LO SCOOP Riccardo non regge l’alcol
IL GOSSIP Lo chiamiamo “Zu monaco”
EDIZIONE STRAORDINARIA
Settanta mi dà tanto Lunga vita a Riccardo Orioles! Vizi, virtù e storie dalla redazione de I Siciliani Con questo numero speciale ci togliamo qualche sassolino dalle scarpe AMMUTINAMENTO
VISTO SI STAMPI
Te lo facciamo noi il giornale!
Cronache dalla redazione
L
“G
uerra e Pace”, edizione Garzanti, non ne voleva sapere di stare fermo lì dove Antonella l’aveva appoggiato per tenere buona la finestra rotta. “Fumate tutti… da qualche parte l’aria pulita dovrà pure entrare” - aveva commentato. Antonella era arrivata ai Siciliani quando il direttore non c’era più. E il suo era un gioco ad indovinare. Nei giorni scorsi aveva letto sui principali giornali: “Una donna a capo della Corte Costituzionale”…..“sei donne elette al Csm”. ….“la prima donna ai vertici della procura”. Riccardo le aveva fatto riscrivere l’articolo dieci volte, Antonio l’aveva rassicurata: “se hai almeno tre fonti buone possiamo scriverla”. E adesso che il mensile deve andare in stampa Tolstoj si è messo a fare i dispetti e ad ogni riscrittura i fogli volano via. L’ultima bozza buona Michele l’ha acciuffata nell’aria per sbirciare l’attacco e come in una partita di rugby l’ha passata subito a Claudio che ha iniziato a leggere: Il Consiglio superiore della magistratura è in profonda crisi. Lo provano in maniera schiacciante le nomine di tante donne in ruoli riservati agli uomini. La guerra nata per la conquista della procura di Palermo… “oh, ma non era per Roma?”, interrompe Luca. “Eccola la notizia”, dice Claudio. “Visto, si stampi” - chiosa Riccardo, sorridendo. Norma Ferrara
a diagonale, la prima piega, Maoloni, El Lissitzky e poi ancora il primo progetto grafico de I Siciliani. I terminali, le gabbie, Xpress, i box con il capolettera. Tutto quello che troverete in queste pagine odora della pipa di Riccardo. Sono diventato un grafico editoriale e un giornalista grazie a lui e ai suoi insegnamenti. Anni e anni dietro al pc a fare giornali per gli altri. Oggi, insieme ad una redazione d’eccezione, abbiamo deciso di fare un giornale solo per te, caro Riccardo. In queste pagine leggerai ricordi e storie, troverai amici e fratelli, rivedrai chi sei e cosa rappresenti per noi oggi e domani. Il confine tra auguri, celebrazione ed epitaffio è molto labile e ce ne rendiamo conto. Abbiamo deciso di non scadere nel melenso né di farti apparire come già passato a miglior vita. Del resto vorremmo che campassi cent’anni, se sei d’accordo. Ringrazio tutti quelli che a motti subitanea hanno accettato di scrivere qualcosa su questa edizione straordinaria. Abbiamo fatto tutto ammucciuni per non farti scoprire la sorpresa. Quindi questo giornale è soprattutto di chi non ha potuto partecipare. E per questo motivo rimarrà “aperto” sui social media ai commenti di tutte e tutti. Luca Salici
Nota bene Su quale mezzo ci stai leggendo?
N
on sappiamo su che mezzo stai leggendo, in questo momento, queste righe. Al momento in cui scriviamo, non sappiamo se esse verranno pubblicate da un giornale, e da quale, o se le diffonderemo sui social e internet, o se ci stai leggendo grazie a una stampante laser a 300 dpi o su un volantino.
IN REGALO
La taddarita originale
2
#ORIOLES70
TRA GIORNALISMO E POLITICA
Lo chiamiamo “zu monaco” Pipa, sandali e farfallino “Beh, io mi siederei qui” disse entrando dalla porta. Da allora non è uscito più dalle nostre vite. Anche se ogni tanto continua a farci incazzare!
O
rioles è uno così: non è una persona importante. Ma non te lo scordi mai. Non ha scritto libri, perché li prende troppo sul serio. Né ha scritto opere teatrali o film perché sono “cose borghesi”. Riccardo è uno che vuole fare la “rivoluzione”, quella vera, non cruenta ma che entra dentro le persone e le cambia dentro. Riccardo è uno così: in redazione arriva un nanetto, a bordo di una vecchia Citroen Ami 8 bianca che sembra un’ambulanza e il rombo del suo scassatissimo motore lo preannuncia da lontano; cinque minuti dopo del rombo, il cigolio della porta che sbatte giù in strada. Poi in redazione lui entra e ha una Olivetti lettera 22 portatile in mano, una copia dei lirici greci sotto il braccio e a tracolla un borsone di pelle che sembra quello di un prof di lettere da 800 mila lire al mese. Dice che quei lirici li ha tradotti, li butta sulla scrivania e dice: “Beh, io mi siederei qui…”. Non aspetta repliche; è già seduto e pigia sui tasti. Ma ti attacca subito un bottone con le sue storie di Lotta Continua e di ammiragli genovesi che hanno fatto la Resistenza e poi hanno comprato casa al Capo di Milazzo. Riccardo è uno così, quello che la sera che al “Giornale del Sud” mi hanno censurato un servizio sul sopruso subito da una famiglia di abusivi di Librino in tipografia ha strappato al proto il bozzone dalle mani e me lo ha regalato. Con sopra una scritta in pennarello rosso: “Anche De Amicis può fare danno”. Riccardo è uno che parte con me per Napoli, inchiesta su mafia e ca-
morra, febbraio 1983. Io per quattro giorni a farmi il culo in tribunali, cancellerie, uffici, interviste, storie. Lui per quattro in piazza della stazione o nei vicoli lì davanti, Forcella, a bere gin-tonic e guardare facce e gesti. Poi, torniamo a Catania, io 20 interminabili pagine, certo ben documentate. Lui un box da 60 righe. Attacco: “I ragazzini russi sono intelligenti, a 9 anni sanno già scrivere al computer. Ma i ragazzi di Napoli lo sono di più, a 9 anni hanno già imparato a sopravvivere”. Così Riccardo è diventato mio fratello. Lavorando, viaggiando e parlando. Uno che ti fa incazzare. Per esempio, quando ti dice che facendo I Siciliani noi facciamo “politica” e invece noi diciamo che facciamo giornalismo. Ma poi in fondo abbiamo ragione sia noi che lui. Mi faceva incazzare quando non si lavava e puzzava. Quando, molto dopo, viveva a Roma, per alcuni mesi andava a dormire con i barboni alla stazione Termini e io mi sono sentito in colpa. In Sicilia, per due anni, la mattina, ha incontrato mia madre in cucina per il caffè: “Buongiorno, signora Giusi”. Ogni mattina, allora usava anche un farfallino. Le dava rigorosamente del lei, spesso accennava un baciamani e parlavano di lirici, politica e giornali. “E’ la nostra leader”, diceva di lei. Mentiva e forzava, ma chissà che non avesse ragione, almeno un po’. C’era molto rispetto tra loro. Girava per casa con un paio di sandali di plastica, quelli intrecciati sul piede, un cappello di paglia e una pipa di spuma. Così combinato leggeva nel cortile. E donna Petra, 99 anni, una custode che avevamo
Riccardo è uno che, la sera del 5 gennaio 1984, sul divano di casa mia, davanti al camino, tira fuori il fondo dell’edizione straordinaria, 50 righe fitte, non una parola in più o in meno. “Un Uomo”, il titolo. E lì dentro c’era la nostra storia.
“comprato” con la casa perché lei ci abitava dal 1902, lo aveva chiamato “‘u zu monaco”. Le era apparso fugace come un prete di clausura. Quell’appellativo stava bene al personaggio e noi, io e i miei fratelli, da quel momento lo abbiamo ribattezzato così, zu monacu. Riccardo è uno che, la sera del 5 gennaio 1984, sul divano di casa mia, davanti al camino, tira fuori il fondo dell’edizione straordinaria, 50 righe fitte, non una parola in più o in meno. “Un Uomo”, il titolo. E lì dentro c’era la nostra storia. Di ragazzi fortunati perché qualcuno aveva insegnato loro cosa voleva dire il gusto di vivere. Poi arrivano in redazione dieci ragazzini dell’ultimo anno di liceo. Riccardo apre la porta e dice: “Arruolati!”. Uno ora è in Bankitalia, uno all’università, tre o 4 in grandi redazioni di giornale. Un paio, avvocati. “Carusi”. Antonio Roccuzzo
Mi ami o non mi ami
È la macchina più brutta del mondo? Premiata dalle vendite ma reputata da tutti una delle più strane automobili della storia. Design per niente minimale e asettico. Questa vettura Citroen tutta grinta non poteva che essere scelta dal nostro fortunato Riccardo Orioles. “Ti accompagno io!”, e tutti rifiutavano l’invito. Chissà perché...
Illustrazione di Mattia Surroz
#ORIOLES70
3
La sua intelligenza ti fa vedere cose che non hai mai visto Ma è un uomo rigido e convinto di essere detentore della verità...
M
i chiedono di scrivere qualcosa su Riccardo. Io Riccardo lo conosco da trentacinque anni, dai tempi in cui dormiva nella pensione della bella Otero, a Catania, e aveva una Citroen tenuta in piedi direttamente da Dio. Abbiamo litigato tante volte da perdere il conto, perché Riccardo è un uomo rigido, insopportabilmente, convinto di essere sempre l’unico detentore della verità. La cosa migliore del nostro rapporto è che ormai ci vediamo troppo poco e non abbiamo più tempo e motivi per litigare. Però Riccardo mi manca, come manca a tutti quelli che lo hanno conosciuto e inevitabilmente amato (pur odiandolo anche un poco). E quando un giorno vagherò per i campi elisi con la bottiglia di vino portata con me nella vita eterna, una delle quattro persone
che inviterò a berla sarà Riccardo. Perché Riccardo sarà sempre il paladino delle cause perse, ma le sue cause le combatte con una coerenza, una sottigliezza di ragionamento, un rigore etico che non ho trovato in nessuna delle tante belle persone che ho incrociato negli anni delle nostre battaglie (e sconfitte). Perché la sua intelligenza ti fa vedere cose che non avevi mai visto pur avendole davanti, le illumina di una luce che prima non avevano. Perché se lui ti parla di un libro, di un uomo, di una donna, ti fa venire voglia di leggerlo, di conoscerlo, di innamorartene. Perché il primo a pagare per i suoi errori, ma anche per i suoi meriti, è sempre lui. Perché anche quando sbaglia, cosa che gli succede spesso, lo fa avendo sempre, in qualche modo, anche ragione. Miki Gambino
L’INSEGUIMENTO
Piazza Maggiore Con un solo litro di amaro, Orioles riuscì ad entrare in una macchina del tempo e tornò al 1977, tra manifestazioni, cariche, lacrimogeni e Università occupata
N
aturalmente Riccardo negherà. Dirà che è tutto inventato. Non credetegli. Le cose sono andate esattamente così. Lui aveva poco più di trent’anni; io, per conseguenza, un’età irriferibile. Tornavamo da casa di Antonio dove avevamo giocato per tutta la sera a Risiko. E aveva vinto Gambino che all’epoca dimostrava come si potesse avere un culo formidabile con i dadi e al tempo stesso un successo ignobile con le femmine. Tornavamo, dunque, da Mascalucia. Io guidavo, Riccardo taceva. A un tratto batte due colpi secchi con la pipa sul finestrino, un gesto che avevo visto fare solo al cinema al Principe di Salina Burt Lancaster quando voleva che il cocchiere si fermasse. Mi fermai. Riccardo aprì lo sportello della mia R5 e vomitò in silenzio e a lungo il litro di Averna che gli galleggiava sullo stomaco. Non dissi nulla. Rimisi in moto, ri-
partimmo. Non ero preoccupato. Sapevamo tutti che Riccardo non regge l’alcol anche se finge di essere un solido bevitore. Di nuovo silenzio. Poi mi disse: “Gira qui a destra”. A destra? Non c’era niente a destra tranne una specie di trazzera in mezzo ai carrubbi. Tirai dritto. “Ti avevo detto di girare a destra”. Di nuovo, con quella voce ferma, modulata su una sola nota che non ammette contraddizioni. Poi aggiunse: “C’è la pula”. Ora, Riccardo che dice “pula” parlando di polizia è già una cosa abbastanza ridicola. Soprattutto alle tre di notte, sulla provinciale che scendeva verso Catania in mezzo alle sciare e al nulla. Pensai alla stradale, che ne so, un posto di blocco, ricapitolai mentalmente se avevo tutto, libretto patente bollo, misi la freccia per fermarmi. “Non ti fermare” “Mi hai detto che c’è la polizia!”
