Dossier 3 2017- Giardini di città. A cura di Piero Orlandi, Carlo Tovoli

Page 1

Giardini di cittĂ a cura di Piero Orlandi e Carlo Tovoli


DOSSIER IBC Estratto dalla rivista online “IBC Informazioni, commenti e inchieste sui beni culturali” Anno XXV, numero 3, luglio-settembre 2017

Giardini di città A cura di Piero Orlandi, Carlo Tovoli 1

Giardini di città Piero Orlandi, Carlo Tovoli

3

Il verde a Bologna Carlo De Angelis

7

Il workshop fotografico Fabio Mantovani

8-27 Manuela Caldi Alessandra Cazzoli Piero Dall’Occa Nicla Di Ciommo Stefania Giametta Silvia Landi Luca Malavasi Paolo Merlo Pich Camilla Sanguinetti Fausto Zanetti

AUTORI Carlo De Angelis, presidente del Comitato per Bologna Storica e Artistica Fabio Mantovani, fotografo Piero Orlandi, associazione culturale “Spazio Lavì!” Carlo Tovoli, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna Il dossier accompagna la mostra omonima promossa da “Spazio Lavì!”, con il patrocinio del Comune di Bologna-Quartiere Santo Stefano e IBC, a Bologna dal 22 settembre al 5 ottobre 2017 presso la Sala Esposizioni Giulio Cavazza del Complesso del Baraccano.

In copertina: Luca Malavasi, Giardino del Guasto, Bologna 2016


Giardini di città

Piero Orlandi, Carlo Tovoli

Ritorna anche nel 2017, e precisamente il 22, 23, 24 settembre, la rassegna “ViVi il Verde. Alla scoperta dei giardini dell’Emilia-Romagna”, ideata e promossa dall’Istituto regionale per i beni culturali e giunta quest’anno alla quarta edizione. Decine le aree verdi coinvolte, da Rimini a Piacenza, tra giardini pubblici, giardini storici, parchi, orti botanici, aree urbane verdi e giardini di ville o di castelli. Come sempre è un’occasione per “vivere” la natura secondo le modalità più disparate: visite guidate, certo, ma anche laboratori, conferenze “sul campo”, percorsi sensoriali, lezioni pratiche, treewatching, incontri con chi i giardini li cura e li protegge per mestiere, atelier didattici per i più piccoli, e tanto altro. La rassegna ha dimostrato fin dalla sua prima edizione una particolare attenzione alla fotografia, con laboratori e mostre dedicati ai giardini della nostra regione. In particolare, in occasione di “ViVi il Verde” 2016, l’Associazione culturale Spazio Lavì! ha organizzato un laboratorio fotografico su alcuni siti del centro storico di Bologna (i giardini di San Leonardo, del Guasto, il Parco della Montagnola) assai diversi quanto a tipologia, storia, uso attuale. Il giardino di via San Leonardo è il più piccolo dei tre, origina da uno spazio verde domestico e privato, è attualmente frequentato soprattutto da studenti. Quello del Guasto è stato realizzato alla metà degli anni Settanta del Novecento sull’area occupata dalle macerie del distrutto palazzo Bentivoglio. Il progetto, opera dell’architetto Gennaro Filippini, è particolarmente rivolto al gioco dei bambini e comprende invasi per l’acqua, fontane, strutture in cemento. Il luogo è rimasto però inaccessibile ai fruitori a cui era stato destinato per molti anni, e solo attraverso l’impegno di una associazione sorta appositamente per il suo recupero è tornato ad essere utilizzato. Il giardino della Montagnola, che ha le dimensioni di un vero e proprio parco urbano ed è sorto nell’Ottocento sul modello degli spazi verdi delle maggiori metropoli europee, ha una complessità d’uso ancora maggiore, essendo frequentato sia da famiglie che da studenti che da giovani immigrati in attesa di occupazione che vi trascorrono buona parte della loro giornata. Il laboratorio, condotto con il patrocinio del Quartiere Santo Stefano, dell’Istituto per i beni culturali e dell’Ordine degli Architetti di Bologna, era rivolto appunto agli architetti come corso di aggiornamento professionale. Condotto da Fabio Mantovani (www.fabiomantovani. com), fotografo già da tempo operante nel campo dell’architettura e dello spazio urbano, con i contributi di Carlo De Angelis, Milena Naldi e Piero Orlandi, il workshop è stato frequentato da dieci architetti, interessati non solo ai temi della rappresentazione dei luoghi ma soprattutto a un uso della fotografia come strumento di indagine e ricerca progettuale. Oltre che per i valori naturalistici, gli spazi verdi nel centro della città sono apprezzati in quanto spazi pubblici. La gente li frequenta e vi convive, sono luoghi vissuti come complementari

