In una NOTTE
ECLISSE
AVVENTURA
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l’ ECLISSE
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di un’ AVVENTURA
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u u u LA NOTTE u u u VALENTINA u u u BACKSTAGE u u u DIECI DOMANDE u u u L’ECLISSE u u u L’AVVENTURA u u u Caro Antonioni - Roland Barthes Location: VILLA PISANI Clothes: NEO VINTAGE 6 - 19
Riflessioni sull’attore - da «L’Europa Cinematografica, luglio-agosto 1961 Clothes: C’era una Volta M2 Model: Camilla Style by: Roberta Gianfranceschi 20 - 23
Fotografie di scena 1959 - 1964 24 - 25
Conferenza stampa della presentazione di Cronaca di un amore, Parigi 1985 26 - 27
Il «Fatto» e l’Immagine Location: Ravegnani 8 / Rimini Style by: Giovanna Civerchia 28 - 35
Prefazione a sei film 36 - 47
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LA NOTTE Location VILLA PISANI
Clothes NEO VINTAGE
SE STASERA HO VOGLIA DI MORIRE E’ PERCHE’ NON TI AMO PIU’. SONO DISPERATA PER QUESTO. VORREI ESSERE GIA’ VECCHIA PER AVERTI DEDICATO TUTTA LA MIA VITA. VORREI NON ESISTERE PIU’, PERCHE’ NON POSSO PIU’ AMARTI.
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«Antonioni fa parte della ristrettissima schiera di cineasti poeti che si creano il proprio mondo, i suoi grandi film non solo non invecchiano ma col tempo si riscaldano» Nella sua tipologia, Nietzsche distingue due figure: il prete e l’artista. Di preti, ne abbiamo oggi da vendere; di tutte le religioni e anche senza religione; ma di artisti? Vorrei, caro Antonioni, che tu mi prestassi per un attimo qualche tratto della tua opera per permettermi di fissare le tre forze, o, se preferisci, le tre virtù che ai miei occhi costituiscono l’artista. Le dico subito: la vigilanza, la saggezza e la più paradossale di tutte, la fragilità. Contrariamente al prete, l’artista ammira e si stupisce; il suo sguardo può essere critico, ma non è accusatore: l’artista non conosce risentimento. Proprio perché tu sei un artista la tua opera è aperta al Moderno. Molti prendono il Moderno come una bandiera di combattimento levata contro il vecchio mondo, i suoi valori compromessi; ma per te, non è il termine statico di una facile opposizione; anzi il contrario, il Moderno è la difficoltà attiva di seguire il mutare del Tempo, non più solamente a livello della grande Storia, ma all’interno di quella piccola Storia di cui è misura l’esistenza di ciascuno di noi. Cominciata all’indomani dell’ultima guerra, la tua opera si è così rivolta, di momento in momento, secondo un doppio movimento di vigilanza, al mondo contemporaneo e a te stesso; ognuno dei tuoi film è stato, a livello personale un’esperienza storica, l’abbandono cioè di un problema vecchio e la formulazione di una domanda nuova; il che significa che tu hai vissuto e trattato la storia di questi ultimi trent’anni con sottigliezza, non come la materia di un riflesso artistico o di un impegno ideologico, ma come una sostanza di cui tu dovevi captare, di opera in opera, il magnetismo. Per te il contenuto e la forma sono storici allo stesso modo; i drammi, come tu hai detto, sono indifferentemente psicologici e plastici. Il sociale, il narrativo, il nevrotico, non sono che livelli, pertinenze, come si dice in linguistica, del mondo totale, che è l’oggetto di ogni artista: c’è una successione, non una gerarchia degli interessi. Per essere precisi, contrariamente al filosofo, l’artista non evolve; come uno strumento molto sensibile, egli percorre le successioni del Nuovo