“Appunto. Non ti fermare”. Mi prende per il culo, pensai. Ma lui aggiunse: “Dobbiamo arrivare a piazza Maggiore”. Piazza Maggiore? Dove minchia sta piazza Maggiore? Riccardo abitava dalla Bella Otero, una casa d’appuntamenti trasformata in pensione a piazza Università. Si arriva al Tondo Gioieni, si scende per via Etnea, in dieci minuti eravamo lì. Qual è sta piazza Maggiore? Guardai con la coda dell’occhio Riccardo che aveva sempre lo sguardo fisso dentro la notte. Forse conosce una scorciatoia, pensai. “Accelera. Dobbiamo seminare la pula”. E ci torna! Ma quale pula, di che parla, che m’improsa? “…ci aspettano i compagni” aggiunse. E allora compresi tutto. Riccardo
non c’era più, nel senso che il suo corpo strippato di amaro Averna era accanto a me, ma la sua testa era tornata indietro di tre o quattro anni, la mia R5 s’era trasformata in una specie di macchina del tempo e noi eravamo a Bologna, anno del signore 1977, l’università occupata, i casini a piazza Maggiore, le cariche della polizia, i lacrimogeni, gli indiani metropolitani… C’era tutto. “Andiamo a piazza Maggiore” dissi. A Piazza Università lo tirai fuori di peso dalla macchina. Sta arrivando la pula, gli feci in un orecchio, dobbiamo sbrigarci. “E dove andiamo?” “C’è un posto sicuro, sono compagni…” Lo spinsi nell’androne della Bella Otero, su per le scale, dentro il postribolo, fino alla sua stanza. Lo feci
Eravamo in auto quando disse “Non ti fermare! Dobbiamo seminare la pula” sdraiare, gli tolsi le scarpe. Cercò di rimettersi seduto sul letto: “E i compagni?”. “Tutti al sicuro”. Lo spinsi giù. “Adesso dormiamo che domani c’è da fare il giornale” “Lotta Continua?” “E quale sennò?”. Riccardo ruttò, sorrise, chiuse gli occhi. S’addormentò subito come un angioletto. Claudio Fava
Questa non è la pipa di Orioles. Troppo pulita...
4
#ORIOLES70 IERI E OGGI
Uscito dai racconti di Gogol Un rivoluzionario in redazione “Oggi arriva uno nuovo” “E chi è? “Viene da Milazzo” Lo vidi entrare nella redazione del “Giornale del Sud”, appena visto pensai “Ma questo mi sembra un personaggio uscito dai racconti di Pietroburgo, di Gogol”. Pipa in bocca, occhialini da rivoluzionario bolscevico, barbetta incolta, dinamico nei movimenti. Si presentò dal direttore Fava e poi subito al lavoro. Batteva, sui tasti della lettera 32, come se ci litigasse. Metteva fogli, li tirava via per correggere il pezzo e poi un altro foglio. Eravamo nella cronaca nera, quando scoppiò la guerra di mafia tra i Santapaola e i Ferlito. La città pensava ad una guerra tra criminali comuni. Più volte uscì con Riccardo per fotografare i morti ammazzati. Uscire con lui voleva dire salire sulla sua auto una Citroen Ami, il che voleva dire rischiare la vita.Ma non accadde mai nulla a parte la mia paura. Quando eravamo sulla scena del delitto, mi diceva “Non
riprendere solo il morto ammazzato, guarda anche la gente che le sta attorno”. Aveva ragione, volti sconvolti e qualcuno sorrideva. Poi si tornava in redazione, senza togliersi il giaccone, si sedeva, caricava la pipa la accendeva e poi giù a picchiare sui tasti della lettera 32. “Ciao Riccardo allora sei venuto!” “Anche a quattro zampe sarei venuto, non posso mancare al compleanno del bene confiscato, non posso non esserci per ricordare Titta Scidà” “Ric, vuoi aggiungere qualcosa al mio intervento?” “No, no!” Riccardo non è in grande forma fisica, ma le idee sono sempre chiare e tante volte ci dà la linea anche con proposte creative. Seduti, nel verde del giardino, parla con Benedetta, racconta qualcosa, e poi fa il maestro di giornalismo. “Adesso vado via, scusami, forse ho sbagliato, ma per me il Gapa appartiene alla nostra storia e questa storia va curata. Giovanni Caruso
LA MILITANZA
Vi racconto io chi è Riccardino Da Lotta Continua a I Siciliani fino alla Legge Bacchelli
D
ovrei dire che è un piacere commentare i 70 anni di Orioles, detto Riccardino, anche perchè fra qualche mese anch’io raggiungerò la fatidica meta. Ricordo che Orioles, in tempi difficili diceva: tanto io a 60 anni me la quaglio. Si era convinto che i 60 anni erano già sufficienti per la vita che faceva. Ma fortunatamente non è stato così. Altri 10 anni ed altri 10 anni ancora, la sua vita sarà ancora lunga, anche perchè, usando lui molto il telefono, come si sa, una telefonata allunga la vita. Detto ciò non commemoro certo una persona qualunque, ma una persona, un compagno, col pugno chiuso, con cui ho condiviso la militanza in Lotta Continua, l’esperienza gloriosa nonchè prestigiosa de I Siciliani, a cui Riccardo ha dedicato
ogni momento della sua vita lavorativa, politica e sociale. E l’ha vissuta talvolta drammaticamente soprattutto dopo l’assassinio del direttore Giuseppe Fava, che lui ostinatamente per una forma di rispetto ha voluto sempre e continuamente chiamare il Direttore, anche dopo l’uccisione. Per I Sicliani ha fatto di tutto, in particolare per I Siciliani Giovani, perchè riteneva e ritiene ancora oggi che i giovani possono e devono essere il muro avverso i mafiosi, i corrotti, i prepotenti e lo possono essere sopratutto anche come giornalisti al servizio della società. Comprendere Orioles non è facile, ma per fare capire la persona che è, preferisco raccontare ciò che è successo tra me e lui. Ai primi di dicembre, ho postato che l’Inps mi
aveva tagliato l’assegno sociale, peraltro l’unico sostentamento che avevo dopo una vita passata nella militanza nella sinistra, con lavori precari oltremodo. Ma di ciò non mi sono mai lamentato e non mi lamento, perchè è stata una mia scelta di vita, che è finita con l’esperienza editoriale di Lapis nel lontano 2000 e comunque fino al 2012 mi arrabbatto, per finire alla chiusura definitiva de Il Male di Vincino e Vauro. Diversi giorni dopo, mi arriva una telefonata ed era Riccardino, che mi diceva che era pronto ad aiutarmi e di quanti soldi avevo bisogno. Devo dire la verità, sono rimasto un po’ basito, non me l’aspettavo certamente. Risposi che non era il caso, vivendo anche lui del modestissimo assegno sociale, ma lui insistendo mi dice di non preoccuparmi perchè ha
la Bacchelli. Lì per lì non capivo, ma poi ho realizzato. Certo la Bacchelli, per cui ci si mobilitò per fargliela ottenere. Finalmente compresi la sua telefonata, una telefonata di solidarietà totale verso di me, perchè in fin dei conti tra me e lui c’è stato sempre un rapporto onesto e sincero e quando c’era di criticarlo, lo facevo anche veementemente, al contrario di altri, anche de I Siciliani, che lo hanno più volte lisciato e lasciato in grande difficoltà, approffittando della sua estrema disponibilità. Ovviamente rifiutai la sua proposta d’aiuto, non era il caso per come sono io, ma lo ringraziai di cuore. Ecco chi è Riccardo Orioles, un compagno pronto a capirti ed a venire in aiuto, anche economico, per uno che economicamente campa con la Bacchelli. Lillo Venezia
Il primo articolo su I Siciliani non si scorda mai Un foto-reportage per raccontare Palermo tra luci e ombre
#ORIOLES70
5
“Addio provincia babba” era il titolo Un pezzo che mi fece riscrivere cinque volte Dal coordinamento dell’inserto satirico fino all’inchiesta sulla mafia a Messina
«T
u coordini l’inserto satirico», mi disse, laconico, come fosse la cosa più naturale del mondo. Strabuzzai gli occhi, incredulo, e non ebbi il coraggio di dire di no, anche se mi tremavano i polsi solo all’idea, ché l’inserto satirico, a I Siciliani, l’aveva inventato Giuseppe Fava, il Direttore, e dopo il suo omicidio la redazione l’aveva soppresso per non so quale divergenza coi vignettisti. E mo’ sarebbe toccato a me, rimetterlo su. Bell’attestato di fiducia. Era l’inizio del 1986 e lo storico mensile stava per cambiare periodicità e veste grafica, diventando settimanale; non più l’elegante e maneggevole formato della rivista ma un ingombrante “lenzuolo” tipo l’Espresso prima maniera (che poi era il formato dei quotidiani non ancora convertiti al tabloid), annunciato con un «numero zero» sul finire dell’85.
Dall’autunno del 1984, il mio nome stava sotto una rubrica sui fumetti, la mia passione, e quando si passò al settimanale chiesi di potere stare in redazione, per imparare il mestiere, da giovane di bottega, da “biondino”. Mi risposero di sì, potevo stare in redazione, anche se dalla rubrica a «tu coordini l’inserto satirico» ne passa. Ma Riccardo era così. È così. Delega, non accentra; responsabilizza, anche se sa che non sei all’altezza (e io non lo ero), ma sa anche che farai più del tuo meglio, proprio per il senso di responsabilità a cui quella storia giornalistica obbligava (e, suppongo, obblighi ancora chiunque vi si approcci), volenti o nolenti. Un aspetto, questo della delega per responsabilizzare, che ci ho messo un bel po’ d’anni a comprendere e, anni dopo, quando ancora non l’avevo compreso (condizionato anche da una delega mal riposta), litigammo sull’indicazione di una compagna per un determinato incarico che non rite-
nevo alla sua altezza, inducendolo ad ammettere che lo pensava anche lui. Non insistette più di tanto e me la diede vinta, ma ero io a non avere capito il senso di quella indicazione, il senso di quell’attestato di fiducia verso una compagna che quella fiducia, invece, se l’era meritata. Primavera del 1986. La redazione del settimanale non è più a S. Agata li Battiati ma in un appartamento di Corso delle Province, a Catania, quasi all’angolo con Viale Vittorio Veneto, qualche decina di metri più in là il Corso Italia. Vivevamo coi clacson nelle orecchie. Roba da diventarci matti. Non ero un biondino ma un redattore, con lo stesso “stipendio” di tutti gli altri redattori. Mi pareva inverosimile ma era vero: mi trattavano come uno di loro, sebbene avessi ancora tutto da imparare. Non tanto, ma proprio tutto. A Palermo era iniziato da poco lo storico maxiprocesso a Cosa Nostra, istruito dal pool antimafia dell’uffi-
cio istruzione guidato da Antonino Caponnetto, composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Un evento di portata planetaria che ne fece passare quasi inosservato un altro decisamente clamoroso: duecento chilometri più a est, a Messina, un altro processone sgretolava il luogo comune che voleva la città dello Stretto «provincia babba», cioè senza mafia, ché quelle «sperte», Palermo e Catania, la mafia ce l’avevano e se la vantavano. Per I Siciliani, il processo a quei circa 140 malacarne era anch’essa una storia da raccontare e toccava a Riccardo, raccontarla. Gli chiesi di potere andare con lui. Assentì. Volevo imparare. Pensavo di stargli attaccato come fossi la sua ombra, di ascoltare e imparare tecniche giornalistiche, come si raccolgono le informazioni per un pezzo sulla mafia e robe così. Invece, appena usciti dalla stazione di Messina i miei pensieri si sgretolarono: «Tu vai in procura a parlare col pm Providenti», mi intimò, «io vado all’università a parlare col professore Di Bella». Vado a parlare col pm? E che gli dico? «Digli che ti mando io». In poche parole, mi toccò fare e non ascoltare solamente. Ché, col senno del poi, qualsiasi mestiere lo si impara facendolo. E il giornalismo non si sottrae a tale regola. Riccardo mi raggiunse in procura che avevo già riempito diverse pagine del mio bloc notes formato A4 e cominciò a parlare fitto fitto col pm Providenti, ascoltavo e continuavo a prendere appunti, mentre mi chiedevo quanto ci avesse messo a imparare tutte quelle cose. Al ritorno in redazione, considerato
