr. Hengel. “Quando hanno lasciato il sito l’ultima volta, si aspettavano di tornare il giorno successivo e così non si sono portate via le attrezzature di monitoraggio e altre cose connesse che non dovrebbero restare in questo stato per lungo tempo. O così mi è stato raccontato. Pertanto i nostri militari a Sigonella lavoreranno con l’ufficio del Prefetto perché alcuni contractor (non so’ quanti) abbiano accesso al sito. Quando ciò accadrà, le persone che ci stanno osservando vedranno i contractor lavorare al MUOS”. “Voglio farti sapere – aggiunge Douglas C. Hengel - che stiamo per inviare al Ministero affari esteri una nota diplomatica con un documento per asserire il nostro diritto di accesso secondo il NATO SOFA

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(lo Status of Forces Agreements che stabilisce il quadro giuridico generale entro cui opera il personale militare statunitense in Italia, nda), compreso quello dei contractor accreditati come rappresentanti tecnici, alle installazioni militari cedute in uso alle forze armate USA. La nazione ospitante ha l’obbligo di assicurare l’accesso alle persone coperte dallo status SOFA nei siti che ci sono stati ceduti”. I rischi elettromagnetici Il diplomatico parla poi dell’intenzione del Movimento 5 Stelle di effettuare un’ispezione parlamentare a Niscemi. “Il Ministro della difesa ha ricevuto oggi una richiesta per una visita da parte di 9 parlamentari di M5S al sito NRTF/MUOS. La richiesta è stata spedita al Ministero Affari Esteri e poi a noi. Noi supporteremo la loro visita”. Hengel spiega infine di seguire con attenzione i lavori del comitato dell’Istituto Superiore di Sanità che analizza i possibili rischi elettromagnetici del MUOS, lasciando intendere di poter disporre d’informazioni di prima mano. “Ieri ho parlato con Carpani al Ministero della salute. Noi c’incontreremo con il ministro la prossima settimana per un aggiornamento sullo studio”. La persona chiamata in causa potrebbe essere il Capo di gabinetto del Ministero della salute Guido Carpani, già vicedirettore della segreteria generale della Presidenza della Repubblica dal 2001 al 2012 (presidenti Ciampi e Napolitano). “Ecco che cosa deve fare la Regione” Giorno 18 aprile, alle ore 17.05, il Capo di gabinetto del Ministero della difesa, ammiraglio Vanni Nozzoli, invia un messaggio al prefetto Carmine Valente per delineare le modalità d’intervento presso la Regione siciliana affinché vengano definite le attività da autorizzare all’interno della base di Niscemi. “Concordiamo sul fatto che la Difesa è l’interfaccia con gli


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“L'assessore sa tutto e aspetta la nostra lista”

USA per i lavori e intenderemmo informare la Regione per il Suo tramite”, scrive l’alto ufficiale. In attachment alla email c’è un documento-bozza stilato in accordo con il viceministro De Mistura e l’Ufficio di Cooperazione per la Difesa (ODC) dell’Ambasciata USA che delinea i principi da seguire per assicurare l’ingresso a Niscemi dei contractor USA. L'accordo Ministero-Ambasciata “Gli operai civili devono poter entrare sempre nel Parco antenne (esistenti ed operanti da tempo)”, vi si legge. “In quanto autorizzato e funzionante serve l’accesso di operai civili per la manutenzione ordinaria”. Per gli impianti MUOS in costruzione, si precisa che “gli operai civili devono entrare regolarmente” in quanto “è necessario assicurare la manutenzione e la riparazione di eventuali avarie di impianti di sicurezza e di quanto già realizzato anche per prevenire inconvenienti”. Nel documento si specifica altresì che “sarà cura di ODC preparare elenco e tipologia dei lavori e ditte/operai coinvolte sia per gli impianti NRTF che MUOS”. “Il montaggio delle parabole e i lavori di costruzione delle torri sono sospesi fino all’acquisizione dello studio ISS (31 maggio) come concordato nella riunione del 15 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri”, annota ipocritamente l’estensore della bozza. Infine il protocollo da far sottoscrivere al governatore Crocetta e al Ministero della difesa. “In quanto titolari dell'area” La Proposta dell’attività presso il sito di Niscemi nella attuale situazione a fronte delle revoche emanate dalla Regione Siciliana si apre con l’assunto che “il personale militare US e quello militare nazionale devono sempre poter entrare/uscire dal sito in quanto concessionari/titolari dell’area”. “Il personale civile US e il personale di ditte/operai italiani coinvolti nel

funzionamento degli impianti e infrastrutture NRTF devono poter entrare/uscire per le attività quotidiane e la riparazione degli apparati radio, antenne, impianti elettrici, generatori elettrici nonché interventi in occasione di avarie e malfunzionamenti essenziali per la piena funzionalità del sistema”, si legge al punto 2. Relativamente ai cantieri del MUOS, la proposta di accordo Stato-Regione assicura la completa libertà di movimento al personale civile statunitense e a quello italiano “onde garantire la messa in sicurezza delle costruzioni e dei sistemi” e per “intervenire in particolare in caso di imprevisti, previa tempestiva informazione mediante la locale Prefettura”. Il protocollo priva la Regione siciliana da qualsivoglia controllo e verifica degli interventi autorizzati. “Il Prefetto competente per territorio sarà preventivamente informato sullo svolgimento delle entrate/uscite, mentre il comandante dell’aeroporto di Sigonella, o suo delegato, assicurerà il rispetto di tutte le restanti attività previste alla NRTF e ai cantieri MUOS”. “Come dirlo alla cittadinanza?” Nel tardo pomeriggio del 17 aprile è il prefetto di Caltanissetta a rivolgersi via iPhone al Capo di gabinetto Nozzoli. “Il mio intervento con il Vice ministro De Mistura – scrive Carmine Valente - è servito a chiarire che il passaggio dei civili per la manutenzione ordinaria della base non si è mai interrotto se non quando non siamo riusciti a far passare il messaggio che si entrava davvero per fare quella, mentre lavori al MUOS oggi si potrebbero fare soltanto ottenendo una deroga dalla Regione rispetto al provvedimento di revoca”. Il prefetto chiede che sia il Ministero della difesa a presentare la “richiesta per poche attività legate al MUOS senza

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che queste inficino lo spirito della revoca”. “Tengo a confermarle che l’Assessore Lo Bello la sta aspettando”, aggiunge. “In tal modo eventuali osservazioni è giusto siano sollevate direttamente tra di voi. Sono a disposizione successivamente a farmi parte attiva per la comunicazione alla cittadinanza di Niscemi”. Valente suggerisce però di agire con molta cautela onde non irritare ulteriormente gli attivisti che presidiano le vie di accesso alla base. “Mi preme far osservare che lavori corposi che implichino l’utilizzo di molti operai civili non sarebbero accettati e sarebbe difficile farlo comprendere alla popolazione. Inoltre consideriamo che il 31 maggio è davvero dietro l’angolo e quindi forse non forzare troppo la mano sarebbe consigliabile”. “Lo Bello sa tutto e aspetta” Il 18 aprile alle ore 17.29 giunge l’Ok di Staffan de Mistura alla bozza da sottoporre alla Regione. Prima però si registra uno scambio di e-mail tra lo stesso viceministro, l’ammiraglio Nozzoli, il ministro della difesa Giampaolo Di Paola e il diplomatico statunitense Doug G. Hendel. In una, in particolare, de Mistura suggerisce a Hendel di “estendere il valore e l’utilità” della lista dei contractor da sottoporre alla Regione siciliana e alla Prefettura di Caltanissetta oltre che ai lavori di ordinaria manutenzione della base anche a quelli del MUOS. L’idea era venuta a Carmine Valente. “Stamani ho parlato con l’ass. Lo Bello che sa tutto e aspetta questa lista”, aveva annotato il prefetto nella tarda mattinata del 18 aprile 2013. Lo stesso giorno, Douglas C. Hendel si mostra comunque irritato di dover interloquire con il governo siciliano. “Ti risponderò questo pomeriggio”, scrive il diplomatico a de Mistura. “Noi non vogliamo essere visti che negoziamo con Crocetta su cosa possiamo e non possiamo fare. Il nostro accordo sul MUOS è con il Ministero della difesa”.


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“E alla fine la Regione firma tutto”

“Infuriati i militari” Il 22 aprile viene stilata la bozza finale da sottoporre all’Assessorato ambiente e territorio della Regione siciliana. L’ammiraglio Vanni Nozzoli ne invia copia al viceministro degli esteri, al prefetto di Caltanissetta, all’ambasciata USA in Italia e ai generali Paolo Romano e Luca Goretti. “L’intendimento è di darne conoscenza anche alla Procura una volta definita”, scrive il militare. “Al riguardo chiedo cortesemente una vostra condivisione ovvero eventuali osservazioni prima di procedere. Ciò anche alla luce dei fatti di oggi”. In mattinata quattro attivisti No MUOS avevano fatto ingresso nella base di Niscemi e si erano arrampicati in cima alle antenne del sistema NRTF. Due di essi, Turi Vaccaro e Nicola Boscelli, erano stati poi arrestati e condotti a Caltagirone per comparire davanti all’autorità giudiziaria. Il blitz, ovviamente, aveva mandato in tutte le furie i militari di Sigonella e il corpo diplomatico statunitense. Nozzoli rigira al prefetto la nota di protesta ricevuta dal vicecapo missione Hengel. “Caro Vanni, è stato pubblicato che quella in corso è stata denominata la Settimana di protesta da parte del gruppo No MUOS. Vedi http://www.nomuos.info/en/la-resistenzaunisce-le-lotte-settimana-resistente-21-28aprile/”, scrive il funzionario USA. “Dato quanto accaduto oggi, noi chiediamo che venga distaccata una forza militare di sicurezza italiana aggiuntiva per assistere le nostre forze alla NRTF per il resto della settimana. Alcune forze di sicurezza del 41° Stormo erano nel sito oggi e sono state molto apprezzate. Non vogliamo che si ripeta quanto accaduto stamani — siamo felici che nessuno si sia ferito seriamente. Forze di sicurezza addizionali possono aiutare a prevenire che ciò possa avvenire ancora”. Il 23 aprile il Capo di gabinetto del Ministero della difesa si rivolge direttamente all’assessore regionale Marisa Lo Bello.

“Illustre Assessore – scrive Nozzoli - le invio una scheda con la quale intendiamo formulare una proposta per condividere un quadro chiaro della situazione/esigenze dei lavori/attività nel sito di Niscemi (Parco antenne esistente e MUOS), tenuto conto di quanto concordato nelle riunioni e a seguito delle revoche emesse dalla Regione. Riteniamo che un quadro chiaro e condiviso possa consentire di affrontare meglio la situazione in atto e prevista nei prossimi giorni, contribuendo a istaurare un clima più disteso. Posto che siamo a disposizione per chiarimenti/approfondimenti, qualora condiviso propongo di concordare un modo per ufficializzarlo congiuntamente. Ovviamente il Prefetto è a conoscenza di questa iniziativa”. Un accordo a tempo di record Il contenzioso con la Regione viene risolto in tempi record. La mattina seguente il prefetto Valente scrive a Vanni Nozzoli: “Caro Ammiraglio. Ho avuto modo di parlare con l’Assessore Lo Bello, mi ha assicurato che la scheda è condivisibile e che rispecchia esattamente quello che ci eravamo detti a Roma nell’ultima riunione. Stava pertanto preparando una risposta in tal senso”. Il funzionario esprime però un certo disappunto per la decisione dei giudici di scarcerare i due pacifisti arrestati dopo l’introduzione all’interno della base USA. “Brutto segnale, i pacifisti scarcerati” “Apprendo ora che gli ultimi due che sono saliti sull’antenna sono stati scarcerati dal gip di Caltagirone e portati in trionfo a Niscemi”, scrive Valente. “Non è un buon segnale”. “Concordo sul brutto

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segnale e speriamo che con una maggiore chiarezza si riduca la tensione”, risponde Nozzoli. “Grazie comunque, caro Prefetto. Trovare la condivisione della Regione è importante per tutti”. L'ok della Regione L’atto ufficiale dell’Assessorato regionale all’ambiente e territorio giunge il 3 maggio 2013 e reca la firma del dirigente generale Vincenzo Sansone. “Relativamente alla scheda proposta – vi si legge fermo restando che questo Assessorato non ha mai impedito alcuna azione all’interno della base, nulla osta a che vengano effettuati interventi di manutenzione e messa in sicurezza degli impianti, demandando al Prefetto e al Comandante di Sigonella la vigilanza sulle attività svolte all’interno della base”. Pace fatta tra Regione, governo nazionale e Washington mentre Crocetta & C. salvano la faccia e l’onore. O quasi. “I contenuti emersi dalle e-mail tra vari soggetti istituzionali portano allo scoperto, da un lato, la determinazione da parte del governo a tutelare in ogni modo gli interessi degli Stati Uniti e, dall’altro, l’apertura della Regione al completamento dei lavori del MUOS”, commenta l’avvocata Paola Ottaviano del Coordinamento regionale dei Comitati No MUOS. “Non capiamo che senso abbia completare la predisposizione delle parabole, senza installarle, se poi dovesse essere provato che le autorizzazioni non potevano essere in alcun modo concesse. Nello stesso tempo, la recente decisione del Tar di Palermo di richiedere ulteriore documentazione all’avvocatura di Stato per giustificare la legittimazione ad agire del ministero della difesa contro la revoca delle autorizzazioni, fa sperare che prima o poi tutti i nodi vengano al pettine. Per porre fine a questo progetto insostenibile e mettere in luce tutte le responsabilità di chi lo ha permesso”.


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Solidarietà

Lettera da Istanbul di * * * Cari amici miei, ecco un riassunto di quello che sta succedendo qui a Istanbul in questi ultimi giorni. Alcuni fra voi potrebbero pensare che la Turchia sia uno "stato islamico moderato", come l'attuale governo degli Stati Uniti vorebbe vederlo. Ma noi non lo siamo! La Turchia è "una repubblica democratica laica" dal 1923. Anche se la popolazione è prevalentemente musulmana, lo Stato è al 100% laico grazie al fondatore della Repubblica Turca, Mustafa Kemal Ataturk. A noi, donne turche, è stato dato il diritto di voto nel 1934, molto prima di diversi altri paesi (1944-Francia, 1946 Italia-solo per citarne alcuni). La costituzione turca definisce che una persona è un cittadino di questa repubblica indipendentemente dalle origini etniche, religiose, socio-culturali. Ogni volta che l'AKP (il partito di governo attuale) è stato eletto, ha aumentato con forza la pressione sui nostri stili di vita e sulla libertà di espressione. Sopratutto nell'ultimo periodo le azioni dell'AKP e del primo ministro Erdoğan sono diventati sempre più opprimenti. Chi osa parlare contro di loro si ritrova o in carcere (alcuni giornalisti e quasi tutti i funzionari di alto

grado dell'esercito che sono ancora in attesa di un atto di accusa nel loro quarto anno di detenzione illegale) oppure sono completamente zittiti (soprattutto i media). Il coinvolgimento fuori luogo della Turchia negli affari della Siria (nonostante il motto di Ataturk: 'pace nel paese, pace nel mondo'), il silenzio dei media per quanto riguarda il recente attentato nel sud della Turchia (Reyhanlı), la detenzione ingiusta di ufficiali dell'esercito e giornalisti, il tentativo dell'anno scorso per vietare l'aborto, il divieto di vendita di alcol dopo le 22 in un paese dove la bevanda nazionale èil "raki" il tentato divieto di utilizzo dei rossetti rossi dalle hostess della compania aerea Turkish Airlines, la rimozione del servizio di bevande alcoliche in molte compagnie aeree turche, la cancellazione di celebrazioni nazionali, il blocco da parte della polizia dei cittadini che marciavano con le bandiere turche durante la Festa della Repubblica nella capitale Ankara, e, infine, l'uso eccessivo e sproporzionato della forza e del gas lacrimogeno da parte delle forze di polizia hanno fatto perdere la pazienza a una gioventù prevalentemente apolitica. In sostanza, il Primo Ministro ci ha voluto imporre, cosa bere, quanti bambini avere, che tecniche di parto utilizzare (è contrario al cesareo), cosa festeggiare e cosa non festeggiare. Quello che era iniziato come una manifestazione pacifica e democratica per salvare gli alberi di Gezi Park, nel cuore di Istanbul, si è trasformata in una pubblica indignazione contro l'ingiustizia. Le persone per le strade in tutta la Turchia e in molte città di tutto il mondo stanno cercando di esprimere la nostra semplice causa: “ non diteci come dobbiamo vivere”. Le persone che vedete sulle notizie non sono solo i manifestanti, sono persone ordinarie come me e un sorprendente numero di miei amici che gridano la loro indignazione. Non ne possiamo più! Dopo tanti anni, abbiamo di nuovo speranza per il futuro di questo paese. Il livello di maturità, la buona volontà e la solidarietà dei manifestanti pacifici ci dà speranza per un futuro migliore. I media nazionali, controllati dal gorverno, non danno risalto né spazio a quello che sta succedendo in questi giorni. Twitter, Facebook, Whatsapp e Sms sono stati la nostra principale fonte di informazione e di comunicazione. Grazie per il vostro ascolto.

A fianco: il numero di giugno del foglio dei Siciliani giovani. Diffondetelo nella vostra città.

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Città

L'altro ieri

a Istanbul

ALESSANDRO ROMEO

La parola Istanbul una volta significava “la città”. Una città del mondo, piena di esseri umani che vivono quotidianamente la loro vita finché una tirannia non le cozza contro. Questa è la Istanbul del giorno prima foto di Simone D'Amico, Alessandro Romeo, Yigit Cenarli testo di Delizia Flaccavento I Sicilianigiovani – pag. 17


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La lezione di Gezi Park La protesta di Gezi Park ha mostrato alla comunità internazionale il volto migliore della Turchia: pacifico, coraggioso, aperto, tenace ed ingegnoso. Cominciata come protesta ambientalista contro la distruzione del Gezi Park per fare posto all’ennesimo centro commerciale e cresciuta dopo la gratuita violenza usata dalla polizia per disperdere i pacifici manifestanti, il parco di Piazza Taksim è diventato il simbolo della rivolta contro il governo autoritario di Recep Tayyip Erdoğan, che, soprattutto dopo le ultime elezioni, credendo che la maggioranza ottenuta fosse abbastanza da mettere a tacere il resto della popolazione, ha premuto l’acceleratore sull’islamizzazione del Paese iniziata dieci anni fa.

ALESSANDRO ROMEO

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ALESSANDRO ROMEO

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Dimostranti inermi Intimidazioni nei confronti dei media al punto che il 31 maggio, quando la polizia ha attaccato i dimostranti inermi che cercavano di raggiungere Taksim, nessun canale televisivo ne ha dato notizia; arresti di giornalisti, intellettuali ad artisti (basti pensare, di recente, ai casi del pianista Fazil Say, del giornalista Ahmet Şık e di Turkan Saylan, fondatrice dell’Associazione Turca per il Supporto della Vita Contemporanea); la gentrificazione di molte parti storiche di Istanbul, da dove gli abitanti originari sono stati mandati via e le loro case distrutte per lasciare il posto a hotel, residence e palazzi esclusivi; forti restrizioni alla legge sull’aborto (legale in Turchia dal 1983) e limitazioni alla vendita di alcol, sono alcuni dei motivi della protesta, al di là del piano di distruggere il parco. Girando per Gezi Park, ci si rende conto di quanto diffuso sia il malcontento: ci sono studenti universitari e pensionati, lavoratori e disoccupati, curdi, aleviti, nazionalisti, musulmani anticapitalisti, kemalisti e comunisti, persone che hanno votato per il partito di Erdoğan, ma non si sentono rappresentati dal suo operato paternalistico ed autoritario. Tra i manifestanti, più della metà sono donne, giovani e meno giovani, che il governo di Erdoğan ha relegato sempre più al ruolo esclusivo di mogli e madri.

ALESSANDRO ROMEO

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ALESSANDRO ROMEO

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SIMONE D'AMICO

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Lezione di democrazia Il clima a Gezi Park è gioioso e pieno di speranza: c’è chi canta, chi legge, chi intona cori per chiedere le dimissioni di Erdoğan, chi discute sul da farsi perché la protesta produca dei risultati concreti, chi disegna vignette satiriche, chi formula slogan arguti, chi gioca a pallavolo. I protestanti si organizzano per pulire il parco ed aiutano gli operatori ecologici che giornalemente portano via l’immondizia. Chi può porta da mangiare, ed il cibo viene distribuito gratuitamente. Ci sono un centro medico, uno veterinario ed uno ricreativo per i bambini dei manifestanti, una biblioteca ed un’area con la televisione per chi la notte non riesce a dormire. Laddove la stampa non ha fatto il proprio dovere, i giovani turchi hanno usato i social media, prontamente demonizzati da Erdoğan, per mostrare al mondo cosa sta succedendo. In un Paese diviso e polarizzato, dove il 70% della popolazione è al di sotto dei 30 anni, sono stati proprio i giovani a dare una lezione di democrazia ed un messaggio inclusivo ed apartitico, che mira solo ed esclusivamente a combattere ogni forma di fascismo ed a promuovere i diritti umani, dell’ambiente e la libertà di espressione. È la prima volta che così tanti turchi si uniscono per chiedere una sana democrazia che ascolti le voci del dissenso. Comunque vada a finire con il Gezi Park, questa è già una vittoria storica.

ALESSANDRO ROMEO

YIGIT CENARLI

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Mafie a Roma

Tre omicidi in un giorno e minacce a una sindaca coraggiosa L'ombra della Banda della Magliana e l'incubo di una guerra di mafia negata

Poi quella casuccia vista lago gli è stata sequestrata (uno dei pochi casi dell'applicazione della legge La Torre nei confronti degli associati alla Banda della Magliana, avvenuto nel '96). E una donna – non sia mai – sindaco del paesino, applicando alla lettera la legge La Torre ha affidato due settimane fa a Libera che ai Castelli Romani è molto attiva con un bel gruppo la domus Nicoletti.

di Pietro Orsatti

Una busta con una pallottola Castel Gandolfo è un paese alle porte di Roma con una vista mozzafiato sul lago da un lato, sulla capitale e la pianura fino al mare dall'altro. Un antico borgo cresciuto attorno a conventi e luoghi di culto e famoso in tutto il mondo come sede estiva del Papa. Un bel posto davvero. A Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana, Castel Gandolfo doveva piacere assai visto che andò a comprarsi proprio sulle rive del lago una villa. Parliamo di quel Nicoletti che veniva considerato negli anni '80 il genietto degli investimenti a rischio zero non solo dai suoi compari delle "batterie" che operavano all'ombra del cupolone, ma anche dalle organizzazioni mafiose che si erano insediate già dalla fine degli anni '60 (come hanno raccontato fra l'altro i pentiti Buscetta e Calderone) o volevano accedere - tanto per fare un esempio i ragazzi del clan dei Casalesi - alla ricca torta romana.

L'amico dell'onorevole e avvocato Vitalone, anche se quest'ultimo ha sempre negato, l'ex carabiniere che si alleò con i “testaccini”, uomo anche lui, come il capo Enrico De Pedis (ucciso in pieno centro nel '90), con rapporti e contatti nelle aree dell'estremismo nero, con pezzi dei servizi, con i principi del foro all'opera nel tribunale delle nebbie, con la finanza oscura dello Ior, con le famiglie “formali” di Cosa nostra a Roma, con Calvi e Sindona e Pippo Calò. Quel Nicoletti lì, che iniziò da strozzino fino a diventare custode degli affari della Banda e dei suoi soci. Immensamente ricco E torniamo a Castel Gandolfo, Enrico Nicoletti (diventato nel corso della sua attività illegale immensamente ricco) decise quindi un bel giorno di comprarsi la villa a Castelgandolfo. Un investimento benedetto, deve aver pensato, vista la santità dei luoghi.

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Una bella cosa, no? Certo. Se non fosse che il 13 giugno esce la notizia di una busta con tanto di pallottola calibro 22 e grazioso bigliettino di accompagnamento indirizzata al sindaco: “Saluti dalla Magliana”. Tutto qua. Sembra di tornare indietro nel tempo. Ma non è così. “Non mi faccio intimidire, anzi vuol dire che sono sulla strada giusta - ha commentato Monachesi - Potrebbe trattarsi di un'intimidazione politica, visto che a qualcuno dà fastidio la mia politica della trasparenza. Oppure di qualcosa di connesso all'inaugurazione del Castellett0, confiscato alla banda della Magliana nel '96 e affidato a noi nell'ottobre 2012, e inaugurato in collaborazione con Libera domenica scorsa”. Bene la prudenza nell'indicare la mano dell'intimidazione, ma è evidente che il sindaco di Castel Gandolfo non sembra avere dubbi si chi possa essere la firma della missiva.


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“La banda della Magliana esiste ancora”

A sinistra: Enrico Nicoletti e la villa sequestrata . In basso: la sindaca di Castelgandolfo, signora Monachesi. “Non mi lascio intimidire” ha detto dopo aver ricevuto il messaggio intimidatorio dei boss.

Da quel momento è diventato improvvisamente palese e pubblico quello che i romani (perfino quelli meno informati) sanno da tempo ma che nessuno osa dire: che la Banda non è finita con la morte e la strana sepoltura di De Pedis, che le “batterie” hanno scelto per più di un decennio di tenere un profilo basso ma certo non si sono sciolte. Che sia vecchie seconde linee della Banda della Magliana di allora che molte nuove leve hanno tenuto in piedi la tradizione criminale (organizzata) a Roma. L'organizzazione criminale, la Banda della Magliana, più vicina a una forma di struttura mafiosa. E che ai sodalizi tradizionalmente mafiosi fornirono per anni manovalanza, consulenze, gestione del territorio e accesso a rapporti e ambienti nella capitale. E Nicoletti, proprio per il suo ruolo all'interno di quell'organizzazione, per anni ne è stato simbolo e motore. Nella guerra di mafie meno raccontata d'Italia, quella in corso da almeno tre anni a Roma per il controllo del racket delle estorsione, degli appalti e del traffico internazionale di cocaina, di ex vecchi della Banda della Magliana e di nuovi emuli di De Pedis & co ce ne sono finiti parecchi. Come anche alcuni loro ex “soci” dell'eversione nera. Qualcuno è morto, qualcuno è stato ferito, altri si sono dileguati cambiando aria. Perché in questa guerra, come abbiamo già raccontato negli scorsi numeri de I Siciliani giovani, che ha già fatto 67

morti in 32 mesi fra Roma e hinterland di ex che ex non sono ne compaiono parecchi. E questo bilancio di sangue è estrapolato dalla cronaca e non da dati ufficiali che ad oggi non esistono, perché, e lo ripetiamo per l'ennesima volta la parola “mafia” a Roma è ufficialmente bandita. Nonostante gli ex della Magliana, Cosa nostra, Casalesi, camorra napoletana e 'ndrangheta operino da decenni nella capitale e qui ingrassano e prosperano.

magistratura che di politica e stampa è minimizzare. Come nel martedì di sangue. Tre omicidi in un giorno solo. Prime ore della mattina del 28 maggio nel quartiere di Tor Sapienza un uomo di 62 anni, pensionato con un piccolo precedente per droga risalente al 2004, ucciso per strada con un unico colpo di pistola alla testa. Un’esecuzione. Poche ore dopo, a Focene sul litorale nord vicinissimo a Fiumicino, un uomo suona alla porta di una casa. Apre un quarantenne. Un altro colpo alla testa. Un’altra esecuzione. Non è ancora finita. Anzio, sempre litorale questa volta a sud. Vengono sparati più colpi contro due giovani a bordo di un’automobile. I due cercano di fuggire ma vengono inseguiti e raggiunti dai killer. Bilancio, un 23enne morto e il suo amico di 22 anni in fin di vita in ospedale. L’ultimo omicidio del genere, un’altra esecuzione, era avvenuto poco tempo fa, la vigilia di Pasqua, in un bar di Tor Bella Monaca.

Nel 2010 Antonio Mancini, detto l'accattone, durante un'intervista era stato molto esplicito: “La Banda della Magliana esiste ancora, ha usato e continua ad usare i soldi di chi è morto o è finito in galera. Forse non ha più bisogno di sparare. O almeno, di sparare spesso”. Poi ha avuto inizio un bagno di sangue. Nel silenzio generale. E proprio grazie al silenzio difficile da interpretare. Sì, difficile, se non impossibile quando la parola d'ordine sia da parte di polizia e

Altro ch e”coincidenze”

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Questa la cronaca, in sintesi. Difficile definire “una coincidenza” tre fatti di sangue del genere nello stesso giorno. Un giorno particolare, poi. Con i seggi per le elezioni amministrative di Roma appena smontati e con l’ufficializzazione dei risultati data solo qualche ora prima. Ma questa storia, quella che non prevede coincidenze, è ancora tutta da scrivere.


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Mafia e banche

I soldi sporchi di Cosa Nostra Il gruppo Graci (uno dei “cavalieri dell'apocalisse mafiosa” denunciati da Fava e Dalla Chiesa) e i suoi rapporti con la Sicilcassa Giorgio Bongiovanni

Da parte sua, la mafia siciliana dava la propria disponibilità a compiere il “lavoro sporco” per conto dello Stato-mafia, si trattasse di far saltare in aria un'autostrada o mettere a tacere chi veniva percepito come una minaccia. Nel momento in cui, nei primi anni '90, questa pacifica convivenza si incrina, attraversa una fase di crisi e di transizione, ecco che si verifica il fallimento di una delle banche più importanti della Sicilia.

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Una banca fortemente controllata

Il fallimento della Sicilcassa, la seconda banca della Sicilia, apre un preoccupante scenario che in qualche modo si collega con lo storico rapporto che Stato e mafia hanno da sempre coltivato, fin dalle stragi del '92 dove morirono Falcone e Borsellino e da quelle del '93 a Roma, Firenze e Milano, fin dalla strage Chinnici, fin dall'attentato al generale Dalla Chiesa e agli altri delitti eccellenti perpetrati da Cosa nostra.

Una banca fortemente controllata da Cosa nostra, che vede coinvolti nomi come Gaetano Graci, Cavaliere del Lavoro di Catania ritenuto vicino agli ambienti mafiosi (in particolare al boss Nitto Santapaola) e sospettato persino di essere il mandante dell'uccisione del giornalista Giuseppe Fava. È proprio il gruppo Graci ad aver creato il più grave deficit patrimoniale della Sicilcassa. I liquidatori hanno potuto recuperare solo 194 milioni di euro dei 640 persi. Alcuni di questi si trovano ancora oggi all'estero, intestati agli eredi Graci e quindi intoccabili. Negli ultimi anni la mafia siciliana ha subito confische patrimoniali del valore di centinaia di milioni di euro. Le forze dell'ordine in Sicilia sono riuscite a mettere le mani su imperi economici nel campo del gas (il sequestro di 48 milioni di euro agli eredi di Ezio Brancato, socio di Gianni Lapis), per non parlare del capitale del valore di ottocento milioni a Michele Aiello, prestanome di Provenzano.

Lo scandalo, scoppiato nel 1997 e quindi qualche anno dopo la trattativa, è un segno chiarissimo che la mafia ha voluto dare alle istituzioni. Il movente che più ha spinto Cosa nostra a scatenare una guerra contro lo Stato è il timore che quest'ultimo arrivi a confiscare i suoi patrimoni, vera linfa vitale del potere mafioso. Per quieto vivere, era quindi indispensabile trovare un accordo: “Facciamo la guerra per poi fare la pace” disse Totò Riina nel corso di una riunione della Cupola ad Enna.

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Il patrimonio di Messina Denaro Anche il patrimonio del boss latitante Matteo Messina Denaro è stato minato dalle recenti operazioni, come nel caso della confisca di beni nel settore dell'eolico (un miliardo e trecento milioni gestiti dal presunto prestanome di Matteo Messina Denaro, Vito Nicastri), o il sequestro, richiesto dalla Dia di Palermo, dell'azienda turistica Valtur che Messina Denaro gestiva attraverso Carmelo Patti, stretto collaboratore del boss, del valore di cinque miliardi di euro. Resta comunque il fatto che i sequestri compiuti hanno solo scalfito il potere economico che i capimafia di Cosa nostra gestiscono, siano in carcere o ancora latitanti come nel caso del boss di Castelvetrano. Possiamo dire che sono loro i veri padroni della Sicilia, dato che gestiscono investimenti, società, traffici di denaro contante investiti in banche italiane e straniere per decine di miliardi di euro, ed esercitano un forte controllo sulla politica e sugli investimenti nell'isola grazie alla complicità di colletti bianchi e prestanome. Una ricchezza tale che rende possibile il ricatto di grossi esponenti della classe dirigente finanziaria e politica italiana. L'immagine che ci viene dipinta di Cosa nostra è quindi quella di una mafia tutt'altro che debole dal punto di vista economico. Nonostante abbia perso il potere militare che aveva un tempo, si sta riorganizzando anche grazie ai proventi derivati dal traffico di stupefacenti, che fruttano alla mafia siciliana centinaia di milioni di euro l'anno., in cocietà con la


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“E' per questo che l'agenda rossa era così pericolosa?”

'Ndrangheta, che è senza dubbio la padrona del business della droga in tutto il mondo occidentale. Un giro d'affari che declassa l'estorsione o la richiesta del pizzo a semplici attività “di contorno”, volte soprattutto a mantenere il controllo del territorio e del tessuto sociale, oltre che per provvedere al mantenimento delle famiglie i cui affiliati si trovano in carcere. Una sorta di “copertura”, grazie alla quale diventa più difficile quantificare il reale ammontare dei patrimoni mafiosi, sia per lo Stato che per gli stessi picciotti di Cosa nostra, che dei miliardi accumulati dai boss vedranno solo pochi spiccioli. Un'enorme disponibilità di denaro La mafia siciliana, così come la 'Ndrangheta, la Camorra e la Sacra Corona Unita, possiede quindi una enorme disponibilità di denaro che muove nelle borse di tutto il mondo, grazie alla quale sarebbe capace, se volesse, di mettere ancora una volta un paese come l'Italia sotto scacco. Può essere questa la ragione del perchè lo Stato voglia convivere con la mafia piuttosto che annientarla? Può essere questa la ragione per la quale tutti i governi italiani del centro destra e sinistra, dal '92 ad oggi, non hanno potuto (per non dire voluto) annientare le organizzazioni criminali mafiose? Ed infine, la trattativa mafia-Stato, condotta in due tempi per conto di uomini di potere tramite Nicola Mancino prima e Marcello Dell'Utri poi, forse nascondeva un movente tanto spaventoso quanto cru-

ciale per parti dello Stato italiano e centri occulti di potere? Dopo le stragi di Capaci, via D'Amelio e quelle del '93 a Roma, Firenze e Milano che provocarono morte e distruzione, i giudici e le forze dell'ordine ottennero dei risultati mai raggiunti. La mafia militare, con gli arresti e le condanne di quasi tutti i boss, era in ginocchio, e lo Stato avrebbe dovuto dare il colpo di grazia alla mafia siciliana, ma non lo diede. Lo Stato si ritirò, e il Governo... Lo Stato si ritirò, e il Governo di centro sinistra abbandonò a loro stessi i giudici in trincea, iniziando seriamente a pagare così il prezzo della trattativa. Era pronto un attentato con missili terra aria per il procuratore Caselli, che fortunatamente non venne mai messo in atto. Intanto, il lavoro dei pm antimafia come Scarpinato, Ingroia, Tescaroli, Di Matteo, Gozzo, Teresi ed altri, fu ostacolato da leggi e cavilli burocratici. L'Italia doveva essere salvata dalla bancarotta. Forse la mafia, grazie alla sua immensa liquidità di denaro, ne garantì la permanenza in Europa? Mille miiardi di euro Non sono pensieri partoriti dalle nostre menti deliranti, ma ipotesi logiche e plausibili. Se il patrimonio nazionale delle mafie ammonta ad oltre mille miliardi di euro, se il suo fatturato in nero in Italia è di oltre 150 miliardi di euro l'anno, è

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logico pensare che la mafia ricatti lo Stato, e che il movente che sta dietro le nostre terribili stragi riguardi la stabilità economica e politica della nazione. Le parole pronunciate da Riina, “Facciamo la guerra per poi fare la pace”, forse possono tradursi in “Ricattiamo lo Stato e ricordiamogli che lui (lo Stato) sopravvive soprattutto grazie alla Sicilia e ai nostri soldi”. E, se non cede al ricatto, allora scoppieranno bombe. Lo Stato, che oggi è governato da Berlusconi e dalla sinistra, ha ceduto. Ne è una dimostrazione l'intenzione di ammorbidire le pene relative al concorso esterno in associazione mafiosa. Matteo Messina Denaro risulta ancora imprendibile, e la mafia continua ad arricchirsi. Borsellino aveva capito Nell'agenda rossa di Paolo Borsellino, è molto probabile che il giudice abbia scritto i nomi dei padroni dell'Italia di oggi, degli assassini del suo amico fraterno Giovanni Falcone, della vera ricchezza della mafia. Borsellino aveva capito che c'era un “gioco grande”, nel quale lui e Falcone erano entrati, dove mafia e Stato-mafia erano diventati una cosa sola, con un potere tale, grazie al denaro investito nelle nuove forze politiche, nelle tv e nelle banche, da superare quello dello Stato-Stato e metterlo così sotto scacco. Potrebbe essere per questo che l'agenda rossa era così pericolosa per lo Stato-mafia, tanto da farla sparire subito dopo la morte di Borsellino?


