Dreamlands

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D R E A M L A N D S luoghi dell’altrove


D R E A M L A N D S

a cura di Paola Riccardi

1.

THE DREAMERS ......................................................................................... 1.1 Paolo Della Corte - Acqua Grandissima ................................................. 1.2 Machiel Botman - Rainchild ................................................................. 1.3 Franco Donaggio - Il bosco del pensiero ................................................ 1.4 Claudio Battista - Io Eolo ...................................................................... 1.5 Teun Hocks - Untitled ...........................................................................

4 6 16 26 36 46

2.

SOGNO O SON DESTO .............................................................................. 2.1 Enrica Magnolini - Aim in time .............................................................. 2.2 Graziano Perotti - Ho visto il mare ......................................................... 2.3 Beppe Castellani - A Twilight Zone ....................................................... 2.4 Matteo Garzonio - Medina ..................................................................... .................................................................. 2.5 Lisa Ci - Fuori dal nero

56 58 70 80 92 104

3.

I SOGNI SON DESIDERI? ......................................................................... 3.1 Silvia Noferi - Hòtel Rèverie .................................................................. 3.2 Giovanni Firmani - Viaggio a ritroso nella memoria ............................. 3.3 Patrizia Riviera - Eden .......................................................................... 3.4 Enrico Prada - Esercizi di Manutenzione dello sguardo ......................... 3.5 Patrizia Dottori - Sentidos Revelados .....................................................

114 116 126 136 146 156

BEYOND THE DREAM .............................................................................. Fausto Meli - Folded paper loves to voyage ............................................ 4.2 Fulvia Farassino - Ti sogno .................................................................. 4.3 Mimmi Moretti - Riflessioni Geometriche .............................................. 4.4 Sergio Bruno - Città nella Città ............................................................. 4.5 Claudio Palma - Lamie ..........................................................................

168 170 180 190 200 210

4.

4.1

© 2021 Tutte le foto appartengono ai rispettivi autori www.italianstreetphotography.com

prodotto da ISP - Italian Street Photography grafica Studio grafico Stefano Ambroset foto di copertina Fausto Meli


La Fotografia, in particolare quella di ricerca, ha molto spesso un potenziale onirico; cattura momenti estatici, visoni emotive, interpreta e racconta con evidenza storie che hanno luogo nello sguardo e che coinvolgono l’individuo in modo simile a come accade nei sogni. E’ adatta la Fotografia a raccontare la dimensione onirica ed esistenziale del sognare, perché la Fotografia è capace di mettere in scena una visione. Spesso il sogno parla di sé, o crea figure e presenze che trovano un corrispettivo latente nella vita reale. Talvolta i sogni raccontano una storia in modo lineare, altre volte creano metafore interpretabili, o incomprensibili, aprendo scenari anche molto complessi, che lasciano traccia nella coscienza. In materia di sogni, non è facile decidere a cosa guardare e come poter rappresentare visivamente l’attività del sognatore. Nelle serie fotografiche qui raccolte, sono accostati 20 diversi autori e relativi progetti che interpretano il terreno dell’onirico offrendoci visioni uniche e personali e spunti nei quali potersi anche ritrovare. E’ interessante osservare come ogni fotografo affronti il tema in modo differente e quale linguaggio scelga per la propria narrazione. Si va da stili evocativi della stessa visione onirica, confusa e priva di dettagli, come nei lavori di Claudio Battista, Fulvia Farassino, Graziano Perotti, a una fotografia staged che crea una mise en scene del sogno stesso, nella dimensione della rêverie, o sogno ad occhi aperti, come nei lavori di Paolo della Corte, Patrizia Dottori, Silvia Noferi, Enrica Magnolini. A livello linguistico in molti dei lavori pubblicati nel volume ricorre la tecnica del mosso e/o dello sfuocato, di una ripresa a bassa definizione dell’immagine - come il foro stenopeico di Patrizia Riviera nel suo Eden – o di una tecnica di ripresa che mira alla dissoluzione del soggetto, come nelle immagini di Sergio Bruno, entrambi riusciti tentativi di riportare al clima percettivo del sogno con una rappresentazione in cui realtà e fantasia onirica si confondono, ri-unite in forma diversa in una stessa dimensione “altra”. Si passa dalla poesia visiva ed estatica di Machiel Botman, Franco Donaggio, Enrico Prada, autori che amo definire dei fotografi-poeti, a una più teatrale e meticolosa mise en scene, come nel caso delle immagini metaforiche di Teun Hocks, frutto di un complesso e multi-linguistico processo creativo. Il sogno viene declinato nelle più diverse forme, dal sogno infantile all’incubo, dal sogno contemplativo, a quello evocativo, dal sogno ossessivo e ripetitivo, ben espresso nelle immagini di Claudio Palma, al sogno che parla un linguaggio astratto e metafisico come nel lavoro di Mimmi Moretti. A livello narrativo si evidenzia come punto comune in un buon numero di lavori il mettere in relazione il sogno al viaggio, un viaggio de-localizzato, a tratti allucinato, a volte soltanto immaginato come nei lavori di Beppe Castellani, LisaC., Matteo Garzonio, che sembrano voler trasportare lo spettatore in luoghi e tempi de-realizzati dal sogno, ma vividi negli occhi del sognatore. Una sorta di viaggio a ritroso nel tempo è la chiave utilizzata da Giovanni Firmani, mentre Fausto Meli, con fantasia ed ironia, ha messo in scena il sogno per eccellenza: il sogno di volare, e il sotteso desiderio del viaggio. Queste visioni, diverse e soggettive, ci immergono pienamente nel mondo dei sogni. Vi invito a percorrerle ad occhi aperti e sensi accesi. Paola Riccardi



1.

T H E D R E A M E R S

You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one John Lennon, Imagine, 1971


acqua

grandissima

Paolo Della Corte

Nel 2050 i veneziani vivranno sommersi dalla marea? Il 12 novembre 2019 la seconda acqua alta della storia ha invaso Venezia provocando danni enormi e scatenando le eterne polemiche su quel che non è stato fatto e quello che si dovrà fare. Recentemente la rivista Nature ha pubblicato uno studio sull’ innalzamento dei mari e le conseguenze che ne deriveranno. E’ tre volte più catastrofico in quanto prevede per il 2050 un innalzamento medio di 10 cm. Per quella data il mare si mangerà Venezia e non si salveranno neppure Padova e Treviso. Ho immaginato la mia città e i suoi abitanti come potrebbe essere nel 2050: sommersa e i veneziani oramai trasformatisi in uomini anfibi che girano per le calli nuotando, galleggiando, immersi sotto acqua. Grazie ad un grande acquario che si trova Hotel Aquarius in campo San Giacomo, ho invitato una trentina di veneziani ad immergersi e ad immaginarsi come si comporterebbero in una situazione così estrema.

Paolo della Corte è nato a Venezia, città in cui attualmente vive pur tra numerosi spostamenti. Dopo la Laurea in Storia dell’Arte a Ca’Foscari inizia a lavorare come fotografo concentrandosi sin dall’inizio sui ritratti di personaggi del mondo della cultura sopratto della letteratura e dell’arte. Louise Bourgeois, Jim Dine, Roy Lichtenstein, James Rosenquist, George Segal, Jannis Kounellis, gli italiani Luciano Fabro, Mario Merz, Emilio Vedova, Fabrizio Plessi, e Giuliano Vangi sono alcuni degli artisti che ha incontrato in questi vent’anni. Mentre tra gli scrittori ricorda Doris Lessing, Gunther Grass, Luis Sepúlveda, Fulvio Tomizza, Claudio Magris e Andrea Zanzotto. Insegna fotografia digitale all’Accademia di Belle Arti di Venezia e collabora con il collettivo BuenaVista pubblicando su diverse testate nazionali ed estere.

