ER Design. Estetica del quotidiano negli istituti culturali dell’Emilia-Romagna

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ER/DESIGN Estetica del quotidiano negli istituti culturali dell’Emilia-Romagna



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Via Galliera 21, 40121 Bologna Tel. 051 5276600 Š 2017 Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali www.ibc.regione.emilia-romagna.it

www.ibc.regione.emilia-romagna.it/note-legali ISBN 9788897281672


ER/DESIGN Estetica del quotidiano negli istituti culturali dell’Emilia-Romagna

a cura di Claudia Collina


Presidente

Roberto Balzani

Consiglio direttivo

Andrea Battistini, Giuseppe Bellosi, Vanni Bulgarelli, Francesca Cappelletti

Direttore ad interim e Responsabile Servizio Biblioteche, archivi, musei e beni culturali Claudio Leombroni

Area Musei

Claudia Collina, Isabella Giacometti, Fiamma Lenzi

Area Archivi

Mirella Maria Plazzi

Area Biblioteche Silvia Ferrari

Fotografie

Andrea Scardova

Area Comunicazione

Valeria Cicala, Vittorio Ferorelli, Carlo Tovoli

Socialnetwork Beatrice Orsini

Editoria

Isabella Fabbri

Web Editor

Maria Elena Tosi

Si ringraziano

Emilio Bariaschi, Anna Biagetti, Gloria Bianchino, Stefano Bulgarelli, Laura Carlini Fanfogna, Vittorio Cavalli, Massimo Cirulli, Mark Gregory D’Apuzzo, Giusella Dolores Finocchiaro, Giorgio Galavotti, Maura Grandi, Fabio Lamborghini, Tonino Lamborghini, Livio Lodi, Angelo Mazza, Mosè Mazzini, Francesca Mora, Simona Parisini, Daniele Perra, Francesca Piccinini, Carlo Pioli, Tania Previdi, Giulia Ramponi, Manuela Rossi, Daniela Schiavina, Giuseppina Tonet, Angelo Varni, Francesca Zanella, Matteo Zauli; e tutti coloro che hanno realizzato le schede della banca dati dei Luoghi del design in Emilia-Romagna.

Progetto grafico e impaginazione Design People


SOMMARIO Sommario 09 >

11 >

Presentazioni 09

Massimo Mezzetti

10

Roberto Balzani

Introduzione. Il design, opera aperta Raimonda Riccini 12

22 >

Arte e arti del Bel Paese

Quotidiano extra-ordinario Progetto, civiltà e cultura dei prodotti industriali italiani Flaviano Celaschi

35 >

23

Paesaggi dell’industrializzazione

28

Categorie del nostro design

31

Valori condivisi e territorio

Breve e non esauriente viaggio tra arti e design nei musei dell’Emilia-Romagna Claudia Collina

55 >

37

Dalle manifatture alle arti applicate all’industria

43

Dalle arti industriali al design

L’archivio al centro Dal CSAC a un contesto più ampio Simona Riva 56

L’origine di un modello

57

Le mostre nuove: i media

59

Il Centro Studi e Museo della Fotografia

59

La sezione Progetto

61

Le mostre e gli archivi del design

61

La didattica: consultazione, ricerca, tirocini e stage

62

Nuove prospettive

63

L’Archivio al Centro


66 >

La salvaguardia del design come patrimonio materiale e immateriale Giovanna Cassese

92 >

67

Progetto, oggetto, destino: la sfida del futuro

68

Design: una definizione complessa e in continua evoluzione

71

Un patrimonio da salvaguardare

73

La conservazione e il restauro del design: le tematiche nodali

75

Oltre il confine: tra design, artigianato, arte contemporanea, architettura

80

Conservare il design, restaurare il design: responsabilità, metodi e prospettive

Tutela legale del design Dai privilège e dal brevetto alla legge sul diritto d’autore, intersecata nelle funzioni di conservazione e valorizzazione al Codice dei beni culturali Beatrice Cunegatti 93

La nascita della tutela legale dell’industrial design: cenni storici

98

Il design custodito nei musei nel quadro giuridico vigente in Italia

105

Conservazione, valorizzazione e uso del design detenuto nei musei pubblici

I LUOGHI DEL DESIGN IN EMILIA-ROMAGNA 114 > I luoghi del design in Emilia-Romagna 118 > Musei Civici di Palazzo Farnese, Piacenza 120 > Museo Ambientale - Fondazione Horak, Piacenza 122 > CSAC Centro Studi e Archivio della Comunicazione, Parma 137 > La Collezione Borsari 1870, Parma 139 > Museo Ettore Guatelli, Ozzano Taro Collecchio 141 > Museo storico dei lucchetti - Collezione Vittorio Cavalli, Neviano degli Arduini 143 > Collezione Civica d’Arte Contemporanea MUseoSElla, Neviano degli Arduini 145 > Musei Civici - Galleria Parmeggiani, Reggio Emilia 146 > Piccolo Museo della Moto Bariaschi, Guastalla


148 > Museo dell’Automobile, San Martino in Rio 150 > Museo della Città, Carpi 152 > Museo della Bilancia, Campogalliano 154 > Collezione Caffè Cagliari - Museo “Le Macchine da Caffè”, Modena 156 > Museo dell’auto storica Stanguellini, Modena 158 > Galleria Civica, Modena 160 > Museo Civico d’Arte, Modena 163 > Museo Enzo Ferrari, Modena 166 > Collezione Umberto Panini - Motor Museum, Modena 169 > Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica, Sassuolo 172 > Galleria Marca Corona, Sassuolo 174 > Collezione di ceramiche artistiche sassolesi, Fiorano Modenese 176 > Museo della Ceramica, Fiorano Modenese 179 > Museo Ferrari, Maranello 181 > Museo delle moto e dei ciclomotori DEMM, Porretta Terme 183 > Museo Lamborghini, Sant’Agata Bolognese 186 > MAGI’900 - Museo delle eccellenze artistiche e storiche, Pieve di Cento 189 > Pinacoteca Civica, Pieve di Cento 191 > Museo Ferruccio Lamborghini, Funo di Argelato 194 > Gelato Museum Carpigiani, Anzola dell’Emilia 196 > Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli, Bologna 198 > Museo del Patrimonio Industriale, Bologna 200 > Collezione storica ATC, Bologna 201 > Musei Civici d’Arte Antica - Collezioni Comunali d’Arte, Bologna 203 > Museo Ducati, Bologna 206 > Musei Civici d’Arte Antica - Museo Davia Bargellini, Bologna 208 > Genus Bononiae. Musei nella Città, Bologna 211 > MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna


213 > Fondazione Massimo e Sonia Cirulli, San Lazzaro di Savena 216 > Museo Storico “G. Bucci” di Cooperativa Ceramica d’Imola, Imola 219 > Centro Studi Dante Bighi, Copparo 221 > Casa Museo Remo Brindisi, Lido di Spina 224 > Museo Civico Carlo Venturini, Massa Lombarda 226 > MIC Museo Internazionale delle Ceramiche, Faenza 229 > Museo Carlo Zauli, Faenza 231 > Museo Civico Luigi Varoli - Casa Varoli, Cotignola 234 > Museo dell’Arredo Contemporaneo, Russi 236 > MAR Museo d’Arte della città di Ravenna 240 > Museo Italiano della Ghisa, Longiano 243 > Museo del Bottone, Santarcangelo di Romagna 245 > Museo Nazionale del Motociclo, Rimini 246 > Il design per la fruizione dei patrimoni culturali Un itinerario nei musei e nelle biblioteche dell’Emilia-Romagna tra museografia e architettura Silvia Ferrari 250

Il design nelle biblioteche

255

Il design museografico

260 > Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna: ipotesi di indagine nel web Mirella Maria Plazzi

APPARATI 272 > Note biografiche 274 > Bibliografia generale 286 > Indice dei nomi 295 > Indice dei luoghi


Sono state tante le occasioni in cui ho sottolineato il primariato dell’industria creativa in Emilia-Romagna che grazie all’intreccio tra bellezza, cultura, innovazione, creatività e manifattura ha saputo rilanciare il design e il made in Italy e restituire all’economia emiliano-romagnola nuove prospettive, culturali e produttive; dai prodotti del distretto ceramico a quelli della motorvalley, dal mobile alla nautica, larga parte della nostra capacità e fama nel mondo sarebbe impensabile senza il legame con il design, con le industrie culturali e creative, l’arte, l’artigianato e la tecnologia. Con questo lavoro, l’Istituto Beni Culturali sviscera ad ampio raggio l’argomento, dalle arti applicate della seconda metà del XIX secolo al design d’autore e anonimo del XX e XXI secolo, scandagliando in musei, biblioteche e archivi del territorio la presenza di progetti, prototipi e oggetti ivi conservati; e torna a uno dei suoi compiti precipui, statutari, di attività conoscitiva, di indagine e ricerca, per la conservazione e la valorizzazione dei beni artistici. Sono state indagate 439 realtà museali di cui 50 hanno mostrato nuclei collezionistici inerenti la materia – disegni, progetti, prototipi, oggetti – che per i suoi indefiniti e ambigui confini è stata circoscritta in alcuni insiemi, e sottoinsiemi a seconda del caso, in base ai più recenti studi sull’argomento ed è stata creata una banca dati denominata I luoghi del design in Emilia-Romagna, interattiva al presente e-book, curato da Claudia Collina, le cui schede portano la firma di molti dei responsabili dei musei interessati. Un volume corale e sfaccettato che, con i saggi dei numerosi autori, rispecchia le peculiarità della materia dai larghi confini e che aggiunge un altro importante tassello alla fisionomia culturale e creativa della regione; e alla sua storia, che arricchisce il presente e il futuro della cultura indicando nella collaborazione, nella sinergia, nell’unità dell’arte, dell’artigianato e della tecnologia quella «sorgente di immaginazione creativa» che, come affermava Walter Gropius, il padre del Bauhaus, sono imprescindibili per la creazione dell’arte.

Massimo Mezzetti Assessore alla cultura, politiche giovanili e politiche per la legalità Regione Emilia-Romagna

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Il lavoro di raccolta e documentazione che Claudia Collina ha curato, aderisce bene al profilo dell’IBC agli albori del XXI secolo: un Istituto non solo destinato alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio nella sua accezione acclarata e stabilizzata, ma volto a sondare le frontiere più avanzate della produzione artistica e della percezione sociale del “fatto” artistico. Certo, il design di cui si occupa questo volume è già stato abbondantemente musealizzato, ha già superato il vaglio della critica e riposa, per così dire, su un terreno favorevole, concimato da riconoscimenti e promozioni; non per questo, tuttavia, è meno importante censirlo, per richiedersi, poi, come e perché, in una regione come l’Emilia Romagna, a tanti – nel pubblico e nel privato – sia venuto in mente di seguire e difendere dall’oblio questa particolare componente del patrimonio. I percorsi recuperati sono vari, e quasi tutti affondano le radici nel XIX secolo, com’è naturale, dato l’intreccio fra l’artigianato e la decorazione, l’industria e la replica in serie. I materiali, poi, raccontano storie affascinanti: ci sono quelli della tradizione, dal legno alla ceramica, quindi il ferro, quindi la plastica, secondo sequenze che ritmano lo sviluppo industriale italiano, dalle origini alla golden age del moderno, gli anni Sessanta-Settanta del Novecento. E, accanto ai materiali, l’accostamento casuale o volontario fra individualità artistiche e imprenditoriali, fra intellettuali e capitani d’industria, in base a schemi relazionali che raramente, in seguito, si sono ripetuti con tale intensità. Ripercorrere la vicenda del design nella nostra regione, in quanto produzione e in quanto collezionismo, significa anche questo: indagare l’innesco che ha dato origine all’esplosione che fu chiamata boom, e la cui spiegazione tecnica generale – la crescita europea del dopoguerra, il costo irrisorio delle materie prime, la liberalizzazione dei mercati, l’incremento spettacolare dei consumi privati, anche presso società abituate da secoli alla parsimonia, al riuso, alla temperanza – non risolve il nodo del perché proprio lì, in quel distretto, e non altrove; perché in quel determinato contesto rurale precocemente urbanizzato anziché in altre plaghe dell’Italia perenne, contadina e fondiaria. Il volume curato da Claudia Collina, ponendosi dal lato degli oggetti, delle idee, delle collezioni, ovviamente non ha l’ambizione d’indagare questo mistero, suggestivo perché irriproducibile in vitro, ma solo tracciabile ex post, come itinerario di successo; esso, tuttavia, ci restituisce intatta la freschezza di un’Italia nella quale la forza dell’immaginazione era fisicamente presente nella realtà, nei sogni e nelle illusioni di una generazione, al di là delle classi sociali e delle barriere di censo. Perciò, sfogliandolo, cresce la nostalgia per quel tempo troppo precocemente perduto.

Roberto Balzani Presidente dell’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali Regione Emilia-Romagna 10 > ER/DESIGN


/ Introduzione. Il design, opera aperta

Raimonda Riccini Docente di Teoria e storia del design, Università Iuav di Venezia >

ABSTRACT Il censimento degli oggetti di design nei musei dell’Emilia-Romagna si presenta come un grande progetto tassonomico, secondo quella che Andrea Emiliani indicava come una vera e propria attitudine di questa regione all’approccio induttivo e alla sperimentazione. Coerente con la strategia conoscitiva, di tutela e anche politica sui beni culturali, che prende le mosse dalla feconda stagione degli anni Settanta, il progetto mette al centro il design come luogo d’incontro di arte, artigianato e industria. Ma mette anche in luce – e lo dimostrano settori peculiari della regione come la meccanica – la dignità estetica e culturale che il design ha assegnato a tutti i prodotti industriali. In questo senso il patrimonio di design che emerge da questo lavoro è visto come un’“opera aperta”. Attraverso le infinite varianti degli oggetti, da quelli strettamente funzionali a quelli puramente decorativi, si comprende la natura profondamente sociale – e perciò stesso non chiusa, ma dinamica – della loro esistenza. Compresa quella che possiamo decidere di protrarre, consegnandoli alla loro seconda vita nei musei. 11 > ER/DESIGN


/ Introduzione. Il design, opera aperta

ARTE E ARTI DEL BEL PAESE Nel metter mano a questo testo introduttivo al prezioso e lungimirante lavoro di censimento dei progetti e degli oggetti di design presenti nei musei dell’Emilia-Romagna curato da Claudia Collina, non ho potuto fare a meno di riandare a molto tempo fa, all’epoca dei miei studi universitari al Dams di Bologna alla metà degli anni Settanta. Appassionata com’ero di storia dell’arte, arrivando all’università felsinea avevo in mente – per quanto la si possa avere a vent’anni – un’idea precisa di arte, quella trasmessa dalla monumentale tradizione di studi che aveva codificato le gerarchie di scuole e autori in un Pantheon ideale e idealizzato1. Mi trovai invece immersa in una stagione di grandi cambiamenti ideologici e culturali, che avevano preso le mosse già nel dibattito degli anni Sessanta «sulla miglior conoscenza e quindi miglior uso dell’eredità del passato»2. Senza rimettere in discussione dalle fondamenta quel Pantheon, come avevano tentato di fare i movimenti d’avanguardia degli inizi del secolo, in quegli anni lo si voleva però riorganizzare secondo criteri nuovi.

Manifattura Rubbiani, piastrelle in terracotta smaltata, fine XIX secolo, Sassuolo, Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica (foto Andrea Scardova, 2016).

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Fu quella la stagione di ripensamento e rifondazione della nozione di bene artistico e culturale e di battaglie e iniziative per una nuova politica dei beni culturali3. Da un lato l’ente pubblico iniziava a promuovere politiche efficaci di tutela e salvaguardia complessiva, anche attraverso una serie di azioni istituzionali e strumentali4. Dall’altro emergeva la consapevolezza che il patrimonio culturale di un paese, nel suo pieno senso antropologico, comprendeva non soltanto le eccellenze dell’arte e del paesaggio secondo l’idea crociana di «quadro natura-


/ Introduzione. Il design, opera aperta

le» e di «bello», ma una sfaccettata e differenziata gamma di artefatti materiali e immateriali, in una estensione che va dall’oggetto devozionale, alla pala d’altare, allo strumento del lavoro contadino, alle musiche popolari e via dicendo. Dal museo al territorio, dunque, secondo una efficacissima espressione che restituisce icasticamente un concetto vasto e articolato5. E aggiungerei: dall’Arte alle molteplici arti del saper fare, della tradizione, del folclore, della cultura popolare e contadina6. Entrava così nella coscienza di noi giovani studenti, e poi studiosi, una immagine complessa e non gerarchica dei valori del patrimonio, che sentivamo culturali e antropologici prima ancora che formali ed estetici. Ci si abituava a considerare come portatori di significati reperti e testimonianze sin lì sfuggiti ai più, se non forse all’occhio dell’etnografo. Ed è infatti un occhio etnografico che sembra animare le memorabili immagini delle campagne fotografiche di Paolo Monti7, quando ci accompagna con una inquadratura stretta sui tetti di Bologna a considerare la fattura dei coppi, la loro disposizione, la loro materialità; quando indugia sulle pelli di volpi e faine inchiodate a seccare su una vecchia porta di legno; o quando inquadra, isolandola, l’edicola votiva che rappresenta il matrimonio di Maria e Giuseppe o invece, contestualizzandola, una gerla con il fieno poggiata su un prato dell’Appennino. Ecco che, anche grazie a una tessitura visiva di cui i grandi fotografi italiani dell’epoca tenevano in mano fili di una trama sempre più ricca, si andava rafforzando la consapevolezza che il mondo quotidiano, antiretorico e persino antiestetico, avesse un valore per sé. Cominciava inoltre a farsi strada la convinzione che anche i reperti della prima industrializzazione meritassero attenzione e tutela8. D’altronde, fin dai tempi della storia anonima degli artefatti raccontata da Siegfried Giedion9 sappiamo che per gli storici non esistono oggetti banali, perché qualsiasi oggetto della cultura materiale, anche il più umile, incorpora saperi, ingegnosità, scelte e cultura. E dunque merita la sua narrazione. Se mi sono dilungata su questa storia, ormai lontana ma ben nota e ancora vitale, non è per ragioni nostalgiche, ma perché il lavoro di censimento degli oggetti di design di cui stiamo parlando mi sembra una conseguenza quasi naturale di quella stagione, che a me appare oggi ancora ricca di insegnamenti. Vorrei portare l’attenzione sul fatto che l’idea di bene culturale maturata allora ha contribuito, insieme ad altri fattori, al processo di qualificazione culturale del quotidiano10, di cui gli oggetti di design fanno parte a tutti gli effetti. Ma credo che si debba parlare anche del processo inverso: non ci possono essere dubbi sul fatto che, lungo tutto il Novecento, sia stato proprio il design a qualificare il quotidiano e la cultura materiale contemporanea. In particolare è stato il design a conferire diritto di cittadinanza a particolari artefatti, figli della rivoluzione industriale: gli oggetti tecnici, i prodotti industriali e in generale le tecnologie, che costituiscono gran parte della nostra odierna cultura materiale. E, a ben vedere, della nostra cultura tout court, in quanto è sempre più difficile separare qualunque forma di cultura da quella che, con una terminologia ambientale, potrei chiamare la sua nicchia tecnologica. A questo riguardo è stata importante

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/ Introduzione. Il design, opera aperta

l’opera di sensibilizzazione di architetti, progettisti, ingegneri e industriali. Non c’è dubbio che essi abbiano reso credibile, sul piano teorico e pratico, il fatto che i prodotti dell’industria possano essere portatori di valori culturali (estetici, etici, simbolici ecc.). Tuttavia, questa opera di sensibilizzazione trovò, agli inizi, non poche resistenze. In particolare da parte di coloro per cui soltanto le opere d’arte (o semmai di arte applicata) e le opere letterarie e musicali erano in grado di creare (e di esprimere) valori culturali. E in questa ottica, l’idea che un prodotto industriale potesse assumere tale funzione era rifiutata di solito con rilievi sarcastici ancora nei primi decenni del nostro secolo [il Novecento, n.d.r.]. Ma la situazione non tardò a cambiare radicalmente. A partire dagli anni Trenta, grazie all’affermarsi del disegno industriale, anche gli oggetti tecnici sono stati incorporati, e a pieno diritto, nel nostro universo culturale11.

Non si creda che sia stato un processo facile e lineare. Anzi, direi che si è trattato di un percorso contraddittorio e, in Italia, persino osteggiato. Si pensi alla riluttanza, tutta italiana, a realizzare un museo dedicato specificamente al design, dotandolo – come accade da decenni in moltissimi paesi del mondo – di una propria collezione e di una precisa missione scientifica12, reticenza che a mio parere rispecchia la difficoltà a riconoscere che si possa assegnare dignità espositiva a tutti i prodotti, nello specifico a tutti i prodotti industriali. Si apre qui una delle questioni più rilevanti che attiene allo statuto del design: il fatto cioè che del mondo del design fanno parte non soltanto quei prodotti che seguono più o meno linearmente la grande tradizione artigianale e poi dell’arte applicata all’industria e dell’arte industriale, codificata da numerosi studiosi (fra i quali Renato De Fusco, cui fa riferimento Claudia Collina nell’incipit del suo testo). Ne

Manifattura Ferrari Moreni, piatti e zuppiere in terraglia, XIX secolo, Sassuolo, Galleria Marca Corona (foto Andrea Scardova, 2016).

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/ Introduzione. Il design, opera aperta

fanno parte anche a pieno titolo – come ci ha insegnato Tomás Maldonado nel suo ancora attualissimo «riesame» del disegno industriale13 – gli oggetti tecnici e i prodotti dell’industria, che sono anche al centro della storia del prodotto industriale proposta a suo tempo da Vittorio Gregotti14. Non c’è dubbio che, per la sua particolare collocazione di “terra di mezzo” fra Nord e Centro Italia, attraversata da molteplici culture, ricca di un tessuto urbano diffuso e multicentrico, l’Emilia Romagna abbia espresso una particolare attitudine per entrambe queste tradizioni. Come spiega bene Claudia Collina nel suo testo che rivisita oggetti e protagonisti del design presenti nei musei della regione, «la multilinearità storica e la pluralità di prodotti scaturiti dal disegno industriale affondano le radici nelle manifatture, che segnano la fase intermedia tra artigianato e industria, ossia quelle tipologie d’impresa parzialmente meccanizzate e volte alla lavorazione di oggetti di consumo». Collina viene così elencando la ricchezza della tradizione produttiva e creativa, a partire dalla «fabbrica di majoliche» che alla metà del Settecento inizia a metter radici a Sassuolo per poi svilupparsi nell’Ottocento come Ceramiche Dallari, per passare a Giovanni Maria Rubbiani che ne accompagnò il passaggio a forme di industrializzazione, affiancata a partire dagli anni Ottanta dalla Società cooperativa ceramiche d’Imola e su su nel tempo a caratterizzare una delle identità produttive dell’eccellenza regionale, fino alla speciale tradizione di Faenza. Con la Società Aemilia Ars Collina ci porta nel pieno del movimento delle arti decorative, ma non sono da meno le produzioni di oggetti e attrezzature metalliche, che nel Museo della Ghisa di Longiano mostrano tutta la forza decorativa e applicativa di questo materiale che ebbe fra Otto e Novecento un periodo di splendore, soprattutto urbano. Non voglio anticipare troppo della lettura del testo di Claudia Collina. Vorrei solo ricordare come vi sono testimoniate le trasformazioni «di gusto dalle forme organiche e sinuose dell’Art Nouveau verso partiture, sia strutturali che decorative, sempre più geometriche e lineari» tipiche del modernismo, come testimoniato dagli oggetti in vetro, piuttosto che dagli arredi e, soprattutto dalle ceramiche. «Nel Museo Internazionale della Ceramiche di Faenza sono conservati alcuni oggetti, come scatole, piattini, ciotole, caffettiere, bottiglie, statuette, urne e piastrelle, a testimonianza della sua raffinata genialità impegnata a “ridisegnare” la modernità», una modernità che si confronta con quanto avviene nell’Europa colta e vivace degli anni fino ai Trenta del Novecento, ma anche con personaggi del calibro di Gio Ponti, che anche in questo contesto sa diventare un protagonista attorno a cui ruotano numerosi collaboratori, artisti e aziende. Questa apertura si fa sentire ancora di più quando, dopo la Seconda guerra mondiale, le aziende si confrontano con il design. Dalla ricognizione di Collina apprendiamo che in Emilia Romagna sono operativi nomi fra i più importanti del design italiano: incontriamo Nanda Vigo, Ettore Sottsass, Marco Zanuso, Bruno Munari, Paolo Tilche, Antonia Campi, Alessandro Mendini, ma anche nomi fra i primi del panorama dell’arte, come Enrico Baj, Lucio Del Pezzo, Tullio Pericoli, Gianfranco Pardi, Agenore Fabbri, Arnaldo Pomodoro, Aldo Spoldi, Emilio Tadi-

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/ Introduzione. Il design, opera aperta

ni, Piero Dorazio. Per arrivare agli anni recenti, quando la dimensione globale del fenomeno design mette radici nella regione. Se Collina ci porta in questa ricca tradizione fra arte e design, Flaviano Celaschi mette ben in evidenza nel suo testo le peculiarità del sistema produttivo emiliano, che «ha saputo far convivere arte, creatività, cultura e industria fino a far diventare questa abilità un simbolo internazionale del made in Italy e della nostra identità nazionale». Quello che vorrei sottolineare di questa ricostruzione è la presenza di settori tutt’affatto peculiari della cultura manifatturiera emiliano romagnola e che guardano precisamente a quel mondo degli oggetti tecnici che sono il complementare moderno di quelli della tradizione artistico-artigianale: Il territorio regionale emiliano romagnolo subisce per gran parte del Novecento un influsso multiforme che va, strada facendo, concentrandosi su alcuni comparti: i componenti per la fabbricazione e la finitura dell’abitazione (in particolar modo le fornaci di laterizi e la produzione di ceramica da rivestimento), la motoristica sportiva e di lusso, il confezionamento dei prodotti alimentari e di consumo, la meccatronica, la meccanizzazione agricola, tutti settori nei quali il design non appare svolgere immediatamente un ruolo chiave rispetto all’abilità ingegneristica di raffinare i processi produttivi controllando la qualità del prodotto anche su grandi quantità di produzione ed elevata velocità di realizzazione.

Credo sia importante la notazione sulla dimensione seriale e di massa, che non significa realizzare prodotti di qualità inferiore, quanto essere capaci di qualifi-

Dettaglio di una lavorazione Aemilia Ars, Bologna, Musei Civici d’Arte Antica Collezioni Comunali d’Arte.

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/ Introduzione. Il design, opera aperta

care appunto anche una produzione media. O, come dice meglio di me Celaschi nel titolo al suo testo, di trasformare l’ordinario in extra-ordinario. Extra-ordinario mi pare anche un altro aspetto che emerge da questo lavoro: la diffusa e profonda cultura del servizio pubblico tipica del modo di pensare in questa regione, in particolare nel mondo delle biblioteche, come ci illustra Silvia Ferrari. Nel suo testo il design non è più visto come oggetto di studio, ma come strumento di progetto, sia dal punto di vista dell’architettura degli spazi in relazione ai servizi offerti dalle biblioteche, sia da quello architettonico ed espositivo di musei pubblici e privati. Devo dire che la consistenza e la numerosità delle realizzazioni sono davvero significative, tanto più perché spesso sono collocate in centri urbani non di prima grandezza, a conferma di una spiccata attitudine civica a distribuire i valori sul territorio e non a concentrarli. Come dice Ferrari stessa, «lo dimostra il fatto che a livello locale nell’ultimo ventennio si è registrato un aumento senza precedenti del numero di cantieri per nuove realizzazioni o ampliamenti di strutture per il servizio bibliotecario»: dalla Biblioteca Cesare Pavese di Parma (Paolo Zermani, 2002) alla Sala Borsa di Bologna, dalla Biblioteca civica Selmi di Vignola (Marco Fontana, 2006), dalla Biblioteca comunale Neruda di Albinea (Architetti associati Giorgio Adelmo Bertani e Francesca Vezzali 2009) alla MABIC - Maranello Biblioteca Cultura (Arata Isozaki e Andrea Maffei, 2011), dal centro polifunzionale di Fiorano Modenese, BLA, Biblioteca, Ludoteca, Archivio storico (Buonomo Veglia e Area Progetti, Torino, 2011) alla Biblioteca comunale E. De Amicis di Anzola Emilia (Italo Rota, 2001) e a molti altri casi di importanti restauri di edifici storici che Ferrari analizza. Molto documentata anche se necessariamente circoscritta anche l’analisi di casi di «design museografico», in un «un itinerario limitato ad alcuni fra i principali interventi di riallestimento di collezioni permanenti o costruzioni ex novo». In questo testo, fra altri elementi come l’attenzione all’utente o fruitore dei servizi, comincia a essere evidenziato quello delle tecnologie digitali e dei loro molteplici impieghi, che pongono tutti i protagonisti, designer in primo luogo, «di fronte a un epocale cambiamento del concetto di bene culturale, che oggi include anche l’accezione di risorsa virtuale». Si tratta, lo sappiamo, di tecnologie che coinvolgono la questione dei beni culturali a tutti i livelli, come vedremo. Tassonomia, catalogo e tutela Se torniamo agli anni da cui siamo partiti, vorrei ricordare che alla base di quella nuova politica culturale di cui s’è detto c’era prioritaria la necessità di dotarsi di uno strumento imprescindibile di conoscenza qual è l’inventario dei beni da tutelare, l’anagrafe generale del patrimonio. Su questo punto proprio Andrea Emiliani15 rivendicava alla cultura della sua regione una particolare attitudine «tassonomica»: «Proprio in Emilia riaffiora, con metodi e strumenti moderni, quella sensibilità della sperimentazione e dell’induttivo (che nella tassonomia trova il suo veicolo primario) che caratterizzò fra il XVII ed il XVIII secolo l’opera dell’erudizione e della verifica storica, dettata dalla tradizione galileiana»16. Ecco dunque che in questo lavoro sul design nei musei emiliano romagnoli ritorna uno dei punti forti e qualificanti della strategia conoscitiva dei beni culturali (a cui partecipa attivamente anche un importante collezionismo privato, cui 17 > ER/DESIGN


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Modelli che venivano utilizzati per eseguire i calchi in terra in cui colare la ghisa, Longiano, Museo Italiano della Ghisa (foto Andrea Scardova, 2014).

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fa cenno nel suo testo Claudia Collina). Conservazione, archivio e catalogo sono temi affrontati da due saggi, direi speculari: da un lato il contributo di Simona Riva sulla storia e soprattutto sul futuro del CSAC di Parma, dall’altro la ricognizione di Mirella M. Plazzi delle fonti sul design in Emilia Romagna presenti sul web. Di sicuro l’esperienza inaugurata molti anni fa da Arturo Carlo Quintavalle si pone come pionieristica nell’opera di raccolta e salvaguardia del patrimonio documentale dell’arte e si inserisce, come ricorda Simona Riva, nel «dibattito sul museo e sull’archivio nel sistema dell’arte contemporanea, dibattito vivacissimo in Italia negli anni tra il Sessanta e il Settanta del Novecento attraverso il quale si definiscono i presupposti metodologici del Centro». Dal punto di vista della cultura del design nel nostro Paese, quell’esperienza fu di certo più che seminale. In effetti, sempre in consonanza con quel clima di svecchiamento e allargamento della nozione di arte, di oggetto estetico, di oggetto culturale, nel Centro confluivano non solo archivi di artisti o designer già codificati dalla storiografia, ma anche materiali «provenienti da ambiti sino ad allora considerati ai margini dell’arte, dal sistema dei media e della comunicazione quali il fumetto, la satira, la grafica pubblicitaria, l’illustrazione, la fotografia; “in questi anni Settanta – scrive Quintavalle rileggendo a posteriori quegli anni di profondo cambiamento nell’arte e nella cultura di massa – sta accadendo qualcosa che non era possibile prevedere, il peso della pittura e dell’arte in genere, al di là della crescita assurda del mercato degli impressionisti e di alcuni, pochi, contemporanei, è sempre minore. Nel dibattito dentro la città l’arte sta ai


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margini, e così il museo, mentre la moda e il design (e aggiungo per analogia, i media) acquistano a Milano e nelle grandi capitali dell’Occidente, un peso mai avuto prima”»17. CSAC è stato certamente, anche per l’imponente mole di materiali raccolti e per la centralità assegnata all’archivio con i suoi misteriosi tesori conservati nella fisicità delle carte e dei documenti, una pietra miliare e un modello dal quale non si poteva prescindere. All’altro capo, come racconta Mirella M. Plazzi nel suo testo sulle Fonti d’archivio sul design in Emilia-Romagna: ipotesi di indagine nel web, sta il modello contemporaneo dell’archivio che si confronta con la sfida del digitale. Il primo passo di questa sfida è certamente il processo di digitalizzazione che ha visto, in questi ultimi anni, un imponente lavoro da parte di archivi pubblici e privati, per rendere accessibile su web tutto o in parte il proprio patrimonio. Ma Plazzi coglie molto bene le potenzialità e, al tempo stesso, le criticità di questo processo ancora caotico, spesso cumulativo, ma foriero di sviluppi straordinari. Fra questi, consentire di mettere in evidenza non soltanto l’importanza di ciascun documento di per sé, «ma anche e soprattutto per i legami con gli altri documenti conservati», perché «il valore informativo di ciascun documento è elevato alla potenza dalla concatenazione con gli altri documenti». Il testo riporta poi un’utilissima mappatura di archivi e fondi, compresi quelli degli atenei regionali, analizzati a seconda delle loro caratteristiche precipue. Per me è stata una sorpresa trovare che il tema del digitale attraversa anche i testi di Giovanna Cassese sulla Salvaguardia del design come patrimonio materiale e immateriale e quello di Beatrice Cunegatti sulla Tutela legale del design. Va da sé che gli aspetti di tutela e restauro sono intimamente connessi con quelli dell’identità, autorialità, certificazione legale, e dunque mi pare importante aver dato spazio ai due temi. Tanto più che su entrambi c’è ancora, se non scarsa sensibilità, certamente una conoscenza poco approfondita, anche per alcuni risvolti molto tecnici degli argomenti trattati. Anche per questo i due saggi risultano per me particolarmente stimolanti. Nel suo denso testo Giovanna Cassese va ben al di là degli aspetti tecnici, ma ci fa capire quali sono le connessioni profonde fra l’opera di tutela e di restauro e la consapevolezza piena dei valori culturali del design e soprattutto della sua trasformazione nel tempo. Aver superato la concezione del design come singolo oggetto materiale per confrontarsi con una nozione di design più fluida, che riguarda anche i servizi o aspetti più immateriali, pone di fronte lo studioso, l’esperto, il critico a una continua rimessa in discussione dei propri presupposti. In particolare mi ha colpito la notazione di Cassese sul fatto che «gli oggetti di design non sono più solo oggetti in serie prodotti industrialmente o solo “pezzi unici” come opere d’arte, ma le interazioni con il mondo scientifico e con le biotecnologie, nonché le nuove frontiere della riproduzione in 3D aprono nuovi scenari insondati». Com’è evidente, Giovanna Cassese sposta di molto il traguardo a cui tendere, uscendo dal cerchio forse rassicurante delle cose fisiche, concrete, che si toccano, invecchiano, si guastano, perdono lo splendore dei colori e delle superfici. Certo, Giovanna Cassese ci dice che gli oggetti, anche le icone che sono diventate identitarie del

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made in Italy, sono fragili e ci guida attraverso le tematiche nodali a cui si trova di fronte il professionista (quali oggetti della serie conservare, visto che spesso manca il pezzo unico; oltre al restauro fisico dell’oggetto, come, se e quanto “rifunzionalizzarlo”; come comportarsi a fronte di oggetti che per ragioni ambientali sono prodotti con materiali destinati programmaticamente a esaurirsi, ecc.), ma si pone anche questioni profonde che aprono al futuro: quali sono le domande da porsi oggi di fronte all’allargamento del concetto stesso di design? Se il design, oltre l’oggetto, significa anche valori, emozioni, immagini, cosa significa tutelare l’immateriale? E cosa significa misurarsi con l’impermanente, una nozione insita nel DNA stesso del design (pensiamo all’usa e getta fino a tutte le problematiche della fugacità del digitale)? All’interno di questo panorama instabile si muove anche il testo di Beatrice Cunegatti, in un documentatissimo saggio sulla tutela del design, di cui ripercorre opportunamente la storia. Non c’è dubbio che anche il tema della tutela si scontra con la natura ibrida del design che, come dice Cunegatti, «può essere al contempo un “bene culturale” e un bene protetto da privative industriali e autoriali», ponendo il legislatore di fronte a un dilemma forse non risolvibile. Uno dei punti più controversi, ma a mio parere più interessanti di questo dilemma, è proprio quello che compare a fronte dei nuovi «strumenti tecnologici per la fruizione dislocata, individuale, allargata, aumentata, arricchita, olografica o in stampa 3D». Di certo la capacità, potenzialmente illimitata, di replicare all’infinito un’opera, un oggetto, un’immagine, mette a repentaglio le categorie di tutela stabilite nel tempo (diritto d’autore, proprietà dell’autore o di chi detiene il bene, ecc.), ma, ci rassicura l’autrice, «la disciplina sulla proprietà intellettuale disegna tuttavia un chiaro perimetro all’interno del quale operare». Ho fin qui cercato di mettere in evidenza dei saggi di questo volume i punti più vicini ai miei personali interessi, e dunque ne ho dato una lettura parziale e forse ingenerosa nei confronti dei tanti stimoli, riflessioni e informazioni che emergono dai testi e dal lavoro davvero encomiabile che è stato condotto fin qui da Claudia Collina e dai suoi collaboratori. La cosa che però mi pare li accomuni tutti è la dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che il design è un’opera aperta. Uso qui la famosa (e controversa) espressione di Umberto Eco che ha connotato la sua teoria sull’arte contemporanea, usandola non in senso letterale, ma per riconnettermi alla lezione di quegli anni così fecondi. Lungi dal confrontarmi con le tematiche teoriche che quell’espressione solleva, essa per me risponde meglio di altre alla natura molteplice e processuale del design, alle infinite varianti degli oggetti (da quelli strettamente funzionali a quelli puramente decorativi) e alla natura profondamente sociale – e perciò stesso non chiusa, ma dinamica – della loro esistenza. Compresa quella che possiamo decidere di protrarre, consegnandoli a una loro seconda vita, a quella che potranno vivere nei nostri musei.

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Note 1 Per me, oltre agli anglosassoni studiosi del Rinascimento italiano, importante fu la scuola di Bologna, con la lezione di Roberto Longhi, l’allievo Francesco Arcangeli e l’insegnamento diretto di Anna Ottani Cavina. 2 Laura Corti, I beni culturali e la loro catalogazione, Milano, Bruno Mondadori, 2003, p. 3. 3 Suonava così il titolo di un libro di Andrea Emiliani (Una politica dei beni culturali, con scritti di Pier Luigi Cervellati, Lucio Gambi e Giuseppe Guglielmi, Torino, Einaudi, 1974), lo storico dell’arte e protagonista insieme a tanti altri di quella trasformazione di prospettiva che ha portato a considerare i beni culturali indipendentemente dalla tradizionale ripartizione fra alti e bassi, colti o popolari, maggiori o minori. 4 Ricordo soltanto l’istituzione del Ministero dei Beni Culturali nel 1974 e, nello stesso anno, la costituzione dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, con legge regionale 26 agosto 1974, n. 46. 5 Andrea Emiliani, Dal museo al territorio, Bologna, Edizioni Alfa, 1974. 6 Su questi aspetti specifici rimane fondamentale il libro di Alberto Mario Cirese, Oggetti, segni, musei. Sulle tradizioni contadine, Torino, Einaudi, 1977. 7 Mi riferisco in particolare al censimento fotografico delle valli dell’Appennino e dei centri storici delle città dell’Emilia Romagna che Monti realizzò dal 1966 per oltre dieci anni. Una documentazione di queste immagini nel volume di A. Emiliani, Dal museo al territorio, cit. 8 L’origine dell’archeologia industriale in Italia è collocabile anch’essa in quegli anni (19761977), con la costituzione della Società italiana di archeologia industriale. 9 Siegfried Giedion, L’era della meccanizzazione, Milano, Feltrinelli, 1967. 10 Preferisco continuare a parlare di “culturale” e non di “estetico”, in quanto sono convinta che il design, ma in generale tutti gli oggetti della vita quotidiana, non possano essere considerati soltanto dal punto di vista

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della relazione estetica. Essi implicano una più complessa interazione con l’utilizzatore che coinvolge aspetti etici o simbolici, oltre a quelli funzionali e operativi, e in cui l’estetico non è sempre il fattore principale. Su questo mi permetto di rimandare a Raimonda Riccini (a cura di), Imparare dalle cose. La cultura materiale nei musei, Bologna, Clueb, 2003 e Eadem., Design e teorie degli oggetti, «Il Verri», 27, febbraio 2005. 11 Tomás Maldonado, Ancora la tecnica. Un “tour d’horizon”, in Michela Nacci (a cura di), Oggetti d’uso quotidiano. Rivoluzioni tecnologiche nella vita di oggi, Venezia, Marsilio, 1998, p. 209. 12 Per la ricostruzione di questa quasi secolare vicenda, non ancora risolta, si vedano i saggi di Fiorella Bulegato (Un museo per il disegno industriale a Milano, 1949-64) e di Maddalena Dalla Mura (Progetti in Comune: verso un museo del design italiano a Milano fra anni Ottanta e Novanta) nel numero Design italiano: musei, mostre e archivi, a cura di Fiorella Bulegato e Maddalena Dalla Mura, «AIS/Design. Storia e ricerche», 3, 2014, www.aisdesign.org. 13 Tomás Maldonado, Disegno industriale: un riesame, II ed., Milano, Feltrinelli, 1991. 14 Vittorio Gregotti, Il disegno del prodotto industriale. Italia (1860-1980), Milano, Electa, 1986. 15 Ricordo che Emiliani è stato, oltre che storico dell’arte, fondatore e presidente dell’Istituto dei Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna. 16 A. Emiliani, Una politica dei beni culturali cit., p. 9. 17 Riporto qui anche la nota presente nel testo di Riva perché contiene un’utile indicazione bibliografica: Arturo Carlo Quintavalle, Il Rosso e il nero. Figure e ideologie in Italia. 1945-1980 nelle raccolte del Csac, in Gloria Bianchino, A.C. Quintavalle (a cura di), Il Rosso e il nero. Figure e ideologie in Italia. 1945-1980 nelle raccolte del Csac, catalogo della mostra, Milano, Electa, 1999, pp. XIII-LII. Nella presentazione al volume e alla mostra l’autore chiarisce i termini del dibattito tra arte e nuovi media, ripercorrendo la storia delle ideologie in Italia dal dopoguerra ad oggi, attraverso la lettura delle immagini e la analisi della critica storico-artistica coeva.