3


ai momenti del lavoro e dello studio, ambienti ideali dove incontrarsi, giocare, fare sport. La fotografia può cogliere tutti questi aspetti, farsi indagine sociale, studiare i problemi che ostacolano una piena fruizione, sottolineare le potenzialità di miglioramento. In questo senso essa costituisce una analisi critica propedeutica al progetto di restauro e riqualificazione. Il laboratorio si è svolto su tre moduli. Il primo, lunedì 12 settembre 2016, si è articolato in tre lezioni, sulla storia dei giardini e il loro ruolo urbano, sugli strumenti di rilievo grafico e fotografico in ausilio al progetto e sulla fotografia degli spazi verdi urbani. Il secondo modulo, lunedì 19 settembre, prevedeva i sopralluoghi nei giardini e l’esecuzione delle fotografie con l’assistenza di Mantovani. Infine il terzo modulo si è svolto venerdì 23 settembre, in occasione della manifestazione “ViVi il Verde”, con l’esame collettivo delle fotografie prodotte, la proiezione delle stesse e la discussione con il fotografo docente. Il materiale prodotto dagli architetti partecipanti è stato accuratamente selezionato e viene ora esposto, in occasione di “ViVi il Verde”, in una mostra presso il Quartiere Santo Stefano, nel cui ambito territoriale insistono i tre giardini. Come si può evincere dalle immagini di questo dossier che accompagna la mostra, ogni autore ha un proprio approccio personale al tema, ma in tutti i casi le immagini vogliono sottolineare aspetti problematici o meno noti dei luoghi, sui quali orientare l’attenzione sia dei fruitori che degli amministratori: le qualità nascoste e minori, come ad esempio le relazioni visive tra l’interno dei giardini e la città intorno; i dettagli architettonici, artistici, così come gli usi spontanei che la gente quotidianamente fa degli spazi.

Spazio Lavì! è un’associazione culturale fondata a Bologna nel giugno del 2012 con l’obiettivo di favorire la produzione di ricerche visive sul paesaggio contemporaneo e sulle forme della persistenza e della trasformazione dei luoghi, assegnando alla rappresentazione visiva – fotografica, pittorica, grafica, e in generale con ogni espressione artistica – lo status di ricerca e di progetto. Il concetto di paesaggio viene inteso in un senso allargato, che comprende, oltre allo spazio urbano ed extraurbano, anche le persone e le loro relazioni, la società, il lavoro, il quotidiano, i riflessi materiali dei cambiamenti ambientali, economici, culturali. L’associazione, che ha uno spazio espositivo a Sarnano (MC), ha sottoscritto una convenzione con l’Accademia di Belle Arti di Macerata e collabora con istituti scolastici e universitari, tra questi con la Scuola di Architettura di Ascoli Piceno, realizzando workshop fotografici. Negli anni scorsi alcune delle produzioni di Spazio Lavì! sono state portate in spazi o musei bolognesi, come Duepuntilab in via Solferino e l’Istituzione Villa Smeraldi di San Marino di Bentivoglio. Dalla primavera 2016, in forza di un patto di collaborazione con il Quartiere San Vitale (ora Santo Stefano), Spazio Lavì! ha aperto la galleria “Lavì! City” in via Sant’Apollonia 19/A. È inoltre stata attivata una convenzione con l’Accademia di Belle Arti di Bologna, che ha prodotto due eventi nell’ambito della manifestazione “Open Tour” (edizioni 2016 e 2017), con mostre di giovani artisti dell’Accademia. (www.spaziolavi.it)