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Paolo Della Corte - Acqua Grandissima

The Dreamers

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Paolo Della Corte - Acqua Grandissima

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Paolo Della Corte - Acqua Grandissima

The Dreamers

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Paolo Della Corte - Acqua Grandissima

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Paolo Della Corte - Acqua Grandissima

The Dreamers

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Paolo Della Corte - Acqua Grandissima

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Paolo Della Corte - Acqua Grandissima

The Dreamers

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Paolo Della Corte - Acqua Grandissima

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Paolo Della Corte - Acqua Grandissima

The Dreamers

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R ainchild Machiel Botman

Amo la fotografia. Oltre a ciò, preferisco lasciare che la conversazione avvenga tra le foto e il loro pubblico. Non importa quello che dico, non potrà mai realizzare ciò che dicono le foto.

Machiel Botman (1955), fotografo, scrittore e curatore olandese. Fotografia personale, intima, autobiografica e intuitiva, con un’enfasi sul mostrare il processo. Numerose mostre personali e collettive dal 1980 (4th Wall, Amsterdam 1991; La Modernité et la Flou, Arles, Francia 1999; Corrispondenze con Max Pam, Fnac Mois de la Photo 96, Parigi; Heartbeat, Dutch Photo Institute, Rotterdam 2004/2005; Rainchild, Foam Amsterdam, Gitterman Gallery New York e Fnac, Parigi 2004 - 2005). Heartbeat 2005 con Galleria Grazia Neri Milano; Mostra retrospettiva al Foto Museum The Hague nel 2014. Libri fotografici autopubblicati, a cura di Carole Naggar nel Center of Book Arts di New York, 2018. Tre libri: Heartbeat, (Volute 1994); Rainchild, (Schaden e Le Point du Jour 2004); Un albero, (Nazraeli 2011) Tre cataloghi di libri: Drifting, 2005; Menabo, 2006 e Tre libri nel 2014.

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Machiel Botman - Rainchild

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Machiel Botman - Rainchild

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Machiel Botman - Rainchild

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Machiel Botman - Rainchild

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Machiel Botman - Rainchild

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Machiel Botman - Rainchild

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Machiel Botman - Rainchild

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Machiel Botman - Rainchild

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il

bosco

del

pensiero

Franco Donaggio

Cammino, lungo un sentiero di bellezza fuori dal tempo, cercando ciò che ho perduto nel fluire degli anni, nelle favole dimenticate, nei sogni svaniti. Qui mi avvicino al cielo. In questi luoghi la natura mi parla con mille voci diverse di un unico linguaggio di poesia. Dalle mie radici profonde si eleva un canto di gratitudine alle nubi dell’inverno, generose di neve cadente sul profondo bianco, lì dove il tempo è alieno. Lavoro realizzato tra il 2010 e il 2017 nei boschi del Sudtirolo (Valle Aurina). Tutte le opere sono state realizzate con uno smartphone.

Franco Donaggio opera a Milano come fotografo e artista dal 1979. Fin dai primi anni della sua attività professionale Donaggio privilegia e approfondisce la ricerca tecnica della fotografia in ogni aspetto; dalla camera oscura allo studio della luce nelle loro infinite possibilità estetiche, arrivando presto alla libertà espressiva che oggi più lo caratterizza nel panorama della fotografia contemporanea. Nel 1992 gli viene conferito il premio “Pubblicità Italia” per la fotografia di still life. Nel 1995 Donaggio realizza il suo primo importante progetto fine art intitolato Metaritratti che lo vedrà nel 1996 vincitore dell’ “European Kodak Gold Award” per la fotografia di ritratto. Donaggio dedica sempre maggiore attenzione alla fotografia d‘autore e avvia stretti rapporti di collaborazione con galleristi italiani, europei e americani, tra cui la Joel Soroka Gallery di Aspen che lo rappresenterà negli Stati Uniti e lo porterà ad essere presente nei più importanti eventi d’arte fotografica internazionali: AIPAD show, New York; Art Miami, Miami; Photo LA, Los Angeles.

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Franco Donaggio - Il bosco del pensiero

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Franco Donaggio - Il bosco del pensiero

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Franco Donaggio - Il bosco del pensiero

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Franco Donaggio - Il bosco del pensiero

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Franco Donaggio - Il bosco del pensiero

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The Dreamers

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I O

E O L O

Claudio Battista

Io Eolo è un’esperienza introspettiva sul concetto di paesaggio immersivo, indaga gli stati emotivi in rapporto al vissuto con luoghi profondamente caratterizzati dal precario equilibrio tra gli autoctoni aspetti naturali e quelli artificialmente introdotti dai recenti piani di sfruttamento delle risorse ambientali. Sensazioni di esaltazione, forza e dominio suggerite dai possenti interventi dell’uomo “faber” sul paesaggio, si accavallano ai sensi di vuoto e smarrimento davanti all’incommensurabile vastità degli spazi. Leggerezza e mistero si affrontano dinanzi all’indomabile e fuggevole istanza degli elementi, principalmente dell’aria che trova nelle vorticose emanazioni il proprio assunto. Il vento, costante presenza con i flutti, plasma e scolpisce la roccia mentre accarezza le nuvole. Scenari in perenne divenire, smuovono la percezione stessa dei non-luoghi proiettandola verso dimensioni più intime. Io Eolo non è il bizzarro tentativo di appropriazione del mito, ma diviene moto interiore che reclama senso di appartenenza. Risoluzione che deriva dall’ascolto sul sé rispetto al carattere volubile e ineffabile dei posti. Claudio Battista

Mi chiamo Claudio Battista, nato nel 1966 mi occupo di fotografia come autodidatta, il rigore e la passione per lo sviluppo e la stampa mi hanno accompagnato dalle colline del mio Abruzzo verso una visione sempre più intima che privilegiasse in sintesi i miei bisogni espressivi anche a scapito di una decontestualizzazione del referente. Ossessionato dalla provvisorietà e caduca essenza del divenire e del tempo, svolgo le mie ricerche sui temi della memoria e dell’identità. La formazione prosegue con lo studio di autori come: Michael Ackermann, Machiel Botman, Todd Hido, Alec Soth per citarne solo alcuni. Lettura di saggistica e momenti formativi completano il mio bagaglio e la sete di conoscenza grazie ad incontri con artisti come: Carmelo Bongiorno e Silvia Camporesi, quest’ultima in particolare con cui ho avuto modo di conoscere il ruolo della fotografia nell’attuale sistema dell’arte contemporanea. Diverse collaborazioni con gallerie: Materia con un progetto collettivo curato da Andreas Weinand. Galleria Gallerati con la partecipazione per il progetto portfolio.