/ Quotidiano extra-ordinario Progetto, civiltà e cultura dei prodotti industriali italiani

Flaviano Celaschi Docente di Disegno industriale, Dipartimento DA, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna >

ABSTRACT Il saggio descrive il ruolo che alcuni particolari oggetti prodotti industrialmente in Italia negli ultimi due secoli hanno avuto nella trasformazione della nostra civiltà e della cultura. Oggetti e prodotti che vengono letti nell’ottica dell’evoluzione della cultura materiale, identificando settori produttivi particolari, attraverso fasi di progressiva evoluzione nonché rispetto a categorie critiche che meglio ne rappresentano le caratteristiche prestazionali, funzionali, morfologiche, economiche e simboliche. Oggetti che, popolando il nostro quotidiano, lo trasformano in straordinario ambiente di relazione tra le persone e tra le persone e le cose. Merci che diventano passo a passo uno degli elementi più distintivi della nostra civiltà di Paese che ha saputo far convivere arte, creatività, cultura e industria fino a far diventare questa abilità un simbolo internazionale del made in Italy e della nostra identità nazionale. 22 > ER/DESIGN


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PAESAGGI DELL’INDUSTRIALIZZAZIONE Il contesto del fenomeno in Italia Negli anni Ottanta in alcune scuole di architettura di avanguardia in Italia era offerto l’insegnamento di Progettazione artistica per l’industria. Al Politecnico di Milano, dove ho studiato in quegli anni con Achille Castiglioni e Marco Zanuso, era un momento magico per la disciplina che, come dichiarato dal proprio nome, cercava di affrontare con approccio artistico la necessità di innovazione delle merci industrialmente prodotte. Il panorama industriale italiano del Novecento è stato particolarmente ricco di imprese che hanno saputo interpretare in modo integrato valori e bisogni di una modernità nostrana. Fu un altro professore del Politecnico, Giulio Natta, che vent’anni prima aveva scoperto la formula del polipropilene, un polimero colorabile poi denominato commercialmente Moplen che, in poco meno di due decenni, aveva trasformato la scena domestica dell’Occidente. Questa disciplina, che ancora tra le due guerre mondiali era ascritta all’art & craft di britannica memoria, stava dando gli ultimi segnali di una pratica ancora sensibilmente contaminata dall’arte e già si stava trasformando, anche in Italia, nel più teutonico disegno industriale, per diventare vent’anni dopo ancora, per tutti quanti, semplicemente design1. Intanto tutto questo processo procede nelle imprese italiane secondo tre rituali paradigmatici della cultura d’impresa in cui nasce il design in Italia2: • da una parte il padrone della fabbrica, reduce da un viaggio all’estero (nel Nord Europa o negli USA), o avvezzo a documentarsi sfogliando le riviste di architettura e di stile, sente la necessità di chiamare in azienda alcuni colla-

F1 126 CK, 1981, prima monoposto Ferrari con motore sovralimentato con sistema a turbocompressore. Ha vinto il GP di Montecarlo guidata da Gilles Villeneuve. Maranello, Museo Ferrari (foto Andrea Scardova, 2016).

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boratori esterni che fino ad allora non esistevano, appunto per lo più artisti, grafici, disegnatori o architetti, ai quali viene richiesto di offrire un lavoro di buon gusto e buon senso ossia l’integrazione tra una forma e una funzionalità innovative. Lo fecero con grande successo internazionale Olivetti, Agip, Montedison, Pirelli, Pozzi e Ginori e altri; • per un altro verso sono invece gli uffici tecnici aziendali3 che, interpretando l’esigenza di cambiamento o spesso sfruttando tecnologie belliche abbandonate, si ingegnano a dare un equilibrio innovativo e a volte assai poetico tra forma e funzione. Fu il caso di Piaggio, di Fiat, soprattutto dei grandi marchi di automobili, di motociclette, di biciclette. Complici di questo atteggiamento interno all’azienda sono spesso quei mondi nei quali la competizione agonistica ha una sua importanza per far arrivare il marchio al grande pubblico, associandolo a quello di grandi campioni sportivi amati dalla gente; • infine tra le due guerre mondiali nascono in Italia un certo numero di imprese avvocate al disegno industriale, soprattutto nel campo dell’arredo e degli accessori per la casa, apparecchi illuminanti, articoli sportivi, arredo per l’ufficio. Imprese incentrate sul prodotto innovativo e di stile. Si tratta di aziende frequentemente impiantate da progettisti (ingegneri, architetti, artisti, disegnatori, capireparto intraprendenti) che pongono al centro il discorso estetico e di interpretazione dei nuovi bisogni della società, soprattutto nell’autarchia prebellica e in quella dell’immediato dopoguerra. Come ogni fenomeno di mercato possiamo affermare l’esistenza di un processo di causazione circolare, ovvero parallelamente alla costruzione di un mercato borghese per le merci e gli oggetti quotidiani, nel Novecento italiano nasce una sensibilità a offrire autarchicamente risposte adeguate a questi desideri e bisogni. E questa offerta alimenta a sua volta una maggior potenziale domanda. La vera novità di fondo di questa fase è che per la prima volta nella storia dell’uomo tutte queste attenzioni creative e stilistiche, tutte queste sensibilità morfologiche e prestazionali, tutto questo ingegno, andava a integrarsi e dare il meglio negli oggetti del quotidiano4. Non oggetti celebrativi, non la casa del principe, non l’oggetto commemorativo e di eccellenza, non l’abito della festa, non la carrozza delle sfilate: l’invasione del design partì e diede il meglio di sé nell’interpretazione degli oggetti del quotidiano borghese5. In particolare sono stati quattro gli ambiti nei quali il disegno delle merci assume nell’Italia del Novecento un’importanza riconosciuta a livello mondiale6: l’abitare e l’equipaggiamento della casa e del luogo di lavoro, il vestirsi, il muoversi, e gli strumenti della convivialità e della tavola. In ciascuno di questi ambiti è l’uomo normale che viene messo al centro dell’attenzione, l’uomo borghese viene trattato, vestito, nutrito, spostato nello spazio, fatto abitare, in una continua ricerca di discontinuità rispetto agli stili, alle forme, ai materiali e alle funzioni che fino ad allora erano riservate all’aristocrazia europea, unica committente dell’arte e del bello. La patria nella Patria della borghesia italiana del Novecento è stata la pianura Padana, da Torino ad Ancona, da Parma a Venezia, un territorio nel quale Milano assume ben presto la funzione di centro com-

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merciale e relazionale nel quale tutta questa capacità produttiva e riproduttiva padana viene messa in mostra e comunicata nei canali della contemporanea globalizzazione dei mercati7. I settori produttivi coinvolti Non è facile isolare dal tutto l’insieme dei settori produttivi coinvolti dall’epopea del disegno industriale italiano. Cosa unisca la FILA di Firenze, produttrice di articoli per le belle arti e per l’ufficio, con la Necchi di Pavia, che faceva concorrenza internazionale all’americana Singer nel campo delle macchine per cucire, è davvero difficile. A distanza di diversi decenni la narrazione del fenomeno si è concentrata intorno a quelle che Massimo Fortis chiama le 4F (Fashion, Furniture, Food and Ferrari), ma il fenomeno è sensibilmente più esteso e dilagante. Laddove l’uso delle merci (strumentali o di consumo) avviene vicino alla persona e al proprio corpo ecco che questa sensibilità e cura per la relazione forma-funzione ha dato il meglio di sé8. Una macchina per cucire potrebbe essere abbastanza indifferente al design fino a quando la sua presenza non si manifesta nella casa delle donne italiane. Se il mezzo di trasporto diventa personale (famigliare o individuale) ecco che lo stile diventa importante; e ciò spinge a innovarlo e ridisegnarlo con cura, come un abito, come una tavola per la convivialità, come la casa e tutto ciò che la popola. Più che tradizionali settori censibili con le regole della merceologia tradizionale possiamo parlare di mondi di consumo che diventano mondi di relazione interpersonale e sociale, prima di tutto, e poi anche personale e di autorealizzazione psicologica. Più che circoscrivere settori, appare facile parlare di materiali. Indubbia è l’evoluzione che certi materiali tradizionali possiedono quando a interpretarne le caratteristiche è il connubio tra un artista della forma e un artigiano del processo produttivo. In questa chiave diventa interessante notare come sia la ceramica

Penne stilografiche Omas, 360 Collection, 1996, Bologna, Museo del Patrimonio Industriale (foto Andrea Scardova, 2016).

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(l’arte fabbricante più antica del mondo) a essere alfiere di rinnovamento stilistico e culturale. Ma anche il ferro, il legno e l’ebanistica in generale, la carta e l’editoria, il cibo e i suoi infiniti modi di conservarlo, confezionarlo e servirlo già pronto in tavola. Più che affrontare una dislocazione geografica regionale, il disegno industriale inteso come la capacità di attrarre il progetto della forma e della funzione dei beni del quotidiano moderno del Novecento in Italia, si adatta a essere descritto in due di quelle macroregioni che Bagnasco negli anni Ottanta racconta essere una parte delle Tre Italie: il Nord Ovest e il NEC (Nord Est Centro). In queste due macroregioni si attiva la magia dei distretti industriali produttivi di marshalliana memoria ed ecco che porzioni di territorio che corrispondono spesso con una vallata o poco più si popolano in modo intenso di imprese che lavorano gli stessi materiali, più o meno negli stessi modi, con forte emulazione e capacità competitiva e cooperativa nel medesimo tempo. È la stagione in cui prendono forma le concentrazioni produttive laniere e tessili in Piemonte, quelle della rubinetteria e della maniglieria in Lombardia, quelle dell’occhialeria e degli articoli sportivi in Veneto, quelli della meccanica di precisione in Emilia-Romagna, quelle legate all’arredo e alle cucine ed elettrodomestici nelle Marche e nel Friuli, quelle della ceramica e del cuoio a Firenze e dell’arredo in Brianza e in Toscana. Il territorio regionale emiliano romagnolo subisce per gran parte del Novecento un influsso multiforme che va, strada facendo, concentrandosi su alcuni comparti: i componenti per la fabbricazione e la finitura dell’abitazione (in particolar modo le fornaci di laterizi e la produzione di ceramica da rivestimento), la motoristica sportiva e di lusso, il confezionamento dei prodotti alimentari e di consumo, la meccatronica9, la meccanizzazione agricola, tutti settori nei quali il design non appare svolgere immediatamente un ruolo chiave rispetto all’abilità ingegneristica di raffinare i processi produttivi, controllando la qualità del prodotto anche su grandi quantità di produzione ed elevata velocità di realizzazione. Quello che emerge in questo territorio è semmai interpretabile come il successo dell’artigiano industriale, ovvero l’evolversi di un produttore che nel contempo diventa capace di tenere a bada i problemi di processo, di forma, di economia e di relazioni umane, in un equilibrio sociale e culturale tipico dei territori che fanno della capacità produttiva una scala per l’evoluzione economica, culturale, sociale ed etica nel contempo. Nel territorio regionale emiliano romagnolo non avviene mai la completa industrializzazione che ha caratterizzato una buona parte del Piemonte, della Liguria, del Veneto e della Lombardia; ma non è poi nemmeno avvenuta la deindustrializzazione contraria della fine del Novecento postindustriale verso il terziario. Viviamo ancora oggi in un territorio che integra agricoltura, arte, cultura, industria, creatività, estrazione, pesca e intrattenimento, come se dovesse bastarsi, come se ciascuna di queste attività non dovesse prendere mai il sopravvento. La ricerca della felicità come orizzonte Il design italiano, e in particolare quello che ha riguardato il nostro territorio regionale, non è scindibile dal fenomeno produttivo processuale, così come non è separabile da una antica tradizione di lavorazione di certi materiali e da un 26 > ER/DESIGN


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benessere millenario che anima la voglia di godere della qualità e della bellezza come fatto sociale e pubblico distintivo10. Con meno pudore che in altri territori del nostro Paese, in Emilia-Romagna è avvenuta una simbiosi tra la capacità di ideare, disegnare, produrre beni di qualità distintiva, belle merci di massa con elevate prestazioni estetiche e di durata, e la voglia e il piacere di ostentarle e di farne oggetto d’uso quotidiano. Un comportamento questo che distingue alla radice il modus della borghesia rispetto al modus dell’aristocrazia, storicamente attenta ad avere il meglio per goderne tra pochi, secondo la teoria della classe agiata di Veblen. La casa degli italiani, il mezzo di trasporto, la convivialità a tavola, l’abbigliamento diventano pertanto con chiarezza i campi nei quali questa simbiosi tra il saper produrre e il saper godere ogni giorno, tutto il giorno, si manifesta con maggior effetto. Pertanto proprio il quotidiano gesto del vivere domestico come di quello relazionale sociale diventano il banco di prova e il perfetto mercato per i prodotti del design italiano: mai eccessivi, mai esagerati, mai fini a se stessi, sempre in equilibrio tra qualità e bellezza, tra prestazione e forma, tra costo e possibilità, tra cuore e ragione. Nel territorio emiliano romagnolo queste merci di design non trovano solo una fabbrica, ma casa, mercato, strada, fenomeni come Simon Gavina di Bologna11, Driade di Piacenza, Cedit ceramiche di Sassuolo, Anonima Castelli di Bologna e tanti altri attraggono per decenni in questo territorio disegnatori, artisti, designer, cultori della forma, rappresentanti di commercio evoluti, capaci di spiegare al mondo e accompagnare nel mondo beni di insolita unicità anche se utilizzabili nella vita di tutti i giorni: merci straordinariamente quotidiane. Ma è un’innumerevole quantità di piccole officine, laboratori artigiani, piccole impre-

Bruno Munari, portacenere da tavolo, 1957, Bologna, Collezione Danese, Genus Bononiae.

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se di tradizione italiana che approfittano di questo crescente mercato borghese per sviluppare, dall’individualismo tipico del consumatore italiano, la logica della personalizzazione estrema del prodotto, del fatto su misura, del costruito ad hoc, nell’arredo come nell’abbigliamento, nel veicolo di trasporto così come nella ceramica artistica. In questo territorio padano che scavalla le due macroregioni citate immaginare, produrre, usare e quindi consumare merci prodotte industrialmente, ma con rara sensibilità, non è peccato, è semmai un diritto alla felicità per tutti, diciamo per tanti, di cui in particolare il secondo dopoguerra europeo si è fatto interprete. CATEGORIE DEL NOSTRO DESIGN Ci siamo interrogati per decenni sulle motivazioni del successo del made in Italy nel mondo, e in particolare del design italiano. La visione agricola di Carlo Petrini12, secondo il quale sarebbe stata la capacità di produrre il bello e il buono, ben fatti, a costituire terreno comune al made in Italy nel mondo, cerca una sintesi suprema difficilmente teorizzabile e trasferibile fuori dal cibo, se non attraverso l’idea che sia esistita una o tante culture che qualcuno o qualcosa deve aver influito a formare nella maggior parte degli italiani. Sicuramente, per produrre e prosperare come impresa, è necessario avere un mercato che capisca e sia disposto ad acquistare e pagare un certo tipo di prodotti. A questo si aggiunge che per portare questi beni alla qualità desiderata sul mercato è necessario possedere una capacità manifatturiera e tecnologie adeguate all’obiettivo. A tutto questo proviamo a immaginare che si sommi il desiderio, il bisogno inconscio o meno, diciamo una forte motivazione progressista verso la modernità come possibilità di riscatto, di distinzione, di identità. Insomma quello che è successo nel nostro Paese è un insieme di fatti strutturali e di condizioni congiunturali favorevoli e integrate. Quello che oggi osserviamo guardando la produzione sulla quale il design ha influito nel Novecento13 è raccontabile anche attraverso queste categorie che seguono. Dall’ornare all’integrare Il percorso che stiamo raccontando avviene parallelamente alla crisi delle culture e delle estetiche premoderne. Una fra tutte la crisi dell’ornamento inteso come applicazione superficiale e successiva al lavoro di produzione del prodotto così come dell’architettura. La delittuosità dell’ornamento che Adolf Loos denuncia nel suo celebre pamphlet prevarica in ogni dove, si staccano gli stucchi, si raddrizzano le curve, si cancella il floreale, si rinuncia alla nobilitazione, i materiali parlano ciascuno la loro lingua, il ferro come il cemento, il legno come la ceramica. Il tornio, la pialla, la sega, la pressa e lo stampo sono gli artefici delle nuove forme che si trovano nella necessità di passare dall’abbellimento come aggiunta ex post all’integrazione del bello nella forma strutturale, anzi alla nuda denuncia del bello strutturale, non vestito, non celato, non mistificato per altro dal vero.

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Dal moltiplicare all’industriarsi Un secondo concetto che si rompe in questo periodo è quello secondo cui, per essere bello, un bene deve essere unico o realizzato in piccola serie esclusiva. Al contrario la possibilità di reperire merci uguali o simili nel più elevato numero di situazioni ne denuncia l’accettazione, l’allineamento al gusto comune inteso come valore, come democrazia del gusto comune sentire che non sminuisce il valore del bene in quanto schiavo del gusto dominante, semmai il contrario: la merce non deve più piacere solo alla gente che piace, all’aristocrazia, ma al popolo, alla gente intesa come valore quantitativo che diventa anche per antonomasia il valore qualitativo più importante. E per produrre ingenti quantità uguali, al prezzo adeguato, di una merce non resta che industriarsi, meccanizzarsi, organizzare la produzione, crescere, investire, cercare nuovi materiali, sperimentare diversi processi produttivi di massa, tutte caratteristiche che non solo non saranno nascoste nel prodotto, ma saranno invece messe in evidenza come valori distintivi. Dal comfort all’ammodernarsi La modernità della produzione rifugge le morbidezze ottocentesche, il tessuto drappeggiante, l’avvolgente abbraccio delle forme sinuose, il calore delle superfici ricoperte. Entra in crisi il concetto di comfort classico, i corpi scoprono l’ergonomia intesa non più come rilassamento dei corpi molli, ma come risposta a posture progettate, comportamenti condizionati, misure calcolate, superfici igienicamente lavabili e prive di rivestimenti di protezione. Ammodernarsi attraverso le merci significa prima di tutto rinuncia e apprendimento di uno stile di comportamento del corpo che deve trovare nell’efficienza della produzione, così come nella praticità della manutenzione, la sua ragione d’essere. L’angolo

Ducati 250 Desmo progettata da Fabio Taglioni per il pilota inglese Mike Hailwood, 1960, Bologna, Museo Ducati.

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retto diventa più etico della superficie curvata, il tubo rotondo e il profilo quadrato assurgono a forma armonicamente indiscutibile. Il comfort non è più una condizione imposta dall’oggetto ma una libertà che il corpo e il suo comportamento si prendono rispetto all’oggetto: ci si siede sul tavolo, si mettono i piedi sul divano, si fa l’amore nell’automobile, si mescolano gli abiti come fa piacere che siano. Dall’anonimato al brand In questo periodo gli oggetti smettono più o meno improvvisamente di nascondere il nome del produttore e di celare la propria origine territoriale. Non funziona più il fare beni come se fossero fatti altrove, il finto americano, il finto cinese, il finto francese. Accanto a una sempre più vistosa etichetta con la marca del produttore inizia a comparire la scritta made in Italy. Così mentre dovevi essere une esperto di mobili per rintracciare la scritta Thonet su un manufatto della casa austriaca di inizio Novecento, adesso ben prima di decidere l’acquisto puoi notare la grande scritta Necchi, Gilera, Morini, ecc., e i logotipi del produttore sopraffanno le medaglie d’oro e le forme organiche di divinità ancestrali che volteggiano sulle etichette; perfino il nome del materiale diventa brand e il tubo in acciaio inossidabile Colombo o l’Anticorodal, o il polipropilene Moplen, diventano noti al grande pubblico italiano. Dal criticare al ribellarsi Continuare a consumare o tenere in casa come sul corpo i beni del passato diventa sinonimo di conservazione, di eversione, di ignoranza, di incapacità di adeguamento culturale. La tensione a farsi rappresentare, anche culturalmente e politicamente, dalle merci che si preferiscono diventa un’importante occasione di comportamento sociale. Il jeans come il loden, l’eschimo come le espadrillas diventano bandiere politiche evidenti e omologanti. In una prima fase leggiamo come indispensabile scegliere una marca, una merce, perfino uno stilista o un designer, una canzone leggera, sulla base di precise convinzioni politiche: nel comportamento veloce della vita moderna non abbiamo più il tempo di conversare e farci capire, di spiegare le nostre ragioni, di convincere gli altri, lasciamo che il nostro corpo e le merci che lo circondano parlino per noi, ogni rivoluzione vuole i suoi simboli e nell’Italia del dopoguerra quasi ogni merce che scegliamo denuncia il nostro pensiero politico e la nostra identità culturale. Ma è in una seconda fase, che prende il nome di radicale, che il designer diventa agente di provocazione, attore situazionista che colloca se stesso nel mercato in quanto attore di un processo di ribellione e di contrasto della società che lo alimenta industrialmente. Il gesto diventa, nel design come nell’arte, più importante del prodotto. Il jeans viene consumato, l’automobile non deve essere lavata, i vecchi mobili devono essere colorati con i colori primari, il legno deve essere segnato dai graffiti, i muri imbrattati di scritte e segni, i capelli non tagliati e le unghie non curate. Avere oggetti non è più sufficiente, diventa necessario usarli in un certo modo per qualificarsi socialmente e definire il proprio posto nel mondo14.

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VALORI CONDIVISI E TERRITORIO Prodotti come etica del lavoro condensata Il secolo breve potrebbe essere raccontato quasi esclusivamente attraverso le merci che abbiamo usato e consumato e in esse leggere il disegno industriale non più come un solo estetico, morfologico, prestazionale, riferibile alla natura dell’oggetto in sé. Ogni oggetto di cui parliamo è come se si posizionasse sulla cima di una montagna, di esso possiamo capire il mondo che lo ha prodotto sulla salita che porta in cima all’ottenimento dell’oggetto stesso, la sua specifica epopea produttiva. Così come oltre la cima possiamo percorrere tuta la discesa che rappresenta la scelta di acquisto, il sistema di pagamento, il trasporto a casa, l’utilizzo privato e pubblico, fino alla sua dismissione. Ognuno di questi oggetti è un sistema di valori condensato ed etichettato, un frammento di storia della civiltà e del singolo soggetto che in essa lo ha prodotto o consumato. E in questo senso gli oggetti del design italiano, quelli delle due macroregioni padane in particolare, raccontano di un’etica del lavoro, di una cultura del materiale, di un sapiente risparmio del tempo, di un rispetto per l’utilizzatore, di un’idea del bello come fatto relazionale e culturale non privato. L’orgoglio dell’operaio, e non solo del designer o dell’imprenditore, per il suo prodotto e per la notorietà e la stima che la gente aveva in esso, raccontano questa storia; una storia di disegno industriale come atto culturale intorno al quale fabbricazione, vendita, consumo, riuso, tramando, raccontano il Novecento del nostro Paese meglio di qualsiasi altra epopea.

Offshore Fast 45 Diablo Classe 1 di 13,5 metri con motore Lamborghini, 11 volte campione del mondo, Funo di Argelato, Museo Ferruccio Lamborghini (foto Andrea Scardova, 2014).

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Qualità delle cose, qualità della vita Il disegno industriale italiano del Novecento racconta la storia di una popolazione che si emancipa abbastanza rapidamente. Si emancipa dalla necessità di emulare l’aristocrazia e il potere nei gusti; che si emancipa dai salotti buoni, dagli arredi ereditati dalla famiglia patriarcale, che si emancipa dal concetto secondo cui costoso è sinonimo di bello; dal salotto buono che non si deve usare, dal punto luce a centro stanza, dal centrino sotto agli oggetti, che si emancipa dai materiali alti della tradizione; che si emancipa dai mezzi pubblici, dal vestito per la festa e quello per tutti i giorni, dal problema della conservazione degli alimenti e dalla necessità di cucinare come dovere. La modernità degli oggetti non ci fa vivere meglio in senso assoluto, ma ci educa alla modernità intesa come emancipazione di classe. Anzi guardando oggi quel periodo possiamo riconoscere quanti valori si sono infranti e dispersi sull’altare della modernità dei costumi. Ma guardare oggi quegli oggetti e la loro capacità, viva ancora oggi nella mia generazione e non solo, di generare ottimismo, portare benessere, illudere forse che il progresso sia tangibile e che la qualità della vita possano stare nelle cose di cui ci circondiamo, frutto del lavoro e delle rate, simbolo di un’epoca che ha celebrato l’industrializzazione e il mercato come sinonimi di ogni cosa15. La formazione del gusto collettivo Dal punto di osservazione privilegiato del futuro che oggi rappresentiamo rispetto a questi oggetti di cui parliamo un aspetto che possiamo celebrare positivamente, tra altri, è sicuramente la nascita della consapevolezza del sentirsi parte di un sistema di persone uguali16 perché capaci di scegliere e acquistare le stesse merci, guardare gli stessi film e gli stessi programmi televisivi, vestirsi nello stesso modo, avere la stessa automobile dello stesso colore. Le merci moderne del design ci hanno dato anche questa possibilità: la bellezza di sentirci uguali e dunque felici. La possibilità di riconoscere che alcuni oggetti sono per persone di destra e altri per persone di sinistra, che taluni oggetti sono per gente di campagna e altri per persone di città, che gli oggetti possono essere per maturi o anziani (matusa si diceva), o per giovani, ma non per ricchi e per poveri. Possedere in tanti le stesse cose fa sentire più forti, dà spirito di classe, incoraggia alla ribellione, o perlomeno alla critica dello status. Quegli oggetti sono diventati politici. Dal prodotto al processo Penso però che la forza più grande che gli oggetti del design del Novecento italiano hanno saputo sprigionare sia stata, soprattutto se confrontati con gli oggetti del design degli altri paesi occidentali del medesimo periodo, il dimostrarci che attraverso di essi era possibile connettere ogni giorno il fare della fabbrica e del sistema produttivo con la vita del consumare e vivere nel loro uso quotidiano17. Ognuno di quegli oggetti porta un po’ di cultura materiale del fare fino a noi, facendoci diventare il popolo che siamo, ossia il popolo che sa capire cosa sia la qualità e il lusso degli oggetti, come e quanto conta una rifinitura, una laccatura, un tipo di concia nella pelle, un abbinamento di colori, un’armonia nella forma, la leggerezza o il peso, un angolo smussato o uno spessore di 32 > ER/DESIGN


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troppo. Oggi siamo il Paese nel quale si idea e si fabbrica il lusso che il mondo usa e sappiamo che non basta possedere un oggetto per dimostrare la propria cultura, ma bisogna saperlo collocare nell’ambiente adeguato, abbinarlo, saperlo usare in un certo modo. Il processo della fabbricazione, così come il processo d’uso ci hanno predisposto al terzo millennio nel quale uno dei problemi più importanti sembra essere quale materialità conferire al mondo digitale, quali interfacce, quali touch point. Non siamo la California dove le tecnologie digitali nascono ma siamo l’Italia del bello ben fatto e, anche grazie a quel periodo e alle sue merci di design, siamo tuttora il luogo della cultura materiale di eccellenza.

Note 1 Andrea Branzi, Introduzione al design industriale. Una modernità incompleta, Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2008, pp. 75-103. È il ritardo industriale dell’Italia, secondo Branzi, il responsabile di una primigenia artistica del design italiano, quasi più come ipotesi teorica e culturale che come vero e proprio fenomeno industriale. Ciò è contraddetto in parte proprio dalle industrie che qui richiamo che hanno fatto dell’autosviluppo tecnico e formale il loro coraggioso e autarchico modello di innovazione.

5 Walter Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, in Schriften, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1955, trad. it., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966. La parola chiave, che l’autore suggerisce per interpretare una categoria di attività umane che ricomprende gli oggetti del disegno industriale, è desacralizzazione, un’esperienza laica della cultura che sostituisce il valore rituale con un valore estetizzante e, nel caso del design, con pretesto di funzionalità.

2 Per cogliere completamente la differenza tra il paesaggio domestico quotidiano che ha preceduto il disegno industriale italiano si visiti il Museo della Fondazione Guatelli, a Ozzano Taro (PR), luogo nel quale sono raccolti gli oggetti che hanno popolato le case italiane del Novecento.

6 Cfr. Gillo Dorfles, Introduzione al disegno industriale, II ed., Torino, Einaudi, 1972. Dorfles, citando (p. 57) una analisi dell’olandese L.C. Kalff, introduce nello studio della disciplina del disegno industriale un’articolazione tra oggetti progettati che va dalla prevalente dimensione funzionale (antenne, beni strumentali, ecc.) fino agli oggetti che denomina come superindividuali ossia totalmente avulsi dalla loro funzionalità (vasellame decorativo, soprammobili, ecc.).

3 Cfr. Maria Cristina Tonelli, Industrial design: latitudine e longitudine, Firenze, University Press, 2008, pp. 13-33. Appare subito chiaro dalle parole di Alberto Rosselli del 1954, citate da M.C. Tonelli, la differenza orbitale tra l’inventore e il designer che non aveva l’emergenza né la competenza dell’invenzione. 4 Andrea Branzi, Gli oggetti non sono oggetti, in A. Branzi (a cura di), Capire il design, Firenze, Giunti, 2007, pp. 9-15; l’autore inquadra la storia degli oggetti quotidiani in una chiave di Nuova Storia francese secondo la quale, come richiama Jacques Le Goff, non esistono storie maggiori e storie minori: esiste piuttosto un’unica Storia dentro la quale scorrono tessuti e logiche diverse, risultato spesso della complessa natura dell’uomo.

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7 Nonostante questa delimitazione spaziale possiamo con sicurezza affermare che il medesimo approccio al design italiano è proprio anche dei progettisti italiani (sarebbe meglio dire formati in Italia) che hanno poi espletato tutta la loro carriera produttiva all’estero. Il caso emblematico è forse rappresentato dai coniugi Massimo e Lella Vignelli cfr. Massimo Vignelli, The Vignelli Canon, New York, Lars Müller Publishers, 2010. 8 Marc Augé, Le dieu objet, Paris, Flammarion, 1988, trad. it., Il dio oggetto, Roma, Meltemi, 2002, pp.12-14.


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9 Vale la pena richiamare che nel territorio emiliano romagnolo, attraverso il successo della cosiddetta meccatronica, nascono i primi notevoli e insuperati esempi di design italiano applicato non solo agli oggetti domestici, ma a imponenti centri di lavorazione industriale quali quelli della Mandelli di Piacenza disegnati da Matteo Thun, Compasso d’Oro nel 1987; cfr. XIV Premio Compasso d’Oro, Design made in Italy, Milano, Silvia Editrice, 1987. 10 Jean Baudrillard, Le système des objets, Paris, Gallimard, 1968, trad. it., Il sistema degli oggetti, Milano, Bompiani, 1972. Contrariamente al resto d’Europa, in Italia, il dibattito tra funzionalità ed estetica degli oggetti disegnati non è mai stato dominante nel discorso critico, né nelle scelte del mercato. Nel nostro design l’articolata segmentazione realizzata da Baudrillard non è efficace perché l’italiano borghese impara semmai a padroneggiare gli oggetti di design come quello che l’autore chiama il soggetto dell’assestamento (pp. 32-34), un soggetto che vive gli oggetti senza consumarne la funzione, ma contaminando e facendosi contaminare dallo stile che essi emanano. 11 Cfr. Elena Brigi, Daniele Vincenzi (a cura di), Dino Gavina Atlas-Atlante, Mantova, Maurizio Corraini editore, 2010. Interessante notare l’emblematico caso del bolognese Dino Gavina che passa da abile tappezziere di provincia a industriale di successo grazie alla mediazione culturale di Lucio Fontana. 12 Carlo Petrini, Buono, pulito e giusto, Torino, Einaudi, 2005. 13 Pier Giorgio Solinas (a cura di), Gli oggetti esemplari, Montepulciano, editori del grifo,

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1989. Nella definizione etno-antropologica che dà Solinas di oggetti esemplari ci ritroviamo appieno se decidiamo di prendere dal patrimonio di oggetti del design italiano del Novecento queste cose allo scopo di decifrarne il vissuto e l’abitare così come antropologicamente o archeologicamente succederebbe se fossero questi gli unici reperti rimasti della nostra civiltà locale. Il potere di rappresentare e narrare l’immaginario della nostra storia è uno dei requisiti che essi possiedono. 14 Sabrina Lucibello, Francesca La Rocca, Innovazione e utopia nel design italiano, Roma, Rdesignpress, 2015; il saggio raccoglie una esemplificativa sequenza di casi contemporanei di utopia integrata nel progetto di oggetti di design italiano nel senso che ho cercato di trasmettere nel paragrafo. 15 Andrea Branzi, La casa calda, Milano, Idea Books edizioni, 1984. 16 Cfr. Maurizio Ferraris, Documentalità. Perché è necessario lasciare tracce, Bari, Laterza, 2009. Se usiamo la categoria critica che utilizza Ferraris, quella delle rappresentazioni (tanto dei soggetti come degli oggetti), possiamo affermare che poche cose nel nostro Paese hanno ricevuto nel mondo l’univoco riconoscimento che gli oggetti del design italiano del Novecento sono oggetti capaci di rappresentare una popolazione molte volte inspiegabile nelle meta-narrazioni globali come quella degli italiani e della loro creatività concreta e fabbricante. 17 Cfr. Giulio Castelli, Paola Antonelli, Francesca Picchi (a cura di), La fabbrica del design. Conversazioni con i protagonisti del design italiano, Milano, Skira, 2007.


/ Breve e non esauriente viaggio tra arti e design nei musei dell’Emilia-Romagna

Claudia Collina Storica e critica d’arte di età contemporanea, funzionario specialista in Beni Culturali dell’Istituto Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione EmiliaRomagna >

ABSTRACT Traendo ispirazione dai libri di Manlio Brusatin e Maurizio Vitta, si compie un viaggio culturale nelle collezioni dei musei dell’Emilia-Romagna, dalle arti applicate al design industriale d’autore. Assodato che l’arte ha dato al design quanto la tecnica, si cercano le connessioni culturali ed espressive tra arte e design, arrivando a tracciare una storia delle arti dell’età contemporanea (dalla fine del XVIII secolo al presente) che allontana definitivamente ogni differenziazione nella considerazione dell’oggetto d’uso e della sua produzione industriale, interpretandolo come occasione di espressione di gusto e trasformazione artistica. «Dire che il design è una forma d’arte è dire anche che il design è arte contemporanea […] Per quanto ci riguarda c’è un momento storico, forse non preciso, in cui le arti tradizionali maggiori e minori si trasformano, modificando con gli oggetti la vita dei soggetti» (Brusatin 2007) di età contemporanea. 35 > ER/DESIGN


/ B reve e non esauriente viaggio tra arti e design nei musei dell’Emilia-Romagna

L’alleanza tra la forma e il tempo di cui diventa espressione è insieme ragion d’essere e principio regolatore del design (Francesco Trabucco)1

Allo zenith degli studi sul design che negli anni Novanta del secolo scorso determinavano l’inizio di un nuovo corso fondato sul riconoscimento della disciplina, per ormai consolidata maturità della materia fondata sulle numerose teorie, storiografie e prassi che ne hanno creato la sua storia, Renato De Fusco confermava che gli «indispensabili punti di leva»2 per l’interpretazione storica del design erano da ricercare nelle correnti poetiche e stilistiche della storia delle arti visive, l’architettura in particolare, nel loro valore di parametri verso, o contro, cui si sono mossi gli autori; inoltre, ribadiva l’importante radice del design industriale nelle arti applicate, trasformatesi con operosa complessità nell’associazione di artigianato, arte e scoperte tecnologiche e industriali nel corso del tempo. Il design dell’Art Nouveau si è mosso contro l’Eclettismo storicistico; quello del Protorazionalismo contro la Secessione; quello del Razionalismo verso la poetica funzionale; quello dello Streamline verso il dinamismo; quello del Movimento organico verso le istanze psicologiche; quello del Postmoderno contro il Razionalismo e verso un rinnovato Eclettismo, ecc.3

Al di là di quelli che lo stesso studioso definiva “artifici storiografici”, il filo della storia delle arti è un’angolazione importante, ma non l’unica, per connettere la vicenda pluridisciplinare della progettazione industriale al contesto culturale ed estetico di ogni epoca, all’interno delle collezioni museali dell’Emilia-Ro-

Particolare di piatto e zuppiera, Fabbrica Dallari, Sassuolo, seconda metà sec. XVIII, Fiorano Modenese, Museo della Ceramica (foto Andrea Scardova, 2016).

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magna di cui si tratta in questa sede, con la consapevolezza della molteplicità e autonomia di tante storie riunite in un unico insieme, poliedrico, sfaccettato e caleidoscopico. E, in fondo, anche questa particolare sintesi narrativa, nella sua soggettività, può essere considerata un piccolo progetto storiografico di quella straordinaria comunione osmotica tra arte, scienza e tecnica che è il design. Manlio Brusatin nel suo testo fondamentale Arte come design. Storia di due storie sostiene che «dire che il design è una forma d’arte è dire anche che il design è arte contemporanea […] Per quanto ci riguarda c’è un momento storico, forse non preciso, in cui le arti tradizionali maggiori e minori si trasformano, modificando con gli oggetti la vita dei soggetti» attraverso un’estetica quotidiana non elitaria che, in sintonia con le trasformazioni dell’arte, lavora con essa «per nascondere la tecnica, pur rappresentando l’origine intrinseca di un oggetto che, essendo utile, deve anche universalmente piacere»4; e, in accordo con i precetti di Lionello Venturi, essere in sintonia con il gusto di una società che riconosce in esso coniugati «gli elementi costruttivi dell’opera d’arte» a qualità percettive e funzionali e la cui lettura in senso storiografico non può che avvenire attraverso l’intreccio assai stretto tra la storia delle arti visuali e quella dell’arredamento. Infine, per dirla con Francesco Trabucco, «continuo a pensare il design innanzi tutto come attività progettuale applicata ai molti diversi modi del fare, ma unificata dalla volontà di arricchire di valori estetici e auspicabilmente etici l’esperienza della quotidianità»5. I musei custodiscono una grande quantità di testimonianze di arti applicate all’industria e prodotti di design ricchi di valori artistici, antropologici, tecnici, simbolici e narrativi, sintetizzati nella qualità e nel “ben fatto” che unificano sia valori estetici, sia funzionali. DALLE MANIFATTURE ALLE ARTI APPLICATE ALL’INDUSTRIA Il viaggio tra alcuni degli oggetti più rappresentativi dei musei dell’Emilia-Romagna che hanno, nelle loro collezioni, tipologie di materiali attinenti all’evoluzione del design e alle sue origini non può e non vuole essere esauriente, ma emozionale e narrativo nei capisaldi dell’evoluzione delle forme e degli stili più o meno tangenti, a seconda dei tempi, a quelli delle arti visuali di età contemporanea; mentre sin dalla metà del XVIII secolo emergeva «la consapevolezza, appena accennata nella stessa Encyclopédie, della stretta connessione fra momento prammatico dell’architettura e arti decorative tutte, che resterà il tema centrale della discussione, si può ben dire, sino a oggi»6. La multilinearità storica e la pluralità di prodotti scaturiti dal disegno industriale affondano le radici nelle manifatture, che segnano la fase intermedia tra artigianato e industria, ossia quelle tipologie d’impresa parzialmente meccanizzate e volte alla lavorazione di oggetti di consumo. Nel 1741 veniva introdotta a Sassuolo, nel Ducato Estense di Francesco III di Modena, una «Fabbrica di Majolica» che, dopo alcune tormentate vicende, 37 > ER/DESIGN


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veniva acquistata dopo il 1748 da Gio. Maria Dallari di Pescarola che, finalmente, riusciva a far decollare l’azienda e conquistava la patente ducale di «Marca Corona». Francesco III, sovrano illuminato che perseguiva con la sua politica la «Felicità pubblica» ebbe come maestro l’importante erudito Ludovico Antonio Muratori, le cui prescrizioni sono riflesse sin dal 1713 nella sua opera Rudimenti di filosofia morale per il principe ereditario di Modena in cui egli teorizza la costituzione di quante più possibili manifatture e la vendita dei loro prodotti, per il sostentamento del Ducato e dei suoi abitanti, ma soprattutto per «promuovere ed accrescere tutte le arti per tutto lo Stato»7; pensiero coincidente con gli assunti coevi di Francesco Milizia, pubblicati da Ferdinando Bologna, per cui «tutte le arti e le scienze si concatenano e si intrecciano fra loro, e concorrono tutte al bene dell’umanità»8, anche la manifattura di Dallari. Nel Museo delle ceramiche artistiche sassolesi sono conservate diverse testimonianze del XVIII secolo, come alcuni vasetti in maiolica Dallari, con decorazioni “alla Rouen” d’ispirazione lodigiana; zuppiere e vassoi in cui si riconosce la mano del pittore sassolese Pietro Lei. Quando la manifattura passò al conte Ferrari Moreni s’introdusse l’uso della terraglia con cui vennero realizzati vasetti, vasi, piatti, vassoi, coppe, tazze, zuppiere e statuette di gusto romantico, con alcune decorazioni chinoiserie e neoclassiche, di chiara ispirazione a quelle

Alfredo Tartarini, disegno per una piattaia, Bologna, MAMbo (foto Andrea Scardova).