4


Il verde a Bologna Carlo De Angelis

La rappresentazione della Montagnola e dello spazio attiguo nell’affresco in Vaticano

Il rapporto dei bolognesi col verde è stato spesso problematico. Se il tema dell’indagine fotografica vuole essere la ricerca di “situazioni di verde” c’è solo l’imbarazzo della scelta. È noto che la conoscenza della storia minimale di ciascun lembo di verde può influenzare chi si accinge a riprendere gli scorci e gli insiemi: è quindi indispensabile ripercorrere le vicende che hanno portato gli spazi ad assumere le loro connotazioni specifiche per poter coscientemente “vedere” i siti. Non si è impassibili spettatori: ogni lettura (immagine) è una interpretazione. La tavola del 1969 che censisce le tipologie edilizie presenti nel centro storico lascia intravvedere quanti lembi di verde e giardini occupano l’ampia zona contenuta dalla linea dei viali di circonvallazione. Sono tracce superstiti di un sistema complesso che aveva raggiunto un suo equilibrio quando le case artigiane ed operaie, i palazzi e i grandi conventi potevano contare su spazi verdi complementari. Esemplare resta, celato da alto muro, il grande orto del Convento del Corpus Domini. Un ambiente perfettamente conservato, immutato da secoli. A partire dalla interessantissima rappresentazione dell’affresco conservato nella Sala Bologna in Vaticano, che fissa l’immagine della città nel 1575, si possono compiere utili considerazioni sul mutamento, sulla continua evoluzione di alcuni siti. Volendo concentrare l’attenzione al solo centro storico si possono individuare casi di attenta progettazione, di coinvolgimento, di gradimento ma poi si devono registrare i successivi momenti di crisi, di abbandono… di degrado. Alla fine restano domande che non hanno risposte: che cosa ha indotto all’incuria? Che cosa è successo per arrivare allo stravolgimento degli spazi? Forse disaffezione o ignoranza o, peggio, il perduto senso della civile convivenza…? Per un racconto sono state scelte situazioni diverse. La prima, in ordine di tempo e di complessità, è quella data dal Giardino della Montagnola. Il primo passeggio pubblico in Bologna fu creato sulla Montagnola, sul cumulo di detriti formatosi a forza di macerie e scarichi nella parte nord della città. Nell’affresco vaticano del 1575, la Montagnola appare come una massa incolta, con il contiguo campo del Mercato solcato da attraversamenti in diagonale. Il gran rilevato di terra al fondo della piazza del mercato, contro le mura, e prossimo ai resti della Rocca distrutta più volte, aveva subito una prima regolarizzazione nel 1538 diventando un boschetto di mori-gelsi. Solo nel 1662 Paolo Canali risistemò il sito con un preciso disegno, ma non era ancora un giardino, strutturato e pensato come