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The Dreamers

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Claudio Battista - Io Eolo

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Claudio Battista - Io Eolo

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Claudio Battista - Io Eolo

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Claudio Battista - Io Eolo

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Claudio Battista - Io Eolo

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Claudio Battista - Io Eolo

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Claudio Battista - Io Eolo

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Claudio Battista - Io Eolo

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U ntitled Teun Hocks

“La mia ispirazione potrebbe derivare da qualsiasi cosa e da nulla allo stesso tempo. A volte il mondo intorno a me e l’idea di come sopravvivere alla quotidianità possono essere fonte d’ispirazione. L’obiettivo delle mie immagini non è ottenere tanto, ma riuscire talvolta ad offrire uno specchio, e/o ricavare un sorriso e magari una sensazione positiva”. Performer, fotografo e pittore, l’artista olandese Teun Hocks si serve in modo assolutamente originale di diversi linguaggi artistici, dando vita ad immagini che sono al tempo stesso disegni, fotografie e dipinti, ma anche scenografie teatrali e frammenti di racconto. Le sue fotografie sono cinematiche nel loro processo e nella loro impostazione, perché nascono da una vera e propria mise en scène. Dopo aver tradotto le proprie idee in alcuni bozzetti ad acquarello, Hocks costruisce e dipinge un vero e proprio set, inscenando il tema che sarà al centro dell’opera. Controllato ogni singolo dettaglio, prende posto nella scenografia e inizia a scattare polaroid, usando l’autoscatto, per poi selezionare quella migliore. Questo scatto definitivo viene stampato in grande formato in una tonalità virata al seppia, incollato su un supporto di alluminio e in seguito dipinto con dei colori ad olio. Nei suoi lavori Hocks si propone come l’emblema dell’uomo qualunque chiamato a confrontarsi con situazioni di fallimento, perplessità e stupore, mantenendo sempre, però, un atteggiamento ironico e sarcastico di fronte agli eventi. Copyright Teun Hocks - Courtesy Paci contemporary gallery (Brescia - Porto Cervo, IT)

Teun Hocks è nato a Leida, Olanda nel 1948. Ha studiato (1966-70) all’Academie St. Joos di Breda. Dal 1980 insegna Disegno all’Academie voor Industriele Vormgeving, Eindhoven, e dal 1990 insegna anche Fotografia e Disegno alla Rietveld Academie, Amsterdam. Vive a Breda. Nelle sue grandi fotografie allestite, colorate a mano, Hocks crea scene che a prima vista sembrano banali, ma presto si rivelano surreali. Di solito appare lui stesso in queste scene e gli oggetti di scena sono spesso oggetti molto ordinari. La colorazione a mano e un linguaggio visivo ispirato ai fumetti sono componenti centrali dell’approccio tecnicamente impeccabile e tuttavia giocoso di Hocks. Come nel caso del suo coinvolgimento con il teatro e la performance art negli anni ‘70 e ‘80, così anche nella sua fotografia, la sua principale preoccupazione è mettere in discussione le presunzioni sulla realtà. Le sue fotografie, come anche i suoi cortometraggi, sono effettivamente traduzioni di concetti che hanno origine nei disegni in stile cartone animato. Considerato uno dei pionieri della Staged Photography, Hocks espone a livello internazionale per oltre vent’anni. Le sue opere fanno parte delle collezioni di importanti musei ed istituzioni di tutto il mondo. 46

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Teun Hocks - Untitled

The Dreamers

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The Dreamers

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Teun Hocks - Untitled

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Teun Hocks - Untitled

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Teun Hocks - Untitled

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Teun Hocks - Untitled

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Teun Hocks - Untitled

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Teun Hocks - Untitled

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2.

O

S O G N O S O N D E S T O

[…] per colui che sogna il possibile esiste la possibilità reale di una vera e propria disillusione. Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, 1982


aim

in

time

Enrica Magnolini

Aim in Time è un long-time project sviluppato senza obblighi né costrizioni dal 1999 ad oggi. Pochi rulli analogici l’anno, due al massimo, scegliendo luoghi d’affezione o significativi del proprio vissuto. Nato come un percorso di ricerca e come opera “privata”, emerge da tutto il lavoro un racconto sottile e rarefatto, non lineare, che con delicatezza e sensibilità offre il ritratto di un’anima nel tempo. Un lavoro che, interamente calato in una dimensione autobiografica, si svela agli occhi stessi dell’artista come una riflessione esistenziale profonda. Un processo creativo che nel rispondere all’esigenza personale da cui è nato, genera una narrazione per frammenti che acquisisce nuovo senso nello sguardo dell’altro. Una ricerca visiva che scaturisce da una fascinazione per il lavoro di Francesca Woodman e dalla possibilità di una così chiara e densa restituzione del sè. “Sentivo vibrare in me quelle immagini come se mi appartenessero, come se facessero parte di un mio vissuto. [...] così incominciai a fare delle sperimentazioni fotografiche rivolgendo l’obbiettivo verso di me. Da quel momento non ho più smesso.”. L’autrice non progetta con intenzionalità le sue pose, ma si pone liberamente e senza veli di fronte all’obbiettivo alla ricerca di una traccia consistente del proprio Io esistenziale, in una simbolica azione di ontogenesi del soggetto. Come per il cogito Cartesiano, il ritrarsi diventa momento di attestazione del proprio esistere. “Le entità che si creano non sono fantasmi ma vive reminiscenze in una dimensione temporale di presenza-assenza ”. Le fotografie sono tutte realizzate su supporto analogico, assegnando a questo elemento un valore di deposito materico di una traccia consistente, espressione del costante divenire che l’ha generata.

Si appassiona alla fotografia nel 2000 e inizia a frequentare un corso serale durante gli studi artistici decide di improntare la sua carriera nell’ambito fotografico. Entra in contatto con un libro di Francesca Woodman che sarà per lei fonte di grande ispirazione poetica. Inizia ad indagare il mondo del visivo attraverso l’autoscatto tecnica che le permette di di individuare un suo stile personale. La sua ricerca è incentrata sul rapporto tra il se fisico e lo scorrere inesorabile del tempo. Nel 2017 il progetto di anni diventa una mostra AIM IN TIME anche grazie all’incontro con la photo editor Paola Riccardi la quale le curerà la Mostra a Milano. Da quel momento la mostra è stata esposta in gallerie in Italia e all’estero. Nata a Brescia nel 1982, lavora a Milano come fotografa professionista. Co-fonda nel 2014 la società MATRICEOTTO SRL che si occupa di servizi fotografici per aziende di moda. Per passione ha sempre coltivato la ricerca personale e l’interazione che si può creare tra diverse arti. In particolare ha una passione per il mondo della danza e ha svolto diverse collaborazioni fotografiche con coreografi.