che lui la materia la padroneggiava molto meglio di me, mi chiese gli appunti e scrisse l’articolo principale, che uscì a doppia firma; a me toccò una scheda di una cartella e mezza. E una raccomandazione: «Non menzionare il fatto che sei arrivato fino alla sua stanza senza che qualcuno ti fermasse per chiederti chi sei e dove vai». Me lo fece riscrivere cinque volte, il pezzo. C’era sempre qualcosa che non andava. Cinque volte. Cominciavo a imparare, ché si impara facendo. E, sotto questo aspetto, Riccardo è stato un maestro stra-
Riccardo era così. È così. Delega, non accentra; responsabilizza, anche se sa che non sei all’altezza (e io non lo ero), ma sa anche che farai più del tuo meglio ordinario, paziente e stimolante. Dimenticavo. Il titolo del “nostro” pezzo era: «Addio provincia babba». Sanciva la definitiva perdita dell’innocenza di un territorio ritenuto estraneo al fenomeno mafioso. Il «verminaio» era di là da venire, ma anche quella di Messina era ormai una provincia «sperta». Sebastiano Gulisano
Un aggettivo per Orioles? Inizia con S e finisce con tronzo Il 7 gennaio bussammo alla porta della redazione. Conoscemmo così un signore dall’apparente età di settant’anni: “Ci sono buste da chiudere ed etichette da incollare”
D
oveva essere il 7 gennaio 1984 quando Lillo – dopo aver squadrato rapidamente me, Gino e Salvo che quel giorno avevamo bussato per la prima volta in redazione – ci fece segno col dito di andare verso là, oltre l’inesistente vetrata che divideva l’ingresso dagli altri stanzoni in cui si faceva il giornale. E fu là, dall’altra parte di quegli infissi putativi, che un signore dall’apparente età di settant’anni, che accartocciava e lanciava nel cestino una pallottola di carta dopo l’altra con lo stesso accanimento con cui Eta Beta divora palline di naftalina, ci spiegò tutte le ragioni per cui la nostra presenza lì era perfettamente inutile. Perché, era bene dirlo subito, se eravamo lì per aiutare il giornale proponendoci per fare i giornalisti ave-
vamo proprio sbagliato indirizzo. Il giornale non aveva bisogno di questo. Non aveva che farsene dei pensosi intellettuali che ci sentivamo allora, dall’alto dei nostri diciott’anni da poco compiuti, del Pasolini che avevamo appena letto e del Gaber che ascoltavamo ogni volta che papà ci lasciava prendere la macchina concedendoci anche l’uso dell’autoradio. O, peggio ancora, dall’alto della coscienza politica che presumevano di aver maturato, almeno noi, cresciuti al Liceo Spedalieri tra il crepuscolo degli anni Settanta e le battaglie di Berlinguer contro Craxi. Tutto molto bello, bravi. Ma non ci serve. Non è che l’anziano signore non avesse le sue ragioni, anzi. Solo che non ce lo immaginavamo mica così, l’autore dei pezzi che portavano la firma di Riccardo Orioles. In pochi
minuti, insieme a quelle pallottole di carta che finivano nel cestino dopo esser state abbondantemente inchiostrate con stravaganti geometrie, frecce che portavano chissà dove, criptocitazioni dal futurismo russo, nello stesso cestino stavano finendo le nostre poche certezze di giovani illuminati. La nostra convinzione che potessimo bastare a noi stessi, e perfino a cambiare la città in cui avevano appena ammazzato Pippo Fava. A meno che, disse però a un certo punto il precoce settantenne. A meno che mettiate un po’ da parte il vostro Gaber, il vostro Pasolini, a meno che rinunciate alla sadica pretesa di infliggere ai lettori i vostri temi di liceo, a meno che vi vada di caricarvi quei pacchi di giornali lì, di chiudere a forza di sputazza qualche centinaio di quelle buste, di mettere
le etichette sui giornali da spedire in abbonamento, ché oltretutto con il numero siamo già in ritardo di qualche giorno, ma il fatto è che ci hanno ammazzato il direttore. E magari se vi va di andare in giro a fare la distribuzione del giornale. Se vi va di fare queste cose, allora sì. È esattamente ciò di cui abbiamo più bisogno. Mica scemo il tipo, ci dicemmo senza parlare. E pure discretamente stronzo. Non proprio quello che ci eravamo immaginati dalla lettura del giornale, sobbalzando e fremendo al ritmo saltellante della sua prosa. Ma era il 7 gennaio 1984 e non ci sembrava il caso di sottilizzare troppo. Avanti con queste etichette da incollare, magari lo stronzo ha ragione. Nessuno di noi, da grande, probabilmente farà mai il giornalista. Ma non è questo ciò che conta, oggi, a
Catania. E pazienza se questo non è il modo più delicato per farci capire che dobbiamo mettere da parte l’io, e che è tempo di imparare il noi. Queste cose, più o meno, dobbiamo aver pensato quel giorno. Che era, non so se l’ho già detto, il 7 gennaio 1984. (Tra parentesi: lo stronzo aveva ragione. Nessuno di noi tre alla fine ha fatto il giornalista. Sebbene qualcuno ci sia andato molto vicino e poi, forse anche ripensando dentro di sé a quel giorno di gennaio, abbia deciso senza rimpianto di fare altro. Cosa per la quale lo stronzo, incontentabile com’è, c’è pure rimasto male. Ma questa è un’altra storia. Magari la raccontiamo un’altra volta, a un altro settantesimo compleanno di Orioles). Gianfranco Faillaci
6
#ORIOLES70
Vuoi fare il giornalista? Lascia perdere Se vuoi lottare la mafia torna domani Piegammo circa 5 mila copie dell’edizione straordinaria “Un Uomo”
L
a gran parte dei ricordi che mi legano a Riccardo vengono da molto lontano, tranne due. Ma restano saldi e vividi. Il primo è del 6 gennaio, forse del 7, del 1984. C’era un capannone, in un cortiletto giù da una scivola a Sant’Agata Li Battiati e dentro c’era la redazione di un giornale. Mi feci avanti timidamente, avevo vent’anni e quel signore arruffato fu abbastanza spiccio. Credo di ricordare pressapoco ogni singola parola: “Ragazzo, se vuoi fare il giornalista lascia perdere e comunque hai sbagliato posto. Non sei figlio di papà, non sei figlio di giornalisti, non hai la tessera di un partito… Ma se vuoi lottare la mafia e darti da fare, torna domani: ci sono da piegare le copie dell’edizione straordinaria per il Direttore”. Ne piegammo 5 mila di quelle copie e poi andammo a venderle.
Quell’edizione straordinaria aveva un grande titolo “Un Uomo” e un articolo bellissimo scritto da Orioles. Insieme a me a piegare giornali c’erano altri ragazzi che diventeranno i compagni di viaggio della mia gioventù: Gianfranco, Salvo, Concetto, Ester, Antonio, Antonellina, Fabio, Cono, Maurizio, Edoardo, Carmen, Rosalba, Goffredo, e ne dimentico di sicuro molti. Altri ricordi mi portano tra i tavoli di Corso delle Province fino a notte, per la disperazione di mio padre (“ti sei messo con quei comunisti e non studi più…”). Vedo Claudio mascherare la tensione, Antonio sempre gioviale, la sua bella casa e la sua fantastica mamma. Ricordo le partite a Risiko. Ricordo le riunioni con la lega delle cooperative nel tentativo di finanziare il giornale. Ricordo Riccardo e Antonella in grande difficoltà ma innamorati in una pic-
cola casa dalle parti di Cibali. Ricordo le cambiali che firmammo senza una lira in tasca e l’ufficiale giudiziario che un giorno - anni dopo - si presentò a casa di mio padre. Io ero già via, a Milano. Volevo fare il giornalista, non l’avevo mai nascosto e questo, forse, Riccardo non me l’ha mai perdonato. Cioè, il fatto che la determinazione nel raggiungimento dell’obiettivo avesse avuto la meglio sulla “militanza” in quanto tale. Seppure, fu proprio Riccardo a concedermi il primo palcoscenico importante, sulle pagine di Avvenimenti. Ricordo anche le mie visite a Roma, alla redazione di quel settimanale, certamente meno scalcagnata di quella dei Siciliani, dove Riccardo insieme a Miki e a Fracassi avevano ricreato una pattuglia di giornalisti di grande valore. È vero, ho fatto forse qualche compromesso da lì in poi: a un certo punto scrivere è diventato anche un mestiere, poi solo un mestiere. Ma in cuor mio credo di non aver mai tradito gli ideali di quel ragazzo del 1984, anche se la vita ci ha via via divisi, allontanati, cambiati. Dimenticavo i due ricordi più recenti. Uno è sulla mobilitazione social, merito di Luca Salici, a cui ho partecipato due anni fa con tutti i miei mezzi per far ottenere a Ricc il vitalizio della legge Bacchelli. Una grande vittoria. L’altro è un incontro organizzato a Milano per il Festival dei beni confiscati. Star della serata, Nando Dalla Chiesa (ah, dimenticavo anche questo: a Milano ricominciai da Società Civile) e Riccardo Orioles. Portai con me - a forza - mio figlio Edoardo quindicenne. Volevo fargli conoscere quel pezzo della mia vita, quello strano signore così colto e irriducibile. Il mio Gramsci personale. Riccardo mi riconobbe, gli presentai Edo, cominciò a interrogarlo, poi gli regalò un cd con le sue poesie. Intravidi (o forse volli convincermi di questo) un lampo di contentezza negli occhi di Riccardo. Per un attimo pensai che stesse per dire: “Edoardo ci sono da piegare le copie dell’edizione straordinaria...”. Ma fu solo un attimo. Ciao Riccardo, buon compleanno. Massimo Arcidiacono
Scrivi, taglia, riscrivi, riduci La mia educazione spartana
I
nizio anni 2000, ero un adolescente siciliano con vaghe idee di sinistra e una montagna di capelli ricci. A scuola mi annoiavo facilmente, cercavo nei libri e nella musica stimoli che non trovavo in classe. Riccardo era ritornato a Milazzo da poco tempo. Aleggiava la leggenda di un tipo strano, giornalista antimafia che aveva vissuto avventurosamente tra la Sicilia e il mondo. Con curiositá e timore suonai il campanello di quella casa, non sapevo cosa aspettarmi dietro quella porta. Iniziai a frequentare il salone spoglio, abituarmi ai libri accatastati, all’odore di tabacco, alla vista sulle colline della Valle del Mela. Restavo ore a sentirlo raccontare, parlare, scherzare, esagerare, incupirsi, ricordare. Era un monologo senza copione, dalla mafia catanese al governo di Pericle. In quella casa
Incontrai Riccardo quando tornò a Milazzo nei primi anni Duemila Mi diede La Passione di Michele e disse “Un giorno si leggerà nelle scuole” per la prima volta senti parole come criptomoneta, e-zine, impaginazione e grafica. Lessi Orwell e Fava della Passione di Michele, “un giorno si leggerà nelle scuole come Pirandello” mi disse. Imparai a direzionare i monologhi, cogliere il momento in cui si fermava ad aspirare il fumo della pipa, per scoccare rapido un commento, una domanda. Appresi della rivoluzione francese e del risorgimento. E i miei voti scolastici migliorarono improvvisamente. Imparai a scrivere, o almeno mi applicai molto per riuscirci. Con l’educazione spartana di Riccardo, “scrivi, taglia, riscrivi, riduci di un terzo, riduci alla metá, trova sinonomi. Ricomincia”. Un esercizio senza fine che puntualmente si concludeva con un suo grugnito di disapprovazione. Dopo anni, il grugnito divenne un “buonino, va bene” che mi riempiva d’orgoglio.