5


In questo documento del 1773 la zona è una estesa piantumazione di gelsi

6

una sequenza di spazi verdi variamente suggestivi o evocativi come potevano essere le esclusive delizie prossime ai palazzi o alle ville, ma un luogo speciale, del tutto nuovo per la città: Canali infatti, oltre a rimodellare il bordo del rilevato creò un “corso”, un viale centrale, per consentire un percorso alle carrozze, con un piazzale in sommità per favorire il rigiro. Nei primi anni del Settecento, Montesquieu1, soggiornando brevemente in città, visitò la Montagnola (ma nel ricordo il nome diventa Monticello) ed elogia sia l’amenità del luogo sia la presenza di un piccolo edificio particolare per pochi privilegiati: “Arrivai a Bologna il mattino del 9 luglio 1729. ...mi condussero al Monticello, che è il corso di Bologna: una piccola eminenza, fuori città, circondata da alberi che formano un gran piazzale rotondo con altri alberi al centro e intorno, e prati, tutto molto bello. Là vanno le signore, in carrozza, e i cavalieri scendono da cavallo per far loro la corte. Vanno poi in un salotto, dove non c’è né padrone né padrona di casa: è un ritrovo pubblico, finanziato dai nobili; e quando uno straniero vi è ammesso, è padrone come gli altri”2. Poi, nel 1757, per sottolineare l’uso pubblico, furono collocati sette grandi sedili in pietra e il giardino cominciò ad entrare nelle abitudini dei bolognesi. Ai primi anni dell’Ottocento, un radicale riassetto della zona fu affidato all’ingegnere Capo della Prefettura di Bologna, Giovanni Battista Martinetti3. Il disegno progettuale è una rigida ricerca di simmetrie, una geometrizzazione tanto forte da divenire un segno urbano tra i più significativi di Bologna. La grande spianata circolare disegnata da Martinetti è raccordata alla piazza del mercato con un piano inclinato, sottolineato ai lati da due ampi viali alberati4. Ma le mode cambiano e nel 1840 Carlo Berti Pichat invocava che fosse annullata quella “specie di tavola geometrica segnata da concentrici circoli, e linee parallele e singolar modello di perfetta monotonia”. Avrebbe preferito un disegno più naturalistico: “Disfate quell’opera assurda, qualunque altra foggia adottiate sarà sempre più leggiadra ed amena, non fosse che un maestoso viale serpeggiante in un ampio e florido prato sparso di alcune macchie di piante”. In seguito nel disegno ordinato comparvero diverse “aggiunte”. Al termine dell’Esposizione del 1888 venne qui trasferita la gran vasca con le statue di cemento che aveva ornato il piazzale centrale nel Giardino pubblico Margherita: leoni, sirene, leonesse, tartarughe… E ancora, nel 1896, si volle collegare il giardino alle nuove strade e piazze vicino alla Stazione costruendo una sontuosa scalinata, su disegno di Attilio Muggia, che per la vaga somiglianza con la situazione simile in Roma, prese il nome di Pincio.5 L’affaccio non ha mai trovato una prospettiva degna: nella piazza sottostante in un primo tempo campeggiò un edificio per bagni, poi uno scatolare albergo. Ma le vicende della Montagnola non ebbero una fine: venne costruito in sommità un padiglione per celebrare l’avvenuta impresa della costruzione della linea “direttissima” BolognaFirenze, poi trasformato in scuola materna. E i manti erbosi sono un ricordo… per anni i viali e tutti gli spazi verdi sono stati impegnati dai padiglioni temporanei della Fiera (sino a che non venne costruita a nord la sede permanente) e così via. Oggi la Montagnola rappresenta un problema: la scuola è asserragliata

La pianta del Giardino della Montagnola terminato nel 1807 su disegno di Giovanni Battista Martinetti (Collezioni d’arte della Cassa di Risparmio in Bologna)


Pianta di Matteo Borboni (1638). Nel Guasto si distingue l’addestramento di un cavallo

