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Sì, Viaggiare... - Roberto Gabriele

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Introduzione

Introduzione

si, Viaggiare...

Roberto Gabriele

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di Sonia Pampuri

Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma. Bruce Chatwin

Su quali riferimenti culturali, biografici o esperienziali si basano le radici del suo modus di fare fotografia?

Ricordo benissimo il giorno in cui scoprii la fotografia: sul Venerdì di Repubblica uscì un servizio destinato poi a fare storia: le meravigliose foto di Salgado fatte nelle miniere d’oro in Brasile. Lì scoprii la potenza dell’immagine. Ero molto giovane e credevo che la mia strada sarebbe stata comunque altrove. Ricordo poi il giorno in cui anni dopo stampai la mia prima foto in bianco e nero nella cantina a casa di un amico: quella sera gli dissi: da domani basta università: da grande voglio fare il fotografo. Lui non ci credeva, ma io la mattina dopo mollai Ingegneria e mi iscrissi al Corso Superiore all’Istituto Superiore di Fotografia di Roma. Da lì è nata la mia formazione che tengo a dire non è mai finita fino ad oggi, visto che continuo a vedere decine di mostre ogni anno (covid permettendo), a studiare in workshop di altri Colleghi Fotografi, a documentarmi e sperimentare il mio linguaggio. Parallelamente a tutto questo, i primi 20 anni del mio lavoro li ho dedicati alla fotografia di still Life e al reportage aziendale, mentre nel tempo libero amavo viaggiare intorno al mondo a tal punto che presi, anche qui inconsapevolmente all’epoca, il tesserino da Accompagnatore Turistico. Un esame per avere il famoso “pezzo di carta” che non serve a nulla… E invece anche questo mi è servito: sono 0rmai 8 anni che il mio lavoro per le aziende è finito e mi dedico ad organizzare e accompagnare viaggi per fotografi in tutto il mondo. La mia formazione di tecnica turistica mescolata con l’esperienza fotografica, mi hanno permesso di sviluppare una nuova formula di business con www.viaggiofotografico. it che quando iniziai non aveva simili in Italia e che ora è una formula dalla quale in molti hanno tratto ispirazione per fare qualcosa di analogo a quella che facciamo noi. Le esperienze che ho fatto per arrivare a tutto questo sono state le più svariate e tutte provenienti dalla strada intesa in senso lato, come concetto. La Street ad esempio non mi interessa particolarmente, ma adoro fotografare tutto ciò che avviene alla luce del sole. Viaggiando si impara a scoprire la bellezza di tutto ciò che ci circonda, si apprezza il piacere della scoperta e quello della diversità. Viaggiando si impara a non giudicare, a non classificare, a non avere aspettative se non quelle di sapere che qualcosa accadrà. Il viaggiatore comprende il piacere

dell’attesa, quello dell’imprevisto, gode nel sentire scariche di adrenalina quando si trova a vivere esperienze inaspettate nelle quali mai avrebbe potuto pensare di trovarsi. Mi riferisco ad eventi fortuiti come potrebbero essere partecipare ad un funerale con una cremazione e passare mezza giornata a stretto contatto con la famiglia durante la cerimonia, diventare parte di loro (senza averli mai conosciuti prima e avendoli incontrati per puro caso) e intrattenere scambi culturali su riti a noi sconosciuti in un momento tanto delicato per i congiunti… Ecco… essere lì in tanti momenti come quello mi fanno sentire un privilegiato e posso dire certamente che essi fanno parte della mia formazione culturale, umana, professionale ed Esperienziale.

Il particolare periodo storico che stiamo attraversando e l’esperienza della pandemia in che misura hanno influenzato la sua fotografia?

Radicalmente. Il Covid ha cambiato totalmente il mio modo di fare fotografia. Non sono mai stato uno che “racconta il quotidiano”, non faccio street, non mi piace prendere la fotocamera e andare in giro sotto casa a cercare soggetti e stimoli. Un pò come la Katana di un Samurai che viene estratta solo per uccidere o con la consapevolezza di essere uccisi in combattimento, la mia fotocamera la estraggo solo quando ho un motivo per farlo: servizi commissionati, viaggi, sopralluoghi… Contrariamente a tanti miei colleghi io non ho alcun bisogno di raccontare il mio mondo, la mia quotidianità. Ne segue che da un anno ho smesso di fare foto se non in occasione di un paio di viaggi in Italia che sono riuscito ad organizzare tra un DPCM e l’altro sempre rispettando tutte le regole. La pandemia mi ha portato quindi a fermare praticamente totalmente la mia produzione fotografica e a dedicarmi ad insegnare fotografia e Lightroom con eventi on line, a scrivere articoli di viaggio, a collaborare con riviste e a pianificare nuovi itinerari in Italia da fare appena sarà possibile spostarsi in sicurezza tra le regioni. Non dimentichiamo infatti che io lavoro con il turismo fotografico: per il mio lavoro è fondamentale il rispetto di tutte le normative di sicurezza e prevenzione covid.