Finito il liceo, feci le valigie e presi la via del Nord. Riccardo venne a dormire sui divani delle mie case in affitto a Roma: Ostiense, Torpignattara, Tuscolana. Una volta lo portammo in una sezione del PD a San Giovanni, fece il suo trionfale ingresso con panama, pipa e bastone. Attiro l’attenzione di tutti e la cosa che gli piacque di più fu vedere i ragazzini che giocavano al biliardino, “lo stesso rumore delle sezioni della FGCI”. Quando iniziai a lavorare al Parlamento, organizzai un incontro tra i miei due maestri: Riccardo e Walter Tocci, deputato a Roma. Ai controlli di sicurezza l’allarme suonava insistentemente per via della spilletta della FIOM sulla giacca di Riccardo. Mi immaginai ad ascoltare un dialogo tra due grandi filosofi dell’antichitá. Mi feci incantare dalla discussione tra questi due uomini, due coetanei che avevano vis-
suto intensamente la storia d’Italia. Negli anni ho continuato a mandargli quel che scrivevo, un discorso politco, un articolo di economia, una lettera. Credevo di farlo per ricevere una sua revisione, in realtá era un modo per tornare in quella casa. Era il mio punto d’appoggio, il collegamento tra le illusioni dell’adolescenza e il cammino per diventare adulto. Ora vivo sempre più lontano e quando torno ad affacciarmi da quel balcone, la vista sulle colline si é riempita di palazzine tutte uguali. Quella casa é uno dei luoghi della mia formazione. Spesso ci torno col pensiero, é la mia misura per scegliere, prendere decisioni, non tradire i sogni del ragazzo che si annoiava a scuola. Auguri comandante e fanculo ai cavalieri. Federico Nastasi
VOCAZIONI
Il monaco del giornalismo
R
iccardo Orioles è stato tra i miei maestri di giornalismo. Un giornalismo che non mi è stato insegnato come mestiere, fonte di sostentamento o scorciatoia verso la politica, ma come scelta di vita profonda e totalizzante, che investe tutti gli aspetti della propria esistenza, pubblici e privati, morali e professionali. Riccardo ha consacrato la sua vita al giornalismo sociale antimafioso proprio come un monaco la consacra alla preghiera, e come un monaco è “mònos”, solo, unico, integro e senza doppiezza, coerente fino all’estremo nella sua lotta culturale ai ricchi e ai pre-potenti con una vita da persona semplice, povera di mezzi e ricca di relazioni. Francesco d’Assisi ha creato il suo ordine dei “frati minori”, e anche attorno a Riccardo è nata una comunità di giornalisti che sono “minori” per umiltà, per la distanza dai riflettori e dalle vetrine del giornalismo vip, per la portata locale dei loro scritti, ma non per lo spessore umano, politico e sociale che traspare dai loro articoli. Come Francesco si è spogliato del suo mantello per restare nudo di fronte al papato, così Riccardo si è spogliato di tutte le coperture che avrebbe potuto garantirgli il giornalismo blasonato, rinunciandovi per l’impossibilità di portare in quel mondo assieme a lui i “suoi ragazzi”, le persone che ha aiutato a crescere e lottare trasformando ragazzi indignati in giornalisti impegnati. Per queste scelte figlie della sua vocazione al giornalismo è rimasto nudo di fronte agli acciacchi e alle intemperie della vita. Ma è stato il prezzo da pagare per non subire la maledizione della solitudine riservata ai ricchi: oggi attorno a lui si stringe la “comunità dei minori”, che ha pazientemente costruito come padre, amico, compagno e maestro per trasmettere alle nuove generazioni la sua eredità culturale e quella di Pippo Fava. Carlo Gubitosa
#ORIOLES70
7
SETTEMBRE 1982
Tra “Quelli di Comiso” c’ero anch’io, ricordi? Campo per la Pace. Tra tende e bandiere si aggira un tipo strano con un bastone “Sono Orioles e scrivo per un giornale che ancora non c’è. Si chiamerà I Siciliani”
C
aro Riccardo, ci conosciamo da una vita, ma sono quasi sicuro che se ti chiedessi quando e dove ci siamo incontrati la prima volta, tu non sapresti cosa dirmi. Eravamo fisicamente tanto diversi e il luogo e il contesto troppo lontani. Beh, per il tuo compleanno, voglio farti un regalo e spiegarti come quel giorno ha segnato profondamente la mia vita di giornalista di parte, antimilitarista e antimafioso. Comiso, primi di settembre del 1982. Dai primi giorni d’estate, fresco di semilaurea di Educazione fisica, mi ero trasferito nella cittadina prescelta dai dottor Stranamore della NATO per fare da base operativa di 112 missili nucleari Cruise puntati contro i governi “nemici” di Africa e Medio oriente. Siamo al Campo per la Pace, tante tende e bandiere colorate animate da giovani pacifisti No Nuke arrivati da mezzo mondo. “Antonio, c’è un tipo strano all’ingresso che sostiene essere un giornalista di Messina. Vuole intervistarci. Vedi se lo conosci e ci parli tu”. Porta occhialini minuti e veste abiti che sarebbe-
ro andati bene solo d’inverno in ben altre latitudini. Nonostante non appaia anziano, si regge su un bastone e porta un vistoso anello ad un dito. Di certo a Messina non l’ho mai conosciuto. Si presenta: “Sono Riccardo Orioles e scrivo per un giornale che ancora non c’è ma che uscirà il prossimo anno”. Inutile dire che il tizio proprio non mi piace. Dopo che gli dico essere un’attivista messi-
nese, mi recita un elenco di volti più o meno noti della sinistra extraparlamentare, tutti miei concittadini. Poi si corregge, spiega di essere di Milazzo, ma la cosa mi sembra detta solo per vincere la mia diffidenza. In verità ho pochi dubbi. “I Siciliani” non li ho mai sentiti nominare e del suo presunto direttore Giuseppe Fava mi pare averne sentito parlare qualche volta a Catania, ma alla
guida di un giornale locale che sinceramente non avevo mai gradito, preferendogli le quotidiane letture del Manifesto e Lotta Continua. Quel Riccardo dal cognome ignoto sa proprio di sbirro, spia o provocatore, mi dico. E quando inizia a condurre una sbilenca intervista sul nostro Peace Camp, le mie risposte sono brevi ed evasive, il tono pungente, finanche arrogante. Sì, lo trattammo proprio male quell’ometto ficcanaso venuto a farci perdere tempo proprio alla vigilia dell’avvio dei lavori di costruzione di quella che sarebbe divenuta la più grande base atomica del Mediterraneo. Alla fine della marcia internazionale che ci portò da Catania a Comiso, via Sigonella, Augusta e le basi radar della Sicilia orientale, qualche giorno dopo la Befana 1983, I Siciliani di Giuseppe Fava uscirono davvero nelle edicole dell’Isola. Sul secondo numero, accanto ad una straordinaria inchiesta del suo direttore sui Cavalieri dell’apocalisse mafiosa di Catania, un bellissimo servizio del Riccardo cuor di leone sui giovani in lotta contro il delirio nucleare di
Reagan e alleati nostrani. “Quelli di Comiso”, mi pare s’intitolasse. Immortalava perfettamente lo spirito, i sogni, i desideri, le contraddizioni di quel gruppo variopinto di figlie e figli dei figli di fiori che avevano invaso la sonnolenta e conservatrice cittadina del ragusano. E che tanto maleducati e irriverenti erano stati nei tuoi confronti. Quel mensile mi avrebbe fatto da la scuola di formazione ed inchiesta sul binomio di morte mafia-militarizzazione, l’interpretazione maledettamente profetica della Sicilia di fine secolo XX e inizio XXI di Pippo Fava e dei suoi giornalisti-ragazzi. Inutilmente ho provato a imitarne lo stile e il racconto. Impossibile. Unico. Unico proprio come te Riccardo, maestro di quasi tutti i veri puntigliosi cronisti di parte che in questi decenni hanno umilmente provato a dare dignità e senso ad un mestiere sin troppo spesso servo e complice della borghesia mafiosa e bellicista siciliana. Cento di questi giorni, Riccardo. Ti voglio un sacco di bene. Antonio Mazzeo
Ecco 3mila libri e le gabbie per impaginare Adesso andiamo a fare la rivoluzione Monitora costantemente movimenti, proteste e cortei. Alla ricerca della miccia che cambi tutto
C’
è il bombo che per la sua stazza, secondo le regole della tecnica aeronautica, non potrebbe volare e fregandosene vola lo stesso. C’è un giornale che in tanti
volevano chiuso, finito, mummificato e che invece esce lo stesso. Se Riccardo Orioles non avesse messo la sua vita al servizio de I Siciliani, centinaia di ragazzi non avrebbero iniziato a scrivere e tantissime storie
non sarebbero mai state raccontate. Tanti ne sono passati di ragazzi da I Siciliani. E poco se ne parla. All’uccisione di Pippo Fava seguì un impeto di passione civile di giovanissimi militanti, giornalisti, cittadini. Negli
anni molte delle aspettative si sono tramutate in rassegnati allontanamenti, in naturali litigi, in insanabili delusioni, eppure nelle nuove generazioni è rimasta intatta quella stessa passione. Ed è qui che entra in gioco Riccardo. Ogni sobbalzo di democratica contestazione è monitorato come la potenziale miccia di una rivoluzione: la nascita di un collettivo in una scuola, una piccola occupazione, un gruppo di lavoratori in sciopero, una protesta di insegnanti. “Andiamoci” raccomanda Riccardo per telefono, mentre lui già pianifica appuntamenti. “Voglio ascoltarli, voglio parlare loro”. Poi l’incontro: un aneddoto, una storia affascinante presa da lontano per aumentare la suspense, con l’epilogo che è un inno all’azione e a fare un giornale. “Per raccontarvi, per scrivere ciò che vi è necessario, liberamente”. E infine la fatidica domanda: “vi piacciono i libri? Eccone qua tremila”. Dalla tasca della giacca di lana viene fuori una chiavetta usb con una interminabile raccolta di classici, saggi, gialli. “Qui ci sono anche le gabbie per impaginare da soli il vostro gior-
nale”. È rivivere ogni volta la stessa emozione di quando in tantissimi diedero il coraggio di continuare a stampare I Siciliani, dopo la morte di Pippo Fava. Di quando gli studenti catanesi, mentre le istituzioni vagheggiavano sull’inesistenza della mafia a Catania, apposero una targa in memoria di Pippo Fava nel luogo dove la mafia lo uccise. Non esiste un confine tra giornalismo e politica, non nei Siciliani. Eravamo da me, in un piccolo terrazzino, Riccardo con la sua pipa. Si discuteva di governi e di opposizioni, di sindacati e di manifestazioni. Chiesi in cosa noi dei Siciliani eravamo davvero diversi dagli altri che danno le notizie. Mi rispose che noi raccontiamo le storie nelle quali ognuno può identificarsi, noi non siamo quelli del bollettino di guerra, siamo quelli delle storie dei soldati. È la stessa differenza che c’è tra l’elenco di chi è stato deportato nei campi di concentramento e il diario di Anna Frank. E poi noi sappiamo da che parte stare, sappiamo con chi non stare. Noi siamo compagni. Matteo Iannitti
8
#ORIOLES70
Milazzo e Barcellona Come Atene e Sparta Antimafia qui, mafia lì. Compagni qui, fasci là La radicalità nel pensiero occidentale da Stirner a Orioles
È
certamente Tucidide l’autore che più ha contribuito alla formazione politico ideale di Riccardo Orioles. Nella contrapposizione tra Atene e Sparta Egli colse subito, fin dall’estate del 1954, uno dei tratti caratteristici e fondamentali della Storia Umana che da Pericle giungeva per via direttissima, e praticamente senza soluzione di continuità, nel salotto di casa sua e, in particolare, si manifestava nell’atavica dialettica (sia consentito definirla così) tra la sua Milazzo (naturaliter identificata con Atene) e Barcellona Pozzo di Gotto (sentina di tutti i vizi.) Qui Poesia e Arte, Filosofia e Teatro, là… non è dato di sapere. Qualche fascista, probabilmente, militarista,
di sicuro, mafia, ovviamente. Crescendo, a partire dal 1955, verso l’autunno, la sua visione si ampliò e, col passare degli anni, assunse quel-
lo spessore e quella geologica stratificazione intellettuale che tutti riconosciamo. Tema centrale della sua riflessione filosofica e politica è che
qui c’è Milazzo, là Barcellona. E su questo caposaldo si innesta una dialettica diadica che abbraccia l’intero Orbe Terraqueo. La dialettica Milazzo Barcellona venne estesa, sia come metodo che come vis polemica, a numerosissime altre contrapposizioni. Lì mafia? Qui antimafia. Lì fasci? Qui compagni. Qui persone? Lì bestie. In opposizione a questa tesi, molti, nei decenni successivi, tentarono di cogliere, in queste rigide antinomie, il sintomo dell’estrema radicalità filosofica dell’Orioles. Un recente saggio di Dimitri Protrafiov “La radicalità nel pensiero occidentale, da Stirner a Orioles” ha creduto di vedere in letture anarcoidi giovanili (Malatesta e Bakunin) la vera fonte dell’originale radicalità oriole-
sca. Qualche anno prima, von Krausterbauer di Tubinga, ha colto un nesso tra “I Giovani Marx e Orioles” a partire dai manoscritti del 1844. Ma una recente nota manoscritta dell’Orioles del marzo 2052, vergata alcuni anni prima della sua morte, nella quale auspicava un vasto coordinamento antifascista aperto a tutte le forze politiche di sinistra, di centro e di destra (compresi otto monarchici superstiti in provincia di Caltanissetta) e che si conclude con “Comunque mai con quelli di Barcellona” sembra confermare che l’intuizione politica dell’estate del 1954 sia stato l’unico vero, autentico fondamento di tutti gli sviluppi successivi. Jack Daniel
Avere un maestro accanto fa sempre comodo! Storie clandestine dal Festival del giornalismo di Modica
“E
Orioles dov’è?”. La domanda, ad un tratto, qualcuno la poneva sempre, ad ogni Festival del giornalismo di Modica. Perché lui, Riccardo, girava tra i workshop e le viuzze, sempre con la sua pipa in bocca: compariva e spariva, per poi ricomparire di nuovo. “Lo avete visto? Eccolo”. E ogni volta che spuntava, adesso come allora, era una rassicurazione. Badate bene, non perché qualcuno pensasse si fosse perso, ma perché avere accanto un maestro fa comodo. Figurarsi poi per un gruppo sgangherato di ragazzi che aveva fondato un giornalino: Il Clandestino. Il mensile non c’è più - ognuno ha percorso la strada che la vita gli ha riservato - ma quel gruppo
di amici non si è dissolto. Per carità, ci si vede meno, ma ci sentiamo sempre clandestini. E ogni volta che siamo attorno a una tavola state sicuri che prima o poi qualcuno parlerà di Riccardo. “Ti ricordi di quella cazziata?”. Sì, perché sono state tante e sempre (o quasi) azzeccate. “Ci pensi a quando siamo stati a Catania o a Milazzo da Riccardo?”. Come no, entrare nel suo mondo è sempre una bella avventura, tra libri, giornali e un sacco di idee. Ma poi, immancabile come la domanda al Festival, si alza uno di noi - non gli daremo un nome, ovviamente per omertà - impugna una finta pipa e inizia a imitare Orioles: “Pocca puttana…”. Ed è come averlo sempre con noi. Il Clandestino
Dalle “bruschette rosse” all’idea di un giornale
L
e “bruschette rosse” erano un aperitivo semplice: pane tostato, pomodoro, olio e origano. Ma nel 2009 a Milazzo non erano solo un aperitivo, erano un momento di convivialità. Convivialità preelettorale, in vista delle elezioni amministrative che si prospettavano da lì a poco. Elezioni che ovviamente avremmo perso, o meglio che avremmo perso pur avendole, in qualche modo, vinte. Eravamo molto giovani, il più grande di noi aveva 24 anni, stavamo scoprendo, nell’area rarefatta della vita di provincia, nuove forme di stare insieme. Stavamo scoprendo che c’erano dei modi e delle possibilità di incidere su un territorio che fino a quel momento avevamo individual-
mente sognato di cambiare ma che, adesso, diventava utopia collettiva. In queste fasi, le persone che si incontrano lungo il percorso sono fondamentali. È come un bivio da cui dipende se l’utopia rimarrà solo utopia oppure può diventare progetto. Era il 2009 e, ad uno degli appuntamenti di “Bruschette rosse” (si chiamavano proprio così i beverecci appuntamenti preelettorali), Riccardo Orioles presentava il suo nuovo libro “Allonsanfan-La mafia, la politica e altre storie”. La maggior parte di noi non ha memoria storica e politica del territorio precedente ad allora, o non sufficientemente precedente da ricordare Riccardo in altre occasioni. In una certa misura, quella giornata segna un inizio. L’inizio in cui
“i ragazzi” iniziarono a frequentare Riccardo. Non ricordo esattamente quale fu il passaggio intermedio ma sono certa che da quel momento iniziò un percorso di alfabetizzazione, politica e non. Casa di Riccardo diventa un punto di ritrovo, un rifugio per discutere quello che ci succede attorno, per confrontarsi, per imparare. Potevamo mangiare insieme, bere, fumare o dormirci. Un luogo da cui sono nati anche progetti successivi, un posto in cui sperare e credere che ogni autunno potesse essere un “autunno caldo”. Un giorno, semplicemente: “Secondo me dovreste fare un giornale”. “In che senso?”
