AZERBAIJAN
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Isia Urbino Diploma accademico di I° livello A.A. 2009/2010 Andrea (Andy) Massaccesi Matricola n° 964 Relatore: Stefano Veschi Co-relatore: Alberto Bianda
Fotografie di Andy Massaccesi Claudio Torcoletti Progetto grafico e impaginazione Andy Massaccesi Foto di copertina Andy Massaccesi (avanti) Andy Massaccesi (retro) Testi composti in Font Fabric Unisans, disegnato da Svetoslav Simov (2009). FF Thesis The Sans, disegnato da Luc(as) de Groot (1994). FF Thesis The Serif, disegnato da Luc(as) de Groot (1994). Linotype Swift, disegnato da Gerard Unger (1989). Lekton, ISIA Urbino (2007). Stampato presso Digital Team di Fano (PU) con carte: Symbol Freelife satin 300 (copertina). Symbol Freelife satin 115 (Sacred Borders, Volti). Silver Digital Uncoated 100 (Ricerca, L’olio/il mare, La fabbrica del vino).
un tassista andy, mahir, tofic, claudio baku
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Grazie a... • •
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Claudio, perchè la felicità di realizzare questo viaggio non sarebbe stata completamente reale se non fosse stata condivisa. Gabri e Vugar, senza i quali, ancora probabilmente sarei all’aeroporto nel tentativo di prendere un taxi, oppure nella più pessimistica delle previsioni in qualche commissariato azero. Miei genitori, che sono quelli che credono in tutto questo, forse anche più del sottoscritto. Luca (mio fratello) perchè mi conosce meglio di tutti, e anche con un silenzio o una smorfia a volte riesce a dimostrare il suo sostegno. Stefano Veschi per questa tesi, per i consigli e la capacità di farmi sentire “bravo”. Roberto Pierac(c)ini e ad Alberto Bianda per la consulenza e la disponibilità dimostrate al momento giusto. Paola Binante e Giuseppe Biagetti, per il supporto tecnico e non solo. Andrea Sestito e Luca Pasquini, per l’amicizia e la professionalità profusa in questo ultimo anno. Marinella, Rita e tutta l’ISIA per la ricerca. agli ISIOTI “Quelli veri” , per i tre anni passati insieme. Al G.A. per lo stress recatogli a forza di foto e foto. A te “Miao”, per la pazienza, e a buon intenditore poche parole...
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CONTENTS INTRO10/11 ABSTRACT12/13 WHERE’S AZERBAIJAN14/15 SACRED BORDERS17 LA FABBRICA DEL VINO65 L’OLIO / IL MARE113 VOLTI125 BIBLIOGRAPHY143
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Cassandra is the seer, daughter of Hecuba and Priam, King of Troy. Homer’s most romantic and unhappy heroin SEES, and therefore KNOWS. Vision and knowledge are united in her person for the first time in Western thought, never to leave one another. She sees, therefore she knows, yet nobody believes her. The gift received from Apollo, her betrayed lover, is poisonous: virtue becomes curse. Thousands of years pass: another seer, another Cassandra. She, too sees, sees even more than the first. She sees the whole world. But she is not at all sure of what she sees; she cannot swear by what she sees. The new Cassandra, the antiCassandra, is photography. It sees the light in far-off 1839, possessing, it too, a divine gift: it does not come from Apollo, but from Mercury, the messenger of the gods of Mount Olympus. Photography does not predict the future: it attests to the present, archives the past. Lay society today considers it a wonder of Nature. And who would not trust Nature? In reality Cassandra would not want to be attributed any gift. Mortals do so though, without asking for the sacred fire of truth. With incredible rapidity, photography was left the task which for centuries had been denied painting, to provide proof that the world is really how we see it. It must be said that photographers do not fall for it. Many – at least the most aware of them, as do all custodians of esoteric secrets- know the intimate weaknesses therein, even if their reactions are strange. Some choose to keep silent about their doubts. Alfred Stieglitz’s motto “Photography is my passion, the search for the truth, my obsession” ignores or pretends to ignore that cohabitation of the two is always difficult. Others attempt to save the honour of their divi-
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nity. They sacrifice themselves to it, shouldering the weight of the blame for their incapacity. One example in many is Lewis Hine. His selfdenial was admirable, even disconcerting, which is clear from his aphorism: “While photographs may not lie, liars may photograph”. Hine in any case was a convinced militant of truth. And he chose photography because it seemed to him to be the most powerful weapon to assert the truth. -Teacher, journalist and above all social reformer in the early 1900s, he became a photographer from political necessity: his ambition in the America of rampant capitalism, was to “throw light, light, floods of light” on social inequality. His purpose was to convince legislators to change the laws. “I wanted to show the thing that had to be corrected”. The photos “written in light” he shot while hidden in the midst of child-labourers in the textile factories were indisputable proof of abuse, the weapon which succeeded in setting in motion the reformation of a society. Lewis Hine’s optimism was however accompanied by the fear that this instrument “pick up bad habits”. The tempting devil of falsity is always lying in wait and the medium’s uses and abuses - taken and retaken – demonstrate this. In any case, the common opinion is that Cassandra, brought back to life, continues to proclaim loud and cleawr an indisputable truth. We realize just what powers, and consequently what enormous responsibilities we have as soon as we take, modify or page or layout photographs if even the Church demands from visual mediums related to photography i.e. cinema and television, that they show ‘the sincerity, honesty and truthfulness’ they (the Church) seem quite convinced the medium is capable of offering.
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Intro Cassandra è la veggente, figlia di Ecuba, Figlia di Priamo. L’eroina più romantica e infelice di Omero vede, e quindi sà. Visione e conoscenza si identificano in lei per la prima volta nel pensiero occidentale: non si lasceranno più. Lei vede, dunque sa: ma nessuno le crede. Il dono che ha ricevuto da Apollo, il suo amante tradito, e avvelenato: la sua virtù diventa la sua maledizione. Migliaia di anni passano. Un’altra veggente un’altra Cassandra. Anche lei vede, vede ancora più della prima, vede tutto il mondo. Ma non è affatto sicura di quel che vede; non può giurare su quel che sà. La nuova Cassandra, l’anti-Cassandra, è la fotografia. Vede la luce nel lontano 1839, possiede anch’essa un dono divino: non viene più da Apollo, ma da Mercurio, il postino degli dell’Olimpo. La fotografia non prevede il futuro: attesta il presente, archivia il passato. La società laica la considera oggi un prodigio delle Natura. E chi non si fiderebbe delle Natura? Cassandra in realtà non vorrebbe attribuirsi alcun dono, sono i mortali ad attribuirle senza chiedere il sacro fuoco della verità. Con una rapidità che ha dell’incredibile la fotografia si vede assegnato il compito negato per secoli alle arti figurative, di fornire le prove che il mondo è davvero come lo vediamo. Bisogna dire che i fotografi non ci cascano. Molti di loro: almeno i più consapevoli, come tutti i custodi di segreti esoterici, ne conoscono le intime debolezze, anche se le loro reazioni sono strane. Alcuni scelgono di tacere i loro dubbi. Il motto di Alfred Stieglitz “La fotografia è la mia passione, la ricerca della verità la mia ossessione” ignora o finge di ignorare che la convivenza fra le due cose è sempre molto difficile. Altri, tentano invece di salvare l’onore della loro divinità.
