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Viaggiare: una normalità quasi dimenticata. Un’esperienza nell’ultimo anno resa praticamente impossibile dalla pandemia. Eppure essenziale per molti esseri umani, non tanto e non solo a livello lavorativo ma ad un livello più profondo, oserei dire, ontologico. E’ il caso di Roberto Gabriele, che ha fatto del viaggiare non solo la cifra identificativa del suo modus fotografico ma anche e soprattutto il senso del suo vivere. E’ nel movimento che porta a scoprire l’altro in senso generale: un ‘altra cultura, un’altra società, altri climi, altri riti, altre abitudini che si definisce il senso del narrare di Gabriele e forse anche il senso del suo essere dentro la narrazione mentre essa si dispiega ai nostri occhi. Quello che colpisce dei reportage di viaggio di Gabriele è l’assenza di un punto di vista sulla narrazione, la sua stupefacente neutralità che permette allo sguardo di chi osserva il suo lavoro di elaborarne uno personale in totale libertà. Osservate con attenzione ad esempio lo scatto realizzato in Mongolia in un Luna Park deserto… la forza di questa foto è nel suo raccontare non una ma 10, 100 emozioni differenti tante quante saranno gli occhi che la osserveranno. A guardarla ora ad esempio io vi colgo l’ironia della decrescita felice, la prima volta che l’ho osservata ricordo distintamente che pensai: un paradiso abbandonato! Gabriele ha dunque un pregio raro per un fotografo contemporaneo, nel secolo del narcisismo come stile di vita, è mimetico. Lascia che a parlare sia ciò che ha incontrato durante il viaggio, lascia che i paesaggi, gli incontri, le storie, si squadernino attraverso i suoi scatti quasi spontaneamente. Quanta abilità tecnica e sapienza in ciò! Guardate gli occhi del ragazzino che vende palloncini in Uzbekistan, con quella maglietta verde della Ferrari indosso: è una foto potente da molti punti di vista, potente per i rimandi politico-economici, potente per la questione sociale che mette in campo e potente per la poetica celata nello sguardo del ragazzo. Ecco l’altro aspetto fondante lo stile della fotografia di Gabriele è la stratificazione del significato a più livelli. I suoi scatti hanno sempre almeno due differenti livelli di lettura ed è questo che li rende perfettamente riconoscibili e unici a mio avviso nel panorama piuttosto affollato della fotografia di viaggio!