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prodotte in Inghilterra dalla manifattura di Wedgwood, all’inizio del terzo quarto del XVIII secolo. Nel 1836 il conte Giovan Francesco Ferrari Moreni rilevava la fabbrica di Dallari, che manteneva una parte detta “Fabbrica della Terra Rossa”, adibita alla sola produzione di «pignaterie». La terraglia della fabbrica del Ferrari Moreni interpretava – nelle forme semplici ma aggraziate e prive di ostentazione, nella bicromia di bianco e azzurro (i colori di Casa d’Este) e nei decori – il gusto dell’aristocrazia borghesizzata (e viceversa) modenese nel corso della Restaurazione austro-estense, particolarmente similare alle «terraglie ad uso inglese» o «mezze porcellane» della manifattura fondata a Bologna dal conte Carlo Filippo Aldrovandi Marescotti nel 1794 e di cui si conserva uno splendido vaso ad anfora di metà XIX secolo presso il Museo Davia Bargellini, proveniente dalla decorazione sepolcrale Benati Ferlini del Chiostro della Certosa di Bologna. Sono casi in cui le forme e le decorazioni delle maioliche convergono stilisticamente con l’arte del periodo: le ceramiche Dallari sono realizzate con brevi curve e controcurve frastagliate, tipiche del barocchetto italiano di metà XVIII secolo e decorate con ghirlande floreali leggiadre, mentre nelle terraglie Ferrari Moreni si afferma, a distanza di qualche decennio, un tardo gusto neoclassico di “fase archeologica”, con la forma delle suppellettili ispirata a quella di originali archeologici e la ripresa di motivi classicheggianti e stilizzati nella decorazione. Nel 1851 la «Fabbrica della Majolica» veniva acquistata dal ceramista Giovanni Maria Rubbiani che proiettava lo stabilimento e la sua produzione sempre più verso l’innovazione industriale e un mercato sempre più largo ed europeo; egli aggiornava il gusto alle nuove istanze stilistiche romantiche ed eclettiche e iniziava a essere presente alle grandi esposizioni internazionali che avevano lo scopo d’incentivare il progresso industriale, presentandone i risultati, e di favorire lo scambio commerciale e di idee, tecniche e gusti. Chiamatela pure come vi pare, come meglio vi garba, industria artistica od arte industriale. Non diminuirà per questo l’importanza artistica ed economica che ormai anche il grosso pubblico attribuisce ai progressi ed allo sviluppo della ceramica. Infatti in nessuna altra industria artistica come nell’“arte del vasaro” il buon gusto nella scelta dei modelli, la perizia nei vari sistemi di lavorazione, vanno come in questa strettamente connesse a quello che si potrebbe chiamare il successo industriale. La ceramica, considerata sia come industria sia come arte va soddisfacendo ogni giorno a nuovi bisogni della vita civile; orna l’esterno dei monumenti e degli edifizi come l’interno delle abitazioni signorili; allieta la mensa del ricco patrizio e del modesto borghese; rivaleggia, sfidando le offese del tempo, i materiali più duraturi; fornisce un’infinità di oggetti che per la leggiadria della forma e il luminoso splendore delle vernici allettano la nostra vista e influiscono, nelle pareti domestiche, sulla serenità dello spirito9.

La significativa testimonianza di Ugo Pesci, sul giornale della Grande Esposizione Emiliana che si tenne a Bologna nel 1888, apre sui termini cronologici del passaggio dalle manifatture alle arti applicate all’industria in territorio emiliano

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romagnolo e, oltre a codificare la stretta relazione tra l’arte e la produzione ceramica, mette in risalto la positiva ricaduta emotiva che le qualità estetiche degli oggetti hanno sugli esseri umani, proprio come per il futuro design. Il giornale dell’Esposizione del 1888 si dimostra rivelatorio sotto altri aspetti. Innanzi tutto rende conto dei rapporti internazionali, europei, della nostra regione sin dall’Esposizione di Parigi del 1878 dove presenziarono i ceramisti Angelo Minghetti, Annibale Ferniani e Farina di Faenza; e rinnovarono la loro presenza anche a Torino nel 1880 e a Milano nel 1881, occasione in cui «ebbero una medaglia d’argento il Rubbiani di Sassuolo (Modena) presentatosi per la prima volta nell’arringo con un gran vaso dipinto a figure, il Marabini di Faenza per i suoi buoni saggi di pittura su maiolica a gran fuoco»10, mentre all’Esposizione Nazionale di Torino del 1884, oltre alla Fabbrica Rubbiani, «fece la sua prima comparsa la Società cooperativa ceramica d’Imola». Inoltre, il collegamento con l’Inghilterra era assai stretto dalla partecipazione di collezionisti importanti e dal vivo e costante interesse che i giornali inglesi dimostrarono per le Esposizioni italiane.

In basso a destra Tovaglia d’altare con pizzo Aemilia Ars, offerta a papa Pio XII, Bologna, fondo Aemilia Ars, Genus Bononiae. In basso Tovaglia decorata con pizzo Aemilia Ars, Bologna, fondo Aemilia Ars, Genus Bononiae.

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Nella seconda metà del XIX secolo si assisteva al consolidamento sociale ed economico della borghesia che aveva acquisito potere proprio grazie allo sviluppo industriale e il suo gusto, a cavallo dell’Unità d’Italia, si rispecchiava nello stile che richiamava i fasti della più importante tradizione culturale del suo passato, per cui il Rinascimento era indicato quale ideale estetico dell’epoca. Tutte le esperienze di questo periodo eclettico hanno come denominatore comune il sistema decorativo derivante dal repertorio rinascimentale, sia che si parli di arredo urbano, sia di ornato, sia di arti decorative. È il momento in cui l’architettura metallica giunge al suo apogeo e la fusione in ghisa si rivelava eccellente per l’arredo urbano o per colonne architettoniche, in quanto la sua duttilità di modellazione la rendeva un materiale adatto alla decorazione. Negli esemplari di arti usuali conservati al Museo della Ghisa di Longiano si ha una campionatura della sintassi ornamentale dell’eclettismo tardo


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ottocentesco che rivestiva il prodotto industriale di valenze estetiche gradite alla società, infatti mai come in questo periodo vi fu tanta letteratura dedicata alla decorazione e all’ornamento11; e non c’è alcuna differenza semantica tra la colonna in ceramica con putti, ghirlande e raffaellesche della Fabbrica Rubbiani a Villa Vigarani di Fiorano e i pali ottocenteschi in ghisa che arredavano piazza Plebiscito a Napoli, ora conservati al museo di Longiano, mentre è evidente lo scarto esistente tra esse e il disegno di Duilio Cambellotti per un palo-sostegno progettato ed eseguito nel 1896 per la fonderia del Pignone, quand’era ancora allievo dei corsi serali del Museo Artistico Industriale di Roma, con un alleggerimento e uno slancio delle linee degli elementi decorativi floreali stilizzati che riflettono l’ormai codificato stile Liberty, sottolineato anche dalla teoria di sinuose danzatrici alla base del palo. D’altra parte il prodotto industriale, ad onta del fine e dei mezzi, non si spoglia interamente dell’intenzione artistica, e considera come sua qualità speciale, integrante la forma, senza la quale non saprebbe esistere; si propone insomma o di attribuire un valore estetico a ciò che arte non è, o di divulgare con fedeltà e coscienza e buon gusto le forme pure dell’arte12.

Alfredo Tartarini, di cui il MAMbo-Museo d’arte Moderna di Bologna conserva un cospicuo fondo di disegni, è stato interprete di questi propositi e protagonista attivo della “gilda” neo medievale e neo rinascimentale di Alfonso Rubbiani a Bologna. Proprio in occasione della suddetta Esposizione Emiliana egli riceveva l’incarico di realizzare il gonfalone dell’Università degli Studi per le celebrazioni dell’VIII Centenario. Nella collezione grafica del museo felsineo sono presenti diversi fogli e taccuini che testimoniano la sua fervorosa attività di disegnatore e ornatista di “arti usuali”, considerato da Rubbiani «il più sapiente architetto dei suoi disegni e il più perspicace trovatore di tecniche per tradurle in cose industriali»13. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, la cultura artistica modernista europea si espande e declina sovrapponendosi a quello stile definito eclettico che riprendeva gli stili del passato, dal Gotico al Barocchetto, passando per il revival del Gotico e del Rinascimento che, in particolare, può essere considerato proto Liberty. Tartarini, insieme a Rubbiani, Edoardo Breviglieri, Achille e Giulio Casanova, Arturo Collamarini, Giuseppe De Col, Giuseppe Romagnoli, Alberto Pasquinelli e Augusto Sezanne, faceva parte della Società per Azioni Aemilia Ars, fondata insieme ad alcuni nobili bolognesi nel 1898 al fine di rinnovare e sviluppare le arti decorative – sulla scorta del movimento Arts & Crafts alla sua prima esibizione pubblica proprio nel 1888 e dei principi di semplicità ruskiniana – e di creare una fucina stilistica in contatto con le principali industrie artigianali del territorio che fornisse disegni e progetti di arti usuali in stile floreale; parallelamente a quanto sarebbe accaduto nel 1903 a Vienna con la nascita della Wiener Werkstätte. Nel 1901 confluiva all’interno di Aemilia Ars l’azienda di ricami e merletti fondata dalla contessa Lina Bianconcini Cavazza e la contessa Carmelita Zucchini,

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«fondendo così la riscoperta di un’antica tecnica rinascimentale di merletto ad ago con la ricerca di nuovi spunti ispirati alla natura […] immediatamente Alfredo Tartarini, Achille Casanova, Alberto Pasquinelli, lo stesso Rubbiani, si cimentarono nella creazione di disegni ispirati a motivi, spesso floreali, per trine e ricami, che saranno poi prodotti da lavoratrici anonime della provincia»14 e a tutt’oggi conservati a Bologna presso il Museo Davia Bargellini, le Collezioni Comunali d’Arte e le Collezioni d’Arte di Genus Bononiae15.

Veduta d’insieme della collezione Vetri d’autore, Pieve di Cento, Pinacoteca Civica (foto Andrea Scardova).

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L’Art Nouveau, ultimo stile del XIX e primo del XX secolo, si affrancava da ogni eclettismo e si presentava con una fisionomia autonoma e originale, ispirata alla natura e al suo organicismo, i cui stilemi sono espressi sia con elementi lineari dinamici, sinusoidali, fluidi, sia con elementi geometrici e simbolici. Nell’arte del vetro Émile Gallé è stato tra i più importanti interpreti del gusto con innovazioni tecniche e formali nella sua produzione a Nancy e di cui si conservano diversi esemplari del 1900 ca. nella collezione di Maria Gioia Tavoni, donata alla Pinacoteca Civica di Pieve di Cento16. Con «le radici nel cuore dei boschi» e ammaliato dall’arte giapponese, Gallé fondava nel 1901 l’École de Nancy, con i fratelli Daum, Louis Majorelle, Eugène Vallin e Victor Prouvé, all’insegna dell’integrazione tra arte, industria e artigianato. La sua produzione era caratterizzata da vetri opachi lavorati con varie tecniche per l’ottenimento del disegno voluto e di particolari sfumature di colore, ma la sua tecnica più raffinata è stata quella


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gravure à l’acide, ossia i vetri incisi a più strati con bagni di acido fluoridico, da cui nasce il suo inconfondibile vetro con effetto a cammeo decorato con stilemi floreali, organici e filamentosi, le cui sinuosità s’ispirano al corpo femminile, colto nella fluidità del movimento che curva lunghi capelli e drappeggi di stoffe; e la cui artisticità di gusto simbolista è affine a quella di Domenico Baccarini nella realizzazione del portaorologio a colonna con fiori modellati e ondina seduta sul culmine (1903 ca.), o del portavaso in maiolica a lustro per le Fabbriche Riunite di Ceramiche di Faenza che, unitamente ad alcuni vasi, sono presenti nelle collezioni del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Ma gli elementi stilistici del Liberty floreale sono riconoscibili anche nella forma delle macchine da caffè a vapore Tipo Extra di Victoria Arduino e Super Eterna della Collezione Caffè Cagliari di Modena, nei mobili Calvet di Antoni Gaudí riediti da Ediciones de Diseño del Museo dell’Arredo Contemporaneo, nonché nella sagoma delle trombe dei grammofoni coevi del Museo Pelagalli di Bologna, che fecero da colonna sonora alla Belle Époque che inaugurava il XX secolo. DALLE ARTI INDUSTRIALI AL DESIGN Contemporaneamente alla creazione dell’astrattismo geometrico di Kazimir Maleviˇ c  e all’espressionismo astratto di Kandinskij, si verificava anche in architettura e nelle arti decorative un analogo mutamento di gusto dalle forme organiche e sinuose dell’Art Nouveau verso partiture, sia strutturali che decorative, sempre più geometriche e lineari. Il primo impulso di geometria nell’arredamento si formò proprio nella nordica Glasgow a opera del cosiddetto gruppo dei “Four”, formato da Charles Rennie Mackintosh ed Herbert MacNair, architetti, e dalle loro mogli, le sorelle Margaret e Frances MacDonald, decoratrici d’interni. I giovani artisti formatisi nella Scuola d’Arte di Glasgow erano ferventi ammiratori dei Glasgow Boys, il sodalizio che sul finire dell’Ottocento aveva imposto la cultura artistica scozzese all’attenzione europea, con uno stile molto affine a quello di Whistler. Cosicché il gruppo capeggiato da Mackintosh finì con l’essere più influenzato dagli ideali dell’Aesthetic Movement che da quelli delle Arts and Crafts17.

La bellezza formale come elemento sostanziale, espressa nella purezza costruttiva e decorativa del Liberty più geometrico, dalla cui costola si sviluppava successivamente l’Art Déco, è manifesta nei mobili di Mackintosh del 1904, ricostruiti e prodotti da Cassina negli anni Settanta, e in quelli di Josef Hoffmann, esemplari prodotti tra il 1905 e il 1909, riediti da Wittmann e conservati al Museo dell’Arredo; e nei vetri della Lötz nel periodo della direzione di Max Ritter von Spaun che, dal 1903 al 1914, collabora saltuariamente con gli artisti della Wiener Werkstätte, nei cristalli di Boemia con decorazioni archeologiche, classiche, della manifattura di Ludwig Moser, e nelle suppellettili di vetro tagliato e cesellato di René Lalique, tutti esempi dei più raffinati connubi estetici tra arte e industria conservati nella collezione Tavoni della Pinacoteca di Pieve di Cento. 43 > ER/DESIGN


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Gabriella D’Amato ha distinto con precisione l’intricato intersecarsi dei «differenti volti del moderno» che si affacciarono all’inizio del XX secolo e i vari aspetti culturali che ne motivarono la nascita. Ai fini del nostro discorso ci interessano le ragioni che provenivano dal mondo dell’arte e precisamente dalle avanguardie figurative. Il cubismo e tutte le tendenze più o meno da esse derivate – futurismo, purismo, neoplasticismo, espressionismo, costruttivismo, ecc. – avevano rifiutato il ruolo dell’arte intesa come “contemplazione” e “rappresentazione” per preferire quello dell’arte come conoscenza, come messaggio indirizzato alle masse, come linguaggio di rottura con la storia e con la natura. Di rimbalzo, le forme dell’architettura avevano abbandonato simmetrie e leggi rette dalla prospettiva rinascimentale, per esprimersi con una nuova sintassi basata sugli equilibri dinamici, sul rifiuto dell’ornamento, sull’accettazione dell’utile e della funzione. Il funzionalismo, peraltro, costituiva l’unica eredità accettabile della storia, incarnando quell’aspetto del razionalismo che, presente in ogni epoca del gusto, può essere considerato sovrastorico18.

Le connessioni stilistiche degli arredi con l’arte coeva sono presenti al Museo dell’Arredo Contemporaneo e rappresentate dagli esemplari “astratto-reali” dei mobili di Gerrit Thomas Rietveld, che nel 1919 si univa al gruppo De Stijl di cui facevano parte Piet Mondrian, Jan Wils e Theo van Doesburg, autori volti a una ricerca di radicale rinnovamento di sintesi delle arti attraverso il rigore geometrico dell’astrattismo e i colori puri applicati a tutte le espressioni visuali, dalla pittura all’arredamento, al cinema; le testimonianze “razional-funzionaliste” di Walter Gropius, con la poltrona F.51 del 1920 prodotta da Tecta, i mobili di Marcel Breuer, tra cui la celebre poltroncina Wassily del 1925 dedicata a Kandinskij

Particolare della Super Eterna a vapore, Società Anonima Watt Pavia, 1925, Modena, Collezione Caffè Cagliari - Museo “Le Macchine da Caffè” (foto Andrea Scardova, 2016).

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e prodotta da Knoll International; e la celebre chaise longue di Le Corbusier mod. LC 4, prodotta da Cassina, ma realizzata per la prima volta nel 1928, a distanza di un triennio dalla sua straordinaria presenza all’Esposizione di Arti Decorative a Parigi con l’Esprit Nouveau modulato dai casiers standard e la pubblicazione del libro Art décoratif d’aujourd’hui. Se la corrente “razional-funzionalista”, che traeva linfa da Ornamento e delitto scritto da Adolf Loos nel 1908, considerava la decorazione come inutile orpello, parallelamente l’Art Déco ne esaltava l’importanza toccando il suo apice di successo all’Esposizione parigina del 1925. «Dalle avanguardie figurative l’Art Déco accolse gli aspetti più accattivanti e superficiali: dai Fauves, i colori accesi e violenti; dal cubismo, la riduzione di immagini e oggetti alla geometria; dal futurismo, l’interesse per le tracce lasciate dai corpi in movimento»19, con un gusto che, però, rimane ascrivibile alla corrente moderna “neo-tradizionalista”, che trae ispirazione da alcuni elementi classicisti del passato e innesta il suo breve ma diffuso sviluppo sugli esempi decorativi, più geometrici e simmetrici, dell’ormai tramontata Art Nouveau. Di deciso gusto déco si trovano alcuni esemplari in vetro nella collezione Tavoni, come le coppe in cristallo di Boemia di Ludwig Moser con bordi decorati a fregio in stile classicheggiante, alcuni vasi in vetro massiccio e costolato di Daum, alcuni di Schneider in vetro poudré e altri in vetro bianco di Orrefors e opalescente di René Lalique. Gli anni Venti del XX secolo furono intervallati dalle Esposizioni biennali internazionali di arte decorativa nella Villa Reale di Monza, alveo di incubazione per la prima esposizione Triennale trasferita nel Palazzo dell’Arte a Milano dal 1930, rilevatore di frequenza delle trasformazioni delle arti che da un primo ordinamento per regioni, che faceva perno su un gusto dialettale indicando «una fiducia nelle risorse locali e nel pittoresco afrore del folclore»20, rivelava sempre più l’affermarsi di un neo-tradizionalismo colto, basato sulla rivisitazione della decorazione classica in tutte le sue sfumature e stagioni, come quello di «redesign» di Gio Ponti e degli artisti afferenti alla corrente artistica Novecento di Marina Sarfatti. In Romagna, Ponti approda inizialmente per la ceramica. E quindi a Faenza. Siamo sul finire degli anni venti e a chiamarlo sono le occasioni offerte dal Museo Internazionale della Ceramica che con i corsi estivi accoglie studiosi, progettisti, artisti e artigiani. I suoi titoli di merito sono già riconosciuti: quanto aveva realizzato per la Richard Ginori di Doccia come direttore artistico era uno stimolo per tutta la produzione ceramica italiana del periodo e un risultato evidente. Nel 1923 fa il suo esordio alla Prima Biennale delle Arti Decorative di Monza e con le successive organizzate alle Triennali di Monza e di Milano Ponti diventa ancor più figura di riferimento: per creatività e potere21.

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Ponti con la sua lucidità sul rapporto tra arte e industria sancisce il definitivo passaggio dalle arti decorative al design nel nome di uno stile italiano, in occasione dell’organizzazione della mostra “Domus. Formes italiennes” (1967) presso le Galeries Lafayette di Parigi: Le ceramiche saranno rappresentate in due modi: a) qualche pezzo d’arte a rappresentare il livello più alto della produzione italiana, b) molte produzioni (servizi da tavola, oggetti di regalo, oggetti per l’ornamento della casa) […] La scelta fatta da noi. Rigorosa a dimostrare il livello della produzione italiana, si rivolgerà a pezzi […] che possano essere comperati a centinaia (realtà culturale), da una produzione organizzata e consistente (realtà produttiva), da un prezzo competitivo (realtà di mercato), da una rispondenza ad una domanda (realtà d’impiego)22.

Alla fine del sesto decennio del Novecento il nuovo concetto di design aveva sostituito, a livello internazionale, la produzione tradizionale delle arti decorative e la produzione di ceramiche, vetri e tessuti era affiancata a quella di mobili, elettrodomestici, auto, motocicli, ecc. «sotto l’ombrello dell’“industrial design”»23. Nel Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza sono conservati alcuni oggetti, come scatole, piattini, ciotole, caffettiere, bottiglie, statuette, urne e piastrelle, a testimonianza della sua raffinata genialità impegnata a “ridisegnare” la modernità attraverso gli inesauribili stilemi tratti dalla decorazione classica greca, etrusca, romana, risalendo sino a quella egizia, riletti con una vena di sottile ironia, fiabesca e onirica, omologa alla coeva arte surrealista. Negli anni Trenta e Quaranta egli si allinea sempre più allo stile razionalista accentuando le sue innate peculiarità di leggerezza e grazia, conservando inalterato il suo

Alcuni grammofoni esposti al Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli di Bologna (foto Andrea Scardova).

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amore per la ceramica, per le sue possibilità artistiche e industriali al contempo, espresse dagli esemplari nati dalla sua collaborazione con Pietro Melandri e Riccardo Gatti, ma soprattutto con Domenico Minganti e Enrico e Gaetano Dal Monte della Cooperativa Ceramica d’Imola, con la quale Ponti iniziò a collaborare sin dal 1946. Nel Museo Storico “G. Bucci” di Cooperativa Ceramica sono presenti numerose testimonianze, artistiche e documentarie, del determinante apporto di Ponti allo sviluppo qualitativo della produzione dell’azienda, anche attraverso la diffusione delle opere tramite le riviste «Domus» e «Stile» da lui dirette. La produzione ceramica di Minganti, sotto la regia di Ponti, si arricchisce di elementi scultorei, piccole plastiche lustrate o rivestite da smalti opachi a grosso spessore che riportano alla cultura domestica di fine Ottocento, ricca di piccoli oggetti che ingentiliscono la casa con la loro «fioritura decorativa»; e l’architetto fu l’inventore, nel 1951, di quelle fortunate «bottiglie animate», bottiglie con un’anima incarnata da giochi ironici, surreali e metafisici: «erano bottiglie trafitte, ingioiellate, mascherate, balene con cassetti nei quali si potevano leggere riferimenti alle fiabe più note, omaggi a De Chirico, Campigli, Morandi»24. Inoltre, Ponti era l’ispiratore dell’originale decorazione per servizi da tavola denominata “Garofano Blu”, mutuata dalle “cineserie” settecentesche e diventata peculiarità esclusiva della Cooperativa imolese, con quel gusto per la decorazione come piacere e ironica metafora, con «figurazioni che uscivano dalla sua fantasia sempre attenta e piena d’imprevisti e azzardi […ove] “il pavimento è un teorema, l’obelisco un enigma, la fontana è una voce”»25. A metà degli anni Settanta, Gio Ponti realizzava i disegni di foglie autunnali stilizzate per i rivestimenti in piastrelle ceramiche Sant’Agostino (MIC a Faenza e Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica a Sassuolo) e in tessuto per Zucchi, con il medesimo intento di creare festosità nell’espace à vivre, inseguendo il sogno di una casa vivente, versatile, silente, che s’adatti continuamente alla versatilità della nostra vita, anzi la incoraggi con cento risorse […] questa immagine non è un miraggio irraggiungibile, e sta in noi sognarla per raggiungerla perché nessuna cosa si è avverata che non fosse dianzi sognata26.

A metà degli anni Settanta, la multiformità del design si esprime con seduzioni pop, new dada, spazialiste e optical, con innovazioni radical e high tech, nonché con affermazioni post moderniste e, nel dialogo serrato che sempre intrattiene con le arti di ogni epoca, trae infine enfasi dall’attestazione dell’arte concettuale e oggettuale. La Casa Museo Remo Brindisi, definita “Museo Alternativo” dal suo ideatore, l’artista e collezionista Remo Brindisi, è stata costruita tra il 1968 e il 1973 su progetto dell’architetto e designer Nanda Vigo e concepita come manifesto di quella riattualizzata concezione culturale di «integrazione delle arti» praticata

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dal Bauhaus che accomunava il pensiero e gli intenti dello stesso Brindisi e della Vigo. Il programma di Brindisi e Vigo era la creazione di un ambiente in cui arte e vita fossero uniti dalle espressioni artistiche della contemporaneità senza soluzione di continuità, di cui gli arredi sono parte integrante e sostanziale come il “salotto nero” o conversation pool, situato al centro della grande sala cilindrica che costituisce il cuore dell’edificio. Per la descrizione di essa è imprescindibile la bella scheda di Laura Ruffoni, in questo volume, di cui si anticipa uno stralcio: Alcuni elementi architettonici, come le vetrate interne e il monumentale corrimano in acciaio della scala elicoidale che collega i piani, sono in realtà opere d’arte di Nanda Vigo, “cronotopi” e “stimolatori di spazio” secondo la sua definizione. Anche alcune sculture sono direttamente innestate nell’architettura, come la scultura cinetica di Carmelo Cappello e gli alberi in metacrilicato di Gino Marotta. In alcuni casi opere di pittura rivestono intere pareti, come i “quadroni” di Remo Brindisi e di Claudio Papola e la “scrittura cancellata per una camera da letto” di Emilio Isgrò che è una vera e propria boiserie. Il design, si diceva, è parte integrante della casa-museo. Lo sono innanzitutto gli arredi di Nanda Vigo che completano il progetto della “camera da letto prototipo”, altrimenti denominata “camera nera”, e il “salotto bianco”. Si tratta di mobili realizzati su misura in alcuni casi, oppure di arredi della serie “Top” progettata da Nanda Vigo nel 1970 per FAI International, della serie “Essential” per Driade del 1973, e la lampada Linea per Arredoluce del 1970. A cavallo tra l’opera d’arte e l’oggetto di design è invece la lampada Diaframma del 1971 di Nanda Vigo. Sono da considerare alla stessa stregua di prototipi-opere d’arte le lampade di Cesare Fiorese, Calos, Bruno di Bello, Bruno Contenotte, la

Ludwig Mies van der Rohe, poltrona Barcelona, 1929, Russi, Museo dell’Arredo Contemporaneo (foto Andrea Scardova, 2014).

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sedia di Riccardo Dalisi, le due poltroncine in metallo e materiale plastico della tavernetta. La sedia di C.R. Mackintosh che si trova nella “camera nera” è probabilmente da riferirsi alla mostra dedicata proprio alle sedie di Mackintosh organizzata alla Triennale di Milano del 1973, presieduta da Remo Brindisi. Produzioni di design industriale sono invece le versioni originali della lampada Parentesi di Pio Manzù e Achille Castiglioni che Remo Brindisi utilizzava nel suo studio per dipingere, della Toio di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, della Eclissi di Vico Magistretti da tavolo, collocata sul comodino accanto al letto dell’artista, e da parete, utilizzata nei bagni, della Cobra di Elio Martinelli che accresce con la propria luce il piano trasparente e luminoso incassato nel bar in muratura della tavernetta. Numerose anche le sedie e i mobiletti di design in plastica di Kartell, Artemide, Longato, B&B Italia, tra cui si ricordano le versioni originali delle sedie in plastica impilabili di Joe Colombo, De Martino, Fois, Falcon e della Dr. Glob di Philippe Starck27.

Ettore Sottsass è stato uno dei più importanti interpreti del Radical design, dell’anti design e del Postmodernismo degli anni Ottanta, con un approccio culturale polimorfo e nomadico che lo ha portato a spaziare, con originalità, in vari ambiti artistici: la Pop Art ispira i suoi armadi e contenitori a fasce di accesi colori, il Radical design è assai presente in alcuni suoi allestimenti, la rivisitazione dell’Art Déco innerva la struttura di alcuni mobili, mentre al Brutalismo si collegano gli arredi per gli uffici e le macchine da scrivere per Olivetti. «Sottsass riesce a tradurre nel campo che studiamo queste e altre esperienze dell’arte contemporanea, ma soprattutto a trattare con ironia anche il più serioso prodotto tecnologico»28; ed esempi della sua feconda produzione sono presenti sia allo CSAC di Parma, di cui Simona Riva traccia storia e consistenza delle collezioni di design nel testo a seguire, al MAR di Ravenna e al Museo dell’Arredo di Russi, dove Sottsass progetta e costruisce un padiglione, a latere del capannone espositivo, di geniale equilibrio tra la sua personale cifra stilistica e suggestioni metafisiche e razionaliste al contempo, in particolare in una fantasiosa rivisitazione dell’Esprit Nouveau di Le Corbusier. Sin dalla metà degli anni Sessanta, Robert Venturi parlava di progettualità postmoderna e ibridazione con elementi del passato, ma è con la Biennale di Venezia del 1980 e la mostra “La presenza del passato”, curata da Paolo Portoghesi, che decolla il Postmodernismo, sviluppandosi nell’interesse molteplice per gli stili antecedenti, dal più remoto sino a un passato prossimo che, nell’avanzare della globalizzazione, assume valori estetici e forme linguistiche trasversali e multietniche. Espressione emblematica di questa tendenza, nel nostro ambito, può essere considerata la mostra “Oggetti del desiderio. Mosaico e design”, realizzata nel 1997 al MAR – Museo d’Arte della Città di Ravenna, che lasciava in eredità alle collezioni del museo diversi pezzi esposti, tra i quali la Stanza aulica: un’opera complessa dello Studio Alchimia che comprendeva un tappeto musivo, una sedia, sei pale autoportanti che formano un paravento, un pannello, Ritratto di Mendini, una scultura, Testa di Guerriero, e un cassettone completamente

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rivestito di tessere vitree, il Mobile aulico. Essa rappresenta una stanza di eccezionale pregio in cui si coniugano l’originalità degli oggetti e il rivestimento prezioso delle superfici musive, in uno squisito equilibrio tra arte, artigianato e design di gusto postmoderno. Nei primi anni Ottanta, la Cooperativa Ceramica d’Imola dava vita al “Centro Internazionale di Studi e Sperimentazione sulla Ceramica”, luogo di ricerca sui rapporti tra arte e industria per promuovere attività di sviluppo sul materiale ceramico; attività il cui obiettivo è stato sin dall’inizio la progettazione di oggetti di tipo artigianale di alta qualità artistica. Remo Brindisi è stato tra i primi artisti di fama internazionale ad aderire all’invito della Cooperativa, realizzando nel 1981 alcuni vasi in maiolica dipinta. Di lì a poco lo seguiva Hsiao Chin che dipingeva segni e ideogrammi su una produzione di servizi da tavola, piatti, grandi pannelli e formelle in maiolica che diventano supporti, superfici bianche o nere, spazi spirituali dove far gocciolare i colori e le pennellate, espressioni della sua poetica astratta ed emozionale. Enrico Baj, Lucio Del Pezzo, Tullio Pericoli, Gianfranco Pardi, Agenore Fabbri, Arnaldo Pomodoro, Aldo Spoldi, Emilio Tadini, Piero Dorazio, Paolo Portoghesi sono alcuni dei grandi artisti che hanno partecipato ad Artecotta, evento in collaborazione con lo studio Marconi di Milano, testimonianza a più voci sul tema ceramico all’interno della quale ogni autore ha accompagnato l’opera realizzata da un testo sulle infinite possibilità della materia ceramica. A metà degli anni Ottanta sono chiamati a collaborare con la Cooperativa Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni (Bertozzi & Casoni) che progettano e realizzano opere d’arte e design come i servizi con protuberanze fitomorfe, i vassoi in terraglia dipinta in cui le spirali decorative assecondano le deformazioni plastiche,

Ugo La Pietra, servizio da scrittoio, 1988 ca., Imola, Museo Storico “G. Bucci” (foto Andrea Scardova).

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innumerevoli manufatti con forme e nomi fantasiosi che, anche nel piccolo oggetto d’uso, ripropongono la loro poetica artistica fondata sull’ironia beffarda e l’allusione simbolica al contenuto. Inoltre, anche Ugo La Pietra e Joe Tilson si cimentano in nuove interpretazioni di arte ceramica degli oggetti d’uso, mantenendo con la Cooperativa Ceramica d’Imola un rapporto fruttuoso e duraturo nel tempo. Tutte le arti, ma in particolare quelle più tipicamente funzionali come la Ceramica, trovano il loro punto di piena fioritura quando un’intera società le alimenta fin dalle radici e rifrange, fino ai suoi strati più larghi e più lontani, alcuni alti e compatti ideali di umanità […] ciò che veramente esiste della Ceramica (come ogni arte viva del resto) è la sua funzionalità significativa, ossia la potenza di vita sociale e di pubblica comunicazione che gli oggetti della sua produzione posseggono o non posseggono29.

La ceramica, che rappresenta a livello planetario le eccellenze artistiche e industriali del territorio dell’Emilia-Romagna sin dalla fine del XVIII secolo, è divisa tra il polo sassolese e quello faentino in collezioni museali che narrano lo sviluppo di questa materia “viva” nel corso dell’età contemporanea sino al presente: sono il Museo delle Ceramiche del Castello di Spezzano di Fiorano Modenese e il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Alla fine degli anni Novanta al Castello di Spezzano è stata creata la Raccolta contemporanea sulla scorta delle Biennali della Ceramica ove, con lungimiranza e finezza critica, s’intersecano senza soluzione di continuità le sezioni di arte, design, ceramiche d’architettura e innovazione tecnologica, documentate con le opere, i progetti, i bozzetti e anche i prototipi. Tra i numerosi oggetti di design presenti, si ricordano i vasi e le alzate postmoderni di Ettore Sottsass, l’organic design, evocativo e sensuale, di Bianco Ghini, Veronica Galletti e Alessio Sarri e l’estetica “golosa” della rossa zuppiera di Enzo Mari, dedicata a Enzo Ferrari. Anche al MIC di Faenza, nel 2011 riconosciuto dall’UNESCO quale «espressione dell’arte ceramica nel mondo» per la presenza di culture ceramiche di ogni tempo e luogo, le collezioni contemporanee sono incrementate grazie al Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea, attivo dagli anni Trenta e significativo momento di riflessione sulla ceramica «sia sotto l’aspetto artistico, decorativo, che quello funzionale e di arredo, con una sezione specifica dedicata al design, permettendo un interessante confronto con l’arte contemporanea e, in particolare, negli ultimi 50 anni, con la scultura. Grazie al Concorso arrivarono (e arrivano ancora oggi) donazioni di opere che arricchiscono le nostre collezioni, come, nello specifico, le opere/prototipi di designer italiani ed internazionali»30, scrive Claudia Casali, in un arco temporale costellato di testimonianze che vanno dagli oggetti di Gio Ponti e Giovanni Gariboldi per Richard Ginori a quelli di Guido Andlovitz, da Angelo Biancini e da Antonia Campi (Neto) per la Società Ceramica Italiana di Laveno Mombello, sino ai più recenti lavori di Ico Parisi, Ambrogio Pozzi, Ettore Sottsass, Matteo Thun, Federico Fabbrini, Roberto Garcia, Rosanna Bianchi Piccoli; e a cui

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si aggiunge una sezione, inaugurata nel 2013, che riguarda i rivestimenti e le piastrelle, dal Medioevo ai giorni nostri, con rilievo internazionale e la cui parte contemporanea annovera decine di migliaia di piastrelle industriali italiane disegnate da autori importanti – Gio Ponti, Gae Aulenti, Marcello Morandini, Ettore Sottsass, Marco Zanuso, Bruno Munari, Paolo Tilche, Antonia Campi, Alessandro Mendini – ponendosi come interessante contraltare al Centro di Documentazione dell’Industria delle Piastrelle di Confindustria Ceramica a Sassuolo. Un altro interessante nucleo, liminale tra design, artigianato e arte che, nello scenario poliedrico e illimitato del design di fine millennio, racchiude in sé aspetti teorici e pragmatici della cultura del progetto validi in ogni tempo, seppur esso sia datato tra il 1957 e il 1991, è la Collezione Danese a Genus Bononiae, di cui Paola Proverbio sottolinea il punto di forza nel rapporto che ha saputo mettere in campo tra design, artigianato e arte: una proficua contaminazione disciplinare il cui esito, già evidente a partire dagli anni Ottanta con l’affacciarsi sulla scena del “nuovo artigianato”, portato all’attenzione da fenomeni trainanti come Alchimia e Memphis (esperienze alla quali la Danese è stata più volte assimilata), si conferma al termine della prima decade del XXI secolo, ora che lo storico controverso rapporto fra arte e industria risulta attenuato […] in parte per l’esclusiva collaborazione con pochissimi designer in un clima di laboratorio sperimentale, in parte per l’importanza data alla dimensione produttiva artigianale in rapporto a quella industrial, in parte per il forte interesse nei confronti di un design influenzato dall’arte31.

Il fondo di design del Museo della Città di Bologna è composto da 164 oggetti prodotti dalla ditta Danese e donati dalla Fondazione Jacqueline Vodoz e Bruno Danese nel 2009 all’istituzione bolognese; in particolare si tratta di lavori di

Scala elicoidale che collega i piani della Casa Museo Remo Brindisi a Lido di Spina.

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Bruno Munari e Enzo Mari, Franco Menguzzo, Angelo Mangiarotti, Kuno Prey e Marco Ferreri, oggetti per la casa e l’ufficio con significati antropologici e di comunicazione per cui la forma estetica non era fine a se stessa, ma strettamente legata alla funzione sin dalla prima idea progettuale e nella costante tensione di ricerca di qualità del prodotto. L’antropologo Clifford Geertz, nella definizione di un denominatore comune a tutte le arti del globo di ogni tempo, afferma che sta nel fatto che certe attività sembrano dovunque intese a dimostrare che le idee sono visibili, udibili e – qui bisogna inventare la parola – tattili, cioè che si possono esprimere in forme dove i sensi, ed attraverso i sensi le emozioni, possono rivolgersi ad esse in modo riflessivo. La varietà dell’espressione artistica deriva dalla varietà di concezioni che hanno gli uomini sul modo in cui le cose si presentano32;

e il design ne è l’espressione principe. Uno dei tanti meriti di Renato De Fusco sulla materia è senz’altro quello di aver delineato con chiarezza il processo unitario dell’industrial design e averlo scandito in quattro momenti: il progetto, la produzione, la vendita e il consumo33, a cui ora diventa inevitabile aggiungere, in seguito alla presente ricerca e ad altre recenti riflessioni avviate in materia34, la conservazione, la valorizzazione e la promozione di esso in ambito museale.

Note 1 Francesco Trabucco, Design (edizione italiana e Kindle), Torino, Bollati Boringhieri, 2015, pos. 3. 2 Renato De Fusco, La forbice di storia e storiografia, in Vanni Pasca, Francesco Trabucco (a cura di), Design: Storia e Storiografia, Atti del I Convegno Internazionale di Studi Storici sul Design, Bologna, Progetto Leonardo, Società Editrice Esculapio, 1995. 3 R. De Fusco, ivi, p. 87. 4 Manlio Brusatin, Arte come design. Storia di due storie, Torino, Einaudi, 2007, pp. 3, 9-10. 5 F. Trabucco, Design cit., pos. 269-270. 6 Ferdinando Bologna, Dalle arti minori all’industrial design. Storia di una ideologia, Napoli, Paparo Edizioni, 2009, pp. 147-148. 7 Claudio Bargelli, Lo stato Estense nei secoli XVII e XVIII: aspetti economici e sociali a Modena capitale, in Gian Luigi Basini, Marco Cattini

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(a cura di), Duecentocinquant’anni di ceramica a Sassuolo 1741-1991, 1, Dalla Manifattura alla “Fabbrica”, Modena, Coptip, 1991, p. 43. 8 Francesco Milizia, Principj di architettura civile, Finale, 1781, III ed. Milano, 1853, p. 3, in F. Bologna, Dalle arti minori all’industrial design cit., p. 147. 9 Ugo Pesci, La Ceramica all’Esposizione, «Bologna Esposizione 1888», Bologna, Editori Successori Monti, 24-25, 1888, pp. 190-191. 10 Ibidem. 11 Claudia Collina, Le radici del bello nell’utile, «Arredo & Città», XIV, 1, 2001, pp. 3-25. 12 F. [G. Fanti?], L’arte industriale, «Bologna Esposizione 1888» cit., p. 202. 13 Lucia Pallaver, Alfredo Tartarini e il Liberty nella scuola bolognese tra ’800 e ’900, Budrio, Stampitalia Litografia, 1998, p. 17.


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14 Ivi, pp. 23-24. 15 Angelo Mazza, Benedetta Basevi, Mirko Nottoli, Sotto il segno di Alfonso Rubbiani: la salvaguardia del passato e le origini delle collezioni della Cassa di Risparmio in Bologna, Bologna, Bononia University Press, 2013.

26 Gio Ponti, Per la vostra casa (1973), in Ugo La Pietra (a cura di), Gio Ponti. L’arte s’innamora dell’industria, Milano, Rizzoli, 2009, p. 385.