Si sacrificano, si accollano le colpe della sua incapacità. Uno fra tutti, Lewis Hine. La sua abnegazione è ammirevole, perfino sconcertante; e lo dimostra il suo aforisma “le fotografie non sanno mentire, ma i bugiardi sanno fotografare”. Hine era comunque un convinto militante della verità. Sceglie la fotografia proprio perché gli pare l’arma più potente per affermarla. Insegnante, giornalista, ma sopratutto riformatore sociale, nei primi anni del Novecento, si fa fotografo per necessità politica: la sua ambizione, nell’America del capitalismo rampante, è “gettare luce, luce, luce a fiotti” sulle disuguaglianze sociali. Il suo scopo, convincere i legislatori a cambiare le leggi: “Voglio mostrare le cose che dovrebbero essere cambiate”. Le fotografie “scritte con la luce”, che scatta di nascosto tra i bambini operai delle fabbriche tessili, diventano la prova sonante di un abuso, l’arma che riesce ad avviare la riforma di una società. L’ottimismo di Lewis Hine è però accompagnato dalla paura che questo strumento “contragga cattive abitudini”. Il diavolo tentatore della menzogna è sempre in agguato, e gli usi e abusi fatti e rifatti del medium lo dimostrano. Per l’opinione comune, tuttavia, Cassandra rediviva continua a proclamare chiara e forte una verità che non si discute. Se persino la Chiesa cattolica pretende dai media visuali che derivano dalla fotografia (cinema, televisione) “la sincerità, l’onesta, la veridicità, che a quanto pare è del tutto convinta siano capaci di offrire”; ci rendiamo conto quali forti poteri, e di conseguenza quali enormi responsabilità abbiamo nel momento in cui creiamo, modifichiamo, impaginiamo una fotografia 1.
Michele Smargiassi
Michele Smargiassi, (2009) Un’autentica bugia, Milano, Contrasto 11
Abstract Questo progetto nasce anche e sopratutto grazie ad una serie di coincidenze, che come spesso capita rendono il tutto più affascinante e piacevolmente inaspettato. Vuoi infatti che tuo cugino Gabriele, giovane enologo Senigalliese, che da sempre ha vissuto nell’appartamento sopra il tuo, viene improvvisamente spedito dalla ditta di consulting enologico per cui lavora, in Azerbaijan, dove c’è bisogno, dicono, di qualcuno che gli insegni a “fare il vino”. Vuoi che il “CAPO” di Gabriele, è un grandissimo appassionato di fotografia, e che durante un pranzo, con chi vi scrive presente, viene a sapere della passione in comune al sottoscritto e se ne esce con “Ma ti andrebbe di andare a fare un lavoro fotografico laggiù?” E infine vuoi che, accolta la proposta anche con un pò di scetticismo, incontri una domenica al bar il tuo vecchio amico Claudio… anche lui fotografo; che saputo della cosa si propone di partire con te! Ecco quindi che zaini in spalla, e con i giusti contatti nel portafoglio, nel settembre 2009 si parte per un mese circa alla volta di Ganja (ex capitale azera) con un lavoro sul “vino” per le mani e un esperienza di viaggio tutta da scoprire. Di ritorno dal mio primo vero viaggio fotografico, inizia poi il terzo anno Isia, e la tesi si avvicina. L’ambizione (forse anche piuttosto presuntuosa) é quella di realizzare un libro con le immagini scattate proprio là nel Caucaso. Un libro che raccontasse non solo del “fare vino”, ma anche delle 10, 100, 1000 storie, piccole e grandi, possibili e riscontrabili solo venendo a stretto contatto con la popolazione e le classi sociali, che si può incontrare solo viaggiando fuori dai canonici percorsi turistici. Sviluppare, modificare e stampare, molto spesso anche sempre le stesse 300 immagini per nove mesi ha poi in realtà scaturito tutta una serie di ulteriori considerazioni. Lo scoprire come un corpus di immagini comuni, a seconda dei processi di sequenza possa generare soluzioni di significato diverso semplicemente grazie ad un diverso montaggio grafico, è stato un
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buon viatico per capire di fatto quali grosse responsabilità etiche e professionali, ha non solo il fotografo nella fase di ripresa, ma anche il grafico impaginatore che si pone nel dare a queste immagini una forma e un ruolo, applicandole ad un supporto. Con il prezioso e fondamentale apporto del Prof. re Stefano Veschi e del Prof.re Alberto Bianda ne è nato dunque un libro costituito da moltelplici; proprio a dimostrazione di quanto detto precedentemente. I quattro progetti editoriali presenti all’ interno di “AZERBAIJAN - I / L I B R O / I “ si caratterizzano dunque, ognuno per un diverso tono poetico e impaginativo. Pur presentando in alcuni casi delle immagini in comune. La duplice, o anche triplice funzione di un’immagine, a seconda della sequenza e del formato in cui è inserita all’interno dei singoli progetti, sarà sottolineata dalla presenza di richiami grafici e cromatici che fungeranno da collegamento visivo tra i 4 progetti. La fase di impaginazione è stata preceduta ovviamente da uno step di ricerca. Oltre che ad approfondire le metodologie e le tecniche grafiche necessarie alla costruzione di un fotoracconto, non poteva (trattandosi essenzialmente di immagini di reportage) mancare un excursus relativo alla situazione e il ruolo del fotogiornalismo oggi, in particolare per quanto riguarda la complessa situazione italiana. A completare la ricerca, infine, un’analisi relativa ad alcuni grandi maestri della fotografia, come Eugene Smith, August Sander, Coniugi Becher (e altri ancora), che sono stati motivo di ispirazione nella creazione e composizione degli scatti che seguiranno. Andy Massaccesi
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This project also and especially came into being from a series of coincidences that, as so often happens, make everything more fascinating, lending a pleasantly unexpected note to it. So, let’s say that your cousin, Gabriele, a young oenologist from Senigallia who has always lived in the apartment above yours, out of the blue is sent to Azerbaijan by the wine production consulting agency where he works. They say they need someone to teach winemaking, there. Then let’s say that Gabriele’s boss is a photography buff and that during a lunch (with yours truly present) you find out about this passion for photography you two have in common and he comes out with “how would you like to go down there and do the photographs?”. And finally, let’s say that, you, having listened to the offer with some skepticism, one Sunday at the bar meet your old friend Claudio – another photographer – who on finding out about the plan proposes to go with you! And so backpacks on your shoulders, the right contacts tucked in your wallets, off you go to Ganja (the capitol of Azerbaijan) for a month in September of 2009 with a ‘wine job’ to do on your hands and a journey ahead just waiting to be experienced. On returning from my first real photographic trip, I began my third year at ISIA with the thesis deadline date nearing. My goal (perhaps a rather ambitious one) was to put together a book with those very pictures taken in the Caucasus. A book that would not exclusively be about ‘making wine’, but would also tell the ten, one hundred, one thousand possible stories, both the big ones and the little ones, found travelling in such close contact with the people, of all social classes, off the canonical beaten tourist path. Developing, modifying and printing the oftentimes same three hundred pictures over nine months resulted in a series of new considerations. I soon discovered just how much a