che la propria storia gli presenta: la sua opera non è un riflesso fisso, ma una moire su cui passano, secondo l’inclinazione dello sguardo e le sollecitazioni del tempo, le figure del Sociale o del Passionale, e quelle delle innovazioni formali, dal modulo narrativo all’impiego del Colore. La tua inquietudine per l’epoca non è quella dello storico, del politico o del moralista, ma piuttosto quella dell’utopista che cerca di scorgere su punti precisi il mondo nuovo, poiché ha voglia di quel mondo e vuole già farne parte. La vigilanza dell’artista, che è la tua, è una vigilanza amorosa, una vigilanza del desiderio. Chiamo saggezza dell’artista non una virtù antica, ancor meno un discorso mediocre, ma, al contrario, quel sapere morale, quell’acutezza di discernimento che gli permette di non confondere mai il senso e la verità. Quanti crimini l’umanità non ha commesso in nome della Verità! Eppure tale novità non è mai stata che un senso. Quante guerre, repressioni, terrori, genocidi, per il trionfo di un senso! Lui, l’artista, sa che il senso di una cosa non è la sua verità; questo sapere è una saggezza, una saggezza folle, si potrebbe dire, che trae il sapere dalla comunità, dal branco dei fanatici e degli arroganti. Non tutti gli artisti, tuttavia, hanno questa saggezza; alcuni ipostatizzano il senso. Tale operazione terroristica generalmente si chiama realismo. Così quando dichiari (in un’intervista con Godard): “Provo il bisogno di esprimere la realtà in termini che non siano affatto realistici”, tu testimoni una corretta percezione del senso: non lo imponi, ma non lo abolisci. Tale dialettica conferisce ai tuoi film (uso ancora lo stesso termine) una grande sottigliezza: la tua arte consiste nel lasciare la strada del senso sempre aperta, e come indecisa, per scrupolo. È proprio in questo che tu assolvi il compito dell’artista di cui il nostro tempo ha bisogno: né dogmatico, né insignificante» Caro Antonioni… di Roland Barthes - Febbraio 1980
J’ais cherché les plus belles pour vous
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VALENTINA Style by Roberta Gianfranceschi
Model Camilla
Clothes C’era una Volta M2
NON SONO IL MIO FORTE LE CONFESSIONI. MI DOMANDO COSA SIA IL MIO FORTE? L’AMORE NO. I VIZI NEMMENO. SONO PIENA DI VIZI, MA SENZA PRATICARNE NESSUNO. NON MI PIACE NEANCHE IL WHISKY.
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«IL BOSCO BIANCO»
Fa molto freddo. Lo so, lo vedo negli altri. Il gelo mi entrerebbe nelle ossa se lo lasciassi passare, cioè mi distraessi. Ma ho troppo da fare. Non è che abbia cose precise da fare, anzi non faccio assolutamente nulla, ossia chi mi vede la penserebbe certamente così. Ma non è vero. Sto osservando il bosco che a poco a poco diventa bianco. Ho anche altre occupazioni pratiche di poco conto, come controllare che tutti svolgano le proprie mansioni, indicare agli imbianchini i punti del sottobosco e le cime di pini ancora verdi, lo sanno che non voglio macchie scure ma qualcuna sfugge sempre, e se tingere un cespuglio è semplice, la cima di un Pinus Pinea altro 40 metri, che da terra sembra un o spicchio limitato di verde, come la vede l'imbianchino non si finisce mai di imbiancare. L'uomo si sporge più che può sulla scala che oscilla paurosamente e io trattengo il fiato perché è per me che quell'uomo è in pericolo e per quanto non sembri non sono insensibile a queste cose. Ma oltre a queste che sono occupazioni spicciole, ce ne è un'altra che mi riempie completamente, ed è appunto guardare il bosco cambiar colore. Nel buio, o meglio alla luce dei proiettori, cerco di capire come saranno domani questi alberi bianchi, anzi grigiastri, contro il cielo grigio (uno strato di nubi lo copre da una settimana), vicino al cemento della fabbrica, alle sue torri. Siccome questo interrogativo non può' avere per ora che una risposta intuitiva, essendo notte, cosi io continuo a pormelo sempre più insistentemente. Per essere sincero ho cominciato poco fa a formularlo. Quando dissi che volevo il bosco bianco l'interrogativo non c'era, la frase mi usci spontanea suggerita da un'immagine che mi baleno' in testa. Neanche l'ombra di un dubbio. Nemmeno quando appena detto che il bosco doveva essere bianco, constatai che mi guardavano come se avessero sentito nominare per la prima volta questo colore. se il bianco è un colore. E subito vollero sapere perché, come se fosse bastato