Italia

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Ustica Stato disperso L’Italia è un paese con la fobia della verità ma Ustica, forse, rappresenta un quadro fuori posto nella stanza dei misteri. “L’incidente è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente un atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto”, scrive nell’ordinanza-sentenza il giudice istruttore Rosario Priore.

"Perché chi sapeva è stato zitto? Perché chi poteva scoprire non s'è mosso?” di Salvo Ognibene www.diecieventicinque.it

"Perché questa verità era così inconfessabile da richiedere il silenzio, l'omertà, l'occultamento delle prove? C'era la guerra quella notte del 27 giugno 1980. C'erano 69 adulti e 12 bambini che tornavano a casa, che andavano in vacanza, che leggevano il giornale, che giocavano con una bambola. Quelli che sapevano hanno deciso che i cittadini, la gente, noi, non dovevamo sapere: hanno manomesso le registrazioni, cancellato i tracciati radar, bruciato i registri; hanno inventato esercitazioni che non erano mai avvenute, intimidato i giudici, colpevolizzato i periti e poi hanno fatto la cosa più grave di tutte: hanno costretto i deboli a partecipare alla menzogna, trasformando l'onestà in viltà... Perché?". 27 giugno 1980, dopo due ore di ritardo il volo IH870 alle 20:08 decolla da Bologna Borgo Panigale destinazione Palermo. Un aereo che non giungerà mai al capoluogo siciliano. Uno squarcio nel cielo ed 81 innocenti che affonderanno insieme al DC9 nel mare di Ustica. Un’andata senza ritorno. Un disastro mai chiarito. Bologna e Palermo, due città unite dal destino di quell’aereo ed una verità che ancora oggi manca. Una storia tutta italiana questa, una storia fatta di servizi segreti di tutto il mondo, alti ufficiali, politici, morti improvvise. Un aereo “disperso” e troppi punti interrogativi, domande a cui mancano, ancora oggi, dopo trentatrè anni, delle risposte.

Uno scenario militare

Le prime voci nei giorni successivi al disastro parlavano del DC9 come abbattuto da un missile francese o americano. Ipotesi. E una domanda che forse in questi trentatrè anni non ci siamo fatti. Ci siamo chiesti come andarono le cose nei cieli di Ustica, ma senza chiederci il perché. Numerose indagini, decine di perizie, strani ritrovamenti, registri scomparsi, pagine dei rapporti radar strappati. I morti per la strage di Ustica sono quasi cento tra i passeggeri del DC9, i testimoni che si impiccano prima di essere sentiti dal giudice, gli incidenti stradali e aerei e le altre morti avvenute in circostanze poco chiare e misteriose. Dubbi e misteri avvolgono quella notte del 27 giugno 1980. Tredici stragi, quasi tutte impunite Di depistaggi la storia del nostro paese è piena, ma su Ustica i pezzi mancanti sono tanti, troppi. In Italia ci sono state tredici stragi, escluse quelle di mafia. In nessuna si è arrivati ai mandanti, in tutte ci sono stati tentativi di depistaggio da parte dei servizi segreti. Una sola volta, per via giudiziaria, si è avuta la condanna dei mandanti: nel caso della strage di Bologna. Ma anche lì la verità è un miraggio.

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Uno scenario militare che è stato sempre negato da tutti, nonostante il documento Nato del ’97 abbia certificato che quella sera in volo c’erano 21 aerei militari, di cui 5 sconosciuti, e gli altri americani e inglesi. La Nato parla anche di “tracce radar” di una portaerei nel Mediterraneo. Nelle scorse settimane un ex pilota Alitalia (all’epoca Ati) aveva raccontato ai magistrati di aver visto "Una flottiglia di navi con una portaerei e almeno altre trequattro navi”, tutto confermato poi anche da un ex hostess Itavia “vedemmo quella nave circondata da altre, il giorno prima della sciagura”. La Saratoga, secondo il Pentagono, è rimasta ormeggiata a Napoli ed anche i francesi hanno sempre negato che le loro portaerei fossero nella zona dove si è inabissato l’I-Tigi. In entrambi i casi però ci sono delle stranezza nei diari di bordo inerenti alla data del 21 giugno 1980. Sulla vergogna di Stato che è Ustica, la Magistratura italiana ha prodotto enormi sforzi: 4.000 testimoni, diverse rogatorie (che hanno evidenziato una mancata collaborazione internazionale) e quasi trecento udienze processuali. L’unica tesi accertata, tra quelle sulle quali hanno indagato gli inquirenti, è che il DC-9 è stato abbattuto da unmissile ariaaria sparato da un aereo militare.


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La prima verità su Ustica dopo il niente di fatto dei processi penali è stata decretata dalla Cassazione lo scorso gennaio: è “abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile”. Lo Stato ha condannato se stesso Lo Stato ha anche condannato se stesso a risarcire i familiari delle vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli. Con buona pace di Giovanardi e dei sostenitori della teoria della bomba a bordo del DC9. Ma se si è arrivati ad una prima verità, è innegabile che i buchi da riempire sono ancora tanto grandi quanto lo è il mare che circonda l’isola di Ustica. I Ministeri della Difesa e dei Trasporti sono stati condannati perché "non garantirono la sicurezza del volo e depistarono l'accertamento dei fatti", si macchiarono di “omissioni e negligenze”. La presenza di altri aerei nei cieli quella sera è data per certa: quanti e quali, è impossibile saperlo. Alle 20:58 prima che sparisse il segnale, in una conversazione tra due operatori radar a Marsala si sente: “... Sta' a vedere che quello mette la freccia e sorpassa!” Nel 1988 durante la trasmissione televisiva Telefono giallo”, un anonimo chiama in diretta e si qualifica come aviere in servizio al radar di Marsala. L’uomo afferma di aver esaminato le tracce radar e che “ci avevano ordinato di stare zitti”. Paolo Borsellino aprirà un’inchiesta e, durante gli interrogatori, tutti i militari in servizio a Marsala la sera del disastro, eccetto uno,

riferiscono di non aver visto al radar ciò che avvenne nei cieli di Ustica. Il muro di gomma si rompe con le dichiarazioni del maresciallo Luciano Carico: “mi soffermai su due aerei che scendevano perpendicolarmente verso Punta Raisi, ad un certo punto uno dei due venne a mancare”. Il DC9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di una guerra aerea, da un missile. Questa è l’unica verità. Forse un giorno sapremo se quel missile era americano, francese o addirittura italiano. Cos’è successo realmente? Comporre questo puzzle è difficile: il Presidente del Consiglio dell’epoca, Cossiga, nel 2007 (dopo 27 anni! ) sostenne la tesi del “missile francese” destinato ad abbattere l'aereo su cui si sarebbe trovato Gheddafi che “si salvò perchè il Sismi, appresa l’informazione, lo informò quando lui era appena decollato e decise di tornare indietro”. Misteri su misteri, ed il Mig libico ritrovato in Calabria il 18 luglio successivo non fa altro che aumentare i sospetti, oltre alle innumerevoli incongruenze registrate nella vicenda dopo il ritrovamento. Innumerevoli incongruenze L’autopsia sul corpo del pilota rileverà che si trattava di un cadavere in stato di decomposizione da circa venti giorni, tanti quanti ne erano passati dal disastro aereo. Il medico cambierà improvvisamente idea, e l’inchiesta sull’aereo ritrovato verrà chiusa in fretta e in furia circa dieci giorni dopo il ritrovamento.

“Il DC9 è stato abbattuto in un episodio di guerra aerea” Il 2 luglio 1980 il Consolato libico a Palermo pubblica un particolare necrologio, e gli interventi e le dichiarazioni di Gheddafi si susseguiranno sostenendo che gli Usa, nel tentativo di abbattere il suo aereo, avrebbero preso un tragico abbaglio colpendo l’aereo italiano e uno libico. Perché le operazioni di recupero iniziarono con 7 anni di ritardo? La ditta francese, Ifremer, che concluderà le operazioni di recupero dopo un anno, verrà accusata di essere legata ai servizi segreti d’Oltralpe. Tra i vari resti verranno trovati anche cose che non appartenevano al DC9, 2 salvagenti ed una sonda metereologica. Un serbatoio supplementare di un aereo militare venne trovato, nel 1992, durante la seconda operazione di recupero (5 anni dopo la prima) da parte di una ditta inglese. L'ordine “Spegnete il transponder!” Perché la sera del disastro a tutti gli aerei militari che si muovevano nello spazio percorso dal DC9 fu impartito l’ordine di spegnere il transponder che avrebbe consentito la loro identificazione? Perché sostenere con forza (soprattutto da parte dell’Aeronautica militare) l’illogica ipotesi alternativa della presenza di una bomba a bordo? Queste e tante altre domande ancora oggi aspettano risposta, a trentatré anni di distanza. Ad oggi ci resta solo una piccola verità, il dolore e il ricordo. Non solo il 27 giugno di ogni anno, ma ogni giorno: un ricordo tangibile, che per chi, come me, nel 1980 non esisteva, è possibile vivere e affrontare nella città in cui DIECI e VENTICINQUE è nato, Bologna, grazie al Museo per la memoria di Ustica, allestito nel 2007. Un museo che consente a chiunque di mantenere vivo il ricordo, e trasformarlo in impegno: per un paese più giusto, senza più segreti . Su www.diecieventicinque.it il nostro speciale sulla strage di Ustica.

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Omertà

Il processo al senatore D’Alì e il silenzio della stampa siciliana C’è un processo in corso in Sicilia, a Palermo. Imputato un politico, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa....

Sono stati suoi campieri, secondo l’accusa sono stati una sorta di “compagni di merende”, assieme, in occasione di campagne per la vendemmia nei suoi feudi belicini di Zangara, pare, anzi senza pare, più volte D’Alì è stato in loro compagnia e in compagnia nel tempo di tutta una serie di soggetti che via via però, nel tempo, sono finiti nella rete della giustizia antimafia. Vendita fittizia coi Messina Denaro

di Rino Giacalone

E direte: “E che novità è questa?”. Vero, avete perfettamente ragione. Il senatore Antonio D’Alì, banchiere trapanese, classe 1951, senatore dal 1994, sottosegretario all’Interno dal 2001 al 2005, presidente della commissione Ambiente a Palazzo Madama nella scorsa legislatura, oggi vice presidente dei senatori del Pdl, capogruppo del Pdl in commissione Finanze, rappresentante del Parlamento Italiano presso l’associazione parlamentare euro mediterranea e presidente del consorzio universitario della provincia di Trapani, è l’ennesimo politico che in Sicilia incorre in questa accusa. Notoriamente ha intrattenuto rapporti con il clan mafioso del Belice, con i Messina Denaro, con don Ciccio prima e con il figlio di questi dopo, il superlatitante Matteo Messina Denaro.

D’Alì con i Messina Denaro avrebbe anche compiuto una fittizia vendita di un terreno servita anche a compiere un riciclaggio da 300 milioni di vecchie lire, quando negli anni 80 quei 300 milioni erano certamente una bella cifra, magari utili a costruire quella Castelvetrano 2 che i Messina Denaro pensavano di fare seguendo l’esempio di quello che Berlusconi, che a loro pare non fosse del tutto sconosciuto all’epoca, stava facendo in Lombardia con la “Milano 2”. Berlusconi non era sconosciuto alla mafia se è vero come hanno raccontato diversi pentiti si era raccomandato con un mafioso di Mazara del Vallo, Ciccio Messina, detto u muraturi, per costruire un villaggio turistico nella zona di Campobello di Mazara, ma i Messina Denaro a lui preferirono appoggiare un loro paesano, il cavaliere Carmelo Patti. Il villaggio non si fece ma quelle raccomandazioni c’erano. Torniamo al senatore D’Alì. Nonostante da anni si discuta di legami con i Messina Denaro, della vendita finta di terreni

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a Zangara, lui per anni è riuscito ad evitare ogni processo. Ora invece è finito sotto processo. Come ha evitato l’imputazione? Il pm Paolo Guido nella requisitoria indirettamente l’ha spiegato, “D’Alì è un soggetto accorto, sottile e prudente…”. Per lui ci sono due richieste di archiviazione l’ultima respinta dal gip e la Procura di Palermo facendo ulteriori approfondimenti come chiesti dal giudice Antonella Consiglio, che di mafia trapanese se ne intende parecchio, per essere stata più volte pm in processi su Cosa nostra trapanese, hanno trovato fili che erano tenuti segreti, coperti, sono venute fuori dichiarazioni di collaboratori rimasti fermi in alcuni fascicoli, nuove indagini hanno evidenziato il legame di D’Alì con imprenditori che operavano in nome e per conto della mafia op che comunque erano legati alla mafia di Matteo Messina Denaro. “Non solo un portatore d'acqua” “Ci sono politici – ha detto l’altro pm Andrea Tarondo – che non rispettano la distanza di sicurezza dalla mafia”. “D’Alì è uno di questi”. I pm sono giunti alla richiesta di condanna partendo da una pena invocata di undici anni, ridotta poi di un terzo per il rito abbreviato. La cosa tradotta significa che per i magistrati della Dda di Palermo il ruolo di Antonio D’Alì nelle vicende mafiose “non è stato da semplice portatore d’acqua al mulino dei mafiosi”.


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Qui la mafia continua a “non esistere”. E l'informazione pure

Gli scenari della “nuova” Cosa Nostra L’accusa lo ha collocato all’interno degli scenari della “nuova” Cosa nostra, “quel contesto dove non ci sono “punciuti” ma soggetti che si prestano o si sono prestati a dare una mano ai boss per potere condurre i propri affari e mantenere il controllo del territorio, non solo controllo “militare” ma anche di sociale, economico, imprenditoriale…e politico”. La politica per fare pilotare in favore di imprese mafiose grandi appalti, la politica per fare trasferire da Trapani, nell’estate 2003, un prefetto, Fulvio Sodano, del quale i mafiosi intercettati sono stati ascoltati auspicare la sua “cacciata”, cosa avvenuta. Il nome di D’Alì da sempre è legato a quello dei famigerati assassini Messina Denaro, Francesco e Matteo, padre e figlio, suoi campieri nei terreni di Zangara a Castelvetrano, la patria dei boss. Don Ciccio è morto (da latitante) nel 1998, ucciso dal crepacuore per l’arresto dell’altro figlio, Salvatore, che guarda caso lavorava dal 1977 alla Banca Sicula, la banca della famiglia D’Alì sin dal 1977. Matteo Messina Denaro lo conosce da bambino, e oggi è l’erede di Provenzano, Matteo ha 51 anni, latitante da 20 anni, latitanza che sta mettendo in crisi la Procura di Palermo ma non i politici che seriamente non si occupano di dare manforte agli investigatori che lo cercano, anzi accade pure che qualcuno di questi investigatori venga fatto uscire di scena, come l’ex dirigente della Mobile Giusep-

pe Linares, Matteo Messina Denaro da latitante si sarebbe anche incontrato con il senatore D’Alì. Messina Denaro agevolati dal senatore in una operazione di riciclaggio per 300 milioni di vecchie lire. Quella dei campieri mafiosi in casa D’Alì è una tradizione che non si ferma, oggi ad occuparsi dei terreni del fratello del senatore, Pietro D’Alì, sempre nelle campagne di Zangara, è un pregiudicato per mafia ed estorsioni, Vincenzo La Cascia. E A Zangara resta intoccata la comunanza di proprietà tra i D’Alì e i Messina Denaro. Appalti milionari per i porti Zangara è una distesa di vigneti e uliveti, la terra qui da buoni frutti e qui sono stati confiscati terreni che erano di Bernardo Provenzano e della moglie Saveria Palazzolo, di Totò Riina. Agli atti del processo anche la testimonianza dell’ex moglie di D’Alì, Antonietta Picci Aula, che ha detto di avere visto un giorno giungere al marito il telegramma di un boss dal carcere che si lamentava di essere stato dimenticato dal marito. Appalti milionari per i porti di Trapani a Castellammare del Golfo finiti “grazie a D’Alì” in mano di imprese mafiose. Ladri e assassini fanno quello che vogliono, e la polizia, con il pretesto di mantenere l'ordine, sta sui campi di calcio... per guardare la partita! Oppure gioca a fare la guardia del corpo del senatore Ardoli…!” E’ un passaggio de “la Gita a Tindari” uno dei libri usciti dalla penna

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di Andrea Camilleri. L’Ardolì della penna del maestro Camilleri sembra essere il D’Alì della realtà, dal 2001 al 2005 è stato sottosegretario all’Interno, con tanto di scorta, si occupò di sicurezza e criminalità nonostante i suoi storici rapporti con la famiglia mafiosa dei Messina Denaro di Castelvetrano. Ma sulla stampa non compare niente Ora provate a cercare tutte queste notizie sulla stampa. Non c’è nulla. O meglio trovate pedissequamente riportate le dichiarazioni diffuse alle redazioni dai suoi difensori. E così nei giorni in cui a parlare sono stati i pm, è come se avessero discusso gli avvocati con le loro arringhe. Le parole dei pm? Niente a parte qualche eccezione non le trovate. Il processo si svolge col rito abbreviato e quindi a porte chiuse, la difesa si è opposta all’ingresso dei giornalisti, e però ai giornalisti puntualmente fornisce il suo pro memoria. A nessun giornalista, anzi a moltissimi giornalisti, tranne qualche eccezione, è venuto in mente di andare a cercare i pm Guido e Tarondo. E così il dibattimento non è sui giornali, sulle tv. A Trapani poi è praticamente sparito. D’altra parte Trapani è Gommopoli dove tutto sparisce presto inghiottito da questa strana gomma che assorbe tutto quello che di non buono avviene in città, qui la mafia continua a non esistere. E l’informazione pure.


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Camorra e politica

Rivelazioni choc di Vassallo “Cosentino, Landolfi, Coronella e Bocchino facevano parte del tessuto camorristico” di Arnaldo Capezzuto www.ladomenicasettimanale.it

Non solo l’imputato Nicola Cosentino, ma anche altri tre politici sarebbero “vicini ai casalesi”. A svelare segreti inconfessabili e gettare una luce sinistra sui rapporti tra camorra-politica e affari è Gaetano Vassallo, lo stakeholder dei rifiuti per conto dei Casalesi. L’imprenditore è stato un ingranaggio importante del meccanismo che ha trasformato l’emergenza rifiuti in un sistema di poteri. I politici “vicini ai casalesi” Vassallo è stato un tesserato della prima ora di Forza Italia, ricoprendo anche il ruolo di assessore al Comune di Cesa. Insomma non era un personaggio incontrato casualmente. E’ lunedì 20 maggio, e al Tribunale di Santa Maria Capuavetere c’è una lunga udienza del processo Eco 4, l’ex consorzio dei rifiuti di Sergio e Michele Orsi, quest’ultimo trucidato da un commando armato il 2 giugno 2008 davanti al bar nella piazza di Casal di Principe, dove i suoi assassini l’hanno convinto a raggiungerlo. Vassallo di quel consorzio ne era il principale finanziatore e anche la mente. Una scatola vuota per accaparrarsi appalti e “mettere la gente a lavorare”

per conto dei politici di riferimento. In una famosa intercettazione, l’ex sottosegretario all’Economia e ex potente coordinatore regionale del Pdl e già deputato uscente Nicola Cosentino, rivolgendosi al suo interlocutore, dice: “L’Eco 4 song ‘io”. In questo processo, Nick ‘o mericano è imputato per aver intrattenuto rapporti con il clan dei Casalesi. É in cella nel carcere di Secondigliano dallo scorso 15 marzo, quando è decaduta l’immunità parlamentare. Sul suo capo pendono tre processi. Da una località segreta e in videoconferenza, Vassallo racconta la sua verità. L’imprenditore che più di altri conosce i segreti del grande affare della monnezza, non delude le attese in Tribunale. “In uno degli incontri che ebbi con Raffaele Bidognetti (figlio del boss Francesco, noto come “Cicciotto e mezzanotte”) quando era latitante, nel 2007, lui mi fece i nomi di quattro politici che erano vicini alla nostra organizzazione. Si trattava di Nicola Cosentino, Gennaro Coronella, Mario Landolfi e Italo Bocchino”. Le rivelazioni di Vassallo colpiscono l’ex vertice campano e nazionale del Pdl. Già in passato l’imprenditore vicino ai Casalesi aveva snocciolato i nomi dei po-

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litici, oggi li ripete in aula. “Facevano parte del tessuto camorristico Nicola Cosentino, Gennaro Coronella, Mario Landolfi e un altro politico di Frignano di An, ma non ricordo il nome…come si chiama”. Il vertice campano del Pdl E il pm Alessandro Milita suggerisce : “Si tratta di Italo Bocchino?” e Vassallo quasi illuminato conferma: “Si, Bocchino uno che ora non c’è più nella politica. Di queste persone ci si poteva fidare, me lo disse direttamente Raffaele Bidognetti”. L’ex stakeholder dei rifiuti parla anche dell’ex ministro Mario Landolfi, e cita in un passaggio anche Pasquale Giuliano, ex magistrato e senatore eletto ad Aversa nel Pdl e fedelissimo di Cosentino. Di lui Vassallo dice di avergli pagato una cena elettorale. Nicola Cosentino non c’era in aula: è la linea che si è imposto, una promessa fatta ai suoi familiari di non farsi vedere durante il dibattimento perchè la condizione di detenuto lo costringerebbe a seguire il processo dietro le sbarre della gabbia posta all’interno del Tribunale. Una mortificazione che l’ex coordinatore regionale del Pdl in Campania proprio non vuole vivere.


Persone

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Il pacifista Ricordo di Dino Frisullo

caso di Dino - davanti ai giudici militari. In questo, erano antichissimi e profondi. Dino, che ha lottato per i curdi e per gli operai bengalesi, è sempre lo stesso Dino (con un nome diverso, ma solo il nome) che in altri tempi ha organizzato gli scioperi delle mondine nell'Ottocento o la rivolta dei senzaterra nei latifondi. Che possa la sinistra italiana, e noi stessi, raccogliere con umiltà e coraggio l'eredità di uomini come questi. La sinistra dei binghi, dei salotti romani e dei compromessi, oppure la sinistra degli organizzatori, delle testimonianze di vita, dei compagni. Non è possibile essere tutt'e due: c'è da fare una scelta.

di San Libero

Senzaconfine. "Tutti amu a mòriri, o prima o dopu - disse il vecchio Bastiano - Però, certuni comu mòrunu s'i puorta 'u ventu; cert'autri inveci pesanu comu u' Mongibeddu". E' morto Dino Frisullo, e non ho molto da dire: è un compagno davvero che se n'è andato, e ora siamo più soli. Aveva cinquant'anni, siamo nel duemilatrè, e dunque ha lavorato per tutti noi - aveva cominciato nel '70, con Dp - per un po' più di trent'anni. Non da leaderino, da politico "di sinistra": da compagno. E' stato fra i primi pacifisti italiani e fra i primissimi (e forse il primo) a organizzarsi insieme agli immigrati. Con loro, ha fondato la prima associazione antirazzista, "Senzaconfine", che ha fatto da modello a tutte quelle dopo. E' andato a propagandare la pace, e i diritti dei poveri, in Palestina, Bosnia, Albania e in altri luoghi. In Turchia, a Diyarbakir, è stato arrestato per aver difeso i curdi: è stato rinchiuso in carcere insieme a loro (primo europeo a dividere questa sorte) e al processo ha alzato ancora la voce contro la repressione anticurda. Su questa, e sulla condizione carceraria e sulla legislazione "d'emergenza" turca, Dino scisse un bellissimo libro ("L'utopia incarcerata) che gli fu pubblicato da Avvenimenti.

Su altri giornali (anche "di sinistra") per un certo periodo ci fu invece un veto formale, imposto da autorevoli mandarini, alle sue collaborazioni. (Poche settimane in televisione fa tutti parlavano con gran prosopopea di curdi: Dino Frisullo era l'unico italiano che non solo conoscesse i curdi ma ne fosse conosciuto benissimo, e ne fosse amato. Eppure è stato l'unico a non essere invitato a parlarne). Gli uomini della sinistra vera La storia della sinistra italiana, per alcuni versi transeunte, per altri versi meschina, nella sua parte più nobile e permanente è la storia degli uomini come Dino. I vecchi socialisti, gli anarchici, i militanti operai, i comunisti clandestini... Qualcuno ha parlato di apostoli, e l'immagine è esatta. Dino è appartenuto a quella razza. Ingenui, poco "pratici", raramente a proprio agio nei palazzi, il loro ambiente naturale era la vita dei poveri, la strada. Il loro modo d'esprimersi, un po' impacciato e timido nei dibattiti ufficiali, attingeva a un'eloquenza inaspettata negli appelli di piazza o anche - come nel

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La piazza più italiana di Roma L'ultima volta che l'ho visto è stato a piazza Vittorio, a Roma: una manifestazione di immigrati - organizzata da lui una delle tante. Piazza di cento popoli, come nessun'altra in Italia: bengalesi, egiziani, curdi, pakistani, cinesi... Un pezzo di mondo nuovo, operoso, duro: il più multirazziale d'Italia e anche - per chi sa leggerlo - il più italiano. Là, tutti lo conoscevano e l'avevano sentito parlare; molti, in un momento o nell'altro, avevano sfilato in corteo insieme a lui. E anche ora che non c'è più, lui là c'è sempre. Che c'entra un re sabaudo, con la piazza di Dino? Fra coloro che leggono ci sarà sicuramente qualcuno che conosce il nuovo sindaco di Roma. Coraggio, sindaco, cambiamo la targa di quella piazza. Via quel Vittorio Emanuele, mettiamo una scritta nuova. "Piazza Dino Frisullo, compagno". E la parola compagno, scrivetela in tante lingue.

(La Catena di San Libero, 9 giugno 2003)


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Periferie

Oggi è festa anche qui Un vecchio capannone ristrutturato e rimesso a nuovo. Il quartiere dei poveri nel cuore del vecchio centro di Catania, quello conteso a metro a metro ai clan mafiosi. Un anno di corsi di danza, doposcuola, judo, sartoria, lotta e un sacco di altre cose, tutte organizzato fra noialtri, senza aiuto di nessuno. E, come per ogni anno scolastico che si rispetti, una bella festa prima delle vacanze. Con tanti saluti per le “istituzioni”, se qualcuno le trova prima o poi di Marcella Giammusso www.associazionegapa.org

La storia che raccontiamo è ambientata nel quartiere San Cristoforo di Catania, quartiere che ha dato i natali al boss Santapaola, dove l’amministrazione comunale decide, senza tenere conto delle proteste del comitato delle mamme, di chiudere una scuola storica come l’Andrea Doria, istituto comprensivo che ha accompagnato diverse generazioni nell’istruzione e nell’educazione. Un quartiere dove ad ogni angolo si respira aria di illegalità, e dove c’è il più totale abbandono delle istituzioni. Eppure, in questo quartiere avviene qualcosa di straordinario, qualcosa che rende l’idea di comunità, di società, di quello che dovrebbe essere uno Stato. “Presto, sistemiamo le sedie” L’atmosfera è quella di una grande festa: “Presto, sistemiamo le sedie, arriva la gente!” Urla uno dei volontari del Gapa, l’associazione che opera nel quartiere da ventisei anni. Ci troviamo in un vecchio capannone ristrutturato e rimesso a nuovo. È qui che sta per svolgersi la festa di fine anno in cui si esibiranno le bambine ed i bambini, i giovani, le donne e le mamme che hanno partecipato gratuitamente e con costanza ai vari laboratori. Arriva tanta gente a vedere lo spettacolo. Genitori, parenti, amici, in un allegro borbottio chiacchierano in attesa che inizi il saggio dei ragazzi che frequentano la palestra. I bambini lottano senza farsi male Sulla materassina distesa sul pavimento cominciano a riscaldarsi, correndo e saltando, i bambini ed i giovani che hanno seguito le lezioni di ginnastica e lotta grecoromana. Che divertimento! “Giacomo stai attento ai più piccoli”, così viene responsabilizzato uno dei ragazzini più grandi dal “Maestro Claudio”, come viene chiamato da tutti i bambini il volontario che segue la palestra. Dopo qualche minuto, inizia lo spettacolo.

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Prima i piccolissimi e poi i più grandi iniziano a fare esercizi ginnici e capriole, per poi terminare con le sfide di lotta. È straordinario assistere con quale disciplina e rispetto anche i bambini più piccoli riescono a lottare senza farsi male. Un lungo applauso chiude l’esibizione, e subito dopo lo spazio viene occupato dalle donne, tre giovanissime, alcune giovani e molte meno giovani, che durante l’anno hanno partecipato alle lezioni di ginnastica e danza africana sotto la guida di Clara. Portano pantaloni e maglietta nera e in mano tengono uno scialle colorato che utilizzeranno durante la danza. Sono allegre ed entusiaste, sembrano ragazzine al loro esordio in una recita scolastica: questa sera sono loro le protagoniste. Non ci si cura se il fisico non è più quello di una trentenne, l’importante è stare insieme, danzare e ridere. “Forza ragazze, facciamo vedere come siamo brave!” Esclama Mimma, 75 anni ma con uno spirito da adolescente. Prima dell’esibizione si mettono tutte in cerchio, ed unendo le mani fanno una “ola” di incitamento. Nuova danza con musica africana Inizia la musica e le ragazze entrano in scena danzando con una leggiadria da fare invidia a Carla Fracci. Corrono e saltano facendo ondeggiare lo scialle che tengono in mano, col sorriso fra le labbra e tanta allegria nello sguardo. Strappano un lungo applauso agli spettatori e subito dopo iniziano una nuova danza con una musica africana. Si dispongono a semicerchio e poi singolarmente si esibiscono in danze tribali, seguendo con agilità e naturalezza il ritmo della musica. Alla fine Clara si scatena in un assolo entusiasmante, coinvolgendo in un secondo tempo tutte le compagne. A fine dell’esibizione le donne trascinano le persone del pubblico in una danza dolce e ritmata, rendendo tutti partecipi alla festa. Uomini, donne e bambini piroettano, saltellano, ondeggiano tenendosi per mano, abbracciandosi o soltanto guardandosi teneramente negli occhi.


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“La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non dev'essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolge tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale e dell'indifferenza” P.B.

Con questa atmosfera irreale si chiude l’esibizione del corso di danza, per dare inizio alla sfilata di moda delle corsiste della sartoria. E comincia la sfilata di moda... Accompagnate da un sottofondo musicale, la sarta Antonella ed una delle volontarie, Marcella, descrivono con uno pizzico di ironia gli abiti della sfilata. Sono abiti realizzati dalle corsiste, che per lo più sono le stesse donne che hanno

danzato prima, ed indossate dalle stesse. La dolcevita, Rosa di sera bel tempo si spera, Una zebra a pois, Sogno di una notte di mezza estate sono i nomi di alcuni abiti della sfilata. Le donne vanno avanti e indietro con disinvoltura e sicurezza, mostrando i loro abiti sin nei dettagli. Anche questa esibizione mostra lo spirito di collaborazione e di amicizia che unisce queste signore.

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Voglia di rivedersi e stare insieme La festa finisce con un banchetto organizzato da loro: si mangia, si beve e si brinda in allegria, ci si saluta fino al prossimo incontro, che si cercherà di realizzare quanto prima. Proprio per la voglia di rivedersi e di stare insieme si creeranno altre occasioni, affinché la splendida relazione nata fra le donne del quartiere possa consolidarsi, durare nel tempo e far nascere cose nuove.


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Cittadini

A scuola d'italiano Gli italiani di domani imparano la nostra lingua, che ora è anche la loro. Altrove si insulta o si chiacchiera. Qui, a mattone a mattone, cresce l'Italia... di Bruna Iacopino Cidi scappa verso la segretaria per farsi fare un certificato. “Non vorrei che al lavoro poi mi fanno storie” dice con aria preoccupata. Tutti gli altri, viso disteso e sorridente vanno via in fretta a recuperare le ore perse la mattina, ognuno verso una destinazione diversa: un magazzino, una bancarella, i lavori domestici. Chi invece ha perso l'intera giornata di lavoro è Fran che fa il muratore fuori Roma e per fare l'esame ha dovuto prendere un permesso. Lui e Dumindika potranno però andare insieme a fare la spesa al mercato di piazza Vittorio per la cena della sera quando, scaricata la tensione si festeggerà tutti insieme. Il gruppo più nutrito delle donne farà invece ritorno a casa per preparare il pranzo e dedicarsi alla cura dei figli. E' un martedì di giugno e c'è fermento di fronte al Ctp (Centro territoriale permanente) di Torpignattara, uno dei quartieri multietnici della capitale, ribattezzato anche Banglatown a causa della presenza di una numerosa comunità bengalese. Infatti non è un giorno qualsiasi, ma il giorno del test che un gruppo di studenti stranieri iscritti alla scuola popolare

Pigneto-Prenestino ha appena sostenuto per conseguire l'attestato di conoscenza della lingua italiana indispensabile per la richiesta della carta di soggiorno ( ovvero i soggiornanti di lungo periodo). Una prova importante che ha visto 16 persone adulte, provenienti da diverse parti del mondo (Bangladesh, Sri-Lanka, Colombia, Brasile, Cuba, Pakistan...) cimentarsi con il difficile mondo della lingua italiana. Alle 9.30 gli studenti e le studentesse sono già tutti radunati davanti alla scuola Pisacane, dove le “maestre” (come sono soliti definire le insegnanti) hanno dato loro appuntamento per definire gli ultimi dettagli prima di recarsi a scuola per l'esame: ultima verifica dell'appello, dei documenti e delle relative fotocopie necessarie ad espletare la parte burocratica. “Ma quale sarà il plurale di autobus”? I visi sono tesi, qualche pacca sulla spalla, qualche dubbio dell'ultimo secondo: “... ma quale sarà il plurale di autobus?!” C'è chi ha passato l'intera domenica libera dal lavoro a ripassare verbi e articoli, chi invece ha rimesso insieme fotocopie e appunti raccolti in quasi due anni di scuola e se li è portati dietro... che non si sa mai. Il tempo di un caffè, una foto ricordo e via verso la scuola a passo deciso. Il Ctp si presenta come una struttura accogliente e colorata: ci sono disegni appesi alle pareti, cartine, locandine informative. Gli studenti vengono fatti accomodare in un'aula ampia e luminosa con un enorme albero verde in cartapesta che giganteggia sulla parete di fondo. In quell'aula, dice la responsabile dell'istituto, è stato da poco girato un film documentario che racconta appunto l'esperienza di un maestro di italiano per stranieri.