16 Mirna Boncina, Vetri d’autore. Una collezione, una donazione, Pieve di Cento, Comune, Tipografia Bagnoli 1920, 2007.

27 Laura Ruffoni, scheda nucleo design nel presente volume.

17 Gabriella D’Amato, Storia dell’arredamento, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 273-274.

28 Renato De Fusco, Storia dell’arredamento, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1985, p. 567.

18 Ivi, p. 300. 19 Ivi, p. 324. 20 Agnolodomenico Pica, Storia della Triennale di Milano 1918-1957, Milano, Edizioni del Milione, 1957. 21 Franco Bertoni, Gio Ponti. “Idee” d’arte e architettura a Imola e in Romagna, Imola, La Mandragora, 2012, p. 16. 22 Gio Ponti, lettera a Giuseppe Liverani, da Milano a Faenza, 26 ottobre 1966 (Archivio MIC, prot. N. 1300), ivi, p. 173.

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25 Ugo La Pietra, La materia ceramica, ivi, p. 41.

29 Dino Formaggio, in Vittorio Fagone, L’arte ceramica tra XX e XXI secolo, in Progetto Ceramica. Le Biennali e la Raccolta Contemporanea, Fiorano Modenese, Comune di Fiorano Modenese, 2004, p.10. 30 Claudia Casali, scheda nucleo design nel presente volume. 31 Paola Proverbio, Danese 1957-1991. Un laboratorio sperimentale per il design, «AIS/Design. Storia e ricerche», 3, 2014. 32 Clifford Geertz, Antropologia interpretativa, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 152.

23 Penny Sparke, L’asino di paglia: kitsch per turisti o proto-design? Artigianato e design in Italia, 1945-1960, «AIS/Design. Storia e ricerche», 3, 2014.

33 Renato De Fusco, Filosofia del design (edizione italiana e Kindle), Torino, Einaudi, 2014, pos. 2091-2098.

24 Domenico Minganti, Un incontro casuale, in Cari amici. Gio Ponti alla Cooperativa Ceramica d’Imola, Castelbolognese, Itacalibri, 2002, p.13.

34 Giovanna Cassese (a cura di), Il futuro del contemporaneo: conservazione e restauro del design, Roma, Gangemi Editore, 2016.


/ L’archivio al centro Dal CSAC a un contesto più ampio

Simona Riva Responsabile Archivi della sezione Progetto del Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma >

ABSTRACT Pensare al museo non come a luogo di consacrazione dell’opera d’arte, ma come a luogo di conservazione, di studio e di esposizione di opere di diversa natura e diversa tipologia ci permette di situare l’Archivio/Museo CSAC dell’Università di Parma nel vasto contesto dei luoghi dedicati alla conservazione del progetto contemporaneo nell’ambito culturale nazionale, riflettendo sulle reciproche relazioni, ma anche sulla particolarità e sulle diverse modalità di intervento dello CSAC stesso. La centralità dell’archivio e le complesse modalità di ricerca e di lavoro interdisciplinari che partono da lì sono il risultato degli studi che hanno attraversato la museografia, l’archivistica e l’arte nel corso del Novecento italiano. In questa direzione che ha come fonte prima gli studi e le ricerche di Arturo Carlo Quintavalle e della scuola dell’Ateneo di Parma, si muoverà questa ricerca; la centralità del progetto, entità di varia natura a cui afferiscono tutte le forme espressive e progettuali, e la ricerca trasversale tra gli archivi permettono di studiare oggi opere differenti in maniera paritetica, restituendo i percorsi artistici del Novecento italiano in tutta la complessità e ampiezza di prospettive che lo hanno contraddistinto in ambito europeo e mondiale. 55 > ER/DESIGN


/ L’archivio al centro

L’ORIGINE DI UN MODELLO1 La storia del CSAC è strettamente legata al dibattito sul museo e sull’archivio nel sistema dell’arte contemporanea, dibattito vivacissimo in Italia negli anni tra il Sessanta e il Settanta del Novecento2 attraverso il quale si definiscono i presupposti metodologici del Centro3. Prende corpo in quel contesto culturale il nucleo iniziale di opere pittoriche e scultoree che vengono esposte e studiate nell’ottica di cogliere il cambiamento negli artisti e vedere nel museo il luogo dell’incontro di una nuova generazione come Concetto Pozzati, Mario Ceroli, Lucio Del Pezzo, Giulio Paolini, Rafael Canogar, Vasco Bendini, Mario Schifano4 con critici come Giulio Carlo Argan, primo Presidente del Centro, Arturo Carlo Quintavalle, insieme a Maurizio Calvesi, Filiberto Menna, Tommaso Trini, Francesco Vincitorio, Corrado Maltese, Achille Bonito Oliva che, insieme ad altri, dal 1978 costituiscono il primo comitato scientifico del CSAC. Pensare al museo dunque non solo come a un luogo di consacrazione dell’opera d’arte, ma come a un luogo di conservazione, di studio e di esposizione di opere di diversa natura e diversa tipologia, ci permette, dopo decenni di dibattito critico in merito, di situare l’Archivio/Museo CSAC nel vasto contesto dei luoghi dedicati alla conservazione del “progetto contemporaneo” in ambito nazionale, riflettendo sulle reciproche relazioni, ma anche sulla particolarità e sulle differenti modalità di intervento del Centro stesso nel contesto nazionale e internazionale. I rapporti del CSAC con altre realtà culturali, italiane e internazionali, partono da molto lontano, sin dagli anni della sua fondazione alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Le prime donazioni di opere di artisti italiani “contemporanei” all’Università di Parma sono avvenute in occasione delle esposizioni

La sede del CSAC presso l’Abbazia di Valserena, in località Paradigna, a pochi chilometri da Parma (foto Andrea Scardova, 2016).

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/ L’archivio al centro

organizzate dal fondatore del Centro, Arturo Carlo Quintavalle, e dalla scuola dell’Istituto di Storia dell’Arte a partire dal 19685, anche se di Centro Studi se ne parlerà solo più tardi. La prime mostre (Pozzati e Dobranski) sono allestite nel Salone Farnese del Palazzo della Pilotta e, successivamente alla ridefinizione del percorso museale all’interno del palazzo farnesiano da parte dell’architetto Guido Canali e del progetto nell’ala dei Contrafforti per gli spazi destinati alla Università, nel Salone delle Scuderie, sede di oltre 100 esposizioni dove il CSAC, formalmente istituito nel 1976, ha presentato le sue collezioni sino all’apertura, nel 2015, di un nuovo percorso espositivo nell’Abbazia di Valserena. Attraverso la Sala Ipogea, la Sala delle Colonne e l’Abbazia cistercense6 un pubblico non solo di studiosi e addetti ai lavori viene guidato attraverso diversi percorsi alla eterogeneità dei materiali conservati nei diversi fondi: dallo schizzo al disegno tecnico, dal prototipo all’oggetto in produzione, dalla documentazione amministrativa inerente il progetto alla corrispondenza. LE MOSTRE NUOVE: I MEDIA In questa direzione che volge al cambiamento di senso dell’opera d’arte all’interno del museo, inteso non più solo come luogo di consacrazione delle eccellenze, ma anche come luogo della conservazione, della ricerca, della critica e della esposizione, quindi del rapporto con il pubblico, vengono progettate al CSAC mostre “nuove”, dedicate a opere “nuove” provenienti da ambiti sino ad allora considerati ai margini dell’arte, dal sistema dei media e della comunicazione quali il fumetto, la satira, la grafica pubblicitaria, l’illustrazione, la fotografia; in questi anni Settanta – scrive Quintavalle rileggendo a posteriori quegli anni di profondo cambiamento nell’arte e nella cultura di massa – sta accadendo qualcosa che non era possibile prevedere, il peso della pittura e dell’arte in genere, al di là della crescita assurda del mercato degli impressionisti e di alcuni, pochi, contemporanei, è sempre minore. Nel dibattito dentro la città l’arte sta ai margini, e così il museo, mentre la moda e il design (e aggiungo per analogia, i media) acquistano a Milano e nelle grandi capitali dell’Occidente, un peso mai avuto prima7.

Dopo tre mostre dedicate a pittori “contemporanei” quali Concetto Pozzati, Edmondo Dobranski e Mario Ceroli, il CSAC si apre a un grande cambiamento già avvenuto nei musei americani e in alcuni musei europei, ma ancora non consueto nei musei italiani e ancor meno negli archivi; le esposizioni degli anni Settanta si concentrano sull’analisi dei mass media e sul rapporto tra parola e immagine: la “Tigre di carta. Viatico alla retorica pubblicitaria” (1970) analizza la pubblicità come mondo dei segni della città; “Nero a strisce. La reazione a fumetti” (1971) il linguaggio del fumetto e del fotoromanzo; “Parola/Immagine” (1971) la parola in rapporto all’immagine nel manifesto dalle collezioni del Museum of Modern Art di New York; “La bella addormentata. Morfologia 57 > ER/DESIGN


/ L’archivio al centro

e struttura del settimanale italiano” (1972) la scrittura delle riviste periodiche; “La tana del lupo. Mostra critica del giocattolo/massa” (1973) l’immagine del giocattolo. Le esposizioni nascono in stretto rapporto con i corsi universitari tenuti da Quintavalle e dai docenti della Facoltà di Magistero dell’Ateneo di Parma, le esposizioni e i cataloghi sono il frutto delle ricerche effettuate dagli studenti coinvolti in corsi e seminari extracurricolari coordinati dai docenti; lo stretto rapporto tra l’archivio e la didattica è una delle particolarità del CSAC; il Centro è strettamente legato sin dalle origini all’Ateneo e al patrimonio pubblico e tutta la sua storia si è svolta e ancora oggi si svolge tra conservazione, ricerca e didattica, è prioritario conservare i materiali secondo le regole dettate dalla legislazione in merito, ma è prioritario conservare innanzitutto la memoria storica di una civiltà, attraverso i documenti. Le esposizioni rappresentano un momento fortemente innovativo per i materiali che espongono, ma anche per le metodologie di ricerca ivi sottese8, tanto che vengono riallestite, con grande successo di pubblico e di critica in altre città italiane; la prima, “La tigre di carta”, viene addirittura recensita da Umberto Eco su «L’Espresso»9. Intanto si comincia a parlare dell’Istituto di Storia dell’Arte, per la prima volta come di un “archivio della comunicazione”, quale luogo della conservazione e documentazione dell’opera contemporanea, basato sul rifiuto di gerarchie di genere, ma neppure di valore tra le opere e per il quale si propone, come metodologia di ricerca ma anche a livello di programmazione manageriale e gestionale, un modello di analisi antropologica nel quale si studiano, nella comparazione e con metodologie di analisi strutturali, opere sino ad allora considerate ai margini dell’arte: dal disegno di moda alla illustrazione, dalla grafica alla fotografia, dal design dell’oggetto al disegno di architettura.

Vetrina dedicata all’inaugurazione del dipartimento del Progetto nel 1980, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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/ L’archivio al centro

IL CENTRO STUDI E MUSEO DELLA FOTOGRAFIA Dopo le prime esposizioni dedicate ai media si arriva, alcuni anni dopo, a conservare, analizzare ed esporre anche la fotografia, in quegli anni al centro di un vivace dibattito sulla serialità dell’opera fotografica e sui generi della fotografia italiana10; il Centro Studi e Museo della Fotografia, come viene denominato in quel momento il Centro, realizza mostre come “New Photography USA” (1971), “Dorothea Lange” (1972), “Farm Security Administration”11 che presentano la fotografia dell’America degli anni Trenta, attraverso le opere documentarie di fotografi e di artisti che, nell’ambito del progetto roosveltiano di documentazione sociologica del paese, propongono un modello di analisi semiotico e antropologico attraverso la fotografia. L’interesse destato da queste esposizioni, provenienti dagli archivi del Museum of Modern Art di New York, aprono l’archivio a nuova generazione di giovani fotografi italiani che iniziano a collaborare con il CSAC a livello artistico e critico e donano le opere fotografiche (stampe, provini, negativi e diapositive) che oggi costituiscono un archivio fondamentale per la storia e la analisi della fotografia italiana del Novecento. Tali mostre, quelle di media e quelle di fotografia, rappresentano un primo momento importante di confronto con altre istituzioni museali internazionali a cui il CSAC fa riferimento già in quei primi anni; dal Museum of Modern Art di New York provengono, unica tappa italiana, la mostra “New Photography USA” (1971) e poi “George Grosz” (1971), “Parola/immagine. Manifesti dal MoMA” (1971), “Dorothea Lange” (1972) e “Lee Freedlander” (1975) introdotte da John Szarkowski, curatore della Sezione Fotografia del museo americano; dalla Library of Congress provengono le fotografie di Dorothea Lange, Walker Evans, Russel Lee, Ben Shan esposte alla mostra “Farm Security Administration” e a “La fotografia sociale del New Deal” (1975); dalla Fondazione Klee di Berna le opere esposte alla mostra “Klee fino al Bauhaus” (1975). Insieme al modello culturale dei musei universitari statunitensi che sono stati il punto di partenza per la iniziale configurazione universitaria del CSAC, i grandi musei americani, come il già citato Museum of Modern Art di New York, hanno rappresentato un importante riferimento per la storia del Centro che a sua volta assume una posizione di rilievo tra gli archivi italiani, pubblici e privati, anche se si configura sempre come archivio universitario, strettamente legato all’Ateneo parmense e alla realtà culturale della città. LA SEZIONE PROGETTO La centralità dell’archivio rispetto al museo, argomento centrale nel dibattito critico di quegli anni12, il modello degli archivi universitari statunitensi, le complesse modalità di ricerca fra le discipline progettuali che costituiscono, ancora oggi, la metodologia di lavoro del Centro, insieme al dibattito che ne è scaturito a livello nazionale in museografia, in archivistica, nell’arte e nella comunicazione, portano il CSAC a iniziare la raccolta e la catalogazione degli archivi di architettura, di design, di grafica e infine di moda. L’apertura del CSAC a tutte 59 > ER/DESIGN


/ L’archivio al centro

le forme di comunicazione e la nascita della sezione Progetto avviene alla fine degli anni Settanta, in un momento di svolta sia per il dibattito sul museo, sia per la natura del CSAC; la sezione Progetto13 conserva in quel momento appena una decina di archivi tra designer e grafici milanesi e si apre al pubblico con la mostra dedicata all’opera e all’archivio di Bruno Munari nel 1979 e il convegno internazionale di studi “Il disegno dell’architettura” nel 1980; la sezione Progetto consta ad oggi di oltre un centinaio di archivi con oltre due milioni di opere tra schizzi, disegni, stampati e copie e altri materiali documentari14. Il convegno, tenuto a Parma il 23 e il 24 ottobre 1980, è inaugurato dal Presidente del CSAC Giulio Carlo Argan e vede la presenza di critici, studiosi e progettisti tra i quali citiamo solo alcuni tra tutti: Manfredo Tafuri, Gillo Dorfles, Vittorio Gregotti, Corrado Maltese, Giovanni Klaus Koenig, Bruno Zevi, Giuseppe Samonà, Gae Aulenti, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, oltre ai progettisti, designer, grafici e architetti di cui già si conservavano gli archivi al Centro15. Il dibattito tra critici e progettisti sull’opportunità di conservare gli archivi di architettura, sul come conservarli e soprattutto sul cosa conservare del progetto, è molto vivace tra critici e progettisti; prevale la proposta della scuola di Parma che intanto raccoglie e scheda per l’archivio la completa documentazione del progetto, senza interventi di selezione dei materiali, schizzi, studi o documentazione, o trasformazione delle modalità di conservazione del materiale negli archivi originari. Questa scelta, dibattuta e ampiamente condivisa da gran parte della critica, permette oggi di ricostruire, con buona approssimazione, oltre alla sostanza del progetto, anche le modalità progettuali adottate e le soluzioni alternative scartate che diversamente sarebbero andate perdute, a scapito di una analisi critica completa del progetto16.

Veduta dell’esposizione presso la sede del Centro di Documentazione, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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/ L’archivio al centro

LE MOSTRE E GLI ARCHIVI DEL DESIGN Alla esposizione monografica dedicata a Bruno Munari seguono le mostre dedicate agli archivi dei designer Alberto Rosselli (1981) e Enzo Mari (1983) che proseguono le ricerche e indicano modelli di interpretazione del design, della grafica e della architettura che vedono in parallelo ricerca artistica e progettuale, unendo le esperienze delle avanguardie artistiche legate all’astrazione a quelle legate alla progettazione partite dal Bauhaus. A causa dell’interesse verso queste ricerche in ambito progettuale e dell’interesse che il “made in Italy” ha suscitato all’estero17 si avviano rilevanti collaborazioni con i più importanti musei europei e americani: curatori, restauratori e responsabili di sezione del Museum of Modern Art di New York, del Centre Pompidou di Parigi frequentano e lavorano in archivio, studiano le opere e analizzano quelle oggetto di prestito per le esposizioni nelle loro sedi. L’attività di prestito di opere continua attivamente anche oggi, sono centinaia le mostre a cui CSAC ha partecipato e collaborato, proponendo, oltre al prestito delle opere conservate nei suoi archivi, anche un modello di lettura critica dell’opera. Nel 1989, in occasione della esposizione dedicata a Marcello Nizzoli, viene pubblicato il catalogo delle opere conservate in archivio nella nuova collana edita dal Centro intitolata “Gli archivi del progetto”; Quintavalle nell’introduzione al catalogo scrive che il volume rappresenta L’impegno… del CSAC per organizzare degli “archivi della memoria” o, se si preferisce, ripensare il passato ma con l’ordine e i modelli dell’oggi. Non pare inutile ripetere che cultura resta fatto globale e che le gerarchie tra “le arti” non dovrebbero avere casa, e tantomeno quelle fra “arte” e “comunicazione” nel mondo di oggi. La collana che si inizia con questo volume, “Gli archivi del progetto”, significa anche la volontà di mettere l’accento sulla processualità della ricerca e, dunque, sul fare piuttosto che sul prodotto finito, sul percorso piuttosto che sulla conclusione dell’opera18.

LA DIDATTICA: CONSULTAZIONE, RICERCA, TIROCINI E STAGE L’ Archivio/Museo CSAC, come oggi viene denominato, è lo spazio più adatto dove sperimentare nuove e differenti modalità di studio, di ricerca e di didattica. Il Consiglio del CSAC è composto interamente da docenti universitari di discipline attinenti, in particolare del Dipartimento di Discipline Umanistiche Sociali e delle Imprese Culturali e del Dipartimento di Ingegneria e Architettura, e dai curatori del Centro; la didattica, a cui la programmazione annuale dedica molta attenzione, ripropone l’analisi del progetto come entità di varia natura a cui afferiscono tutte le forme espressive e progettuali della contemporaneità, e la ricerca trasversale tra gli archivi, possibile proprio in un archivio così strutturato, permettono di studiare oggi opere differenti in maniera paritetica, restituendo i percorsi artistici del Novecento italiano in tutta la complessità e l’ampiezza di prospettive che lo hanno contraddistinto. L’Archivio/Museo afferente all’Università, concentrando in un unico luogo di cultura e formazione “l’archivio”, “il museo” e “l’Università”, è oggi lo spazio ideale dove 61 > ER/DESIGN


/ L’archivio al centro

sperimentare nuove e differenti modalità di studio, di ricerca e di didattica. Sono centinaia gli studenti, i laureandi, i dottorandi e gli studiosi che frequentano il Centro per studiare i materiali originali o che lavorano on line sui medesimi o che collaborano oggi, singolarmente o nei vari gruppi di ricerca, al lavoro. Importante è anche la collaborazione del gruppo di lavoro dedicato alla didattica scolastica di ogni formazione e grado, composto da curatori del Centro e operatori dei Servizi Museali, che si occupano per il CSAC delle viste guidate, dei laboratori e della didattica per le scuole. NUOVE PROSPETTIVE Una nuova generazione di curatori e studiosi, formatasi nel nostro Ateneo negli ultimi dieci anni, lavorano oggi al CSAC, raccolta l’eredità culturale, propongono nuove e differenti proposte che rappresentano possibilità di aggiornamento, di cambiamento e di evoluzione. Tra i progetti più interessanti citiamo il progetto MoRE Museum (Museum of refused and unrealised art project), fondato da Elisabetta Modena e Marco Scotti nel 2012 con la supervisione di Francesca Zanella e altri storici dell’arte, un museo virtuale dell’opera non realizzata che prefigura nuove possibilità di sviluppo dell’archivio tradizionale verso la digitalizzazione, ma anche verso la smaterializzazione del museo per aprire nuove possibilità di fruizione da parte di un pubblico più vasto:

Mario Bellini, calcolatrice Divisumma 18, Olivetti, 1973, modelli di studio non realizzati in diversi materiali, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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un museo nativo digitale in cui si espongono opere, ma anche un archivio digitale in cui si raccolgono ed organizzano documenti. MoRE è una piattaforma a molteplici livelli in cui si confrontano differenti modalità di riflessione sulla contemporaneità: attraverso il dialogo con l’artista, il pensiero critico, l’organizzazione dei documenti, la comunicazione e la indagine sul pubblico un modello di riferimento per il progetto, in quanto riflettono sulla incidenza della dimensione digitale nella trasformazione del museo e dell’archivio19.


/ L’archivio al centro

Sono evidenti nell’articolo qui citato i motivi di contiguità tra il CSAC e il museo virtuale MoRE; gli obiettivi futuri e tangenti di entrambe le strutture potranno sicuramente essere letti in una prospettiva comune, quasi come uno lo sviluppo (o gli sviluppi) dell’altro. L’ARCHIVIO AL CENTRO Gli “archivi di design” oggetto di questa breve analisi e del testo di Mirella Plazzi, sebbene al CSAC siano conservati e catalogati per autore, idealmente sono riuniti in un unicum e materialmente sono in uno stesso luogo per motivi legati alla conservazione e alla consultazione, la sezione Progetto; i singoli archivi devono essere studiati nelle relazioni tra gli insiemi e tra i progetti, anche di generi diversi, e nei rapporti tra gli archivi anche di autori, designer, architetti o urbanisti, nonché nelle interazioni tra le diverse forme artistiche che ne rappresentano il substrato culturale di partenza. Quindi l’archivio è ancora al “centro” del lavoro di ricerca e il museo si deve necessariamente confrontare con esso; per mostrare (nel senso di esporre) una situazione progettuale in continua evoluzione e di cui si può apprezzare la consistenza nella scheda dedicata al CSAC in questo volume. Il modello di Archivio/Museo che il Centro oggi propone, in linea con altre numerose ricerche del settore20, più attuale nella veste espositiva completamente rinnovata che in un futuro ormai molto vicino sarà completata da una nuova struttura che conterrà biblioteche, aule per la didattica, laboratori e sale espositive, è la dimostrazione che il modello culturale da cui ha avuto origine alla fine degli anni Sessanta è ancora un modello critico adeguato per la comprensione, attraverso l’analisi strutturale e antropologica, del “progetto”, di materiali grafici, fotografici, stampati o in futuro forse anche di materiali su supporto informatico che sottendono ogni operazione progettuale, sia essa di design, architettura, grafica o arte. Il CSAC nella sua veste nuova propone oggi lo sviluppo del modello originario, in continuità con le matrici culturali che lo hanno originato, ma vogliamo pensare, più aperto al futuro. Il CSAC, per concludere con le parole con cui Quintavalle ripensa il Centro nel saggio introduttivo dedicato a Nizzoli, primo volume della collana “Gli archivi del progetto”, è nato come archivio della fotografia e poi come grande archivio del progetto, inteso in senso globale, non specificamente architettonico, nel momento in cui dovesse finire (al Centro) la formazione dei giovani, cioè di quella incredibile e felicissima mescolanza di analisi dei problemi storici e di concreta verifica sul campo e dunque sulle opere, il senso e la funzione dello CSAC sarebbero finiti21.

Questa è la prospettiva su cui il CSAC oggi, oltre le singole competenze, pur di qualità, e le singole esperienze che finiscono, sta costruendo, ancora nell’Università, una nuova dimensione. 63 > ER/DESIGN


/ L’archivio al centro

Note 1 Il titolo del paragrafo riprende il titolo del testo di Arturo Carlo Quintavalle nella cartella stampa del CSAC del 1985 (Archivio CSAC).

storia delle ideologie in Italia dal dopoguerra ad oggi, attraverso la lettura delle immagini e la analisi della critica storico/artistica coeva.

2 Si vedano Il pubblico dell’arte, a cura di Egidio Mucci e Pier Luigi Tazzi, con un saggio introduttivo di Giulio Carlo Argan, Firenze, Sansoni, 1982; Arturo Carlo Quintavalle, Il Palazzo dell’arte, Milano, Fabbri, 1988 (si veda anche la vasta bibliografia sull’argomento) dove l’autore fa il punto sul dibattito, analizzando, oltre al CSAC, come modello di museo/archivio, altre realtà italiane e straniere, mettendone in rilevo particolarità, ambiguità e nuove possibilità di sviluppo.

8 Ivi si veda la bibliografia relativa all’indagine semiotica, ai modelli narrativi di derivazione proppiana, alle ricerche antropologiche applicate all’analisi delle immagini, in particolare alle immagini/segno dei mass media, pp. XLIV-XLVI.

3 Si vedano, anche più in generale, John Berger, Questione di sguardi, Milano, Il Saggiatore, 1998; Adalgisa Lugli, Museologia, Milano, Jaca Book, 1992; Lucia Cataldo, Marta Paraventi, Il museo oggi: linee guida per una museologia contemporanea, Milano, U. Hoepli, 2007. 4 Le esposizioni dedicate agli artisti citati sopra sono: “Pozzati 1958-68” del 1968; “Mario Ceroli” del 1969; “Lucio Del Pezzo” del 1970; “Rafael Canogar” del 1971; “Vasco Bendini” del 1973; “Mario Schifano” del 1974; “Giulio Paolini” del 1976. 5 Per meglio comprendere la storia del Centro citiamo la cronologia essenziale: nel 1968 è allestita la prima esposizione; nel 1975 si apre il Centro Studi e Museo della Fotografia; nel 1976 diventa Centro Studi e Archivio della Comunicazione; nel 1979 si apre l’archivio del Progetto; nel 1987 il Centro viene riconosciuto ufficialmente con D.P.R.; nel 2007 si trasferisce nella Abbazia di Valserena a Paradigna. 6 Si veda Francesca Zanella, Davide Colombo (a cura di), Csac! La guida, Milano, All Around Art, 2016. La guida presenta, oltre a una breve storia del centro e cenni storici sull’Abbazia, schede delle sezioni e delle opere esposte in «un’ipotesi espositiva che si rinnova costantemente, avendo come finalità primaria quella di rappresentare attraverso exempla una collezione e un metodo di lavoro», ivi, p. 18. 7 Arturo Carlo Quintavalle, Il Rosso e il nero. Figure e ideologie in Italia. 1945-1980 nelle raccolte del Csac, in Gloria Bianchino, A.C. Quintavalle (a cura di), Il Rosso e il nero. Figure e ideologie in Italia. 1945-1980 nelle raccolte del Csac, catalogo della mostra, Milano, Electa, 1999, pp. XIII-LII. Nella presentazione al volume e alla mostra l’autore chiarisce i termini del dibattito tra arte e nuovi media, ripercorrendo la

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9 Umberto Eco, Mostra Critica della pubblicità, «L’Espresso», 8 marzo 1970. 10 Arturo Carlo Quintavalle, Enciclopedia pratica per fotografare, Milano, Fabbri, 1979-1980. 11 Tutte le esposizioni sono corredate di catalogo delle opere con introduzioni, presentazioni, schede e illustrazioni; molti dei cataloghi sono ancora in vendita nel bookshop dell’Archivio/Museo CSAC (per info www.csacparma.it). 12 Si veda A.C. Quintavalle, Il Palazzo dell’arte cit. 13 Per gli archivi di architettura e design conservati al CSAC, oltre al sito www.csacparma. it, si veda anche: Annunziata Robetti (a cura di), Archivi di architettura del Novecento in Emilia Romagna, Bologna, IBC, 2004, pp. 89-130. 14 Per comprendere le ragioni e le idee da cui è nato il CSAC si veda Arturo Carlo Quintavalle, CSAC quarant’anni: l’archivio del Novecento, in A.C. Quintavalle, Gloria Bianchino (a cura di), NOVE100. Arte, fotografia, architettura, moda, design, catalogo della mostra, Milano, Skira, 2010, pp. 15-55. Il saggio analizza il dibattito critico relativo all’archivio insieme ai dati essenziali della storia del Centro. I titoli dei paragrafi introducono le tematiche affrontate. Le tre sedi dello CSAC; Idee; La crisi del museo?; Geografie del museo in Italia e Europa; Archivio o museo?; Le mostre come una storia; Design e moda come progetto delle spazio e del corpo; Dagli anni ottanta gli archivi della pittura; Mostre, quale modello?; Le matrici dello CSAC e la critica d’arte in Italia. Si veda anche G. Bianchino, Perché archivio e non museo. Il Csac dell’Università di Parma, in Monica Bruzzone, I Musei. I luoghi dell’esporre e del conservare, Parma, MUP, 2009, pp. 41-46. 15 Si veda Gloria Bianchino (a cura di), Il disegno dell’architettura, Atti del convegno, 23-24 ottobre 1980, Parma, Università degli Studi Parma, CSAC, 1983.


/ L’archivio al centro

16 Il dibattito sulla conservazione degli archivi di architettura e le complesse problematiche relative alla conservazione e al restauro dei materiali sono da quel momento oggetto di indagine da parte degli archivi universitari di architettura (come Iuav e Politecnico), di associazioni di archivi (come AAA Italia), delle Soprintendenze e del MIUR. Si veda Metodologie di riordino per gli archivi di architettura, Atti del Seminario di Studio, Milano, Triennale, 7 ottobre 2004, Milano, C.A.S.V.A., 2005, in particolare Mariapia Branchi, Il Csac. La catalogazione come percorso di ricerca, pp. 15-17; Margherita Guccione, Erilde Terenzoni (a cura di), Documentare il contemporaneo. Gli archivi degli architetti, Atti della Giornata di studio, 19 aprile 2002, Roma, Gangemi editore, 2002. 17 Si veda Emilio Ambasz (a cura di), Italy: The New Domestic Landscape, catalogo della mostra, Museum of Modern Art, New York, 1972. L’esposizione presenta, oltre alle opere dei maestri del design italiano della seconda metà del Novecento, le opere dei movimenti d’avanguardia; rappresenta un momento di

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riflessione critica importante, ma anche una occasione di promozione del prodotto italiano all’estero. 18 Arturo Carlo Quintavalle, Gli archivi del progetto, in Marcello Nizzoli, catalogo della mostra, Milano, Electa, 1989, p. 6 n.n. 19 Francesca Zanella, Digital archives. Alcune note, «Ricerche di S/Confine», Dossier 3, 2014, p. 32. 20 Si vedano Stefania Zuliani, Là dove le cose cominciano. Archivi e musei del tempo presente, pp. 81-89 e Marina Pugliese, Una proposta per l’arte contemporanea: il Museo dei Progetti, «Ricerche di S/Confine», Dossier 3, 2014, pp. 41-44 e il più recente, per ampiezza di riferimenti e completezza bibliografica, Cristina Baldacci, Archivi impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea, Monza, Johan&Levi editore, 2016. 21 A.C. Quintavalle, Gli archivi del progetto cit. p. 9 n.n.


/ La salvaguardia del design come patrimonio materiale e immateriale

Giovanna Cassese Docente di Storia dell’arte contemporanea e di Problematiche di conservazione dell’arte contemporanea, Accademia di Belle arti di Napoli Presidente Istituto Superiore Industrie Artistiche, Design e Comunicazione Faenza >

ABSTRACT Il contributo fa il punto sulle questioni connesse alla salvaguardia del design quale grande testimonianza di civiltà e tassello insostituibile per tramandare la weltanschauung del XX secolo. Si mettono in luce le problematiche specifiche di conservazione del design, grande patrimonio di know-how e oggetti, icone della nostra contemporaneità, da trasmettere al futuro quali simboli di un’epoca e testimonianza di civiltà. Partendo dalla complessa definizione di design si analizzano le sue interconnessioni con arte, architettura, artigianato e industria e si affronta il tema della sua fragilità. Vengono poi identificate alcune priorità: dalla mappatura delle raccolte di design alla specifiche problematiche di conservazione e restauro, alla formazione dei restauratori. Viene inoltre affrontato il tema delle nuove frontiere: bioplastiche e restauro sostenibile, ovvero l’attenzione alle tematiche ambientali da parte di designer e conservatori e alle ricerche sperimentali. 66 > ER/DESIGN


/ La salvaguardia del design come patrimonio materiale e immateriale

PROGETTO, OGGETTO, DESTINO: LA SFIDA DEL FUTURO L’anima profonda della modernità è nei suoi oggetti, anche se questi hanno sempre rappresentato e simboleggiato il vivere e le relazioni umane, in età contemporanea ancor più con le loro stratificazioni di senso costituiscono il panorama feriale del vivere, l’orizzonte e la scena nella quale ci muoviamo. Ma nell’epoca della “complessità”1 e dell’arte espansa, per dirla con Edgar Morin e Mario Perniola2, nonché della “società liquida”, secondo le intriganti definizioni di Bauman3, è sempre più urgente interrogarci sul destino degli oggetti4 e raccogliere la sfida affascinante della loro sopravvivenza. Le chiare parole di Remo Bodei in un libro esemplare quale La vita delle cose sembrano un buon viatico per cominciare a delimitare i confini della questione relativa alla conservazione e al restauro del design. La brevità della vita e la casualità del nascere, che racchiudono ciascuno di noi in un tempo e in uno spazio limitati, ci consentono di venire a contatto solo con un certo numero di cose. La decisione di conoscere e avere cura di alcune, senza precludersi la comprensione delle altre, implica non solo un atteggiamento di costante attenzione al mondo e alle persone, una volontà di sapere e un desiderio di “amare”, ma anche un ethos e perfino una presa di posizione politica per contribuire a fare una res pubblica della società toccataci in sorte5. Jukebox della collezione del Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli di Bologna (foto Andrea Scardova).

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L’interrogativo filosofico, ma anche etico e storico, investe proprio la questione del futuro del contemporaneo6, ovvero della conservazione del design, tema a cui si è dedicato un recente convegno internazionale curato da chi scrive per la


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Fondazione Plart a Napoli. Lo sguardo dello storico, dello storico dell’arte e del conservatore legge sicuramente nelle cose, oltre il loro valore estetico e di cultura materiale, il loro essere indubitabilmente testimonianza di civiltà: dai crateri dell’antica Grecia ai preziosi vetri di età romana, dai cassoni del Rinascimento alle suppellettili in maiolica del Settecento, dagli oggetti anonimi della vita feriale di ogni età fino agli oggetti di design dei nostri tempi è chiara l’esigenza di tramandare al futuro la memoria delle “cose” che segnano e contraddistinguono il vivere quotidiano, la memoria materiale e immateriale, del singolo oggetto e più in generale del progetto etico, estetico e civile sotteso. E se per il passato nessuno mette in dubbio la necessità di conservare le arti decorative e comunque quegli elementi della cultura materiale che hanno caratterizzato un’epoca, nel presente è davvero recente la coscienza della fragilità del design e la conseguente consapevolezza della necessità di tramandare il nostro contemporaneo al futuro, cogliendone l’affascinante sfida nei suoi molteplici risvolti. È proprio in questo medesimo quadro che oggi si inscrive la pioneristica e preziosa ricerca dell’Istituto Beni Culturali ideata e curata da Claudia Collina sul censimento a tappeto del design in Emilia-Romagna nelle sue declinazioni7 e che speriamo sia di apripista in Italia, come già altre volte è successo per suoi rilevanti studi8. DESIGN: UNA DEFINIZIONE COMPLESSA E IN CONTINUA EVOLUZIONE La storia del design è sicuramente storia recente, tanto più per l’Italia, ma carica di sensi9. Il design stesso è disciplina plurale e recentissima ma è sicuramente uno dei più grandi fenomeni culturali e socio-economici complessi e uno dei più affascinanti dell’età contemporanea. Anzi si può quasi seguirne anche etimologicamente la storia e la parabola dal XIX al XXI secolo da arti decorative ad arti industriali, da industrial design a design tout court10. Dunque la parola stessa che definisce l’ampio ambito muta velocemente per tradurre i cambiamenti stessi della disciplina. Fu già Renato De Fusco che individuò i quattro aspetti più specifici e interagenti di ogni oggetto: la progettazione, la produzione, il consumo e la vendita11. Oggi siamo certi che a questi vada riservata anche un’attenzione specifica per la sua salvaguardia. Nato in rapporto con il Razionalismo e il Funzionalismo in Italia, il design si diffuse con il secondo dopoguerra e il boom economico: nel giro di un decennio, praticamente dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta, sorsero tante industrie per realizzare oggetti progettati per essere prodotti in serie: si trattò di molti mobili e poi di tutta una serie di oggetti d’uso, come le lampade, i primi oggetti elettronici, radio, televisori, o, in un campo completamente diverso, i primi motocicli, le prime lambrette e le prime vespe e naturalmente le automobili e quindi gli elettrodomestici, che modificarono per sempre la vita quotidiana, specie quello delle donne. Nacquero in quell’età oggetti nuovi, che sono le icone del moderno e simboli di un’epoca. E l’Italia immediatamente si distinse nel mondo per questo nuovo progetto di bellezza, come si accorsero prestissimo non solo i mercati internazionali, ma anche i musei americani se si pensa, ad esempio, alla pioneristica mostra del MoMA a New York realizzata dal giovane architetto argentino Emilio Ambasz 68 > ER/DESIGN


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come curatore del Dipartimento di Architettura e Design del Museo che sanciva e santificava il successo del design radicale a New York con la memorabile mostra “Italy: The New Domestic Landscape”12. Oggi la definizione di design è sicuramente sfumata, blur, complessa e comprende anche parte di quella legata alla cultura materiale, ma non solo. Delimitare la questione pone sempre più interrogativi e apre a riflessioni che implicano molte discipline: “Che cos’è il design? Come funziona il linguaggio degli oggetti di cui ci circondiamo? Quali relazioni lo legano alla moda, al lusso, alla pubblicità, all’arte, all’industria, alla nostra storia personale e collettiva? Chi è veramente il designer: è un artista o un professionista? In tutte le sue manifestazioni, il design è il DNA delle nostre società13. Se vogliamo capire la natura del mondo moderno, è questo il codice che dobbiamo esplorare. Il libro bianco del MiBACT del 2007 distingue tre categorie di design che concorrono tutte all’elaborazione di un “sistema-prodotto” e sono sempre più indissolubilmente collegate: • design di prodotto, che comprende la concezione del prodotto, sia esso di carattere industriale o artigianale; • design di comunicazione, che comprende i designer grafici che lavorano alla presentazione grafica di prodotti e documenti, compresi i multimedia, il web design e coloro che curano la veste editoriale del prodotto nelle riviste specializzate e in quelle di più larga diffusione; • design di servizi, che comprende l’attività di consulenza dell’arredatore di interni (interior design), del progettista di esterni (environmental design), di eventi ed esibizioni che costituiscono l’anello terminale di questo sistema produttivo determinante. Tutte queste categorie partecipano a quello che, più in generale, è il ruolo del

Marcello Nizzoli, macchina da scrivere Diaspron 82 per Olivetti, 1959, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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designer: un integratore di competenze. Secondo la definizione generale dell’ADI (l’Associazione per il Disegno Industriale, nata in Italia nel 1956), «il design è un sistema che mette in rapporto la produzione con gli utenti occupandosi di ricerca, di innovazione e di ingegnerizzazione, per dare funzionalità, valore sociale, significato culturale ai beni e servizi distribuiti sul mercato»14. Negli ultimi decenni il panorama è cambiato profondamente in rapporto con le teorie e le poetiche del Postmoderno e oggi, infine, è riduttiva la visione di un design fondato sul binomio forma/funzione, poiché sono sempre più complessi il panorama del design e la sua definizione. Attualmente per design non si intende solo la produzione di oggetti in serie o solo pezzi unici, ma si sperimentano tecniche e tecnologie sempre nuove nello stesso modo che nelle altre arti, in sintonia con gli sviluppi della tecnologia ma anche delle bioscienze. È dunque assolutamente riduttivo parlare di industrial design e sembra quasi che design possa essere una sorta di parola atta a comprendere la complessità del contemporaneo. La sua estensione semantica per alcuni aspetti è quasi preoccupante15, poiché spesso le mode non giovano. Sono cambiati la produzione, il mercato e la stessa percezione del mondo del design, così come si sta rapidamente trasformando il mondo della formazione. Già da alcuni anni galleristi addirittura commissionano direttamente ai designer alcuni pezzi, con le stesse modalità del mercato dell’arte, e da una parte si è innescata una sorta di “artificazione” del design come momento di produzione d’élite, mentre continua con tecnologie sempre più avanzate la produzione di design anonimo e di massa che modifica continuamente il panorama del quotidiano, o le produzioni. Abbiamo così vere collezioni di pezzi unici. Ma il design permea ogni aspetto del nostro vivere. Il panorama dei primi lustri di questo secolo è molto vario e articolato, strettamente connesso alla rete ed è vivace, multiforme e “mobile” (sono molti i giovani designer italiani tra l’altro che operano all’estero, per esempio)16. Oggi più che mai il design è cultura: noi ci circondiamo di oggetti materiali e immateriali che testimoniano la nostra cultura. Che ci parlano e parlano agli altri. Nelle sedie, nelle lampade, negli strumenti e degli spremiagrumi che abbiamo in casa noi oggi non cerchiamo solo funzioni che rispondono ad esigenze fisiche e materiali, cerchiamo anche qualcos’altro: narrazioni, storia, emozioni e valori da condividere, cortocircuiti di senso e poesia. La capacità di generare senso è il centro l’innovazione: oggi il pensiero convenzionale è superato dalla visione. Ed è pensiero incentrato sul futuro, pensiero che influenza la vita delle persone. E allora il design è anche etica, pensiero a lungo termine per via delle possibili conseguenze. Oggi più che mai quello del design è un tema umanistico con forti implicazioni etiche17.