entro una recinzione per isolarsi dalle frequentazioni poco raccomandabili. Se la vicenda della Montagnola può essere sintomatica per certi aspetti, anche un’altra creazione di verde, più recente, degli anni ’70, va citata. Il Giardino del Guasto è significativo: per anni è stato oggetto di contrastanti giudizi e più di usi distorti, alteranti, tanto da renderlo più un “terreno” di contrasti che non lo spazio poetico pensato. L’area aveva fatto parte degli annessi del palazzo bentivolesco, la Domus Magna distrutta a furor di popolo subito dopo la cacciata dei Bentivoglio da Bologna. Restò per secoli non utilizzata, o meglio, usata per scopi più vari: come campo per il gioco del calcio, come si può vedere nell’affresco conservato nella Sala Bologna in Vaticano o come luogo per addestrare i cavalli come si distingue chiaramente nella pianta di Matteo Borboni. Di fatto un cumulo irregolare di macerie e terreno che, nell’abbandono, si era spontaneamente ridotto a boschetto. Durante il periodo bellico tra il ’40 e il ‘45 erano stati resi agibili alcuni cunicoli come rifugi antiaerei ma tutta la parte soprastante era irraggiungibile. Intorno al 1972 l’Amministrazione comunale affidò all’architetto Gennaro Filippini un compito generico: rendere fruibile quello spazio abbandonato, troppo a ridosso del Teatro Comunale per lasciarlo incolto, non curato, ma senza precise indicazioni. Vi erano state idee di ampliare le dotazioni del teatro: l’impegno di spesa troppo gravoso aveva portato ben presto ad una rinuncia. Filippini si trovò ad avere a disposizione l’intera area del Guasto e, in più, una piccola porzione dell’attiguo largo Respighi, in tutto circa 3.000 mq. I disegni fantasiosi e ispirati subito prodotti portarono a decidere la costruzione di un giardino/ scultura. La realizzazione delle opere comportò un lungo periodo, dal 1973 al 1975. Il piccolo cantiere vide l’architetto direttamente coinvolto nella costruzione delle casseforme per i getti di calcestruzzo, nel trattamento delle superfici delle parti scultoree: Filippini restava spesso solo sul rilevato, nel sole cocente, per meglio decidere le forme che aveva pensato. Ma il giardino non era fatto di parti costruite ma anche di piante e arbusti, una grande dotazione di verde.6 Nacque come un giardino dedicato ai bambini e riscosse subito un grande successo: c’erano forme evocative, che richiamavano serpentoni, dinosauri, cristalli di roccia fuoriuscenti dal suolo e tanti spazi per giocare, anche con l’acqua. Quando Ingela Blomberg, esperta svedese di giardini per l’infanzia, lo vide e lo perlustrò in tutti i suoi angoli, fu entusiasta: non esitò a definirlo come uno degli spazi verdi pensati a misura di bambino tra i più belli in Europa. Poi il degrado… Quello che era un capolavoro in uno spazio definito conobbe di nuovo l’abbandono e peggio un uso distorto con la frequentazione di “disperati” in preda alla droga. E non sono state sufficienti per una ripresa, negli anni, le numerose iniziative da parte di volontari, di comitati, del quartiere stesso. C’è un altro esempio, interessante che dimostra come si possano realizzare spazi verdi minimali ma di grande valenza. Un ex orto abbandonato, residuale, posto ai margini delle lottizzazioni storiche, durante i lavori di restauro e ripristino del Comparto San Leonardo, negli anni ’70, fu scelto per creare in zona uno spazio verde: il Giardino San Leonardo. Per la sua posizione doveva accogliere sia gli abitanti sia i numerosi studenti della

Il Guasto dei Bentivoglio nell’affresco della Sala Bologna in Vaticano. Vi è rappresentata una partita a pallone