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Cinque prove in novanta minuti Pochi minuti per prendere posto, e l'esame può avere inizio: 5 prove per un'ora e mezza circa di durata complessiva. Teste chine e orecchie attente, soprattutto ai suggerimenti che ogni tanto riescono a passare. Amina seduta al primo banco si guarda intorno con aria smarrita, implorante, tra le presenti è la più anziana e probabilmente quella con il livello di scolarizzazione più basso. “Ha molta difficoltà a scrivere e a capire, ma all'esame ci teneva molto” mi sussurra una delle insegnanti. Nazrul, sulla stessa fila rimarrà seduto di sbieco quasi tutto il tempo, i lunghi mesi d'assenza causati dal ritorno in “paese” lo hanno distratto dallo studio dell'italiano ma gli hanno portato una moglie e un figlio che nascerà a breve. Jamal al banco in fondo armeggia nello zaino e sorride allegro, il lavoro da sarto che esercita ormai da diversi anni in società col fratello sembra funzionare e lo tiene impegnato intere giornate: il tempo per studiare e frequentare la scuola viene meno per forza di cose. Dopo una giornata passata in cantiere Muhin, forte del suo master in management del turismo, ostenta invece sicurezza: lui il test è certo di passarlo e con buoni risultati. Il permesso di soggiorno non l'ha ancora ottenuto ma aspetta che la richiesta avanzata dal datore di lavoro con la passata regolarizzazione venga accolta, nel frattempo come tanti altri, lavora in un ristorante come aiuto cuoco, sperando un giorno di poter fare quello per cui ha studiato. Al primo banco Fran non scolla la testa dal foglio. Per due anni ha seguito con attenzione tutte le lezioni serali,dopo una giornata passata a lavorare in cantiere,


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Antimafia

perchè in Italia ci vuole rimanere e vuole imparare bene la lingua, per questo ormai ha rinunciato da tempo a sentire musica spagnola e sente solo la radio italiana e guarda la tv italiana evitando con cura di circondarsi di suoi connazionali: “...altrimenti- dice - la lingua non la imparo.” “Ascolto solo musica italiana...” Chi invece l'esame non avrebbe neanche dovuto farlo è Dumindika. Lei, sposata a un italiano, ha lasciato in Sri-Lanka una figlia che non ha potuto vedere crescere, per accudire altri figli che considera ormai quasi come suoi. L'esame è per lei un mettersi alla prova, in un paese dove ormai vive da molti anni e in una città che è la sua città. All'energica e allegra Cidi, seduta in terza fila, il compito di suggerire senza farsi notare, mentre Zakir in fondo lavora con calma e assapora una tranquilla mattinata di sole, di un giorno iniziato in ritardo, senza cartoni da scaricare e vestiti da sistemare per invogliare clienti distratte. A esame finito escono alla spicciolata. Due bambini attendono pazientemente la mamma giocando in cortile, le insegnanti si guardano soddisfatte, sorridenti: “alla fine è andata bene...” “Allora ci vediamo stasera a casa mia!” Il sorriso di Dumindika è già di per se un invito aperto. Come promesso cucinerà per tutti i compagni di classe, quelli con cui, seduta dietro un banco, ha condiviso risate e difficoltà nelle lunghe serate invernali, i piatti tipici del suo paese. E l'indomani? Tutti di nuovo a scuola, per continuare ad imparare, per continuare a condividere, perchè, vadano come vadano, gli esami non sono solo quelli previsti per decreto.

Beni confiscati a Rimini di Salvo Ognibene www.diecieventicinque.it

A Rimini la mafia non c’è. Ci sono le mafie. Tante. Troppe. Qualcuno ancora non lo sa, altri lo negano, altri ancora non vogliono saperlo. Poi c’è chi, come il Gruppo Antimafia Pio La Torre, lo sa benissimo. Lo sanno bene quei ragazzi e lo denunciano. Hanno raccontato le operazioni delle forze di polizia, gli arresti, i processi. Uno di loro, Patrik Wild, ha addirittura elaborato una tesi di laurea (295 pag eh…) sulle presenza delle mafie nella riviera romagnola. Le mafie a Rimini ci sono. Le mafie a Rimini ci sono e fanno affari, riciclano, sparano ma si concentrano anche sul gioco d’azzardo, le estorsioni e lo spaccio di droga anche se il contesto riminese differisce dalle altre città dell’EmiliaRomagna dove è più radicata la criminalità organizzata. Nei giorni scorsi il GAP ha pubblicato un dossier, a cui ho dato un mio piccolo contributo, sui beni confiscati alle organizzazioni criminali di stampo mafioso a Rimini e non solo. Quella che Pippo Fava definiva la più grande lavanderia d’Italia conta ben 112 beni confiscati tra immobili e aziende. Certo, poca roba rispetto alla Sicilia o alla Lombardia se vogliamo guardare tra le regioni del nord ma sono numeri alti e preoccupanti. Del resto l’Emilia-Romagna è da sempre terra di mafie. Lo sa bene Giovanni Tizian, giornalista, che da anni racconta e denuncia il territorio ed

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il radicamento delle mafie in regione e per questo è costretto a vivere sotto scorta. Tizian ha contributo con degli approfondimenti alla realizzazione del dossier, e con lui anche Federico Alagna e Edoardo Targa hanno impreziosito il lavoro del gruppo Antimafia Pio La Torre. Il lavoro del Gruppo Antimafia Pio La Torre è il più importante fatto finora sull’argomento nel riminese. Lavoro fatto di sane passione civile, ricerca e informazione. Un lavoro “dedicato” alle istituzioni ma anche ai cittadini che vogliano informarsi e prendere coscienza che le mafie possono essere sconfitte soltanto “se ognuno di noi fa qualcosa”. Hanno denunciato l’annosa questione della gestione dei beni, hanno tracciato un profilo dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati e si sono occupati della penetrazione delle mafie allogene per chiudere con un esempio di “buona pratica” in termini di riutilizzo sui beni confiscati: l’avventura della Cooperativa Lavoro e Non Solo di Corleone. Un prezioso lavoro, da leggere e diffondere, perché oltre all’insegnamento di Pio La Torre sull’aggressione dei patrimoni mafiosi la cultura e la conoscenza sono le armi più potenti per contrastare e sconfiggere le mafie e le loro zone grigie. Scarica il dossier completo qui


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Ecomafie

Il business dei rifiuti: Laboratorio Catania Sicilia seconda per illegalità ambientale di Salvo Catalano www.ctzen.it

Ciclo del cemento, agromafie, spazzatura, incendi e delitti contro la fauna. Sono il cuore del business della criminalità organizzata. Reati fotografati dal dossier Ecomafia 2013 di Legambiente, in cui l’isola scalza la Calabria dal secondo posto per numero di infrazioni accertate. Il settore più redditizio resta quello dei rifiuti, dove Cosa Nostra ha trovato nuove e più sofisticate modalità di infilitrazione, sperimentate per la prima volta nel Catanese. Ma tutta la Sicilia è coinvolta: da Bellolampo a Palermo e San Filippo del Mela con l’amianto, ai cantieri navali di Messina legambiente ecomafia rifiuti_interna Aumenta il business, che tocca 16,7 miliardi di euro, cresce il numero dei clan coinvolti (sei in più) e quello dei Comuni sciolti per mafia, emergono nuove e raffinate modalità criminali. Le ecomafie non conoscono recessione, soprattutto nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. E’ impietosa la fotografia scattata da Legambiente nel rapporto Ecomafia 2013, Storie e numeri della criminalità ambientale. L’isola guadagna una posizione nella classifica nazionale, scavalcando la Calabria e salendo dal ter-

zo al secondo posto. L’11,8 per cento delle infrazioni ambientali accertate in Italia sono state registrate in Sicilia (poco più di 34mila), che conquista il non invidiabile primato nei delitti contro la fauna e si piazza nei primi quattro posti a livello nazionale nelle classifiche sull’illegalità nel ciclo del cemento, per incendi dolosi e colposi e nel settore dei rifiuti. Proprio quest’ultimo rimane il core business delle organizzazioni criminali: da qui deriva il 15 per cento della ricchezza delle ecomafie ed è terreno per nuove sperimentazioni che vedono coinvolta, come laboratorio privilegiato, proprio la provincia di Catania. Falsificazione di documenti Cosa Nostra ha trovato l’ultima frontiera della Rifiuti spa: la falsificazione di documenti per far figurare operazioni di raccolta differenziata in realtà mai avvenute, a cui si aggiunge il finto riciclo, tentativi di dare un volto pulito a veri e propri smaltimenti illegali di rifiuti, anche quelli speciali e altamente pericolosi. «Ancora una volta – sottolinea la relazione – com’è accaduto per le energie rinnovabili, si cerca di cannibalizzare un nuovo e promettente segmento economico, per accumulare profitti illeciti, o evitare penali nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi». Nel corso del 2012 la magistratura ha fatto luce per la prima volta su due sistemi di questo tipo, entrambi nel Catanese: a Caltagirone e nei centri gestiti dall’Ato Kalat ambiente e nei comuni ionici con l’operazione Nuova Ionia. Erano false le invidiabili percentuali di raccolta differenziata raggiunte dai paesi

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del Calatino. Nel maggio scorso un’indagine della Procura etnea ha colpito amministratori e tecnici della Kalat ambiente, la società che si occupava della gestione integrata dei rifiuti, e i responsabili locali delle due ditte che espletavano il servizio: la Aimeri ambiente (al centro anche delle cronache dell’area ionica) e la Agesp Spa. L’accusa è di aver frodato i Comuni attestando percentuali di differenziata, anche del 70 per cento, in realtà inesistenti. Il laboratorio della truffa sarebbe stato il centro di compostaggio e di trattamento della frazione secca di Grammichele. Qui venivano portati rifiuti di ogni tipo, mischiati per cambiarne la natura e rivenduti agli agricoltori come compost di qualità, creando un danno all’ambiente e ai cittadini. E sempre Caltagirone è stata la sede della truffa legata al pastazzo di agrumi, che può essere utilizzato come sottoprodotto nel settore agricolo e zootecnico, ma solo a certe condizioni che non si sarebbero verificate. Funzionari, assessori e sindaci A Giarre e nei comuni ionici il sistema era ancora più articolato e coinvolgeva funzionari pubblici, assessori e sindaci, come svelato dall’indagine Nuova Ionia, durata quattro anni e conclusa con arresti e sequestri milionari. «Sembrano lontani anni luce i tempi in cui era lo stesso Comieco (Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base di cellulosica) a premiare l’amministrazione comunale di Giarre per la straordinaria performance ottenuta in tema di raccolta differenziata», ricorda Legambiente.


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“La strage silenziosa di San Filippo del Mela”

«Erano risultati che lanciavano la cittadina etnea a pieno titolo nell’esclusivo club dei comuni italiani virtuosi nella raccolta differenziata di carta e cartone. A distanza di quattro anni, però, il sogno sembra sfumare». A dirigere le attività di Cosa Nostra nella gestione del ciclo dei rifiuti sarebbe stato Roberto Russo, esponente spicco e parte del direttorio del potente clan locale dei Cintorino di Calatabiano. E’ anche intercettando le sue telefonate con funzionari e amministratori che gli investigatori scoprono, anche qui, la truffa della differenziata: formulari della raccolta e del conferimento con numeri inesistenti per mostrare un’efficienza non corrispondente alla realtà e, allo stesso tempo, costringere i Comuni a ricorrere alle procedure di somma urgenza per rimuovere microdiscariche e pulizie straordinarie, affidando l’incarico e ditte riconducibili allo stesso clan, nonostante i servizi fossero regolarmente appaltati e pagati all’Aimeri. “Ora devi dire grazie a me!” Così Russo si rivolgeva all’ex assessore all’Ecologia di Giarre, Piero Mangano, accusato di corruzione aggravata, a proposito della gestione dell’umido: «Ora devi dire grazie a me, ah! Te ne ho caricato di formulari di altri paesi». La falsificazione portava notevoli profitti al clan e all’Aimeri, che, sottolineano gli investigatori, «ha evitato di pagare le penali derivanti dal mancato raggiungimento della raccolta differenziata». «Mi raccomando – diceva un esponente del clan Cintorino al responsabile locale della ditta – Roberto questa cosa la

deve curare bene, ah! Dobbiamo essere più sperti di loro… Li dobbiamo fottere alla grande! È facile arrivare; certo, se ne va un po’ di tempo, però pazienza… Lo dobbiamo sapere io e lei e basta!». E se il Catanese è stato il laboratorio per le nuove modalità criminali, nelle altre province siciliane si registrano irregolarità tradizionali, ma non meno gravi, del ciclo dei rifiuti. Il Tribunale di Palermo ha dichiarato fallita l’Amia, la società municipalizzata che gestisce il servizio nel capoluogo e che negli ultimi dieci anni avrebbe accumulato un debito di 180milioni di euro. Mentre la Procura a febbraio del 2013 ha sequestrato la discarica di Bellolampo per l’ipotesi di disastro ambientale, causato dalla formazione di un enorme lago di percolato che ha contaminato le falde acquifere sottostanti la discarica. Percolato nelle falde acquifere «Decisione necessaria – ha spiegato il procuratore capo Francesco Messineo – Perché il percolato si è infiltrato nelle falde acquifere e rappresenta un pericolo per gli abitanti». C’è il problema dello smaltimento illecito di rifiuti fognari che non risparmia neanche la spiaggia di Sampieri e quella di Fornace, nel Ragusano, famosa in tutto il mondo per la fiction sul commissario Montalbano. A gennaio del 2013 i giudici di Catania hanno sequestrato due villaggi turistici, dopo che le indagini coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di Catania avevano riscontrato ripetuti episodi di inquinamento a mare. E infine c’è lo scottante capitolo dello

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smaltimento dei rifiuti speciali, camuffati come non pericolosi dalla criminalità organizzata. Succede a San Filippo del Mela, nel Messinese, dove è in corso una strage silenziosa. Dei 220 dipendenti della ditta Sacelit che produceva eternit, 113 sono già morti a causa di malattie direttamente collegabili all’inalazione dell’amianto. Ma come se tutto questo non bastasse, continua lo smaltimento illecito dei rifiuti dell’ex cantiere. Tra il 2007 e il 2009 i prodotti contaminati sarebbero stati smistati come rifiuti normali in tre discariche: a Priolo, Gavignano e Lamezia Terme. Undici imprenditori sono indagati con l’accusa di traffico illecito di rifiuti pericolosi in concorso. E, sempre a Messina, una recente inchiesta dell’aprile 2013 colpisce i cantieri navali della zona Falcata. Qui gli investigatori hanno scoperto che dal 2006 in poi sono state smaltite 2.200 tonnellate dei residui altamente inquinanti ottenuti dopo la smerigliatura delle pareti interne ed esterne delle navi. Contaminato il suolo in profondità Quella sabbia, che rimane dalla pulizia della vernice, della ruggine e di tutto il materiale che rimane attaccato alle imbarcazioni e che contiene metalli pesanti, sarebbe stata trasportata da ditte compiacenti presso impianti di recupero della zona come semplice materiale misto di demolizione, o addirittura disperso in luoghi ignoti. Secondo l’Arpa, questo sistema, che ha prodotto all’azienda napoletana un profitto di 226mila euro, ha contaminato il suolo in profondità.


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Pozzallo

Il cemento spacca la giunta Il progetto di riqualificazione della 2G motivo di scontro tra Sel e il Sindaco di Giorgio Ruta e Francesco Ruta www.ilclandestino.info

Ad appena un anno di vita, la giunta di Luigi Ammatuna è già in crisi. Il Sindaco ritira tutte le deleghe agli assessori e azzera. Si riparte da capo. “Tale scelta è stata assunta per differenti posizioni emerse in seno alla maggioranza su recenti, importanti, vicende amministrative”. É chiaro il riferimento alla polemica scoppiata tra Sel e il il primo cittadino sul progetto di riqualificazione che prevede la costruzione di 26 alloggi, in un’area di circa 19 mila mq, in contrada Porporato, lungo la strada provinciale Pozzallo-Ispica, a circa un chilometro e mezzo dalla periferia est di Pozzallo.

Per Sel questo progetto di riqualificazione è una vera e propria speculazione edilizia che non serve alla città. Per il Sindaco, è un’occasione per migliorare Pozzallo e per dare lavoro. Costo totale sette milioni di euro: 1.253.864,54 euro saranno presi da un fondo regionale 313.466,13 dal Comune. Tutto il resto lo spenderà il privato, cioè la 2G, società nella quale compare il nome di Giorgio Cerruto, ex vice sindaco modicano. La stessa società che ha realizzato la progettazione per realizzare le abitazioni in via Fontana a Modica. L'ex vicesindaco Il gruppo di Sel in consiglio comunale e l'assessore Giovanni Colombo avevano fatto emergere la questione dopo aver scoperto che tra la documentazione per il progetto di riqualificazione mancava l’atto di disponibilità dei terreni in cui si sarebbe dovuto costruire. Fino a qualche tempo fa questo documento non si trovava, ma pochi giorni fa è spuntato tra le carte dell’Ufficio tecnico. Il Sindaco ha ordinato un’indagine interna per capire meglio, ma intanto Sel

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grida allo scandalo: “L’avvio delle indagini amministrative per ricostruire ciò che è chiaro da mesi – si legge in una nota – appare come il maldestro tentativo di nascondere l’evidenza confidando su presunti “documenti di disponibilità” venuti fuori come i conigli dal cilindro tre anni dopo l’aggiudicazione”. Un divorzio consensuale Il 29 aprile un Consiglio comunale di fuoco aveva rimandato la decisione. Il 22 maggio il secondo duello, ma ancora una volta si è tentata la strada del rinvio per placare gli animi e trovare una sintesi. Il Consiglio ha dato mandato al Sindaco di affidare al professore Michele Alì di Catania l’elaborazione di un parere sulla vicenda. Tra pochi giorni il legale dovrebbe pronunciarsi. Ma intanto la Giunta Ammatuna è da ricomporre, questa volta, sicuramente senza la presenzan del partito di Vendola. Nelle consultazioni per comporre la nuova Giunta Sel pare non sia neanche stata chiamata. È un diverzio, a questo punto, consensuale: quella del Sindaco “è politica tra “compari” che non vedrà mai Sel d’accordo” si legge in una nota.


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Catania

Il Piano Urbanistico Attuativo Il PUA (Piano Urbanistico Attuativo) è il proseguimento del Patto Territoriale Catania Sud promosso dal Comune di Catania che ha l'obiettivo di promuovere lo sviluppo locale eco-sostenibile di Maurizio Giudice Alba/ Catania

Il PUA dal 2002, anno in cui è stato predisposto, ad oggi ha subito, su indicazione della Regione Siciliana, vari cambiamenti fino allo scorso aprile quando è stata approvata l’ultima modifica. L'ambito territoriale del PUA comprende una vasta area di circa 5.300 ettari che dal porto si estende fino alla parte sud della città. Si tratterebbe di cementificare un’enorme zona costiera, sostituendo alle aree verdi e agricole la costruzione di sale cinematografiche, di un campo da golf, di una sala congressi, di un acquario e di altre strutture ricettive: in questo modo rilanciando il turismo, dando lavoro e riqualificando una zona degradata.

Su queste argomentazioni a giustificazione dell’opera vorremmo ora soffermarci. Dati non giustificati 1. Senza entrare nelle specifiche tecniche (oggetto delle osservazioni ed opposizioni presentate qualche giorno fa dal Comitato No PUA), le analisi di prospettiva economica sono risibili, riferendosi al periodo precedente la crisi e non giustificando in nessun modo i dati di previsione dei flussi turistici. 2. Sul lavoro la retorica è più irritante. Staccandolo dal valore ambientale che viene cancellato dalla cementificazione, ad esso non si può che attribuire una valorizzazione positiva. Quello che ci viene sottratto, attraverso questa mitologia lavorista, e di cui dobbiamo riappropriarci è lo “spazio” urbano, la città come insieme di senso, in cui confluiscono pratiche, culture, elementi naturali, edifici. 3. Essa è una produzione continua dei suoi abitanti e dei suoi luoghi; e se il valore del PUA (o, meglio, del progetto che “Stella Polare” vuole realizzare) è un valore che la città produce nel suo insieme, non può che essere la città, attraverso processi di partecipazione democratica, a decidere sull’opportunità di tale progetto. Ma le pratiche partecipative spaventano il potere, diffondono informazione, trasferiscono le prerogative decisionali dall’alto in basso, dai pochi ai molti: una vera democrazia, una straordi-

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naria catastrofe dell’attuale. 3. In ultimo, nel leggere le relazioni sul PUA salta agli occhi la prepotenza con cui le parole vengono piegate agli interessi economici dei singoli, ad esempio nel modo come il termine “riqualificazione” è fatto aderire ai processi di edificazione e consumo di suolo. Dalle parole bisogna far partire le nostre azioni, dobbiamo riprendercele e farle parlare con la nostra voce. Ma privati e “politici” sono tutto? Ancora una volta ci troviamo di fronte a delle pratiche tipiche del capitalismo e del suo brutale e noioso ripetersi. I protagonisti di questo valzer sono i soggetti privati e la classe politica, i primi votati al profitto, gli altri alla costruzione del consenso attraverso falsificazioni e complicità con i poteri economici. Il bene collettivo, invece, è uno sfondo di legittimazione a cui nessuno vuol dar voce se non, in alcuni casi eclatanti, la magistratura. Possiamo indignarci chiedendo ai privati un minor egoismo e alla politica di essere uno strumento al servizio del bene comune, ma sarebbe ingiusto. Il sistema che abbiamo contribuito a costruire non può che determinare queste soggettività e non altre. Il caso PUA di Catania quindi non dovrebbe indignarci ma portarci alla creazione di nuove strutture di senso sia nella sfera economica che politica.


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Abruzzo

La mafia c'è, ma chi non vuole non la vede Inquietanti notizie di cronaca giudiziaria collegano Palermo e Abruzzo. E un nuovo maxisequestro conduce dritti dritti ad opere di metanizzazione avvenute vent'anni fa... di Alessio Di Florio Nel mese scorso due importanti notizie di cronaca giudiziaria avrebbero dovuto portare sull'Abruzzo l'attenzione dei media. Ma quasi nessuno sembra essersene accorto, come se (ancora una volta) gli intrecci tra la mafia e il nostro territorio fossero invisibili. Il 16 maggio la Procura di Palermo ha disposto l'arresto di 34 persone, tra cui Gianni Lapis. L'accusa rivolta al professionista palermitano è di essere stato il prestanome di Massimo Ciancimino nel riciclaggio del tesoro del padre Vito, ex sindaco di Palermo. Quelle vicende portano direttamente all'Abruzzo, dove negli anni la ricerca dell'ex tesoro di don Vito ha riempito pagine e pagine di cronaca giudiziaria, fino ad arrivare a società impegnate nella costruzione di strutture ricettive (La Contea a Tagliacozzo) e nel campo del gas. Sono vicende facilmente rintracciabili sul Web, basta semplicemente digitare su Google le parole "Gianni Lapis", riciclaggio, tesoro, Ciancimino.

48 milioni di euro La Guardia di Finanza di Palermo ha sequestrato società, attività commerciali, immobili di pregio e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di circa 48 milioni di euro. Il provvedimento è avvenuto a seguito di un'indagine sugli investimenti di società impegnate nel mercato del gas con capitali riconducibili anche a Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, con appoggi politici da parte di Vito Ciancimino. Fra gli anni '80 e gli anni '90 A cavallo degli Anni Ottanta e Novanta le cosche avrebbero quindi messo le mani sulla metanizzazione di vaste porzioni della Sicilia. E dell'Abruzzo (e, anche in questo caso, da notare come l'Abruzzo sia stato "dimenticato" da vari organi di stampa nazionali nel riportare la notizia...). Nelle accuse a Gianni Lapis di aver investito in Abruzzo come prestanome di Massimo Ciancimino già anni fa si faceva riferimento ad una società marsicana del settore energetico, venduta poi ad una società spagnola a cavallo tra il 2003 e il 2004. “Qui siamo in un'isola felice...” Per anni si è continuato a portare avanti la favola delle mafie come fenomeni locali "coppola e fucili" confinata in poche regioni "sfortunate", mentre tutto il resto della Penisola sarebbe sana. L'Abruzzo sarebbe quindi un'isola felice, dove può "scapparci qualcosa" ma nulla più. Qualcun altro, forse credendosi più furbo o scaltro, ci ha invece raccontato un'altra narrazione: l'Abruzzo era un'isola

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felice, ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Storiella sbagliata esattamente come la prima. Sono passati oltre vent'anni dall'assassinio dell'avvocato Fabrizi, un omicidio su cui non si è mai riusciti a fare piena luce: i mandanti sono rimasti nell'ombra e nei lustri intercorsi dalla sera del 4 ottobre 1991 (il giorno in cui il "killer dagli occhi di ghiaccio" lo ha ucciso) hanno potuto continuare ad investire ed agire. Il primo clan della mala romana Come riportammmo a gennaio su I Siciliani Giovani , nello studio di Fabrizi gli investigatori trovarono enormi faldoni di documenti che andavano dai rifiuti ai centri commerciali. Ma l'intreccio tra criminalità e Abruzzo va ancora più in là nei decenni. Il 21 maggio è stato reso noto il sequestro di beni per 1,5 milioni di euro nei confronti di Raffaele Casamonica, la cui famiglia è considerata il più importante clan della malavita romana. La Famiglia casamonica Nel gennaio 2012 "La Repubblica" realizzò un dossier articolato sulle vicende della famiglia Casamonica (Casamonica SpA), che descrive un clan, considerato dalla DIA "la struttura criminale più potente del Lazio con un patrimonio stimato di 90 milioni di euro", i cui affari vanno "dall'usura allo spaccio in grande stile di cocaina" fino al "recupero crediti" in rapporto anche con Enrico Nicoletti, l'ex cassiere della Banda della Magliana. La famiglia Casamonica è originaria dell'Abruzzo, "giunti da Pescara nella Capitale negli anni settanta"(Wikipedia). Ma a Pescara e in Abruzzo questo appare continuamente sconosciuto.


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“Politici e imprentitori legati a doppio filo con le organizzazioni criminali”

Le mafie non sono più "coppola e fucile", i mafiosi di oggi girano in ventiquattr'ore e gessato, sono al centro di trame e reti economiche, commerciali, speculative, affondano le loro fortune in affari e società, alcune addirittura "formalmente legali". Politici e imprenditori sono legati a doppio filo con le organizzazioni criminali in cartelli che dominano i territori, investono nel ciclo del cemento, dei rifiuti, dell'energia all'interno del sistema economico. Mescolanza tra affari leciti e illeciti, business "legali" e "capitali sporchi" che si legano anche alla luce del sole, ma nel silenzio e nell'omertà di molti. Speculazione edilizia e rifiuti Le mafie in Abruzzo investono e agiscono. Sono attive nel settore della speculazione edilizia (ci sono testi universitari che portano il Vastese come esempio di riciclaggio di denaro di provenienza illecita nella speculazione edilizia) e nel campo dei rifiuti, hanno investito o lo fanno ancora nei settori del gas e del turismo, controllano il traffico della prostituzione, delle droghe e dello sfruttamento del lavoro clandestino, portano avanti il racket delle estorsioni. Questi business non sono avulsi dal contesto sociale ed economico, non sono lontani dalla quotidiana realtà. I silenzi nazionali, le omertà che diventano connivenze, le complicità di chi non soltanto non si oppone ma spesso è un ingranaggio di 'O Sistema, potranno anche permettere alla favola dell'isola felice o dell'isola-non-felice-ma-però-se-forse, di essere ancora raccontata. Ma è un falso "senza se e senza ma". Info: www.ritaatria.it www.peacelink.it/abruzzo

PERSONE DOMENICO TOSCANO UN ABRUZZESE DAL CUORE CUBANO Buon viaggio, hermano querido! Il 6 aprile è venuto a mancare in Abruzzo Domenico Toscano, infaticabile militante di mille e più lotte della sinistra abruzzese (e non solo). Durante il funerale laico, ad ognuno di noi un ricordo affiorava alla mente. Ed erano tantissimi, forti, belli, divertenti, emozionanti. Il mio più bello e intenso è legato ad una giornata dedicata a DemocraziaKm0, che allora nasceva dalle colonne del periodico Carta. Domenico tutto il giorno rimase in ascolto, attentamente, volenteroso di capire e partecipare a questa esperienza. Alla fine della giornata prese il microfono, eravamo tutti stanchi e non si vedeva l'ora di finire ma restammo in totale silenzio. Disse poche parole ma trasmise una forza indescrivibile, e l'applauso entusiasta scattò in automatico. Domenico ci ha lasciato ad 82 anni, di cui almeno sessanta dedicati all'impegno e alla militanza politica e sociale. Compagno e militante nel senso più alto e nobile del termine, Domenico c'era sempre, ovunque, dai volantinaggi davanti alla Sevel (la fabbrica che da decenni è tra i cardini della vita operaia) alle feste di partito. Dopo decenni di attività politica, sociale, sindacale (fu tra coloro che organizzarono il biennio rosso 1968-1969 tra gli edili, quando vi era ancora la presenza del sindacato); era tornato in Abruzzo da Milano nel 1994. Si attivò immediatamente per Rifondazione e e per l'ANPI. E per la sua Cuba, fondando in Abruzzo l'Associazione di Amicizia Italia-Cuba. Era stato ospite a casa di Fidel Castro e della sua famiglia, era stato amico di Gino Doné (l'unico italiano che partecipò allo sbarco del Granma a Cuba) e di partigiani come Giovanni Pesce e Valentino Zuffada, col quale nel '73 andò in Grecia a sostegno dei compagni che lottavano contro il regime dei colonnelli.

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La vita di Domenico fu una grandissima storia d'amore per gli ideali più alti di eguaglianza, giustizia e libertà, per il progresso umano e la militanza. Una parola che in lui faceva vibrare le corde del cuore e dell'animo. I militanti più veri e autentici sono sempre stati anche grandi sognatori, appassionati amanti. Vittorio Arrigoni prima di tutto amava la Palestina e quotidianamente si batteva con sulle labbra le parole "Restiamo Umani". Angelo Frammartino scriveva che dovevamo ogni giorno "imparare ad amare daccapo". La militanza di Domenico era la stessa, forgiata nella stessa forza e intensità. Ci mancherà Domenico. Ci mancheranno i suoi ricordi, la sua saggezza, la sua passione, che fino all'ultimo aveva donato a tutti noi: finché esisterà ancora la storia della sinistra più nobile e generosa continueranno ad accendere i cuori e a stimolare la nascita di nuovi militanti, e noi potremo chiudere per un attimo gli occhi e rivedere un dolce e tenero sorriso. Quello di Domenico, che ci spronerà ad andare avanti e non mollare. Buon viaggio hermano querido, abruzzese dal cuore cubano. Alessio Di Florio


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Ambiente

Sicilia: le città perdute In Sicilia le industrie producono più inquinamento che benefici. Aree ad alto rischio: Milazzo, Valle del Mela, Gela, Priolo, Siracusa, Ragusa, Augusta, Melilli e Niscemi di Carmelo Catania In alcune aree della Sicilia la situazione dell’ambiente, dell’aria e delle acque è ormai ai limiti della sostenibilità. Le conseguenze del miraggio industriale hanno prodotto e produrranno gravi disagi e gravi malattie danneggiando irreparabilmente luoghi di grande rilievo naturalistico e turistico. Questa storia ha inizio tanti, tanti anni fa, quando studi condotti sul territorio siciliano riferivano circa la criticità dell’impatto ambientale prodotto dall’attività industriale di natura petrolchimica. Indagini condotte già negli anni Settanta (Duce e Hoffman, 1976; Hope, 1997; Stigter e altri, 2000) avevano rilevato nell’aria, la presenza di alcuni metalli (vanadio, arsenico, cromo, cadmio) in quantità significativamente rilevanti nei territori interessati da industrie petrolifere. Per questo motivo le aree di Gela, Augusta-Priolo e Milazzo nel 2002, vengono dichiarate “a elevato rischio di crisi ambientale”.

In base alla legge n. 389 del 1986, un territorio può essere definito “a elevato rischio di crisi ambientale” quando si verificano gravi alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi idrici, nell’atmosfera o nel suolo. Alterazioni tali da costituire un rischio per le popolazioni e l’ambiente. La situazione è grave Da allora sono stati pubblicati altri studi che rilevano livelli sopra la norma di contaminazione di metalli pesanti in atmosfera nell'area di Gela (Bosco e altri, 2005). A Milazzo, uno studio sui sedimenti marini superficiali conferma la presenza di elevate concentrazioni di differenti classi di idrocarburi associabili alle attività industriali di raffinazione del petrolio e dei suoi derivati (Yakimov e altri, 2005). Secondo uno studio su Stato di salute della popolazione residente nelle aree ad elevato rischio ambientale e nei siti di interesse nazionale della Sicilia l’elevata “mortalità e morbosità osservati nelle aree di Augusta-Priolo, Gela e Milazzo” sono “attribuibili ad esposizioni professionali ed ambientali legate ai numerosi impianti industriali ed al conseguente inquinamento delle matrici ambientali”. Commissioni e uffici speciali Per affrontare queste problematiche, nel 2002 venne istituita la “Commissione Stato-Regione, Provincia, Enti locali, per la definizione del piano di risanamento ambientale e rilancio economico del Comprensorio del Mela”, che avrebbe dovuto, tra l’altro, redigere una bozza del piano di risanamento. Nel 2005 fu attivato, presso l’assessorato regionale al Territorio e ambiente l’Ufficio speciale per le aree ad elevato

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rischio di crisi ambientale della Sicilia che avrebbe avuto il compito di realizzare “programmi e progetti di rilevante entità e complessità, nella definizione e realizzazione, aggiornamento periodico dei piani di risanamento, rilascio di pareri preventivi, su qualsiasi decisione di competenza della Regione e degli Enti locali relativa a problematiche ambientali o comunque con implicazioni ambientali inerenti le aree a rischio”. Lo stesso anno furono pubblicate le Linee guida per la formazione del “Piano per il risanamento ambientale ed il rilancio economico del Comprensorio del Mela”, un documento dove oltre a “ecologia”, “biocapacità”, “risanamento ambientale”, “buone pratiche”, “principio di precauzione”, “tutela dei lavoratori” e si riaffermava il principio che “la razionalizzazione delle attività industriali che hanno generato la situazione di crisi ambientale, ed il conseguente rientro dell’impatto antropico negli standard della sostenibilità costituiscono un presupposto imprescindibile dell’azione di risanamento”. Un’incidenza del 200% In queste tre aree dell’isola l’Organizzazione mondiale della sanità ha rilevato – sulla base di uno studio del 2005 – patologie le cui frequenze si discostano significativamente dalla media nazionale: i tumori alla laringe presentano un’incidenza del 200% in più; + 25% le malattie cerebrovascolari; +35% le malattie respiratorie; + 55% i sintomi mal definiti ovvero mal di testa, mal di stomaco, ecc. L’Oms ha così deciso di avviare un progetto “che prevede analisi sanitarie con tanto di mappatura regionale e azioni di monitoraggio ambientale comprensive delle bonifiche”.


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“Fra dieci anni saremo al punto di non ritorno”

Inoltre, in Sicilia “è in corso un’analisi della mortalità delle tre aree industrializzate, mentre insieme all’Istituto superiore di sanità sta lavorando sulle problematiche relative all’amianto e sulle eventuali connessioni tra l’inquinamento e la catena alimentare. “Le aree a elevato rischio ambientale” Oggi, a distanza di vent’anni e passa dai primi studi cosa è stato fatto in concreto per risolvere le problematiche delle aree ad alto rischio della Sicilia che costituiscono un costo non indifferente per la nostra Regione, sia sotto il profilo umano, sia sotto il profilo economico? L’impatto sull’ambiente di certe industrie presenti sull’isola non è un rischio ma una certezza. Eppure la Regione siciliana, che ha creato lo “Sportello unico per le aree le aree ad elevato rischio di crisi ambientale”, non ha ancora attuato

“le disposizioni della legge 257 del 1992 che prevede la definizione, da parte di tutti gli Enti locali, di un Piano di rimozione dei manufatti in amianto e quindi può incorrere in infrazioni da parte dell’Unione Europea”. Per le tre aree ad elevato rischio industriale del Siracusano, Valle del Mela e Gela lo Sportello unico ha emesso un bando di gara pari a 10 milioni di euro per la realizzazione del Piano amianto regionale. Dieci anni buttati via Nella passata legislatura – nell’inattività delle precedenti amministrazioni regionali – sono scaduti i termini (10 anni) per la messa a punto e l’avvio del Piano di emergenza per prevenire e curare i danni provocati dall’inquinamento ambientale senza che venisserro attuate le misure che avrebbero permesso di ridurne l’impatto sulla vita e sulla salute dei siciliani.

Serve a poco che l’Unione Europea promuova un “Programma d’Azione Comunitaria in materia di salute” (20082013), in cui si afferma che è indispensabile “concentrarsi sugli effetti sulla salute di determinanti più generali, di tipo ambientale, fra cui la qualità dell’aria negli interni e l’esposizione a sostanze chimiche tossiche”, se poi in Italia gli amministratori locali e nazionali non provvedono ad emanare apposite direttive per la bonifica dell’ambiente e per il risanamento di condizioni di vita. Occorre la massima urgenza Se non si interverrà con la massima urgenza per recuperare alcune aree della nostra regione e se si continuerà a rinviare gli interventi di massima urgenza ormai indispensabili, tra 10 anni – secondo gli esperti – potremo avere raggiunto il punto di non ritorno.