“Un giornale vero: scrivere di quello che succede in zona”. Per un paio di minuti la proposta ci sembrò assurda, ma pochi minuti dopo, e per un intero anno, diventava la realtà. I primi articoli li abbiamo scritti e riscritti tante volte, non andavano mai bene: non era così che si scriveva un articolo, ci diceva Riccardo. Poi sempre meglio. “Che fare?” (grazie Lenin!), il nostro giornale, nasce così e così inizia a camminare sulle sue gambe. Senza più bisogno dell’aiuto di Riccardo a rileggere e correggere i nostri articoli. Ormai ci sembrava di aver imparato a scrivere. Ma ci sembrava, soprattutto, che avessimo un’altra arma per cambiare il luogo che vivevamo. Riccardo ci stava dando un
esempio di vita vissuta e insegnando le “tecniche” di scrittura, questo ci trasmetteva gli strumenti per guardarci attorno nel modo corretto. Ogni persona ha, in sé, idee e voglia di fare. “Mi avvicinai alla politica su basi puramente emozionali” diceva Peppino Impastato, ed è vero. Per noi è stato così. Ma in questo percorso “emozionale” di vita, dipende chi incontri. Noi siamo stati fortunati. Oggi, 10 anni dopo, ognuno ha preso strade politiche e di vita diverse ma ognuno sa quali sono le origini e grazie a chi ha potuto costruire le proprie radici. In questo ci ritroviamo sempre, tra di noi e con Riccardo, nonostante il tempo e nonostante le differenze. Grazie. Giulia Di Bella
9
Luciano e Fabio
“Ma quello è Orioles?” Una storia più grande di noi
E
ra una serata di novembre. Nel quartiere San Cristoforo si stava per inaugurare una biblioteca dedicata a una figura storica dell’antimafia catanese: quella del presidente del Tribunale dei minori di Catania, Giambattista Scidà. “Ma quello è Orioles?”. Era seduto in mezzo agli altri, e rigirava fogli volanti tra le sue mani piccole, annotando sui margini appunti e numeri di telefono. Poco dopo fece il suo intervento parlando del presidente Scidà, della figura di uomo e magistrato. Di come avesse inciso nella vita degli adolescenti delle periferie catanesi, dove senza scuole e senza lavoro l’unica prospettiva di sopravvivenza rimaneva la criminalità organizzata. Carne da macello. Mentre istituzioni, imprenditori e boss facevano - e fanno - affari marcando i confini della povertà a Catania, Scidà cercava di strappare i ragazzi
dall’abbandono sociale da loro creato, smettendo di considerare i minori solo numeri di drammatiche statistiche: la vita di ogni singolo ragazzo, grazie a lui, divenne meritevole di essere attenzionata con la massima cura. La gente nei quartieri lo accoglieva. Quella biblioteca l’aveva sognata e in parte finanziata non a caso a San Cristoforo, feudo dei clan storici della città e con tassi elevati di abbandono scolastico. Quella di Scidà è una storia di resistenza ai poteri mafiosi, una delle tante che Riccardo ama raccontare. Per fare memoria, per indicare la strada. Negli anni seguenti ci ritrovammo ancora nella stessa biblioteca. Insieme a Cristian, che all’epoca aveva dieci anni, e che poco prima della riunione di redazione espresse il desiderio di costruire una medaglia. Prendeva le misure, tagliava il cartone e ogni tanto provava quella
medaglia. Noi cercavamo di capire come funzionava a Catania la gestione dei beni confiscati alla mafia. Cristian era tranquillo in quel momento: sceglieva i colori con attenzione, e non pensava a come rubacchiare, o al ferro vecchio che gravava sulle sue spalle nella speranza di rivenderlo per due lire, o alle bustine da consegnare a chi gli dicevano. Era un bambino in quel momento. Qualche anno dopo, il primo bene confiscato assegnato attraverso regolare bando pubblico divenne il Giardino di Scidà, consegnato proprio ai Siciliani Giovani. Era il 23 maggio del 2017, anniversario della Strage di Capaci. Cristian a tredici anni aveva già compiuto “troppi reati” ed era finito in un carcere minorile. La sua medaglia di cartone restò all’ingresso per ricordarci la direzione di una storia molto più grande di noi. Buon compleanno Riccardo, e grazie di continuare a scrivere questa storia con lo stesso coraggio di sempre. Ivana Sciacca
corteo Con Graziella in
Ci siamo anche noi :-)
#ORIOLES70
Finalisti Premio Morrione 2017
Dire “Viva la rivoluzione” non basta per essere rivoluzionari Il libro “Allonsanfan” ha raccolto una parte di suoi pensieri e parole
“N
on sono modesto; scrivo bene, molto meglio della media dei colleghi, perché ho avuto buoni maestri e ho cominciato molto presto; ma non sono e ormai so che non sarò mai Hemingway o Kapuscinski o un giornalista-scrittore. Sono un artigiano, un buon artigiano, non un poeta: ma in fondo voglio essere questo, non un artista. Sono soprattutto – e questo lo so benissimo – un militante. Non certo di un partito, ma sicuramente di qualcosa”. Questo dice di sé Riccardo Orioles nella prefazione al libro “Allonsanfan. La mafia, la politica e altre storie”, testo che con Melampo Editore nel 2009 abbiamo fortemente voluto per cercare di raccogliere
in un maniera organica una parte – significativa ma minima, ben lo sappiamo – del mare di pensieri e parole che Riccardo Orioles – testa fina e una delle migliori penne del giornalismo italiano di sempre – ha pubblicato e seminato negli ultimi decenni nei luoghi più vari. Se è concesso un ricordo personale, di Riccardo Orioles spesso mi viene in mente questa frase da lui pronunciata a Milano durante una presentazione del libro e di cui allora presi nota: “Rivoluzionario non è chi grida ‘Viva la rivoluzione’. Rivoluzionario è chi scrive la Divina Commedia o porta l’acqua in un villaggio che non ce l’aveva”. Riccardo è stato (ed è) un rivoluzionario. Lillo Garlisi
10
#ORIOLES70
ESCLUSIVO
Parla parla, ma non mi annoia Ecco chi è mio zio Riccardo Potrebbe intrattenere per ore raccontando qualsiasi argomento dalla storia alla politica Traduce in parole semplici concetti estremamente complessi. Parola di Valentina, sua nipote
F
in da quando risalgono i miei primi ricordi, zio Riccardo è stato una presenza costante nella nostra famiglia, nonostante la distanza geografica che spesso ci separava. Infatti, quando ero piccola, alla fine degli anni Ottanta, lui lavorava a Catania, che divenne ben presto la sua città d’adozione, nella redazione de I Siciliani di Pippo Fava, dove è rimasto per diverso tempo anche dopo la morte del Direttore. Negli anni Novanta, si divideva tra Roma, dove viveva ai tempi di Avvenimenti, e Milazzo, la sua città d’origine; tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila si stabilì a Bologna per poi tornare successivamente in Sicilia in via definitiva. Quando zio Riccardo rientrava a casa per qualche giorno, il nostro divano del soggiorno era sempre pronto per lui. E con esso le infinite chiacchierate a tavola in cui era in grado di intrattenerci parlando di qualsiasi argomento culturale, dalla storia alla letteratura alla politica. Solitamente partiva da uno spunto, ed era in grado di approfondire un argomento fin nei minimi dettagli. Non mi annoiava mai e ogni volta imparavo qualcosa di nuovo. Finora non ho riscontrato in nessun altro la sua incredibile capacità di memoria nonché versatilità. E, cosa ancor più strabiliante, è che in grado di tradurre in parole semplici concetti estremamente complessi. Senz’altro questo è parte integrante della sua ideologia secondo cui il Sapere deve essere accessibile a tutti, anche alle persone meno istruite. Infatti, nei suoi articoli potrebbe far sfoggio di un linguaggio ricercato e barocco, ma non lo fa assolutamente. Anzi cerca di semplificare al mas-
simo il linguaggio, renderlo il più asciutto possibile eliminando ogni forma di ridondanza e migliorando la leggibilità del testo. Perché tutti, ma proprio tutti devono capire il messaggio che lui vuole comunicare attraverso la scrittura dei suoi articoli. Dal pescatore all’operaio all’insegnante. Zio Riccardo ha sempre creduto fermamente nella valorizzazione dei giovani cui ha insegnato il suo mestiere. Infatti, ha formato molti ragazzi nell’ambito del giornalismo, di cui conserva una visione orgogliosamente artigianale, coordinando i loro giornali. Alcuni di loro hanno proseguito per quella strada; altri, invece, hanno cambiato totalmente percorso, ma tutti sono stati ugualmente arricchiti dal suo contributo. Lui ha portato la propria testimonianza di giornalista antimafia nelle scuole, e creato dei laboratori di scrittura. Tutto ciò in maniera totalmente disinteressata, senza alcuno scopo di lucro. E continua la sua opera tuttora, con I Siciliani Giovani. La casa di zio Riccardo è spesso animata da ragazzi che vanno a trovarlo per proporgli un nuovo progetto, o semplicemente per discutere da pari a pari. Il tema che più di tutti gli è caro è l’Antimafia, per il quale si batte ogni giorno senza sosta come un guerriero. Per lui l’Antimafia non ha alcun colore politico e cerca di osteggiare con ogni mezzo la tendenza a creare fazioni e divisionismi. Perché soltanto uniti si può combattere per una causa comune. Niente e nessuno è riuscito a scoraggiarlo dalla sua lotta: né le precarie condizioni materiali e di salute, né l’assassinio dello stimato Direttore Pippo Fava, né tanto meno le svariate minacce
di morte ricevute in più occasioni per aver pestato con la sua scrittura i piedi dei mafiosi. C’è stato un periodo particolarmente critico in cui per il terrore di essere ucciso, teneva sempre un coltello a portata di mano quando bussavano alla porta o sentiva rumori sospetti. Può sembrare un romanzo poliziesco ma purtroppo non lo è. Lui non si ferma mai veramente, neanche per mangiare. Infatti, anche a tavola spesso riceve telefonate dei ragazzi del giornale che lui coordina. Nel corso degli anni pur di perorare la sua causa, zio Riccardo ha trascurato irrimediabilmente la sua salute e i suoi bisogni primari, mostrando forse meno rispetto per se stesso che per gli altri. Non si lamenta mai dei suoi malanni per non gravare sugli altri e non causare così preoccupazioni alle persone a lui più vicine. Le immagini di lui con il bastone e
la pipa in bocca sono assolutamente inscindibili ai miei occhi. Eppure imperterrito continua la sua missione manifestando per i propri ideali e scrivendo per rendere migliore la società in cui viviamo. Non c’è malanno che tenga, lui rimane sempre in prima linea a lottare per le sue idee. E non scende mai a compromessi, mai. Tant’è che spesso si è inimicato esponenti della sua stessa fazione politica. In zio Riccardo convivono molte anime: quella milazzese, del luogo in cui è cresciuto e ha avviato le prime battaglie politiche di Lotta Continua e a fianco degli operai e contadini della zona. Vi è poi l’anima palermitana della famiglia di origine da parte di madre. Lui ama raccontare aneddoti di un’epoca ormai passata e della nostra famiglia di commercianti, composta da otto fratelli, di cui la gran parte
gestiva negozi di abbigliamento. Di quegli anni rimpiange i valori di rispetto, solidarietà, laboriosità, etica del lavoro. Il nonno, infatti, era un lavoratore instancabile che si prodigava nei confronti di chi gli chiedeva aiuto ai tempi della Seconda Guerra Mondiale a Palermo. Infine, gli anni vissuti a Roma e Bologna l’hanno inevitabilmente legato a quei territori dove conserva molti contatti e periodicamente si reca per le sue attività. Questo breve ritratto non basta per descrivere l’impegno costante e l’abnegazione che zio Riccardo ha investito nella sua professione. Adesso che ha tagliato il traguardo dei Settant’anni non si stanca di ideare nuovi progetti per portare avanti la causa in cui crede con la dirittura morale che lo contraddistingue. Un mondo di auguri, zio, e grazie per tutto! Valentina Crifò Ceraolo
Un compagno si vede nei momenti difficili Sì, ma ora passami il vino e cala la pasta
U
n pensiero a Riccardo? Non uno, ma cento, mille e tanti altri ancora. Perchè Riccardo non è sintetizzabile in un semplice ricordo, la cui semplice ed umile complessità rendono difficile una descrizione del Riccardo Amico fraterno e Compagno. Quando penso alla figura di come dovrebbe essere un vero Compagno, non riesco a fare a meno di pensare a Riccardo Orioles. Quello sempre pronto e presente a porgerti un abbraccio caldo, quando hai vissuto momenti difficili. Quello a difendere i Compagni e le Compagne nei momenti di difficoltà. Ma Riccardo
è anche quello con cui si litiga e si confligge, per posizioni politiche non sempre concordanti, ma con l’umiltà (valore sempre più raro!) che lo contraddistingue da sempre, è quello che ti chiama per telefono pronto a dirti: avevi ragione tu. Sbagliavo io. Già, perchè i veri Compagni li riconosci anche da questo. Nella capacità di saper chiedere scusa. Scusa come opportunità di crescita collettiva e solidale. Ed è stato ed è la concreta manifestazione della solidarietà. Un antiborghese per definizione, un Compagno insomma, di quelli veri e sempre più rari. Con una storia, lunga e nobile,
sempre e solo dalla parte degli ultimi. Perchè essere Compagni in definitiva è questo. Del Riccardo Orioles giornalista non parlo, perchè è risaputa la sua bravura che, se avesse voluto utilizzare, avrebbe potuto trovare cittadinanza come editorialista o direttore in uno dei più ‘blasonatì’ quotidiani italiani. Ma a lui non è mai importato diventare una firma prezzolata, per guadagnare soldi e campare bene. A lui è sempre importato star sempre dalla parte degli ultimi. Militante di Lotta Continua, nei difficili anni ‘70; amico di Peppino Impastato e Mauro Rostagno.