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Enrica Magnolini - Aim in time

Sogno o son Desto

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Enrica Magnolini - Aim in time

Sogno o son Desto

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Enrica Magnolini - Aim in time

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Enrica Magnolini - Aim in time

Sogno o son Desto

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Enrica Magnolini - Aim in time

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Enrica Magnolini - Aim in time

Sogno o son Desto

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Enrica Magnolini - Aim in time

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Enrica Magnolini - Aim in time

Sogno o son Desto

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Enrica Magnolini - Aim in time

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Enrica Magnolini - Aim in time

Sogno o son Desto

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ho

visto

il

Graziano Perotti

mare

Ricordo quella leggera curva, lo stridio delle ruote ferrose sui binari, il passo lento, al di là c’era il mare. Il mare lo vedevo per la prima volta. Il cielo era strano, aveva la stessa materia delle cose che non puoi prendere ma solo sognare, i finestrini erano appannati, un signore fumava il sigaro di fronte a me incurante di tale bellezza, forse ne aveva visto troppa di quella bellezza, forse abitava in quella bellezza. Il mare lo vedevo con luci emotive, come qualcosa che non voleva svelarsi ai miei occhi non completamente, come un’idea ancora da pensare, lo svelarsi di un mistero o la confidenza di un’amica da tenere segreta. Quelle visioni mi sono rimaste dentro, era una giornata d’inverno, anche le case guardavano il mare, sfilavano spiagge e pescatori, barche abbandonate sulla spiaggia e cani scodinzolanti a passeggio, cabine isolate di bagni che avrebbero avuto miglior luce d’estate, poi a un tratto tanta gente su quel bagnasciuga e quella giostra per bambini tanto fortunata, anche lei guardava il mare. Quel mare non era come lo pensavo, era di più, immaginavo quelle spiagge d’estate, non sarebbero state uguali, la folla avrebbe distolto emozioni e cambiato la mia visione, ora sembrava tutto mio da interpretare. Mi dicevano che d’inverno non si va al mare, non lo dovevano dire, è il mare di quella giornata d’inverno che più ho amato, era immenso come le mie emozioni, non sarei mai riuscito a raccontarle a casa ero troppo piccolo. Questo pensavo mentre il signore davanti a me spegneva il sigaro e rivolgendomi la parola mi chiese. “Ti piace il mare?” volsi lo sguardo al finestrino, vidi un lungo molo che cercava di fendere le acque indicandomi l’orizzonte, come a svelare una via, e non risposi a quella domanda. Era troppo grande quel mio mare e non aveva più colore solo tante domande.

Graziano Perotti è nato a Pavia nel 1954 dove tuttora risiede. In veste di fotoreporter ha pubblicato oltre 200 reportage (di viaggio, cultura e sociale) sui più importanti magazine, ottenendo più di 30 copertine e prodotto foto pubblicitarie per “Grand foulardBassetti”, Alpitour-Francorosso, Hotelplan, Brunello di Montalcino della Fattoria dei Barbi etc. Di lui hanno scritto e pubblicato lavori su riviste specializzate di fotografia e sui maggiori quotidiani italiani i più noti critici. Numerose sono le sue mostre personali e partecipazioni a collettive con grandi fotografi in rassegne di livello internazionale. Recentemente Pio Tarantini lo ha inserito nel suo libro “Fotografia. Elementi fondamentali di linguaggio, storia, stile” tra i fotografi contemporanei più significativi. Ha vinto importanti premi in Italia e all’estero “Destino Madrid”, “Scatti Divini”, “Il genioFiorentino” e sue fotografie sono in importanti collezioni private, fondazioni e musei. Sue fotografie tratte dai lavori “Rennaisance” e “The beauty of geese” ed “Enchanted Forest” sono state selezionate alla Saatchi Gallery on screen.

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Graziano Perotti - Ho visto il mare

Sogno o son Desto

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Graziano Perotti - Ho visto il mare

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Graziano Perotti - Ho visto il mare

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Graziano Perotti - Ho visto il mare

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Graziano Perotti - Ho visto il mare

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Graziano Perotti - Ho visto il mare

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Graziano Perotti - Ho visto il mare

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Graziano Perotti - Ho visto il mare

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Graziano Perotti - Ho visto il mare

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A

T wilight

Beppe Castellani

Z one

Vi state inoltrando in un’altra dimensione, non solo di immagini e suoni, ma anche della mente. Un viaggio in una terra favolosa i cui confini sono quelli dell’immaginazione. Prossima fermata: The Twilight Zone. Digital and analogic shots.

Beppe Castellani inizia la sua esperienza fotografica da ragazzo, attratto dalle possibilità espressive di questo mezzo. Gli studi umanistici e artistici lo hanno aiutato nel suo percorso con l’approfondimento in prima istanza dell’immagine urbana, del suo tessuto umano e delle sue contraddizioni, operando prevalentemente in monocromatismo e mantenendo, anche con l’avvento del digitale, una non trascurabile fascia di produzione riservata all’analogico. Contestualmente è attratto dalla fotografia minimalista o simbolica, particolarmente in epoca più recente. Ha, inoltre, occasione di riprendere celebri musicisti come G. Mulligan, E. Pieranunzi, J. Mitchell, B. Harris, Lou Reed ed altri.

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

Sogno o son Desto

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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Beppe Castellani - A Twilight Zone

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medina Matteo Garzonio

È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.” Medina è il primo capitolo di un progetto a lungo termine, tuttora in corso, ispirato al romanzo “Le Città invisibili” di Italo Calvino. La serie si propone di interpretare i segni della realtà, andando oltre il dato direttamente visibile, in una sorta di visione indiretta del mondo. Attraverso i veli del mosso e dello sfocato, le immagini notturne richiamano atmosfere oniriche e intendono raffigurare il forte potere evocativo della Medina di Marrakech, provando a coglierne l’essenza: una sorta di sogno appunto, una città quasi immaginaria e idealizzata, di cui si però si riconoscono i colori e l’anima sempre vitale.

Sono un fotografo che pratica generi diversi, con una predilezione per la sperimentazione. Negli ultimi anni ho approfondito la ricerca di un linguaggio personale, di una “visione intima”, che mi consentisse di interpretare il dato del reale e del visibile. Sono sempre stato interessato a diverse espressioni artistiche, anche traendo ispirazione per i miei lavori. I miei riferimenti fotografici spaziano dai maestri moderni fino ad autori contemporanei. L’azione creativa mi ha costretto a guardare più attentamente il mondo e, metaforicamente, la fotografia è stata anche un viaggio di introspezione e scoperta personale. Questa è la genesi e anche il senso della mia ricerca fotografica. Ho ricevuto diversi riconoscimenti in concorsi fotografici, anche attraverso pubblicazioni, e ho esposto le mie opere in mostre fotografiche.

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Matteo Garzonio - Medina

Sogno o son Desto

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Matteo Garzonio - Medina

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Matteo Garzonio - Medina

Sogno o son Desto

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Matteo Garzonio - Medina

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Matteo Garzonio - Medina

Sogno o son Desto

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Matteo Garzonio - Medina

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Matteo Garzonio - Medina

Sogno o son Desto

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Matteo Garzonio - Medina

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Matteo Garzonio - Medina

Sogno o son Desto

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Matteo Garzonio - Medina

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Matteo Garzonio - Medina

Sogno o son Desto

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fuori

dal

Lisa Ci

nero

Mi piacciono le immagini intimiste e sfuggenti dove posso urlare me stessa senza dover stare nella realtà. Ciò che sta racchiuso nella foto mi interessa molto più del linguaggio formale. L’approccio introspettivo che sconfina in un mondo di sogno, spesso volutamente “bruciato” nei toni, è la cifra anche di questo lavoro che mischia fotogrammi di film, foto personali e suggestioni visive. Si potrebbe dire davvero che inconsciamente voglio “guarire” da quelle cose che non racconterei a nessuno, attraverso la possibilità di rendere “reali” sofferenza e tensione interiori. Dolcezza, struggimento, angoscia, paura… sono le emozioni protagoniste di FUORI DAL NERO, di questo ambiente sfocato che è gabbia, sogno, emozione e fantasia. Non voglio però venerare solo l’inconscio: ne attingo a piene mani per trasformare ciò che vedo, standone alle spalle. Voglio tornare nel mare, scendere in fondo, consumare quell’incolpevole voglia di immenso che sta nell’acqua. Voglio abbracciare un palmizio e fuggire nella terra dei sogni.