Ma è design anche il sempre più vasto mondo dell’immagine del visual design, della grafica, dell’immateriale cioè. E questo apre un campo ancora più grande di riflessioni anche per quanto concerne la sua trasmissione al futuro poiché è ancora più impermanente e in pericolo.

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UN PATRIMONIO DA SALVAGUARDARE Il design, comunque, oggi è un’eccellenza – internazionale e precipuamente dell’identità italiana – da tutelare, poiché estremamente fragile e a rischio di scomparsa per più motivi. Vanno messe in campo strategie complesse di salvaguardia che, come vedremo, coinvolgono istituzioni diverse e su più piani. Il made in Italy18 che ci ha reso famosi in tutto il mondo nel corso del XX secolo non è poi un primato così scontato e va aperta una riflessione profonda sul nostro patrimonio di design e di know-how, soprattutto al tempo della crisi19 e nel panorama ormai mondiale nel quale ci muoviamo. È evidente che alcune icone del design italiano siano entrate nella coscienza collettiva a livello internazionale, dalla mitica Vespa alla macchina da scrivere Lettera 22, dall’appendiabiti Shangai al lume Tizio all’iconico appendiabiti-scultura Cactus20. Il design e specie quello italiano, parte della più generale tradizione del made in Italy, è oggi un patrimonio nazionale e transnazionale identitario, molto più di quanto non si creda. Patrimonio di cose e di oggetti ma anche grande patrimonio di knowhow e di beni immateriali, nonché di usi e costumi. Innanzitutto va promossa e salvaguardata la cultura del design prima di ogni intervento sulle singole “cose” da tramandare! Scrive Maurizio Vitta: Da quando nel 1851 la Great Exhibition di Londra raccolse per la prima volta, sotto le modernissime volte in vetro e ferro del Crystal Palace, i “prodotti dell’industria di tutte le nazioni”, la sterminata famiglia degli oggetti d’uso è entrata nella storia della nostra cultura, reclamando un progetto formale – il design – che ha finito col dare vita a un campo culturale strutturato21.

Ettore Sottsass, specchio Ultrafragola disegnato per Poltronova, 1970, Russi, Museo dell’Arredo Contemporaneo (foto Andrea Scardova, 2014).

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Gli oggetti d’uso quotidiani, quelli feriali che costituiscono l’habitat stesso, i riferimenti, i riti, i simboli, i feticci della nostra vita quotidiana sono sempre esistiti. Ma se prima le cosiddette arti decorative o minori erano frutto di pratiche artigianali e anche artistiche legate ai saperi della mano, nella parola design, o ancor meglio industrial design, si sottende un oggetto progettato e poi prodotto in serie. È proprio il valore della “bellezza” caratteristico del design: l’utopia che si sarebbe potuta portare bellezza in tutte le case e per tutte le tasche attraverso il design. L’oggetto di design è in ogni caso la sintesi, il sottile o precario equilibrio raggiunto fra le componenti artistiche e quelle tecniche del progetto, tra creatività e tecnologia, tra etica e ragioni del mercato. Un oggetto riuscito trova la sintonia tra i vari fattori. Il panorama oggi include molte più sfaccettature e gli oggetti ci parlano. Deyan Sudjic, ad esempio, ci invita ad apprendere questo linguaggio degli oggetti e le emozioni che ci suggeriscono22. “Emozione” è una delle parole chiave per il mondo del design. Come ricorda Norman le concezioni precedenti del design, tutte impostate sulla funzionalità e sull’usabilità, erano limitate e limitative: non si può non tenere conto del piacere che gli oggetti ci procurano o meno, specie per gli oggetti che usiamo quotidianamente e che scegliamo anche per le sensazioni che ci danno23. Questi oggetti carichi di senso, questi oggetti che hanno un “cuore” vanno conservati e preservati a futura memoria del nostro contemporaneo. I cavatappi, le caffettiere, i giocattoli, le automobili o le vasche da bagno non possono non interpretare i desideri delle persone che con i loro sentimenti contribuiscono a far diventare le cose quello che sono. Per renderci consapevoli del fatto che «un tostapane – per dirla con Norman – racconta molto più di quanto pensiamo sul nostro mondo e sul nostro stile di vita». Il pericolo è l’incorrere in una valanga estetizzante e anestetizzante di design. Hal Foster in Design & Crime si è opposto a questa indiscriminata orgia e, ispirandosi a Ornamento e delitto, libro con il quale Adolf Loos attaccava all’inizio del Novecento la diffusione indiscriminata dell’ornamento, denuncia la tendenza della nostra società a “confezionare” ogni cosa: Il design è inflazionato al punto che l’involucro rimpiazza del tutto il prodotto. Che l’oggetto del design sia la giovane arte inglese o un candidato alle elezioni presidenziali, “la propria marca”, la trasformazione in logo di un nome-prodotto per un pubblico in deficit di attenzione, è fondamentale per molte sfere della società, compreso il design24.

È invece grazie all’integrazione tra progetto e ricerca scientifica che si potranno aprire nuove opportunità per il design e per i designer che hanno cambiato profondamente il loro ruolo. Da creatori di forme a traduttori di senso e ideatori di nuovi scenari e di progetti di nuovi mondi. Finita la dicotomia del moderno tra avanguardia e tradizione, è caduto il sogno della tecnologia invincibile e lo stesso mito della plastica celebrato da Roland Barthes25 come materiale popolare, versatile, duttile, leggero, policromo e «indistruttibile», il sogno a buon mercato di progresso e bellezza diffusa, si è mostrato in tutta la sua fragilità26. È chiaro che in prima istanza ci riferiamo al design soprattutto come mondo di oggetti

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materiali, dal furniture al complemento d’arredo. E sono questi oggetti che si possono conservare, esporre, manutenere e anche restaurare. Negli ultimi anni sta aumentando anche la necessità di conservazione del design come bene immateriale poiché vi è «tutta una serie di declinazioni immateriali che includono la rete come spazio comunicativo ed espositivo. La rete determina interconnessioni planetarie offrendo un caleidoscopio di possibilità inimmaginabili fino a pochi anni fa»27. Anche tutto questo design deve essere studiato, schedato e conservato e si stanno mettendo in campo nuove strategie, anche museali, assolutamente innovative rispetto alla relazione tra design e cultural heritage anche nei suoi aspetti immateriali28. LA CONSERVAZIONE E IL RESTAURO DEL DESIGN: LE TEMATICHE NODALI In un’era in cui la questione centrale è certamente quella dell’ecocompatibilità e di uno sviluppo sostenibile, pena la fine della nostra stessa vita, dalla cultura dell’“usa e getta” si sta raggiungendo una nuova consapevolezza nell’ambito della cultura del progetto, ma anche una nuova coscienza della conservazione delle testimonianze della vita e degli anni appena trascorsi perché «è necessario lasciar tracce»29. La vera questione è anche saper scegliere cosa e come conservare. Mai come oggi il design è consapevolezza e pensiero critico oltre che competenze e capacità, proprio come il restauro che di fatto è tale perché è un “atto critico”. Bisogna infatti rispondere a domande essenziali, non tanto sul perché restaurare il design, quanto soprattutto su quali oggetti di design restaurare e assumerci la grande responsabilità della loro trasmissione al futuro. Per quel che concerne gli oggetti spesso i materiali scelti dai designer d’avanguardia (anni Sessanta e Settanta del Novecento) non si sono rivelati duraturi.

Cesare Leonardi, Franca Stagi, poltrona Nastro, design Cesare Leonardi 1957, produzione 1961. Resina poliestere rinforzata e sostegno in tubo di acciaio cromato. Lido di Spina, Casa Museo Remo Brindisi (foto Andrea Scardova, 2014).

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Anche le tecniche di produzione (spesso ancora in bilico tra procedimenti artigianali e industriali) hanno contribuito all’impermanenza delle cose. Il fascino della novità negli anni del moderno e nell’era della plastica – oggi definitivamente superata – portava a credeva quasi ciecamente in una sorta di immortalità di questo materiale come di molti materiali industriali. Purtroppo lo scorrere dei lustri ha mostrato presto la caducità di questa convinzione tanto che oggetti che hanno fatto la storia della nostra vita, veri simboli di un’epoca, rischiano di sparire. Il tema della conservazione del design è una disciplina recentissima, nata a anche a seguito di problematiche riscontrate nelle nascenti collezioni museali dedicate al design in Europa e in Italia, ma non solo, poiché esistono molte collezioni private e fondazioni che si trovano a dover risolvere i medesimi problemi. Si inscrive nel più ampio panorama delle problematiche connesse alla conservazione e al restauro dell’arte contemporanea, anch’essa ancora giovane ma particolarmente diffusa e fortunata anche in Italia dall’ultimo decennio del XX secolo. Eppure, pur condividendo alcune caratteristiche tipiche dell’arte contemporanea a cominciare dalla varietà dei materiali e delle tecniche e spesso dalla loro grande fragilità e caducità, la specifica conservazione del design di prodotto non può appiattirsi nel restauro dell’arte contemporanea, né si esaurisce in esso poiché il design, l’oggetto, impone risposte specifiche collegate alla sua stessa natura: gli oggetti di design nascono con una funzione e non solo chiaramente quelli seriali, ma anche i cosiddetti “pezzi unici” o i tanto diffusi “multipli” degli anni Settanta30, quelli che più si avvicinerebbero alle opere d’arte31. Ciò impone riflessioni connesse alla destinazione d’uso, alla rifunzionalizzazione anche e soprattutto nel momento della conservazione. È certo che design e restauro sono due eccellenze tutte italiane che devono coniugarsi ed è chiaro che la conservazione del design si possa declinare in diversi ambiti poiché si passerà dall’esigenza di conservare il design d’autore, magari il pezzo unico o l’icona particolarmente fortunata, alla necessità di conservare oggetti anonimi, seriali, nemmeno dotati di chissà quali caratteristiche estetiche o fattuali, ma in ogni caso riconosciuti quali importanti testimonianze di civiltà, o cose care, importanti per la sfera affettiva dei singoli. Il made in Italy ha fatto la nostra fortuna nel mondo e valorizzare la cultura materiale italiana anche attraverso una sana idea di conservazione e restauro come segno italiano d’eccellenza è sicuramente utile a rafforzare la reputazione internazionale del design italiano. È necessario salvaguardare non solo l’oggetto, ma anche il progetto e qui si apre la questione della documentazione e degli archivi, quelli delle industrie e dei progettisti, nonché della conservazione dei prototipi32. Oggi è fondamentale disegnare confini e slittamenti della questione, valutando i risultati della ricerca in Italia e all’estero33, specificare cosa cambia rispetto ai canoni del restauro tradizionale delle opere d’arte e delle opere d’arte contemporanea in particolare, presentare un panorama delle scelte curatoriali e della storia anche recentissima di alcuni grandi musei di design in Europa che sono soprattutto il riflesso in relazione ai temi della conservazione. La letteratura

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già presenta casi studio specifici. È necessario mettere in luce e anzi favorire esperienze di conservazione connesse alle istituzioni di formazione nell’ambito del restauro, poiché oggi anche il design a pieno titolo è materia utilissima per una didattica del restauro del contemporaneo. È poi importante sensibilizzare gli stessi protagonisti rispetto al tema della durabilità e dare la parola ad alcuni autori quali testimonianze ineludibili per comprendere fino in fondo la questione del “tempo delle cose” sottesa a ogni progettazione. Se dunque il design è un bene prezioso per la nostra epoca, testimonianza di civiltà e comunque tessuto connettivo del nostro vivere andrà anche conservato per il suo valore fattuale e per il suo valore simbolico, attivando il confronto attraverso una rete di scambi con realtà nazionali e internazionali impegnate per mission in questo settore.

Andrea Branzi, Individuazione di quanti di attrezzature per il tempo libero nel Comune di Prato, 1966. Modello del progetto di tesi di Laurea, Facoltà di Architettura di Firenze. Plastico ricostruito da Branzi nel 2007. Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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OLTRE IL CONFINE: TRA DESIGN, ARTIGIANATO, ARTE CONTEMPORANEA, ARCHITETTURA Sullo sfondo della progressiva dissoluzione dei confini – un tempo definiti, oggi sempre più in discussione – tra arti, design e architettura e l’annullamento delle loro autonomie disciplinari registriamo le ripercussioni profonde su quelle che erano le specificità dei rispettivi ambiti: si è rivoluzionato il modo di operare all’interno di quei territori da sempre “di confine”, ascrivibili all’esporre, al mostrare, all’allestire. Più volte ci si è chiesti, specie negli ultimi anni, quale sia e se addi-


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rittura esista il confine tra arte contemporanea e design, soprattutto a seguito della diffusione del Postmoderno. In realtà il design ha avuto sempre rapporti con l’architettura e con l’arte: oggi sono cambiate le modalità e si registrano compresenze di stili e processi in un «pluralismo di ricerche»34, una contaminazione che ci impone nuovi sguardi e nuove definizioni. Il design cambia ormai in maniera molto rapida proprio come l’arte contemporanea, il suo statuto disciplinare è sempre più complesso e articolato e ha mille volti e sfaccettature proprio quante l’arte contemporanea. Con quest’ultima condivide comunque alcune caratteristiche in realtà da sempre (si pensi al rapporto tra pittura, scultura, architettura e arti decorative nei secoli), ma tanto più dal XX secolo in poi35. In realtà il rapporto tra arte e design è una storia antica e ha a che vedere con la sinestesia e la sintesi delle arti. Inoltre negli ultimi decenni il processo di smaterializzazione ha investito sia l’arte che il design. Ai nostri giorni un’analisi continua dei mutamenti in atto impone riflessioni su poetiche, estetiche, tecniche e materiali. Non tanto un movimento codificato, quanto piuttosto un costante slittamento di pratiche e tendenze, il rapporto arte e design si traduce, di volta in volta, in designart, art and design, design as art e così facendo contribuisce alla ri-definizione delle discipline e alla ri-negoziazione di linguaggi, compiti e attitudini di entrambi36.

Per molti aspetti, però, è proprio l’arte contemporanea ad aver subito il fascino del design e tra l’altro il fatto che la sua esecuzione spesso sia “differita”, delegata, nonché di natura industriale l’avvicina ulteriormente a quel mondo. Anche il continuo e sempre più serrato dialogo tra arti e scienze caratterizza entrambi i mondi. È una storia fatta di continui slittamenti: Munari in Artista e designer definisce in maniera chiara i due ambiti e le parole di artista e designer sembrano delinearsi con chiarezza nel suo stile solo apparentemente semplice37. Ma già Manlio Brusatin scrive un libro emblematico fin dal sottotitolo, Arte come design. Una storia di due storie38, e partendo dalla diffusione delle incisioni di Piranesi (in realtà la grafica d’arte potrebbe essere vista anche come una prima interpretazione del design) scopre la chiave del made in Italy e la rivoluzione del gusto prodotta da esso attraverso l’analisi di produzioni artistiche “contaminate” come Futurismo e pittura metafisica, passando proprio per lo stesso lavoro fondamentale di Bruno Munari. Brusatin tratteggia la matrice artistica del made in Italy. Una storia a due facce nel solco di una concezione critica che suggerisce la collaborazione delle arti e la funzione unificante del design. In realtà con preveggente lucidità Gillo Dorfles, in uno scritto pionieristico del 196339 di introduzione al design industriale, scrisse che i concetti di arte e design verranno sempre più intercambiandosi: «Si dovrà attribuire a molti settori tecnologici e scientifici un valore estetico» ed analizzava in alcuni paragrafi le «Interferenze tra disegno industriale, pittura e scultura» chiedendosi proprio se la «grafica fa parte del design»40. Infatti il design è portatore di molti valori e sicuramente della inscindibile relazione tra arte e tecnica, nonché del valore della bellezza41. Il design ha una componente industriale e tecnologica ma il

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confine è davvero labile. Sono oggetti di design tanti oggetti d’uso comune, potremmo dire anonimi, seriali e simbolici al tempo stesso. D’altro canto, tante opere d’arte, dall’orinatoio di Duchamp (Fontana) al letto di Tracey Emin (My bed), non sono altro che oggetti d’uso comune. Anche sul concetto di serie si deve riflettere e lo fece già Guido Ballo in un pioneristico libro degli anni Settanta. Mentre la serialità infinita degli oggetti di design persegue il fine dell’utilità, i multipli dell’arte non hanno lo stesso fine ed è diversa la riproducibilità del prototipo. L’artista realizza i multipli dal prototipo, ma non solo per fini di mercato, bensì per fini estetici42. Il design, dunque, ha influito sicuramente sulla produzione di multipli d’arte, come la pittura e la scultura hanno influito sul design: pensiamo già a Balla, Boccioni e Depero e poi a tutto il Costruttivismo. L’Arte Povera costituisce il momento culminate in questo senso in Italia per il dialogo tra arti e design e per la fede nel multiplo. I multipli come le opere in serie sono moltiplicatori di bellezza. È chiaro che bisogna fare la dovuta distinzione tra multipli, opere seriali, riproduzioni e copie anche dal punto di vista della conservazione. Il concetto di serie esisteva già prima dell’industrializzazione, così come quello di riproducibilità di cui si parla in questo senso, ma prima spesso ogni oggetto variava un po’ l’uno dall’altro. Il designer in età contemporanea sembrava dover sostituire l’artigiano, perché progetta oggetti in serie tutti uguali e industriali. Oggi con l’introduzione delle tecnologie tridimensionali si è tornati anche a una rifazione anche a piccoli numeri, si è tornati cioè a privilegiare anche pratiche artigianali e la definizione di designer quale progettista degli oggetti in serie è assolutamente superata e inadeguata. Gli oggetti di design non sono più solo oggetti in serie prodotti industrialmente o solo “pezzi unici” come opere d’arte, ma le interazioni con il mondo scienti-

Dettaglio del quadro di sintonizzazione di una radio CGE, anni Cinquanta, Bologna, Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli (foto Andrea Scardova).

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fico e con le biotecnologie, nonché le nuove frontiere della riproduzione in 3D aprono nuovi scenari insondati: si sperimentano, dunque, tecniche e tecnologie proprio nello stesso modo che nelle arti visive e per questo c’è chi non vede più differenze o comunque molti designer sono anche artisti o architetti e viceversa e molte opere sono di confine o oltre il confine. Infatti sarebbe più giusto spesso parlare di autori. Sul concetto di serie si torna a riflettere oggi sia in campo artistico che nel design e sembrano applicabili anche a questo nostro campo le innovative interpretazioni di Salvatore Settis in Serial Portable Classic43. Moltissimi artisti hanno prodotto opere che sono pezzi di design veri e propri o opere che potrebbero anche sembrare oggetti di design, un esempio su tutti la simbolica Porta - Segno Arte (rosso ciclamino) del 1976-1997 di Michelangelo Pistoletto. I designer come gli artisti usano una molteplicità infinita di materiali innovativi, ma anche quelli tradizionali, magari con tecnologie e strumenti nuovi o materiali nuovi con tecniche antiche. Forme e materiali che urgono risposte anche in termini di durabilità. Comunque questo dialogo serrato tra le arti non è un fatto recente… basti pensare alla saliera di Francesco I di Francia di Benvenuto Cellini o al cofanetto Farnese di Manno Sbarri. Ed è del tutto ideologica la separazione tra artista e artigiano, fondata su una visione gerarchizzante dei saperi che penalizzano la manualità, e già Gropius nel Manifesto della Bauhaus scriveva «abbattiamo l’arrogante barriera tra artista e artigiano»44. La distinzione, in realtà, se pensiamo al Rinascimento, a Leonardo e al suo spirito di sperimentatore, sarebbe potuta per un attimo non esistere, ma in effetti apre a tutta la complessa vicenda della teoria sulle arti e alla questione delle “arti maggiori” e “arti minori”, o artigianato, e alla differenza tra artigiano e artista e di conseguenza tra artigianato e industrial design. Inoltre il Bauhaus era una scuola tutta fondata sull’insegnamento di veri e propri artisti da Kandinskij a Klee a Moholy Nagi! Ma l’Italia ha sempre vantato un primato dovuto al knowhow, alla bellezza diffusa, all’artigianato collegato strettamente al genius loci e a tradizioni secolari di produzione di oggetti d’uso che sono anche belli45! Così il design, dal canto suo, diviene, particolarmente nel nostro paese, elemento centrale della nostra creatività dal secondo Novecento, fatto di stratificazione culturale, ma anche di ironia e disincanto e nel rapporto con le arti assume anche forte valore simbolico, senza perdere la sua funzione tecnica e la sua affidabilità anche in termini di ricerca e sperimentazione di nuovi materiali. Già Ferdinando Bologna, partendo dal Rinascimento e dall’analisi della lettura artistica nei secoli, poneva la questione con illuminate chiarezza a livello teorico, la questione del significato profondo della trasmigrazione degli oggetti dalla realtà preindustriale alla società industriale e come la frattura storica fra le arti maggiori e minori fosse un ‘falso ideologico’, fin dal suo titolo – Dalle arti minori all’industrial design. Storia di un’ideologia – toccando il vero punto dolente della questione, il punto sul quale si sono più o meno misurati tutti coloro che hanno riflettuto sulla storia del design: la frattura fra il sistema dell’artigianato e delle arti applicate da un lato e il disegno industriale dall’altro46.

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Ma oggi la realtà è sempre più complessa e, caduta l’ideologia che opponeva produzione industriale ad autenticità e autorialità, capitale a creatività, sappiamo quanto arte, artigianato e industria siano in continuo rapporto tra loro e quanto molta parte della produzione sia un “ibrido” in un certo senso, ovvero la critica deve cercare nuovi paradigmi di lettura che rispettino la complessità dei linguaggi e dei media. Da John Ruskin e William Morris a Gaetano Pesce e Giulio Iacchetti, il volo pindarico ci porta a osservare non solo la trasformazione nella cultura del progetto di linguaggi, saperi, pratiche, materiali e forme, ma anche il cambiamento dei destinatari, degli utenti, sollecitati al consumo di oggetti da bisogni indotti dall’immagine e dalla sua comunicazione. È in questa società complessa e mediatizzata che design e arte, nella più ampia delle accezioni, ricoprono un ruolo centrale: sono i nervi scoperti della realtà, le antenne che avvertono in anticipo il cambiamento e ci mettono nelle condizioni di implementare la nostra naturale capacità di adattamento.

Il tema della sintesi delle arti si delinea a questo punto sempre meno come una questione di stile e di forma e sempre più come problema di modalità di rappresentazione del mondo contemporaneo e come questione di natura sociale, politica e fenomenologica e oggi molta parte della produzione artistica, anche e soprattutto per la parte connessa all’arte pubblica, possiamo dire che sia sempre più in «bilico tra esigenze di funzionalità del design e natura speculativa dell’opera d’arte»47. Ciò non potrà non avere i suoi riflessi sulla teoria e sulla prassi del restauro dell’arte contemporanea e del design.

Enzo Mari, contenitore da tavola Java, per Danese, 1969, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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CONSERVARE IL DESIGN, RESTAURARE IL DESIGN: RESPONSABILITÀ, METODI E PROSPETTIVE La responsabilità del museo Mostre, collezioni e musei dedicati negli ultimi anni hanno la responsabilità di conservare e in un certo qual modo “scrivere” la storia stessa del nostro design. Innanzitutto è affidata al museo la responsabilità di conservare ed esporre il design48. E in questo senso, anche senza poter entrare in dettaglio, già dobbiamo operare la grande distinzione tra musei d’impresa49 e musei di design o di arte contemporanea e design. La prima responsabilità consiste nella scelta stessa dei pezzi da esporre e tramandare al futuro. È chiaro che la musealizzazione del design ha come immediata conseguenza l’estetizzazione dell’oggetto-merce, ne accresce l’appeal, influisce anche e di conseguenza sul mercato stesso, soprattutto quando si tratta di oggetti ancora in produzione50. È interessante capire come si comportano nel tempo i tanti oggetti di design che hanno tra i 40 e i 50 anni, realizzati con materiali innovativi e spesso sperimentali, ma che non hanno garanzia di durabilità. Il design cambia nel tempo non solo per l’evoluzione del gusto ma per le reazioni chimiche e fisiche dei materiali. E questo dato gli autori forse dovrebbero tenerlo in conto di più nel momento della progettazione, se vogliono che le loro invenzioni non perdano troppo presto il loro fascino e il messaggio originale. È chiaro che nelle collezioni gli oggetti possono essere dei materiali più diversi, da quelli tradizionali (legno, ceramica, metalli, ecc.) ai molti anche inusuali e sperimentali, magari antieconomici e non funzionali. Oggi poi il materiale non è un elemento dato, ma è esso stesso “terreno di progetto”, lo dimostra per esempio il design for environment, un nuovo design ecosostenibile che usa e ricicla le cose più disparate. In realtà da sempre la ricerca sulle materie e sulle tecniche è andata di pari passo con lo svilupparsi delle poetiche. Ma oggi l’accelerazione è sicuramente maggiore in tutti gli ambiti, con esiti non sempre sondati rispetto alla durabilità degli artefatti ed è in certo qual modo il design a dipendere dalle ricerche sui materiali51. Ma quel che è certo è che nel XX secolo una grandissima quantità di oggetti di design è composto di materie plastiche52. La plastica ha segnato un’era e anche l’utopia che tutto era realizzabile a basso costo, con policromia e fiducia nel progresso e nell’indistruttibilità. Il degrado delle plastiche si manifesta già dopo un breve torno di anni. Ma anche molti altri materiali del design sono instabili e fragili. Molto spesso sono proprio oggetti già usati a entrare nelle collezioni di design, quindi oggetti di design che possono presentare un degrado inarrestabile e irreversibile. Se la storia del design è relativamente breve, la varietà dei materiali, il loro invecchiamento, la complessità con cui sono usati rendono sempre più attuale il problema del restauro degli oggetti moderni e sempre più spesso ci si chiede in ambito internazionale quali criteri occorre adottare, quali eventuali linee guida individuare. La ricerca specifica nel settore del restauro del design ha subito un’accelerazione dal Duemila in poi e la prima 80 > ER/DESIGN


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istituzione internazionale a portare l’attenzione sul tema è stato il Vitra Design Museum nel 200453. Sono poi seguite le conferenze internazionali organizzate da Die Neue Sammlung di Monaco a cadenza biennale54. Sia per l’arte contemporanea che per il design si susseguono contributi frutto di singole esperienze di restauro, ma è necessaria una riflessione approfondita di carattere teorico per dare risposte che escludano la prassi del “caso per caso”. È già chiaro nell’ambito delle problematiche di conservazione dell’arte contemporanea quanto sia difficile, e a volte impossibile, applicare i principi di Cesare Brandi55 e ciò è anche più vero per gli artefatti di design «tra creatività e ripetitività»56. Innanzitutto per conservare, come per tutte le opere, bisogna conoscere e catalogare, significa documentare il design dalla fase progettuale alla sua realizzazione fino agli interventi di conservazione57. Purtroppo le schedature e mappature del design contemporaneo sono assolutamente ancora rare in Italia e anche il MiBACT dovrebbe incentivare il settore e mettere in campo strategie ad hoc. I designer, come gli artisti, usano una molteplicità infinita di materiali e anche quelli tradizionali possono presentare problematiche di tipo contemporaneo, poiché magari usati con tecnologie e strumenti nuovi o si tratta di materiali nuovi con tecniche antiche. Per lo più poi, sono materiali spesso sperimentali, instabili, non testati che hanno una durabilità davvero labile, a cominciare dalle plastiche e dai materiali polimerici in tutte le varie declinazioni. Il timore più grande oggi è che il contemporaneo si perda per sempre, complice oltre tutto in Italia anche il Codice dei beni culturali che presenta gravi lacune sulla definizione di bene culturale contemporaneo, prediligendo il diritto d’autore e non salvaguardando la produzione più recente che si trovi al di fuori di pubbliche raccolte58. Già erano da considerare troppi 50 anni, incredibile poi ora aver

Enzo Mari, Timor, calendario perpetuo, 1967, Bologna, collezione Danese, Genus Bononiae.

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alzato la soglia a 75 anni! Sono solo ragioni di mercato… oggi e le cose possono sparire molto prima se non si interviene con tempestività con programmi di manutenzione ordinaria o restauro preventivo. Questioni connesse alla cultura industriale e alla cultura materiale sono tematiche che affrontiamo anche con il restauro dell’arte contemporanea. In Italia gli anni Sessanta del Novecento videro un rinnovamento profondo nelle arti e nel design e molti artisti e designer realizzarono le loro opere con materiali sintetici e “non artistici”. Fu il grande boom della plastica e la cieca fiducia nella sua durabilità in una visione ottimistica del progresso. Oggi sappiamo con certezza, comunque, che la produzione di oggetti di plastica, così spesso correlata al design, non ha mai manifestato lunga durabilità e che il suo invecchiamento si verifica con rapidità molto superiore rispetto ad altri materiali59. Mentre le caratteristiche dell’invecchiamento dei materiali tradizionali, come il legno e il metallo, sono ben note, i processi di degrado di questi nuovi materiali sono scarsamente documentati. Tali processi mettono in pericolo non solo la conservazione del valore delle opere d’arte e di design, ma anche la loro stessa esistenza ben prima di quanto non si creda. Non c’è dubbio che oggi sia compito dei musei, delle fondazioni e dei singoli collezionisti conservare questi documenti significativi: a loro la responsabilità di tramandare questo patrimonio al futuro. Il ritmo e la naturalità dei processi di invecchiamento dei vari materiali del design sono estremamente complessi e diversificati, dipendono soprattutto dalla composizione chimica e fisica del materiale, dal tipo di produzione, dalla combinazione dei materiali che andranno indagati in ogni aspetto60. Se, di fatto, il paragone con molte opere d’arte contemporanea è inevitabile dal punto di vista dei materiali e delle tecnologie di elaborazione, è necessaria una profonda conoscenza anche della storia dell’arte poiché la presenza invece di un prodotto seriale, funzionale e concepito per essere “consumato”, con una precisa committenza, richiede un atteggiamento differente rispetto all’opera dell’artista. Inoltre i musei della tecnica sembrano avere un approccio diverso rispetto ai musei del design per quel che concerne la conservazione, questi ultimi magari badano di più anche alla dimensione estetica dell’oggetto, mente gli altri più alla rifunzionalizzazione. Risultano imprescindibili una profonda conoscenza teorica e storica, nonché una spiccata passione per il contemporaneo, elementi indispensabili tanto quanto il dialogo con i protagonisti, le testimonianze dirette, le interviste agli autori e agli attori del mondo del design, nonché la consultazione di archivi e musei delle imprese. Sono proprio questi ultimi due, e gli archivi in particolare, che vanno prima costituiti e quindi salvaguardati se si vuole poi davvero conservare l’oggetto di design. Ecco che i musei in tal senso non possono che essere anche attivi centri di ricerca. Anzi oggi il panorama va cambiando rapidissimamente e l’autoproduzione e le nuove tecnologie del design influenzano sia le strategie curatoriali che gli approcci conservativi61. Un discorso a parte e del tutto nuovo va portato avanti sulla conservazione del visual design e dell’aspetto immateriale del design di comunicazione. Sappiamo che il MoMA ha catalogato la @ tra gli oggetti da conservare. Sono nuove frontiere… 82 > ER/DESIGN


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Anche la magica penna USB, che consente durante la visita al Museo di Design Cooper Hewitt di New York di conoscere le collezioni in modo interattivo e di archiviare in proprio e portare a casa un personale bagaglio di immagini, ci induce a riflettere quanto siano necessarie nuove strategie di comunicazione per la trasmissione al futuro della memoria delle cose62. È chiaro che la mediazione culturale sia perno essenziale e che si fondi assolutamente sulla diffusione di nuove tecnologie. I musei in un’ottica sempre più dinamica sono di fatto centri di ricerca e quindi non possono che collegarsi con i luoghi deputati da sempre alla formazione, in primis accademie e università.

Sottsass Associati, modello di studio per pompa di benzina per ERG. Edificio bar e negozio, 2005 ca. Progetto originale 19851990. Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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La responsabilità delle istituzioni di formazione Innanzitutto la salvaguardia nasce dalla conoscenza. Ecco che le istituzioni di formazione superiore, Università, ISIA e Accademie di Belle Arti hanno una grande responsabilità nel diffondere la conoscenza del design in tutti i suoi aspetti, dalla storia ai materiali e alle tecniche. Insieme al museo condividono la responsabilità della conservazione. Puntare all’innovazione nel formare i designer del futuro dunque, senza dimenticare di diffondere la coscienza che il patrimonio del design va salvaguardato. Ovvero si deve studiare, conoscere, schedare, fotografare, amare e manutenere. Bisogna conoscere i protagonisti, coinvolgerli nel progetto di salvaguardia come parte imprescindibile di quest’ul-


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timo. Abituarsi a riflettere sulla dimensione del tempo, della durabilità è importante sia per gli autori del futuro che per i restauratori del futuro. Sul piano del design del prodotto, contemporaneamente al diffondersi e all’affermarsi del restauro dell’arte contemporanea come disciplina per rispondere all’esigenza dei nuovi musei e del mercato dell’arte, è nata la necessità di formazione di restauratori di contemporaneo. Già nel momento in cui l’artefice crea l’opera d’arte, parte della sua vita e della sua durabilità vengono scritte nel suo DNA. Ma non solo, poiché le condizioni ambientali e quindi allestitive, i trasporti, i passaggi di proprietà continuano a incidere inesorabilmente sul tempo della sua vita e ciò è ancora più vero per il design. Oggi il mondo della formazione vive un cambiamento epocale poiché a seguito della legge 87/2009, oltre alle SAF del MiBACT, sono nate scuole accreditate in Accademie di Belle Arti, Università e soggetti altri, comunque accreditati a rilasciare, dopo un corso superiore di II livello quinquennale, il titolo di restauratore di beni culturali abilitato alla professione. Già dagli anni Novanta, in via sperimentale, erano nati nell’ambito di SAF e Accademie corsi e laboratori destinati alla formazione nell’ambito del restauro dell’arte contemporanea. I sei profili formativi professionalizzanti previsti dalla normativa vigente comprimono la questione del contemporaneo soltanto nel quarto segmento del PFP2 e questo di fatto è assolutamente insufficiente a formare un buon restauratore nel settore. La questione dell’arte contemporanea investe tutti i profili, ovvero tutti i materiali, magari anche quelli tradizionali, come pietra, metalli, ceramica, carta. Credo, quindi, che vada fatto il punto sulla formazione specifica per il restauro dell’arte contemporanea, una questione che sollevo ormai da molto tempo. Per quanto nell’ambito dei settori disciplinari esistenti per le Accademie di Belle Arti siano stati aggiunti alcuni campi disciplinari, per far in modo che anche il PFP1, PFP4 o PFP5 potessero avere un settore dedicato al restauro del contemporaneo, il problema resta ancora aperto e moltissime opere, non solo di arte contemporanea, ma anche di design continuano a essere ad alto rischio di sopravvivenza e di questo dobbiamo essere consapevoli, se vogliamo lasciare al futuro la testimonianza dell’arte nel nostro tempo. E ciò anche per la legge italiana! È poi costante la mancanza di attenzione alla manutenzione ordinaria e alla conservazione preventiva che sarebbe necessaria per l’arte contemporanea e per il design più ancora che per il resto delle opere, manutenzione e prevenzione che possono costituire anche un grande cantiere di conoscenza per restauratori in formazione63. Oggi anche molte tesi di restauro, che prevedono un intervento su un’opera, sono svolte come lavori su oggetti di design. Per il restauro dell’arte e del design contemporanei la questione è molto complessa ed è necessario un know-how specifico, una sensibilità particolare e un piano di studi che consentano di approfondire estetica e storia dell’arte contemporanea così come discipline scientifiche specifiche e che affrontino la questione della grande varietà dei materiali e delle tecniche del contemporaneo. Anche se in questa sede si può solo accennare alla questione, credo sia improrogabile pensare a Master di II livello e dottorati di ricerca specifici e riservati

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a restauratori già formati e ritengo sia necessario mettere in rete conoscenze e competenze e puntare sulla coscienza e sull’importanza della manutenzione ordinaria e di una progettazione ad hoc delle opere, soprattutto quando si parla di opere d’arte pubblica od opere di design. È chiaro che i profili formativi, come sono stati progettati, riflettano una precisa teoria del restauro e puntino esclusivamente sulla questione dei materiali, della “materia” da restaurare, ma la questione del contemporaneo è ben più complessa e articolata, è principalmente una questione di cultura. Il restauro del design è già una sfida avvincente soprattutto per le giovani generazioni di restauratori. L’incontro con la cultura industriale e con i temi della serialità e riproducibilità rappresenta una nuova frontiera di confronto e favorisce le aspettative lavorative dei giovani laureati. Ma è necessaria una complessa formazione storico-artistica e teorica alle spalle oltre che, chiaramente, tecnica. Sicuramente gli oggetti di design sono anche un banco di prova importante per la didattica del restauro del contemporaneo. In realtà se gli slittamenti sono sempre più diffusi tra arte e design anche le strategie di conservazione e restauro dovranno riflettere su questo nuovo medium di confine. Infatti La sempre più pronunciata apolidia mediatica, il naturale nomadismo che porta l’artista ad un fare diffuso, ad un attraversamento linguistico che mira a inglobare nel panorama dell’arte tecniche e materiali di varia estrazione o natura, presenta, con il nuovo millennio, alcune normative creative che oscillano da un linguaggio all’altro per dar luogo a progetti polimaterici, a opere sconfinanti, ad apparecchiature la cui plasticità – seguendo impulsi individuali – registra l’esistente utilizzando tutti gli strumenti tecnologici attuali64.

Televisore Mivar, anni Sessanta, Copparo, Centro Studi Dante Bighi (foto Andrea Scardova, 2015).

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Possiamo concludere che il design consente, ancor più dell’arte contemporanea, di riflettere su quali siano le frontiere del restauro e chiedersi cosa è lecito e cosa è illecito, dove si trova il confine tra restauro e ri-creazione. E soprattutto sempre di più è necessario diffondere la cultura della manutenzione ordinaria e del restauro preventivo. In questo senso il museo diventa un laboratorio e dovranno essere sempre più stretti i rapporti tra conservazione, formazione, creativi, designer e restauratori. Già in tal senso sono nate collaborazioni feconde di frutti, grazie a sinergie e collaborazioni tra musei, fondazioni e scuole di restauro, a cominciare da quella tra la Fondazione Plart e la Scuola di Restauro dell’Accademia di Belle Arti di Napoli del 201165. L’importanza della rete per le prospettive future di salvaguardia Le collezioni di design, anche se specifiche per tipologia o per materiale, sono costituite da differenti materiali che convivono in uno stesso ambiente, ma che possiedono una reattività diversa nel tempo. Pertanto la sinergia delle figure operanti nel settore e adeguati mezzi investigativi costituiscono un contributo indispensabile per una corretta gestione conservativa e per impostare eventuali interventi di restauro66. Per sviluppare soluzioni ottimali è importante che storici, storici del design, storici dell’arte, chimici, fisici, fotografi operino in stretta collaborazione con i restauratori e che questi ultimi siano in contatto con gli autori in quanto primi testimoni del loro stesso lavoro. Deve nascere una cultura della salvaguardia: prima di quella del restauro vero e proprio è necessario parlare di conoscenza, coscienza, tutela, prevenzione, manutenzione ordinaria. Dunque corretti modi di esposizione e giuste condizioni climatiche come l’attenzione alle parole degli artefici attraverso le interviste o una giusta archiviazione fotografica e una archiviazione dei progetti, nonché schedature dettagliate degli oggetti e approfondite ricerche storiografiche sono la base imprescindibile di ogni progetto di conservazione. Bisogna mettere a punto strumenti e modalità operative che sempre più permettano di studiare gli oggetti di design con un approccio specifico, che tenga nella giusta considerazione, accanto alla conoscenza dei materiali e delle loro caratteristiche di degrado, il tema della funzione d’uso. La maturazione di una metodologia mirata per la conservazione degli oggetti di design ha anche fatto tesoro dell’esperienza condotta in questi ultimi anni anche sul fronte delle arti decorative. Sono oggetti che possiedono una filosofia esplicita, in cui i prodotti possiedono la loro progettazione espressiva connessa spesso alla problematica dei processi industriali. Per restaurare il design bisogna avere quindi una preparazione specifica, una particolare conoscenza e competenza, sia teorica che tecnica: di tecniche del restauro, diagnostica, chimica scientifica, tecnologia dei materiali, chimica industriale, ma anche storia dell’arte, estetica, storia del design. Un museo del design oggi ha sempre più una sua specificità in continua evoluzione e diventa esso stesso centro di ricerca e sperimentazione, nonché luogo di conservazione e restauro. Un museo del design, con le sue raccolte di oggetti d’uso e per lo più seriali, si differenzia da un museo di arti decorative, da un museo archeologico o di arte contempo86 > ER/DESIGN


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ranea, anche se oggi i grandi musei di arte contemporanea non possono non interrogarsi sui temi del design. Anche le biotecnologie e il design ecosostenibile aprono nuovi interessanti sviluppi. La necessità di conservare il design se la sono posta prima i musei del design, ma anche i musei di arti decorative e i musei di arte contemporanea. Alcuni hanno impiantato laboratori interni, come in Italia il Triennale Design Museum e lo stesso Plart, altri come il nuovissimo museo di Barcellona fanno convenzioni con centri esterni polivalenti di restauro di rilevanza nazionale67. Assodato che la questione è, a tutti gli effetti, culturale a 360 gradi, è sempre più necessario il dialogo e, anche in Italia, lavorare in équipe e in rete, includendo una forte dose di sperimentazione e di creatività. Ci sono già istituzioni internazionali, come il Die Neue Sammlung di Monaco, che periodicamente organizzano convegni per un confronto sui risultati di ricerche e sperimentazioni relative al design68. Oggi è prassi per un museo unire l’attività espositiva alla ricerca, non solo la ricerca che necessariamente la collezione di un museo e ogni singola esposizione richiede, ma anche, ove possibile, ricerca applicata. Nel caso della Fondazione Plart aver affiancato alle attività espositive la ricerca e la didattica inerenti la conservazione e il restauro dei polimeri (con tutto ciò che di sperimentale questo implica) è un fattore strategico. È essenziale fare riferimento a un network. È ineludibile che anche in Italia Università, Accademie, ISIA, Musei, Fondazioni museali, Centri di documentazione debbano dialogare per verificare visioni e competenze, per connettere la formazione alla conservazione, per promuovere la cultura del design e la necessità della sua conservazione e le best practices. Inoltre, a giovamento reciproco, è essenziale che su molti temi, ma in particolare su quelli dalla conservazione e valorizzazione del patrimonio di beni materiali e immateriali, siano in rete le istituzioni del MiBACT e quelle del MIUR, poiché la separatezza che si è protratta troppo a lungo è stata davvero dannosa per il patrimonio italiano e tanto più per il patrimonio della nostra contemporaneità69. Strategicamente, in realtà, la cultura della conservazione e della salvaguardia nasce sia dalla consapevolezza acquisita già dal momento della progettazione che da una coscienza diffusa. È quindi necessario sviluppare questa cultura e consapevolezza già dagli anni della formazione. Il restauro tra l’altro – e specie del contemporaneo – muta tanto velocemente quanto il design e fa tesoro delle ricerche scientifiche e tecnologiche nei diversi ambiti. L’obiettivo, dunque, non può che essere quello di tenere alto e costante il livello del dialogo e del confronto in ambito internazionale e beneficiare di un network di riferimento per salvaguardare il nostro patrimonio di design.