Quali ritieni saranno l’evoluzione e il ruolo della fotografia nell’attuale contesto comunicativo molto affollato e variegato?

Per una serie di motivi in parte legati al covid ma già preesistenti, la fotografia a mio avviso sta evolvendo verso orizzonti sempre più ristretti. Il trend è proprio quello che manca a me: l’autofotografia. Che non è necessariamente il selfie, ma è un tipo di fotografia legata al proprio microcosmo. Ciascuno ha molto più bisogno di raccontare se stesso al mondo. Sembra che il soggetto più importante siamo diventati noi stessi, il nostro mondo e che quello possa essere come un esempio e un modello per tutti. Gli Influencer sono a parer mio il fenomeno fotografico del futuro. E in questo mio argomentare non voglio assolutamente sminuire uno stile che non mi appartiene, al contrario. Credo che Instagram sia il vero fenomeno che detta le regole. Instagram è un enorme fabbrica di fotografie che condividiamo con il mondo intero per un bisogno di condivisione, di esistenza, di dichiarare al mondo ciò che siamo e che facciamo salvo poi che, a parte i suddetti Influencer che potranno raccontare sempre a più persone la loro vita, per gli altri quelle storie saranno come quelle che si possono raccontare ad un cactus nel deserto…. Rimarranno raccontate e inascoltate. Ecco: il contesto sarà quindi ancora più variegato. Proprio perché ci si sta muovendo in direzioni tanto diverse quanti sono gli Autori e le loro vite, le loro esperienze, la loro quotidianità.

La fotografia per te è un dato culturale? Un linguaggio? un’espressione artistica? Un’espressione creativa?

La fotografia è tutto questo messo insieme e ciò che ne esce fuori, come spesso accade, vale molto di più della somma delle singole parti. E anche questo, a mio parere, non può che essere un bene. La fotografia è sicuramente cultura perché, tanto se la usiamo per raccontare il nostro mondo interiore, tanto se la utilizziamo per raccontare il mondo che ci circonda nella quotidianità o mondi distanti da scoprire in viaggio, è comunque l’espressione di un qualcosa che ci appartiene e che racconta le nostre emozioni davanti a tutto questo. E’ anche un linguaggio perché ciascuno di noi, consapevolmente o no, ogni volta che tira fuori la fotocamera o il cellulare, racconta, comunica e quindi si esprime attraverso un linguaggio visivo che gli è proprio e gli appartiene anche se non lo sa, non sa di averlo imparato, gli viene spontaneo anche se non ha mai studiato fotografia. Basta solo inquadrare qualcosa che abbiamo già DECISO cosa e come raccontarlo, certo, c’è chi lo fa bene e chi lo fa male, ci sono foto che non hanno alcun valore fotografico né artistico né

formale che però esprimono perfettamente le intenzioni di chi le ha scattate. La fotografia PUO’ ESSSERE certamente anche una forma di arte, ma questa è dedicata a pochi. Anche a pochi di quelli che dicono di fare arte fotografica e nelle loro foto non c’è nulla di artistico. Le mie foto ad esempio non sono artistiche, ma non vogliono esserlo e io stesso lo dichiaro! Per molti Autori invece la fotografia è una forma assoluta di arte e la praticano davvero con creatività, esprimendo qualcosa in modo originale e diretto. Può essere una forma di creatività quando non è la semplice messa in pratica di tecniche fotografiche fini a se stesse per fare foto diverse dicendo che sono creative. Le foto mosse a mio avviso, 99 volte su 100 sono foto inutili, mosse per il piacere di fare qualcosa di diverso che qualcun altro ha fatto prima di noi. “‘O famo strano” per il piacere di non essere conformi agli altri, ma senza capire il valore della diversità e quindi della creatività. Una foto mossa è una foto mossa. E’ un errore nella maggior parte dei casi tranne in quei rarissimi momenti in cui invece tutto assume una sua coerenza e allora il mosso è funzionale al linguaggio, al contesto, al racconto, allo stile del fotografo e al percorso umano e artistico che ha seguito fino a quel momento per fare quella foto. É un pò il discorso delle tele tagliate di Fontana. Fatte da lui hanno un valore concettuale, fatte da un altro restano tele tagliate….