7


Pianta del progetto del Conte Sambuy

vicina zona universitaria. Una piccola oasi, un hortus conclusus di medievale origine e memoria, separato dalle vie da un muro già esistente che accentuava il carattere di spazio raccolto, protetto. Le attrezzature furono volutamente semplici: un pergolato e poche panchine. La gestione era stata affidata agli abitanti stessi con un tentativo di coinvolgimento che ebbe alterne fortune. Pur essendo frequentato prevalentemente dagli studenti il giardino non ha mai avuto pace: ha subito nel tempo numerosi episodi di vandalismo, sino al recentissimo furto di tutti gli attrezzi per la manutenzione. Certo il vandalismo è stato sempre un problema: anche il Passeggio Margherita dopo pochi giorni dall’inaugurazione subì danni… Era stato pensato come luogo ameno, certo un po’ elitario come tutti i parchi del tempo, progettato da Enrico Baldo, Conte di Sambuy che ricopriva l’incarico di Assessore ai Lavori Pubblici di Torino. Andando a leggere le cronache del tempo7: “È sì poco tempo che venne aperto il nuovo giardino e già è cominciata l’opera vandalistica e distruggitrice… Domandiamo quale vantaggio avrà avuto colui che nel pubblico giardino ha rotto l’alveare? E quale piacere avrà provato colui che ha rotte e guaste alcune delle più belle piante? Veramente ci dispiace di dover ricorrere al municipio perché provveda a reprimere i mali istinti di questa gente ineducata. Eppure è così. Conviene decidersi a porre delle guardie…” Anche di questo vastissimo giardino non sempre si è provveduto ad una conservazione: tante furono le iniziative e le presenze temporanee e permanenti. L’Esposizione del 1888 occupò gran parte dei prati e viali con evidenti sacrifici di alberature: se non fosse stato rispettato l’impegno di abbattere tutti i padiglioni a manifestazione finita avremmo una raccolta di eclettici edifici. In seguito una porzione non piccola venne adibita a Circolo del tennis e ai margini sorsero recinti per animali, per i daini e per il povero leone Reno (primo e secondo). E nel 1943 approdò qui la statua equestre di Vittorio Emanuele II rimossa da Piazza Maggiore. Poi la capanna villanoviana…e via così. Ma c’è un verde che si salva, quello delle stanze paese. È un assurdo ma va detto. Quel verde dipinto che rappresenta una raffinata scelta decorativa nel palazzo Ercolani, l’ultimo palazzo senatorio costruito in Bologna. A pianterreno, verso La grande esposizione del 1888 all’interno il giardino c’è uno spazio magico dove la veduta di un idillico giardino sfonda del Giardino Margherita idealmente le pareti della stanza. E non è il solo in città: anche nel Palazzo Comunale in una delle sale ultime delle Collezioni c’è un piccolo gioiello, un ambiente tutto dipinto con un pergolato trompe l’oeil nel soffitto. Vedere per credere. Charles-Louis de Secondat, Barone di Montesquieu (La Brede 1689-Parigi 1755). Charles L. de Montesquieu, Viaggio in Italia, a cura di Giovanni Macchia e Massimo Colesanti, Laterza, Bari, 1971, pag. 303. 3 Per sistemare il terreno, portato ad assumere una forma circolare perfetta, venne spesa la considerevole somma di duecentomila lire italiane. 4 Nel 1808 gli alberi vennero scelti nel vivaio di Francesco Longone di Dugnano, nei pressi di Milano, da Giosue Scannagatta, il docente dell’Università che nel 1802 aveva creato il nuovo Orto Botanico. 5 Ma la fantasia popolare non si fermò tanto da identificare nella prosperosa ninfa del gruppo scultoreo che adorna la fontana centrale la “moglie del gigante”, riferendosi al Nettuno in piazza omonima. 6 Tra alberi, arbusti e piante ornamentali furono messe a dimora circa 1500 piante appartenenti ad un centinaio di specie. Il costo complessivo dell’opera non superò i 60 milioni di lire. 7 La Gazzetta dell’Emilia del 24 luglio 1879. 1 2