Scheda “EDUCAZIONE” AMBIENTALE: QUANDO NELLA SCUOLA SI FA DISINFORMAZIONE Tirrenoambiente, una società a capitale pubblico privato, proprietaria di una delle più grandi discariche di rifiuti indifferenziati della Sicilia, quella di Mazzarrà Sant’Andrea, occupando la cronaca degli eventi più importanti accaduti in provincia di Messina negli ultimi 10 anni perché al centro di contrasti con gli abitanti dei centri vicini al sito di smaltimento che denunciano gravi episodi inquinamento, e con i suoi vertici coinvolti in processi di mafia (l’ex presidente del Cda condannato in primo grado per concorso esterno) e su reati ambientali (proprio per la malagestione della discarica), da qualche anno a questa parte si prodiga nel tentativo di accreditarsi in un ruolo positivo in materia ambientale. I suoi strateghi della comunicazione - con la collaborazione di scuole e altre istituzioni pubbliche - inondano gli studenti di messaggi “positivi” per informarli con “trasparenza” sui progetti dell’azienda e sulla natura delle attività “green” esercitate al suo interno.

Quest’anno il concorso "Piccoli gesti per un mondo migliore" nell'ambito del più ampio progetto "Riduzione Riuso Riciclo Recupero", ha coinvolto 64 istituti di Messina e provincia con un riscontro da parte di ben 200 scuole. La scuola deve svolgere un ruolo fondamentale come agenzia privilegiata nel promuovere e attivare una educazione ambientale. Perplessità suscita però la scelta di un partner che - gestendo in monopolio, le discariche e, grazie ad intrecci societari, in alcuni casi anche a la raccolta - ha costruito il suo business proprio sullo smaltimento in discarica dell’indifferenziato e che non ha mai avuto alcun interesse a favorire quella raccolta differenziata che oggi, con queste “sponsorizzazioni”, dichiara di voler incentivare. I numeri parlano chiaro: i crediti che la società vanta nei confronti degli enti siciliani raggiungono i 72 milioni e 300 mila euro. Solo Ato 3 e Comune di Messina, dovendo versare nelle sue casse ogni mese ottocentomila euro, devono a Tirrenoambiente 28 milioni di euro. C.C.

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Assalto alle coste/ Terrasini

Il Belvedere diventa Malvedere Intrighi, parentele, amicizie dietro l’ultimo tentativo di privatizzazione della costa. Parte un esposto denuncia. Già raccolte più di 1000 firme. Una mozione all’ARS di Salvo Vitale La vicenda comprende intrighi degni del miglior Camilleri. Si tratta della costruzione, ormai a buon punto, di una struttura di ristorazione e di svago che deturpa una scogliera, il tutto per soddisfare quella che Virgilio chiama “auri sacra fames”, la sacra fame dell’oro. Il posto si trova a Terrasini su un Lungomare che, nel 1996 è stato intestato a Peppino Impastato. Lo hanno chiamato Piazzale del Terzo Millennio, ma gli abitanti del luogo amano chiamarlo “Piazzetta degli innamorati”, considerato che, per le coppiette,ma non solo per loro, è quasi d’obbligo fermarsi sul piazzale, per ammirare il mare e il suggestivo paesaggio offerto dalla fascia costiera a strapiombo sul mare e dalle strane sfumature di colore rosso delle falesie che hanno dato al sito il nome di Calarossa: un panorama incomparabile che permette di osservare tutta la fascia costiera, dall’interno del Golfo di Castellammare ad Ustica, e un’insenatura, con le sue particolari valenze naturalistico – paesaggistiche, e floro-faunistiche, che ne fanno un laboratorio a cielo aperto. Nelle giornate favorevoli si possono veder saltare i delfini fuori dall’acqua. L’intera costa, dal 2000 è stata classificata come Sito di Interesse Comunitario (zona SIC ). Tutto questo minaccia di essere alterato dall’installazione di una struttura prefabbricata.

Il problema è esploso da qualche mese, allorchè sono iniziati i lavori. L’Associazione Peppino Impastato, di cui sono soci i compagni di Peppino, ha avviato un attento lavoro di ricerca di documenti presso i vari enti comunali e regionali che si occupano di tutela ambientale, e, attraverso enormi intoppi burocratici, ha scoperto che una società denominata DUEGGI, composta da quattro imprenditori terrasinesi, ha chiesto e ottenuto la concessione di una parte di costa demaniale, per la costruzione di uno stabilimento denominato “I Club”, che prevede una sorta di piscina, un posto per prendere il sole, una sorta di balcone sul suggestivo panorama e un posto di ristorazione, oltre che un bar e una discoteca per intrattenimenti notturni. Il tutto condito da proposte di elioterapia: si può anche prendere il sole a pagamento. Sono esposte su una pagina Facebook le immagini dello stabilimento. Era previsto originariamente anche una sorta di montacarichi per chi volesse fare il bagno a mare, ma il progetto è stato, almeno per il momento, accantonato. La concessione è stata pagata con 27.000 euro per sei anni: più o meno 400 euro al mese, per il possesso di 2998 mq. di terreno: il limite massimo consentito è di 3.000: perderanno solo due metri quadrati. In un volantino dell’Associazione distribuito qualche mese fa si scrive: “Il Belvedere diventa Malvedere: l’ultimo scippo”. Si denuncia il tentativo di speculazione su una porzione di costa ancora libera, da parte di una società nata con un capitale sociale di 10.000 euro; si osserva che un decimo di quanto concesso, come da norma, cioè 300 mq. sarà occupato da struttura coperta. “Ma poi, sai com’è, si aggiunge nel volantino, se il vento se la

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porta via, si potrà ricomporne un’altra più grande, non se ne accorge nessuno, così come nessuno potrà obiettare se, a margine dell’area che divide l’impianto dalla strada, si mette una fila di grosse piante o un grande telone che impedisce ai passanti di curiosare, ma anche di guardare il mare”. Il volantino prosegue con l’identificazione degli azionisti e di alcune loro connessioni, un reticolo impressionante di amicizie e di interessi. Di chi è la prima quota ● Una quota del 25% appartiene all’amministratore unico della società, un architetto che ha già ricevuto incarichi dal comune, per un totale di 60.000 euro, dei quali l’ultima tranche è stata pagata proprio in questi giorni, e alla moglie, un avvocato che fornisce la copertura legale all’impresa e che attualmente è stata nominata assessore a Torretta. Costei lavora nello studio legale del sindaco di Cinisi, dove ha sede anche l’ufficio di I.Ruffino, già amministratore responsabile dell’ATO 1 rifiuti di Palermo. Nel febbraio del 2010 è stata protagonista di un processo, “la parentopoli terrasinese”, chiusosi con la condanna a un anno e sei mesi dell’ex sindaco di An Nino Randazzo, anche lui poi diventato alto dirigente ATO, e dell’Assessore Aldo Ventimiglia, a seguito di due delibere del 2004 con cui la giunta Randazzo ampliava la composizione del Nucleo di Valutazione del Comune inserendo la figlia dell’assessore Ventimiglia, Milena e quella dell’allora consigliere comunale Giovan Battista Pizzi, Giorgia per l’appunto, assieme all’ex consigliere comunale Bongiorno e al politico UDC, il farmacista Giuseppe Sciascia. La delibera prevedeva anche, l’aumento dei compensi per i membri del nucleo. Nessuna di queste persone aveva esperienze e competenze per valutare dipendenti che occupavano particolari posti di rilievo. Il capo dei vigili urbani Rosario Palazzolo inviò alla magistratura un esposto in cui si denunciava l’inghippo di nomine per amici e parenti e l’irregolarità dell’aumento.


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Rinviati a giudizio, vennero poi assolti gli amici e i parenti dall’accusa di abuso in atti di ufficio, mentre vennero condannati sindaco e assessore per l’aumento retributivo delle competenze. Per chiudere questo primo aspetto, si aggiunga che l’amministratore di cui abbiamo parlato ha un fratello consigliere comunale, il quale è recentemente passato, dalla opposizione alla maggioranza: particolari di contorno sono che la madre dei due fratelli è stata una figura apicale dell’Ufficio anagrafe del Comune, che il padre è stato, in altri tempi, consigliere comunale liberale e che l’avvocatessa è cugina dell’attuale sindaco di Terrasini. Un bel groviglio. La seconda, terza e quarta quota ● Un altro 25% è della sorella di un architetto, il quale è attualmente responsabile del piano di sviluppo economico del territorio – area VI del comune di Terrasini e che è, inoltre, amministratore unico di una cooperativa che gestisce uno stabilimento balneare sulla spiaggia Magaggiari di Cinisi, denominato Melangolo: tale società ha avuto la non comune capacità di ottenere, da alcuni anni, la concessione di un centinaio di metri della già piccola spiaggia, dove ha sistemato un lido a pagamento. Costui, nel novembre 2011 ha apposto la sua firma al verbale di un sopralluogo effettuato sul posto in discussione, il Solarium, di cui la sorella è azionista: era accompagnato da due militari della guardia di finanza, che, si presume ignorassero tale parentela, e dall’amministratore unico della società, che è il collega architetto citato nel primo punto. La conclusione di tale verifica è stata di parere naturalmente favorevole, rilasciato alla sorella e al collega socio. Conflitto d’interesse? Sciocchezze! A che servono amici e parenti? ● La terza quota della società è di un giovane con notevole esperienza nel campo dell’intrattenimento serale e notturno da discoteca. Dopo avere lavorato per anni presso il “Sea Club”, altro esempio lì vicino, di come una costa possa cambiare aspetto ed essere cementificata, costui ha deciso di mettersi in proprio per fare concorrenza al suo ex padrone. E’ nipote del Presidente del Consiglio di Terrasini, un uomo che ha forti interessi nel porto e che è, naturalmente, schierato con gli azionisti. ● La quarta quota è di un facoltoso giovane figlio di una famiglia di orefici, (ec-

cettuato il padre, che è un pediatra), orefice pure lui, il quale ha deciso di allargare i suoi interessi, finanziando, si dice, con 350.000 euro, il progetto. Attorno a questi, girano altri personaggi, come quello di un geologo, componente della Commissione tecnica comunale che ha dato parere positivo alla valutazione di incidenza ambientale del sito, non preoccupandosi se si tratta di marne friabili, dove hanno già perso la vita, qualche mese fa, due ragazzi, con ogni probabilità a causa di un crollo del costone su cui erano seduti. Trattasi infatti di zona classificata P3, cioè ad elevato rischio di pericolosità, ma che sta per essere elevata a zona P4, cioè a rischio più alto. Questo geologo al momento è incaricato di curare l’aspetto geologico del piano regolatore di Terrasini. E, se i suoi pareri sono come quello già emesso per la sorella , ci sarà da stare attenti. Ma c’è anche un altro architetto che ricopre il ruolo di dirigente dell’Urbanistica e che, assieme al geologo e a un tecnico della Forestale, firma la citata relazione geologica. Quest’ultimo architetto ha avuto altre noie con la giustizia quando lavorava presso il comune di Villabate, allora dominato da Totò Cuffaro e company. L’architetto è ben quotato negli ambienti del PD palermitano, al punto che si è pensato, ma senza prove, che anche l’on. Beppe Lumia possa essersi schierato a suo favore. C’è un consigliere comunale di Sancipirrello, un tal Barone, che dice di essere segretario di Lumia e che più di una volta si è scagliato contro gli esponenti del Forum Ambiente Calarossa. Se Lumia è implicato in questa vicenda, non è impossibile che lo sia anche Crocetta, presidente della Regione, ispiratore della lista “Il Megafono” in cui è stato rieletto (per la sua sesta legislatura) Lumia, che il PD non voleva ricandidare. Uno schieramento sorprendente Ha sorpreso invece lo schieramento pro-Solarium di Giuseppe Arnone, il quale rivendica per sé il merito di essere l’unico ambientalista siciliano doc. Con un volantino in carta lucida, dove campeggia la sua foto a colori, distribuito da un extracomunitario che quotidianamente sorveglia il posto, Arnone elenca le sue lotte e, a sorpresa, auspica addirittura che possano nascere tanti di questi Solarium in tutta la Sicilia, e aggiunge che l’operato dei funzionari regionali che hanno concesso le autorizzazioni non fa una grinza.

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Il Consiglio “non sa niente” A parte i procedimenti giudiziari che Arnone ha in corso, il volantino che circola significa che, in questa questione, egli c’è dentro con mani, piedi e faccia. La “longa manus” del quartetto di affaristi è arrivata fino a lui? E con che argomenti? La manovra, per quel che riguarda le competenze di gestione del territorio, avrebbe dovuto passare dal Consiglio Comunale, che non ne sa niente, o finge di non sapere; avrebbe dovuto essere subordinata al Piano Di Utilizzo del Demanio Marittimo che avrebbe dovuto essere approvato entro il febbraio 2012, termine poi postergato di qualche mese. Niente di tutto ciò. Alla fine è arrivata sul tavolo del sindaco un foglio col via libera ai quattro “cavalieri dell’Apocalisse”, ed egli ha firmato ad occhi chiusi. La passata amministrazione nel 2008 aveva sottoposto al Consiglio Comunale un progetto di sistemazione e utilizzo delle spiagge e degli accessi a mare, che non è stato mai approvato, ma che lo sarà non appena si deciderà a chi affidare la gestione degli accessi al mare, sinora liberi. Si vocifera che, dietro tutta l’operazione ci sia un altro architetto, che, al momento è assessore a Terrasini, naturalmente all’Urbanistica, che in precedenza, ha lavorato, guarda un po’, presso la Soprintendenza ai beni culturali, ovvero l’ente che ha dato il definitivo parere favorevole: guardacaso, questo architetto è anche socio della società “Melangolo”, di cui abbiamo prima detto. A questo “clan” di architetti, ingegneri e geometri appartengono altre persone che siamo in grado di indicare qualora la magistratura decidesse di aprire un’indagine sull'autentico “comitato d’affari” che ha messo o sta mettendo le mani sulla destinazione e sull’utilizzo di quel che resta del territorio di Terrasini. Contro il Solarium si sono schierati la locale Capitaneria di Porto, la Lega Ambiente circolo Chico Mendez di Partinico, lil WWF (che ha avanzato una serie di fondate riserve), le locali sezioni di SEL e del Movimento Cinque stelle, che ha presentato una mozione all’ARS ed ha sollevato il problema al Forum per l’ambiente di Firenze. Se n’è parlato anche al Forum Sociale Antimafia di Cinisi, che ha esposto una mostra fotografica sullo scempio. Favorevoli invece tutti gli esponenti della Terrasini “bene”, con l'alibi dei “nuovi posti di lavoro” e della... “bellezza” che così si acquisterebbe.


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Lavori ultimati, locale inaugurato L’Associazione si è rivolta anche al nucleo speciale delle forze dell’ordine che si occupa di tutela e protezione ambientale: costoro, già informati della questione, sollevata dal volantino, hanno suggerito di non far niente, cioè di bloccare tutte le iniziative, perché ci avrebbero pensato loro. Ma sono passati vari giorni, i lavori sono stati ultimati e il locale è stato anche inaugurato il 31 maggio, giusto all’inizio della stagione balneare. C’è stato solo un blocco di qualche giorno, a causa di una multa spiccata nei confronti della società, perché era stato scavato un solco per interrare i cavi elettrici. Il dubbio che la mano di queste persone arrivi dappertutto è abbastanza fondato: prima che lo scempio sia irrimediabile, com’è successo per gli alberi della Piazza, l’Associazione Impastato si è proposta d'intervenire per via politica e giudiziaria, e invita i cittadini a mobilitarsi, “perché lo scippo è fatto a loro e ai loro figli”. Un esposto-denuncia è stato inviato alla Procura della Repubblica, al Prefetto, al Presidente della Regione, e all’assessorato regionale Territorio e Ambiente. Una nota è partita per l'assessorato regionale Agricoltura e Foreste, che dovrebbe occuparsi della tutela delle zone SIC. E’ in corso anche una raccolta di firme in calce a un comunicato sulla pericolosità e sulla inopportunità di tale progetto: l'hanno già firmato più di mille persone. Minacce di denunce a Telejato I titolari dell’impresa hanno scelto la “linea dura”: minacce di denunce penali sono state fatte nei confronti dell’Associazione Impastato, rea di avere distribuito il volantino che ha sollevato il problema, nei confronti di Telejato, rea di avere fatto una trasmissione contro il Solarium e di avere effettuato riprese “non autorizzate”, nei confronti di una ragazza, rea di avere girato alcune immagini in cui uno dei titolari dell’impresa discuteva animatamente con alcuni passanti e di averle pubblicate su Youtube, violando la privacy, e nei confronti di tre persone che sono andate sul posto a scattare qaulche immagine su come procedono i lavori. Su quest’ultimo caso si è visto l’architetto, titolare della Dueggi, fotografare i tre “giovani esploratori” fotografi e poi avvisare i carabinieri di Cinisi e di Terrasini, i quali, con insospettata rapidità, si sono subito presentati con tre volanti per

identificare i tre. Insomma, denunce per tutti e intimidazioni psicologiche: d’altra parte, il citato architetto, assieme agli altri tre soci, non ha bisogno neanche di rivolgersi a un avvocato, dal momento che sua moglie è l’ avvocato che cura le vertenze legali dell’impresa di cui è socia. La strategia ricorda quella scelta dalla titolare della distilleria Bertolino, la quale ha una volta dichiarato, da buona erede del boss Giuseppe Bertolino, che prima si usava la pistola, o, comunque la forza, nei confronti degli oppositori, adesso basta la carta bollata e un buon avvocato per intimidirli e distruggerli. Benzina e fax intimidatori La macchina di Andrea Bartolotta, compagno di Peppino Impastato, impegnato in prima fila, è stata trovata cosparsa di benzina il giorno dopo che egli aveva distribuito il volantino contro il Solarium. Al Presidente del “Centro di Documentazione Giuseppe Impastato”, Umberto Santino (che in questa storia non c’entra niente) è arrivato un fax intimidatorio. L’esposto dell’Associazione Impastato denuncia assieme ad alcune inadempienze tecniche, la pericolosità del terreno, rilevata da cartelli ivi esposti dopo la morte dei due ragazzi. Quello della sicurezza è senz’altro il motivo preminente, poiché la struttura poggia su roccia friabile e il suo ancoraggio lascia adito a molte perplessità L’altro punto della denuncia riguarda il danneggiamento dell’aspetto paesaggistico, trattandosi di un posto di eccezionale bellezza, non ancora antropizzato, la cui visuale paesaggistica sarà interamente compromessa. Si parla di una manifestazione ad opera del Forum Ambiente Calarossa, che qualche anno fa era riuscito a bloccare il progetto di costruzione di un depuratore ubicato proprio su questo sito. Estendere la riserva naturale La proposta è quella di estendere l’area di riserva naturale da Capo Rama, che già lo è, sino a Calarossa, cioè sino alla zona attualmente al centro delle manovre speculative. Il tutto mentre è in corso una ri-

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cerca sulla trama di gli agganci, imparentamenti, protezioni, collusioni, corsie preferenziali, amicizie, conflitti d’interesse, prestazioni comunali pilotate, eventuali attestazioni benevolmente concesse, e il giro d’interessi che caratterizza l’operato dei “magnifici quattro”, in un territorio, già duramente colpito da speculazioni e devastazioni private. Il che ci riporta all’altro spinoso problema, più volte denunciato, ma sempre accantonato, delle concessioni governative di pezzi di spiaggia o di territorio, cioè di beni comuni a privati, per somme minime che vengono recuperate nello spazio di poco tempo e rappresentano, pertanto, una buona forma d’investimento. L’ottica del profitto viene poi mascherata o compensata con la promessa di posti di lavoro, generalmente destinati a parenti o amici. Così ciò che è di tutti diventa proprietà di pochi e, per poterne disporre, bisogna pagare. Qualcosa del genere sta accadendo già all’Isola delle Correnti, sull’estremo lembo dell'Isola. Per imbavagliare l'Associazione Ultimissima: secondo voci attendibili, gli azionisti del Solarium avrebbero studiato un’altra mossa per gettar fango sull’Associazione Impastato, con questa motivazione: Guido Orlando, morto più di un anno fa, era socio, anche se dimissionario, dell’Associazione; Vittorio Orlando suo nipote (figlio diun fratello, è l’attuale gestore del SEA Club, che da oltre un ventennio ha la concessione della spiaggetta di Calarossa e non si è fatto scrupolo di costruirvi robuste piattaforme di cemento, come più volte denunciato dall’Associazione e dallo stesso Guido. Secondo i tortuosi percorsi mentali della combriccola, l’ostilità dell’Associazione nei confronti del Solarium sarebbe determinata dal fatto che non si vuole la costruzione di una seconda struttura che faccia concorrenza a quella del nipote di un socio dell’Associazione, anche se questo socio è morto. Tale incredibile accusa è stata avanzata, per la prima volta, quando, qualche anno fa, un grande movimento di cittadini impedì la costruzione di un depuratore, proprio a Calarossa, nel sito in cui è ubicato adesso il Solarium. Evidentemente ci si trova davanti a gente che non ha rispetto nemmeno per i morti e che è pronta a tutto, anche a dire menzogne spudorate senza porsi alcuno scrupolo, utilizzando poi a proprio vantaggio anche le lotte ambientaliste fatte da altri.


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flaviano armentaro flavianoarmentaro.blogspot.it


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Mauro Biani

CHI SEMINA

RACCONTA SUSSIDIARIO DI RESISTENZA SOCIALE Contributi di Antonella Marrone, Carlo Gubitosa, Cecilia Strada, Cinzia Bibolotti, Ellekappa, Franco A. Calotti, Gianpiero Caldarella, Makkox, MaoValpiana, Massimo Bucchi, Nicola Cirillo, Pino Scaccia, Riccardo Orioles, Stefano Disegni, Vincino Gallo Formato 17x24, 240 pagine, colori ISBN 9788897194057 15 euro

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l meglio delle vignette, sculture e illustrazioni di Mauro Biani, autore di satira sociale a tutto tondo che unisce la vocazione artistica all’impegno professionale come educatore in un centro specializzato per la disabilità e la non disabilità mentale. Uno sguardo disincantato e libero che sa dare le spalle ai potenti quando serve, per toccare temi universali come la

nonviolenza, i diritti umani, l’immigrazione, il cristianesimo anticlericale, la resistenza alla repressione e la lotta alle mafie. L’AUTORE Mauro Biani (Roma, 6 marzo 1967) ha pubblicato vignette in rete per anni per poi fare il salto verso il professionismo su quotidiani e settimanali nazionali, riviste del terzo settore e organi di informazione indipendente. Ha fondato la I Siciliani 52 Sicili igiovani p giov ni – pag.

rivista di giornalismo a fumetti “Mamma!” che ha chiamato a raccolta un gruppo nutrito di giornalisti, vignettisti e fumettari in cerca di nuovi spazi espressivi. Collabora con il gruppo internazionale “Cartooning For Peace” sotto l’alto patrocinio dell’Onu. Nel 2009 ha pubblicato il volume “Come una specie di sorriso”, una antologia di illustrazioni ispirate alle canzoni di Fabrizio De Andrè.


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Memoria

Appuntamento all'Albero Falcone

Palermo, 23 maggio di Grazia Bucca www.arcisicilia.info

Anche quest'anno, allo scoccare del ventunesimo anniversario delle stragi, sono entrate in porto le due navi, una partita da Civitavecchia, l'altra da Napoli, cariche di tanti ragazzi delle scuole di tutta Italia, accompagnati dai loro insegnanti ed “ addobbate” dalle gigantografie dei giudici Borsellino e Falcone e da tanti striscioni colorati.

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Le scolaresche, una volta sbarcate a Palermo, hanno raggiunto piazza Magione, il parco Cassarà e l'aula bunker, per trascorrere la mattinata, tra attività ludiche, spettacoli, e momenti di testimonianza. Ed alle 16, in corteo, tutti insieme, per arrivare in via Notarbartolo, davanti all'albero Falcone, per concludere questa giornata di memoria.


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Giuseppe Fava e il cinema/ 2

Gaetano Falsaperla emigrante ovvero Il treno di notte Continuiamo un percorso di riflessione,curato da Nomadica. sul rapporto tra il cinema e l'intera opera di Giuseppe Fava, partendo dal primo film della serie “Siciliani” realizzata per la nascente RaiTre regionale tra il 1979 e il 1980 di Giuseppe Spina www.nomadica.eu

Il rapporto tra Giuseppe Fava e il cinema è multiforme. Critico cinematografico estremamente polemico nei confronti del cinema italiano e dei suoi ambienti festivalieri, drammaturgo e romanziere dalle cui opere vennero tratti 2 lungometraggi (da Vancini e Zampa), sceneggiatore (per Schroeter) ed infine, due anni prima dell'assassinio, cineasta.

L'intreccio del Novecento L'intero atto creativo di Giuseppe Fava è un complesso intreccio che attraversa la seconda metà del Novecento, ogni analisi non può dunque non tener conto di un'intertestualità che varca i generi, i linguaggi artistici, i temi trattati. Iniziamo così da Gaetano Falsaperla, emigrante, primo lavoro con il quale Fava si avvicina in modo particolare alla macchina cinematografica, divenendo oltre che sceneggiatore, narratore, giornalista e attore, colui che dirige l'azione, coadiuvato dal giovane Vittorio Sindoni a cui la Rai affida la regia dell'intera serie. E' il 1978. Fava, dopo un rapido corso di sceneggiatura con Ugo Pirro, inizia la collaborazione con una delle figure intellettuali e artistiche più complesse d'Europa, il regista tedesco Werner Schroeter, esponente di spicco del nuovo cinema tedesco, quello più underground, dei Settanta. Scrive una sceneggiatura che ha come soggetto la storia di un giovane siciliano povero (Michele) che in cerca di lavoro va a vivere a Wolfsburg - “il borgo dei lupi”, la città della Wolkswagen nella quale si macchia di un delitto a cui segue un articolato processo. Palermo oder Wolfsburg La sceneggiatura di Palermo oder Wolfsburg è un lavoro enorme che va evidentemente oltre le capacità stesse del cinema - quelle possibilità narrative ed

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economiche che spesso bloccano o intralciano l'atto creativo. Fava sente la necessità – e ne vede l'occasione - di tradurre la sceneggiatura nel suo terzo romanzo, Passione di Michele. La storia del giovane -e del film- può essere divisa in tre parti: la vita in Sicilia, il lavoro a Wolfsburg e il lungo processo. Rimando l'analisi di Palermo oder Wolfsburg / Passione di Michele ad un altro momento, per concentrare ora l'attenzione su un solo capitolo del romanzo: “Il treno di notte”, 21 pagine in cui si racconta del viaggio in treno del giovane protagonista verso la Germania, il momento in cui abbandona la propria terra per incontrare luoghi sconosciuti, speranze, dolori. Il vecchio, la donna, l'operaio... Sia in fase di ripresa che di montaggio, Schroeter è costretto a tagliare decine di pagine del testo, interi personaggi, riducendo ai minimi termini anche la scena del viaggio in cui Michele – lo leggiamo nel romanzo – si ritrova in uno scompartimento con altri emigranti diretti in Germania: un vecchio manovale, una donna con due bambini, un triste giovane vestito a lutto, e Giovanni Lamesa, catanese, operaio specializzato in una fabbrica tedesca. Nei mesi successivi alla realizzazione di Palermo oder Wolfsburg -e del romanzo- Fava e Sindoni iniziano in successione le riprese della serie Siciliani, dando il primo ciak proprio alla stazione di Catania. Il capitolo del romanzo “Il treno di


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notte” diventa così la sceneggiatura del primo episodio di questa serie televisiva e il catanese Lamesa – che mantiene perfettamente la sgradevolezza del carattere e le sarcastiche ma illuminanti battute del testo – diventa Gaetano Falsaperla, interpretato da un perfetto Leo Gullotta. Fava - il cui rapporto creativo con la realtà è sempre ibrido, persino nelle realissime cronache di mafia, e andrebbe indagato a fondo nelle sue relazioni con Pirandello e con parte della filosofia del novecento - non può limitarsi alla semplice forma documentaristica: il film rivela da subito la macchina cine-televisiva, il meccanismo della ripresa con le sue maestranze, il suo ritmo d'azione. Il giornalista-narratore Fava presenta l'intera serie vestendo i panni del giornalista: immagine frontale in piano americano, microfono, presa diretta. “Gli emigranti siciliani partono quasi tutti da questo marciapiede con il treno delle 15.00, l'indomani mattina arrivano a Bologna dove ognuno troverà il treno per una destinazione definitiva: Amburgo, Colonia, Bruxelles. Abbiamo scelto questo treno per iniziare il nostro viaggio nella Sicilia e nell'animo dei siciliani, cercare di capire cioè cosa accade a un uomo il quale lascia la propria terra per sempre e sa forse di non doverci tornare più: le parole che dice, i pensieri che gli passano per la mente...”. Lasciare la propria terra per sempre Queste parole - l'immagine si è ora allargata in un piano totale - e la realtà descritta con tragicità dal giornalista, vengono spezzate da un intervento inaspettato, buffo, rozzo e un po' fastidioso di diversi attori che entrano in scena: Leo Gullotta, Agostino Scuderi, Mariella Lo Giudice, Anna Malvica, sono le figure che ritroveremo nello scompartimento e che entrano teatralmente in campo. Da subito Fava si mostra come l'anali-

sta, il giornalista, il narratore, presenta il lungo viaggio degli emigranti ma anche il viaggio che “ci condurrà attraverso l'isola” - cioè i sei episodi. La realtà spezzata In queste frasi che aprono la serie Siciliani, Fava pone la tematica dell'emigrazione al centro dei motivi che lo muovono, come se volesse andare ad analizzare tutti i tentativi, le aspirazioni, le problematiche o le sopraffazioni che generano l'emigrazione, il movimento obbligato, il vagabondare, la fuga, tematiche del resto presenti nella maggior parte dei suoi scritti e nelle sue opere, e attraverso queste analisi arrivare alla società siciliana, alla sua industrializzazione fallita, al mancare delle occasioni, delle rivoluzioni possibili, fino agli aspetti più atroci e assurdi: le cronache di mafia. Primi piani e battute brevi La realtà viene dunque spezzata dall'irrompere della finzione: nel momento in cui Falsaperla/Lamesa/Gullotta invita il giornalista a sedersi nello stesso scompartimento degli attori, Fava si cala in una posizione ibrida appunto, diventa un “non attore”, silenzioso, che non interferisce con la scena. Si inserisce dentro questa lunga sequenza di finzione -ancora più forte in quanto ci costringe per quasi 30 minuti dentro un piccolo scompartimento del treno Catania/Milano- fatta di primi piani e di brevi battute sarcastiche, ma cariche di informazioni sulla condizione degli emigranti. L'autore quindi arriva ad annullarsi, pur essendo presente, mettendo in atto un

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livello narrativo che possiamo rapidamente definire di “finzione-reale”. È come se ci dicesse: “vi pongo di fronte a una scena di finzione anche se, dalla mia breve cronaca giornalistica iniziale, sapete che sono “reale”, non posso intervenire però poiché la parola mi costringerebbe a entrare dentro la finzione o a uscire radicalmente da essa”. Una transmedialità ante-litteram Fava assume – anche fisicamente, occupandone il posto all'interno dello scompartimento – lo spazio narrativo di Michele Calafiore, protagonista del romanzo, “spiazzando” quel capitolo/viaggio di Passione di Michele e dimostrandoci ancora una volta la capacità di rimodellare la propria narrazione, manifestando la leggerezza e la complessa semplicità della sua scrittura in una sorta di transmedialità ante-litteram.


www.isiciliani.it In basso: Giuseppe Fava e Leo Gullotta

Tutto ciò riguarda il film, i film, i romanzi, la sua posizione di autore come parte integrante dell'opera. Ma ci sono altri libri, altri piani, altri livelli di intertestualità a cui l'analisi ci conduce, per capire non solo il film, ma la profondità intellettuale di quest'uomo, il suo sguardo sul mondo. Il suo sguardo sul mondo Nel 1980 (lo stesso anno della serie televisiva di cui scriviamo) viene pubblicato I Siciliani (edito da Cappelli), una raccolta di pezzi scritti per il quotidiano La Sicilia. Tra questi troviamo un articolo dal titolo Il treno di notte Stesso soggetto, stessa storia, in cui Fava, stavolta con stile prettamente giornalistico, argomenta in modo leggermente diverso le intenzioni del viaggio: è proprio da queste variazioni che scaturiscono le sfumature creative che rendono evidente il vigore e la semplicità con cui Fava passa da uno strumento all'altro, da un linguaggio all'altro, restando sempre perfettamente coerente con le proprie idee, con il proprio modo di vedere e capire il mondo, l'essere umano, la ricerca della verità.

“[...] Ho voluto viaggiare su uno di questi treni, cioè ho cercato di capire cosa accade mentre un uomo si allontana dalla propria terra e dalla propria famiglia e sa che per mesi ed anni non potrà più tornare: le parole che egli dice, i pensieri che gli passano per la mente. Ecco, il fascino dell'esperimento era questo appunto: capire fin dove fosse falso tutto ciò e ricondurlo alla realtà, alla giusta proporzione dei fatti umani, vale a dire semplicemente un viaggio di gente che va a lavorare in un'altra parte dell'Europa dalla quale si può comunque tornare in sole tre ore di aereo. Questo che segue, dunque, è il diario di un viaggio notturno in seconda classe da Catania a Roma, nel quale mi limiterò a raccontare i personaggi che ho conosciuto, i discorsi che ho ascoltato e le cose che ho visto, senza aggiungere, né riferire quelle che indubbiamente sono state le mie impressioni sentimentali...”. Vediamo così come il silenzio del Fava non-attore/autore che si cala nella scena di finzione descritta in precedenza, coincide perfettamente con il silenzio del Fava uomo/giornalista che si cala nella realtà, con il suo “senza aggiungere, né riferire” le proprie impressioni.

“Le parole che dice, i pensieri che fa” Ecco la parte iniziale di quest'articolo:

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Poveri emigranti siciliani Tra una battuta e l'altra veniamo a conoscenza delle vite che accompagnano il viaggio, il racconto, il film, in questa storia esemplare di poveri emigranti siciliani e dei loro parenti più cari, tra cui il triste ragazzo vestito di nero, silenzioso, che continua a piangere. Veniamo a conoscenza che il padre del ragazzo lavorava in Germania, e dato che è morto in fabbrica colpito da una scarica elettrica i padroni stanno dando lo stesso posto al figlio... L'ultima battuta di Falsaperla chiosa sarcasticamente tutta l'amarezza e la disumanità di questa condizione, evidenziando il ciclo generazionale di sofferenza e miseria: “Compare, questa è organizzazione: restituiscono un cadavere e si prendono un uomo vivo!”. Una cruda sarcastica risata Al verismo, all'impossibilità di sfuggire al proprio destino, i personaggi di Fava rispondono - in questa precisa fase creativa della fine degli anni '70 - con una cruda, amara, sarcastica risata folle: unica reazione possibile a tutte le sofferenze, alle speranze spezzate, agli amori calpestati, alla crisi sociale, alla misera condizione dell'uomo contemporaneo. Basta confrontare la figura di Gaetano Saglimbeni, protagonista di Cronaca di un uomo, prima opera teatrale di successo scritta nel 1966, con quella di Gaetano Falsaperla. Nel primo caso vediamo un giornalista che spera di far carriera ma lavora in nero, un uomo serio e profondo che perde pian piano ogni speranza ed è costretto ad emigrare in Germania, ma la depressione e la paura stessa del futuro lo uccidono improvvisamente proprio nello scompartimento del treno, lungo il viaggio. Dieci anni dopo, Falsaperla è invece un cinico che non si lascia scalfire sentimentalmente durante lo scontro con l'altro, che fa dello scherno il proprio scudo ed è fiero e ignorante, e crede addirittura di poter “mettere la saliva sul naso ai tedeschi”.


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“La Sicilia non ha più nome/ né casa e paese...”

Manifestazione esplicita di questa “risata folle” la troviamo anche in Foemina Ridens, unica opera teatrale che Fava avrà la possibilità di dirigere sia a teatro (1977) che nel film Anonimo Siciliano (1982). Qui la disperazione della madre del sindacalista ucciso dalla mafia (ma anche dalla politica, dalla Giustizia, dallo Stato) – che riprende il dramma La Violenza (1971) - viene continuamente interrotta e denigrata da una coppia di personaggi mutevoli che si travestono, si insultano, ridono l'uno dell'altro, giocano, inseguendo una quotidianità imprecisa, incerta, fatta di stenti, di fame. La rabbia di fronte all'ingiustizia All'ultima battuta di Gaetano Falsaperla, emigrante, segue così un glaciale silenzio che ha sullo sfondo il rumore del treno che avanza inesorabile verso la meta. Tutti i personaggi nello scompartimento prendono sonno in una lunga pausa di riflessione e allora lo stesso Falsaperla, sfinito, si addormenta. Ora una prorompente voce fuori campo cambia, ancora una volta, il livello della rappresentazione: è l'Uomo, incarnato da Ignazio Buttitta, che manifesta la potente rabbia dello spirito di fronte a tanta ingiustizia. Ne riportiamo la traduzione in italiano.