body of commonplace images depends on their sequential order that in itself can generate such different solutions each with different meaning, again simply thanks to differences in montage and layout graphics. This discovery was the ‘viaticum’ to understanding the enormous ethical and professional responsibility that not only a photographer has in the shooting phase but also the graphic artist has in doing the layout, which literally gives the pictures a shape and a role through mounting and framing. It was with the above considerations in mind along with Professor Stefano Veschi and Professor Alberto Bianda’s precious and fundamental contribution that I decided on a book made up of multiple images. And so the four editorial projects included in “AZERBAIJAN - I / L I B R O / I “ are each characterized by a different distinguishing poetic point of view, as well as layout tone even where at times the same pictures are presented (or re-presented). The duplicate or even triplicate purpose of a picture, depending on the sequence or the format where it has been placed within each single project is brought through the use of graphics and colour markers to make visual connections between the four. The layout phase was obviously preceded by a research step. Besides researching the methods and graphic techniques used in making a photo story, I could not (while using essentially journalistic photographs) leave out a rapid survey relative to the reality and role of photojournalism today, particularly regards to the complex Italian situation. An analysis of several masters of photography such as Eugene Smith, August Sander or the Bechers, to name but a few, who have been an inspiration in the shooting and composition of the shots which follow completed the research step. Andy Massaccesi
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Where is Azerbaijan? This might be the one most frequently asked question I have had to answer in the past year. I believe it is fundamental to geographically frame the country especially to fully understand the photographs that follow. Azerbaijan is one of three Caucasian Republics, along with Georgia and Armenia, found on Eastern Europe’s far eastern frontier and was formed at the beginning of the 1990s following the disintegration of the Soviet Union. It was officially recognized in October 1991 as a secular republic and as a, shall we say, ‘emerging ‘ democracy placed not only geographically but also for religion, on the line separating the West from the Islamic Middle East. The country’s history is, in spite of being of a fairly recent nature, full of tragedy. To the visitor the people appear calm and cordial; just do not utter the word ‘Armenia’, the country with which they were involved in massacres and conflict until just a few years ago. The Azeri vision of the facts concerning the Nagorno Karabakh, an Armenian enclave in Azeri territory sums up what is going on in their world: the Armenians are the bad guys and their territory is occupied. The other side’s point of view is not even taken into consideration, probably due to the unilateral governmental control of information inherited from the Soviets. Azerbaijan not only is a country rich in oil – black gold – and gas, it is extremely curious about, open and oriented towards the West, territorially so close, yet so far away in tradition and culture. It is exactly due to the country’s lack of notoriety that the presence of tourism is so scarce. Yet there are many interesting
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points about the country and a stay here, once over the heavy linguistic or cultural differences can be extremely pleasant especially thanks to the people’s hospitality and openness towards foreigners. As already mentioned, the country is extremely rich in natural resources, especially gas and oil, though the relative business is in the hands of a close-knit circle of politicians and shady businessmen with such a negative influence on the general condition of the country that in the years since the fall of the USSR there has been a sharp rise in the difference between those who have and those who have not. The devastating effects of savage industrialization can be best seen in the capital of Baku, a metropolis of over 5 million inhabitants (compared to the little more than 8 million of the entire country). Next to the rich and sumptuous ‘city’, symbol of modern urbanization, there is a peripheral and provincial Islamism still based on a self-sufficient share cropping economy. The countryside is scarred from uninterrupted changes. Scarce attention to some of these ecologically devastating practices has practically irreversibly transformed the country with its surreal architecture made up of pipe lines, oil wells and drills distributed haphazardly across the landscape. ‘All that glitters, then, is not black gold’. The Azerbaijanis are very patriotic and proud of their history. They are on the one hand caught up in a ‘seemingly inexorable’ and apparently progressive movement forward or are, on the other hand, blocked by an Islamic-Soviet social model in full economic boom without having been able to find their identity as a democracy.
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D0v’è l’Azerbaijan? Probabilmente si tratta della domanda a cui da un’anno a questa parte ho dovuto rispondere più frequentemente. Inquadrare questo paese geograficamente credo che sia fondamentale anche per capire a pieno le fotografie che seguiranno. L’ Azerbaijan è una delle tre Repubbliche caucasiche (assieme a Georgia ed Armenia) situate al confine orientale europeo, generatesi all’inizio degli anni novanta in seguito allo smembramento dell’Unione Sovietica. Riconosciuta ufficialmente nell’ottobre 1991 Repubblica laica, con una “democrazia” potremmo dire emergente, è posto non solo geograficamente, ma anche religiosamente al confine tra il mondo occidentale e il medio oriente islamico. La storia del paese se pur piuttosto recente è piena di tragedie. Al visitatore la popolazione appare mite e cordiale; guai però a pronunciare la parola Armenia, con la quale massacri e scontri armati risalgono fino a pochi anni fa. La visione azera dei fatti del Nagorno Karabakh, un enclave armeno in territorio azero, è indicativa di come vanno le cose a questo mondo: gli armeni sono i cattivi e la regione territorio occupato. Le ragioni dell’altra parte non sono minimamente prese in considerazione, probabilmente anche per effetto di un’informazione governativa unilaterale, di eredità sovietica. Ricco di Petrolio, l’Azerbaijan non è però solo un fertile terreno per oro nero e gas, ma anche un paese estremamente curioso ed orientato verso una società occidentale, così vicina territorialmente ma anche così lontana per tradizioni e cultura. Proprio per la scarsa notorietà all’estero, la presenza turistica è molto limitata. Gli elementi interessanti sono, invece, molteplici e la
permanenza in questa terra, una volta superato il forte distacco linguistico e culturale risulta molto piacevole soprattutto grazie alla forte ospitalità della gente, molto aperta nei confronti degli stranieri. Il paese, come già detto, è ricchissimo di risorse naturali, gas e petrolio soprattuto, il cui business è purtroppo in mano ad una ristretta cerchia di politici e faccendieri, con qualche ricaduta sulle condizioni generali del paese, che in questi ultimi venti anni dalla caduta dell’URSS, ha di fatto visto aumentare sempre di più la forchetta che separa il tutto dal niente. Gli effetti devastanti di un’industrializzazione selvaggia trovano il massimo esempio nella capitale Baku, metropoli di oltre 5 milioni di abitanti (contro i pochi più di 8 milioni di tutto il paese). Alla “city” ricca e sfarzosa, simbolo della moderna urbanizzazione, si oppone una periferia e un provincialismo islamico ancora basato su un economia mezzadrile e di autosufficienza. Il paesaggio è segnato da un continuo cambiamento. Le scarse attenzioni verso “alcune” pratiche di devastazione ambientale hanno trasformato le campagne in maniera quasi irreversibile, arredandole di architetture surreali composte da tubazioni, pozzi e rubinetti, dislocati un pò ovunque. “Non è, insomma tutto petrolio quello luccica”; la popolazione azera, fortemente patriottica e comunque orgogliosa della sua storia, è coinvolta in un “quasi inesorabile” andamento, che se da una parte sembra affacciarsi verso il progresso, dall’altra trova ostacoli in una società “Islamico-Sovietica”, in pieno boom economico ma ancora in affanno nel trovare la sua identità democratica.