Lisa Ci, pseudonimo di Nicoletta Prandi, vive e lavora a Bergamo, dove è nata. Giornalista, è artista autodidatta nel campo della fotografia. I suoi lavori sono stati esposti in musei ed altre importanti istituzioni: a Napoli dentro Castel dell’Ovo nell’ambito di MEDITERRANEO 2019 ed in precedenza nel 2012 nel Chiostro di San Francesco delle Monache con la personale “Muri”. Poi a Roma Palazzo Velli Expo 10a edizione Cascina Farsetti ART, Bergamo /Museo Diocesano, Marghera, Milano, Gaeta /Museo Diocesano, Venezia Brescia, Praga, Vercelli e, non ultima, Reggio Emilia nell’ambito del Festival di Fotografia Europea 2017. Ha partecipato a varie manifestazioni, tra cui nel 2018, la collettiva “Chi siamo noi?” realizzata alla Casa delle Donne nell’ambito del Photo Festival di Milano ed il Perugia PhotoFestival, dove ha esposto nello Spazio Fratti, in una mostra definita “.. dei più innovativi e significativi lavori di artiste italiane emergenti – la serie in b/n “… ma dentro voliamo via” – un lavoro ancora in evoluzione, di cui parte è nell’omonimo libro d’arte realizzato nel 2019 e parte è stato esposto sempre nello stesso anno alla Galleria Cento4 di Bergamo.

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Lisa Ci - Fuori dal nero

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3.

S O N

I

S O G N I D E S I D E R I ?

L’Universo cospira sempre a favore dei sognatori. Paulo Cohelo


H ò tel

R èverie

Silvia Noferi

Hôtel Rêverie è un progetto fotografico ispirato al saggio di Gaston Bachelard “La Poetica della Rèverie”. Il termine “Rèverie” viene tradotto come sogno ad occhi aperti, fantasticheria. Per il filosofo francese la Rèverie rappresenta quel fenomeno della veglia in cui l’Io fugge dal reale vagando libero da qualsiasi influenza contingente. “ Di quale altra libertà psicologica godiamo oltre a quella di fantasticare? psicologicamente parlando, è proprio nelle rèveries che siamo degli esseri liberi” scrive l’autore. Il lavoro è stato realizzato nelle stanze sconnesse e polverose di un albergo in rifacimento. I miei modelli (improbabili come gli abitanti dei sogni) sono in posa sullo sfondo di pareti sgretolate e tappezzerie scollate, nel tentativo di livellare la linea di confine tra il mondo reale e quello immaginario. I miei scatti sono un’ occhio che si apre da quel confine e da quel confine si spalanca un mondo ALTRO, nel quale originalità è al tempo stesso Bizzarria, verità primigenia, IDEA platonica. Dove i dettagli non sono mai rivelati e l’immobilità è l’origine di ogni possibile movimento.

Silvia Noferi è nata a Firenze nel 1977, dove vive e lavora. Il suo percorso nella fotografia inizia nell’adolescenza e si sviluppa negli anni attraverso molteplici esperienze di studio e e lavoro nel campo della riproduzione d’arte. Nel 2003 si è iscritta alla scuola di fotografia Fondazione Studio Marangoni conseguendo il diploma del triennio nel 2006. In quegli anni ha iniziato la sua ricerca artistica concentrandosi inizialmente sull’autoritratto. Ha frequentato numerosi workshop con artisti e fotografi quali: Mario Cresci, Marzia Migliora, Gea Casolaro ecc. Attualmente i temi con i quali si confronta il suo lavoro sono quelli dell’identità, del sogno e della memoria, senza tralasciare l’ attualità del nostro tempo. Ha esposto in varie mostre sia in Italia che all’estero e vinto premi quali: il Premo Celeste 2009, la mostra premio di ARTELAGUNA, Il premio ITS talent support. Nel 2008 Ha ricevuto la menzione speciale della giuria al concorso Talent Prize. Alcune sue opere sono entrate a far parte di collezioni permanenti come quella del Mac’n, di Monsummano Terme, e di fondazioni come il Fondo Malerba per la fotografia.

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Silvia Noferi - Hòtel Rèverie

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V iaggio a ritroso nella memoria Giovanni Firmani

Mi ritrovo ad affrontare un tuffo immaginario in quella parte di memoria impressionata da immagini fugaci dell’infanzia, visualizzate in un confuso alternarsi di ombre scure e luci che paiono bagliori. L’occasione è scatenata da una visita ai parenti defunti. Soffermandomi sulle loro immagini affisse alle lapidi, l’occhio mi sfoca quelle immagini e mi sembra di poter attraversare quei marmi per rivedere le antiche pareti dei loro luoghi, vissuti nella mia infanzia, con una visione non nitida ma ancora forte. Mi lascio andare per rivedere vecchi scorci di quelle case e di quelle cose che hanno a che fare, seppur distorte nel ricordo, con momenti vissuti accanto a loro. Il tutto in un viaggio a ritroso che dalla lapide funeraria mi fa attraversare le loro case, fino al riapparire della mia identità, proiettata come ombra su una parte di vissuto attuale. E a tutto ciò ripenso seduto nella mia attuale dimora, immaginandomi dietro un vetro carico di umidità.

Giovanni Firmani, classe 1963, laureato in giurisprudenza, master in public management in ambito sanitario, faccio il dirigente pubblico in una ASL di provincia. Insomma nella vita vivo di altro rispetto alla fotografia, che invece rappresenta una sorta di vita parallela, quella mi fa cristallizzare i miei sogni/incubi/visioni oniriche, che ultimamente amo condividere anche con altri. Con la fotografia ho iniziato a muovere i primi passi alla fine degli anni ’70, guidato da cugini più grandi che di tanto in tanto da Milano scendevano nella provincia laziale e mi iniziavano allo scatto e alla camera oscura. Un tappa per me importante fu partecipare a “Venezia 79 la fotografia” con un workshop tenuto da Giorgio Lotti: avevo 16 anni, del gruppo ero un po’ la mascotte, ma in qualche modo fui iniziato al racconto fotografico, se non proprio al reportage. Dalle foto singole ricevo diverse soddisfazioni in termini di premi a seguito di partecipazione a concorsi o contest (ultimo dei quali il premio Fujifilm X100 Anniversary, di pochi mesi orsono).

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Giovanni Firmani - Viaggio a ritroso nella memoria

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Patrizia Riviera

EDEN: Nella natura cerco quell’energia antica all’origine del mondo La parola Eden evoca l’immagine del paradiso terrestre, luogo di armonia, di felicità, di bellezza, di libertà perduta. E’ il luogo all’origine dell’umanità dove non c’era la sofferenza, la malattia, la fatica di guadagnarsi il cibo. Quel luogo perfetto in cui l’uomo viveva immerso nella natura. In questa parola, nella sua potenza, è contenuta il senso di colpa per averlo perso e l’illusione che esista un luogo dove ritornare, dove trovare rifugio. Il luogo della felicità perduta. L’immaginazione inconscia come natura e l’immaginazione conscia come ispirazione artistica. Come affermava Shelling, uno degli esponenti principali della filosofia romantica, “non esiste distinzione tra materia e spirito. L’intera natura è quindi come guidata da un’anima, ovvero una forma di intelligenza immanente che regola sia la forma che l’evoluzione delle cose.” Questo paradiso che si chiama Terra, tra cinquant’anni potrebbe essere il nostro nuovo rimpianto, il deserto nel quale saremo confinati, e non per disobbedienza o desiderio di conoscenza, ma per avidità, stupidità e arroganza. Eden è stato realizzato con una macchina artigianale in legno a foro stenopeico, con chassis 545 Polaroid e film color 4x5 inch 100 iso Polaroid 79.