La Sicilia non ha più nome né casa e paese; ha i figli sparsi per il mondo sputati come cani, venduti all’asta Soldati disarmati che combattono con le braccia. Con le braccia, i rami verdi della Sicilia rimescolano la terra, Con le braccia rompono le zolle, seminano e fanno orti e giardini. Con le braccia, fabbricano palazzi, con le braccia costruiscono scuole, ponti, officine e aeroporti. Con le braccia, le api da miele della Sicilia, della mia terra, aprono strade, perforano montagne, svuotano la pancia della terra. Con le braccia, i soldati senza patria, gli stracciati, le carni senza lardo vestono d'oro i porci di fuori.

Li chiamano terroni, li chiamano zingari, li chiamano piedi fetenti; e hanno i figli e le madri che contano i giorni con gli occhi bagnati; La Sicilia non ha più nome; ma milioni di sordi e di muti sprofondati in un pozzo che io chiamo e non sentono, e se allungo le braccia mi mordono le mani. Io gli calerei le corde delle vene, le reti degli occhi per tirarli dal pozzo; perché qui sono nato e parlo la lingua di mio padre; e i pesci, gli uccelli, il vento, pure il vento! Entra nelle orecchie e ciarla in siciliano. Qui sono nato, e se mi bacio le mani bacio le mani dei miei morti; e se mi asciugo gli occhi asciugo gli occhi dei miei morti. Qui sono nato allattai in questa terra le succhiai il sangue: e se mi tagliate le vene? Se mi tagliate le vene, vi bruciate le mani! (da Un secolo di Storia, scritto nel settembre 1970 da Ignazio Buttitta)

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Storia

Quattro tumuli di frumento Nicolò Azoti e Calogero Cangelosi: due nemici della mafia agraria nella Sicilia del latifondo di Elio Camilleri Nella tabella dei pesi un tumulo di frumento equivale a quasi sedici chilogrammi (15,86) e per ammazzare un uomo ne bastavano quattro: era questa la tariffa stabilita dalla mafia agraria per togliere di mezzo sindacalisti e contadini che volevano semplicemente applicare la legge di Riforma agraria che imponeva condizioni più favorevoli per i contadini. Nel secondo dopoguerra, nell’Italia “liberata”, democratica e repubblicana non si poteva essere socialisti o comunisti, cioè non si poteva godere di quei diritti solennemente riportati nella Costituzione appena approvata e allora bastavano quattro tumuli di frumento per eliminare quelli che non ci stavano. E furono decine i morti ammazzati di quel terribile periodo e per nessuno ci fu un processo e per nessuno un funerale in chiesa perché il papa li aveva pure scomunicati. Quelle che seguono sono due “schegge” dedicate ad Antonella Azoti, figlia di Nicolò Azoti di Baucina e a Francesca Serafino, vedova di Calogero Cangelosi da Camporeale. Antonalla Azoti Una solitudine ed un silenzio di più di quarant’anni. Antonella aveva quattro anni quando, nella notte, sentì le urla disperate della mamma Mimì che accoglieva il lamento del marito che le ripeteva “Mimì mi hanno sparato, Mimì mi hanno sparato”. Era la notte del 21 dicembre 1947 e Nicolò Azoti morì dopo tre giorni all’ospe-

dale di Palermo, dopo avere indicato ai carabinieri i nomi degli esecutori e dei mandanti della sua esecuzione. Con l’assassinio di Nicolò Azoti la mafia latifondista volle stroncare il progetto contadino di applicare la riforma agraria voluta dal ministro Gullo e istaurò il terrore sul territorio di Baucina. “L’uccisione di nostro padre era stata un’uccisione dimostrativa, plateale. Doveva dimostrare a tutti: vedete come si finisce se non vi fate i fatti vostri! Allora la gente si era intimorita, terrorizzata e addirittura si teneva lontano , non solo non si parlava del fatto in se stesso, ma neanche dell’uomo. Era preferibile evitarci. Per cui noi ci siamo ritrovati soli: morto lui, morta la memoria”. (Gabriella Ebano. Felicia e le sorelle. Ediesse. Roma. 2005. pag. 24) Poi, in un salto temporale di una quarantina d’anni, dal freddo e triste Natale 1947 ad un caldo pomeriggio di via Notarbartolo, a Palermo, accanto all’ “albero Falcone” con migliaia di persone. “Guardate che la mafia non uccide solo oggi, uccide da decenni … solo che non si sa, non si dice, non si parla. La mafia ha ucciso anche mio padre, perché lottava per i diritti dei contadini. Aveva trentasette anni, la vita davanti, un futuro fatto di tante speranze,aveva due figli, mia madre aveva trent’anni, io sono la figlia e non lo conobbi”. (Gabriella Ebano. Felicia e le sorelle. Ediesse. Roma. 2005. pag. 28) Un caldissimo e lunghissimo applauso avvolse Antonella che da quel momento non si sentì più sola e interruppe l’insopportabile silenzio su Nicolò Azoti: anche Baucina riparò all’isolamento della famiglia con giuste e doverose testimonianze. Oggi Antonella Azoti è segretaria dell’Associazione Non solo Portella fondata dallo storico Giuseppe Casarubea. Francesca Serafino Cangelosi A Camporeale ed in Sicilia le elezioni del 18 aprile 1948 si svolsero nel contesto delle lotte contadine contro la mafia e il

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sindacalista Calogero Cangelosi era un bersaglio da abbattere. La moglie Francesca aveva avvertito il pericolo e, assieme agli amici ed ai parenti aveva implorato Calogero di stare attento: gli erano arrivate minacce ed anche proposte allettanti solo se avesse smesso di stare dalla parte dei contadini. Lui conosceva bene i meccanismi d’intimidazione mafiosa e avvertì i compagni della Camera del Lavoro di un appuntamento che “certe persone” gli avevano dato in un casolare di campagna e Francesca temeva che gli facessero fare la stessa fine di Placido Rizzotto. Lo andarono a liberare da quel sequestro, ma la condanna a morte fu eseguita appena quattro giorni dopo e Francesca ebbe addirittura modo di ricostruire i preparativi dell’agguato che si consumò nella notte tra il l’uno e il due aprile. Non ci fu funerale perché Calogero era un morto ammazzato e, per giunta, comunista. Certamente le cinquantamila lire che Nenni le mise in mano non potevano mai risolvere i gravissimi problemi della famiglia di Francesca: “Mi lasciarono l’affitto da pagare e quattro figli che piangevano: chi voleva le scarpe, chi le calzette. Non avevo una lira. Allora me ne andavo in campagna a zappare la terra. Non sapevo cosa fare per mantenere la famiglia”. ( Gabriella Ebano. Felicia e le sue sorelle. Ediesse. Roma. 2005. pag. 91) Né funerale, né giustizia: “Io sono andata dal mio paese, dalla legge e ci ho detto così:”A mio marito lo hanno ucciso e io voglio giustizia”: Mi rispose il maresciallo : “Signora se ne vada a casa, a noi non si comanda! Comanda la mafia! A chi ha ucciso suo marito gli hanno dato quattro tumuli di frumento”. Quattro tumuli di frumento per ammazzare una persona!” (G. Ebano. Felicia e le sue sorelle. op. cit. pag 90) Lasciò Camporeale e la Sicilia per l’insopportabile paura che fa tremare di giorno e di notte.


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Storie

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Treno a errata velocità L'Italia è lunga, il treno è lento, la storia è ciclica... E la politica? Non cambia mai di Jack Daniel

«Compagno segretario, sta per partire.» «Certo, certo, non dobbiamo perdere il treno. A che ora arriva a Milano?» «Nel pomeriggio, verso le tre.» «Bene. Sarà una giornata importante per la storia della sinistra.» Si accomodò quindi nella poltrona a lui riservata, posò la pesante e voluminosa mazzetta di giornali sul vuoto sedile accanto al suo, inforcò gli occhiali da lettura, sfilò Rinascita e si accinse a riprendere una fondamentale analisi sui conflitti di classe nell’India nord orientale, progredì di otto o nove righe rispetto all’ultima lettura, dodici righe, della sera precedente, ripose la Rinascita nella mazzetta, sfilò la Settimana Enigmistica, prese la penna dal taschino e puntò ai solutori più che abili.Assorto nel cruciverba non fece caso alle fermate successive, ma proprio quando, in orizzontale, si chiedeva di un Comune del cosentino (Amantea, per i curiosi) si sovvenne della geografia italiana e dell’insolita presenza di Campello sul Clitunno lungo la linea Roma Milano. Infatti: stava viaggiando sulla Roma Falconara. Frenetico conciliabolo con il capotreno, tra gli sguardi interessati degli altri viaggiatori che, in epoca precedente a tablet e portatili, avevano trovato qualcosa per combattere la noia e, alla fine, si determina di arrivare a Falconara e da lì prendere il Bari Milano. Ritardo totale:

tre ore o poco più. Raggiunta Falconara, da una cabina a gettone avvisò i compagni di Milano. Appuntamento con la storia alle sette, e non più alle quattro. Attese il treno camminando nervosamente su e giù per la banchina quando, finalmente, arrivò. Ancora una comoda poltrona, altre tre righe di conflitti di classe in India e lesto ritorno alla Settimana Enigmistica. Il mare tragicamente a sinistra Fu dopo un paio d’ore, superata agevolmente una mezza dozzina di verticali agguerriti, che si rese conto non solo della bellezza del mare (l’aveva notato quasi subito), non solo di quanto fosse calmo e azzurro (anche questo già precedentemente apprezzato) ma, anche, di come si trovasse tragicamente a sinistra . «Ma è il treno di Milano, questo, vero?» chiese con un filo di voce ad un compagno di scompartimento. «Certo…». «Ah, meno male…». «… è il treno partito da Milano alle undici e che arriverà a Bari tra un paio d’ore». Frenetica ricerca del capotreno, concisa, ma esauriente, esposizione delle ragioni della storia, si perviene all’idea di non aspettare il Bari Milano di ritorno ma, piuttosto, salire su un Bari Napoli che arriverebbe a Napoli Centrale in tempo per un vagon letto che, verso le dieci della mattina dopo, giungerebbe a

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Milano Centrale. Sceso fremente a Bari, cambiò duemila lire in gettoni e avvisò Milano. Alle dieci della mattina, sicuro. Appuntamento, svolta storica, giornata cruciale. Nemmeno il tempo di una sfogliatella a Napoli e salì sul vagon letto. Stanco e distrutto si distese sullo scomodo letto e sprofondò in un sonno pesante. Sprofondò in un sonno pesante Ma gli eventi della giornata l’avevano segnato tant’è che gli sembrò di rivivere le ore appena passate e, in particolare, quell’orizzontale che non quadrava. Gli pareva, nel sogno, che una voce evocasse “Amantea, Amantea” per poi disperdersi nel nulla. Al risveglio, calcolò che doveva trovarsi nei pressi di Piacenza. Si stupì un poco, quindi, nell’alzare la tendina e vedere il mare, dai più considerato elemento non peculiare del paesaggio padano. Per qualche momento lottò per convincersi che trattavasi del Po che, in effetti, a Piacenza è bello largo. Ma quando vide, sullo sfondo, una petroliera, si arrese. Addio giornata storica Ormai rassegnato, non si stupì oltremodo quando, arrivato il treno in stazione, sentì annunciare “Lamezia Terme, cambio con Catanzaro Sala”. Altri gettoni, ma, a Milano, le cose erano mutate. In peggio. Delusi e disillusi i compagni avevano ridato le tessere giurando di dedicarsi ad altre attività. Il giardinaggio, l’acquariofilia e l’enogastronomia tra le preferite. Anche un po’ di sesso fetish. Arrivò a Roma in serata. Nessuno ad attenderlo, la giornata storica per la sinistra era trascorsa.


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Politica

“Perché amiamo le stelle” Un giovane attivista siciliano del M5S dice la sua... di Alessio Occhinegro Per tanti, troppi anni, la cosa pubblica è in realtà stata cosa privata. Una piazza inarrivabile fatta di privilegi e soldi. La democrazia, anche per colpa del nostro disinteresse, si è velocemente trasformata in oligarchia, nell’accezione più negativa del termine. Il cittadino ed i suoi diritti sono rimasti esclusi dagli interessi di chi ci ha governato. Siamo diventati semplici spettatori di quello che etimologicamente appartiene a tutti noi: la democrazia. Abbiamo cominciato a nasconderci dietro il dito del “Mangiano ma fanno mangiare”, per poi arrivare al mortificante “E’ così, che ci vuoi fare”. Il cittadino è stato escluso, ignorato e calpestato da ingordi politicanti che hanno solo pensato ad ingrandire e tutelare i propri interessi. Gente senza scrupoli che non guarda in faccia a nessuno, disposti alle azioni più becere e infami pur di salvaguardare la propria specie. Si è arrivati ad ignorare i referendum, vera voce del cittadino, come quello del 1993 che aboliva il finanziamento ai partiti, passando per la legge di iniziativa popolare “Parlamento pulito”, lasciata ad ammuffire nei cassetti del Senato, fino ad arrivare alle “gentili” concessioni ai Riva, portatori di tumori e morte con la loro ILVA.

E’ stato così che noi cittadini italiani abbiamo cominciato a prendere coscienza di chi una coscienza non ce l’ha. Ci siamo resi conto della “malarazza” di chi ci ha governato indisturbato nelle ultime tre decadi per colpa del nostro disinteresse, e abbiamo capito che così non si poteva più andare avanti. “Abbiamo aperto gli occhi!” Abbiamo risposto al grido di rivoluzione pacifica che Beppe ha rivolto al paese. Abbiamo reagito e ci siamo ritrovati tutti insieme non più a lamentarci semplicemente, sport nazionale italico, ma con proposte e azioni concrete. Abbiamo raccolto firme, lanciato sondaggi, organizzato seminari perché gli italiani prendessero coscienza. Abbiamo aperto gli occhi! Come in Matrix ci è stata offerta la pillola che ci ha fatto scoprire quanto è ingiusto e ignobile il mondo di privilegi che la casta si è costruito intorno a sé. Il cittadino, di fronte a queste ingiustizie, ha sentito crescere dentro la rabbia per un paese sbranato da delinquenti con i colletti bianchi e, anziché lasciar spazio alla frustrazione e alla violenza, ha incanalato la sua voglia di cambiamento in un movimento attivo fatto di gente come lui. Il movimento è un pensiero, oltre che un luogo d’incontro, uno stile di vita. Tutti noi ci siamo rimboccati le maniche e, sotto l’egida delle stelle, abbiamo cominciato a far sentire la nostra voce a chi fino ad oggi ci ha ignorato. Abbiamo dimostrato, in pochi anni, che il cittadino onesto può e deve far parte della cosa

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pubblica. Abbiamo sottolineato che chi è in malafede, chi ruba, chi corrompe, chi scende a patti con la mafia, chi fa leggi ad personam deve pagare il conto. I cittadini a cinque stelle sono persone giovani, intelligenti, oneste e pacifiche. I cittadini a cinque stelle non guardano a se stessi ma alla comunità. Noi vogliamo un futuro migliore. Vogliamo aria pulita, energia rinnovabile, innovazione e diritti per tutti. Non vogliamo pagare un debito ingiusto, inventato da magnati seduti ad un tavolino, per giustificare e porre rimedio alle loro malefatte. Chi sbaglia paga, simple as that! “Amore, rispetto e attivismo” Noi movimentisti ci battiamo per risollevare questo paese dalle macerie in cui ci hanno scaraventato. Noi vogliamo alzare la testa e cominciare a vivere di nuovo. Ogni giorno ci avvaliamo di testimonianze e consigli di gente come noi, anche non movimentista, che grazie alla propria esperienza nei vari settori ci aiuta a percorrere la nostra strada, per affermare la cultura del diritto, così che nessuno debba più rimanere indietro. Il movimento è una filosofia, è amore, rispetto e attivismo. Tutti noi, imprenditori, studenti, disoccupati, pensionati, mettiamo a disposizione della gente e di chi anche non ci apprezza, il nostro tempo e le nostre energie. Solo così, aiutandoci l’un l’altro, il nostro paese potrà avere di nuovo un futuro. Il movimento ci ha aperto gli occhi e ha svegliato le nostre coscienze, è per questo che amiamo le stelle...


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S C A F F A L E

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Catania

Il “rinnovamento” Fra speranze, scetticismo e “gran ritorni” di Giovanni Caruso

www.associazionegapa.org/icordai.html "Signora, mi sapi a diri cu è u novu sinnacu?" "Acchianau Bianco!" "Ah… bonu! Accussì leva i puttusi da menzu i stradi e ci mette i ciuri!" Così la concretezza divertente dei catanesi ha commentato i risultati delle elezioni comunali e la vittoria di Enzo Bianco che torna ad essere sindaco di Catania. Infatti Enzo Bianco, che rappresenta il centro, vince con il 50,62 per cento, mentre Stancanelli, del centro-destra, prende solo il 36,62 per cento. Gli altri candidati: Maurizio Caserta "Per Catania" con il 7,36 per cento, Lidia Adorno "M5S" con il 3,40 per cento e Matteo Iannitti "Catania Bene Comune" con l'1,58 per cento. Noi, avendo letto i programmi di Bianco e di Stancanelli, abbiamo sempre detto che poche sono le differenze. Infatti: cementificazione del territorio restante, privatizzazioni, assenza di promozione dello stato sociale… insomma, con i dovuti distinguo, è un po' come guardare i rovesci della stessa medaglia! Ma è una elezione democratica e il suo risultato va rispettato. Enzo Bianco ha chiuso la sua campagna

elettorale nel quartiere di Librino, dicendo che ciò accadeva per la prima volta: vuol dire che il "cambiamento" incomincerà dai quartieri popolari e abbandonati delle periferie e del centro storico? Ha detto anche che c'è troppo cemento nel "P.U.A." (Piano Urbanistico Attuativo): questo vuol dire che ne farà "colare" un po' di meno? O cambierà questo scellerato progetto che sconvolgerà il litorale della Playa fino all'Oasi del Simeto in qualcosa di più eco sostenibile? E lo farà a costo di dispiacere i "comitati d'affari", e l'imprenditore-editore-onnipresente Mario Ciancio San Filippo? Gli impegni di Bianco Bianco, in un'iniziativa pubblica, durante la campagna elettorale, ha firmato l'impegno scritto con il coordinamento di Libera Catania, nel quale si impegna a combattere la mafia e a liberare ed assegnare i beni confiscati, inoltre si è impegnato a legalizzare definitivamente la festa di Sant'Agata: lo manterrà? Per la festa di Sant'Agata, ad esempio, potrebbe incominciare mandando in pensione il signor Maina, così da promuovere un comitato di cittadini, associazioni e istituzioni che possa regolare la festa. E non prendersela soltanto con i venditori ambulanti, già vessati da più parti, in un giorno che per loro è un'unica occasione di guadagno, ma semmai regolamentarli. Questi sono solo degli esempi di quello

Promemoria

Rosario Laudani, ex consigliere comunale DS, passato al MPA nel 2008; Articolo Quattro: Carmelo Nicotra, ex consigliere Pd nel 2008, passato al Mpa nel 2010, passato all'UDC nel 2012; I consiglieri comunali della maggioranza Beatrice Viscuso, ex consigliere IX circoche sostiene l'amministrazione Bianco: scrizione PDL; Patto per Catania: Sebastiano Arcidiacono, ex consigliere Alessandro Porto, ex consigliere MPA; Mpa, ex assessore di Stancanelli; Agatino Lanzafame, ex consigliere VI circo- Giuseppe Musumeci, dei Giovani MPA scrizione MPA; Ludovico Balsamo, ex consigliere Mpa Elisa Vanin, vice presidente Associazione Primavera per Catania: Catania Futura, UDC; Agatino Lombardo, ex consigliere PDL e Maria Ausilia Mastrandrea, vicepresidente di MPA, ex assessore di Stancanelli; Rinascita Siciliana - Movimenti Sicilianisti Francesco Petrina, già candidato nel 2008 Federati (MPA); per il PDL; Carmelo Sofia, ex consigliere Pd (La Salvatore Spataro, ex consigliere IX muniMargherita); cipalità per il PDL; Mario Crocitti, ex consigliere Pd (la Michele Failla, già candidato nel 2008 con Margherita); Autonomia Sud (MPA); Elene Adriana Ragusa, medico; Il Megafono:

La carica dei gattopardi

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che dovrà affrontare la nuova Amministrazione comunale: ce ne sono tanti altri e sta a noi società civile, organizzazioni sociali e movimenti politici, cittadini e cittadine comuni, controllare che l'Amministrazione proceda per il bene dell'intera comunità. Dovremmo osservare, ascoltare e vigilare, affinché la nuova giunta, attraverso la condivisione democratica, argini il dissesto finanziario, non tagli lo stato sociale e la cultura, organizzi un reale sistema di trasporto urbano, riorganizzi un vero sistema per la gestione dei rifiuti, metta in sicurezza tutte le scuole garantendo un sacrosanto diritto costituzionale a partire dai quartieri popolari. E ancora: faccia si che il lavoro sia per tutti e tutte, partendo dai giovani precari e dai disoccupati, cominciando dal recupero e dalla riparazione degli oggetti riciclati, dal turismo e dal recupero degli "antichi mestieri" artigianali, attraverso l'apprendistato, l'istituzione di corsi professionali fatti bene e senza imbrogli. Questa politica del lavoro potrebbe togliere dalle strade dei quartieri e delle periferie i tanti adolescenti, potenziali vittime della manovalanza mafiosa, ma tutto questo, per essere attuato, avrà bisogno del nostro controllo assiduo e attento. Controllo che tocca a noi "società civile", anche di quella che pensa che un sindaco del PD sia più sensibile alle tematiche sociali. Non basta mettere un semaforo di cartapesta sulle strade di Librino: Librino e i quartieri popolari devono diventare il punto di rinascita della città di Catania. Daniele Bottino, ex vicesegretario provinciale UDC fedelissimo di Forzese portavoce venditori ambulanti; Erika Marco, già consigliere comunale e vicecapogruppo MPA; Rosario Gelsomino, già consigliere comunale MPA; Ersilia Saverino, già vicepresidente dello Stabile in quota MPA e candidata alle regionali del 2012 con PdS (MPA); Francesco Salvatore Trichini già, consigliere comunale PDL poi passato a MPA fedelissimo di Marco Consoli; Partito Democratico: Francesca Raciti, PD; Lanfranco Zappalà, ex consigliere Forza Italia, poi rieletto con il PD: Giovanni D’Avola, ex consigliere PD (La Margherita); Niccolò Notarbartolo, ex "40 per Catania" Nino Vullo, manager aziendale, renziano.


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Palermo

“Caro Dell'Utri, grazie per il governo!” Lo dice Miccichè, uno degli elementi-chiave del Letta-Berlusconi. E con buone ragioni... di Giovanni Abbagnato E' evidente che più che la regola della rappresentanza dei territori, inserita nel complicatissimo metodo cencelli utilizzato per costituire la squadra dei sottosegretari del governo Letta, ha concorso alla nomina del palermitano Gianfranco Miccichè l'imposizione di Berlusconi, coerente con l'ambiguità dimostrata nel non prendere mai posi-

zioni sulla lunga e profonda faida dentro il PDL siciliano. I talenti di Micciché In realtà, erano altri i talenti di Micciché e con questa premessa, figurarsi se il cavaliere considerava come ostativi della nomina i tracolli elettorali ormai costanti del suo ex delfino. A questo punto sarebbe stato inevitabile rilevare per deduzione l'inquietante segnale dato da questa nomina. Ma fin da subito non c'è stato alcun bisogno di fare congetture, perché ci ha pensato Micciché, con la spocchia di chi sente indiscutibile la sua potenza, a chiarire tutto tributando calorosi ringraziamenti per la sua rinascita politica a Marcel-

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lo Dell'Utri e a Raffaele Lombardo, personaggi che anche sulla base di risultanze giudiziarie sui loro rapporti con la mafia non possono essere certo considerati punti di riferimento edificanti. L'influenza di Dell'Utri su Berlusconi A questo punto, data l'evidenza dell'influenza intoccabile di Dell'Utri su Berlusconi, risulta impossibile immaginare quale artificio dialettico potrà giustificare il via libera dato dal PD e dal Presidente della Repubblica, vero tutore del governo di larghe intese, a questa operazione che tanto più inquietante e inaccettabile appare, tanto più dimostra la forza dei veri sponsor di Micciché.


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Politica

Quando c'era Lui A volte nelle città la politica offre momenti di svolta netta, quasi fisica. A Roma c'è l'Alemanno e il dopoAlemanno di Riccardo De Gennaro

Quello che prima di tutto sorprende del post-fascista Gianni Alemanno, cacciato dagli elettori dopo cinque anni di malgoverno della Capitale, è la sua presunzione. Presumere cioè che sarebbe bastato ricandidarsi e mostrarsi con un gatto in braccio (l’equivalente elettorale dei cani di Berlusconi e Monti, ma anche un bieco messaggio contro il principale concorrente Marino, definito “vivisezionista”) per essere rieletto alla guida della città. Nei cinque anni in cui ha amministrato Roma, il sindaco Alemanno non ha fatto altro che distruggerla, al punto che a fermarlo sono stati in primo luogo gli stessi elettori di centrodestra, gli ex Msi, i taxisti che l’avevano accolto il primo giorno in Campidoglio con il saluto romano, i figli e i nipoti di Almirante, coloro che attendevano da lunghi anni questo momento, perlomeno dallo sdoganamento di Fini da parte di Berlusconi.

Alla fine l’hanno sfiduciato e non sono andati a votare. Probabilmente non ha avuto neppure il voto di donna Assunta. Nessuno ricorda unprogetto, un'idea Nessuno ha visto Alemanno all’opera in questi cinque anni, nessuno ricorda un suo progetto, un’idea, se non le assunzioni clientelari (come la nomina a dirigente nelle municipalizzate di un vecchio “camerata” e picchiatore anni Settanta) e “parentopoli”. Durante l’emergenza neve, si è fatto fotografare con la pala in mano e ha chiesto a tutti i romani di imitarlo, come un duce in sedicesimo. Un disastro. Quando ha tentato, in pubblico, di spostare una fioriera è riuscito a fratturarsi un piede. Non sono aneddoti, sono situazioni emblematiche. Difficile fare peggio. La città è diventata grigia Roma in questi cinque anni è diventata una piccola città di provincia ed era ridicolo, durante la campagna elettorale, leggere i manifesti del Pdl nei quali si sottolineava il dato di una flessione del numero dei reati. Non è bastato chiamarla Roma capitale per confermarla capitale. La città è da subito diventata grigia, priva di spessore culturare e di entusiasmo. Com’era prevedibile, nei musei ha trovato spazio soltanto il futurismo, perché il futurismo è l’unica pagina di cultura presentabile del fascismo e della cultura di destra. Notte bianca cancellata, Fe-

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sta del cinema cancellata, Estate romana cancellata, Cannes a Roma cancellata. Per il resto pieno ed esclusivo sostegno alle iniziative liberticide dei neofascisti di Casa Pound. Tra fascismo, neofascismo degli anni Settanta e neo-neofascismo del Duemila, nei cinque anni di Alemanno da città aperta Roma è diventata una città blindata e il tasso di razzismo ha raggiunto quello di città come Treviso e Verona. Sentirsi leader non porta bene Era stata la presunzione di Rutelli, riproposto d’imperio dal gruppo dirigente del Pd, a permettere ad Alemanno di vincere le amministrative nel 2008 ed è stata la presunzione di Alemanno la causa della sua fine. È chiaro che gli uomini politici, in particolare quelli che – più spessp a torto che a ragione – si sentono dei leader, hanno perso da tempo il polso dell’opinione pubblica. Vivono in un mondo parallelo, ma credono di saper interpretare la società nel più sensato dei modi. Alemanno di politica ha sempre afferrato poco, ma ha fallito completamente anche come amministratore cittadino. Non era all’altezza di guidare una Capitale. Forse sarebbe stato acclamato e confermato a Latina, l’ex Littoria, o ad Acilia, a Pomezia, a Guidonia, a Colleferro. Il suo più grande sforzo è stato quello di ridimensionare Roma. Non sara ricordato. Se non come il peggior sindaco di Roma, come il Grande nulla.


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Il governo che c'è o quello che ci potrebbe essere?

Chi ha vinto a Roma A volte la politica italiana riser va della sorprese. E questa ultima tornata elettorale per le amministrative ce ne offre una del tutto inedita... di Pietro Orsatti

Ci troviamo davanti, infatti, a un partito della coalizione vincente, il Pd, che nega per voce di molti suoi esponenti il valore nazionale dei risultati. In particolare il presidente del consiglio e molti dei suoi sostenitori democrat si sono affrettati a dare una lettura minimalista di un successo inequivocabile. Enrico Letta può dire quello che vuole, ma questo voto amministrativo non rafforza l’innaturale alleanza che in parlamento sostiene il suo governo. In particolare il voto a Roma con il successo clamoroso (quasi 30 punti di distacco) di Ignazio Marino dimostra che quando il centro sinistra è chiaramente alternativo al centro destra vince. Marino è stato percepito così: un uomo di sinistra, avversario radicale della destra e del berlusconismo, che mira a un rinnovamento dell’azione politica in termini di trasparenza e responsabilità e che ha una visione ben chiara di quello che chiede in termini di modernità e di diritti la società italiana. Quando si analizza il risultato

sull’intero territorio urbano il risultato diventa ancora più clamoroso: quindici presidenti di municipio su quindici al centro sinistra. Un risultato mai raggiunto nella capitale. Ed è questo successo diffuso, territorialmente omogeneo, che fa capire che a Roma ci si trova davanti a una svolta. Vince la sinistra che si oppone È proprio leggendo il voto non solo a Roma ma in tutto il paese e anche in Sicilia che si percepisce quanto sia distante il governo delle larghe intese dal paese. Il centro sinistra che vince è lontano galassie dal non progetto del Pd nazionale. Vince la sinistra quando non offre sponde al centro destra, si oppone duramente al berlusconismo, non insegue Berlusconi nel suo eterno muoversi fra “offerta” e “ricatto”. Perde il Pd quando non è chiaro nel disegnare e soprattutto nel portare avanti una netta avversione sul piano politico e culturale alla destra e al moderatismo (tecnico e politico che sia) che lo appoggia. Per questo, mai come questa volta è leggibile il valore nazionale di un voto amministrativo. L’astensionismo ha riguardato soprattutto (e questo è nei numeri) il centro destra e Grillo. Ha colpito chi si muove e si mostra attraverso processi senza visione del futuro e schemi demagogici. Grillo, in particolare, ha esaurito il suo potere di attrazione del voto di chi è stato deluso dai partiti e sembra destinato implodere nel piagnisteo vittimista e rabbioso. Il centro destra regge solo se Berlusconi rimette al centro l’illusione e il sogno, ma davanti alla realtà della quotidianità che si vive suo territori la fragilità del suo carisma va a rotoli. E quindi vince quella sinistra che non ha dismesso la sua relazione storica – e organizzata – con la

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società. Vince un progetto alternativo a Berlusconi e a Grillo. Vince l’Italia delle città. Perde quindi il Pd delle larghe intese, del ceto politico inamovibile, degli ambiziosi che si propongono il dominio del leaderismo e del battutismo senza visione progettuale. Il partito liquido che vorrebbe dominare Renzi è esattamente il contrario a quello radicato e strutturato (sia internamente che verso le altre forze alleate) che ha vinto questa tornata elettorale. La voragine che si è aperta fra il piano nazionale e quello locale sembra incolmabile. E stritola di fatto l’esecutivo Letta e gli esperimenti di Napolitano. La stretta per il Pd E la stretta per il Pd diventa ancora più soffocante davanti al processo che, per mancanza di coraggio, si è messo in atto: inventarsi lo specchietto di un processo di ridisegno costituzionale evidentemente al ribasso e soprattutto che non avrà mai approdo per nascondere l’ultima e imperdonabile vigliaccheria del sistema consociativo che si è innescato a livello nazionale, ovvero evitare di mettere mano alla legge elettorale. Nonostante le promesse e le garanzie annunciate all’insediamento del governo. Un corto circuito ingestibile che imporrebbe una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità sia in sede di governo che di partito. Ma che davanti al miserabile spettacolo della rimozione che il Pd sta mandando in scena giorno dopo giorno, temo non avverrà in tempi utili per questo paese.


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Libertò di stampa in Sicilia

Grandi parole e piccole omertà Bello parlare di giornalismo libero. Purché intanto non si lavori per il suo contrario... di Roberto Rossi Osservare le mafie nella prospettiva dei suoi rapporti con la stampa è centrale per capire la vera natura del sistema mafioso. Dato che ogni democrazia si fonda sul diritto dei cittadini di essere informati, il tipo di società realizzato dal sistema mafioso – il cui valore fondante, l’omertà, è anche la sua più importante arma di difesa – è l’esatto opposto di una società aperta e democratica, fondata sulla libertà di stampa. Ce lo dice la storia: nove giornalisti uccisi dalle mafie in Italia nel volgere di un trentennio (otto solo in Sicilia). Ce lo dice l’attualità: 1400 giornalisti coinvolti in episodi di intimidazione negli ultimi sette anni. Per buona parte, ben oltre la metà, minacciati di morte dalle mafie o querelati da personaggi che non hanno mai ucciso ma che appartengono al sistema mafioso. Il problema non sono solo le minacce ai giornalisti, o il loro sacrificio. Tra l’ideale di una democrazia aperta e la realizzazione estrema di una società oligarchica e violenta, c’è di mezzo il reale, costruito dalle scelte delle persone e dal modo di interpretare il proprio ruolo nel mondo. Si può smettere di essere giornalisti pur continuando a fare i giornalisti. Per cui, per ogni cronista minacciato, si sa, ce ne sono cento che lasciano il tesserino al supermercato.

Molti altri sono gli “inutili idioti”, altra invincibile arma del volere dei pochi. Per loro, poco da fare, se non lasciarli in edicola o denunciarli all’opinione dei pochissimi interessati al tema. Ma a ben guardare, c’è poco da fare anche per chi è consapevole. Nessuno può entrare nelle coscienze, ed è impossibile punire chi ha tradito la fiducia dei cittadini-lettori, perché risulta estremamente complicato verificare e provare un’autocensura: chi mi dice cos’è una notizia in assoluto? I fatti diventano notizie per molteplici fattori che non possono essere imposti per legge, sennò la libertà di informazione andrebbe a farsi benedire. Infine, per dirla tutta, anche per i giornalisti vale il primum vivere che è la grande, consolatoria, ammutolente giustificazione di ogni male. Vogliamo parlare degli editori? La questione quindi si sposta sugli editori. Cioè quelli che pagano i giornalisti. Il problema in Italia si chiama editoria impura. Ovvero la mancanza di quegli editori che investono solo nel mercato delle notizie. Ovvero l’intervento a gamba tesa di altri interessi nelle economie dei quotidiani, per cui le notizie, che da sole non si sostengono economicamente, diventano merce di scambio. Drogare l’opinione pubblica assicura vantaggi in altri mercati, specie in un sistema basato sull’assistenzialismo/ clientelismo, come nel Sud, dove le fortune degli imprenditori passano dai rubinetti della pubblica amministrazione. Ma al Sud c’è la mafia (non più solo al Sud mi dicono ultimamente). E questo significa che, per mezzo della politica, o anche bypassandola, le mafie esercitano un’enorme influenza anche nell’informazione. Succede che di mafia e informazione si sia voluta occupare la Commissione parlamentare antimafia.