cambiarlo, il colore, per averli consenzienti, come se col rosso col blu col giallo, che sono forse ancora per poco - i tre colori fondamentali della scala cromatica, quell'interrogativo non avesse più' ragione di esistere. Non mi sono mai piaciute le domande quando sono rivolte a me, perché implicano un senso ben determinato e costringono a mettersi al livello del raziocinio, mentre invece quando lavoro io sono sempre a un livello inferiore. E così mi accade che le domande siano puri suoni, privi di significato. Sono i momenti in cui più' mi sento animale cioè mi guardano come lo fossi, e forse lo sono veramente. Questo stato ha anche i suoi vantaggi, devo ammetterlo, perché si viene lasciati in pace. Ma non è il caso di questa notte. Chiunque passi di qui, attirato dalla luce, dal rumore, dalla nuovola bianca o da non so che, perché le cose che incuriosiscono non sono quasi mai le stesse per tutti, questa volta si mette in fila con gli altri, quanto a curiosità, e domanda: perché bianchi? Guarda anche, è vero, tutti quegli operai che manovrano un enorme pompa montata su di un camion che produce, come dicevo, una gran nuvola bianca, oppure salgono su scale altissime che si perdono nel buio o sostano proiettori e gruppi elettronici o riempiono bidoni di tinta o bruciano l'erba del prato, che non deve essere bianca, questa, ma scura, la bruciano con delle pompe a mano che lanciano benzina infuocata come dei lanciafiamme. Lo spettacolo deve essere allucinante, soprattutto perché visto attraverso il velo di nebbia prodotto dalla nuvola di tintura. Siamo tutti bianchi come mugnai. I passanti si fermano, osservano, si divertono, e dopo un po' si avvicinano e dicono con l'aria di dire va bene, capisco, stupendo, meraviglioso, una sola cosa vorrei avere spiegata: perché bianchi?
In "Il deserto rosso", a cura di Carlo di Carlo, Bologna, Cappelli, 1964
E adesso sento che mi ripiglia. E’ come la tristezza di un cane
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Stamani tu dormivi ancora quando mi sono svegliato. A poco a poco uscendo dal sonno, ho sentito il tuo respiro leggero, e attraverso i capelli che ti nascondevano il viso, ho visto i tuoi gli occhi chiusi. Ho sentito che la commozione mi saliva alla gola. Avevo voglia di gridare e svegliarti, perché la tua stanchezza era troppo profonda e mortale. Nella penombra la pelle delle tua braccia e della tua gola era viva, e io la sentivo tipieda e asciutta. Volevo passarvi sopra le labbra, ma il pensiero di poter turbare il tuo sonno e di averti ancora sveglia tra le mie braccia mi tratteneva.
1961 1964
1972
1960
Preferivo averti così.. come una cosa che nessuno poteva togliermi... Perché ero il solo a possederla. Una tua immagine per sempre. oltre il tuo volto vedevo qualcosa di più puro e di profondo in cui mi specchiavo. Vedevo te. In una dimensione che comprendeva tutto il mio tempo da vivere. tutti gli anni futuri, e anche quelli che ho vissuto prima di conoscerti. Ma già preparato ad incontrarti. Questo era il piccolo miracolo di un risveglio. Sentire per la prima volta che mi appartenevi non solo in quel momento.
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1972
E che la notte si prolungava per sempre accanto a te. nel caldo del tuo sangue, dei tuoi pensieri, della tua volontà che si confondeva con la mia. Per un attimo ho capito quanto ti amavo Lidia. Ed è stata una sensazione così intensa che ne ho avuto gli occhi pieni di lacrime. Era perché pensavo che questo non dovrebbe mai finire.
1961
1974
Che tutta la nostra vita dovrebbe esser per me come il risveglio di stamane. Sentirti non mia, ma addirittura una parte di me.
1960
Una cosa che respira con me, e che niente potrà distruggere, se non la torbida indifferenza di un'abitudine che vedo come l'unica minaccia. E poi ti sei svegliata e sorridendo ancora nel sonno mi hai baciato. Ho sentito che non dovevo tenere niente. Che noi saremo sempre come in quel momento. Uniti da qualcosa che è più forte del tempo e dell'abitudine.