Nasce a Milano nel 1956 e dal maggio del 2000 vive a Bergamo. Ha iniziato a fotografare nel 1992 frequentando la scuola “Donna Fotografa” di Giuliana Traverso. E’ principalmente una fotografa fine art, con influenze espressioniste e pittorialiste. Fotografa per descrivere il lato emotivo della realtà, più che quello oggettivo, e usa la fotografia per raccontare una storia personale, intima. Negli ultimi anni le sue immagini hanno come soggetto la Terra, che fotografa con un senso di nostalgia e di perdita, di rispetto e stupore. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive, in Italia e all’estero. Ha inoltre affrontato tematiche di reportage sociale, destinate alla pubblicazione editoriale, come “Liberamente in Patagonia”, mostra e libro a cura di Roberto Mutti sul viaggio in Patagonia di alcune persone con disagio psichico seguiti dalla Fondazione Emilia Bosis. “Naturalmente” e “i Viaggi della Mente” libro e mostra sui viaggi dei malati psichiatrici con carovane di carrozze e cavalli nelle pianure lombarde, sempre a cura della Fondazione Emilia Bosis.

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M anutenzione sguardo

Enrico Prada

Il Sogno e la Fotografia hanno in comune il fatto di mettere in scena qualcosa che, spesso, non è quel che appare. In altre parole: funzionano come specchi deformanti che pescano le loro immagini da un mondo che sfugge alla mente razionale. Il Sogno e la Fotografia attingono alle luci e alle ombre di cui non sempre abbiamo coscienza e le proiettano nel sonno o nell’inquadratura. Per questo molti paesaggi sognati o fotografati contengono elementi che solo a posteriori riconosciamo come appartenenti a noi. È in quel momento, a posteriori, che sotto la tessitura delle immagini oniriche o delle fotografie ci accorgiamo, con stupore, della parte invisibile e profonda dei paesaggi che abbiamo attraversato. In sogno o nella realtà. Le fotografie qui presentate riuniscono immagini nelle quali, solo dopo lo scatto, ho riconosciuto la trama sotterranea che le riconduce a quella geografia invisibile dalla quale provengono: la luminosità del sogno o l’oscurità dell’incubo che lo sguardo ha raccolto nel tempo.

Fotografo, critico, docente di fotografia e blogger. Da tempo affianca all’attività creativa, quella divulgativa e didattica, nonché di critico e curatore di mostre. Ha collaborato con Musei, con il Teatro Fraschini e con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Pavia, per il quale ha realizzato il volume fotografico Prima che il tempo scada. Ha curato mostre per Pavia Fotografia, per la Triennale di Milano e ha diretto la Galleria Gonda di Milano (sezione Fotografia). Insegna comunicazione visiva e educazione allo sguardo con seminari, laboratori e conferenze. È stato Direttore Artistico di Oltrefoto-Laboratorio Permanente di Fotografia da lui fondato in Voghera. Ha collaborato con Mother India School di Shobha Battaglia. Ha realizzato, con Paola Riccardi, la video-mostra Esercizi di manutenzione dello sguardo per la Galleria Al Centoquarantadue di Milano. Attualmente sta scrivendo “Esercizi di manutenzione dello sguardo. Guardare, vedere, creare”, libro che raccoglierà sia le immagini prodotte negli ultimi mesi sia gli esercizi realizzati durante i laboratori. Scrive da anni il blog La valigia di Van Gogh (http://lavaligiadivangogh.wordpress.com) che è, al tempo stesso, diario e officina di lavoro. 146

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Patrizia Dottori

“Sentidos revelados” è la trasposizione fotografica della mia esperienza di ipnosi, con metodo Ericksoniano, avvenuta tra ottobre e novembre del 2018. E’ stato un viaggio intenso tra “gli inconsci”, un susseguirsi di immagini, emozioni e sensazioni che ho cercato di rappresentare attraverso la fotografia. Non è stato facile riprodurre il vissuto, ma il lavoro con l’equipe a Buenos Aires è stato un secondo viaggio nel quale sono entrate in gioco, emotivamente e professionalmente, ulteriori sensazioni ed esperienze. Per poter realizzare la trasposizione in fotografia ho raccontato più volte la mia esperienza per trasmettere più informazioni possibili e far sì che ogni tipo di coinvolgimento fosse di apporto alle mie idee di produzione, che tuttavia erano ancora in fase di elaborazione. Obiettivo dell’ipnosi era di ritrovare quella che chiamo la “stella della fortuna”, ovvero una luce particolare che in passato sentivo essere molto presente dentro di me e in seguito molto meno. Anche la fotografia è ricerca di luce… Entrando in trance ho visto me stessa e varie parti di me stessa navigare dentro di me. Ho potuto gestire e dominare la mia parte più “controllora” e permettere la piena libertà creativa al mio lato più intuitivo ed emotivo. Sono scesa letteralmente nelle mie viscere, le ho trasformate in una placenta di acqua limpida e mi sono data alla luce. Un parto emozionante, con una grande sensazione di serenità, che mi ha avvicinato alla mia stella della fortuna, alla luce che cercavo. Ma il viaggio è continuato: non era sufficiente trovare la luce ma reintrodurla dentro di me, cosa che ho fatto trasformandola in un flusso fluorescente e creando un circolo luminoso che attraversava il mio corpo, usciva fuori e rientrava dentro. Ma la sorpresa è stata che mentre scendevo dentro di me ho visto crearsi dei vortici che, in seguito, ho realizzato erano i punti dei chakra. Il mio obiettivo incosciente era molto più potente di quello cosciente. Sono stata regista e interprete di me stessa grazie a coloro che hanno partecipato al progetto: Antonio Fernandez, fotografo, che ha realizzato materialmente gli scatti con grande professionalità presso il suo studio fotografico. Con lui abbiamo fatto a quattro mani anche l’editing e la post produzione, con stili diversi ma complementari, e la sua tecnica, in quanto diversa dalla mia, è stata indispensabile nella realizzazione di ciò che “vedevo”. Santiago Ceresetto, attore, che mi ha aiutata a interpretare me stessa davanti alla macchina fotografica e che ha accolto la prima mostra nel suo spazio Inboccalupo. Anabella Santagata, assistente fotografa, che ha messo la sua energia e la sua passione nella condivisione del lavoro e nel viaggio ipnotico. Flor Lista che ha partecipato al backstage con grande carica emotiva. Patrizia Dottori, romana, vivo e lavoro tra Buenos Aires e Roma, dove ho iniziato a fotografare nel 1986. Scatto come un’artista e penso come una fotografa per questo definisco il mio genere fotografico come “reportage artistico”, una ricerca attraverso significati ed emozioni di realtà non immediatamente riconoscibili. I progetti fotografici finora realizzati affrontano temi ineludibili nello sforzo verso un mondo migliore, dalla condizione femminile alle tematiche ambientali, ma anche la continua analisi introspettiva, che transita per lo studio della psicanalisi applicata alla creatività, da cui scaturisce una originale produzione del genere autoritrattoche giunge fino all’esperienza dell’ipnosi. Laddove percepisco il pericolo che vengano messi in discussione o a repentaglio i diritti umani, civili, sociali e ambientali, lì nascono i miei progetti, direttamente dalle fotografie. Ispirata da Magritte per il lato surrealista e metafisico, da Man Ray, per la sperimentazione e la ricerca, da Ansel Adams per il suo rigore e la sua poesia, assegno un ruolo fondamentale alla bellezza, perseguita spesso trasformando la realtà in immagini surreali o in forme astratte attraverso uno sguardo critico ed analitico della realtà, che non lascia indietro nulla di ciò che realmente conta dal punto di vista umano e sociale.” 156

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4.