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Grande entusiasmo. Tanto più che nelle premesse della relazione pubblicata a marzo si legge l’intento di indagare non solo sulle minacce ai giornalisti, ma anche sull’assetto proprietario di alcuni gruppi e testate. L'omertà su CIancio Tutto molto bello. Si parla di minacce, si parla di querele intimidatorie, si parla di finanziamenti per l’editoria chiesti imbrogliando le carte, si parla di pubblicità istituzionale (soldi pubblici usati dagli amministratori per comprarsi i giornalisti). Si ascoltano rappresentanti di categoria e cronisti minacciati. Ma quando si arriva a parlare di “assetti proprietari opachi” non si accenna minimamente al cuore del problema. Non una parola, ad esempio, sul fatto che Mario Ciancio, uno degli imprenditori più potenti della Sicilia, indagato per turbativa d’asta con l’aggravante dell’intimidazione mafiosa e per concorso esterno in associazione mafiosa è anche il maggior editore dell’isola, proprietario di tv e radio e del quotidiano “La Sicilia”. Si fa piuttosto riferimento – parlando, ripeto, di “assetti opachi” – a quelle piccole reti televisive “che non ci si spiega come stiano al mondo con così pochi soldi”, il cui capofila diventa Pino Maniaci, coraggioso giornalista più volte aggredito e minacciato, che in un documento ufficiale del Parlamento italiano diventa un “tutto fare” il cui reato sarebbe quello di non essere stato iscritto all’Ordine per dei precedenti penali. Una brillante carriera... Chi è che dice queste cose all’Antimafia? Il dott. Alberto Cicero, segretario del sindacato siciliano dei giornalisti: una brillante carriera a “La Sicilia”, e quindi pagato ancora da quell’editore plurindagato per reati di mafia e fautore di un oligopolio che da mezzo secolo soffoca la libertà di stampa in Sicilia, terra di mafia, di giornalisti uccisi e di piccole tv che non devono assolutamente permettersi di fare concorrenza.


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Libertà di stampa

A Marsala bevi e taci O il sindaco ti querela Il sindaco chiede i danni ai giornalisti perché parlano male del Comune “in tempo di crisi di credibilità”... di Francesco Apparo e Giacomo Di Girolamo www.marsala.it A Marsala, fare inchieste ed essere un giornale libero è un danno, è un danno d’immagine alla città. E’ quello che pensa il sindaco della città, Giulia Adamo, che ha citato in giudizio il quotidiano online Marsala.it chiedendo un risarcimento per danni di immagine per 50 mila euro. E’ un cazzotto, di quelli che fanno male, un tentativo di gambizzazione di una testata indipendente. Ed è soprattutto un precedente pericoloso, perché qui il sindaco porta in tribunale una testata non per un articolo specifico ma per la sua attività quotidiana di inchiesta e approfondimento.

Libertà di stampa UN APPELLO PER MARSALA.IT Manifestiamo riprovazione per l’atto, oggettivamente intimidatorio, che vuole colpire un giornalista - Giacomo Di Girolamo di www.marsala.it – già fatto segno nel tempo di inquietanti attenzioni criminali, solo perché impegnato a raccontare, con la “schiena diritta”, la realtà di un territorio espressione di tante potenzialità positive, ma anche di fenomeni preoccupanti di criminalità organizzata e malaffare politicoistituzionale, spesso collegato con l’ancora potente mafia locale. Sul piano socio-politico e istituzionale è

E lo fa non come privato, ma in nome della città di Marsala. E’ tutta la città in sostanza che cita marsala.it. Un atto che si potrebbe definire di “bullismo istituziona le”, di concezione del potere d’altri tempi, per cui chi lo detiene si sente in diritto di fare un po’ come vuole, e a nome di tutti. Un tentativo di affossare un quotidiano online, deliberatamente, che quotidianamente scrive di mafia, sprechi e corruzione nella pubblica amministrazione. Perché non liscia il pelo dal verso giusto. Perché si è indipendenti, perché si affrontano le storie a testa alta senza la “sindrome del vassallo”.

pagare i danni… www.marsala.it, secondo il Comune di Marsala è “lesivo dell’immagine dell’ente collettivo”. Più dello stesso Sindaco Adamo che utilizzò, quando era deputato regionale, i soldi pubbici per comprare un regalo di nozze per un collega dell’Ars.

da considerare sconcertante il fatto che l’intimidazione avviene mediante un chiaro abuso di potere dell’Amministrazione della Città che con il suo Sindaco di fatto afferma, incredibilmente, che il diritto di cronaca e di giudizio, esercitato rigorosamente dal Di Girolamo, lederebbe il prestigio della città. Ma è ancor più grave che detto abuso dell’Amministrazione venga esercitato a spese dei cittadini con una deliberazione che merita, oltre alla riprovazione civile politica un puntuale controllo di legalità da parte degli organismi giurisdizionali, compresi quelli contabili. Per quanto sopra esposto, esprimiamo piena solidarietà a Giacomo Di Girolamo e ai suoi collaboratori che rappresentano

oggi un baluardo della libertà di espressione e informazione che ha un significato che va oltre la, pur importante, realtà marsalese.

In Italia non era mai successo

E’ un precedente unico, come dicevamo, nel tanto tormentato rapporto tra informazione e potere in Italia. Non è mai accaduto infatti che un giornale venisse citato da un’amministrazione comunale in nome dell’intera città. Un precedente, che se pasVietato criticare sasse, potrebbe essere preso a modello da diverse amministrazioni per tentare di zitti50mila euro possono sembrare troppi? re l’informazione libera. No, secondo il Comune di Marsala. Infatti E in difesa di questa libertà diversi cittanon solo www.marsala.it ha il vizio della dini marsalesi e non hanno protestato contro l’atto del sindaco scendendo in strada “linea editoriale di critica” nei confronti dell’Amministrazione Comunale ma biso- brandendo, silenziosamente, i cartelli con su scritto “Non nel mio nome”. Non nel gna tenere conto anche della crisi. Cosa c’entra la crisi? Certo, non fa che aumenta- nome dei cittadini un sindaco può arrogarsi il diritto di portare in tribunale i suoi care il danno al Comune di Marsala. Il danno è “palpabile - scrive l’avvocato - pricci personali. Non nel nome dei cittadini un sindaco può abbattersi contro la libertà tanto più in un contesto storico di grande difficoltà per tutte le istituzioni a causa del- di stampa. la crisi economica e della crisi di credibilità”. Quindi: se un Sindaco non è credibile, http://www.youtube.com/watch? non solo è colpa della stampa, ma bisogna v=6TOEoXyuMXo&feature=share

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Arci Sicilia, Coop.soc. su terreni confiscati alla mafia "Lavoroenonsolo", Coop.soc. antiusura e antiracket Solidaria, Antimafia 2000, Coordinamento soci Sicilia occidentale Banca Etica, Associazione Avolab, Laboratorio Zeta, Riccardo Orioles, Nino Amadore, giornalista, Lorenzo Baldo, giornalista, Claudio Riolo, docente universitario, Steni Di Piazza, operatore del credito etico, Salvatore Cernigliaro, cooperatore, Giovanni Abbagnato, operatore socio-culturale, Natale Musarra, Gilda Sciortino


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mondo su

NORD

&SUD

mondo giù a cura di Tito Gandini

Siria/Assad SI DIFENDE

Intanto la Frankfurter Allgemeine Zeitung intervista Assad che sostiene: Se si toglie ad un arco di pietre, l’ultima, la Siria, crolla tutto l’arco. Ogni gioco che ripensi le attuali frontiere nella regione, vuol dire ridisegnare tutta l’area geografica. Il risultato sarebbe quello di un effetto domino che nessuno potrebbe controllare. Può darsi che una superpotenza inizi questo processo, ma nessuno riuscirà a bloccarne gli effetti ad un certo punto. Oggi nel medio oriente ci sono nuove frontiere sociali, confessionali, nazionali, che convivono con le frontiere politiche. Queste complicano la situazione. Nessuno può immaginare come possa diventare una nuova cartina geografica della regione, probabilmente una mappa dei conflitti mediorientali.”

Siria/ Armi

AL GOVERNO E ARMI AI RIBELLI Nel frattempo la Russia continua a fornire armi ad Assad, mentre l’Europa non esclude la fornitura di armi ai ribelli. Al G8 in Irlanda Putin e Obama hanno mostrato in conferenza stampa una distanza siderale non degnandosi di uno sguardo. Eppure alla fine, alea della diplomazia, è uscito un comunicato ufficiale del G8 (quindi anche della Russia) sulla Siria, in cui si auspica un governo di transizione. Vedremo se questo apparente accordo sia risolutivo nella conferenza di pace che si vuole organizzare a Ginevra. In pratica la Russia deve convincere Assad a mandare dei rappresentanti a Ginevra mentre gli occidentali utilizzeranno la propria influenza sui ribelli. A questo punto si spera anche che, con l’appoggio russo, una nuova commissione ONU sull’utilizzo o meno di armi chimiche nel conflitto, venga accolta da Assad. La data del summit di Ginevra deve tuttavia ancora essere fissata. Se non altro il G8 irlandese ha determinato l’inizio dei lavori per uno spazio economico comune tra USA e Europa, il mercato più vasto del mondo, potrebbe essere l’ultima chance per uscire in maniera consistente dalla crisi.

Un moderato IN IRAN

In una piazza DI ISTANBUL Hassan Rohani è il nuovo presidente iraniano, un moderato riformatore, dopo Ahmadinedjad. Ha subito promesso maggiore trasparenza sull’arricchimento dell’Uranio. Washington si è dichiarata pronta a collaborare con il nuovo presidente sul l’argomento, cosa che implica anche una ridiscussione delle sanzioni, ovviamente il ruolo usa diventa molto più difficile, con un interlocutore come il moderato Rohani: Deputato fra il 1980 e il 2000, Rohani fa parte anche dell’Assemblea degli Esperti, organismo consultivo incaricato di collaborare con la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e fino al 2005 ne ha svolto il ruolo di Segretario. Nel 2003, incaricato dall’allora presidente Khatami di condurre i negoziati sul nucleare, firmò il trattato di applicazione del Protocollo addizionale del Trattato di non Proliferazione, che autorizza delle ispezioni a sorpresa degli impianti. E’ importante notare che il nuovo presidente è stato eletto con il 50,6% delle preferenze, come se una tregua sia stata concessa agli iraniani dopo il 2009, in cui la rivoluzione verde era scattata contestando la rielezione di Ahmandinedjad, sospettando brogli.

I Sicilianigiovani – pag. 68

Quelli che stanno. #duranadam. Piazza Taksim. Il coreografo e ballerino Erdem Gunduz si ferma silenzioso e sta. Fermo. Due ore. Tre ore. #durandam, l’uomo in piedi, l’hashtag fa il giro della città, arrivano altri. Stanno. Fermi. Così: davanti agli idranti col liquido urticante. Una donna si ferma (#durankadin) nel punto esatto in cui la settimana scorsa un poliziotto ha ucciso un manifestante Ethem Sarisuluk. Un poliziotto le si avvicina: “Cosa fa?”. “Aspetto un amico - risponde la donna - Ethem Sarisuluk, lo ha mica visto per caso?”. All’una e trenta del mattino si fermano i taxi. Alle due irrompe la polizia e arresta tutti. Ma oggi di nuovo: c’è gente che sta. In piedi. A Istanbul.

Dove porta QUEL TRAM

Decine di migliaia di manifestanti in Brasile, vengono dalla classe media, avevano aumentato i biglietti del tram di 10 centesimi a San Paolo. In realtà la questione riguarda l’inflazione e la crisi economica, la promessa che l’arrivo dei mondiali avrebbe migliorato le infrastrutture non è stata mantenuta e quindi aumentano il biglietto del tram. Bene, l’anno prossimo dovremmo chiudere in cantieri dell’Expo a Milano, la giunta Pisapia discute sull’aumento dei biglietti del tram, le piazze son deserte. E comunque il segretario della president Rousseff ha confessato che “sarebbe pretenzioso sostenere che capiamo cosa succeda. Se non siamo sensibili, rischiamo di essere catturati dal lato sbagliato della storia".


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Ricordate PAOLA COOPER?

La Bomba

E' ANCORA D'ATTUALITA'

45 milioni

DI PROFUGHI NEL MONDO

Che a Berlino Obama annunci di esser disposto a ridurre l’arsenale nucleare, se la Russia farà lo stesso appare una notizia fuori tempo, fuori logica e fuori storia. O è lui a essere fuori, o siamo noi.

USA. Paula Cooper nel 1986 aveva 16 anni ed ha ucciso per rapina. Fu condannata a morte, ci furono infinite manifestazioni (io le ricordo), persino Papa Giovanni Paolo II si era occupato del caso. La pena fu tramutata in 60 anni di detenzione, oggi è libera.

Schmidt:

“MERKEL NON CAPISCI NULLA”

Helmut Schmidt (95 anni) ex primo ministro, ex ministro delle finanze, ha pesantemente attaccato Angela Merkel: “E' una che di finanza non capisce nulla, ma la controlla”. Schmidt ritiene che la Germania non possa assumere il ruolo di leader della comunità europea, ma che l’Europa debba applicare quanto scritto negli accordi di Lisbona e cioè che un gruppo di stati europei concordi una integrazione maggiore rispetto agli altri, determinando una leadership di unità.

Ok dai la guerra fredda continua, solo che la crisi economica ci si è stratificata sopra, insieme alla Siria e alla Turchia o viceversa è meglio ripensare a quanto stavamo bene quando c’era la guerra fredda, gli anni ottanta, Craxi, Reagan e la Thatcher? In realtà questa storia è vera, lunedì scorso è scaduto il trattato di non proliferazione Nunn-Lugar, firmato nel 1992, in cui gli USA finanziavano lo smantellamento dell’arsenale nucleare sovietico. I dettagli del nuovo accordo non sono stati ancora precisati.

UNHCR, l’agenzia ONU per i rifugiati, dichiara che 45,2 milioni di uomini abbiano dovuto nel 2012 lasciare il proprio domicilio per colpa di guerre in corso. Il numero più alto dal 1994, l’anno della guerra in Ruanda e Jugoslavia. I bambini rappresentano il 46% del totale i Paesi che patiscono il maggior numero di spostamenti sono: Siria, Sudan, Afganistan, Irak e Somalia.

Un presidente DI NOVANT'ANNI

Sparare A VISTA

Nessun agente dell’FBI, negli ultimi vent’anni è mai risultato colpevole di avere usato impropriamente la propria arma. Su 150 casi investigati, nessuno ha rivelato delle colpe. A questo punto l’America si interroga sull’imparzialità delle indagini stesse. In Italia non abbiamo proprio le statistiche.

I Sicilianigiovani – pag. 87

Shimon Peres è ancora il presidente israeliano, ha compiuto 90 anni e ha speso per festeggiarli 1,1 milioni di dollari, sollevando l’indispettito sarcasmo anche dei suoi più vicini sostenitori.


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Brasile e Turchia

Inclusione, cittadinanza, beni comuni Sono dei movimenti inediti per questi ultimi anni. Non si tratta di proteste generiche, di semplici reazioni alla crisi. Qualcosa di molto “politico” si comincia a intravvedere di P.O.

Le immagini che ci arrivano dal Brasile e dalla Turchia ci mostrano qualcosa di inedito, almeno per quanto riguarda gli ultimi anni. Non siamo davanti all’emergere di movimenti sul modello degli “indignados” o di “occupy WS” anche se c’è una relazione non marginale con quel tipo di iniziative non fosse altro sul piano storico. Ed è anche necessario chiarire che non siamo davanti a una sorta di continuazione delle “primavere arabe” per quanto riguarda la Turchia. Stiamo assistendo a qualcosa di profondamente diverso proprio in relazione ai due paesi dove tutto questo sta accadendo.

Il Brasile è certamente uno degli stati destinati (per tasso di crescita, livello tecnologico e di industrializzazione e materie prime) a dominare – e già in parte lo sta facendo – l’economia mondiale reale e non solo finanziaria. Allo stesso tempo la Turchia è il paese che ha reagito meglio e perfino ha finito per usufruire delle opportunità della crisi finanziaria europea nel Mediterraneo. Nessun altro paese ha retto a questi sei anni disastrosi nell’area. Eppure la protesta è esplosa proprio qui. Nonostante i dati su pil e sulla crescita. Le due proteste hanno dei punti di contatto profondi: beni comuni e diritti. Più chiaramente in Turchia ma altrettanto centrali in Brasile il diritto a decidere su temi come l’accesso allo studio e alla sanità e sui beni fondamentali delle comunità nazionali e locali. È più di una critica al neoliberismo, è il cercare di dare gambe a un progetto inclusivo (di tutti) a assistenza, opportunità e decisione. È una richiesta di piena cittadinanza quella che viene dalle piazze dei due paesi, e qui la differenza sostanziale con il movimento degli indignados e di occupy che avevano come centrale la critica agli aspetti finanziari del neoliberismo: una risposta “emergenziale” più che strategica. E anche sul piano della radicalità dei fenomeni esistono profonde differenze. La radicalità certo è elemento comune, ma è la radice strategica a presentare differenze. Le reazioni dei governi dei due paesi

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(andando oltre alla gestione dell’ordine pubblico) sono state assolutamente differenti. In Turchia si è rifiutato qualsiasi tavolo di dialogo puntando tutto sulla repressione e criminalizzazione del movimento. In Brasile il governo guidato dal Pt (il Partito dei lavoratori già guidato da Lula) ha fatto una scelta diversa. Le organizzazioni sindacali e i movimenti sociali in Brasile sono enormi (in termini di aderenti) e hanno una credibilità e una capacità inimmaginabile per noi europei di pesare sul piano politico e di conseguenza di condizionare un governo che ha come riferimento elettorale proprio quei movimenti. Da qui le prime timide aperture (sanità, accesso allo studio, rimodulazione dei finanziamenti per i Mondiali di calcio del prossimo anno). Ricordate Genova 2001? Per la prima volta, questo il dato che mi interessa segnalare, ci troviamo davanti all’emersione di due movimenti legati più alla trasformazione profonda della società e all’ampliamento del concetto di cittadinanza che alla protesta radicale alla crisi economica. Questi movimenti sono figli dei primi Forum Mondiali di Porto Alegre. E hanno la stessa matrice di quei movimenti che in Italia sono stati repressi nel sangue e criminalizzati a Genova nel 2001.


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Pianeta

La moneta senza banche

Trend, tecnologia, applicazioni, mercati Tutto sul bitcoin, in tempo reale

Prism Program ti controlla. Ora Provider e multinazionali di rete forniscono al governo Usa dati privati dei loro utenti di Fabio Vita www.bitcoinquotidiano.com

Il 6 giugno Glenn Greenwald, blogger del Guardian, pubblica la notizia che la National Security Agency (NSA) stava raccogliendo dati da Verizon – multinazionale che possiede anche il 23% di Vodafone Italy - a seguito di un ordine, emesso da un tribunale segreto, di fornire alla NSA “su base quotidiana, senza interruzioni” riguardo tutte le chiamate telefoniche avvenute negli Stati Uniti e tra Stati Uniti e altri paesi.

Link Sugli ultimi eventi connessi a Prism e Snowden – Mazzetta blog http://mazzetta.wordpress.com/2013/06/24/sn owden-vince-obama-perde-wikileaks-e-cinaridono/ http://www.valigiablu.it/tutto-quello-che-devisapere-sullo-scandalo-prism/ Corte segreta e companie tecnologiche – New York Times – in inglese http://www.nytimes.com/2013/06/14/technolog y/secret-court-ruling-put-tech-companies-indata-bind.html?pagewanted=all Snowden intervistato dal Guardian – in inglese http://www.guardian.co.uk/world/2013/jun/17/e dward-snowden-nsa-files-whistleblower Arstechnica (2007) - Congresso approva ampi poteri di sorveglianza – in inglese http://arstechnica.com/techpolicy/2007/08/congress-approves-sweepingsurvellance-powers/ L'inventore del Web parla di Prism – in inglese http://www.webfoundation.org/2013/06/webinventor-speaks-out-on-prism/ Cronologia completa degli eventi - Electronic Frontier Foundation – in inglese https://www.eff.org/nsa-spying/timeline https://www.eff.org/who-has-your-back-2013

Le informazioni riguardano luogo, durata e altri dati identificativi delle chiamate, ma non i contenuti. Già nel 2001 - ricorda Greenwald sotto Bush la Nsa aveva avviato un programma di raccolta di dati riguardanti telefono, internet e email, suscitando nel 2006 forti critiche quando si è scoperto che la NSA aveva salvato tutte le informazioni ottenute per analizzarle alla ricerca di presunti terroristi. Prism nasce dalle ceneri di quel programma, sulla base del Protect America Act nel 2007 e dal FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act) Amendments Act del 2008, che dà immunità alle società private che cooperano volontariamente con l'intelligence degli Stati Uniti. Come rivela il Washington Post, il primo partner reclutato è stato Microsoft, a cui si aggiungono Yahoo, Google, Facebook, PalTalk, Aol, Skype, YouTube ed Apple. Nel caso di Yahoo – rivela il 13 giugno il New York Times – gli avvocati di Yahoo sollevarono eccezione di incostituzionalità, ma il giudice gli dette torto. Provider e carte di credito Secondo il Wall Street Journal i dati sono stati raccolti anche attraverso provider e carte di credito e - si sospetta infrastrutture di rete prodotte da Cisco. Twitter ha sempre rifiutato di aderire al progetto; l'Electronic Frontier Foundation (Eff) – che da questo mese ha ripreso ad accettare donazioni in Bitcoin – nella sua classifica sul comportamento delle grandi aziende, su trattamento dei dati e rapporti col tribunale, gli da cinque stelle. Il provider telefonico Verizon ne ha zero. Alcune delle aziende coinvolte, come Google e Facebook si sono affrettate pubblicamente in un primo momento a dichiararsi estranee; ma già pochi giorni dopo hanno lasciato trapelare il proprio coinvolgimento.

I Sicilianigiovani – pag. 71

In un’intervista al Guardian, Snowden (l'assistente tecnico ventinovenne della Nsa, e prima della Cia, che ha rivelato l'esistenza di Prism) ha dichiarato di essere insofferente nei confronti del "più grande programma di sorveglianza della storia umana". Inizialmente pensava che a cambiare qualcosa sarebbe stato Barack Obama, che invece "ha chiuso le porte sulle investigazioni su sistematiche violazioni di legge, espandendo e approfondendo diversi programmi abusivi". Così ha deciso di farsi avanti e di far sapere agli americani cosa stesse accadendo. Il "Gruppo Q" Nell’intelligence Usa c'è un gruppo che dà la caccia agli informatori come Snowden, una sorta di polizia interna chiamata Associate Directorate for Security and Counter intelligence, o più semplicemente Gruppo Q. Come Manning (che riuscì a fare uscire giga di dati riservati – Wikileaks - con relativa facilità), anche Snowden è trattato come un traditore degli Stati Uniti per aver "trafugato dati di vitale importanza per la sicurezza nazionale". Le comunicazioni degli americani sono al sicuro, come dice il governo Usa, e gestite con la massima attenzione? ”Falso - dice il blogger Mazzetta – Di fatto sono affidate a migliaia di contractor come Snowden, che come si è visto possono essere vulnerabili a sussulti etici, ma lo saranno anche più agli stimoli economici, specie se come pare di quei dati possono disporre senza che se n’accorga nessuno". Su Manning pesa la corte marziale, Assange è da un anno chiuso all'ambasciata dell'Equador a Londra, e Snowden (dopo un primo momento in cui la parlamentare islandese Birgitta Jonsdottir, come ha detto a Forbes, ha cercato di ottenergli asilo politico nel suo paese) è in viaggio destinazione Equador, con la mediazione di Assange.


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Mafia e fiction

Il potere dell'immaginario mafioso Padrini contro Eroi: ma è proprio un messaggio giusto? di Ludovica Ioppolo www.liberainformazione.org

A giugno l’attenzione di chi si occupa di mafia e antimafia è stata catturata da due fatti in apparenza distanti tra loro. Giovedì 6 su Mediaset è andata in onda la fiction “Il coraggio e la passione” sulla storia di “Pupetta” Maresco (nella fiction Marico)., donna di camorra tra gli anni ’50 e ’80 (nella fiction Marico). Le reazioni dell'antimafia non si sono fatte attendere: Libera Campania e la Fondazione Polis si sono espresse contro. Leggendo la storia della Maresco si fa fatica a capire come si sia potuto anche solo pensare di cavarne una serie su “coraggio e passione”, in cui la giustizia evocata più volte dalla protagonista ha le forme della vendetta e della violenza. Le immagini sono quelle del boom economico degli anni’50 e i suoni quelli accattivanti della canzonetta napoletana. La bella protagonista si ribella al ruolo di femmena tradizionalmente attribuito alle donne del Sud, quasi a voler emulare un percorso di emancipazione (irreale quanto illusorio) dentro la carriera criminale. Pochi giorni dopo, il web si è riempito di messaggi di indignazione per il menu austriaco del locale “Don Panino” che facendo il verso al “Padrino” - offre panini con nomi che mescolano boss mafiosi (Don Buscetta, Don Corleone) a persone che hanno perso la vita per il loro impegno antimafia (“Don” Falcone, “Don” Peppino...).

L’accostamento di vittime e carnefici dovrebbe far andare di traverso qualsiasi cibo, ma diventa strategia di marketing. Ciclicamente notizie come queste conquistano unavisibilità a partire dagli episodi più disparati: dai videogiochi sulla mafia in cui chi gioca impara a diventare un vero padrino, al reality Usa Mob Wives o la ormai famosa serie tv, sempre made in Usa, Sopranos. Fino alle tante fiction nostrane che mettono in scena storie ispirate alle più feroci cronache di mafia, camorra o ‘ndrangheta (Il capo dei capi, Romanzo criminale, Squadra Antimafia, L’onore e il rispetto, Il peccato e la vergogna, e la lista potrebbe continuare). Il fascino discreto di Cosa Nostra In Campania pochi mesi fa i cittadini di Scampia avevano espresso forti critiche rispetto alla scelta di Sky di girare la fiction ispirata a “Gomorra” in un quartiere già sovraesposto mediaticamente, che fa fatica a far raccontare di sé - oltre al negativo - anche il lavoro sociale e culturale portato avanti da molte associazioni, giorno dopo giorno. Il filo che accomuna tutti questi casi è: quale rappresentazione si vuole dare della mafia e dell’antimafia,di mafiosi e antimafiosi? C'è un aspetto del fenomeno mafioso - di tipo “culturale” - che non si può sottovalutare: il fascino esercitato dall’immaginario mafioso sulla cultura socialmente condivisa e, al tempo stesso, la sostanziale invisibilità di chi si impegna quotidianamente per il contrasto sociale alle organizzazioni e alle culture mafiose. Negli ultimi anni il tema “mafia” si è imposto all’attenzione mediatica come mai prima. Si assiste a una vera e propria sovrapproduzione mediale. Mafia, camorra e ‘ndrangheta sono diventate di fatto brand commerciali, simboli del made in Italy: le magliette con Il Padrino o le tre scimmiette non-vedo-nonsento-non-parlo.

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Eroi stereotipati come i padrini Nel solo settore ristorazione, a parte il caso austriaco, livesicilia.it segnala il ristorante argentino “Arte de mafia”, e su libera informazione.org si trova un altro “menù piccante come la vendetta” trovato da chi scrive a Vilnius in Lituania. Infine, si è sviluppata una vera e propria mitologia dell’antimafia, per la quale nella lotta alla criminalità organizzata sembra esserci posto solo per eroi post-moderni, spesso stereotipati al pari dei padrini. Ma il modo in cui si rappresentano queste storie non è neutro: è molto diverso definire la mafia come fenomeno semplicemente criminale o come fenomeno complesso (sociale, culturale, politico ed economico). Al primo modello corrisponde una risposta dello Stato di tipo puramente poliziesco e repressivo e un meccanismo di distacco e delega da parte dei cittadini. A una rappresentazione multidimensionale del problema, invece, corrisponde una risposta complessiva, certo più difficile da raccontare, ma che chiama in causa tutti: le istituzioni, le imprese, la scuola e l’università, il mondo della cultura, l’informazione. Raccontare meglio storie differenti Anche rappresentare l’antimafia solo attraverso gesta eroiche e storie eccellenti allontana i giovani e i cittadini dalla consapevolezza di poter fare ciascuno la propria parte. La sfida non è raccontare meno storie, ma di raccontare meglio storie differenti, capaci di rendere la gravità e il dolore delle vicende mafiose e, al tempo stesso, la straordinarietà della quotidiana (r)esistenza delle donne e degli uomini di un movimento antimafia (questo sì potrebbe essere un made in Italy da esportare) capace di liberare le terre di mafia e renderle terre di sviluppo, verità e giustizia.


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Pace e guerra

Le mamme di Niscemi “Da qui saranno comandati i droni, e io non voglio essere complice di nessuna guerra” di Attilio Occhipinti

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"Certo, tutti siamo preoccupati dagli effetti sulla salute che hanno avuto e che continuano ad avere le antenne, ma io mi sono trovata in crisi quando i miei bambini di dodici anni e mezzo e dieci anni mi hanno chiesto come mai il nostro governo permetta queste cose. Mi sono trovata spiazzata dalla semplicità con cui i bambini vanno al sodo. Questa è una bella domanda". Ed è così che Angela, una delle tante mamme di Niscemi, rompe il ghiaccio. Sì perché quando ci siamo sentiti, mi aveva confessato che non sapeva che cosa scrivere. "Non ho molta dimestichezza col computer", mi aveva detto. Dopo pochi minuti, però, si è lasciata andare, come se stessimo parlando da buoni amici seduti a un tavolo, in un bar, sorseggiando qualcosa di fresco. "Ho sempre cercato di dire la verità ai miei figli, in maniera comprensibile ma verità e ora? Nelle nostre famiglie la frustrazione sta anche in questo: cercare di restituire una serenità persa. Mio figlio mi dice: 'Ma se fanno male il presidente non può farle mettere! È cattivo.' Vai a spiegare... 'Sapete che la mamma e tante altre persone stanno lottando per questo? Vedrete che la spunteremo', così rispondo".

A Niscemi, parlando alla folla Angela scrive di getto, senza sosta, è inarrestabile. D’altronde già aveva espresso tutta la sua rabbia e la sua preoccupazione a Niscemi, parlando alla folla, impugnando il microfono, con una bandiera NoMuos attorno alla vita, come una rivoluzionaria d’altri tempi. Le tante mamme No Muos sono delle rivoluzionarie in fondo. Lottano con tutte le loro forze contro le antenne: "Ora i miei bambini vedono la polizia in tenuta antisommossa pronti a spintonare e, se necessario, anche arrestare la loro madre che è solo preoccupata per la loro salute. Che dire di più…non c'è pace nelle nostre famiglie, niente serenità. Hanno ucciso la speranza". “Che può rispondere un genitore?” "Mi spavento - continua Angela - perché non so che tipo di messaggio passa dare il genitore, in questo modo è frustrante e avvilente. E cosa rispondi? Come lo spieghi? Allora stai lì, a dire che ci sono accordi militari, che queste cose servono per la difesa, i talebani, le torri gemelle, ma non sono credibile. Perché non è la verità". La battaglia per la terra di Niscemi è cosa dura. Qui si combatte contro gli americani e, tristemente, contro molti italiani. Mica è cosa semplice. Concetta, nel riferire il bollettino di guerra, ha scritto che la lotta "procede lenta e con tanta fatica. Ci sono troppe cose nascoste e risposte che non arrivano, quindi capiamo che la situazione è molto complessa". "Se montassero il Muos - contiua - io e la mia famiglia ci trasferiremmo altrove. L'ottimismo, in questo momento della

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nostra storia, è un’utopia. Lotterò con tutte le mie capacità e forze per non permettere, a chi ci prova, di distruggere il mio progetto di felicità con la mia famiglia". Le parole di Concetta non lasciano nulla al caso, soprattutto quando rievocano ciò che è successo nel recente passato: "Certo che abbiamo avuto paura! Soprattutto per ordini dall'alto e, a tutti i costi, dovevano passare operai e materiale nonostante la revoca. Ho avuto molta apprensione per le mamme che caparbiamente bloccavano militari americani e operai". Il timore più grande Il timore più grande, però, è indubbiamente un altro. Il timore per una guerra futura, per una pace che potrebbe essere brutalmente assassinata e a Concetta preme precisare amaramente che "la paura più grande, oltre a un incremento di onde elettromagnetico che produrrà il Muos, sarà un terribile sistema di guerre che il Muos stesso potrebbe scatenare. Da qui saranno comandati i droni, ed io non voglio essere complice di nessuna guerra. Poi, penso molto spesso che possa essere un bersaglio per attacchi terroristici". La manifestazione del 31 maggio, Anche contro le divise Polizia contro i manifestanti


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Mafia

Lea Garofalo, la sentenza Mercoledì 29 maggio, presso l’aula della Corte D’Assise d’Appello di Milano, si è svolta l’ultima udienza del processo per l’omicidio di Lea di Fiammetta di Stefano e Clemente La Porta www.stampoantimafioso.it

Si è assistito alle dichiarazioni spontanee di Carlo Cosco, alla replica del Procuratore Tatangelo e alle controrepliche dei difensori, ma soprattutto alla lettura del dispositivo della sentenza, verdetto finale per questo intenso grado di giudizio.

Gli imputati Ore 9:45, le porte si aprono ed ha così inizio l’udienza. L’imputato Massimo Sabatino decide di rendere davanti alla Corte delle dichiarazioni spontanee, con le quali non perde occasione per rimarcare il suo intento meramente intimidatorio nei confronti di Lea, durante l’episodio di Campobasso.

Doveva solo "darle due schiaffi", niente di più. Dichiarazioni, quindi, che tendono a voler smentire la circostanza paventata dal Procuratore Generale, secondo la quale Lea sarebbe dovuta essere sequestrata e poi portata a Bari, sminuendo in questo modo l’utilizzo del furgone, usato solamente per simulare un trasloco, nel caso in cui le forze dell’ordine avessero fermato il mezzo per un controllo. Segue poi l’intervento di Carlo Cosco. Questo ribadisce la mancanza di una logica omicida predeterminata e studiata da anni, volta ad uccidere l’ex compagna, e l’avvento improvviso di un raptus, di un momento di ira violenta, scatenato dalla minaccia di Lea di non fargli più vedere sua figlia Denise. Carlo confessa di aver provato amore e passione nei confronti di Lea: “se fossimo stati distaccati”, ribadisce l’imputato, “non sarebbe successo niente. Lei tanti anni fa mi ha lasciato, mi ha provocato tanto dolore, perché io a lei volevo bene. Ho sbagliato, conclude, se potessi tornare indietro non lo rifarei, ho perso la testa, la mia pena peggiore è l’odio di mia figlia, non finirò mai di pregare per avere il suo perdono”, “il Vangelo lo insegna, anche per un uomo come me”. L’ultimo a prendere la parola tra gli imputati è Carmine Venturino. Quest’ultimo riferisce alla Corte una circostanza particolare. Il collaboratore di giustizia racconta come Cosco Vito, dopo esser uscito dall’appartamento dove si è consumato l’omicidio, si sarebbe raccomandato con lui stesso di non chiamarlo sul suo cellulare, bensì sull’utenza di Janczara Damian (un giovane di origine polacca, che, durante una testimonianza resa in primo grado, si è definito amico dei Cosco).

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Episodio già noto al Procuratore Tatangelo, dato che era stato riferito dal Venturino in sede di interrogatorio. La replica del Procuratore Parte poi la replica del procuratore Marcello Tatangelo, durante la quale l’attenzione risulta del tutto concentrata su Cosco Vito. Durante l’omicidio di Lea, secondo la tesi esposta dal pm, questo non sarebbe stato in possesso del proprio cellulare ma, al fine di procurarsi un alibi, avrebbe optato per affidarlo ad una terza persona, e pertanto, durante quella fascia oraria tale utenza sarebbe stata usata da una terza persona. In altre parole, Vito Cosco, prima di andare nell’appartamento di via Prealpi, nel quale si è consumato l’omicidio di Lea, avrebbe dato il proprio cellulare ad un altro soggetto, accertandosi che questo si occupasse di effettuare diverse chiamate durante quel lasso temporale, in modo tale che se "qualcuno lo avesse cercato, Vito Cosco non avrebbe corso il rischio di essere rintracciato proprio durante i momenti del delitto". Pertanto l’imputato, durante le fasi concitate dell’omicidio, avrebbe usato un’altra utenza telefonica, in particolare quella di Janczara Damian, e, proprio per questo motivo, avrebbe detto a Carmine Venturino di cercalo su questo numero e non sul proprio. Circostanza confermata dall’analisi dei tabulati telefonici, che rivelano inoltre numerose chiamate partite dall’utenza di Carmine Venturino dirette al numero di Janczara Damian, proprio dopo l’omicidio.