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Note 1 Chiara Simonigh (a cura di), Pensare la complessità. Per un umanesimo planetario. Saggi critici e dialoghi di Edgar Morin con Gustavo Zagrebelsky e Gianni Vattimo, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2012; Edgar Morin, Sette Lezioni sul pensiero globale, Milano, Raffaello Cortina, 2016. 2 Mario Perniola, L’arte espansa, Torino, Einaudi, 2015. 3 Giovanna Cassese (a cura di), Il futuro del contemporaneo. Conservazione e restauro del design, Roma, Gangemi, 2016. 4 Giulio Carlo Argan, Progetto e destino, scritti sul design, con introduzione di Claudio Gamba, Milano, Medusa, 2013. 5 Remo Bodei, La vita delle cose, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 117. Emblematico anche il saggio di Jean Baudrillard, Il sistema degli oggetti, trad. it., Milano, Bompiani, 1972 (Paris 1968). 6 G. Cassese (a cura di), Il futuro del contemporaneo cit. 7 Si veda in questo volume il saggio di Claudia Collina, Breve e non esauriente viaggio tra arti e design nei musei dell’Emilia-Romagna. 8 Penso per esempio agli studi sull’arte pubblica e sulla legge del 2%. Cfr. Claudia Collina (a cura di), Il percento per l’arte in Emilia-Romagna, Bologna, Editrice Compositori, 2009. 9 Per la storia del design restano basilari Renato De Fusco, Storia del design, Bari, Laterza, 1985, ed. cons. 2010; Anty Pansera, Storia del design industriale italiano, Bari, Laterza, 1993, ma si veda anche Gabriella D’Amato, Storia del design, Milano, Bruno Mondadori, 2005; Bernhard E. Bürdek, Design. Storia, teoria e pratica del design del prodotto, Roma, Gangemi, 2008; Maurizio Vitta, Il progetto della Bellezza. Il design tra arte e tecnica dal 1851 ad oggi, Torino, Einaudi, 2001, ed. cons. 2011. 10 Su questo argomento cfr. Francesco Trabucco, Design, Torino, Bollati Boringhieri, 2015, pp. 41-56; cfr. anche Flaviano Celaschi, Non industrial design. Contributi al discorso progettuale, Bologna, Luca Sossella editore, 2016, passim. 11 Renato De Fusco, Design: una teoria ermeneutica del progetto, «Op. cit.», 79, settembre 1990. 12 Emilio Ambasz (a cura di), Italy: The New Domestic Landscape. Achievements and Problems of Italian Design, catalogo della mostra, New 88 > ER/DESIGN

York, The Museum of Modern Art-Florence, Centro Di, 1972; cfr. Dario Scodeller, Exhibition, anti-exhibition: su alcune questioni espositive del pop e radical design italiano, 1966-1981, «AIS/Design. Storia e ricerche», 3, marzo 2014, con bibliografia precedente. La mostra del 1972 è punto di riferimento di tutti gli storici del design per definire la grande rivoluzione italiana. 13 Cfr. soprattutto il Libro bianco sulla creatività, Commissione sulla creatività e produzione di cultura in Italia, sotto la presidenza di Walter Santagata, MiBAC 2007, specie il cap. 3, “Design e cultura materiale: un binomio italiano”. 14 Ibidem. 15 F. Trabucco, Design cit. 16 Chiara Alessi, Dopo gli anni zero. Il nuovo design italiano, Roma-Bari, Laterza, 2014; sulle tecnologie innovative e lavorazioni artigianali, in una stretta interconnessione con il sapere della rete, cfr. Cecilia Cecchini, Le parole del design. 150 lemmi tecnici liberamente scelti, Trento, List, 2012; Pietro Nunziante, Design: segni del tempo, «Op. cit.», 146, 2013, pp. 34-44; Carlo Martino, Scenari morfologici della contemporaneità, «Op. cit.», 155, 2016. 17 Roberto Ossani, Pensare a lungo termine: la cultura del progetto nell’era della complessità, in Marco Bazzini, Anty Pansera (a cura di), ISIA Design Convivio, catalogo della mostra, Urbania, Arti Grafiche Stibu, 2015, p. 156. 18 Renato De Fusco, Made in Italy. Storia del design italiano, Roma-Bari, Laterza, 2007. In quest’opera l’autore ricostruisce le specificità del design italiano e la grande qualità del made in Italy anche in rapporto alla storia artistica e a quella del gusto. 19 Su questo tema si veda Beppe Finessi (a cura di), Il design italiano oltre la crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione, VII edizione del Triennale Design Museum (Milano, 4 febbraio 2014-22 febbraio 2015), Mantova, Corraini, 2014. Cfr. anche la recensione di Maddalena Della Mura, «AIS/Design. Storia e ricerche», settembre 2015. 20 Molti sono i volumi che illustrano selezioni di oggetti ormai icone del made in Italy. Cfr. tra gli altri Silvana Annichiarico (a cura di), 100 oggetti del design italiano, Collezione Permanente del Design Italiano, La Triennale di Milano, catalogo della mostra, Roma, Gangemi, 2007; nella serie Icons, Charlotte Fiell, Peter Fiell, Il design dalla A alla Z, Köln, Taschen, 2004.


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21 M. Vitta, Il progetto della Bellezza, cit. 22 Deyan Sudjic, Il linguaggio delle cose, Roma-Bari, Laterza, 2009. 23 Donald Arthur Norman, Emotional design. Perché amiamo (o odiamo) gli oggetti della vita quotidiana, Milano, Apogeo, 2004. 24 Hall Foster, Design & Crime, Milano, Postmediabook, 2003. 25 Roland Barthes, La plastica, in Miti d’oggi, IV ed., Milano, Einaudi, 1974, pp. 169-170. 26 Cecilia Cecchini, Marco Petroni (a cura di), Plastic days. Materiali e design/Materials and design, catalogo della mostra, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2015; sulla collezione di plastiche storiche del Plart si veda Angela Tecce, Nunzio Vitale (a cura di), In plastica, catalogo della mostra (Napoli Villa Pignatelli), Napoli, Electa Napoli, 1990; Renato De Fusco, Fondazione Plart, plastica, arte, artigianato e design, Macerata, Quodlibet, 2014. 27 Cecilia Cecchini, Nuovi e antichi scenari dell’exhibit: appunti per una riflessione, in Università, Musei, Archivi. Il design fa rete, Giornate di studio, Iuav Venezia, 23-24 ottobre 2012, abstract on line. 28 Donatella Fiorani, Materiale/immateriale: frontiere del restauro, «Materiali e strutture: problemi di conservazione», n.s., III, 5-6, 2014, pp. 9-23; Design and cultural heritage (Immateriale, virtuale, interattivo, a cura di Fulvio Irace; Archivio animato, a cura di Fulvio Irace, Graziella Leyla Ciagà; Progetto e memoria del temporaneo, a cura di Eleonora Lupo e Raffaella Trocchianesi), 3 voll., Milano, Electa, 2013. 29 Maurizio Ferraris, Documentalità, perché è necessario lasciar tracce, Roma-Bari, Laterza, 2014, anche sulla necessità di documentare e schedare. 30 Sul tema dei multipli cfr. anche Giovanna Cassese, Provocazioni e corrispondenze. Franco Mello tra arti e design, Roma, Gangemi, 2017. 31 Sulla questione metodologica cfr. Sara Abram (a cura di), Il restauro del Design / The Conservation of Design, Torino, Umberto Allemandi, 2014, primo volume italiano sul tema e sulle differenze rispetto all’arte contemporanea in particolare il testo di S. Abram, M. Cardinali, B. Ventura, “La questione metodologica e il restauro del design”. 32 Ivi, specie i capitoli “Documentare il restauro per documentare il design” e “La ricer-

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ca sul campo: testimonianze, archivi e musei d’impresa”, pp. 37-47. 33 Dopo il primo convegno internazionale sono stati pubblicati anche in Italia ulteriori contributi. Si veda ad esempio il numero monografico Restaurare l’arte contemporanea?, a cura di Antonio Rava, con introduzione di G. Cassese, «Kermes», 98, 2015, dedicato alla conservazione del contemporaneo con alcuni articoli su restauri di oggetti di design. 34 Vanni Pasca, Qualche riflessione sul design dei nostri tempi, settembre 2011, www.ottoluogodellarte.it/wordpress/2011/09/qualche-riflessione-sul-design-dei-nostri-tempi/; cfr. anche Vanni Pasca, Anna Trapani (a cura di), Scenari del giovane design: idee e progetti dall’Europa e dal mondo, Milano, Lupetti, 2001. 35 Per un rapporto con le arti cfr. R. De Fusco, Made in Italy cit, in particolare il capitolo “Il design e le arti”, pp. 156-176. 36 Paola Nicolin, Il dono della sintesi, «Abitare», 512, 2011. 37 Ibidem. 38 Manlio Brusatin, Arte come design: storia di due storie, Torino, Einaudi, 2007. 39 Gillo Dorfles, Introduzione al design industriale, Torino, Einaudi, 1963, nuova edizione Torino, Einaudi, 2001. 40 Ivi, capitoli 8 e 9. 41 M. Vitta, Il progetto della Bellezza, cit. 42 Guido Ballo, La mano e la macchina. Dalla serialità artigianale ai multipli, Milano, Jabik & Colophon/Sperling & Kupfer, 1976. 43 Salvatore Settis, Anna Anguissola, Davide Gasparotto (a cura di), Serial / Portable classic. The Greek canon and its mutation, Milano, Fondazione Prada, 2015. 44 Su tutta la questione resta basilare e metodologicamente illuminante il testo di Ferdinando Bologna, Dalle arti minori all’industrial design. Storia di una ideologia, Bari, Laterza, 1972. 45 Giuseppe Furlanis, Genius loci. La formazione artistica come patrimonio dei luoghi, in Giovanna Cassese (a cura di), Patrimoni da svelare per le Arti del futuro, Atti del convegno, Roma, Gangemi, 2016, pp. 261-273. Si tratta del primo convegno di studi sulla salvaguardia dei beni culturali delle Accademie di Belle Arti di Italia.


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46 Raimonda Riccini, Il design alla prova delle teorie estetiche, «AIS/Design. Storia e ricerche», 1, 2013. 47 P. Nicolin, Il dono della sintesi cit. 48 Sui musei di design si veda Maurizio Vitta, I musei di design. La memoria e la vita, in Rossella Caruso, Daniela Fonti (a cura di), Il museo contemporaneo: storie esperienze competenze, Roma, Gangemi, 2012, pp. 105-109. 49 Sui musei d’impresa cfr. Fiorella Bulegato, I musei d’impresa. Dalle arti industriali al design, Roma, Carocci, 2008. 50 Valeria Burgio, Da esemplari a testimoni: ridefinire il valore degli oggetti nei musei del design, «Piano B», I, 1, 2016, pp. 25-49, con interessante bibliografia; rivista on line open source dell’Università di Bologna. 51 Marinella Ferrara, Sabrina Lucibello (a cura di), Design follows Materials, Firenze, Alinea, 2014. 52 Cecilia Cecchini, Plastiche: i materiali del possibile. Polimeri e compositi tra design e architettura, con prefazione di Andrea Branzi, Firenze, Alinea editrice, 2004; C. Cecchini, M. Petroni (a cura di), Plastic days cit. 53 In quell’anno si tenne il “3rd Symposium on the conservation of synthetic materials”, Vitra Design Museum, Weil am Rhein, May 5-6, 2003. 54 Tim Bechthold (a cura di), Future Talks 009. The Conservation of Modern Materials in Applied Arts and Design, Atti del convegno (Munich, Pinakothek Der Moderne, October 22-23, 2009), Munich, Die Neue Sammlung, The International Design Museum, 2011; Future Talks 011. Technology and Conservation of Modern Materials in Design, Atti del convegno (October 26-28, 2011), Munich, Die Neue Sammlung, The International Design Museum, 2013; Future Talks 013. Lectures and Workshops on the Conservation of Modern Materials in Design, Atti del convegno (October 23-25, 2013), Munich, Die Neue Sammlung, The International Design Museum, 2015. 55 Sull’argomento si è acceso negli ultimi anni un importante dibattito. Qui si cita soprattutto Giorgio Bonsanti, Proposte per una teoria del restauro dell’arte contemporanea, in Maria Cristina Mundici, Antonio Rava (a cura di), Cosa Cambia. Teorie e pratiche del restauro dell’arte contemporanea, Ginevra-Milano, Skira, 2013, pp. 123-131.

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56 Giorgio Bonsanti, Il restauro del design tra creatività e ripetitività, in G. Cassese (a cura di), Il futuro del contemporaneo cit., pp. 68-73, dedicato specificamente alle questioni teoriche del restauro del design. 57 S. Abram, Documentare il design, in S. Abram (a cura di), Il restauro del Design cit., pp. 37-39. 58 Per il diritto del design si veda in questo volume il contributo di Beatrice Cunegatti con bibliografia di riferimento. Per l’arte contemporanea cfr. Gianmaria Ajani, Anna Donati (a cura di), I diritti dell’arte contemporanea, Torino, Umberto Allemandi, 2011; M. Sterpi, Restauro dell’arte contemporanea e diritto, in M.C. Mundici, A. Rava, (a cura di), Cosa cambia cit., pp. 167-174; vedi anche il Codice dei beni culturali con la definizione di bene culturale agli articoli 10 e 11 che esclude molta parte delle opere contemporanee, salvaguardando più il diritto privato di proprietà e il diritto d’autore. 59 Cfr. Yvonne Shashoua, Conservation of plastic:materials science, degradation and preservation, Amsterdam, Elsevier, 2008; Thea Van Osten, Anna Laganà, La conservazione della plastica: nuovi materiali, nuove problematiche, in C. Cecchini, M. Petroni (a cura di), Plastic days cit., pp. 148-161. 60 Sandra Vázquez Pérez, Elena Biondi, Anna Bovero, La Collezione Compasso d’Oro: una nuova prospettiva per la conservazione e il restauro degli oggetti di design, 2012, ftp.adi-design.org/ upl/Articoli%20Restauro%20del%20Design/ CdO_Restauro.pdf, traduzione dell’intervento al congresso in Atti della XIII Jornada de Conservación de Arte Contemporáneo (Madrid, Museo Reina Sofía, 16-17 febbraio 2012), Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, 2012. 61 Susanne Graner, How self-production and new design technology influence curatorial strategies and conservation approaches, in G. Cassese (a cura di), Il futuro del contemporaneo cit., pp. 74-77. 62 Susanna Legrenzi, Una penna e una stanza per giocare. Al Cooper Hewitt di New York la visita è un’esperienza guidata dal design e l’utente raccoglie gli oggetti con una chiavetta Usb per rielaborarli a modo proprio, «Il Sole 24 Ore», 3 maggio 2015. Sulla questione cfr. Fabio De Chirico, I beni culturali immateriali. Ipotesi e prospettive di gestione, «Tafterjournal”, 35, maggio 2011 e F. Irace, Immateriale virtuale interattivo cit.


/ La salvaguardia del design come patrimonio materiale e immateriale

63 In questo senso si cita la Convenzione tra Accademia di Belle Arti di Napoli, Metropolitana S.p.A. e Metronapoli per la salvaguardia delle stazioni dell’arte della Linea 1 e 6 della Metropolitana di Napoli attiva dal 2006, più volte rinnovata, che include uno specifico accordo per cantieri di manutenzione ordinaria. Cfr. Giovanna Cassese (a cura di), La conservazione dell’arte pubblica in Italia. Il caso del Metrò dell’arte, Napoli, Arte’m, 2011. 64 Alessandra Barbuto, Tra arte e design. La conservazione di un medium di confine, in G. Cassese (a cura di), Il futuro del contemporaneo cit., pp. 84-89. 65 La convenzione particolarmente articolata e che mira a mettere in rete competenze e ricerche è stata sottoscritta da Maria Pia Incutti e da chi scrive già nel 2011. Cfr. Barbara Lavorini, Esperienze di restauro della Scuola dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Interventi su oggetti del Plart, in G. Cassese (a cura di), Il futuro del

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contemporaneo cit., pp. 166-171, che pubblica risultati notevoli su cantieri di restauro dell’Accademia di Napoli su oggetti del Plart. 66 Restaurare il design, quali prospettive?, in www.architetto.info, 9 aprile 2014. 67 Cfr. i numerosi interventi dei curatori dei musei e conservatori in G. Cassese (a cura di), Il futuro del contemporaneo cit., passim e i molti interventi di restauro già eseguiti dai restauratori. 68 Cfr. i già citati atti del convegno internazionale organizzato a cadenza biennale dalla Neue Sammlung di Monaco, Future Talks, a cura di Tim Bechthold, siamo già a quello del 2015. 69 Sulla necessità di massimo raccordo tra MIUR e MiBACT cfr. G. Cassese, Patrimoni da svelare per le arti del futuro, in G. Cassese (a cura di), Patrimoni da svelare cit., pp. 39-61.


/ Tutela legale del design Dai privilège e dal brevetto alla legge sul diritto d’autore, intersecata nelle funzioni di conservazione e valorizzazione al Codice dei beni culturali

Beatrice Cunegatti Dottore di ricerca in Informatica giuridica e diritto dell’informatica, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna Avvocato in Bologna >

ABSTRACT Dopo una breve introduzione storica della nascita della tutela legale del design nel regime dei privilège, il contributo è volto a individuare le norme attuali di disciplina del design nella normativa industrialistica e, in Italia, nel concorrente diritto di autore, focalizzando l’attenzione sugli effetti derivanti dalla collocazione degli oggetti di design in musei pubblici. In questo contesto, infatti, per il design contemporaneo la normativa in materia di conservazione, valorizzazione e uso dei beni culturali – rilevante per il design dei musei pubblici – deve essere coordinata con quella di protezione dei diritti esclusivi di proprietà intellettuale (industriale e di autore) sul design. Il tema appare di sempre maggiore interesse a seguito dell’evoluzione degli strumenti tecnologici che permettono l’ampliamento delle forme di fruizione degli oggetti di design dei musei e dei relativi pubblici, attraverso inedite forme di riproduzione, modificazione e diffusione del bene stesso. 92 > ER/DESIGN


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LA NASCITA DELLA TUTELA LEGALE DELL’INDUSTRIAL DESIGN: CENNI STORICI Il “disegno industriale” (traduzione italiana di “industrial design”, ufficialmente adottata dall’Associazione per il Disegno Industriale) consiste in senso lato «nella progettazione di oggetti destinati a essere prodotti industrialmente, cioè tramite macchine e in serie». Esso fa uso di arti e scienze applicate al fine di migliorare estetica, ergonomia, funzionalità o usabilità di un prodotto1, così come la sua commerciabilità2. Il design è perciò caratterizzato dalla dicotomia intrinseca dell’arte “applicata”, finalizzata alla produzione seriale di “merci” che però «diventano passo a passo uno degli elementi più distintivi della nostra civiltà di Paese che ha saputo far convivere arte, creatività, cultura e industria fino a far diventare questa abilità un simbolo internazionale del made in Italy e della nostra identità nazionale»3. L’esame dell’intersecazione tra disciplina legale del design e norme preposte alla valorizzazione e conservazione dei beni culturali prende le mosse da questa preliminare, ma imprescindibile, considerazione: il design non è volto alla sola innovazione tecnica, per la sua vocazione a conferire un carattere individuale al prodotto finale; non è solo arte, per le desiderate applicazioni industriali perseguite dal designer. Man mano che i principi della produzione in serie hanno trovato storicamente accoglimento, di un oggetto sono stati progettati gli aspetti estetici, le funzioni d’uso e le caratteristiche costruttive, e il designer è divenuto il progettista-creativo delle merci destinate all’ampio pubblico dei consumatori4. L’evoluzione normativa in materia di industrial design evidenzia il parallelo percorso dell’incremento della sensibilità culturale – e del legislatore – per la tutela del design, dapprima unicamente in quanto strumento di innovazione

Koki Fregni, bozzetti per la pubblicità Granarolo, Modena, Galleria Civica.

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tecnica (artigianale e successivamente anche industriale), poi quale elemento estetico idoneo a conferire un vantaggio competitivo all’impresa, infine quale opera d’arte5. In senso giuridico, l’industrial design è oggi rappresentato dall’aspetto distintivo di un prodotto riproducibile in serie6, e può consistere in elementi tridimensionali (come la superficie di un oggetto), disegni di edifici e ambienti o grafici bidimensionali applicati al prodotto (come linee o colori). Storicamente tuttavia esso poteva assurgere a qualche forma di protezione alla sola condizione che fosse dotato di un sufficiente grado di “novità”. In questo senso una prima tutela – da intendersi quale possibilità di ottenere un privilegio elargito ad personam – può ravvisarsi nella legge della Repubblica di Venezia sulle invenzioni del 1474, sulla cui falsariga si sono successivamente diffuse le «regie patenti», licenze singolarmente concesse a persone meritevoli della considerazione del sovrano, oppure in risposta a una specifica supplica. Le regie patenti, spesso già denominate “brevetti”, non costituivano alcun diritto soggettivo in capo all’inventore, essendo delle mere concessioni governative, che potevano essere discrezionalmente revocate dall’autorità in qualsiasi momento7. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, i frutti dell’attività intellettuale – dicotomicamente articolati in invenzioni industriali, da un lato, e opere artistiche e letterarie, dall’altro – hanno trovato protezione come veri e propri diritti esclusivi di proprietà intellettuale. Il diritto di brevetto per invenzione industriale – di natura esclusiva (jus excludendi alios), limitata nel tempo, che l’autorità di uno stato protegge per premiare e incentivare lo sforzo teso all’innovazione tecnica – venne riconosciuto in Italia dalla legge 12 marzo 1855, n. 782, emanata per gli Stati Sardi e successivamente estesa, con la legge 30 ottobre 1859, n. 3731, alla Lombardia, e quindi con poche modifiche a tutto il Regno d’Italia; la normativa di derivazione piemontese fu successivamente sostituita dal regio decreto 29 giugno 1939, n. 1127 che, con gli artt. 2584-2591 codice civile, ha disciplinato il brevetto fino alle ultime riforme adottate su impulso europeo a partire dalla fine degli anni Novanta. Nel quadro normativo della metà dell’Ottocento, la legge 30 agosto 1868, n. 4578, prima tutela dei «disegni e modelli di fabbrica», introdusse il diritto di richiedere la protezione brevettuale per esercitare i diritti esclusivi di riproduzione e spaccio di disegni o modelli di utilità. Seguirono poi – in sequenza paradigmaticamente consequenziale ai momenti di massimo fermento culturale in tema di invenzioni in campo industriale e produzione seriale – la legge 16 luglio 1905, n. 423, concernente la protezione temporanea alle invenzioni e ai modelli e disegni di fabbrica relativi a oggetti che figuravano nelle esposizioni nazionali e internazionali, e il regio decreto 25 agosto 1940, n. 1411 in materia di brevetti per modelli industriali, che estese la tutela ai modelli di utilità e ai disegni e modelli ornamentali. Con il successivo decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 95 è stato cancellato in Italia il divieto del cumulo della tutela brevettuale e autoriale e si è abbandonato il criterio dell’innovazione nell’estetica dei prodotti industriali in favore della

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capacità dei disegni e modelli a distinguere i prodotti da quelli concorrenti; la riforma del 2001 ha modificato inoltre sostanzialmente l’impianto della protezione del design nell’ambito della legge sul diritto d’autore. Le scelte normative attuate con il d.lgs. 95/2001 (ora abrogato) trovano attuale collocazione nel decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale). Come anticipato, i più recenti interventi hanno tratto spunto dall’attuazione domestica delle riforme armonizzatrici dell’Unione Europea. Dalla fine degli anni Novanta si sono infatti succeduti l’emanazione della direttiva 98/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1998, sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli (attuata con il citato d.lgs. 95/2001, successivamente abrogato e sostituito dal d.lgs. 30/2005) e il regolamento (CE) n. 6/2002 del Consiglio, del 12 dicembre 2001 (modificato dal regolamento (CE) n. 1891/2006 del Consiglio, del 18 dicembre 2006) con il quale è stata resa operativa l’adesione dell’Unione Europea all’atto di Ginevra dell’accordo dell’Aia concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali. A livello internazionale, la protezione brevettuale del design è riconducibile alla Convenzione di Parigi del 20 marzo 1883 – riveduta a Bruxelles il 14 dicembre 1900, a Washington il 2 giugno 1911, all’Aia il 6 novembre 1925, a Londra il 2 giugno 1934, a Lisbona il 31 ottobre 1958 e a Stoccolma il 14 luglio 1967, successivamente emendata il 28 settembre 1979, che istituì l’Unione internazionale per la protezione della proprietà industriale (Unione di Parigi). In conformità al suo art. 1, i paesi unionisti si impegnavano espressamente a proteggere, oltre ai brevetti d’invenzione, «i modelli d’utilità, i disegni o modelli industriali […]». La convenzione, nel testo di Stoccolma, è stata ratificata dall’Italia con la legge 28 aprile 1976, n. 424. A sinistra Koki Fregni, bozzetto di marchi diversi per Edilcuoghi, Modena, Galleria Civica.

A destra Koki Fregni, bozzetto pubblicitario per ceramica Edilcuoghi, 1976 ca., Modena Galleria Civica.

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Un regime unificato per la concessione di disegni o modelli è stato inoltre adottato con il citato accordo dell’Aia, nei suoi due diversi atti (l’atto dell’Aia del 1960 e di Ginevra del 1999). L’atto di Ginevra è divenuto pienamente operativo il 1° aprile 2004 e l’Unione Europea vi ha aderito il 24 settembre 2007. L’adesione permette ai richiedenti aventi diritto di presentare una domanda unica per la registrazione di un disegno o modello industriale a livello internazionale, avvalendosi appunto del sistema dell’Aia. La natura “ibrida” del design – fusione di innovazione tecnologica sotto forma artistica – ha fortemente contrassegnato tutta la normativa del settore della proprietà intellettuale, compreso il diritto d’autore. Come ricordato, nella normativa preunitaria il design trovava collocazione esclusivamente in seno alle leggi di protezione dei privilegi e delle esclusive brevettuali; tuttavia già i primi interventi legislativi del Regno d’Italia estesero la protezione di diritto d’autore ai «lavori d’arte applicati all’industria» (art. 1 co. 2, regio decreto legge 7 novembre 1925, n. 1950). Sono quindi unicamente la prima legge unitaria in materia di opere dell’ingegno (legge 2 aprile 1865, n. 2215) e il successivo testo unico approvato con regio decreto 19 settembre 1882, n. 1012 (di coordinamento delle leggi 25 giugno 1865, n. 2337 e 10 agosto 1875, n. 2652) che non si occupano espressamente della protezione autoriale dell’industrial design. La successiva legge 22 aprile 1941, n. 633, l’art. 2 co. 1 n. 4 aveva espressamente contemplato la protezione delle «opere della scultura, della pittura, dell’arte del disegno, della incisione e delle arti figurative similari, compresa la scenografia, anche se applicata all’industria, sempreché il loro valore artistico sia scindibile dal carattere industriale del prodotto al quale sono associate». Come accennato, nel quadro normativo nazionale vigente il criterio della scindibilità del valore artistico è stato definitivamente abbandonato nel 2001: le «opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico» trovano infatti ora piena protezione ex art. 2 co. 1 n. 10, l. 633/1941 (come introdotto a seguito della modifica operata dall’art. 22 co. 1 lett. a) del d.lgs. 95/2001). L’attrazione del design nell’alveo della tutela autoriale si deve alla scelta operata a livello internazionale dalla Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, firmata il 9 settembre 1886 – completata a Parigi il 4 maggio 1896, riveduta a Berlino il 13 novembre 1908, completata a Berna il 20 marzo 1914, riveduta a Roma il 2 giugno 1928, a Bruxelles il 26 giugno 1948, a Stoccolma il 14 luglio 1967 e a Parigi il 24 luglio 1971, che è stata ratificata in Italia dalla legge 20 giugno 1978, n. 399. La Convenzione di Berna impegnava gli Stati unionisti (dei quali l’Italia ha fatto parte fin dai lavori iniziali) a riconoscere la protezione sulle «opere letterarie ed artistiche», tra cui «tutte le produzioni nel campo letterario, scientifico e artistico, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione, come […] le opere delle arti applicate» (art. 2 primo alinea CUB), salvo riservare «alle legislazioni dei Paesi dell’Unione di determinare sia la sfera di applicazione delle leggi relative alle opere delle arti applicate ed ai disegni e modelli industriali, sia le condizioni di protezione di tali opere, disegni e modelli […]» (art. 2 alinea 7 CUB).

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Da ultimo sono intervenuti gli accordi TRIPs sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti il commercio (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Property Rights), adottati a Marrakech il 15 aprile 1994 e attuati in Italia con la legge 29 dicembre 1994, n. 747, di ratifica ed esecuzione degli atti concernenti i risultati dei negoziati dell’Uruguay Round (l’annesso 1C contiene appunto l’Accordo TRIPs). Conformemente all’art. 25 TRIPs, gli Stati aderenti devono assicurare la protezione dei disegni industriali creati indipendentemente, che siano «nuovi o originali», con facoltà tuttavia di adempiere all’obbligo «mediante la normativa in materia di disegno industriale o di diritto d’autore». Nell’attuale assetto legislativo, l’industrial design – nelle sue due componenti di disegni (bidimensionali) e modelli (tridimensionali) industriali – trova quindi protezione in Italia negli artt. 31-44 e 237-241 del d.lgs. 30/2005 e, sotto il profilo procedimentale uniformato, nel regolamento (CE) n. 6/2002. Alle “opere del disegno industriale” «che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico» è inoltre riservato, dall’art. 2 co. 1 n. 10, l. 633/1941, l’accesso alla tutela (cumulativa, al sussistere dei requisiti richiesti per le diverse protezioni) di diritto d’autore. L’industrial design – disegni e modelli industriali e opere del disegno industriale – è ampiamente rappresentato nei musei italiani, con interessanti testimonianze nella regione Emilia-Romagna: «I musei custodiscono una grande quantità di testimonianze di arti applicate all’industria e prodotti di design ricchi di valori artistici, antropologici, tecnici, simbolici e narrativi, sintetizzati nella qualità, nel “ben fatto” che unificano sia valori estetici, sia funzionali»8. La loro valorizzazione, anche nelle forme sempre più evolute indotte dalle nuove tecnologie, non può prescindere dalla gestione degli effetti, su questi “oggetti” – patrimonio di inestimabile valore culturale – dell’insieme (talvolta disomogeneo) delle norme industrialistiche e di diritto d’autore che ne disciplinano l’uso.

Alfredo Tartarini, disegno per un cofanetto, Bologna, MAMbo (foto Andrea Scardova).

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IL DESIGN CUSTODITO NEI MUSEI NEL QUADRO GIURIDICO VIGENTE IN ITALIA Il design nella normativa in materia di beni culturali La nozione di “bene culturale” è in Italia abbastanza recente dato che si deve alla c.d. Commissione Franceschini9, istituita con legge 26 aprile 1964, n. 310 allo scopo di analizzare la legislazione in materia di tutela del patrimonio culturale, elaborando proposte di riforme. Nell’ordinamento giuridico vigente, il tema del regime di protezione del design si interseca con le norme in materia di beni culturali, che trovano attuale disciplina nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio)10. La ragione dell’intersezione dei diversi regimi giuridici diviene evidente dall’analisi del codice in materia di beni culturali e paesaggio. Nell’ambito del patrimonio culturale, che si articola in “beni culturali” e “paesaggistici”, i primi sono costituiti dalle cose immobili e mobili che «presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà» (art. 2 d.lgs. 42/2004); in particolare, i beni culturali sono costituiti dalle cose che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico «appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti» (art. 10 co. 1, d.lgs. 42/2004), quali, tra l’altro, «le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico» (art. 10 co. 1 lett. a), d.lgs. 42/2004). Salvo che per l’applicazione di un paio di norme del codice11, sono sottratte alla disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio unicamente le cose che siano opera di autore vivente, o la cui esecuzione non risalga, per i beni mobili, a oltre 50 anni (ovvero a oltre 70 anni, se si tratta di immobili). La categoria dei beni culturali comprende, inoltre, quando sia intervenuta la dichiarazione dell’interesse culturale, anche «le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse, particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose» (art. 10 co. 3 lett. d), d.lgs. 42/2004); specifiche disposizioni di tutela valgono inoltre «i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni» (art. 11 co. 1 lett. h), d.lgs. 42/2004). Gli enti che detengono i beni culturali sono tenuti alla conservazione, valorizzazione e promozione della conoscenza del patrimonio culturale, assicurando a questi fini «le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura» (art. 6 d.lgs. 42/2004). 98 > ER/DESIGN


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La promozione può essere posta in essere con attività diverse, volte alla fruizione pubblica del bene (ad esempio attraverso la tradizionale esposizione nel museo12), ovvero alla concessione di autorizzazioni per il suo uso individuale. In quest’ultimo caso, l’art. 106, d.lgs. 42/2004 stabilisce che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possano «concedere l’uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti» per «consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna» (art. 107, d.lgs. 42/2004), purché sia garantita la conservazione e integrità del bene. La concessione dell’uso individuale e strumentale – come per altro ogni altra forma di valorizzazione del bene culturale, quand’anche direttamente posta in essere dall’ente che detiene il bene – deve tuttavia avvenire nel rispetto delle disposizioni «in materia di diritto d’autore» (art. 107 co. 1, d.lgs. 42/2004). La normativa di disciplina dei beni culturali non introduce quindi alcuna “eccezione” alle privative di diritto di autore che possono talvolta insistere, ed essere soggette a protezione, sui beni culturali che siano al contempo opere d’arte e design. I disegni e modelli dell’industrial design possono tuttavia essere protetti (anche) da privative industriali che condizionano le modalità con le quali gli enti che li detengono, in qualità di beni culturali, possono procedere alla loro conservazione e – soprattutto – alla loro valorizzazione e concessione in uso. Il design nella normativa industrialistica L’evoluzione della normativa industrialistica in tema di industrial design ha condotto alla protezione di disegni e modelli nel codice della proprietà industriale, assieme a marchi e altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali (art. 1, d.lgs. 30/2005)13.

Sottsass Associati, Casa Cei a Empoli, 1991-1993, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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I diritti di proprietà industriale sul design (registrato) si acquistano mediante registrazione (art. 2 co. 3, d.lgs. 30/2005), nel senso che l’attività amministrativa di registrazione ha natura di accertamento costitutivo14. Essa può avere per oggetto «l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto15 stesso ovvero del suo ornamento16» (art. 31, d.lgs. 30/2005), a condizione tuttavia che siano “nuovi” e abbiano “carattere individuale”. Novità e carattere individuale rappresentano i principali requisiti di accesso alla tutela industriale al pari – mutatis mutandi – dell’originalità e creatività per quella autoriale. Un disegno o modello è “nuovo” se nessuno identico è stato divulgato anteriormente alla data di presentazione della domanda di registrazione, ovvero, qualora si rivendichi la priorità, anteriormente alla data di quest’ultima. I disegni o modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono soltanto per dettagli irrilevanti (art. 32, d.lgs. 30/2005). Particolare interesse assume, per i temi qui trattati, il requisito del “carattere individuale”, cui è dedicato l’art. 33, d.lgs. 30/2005, a termini del quale un disegno o modello ha carattere individuale se l’impressione generale nell’utilizzatore informato differisce da quella generale suscitata «da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato prima della data di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità, prima della data di quest’ultima» (art. 33 co. 1, d.lgs. 30/2005), fermo restando che nell’accertare il carattere “individuale” si deve prendere in considerazione «il margine di libertà di cui l’autore ha beneficiato nel realizzare il disegno o modello» (art. 33 co. 2, d.lgs. 30/2005)17. La necessità di un certo margine di libertà – diremmo “discrezionalità creativa” se volessimo utilizzare il parallelo, ma diverso, concetto sviluppato nell’ambito delle opere dell’ingegno per escludere la protezione autoriale sulle forme espressive prive di sufficiente ridondanza18 – è ribadito nell’art. 36, d.lgs. 30/2005, per il quale non sono proteggibili come disegni o modelli le caratteristiche dell’aspetto del prodotto che siano «determinate unicamente dalla funzione tecnica del prodotto stesso» (art. 36 co. 1, d.lgs. 30/2005), così come «le caratteristiche dell’aspetto del prodotto che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per potere consentire al prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o al quale è applicato di essere unito o connesso meccanicamente con altro prodotto, ovvero di essere incorporato in esso oppure intorno o a contatto con esso, in modo che ciascun prodotto possa svolgere la propria funzione» (art. 36 co. 2, d.lgs. 30/2005). Allorquando il design abbia i requisiti per la registrazione, la protezione delle esclusive concesse dura cinque anni a decorrere dalla data di presentazione della domanda e il titolare può ottenere la proroga della durata, per uno o più periodi di cinque anni, fino a un massimo di venticinque anni dalla data di presentazione della domanda di registrazione (art. 37, d.lgs. 30/2005).

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La registrazione di un disegno o modello conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi di utilizzarlo senza il suo consenso (art. 41 co. 1, d.lgs. 30/2005). La disciplina codicistica specifica che «costituiscono in particolare atti di utilizzazione la fabbricazione, l’offerta, la commercializzazione, l’importazione, l’esportazione o l’impiego di un prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o al quale è applicato, ovvero la detenzione di tale prodotto per tali fini» (art. 41 co. 2, d.lgs. 30/2005). I diritti esclusivi conferiti dalla registrazione di un disegno o modello si estendono a qualunque altro che non produca nell’utilizzatore informato una impressione generale diversa (art. 41 co. 3, d.lgs. 30/2005); tuttavia nel determinare l’estensione della protezione si tiene conto del margine di libertà dell’autore nella realizzazione del disegno o modello (art. 41 co. 4, d.lgs. 30/2005). In relazione alle esclusive industriali, l’art. 42, d.lgs. 30/2005 regola le eccezioni applicabili al design stabilendo che i diritti conferiti dalla registrazione del disegno o modello non si estendono: (i) agli atti compiuti in ambito privato e per fini non commerciali, (ii) oppure a fini di sperimentazione, nonché (iii) agli atti di riproduzione necessari per le citazioni o per fini didattici19, purché in ogni caso siano compatibili con i principi della correttezza professionale, non pregiudichino indebitamente l’utilizzazione normale del disegno o modello e sia indicata la fonte. Come si è accennato, la nuova normativa comunitaria riconosce la protezione di disegni o modelli anche non registrati (art. 1 co. 2 lett. a), regolamento (CE) n. 6/2002). In questo caso la tutela deriva, anziché dalla registrazione (come avviene per il design registrato), dalla prima divulgazione del design al pubblico. I due tipi di protezione si differenziano tuttavia per i diritti conferiti al designer giacché solo al disegno o modello comunitario registrato è attribuito un diritto

Alfredo Tartarini, studio per una specchiera, Bologna, MAMbo (foto Andrea Scardova).