B E YO N D T H E D R E A M

Si può uccidere il sognatore ma non si può uccidere il sogno. Martin Luther King


folded paper loves to voyage Fausto Meli

L’idea deriva dai ricordi d’infanzia, dall’esercizio giocoso di comporre figure su sfondi naturali. Una fotografia ha come spunto uno scenario reale che, da un’insolita sintesi temporale e di luce, diventa immagine su carta. Per altro verso, un origami nasce da un foglio di carta che da una singolare sequenza di piegature crea un’interpretazione tridimensionale del soggetto stesso. Ho cercato una connessione tra queste due visioni che sembrano in antitesi perché scaturiscono da prospettive diverse, ma finiscono per fondersi in una nuova immagine fotografica in cui l’artefatto è svelato. Nel progetto l’origami piegato con carta giapponese bianca è fotografato in still life con una luce che richiama il mood dell’immagine ospitante realizzata. L’uso dello stesso tipo di carta washi per la stampa della foto finale vuol rafforzare il legame tra i due mondi. La fotografia conclusiva appare un surreale e al contempo ironico “ritratto ambientato”. Il titolo del lavoro allude al volo infantile della fantasia attraverso il viaggio immaginario della carta piegata, in inglese nella sua accezione di scoperta.

Dopo la laurea in Ingegneria si occupa per diversi anni di ricerca nel campo della Fotonica. La passione per la fotografia nasce in età giovanile. Partecipa a numerosi workshop fotografici tenuti, tra gli altri, da E. Kashi, D.A. Harvey e M. Bulaj. Con la sua ricerca fotografica tenta di esplorare soggetti e luoghi con sguardo e punti di vista inediti attraverso la lente di un tempo dilatato, sospeso, del sogno e della notte spazio ideale dell’immaginazione. E’ stato selezionato come Proposta MIA nel 2012 e in seguito ha esposto con la galleria Spaziofarini6 in diverse edizioni di MIA Fair, Affordable Art Fair (Milano) e Fotofever (Parigi), Photo Basel nel 2019 e WOP Art (Lugano) nel 2020. Tra le mostre personali e collaborazioni più importanti si segnalano quelle con la galleria Spaziofarini6 (Milano), Biffi Arte (Piacenza), Photofestival (Milano), Fotografia Europea (RE), EPS Factory (Bologna), MiranoFotografia (VE), InArte Werkkunst gallery (Berlino), Officina d’Arte Bonci (Pietrasanta), Biblioteca Cascina Grande (Milano). Il suo libro Effetto nottetempo è stato pubblicato da I Quaderni di Gente di Fotografia (2017).

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T i

sogno

Fulvia Farassino

“Finché morte non vi separi”… aveva detto il prete trent’anni prima. È arrivata, troppo presto. Questo è un viatico, per mio marito, e per me. Per due anni, dopo la sua morte, la notte venivo visitata da sogni ricchi di immagini, suoni e rumori. Vividi. Case con lavori in corso, case che si disgregavano, case sospese senza fondamenta che urlavano; e poi strade che percorrevo in bici, in macchina, in tram… Al mattino trascrivevo l’esperienza della notte su un diario. Da fotografa, mi chiedevo come avrei potuto fotografare quei sogni. La fotografia poteva catturare la materia dei sogni? Un bel giorno di maggio, in Liguria, mentre provavo un flash, ecco la risposta: potevo usare la tecnica del mosso, combinata con lo zoom e il flash. Cominciai a scattare febbrilmente, sull’onda dell’ emozione. Il materiale me lo forniva la natura, nella quale mi ero rifugiata. Guardavo un fiore, una pianta, una finestra, una luce e, seguendo un ritmo interiore, scattavo. Gli occhi vedevano, l’obbiettivo riproduceva movimenti le emozioni dei sogni. Ho impiegato due giorni e mezzo per realizzare il nucleo principale del lavoro fotografico. Ma sentivo che mancava qualcosa che rendesse il mio lavoro un’opera completa. Ciò è diventato realtà grazie all’incontro con Thomas Rosenfeld che, lasciatosi catturare dalle mie immagini, con i suoi suoni e la sua musica ha dato una voce a un video: SOGNO in 42 fotogrammi.

Intraprende la sua carriera professionale nel mondo dei cineclub e dalla fine degli anni settanta si dedica a tempo pieno alla fotografia. Si specializza in photoreportage cinematografico, dedicandosi soprattutto a ritratti d’attori e registi; successivamente ha fotografato anche scrittori, artisti, pubblicitari e imprenditori nonché artigiani, preferibilmente nel loro ambiente di lavoro. Ha collaborato con regolarità agli inserti del Corriere della Sera: Sette e Vivi Milano. Ha pubblicato su numerose riviste qualificate italiane e straniere. Affianca al lavoro editoriale una ricerca narrativa del mondo del cinema e dello spettacolo che ha il suo culmine nelle due mostre Tratti e ritratti, a una ricerca artistica più intima che si concretizza nella mostra e nel video Sogno in 42 fotogrammi. Ritratto: Paolo Gioli

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G eometriche

Mimmi Moretti

In questo progetto, come forse in pochi altri, emerge la sperimentazione verso l’astrattismo, la curiosità di intraprendere nuovi linguaggi come fossero treni dalle destinazioni sconosciute, e l’inappagata voglia di cercare, studiare, scoprire, applicare nuovi stili. Al punto che le fotografie di un’opera architettonica come quella di Calatrava per la Stazione di Reggio Emilia diventano caleidoscopiche immagini astratte, in cui la sperimentazione della post produzione altro non fa che svincolarsi, proprio come le prime opere d’arte astratta del secolo scorso, dalla semplice rappresentazione verosimile, senza mai abbandonarla del tutto. Ancorato alla realtà, pur dandole nuove forme. Come dentro un caleidoscopio, le cui pietruzze compongono figure sempre diverse, così chi osserva quelle foto può vederci cose diverse o addirittura decidere di incamminarsi su quei binari e intraprendere un viaggio senza fine. Le gigantesche onde bianche di acciaio e calcestruzzo, il susseguirsi e ripetersi dei portali sfalsati progettati da Calatrava, divengono, nel lavoro fotografico di Mimmi Moretti, ipnotiche immagini di onde sonore che s’ingarbugliano tra loro e, come una fitta rete da pesca, catturano l’occhio e lo trascinano in un mondo altro, seppur parallelo. Come quell’Ade in cui giacciono le Moire; come l’Olimpo. Come l’Inferno, il Purgatorio, e il Paradiso. Così, tra quella facciata moderna e i binari dell’alta velocità, possiamo trovarci dio e lucifero. Oppure ancora, un labirinto, una scala senza fine o binari che entrano in collisione prima di una esplosione di luce, come fossero stelle. Binari che riportano alla realtà, che la tengono in contatto con gli altri mondi, e che si possono percorrere per fuggire … «altrove, non importa dove».