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“Si è scritta un’ulteriore pagina di giustizia” I difensori Il primo a prendere la parola è l’avvocato Roberto D’Ippolito, legale di Marisa Garofalo, sorella della vittima. Secondo il legale i sei imputati si sarebbero messi "d’accordo tra loro per contenere i danni, visto la mazzata di sei ergastoli che è arrivata dopo la sentenza di primo grado". Circostanza subito contraddetta dal difensore di Giuseppe Cosco, l’avvocato Massimo Guaitoli, il quale replicherà dicendo che "Giuseppe Cosco non ha bisogno di essere salvato da Carmine Venturino, perché in questa storia non c’è mai entrato". In seconda battuta l’intervento dell’avvocato Maira Cacucci, legale di Giuseppe Cosco, durante il quale viene ribadita la certezza dell’utilizzo da parte di Vito Cosco del suo cellulare, sconfessando così la tesi del procuratore generale. Inoltre, il fatto che il signor Janczara Damian si sentisse con Venturino , sempre secondo la tesi del legale, non è da considerarsi cosa anomala, dato il legame di amicizia esistente tra i due soggetti. L’avvocatessa conclude la propria replica chiedendosi: "Perché non vogliamo credere a Carlo Cosco? Perché non ci rendiamo conto che Carmine Venturino ha detto la verità solo quando la sua versione coincide con quella di Carlo Cosco e che per il resto ha farcito il tutto? Non gli si vuole credere perché forse il processo perderebbe l’interesse mediatico? Perché sarebbe solo, lo dico con il massimo rispetto, un omicidio tra due ex?». Come controreplica in favore del suo assistito Carmine Venturino, l’avvocato

Floriana Maris, ha di nuovo sottolineato la genuinità delle parole di quest’ultimo e, ancora, che "i Cosco sono un gruppo ‘ndranghetista, pertanto l’omicidio di Lea è stato commesso con metodo mafioso". “Siamo di fronte ad un omicidio premeditato”, continua il legale, “come dimostrano le indagini svolte”. L’avvocato Daniele Sussman Steiberg, difensore di Carlo Cosco e ultimo a prendere la parola, ha in primis accusato di incoerenza il contenuto dell’intervento del Procuratore Tatangelo, controreplicando l’inesistenza di un piano omicidiario premeditato e l’esistenza di un momentaneo e letale raptus di follia. La sentenza Sono circa le 18 quando Anna Conforti, Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Milano, legge il dispositivo della sentenza di secondo grado, riformulando parzialmente il giudizio di primo grado. Confermato l’ergastolo per Carlo Cosco con un anno di isolamento diurno e per Vito Cosco con otto mesi di isolamento diurno, Massimo Sabatino e Curcio Rosario. Venticinque anni di reclusione per Carmine Venturino con il riconoscimento delle attenuanti generiche e non dell’attenuante speciale della collaborazione. Assolto Giuseppe Cosco, per non aver commesso il fatto, il quale tuttavia non verrà subito scarcerato, data la condanna che grava sulle sue spalle di dieci anni per traffico di droga, pena confermata in secondo grado. La Corte ha inoltre confermato i risar-

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cimenti per le parti civili: 200 mila euro per Denise Cosco, 50 mila euro alla madre e alla sorella di Lea Garofalo, 25 mila euro al Comune di Milano. Inoltre, tutti gli imputati, ad eccezione di Carmine Venturino, dovranno provvedere in solido al pagamento delle spese processuali. Adesso si attendono le motivazioni della sentenza, che dovrebbero essere depositate entro agosto. Il sostegno dei giovani Anche in quest’occasione, come per tutte le udienze del processo Garofalo, si è sentita la calorosa partecipazione di giovani, che, consapevoli dell’importanza della loro presenza in aula, hanno scelto di sostenere Denise Cosco. Questa scelta dà voce alla voglia di giustizia e verità che anima gli intenti di quelle decine di studenti e che esprime la parte migliore della società civile organizzata. Denise, che ha assistito in aula alla lettura della sentenza, " ha scelto di far celebrare i funerali di sua madre a Milano, perché Lea è stata uccisa in questa città e perché l’amministrazione comunale, che si è costituita parte civile, le è stata vicino", spiega il suo avvocato, Enza Rando. Che poi commenta la sentenza: "Si è scritta un’ulteriore pagina di giustizia" .

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Movimenti

Gli studenti di Milano con Lea e Denise Durante il processo per l’uccisione di Lea Garofalo c'è stata una straordinaria partecipazione di moltissimi ragazzi di Libera, del coordinamento dei familiari delle vittime di mafia della Lombardia e di alcune classi delle scuole superiori di Presidio Lea Garofalo pres.giovanimi@libera.it

Durante il processo per l’uccisione di Lea Garofalo c'è stata una straordinaria partecipazione, costante, di moltissimi ragazzi di Libera, dei soci del coordinamento dei familiari delle vittime di mafia della Lombardia e di alcune classi di scuole superiori portate dai propri insegnanti. Questa parte di cittadinanza si è attivata per stare vicino a Denise, per chiedere verità e giustizia attorno all’ omicidio di una donna che, rompendo il silenzio e l'omertà ha restituito dignità a Milano.

Ma ancora di più, è la cittadinanza che si sveglia, si accorge che la giustizia è amministrata in nome del popolo italiano, e che tutto ciò che accade intorno a loro li riguarda, più o meno direttamente. Il presidio di Libera “Lea Garofalo” si è organizzato molto bene per il processo di appello, riuscendo a non lasciare mai l’aula del tribunale priva di presenze a conforto di Denise; presenze che riscaldavano l’ambiente, già di per se gelido, in cui i familiari degli imputati appesantivano il “grigiume”. Siamo sicuri che questo calore sia giunto a Denise, nascosta dietro un telo pochi metri più avanti. Il giorno della sentenza vi era una vera e propria folla, il calore da metaforico è divenuto anche fisico, molti di coloro che hanno partecipato alle varie udienze si sono ritrovati. A prescindere dalla sentenza il nostro obiettivo era stato raggiunto, ampliare il più possibile la partecipazione a questo delicatissimo processo. Il giorno della nascita del presidio ci era stato detto che la nostra follia e la non completa consapevolezza di ciò che significa impegnarsi per una causa come quella del contrasto alle mafie era al contempo un pericolo, ma anche un enorme punto di forza, al punto che ci era stato augurato di non perderle. Tuttavia, entrare in tribunale e percepire la concretezza della nostra azione ci ha dato la consapevolezza che la mafia, anzi, in questo caso la ‘ndrangheta, vista con i nostri occhi è del tutto diversa da quella che viene raccontata. Ma a raccontarvi iI clima che si viveva nell’aula del tribunale di Milano lasciamo che siano i commenti degli studenti che hanno partecipato alle udienze.

“Non mollare!” È stata una bella esperienza probabilmente anche formativa. Non avevo mai assistito ad un processo men che meno ad un uno cosi importante e penso sia stato interessante. Un abbraccio a Denise non mollare e continua a lottare che abbiamo bisogno di persone come te. Cesare Andare all'udienza mi ha permesso di capire meglio la storia di Lea, in più ho capito quanta corruzione e falsità ci sia purtroppo in Italia,alcune tesi portate dagli avvocati erano veramente inascoltabili. A Denise vorrei dire che è una ragazza fortissima, dubito che siano molte persone con il tuo coraggio e la tua grinta Alessandro Sono davvero contenta di avere assistito all'udienza martedì. Mi sono potuta, anche se in pochissima parte ovviamente, avvicinare a questa così triste realtà e credimi, è stato proprio suggestivo. Di sicuro cercherò di partecipare ad altri processi, perchè ho visto quanto sia importante sostenere tutte queste persone così coraggiose. Carlotta Questa esperienza é stata molto interessante e coinvolgente; infatti per la prima volta ho avuto la possibilità di vedere dal vivo che la mafia esiste davvero, che non é semplicemente una leggenda metropolitana che riguarda solo il sud.E sono veramente felice di aver avuto questa possibilità. Hajar È stato un vero piacere avere fatto la mia parte, è stato molto toccante poter avere dato un sostegno a chi si sente abbandonato. Noi ci siamo. Federica

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Ciao Denise sii forte perché stai combattendo anche per noi, e per il nostro paese. Non sei sola, perchè anche se non ci vedi noi siamo qui con te e ti stiamo vicino. Un grandissimo abbraccio! Matteo Era la prima volta che assistevo a un processo e sono rimasta molto colpita sia in positivo che in negativo: è triste vedere che pur di guadagnare certi avvocati accettino di difendere coloro che, oltre che a danneggiare una famiglia intera, stanno danneggiando tutto il nostro paese. Nonostante ciò il fatto di partecipare a questo processo mi ha fatto capire che anche io posso fare qualcosa per starle vicina. Non sei sola, Denise. Un abbraccio Laura S. Mi ha fatto provare la sensazione di poter dare un contributo anche se piccolo in una società tanto grande Laura B. Ciao Denise, mi chiamo Andrea, ovviamente non mi conosci e nemmeno io ti conosco a dire il vero. Quel poco che so su di te l'ho saputo tramite una mia professoressa e i ragazzi e ragazze di Libera ma la tua storia mi ha subito colpito. So di cadere nel banale perché esprimere i miei pensieri e sentimenti non é proprio il mio forte, però volevo dirti che ti ammiro moltissimo per la forza e il coraggio con cui hai affrontato i tuoi drammi. In molti ti pensiamo e vorremmo darti una mano con piccoli e grandi gesti per cercare di farti sentire che "noi ci siamo" per te, anche se non ci vedi, non ci senti e non ci tocchi direttamente. Questoè il nostro piccolo sostegno. Un abbraccio Un ragazzo di 17 anni

Ciao Denise, sono Aurora.. sappi che anche io ti sostengo... ci sono un sacco di ragazzi che ti sono vicino... Le parole che ho sentito da parte degli avvocati della difesa nell'ultimo processo sono solo raggiri di parole. E' palese che non sanno cosa dire. Ti mando un saluto e ti ricordo che NON SEI SOLA... ciao Denise! Aurora Comunque vadano le cose, tu non sarai mai sola perché io ti porterò sempre nel cuore. Miriam Penso che poche persone possano capire cosa stai passando perchè perdere la madre e denunciare tuo padre dev'essere una cosa che non tutti sarebbero stati capaci di fare, se tutti i ragazzi che vivono a contatto con la mafia ( figli, fratelli, amici di persone nel giro della criminalità organizzata) riuscissero a trovare il coraggio e la forza che tu hai avuto secondo me la mafia potrebbe subire un brutto colpo perchè verrebbe colpita in un certo senso dall'interno. Credo che tu sia un esempio da seguire per coraggio e tenacia. Iman Questa esperienza mi ha toccato molto profondamente perché mi ha permesso di essere partecipe, anche se da spettatore, alla lotta contro un problema che sta distruggendo il nostro paese. Denise, spero che tu riesca a vincere la tua battaglia contro la mafia. Leonardo Molto toccante ed emozionante! Tanta solidarietà per Denise. Mario Credo che l'iniziativa di andare al pro-

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cesso sia stata una buona scelta,sia per portare sostegno a Denise sia perchè è giusto che un cittadino si interessi a questi eventi; ecco perchè penso di ritornarci mercoledì. Filippo C mio parere è stato interessante e mi ha fatto rifelettere molto, mi piacerebbe tornare per la sentenza..le cose che mi hanno colpito sono state vedere come vengono trattati gli imputati e il fatto che comunque debbano restare in gabbia, ed vedere come è da dentro un tribunale, nonostante ne sia rimasta abbastanza delusa..è stato pure costruttivo assistere al processo con affianco qualsiasi genere di persone, e sopratutto vedere in facci da vicino la mafia! Rebecca Sono una ragazza della tua stessa età, probabilmente avremo in comune tante, tante cose. C’è solo una differenza tra me e te: io sono una ragazza abbastanza nerd, hai presente star wars... i supereroi? Ecco, io adoro i supereroi, di ogni tipo! Pensa che i miei compagni ormai quasi mi odiano, perché ne parlo sempre. Ora, sai qual è la differenza tra me e te? Io amo gli eroi, amo quegli ideali e sono quasi una mia filosofia tu vita. Tu, invece, SEI un eroe, o meglio una eroina. Perché dopo tutto ciò che vissuto, che hai passato.. ciò che hai deciso di fare, ciò che stai passando, che stai vivendo fanno di te una delle persone più coraggiose.. fanno di te un esempio, un modello che non si può che seguire. Noi, ovviamente, pur non potendo sapere come ci si sente, possiamo solo dirti che ti siamo vicini e che la tua forza è la nostra forza. Davvero, posso solo dire che ammiro il tuo coraggio. Un forte abbraccio da Lisa


Milano

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“La scelta di Lea” Dove c'era la mafia, ora facciamo assemblee antimafia. E' un bel locale, quello di viale Jenner confiscato ai boss. E' lì che abbiamo voluto presentare un libro che fa male ai mafiosi perché parla di Lea di Martina Mazzeo www.stampoantimafioso.it

Viale Edoardo Jenner, civico 31, Milano. Da un comune portone in legno marrone laccato si accede all’appartamento che una volta fu di Giuseppe Ferraro, ‘ndranghetista legato alla cosca rosarnese dei Pesce, e che, dopo la confisca nel 2006, il Comune di Milano ha adibito a casa di permanenza temporanea per anziani in difficoltà. Attivo dal 1° gennaio 2010, questo appartamento è stato uno dei luoghi del Festival dei Beni Confiscati che si è tenuto nel 2012 per poi ospitare, alla fine di maggio, un incontro aperto ai cittadini.

Tra le mura che in altri tempi hanno custodito segreti mafiosi è stata raccontata la storia di Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese originaria di Petilia Policastro che ha pagato con la vita la decisione di ribellarsi alla ‘ndrangheta. “La scelta di Lea”: è il titolo del libro in cui Marika Demaria, giornalista di Narcomafie e referente di Libera per la Valle d’Aosta, ricostruisce una storia di dolore, riscatto, dignità e violenza mafiosa. Il rapimento di Lea, nel novembre 2009, all’Arco della Pace a Milano, il processo di cui si è appena concluso il secondo grado di giudizio, il dramma ed il coraggio della ventunenne Denise, figlia di Lea e Carlo Cosco, atrocemente privata della madre – pare – proprio dal padre, e ancora atrocemente privata della sua identità in una vita che trascorre sotto protezione, tra aule di tribunale e località segrete. Marmo ovunque Marmo ovunque. Spingi la maniglia della blindata bianca, superi l’uscio e metti piede nell’appartamento di viale Jenner: quello che vedi è marmo, marmo ovunque. Bianco, nero, verde, azzurro. Lussuoso, barocco, opulento marmo. La suggestione ti assale: catapultata tra realtà e finzione cinematografica; la villa del camorrista Walter Schiavone, figlio di Francesco ‘Sandokan’ Schiavone, e la reggia hollywoodiana di Scarface. Il caminetto pacchiano, la rubinetteria vistosa, una grande veranda coperta presumibilmente abusiva. A meno di un metro dalla soglia calpesti un grande “FMV” (“Ferraro Mussuni Vincenzo”) inciso nel marmo, è l'omaggio di Giuseppe Ferraro detto “Mussuni”, ‘ndranghetista ex proprietario di casa, a Vincenzo Pesce detto ‘U Babbu’, suo capomafia di Rosarno. L’aria che si respira si incolla sulla pelle come l’afa. È pesante, dà insofferenza.

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L'antimafia racconatata e praticata Ma si rinfresca se guardi i cittadini e le persone presenti: Marika Demaria, Pierfrancesco Majorino, assessore comunale con delega ai beni confiscati, David Gentili, presidente della Commissione Consiliare Antimafia, Barbara Sorrentini, giornalista di Radio Popolare e direttrice artistica del Festival dei Beni Confiscati, Giulio Cesani, del presidio Lea Garofalo. Il giornalismo, la politica, la passione civile. L’antimafia, raccontata e praticata. Il simbolo dell'alternativa possibile Giulio è iscritto al primo anno di Economia. Mentre ripercorre l’impegno suo e dei suoi coetanei compagni di presidio nel sostenere Denise e nel sensibilizzare Milano, con serietà e fantasia, rispetto alle vicende di mafia che hanno colpito le due donne, catalizza l’attenzione di tutti. I suoi occhi sorridenti, il suo volto sbarbato e i suoi ricci tenaci illuminano l’aria. Diventano il simbolo dell’alternativa possibile. Scrivono a caratteri cubitali nelle coscienze di ciascuno che qualcosa si può sempre fare, anche con pochi mezzi, e che è dovere di ciascuno capire cosa, in ogni circostanza, sia sempre possibile fare. Niente deleghe, solo responsabilità Niente deleghe, solo responsabilità. Piccole o grandi che siano queste, la mafia e la cultura mafiosa si combattono così. Alcuni rispondono grazie alla testimonianza di Giulio, poi l’applauso sgorga spontaneo. E più forte risuona, in quella casa. Se il silenzio cresce come cresce un cancro, le parole si depositano come si depositano le pietre. Costruiscono il selciato, tracciano il percorso da seguire. Le scarpe che indossi si chiamano reazione civile, le insidie che scalci si chiamano omertà, prevaricazione e complicità.


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Sicilia

Chi c'è alla Commissione Antimafia? Gli antimafiosi si dimettono, gl'inquisiti inquisiscono, un brav'uomo presiede, e Micciché aleggia su tutto quanto di Rino Giacalone

Il Parlamento Siciliano (così si fa chiamare l'Assemblea regionale di Sicilia) , con un certo ritardo, ha finalmente visto insediata la commissione antimafia regionale, presidente Nello Musumeci. In commissione tra gli altri messo un ex poliziotto, proprio uno di quelli sopravissuti alle indagini, uno che la mafia ce l'aveva nel mirino. Prima nella Sicilia occidentale e poi quella orientale, il poliziotto Malafarina nei vari incarichi ricoperti non ha dato mai tregua alle organizzazioni mafiose. Dirigente di squadre mobili e commissariati, a fianco a magistrati come Paolo Borsellino, Malafarina alla fine, dismessi per limiti di età gli abiti del poliziotto, si è candidato con Crocetta e col suo Megafono, ed è stato eletto.

Sembrava ovvio che fosse lui il candidato naturale alla guida della commissione antimafia, dopo che per diverse legislature di fatto la commissione era servita a poco e niente. Ma gli accordi di bottega hanno condotto alla presidenza Musumeci, un esponente della destra, eletto all’unanimità. A questo punto l’ex poliziotto ha puntato alla vice presidenza e invece la maggioranza della commissione lo ha bocciato, preferendogli Cordaro del Pid, Ferrandelli del Pd e Miccichè dell’Udc. L’on. Antonio Malafarina, capita l’aria che tira, ha rassegnato le sue dimissioni dalla commissione. “Vado via – ha detto – non posso condividere queste logiche di lottizzazione…”. - Inciuci toccati con mano? “Mi sono reso conto che con la mia storia di uomo delle istituzioni avrei dovuto fare la foglia di fico a certi soggetti ed allora ho detto di no”. Parlamentari chiacchierati Malafarina non fa nomi, ma non è poi così nascosta la circostanza che in commissione siedono parlamentari chiacchierati. Uno si è dovuto già dimettere, Salvino Caputo (Pdl ex sindaco di Monreale) per una condanna appena “incassata” per abuso di ufficio, era stato eletto segretario dell’antimafia. Di altri due parlamentari trapanesi si discute parecchio.

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C’è il castelvetranese Giovanni Lo Sciuto (Mpa), citato in un rapporto della Dia a proposito di rapporti antichi con la famiglia Messina Denaro e c’è l’ex sindaco di Trapani, Girolamo Fazio (Pdl, ora gruppo misto) che una volta disse che la mafia esiste perché c’era l’antimafia e anche con questa motivazione rifiutò la cittadinanza onoraria all’ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano. Titoli di credito intestati “Lo Sciuto è stato uno dei soci fondatori della Futura calze srl, unitamente, tra gli altri, alla sorella ed al cognato di Matteo Messina Denaro (il boss latitante da 20 anni, ndr) e cioè Giovanna Messina Denaro e Rosario Allegra, ed è stato indicato in un esposto anonimo dell’ottobre del 1998 come uno dei favoreggiatori di Matteo Messina Denaro, perché avrebbe finanziato a mezzo di un conto corrente attestato presso la Banca Commerciale di Castelvetrano, avvalendosi anche della complicità di Michele Alagna (fratello di Francesca Alagna, la compagna del boss latitante, ndr)”. La Finanza a suo tempo trovò titoli di credito intestati a Michele Alagna (del quale Lo Sciuto è stato testimone di nozze) posti a garanzia di conti correnti intestati alla moglie dell’odierno parlamentare e proprio in quell’esposto anonimo del 1998 quel conto corrente veniva indicato come fonte di sostentamento della latitanza di Matteo Messina Denaro.


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Piemonte

Breve la lunga via da Catania alle Langhe “Vedendo i miei studenti di ora ripenso ai miei anni di liceo in Sicilia, con le riunioni del collettivo studentesco alla redazione dei Siciliani” Michelangelo Caponnetto «Prof., questo è stato il mio primo vero viaggio d’istruzione» mi dice Stefano. Questa frase è impressa, vivida, nella mia memoria a distanza di quasi tre anni. Forse perché mi è parsa la conferma che lasciare Catania per andare a insegnare filosofia e storia in provincia di Cuneo, nelle Langhe, dopotutto ha avuto un senso. Stefano è uno dei trenta ragazzi delle scuole di Alba che ha partecipato al «Treno della memoria», il viaggio organizzato da «Terra del fuoco», associazione della rete di Libera che ogni anno porta migliaia di studenti a visitare il lager di Auschwitz-Birkenau È un viaggio, quello ad Auschwitz, rivolto verso il futuro, non verso un passato lontano. Dopo aver conosciuto da vicino l’orrore della deportazione e dello sterminio, tanti scelgono di impegnarsi, di attivarsi per costruire una società migliore. Sono quattro anni che con amici e colleghi organizziamo il «Treno», all’inizio con enormi difficoltà, scontrandoci con l’ostilità di coloro che consideravano inutile, poco significativa, quest’esperienza, e con il problema di trovare i fondi per finanziare l’iniziativa.

Il treno della memoria Ma nel corso di questi anni i ragazzi che hanno partecipato sono stati la migliore pubblicità per il progetto. Al loro ritorno molti hanno iniziato o consolidato percorsi di impegno e cittadinanza attiva. Come Francesca che è stata ad Auschwitz nel febbraio del 2012 e pochi mesi dopo, il 25 aprile, ha tenuto il discorso alla manifestazione per l’anniversario della Liberazione. Ogni anno vado alla fiaccolata di commemorazione sulle Langhe, a Treiso, avamposto partigiano durante la Resistenza. Quell’anno non riesco ad esserci e Francesca mi invia il suo discorso per email. «Dal Treno della Memoria non si scende mai: storia, memoria, impegno e responsabilità devono diventare le parole chiave della vita di tutti noi giovani. I partigiani ci passano il testimone, tocca a noi giovani portare avanti gli ideali di giustizia, libertà, uguaglianza, legalità e pace impegnandoci quotidianamente a essere cittadini consapevoli». Oggi Francesca è responsabile, insieme ad altri ragazzi e ragazze, del presidio albese di Libera intitolato a Mauro Rostagno. Valentina è la prima persona della rete di Libera che ho conosciuto in Piemonte, quando, sette anni fa, sono venuto a vivere qui. È tra le responsabili del presidio provinciale di Cuneo. Nel mio primo anno di insegnamento avevo cercato di affrontare il tema della mafia con una quinta del liceo scientifico, imbattendomi nelle risposte dei ragazzi che mi dicevano di non riuscire a capire il problema. Vedevano la mafia come una questione distante che riguarda noi che veniamo dal sud e non tocca loro, non coinvolge le loro vite e le loro città. Il processo “Minotauro” sulle infiltrazioni della

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‘ndrangheta in Piemonte non era conosciuto e della mafia al Nord nelle scuole non si sapeva granché. Valentina mi fa conoscere la storia della “Cascina Caccia” a San Sebastiano da Po, in provincia di Torino. La cascina era di proprietà della famiglia mafiosa dei Belfiore. Nel 1992 Domenico Belfiore è stato condannato come mandante dell’omicidio di Bruno Caccia, Procuratore capo di Torino, ucciso sotto casa nove anni prima, nel 1983. Nel 2005 il bene è stato confiscato alla criminalità organizzata e affidato al gruppo Abele e due anni dopo, con la collaborazione di Acmos e di Libera, ha iniziato le sue attività come presidio a difesa della legalità. Grazie a Valentina capisco che è importante non essere da soli a parlare di mafia agli studenti. I liceali di Alba E allora, negli anni successivi, con Daniele e Daniela, due amici insegnanti, iniziamo a lavorare a un progetto che coinvolge gli studenti di tre diverse scuole superiori di Alba su identità, razzismo e sfruttamento degli immigrati da parte delle associazioni criminali. Il 2010 è l’anno degli scontri di Rosarno dove la responsabilità della ‘ndrangheta emerge chiaramente. Gli studenti iniziano a mostrare sensibilità e interesse. Quell’esperienza cementa una rete di contatti, di insegnanti e di formatori di Libera determinati a lavorare insieme nelle scuole. Come sempre le persone incontrate sono preziose: scambiamo idee, punti di vista, gettiamo le basi per iniziative future. Chiara, Martina e Noemi sono mie studentesse del Liceo artistico di Alba. Due estati fa hanno partecipato ad un campo di volontariato di Libera a Mesagne, la cittadina pugliese da cui proveniva Melissa Bassi.


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Il 19 maggio del 2012 apprendo la notizia alla radio, in macchina verso Bra, dove abito e dove sto rientrando dopo aver finito scuola. Una bomba, a Brindisi, nella scuola intitolata a Francesca Morvillo, la moglie di Falcone. Una studentessa uccisa, Melissa, altre ferite gravemente. Penso a quella ragazza uscita di casa per una giornata di scuola come tutte le altre e mai più ritornata. Poi penso che poteva capitare a ciascuno di noi, insegnanti, studenti, collaboratori scolastici. Mai, che io ricordi, le bombe avevano colpito direttamente a scuola, neanche negli anni della strategia della tensione, neanche durante le stragi di mafia del ’92-’93. Come faccio a spiegare Kant, ora? Il giorno dopo non me la sento di fare lezione come se nulla fosse. Provo fastidio al solo pensiero di spiegare Kant: «L’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Sapere Aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza». Parlare della Critica della ragion pura o della morale kantiana in queste circostanze vorrebbe dire tradire il senso delle parole stesse di Kant. In tutte le classi parliamo dell’attentato, leggiamo i giornali, cerchiamo di capire. Noemi, Chiara, Martina, altre studentesse e studenti sono più sconvolti di me. Il tempo è poco, tre settimane e la scuola è finita, però decidiamo di fare qualcosa, di reagire. Le sere ci vediamo a casa di Marco, che insegna matematica e fisica ma ogni anno accompagna i suoi allievi, il 21 marzo, alla giornata della memoria e dell’impegno per le vittime di mafia. Ci sono gli studenti, i ragazzi che in questi anni si sono impegnati con Libera, ci sono gli insegnanti che ho conosciuto e

con cui abbiamo dato vita alle iniziative degli anni passati. Nelle settimane successive organizziamo incontri nei licei di Alba. Selezioniamo i filmati, dalle stragi di mafia alla bomba di Brindisi, con la trasmissione di Santoro in cui interviene una compagna di scuola di Melissa. Valentina parla agli studenti della stagione delle stragi, non solo Capaci e Via D’Amelio, ma anche le bombe del ’93 a Roma, a Milano e a Firenze di cui i ragazzi spesso non sanno nulla. Alla fine delle assemblee ho sempre paura che nessuno prenda la parola e la mia ansia si accresce quando Valentina rimane in silenzio ad aspettare gli interventi degli studenti. Ma dopo qualche minuto, ogni volta, qualcuno inizia a parlare, e allora il dibattito si anima, anche chi inizialmente non aveva il coraggio di prendere la parola vuole partecipare. Decidiamo di organizzare negli ultimi giorni di scuola una manifestazione studentesca che attraversi le vie di Alba e confluisca nella piazza del Duomo. C’è qualche centinaio di ragazzi, non pochi, per una cittadina di appena trentamila abitanti. Molti studenti intervengono e soprattutto decidono di non fermarsi all’iniziativa isolata di quel pomeriggio, di dar vita ad associazioni, di collaborare con Libera. Ogni tanto mi prende il rimpianto di aver lasciato la Sicilia. Due anni fa, in estate, con Marco andiamo in vacanza a Portella della Ginestra, nella cooperativa Placido Rizzotto, il primo bene confiscato alla mafia. Visitiamo il memoriale della strage di Portella e riusciamo a incontrare Mario Nicosia, uno degli ultimi testimoni del primo maggio ‘47. Poi a Cinisi conosciamo i ragazzi della Casa Memoria Peppino Impastato e il 19 luglio siamo a Palermo per la manifestazione organizzata dal movimento delle Agende Rosse, che si conclude in via D’Amelio.

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“...Eppure siamo tutti determinati, convinti che non arrivi mai il momento di tirare il fiato...”

Vedendo i ragazzi di Palermo ripenso ai miei anni del liceo a Catania, con le riunione del collettivo studentesco alla redazione dei Siciliani, e poi all’impegno universitario nella lista contro la mafia. Mi dispiace non poter dare il mio contributo dove ho trascorso i primi trent’anni della mia vita. Allora ci viene in mente di organizzare una gita in Sicilia per gli studenti della provincia di Cuneo. Fino ad oggi è rimasto un progetto inattuato, speriamo un giorno di riuscire a realizzarlo. Per adesso lavoriamo alla creazione di un presidio degli insegnanti di Libera nelle scuole di Bra e Alba. Ci vedremo nelle prossime settimane per programmare le iniziative del prossimo anno scolastico, anche se da insegnante precario non so in quale scuola a mi ritroverò settembre. Non smettiamo di costruire avamposti Siam consapevoli che il nostro impegno non è che una goccia nell’oceano, eppure siamo tutti determinati, convinti che non arrivi mai il momento di tirare il fiato. Non smettiamo di costruire avamposti, fortezze e casematte per sottrarre spazio alla passività, alla “zona grigia” della rassegnazione verso le prevaricazioni e i privilegi di pochi; per spostare in avanti, anche solo di poco, il terreno della lotta per i diritti universali, per una società più giusta. Spesso abbiamo l’impressione di fare pochi passi avanti, sperimentiamo la difficoltà di fare breccia nella “normalità” del quotidiano, di coloro che pensano che le cose non possono andare diversamente. Ma sappiamo che non è così. Non è vero che non c’è alternativa al potere mafioso, alla disuguaglianza e allo sfruttamento, piuttosto non c’è alternativa a lottare perché le cose cambino.


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Lettere all'Italia/ Un viaggio

Diario dalla rete dei Siciliani giovani Da Ravenna a Ragusa, un diario collettivo sull'informazione, il territorio, la cosa pubblica, e i ragazzi di Falcone di Fabio D'Urso e Luciano Bruno

con Andrea Mignozzi, Silvia Occhipinti, Massimo Manzoli, Paola Resta, Giorgio Zattini, Alessandro Spazzoli, Alessandro Romolo, Francesca Cantoni, Fabio Tonnini, Enrico De Sanso, Ambra Scandura, Nando D'Ambrosio, Raffaella Carrara, Daniela Tomasino, Carla Baroncelli, Salvo Ognibene e Sabina Longhitano

“Posso rubare questi pennini ai bambini, per scriverci sul mio quaderno?”. Scendiamo le scale, dalla stanzetta della foresteria del Gapa, dove né finita la riunione della redazione catanese dei Siciliani Giovani, mentre lo chiedo timidamente a Paolo e Marcella. In fila giù per le scale ci sono Vincenzo, Riccardo, Alessandro, Luciano e Giovanni. Paolo mi guarda infastidito. "I pennini sono dei bambini” fa. E giù. Al Gapannone oggì c'é festa di fine anno delle attività del Gapa. Un centinaio di ragazzetti, di volontari, le famiglie felici che si riuniscono attorno al Gapa da due decenni.

In foresteria mentre discutiamo gli articoli, Vincenzo accenna a organizzare a Catania un festival dell'Informazione. Non ha detto molto, quando l'idea è già stritolata da un’osservazione. "Dovremmo contattare i ragazzi di Ravenna, oltre a quelli del Clandestino di Ragusa”. - Quelli dello Zuccherificio, come lo hanno organizzato? Quali contenuti? Chi hanno invitato? "Sarebbe utile metterci in contatto con loro, coinvolgerli in una rete più stretta, che ne dite?”. - Guarda qui, è il dépliant del convegno, l'hanno intitolato il Grido della Farfalla. La riunione di redazione La riunione della redazione è stato il pretesto per conoscere i nuovi redattori, perché da un pezzo avevo deciso di staccare. Passati tanti mesi, ora mi ritrovo a discutere le pagine del giornale. Il gruppo si sta formando attorno al coordinamento di Giovanni, che da un angolo della stanza ascolta gli interventi e risponde e chiede. Le tante stagioni, e le tante lotte non gli hanno diminuito la resistenza. “Alessandro, pensi di riuscire a trovare delle testimonianze da Istanbul, per il fotografico?”. E Alessandro ci spiega in due parole. Poi Giovanni riparte: “Vincenzo, sei riuscito a trovare quella fonte per il pezzo su Catania?”. In tutti loro c'é voglia di mettersi a lavoro presto. Mentre discutiamo, mi viene in mente il vecchio gruppo di redattori, di Lavori in corso, che ormai ha preso una piega diversa. Sta lavorando a un paio di dossier. I gruppi cambiano, in questo ci sono le sconfitte e le elaborazioni, le distinzioni, e le idee diverse. Restano le relazioni.

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Luca da Roma, con ordinaria precarietà, aiuta Riccardo. Riccardo litiga periodicamente con Piero. Maurizio e Cono e le foto che mandano di tanto in tanto per il giornale. Sonia continua con i video sociali. Rosalba, e Giuseppe, e Massimiliano, a capo della fitta traverse da cui sono venuti, e con coerenza. Il più disgraziato e incoerente, io, nella schiavitù della distribuzione pubblicitaria. Volantini, per intenderci. Per fare dalle venti alle quaranta euri al giorno, e prima o poi andare a fare la maradona di New York. Ma alienato molto. Quanto basta per leggere il giornale troppo velocemente. Per smettere di leggere un articolo. Per fare una telefonata. Per andare ad un incontro cittadino. Per fare la foto di una strada, o scrivere un pezzo un paio di volte. Può succedere di svoltare pericolosamente a destra, senza accorgersene. Ma peggio se c'é consapevolezza e dolore, quando ti accorgi che lottare un sistema può farti diventare irrevocabilmente povero. “Hai vinto un premio, andiamo!” Un giorno poi era arrivata una telefonata. E' Riccardo: "Telefona a Norma, puoi?”. - Perché? "Ti hanno dato un premio per il giornalismo”. - A me? Ma chi? Ho litigato furiosamente con Riccardo quel giorno. Ma lasciamo stare. In un paio di giorni avevo raccolto i soldi per partire. Complice mio fratello: "Ma come non vai, vuoi smetterla con questa storia del lavoro?”. - Ma... "I soldi non sono un problema. - Ah si! "Hai vinto un premio, andiamo!".


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Così comincia quella “vacanza” concessa da un gruppo di amici. Passare qualche giorno a Ravenna, per partecipare al Festival sull'informazione libera, e poi a Bologna, a Firenze e al ritorno a Bagheria, vicino Palermo, per infliggermi “un 'ultimissima” crisi, necessaria per ritornare a ragionare sulla cose di tutti. Partendo, e “regredendo” dalla vita privata a quella pubblica, mi pongo delle domande. Il progetto del giornale, ad esempio? E la mia vita, il lavoro? Come faccio a mettere insieme le cose? Il giornale vuol mettere in rete, i gruppi di informazione locali. Ma io ci credo? Quanto è difficile quell'aderenza alla precarietà delle singole persone, dei singoli gruppi, dei giornali dell'informazione diversa e ribelle? L'informazione ribelle Arriviamo a Ravenna. Tra i turisti alla ricerca di Dante, e gli immigrati della stazione, ci siamo Luciano ed io. Anche Luciano è perso come me tra le difficoltà del lavoro e in più ne ha altre che riguardano la vita con Raffaella. Stanno passando un periodo difficile, e vanno avanti forti del loro amore. Ora siamo qui, a darci una mano come fratelli miracolosamente indivisibili; osando uscire da Catania, a confrontare la “nostra” mafia con la resistenza al nord, le nostre vite con quelle di altri esseri umani. Perciò, più che un viaggio, questa si presenta come una sfida a noi stessi. Ci portiamo dappresso le periferie, Librino, San Cristoforo e la liturgia ordinata dei nostri amici del Gapa; e andiamo a confrontarla con la mafia del nord, neanche troppo sommersa, che ha una sua vita e un suo radicamento, anche qui; che giornali e i gruppi locali, organizzati da giovani trentenni, lottano e denunciano, dichiarando con coraggio di avere come modello Enzo Biagi, e Pippo Fava. E lavorando nella rete dei Siciliani Giovani. http://www.flickr.com/photos/79269131@N08/s ets/72157632152310538/

C'é Dieci e venticinque, che è un giornale di inchieste contromafie. http://www.diecieventicinque.it/chi-siamo-2/

Ci sono i ragazzi del collettivo antimafia Pio La Torre di Rimini

www.gruppoantimafiapiolatorre.it/sito/beni-confiscati/dossier-beni-confiscati.html

E quelli di No Name. http://retenonamebologna.wordpress.com

Oltre ai ragazzi del gruppo dello Zuccherificio di Ravenna. http://gruppodellozuccherificio.org

Nel viaggio alla scoperta dalle periferie alle città, dalla illegalità alla legalità, tra le città dell'Emilia Romagna”, essi si dichiarano disposti a tessere umilmente la rete con tutti gli altri gruppi che fanno dell'azione civile, della cooperazione e della lotta contro le mafie, i valori costitutivi del paese.