E poi l’incontro con Guseppe Fava, la cui lettura del romanzo ‘La Passione di Michele’ lo portò dritto, dritto a Catania, dritto, dritto da lui, fino al suo assassinio mafioso dai Cavalieri che governanavano la città e che sto gruppo di ‘carusi’ guidati da Pippo Fava per primi iniziarono a denunciare. Da quell’esperienza non smise mai di essere sempre un giornalista, ma anche educatore alla Don Milani e Pacifista combattente alla Danilo Dolci, formando intere generazioni al mestiere di giornalista e, se me lo consentite, di un giornalismo sociale, come l’antimafia di cui ha sempre
fatto parte come protagonista certo, ma stando sempre in seconda fila, costruendo coscienze e pratiche collettive, dando sempre spazio ai giovani di cui la sua casa è un continuo via vai. Che altro dirti Amico e Compagno? Che sto arrivando, come sempre a casa tua, per farci un pranzetto insieme ed ascoltare ed imparare dai tuoi aneddoti e dai tuoi ricordi, ad essere un Compagno ed un Uomo ogni giorno migliore, grazie alla tua preziosa e nobile Amicizia di cui vado e andrò sempre fiero. Evviva i tuoi primi settant’anni. Ti voglio bene! Epifanio (Fanino) Grasso
#ORIOLES70
11 MAFIOSI SCOMUNICATI
21 MARZO 2017
Il nuovo corso della Chiesa
Quando riuscimmo a mandare in “pensione” Orioles
S
Eravamo a Parigi per parlare di Pippo Fava e de I Siciliani agli studenti Da Locri arrivava la conferma ufficiale: Legge Bacchelli per Riccardo
R
icordo ancora la tua espressione quando te lo comunicai. Eravamo a Parigi e avevi appena parlato di Pippo Fava e de I Siciliani, agli studenti del Lycée Henri-IV di Parigi, in un’aula magna gremita per l’occasione, che ospitava anche la Console generale d’Italia a Parigi, Emilia Gatto. Era il 21 marzo 2017, giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie e a darne notizia fu Don Ciotti da Locri, che aveva appena ricevuto la conferma ufficiale dall’allora premier Gentiloni. In Italia era un continuo fermento: chiamate, messaggi. E tu, a due passi dal Pantheon parigino, avevi trovato il tempo di rispondere a tutte quelle persone che in qualche modo avevano contribuito alla nostra causa, chi con una firma, chi con una piccola donazione, chi con il semplice passaparola, ringraziandole nel modo in cui ti riesce meglio: scrivendo, in quel caso un post su Facebook che nel giro di
poche ore ricevette centinaia di like e commenti. Tra le righe, la speranza che i compagni che si erano trovati o ritrovati non si perdessero dopo l’esperienza di #mandiamoinpensioneOrioles. Se
tre anni dopo siamo ancora qua, io, Luca e gli altri, vuol dire che quella tua speranza non è stata vana e che il lavoro di squadra, quello che ci hai insegnato tu però, ha il potere di creare legami e amicizie che durano
nel tempo. Uniti per mandarti in “pensione” e adesso per augurarti buon compleanno. Sono sicuro che neanche stavolta ti abbiamo deluso. Danilo Daquino
A passeggio per Parigi
N
el 2017 Libera Parigi invitò Riccardo per la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Tra un incontro con gli studenti dello storico liceo Henri IV e una conferenza aperta al pubblico, la sera, organizzata nella stessa scuola, Riccardo chiese di fare una passeggiata nel centro di Parigi. Raccontava storie antiche di quando - più giovane aveva visitato la città. Davanti alla Corte d’appello di Pa-
rigi, sull’Île de la Cité, a qualche passo da Notre Dame, Riccardo ordinò a Danilo che lo accompagnava: “Presto presto, tira fuori qualche spicciolo, lo diamo a quella donna”. E indicava una donna Rom, con addosso due bambini, che chiedeva l’elemosina seduta sul marciapiede. Posò le monete davanti alla signora e dopo qualche passo continuò: “Certo, poi forse stasera ci sarà un uomo, un padre, un marito, che le prenderà i soldi e magari la picchierà...”. “E allora noi perché glieli abbiamo
dati, quei soldi?”, chiesi io. “Perché noi di questo non ne siamo sicuri”, rispose prontamente Riccardo. Credo di avere imparato qualcosa quel giorno, anche se non sono ancora certa di cosa. E quel gesto fu il primo gesto di generosità di Riccardo da pensionato. Era il 21 marzo 2017 e l’annuncio della pensione Bacchelli era infatti arrivato pochissime ore prima. La generosità di Riccardo, però, non comincia e non finisce in quella data. Ne ho fatto esperien-
za dal primo momento in cui l’ho conosciuto, per telefono un giorno di aprile 2009. Forse gliel’ho già detto, grazie Riccardo. Tutto quello che so di giornalismo lo so grazie a te, mica grazie alla scuola di giornalismo dell’Odg che ho pure frequentato. Ma mi hai soprattutto insegnato un po’ di vita. Buon compleanno Riccardo. Al prossimo mio viaggio in Sicilia brinderemo con dello Champagne (o con qualsiasi altro vino tu chieda di bere). Chiara Zappalà
ono passati settant’anni (se ci pensiamo non sono poi così tanti) da quando il decreto del Sant’Uffizio dell’1 luglio 1949 contenente la scomunica ai comunisti venne reso pubblico attraverso la stampa e l’affissione di manifesti in tutta Italia. In quell’anno Dalla Chiesa era già in Sicilia come ufficiale dei carabinieri ma il problema non era la mafia, erano i comunisti. E lo erano per la classe politica che governava ma anche per la comunità ecclesiastica. Oggi la Chiesa è sicuramente diversa, Papa Francesco forse sorride nel vedere “le sardine” che riempiono le piazze d’Europa e pone più attenzione a quei leghisti che parlano di vangelo e di cristianità che a quel che rimane dei comunisti demonizzati dall’ecclesia romana di quegli anni. Sembra passato molto più tempo dal dopoguerra ad oggi, quando veniva negata l’esistenza del fenomeno criminale organizzato e le preoccupazioni per il mondo ecclesiastico erano di reprimere le teorie socialiste e comuniste che negavano, sul piano concettuale, l’esistenza stessa della religione. Il comunismo e il socialismo divennero così nemici ideologici da combattere, contro i quali la Chiesa doveva convogliare tutte le sue forze e la sua attenzione. Il nuovo corso della Chiesa di Papa Francesco ha sgomberato il campo da ogni possibile dubbio: “i mafiosi sono scomunicati” ha detto in terra di Calabria un anno dopo la sua elezione al soglio pontificio. La beatificazione di Padre Puglisi e di Óscar Romero, poi iscritto nell’Albo dei santi, hanno tracciato la strada da seguire e fortunatamente la cronaca negli ultimissimi anni non ha fornito molti episodi di collusione tra mafia e chiesa nei territori che, con grande difficoltà ed estrema lentezza, faticano a recepire i messaggi di Francesco. L’auspicio è che la strada tracciata possa essere percorsa da tutto il popolo della Chiesa di Roma e possa ancora con più forza allontanarsi dalle sirene del denaro, del potere e della corruzione e che possa schierarsi sempre più dalla parte dei più deboli. Salvo Ognibene
A Napoli si cresce in fretta I bimbi nelle filiere del narcotraffico
L
i guardi negli occhi e quello sguardo racconta di oggi, di ieri e dell’altro ieri. Alla fine a Napoli si cresce in fretta, si continua a vivere in mezzo alla strada come avveniva negli anni del dopoguerra. È l’apprendistato, è l’educazione napoletana. È la scugnizzeria dove la modalità dell’infanzia è compattata e gli occhi imparano a vedere il buono e il malamente. In alcuni quartieri, rioni e vicoli si nasce già grandi. Un recente studio del Centro di Ricerca Res Incorrupta dell’Università Suor Orsola Benincasa commissionato dalla Commissione Parlamentare Antimafia
sui minorenni sottoposti alla messa alla prova dopo aver commesso reati ‘in odore di camorra’ tornano a delinquere da maggiorenni nel 41% dei casi rispetto ad una recidiva ‘nazionale’ del 22% sul totale dei reati. Cifre agghiaccianti che tratteggiano e illustrano come il sistema camorristico influenzi negativamente la ‘redenzione’ dei minori napoletani. I minori sono merce prelibata. Le organizzazioni criminali di stampo mafioso li adoperano nella catena dello spaccio di droga, li utilizzano come custodi di armi da fuoco oppure li impiegano per rapine, estorsioni e anche i più talentuosi e spie-
tati per comettere omicidi. Dati che non dovrebbero far dormire la notte, in sintesi gli strumenti messi in campo dallo Stato non recuperano, non rieducano e non incidono sulla vita dei giovani detenuti. In pratica sono bambini, ragazzini, giovani che hanno fatto una scelta di vita: stare con la camorra e sostenere la sua ideologia. Una sconfitta che fa riflettere e dovrebbe indurre a cambiare marcia. Basta adottare un approccio turistico e girare per le strade della città, aguzzare la vista e le orecchie e assistere alla ‘normali’ scene che offre la metropoli all’ombra del Vesuvio. Ti ritrovi in una macchina
del tempo impazzita. Passi da un marciapiede all’altro e avverti un salto del tempo. Ti ritrovi nel terziario avanzato con uffici, manager e grandi attività commerciali, i palazzi nobili e borghesi, poi volti l’angolo e sei di fronte al vicolo buio con le abitazioni fronte strada con scooter parcheggiato nella verandina abusiva che ha incamerato un pezzo di strada pubblica. Neppure a meravigliarti che è un giorno normale e sono da poco passate le 11 e noti che
le viuzze sono affollate di bambini: non dovrebbero andare a scuola? L’altro dato imbarazzante: il sottrarsi all’obbligo di legge di frequentare la scuola. Sono trascorsi appena due anni dal clamoroso blitz del Pallonetto di Santa Lucia a pochi metri dai palazzi storici della Riviera di Chiaia, a due passi dal Lungomare e dal Borgo Marinari. Qui i bambini erano stabilmente inseriti nella filiera criminale del narcotraffico. Arnaldo Capezzuto
12
#ORIOLES70
Diritti, giustizia sociale e libertà “La rivoluzione d’ottobre” in Iraq
C
aro Riccardo, dovresti vederli questi ragazzi e ragazze che credono che un altro Iraq sia possibile. Hanno il cellulare in una mano e la bandiera irachena nell’altra. Sono sciiti, sunniti, curdi. Musulmani, cristiani e atei. Sono tutti insieme in piazza Tahrir, in piazza della liberazione, accampati con tende e materassini, giorno e notte. Nonostante la durissima repressione, la protesta coraggiosa e creativa delle giovani generazioni non si ferma. I muri si colorano di graffiti e le azioni di disobbedienza civile e nonviolenta si moltiplicano. Questi giovani si sono ripresi gli spazi pubblici, hanno occupato i giardini, i parchi e le strade. Puliscono e dipingono. Chiedono diritti e giustizia sociale. Vogliono un Iraq diverso, libero dal