Mimmi Moretti, il cui vero nome è Domenico, nasce a Catania nel 1966. Dopo qualche mese, la famiglia si trasferisce a Parigi ed è nella capitale francese che si forma culturalmente e dove inizia, grazie a suo zio, a scattare fotografie e a familiarizzare con la camera oscura. Trasferitosi a Roma, all’età di 20 anni collabora come free-lance per alcune riviste. È questo il periodo nel quale si diverte a sperimentare e fotografare con apparecchi di diverso formato (6x6, Polaroid, Minox). Lascia l’università prima di laurearsi per lavorare per una multinazionale tedesca che, dopo svariati anni abbandona per perseguire la propria iniziativa imprenditoriale nell’allora nascente new economy. Verso la fine degli anni ‘90 torna alla fotografia dove inizia ad approcciare la nascente fotografica digitale che abbraccia definitivamente nel 2002. A partire da quegli anni la fotografia diventa sempre più centrale sino a divenire la sua attività prevalente. È nel 2014 che espone per la prima volta le sue fotografie in una mostra collettiva a Londra. Attualmente vive e lavora a Milano.

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C itt à

nella Sergio Bruno

C itt à

Sono indizi di un racconto misterioso e inafferrabile quelli che il fotografo lascia cogliere nel suo progetto fotografico “La città nella città”. Galleggianti e impalpabili, i profili leggeri di un centro storico esplorato come un territorio sconosciuto si svestono dell’apparente evidenza, svelandosi in un effetto grafico dal gusto retrò. Leggere, le superfici spiate dietro l’obiettivo si accennano appena tra contrasti e profondità dissolte. Tra bagliori accecanti e neri granulosi e intensi, il senso è di identità sfuggenti, luoghi remoti, vertigini improvvise. Talvolta familiari, gli scorci di un paesaggio decadente e affascinante si concretizzano nella matericità dei segni di un trascorso che si sgretola, si manifesta e si fa poetica: aggrappandosi a muri silenziosi, percorrendo sentieri avviluppati in atmosfere rarefatte. Esaltandosi nella grana porosa e avvolgente della pellicola su carta. Lontano dai rumorosi calpestii che ne hanno logorato i ciottoli, come gli antichi angoli, senza determinarsi la storia entro confini spazio temporali, a suggerirsi - più che come dato documentale, come una suggestione improvvisa e sospesa nell’etere - è il ritratto di una Pinerolo condensata tra ombre e riflessi; proiezioni e dettagli, la cui ricchezza enigmatica si coglie oltre una torre, le grate di una finestra, la sagoma mistica di un viandante ai margini di monumentali presenze, individui inghiottiti da una nebbia artificiale che sfuma lungo le gradinate di una salita ignota, persiane serrate tra geometrie rigorose: protagonisti casuali o cercati entro un racconto che si sussurra agli occhi. Cinzia Pastore

Sergio Bruno nato nel 1974. La sua vera passione sono le persone. Affascinato dallo stare al mondo, le difficoltà e le gioie di vivere. La macchina fotografica è lo strumento con il quale racconta questo suo amore. Con la fotografia ha la possibilità di fermare istanti di vita oppure di raccontare la sua visione di quello che trova meraviglioso, l’ essere Umani. Nel 2009, dopo 15 anni di un lavoro non suo, si dedica alla fotografia a livello professionale. Studia fotografia dello spettacolo con Silvia Lelli allo IED di Milano, da allora non smette di frequentare corsi e workshop di ogni genere. Nel 2012 riceve la qualifica QIP e QEP ( Qualified Italian/ European Photographer). Nel 2016 si appassiona di antiche tecniche fotografiche ed in particolar modo della fotografia al collodio umido, quella che chiama fotografia lenta. Nel 2018 inizia il percorso Foto e Spirito con Giulia Bianchi.

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Sergio Bruno - Città nella Città

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lamie Claudio Palma

Questo progetto nasce come rielaborazione artistica di una tesi di laurea in architettura, costruita sul tema del turismo lento come nuova pratica di scoperta dei luoghi, in particolare nel territorio della piana degli ulivi della città di Ostuni, oggi fortemente minacciato dalla Xylella, virus che attacca gli alberi d’ulivo e che già ha distrutto larghe porzioni del paesaggio Salentino, l’area più a sud della Puglia. In queste fotografie, che mirano a raccontare insieme l’angoscia e la speranza, sono state messe in luce architetture di pietra, luoghi della sussistenza un tempo primo avamposto per la tutela di questa coltivazione millenaria. In ombra invece, diventando silhouette che tendono a svanire in un cielo vuoto, gli alberi, oggi ancora vivi. Nonostante la speranza della cura, avanza lo spettro di un futuro in cui questi alberi lasceranno il posto alle loro sagome scarne, spettri, corpi ridotti alla sola ossatura. Ciò che prima era maestosità diventa brutalità, la bellezza diventa chimera. Chi ha visto i territori salentini sa che un solo albero morto svuota di senso una cultura che ha basato identità, percezione, economia e sacralità del territorio su questa verde foresta di milioni di alberi, milioni. L’altrove, inteso qui come spostamento di un’immagine di territorio dagli occhi alla mente, trova luce in questi cubi di pietra che potrebbero tornare ad essere nodi di una nuova rete di tutela territoriale, rifugi per il turismo lento, servizi per i camminatori, contenitori di una nuova partecipazione al cambiamento del paesaggio. Queste lamie possono essere una strada da percorrere sull’onda di una vera ecologia integrale. Oppure, quando e sè gli ulivi moriranno, rimanere li, ancora abbandonate, a ricordarci quello che non volevamo: che un’architettura rimanesse in vita al territorio, segno del nostro interesse concentrato in un altrove in cui non riconoscersi più.

Nato in Puglia nel 1994, dopo un’infanzia tra le macchinette usa e getta, nel 2011 si approccia alla fotografia digitale, iniziando a lavorare su diversi generi guidato dai consigli del suo primo maestro, il fotoreporter Marcello Carrozzo. Nel 2013 si sposta a Torino dove inizia gli studi in architettura per il progetto sostenibile presso il Politecnico di Torino, laureandosi nel 2020 con una Tesi sperimentale in fotografia e architettura sul suo paese natale, Ostuni Negli ultimi otto anni ha vissuto tra Torino, Roma e Milano, lavorando a stretto contatto con aziende nel campo della comunicazione e sviluppando progetti di narrazione architettonica e paesaggistica. I suoi lavori sono stati pubblicati su riviste quali Ville e Casali, Quin, Xtra, AD Russia, ed altri. Oggi, tornato in Puglia, la sua ricerca fotografica lo porta a studiare i territori, le architetture e i segni vitali e nascosti dei luoghi comuni e insieme dimenticati, dalla città alla campagna, con una particolare attenzione per le tracce che l’evento umano quotidiano ha plasmato nei secoli, costruendo un atlante del “non più raccontato”.

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Claudio Palma - Lamie

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