8


Il workshop fotografico Fabio Mantovani

Il workshop fotografico “Giardini di Città” si è tenuto a settembre 2016 all’interno di tre giardini pubblici di Bologna: San Leonardo, Montagnola e Guasto. La scelta dei luoghi è stata dettata dalla diversa tipologia degli stessi: dal San Leonardo, meno esteso e intimo, indagato come una sorta di cortile condominiale in cui gli stessi frequentatori provvedono all’arredo e in cui addirittura si è scoperta la natura volontaria e spontanea della “custode”, al giardino del Guasto, trattato come una vera e propria scoperta urbana, in cui convivono architetture d’autore e una attività sociale e collettiva sconosciuta ai più e molto organizzata, fino al parco della Montagnola, senz’altro il maggiore dei tre per dimensioni e fama, ma qui esplorato con occhi attenti a cogliere relazioni interpersonali tra frequentatori e altre relazioni dimensionali con la parte di città contigua. Il tema portante del workshop era l’indagine dei luoghi proposti, senza limitazioni di metodo; questo approccio libero ha permesso interpretazioni molto differenti tra loro, al punto che uno stesso giardino risulta a volte irriconoscibile tra lavoro e lavoro, a seconda del tipo di indagine seguito. Il tema puramente architettonico è stato il naturale punto di partenza (vedi il lavoro di Caldi), data la tipologia professionale dei partecipanti, ma anche l’arredo urbano è considerato molto rilevante (Landi e Giametta) specie per la natura spontanea dello stesso, visto che – nei due giardini minori – l’arredo ufficiale in dotazione è spesso affiancato da sedie, tavoli e giocattoli portati direttamente dai frequentatori. Importanti anche i rapporti con i confini dei parchi stessi (Cazzoli e Zanetti) indagati come parte costitutiva degli stessi. Tornando agli imprescindibili temi architettonici, alcuni (Merlo Pich, Malavasi) hanno optato per immagini in bianconero al fine di evidenziare forme, contrasti e grafie, che le architetture creano sul paesaggio circostante, mentre altri (Di Ciommo) hanno trattato l’aspetto del colore in modo personale ed espressivo. Non sono mancati apporti artistici e ispirati (Dall’Occa), che hanno tratto spunto dal tema proposto per andare oltre la documentazione, così come si è aggiunta la ricerca sociale (Sanguinetti), con una ampia galleria di ritratti a mostrare il volto multietnico dei frequentatori dei giardini in oggetto. Partecipanti: Manuela Caldi, Alessandra Cazzoli, Piero Dall’Occa, Nicla Di Ciommo, Stefania Giametta, Silvia Landi, Luca Malavasi, Paolo Merlo Pich, Camilla Sanguinetti, Fausto Zanetti. Docente: Fabio Mantovani

9


Manuela Caldi

Giardino San Leonardo Giardino del Guasto

10


Parco della Montagnola

11


Alessandra Cazzoli

Giardino San Leonardo Giardino del Guasto

12


Parco della Montagnola

13


Piero Dall’Occa

14


Parco della Montagnola

15


Nicla Di Ciommo

16


Giardino del Guasto

17


Stefania Giametta

Giardino San Leonardo

18


Giardino del Guasto

19


Silvia Landi

20


Giardino del Guasto

21


Luca Malavasi

Giardino del Guasto Parco della Montagnola

22


Giardino del Guasto

23


Paolo Merlo Pich

24

Parco della Montagnola


Giardino del Guasto

25


Camilla Sanguinetti

26


Parco della Montagnola

27


Fausto Zanetti

28


Parco della Montagnola

29



“IBC Informazioni, commenti, inchieste sui beni culturali” e DOSSIER IBC Anno XXV, numero 3, luglio-settembre 2017 Registrazione del Tribunale di Bologna, n. 4677 del 31 ottobre 1978 ISSN 1125-9876 Direttore responsabile Roberto Balzani Caporedattore Valeria Cicala Redazione Brunella Argelli, Gabriele Bezzi, Isabella Fabbri, Vittorio Ferorelli, Silvia Ferrari, Monica Ferrarini, Valentina Galloni, Maria Pia Guermandi, Claudio Leombroni, Carlo Tovoli Segreteria di redazione Silvia Ferrari Progetto grafico e impaginazione DOSSIER IBC Beatrice Orsini Stampa Centro Stampa della Regione Emilia-Romagna Sede di redazione Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna via Galliera 21 - 40121 Bologna tel.: (+39) 051.527.6610/6667 rivistaibc@regione.emilia-romagna.it

Presidente Roberto Balzani Direttore Claudio Leombroni Consiglio direttivo Andrea Battistini, Giuseppe Bellosi, Vanni Bulgarelli, Francesca Cappelletti © Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna. Tutti i diritti riservati Non tutti gli articoli pubblicati rispecchiano necessariamente gli orientamenti degli organi dell’Istituto: tutti, comunque, sono ritenuti validi sul piano dell’informazione.



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.