Come sarà la sua fotografia tra 5 anni? In quale direzione crede sia necessario per lei evolvere a livello di stile e di contenuto?

Non conosco il futuro, credo che sia già molto difficile avere una mia idea del presente. Ero uno abituato a ragionare su grandi progetti, a scrivere date lontane sul calendario per far si che la mia vita fosse regolata da momenti che avrei vissuto un anno dopo e tutto girava intorno alla preparazione di quei momenti, Ora con il covid non riesco a fare previsioni per la prossima settimana. Pensare a qualcosa che potrebbe essere tra 5 anni mi sembra difficile: quando c’è nebbia è più importante guardare vicino che sperare di poter vedere lontano. Sono un visionario idealista ma allo stesso tempo anche una persona molto concreta. Per il futuro davvero non so fare previsioni. Credo che per i prossimi 5 anni dovremo imparare a guardare ogni giorno il presente, Instagram continuerà per un pò a segnare il passo, ma come Facebook anche questo non sarà eterno, già arrivano altre forme virali di Social come TikTok del quale possiamo parlare o sparlare ma che va comunque visto come un potentissimo strumento di comunicazione che a sua volta sta creando nuovi linguaggi (che ripeto possiamo contestare ma non ignorare) e nuove dinamiche stilistiche nelle quali, di nuovo, qualcuno riuscirà ad eccellere mentre gli altri saranno miliardi di numeri (chiamiamoli Utenti o Persone) senza importanza.

Roberto Gabriele, classe 1968, di se dice che l’unica cosa che sa fare è spingere un pulsante su un apparecchio dal quale escono fotografie (oltre a questo dichiara di non essersi mai perso in oltre 120 viaggi fatti in giro per il mondo). Per oltre 20 anni si è dedicato alla fotografia di Still Life in studio e negli ultimi 8 ha lasciato le mura e le luci della sua sala di posa e ha iniziato a viaggiare a tempo pieno organizzando con il suo sito www.viaggiofotografico.it itinerari progettati appositamente per fare fotografia con i Gruppi che accompagna lui stesso.

Roberto da molti anni è un viaggiatore seriale, l’elenco dei posti dove è stato ed ha fotografato è impressionante.

Nonostante abbia pubblicato più di 10 libri fotografici (il numero esatto non lo sa neanche lui) non si definisce un artista ma un professionista della fotografia.

è necessario viaggiare, esplorare universi e mondi molto lontani da noi per fare della buona fotografia documentale? E’ davvero così insito nel racconto fotografo, nello scatto stesso, il movimento ? La fotografia è dunque ontologicamente motus? Si ma anche No. Nel senso che tutto dipende da come si interpreta il concetto di movimento. E da quali mondi e universi si intende davvero esplorare. Quando ho incontrato la potenza immaginifica degli scatti di Lorenzo Cicconi Massi mi è subito venuto in mente Salgari, uno degli autori di romanzi di avventura esotici più conosciuto e potente che io abbia mai letto, che non andò mai oltre con il corpo il perimetro della poche città in cui visse, pare in un raggio di qualche centinaio di km. Ecco che la potenza immaginifica della fotografia di Cicconi Massi, come nelle pagine di Salgari, ci trasporta in luoghi che lui stesso non ha mai visto, che esistono solo nella nostra percezione di fortunati fruitori della sua fotografia e ci avvolge di magia. La serie Le donne volanti è forse l’esempio più calzante dell’originalità interpretativa con cui Cicconi Massi ha elaborato e fatta sua la lezione del suo conterraneo e maestro Mario Giacomelli. Le figure sono disegnate dalla luce, scolpite dai contrasti del bianco e nero e fluttuano in una dimensione sospesa in cui prima di abbandonarci allo stupore noi spettatori non possiamo che chiederci ma è reale? L’originalità di questo autore, la sua cifra più caratteristica è una qualità davvero rara di questi tempi, ed è a mio avviso, la capacità di documentare l’intimità non solo delle persone, ma delle cose, di raccontare come diceva Giacomelli appunto con un moto che va dall’interno delle cose verso l’esterno. La sua fotografia non ci dice come noi percepiamo il reale, ma immagina come il reale possa percepire noi e il nostro tentativo di modellarlo. Questa cifra emerge potente nel suo ultimo lavoro Spiritus, si tratta di una serie di scatti in cui Cicconi Massi esplora il nucleo confuso e aggrovigliato di emozioni che la pandemia e il conseguente isolamento hanno scatenato in ognuno di noi e ne fa una narrazione onirica, sospesa, poetica. Un documento certo ma un documento dell’immaginazione!

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