petrolio, dalle multinazionali e dalle milizie. Lo sai Riccardo, questa è una storia che vale la pena raccontare. Non troverà spazio nei giornali e nelle televisioni, troppo spesso abituati a raccontare solo “la morte che balla sull’erba dei giardini”. Ma questa piazza è la più bella espressione di un movimento globale che parte dal Cile e arriva fino a Honk Kong, attraversa il Libano e l’Iran. Questa è la storia che fa la storia. Laddove il neoliberismo e il capitalismo selvaggio hanno attecchito con tutta la loro violenza, privando i cittadini del diritto alla salute, del diritto all’acqua, del diritto alla scuola pubblica, del diritto al lavoro, ecco che i giovanissimi si riprendono quei diritti e si immaginano un mondo diverso. Sai cosa mi ha detto uno di
loro? “Facciamo parte di una lotta internazionale per un futuro diverso. Il cambiamento climatico non è una questione ambientale. È una questione politica, economica e sociale”. Ecco la storia che fa la storia. Queste piazze andrebbero lette con un’altra lente, con un’altra visione di mondo. Un mondo che vuole diritti, giustizia sociale e un altro sistema economico. Non più basato sull’accumulazione del profitto a scapito di persone e ambiente. Ma un mondo dove al centro ci sono diritti e ambiente. Qualcuno dirà di no, storcerà il naso e utilizzerà la solita strategia della tensione per silenziare e spaventare. Poco importa. La rivoluzione inizia con le idee. E con le idee si fa la storia. Sara Manisera
Qalqilya, città in gabbia dove l’orizzonte è proibito
A
Qalqilya c’è il mare e non si può andare al mare. A dire il vero non lo si può nemmeno vedere. Si trova in Cisgiordania a 12 chilometri dalla costa ma Israele le ha costruito tutto attorno un muro. I militari osservano dall’alto delle torri di controllo i movimenti di chi si avvicina, anche quelli di un bambino che giocando fa finire il pallone ‘troppo’ più in là, e sparano a chiunque provi a oltrepassarlo. Alla città resta un’unica porta di ingresso e d’uscita
Cisgiordania, all’ora di pranzo si respira quel caldo che rende bella la Sicilia d’estate (la stessa) che la collega a Ramallah, Nablus e i villaggi confinanti. Sessantamila abitanti in 25 km² circondati da un cancello di cemento e filo spinato. L’orizzonte non si vede, è proibito. Ci sono i gonfiabili, i palloncini, i carretti con le caramelle e la frutta secca. All’ora di pranzo si respira quel caldo secco che rende bella la Sicilia d’estate. Quello di quando sali dalla spiaggia ancora bagnato dall’ultimo tuffo e fresco di doccia ti accomodi a tavola, sapendo che
dopo aver mangiato ti aspetta il riposo pomeridiano cullato dal ricordo delle onde. Fino alle 18, perchè poi ricomincia a soffiare il vento. Accarezza e appiccica la pelle. La brezza soffia mattina e sera. Eccome se soffia. Fa sventolare le bandierine colorate che abbelliscono le vie del centro, passa sulla frutta e verdura del mercato scoperto, vicino alla palazzina che ospita gli uffici comunali. Gli anziani alzano una mano al cielo e afferrano ciuffi d’aria. Poi portano il pugno chiuso al volto, lo
aprono quanto più lentamente possibile e respirano: è il vento marino. Sa di salsedine. Gli occhi si riempiono di blu. C’è anche uno zoo a Qalqilya. E’ l’unico della West Bank e per i palestinesi costituisce la sola occasione per conoscere specie diverse. Pulito, ordinato, con delle didascalie ben fatte ma tremendo, come lo è ogni zoo del mondo. Solo che qui la maggior parte degli animali è impagliata. Durante la seconda Intifada l’esercito fece irruzione avvelenando
CATANIA
Il potere? Va esibito e condiviso Niko, Luca e Mario lo sanno bene I giovani vogliono prendersi la città e i vecchi non vogliono stare in panchina
L
o chiamano il leone di Cibali mica per niente. È abituato a vivere in un ambiente arido, circondato da un gruppo in cui non è facile emergere. Perché non basta essere il nipote del capoclan, tatuarsi l’amore per lui sulla pelle, se poi non dimostri lo stesso carisma, la testa fine per la strategia. Niko ci ha provato, a modo suo. All’ultimo arresto ha alzato la posta: la casa dove scontava i domiciliari era diventata il santuario della Catania della movida, la tappa fissa dei giovani all’uscita dai locali. Il cornetto all’alba non è più di moda, la droga comprata dal cantante neomelodico ha tutto un altro gusto. Niko dal quartiere, con milioni di visualizzazioni su Youtube e serate in tutta Italia, è un vip accessibile. Questa cosa degli zaurdi che piacciono anche al corso Italia Luca non l’ha capita bene, ma sa che gli torna
utile. Anche lui è giovane, almeno per essere stato il più votato alle recenti elezioni. Ha studiato, si è messo da parte una bella professione, di quelle in cui si fanno i soldi, non si sa mai il suo piano dovesse fallire. Ma Luca non può fallire, perché lui ha studiato e sa una cosa: in una città patria di centri commerciali e start up, il progresso va dominato. Senza bisogno di inventarsi niente di nuovo. Semmai imparando la lezione degli antichi: cambiare tutto per non cambiare niente. Ed ecco il piano: giovane, riformista, politicamente fluido come piace oggi, da un lato; militare, generoso e furbo nella ricerca del consenso, dall’altro. Quello di Niko e Luca è un potere esibito, condiviso con le folle. E questo non se lo spiega Mario, che di anni ne ha parecchi di più sulle spalle. Ultimamente l’età si vede tutta e c’è persino chi dice che ormai
si sia rincoglionito. Che non riesce più a stare al passo. Dal suo impero, in effetti, si alza qualche colonna di fumo. Le sue televisioni sono andate, il giornale la fa meno da padrone – ma ancora regge, questo sì - dopo decenni di predominio. Se oggi Mario compra una campagna a due spiccioli rischia di non fare in tempo a vedere la variante che la trasformerà in terreno fertile per milioni di euro. Gli hanno trovato persino i soldi all’estero, quelli che ogni buon padre mette da parte per il futuro dei propri figli. Specie se i figli non è chiaro se siano in grado di reggere il timone. E poi ci sono le carte, gli avvocati, le udienze. Non se ne farà niente, ma per Mario è una scocciatura stare in panchina mentre vede i giovani prendersi la città violando la prima regola: solo l’Etna può attirare l’attenzione. Claudia Campese
l’aria con potentissimi lacrimogeni. I gas uccisero decine e decine di bestie, tra cui un esemplare maschio di giraffa. La sua compagna si lasciò morire per il dolore in meno di una settimana: aveva da poco partorito un cucciolo. I tre corpi, mummificati, sono oggi conservati in un’ala del bioparco trasformata dal custode in museo, simbolo della Palestina in gabbia. Che non può nuotare, viaggiare, giocare a palla, spostarsi liberamente. Ester Castano
#ORIOLES70
13
Radici di Riccardo Una poesia grafica A cura di Brunella Lottero
IL PONTE
DEFINIZIONE
Dalla Nonciclopedia
Come unire anime, persone e luoghi
“S
ara mi raccomando quando finisci di traghettare e scendi a Messina, da lì puoi prendere il bus per Milazzo... mi senti, pronto Sara? Prendi il bus che si ferma a pochi metri da casa mia”... Tutte le volte in cui faccio le mie traversate per raggiungere la Sicilia, accade spesso che scappi una telefonata con Riccardo, sarà perché fisicamente mi trovo vicina a Milazzo ed è come se nel mio immaginario il mio pensiero riuscisse a raggiungerlo con più facilità. Accade, tutte le volte, che io non riesca a prendere quel maledetto bus. Accade che io non riesca a prenderlo neppure oggi, per il suo compleanno. E allora questo ponte, questo mezzo, per arrivare a Milazzo lo disegno su un foglio con delle parole, che è quello che mi ha insegnato a fare Riccardo. Un ponte che da anni ormai unisce luoghi diversi ed estremi dello stivale, un ponte che mi ha insegnato a sentirmi non soltanto “siciliana” ma una “siciliana giovane”. Mi ha insegnato che potevo portare le mia esperienza e la mia sensibilità in una terra bellissima come l’Emilia-Romagna, negli anni in cui la famosa linea Gotica veniva oltrepassata dalle mafie, spingendomi a scriverne e a raccontarne anche in maniera maldestra, ma pur sempre autentica. È questo il merito di quei piccoli occhialini e quel viso arruffato sopra un pipa. Aver avuto la capacità di unire persone e luoghi, anime e territori, oltre ad averci insegnato l’arte della speranza, quella inarrestabile e fiera. Grazie Riccardo e Buon compleanno. Sara Spartà
Questa pagina attende qualcuno che non abbia paura di farsi pubblicità su un giornale antimafioso
R
iccardo Orioles è nato in un luogo imprecisato da una relazione segreta tra Johannes Gutenberg e Anna Kuliscioff. In tenera età frequentava l’officina del padre e appena questi si distraeva riposizionava i tipi della macchina da stampa. Per questa ragione alcune delle prime copie della Bibbia contengono estratti dei pensieri di Mao. Andava a citofonare nelle case dei testimoni di Geova tutte le domeniche all’alba. Presi per sfiancamento, i testimoni cedettero al giovane Orioles il primo sistema editoriale multilingua con cui stampavano la Torre di Guardia in tutto il mondo. Riccardo ottenne così uno strumento per pubblicare il quotidiano Lotta Continua anche dopo la sua chiusura. In cambio i testimoni poterono dormire un’ora in più. In età matura fondò la Rete con Leoluca Orlando, Tim Berners-Lee e un pescatore di Milazzo. La diversa valenza che i quattro fondatori davano allo strumento li portò a insanabili scissioni. Dopo innumerevoli attività editoriali e di formazione, Orioles col cavolo che si è messo a riposo. È pronto a telefonarvi a qualsiasi ora per attivarvi e organizzare la diffusione del giornale. Tenete il cellulare spento almeno la domenica mattina se siete nella sua rubrica. Lucio Tomarchio
14