1982 { 25 }
Varrebbe forse la pena di discutere di questo tipo di domanda, che mi porta a scomporre due dei miei film (il primo e l'ultimo) in tanti pezzi ciascuno dei quali ha una facciata diversa: sociologica, critica, psicanalitica, filosofica ecc. E' una cosa che non faccio mai, che non so fare. La mia risposta, ammesso che la tua sia una domanda e non piuttosto una considerazione, è molto più semplice. Io non mi identifico mai con i miei film. Li vivo emotivamente ma sempre osservandoli con quel distacco che l'operazione del "narrare" comporta. I nostri sono tempi difficili per tutto. Non ho rimpianti per le storie d'amore di vecchio stampo. La "passione" ottocentesca oggi fa sorridere. E' vero che si ammazza ancora per amore, ma sono sicuro che se andassimo ad approfondire i fatti di questo tipo troveremo molte altre componenti , oltre l'amore, per esempio tra le difficoltà che una coppia incontra a sposarsi non c'è dubbio che ci sia anche quella di trovar casa.
Non si può pretendere che un uomo decifri sempre e completamente i comportamenti delle donne con le quali ha a che fare. Andiamo per un momento a vedere che cosa succede nel proletariato. Il proletariato italiano è notoriamente incolto e scarsamente educato. Le sue reazioni sono dunque istintive. Non penso che si ponga mai il problema di decifrare i meccanismi e tanto meno la psicologia di un rapporto, quindi i comportamenti di chi fa parte del suo ambito sociale e privato. Un proletario le vive, le sue storie, soprattutto quelle amorose. Nessun addio alla donna, dunque intesa nel senso ortodosso. La donna e il suo rapporto con l'uomo sono sempre stati l'argomento basilare della letteratura mondiale, da quando è nata. E continuerà così, a mio parere, anche quando la gente sarà andata a vivere su altri pianeti.
"Cronaca di un'amore" il tuo primo film è una storia d'amore in cui le singole personalità sono confuse l'una nell'altra, fuse dal racconto d'amore. In "Identificazione di una donna", c'è la storia di tre singole identità forse inconciliabile, prese da una ricerca solitaria, oltre a una tua personale ricerca di definizione di comportamenti diversi. Non è più una storia d'amore. Non ti identifichi più con l'amante, ma con l'artista. Hai mai dei rimpianti per come si vivevano prima le storie d'amore? Secondo te questi sono tempi difficili per l'amore? In certi momenti mi sembra che identifichi la donna attraverso l'incomprensibile, un comportamento indecifrabile dall'uomo, un'identificazione dunque che è anche un addio alla donna come se fosse una cosa del passato?
Nei film ci sono due donne. Come mai hai sentito il bisogno di identificare una donna attraverso due personaggi femminili? Che cosa c'è di diverso tra loro, e che cosa c'è di eguale, di comune nel loro comportamento di donne?
Le due donne appartengono a due diverse classi sociali. Pensi che la posizione sociale influisca sul comportamento di una donna rispetto all'uomo?
Un momento, io non identifico nessuna donna nel film. Nel film c'è un personaggio che cerca di identificarne un altro. Non bisogna dimenticare che il protagonista è un regista cinematografico che vuole fare un film centrato su una figura femminile. Come sempre succede, non ce l'ha chiara in testa, questa figura, e quindi confonde i modelli con il prototipo. Mi spiego meglio: le donne che incontra nella vita con quelle che incontra nella sua immaginazione.
E come potrebbe non influire? Credi che l'educazione che riceviamo e l'ambiente in cui cresciamo non condizionino la nostra psicologia, la nostra mentalità? Il nostro comportamento non è qualcosa di esterno a noi. Ma queste sono tutte cose alle quali non penso mai. Ciò che io dico sul terreno teorico non ha alcuna pretesa di essere oro colato. Specialmente quando l' argomento è l'amore. Io non sono né Stendhal, né Ortega y Gasset.