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di monopolio pieno (del tipo previsto dal codice della proprietà industriale, sopra ricordato), mentre la protezione del design non registrato non si estende ai disegni o modelli creati “indipendentemente” da un soggetto che non conosceva (o che non aveva motivo di essere a conoscenza) il precedente non registrato, e non permette al suo titolare di vietare, oltre la copia pura e semplice, l’uso di forme simili che non destino però nell’utilizzatore informato una impressione visiva di insieme diversa. Per quanto attiene alla durata della protezione, il regolamento (CE) n. 6/2002 ha stabilito che la tutela operi «per un periodo di tre anni dalla data in cui il disegno o modello è stato divulgato al pubblico per la prima volta nella Comunità» (art. 11 co. 1, regolamento (CE) n. 6/2002). Il design nel diritto di autore Nel quadro normativo vigente, l’industrial design non trova protezione unicamente nell’ambito delle privative industrialiste. L’art. 2 co. 1, n. 10 della l. 633/41, come risultante dalle modifiche apportate dal d.lgs. 95/2001, include infatti espressamente tra le opere tutelate da diritto di autore il disegno industriale «che presenti di per sé carattere creativo e valore artistico». In precedenza erano proteggibili da diritto d’autore le opere delle arti figurative e le opere applicate all’industria, la cui tutela era però subordinata alla condizione che il valore artistico fosse “scindibile” dal carattere industriale del prodotto. La dottrina aveva quindi elaborato il c.d. criterio della scindibilità o dissociabilità dell’opera d’arte dal prodotto. Questo criterio è stato ora abbandonato, considerato che le opere dell’industrial design sono protette come opere dell’ingegno se di carattere “creativo”, senza che sia necessario scindere idealmente il valore artistico dal prodotto in sé. Nell’attuale assetto, ai fini della protezione coma opera dell’ingegno, l’industrial design deve presentare valore artistico “di per sé” considerato20, in senso assoluto sotto il profilo merceologico21. Contrariamente a quanto accade nella protezione industrialistica, esso è tutelato da diritto di autore se la “forma” (bi o tri dimensionale) è connotata dalla “personale rappresentazione” dell’autore, e non perché si presta all’attenzione del consumatore in quanto non comune nel mercato22. L’ulteriore requisito del “valore artistico” è tuttora soggetto a diverse interpretazioni. Un primo orientamento propone di ritenere che l’opera del design assolva a tale requisito se possiede «carattere creativo e caratteristiche individuali in misura così spiccata da poter essere apprezzata dal pubblico sul piano estetico indipendentemente dalle altre caratteristiche o dagli altri pregi del prodotto»23. Questo criterio introduce una evidente discriminazione tra designer – che sarebbero protetti al solo sussistere di una creatività “spiccata”, e altri autori di opere dell’ingegno; esso è tuttavia seguito almeno da una parte dei giudici nazionali, che escludono che il valore artistico coincida con il carattere creativo o con la semplice gradevolezza estetica e richiedono che la forma sia apprezzata in sé «presentando una originalità più spiccata»24. La giurisprudenza prevalente tenta tuttavia di conferire maggiore spessore e oggettività all’accertamento del requisito dell’autonomo valore artistico, enfatizzando il particolare contributo 102 > ER/DESIGN


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che il designer ha saputo dare rispetto alla media del settore nel suscitare un apprezzamento estetico che prevalga sulle specifiche funzionalità del prodotto, conferendo all’oggetto di design una permanente «capacità rappresentativa ed evocativa»25. In questo senso, dovrebbe essere valutato anche il «riconoscimento della storia», ovvero la considerazione oggettiva (riscontrabile tramite mostre, recensioni ed esposizioni nei musei) dell’opinione che la collettività ha dell’opera come «meritevole di quel particolare apprezzamento che circonda l’opera d’arte»26. Molte pronunce hanno valorizzato questo profilo, valutando l’esposizione in mostre, musei e recensioni come significativi elemento di ausilio27. Accanto a essi dovrebbe, secondo parte degli interpreti, essere considerata la capacità dell’opera di design di suscitare una «particolare emozione estetica», cioè sensazioni intellettuali che prescindono dalla valenza utilitaria del prodotto28. Considerato il cumulo potenziale della protezione industriale e autoriale potrebbe tuttavia essere in definitiva utile recuperare un’interpretazione del requisito del valore artistico in termini di “libera scelta” del designer29, permettendo all’industrial design di assurgere alla maggiore protezione come opera allorquando la scelta formale non sia influenzata dalla necessità di conseguire un risultato tecnico, ma sia derogabile «in un numero potenzialmente illimitato di forme alternative»30. All’applicazione delle norme di protezione delle opere dell’ingegno consegue che il design-creazione intellettuale è riconosciuto e tutelato da diritto d’autore nel momento in cui trova estrinsecazione nel mondo materiale (momento co-

Ico Parisi, disegno di poltrona con braccioli a nastro, 1962, Modena, Galleria Civica.

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stitutivo del diritto), mentre la forma e il modo di esteriorizzazione possono essere i più diversi. Il diritto si costituisce quindi nel momento in cui la creazione viene posta in essere (estrinsecata), senza che sia necessario alcuna formalità costitutiva: «il titolo originario dell’acquisto dei diritti di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale» (art. 2576 c.c. e art. 6, l. 633/41). La normativa vigente attribuisce all’autore di un’opera dell’ingegno – e quindi anche del designer creativo – una serie di facoltà esclusive articolate in due categorie funzionalmente distinte: da un lato i diritti morali sull’opera, dall’altro i diritti di utilizzazione economica. Indipendentemente dalla titolarità dei diritti di sfruttamento patrimoniale, l’autore gode sempre del diritto morale sull’opera creata, disciplinato dagli artt. 2577 c.c. e artt. 20-24, l. 633/1941. Il contenuto morale del diritto consiste nella possibilità dell’autore di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi agli atti lesivi della sua integrità; esso è inalienabile, irrinunciabile e indisponibile. I diritti di utilizzazione economica consistono invece nella possibilità per l’autore di «utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato» (art. 12 co. 2, l. 633/41); questi ultimi sono direttamente finalizzati a garantire l’esclusiva dell’autore sullo sfruttamento commerciale dell’opera e sono trasmissibili in tutte le forme ammesse dalla legge. Per quanto concerne la durata delle facoltà patrimoniali d’autore, l’art. 44 del d.lgs. 30/2005, nella formulazione seguita alla modifica dovuta all’art. 4 co. 4 del decreto legge 15 febbraio 2007, n. 10 (disposizioni volte a dare attuazione a obblighi comunitari e internazionali), ha introdotto anche per il design il termine di 70 anni dopo la morte dell’autore, o dopo la morte dell’ultimo dei coautori; nell’assetto vigente, la durata è quindi comune a quella generale dettata per le altre opere dell’ingegno. In relazione all’applicazione temporale della nuova disciplina che permette il cumulo della protezione sulle opere dell’industrial design, l’art. 239, d.lgs. 30/2005 ha stabilito che la tutela accordata ai disegni e modelli dalla legge sul diritto di autore comprende anche le opere del disegno industriale che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, erano, oppure erano divenute, di pubblico dominio. Tuttavia i terzi che avevano fabbricato o commercializzato, nei 12 mesi anteriori al 19 aprile 2001, prodotti realizzati in conformità con le opere del disegno industriale allora in pubblico dominio non rispondono della violazione del diritto d’autore compiuta proseguendo questa attività anche dopo tale data, limitatamente ai prodotti da essi fabbricati o acquistati prima del 19 aprile 2001 e a quelli da essi fabbricati nei 13 anni successivi a tale data e purché detta attività si sia mantenuta nei limiti anche quantitativi del preuso.

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CONSERVAZIONE, VALORIZZAZIONE E USO DEL DESIGN DETENUTO NEI MUSEI PUBBLICI Il design come bene culturale: interferenza tra le privative industrialistiche e di diritto di autore sul design e disciplina dei beni culturali Dalla sintetica disamina del quadro normativo vigente emerge che il design può essere al contempo un “bene culturale” e un bene protetto da privative industriali e autoriali. Questo può accadere nel caso in cui l’opera di design, detenuta in museo, pinacoteca, galleria e altro luogo espositivo, sia di un autore non deceduto da oltre settant’anni che, benché la sua esecuzione risalga ad almeno cinquant’anni, possa ancora godere della registrazione come disegno o modello (perché avvenuta postuma, o comunque anni dopo la sua realizzazione), oppure, sebbene non registrata, sia stata divulgata da meno di tre anni. Per quanto quest’ultima ipotesi sia evidentemente residuale – ma non si possa del tutto escludere – l’evenienza che l’oggetto di industrial design sia protetto da registrazione e diritto d’autore, o almeno come opera di design, è tutt’altro che infrequente. A questo proposito occorre anche ricordare l’effetto dell’applicazione del principio di valorizzazione dell’esposizione dell’oggetto in un museo o in mostra ai fini stessi della sua qualificazione in termini di opera di design. Come ricordato, la circostanza che un oggetto di design sia presente nella collezione museale dell’ente territoriale ha l’effetto di far deporre – almeno a livello di indizio – per la sua protezione come opera dell’ingegno, con la conseguente applicazione della relativa disciplina per l’ordinario termine della vita dell’autore e fino allo scadere del settantesimo anno dopo la sua morte.

Ico Parisi, disegno di lampada antropomorfa per la ditta Lamperti, 1973, Modena, Galleria Civica.

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Nel contesto descritto, l’ente che detiene (in proprietà o mera detenzione materiale) l’oggetto di industrial design è chiamato a valutare e bilanciare le finalità della sua conservazione, valorizzazione e uso al rispetto delle esclusive – potenzialmente sia autoriali sia industrialistiche – che possono sussistere in favore del designer (o suoi successori e aventi causa). Tra le privative patrimoniali su opera dell’ingegno, particolare rilievo assume nel contesto dei temi trattati in questa sede, il diritto di riproduzione. La giurisprudenza ha infatti chiarito che quando la copia ha per oggetto un’opera figurativa, il sottostante diritto di riproduzione non si esplica unicamente attraverso la “replicazione” del corpus mechanicum (moltiplicazione in copie identiche), ma anche con qualsiasi atto di utilizzazione dell’opera o della sua immagine: l’art 13, l. 633/1941 sancisce il diritto esclusivo dell’autore a riprodurre l’opera d’ingegno, in ogni forma e con ogni mezzo, anche in copie non aventi identico contenuto estetico dell’originale […] L’art. 13 della legge 633/41 applicato alle opere d’arte figurative non vieta unicamente la moltiplicazione di copie fisicamente identiche all’originale, ma protegge l’utilizzazione economica che può effettuare l’autore mediante qualunque altro tipo di moltiplicazione dell’opera in grado di inserirsi nel mercato della riproduzione31.

In relazione all’eventuale conflitto tra i diritti (quand’anche di proprietà) spettanti all’ente che detiene il bene culturale e quelli (d’autore) spettanti al suo creatore, è interessante notare che la giurisprudenza si è espressa sancendo che la soluzione del conflitto a favore di quest’ultimo non si ritorce in una lesione degli interessi generali al libero accesso alla cultura, atteso che l’attribuzione del diritto esclusivo di riproduzione al proprietario dell’opera, anziché all’autore, non sembra implicare alcuna sostanziale modificazione sull’assetto degli interessi perseguito dal legislatore per realizzare un equilibrio tra i diritti di utilizzazione economica dell’opera e gli interessi culturali della collettività32.

Sotto l’ulteriore profilo dell’interferenza tra privative sul design registrato e normativa beni culturali, si ritiene che il portato dell’art. 41, d.lgs. 30/2005 conferisca al titolare del diritto su disegno o modello il diritto esclusivo di utilizzarlo in qualunque modo o forma, secondo principi generali in materia di contenuto delle esclusive di proprietà intellettuale; in questo senso è da ritenere che l’elenco degli atti di utilizzazione espressamente riservati al titolare della norma industrialista abbia valenza meramente esemplificativa33. La conseguenza è che ogni singola forma di utilizzazione non autorizzata costituisce violazione dei diritti sul disegno e modello, così come ogni atto che possa portare a riprodurlo deve essere ritenuto “fabbricazione”, indipendentemente dalle modalità impiegate34, e ciò anche qualora la realizzazione della copia abbia comportato uno sforzo autonomo di progettazione e la soluzione di un problema tecnico35.

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Ai fini della determinazione dell’estensione della tutela si deve fare riferimento alla figura dell’utilizzatore informato, in modo da considerare vietati anche disegni e modelli applicati a prodotti in ambiti diversi da quello del prodotto per cui era registrato, quando l’utilizzatore informato operante in quest’ultimo mercato percepisca l’incorporazione come priva di un proprio carattere individuale36. La tutela viceversa non si estende – secondo i principi comuni nel settore della proprietà intellettuale – fino a proteggere l’idea o la concezione generale che la caratteristica formale sottende37; del pari essa non comprende le forme del prodotto che sono determinate unicamente dalla sua funzione tecnica38. L’ente che detiene l’oggetto di design ancora protetto da esclusive, il quale intendesse effettuare o autorizzare la sua utilizzazione, è quindi tenuto a valutarne la natura giuridica anche in termini di modello o disegno: benché l’art. 107, d.lgs. 42/2004 richiami il solo limite del diritto d’autore, è evidente che uguale salvaguardia deve essere garantita in favore dei titolari di esclusive industrialiste laddove l’uso – che l’ente museale volesse concedere a un privato o porre in essere direttamente – confliggesse con le privative spettanti al designer. Come osservato, la disciplina dei beni culturali non dispone infatti alcuna eccezione o limitazione ai diritti di proprietà intellettuale eventualmente sussistenti sul bene culturale, così che la loro utilizzazione – quand’anche a fini di conservazione o valorizzazione – deve essere contenuta nell’ambito di quanto autorizzato dal titolare del diritto o, in mancanza di autorizzazione, delle eccezioni al diritto. Quanto a queste ultime, la normativa vigente in materia di design registrato riconosce esplicitamente una libera utilizzazione per fini di citazione o esigenze didattiche, purché non interferente con il normale sfruttamento del design, potendo sostituire l’acquisto dell’originale39. In caso di libera utilizzazione a questi fini, è sancita – sia dalla normativa autore, sia da quella in materia di design registrato – la necessità della citazione della fonte di provenienza, ossia dell’autore del disegno o modello e il soggetto titolare della registrazione40. Secondo alcuni interpreti sarebbe inoltre possibile coordinare le norme sulle libere utilizzazioni in materia di design registrato e di diritto d’autore, estendendo all’opera di design registrata (cumulativamente protetta da entrambe le discipline) le ipotesi di libera utilizzazione previste dalle due discipline41. Tra queste, assumono particolare rilievo alcune norme introdotte nella legge autore in relazione agli usi per finalità didattiche o a favore dei portatori di disabilità strettamente correlate alla valorizzazione e utilizzazione dei beni culturali mediante strumenti innovativi. Nuove forme di valorizzazione del patrimonio museale costituito dal design I nuovi strumenti tecnologici per la fruizione dislocata del bene detenuto nel museo impongono di riflettere sul coordinamento tra norme, evoluzione del design ed evoluzione della tecnologia. Proprio quest’ultima induce oggi possibilità inedite per valorizzare le collezioni museali, permettendo agli utenti una fruizione dislocata, individuale e interattiva via rete telematica, oppure allar-

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gata, aumentata e digitalmente arricchita tramite strumenti ottici innovativi, o addirittura una loro replicazione in ologramma e stampa 3D. Numerosi sono gli esempi di musei, archivi, pinacoteche e gallerie che partecipano a progetti innovativi, al precipuo fine di conservare, valorizzare e promuovere la conoscenza del patrimonio culturale, assicurando le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, e così «promuovere lo sviluppo della cultura» secondo i dettami del Codice dei beni culturali e del paesaggio (in specie ex art. 6, d.lgs. 42/2004). Le nuove forme di fruizione via rete telematica impongono però anche di considerare gli effetti delle privative intellettuali sul design. In tema di sfruttamento telematico, ad esempio, va valutata la norma vigente in materia di comunicazione al pubblico c.d. on demand ex art. 16, l. 633/1941, secondo la quale spetta all’autore autorizzare o vietare qualsiasi forma di comunicazione dell’opera al pubblico, comprese le forme attuate mediante la messa a disposizione dell’opera in modo tale che ciascuno vi possa avere accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente42.

Alfredo Tartarini, tavola a china con il decoro di una serratura, Bologna, MAMbo (foto Andrea Scardova).

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Le modifiche, anche solo nelle proporzioni, dell’opera dell’industrial design per la sua fruizione allargata, aumentata o digitalmente arricchita devono inoltre confrontarsi con l’esclusiva del designer creativo in tema di replicazione (nel cui ambito può ben collocarsi la stampa 3D dell’oggetto di design) e riproduzione ex art. 13, l. 633/1941 – concetti sui quali, come ricordato, la giurisprudenza ha già avuto modo di pronunciarsi43, oltre che di modificazione ed elaborazione. Proprio l’elaborazione dell’opera, nel senso del suo “arricchimento” (mediante sistemi di integrazione informativa digitale), alterazione dimensionale o addirittura nel corpus mechanicum (come avviene nel caso degli ologrammi), induce a porre attenzione al tema della modifica dell’opera, intesa in termini di esclusiva sulle elaborazioni e protezione del diritto morale di integrità. Con riferimento alla componente patrimoniale dell’esclusiva, l’art. 18 co. 2, l. 633/1941 assicura infatti all’autore il diritto esclusivo di elaborare l’opera mediante tutte le forme di modificazione, di elaborazione e di trasformazione dell’opera, quali le traduzioni in altra lingua, le trasformazioni da una in altra forma letteraria o artistica, le modificazioni e aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell’opera originaria, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi, le variazioni non costituenti opera originale. In tema di elaborazione, particolare importanza assume invece l’art. 20 co. 1, l. 633/1941, che riconosce all’autore il diritto di «rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione, ed ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione», assumendolo nell’ambito dei diritti morali spettanti all’autore e quindi statuendo la sua inalienabilità, irrinunciabilità e indisponibilità44. La necessaria autorizzazione del designer a porre in essere (o permettere a terzi) queste forme di utilizzazione potrà non essere necessaria unicamente al sussistere di una ipotesi di eccezione o limitazione del diritto45. Tra queste, particolare rilievo possono svolgere quelle regolate agli artt. 70, 71 bis e 71 ter, l. 633/1941. La prima norma (art. 70, l. 633/1941) dispone un’eccezione per la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera, e per la loro comunicazione al pubblico, per uso di critica o di discussione, fini di insegnamento o di ricerca scientifica, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera. La norma ha un parallelo nel citato art. 42 co. 1 lett. c), d.lgs. 30/2005. L’art. 71 bis, l. 633/1941 riconosce la possibilità per i portatori di particolari handicap di riprodurre e comunicare al pubblico, per uso personale, materiali protetti, purché tali atti siano direttamente collegati all’handicap, non abbiano carattere commerciale e si limitino a quanto richiesto dall’handicap. In tema di facilitazione dell’accesso alla cultura da parte dei disabili è recentemente intervenuto anche il Trattato internazionale di Marrakech nel giugno 2013, entrato in vigore il 30 settembre 2016 e per la cui attuazione il 14 settembre 2016 la Commissione UE ha presentato un progetto di regolamento e un progetto di direttiva; quest’ultimo importante intervento limita tuttavia la sua portata alle

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opere in forma di testo (e risulta quindi di residuale applicazione per il tema qui trattato dell’industrial design). Da ultimo, l’art. 71 ter, l. 633/1941 dispone la libera comunicazione o la messa a disposizione destinata a singoli individui, a scopo di ricerca o di attività privata di studio, su terminali aventi tale unica funzione situati nei locali delle biblioteche accessibili al pubblico, degli istituti di istruzione, nei musei e negli archivi, limitatamente alle opere o ad altri materiali contenuti nelle loro collezioni e non soggetti a vincoli derivanti da atti di cessione o da licenza. La disposizione potrebbe quindi trovare applicazione almeno per le forme di valorizzazione del design museale tese a permettere a singoli utenti di visualizzare riproduzioni fotografiche degli oggetti in collezione, per meglio percepirne i caratteri stilistici, magari attraverso l’arricchimento con informazioni correlate. I nuovi strumenti tecnologici per la fruizione dislocata, individuale, allargata, aumentata, arricchita, olografica o in stampa 3D sono certamente vincenti per ampliare e diversificare i pubblici degli utenti delle collezioni museali. La disciplina sulla proprietà intellettuale disegna tuttavia un chiaro perimetro all’interno del quale operare. Come ogni forma di utilizzazione di opere dell’ingegno o soggette a privative industriali, i detentori del corpus mechanicum sono chiamati a salvaguardare i diritti di proprietà intellettuale che sulle stesse insistono, in un bilanciamento che valorizzi l’interesse della collettività all’accesso al patrimonio culturale museale e quello comune allo sviluppo artistico. Valutando che proprio quest’ultimo ha permesso l’ampio apprezzamento dell’industrial design e ha fatto divenire il made in Italy sinonimo di riconoscibilità e individualità nel mondo.

Note 1 Nel senso che la nozione di disegno e modello comprende anche la forma che conferisce «utilità d’uso» al prodotto, salvo che non sia dettata solo da questa funzione, vedi Vittorio Maria De Sanctis, I disegni e modelli ornamentali dopo la Direttiva 98/71/ CE, «AIDA», 1999, pp. 298 ss., in particolare p. 301. 2 Franco Benussi, Design (voce), in Digesto, Torino, Utet, 2003. 3 Flaviano Celaschi, Quotidiano extra-ordinario, Progetto, civiltà e cultura dei prodotti industriali italiani, in questo volume. 4 La tutela sarebbe da intendersi oggi estesa a tutte le forme utili a «stabilire una relazione» con il consumatore. In questo senso vedi Davide Sarti, Marchi di forma ed imitazione servile di fronte alla disciplina europea del design, in Adriano Vanzetti, Segni e forme distintive, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 249 ss., in particolare p. 255.

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5 Il design contribuisce in tal senso alla caratterizzazione e all’accreditamento dell’immagine aziendale (Nicholas Jenkins, The business of image: visualising the corporate message, UK, Kogan Page, 1991, p. 9). Il nuovo sistema normativo di protezione del design è infatti caratterizzato, secondo molti commentatori, dalla finalità di tutelare gli investimenti che creano forme apprezzate nel mercato. In questo senso vedi Nadia Zorzi, La protezione dei disegni e dei modelli ornamentali in Europa, «Contratto e impresa Europa», 1997, pp. 203 ss., in particolare p. 215; Davide Sarti, Il sistema di protezione comunitario dei disegni e modelli industriali, «Contratto e impresa Europa», 1999, pp. 751 ss., in particolare p. 758; Fabrizio Sanna, Disegni e modelli, in Luigi Carlo Ubertazzi (a cura di), La proprietà intellettuale, Torino, Giappichelli, 2011, p. 182. 6 In questo senso si esprime F. Sanna, Disegni e modelli cit., p. 184.


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7 In tema di design – nell’accezione di progettazione per il miglioramento della funzionalità o usabilità di un prodotto –, interessanti appaiono le «Disposizioni generali», emesse a Milano nel 1821 da parte dell’impero austro-ungarico per la normalizzazione e la regolamentazione delle concessioni «dei privilegi esclusivi». In esse è rinvenibile un editto di Francesco I, dal titolo «sovrana patente 8 dicembre 1820 portante un metodo uniforme nella concessione dei privilegi esclusivi per le scoperte, le innovazioni ed i miglioramenti in ogni ramo d’industria». 8 Claudia Collina, Breve e non esauriente viaggio tra arti e design nei musei dell’Emilia-Romagna, in questo volume. 9 La Commissione era ufficialmente denominata «Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose di interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio»; essa è comunemente nota come Commissione Franceschini, dal nome del suo presidente. 10 Per un commento ampio delle nuove norme in materia di beni culturali, vedi Guido Alpa, Renato Speciale, Beni culturali e ambientali, in Digesto civile, II, Torino, UTET, 1988; Nicola Assini, Paolo Francalacci, Manuale dei beni culturali, Padova, CEDAM, 2000; Nicola Assini, Giovanni Cordini, I beni culturali e paesaggistici, diritto interno, comunitario e internazionale, Padova, CEDAM, 2006. 11 Il riferimento è alle norme in materia di attestati di conformità e provenienza (art. 64, d.lgs. 42/2004) e sulla repressione della contraffazione di opere d’arte (art. 178, d.lgs. 42/2004). 12 Sulle più innovative forme di valorizzazione dei beni culturali vedi amplius il successivo paragrafo “Nuove forme di valorizzazione del patrimonio museale costituito dal design”. 13 In tema di modifiche legislative introdotte dalla direttiva disegni e modelli, vedi V.M. De Sanctis, I disegni e modelli ornamentali dopo la Direttiva 98/71/ CE cit., pp. 298 ss.; Giorgio Mondini, La Direttiva comunitaria sulla protezione giuridica di disegni e modelli, «Nuove leggi civili commentate», 2001, pp. 947 ss.; D. Sarti, Marchi di forma ed imitazione servile di fronte alla disciplina europea del design cit., pp. 249 ss.; da ultimo, Floridia Giorgio, I disegni e modelli, in Marco Ricolfi, Paolo Spada, Paolo Auteri, Giorgio Floridia, Vito Maria Mangini, Romano Rosaria, Diritto industriale, Torino, Giappichelli, 2016, pp. 309 ss.

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14 Da notare tuttavia che il regolamento (CE) n. 6/2002 ha introdotto nell’area europea una sorta di protezione anche per il design non registrato. 15 L’art. 31 co. 2, d.lgs. 30/2005 definisce “prodotto” qualsiasi «oggetto industriale o artigianale, compresi tra l’altro i componenti che devono essere assemblati per formare un prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri tipografici, esclusi i programmi per elaboratore». 16 Sui requisiti di protezione vedi Davide Sarti, La tutela dell’estetica del prodotto industriale, Milano, Giuffrè, 1990, pp. 118 ss.; più ampiamente sul tema, vedi Giuseppe Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, Milano, Giuffrè, 1990, pp. 573 ss. 17 Sulla nozione di carattere individuale vedi D. Sarti, Marchi di forma ed imitazione servile di fronte alla disciplina europea del design cit., p. 249. 18 Il carattere individuale non coincide con lo sforzo creativo della legge autore perché la selezione non riguarda le forme apprezzate dal pubblico, ma quelle di prodotti apprezzati dai consumatori perché «non comuni» per i potenziali acquirenti (in questo senso D. Sarti, Il sistema di protezione comunitario dei disegni e modelli industriali cit., p. 758; in giurisprudenza, da ultimo Trib. Bologna, 22 marzo 2010, «Giurisprudenza annotata di diritto industriale» (d’ora in poi GADI), 2011, p. 271). 19 La norma contenuta nell’art. 42 co. 1 lett. c), d.lgs. 30/2005 ha rappresentato una assoluta novità in Italia. Per un commento vedi Eduardo Bonasi Benucci, La tutela della forma nel diritto industriale, Milano, Giuffrè, 1963, p. 284. 20 In merito alla nozione di valore artistico “in sé” vedi Cesare Galli, L’attuazione della direttiva comunitaria sulla protezione dei disegni e modelli, «Nuove leggi civili commentate», 2001, p. 893. 21 In questo senso si esprime Philipp Fabbio, Disegni e modelli, Padova, Cedam, 2012, p. 189. 22 Si può notare che la nozione è diversa anche da quella adottata per la protezione del marchio, per la quale assume rilevanza la riconducibilità all’impresa.


/ Tutela legale del design

23 In questo senso Paolo Auteri, in Paolo Spada e Giovanni Ghidini, Industrial design e opere d’arte applicate all’industria (dialogo tra Paolo Spada e Paolo Auteri commentato da Gustavo Ghidini), «Rivista di diritto civile», 2002, pp. 272 ss., in particolare p. 276; Davide Sarti, Tutela dei disegni e modelli comunitari tra imitazione servile e protezione del diritto d’autore, «Il diritto di autore», 2008, pp. 170 ss., in particolare p. 172. 24 In questo senso si è espressa anche la Suprema Corte: «Ai fini della tutelabilità, in base alla normativa sul diritto d’autore, di una creazione d’arte applicata all’industria, l’art. 2, n. 10, della l. n. 633 del 1941 esige che l’opera di “industrial design” abbia un “quid pluris” costituito dal valore artistico, la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione, che può essere ricavato da una serie di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista» (Cass. 13 novembre 2015, n. 23292, «Diritto Industriale», 6, 2016, p. 527). 25 Tra le ultime decisioni che adottano questo criterio, vedi Trib. Milano, 13 settembre 2012, «GADI», 2012, p. 1134; Trib. Milano, 12 settembre 2012, «AIDA», 2014, 816; Trib. Milano, 2 agosto 2012, «AIDA», 2012, 789. 26 Vincenzo Di Cataldo, Dai vecchi ‘disegni e modelli ornamentali’ ai nuovi ‘disegni e modelli’ - I requisiti di proteggibilità secondo il nuovo regime, «Europa e diritto privato», 2002, p. 82. 27 In questo senso, da ultimo si è orientata anche la giurisprudenza di legittimità, secondo cui «il valore artistico richiesto per la proteggibilità dell’opera di industrial design non può essere escluso dalla serialità della produzione degli articoli concepiti progettualmente, che è connotazione propria di tutte le opere di tale natura, ma va ricavato da indicatori oggettivi, non necessariamente concorrenti, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista» (Cass. 23 marzo 2017, n. 7477, «Diritto & Giustizia», 2017).

112 > ER/DESIGN

28 Trib. Roma, 26 marzo 2008, «AIDA», 2009, p. 635. 29 L’orientamento che qui si condivide è riconducibile a P. Auteri, in P. Spada e G. Ghidini, Industrial design e opere d’arte applicate all’industria (dialogo tra Paolo Spada e Paolo Auteri commentato da Gustavo Ghidini) cit., p. 273. 30 Trib. Firenze, 6 agosto 2003, «AIDA», 2004, 987. 31 Cass. 19 dicembre 1996, n. 11343, «Rivista di diritto industriale», 1997, II, p. 75. 32 App. Roma, 8 febbraio 1993, «Il diritto d’autore», 1994, p. 440. 33 In questo senso Mario Franzosi, European Design Protection, Commentary to Directive and Regulation, Kluwer Law International, 1996, p. 128; Vittorio Maria De Sanctis, La protezione delle forme nel codice della proprietà industriale, Milano, Giuffrè, 2009, p. 158; F. Sanna, Disegni e modelli cit., p. 204. 34 Trib. Milano, 12 novembre 1992, «GADI», 1992, p. 875. 35 Trib. Milano, 12 aprile 1984, «GADI», 1984, p. 1766. 36 M. Franzosi, European Design Protection, Commentary to Directive and Regulation cit.; F. Sanna, Disegni e modelli cit., p. 203. 37 In questo senso, in dottrina: F. Sanna, Disegni e modelli cit., p. 203; in giurisprudenza: Trib. Milano, 6 luglio 2010, ord., «Sezioni Specializzate Proprietà Intellettuale», 2009-2010. 38 Trib. Bologna, 2 luglio 2004, ord., «Sezioni Specializzate Proprietà Intellettuale», 2004. 39 Ph. Fabbio, Disegni e modelli cit., p. 169. 40 La mancata indicazione sarebbe contraria alla correttezza professionale (Trib. Milano, 31 gennaio 2011, «GADI», 2011, p. 664); il designer ha il diritto a essere riconosciuto come autore del disegno e modello nell’attestato di registrazione, anche se non conserva i diritti di sfruttamento patrimoniali (Luigi Carlo Ubertazzi, Profili soggettivi del brevetto, Milano, Giuffrè, 1985, p. 226). 41 La possibile applicazione estensiva è suggerita da F. Sanna, Disegni e modelli cit., p. 203.


/ Tutela legale del design

42 Testualmente l’art. 16, l. 633/1941 dispone: «1. Il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico su filo o senza filo dell’opera ha per oggetto l’impiego di uno dei mezzi di diffusione a distanza, quali il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione ed altri mezzi analoghi e comprende la comunicazione al pubblico via satellite, la ritrasmissione via cavo, nonché le comunicazioni al pubblico codificate con condizioni particolari di accesso; comprende, altresì, la messa a disposizione del pubblico dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente», sancendo altresì al secondo comma che «Il diritto di cui al comma 1 non si esaurisce con alcun atto di comunicazione al pubblico, ivi compresi gli atti di messa a disposizione del pubblico». 43 L’art. 13, l. 633/1941 dispone: «Il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di

113 > ER/DESIGN

riproduzione». In conformità alla giurisprudenza formatasi sul punto, il diritto comprende sia la replicazione in copie identiche (come potrebbe essere per le realizzazioni di copie 3D dell’oggetto tridimensionale di design), sia la riproduzione bidimensionale (ad esempio mediante fotografia) (Cass. 19 dicembre 1996, n. 11343 cit.). È facile vedere come oggi il medesimo principio debba applicarsi alla riproduzione mediante campionamento digitale dell’oggetto di industrial design. 44 La normativa italiana, tuttavia, ammette che «l’autore che abbia conosciute ed accettate le modificazioni alla propria opera non è più ammesso ad agire per impedirne l’esecuzione o per chiederne la soppressione» (art. 22, l. 633/1941). 45 Sull’applicabilità alle opere dell’industrial design registrato delle eccezioni e limitazioni disposte dalla legge autore si rinvia a quanto osservato nel precedente paragrafo “Il design come bene culturale: interferenza tra le privative industrialistiche e di diritto di autore sul design e disciplina dei beni culturali”.


/ I luoghi del design in Emilia-Romagna

Per agevolare l’identificazione dei nuclei collezionistici di design censiti si è scelto di fare riferimento alle categorie tematiche elaborate dall’ADI, Associazione per il Disegno Industriale, identificate dalle icone riprodotte sulle schede. Si è quindi proceduto alla suddivisione delle tipologie individuate dall’indagine all’interno di tali categorie. Nella presentazione dei luoghi del design si è scelto di seguire il percorso della via Emilia, da Piacenza a Rimini, come indicato dalla mappa interattiva che precede le schede.

114 > ER/DESIGN


ATLANTE DELLE TIPOLOGIE

Design per l’abitare

>

Apparecchi audio e video Arredo d’interni Arredo urbano Attrezzi e utensili da cucina Biancheria per la casa Ceramica per rivestimenti e pavimentazioni Ceramiche artistiche Complementi d’arredo Illuminazione decorativa e tecnica Mosaici Serramenti Serrature Set da scrivania Strumenti di cottura Tessuti per l’arredamento Vasellame e posateria

Design per la persona

>

Abbigliamento Accessori moda Giocattoli Giochi didattici Pizzi e merletti Strumenti musicali

Design per la mobilità

>

Automobili Carrozze Cicli e Motocicli Mezzi per il trasporto pubblico Motori Natanti Velivoli


ATLANTE DELLE TIPOLOGIE

Design per il lavoro

>

Arredi e complementi per il lavoro Elettrodomestici professionali Macchine agricole Macchine automatiche Macchine e componenti per l’industria Matrici meccaniche in scala Sistemi illuminanti Strumenti e attrezzi per il lavoro Strumenti scientifici

Design dei materiali e dei sistemi tecnologici

>

Piastrelle ceramiche

Design per la comunicazione

>

Corporate Identity Editoria e grafica editoriale Packaging


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PIACENZA

49 50

1 Musei Civici di Palazzo Farnese 2 Museo Ambientale - Fondazione Horak SASSUOLO (MODENA) PARMA 3 CSAC Centro Studi e Archivio della Comunicazione

19 Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica 20 Galleria Marca Corona

4 La Collezione Borsari 1870 FIORANO MODENESE (MODENA) OZZANO TARO COLLECCHIO (PARMA) 5 Museo Ettore Guatelli NEVIANO DEGLI ARDUINI (PARMA) LOC. CEDOGNO 6 Museo storico dei lucchetti Collezione Vittorio Cavalli NEVIANO DEGLI ARDUINI (PARMA) LOC. SELLA DI LODRIGNANO 7 Collezione Civica d’Arte Contemporanea MUseoSElla REGGIO EMILIA 8 Musei Civici - Galleria Parmeggiani GUASTALLA (REGGIO EMILIA)

21 Collezione di ceramiche artistiche sassolesi 22 Museo della Ceramica MARANELLO (MODENA) 23 Museo Ferrari PORRETTA TERME (BOLOGNA) 24 Museo delle moto e dei ciclomotori DEMM SANT’AGATA BOLOGNESE (BOLOGNA) 25 Museo Lamborghini PIEVE DI CENTO (BOLOGNA) 26 MAGI’900 – Museo delle eccellenze artistiche e storiche 27 Pinacoteca Civica

9 Piccolo museo della moto Bariaschi FUNO DI ARGELATO (BOLOGNA) SAN MARTINO IN RIO (REGGIO EMILIA)

28 Museo Ferruccio Lamborghini

10 Museo dell’Automobile di San Martino in Rio ANZOLA DELL’EMILIA (BOLOGNA) CARPI (MODENA)

29 Gelato Museum Carpigiani

11 Museo della Città BOLOGNA CAMPOGALLIANO (MODENA) 12 Museo della Bilancia MODENA 13 Collezione Caffè Cagliari Museo “Le Macchine da Caffè” 14 Museo dell’auto storica Stanguellini 15 Galleria Civica 16 Museo Civico d’Arte

30 Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli

SAN LAZZARO DI SAVENA (BOLOGNA) 38 Fondazione Massimo e Sonia Cirulli IMOLA (BOLOGNA) 39 Museo Storico “G. Bucci” di Cooperativa Ceramica d’Imola COPPARO (FERRARA) 40 Centro Studi Dante Bighi LIDO DI SPINA (FERRARA) 41 Casa Museo Remo Brindisi MASSA LOMBARDA (RAVENNA) 42 Museo Civico Carlo Venturini FAENZA (RAVENNA) 43 MIC Museo Internazionale delle Ceramiche 44 Museo Carlo Zauli COTIGNOLA (RAVENNA) 45 Museo Civico Luigi Varoli RUSSI (RAVENNA) - LOC. GODO 46 Museo dell’Arredo Contemporaneo RAVENNA 47 MAR Museo d’Arte della città di Ravenna

31 Museo del Patrimonio Industriale 32 Collezione storica ATC 33 Musei Civici d’Arte Antica Collezioni Comunali d’Arte 34 Museo Ducati 35 Musei Civici d’Arte Antica Museo Davia Bargellini

17 Museo Enzo Ferrari

36 Genus Bononiae. Musei nella città Palazzo Pepoli Vecchio

18 Collezione Umberto Panini – Motor Museum

37 MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna

LONGIANO (FORLÌ-CESENA) 48 Museo Italiano della Ghisa SANTARCANGELO DI ROMAGNA (RIMINI) 49 Museo del Bottone RIMINI 50 Museo Nazionale del Motociclo


Musei Civici di Palazzo Farnese

Piacenza piazza Cittadella 29

DE-PC001

In basso a destra Berlina di gala, 1770 ca., deposito Curia Vescovile, Piacenza, Musei Civici di Palazzo Farnese (foto Andrea Scardova, 2016). Sotto Berlina da viaggio, 18601870, donazione Dionigi Barattieri, Piacenza, Musei Civici di Palazzo Farnese (foto Andrea Scardova, 2016).

118 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La collezione di carrozze dei Musei Civici di Palazzo Farnese nasce nel 1948, quando Silvestro Brondelli di Brondello, interpretando le volontà testamentarie dello zio, il conte piacentino Dionigi Barattieri di San Pietro, dona 30 esemplari di carrozze al Comune di Piacenza, creando di fatto un primo nucleo che con gli anni si è andato ad arricchire di donazioni e depositi e che oggi costituisce una delle collezioni di carrozze più prestigiose a livello italiano ed europeo, contando circa 80 esemplari. Dall’aprile del 1998 il pubblico ha potuto fruire dell’intera collezione, disposta nei locali sotterranei di Palazzo Farnese. Le carrozze esposte non hanno subito trasformazioni o adattamenti, anzi sono quasi intatte e il loro aspetto originario e originale è garantito. Nel 1998 e nel 2005 le Gallerie del Quirinale hanno lasciato in deposito al Museo alcune carrozze di notevole pregio e il carrozzino appartenuto a Vittorio Emanuele III bambino. Dal 2007 è stata avviata una collaborazione tra il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano e i Musei Civici di Palazzo Farnese, a seguito della quale sono stati concessi in deposito al Museo delle carrozze cinque esemplari tra i più importanti delle collezioni milanesi, ai quali si sono aggiunti un cavallo in cartapesta e una wourche nel 2012. Gli esemplari esposti sono stati realizzati da diverse manifatture, italiane ed europee, tuttavia quella più rappresentativa è la ditta di Cesare Sala, situata a Milano in prossimità di Porta Nuova. La fortuna di questa manifattura deriva in gran parte dal fatto che intorno agli anni Sessanta-Settanta dell’Ottocento i


Musei Civici di Palazzo Farnese

Savoia commissionarono varie serie di carrozze, tra cui le berline di gala dorate e argentate, di cui sono presenti due esemplari in Museo, depositati dalle Gallerie del Quirinale. La “Cesare Sala” assemblava le parti del veicolo, ciascuna realizzata da operai specializzati, fabbri, falegnami e tappezzieri, tutti facenti riferimento al capo mastro. Sono presenti anche esemplari realizzati dalla ditta “Francesco Sala”, probabile fondatore della rinomata carrozzeria, di alcune manifatture torinesi (“F.Loyer A”, “Alessandro Locati”, “Boccardi Alessio”) e di diverse aziende milanesi (“Fratelli Tagliabue”, “Enrico Orsaniga”, “Mizzio Rossinelli e successori”, “Fratelli Baroni”). Non mancano alcuni modelli realizzati in Inghilterra e in Francia (“Forder Bros”, Londra, “Joseph Cookshoot & Co.”, Manchester, “Holland & Holland” e “Thomas Baptiste”, Parigi) e un carretto siciliano prodotto dai “Fratelli Patti” di Palagonia. PROGETTISTI > Thomas Baptiste; Francesco Belloni; Boccardi Alessio; Brougham-Clarence; Joseph Cookshoot; Carlo Ferretti; Forder Bros; Fratelli Baroni; Fratelli Patti; Fratelli Tagliabue; Holland & Holland; Alessandro Locati; F. Loyer; Mizzio Rossinelli; Enrico Orsaniga; Cesare Sala; Francesco Sala. TIPOLOGIA > Carrozze LINK > www.palazzofarnese.piacenza.it/conoscere/collezioni/carrozze BIBLIOGRAFIA > Stefano Pronti (a cura di), Le carrozze. La raccolta di Palazzo Farnese a Piacenza, Milano, Skira, 1998. Marta Cuoghi Costantini, Signore e signori, in carrozza, «IBC», XXI, 4, 2013.

Carrozze a due ruote che possono essere guidate direttamente dal proprietario, seconda metà del XIX secolo, donazione Dionigi Barattieri, Piacenza, Musei Civici di Palazzo Farnese (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Antonella Gigli del Musei Civici di Palazzo Farnese ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvEdIK del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

119 > ER/DESIGN


Museo Ambientale - Fondazione Horak

Piacenza Palazzo Costa via Roma 80

DE-PC002

In basso a destra Rosenthal, tazzina e piattino da the/cioccolata, primo quarto del XX secolo, porcellana e argento, Piacenza, Museo Ambientale - Fondazione Horak (foto Andrea Scardova, 2016).