I Siciliani Giuseppe Fava, Elena Brancati, Cettina Centamore, Claudio Fava, Miki Gambino, Sebastiano Gulisano, Rosario Lanza, Riccardo Orioles, Graziella Proto, Giovanna Quasimodo, Antonio Roccuzzo, Fabio Tracuzzi, Lillo Venezia, Giusi Spampinato, Turi Magri (“Turi fotografo”), Santo Cultrera, Guglielmo Garilli, Ninni Mosca, Eliana Rasera, Ornella Gusella, Giovanni Caruso, Ascenzio Albanese, Gianni Allegra, Letizia Battaglia, Patricia Cammarata, Giovanni Caruso, Carmelo Leonardi, Cono Fazio, Nanni Majone, Bruno Marchese, Santi Bonaccorsi, Tano D’AmicoFranco Cazzola, Nando dalla Chiesa, Elio Camilleri, Peppone D’Arrigo, Giuseppe D’Urso, Nino De Cristoforo, Marina Di Mauro, “Castoro” Di Stefano, Margherita Cuscunà, Alfredo Galasso, Gabriele Centineo, Gaetano Lipranti, Perla Mirasole, Aurelio Grimaldi, Nino Recupero, Luigi Prestinenza, Nello Pappalardo, Salvatore Resca, Giampaolo Riatti, Toto Roccuzzo, Carlo Roccuzzo, Giusi Roccuzzo, Giambattista Scidà, Renato Scifo, Pippo Sparatore, Pippo Teri, Pippo Sparatore, Perla Mirasole, Raimondo Catanzaro, Alessandro Adorno, Massimo Arcidiacono, Rosalba Cannavò, Gino Caruso, Piero Cimaglia, Antonio Cimino, Fabio Passiglia, Sergio Fanara, Dante Cristina, Goffredo D’Antona, Fabio D’Urso, Carmen De Stefano, Massimo Arcidiacono, Maurizio Parisi, Angelo Di Giorgio, Gianfranco Faillaci, Nuccio Fazio, Francesco Fazio, Salvo Ferrara, Concetto Ferrarotto, Fabio Filoramo, Antonella Consoli, Carmen Greco, Renata Grillo, Walter Lo Faro, Turi Magri, Sabina Longhitano, Antonella Mascali, Luciano Mirone, Aurora Noe, Antonio Pappalardo, Maurizio Parisi, Andrea Pennisi, Pippo Pollina, Carmen Greco, Edoardo Privitera, Riccardo Bruno, Ester Saitta, Antonio Scuderi, Giusi Spampinato, Fabio Tudisco, Vincenzo Adornetto, Patrizio Agosta, Rosalia Arra, Alice Avila, Adelaide Barbagallo, Duccio Battiato, Riccardo Bruno, Marco Carruba, Caterina Carta, Marzia Cavallaro, Giuseppe Chisari, Massimo Cirolli, Caterina Coppola, Simone Di Franco, Giuseppe Di Grazia, Alessandra Di Pietro, Rosalba Cannavò, Rosanna Fiume, Salvo Ferrara, Sergio Fanara, Gino Caruso, Goffredo D’Antona, Luciano Mirone, Massimo Malerba, Marzia Finocchiaro, Pino Finocchiaro, Rosanna Fiume, Claudio Floresta, Elvira Fusto, Fabio Gallina, Rosalba Gianino, Giuseppe Giustolisi, Gianfranco Lena, Leonella Manti, Vanessa Marchese, Franco Marineo, Antonella Mascali, Alessio Miraglia, Cristina Oppinger, Ilenia Pietracalvino, Francesco Pignatone, Titta Prato, Leonella Manti, Valentina Romano, Riccardo Santonocito, Lucio Tomarchio, Amalia Bruno, Angela Locanto, Carmine Mancuso, Angelo Di Giorgio, Anna Reintsch, Annalisa Izzo, Antonello Oliva, Antonino Caponnetto, Antonio Aiese, Antonio Biasucci, Antonio Borelli, Antonio Castagna, Antonio Pappalardo, Antonio Pioletti, Aurora Noe, Bianca Madeccia, Bruna Nicolamme, Carlo Battiato, Carlo Drago, Carlo Palermo, Carmelo Leonardi, Carmelo Timpanaro, Carmen Greco, Carmine Mancuso, Claudio Fracassi, Gianandrea Turi, Silverio Novelli, Paolo Petrucci, Laura Cortina, Tiziana Ricci, Giulia Salvagni, Francesca Ferrucci, Marco D’Auria, Claudio Fabretti, Franco Fracassi, Bianca Madeccia, Stefania Marra, Edgardo Pellegrini, Ernesto Balducci, Simona Baccante, Andrea Badiali, Stefano Badiali, Daniel Bazzi, Renato Galasso, Marco Giannini, Tiziana Quattrucci, Adriana Ranieri, Lello Fratangelo, Diego Novelli, Piergiorgio Maoloni, notaio Mariconda, Annibale Paloscia, Sergio Turone, Piero Pratesi, Adele Adeni, Antonella Cantoni, Franco Carra, Licia D’Amico, Miria Fracassi, Lia Lanza, Marina Lombardi, Massimiliano Luchetti, Luana Mercuri, Mirella Montesi, Bruna Nicolamme, Giuseppe Gnasso, Raffaele Fratangelo, Gabrieella Urbani, Lia Lanza, Maria Cuffaro, Marco Gramigna, Marco Scalia, Maurizio Vitale (“Jack Daniel”),
#ORIOLES70
7
Marco D’Auria, Simona Baccante, Rossana Pallocca, Massimiliano Quinzi, Giovanni Benzoni, Salvatore Scaglione, Adolfo Chiesa, Valerio Calzolaio, Luigi Cancrini, Lia Celi, Callisto Cosulich, Franco Danieli, Laura Pellegrini (“Elle Kappa”), Ellekappa, Fabio Ferri, Dino Frisullo, Fabrizio Giovenale, Elio Lannutti, Silvia Longo, Lucio Manisco, Lidia Menapace, Gabriella Mangia, Magda Monti, Ennio Peres, Marina Pivetta, Piero Pratesi, Dariush Radpur, Gian Pietro Testa, Adrana Zarri, Carlo Drago, Fabriano Scaia, Angelo Libutti, Alessio Garbati -, Alessia Sernicola, Daniela Parrinello, Cecilia RM, Francesco Feola, Luca Rossomando, Marco Quaranta, Robertino Cavagnano, Lorenzo Rumori, Elena DiMartino -, MaurDiProspero, RobCavagnano, Maura Iannaccone, Eleonora Faggiano, Nicola Centoducati BA, Franco Marineo PA, Lucio Tomarchio CT, Dino Briglio CZ, Caterina Coppola - EN, Claudia Silvestro MI, Fabio Fimiani -, Sergio -NA, Maurizio Pittau NU, Giusi Imborgia PA, Gianfranco Lena PA, Tommaso Ispica, Annalisa Izzo - PI, Rocco Lentini RC, Yuri Bossuto TO, Erica Schler TS, Francesco Zornio UD, Claudia Artusi VE, Michele Di Gregorio, Simone, Vinicio DeFelice -, Giorgio Contessi BG, Tania, Francesco, Paola, Antonio Castagna, Roberto Angotti, Simona Luardo, Tommaso Cumbo, Barberto Amodeo, Rosanna Cataldo, Rossella, Fabio, Pietro, Matteo, Sara Foi, Francesca Mollo, Giuditta, Massimiliano Smeriglio, Luca Nobile, Alessandra, Cristina Babetti, Gianni Jannettone, Cinzia Cherubini, Antonio Maffei, Sergio Failla, Rocco Rossitto, Gabriele Asbesto, Giorgio Costanzo--, Paola Ungheri, Otello Urso, Antonio Musco, Gianluca Ferro, GiacImpellizzeri, Marco Benanti -, Caterina Coppola, Antonello Mangano, Marco Schiavone, Luca Salici, Cosimo Scordato, Dario Montana, Dario Russo, Davide Camarrone, Diego Gutkowski, Dino Frisullo, Dora Coco, Elena Fava, Elio Lannutti, Elio Maccagnano, Elio Tocco, Ennio Pintacuda, Enrico Fierro, Enrico Maccarrone, Enzo Guidotto, Erasmo De Poli, Ettore Martinez, Fabio Gallina, Filippo Rizzo, Filippo Viola, Fortunato Grosso, Francesco Basilico’, Franco Danieli, Franco Fortini, Franco Mistretta, Gaspare Nuccio, Gianfranco Lena, Gianni Barbacetto, Gianni Minà, Gigi Savoca, Gioacchino Borruso, Giobatta Canepa, Gioli’ Vindigni, Giulia Cordova, Giulia Salvagni, Giulio Bernini, Giuseppe Carlo Marino, Giuseppe De Lutiis, Giuseppe Di Lello, Giuseppe Mondì, Giuseppe Onufrio, Giuseppe Ramires, Giusi Imborgia, Giusi Messineo, Ileana Capocanale, Leonardo Giuliano, Leonella Manti, Letizia Battaglia, Li-
AU
I R GU
dia Menapace, Lillo Venezia, Luca Orlando, Luca Rossomando, Luciano Violante, Lucio Manisco, Luigi Ciotti, Marcello Immordino, Marco Ficarra, Maresa Alaimo, Maria Fais, Mariano Sciacca, Marina Di Mauro, Marina Lombardi, Massimiliano Luchetti, Massimiliano Piccolo, Massimo Cipolla, Massimo Papa, Matteo Moraci, Maura Iannaccone, Mauro Di Prospero, Michele Carlino, Michele Di Gregorio, Michele Pantaleone, Mimmo Favuzzi, Mirella Converso, Mirella Montesi, Miriam Massari, Mirko Baldoni, Nando Calaciura, Nicola Centoducati, Nicola Lombardozzi, Nicola Torre, Niki Vendola, Nino Alongi, Nino De Cristoforo, Nino Di Cara, Nino Fasullo, Nino Lo Bello, Nino Rocca, Nino Spitalieri, Nino Tilotta, Nunzia Agostini, Orazio Carnazza, Orazio Torrisi, Ornella Gusella, Paolo Cirelli, Paolo Fior, Paolo Turturru, Peppe Sini, Peppuccio Pitrone, Piero Duplicato, Pietro Gigli, Pietro Mennea, Pino Toro, Pippo Gambino, Pippo Russo, Renata Grillo, Renato Camarda, Renato Campisi, Renzo Di Mauro, Rino Picciolo, Rocco Lentini, Rosalba Gianino, Rosalba Sanfilippo, Rosalia Arra, Rosanna Cullè, Rosaria Schifano, Rosario Lanza, Rosi Percolla, Rossana Pallocca, Sabina Longhitano, Salvatore Giardina, Salvatore La Malfa, Salvatore Resca, Salvino Paci, Salvo Baccio, Salvo Cacciola, Salvo Consoli, Santi Bonfiglio, Sarina Ingrassia, Saveria Antiochia, Saverio Lodato, Saverio Montalbano, Sergio Gessi, Sergio Turone, Sergio Zani, Silverio Novelli, Silvestro Montanaro, Silvia Longo, Simona dalla Chiesa, Stefano Rodota’, Tindaro La Rosa, Tiziana Ricci, Umberto Gai, Umberto Santino, Vanni Stagno, Vasco Giannotti, Victor Matteucci, Vincino Gallo, Virginia Dessy, Vito Mercadante, Vittorio Corona, Vittorio LoGiudice, Vittorio Pezzino, Vittorio Sindoni, Walter Ghetti, Antonella Serafini, Giulio Bernini, Mauro Biani, Angela Galasso, Davide Loepp, PierGiorgio Maoloni, Giancarlo Mola, Enzo Vitagliano, Dacia Valent, Rudy Colongo, Roberto Angotti, Luca Ascani, Anita Cellurale, Roberto Crea, Aurora Noe, Luca Nobile, Andrea Scrosati, Alberto Tidei, Sergio Turone, Filippo Viola, Rita Montagnana, Dacia Valent, Rudi Colongo, Enrico Natoli, Carlo Gubitosa, Vincenzo Consolo, Fabio Fimiani, Paolo Fior, Umberto Gay, Carlo Gubitosa, Paolo Guerra troilo, Alfonso Navarra, Elisabetta Pavanel, Antonio Scuderi, Pippo Teri, proto Ajello, Donatella Antonini, Maria Citelli, Daniela Danna, Franco Di Maggio, Lorenzo Frigerio, Gigi Malabarba, Salvo Mizzi, Luciana Murru, Giulio Obici, Guido Pollice, Corrado Stajano, Luca Telese, Paolo Baruffa, Mirta Da Pra, Enzo
Guidotto, Paola Lucchesi, Carlo Palermo, Tina Anselmi, Cristina Babetto, Felice Casson, Alex Zanotelli, Daniele Barbieri, Giancarla Codrignani, Beppe De Sanctis, Libero Mancuso, Silvana Piccinini, Antonella Giunta, Annalisa Izzo, Filippo Rizzo, Cinzia Bibolotti fdm, Nino Caponnetto segr, Federico Fubini, Pierluigi Vigna, Lorenzo Baldo, Giorgio Bongiovanni, Giampaolo Milzi, Victor Matteucci, Giuseppe Di Lello, Paola Troiano, Paolo Cirelli, Eva Cafiero, Rosaria Sacco, Nando Sigona, Oreste Brondo, Andrea Cinquegrani, Marco Ciriello, Roberto Saviano, Antonio Aiese, Enrico Fierro, Goffredo Fofi, Silvestro Montanaro, Renata Pepicelli, Nando Benigni, Giancarlo Mola, Alessandro Marescotti, Giovanni Pugliese, Nicola Centoducati, Niki Vendola, Franco Sernia, Michele Carlino, Alessandro Gozzuti, Angelo Libutti, Adriana Ranieri, Alberto Ruggieri, Pietro Gigli, Stefano Montesi, Tonino Guenci, Enrico Natoli, Paola Lucchesi, Dario Morgante, Claudio Parentela, Dario Morgante, Mariano Benni, Fracesco Castracane, Roberto Di Nunzio, Simone Spina, Giovanni Abbagnato, Marco Pomar, Massimiliano Coccia, Alessandro Gagliardo, Giuseppe Spina, Tito Gandini, Dino Giarrusso, Linda Pettinato, Giovanni Abbagnato, Francesco Appari, Gaetano Alessi, Lorenzo Baldo, Antonella Beccaria, Valerio Berra, Nando Benigno, Mauro Biani, Lello Bonaccorso, Anna Bucca, Daniela Calcaterra, Elio Camilleri, Giovanni Caruso, Gian Carlo Caselli, Giulio Cavalli, Arnaldo Capezzuto, Ester Castano, Carmelo Catania, Antonio Cimino, Giancarla Codrignani, Giuseppe Cugnata, Tano D’Amico, Fabio D’Urso, Nando dalla Chiesa, Jack Daniel, Riccardo De Gennaro, Alessio Di Florio, Pierpaolo Farina, Francesco Feola, Norma Ferrara, Pino Finocchiaro, Enrica Frasca, Rino Giacalone, Marcella Giammusso, Daniela Giuffrida, Valeria Grimaldi, Carlo Gubitosa, Sebastiano Gulisano, Matteo Iannitti, Alberto Incarbone, Sabina Longhitano, Michela Mancini, Sara Manisera, Antonio Mazzeo, Martina Mazzeo, Emanuele Midoli, Luciano Mirone, Pino Maniaci, Loris Mazzetti, Francesco Nicosia, Attilio Occhipinti, Salvo Ognibene, Antonello Oliva, Simone Olivelli, Riccardo Orioles, Maurizio Parisi, Giulio Petrelli, Aaron Pettinari, Giuseppe Pipitone, Antonio Roccuzzo, Alessandro Romeo, Roberto Rossi, Luca Rossomando, Marco Salfi, Daniela Sammito, Ivana Sciacca, Mario Spada, Sara Spartà, Giuseppe Spina, Domenico Stimolo, Pippo Teri, Lillo Venezia, Fabio Vita, Salvo Vitale, Patrick Wild, Chiara Zappalà, Andrea Zolea. E tantissimi altri...