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u u u u u u u u u u u u u u u u u u u u u Penso che la donna sia portata ad avere, di quanto avviene intorno a lei, una percezione più profonda di quella dell'uomo. Forse ciò è dovuto al fatto (ma potrei dire anche una sciocchezza) che è abituata a ricevere. Così come accoglie l'uomo dentro di sé e il suo piacere consiste appunto in questo ricevere, si dispone anche naturalmente ad accogliere la realtà oserei dire nella stessa posizione che è assolutamente femminile. Ed ha, più dell'uomo, maggiori possibilità di trovare soluzioni adeguate al caso. Non mi sembra che per l'uomo questo sia uno svantaggio. Al contrario. Molto spesso ci conta
Una volta mi hai detto: «Una donna è un filtro più sottile della realtà». E un'altra volta: «Una donna ha due vite o due epoche nella vita» (una legata all'amore al sesso-riproduzione e quindi intima,personale e una sociale, legata forse all'attività, al lavoro, al mondo esterno). Pensi che sia un vantaggio? È sempre stato così per la donna o lo vedi ora in modo particolare? E per l'uomo è uno svantaggio, un problema? Che cosa pensi di una donna artista? Pensi che una donna potrebbe descrivere: «identificare un uomo» come tu fai, lo vorrebbe fare?
Pensi che una donna sia più legata all'autobiografia nell'espressione artistica, più portata a guardare dentro di sé a partire da sé che non un uomo?
Si è detto che i tuoi film sono sempre anche documentari. Pensi che una fusione di questi due generi di cinema sia dunque possibile, auspicabile? Pensi che nel cinema si debba riflettere la realtà contemporanea?
Una volta mi hai chiesto: «E troppo sentimentale mettere la macchina da presa solo e sempre nel punto dove siamo noi?». Cosa risponderesti tu ora? Non hai forse messo la macchina da presa questa volta proprio dove sei tu?
Virginia Woolf l'ha fatto. Simone de Beauvoir anche.
Non credo a questo tipo di distinzioni. Chi è portato a esprimersi attraverso l'autobiografia non ubbidisce a spinte fisiologiche. Voglio dire, il sesso non c'entra. Ubbidisce a un bisogno di sincerità, nel migliore dei casi, o di esibizionismo o di masochismo, o di pettegolezzo, nel peggiore dei casi. Identificazione di una donna non è un film autobiografico. I fatti che racconto non sono accaduti a me. Ma tutti abbiamo avuto e abbiamo le nostre storie, d'amore e no, quindi semmai è l'esperienza acquisita nel corso di queste vicende che abbiamo in comune. Tra me e quel personaggio abbiamo in comune il bisogno di farci su un film. E poi io non credo nell'autobiografia. Nel senso che non credo alla sincerità di un journal intime. È sempre una scelta che l'autore fa, e ad avere il sopravvento è sempre il materiale utile a dare di sé una certa immagine. Quello spurio viene lasciato istintivamente, o deliberatamente, da parte. E invece la vita è fatta dell' un materiale e dell'altro fusi insieme. Anche se Gide fa di tutto per apparire spietato verso se stesso, nell'Immoraliste, io credo che il senso di rimorso che dal libro emana sia puramente letterario. Tutti i film a soggetto sono anche, più o meno, documentari. Diciamo che ci pensa la macchina da presa a documentare, quando il film è contemporaneo. Nel caso del film storico viene effettuata un maggiore violenza sulla realtà, ma questo è legittimo in qualsiasi operazione di carattere creativo.
L'ho messa accanto a me, come sempre. Io dormirei, con la macchina da presa a fianco. Per documentare ciò che avviene mentre sono assente, nel sonno. E anche cosa succede a me. Perché no?
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L’ ECLISSE Location RAVEGNANI 8 / RIMINI
Styled GIOVANNA CIVERCHIA
CHISSÀ PERCHÉ SI FANNO TANTE DOMANDE? IO CREDO CHE NON BISOGNA CONOSCERSI PER VOLERSI BENE. E POI, FORSE, NON BISOGNA VOLERSI BENE AFFATTO.