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CONTENTS INTRO11 aBSTRACT13 DOVE’E’ L’AZERBAIJAN?15 SACRED BORDERS17 LA FABBRICA DEL VINO81 L’OLIO / IL MARE113 aOLTI145 BIBLIOGRAFIA161
CONFINI SACRI Sacred Borders
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Azerbaijan’s geographical and religious place is to be found on the confines of Europe and Christianity. It is not only rich in black gold and gas, but is also an extremely open and curious country oriented towards Occidental society. So close territorially, yet so far away in tradition and culture. In contrast to the hectic centre of the capital city Baku, rich often to the point of ostentation, there is also to be found a sedentary Islamic provincialism, certainly more interesting as far as content and connotations go, easily seen when in close contact with the people, only possible when travelling off the established tourist track. Here everything is perennially dynamic. The Azerbaijanis are very patriotic and proud of their history and are caught up in this seemingly inexorable expansion ‘beyond’ that is on the one hand apparently progressive and yet on the other, frozen in an Islamic-Soviet model of society in full economic boom while still finding it difficult to establish its identity as a democracy.
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Posto geograficamente e religiosamente ai bordi d’Europa e della cristianità, l’Azerbaijan non è solo un fertile terreno per oro nero e gas, ma anche un paese estremamente curioso ed orientato verso una società occidentale, così vicina territorialmente, ma anche così lontana per tradizioni e cultura alla nostra. Al frenetico centro della capitale Baku, ricca e molto spesso ostentata, si pone in contrasto un sedentario provincialismo islamico, sicuramente più interessante per tutta una serie di contenuti e connotazioni, riscontrabili venendo a stretto contatto con le classi sociali di una popolazione, che si può incontrare solo viaggiando fuori dai canonici percorsi turistici. Qui tutto è in perenne dinamismo. La popolazione azera fortemente patriottica e orgogliosa della sua storia è coinvolta in questa quasi inesorabile propensione verso “oltre”, che se da una parte sembra tendere verso il progresso, dall’altra è congelata in una società “islamico sovietica”, in pieno boom economico ma ancora in affanno nell’affermare la sua identità democratica.
volti pag. 140/141
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l’olio / il mare pag. 104/105
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Un paese, due velocitĂ
All’interno dell’Azerbaijan convivono con difficoltà due mondi separati. Uno è Baku, la capitale del boom petrolifero del Paese, una metropoli sempre più luccicante di grattacieli, club esclusivi e boutique d’alta moda. Ma basta uscire non lontano da questa città di 2,9 milioni di persone (più di cinque milioni se consideriamo tutto l’agglomerato urbano) e il quadro cambia bruscamente. Le regioni periferiche dell’Azerbaijan - specialmente nelle aree rurali - sono intrappolate dal duplice problema della disoccupazione e del sottosviluppo dei trasporti. Qui i salari mensili (l’equivalente circa 120 - 150 euro) sono meno della metà di quelli mediamente percepiti a Baku, stando alle statistiche ufficiali. Guidare un taxi privato diventa così uno dei lavori più comuni per gli uomini locali. La disparità deriva da un andamento irregolare dello sviluppo economico. A Baku può essere difficile trovare lavori per specialisti qualificati, però abbondano le opportunità per gli operai generici nell’edilizia, nei ristoranti e nei negozi. Pur non esistendo dati ufficiali, sono sempre di più i giovani che arrivano a Baku per gli studi universitari e successivamente restano a lavorare nella capitale.
“Di conseguenza noi abbiamo uno squilibrio economico abnorme, dato che fino al 90 per cento del PIL del Paese viene prodotto a Baku, mentre il resto dell’Azerbaijan ne produce solo il dieci per cento circa”, ha commentato Rasim Huseynov, un esperto indipendente di economia, di Baku. Il crescente divario economico risalta con maggiore evidenza nella differenza tra gli stili di vita. Baku è affollata e ricca di centri di divertimento frequentati tanto da uomini che da donne (per lo più russe o occidentali per verità). Per contro, al di fuori della capitale, in tutto l’Azerbaijan non esiste neppure un bar o una discoteca. “Vivere nel villaggio è noioso”, si lamenta il diciassettenne Mobil Javadov, residente nel villaggio di Xinaliq
“Non c’è Internet, i giornali non vengono consegnati. Si può solo guardare il canale della televisione di Stato, che non è per nulla interessante”. Il divertimento per i giovani nel villaggio di si riduce al “Futprognoz,” un gioco che fa parte del sistema di scommesse computerizzato Totalizator, e a cui si può accedere dalle città di tutto il Caucaso. Il sogno di Mobil è che nel villaggio apra un Internet caffè - il più vicino è infatti a 25 chilometri. “Ho sentito parlare di Internet da amici che la utilizzano a Baku”, dice. “Sembra eccitante”. Secondo alcuni dati statistici la schiacciante percentuale del 77 per cento degli utenti azeri di Internet,
stimati in 700 - 800 mila, vive a Baku, e solo il 6 per cento vive al di fuori delle principali città regionali. Il governo ha lanciato un programma per favorire l’accesso al computer nelle regioni fornendo ciò che il ministro per le Comunicazioni Ali Abbasov definisce “prezzi preferenziali” per le macchine; ma l’impatto dell’iniziativa, come le molte manovre politiche in questo paese, non è sempre dato saperlo alla normale gente. È sbagliato comunque sostenere che in assoluto il boom petrolifero non abbia toccato le province. L’economia, nonostante le numerose difficoltà, molto spesso di natura culturale, sta crescendo in tutto il Paese. Nelle regioni vengono migliorate le principali infrastrutture ed è qui che si aprono nuovi stabilimenti industriali e nuovi alberghi per un turismo sempre più in via di sviluppo. Sempre più nuovi posti di lavoro creati in Azerbaijan, si trovavano fuori Baku. Allo stesso tempo, la spesa statale sta creando nuove strade, fabbriche, scuole, ospedali, e sta compiendo alcune migliorie nei servizi pubblici, pena la sensazioni di trovarsi in un perenne cantiere a cielo aperto. Questa situazione contribuisce a dare luogo ad un alto tasso di disoccupazione soprattutto per le donne che vivono in provincia. La situazione è probabilmente aggravata da una visione islamica meno occidentalizzata rispetto alla capitale. La donna è ancora vista più come una macchina da figli. “Non c’è lavoro per le donne, eccetto che in famiglia e coi bambini”, è più o meno quello che ci è sembrato di capire, (visto il nostro russo stentato) parlando con l’autista - barbiere offertosi di accogliere la nostra richiesta di trasferimento da Samaka a Baku. Anche in città regionali relativamente grandi come Mingachevir o Quba non ci sono molte donne per le strade, per non dire nei caffè o nei ristoranti. Nelle regioni ogni cosa è concepita per gli uomini: impianti sportivi, caffè, ristoranti, chaykhana (case da tè). Anche se la legislazione azera in tema di parità dei diritti è vicina agli standard internazionali, la realtà dei fatti nelle regioni è molto più arretrata. Un simile squilibrio, la mancanza di stratificazione sociale tra centro e periferia deteriora la situazione complessiva dei diritti umani nelle province, il tutto aggravato (se già non bastasse) dalla passività delle autorità esecutive locali, molto spesso svogliate o troppo facilmente corruttibili. Dunque riusciranno mai questi “due” Paesi a diventare uno? La sensazione è quella che finché i soldi del settore energetico continueranno a scorrere; Baku resterà in tutti i sensi il centro del Paese.