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Ravenna. Alla stazione, qualche ora prima dell'incontro sul giornalismo antimafia in Italia. Abbiamo qualche ora libera, e possiamo cercare di guardare attorno. Il pretesto è il pranzo al McDonald, dove incontriamo un uomo trentanovenne del Marocco. Come si vive di lavoro manuale al nord, e come al sud? Parlandoci, come si fa tra operai. "Quanto si paga una casa al nord, e quanta libertà hai di passeggiare, ma anche di vivere liberamente la tua vita?" Non solo soltanto i soldi a fare la differenza, ma anche la propensione a farti rispettare. Il nostro amico è chiaro: “Ho spaccato la faccia ad un padroncino che mi sfruttato fino al momento in cui ho ricevuto i documenti per partire e ritornare. Non gli ho fatto tanto male, ma quanto basta!”, dice guardandoci. Ci salutiamo, le strade si separano, non prima che l'amico si premurasse di offrire un caffé, per affermare una simpatia. Quindi il tempo di posare i vestiti in camera, e ci avviamo verso Piazza San Francesco. Dei fili per collegare Di passaggio a Piazza del Popolo Qualche giorno prima i ragazzi dello Zuccherificio hanno organizzzato una rappresentazione civile della rete. Da una parte all'altra delle case hanno fatto passare dei fili per collegare, gli appartamenti, i monumenti, le finestre e le porte della città. “Lo scopo è far sorridere, colorare la città, ristrutturare il senso di comunità”. Ora passando da questa piazza, penso, mi devo portare appresso il sentimento del giovane lavoratore del Marocco, oltre che la voglia di raccontare la marginalità di Catania. Fare della traduzioni, da un mondo all'altro, da una vita ad un’ altra, da una esperienza all'altra. Questa è la sfida; parlare senza paura di essere vero.

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Notti insonni, articoli, litigate... Mettiamola così. Non stiamo andiamo a un festival organizzato da persone importanti. Ma a un incontro civile e umanissimo. Alessandro dice: "Ci sono giorni in cui nel volto di ogni persona che incontri per strada vedi l’indifferenza, la rassegnazione. Altri giorni in cui al posto del grigio vedi una luce. La speranza, la consapevolezza, l’energia. La voglia e il coraggio del riscatto. Senti che si è tutti la stessa cosa, che il tuo cuore batte esattamente allo stesso ritmo dei loro. Che si va tutti nella stessa direzione: in questi giorni le persone si incontrano, si siedono, ascoltano, ridono e si commuovono”. E Paola ci spiega come hanno organizzato il festival: "Il Grido della Farfalla è cura per i dettagli. Come dire la brocca dell´acqua di Giorgio, il tavolino della mamma di Alessandro, le sedie di casa di Ambra, il faretto di Andrea, la prolunga di Fabio, i foglietti stampati da Silvia, le birre comprate da Canto, i bicchieri lavati con Enrico, i fili colorati appesi da Ale, gli spessori per il palco disposti da Massimo, i twitter inviati da Claudia, e tanto altro ancora”. "C´è un lavoro certosino di comunicazione, burocrazia, notti insonni, articoli, telefonate e litigate. E alla fine c´é la fiducia in gruppo di persone”. Chi partecipa a queste giornate in cui ci si scambia informazioni sul giornalismo in Italia? Mila Spicola, Girolamo De Michele, Maurizio Fiasco, Gianfranco Pasquino, Luca De Biase, Maria Pia Passigli ed Antonio Mumolo, Walter Passerini, Nadia Somma, Alessandra Bagnara, Claudio Lanconcelli, Marta Gatti, Fulvio Di Giuseppe, David Oddone, Gaetano Alessi, Loris Mazzetti, Carla Baroncelli.


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Il Grido della Farfalla porta con l'informazione libera un confronto tra le persone - spiega Andrea - Il nostro Paese in questi anni viene tirato da ogni parte in cerca di strappi e per qualche giorno di maggio, in una piazza, si possono conoscere persone che quotidianamente agiscono per ricucire. Tirano i razzisti, tirano coloro che abbattono la cultura e la scuola, tirano i corrotti e i collusi. Il Grido riunisce giornalisti e professori che non si chiudono nel loro interesse privato, con la speranza di contaminare impegno civile e personale”. Il premio per il giornalismo d'inchiesta lo vincono Andrea Palledino e Luciano Scaletteri con “L'ultimo viaggio di Ilaria Alpi e Miran”, e Antonio Mazzeo per “Mafia-Stato: la trattativa continua ora”, un'inchiesta dei Siciliani giovani. Altri premi li vincono Claudia Campese di Ctzen, con “Confiscate e abbandonate”, e la redazione del Clandestino con “Amici strozzini”. A David Oddone, Luciano Bruno e a me premi honoris causa.

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A Ravenna, a Piazza Garibaldi ogni domenica fanno un mercatino dell'antiquario e dei libri usati. C'é un'associazione che si occupa di raccogliere i vecchi libri, catalogarli, e rivenderli. Chi li ordina e li cataloga? Dei ragazzini seguiti da volontari. Ragazzini con problemi di inserimento. Ci trovo una prima edizione della Lettere di Don Milani. Le rileggiamo con Luciano, e pensiamo al legame tra quella esperienza e ogni altro tassello di esperienze di gruppo, da Barbiana a Raffadali, o da Bologna a Catania, o da Ravenna a Ragusa e a Modica. E ai ragazzi dello Zuccherificio, col loro “cercare altre persone che conoscono” uscendo da un’insofferenza generalizzata. Non sia mai che “leggendo il giornale si prende la prima pagina ed il titolo e basta.” Il giorno prima a Palermo Il giorno prima a Palermo. Andando dall'autostrada verso Capaci, fino all'aeroporto. In macchina, stiamo attraversando il luogo della strage. In silenzio a chiederci, cosa significa avere coraggio da spendere una vita, da usarla sino in fondo. Andiamo a prendere un premio, il dono di parole accolte e restituite e siamo felici di esser stati scelti. Andiamo a testimoniare una responsabilità, una posizione che forse non siamo capaci di gestire. Portiamo con noi delle consapevolezze e delle feri-

Eccovi il promemoria Poi comincia il convegno, e qui abbiamo segnato dei contenuti da non dimenticare. Eccovi il promemoria. E' un modo di passarvi la palla...

te. Sappiamo perfettamente che c'è chi ride di questo, ma – insieme - possiamo andare. Con la nostra pazzia, possiamo riprendere la penna, e la parola.

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Andare a Ravenna è un passaggio, un movimento in cui ciò che conta è la possibilità di collegare delle storie, di mettere insieme dei cocci, di portarsi indietro con la memoria per non dimenticare. Un famoso giornalista in questi giorni viene a spiegarci in televisione, come la Sicilia sia una fogna del potere. Non è una gran constatazione, né gran giornalismo. La denuncia vera invece è quella fatta da quel giornalista che da una cittadina del messinese pazientemente va e viene da Niscemi, a dare una mano alla gente dei No Muos. Oppure la sovraesposizione della vita quotidiana in un piccolo paese, il giorno dopo avere denunciato i brogli. O llavorare a un giornale senza avere i soldi per pagarsi l'assicurazione e la benzina della moto. Metterci la faccia e la passione per organizzare un giornale e un festival del giornalismo a Ragusa, come i ragazzi del Clandestino. Oppure stare su al nord come Ester a lottare tra i testi antichi e i poteri che ti vogliono cambiare.

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Così oltre il silenzio, oltre le parole, anche noi osiamo ridere allegramente, alla Totò e Peppino. Ma solo una volta percorso il tratto da Capaci all'aeroporto, solo dopo che il check ci ha fatto pagare la multa per esserci portati appresso troppi giornali, quei "Casablanca" e quei fogli dei Siciliani giovani, quel disegno di legge di Giovanni Campo - dimenticato - sul riordino del territorio italiano, e la prima biografia di Pippo Fava scritta da Rosalba Cannavò troppi anni fa.

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● Parlare del grido della farfalla è parlare dei “senza potere e senza voce” che sono facilmente schiacciati. L’obiettivo è far uscire dal silenzio i temi dimenticati. ● Il giornalismo, nella crescita democratica di un paese, ha un ruolo attivo nel renderci consapevoli e responsabili. ● Sono lontani i tempi delle grandi inchieste di Ennio Remondino e Roberto Morrione. Nei giornali, invece i giornalisti sono spesso precari, difficilmente trovano spazi ed energie per realizzare inchieste. Fare il giornalista giornalista come Giancarlo Siani è diventato una missione invece di una professione ● I giovani non vogliono imparare niente? Fare il confronto tra la scuola di ieri e quella odierna, non considerando come è cambiata la società, la famiglia, la televisione, la stampa e il web è un esercizio inutile. ● Vero è che viviamo una crisi nell'educazione, ma se c'é una via per il riscatto questa passa attraverso la scuola pubblica. ● Giovani ventenni: una generazione divisa in due; chi si attiva, lotta e spesso in fuga all’estero, e chi si lascia trascinare dal vortice del consumismo selvaggio. Tra attivi in fuga e animali consumatori c'é una terza via? ● Chi sta al centro della società ? Senza giovani non c'é futuro. E’ banale a dirlo, ma non è chiaro ai giovani. ● Il gioco è la prima forma di dipendenza in Italia. Lo sapete? O lo fate? Perché fino ad ora non c'é mai stato da parte della politica un contrasto forte e un’opposizione seria? Indifferenza o Incompetenza? Oppure? ● Partecipare è una prerogativa di tutti. Partecipare nelle assemblee, nelle piazze, nei partiti e nelle associazioni. La democrazia vive di partecipazione e la partecipazione vive di noi cittadini. Ma come si fa? ● La fotografia del paese è quella in mano alla cattiva politica. Da una parte i partiti in crisi non più capaci di far partecipazione: i nuovi media, spesso sono uno strumento di comunicazione non democratica.


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● Partecipare significa trovare un antivirus a questa situazione storica. Se cambiare si può, come e perché? ● Residenza è esistenza: dall'avere o no un indirizzo di abitazione sulla nostra carta di identità dipende il posto di lavoro, o la pensione, o l'assistenza sanitaria. Chi ha perso la casa, non deve perdere la dignità. ● Informare significa denunciare gli imbrogli del potere. Informare significa testimoniare a fianco dei poveri, e dei senza potere. ● Perché le televisioni limitano l'informazione sulle guerre dimenticate? Perché si limitano a parlare del caduto e della sua famiglia in Italia. Questo è parlare di guerra?” ● Quale giornalismo critica le ragioni degli interessi economici dei terzi, nelle guerre dimenticate? Quale giornalismo ci porta lontano anche geograficamente? ● “Mettersi in cerchio” per capire, farsi domande, essere compagnia l'uno all'altro. Che cosa è poi antimafia sociale? Uscire dall'indifferenza è una delle risposte, se non la risposta, emersa dall'incontro sulla lotta alle mafie. ● Il dossier 2012 sulle Mafie in Emilia Romagna, utilizzato come fonte anonima da Repubblica è uno degli esempi di come i grandi giornali usano il giornalismo di base senza citare la fonte ● Far bene il mestiere di giornalista comporta spesso conseguenze pesanti. Oltre le minacce fisiche, esistono le querele, efficacissimi bavagli. Ce lo hanno ricordano Davide Oddone e Gaetano Alessi. ● La geografia economica e criminale della mafia non è divisa per regioni; lo si sa da tempo. Ecco perché oggi non possiamo più parlare di infiltrazioni, bensì di radicamento delle mafie. ● Le palazzine colorate nella pianura padana non sono poi così lontane dai marciapiedi sconnessi e le fogne inesistenti di Librino, il quartiere catanese raccontato nel monologo omonimo da Luciano Bruno. ● La vera evoluzione del giornalismo parte dalle parole giuste, bisogna usare correttamente la lingua. L'italiano non ha il neutro, ma maschile e femminile. Nei nostri vocabolari le definizioni sono tutte al maschile, perché non rispettare la nostra ricca grammatica, e coniugare i generi quando si scrive? Non è per una questione lessicale, ma perché le parole rafforzano gli stereotipi e il linguaggio è alla base dei nostri comportamenti.

ciava a venire con te a Firenze!”. - Nando aveva preparato anche per te. "Mi sarei annoiato, ma che lavoro fa?”. - Insegna spagnolo in scuola, in un paesino alla periferia di Firenze, vicino a Barbiana. "Professore? Mizzica, come Raffaella. Sai cosa che dovremmo approfondire, indovina?!”

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● Se il linguaggio che si usa non nomina le donne, le cancella. Chi non è nominata non esiste. L'oscuramento delle donne cancella la figura femminile, come, al contrario, l'enfatizzazione la distorce. ● Se non si usa il linguaggio in modo corretto, gli stereotipi resteranno un riflesso condizionato da cui non riusciremo a liberarci. Questo nodo va sciolto se si vuol comprendere e definire la realtà, altrimenti, il femminicidio rimarrà per sempre un delitto passionale. un linguaggio corretto significa sostenere una cultura che ha rispetto dei generi. Ce lo ha ricordato Carla Baroncelli.

Ritornando al Sud Bene, finisce il festival, salutiamo gli amici. Comincia il viaggio di ritorno. Col treno ritorneremo da Ravenna fino a Bologna. La mattina trascorre velocemente, rimaniamo qualche ora dentro il centro e poi torniamo a Piazza San Francesco. "Ieri, durante il dibattito, il parroco chiedeva di abbassare il volume.”. - Non sapevo. "Non te ne sei accorto!” fa Luciano - Ma non hanno gradito? "Boh, non s'è capito!”. - Ma guarda, siamo stati premiati, appresso a Dante; che onore” "E ora?”. - Ora, ricominciamo a lavorare, a Bologna ci aspetta Salvo. Ma io vado a Firenze a casa di Nando, e domani ci rivediamo alla stazione. "Buono che mi ospita Salvo, mi scoc-

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La parola a Nando, che ci racconta una giornata fiorentina a scuola: "Oddìo, sono le nove e trentacinque, speriamo di farcela. Quasi perdo il treno, se penso a quello che mi aspetta. Arriva a scuola e mi dirigo verso la Prima C. E' un giorno in cui entro alla quarta ora. Non faccio in tempo a svoltare l’angolo che vedo mezza classe fuori che mi urla: “Mitico, prof, lei è il meglio” Quanti ragazzi in ogni classe, quant'è difficile lavorare in classi così numerose. In Seconda I, la più difficile delle mie classi, impera una sorta di bullismo al femminile. Si arriva alle minacce :“Se fai la spia al prof giuro che t’aspetto fuori.”. "Appunto, il problema è sempre la fuori” - La relazione con quel che i ragazzi vivono fuori, vuoi dire? " La vita per quel che è, oltre al fatto che la scuola ha sempre meno risorse”

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La parola a Raffaella e alla scuola di Librino: "Qualche anno fa ero un'insegnante precaria, lavoravo in una scuola media di Librino a Catania. A settembre del 2009 era cominciata l’occupazione del Provveditorato, la protesta. Quello che mi colpiva degli studenti di quel quartiere era proprio la loro vivacità. Ma fuori della scuola, nel quartiere ci sono tante forze che remano contro. E' stato davvero ostico per me insegnare lì. Gli atteggiamenti di sfida erano all’ordine del giorno”. "Ora, per la salute - continua - sono impossibilitata a lavorare. La scuola mi manca, mi mancano gli alunni e mi mancano i colleghi. Sono passata da una fase “pubblica” ad una in cui purtroppo dovrò stare per un periodo lontana. Ma continuerò a riflettere sul perché di tante cose. Spero solo in una maggiore unità tra le varie forze che operano sul campo, non solo per la scuola, ma anche per l’intervento nei quartieri in cui la scuola opera. E’ chiedere troppo? Forse si!”.


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Nonni e nipoti passeggiano il pomeriggio fra i manifesti mentre senti dalle loro voci che"i diritti gay sono diritti umani". "Se non la smetti di piangere – dice qualcuno al bambino non ti ci porto più, 'u pride!". Rileggendo don Milani

Come viaggia l'antimafia "L'antimafia viaggia con l'educazione scolastica, al nord come al sud”. - Qui, a Bologna, ho letto su Diecieventicinque, ci sono esperienze significative. "Quali?”. - Alessandro Gallo fa un laboratorio di teatro nelle scuole superiori. "Che insegna?”. - A riconoscere le mafie. "Beh!”. - Non solo lui, è un lavoro condotto da un gruppo: Maria, Giulia, Salvo. http://salvatoreognibene.blogspot.it/2013/06/ilviaggio-legale-da-emilia-romagna.html

"Ma che fanno?”. - Lavorano sui problemi sociali, la prostituzione, le mafie, il gioco d'azzardo. Fanno una specie radiografia dei problemi sociali della città. Lo spettacolo lo portano nei teatri. "Chi sono i protagonisti?”. - I ragazzi che raccontano vite e i problemi di mafie. E' un teatro che parte dall'ascolto e collega le scuole e il territorio; dà voce ai ragazzini. www.youtube.com/watchfeature=player_embed ded&v=Z2Rgx0pL7Usutube.com/watch?

"Come si intitola?”. - Mafia Stop, Pop! "Bello, proprio un grido!”. - Dalla prostituzione della parola alla minaccia del gesto, dal gioco di mani e d’azzardo al veleno della calce, dalla conferma alla negazione, dalla lingua al cuore di un altro. Diventare un esercito di soldati hip hop contro le mafie. www.youtube.com/watch?

*** Palermo, il nostro viaggio, il viaggio di Luciano e mio quasi sta terminando. Luciano deve ritornare assolutamente a casa prima di me, io mi fermo a Bagheria, ospite dei frati francescani. La loro parrocchia è confinante con quella di padre Stabile, che dagli anni Settanta spiega i rapporti tra Chiesa e Mafia, analizzando in termini storici la geografia del mondo democristiano in Sicilia. Lo sento di tanto in tanto. Da una decina di anni sta qui a Bagheria. Gli telefono, ma non riesco ad andarlo a trovare. “Sai, non riesco neanche ad andare al Centro San Saverio, dove Scordato sta presentando la biografia su padre Puglisi scritta da Deliziosi” mi dice lui. Palermo di Padre Puglisi Passano i giorni. La settimana che seguirà a Palermo ci sarà la beatificazione di Padre Puglisi, e un mese dopo il gay pride. Così la città in due momenti ospiterà un centinaio di migliaia di persone. Ognuna di esse ha la sua forma di dovere civile. E' molto probabile che il giovane cattolico che arriva a Palermo sia differente dal giovane laicissimo del pride. Probabilmente uno si sarà portato il capellino col volto di papa Francesco e l'altro la maglietta di mille colori. Ma la responsabilità di voler vivere in un paese civile è comune. Viva padre Puglisi, ma viva anche i ragazzi sereni in Italia. Palermo del gay pride Daniela ci racconta Palermo nei giorni del pride: "La sera ti fermi un attimo e ti guardi in giro. Migliaia di persone che si riversano ai Cantieri tutte le sere. Gente di tutti i tipi, estrazioni sociali, etnie, orientamenti sessuali, generi. E' uno spazio pubblico, una casa comune in cui tutti sono a casa.

I Sicilianigiovani – pag. 86

Catania, il viaggio è finito. Comincia il caldo, e in questi giorni sudando mi rileggo don Milani. Penso a padre Stabile, rimasto senz'armi prigioniero a Bagheria, e mentre gira per quel paese, invaso dalla spazzatura, ripenso anche ai ragazzini. A quelli di San Cristoforo, fra le vie strette del quartiere, a quei pochi che i miei amici del Gapa riusciranno a salvare. O ai ragazzini di Salvo, a quelli che vivono tra le periferie di Bologna, o nella città benestante. O ai ragazzini gay italiani, alle nuove generazioni imprigionate tra le disco e le chat per anni, perché fuori la politica tarda a dargli dei diritti. Penso ai nuovi italiani, alla loro paziente vita da cittadini di serie altra. Penso ai ragazzi di Nando alla periferia di Firenze e a quelli di Raffaella.

***

Penso a Salvo, che vorrebbe fare il giornalista dee-jay. A Riccardo alla ricerca di un lavoro come volantinatore. A Giuseppe, uscito dal carcere, che vuole un'altra possibilità. Al figlio della mia amica, che non riesce a scuola perché ha il padre lontano, al lavoro al nord, e questo lo mette in crisi. Al figlio di Barbara, che vive al Pigno e si domanda cosa fare dopo la maturità. Pensiamo, Luciano ed io, che oggi è il momento di rimetterci pazientemente a raccontare.


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FOTO DI JJLICKY

L'immagine

L'Ingegnere

“La raison tonne en son cratère...” L'ingegnere Giuseppe D'Urso - morto a Catania il 16

Gli ultimi anni, di lunga malattia, furono una feroce

giugno 1996 - è stato il primo a descrivere con precisio-

vendetta della Fortuna invidiosa.Egli la sopportò viril-

ne il legame organico fra mafie e massonerie.

mente, ragionando fino all'ultimo.

Ci fu maestro, a noi dei Siciliani. Nessun altro ebbe

Io ricordo una sera, quando una diagnosi dei medici gli

così pienamente questo onore ,eccetto Giuseppe Fava e

dava poche settimane di vita. Mi avvertì pacatamente che

Giambattista Scidà. Nel 1982, presidente dell'Istituto Na-

non avrebbe potuto, non per sua colpa, far fronte ad al-

zionale di Urbanistica, fu il primo a denunciare i cavalieri

cuni impegni organizzativi predisposti. Me ne espose il

catanesi, i magistrati al loro servizio, le servitù, gli affari.

motivo. Mi dette cortesemente alcune istruzioni per con-

Nel gennaio dell'84, dopo l'assassinio di Giuseppe

tinuare in sua assenza. Il resto della serata fu speso in

Fava, raccolse l'appello dei giovani e si arruolò - non c'è

una conversazione su alcuni punti controversi del pen-

altra parola - nei Siciliani. Nell'autunno del 1984 fondò

siero di Benedetto Croce.

l'Associazione I Siciliani, di cui fu presidente.

***

Piccolo gruppo di militanti, l'Associazione si radicò rapidamente ed aquistò peso ed influenza. Insieme col

"Addio, compagno! Per buon tempo hai combattuto, e

Coordinamento Antimafia di Palermo e col Centro Peppi-

con onore/ Per la libertà del popolo..." dice un antico

no Impastato, fu il primo esempio in assoluto di politica

canto rivoluzionario.

militante, nell'Italia anni '80, fuori dei partiti. Oltre che su

Giuseppe D'Urso, ingegnere, pensatore illuminista e

di lui l'Associazione poté contare su uomini come il sa-

militante del popolo siciliano, ha combattuto come po-

cerdote Giuseppe Resca, il magistrato Scidà, il professor

chissimi altri per il bene comune.

Franco Cazzola, l'operaio Giampaolo Riatti e altri ancora.

La sua vita è stata utile, il suo pensiero fraterno; non

Nel 1990, il professore fu fra i ventiquattro fondatori

ha sprecato un attimo della sua forte intelligenza; ha vis-

della Rete, nata non come un partito ma come un movi-

suto. I suoi figli possono essere orgogliosi di lui, e orgo-

mento unitario di liberazione . Ne organizzò i primi passi

glioso chi gli fu amico.

dal letto in cui già era inchiodato, contribuendo come pochi altri alle sue prime vittorie.

I Sicilianigiovani – pag. 87

Riccardo Orioles


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IL FILO

Quando parliamo di mafia di Giuseppe Fava

“Noi stiamo contro la mafia, parliamo contro la mafia, facciamo i dibattiti, concludiamo con un applauso e ce ne andiamo a casa contenti...”

“Quando parliamo di mafia, dobbiamo pensare che oggi influisce nella distribuzione della ricchezza, nella salute delle persone, nella condizione di vita, nell'evoluzione della scuola, nella gestione delle banche, nello scoppio della guerra, o nel ripristino della pace, nel mediterraneo e nel mondo. La mafia è una bestia con la quale dovrete combattere per il resto della vostra vita, una bestia che potrà condizionare il ____________________________________

La Fondazione Fava

La fondazione nasce nel 2002 per mantenere vivi la memoria e l’esempio di Giuseppe Fava, con la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi scritti, la ripubblicazione dei suoi principali libri, l'educazione antimafia nelle scuole, la promozione di attività culturali che coinvolgano i giovani sollecitandoli a raccontare. Il sito permette la consultazione gratuita di tutti gli articoli di Giuseppe Fava sui Siciliani. Per consultare gli archivi fotografico e teatrale, o altri testi, o acquistare i libri della Fondazione, scrivere a elenafava@fondazionefava.it mariateresa.ciancio@virgilio.it ____________________________________

Il sito “I Siciliani di Giuseppe Fava”

Pubblica tesi su Giuseppe Fava e i Siciliani, da quelle di Luca Salici e Rocco Rossitto, che ne sono i curatori. E' un archivio, anzi un deposito operativo, della prima generazione dei Siciliani. Senza retorica, senza celebrazioni, semplicemente uno strumento di lavoro. Serio, concreto e utile: nel nostro stile.

destino vostro e quello dei vostri figli; tutto quello che vi accadrà nella vita, dipenderà da come voi sarete capaci di stare con la mafia o di lottare contro la mafia. “La mafia è una bestia” Amici, questa è un’illusione che vi debbo togliere; noi stiamo contro la mafia, parliamo contro la mafia, facciamo i dibattiti, concludiamo con un applauso e ce ne andiamo a casa contenti. Ma poi

domani, voi, per avere un posto di lavoro, una raccomandazione, per avere qualsiasi cosa, voi voterete per un politico mafioso e diventerete non solo schiavi, ma complici della mafia. Viviamo in un sistema mafioso, nel quale tutti siamo complici. E la scuola questo dovrebbe fare, dovrebbe spiegare alla gente che cosa sta accadendo, dovrebbe spiegare come la mafia gestisce queste cifre enormi di capitali. Queste masse enormi di capitali devono essere riciclati, e allora c’è questo proliferare di banche in Sicilia, in Italia, in Svizzera. Vi siete mai chiesti perché in Sicilia dobbiamo avere più banche che in Lombardia, quando la nostra economia è infinitamente più povera di quella lombarda? Perché in Sicilia c’è il denaro mafioso che bisogna riciclare. Le porte delle banche andrebbero sfondate! “La mafia è il padrone” La mafia è il padrone. In questa società ci sono i padroni che sono quasi sempre mafiosi, non tutti mafiosi, ma spesso partecipano col potere mafioso e ne usufruiscono, e poi c’è l’infinità degli esseri umani, dei cittadini, i quali sono il popolo. La mafia comanda e voi servite; un rapporto tra servi e padroni”. Da un'assemblea a Palazzolo Acreide, 20 dicembre 1983 malgradotuttoblog.blogspot.it/2013/04/video-giuseppe-fava-violenza-e-mafia-i.html

I Siciliani giovani – pag. 88


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I Sicilianigiovani Rivista di politica, attualità e cultura

Fatta da: Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Giovanni Caruso, Giovanni Abbagnato, Francesco Appari, Lorenzo Baldo, Valerio Berra, Nando Benigno, Mauro Biani, Lello Bonaccorso, Giorgio Bongiovanni, Paolo Brogi, Luciano Bruno, Anna Bucca, Elio Camilleri, Giulio Cavalli, Arnaldo Capezzuto, Ester Castano, Salvo Catalano, Carmelo Catania, Giulio Cavalli, Antonio Cimino, Giancarla Codrignani, Dario Costantino, Irene Costantino, Tano D’Amico, Fabio D’Urso, Jack Daniel, Riccardo De Gennaro, Giacomo Di Girolamo, Alessio Di Florio, Tito Gandini, Rosa Maria Di Natale, Francesco Feola, Norma Ferrara, Pino Finocchiaro, Paolo Fior, Enrica Frasca, Renato Galasso, Rino Giacalone, Marcella Giamusso, Giuseppe Giustolisi, Carlo Gubitosa, Sebastiano Gulisano, Bruna Iacopino, Massimiliano Nicosia, Max Guglielmino, Diego Gutkowski, Bruna Iacopino, Margherita Ingoglia, Kanjano, Gaetano Liardo, Sabina Longhitano, Luca Salici, Michela Mancini, Sara Manisera, Antonio Mazzeo, Martina Mazzeo, Emanuele Midoli, Luciano Mirone, Pino Maniaci, Attilio Occhipinti, Salvo Ognibene, Antonello Oliva, Riccardo Orioles, Pietro Orsatti, Maurizio Parisi, Salvo Perrotta, Giulio Petrelli, Aaron Pettinari, Giuseppe Pipitone, Domenico Pisciotta, Antonio Roccuzzo, Alessandro Romeo, Vincenzo Rosa, Roberto Rossi, Luca Rossomando, Francesco Ruta, Giorgio Ruta, Daniela Sammito, Vittoria Smaldone, Mario Spada, Sara Spartà, Giuseppe Spina, Miriana Squillaci, Giuseppe Teri, Marilena Teri, Fabio Vita, Salvo Vitale, Chiara Zappalà, Andrea Zolea Webmaster: Max Guglielmino max.guglielmino@isiciliani.org Net engineering: Carlo Gubitosa gubi@isiciliani.it Art director: Luca Salici lsalici@isiciliani.it Coordinamento: Giovanni Caruso gcaruso@isiciliani.it Segreteria di redazione: Riccardo Orioles

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I Sicilianigiovani – pag. 89

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Giambattista ScidĂ e Gian Carlo Caselli sono stati fra i primissimi promotori della rinascita dei Siciliani.

Lo spirito di un giornale "Un giornalismo fatto di veritĂ impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalitĂ , accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizi sociali. tiene continuamente allerta le forze dell'ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo". Giuseppe Fava

Una piccola


libertĂ

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I Siciliani giovani ­ rivista di politica, attualità e cultura fatta da: Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Antonio Roccuzzo, Giovanni Caruso, Margherita Ingoglia, Norma Ferrara, Michela Mancini, Sara Spartà, Francesco Feola, Luca Rossomando, Lorenzo Baldo, Aaron Pettinari. Salvo Ognibene, Beniamino Piscopo, Giulio Cavalli, Paolo Fior, Arnaldo Capezzuto, Pino Finocchiaro, Luciano Mirone, Rino Giacalone, Ester Castano, Antonio Mazzeo, Carmelo

Cronache

Catania, Giacomo Di Girolamo, Francesco Appari, Leandro Perrotta, Giulio Pitroso, Giorgio Ruta, Carlo Gubitosa, Mauro Biani, Kanjano, Luca Ferrara, Luca Salici, Jack Daniel, Anna Bucca, Grazia Bucca, Luciano Bruno, Antonello Oliva, Elio Camilleri, Fabio Vita, Diego Gutkowski, Giovanni Abbagnato, Pietro Orsatti, Roberto Rossi, Bruna Iacopino, Nerina Platania, Nadia Furnari, Riccardo De Gennaro, Fabio D'Urso, Sabina Longhitano, Salvo Vitale.

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dalla vita com'è

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Gli ebook dei Siciliani I Siciliani giovani sono stati fra i primissimi in Italia ad adottare le tecnologie Issuu, a usare tecniche di impaginazione alternative, a trasferire in rete e su Pdf i prodotti giornalistici tradizionali. Niente di strano, perché già trent'anni fa i Siciliani di Giuseppe Fava furono fra i primi in Italia ad adottare ­ ad esempio ­ la fotocomposizione fin dal desk redazionale. Gli ebook dei Siciliani giovani, che affiancano il giornale, si collocano su questa strada ed affrontano con competenza e fiducia il nuovo mercato editoriale (tablet, smartphone, ecc.), che fra i primi in Italia hanno saputo individuare.

I Siciliani giovani/ Reg.Trib.Catania n.23/2011 del 20/09/2011 / Dir.responsabile Riccardo Orioles/ Associazione culturale I Siciliani giovani, via Cordai 47, Catania / 30 agosto 2012

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Chi sostiene i Siciliani

Ai lettori

1984

Caro lettore, sono in tanti, oggi, ad accusare la Sicilia di essere mafiosa: noi, che combattiamo la mafia in prima fila, diciamo invece che essa è una terra ricca di tradizioni, storia, civiltà e cultura, tiranneggiata dalla mafia ma non rassegnata ad essa. Questo, però, bisogna dimostrarlo con i fatti: è un preciso dovere di tutti noi siciliani, prima che di chiunque altro; di fronte ad esso noi non ci siamo tirati indietro. Se sei siciliano, ti chiediamo francamente di aiutarci, non con le parole ma coi fatti. Abbiamo bisogno di lettori, di abbonamenti, di solidarietà. Perciò ti abbiamo mandato questa lettera: tu sai che dietro di essa non ci sono oscure manovre e misteriosi centri di potere, ma semplicemente dei siciliani che lottano per la loro terra. Se non sei siciliano, siamo del tuo stesso Paese: la mafia, che oggi attacca noi, domani travolgerà anche te. Abbiamo bisogno di sostegno, le nostre sole forze non bastano. Perciò chiediamo la solidarietà di tutti i siciliani onesti e di tutti coloro che vogliono lottare insieme a loro. Se non l'avremo, andremo avanti lo stesso: ma sarà tutto più difficile. I Siciliani

Ai lettori

2012

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Quando abbiamo deciso di continuare il percorso, mai interrotto, dei Siciliani, pensavamo che questa avventura doveva essere di tutti voi. Voi che ci avete letto, approvato o criticato e che avete condiviso con noi un giornalismo di verità, un giornalismo giovane sulle orme di Giuseppe Fava. In questi primi otto mesi, altrettanti numeri dei Siciliani giovani sono usciti in rete e i risultati ci lasciano soddisfatti, al punto di decidere di uscire entro l'anno anche su carta e nel formato che fu originariamente dei Siciliani. Ci siamo inoltre costituiti in una associazione culturale "I Siciliani giovani", che accoglierà tutti i componenti delle varie redazioni e testate sparse da nord a sud, e chi vorrà affiancarli. Pensiamo che questo percorso collettivo vada sostenuto economicamente partendo dal basso, partendo da voi. Basterà contribuire con quello che potrete, utilizzando i mezzi che vi proporremo nel nostro sito. Tutto sarà trasparente e rendicontato, e per essere coerenti col nostro percorso abbiamo deciso di appoggiarci alla "Banca Etica Popolare", che con i suoi principi di economia equa e sostenibile ci garantisce trasparenza e legalità. I Siciliani giovani

Una pagina dei Siciliani del 1993 Nel 1986, e di nuovo nel 1996, i Siciliani dovettero chiudere per mancanza di pubblicità, nonostante il successo di pubblico e il buon andamento delle vendite. I redattori lavoravano gratis, ma gli imprenditori non sostennero in alcuna maniera il giornale che pure si batteva per liberare anche loro dalla stretta mafiosa. Non è una pagina onorevole, nella storia dell'imprenditoria siciliana.

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In rete, e per le strade

I Siciliani giovani che cos'è I Siciliani giovani è un giornale, è un pezzo di storia, ma è anche diciotto testate di base ­ da Milano a Modica, da Catania a Roma, da Napoli a Bologna, a Trapani, a Palermo ­ che hanno deciso di lavorare insieme per costituire una rete. Non solo inchieste e denunce, ma anche il racconto quotidiano di un Paese giovane, fatto da giovani, vissuto in prima persona dai protagonisti dell'Italia di domani. Fuori dai palazzi. In rete, e per le strade.

facciamo rete!

I Siciliani giovani

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I Siciliani giovani 1982 -2012 "A che serve essere vivi, se non c'è il coraggio di lottare?"

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