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«Un regista è un uomo come tutti gli altri. Eppure la sua vita non è normale. Vedere per noi una necessità» Il cielo è bianco. Il lungomare deserto. Il mare è vuoto e senza calore. Gli alberghi semichiusi e bianchi. Su una delle sedie bianche della Promenade des Anglais a Nizza è seduto il bagnino, un negro con la maglietta bianca. E’ presto. Il sole fatica ad uscire dal leggero strato di nebbia, la solita di tutti i giorni. Non c’è nessuno sulla spiaggia, tranne un bagnante che fa il morto a pochi metri dalla riva. Non si sente che il rumore del mare, non si nota che il dondolio di quel corpo. Il bagnino scendo sulla spiaggia ed entra nello stabilimento. Una ragazza ne esce e si dirige verso il mare. Ha un costume color pelle. L’urlo è breve, secco, pungente. Basta guardarlo, il bagnante, per capire che è morto. Il viso pallido, la bocca piena di bava, le mascelle rigide come dopo un morso, i radi capelli incollati alla fronte, gli occhi sbarrati, non nella fissità della morte, ma in un mesto ricordo di vita. Il corpo è steso sulla sabbia con la pancia all’aria, le punte dei piedi divaricate. In pochi minuti, mentre il bagnino tenta la respirazione artificiale, la spiaggia si riempie di gente. Un bambino di dieci anni, spingendo avanti una bimba sugli otto, si fa largo a gomitate per vedere. “Guarda - dice alla bimba - vi vedi?”. “Si” dice lei pianissimo. “Vedi la bava sulla bocca?”. “Si”. “Vedi la pancia gonfia? La vedi? E’ piena di acqua”. La bambina guarda come affascinata in silenzio. Il bambino continua con una specie di gioia sadica: “Adesso è ancora bianco, ma tra poco diventerà blu. Guarda sotto gli occhi, comincia, lo vedi”. La bambina accenna di si continuando a tacere, la sua faccia mostra chiaramente che la
nausea si fa già sentire. Il bambino se ne accorge e diventa raggiante. “Hai paura?” “No” risponde con un filo di voce la bambina. “S i che hai paura” insiste l’altro e continua quasi canticchiando: “Hai paura… Hai paura!…”. Dopo una decina di minuti arriva la polizia e la spiaggia è sgombrata. Il bagnino è il solo a rimanere vicino ai poliziotti. Poi anche lui se ne va chiamato da una signora dal ciuffo viola per la consueta lezione di ginnastica. Eravamo in guerra. A Nizza aspettavo il visto per raggiungere a Parigi Carnè, del quale dovevo fare l’assistente. Erano giornate piene di impazienza e di noia, e di notizie riguardanti una guerra ancora ferma su una assurda Linea Maginot. Supponiamo di dover sceneggiare un pezzo di film,sulla base di questo avvenimento, d questo stato d’animo. Per prima cosa io proverei a togliere dalla scena il “fatto”, a lasciare soltanto l’immagine descritta nelle prime quattro righe. In quel lungomare così bianco, in quella figura solitaria, in quel silenzio, c’è secondo me una forza straordinaria. Il fatto qui non aggiunge nulla, è di più. Ricordo benissimo che mi distrassi quando accadde. Il morto funzionò da diversivo a uno stato di tensione. Ma il vuoto vero, il malessere, l’angoscia, la nausée, i letargo di tutti i sentimenti e desideri legittimi, la paura, la rabbia, io la riprovai, quando uscito dal Negresco, mi trovai in quel bianco, in quel niente che prendeva forma attorno ad un punto nero. da Il «Fatto» e l’Immagine di Michelangelo Antonioni - La Stampa 1963
La pace e’ debole
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L’AVVENTURA PERCHE’? PERCHE’ NON È FACILE AMMETTERE CHE UN PAVIMENTO ROSSO STA BENE IN UNA STANZA QUANDO INVECE SEI CONVINTO DEL CONTRARIO. MA LA SIGNORA LO VUOLE ROSSO! PERCHE’ C’È SEMPRE UNA SIGNORA.