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Un paese / Due velocità
One country / Two speeds Two separate worlds cohabit in Azerbaijan. One is Baku, capital of the country’s oil boom and metropolis eternally glittering with skyscrapers, exclusive nightclubs and high fashion boutiques. Just leave the city limits (population 2.9 million or more than 5 million if the entire urban conglomerate is counted) and the picture changes drastically. The suburban or peripheral areas of Azerbaijan and especially the rural ones – are trapped in the twofold problem of unemployment and an underdeveloped transport system. Here monthly salaries (the equivalent of 120 - 150 euro) are less than half of the average salary earned in Baku according to official statistics. So driving a private taxi has become one of the most common jobs for local males. This disparity derives from irregularities in economic development. In Baku it can be difficult to find work for qualified specialists while the opportunities for unqualified builders, restaurant workers or shop assistants abound. Even though there are no official statistics available, there is however a growing number of young people who come to Baku for a university education and remain to work in the capital. “Consequently we have abnormal economic gaps since up to 90% of the country’s GNP is produced in Baku, while the rest of Azerbaijan only produces approximately 10 %...” commented Rasim Huseynov, and independent economic expert in Baku. The growing economic gap is even more drastic when differences in lifestyle are concerned. Baku is crowded and full of entertainment centres frequented as much by men as by women, who are for the most part Russian or occidental. On the other hand, outside the capital in the rest of Azerbaijani, there are no bars or discos whatsoever. “Living in a village is boring” complains 17 year old Mobil Javadov, a resident of Xinaliq. “There is no Internet, and newspapers don’t get delivered. There is only one state TV channel to watch, which is totally uninteresting.” Pastimes for village youth come down to ‘futprognoz’, a game that is part of the computerized betting system, ‘Totalizator’, played in all of the Caucasus. Mobil’s dream is that an Internet café open in the village – the nearest being 25 kilometres away in fact. “I’ve heard about the Internet from friends who use it in Baku” he said. “It sounds exciting.” According to some statistics, an overwhelming 77% of the Azeri Internet users, estimated to be from 700 – 800 thousand, live in Baku, and only 6% live outside the major regional cities. The government has launched
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a program that would favour computer access in the provinces available for what the Minister of Communication, Ali Abbasov defines as ‘preferential prices’ for the computers. But the normal citizen will not necessarily ever find out anything about the initiative’s impact, as happens with many political maneuvers in this country. It would be however incorrect to claim that the oil boom has not reached the provinces in any way. The economy, in spite of numerous difficulties, often of a cultural nature, is growing in the whole country. In the provinces major services and facilities are getting better and it is here that new industrial plants and new hotels in the face of developing tourism are opening up and an increasing number of new job positions are to be found outside of Baku. At the same time state spending is creating new roads, factories, schools and hospitals as well as ameliorating public services so much so, that it is difficult not to feel as if the entire country is a perennial open air worksite. This situation contributes to the fact that a very high rate of unemployment is to be found especially among women who live in the provinces. This is made worse by an Islamic worldview which is much less Westernized here than in the capital. Women are still seen as child -bearing machines. “There is not any work for women, except in the family with children”, is more or less what we could understand (due to our broken Russian) talking to our driver, the barber who offered to take us from Samaka to Baku. Even in the relatively larger provincial cities of Mingachevir or Quba there are no women on the streets, not to mention in the coffee shops or restaurants. In the provinces everything is conceived for men; sports facilities, coffee shops, restaurants and chaykhana (tea houses). Even if Azeri legislation on the theme of equal opportunity does near international standards, the reality of the provinces is extremely backwards and far behind. There is a similar gap in the lack of social stratification between the centre and the outskirts which is degrading to the overall situation relative to human rights in the provinces, made worse (as if this were not bad enough in itself) by the local authorities’ passivity in enforcing laws, often indifferent and too easily corruptible. So, will these ‘two’ countries ever become one? The sensation is that as long as the money from the energy sector continues to flow, Baku will remain in all ways the centre of the country.
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lahic ganja goy gol kurdamir
turchia
armenia
iran nagorno karabakh
governo autonomo non riconosciuto internazionalmente
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“HO SENTITO PARLARE DI INTERNET DA AMICI CHE LO UTILIZZANO A BAKU. SEMBRA ECCITANTE.” “I heard friends in baku talking about internet. It seems to be exciting.”
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“NON C’E’ LAVORO PER LE DONNE, ECCETTO CHE IN FAMIGLIA E COI BAMBINI” “There ‘s no work for the women, except in family and with the childrens”
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In uno dei centinaia di tabacchi disparsi in ogni angolo della capitale è possibile trovare un pò di tutto. Tra un pacchetto di sigarette e una manciata di ricariche telefoniche, c’è anche chi si arrangia a cucinare Donar Kabab o Lavash (una tipica sfoglia di pane ripiena paragonabile alle nostra piadina).
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L’apprrossimatezza edilizia ed il disordine commerciale sembrano un lontano ricordo se ci si reca nella parte alta della capitale. Qui l’imponente tempio del fuoco si affaccia sul più lungo boulevard portuale di tutto il medio oriente.
Compared to the neighboring countries of Europe and as opposed to Islamic fundamentalism, something that is not lacking in Azerbaijan are the phones. Despite the enormous problems of public transport and poor infrastructure, the mobile telephone network is provided in most of the country.
The make-shift buildings and commercial chaos seem far off memories once in the upper zones of the capital. Here the imposing Temple of Fire faces onto the longest portal avenue in the whole Middle East.
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Nonostante gli enormi problemi di trasporto pubblico e la carenza di infrastrutture, la rete di telefonia mobile è assicurata in quasi tutto il paese. Ovviamente, gestite o manovrate da multinazionali americane o europee.
In spite of the huge public transport problem and the lack of services and facilities, mobile phone lines are working in almost all of the country - obviously run by or maneuvered by American or European multinationals. 43
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LA FABBRICA DEL VINO Wine making in Azerbaijan
Questa
è anche la storia di Gabriele, un giovane enologo marchigiano in cerca come tanti neolaureati suoi coetanei, di un contratto fisso e di una posizione lavorativa soddisfacente. Assunto nel gennaio 2008 da una ditta di consulting enologico dando la disponibilità di lavoro all’estero, non si sarebbe però probabilmente mai sognato di essere spedito ad insegnare a fare il vino in Azerbaijan. Gabriele così parte per un esperienza di due anni alla volta di GOY GOL, un piccolo distretto della vecchia capitale GANJA. Qui non siamo lontani dal confine georgiano ed armeno, in un territorio sociale e politico non sempre così tranquillo, ma che circa seimila anni fa ospitò le prime piante della vite. Dopo una certo non facile prima fase di assestamento, il nostro enologo trova nella curiosa ospitalità della gente una sorta di grande famiglia allargata. La diffidenza verso il “grande capo” venuto dall’Italia si trasforma presto nella ricerca di un colloquio umano e professionale reciproco che ruota attorno a tutta la sua squadra di lavoro, pronta a contenderselo alla fine di ogni giornata lavorativa, per portarselo a cena a casa. Da Thural (l’interprete) a Rufat (l’autista con problemi d’alcolismo) tutti trovano in Gabriele un nuovo stimolo, e un nuovo punto di riferimento, trasformando Il “fare vino” in queste terre così viziate dall’abitudine sovietiche di bere vodka, non solo in una fonte di business per i grandi investitori petrolieri russi, ma anche in un fenomenale esempio di arricchimento interculturale.
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This is also Gabriele’s story, a young winemaking specialist from the Marche region in Italy looking for a contract for a satisfying permanent position like most recent fellow graduates. Hired in January of 2008 by a wine consultant’s agency that offered work abroad, he had never once imagined being sent to Azerbaijan to teach winemaking. So Gabriele left for a period of two years for GOYGOL, a tiny district of the old capital GANJA, not far from the Georgian and Armenian borders in a social and political territory which is not always the most tranquil and that six thousand years ago hosted the first grapes of the vineyard. After a not so very easy period though, our winemaker was to find in the people’s curious hospitality a sort of extended family. The diffidence towards the ‘big boss’ from Italy soon changed through the reciprocal search for both human and professional relationships revolving around his work team eager to compete with one another at the end of a day’s work to see who it would be to take him home to dinner. From Thural (the interpreter) to Rufat (the driver with an alcohol problem) everyone saw Gabriele as a new stimulus, a new reference point, turning winemaking, in this land spoiled by the Soviet habit of vodka drinking, not only into a business opportunity for Russian oil investors but also into a phenomenal example of cultural enrichment.
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Un vecchio proverbio tedesco dice «Zandes Zand ist dem Mensen ein fatere and» (ogni paese è patria per l’umanità). Chissà forse è stato uno dei pensieri di consolazione per la famiglia Wurtembergs quando
lasciò la Germania, agli inizi del XIX secolo, alla ricerca di una nuova patria, che trovò in Azerbaijan. Siamo nella provincia di Elizabethpol (l’antica Ganja), nelle terre native del grande filosofo Nizami Ganjavi. E’ proprio in queste terre che i coloni tedeschi insediarono nel 1819 l’antico villaggio di Hanlyglar (l’attuale Goygol). Nella vita economica di questo paese, i vigneti cominciarono a svolgere un ruolo importante sin dall’inizio. La viticoltura divenne ben presto il principale settore di investimento e già nel 1860, venne fondata proprio nell’attuale insediamento Vinagro di Goygol la prima grande casa vinicola dell’Azerbaijan, per mano dei due imprenditori tedeschi Christopher Forrer e Christian Hummel. La ditta in questione vantava uffici di rappresentanza che pian piano si estesero verso l’attuale capitale Baku, Tiblisi (Georgia), San Pietroburgo, Mosca, Kiev e Odessa, assumendo di fatto una realtà economica e di sviluppo per tutta la regione. Agli inizi del Novecento, sotto l’egida dell’URSS le
cantina furono stravolte e oltre che alla ingente produzione di uve per cognac, le cantine divennero il più grande produttore di Vodka della Transcaucasia e il terzo di tutta l’unione sovietica. Migliaia di botti di rovere erano infatti pronte ad accogliere il mosto ricavato da più di 1500 ettari di vigneti, per un produzione che nel 1984 arrivò ad un massimo di 84 milioni di rubli sovietici di ricavato. Nella seconda metà del Novecento, la caduta dell’ Unione sovietica e l’istaurazione di una repubblica democratica, ha però cambiato considerevolmente tutto lo scenario mercantile. Con la fondazione della società “Vinagro” e “Goy Gol Wine Plant” nel Marzo del 2006, tutti i vecchi impianti di distillazione e produzione di cognac sono così stati smantellati. L’attenzione verso il mercato Russo, maggiore fonte di introito anche per la produzione di vodka, ha di fatto portato gli amministratori (petrolieri) alla decisione di avvicinarsi alla creazione di un prodotto “più europeo”. Un contratto di partnership con la compagnia italiana “Technofood Group” ha così di fatto trasformato questo sito nel più grande produttore vitivinicolo dell’Azerbaijan.
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Vinagro An old German proverb says “Jedes Land ist dem Menschen ein Vaterland” (any country is a man’s or a woman’s fatherland). Who knows if this was one of the Wurtemberg family’s consolations when they left Germany at the beginning of the 19thc in search of a new (fatherland) country which they were to find in Azerbaijan? We are in the province of Elizabethpol (ancient Banja, the great philosopher Nizam Ganjavi’s native land. It was here that the German colonists were to settle in 1819 in the ancient village of Hanlyglar (the present day Goygol). So from the very beginning the vineyards began to play a very important role in the economic life of the town. Early on, viticulture became the principle investment sector and already by 1860 the very first important house of winegrowing in Azerbaijan was founded by two German entrepreneurs, Christopher Forrer and Christian Humme on the same site as the present day Vinagro business in Goygol. This company could boast the many sales offices that were slowly but surely extending towards today’s capital Baku, Tbilisi (Georgia), St. Petersburg, Moscow, Kiev and Odessa and that had taken on an important economic and development role in the entire region.