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«Un regista non fa altro che cercarsi nei suoi film. I quali sono documenti non di un pensiero fatto ma di un pensiero che si fa.» Che cosa ha voluto dire? Ecco la domanda che mi sento rivolgere più spesso. La tentazione è di rispondere: Ho voluto fare un film e basta. Quello che un regista dice di sé e della propria opera, io credo che non aiuti a capire quest'ultima. La strada che un regista percorre per realizzare un film è piena di errori, di dubbi, di peccati, per questo la cosa meno naturale che si possa chiedere a quel regista è di parlarne. Nel mio caso, per quel tanto di conoscenza che ho di me stesso, le mie parole serviranno a precisare semmai uno stato d'animo, una vaga consapevolezza. Insomma a quella domanda preferirei rispondere: accadevano questi fatti nel mondo in quel periodo, vedevo queste persone, leggevo questi libri, guardavo questi quadri, amavo X, odiavo Y, non avevo denaro, dormivo poco. E' qualcosa che tutti i registi hanno in comune, credo, quest'a abitudine di tenere un occhio aperto al di dentro e uno al di fuori di loro. A un certo momento le due visioni si avvicinano e come due immagini che si mettono a fuoco si sovrappongono. E' da questo accordo tra occhio e cervello, tra occhio e istinto, tra occhio e coscienza che viene la spinta a parlare, a far vedere. Per quanto mi riguarda all'origine c'è sempre un elemento esterno, concreto. Ricordo benissimo come vi venne l'idea dell'"Avventura. Ero su uno yacht con degli amici, mi svegliavo prima di loro e sedevo a prua in completo abbandono. Una mattina mi trovai a pensare ad una ragazza che hanno prima era scomparsa e della quale non si era saputo più niente. L'avevano cercata dapper-
tutto per giorni e giorni inutilmente. Lo yacht stava navigando verso Ponza, ormai vicina. E io pensai: che sia li? Tutto qua. Per quanto affascinante possa sembrarmi, non sono capace di accettare subito un'idea. La lascio li, non ci penso, aspetto. Passano anche dei mesi, degli anni. Deve restare a galla da sola nel mare di cose che si accumulano vivendo: allora è una buona idea. Il soggetto del Grido mi venne in mente invece guardando un muro. 1962. A Firenze per vedere e girare l'eclissi di sole. Gelo improvviso. Silenzio diverso da tutti gli altri silenzi. Luce terrea, diversa da tutte le altre luci. E poi buio. Immobilità totale. Tutto quello che riesco a pensare e che durante l'eclisse probabilmente si fermano anche i sentimenti. E' un idea che vagamente ha a che fare con il film che sto preparando, una sensazione più che un'idea, ma che definisce il film ancora quando è ben lontano dall'essere definito. Tutto il lavoro venuto dopo, delle riprese, si è sempre rapportato a quella sensazione o presentimento. Non sono più riuscito a prescinderne. Avrei dovuto mettere nei titoli di testa dell'Eclisse questi due versi di Dylan Thomas. ...qualche certezza deve pure esistere, se non di amare bene, almeno di non amare.
In M. Antonioni, Prefazione a Sei film, Le amiche, Il grido, L’avventura, La notte, L’eclisse, Deserto rosso Torino, Einaudi, 1964
Quante cose si finiscono per sapere se si resta un pò soli
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CI VEDIAMO DOMANI! CI VEDIAMO DOMANI. E DOPO DOMANI. E IL GIORNO DOPO E L’ALTRO ANCORA. E QUELLO DOPO. E STASERA. ALLE 8, SOLITO POSTO.
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UNA NEBBIA CHIARA CHIARA MICHELANGELO, OGNI TANTO SIAMO ANCORA INSIEME SUL BARCONE CHE SCIVOLA SULLE CORRENTI DELL’AMU DARYA E NOI APRIVAMO COI DENTI I SEMI NERI DI GIRASOLE. STAVAMO IN MEZZO A CORDE, BIDONI, FAGOTTI DI ZINGARE AMMUCCHIATE DAVANTI A UN SIDECAR ROSA E INTANTO I MARINAI CON PERTICHE LUNGHE CI TENEVANO LONTANI DALLE SECCHE DI SABBIA. SEDUTI SUL BORDO DELLA BARCA SENZA SAPERE DOVE CI PORTAVA, GUARDAVAMO LA STRISCIA D’ACQUA DEL FIUME CHE LAGGIU IN FONDO SI PERDEVA DENTRO I VELI DI UNA NEBBIA CHIARA CHIARA COSÌ DA FARTI PENSARE CHE IL VIAGGIA FINIVA A FERRARA. Tonino Guerra