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In the early 1900 under the auspices of the Soviet Union the wine cellars’ business was completely upset so that besides the already considerable quantity of grape production reserved for cognac, the cellars would be responsible for producing vodka for the entire trans- Caucasian region and would become the third largest in all the Soviet Union. Thousands of durmast wine casks were ready to be filled with the must from 1500 hectares of vineyards to make as much as 84 million rubles peaking in 1984. In the second half of the 20th with the fall of the USSR and the founding of republican democracy the market scenario has changed considerably. With the establishment of Vinagro and GOYGOL Wine Plant in March of 2006, all the old brandy distilling works were dismantled. The focus away from the Russian market whose major source of income takings was from vodka production led the administrators (oil investors) to opt for the creation of a ‘more European’ product. A partnership contract with the Italian company, “Technofood Group”, was then crucial in transforming the plant into the largest wine growing and winemaking industry in Azerbaijan.
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Silenziosa e spettrale, Sumquayit, terza città per estensione demografica dell’Azerbaijan cerca di non pensare alla fama di discarica dell’Urss, nata quando il governo sovietico decise di stabilire in questo sito tutto lo smaltimento delle vicine industrie petrolchimiche, chimiche e siderurgiche della vicina capitale Baku. La penisola di Abseron, da attrattiva turistica è diventata così un relitto paesaggistico. Il picco di inquinamento è tale da assegnare, a Sumquayt (secondo il Blacksmith Institute) il primo posto nella poco prestigiosa classifica delle città più inquinate del mondo per il biennio 2006-2008. In tutto questo il ritratto della gente e dei luoghi sembra quasi all’oscuro di tutto; completamente ignaro anche delle conseguenze sociali, di un fenomeno che tra le altre cose attesta un 51% di malati di cancro rispetto alla media nazionale, e accerta malformazioni infantili e malattie mentali degenerative, come conseguenza del progressivo inquinamento
Silent and spectral, Sumquayit, the third largest city for demographic extension in Azerbaijan , is trying not to think about the fame of the Soviet waste dump created when the Soviet government decided to use this site for disposal of all the nearby capital, Baku’s chemical, steel and petrol industries’ waste products. The touristic Absheron peninsula has been turned into a wreck. According to the Blacksmith Institute and their not so prestigious classification rating, at Sumquayit the level of pollution is so high that from 2006 – 2008 they were ‘awarded’ first prize for the most polluted city in the world. Yet in spite of this, the people and the landscape are seemingly unawares as they seemingly remain in the dark about the social consequences of a phenomenon of rising pollution levels which is, among other things, the cause of cancer in 51% of cases compared to a lower national average as well as being the cause of infant malformation and degenerative mental illness.
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n tempo Sumquayt era una famosa località di villeggiatura lungo le coste del Caspio, oggi di certo non è il miglior posto per trascorrere le vacanze, salvo che non si stia cercando spunto per un film di fantascienza. A solo un’ora di auto da Baku, invece che trovare piazze di marmo, parchi verdi e fontane, qui è più facile imbattersi in fabbriche abbandonate, rubinetti petroliferi in disuso, tubi arrugginiti e petroliere incagliate. Fino ad appena venti anni fa, Sumqayit è stato il più grande centro petrolchimico in Unione Sovietica. Fu Stalin nel 1930 che decise di costruire tutti i siti industriali che alimentavano la produzione petrolifera proveniente dalle coste del Caspio. Dopo la seconda guerra mondiale la sua popolazione crebbe fino a un terzo di milione. I lavoratori erano in gran parte giovani provenienti da tutto l’impero sovietico. L’elenco delle sostanze che furono utilizzate per la fabbricazione a Sumquayt è lunghissimo, e in esso è incluso una quantità enorme di lindano, un pesticida paragonato all’Agent Orange utilizzato durante la guerra in Vietnam. Cifre esatte sono difficili da stimare, ma numerosi sono i rapporti che collegano la città con gli elevati livelli di deformazione e mutazione nei bambini nati. Il numero di ragazze e ragazzi con sindrome di Downs, paralisi cerebrale e spina bifida è superiore del 70% alla media nazionale. Il nuovo governo indipendente dell’Azerbaijan, nel 1991 ha dichiarato Sumquayit zona a disastro ecologico, facendo chiudere di fatto la maggior parte delle sue fabbriche. Con alcune delle riserve petrolifere più grande nel mondo, L’Azerbaigian sta rapidamente diventando un gigante di energia. Ma anche se gli investitori stranieri hanno pompato miliardi nell’economia nei 15 anni successivi all’indipendenza, alcuni aspetti spietati dell’eredità sovietica rimangono. Sumquayt e la penisola di Absheron, ne sono di fatto l’esempio lampante. Once, Sumquayit was known for its tourist resorts along the Caspian Sea coast. Today it is certainly not the best place to spend a holiday unless you are looking for ideas for a science fiction film. Just an hour’s drive from Baku, instead of marble plazas, green parks and fountains you will encounter abandoned factories, dried up oil wells, rusty pipelines and stranded oil tankers. Up to just 20 years ago, Sumquayit had the largest petrochemical industry in the entire Soviet Union. It was Stalin who in 1930 decided to build up the industrial sites here, which petrol production on the Caspian coast would supply. After WWII the population here grew to .33million. Workers were for the most part young men from all over the Soviet Union. The list of chemical substances used in and by Sumquayit industries is extremely long and includes lindane, a pesticide similar to Agent Orange used in the Vietnam War. Exact figures are difficult to interpret but there are numerous reports that link the city with an excessively elevated number of malformations and birth defects in newborns. The number of boys and girls with Downs Syndrome, cerebral palsy and spina bifida is superior to 70% above the national average. In 1991, the new independent Azerbaijani government declared Sumquayit an ecological disaster zone and closed down most of the existing factories. With some of the largest oil fields in the world, Azerbaijan is rapidly becoming an energy giant. So even if foreign investors have been pumping billions into the economy for the last fifteen years, after their independence some striking aspects of the Soviet inheritance remain. Sumquayit and Absheron peninsula are the most evident examples.
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Quando, nel 1991, la repubblica socialista sovietica azera dichiarò la sua indipendenza dall’Unione Sovietica, nessuno si sarebbe aspettato un aumento dello sviluppo economico da allora sempre crescente. Il paese era alle prese con un’economia al collasso, in guerra con l’Armenia e con una politica interna nel caos, 18 anni più tardi ha dimostrato uno dei tassi di crescita più alti al mondo, lasciando dietro a sé perfino giganti economici come USA e Cina. Oggi l’Azerbaijan sta prosperando grazie al suo potenziale di idrocarburi; resta ora da vedere se il suo attuale sviluppo economico alimentato dai petrodollari e guidato da un regime corrotto si trasformerà in una crescita sostenibile nel lungo periodo. In Azerbaijan è stato trivellato il primo pozzo petrolifero del mondo nel 1848. Ha attirato nomi come Rotschild e i fratelli Nobel, venuti per controllare le riserve petrolifere esistenti, modernizzare l’industria e attrarre più capitale straniero in questo piccolo paese che si affaccia sul Mar Caspio. Fino agli anni ‘70 l’Azerbaijan forniva il 70% della produzione mondiale di petrolio. La crescita del settore degli idrocarburi ha subìto un rallentamento all’inizio degli anni ‘90 con la caduta dell’Unione Sovietica, ma il paese ha presto riguadagnato la sua antica immagine con l’accordo di produzione congiunta del 1994, noto come “Contratto del secolo”. Questo ha dato il via ad una nuova fase dell’economia azera, in quanto prevedeva il controllo dei giacimenti del Mar Caspio, che in precedenza non erano stati sfruttati dall’Unione Sovietica. Nel 2006 l’Azerbaijan ha avuto una crescita del Pil del 34,5%. Da nord a sud e da est ad ovest, tutto il territorio è arredato da tubi, pozzi e rubinetti, aumentando progressivamente ad ogni spostamento la sensazione visiva di “lavori in corso”.
When in 1991 the Azerbaijan Soviet Socialist Republic declared its independence from the Soviet Union, nobody expected the rise in economic development which since then has been constantly on the increase. The country was in the midst of an economic collapse, at war with Armenia and with chaotic internal affairs. Eighteen years later, they were to have one of the highest growth rates in the world having left behind economic giants like the US and China. Today Azerbaijan is prospering thanks to its hydrocarbon potential – it remains to be seen if the present day petrodollar economy boom led by a corrupt regime can turn the boom into sustainable economic growth over a long period. The world’s first oil well was drilled in 1848. This attracted names like Rothschild and the Nobel brothers, who came to control the existing oil fields, modernize the industry and get more foreign capital into this tiny country on the Caspian Sea. Until the 70s Azerbaijan supplied 70% of the world’s oil production. The hydrocarbon sector’s growth rate felt a slow-down in the early 90s with the fall of USSR but the country quickly gained back its former image with the partnership production agreements of 1994 known as the ‘Contract of the Century’. This got a new phase in the Azeri economy moving since it provided for the complete control of those oil deposits in the Caspian which had not been drilled by the Soviet Union. In 2006 the Azerbaijan GNP rose 34.5%. From north to south and east to west the entire territory is furnished by oil pipe lines, oil wells and drills, the number of which is steadily on the rise. ‘Men at work’, everywhere you look.
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Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Claudio Torcoletti Claudio Torcoletti Claudio Torcoletti Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi Andy Massaccesi
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Cambiano i soggetti, ma il procedimento è sempre il medesimo: inquadratura frontale, soggetto in piedi al centro della scena che guarda in macchina, luce naturale. Ispirato dai grandi maestri citati nella fase di ricerca, anche nella serie di ritratti realizzati agli operai in cantina o lungo le vigne, come ai numerosi bambini incontrati a Baku e nei villaggi ai piedi del Caucaso ho cercato di adempiere ad una sorta di catalogazione sociale. La volontà è quella di descrivere il contesto attraverso la somatica e la mimica del soggetto. La cosa forse più interessante rispetto alla neutralità delle immagini di Sander, o alla forte interiorità dei soggetti della Dijkstra, è questa volta la disarmante complicità dei soggetti, molto spessi i primi a volersi far fotografare. Le pose ottenute, infatti, sembrano in certi casi uscite da una rivista patinata, o dalla locandina di un film Bollywodiano. Forte è dunque la complicità con il mezzo fotografico, segno e simbolo di un qualcosa di nuovo, di diverso. Il soggetto ritratto manifesta la sua curiosità senza timore. Immedesimandosi in qualcosa di altro si pone inoltre come metafora del bombardamento occidentale a cui sono sottoposti un po’ tutti i paesi del est Europa di matrice sovietica. Sono tuttavia persone presenti, che si trovano a “casa” e raccontano non solo di se stessi o di come vorrebbero apparire, ma descrivono una terra,un popolo e le sue attività.
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Subjects change but the procedure is the same: frontal view framing, the person standing up in the centre of the scene looking straight at the camera, natural lighting. Inspired by the great masters mentioned in the research phase section of the book, in the series of portraits taken of the workers in the wine cellar or the vineyards, like the many children encountered in Baku or the villages at the foot of the Caucasus, I have tried to carry out a kind of social cataloguing project. The intention was to describe the context through the subject’s mimicry of somatic type , expression and gesture. The most interesting thing regarding the neutrality of Sander’s images or the over-riding interiority of Dijkstra’s pictures here becomes the subject’s disarming complicity in usually wanting to be photographed. Once the pose has been taken, they look like characters taken from a slick Bollywood movie poster. So there is a complicity in the photographic process, sign and symbol of something different, something new. The people photographed are not afraid to show their curiosity. Moreover, by putting themselves in the place of something else or as other than what they are, they are presenting themselves as the metaphorical victims of Western bombardments (as are most Eastern European countries of the ex- Soviet matrix). In any case they are people who are present, here and now, ‘at home’ not only telling stories about themselves and how they would prefer to be or like to look, but also describing a country, the land, a people and its activity.
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Bibliografia Ambrose Gavin, Harris Paul, Il libro del layout, Zanichelli, Bologna, 2009. Augé Marc, Tra i confini: città, luoghi, integrazioni; Bruno Mondadori editore, Milano, 2007 Augusto Pieroni, Leggere le fotografie: osservazione e analisi delle immagini fotografiche, EDUP, Roma, 2006 Michele Smargiassi, Un’autentica bugia, Contrasto, Milano, 2009 Michel Frizot, A new history of photography, Könemann edizioni, 1994, Colonia Oliver Lugon, Lo stile documentario in fotografia. Da August Sander a Walker Evans (1920 1945), Electa, Milano, 2008 Scianna Ferdinando, Obbiettivo ambiguo, Rizzoli, Milano, 2001 Scianna Ferdinando, Etica e fotogiornalismo, Electa, Milano, 2010 Szarkovsky John, L’occhio del fotografo, 5 Continents edition, Milano, 2007 COLORS MAGAZINE, n°77, Spring 2010, Catena di Villorba (TV), 2010 IL FOTOGRAFO, n°217, Aprile 2010, Sprea editore, Milano IL FOTOGRAFO, n°217, Aprile 2010, Sprea editore, Milano
Sitografia www.azer.com www.balcanicaucaso.net www.catepress.com www.fotoup.net www.sandroiovine.blogspot.com www.smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it www.vinagro.az
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Claudio because the joy of this journey would not be complete if it had not been shared. Gabri e Vugar, because if it were not for them I would probably still be at the airport trying to get a taxi or, more pessimistically, still be in some Azeri commissariat. My parents, who believe in all this, maybe even more than yours truly. Luca (my brother), who knows me better than anyone else and who, with the slightest frown or silence can show his support. Stefano Veschi for this thesis, for the advice and for the ability to make me feel good about it. Roberto Pierac(c)ini and Alberto Bianda for their willingness to advise and being there at the right time. Paola Binante e Giuseppe Biagetti, (not only) for the technical help. Andrea Sestito e Luca Pasquini, for their friendship and professionalism during this past year. Marinella, Rita and everyone else at ISIA for the research to ISIOTI “the Real ones” , for those three years spent together. the G.A. or my stressing him from photo to photo. to you “Miao”, for your patience and not saying much, knowing as you do so much…
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