Sopra Rosenthal, tazzina da the/ cioccolata, particolare del marchio, Piacenza, Museo Ambientale - Fondazione Horak (foto Andrea Scardova, 2016).

120 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Palazzo Costa, edificato su progetto dell’architetto scenografo Ferdinando Galli Bibiena a fine Seicento, ospita al primo piano un Museo Ambientale del Settecento, in cui sono esposti dipinti, tra cui un importate nucleo di opere di Salvator Rosa, sculture e arredi d’epoca. In queste sale è presente un servizio da the/cioccolata, composto da 12 tazze corredate da 12 piattini in porcellana di colore rosa, il tutto ornato da finiture in argento 925, realizzato dalla manifattura Rosenthal Selb Bavaria, nel primo quarto del Novecento. Fondata nel 1879 da Philipp Rosenthal, la fabbrica è divenuta in breve tempo un significativo punto di riferimento per l’espressione artistica delle forme e dei decori, connotati da originalità e creatività tali da renderla tuttora una delle aziende europee più conosciute e importanti. Nel 1907, depositato il marchio, l’azienda, oggi di proprietà dell’italiana Sambonet Paderno Industrie, ha cominciato a contrassegnare con il proprio nome ogni prodotto. Il servizio del Museo rientra nella fase di transizione della manifattura Rosenthal, fase che segna il passaggio tra la prima produzione, ancora pienamente dedicata al revival delle linee barocche e rococò, a quella successiva, fortemente influenzata dagli stili Liberty e Déco. Infatti le pregevoli decorazioni in argento 925, composte da ramage, volute e girali, che impreziosiscono la raffinata porcellana rosa, segnano un felice connubio fra stilemi Rococò e Art Nouveau. Lo stesso servizio, che rappresenta una delle più alte produzioni Rosehthal dei primi decenni del Novecento, è esposto anche al Porzellanikon Staatliches Museum Selb – Dipartimento Rosenthal, il noto museo statale di Selb dedicato alla manifattura della porcellana.


Museo Ambientale Fondazione Horak

La produzione di questo modello è stata successivamente abbandonata per le oggettive difficoltà realizzative che richiedevano l’intervento ancora manuale di artigiani specialisti e quindi una metodologia di lavorazione che non era più conciliabile con la produzione, ormai divenuta industriale a tutti gli effetti. In particolare la realizzazione delle decorazioni esigeva l’opera di un provetto argentiere che doveva essere in grado di applicare i complessi e raffinati decori in lamina d’argento sulla porcellana a temperature molto elevate, in modo che il metallo stesso, una volta raffreddatosi, si stabilizzasse permanentemente sulla porcellana. Pertanto la procedura necessitava di notevole abilità anche da parte dell’artigiano addetto alla realizzazione del manufatto in porcellana, che doveva risultare consistente e sufficientemente robusto per resistere alla morsa delle decorazioni d’argento che vi si aggrappavano raffreddandosi, ma nello stesso tempo doveva presentare a lavoro ultimato la tradizionale levità, avvertibile sia visivamente che al tatto, che costituisce una prerogativa imprescindibile della produzione Rosenthal. PROGETTISTI > Philipp Rosenthal TIPOLOGIA > Vasellame e posateria LINK  >  www.piacenzamusei.it/index/it/pagine/l-edificio/museo-ambientalepalazzo-costa/.html BIBLIOGRAFIA > Rosenthal, Ars porcellana. Rosenthal Relief Reihe, Selb, RosenthalAktiengesellschaft, 1968?.

Rosenthal, piattino da the/ cioccolata, particolare con punzone, Piacenza, Museo Ambientale - Fondazione Horak (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Marco Horak del Museo Ambientale di Palazzo Costa ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvFJKP del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

121 > ER/DESIGN


CSAC Centro Studi e Archivio della Comunicazione

Parma via Viazza di Paradigna 1

DE-PR001

Veduta della sala in cui sono conservati i progetti, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

122 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Nel corso degli anni Settanta ha inizio la raccolta del disegno di moda e del disegno progettuale di architettura e di design. Gli archivi del progetto sono collocati al piano terreno del Palazzo della Pilotta dove, nel 1980, si apre il Dipartimento Progetto del Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC). In occasione della presentazione dei circa 50.000 disegni donati, che allora costituivano il primo nucleo dei fondi d’archivio di alcuni dei maggiori designer milanesi (Bruno Munari, Alberto Rosselli, Enzo Mari, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Afra e Tobia Scarpa, Mario Bellini, Roberto Sambonet), ha luogo un importante convegno dedicato al disegno dell’architettura, introdotto da Giulio Carlo Argan, cui prendono parte i più autorevoli rappresentanti della cultura progettuale del nostro paese, da Gillo Dorfles a Vittorio Gregotti, da Bruno Zevi a Giovanni Klaus Koenig, a tanti altri. Ad arricchire ulteriormente l’attuale sezione Progetto si aggiungono negli anni Ottanta i fondi dei progettisti appartenenti all’area dei movimenti radicali (fondo Sottsass jr., fondo Archizoom Associati, fondo Andrea Branzi) che nei primi anni Settanta sovvertono, in Italia, le regole della progettazione e applicano all’architettura le medesime coordinate del design e viceversa. La sezione Progetto, dopo oltre trent’anni di raccolte e di studi, comprende oggi un centinaio di fondi di architettura, di urbanistica, di progettazione di interni e di design dell’oggetto; tra questi almeno 27 archivi possono essere considerati propriamente “archivi di design”, in quanto comprendono progetti di design di oggetti, di allestimenti e di arredamenti di interni.


CSAC Centro Studi e Archivio della Comunicazione

Gli “archivi di design” sono stati riordinati secondo le indicazioni degli autori e dei collaboratori di studio che hanno seguito la realizzazione dei progetti e hanno mantenuto l’originaria ripartizione dei lavori, seguendo la sequenza temporale “dallo schizzo al prototipo” e restituendo quindi alla catalogazione finale in archivio la natura metodologica in uso negli studi di progettazione milanese e in generale italiani di quegli anni, seguendo criteri catalografici allora in corso, ma ora ampiamente superati dalla tecnologia informatica. È oggi in corso allo CSAC un programma triennale di catalogazione (2016-2018) che prevede la completa revisione dei dati non omogenei e la successiva immissione dei dati nell’applicativo Samira, in uso in tutti i musei dell’Ateneo parmense. La schedatura prevede la immissione di Schede Progetto e di Schede Singolo, dipendenti e correlate tra loro in sequenza logica dal “progetto alla singola opera”, seguendo la scheda proposta da ICCD del Ministero dei Beni Culturali. Per i motivi sopra riportati la scheda Nucleo CSAC nel progetto di IBC fornisce i dati essenziali dei 27 fondi di design dello CSAC propriamente detti, ma rimanda al sito dello CSAC (www.csacparma.it), alle Schede Fondo dei singoli archivi (samha207.unipr.it/samira/loadcard.do) dell’intera sezione Progetto e alla catalogazione per progetto e per singola opera in Samira. La centralità del progetto in tutte le forme espressive e la ricerca trasversale tra gli archivi permettono di studiare oggi opere differenti in maniera paritetica, restituendo i percorsi artistici del Novecento italiano in tutta la complessità e ampiezza di prospettive che lo hanno contraddistinto in ambito europeo e mondiale.

ARCHIVI DESIGNER Archizoom Associati samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=31896&force=1 Il gruppo Archizoom Associati nasce dalla collaborazione degli architetti Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Paolo Deganello e Massimo Morozzi ai quali si aggiungono nel 1968 Lucia e Dario Bartolini. Il fondo comprende i progetti datati dal 1963 al 1974 (anno in cui il gruppo si scioglie) tra cui i disegni per l’allestimento della mostra “Superarchitettura” (Pistoia 1967), per il Centro di cospirazione eclettica esposto alla XIV Triennale nel 1968, per “Italy: the New Domestic Landscape”, la mostra sul design italiano allestita al MoMA di New York nel 1972, per I Gazebi, per i divani Superonda e Safari prodotti da Poltronova, per Dressing design, per No stop city, il progetto di sistema metropolitano diffuso e continuo a sviluppo orizzontale e verticale. Il fondo presenta anche i progetti relativi all’attività del gruppo più strettamente professionale relativi a allestimenti, design di oggetti, ristrutturazioni, concorsi e progettazione di edifici. Fanno parte del fondo due ambienti tridimensionali del progetto No-Stop City (No-Stop Theater e No-Stop City) che ricostruiscono gli ambienti simbolo della città utopica (il campeggio e il teatro), gli abiti e gli accessori del Dressing design realizzati con tecniche e tessuti artigianali da Lucia Bartolini che nel gruppo si è occupata del sistema della moda in rapporto al design e al tema della città utopica. Fanno parte del fondo anche i progetti (disegni e plastici) relativi alle tesi di Laurea discusse all’Università di Firenze negli anni Sessanta dagli esponenti del gruppo allora studenti.

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Bellini Mario samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=31897&force=1 Il fondo Bellini consta di decine di progetti datati dal 1960 al 1978 nell’ambito della progettazione industriale. Tra questi citiamo i progetti per la Rinascente di cui Bellini è responsabile per il design del Settore Sviluppo, i progetti per la Olivetti con cui collabora dal 1963 in qualità di consulente per il disegno industriale delle macchine da ufficio (le calcolatrici Divisumma 18 del 1973, la serie delle macchine calcolatrici scriventi Logos 50/60, le macchine da scrivere Lettera del 1975, le macchine elettroniche ET e ETS, le macchine elettroniche portatili Praxis del 1982). Il fondo comprende inoltre i disegni progettuali per apparecchi televisivi realizzati per la Brionvega, per la quale produce modelli e prototipi dal 1976 al 1984 e per la Cassina, per la quale progetta, tra il 1975 e il 1976, serie di imbottiti, di tavoli e di mobili di grande successo e diffusione. Anche il fondo Brionvega, donato allo CSAC dal proprietario dell’azienda Ennio Brion, presenta numerosi prototipi e oggetti in produzione progettati da Mario Bellini. Bioli Enzo samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=32872&force=1 Il fondo Bioli consta di dipinti su tela e tavola, sculture, bozzetti e disegni per oggetti, manifesti e locandine e oggetti in ceramica oltre a documentazione varia, relativa alla sua attività di grafico, di designer e di pittore che consta di numerose fotografie, corrispondenza, riviste e stampati inerenti alla sua attività. Bioli inizia negli anni Cinquanta l’attività professionale a Parma come pittore, ma anche e soprattutto come grafico, scenografo, designer e ceramista. A Parma apre un laboratorio di produzione di oggetti per la casa, per la tavola e multipli d’arte in ceramica, Il Picchio, e si dedica con grande impegno civile e morale alla vita politica e culturale della città. La sua produzione, vasta come tipologie di produzione e vasta come fonti e riferimenti culturali, a livello nazionale e internazionale, ha rappresentato per la città un esempio di progettista di grande dirittura morale e di profonda conoscenza della storia dell’arte che spazia dalla pittura alla grafica, alla fotografia, al design. Il fondo particolarmente ricco di opere di tutti i periodi e di tutti gli ambiti, è stato donato da Enzo Bioli a Arturo Carlo Quintavalle, suo personale amico e critico di tante sue esposizioni. Boeri Cini samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=32379&force=1 Il fondo Cini Boeri (Cini Boeri Associati negli anni Ottanta) comprende decine di progetti di architettura, design di oggetti, arredamento di interni, allestimenti di negozi ed esposizioni che comprendono schizzi, disegni esecutivi, copie eliografiche e materiale documentario inerente i singoli progetti come lettere, appunti, stampati ed estratti di riviste. I progetti di design sono numerosissimi e datati dagli inizi della carriera sino agli ultimi anni Novanta e sono relativi a oggetti prodotti dalle più importanti aziende italiane del settore: Kartell, Knoll International, Molteni, Arflex, Artemide, Citterio, Rosenthal. Fanno parte del fondo anche numerosi progetti mai entrati in produzione. Sono conservati in archivio anche alcuni plastici di architetture e modelli di oggetti. Sono consultabili nel fondo Boeri anche alcuni progetti di architettura realizzati in collaborazione con il figlio, architetto Stefano Boeri. Parte dell’archivio relativo ai primi anni Duemila è stato acquisito di recente e non è ancora consultabile, perché in fase di catalogazione.

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Branzi Andrea samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=32282&force=1 Andrea Branzi, architetto, designer e teorico, dal 1964 al 1974 fa parte del gruppo Archizoom Associati, il primo gruppo italiano di avanguardia radicale noto in campo internazionale. Il fondo Branzi consta di progetti datati dal 1964 al 1998, realizzati nello studio privato aperto a Milano nel 1973 dopo lo scioglimento del gruppo Archizoom Associati, con cui il progettista lavora sin dagli anni dell’Università. Sono conservati nel fondo Branzi anche alcuni progetti firmati “Archizoom Associati”, tra cui, particolarmente rare, le tavole originali a china pubblicate sulla rivista «Domus» nel 1971 del progetto per la città utopica No-Stop City. Il fondo presenta, oltre al materiale progettuale cartaceo, schizzi e disegni esecutivi, modelli e maquette relativi ai progetti quali gli insediamenti residenziali a Sesto Fiorentino degli anni Novanta, le strutture per il tempo libero a Prato, la ricostruzione del modello presentato per la tesi di laurea all’Università di Firenze del 1966, il concorso per i giardini di Porta Nuova a Milano del 2004 e le porcellane e lampade Les Treilles per Bernardaud del 2010. Il fondo Branzi comprende anche l’archivio documentario che conserva la corrispondenza, le relazioni, le fotografie, gli stampati relativi ai progetti e alla attività di ricerca, didattica fino ai primi anni Duemila. Archivio Brionvega samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=32304&force=1 L’azienda Brionvega viene fondata nel 1945 e produce sin dagli inizi apparecchi radiofonici e televisivi; si specializza poi nei settori dell’elettronica radiotelevisiva e della telefonia cellulare. Negli anni Sessanta si avvale per la progettazione della collaborazione di designer di fama internazionale, come Franco Albini, Hannes Wettstein, Sergio Asti, Mario Bellini, Richard Sapper, Marco Zanuso, Achille e Pier Giacomo Castiglioni ed Ettore Sottsass e produce modelli di apparecchi radio e televisori di grande successo divenuti esempi del design industriale italiano, esposti nei musei di tutto il mondo. Tra i prodot-

Achille e Pier Giacomo Castiglioni, radiofonografo RR126, Brionvega, 1965. Apparecchio stereofonico ad alta fedeltà. Le casse possono assumere due collocazioni differenti: appoggiate entrambe sul blocco centrale a formare un cubo, oppure agganciate sui due fianchi a formare un parallelepipedo. Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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ti più famosi ricordiamo la radio TS502, i televisori portatili Algol 11 e Doney 14, lo stereo RR126 che oggi sono conservati nel fondo Brionvega. La famiglia Brion è proprietaria dell’azienda fino al 1992, anno in cui viene acquisita dalla Séleco. Nel 1989 Ennio Brion, ultimo proprietario della Brionvega, prima della cessione dell’azienda, dona allo CSAC migliaia di materiali progettuali tra bozzetti, disegni, disegni esecutivi, copie eliografiche e radex, prototipi e oggetti in produzione. Nel 2004 Andrea Rosetti, un tecnico e collezionista milanese, dona all’archivio decine di opere tra oggetti e cataloghi pubblicitari originali a completamento del fondo Brionvega. Il fondo consta principalmente dei disegni tecnici riguardanti la tecnologia e le componenti interne degli apparecchi, ma anche di schizzi e disegni esecutivi riguardanti il design degli apparecchi e di alcuni rari bozzetti a tempera per la grafica della azienda, in particolare di manifesti pubblicitari per la allora denominata “ditta Vega” datati 1952 e firmati dai grafici “Ferrante”, “Rebagliati”, “Pallini” e dallo “Studio Scandiani”. Castiglioni Achille e Pier Giacomo samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=32170&force=1 Achille e Pier Giacomo Castiglioni, architetti e designer milanesi, nel 1944 aprono a Milano il primo studio Castiglioni con il fratello Livio; dopo la rottura con Livio, Achille e Pier Giacomo si dedicano alla realizzazione di progetti di urbanistica, architettura e product-design, fino alla morte di Pier Giacomo avvenuta nel 1978. Achille nel 1979 dona l’intero archivio dello studio allo CSAC. Il fondo consta di schizzi, disegni e disegni esecutivi relativi ai prodotti realizzati per Kartell, Zanotta, Flos, Bernini, Siemens, Knoll, Poggi, Lancia, Ideal Standard, Arflex, Alessi. Sono parte importante del fondo anche i progetti per gli allestimenti di fiere e esposizioni a Milano e in Italia, realizzati soprattutto a fine anni Quaranta e nei decenni Cinquanta e Sessanta tra cui ricordiamo per l’importanza e l’unicità dei materiali conservati i Padiglioni per la RAI, i Padiglioni per la Montecatini alle Fiere di Milano, i Padiglioni per le Fiere Internazionali a Parigi, gli allestimenti alle Triennali di Milano e le importanti esposizioni “Vie d’acqua da Milano al mare” (Milano, Palazzo Reale) nel 1963 e “La casa abitata” (Firenze, Palazzo Strozzi) nel 1965. Completano il fondo una importante selezione di oggetti e prototipi, le schede progetto originali dell’archivio dello Studio di Achille e Pier Giacomo con i dati e le fotografie originali degli allestimenti, degli arredamenti, dei prototipi e degli oggetti prodotti, realizzate da importanti fotografi milanesi. Archivio Danese samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=32192&force=1 L’azienda Danese rappresenta un progetto, unico in Italia, che ha saputo coniugare design, artigianato e arte: una proficua contaminazione disciplinare il cui esito, già evidente a partire dagli anni Sessanta, lo diventa ancora di più con gli anni Ottanta, quando il “nuovo artigianato” di Alchimia e Memphis indica una nuova via di sviluppo per il design contemporaneo. Nella Danese sono presenti già dalla fine degli anni Cinquanta alcune caratteristiche del design italiano, comuni alla maggior parte delle aziende di settore, dalla produzione in serie alla ricerca espressiva, dalla sperimentazione sui materiali al rapporto diretto con i designer, alla qualità del prodotto; la particolarità della ditta milanese sta proprio nello stretto rapporto tra due culture differenti, la cultura d’impresa e di progetto, che vedono nella produzione di design il medesimo obiettivo.

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L’archivio Danese allo CSAC conserva oggetti prodotti, giochi didattici per l’infanzia e multipli d’arte progettati da Bruno Munari e Enzo Mari, realizzati dagli anni Cinquanta fino al 1982, anno in cui è stata effettuata la seconda donazione allo CSAC. Le opere prodotte da Danese completano l’iter progettuale di Munari e Mari, i cui archivi sono conservati interamente o in parte allo CSAC con migliaia di pezzi tra schizzi, disegni e disegni esecutivi. Le donazioni di Bruno e Jacqueline Danese sono state infatti rese possibili proprio dall’intervento di Bruno Munari e Enzo Mari. Gardella Ignazio samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=34098&force=1 Il fondo Ignazio Gardella consta di decine di migliaia di materiali progettuali tra schizzi, disegni, disegni esecutivi, copie eliografiche, radex e materiali documentari, relativi a 974 progetti realizzati dal 1928 al 1998; di un archivio di documenti di studio inerenti i progetti realizzati (corrispondenza con committenti, imprese e collaboratori, carte amministrative, appunti, schizzi e stampati); di un archivio di documentazione amministrativa e di studio, non inerente i progetti, tra cui appunti relativi all’attività didattica, materiale per convegni, documentazione mostre, curriculum vitae; della biblioteca e emeroteca privata inerente la sua attività di architetto e designer; di un importante archivio fotografico di lastre e negativi originali realizzati dai migliori studi fotografici del periodo, tra cui ricordiamo il fotografo Giorgio Casati, in cui le immagini riproducono i disegni esecutivi, ma anche le architetture realizzate a lavori terminati. I progetti di design di oggetti e arredi, di arredamenti, di allestimenti museali e fieristici sono quasi un centinaio e rappresentano nella vicenda dell’architetto Gardella, soprattutto architetto e urbanista, una parte di notevole interesse nella vicenda del design italiano. La prima parte dell’ archivio è stato depositato e legalmente donato dall’architetto Ignazio Gardella nel 1981 mentre la seconda parte, a completamento del primo lascito, è stata depositata, dal 2002 in diversi momenti, dal figlio architetto Jacopo Gardella insieme agli altri eredi. Fa parte del fondo anche l’archivio completo delle opere del padre di Ignazio, architetto Arnaldo Gardella; i progetti conservati nel fondo, in parte realizzati negli ultimi anni in collaborazione con l’ingegner Martini e con Ignazio, sono datati dal 1911 al 1928 (anno della sua morte). A Oleggio, nella villa di famiglia, è aperto al pubblico l’Archivio Storico Gardella Oleggio che conserva i documenti storici e archivistici di quattro generazioni di architetti e artisti e la biblioteca appartenenti alla famiglia. L’archivio, catalogato dalla nipote Federica Pagnacco, è aperto al pubblico su appuntamento. Mari Enzo samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=32241&force=1 Il fondo Mari comprende opere databili a partire dalla metà degli anni Cinquanta, quando sceglie di occuparsi, oltre che di arte e di “ricerca estetica”, anche di progettazione, di grafica e di design. Per la complessità disciplinare della sua attività il lavoro di Mari è stato studiato e analizzato da progettisti, studiosi e storici dell’arte come Max Bill, Pierre Restany, Alessandro Mendini, Giovanni Klaus Koenig, Vittorio Gregotti, oltre che in primis da Arturo Carlo Quintavalle che nel 1983, nel saggio introduttivo al catalogo della mostra di Parma organizzata dallo CSAC, pone le basi per la rilettura critica del lavoro di Enzo Mari nel

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contesto dell’arte e del design milanese. Il volume analizza i lavori di Mari nel loro percorso progettuale, nella costruzione storica della ricerca e nello sviluppo concettuale, dall’idea allo schizzo, sino all’oggetto in produzione. L’archivio è stato donato allo CSAC dall’autore in tre diversi momenti: nel 1977 quando CSAC è archivio solo di arte e fotografia, tre opere d’arte; nel 1978 quando nasce l’archivio del progetto, gli schizzi e i disegni progettuali e infine nel 1988 la sezione dell’archivio più recente, a completamento delle precedenti donazioni, comprendente disegni, stampati, ma anche libri, giochi didattici e oggetti in produzione. Un numero consistente di oggetti disegnati da Mari vengono donati allo CSAC da Bruno e Jacqueline Danese. Mendini Alessandro samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=31894&force=1 Il fondo Mendini comprende schizzi, bozzetti, collage, ma anche stampati, dattiloscritti, manoscritti, ritagli stampa, fotografie di happening e altro materiale di lavoro relativo all’attività di progettista, grafico, designer e teorico. Fa parte del fondo un grosso nucleo di disegni satirici, a matita, china e carboncino, datati dai primi anni Cinquanta che dimostrano come Mendini, architetto di formazione, attinga anche dalla pittura e dalla satira, dimostrando una vena ironica che caratterizza sempre la sua attività di progettista e di teorico. Parte dei materiali, quelli forse di maggior interesse per la critica, sono legati al periodo in cui Mendini assume la direzione di «Casabella» dal 1970 al 1976, quando cessa la sua collaborazione con lo studio Nizzoli Associati e inizia sulle pagine della rivista a rifondare le modalità di lavoro del progettista e il significato stesso del fare design, partecipando in maniera molto attiva agli avvenimenti più significativi del movimento detto Controdesign in Italia. Sono conservati in archivio gli schizzi e gli stampati delle copertine, le illustrazioni e i testi più significativi apparsi sulla rivista in quegli anni che hanno determinato, grazie all’apporto teorico e progettuale di Mendini insieme agli altri esponenti dei gruppi radicali, la critica alla professione del progettista in Italia. Sono conservati nel fondo Mendini sette raccoglitori ad anelli con buste in pla-

Marco Zanuso, Richard Sapper, Radio TS 502 per Brionvega, sulla sinistra modello di studio, 1965 e a fianco prototipo, 1966, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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stica contenenti disegni, stampati e fotografie, intitolati da lui “Archivio morto” e organizzati in ordine cronologico dal 1950 al 1975, a documentare l’attività professionale di grafico, progettista e teorico. Menghi Roberto samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=22356&force=1 Il fondo Menghi consta ad oggi di centinaia di progetti di architettura, allestimenti e design con disegni esecutivi, schizzi, modelli e maquette datati dal 1946 al 2002. Le opere sono state donate dall’autore in due momenti nel 1982 e nel 1989, mentre la terza donazione è stata depositata allo CSAC a completamento delle precedenti, dopo la morte dell’architetto avvenuta nel 2006, dalla figlia Veronica che ha effettuato un primo riordino dei materiali e realizzato un video sull’attività del padre conservato in archivio. Il lascito comprende, oltre ai disegni progettuali, una importante collezione di fotografie e negativi, realizzata in gran parte dall’architetto Menghi, ottimo fotografo, nel corso della sua carriera che documentano viaggi di studio e di lavoro, la sua attività di progettista, le architetture realizzate e gli oggetti prodotti. Il fondo comprende anche una importante raccolta di riviste italiane e straniere, inserti, ritagli stampa relativi alle opere di Menghi. Munari Bruno samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=32306&force=1 Il fondo Munari conservato allo CSAC, oltre al materiale progettuale relativo a progetti realizzati di oggetti e opere d’arte, comprende materiali di studio e di lavoro inerenti alle ricerche intraprese da Munari nel corso della sua carriera di artista e di designer e documentano l’attività di uno dei più eclettici protagonisti del design italiano. Sin dagli esordi negli anni Trenta Munari dedica la propria attività creativa alla sperimentazione e alla didattica, con attenzione particolare al mondo dei bambini e dei loro giochi. Le sue ricerche nei campi della pittura, scultura, design, fotografia e didattica attraversano le diverse poetiche artistiche di quegli anni, seguendo però sempre la sua personalissima idea di design. Parallelamente ai progetti editoriali, in particolare libri per l’infanzia, e al design, Munari si dedica incessantemente alla produzione artistica, tanto da rendere labile e non riconoscibile la linea di demarcazione tra arte e progetto. Appartengono a quest’epoca le Macchine inutili, i Negativi-Positivi, le Sculture da viaggio e i Libri illeggibili. Il fondo viene donato in tre occasioni dall’autore; la prima donazione del 1977 riguarda un disegno di macchina inutile del 1947; la seconda del 1978 e la terza del 1979 si riferiscono ai disegni e agli schizzi relativi alle ricerche effettuate dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, i progetti per le xerografie, per i Libri illeggibili, per le Sculture da viaggio, per progetti di grafica, copertine e manifesti. Neagle Richard samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=22374&force=1 Richard Neagle nasce in Ohio (USA) nel 1922 e inizia la sua attività di progettista a Philadelphia nel 1949; nel 1958 si trasferisce in Italia dove apre uno studio a Milano; in seguito si trasferisce a Lucca dove resterà sino alla morte. Il fondo Neagle viene donato allo CSAC dal designer nel 2003; l’archivio consta

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di progetti di design e arredamento datati dal 1949 al 2000 che comprendono migliaia di materiali progettuali tra disegni, bozzetti, schizzi, fotografie, diapositive e negativi, stampati, dattiloscritti e manoscritti, maquette, prototipi e oggetti in produzione. Il fondo comprende anche un importante regesto fotografico raccolto in album dal designer, diviso cronologicamente e per progetto, relativo a tutto il materiale conservato allo CSAC; l’elaborato rappresenta un utile strumento di comprensione dell’attività progettuale del designer e di analisi dei materiali conservati in archivio. Nizzoli Marcello samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=31895&force=1 Il fondo Nizzoli raccoglie varie tipologie di materiali che documentano la vasta attività professionale del progettista, come cartellonista, scenografo e artista nei primi anni della sua attività, come designer negli anni seguenti con la Olivetti, come architetto e designer nello studio Nizzoli Associati dal 1965. Il fondo consta di album di disegni, disegni e schizzi sciolti, oli su tela, sculture in metallo, stoffe ricamate, tessuti di seta e in panno lenci con figure geometriche, spolveri e carte disegnate relativi al primo periodo in cui Nizzoli si dedica in prevalenza all’attività pittorica e grafica. Ben documentata è la parte di archivio relativa all’attività di progettista dagli anni Trenta ai Sessanta: disegni esecutivi, copie eliografiche, schizzi, oggetti e maquette, oltre a documentazione, stampati, lastre e fotografie. Il fondo è incrementato dalle donazioni successive effettuate dai collaboratori, gli architetti Mario Oliveri e Antonio Susini, che riguardano prevalentemente i progetti realizzati da Nizzoli nello studio Nizzoli Associati dal 1965 al 1969, ma anche i progetti e le opere d’arte realizzati da Marcello Nizzoli stesso provenienti dal suo archivio personale, conservato nello studio. Nizzoli Associati samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=31925&force=1 Dopo la collaborazione con Marcello Nizzoli dal 1948 al 1963, Gian Mario Oliveri, con gli architetti Viola, Mendini, Susini e Bolocan, fonda il gruppo di progettazione Nizzoli Associati che continua a operare, con diversi collaboratori, sino agli anni Duemila. Lo studio lavora seguendo le metodologie progettuali iniziate da Marcello Nizzoli e definite da Oliveri in uno scritto come «architettura=Edificio+decorazione». Il fondo Nizzoli Associati conserva progetti di architetture come le case per dipendenti e gli uffici Italsider a Taranto, il villaggio turistico ai laghi Alimini, la sede dell’editoriale Domus a Rozzano, ma anche i progetti di oggetti di design per Safnat, Agip, Stilnovo, Zucchetti, Laverda, oltre a numerosi progetti presentati a concorsi in Italia e all’estero. Nel 1983 Mario Oliveri e Antonio Susini donano allo CSAC l’archivio degli studi Nizzoli-Oliveri, Nizzoli Associati, Studio Nizzoli e altri materiali facenti parte dell’archivio personale di Mario Oliveri. Ponti Gio samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=22380&force=1 Il fondo Ponti consta di migliaia di materiali progettuali appartenenti ai progetti realizzati da Gio Ponti e dallo studio Ponti negli anni tra il 1921 e il 1977: schizzi, disegni e disegni esecutivi, plastici e maquette di presentazione finale del progetto o materiali di lavoro e di studio. I materiali progettuali, disegni esecutivi su

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lucido, copie eliografiche, radex, disegni e schizzi, nonché stampati, corrispondenza e documenti relativi all’attività dello studio sono conservati in cartelle, buste e suddivisi in progetti secondo l’ordinamento cronologico originario dello Studio Ponti. Architetto, ma anche designer, nel 1923 inizia la collaborazione con la Richard Ginori e nel 1928 fonda la rivista «Domus» che dirige, tranne la parentesi degli anni 1941-1947, fino agli anni Settanta. È membro del direttorio della IV e V Triennale e nel 1936 è chiamato a insegnare Interni, arredamento e decorazione alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, incarico che mantiene sino al 1961. Nel 1941 fonda la rivista «Stile», la cui pubblicazione termina nel 1947. Nell’ambito del design collabora con la ditta Cassina di Meda, la Knoll, la Singer e Altamira. Nel 1952 costituisce con l’architetto Alberto Rosselli, architetto ma soprattutto industrial designer, lo studio Ponti-Fornaroli-Rosselli e continua la sua intensa attività professionale nel campo dell’industrial design. Il fondo Ponti conserva inoltre, per il periodo di collaborazione dai primi anni Cinquanta e fino al 1970 numerosi progetti che hanno visto Rosselli progettista o collaboratore nello studio P.F.R. e che non sono presenti nel fondo Rosselli. Pozzi Ambrogio samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=22404&force=1 Il fondo Pozzi consta di numerosi progetti di design con migliaia di opere progettuali tra schizzi e disegni, disegni esecutivi, copie e stampati datati dal 1950 al 1987. Numerosi sono i progetti realizzati per l’azienda di ceramica Franco Pozzi, fondata dal padre, ma anche le collaborazioni con altre aziende italiane e straniere, dai Vasi del 1967 al Duo Hotel del 1973 per Rosenthal; dalla serie Amanda del 1978 alla serie Zodiaco del 1984 per i Fratelli Guzzini (1967-1987).

Materiali esposti del fondo Olivetti, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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Roselli Amelotti Luciana Giovanna samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=16081&force=1 Il fondo consta di materiale progettuale, migliaia tra schizzi, disegni e oggetti, che si riferisce alla attività di Luciana Roselli in parte in qualità di illustratrice


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per riviste, quotidiani e libri per l’infanzia in Italia e all’estero, ma soprattutto alla sua attività di stilista, costumista e designer che svolge dal 1971 al 1978, negli anni in cui vive e lavora in Italia, a Milano, per diverse aziende tra cui ricordiamo Richard Ginori, Olivetti, Bulgari. Fanno parte della collezione decine di oggetti prodotti negli anni Sessanta e Settanta, tra cui i famosi vassoi in plastica stampata a colori fluorescenti per Mebel, servizi da tavola, servizio da caffè e da the in porcellana decorata. Rosselli Alberto samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=23034&force=1 Il materiale progettuale, schizzi, disegni, disegni esecutivi, plastici, modelli, oggetti, si riferisce ai progetti provenienti dall’archivio dello studio privato dell’architetto Rosselli, ma deve essere collegato anche, per completezza, al fondo Ponti pure conservato al CSAC, che comprende una consistente parte di disegni riferibili ai medesimi progetti presenti nel fondo Rosselli. Del fondo fa parte anche una raccolta di fotografie degli oggetti realizzati e delle architetture ad opera del figlio, fotografo professionista il cui archivio è presente nella Sezione Fotografia dello CSAC, Paolo Rosselli. Il fondo Ponti conserva inoltre, per il periodo di collaborazione dai primi anni Cinquanta fino al 1970, numerosi progetti che hanno visto il progettista collaboratore nello studio P.F.R. e che non sono presenti nel fondo Rosselli. Sabattini Lino samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=22767&force=1 Il fondo Sabattini consta di centinaia di progetti di design, di arredamento con migliaia di opere progettuali, tra disegni, schizzi e stampati, oltre a maquette di oggetti di design in produzione. Nel 1956 Sabattini, designer, argentiere e artigiano, realizza il servizio Como, presentato all’esposizione parigina “Forme ed idee d’Italia”. Dal 1958 al 1963 lavora per Christofle, per cui dirige l’atelier milanese e per altre importanti aziende italiane e straniere. Nel 1964 si trasferisce a Bregnano dove fonda l’Argenteria Sabattini. Numerosi sono i progetti conservati in archivio relativi agli oggetti realizzati dalla sua azienda. Collabora a vario titolo alla rivista «Domus» sin dal primo numero e vanta una lunga collaborazione e una profonda amicizia con Gio Ponti, per cui realizza nel suo laboratorio i prototipi per il vassoio esagonale Architettura, le posate Flèche e il vaso Stivale. Sambonet Roberto samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=23044&force=1 Roberto Sambonet è tra i primi designer in ambito milanese a donare una consistente parte delle opere relative all’attività professionale di progettista e di grafico alla sezione Progetto del CSAC nel 1978. Successivamente Sambonet incrementa il fondo con un secondo lascito di materiale progettuale e nel 1996 la famiglia completa la donazione con l’archivio della grafica a cui seguono la biblioteca e la emeroteca privata che consta di migliaia di pezzi tra libri di grafica e di design, raccolte di quotidiani e di riviste italiane e straniere. Il fondo, tra prima e seconda acquisizione, consta di schizzi, bozzetti, disegni, disegni esecutivi riguardanti i progetti di design, ma soprattutto di grafica, studi di marchi e immagine coordinata per grandi aziende, musei ed enti pubblici e grafica editoriale per cataloghi di mostre, libri e riviste. Fa parte del fondo anche una importante selezione di oggetti prodotti dalle ditte Sambonet, Baccarat,

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Bing&Grondhal, di plastici di progetti presentati a concorsi (tra cui quello per Les Halles a Parigi nel 1979) oltre a libri, riviste e cataloghi di mostre. Scarpa Afra e Tobia samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=22771&force=1 Il fondo Scarpa consta di migliaia di opere progettuali tra schizzi, disegni, disegni esecutivi e modelli riferibili ai progetti realizzati dallo studio Scarpa dal 1956 al 1982, anno della donazione allo CSAC da parte dei due soci dello studio, Tobia (Venezia 1935) e Afra Bianchin (Treviso 1937-2011). Architetti, ma soprattutto designer, annoverano nella loro produzione progetti di grande rilevanza tra cui la sedia Pigreco, il divano Bastiano e il letto in metallo Vanessa, le poltrone Soriana e 925, quest’ultima esposta permanentemente al MoMA di New York. Vincono proprio per la produzione di design il Compasso d’Oro del 1963 per la poltrona Soriana, l’IF Industrie Forum Design Hannover del 1992 e altri premi internazionali. Ad Afra e Tobia Scarpa si deve anche la progettazione dell’interno della Sala Consiliare della Loggia dei Grani a Montebelluna. Sottsass Associati samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=34677&force=1 La prima parte del fondo, proveniente dallo studio Sottsass Associati nel 1989, è interamente schedata e consultabile: schizzi, disegni, stampati, materiali progettuali e documentari che si riferiscono a progetti di architettura, di design e di grafica, realizzati dal 1980 al 1989. La seconda parte è pervenuta nel 2003 per volontà di Sottsass, proveniente dalla grande esposizione sulla attività della Sottsass Associati, allestita a Colonia nel 2002, e consta di disegni, fotografie, copie eliografiche, stampati e plastici; i modelli, in legno, plastica, plexiglass e polistirolo, sono relativi ai più importanti lavori realizzati dal 1985 come il concorso per il ponte dell’Accademia a Venezia, Casa Wolfe in Colorado (1987), Casa Bischofberger a Zurigo (1991), gli uffici Elt a Mosca (2002). L’ultima sezione dell’archivio è stata depositata dall’architetto Redfern (uno dei soci) allo CSAC nel 2004 e infine nel 2008, dopo la scomparsa di Sottsass: si aggiungono così due plastici, un altro blocco di disegni esecutivi e scatole di riviste di design e architettura. Il fondo Sottsass Associati è strettamente collegato al fondo Sottsass jr., pure conservato allo CSAC, di cui ne rappresenta il proseguimento cronologico. Sottsass jr. Ettore samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=23890&force=1 Il materiale progettuale del fondo Sottsass jr. comprende schizzi, disegni, disegni esecutivi, fotografie e stampati e si riferisce ai progetti di architettura, di design e di grafica realizzati da Sottsass dagli anni della scuola, nel 1939, sino al 1980, anno in cui Sottsass chiude il suo studio in via Borgonuovo a Milano e apre lo studio Sottsass Associati con alcuni giovani architetti. Il fondo Sottsass jr. è strettamente collegato quindi al fondo Sottsass Associati, pure conservato al CSAC, che comprende progetti, disegni e opere personali realizzati da Sottsass negli anni in cui lavora con gli Associati fino alla morte avvenuta nel 2007. Il fondo Sottsass conserva centinaia di disegni a tempera, olio e pastelli riferibili alla ricerca pittorica dagli anni Quaranta agli anni Ottanta, la cartella “Arte concreta” (Litografia II/20) edita dalla Galleria Salto a Milano nel 1948, la serie

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di sculture in ceramica Yantra e la scocca di macchina da scrivere con custodia Valentine, prodotta da Olivetti nel 1968. Il fondo comprende inoltre parte delle opere relative alla attività di progettista per la Olivetti dal 1950 al 1975 nello Studio Olivetti in via Manzoni a Milano. La emeroteca, depositata da Sottsass al CSAC nel 1979, comprende numerose annate di riviste italiane e straniere dal 1950 al 1980, consultabili nella Biblioteca di LASS dell’Università di Parma. Tovaglia Pino samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=30106&force=1 Il fondo Tovaglia conserva schizzi, bozzetti, disegni, disegni esecutivi, collage, ma anche stampati, ritagli di stampa, fotografie e altro materiale di studio e di lavoro relativi a centinaia di progetti soprattutto di grafica e di design: studi di marchi e immagine coordinata per grandi aziende, musei ed enti pubblici, grafica editoriale per cataloghi di mostre, libri e riviste, progetti di oggetti e opere d’arte. I progetti sono poi, quasi sempre, documentati anche dal prodotto finito a stampa, spesso presente in più copie. Le lettere, appunti e dattiloscritti, presenti quasi per ogni progetto, costituiscono materia fondamentale per la ricostruzione storica dell’opera del grafico, ad esempio i documenti relativi agli incontri di gruppi di ricerca dei progettisti coinvolti presso l’azienda Nebiolo sono fondamentali per ricostruire l’iter progettuale condiviso da tanti progettisti sulla ricerca caratteri Nebiolo dal 1968 al 1973. Ugualmente significativa è la documentazione fotografica, di Tovaglia e di altri fotografi come, ad esempio, Aldo Ballo, particolarmente utile a ricostruire le diverse esposizioni o fiere: dagli stand per le fiere degli anni Cinquanta per Salmoiraghi, Finmeccanica e Montecatini fino all’allestimento per l’Esposizione Internazionale del Lavoro, Italia ’61. Il fondo comprende anche una notevole biblioteca e l’emeroteca proveniente dallo studio Tovaglia tra cui libri, riviste di settore e cataloghi di mostre, consultabili presso la Biblioteca del LASS dell’Università di Parma. Venosta Carla samha207.unipr.it/samirafe/loadcard.do?id_card=32873&force=1 Il fondo Venosta è costituito da numerosi progetti di design, allestimento, arredo urbano, architettura che constano di migliaia di schizzi, disegni, tavole e disegni esecutivi di vario formato in cartelle e buste; di disegni su lucido di grandi dimensioni; di modellini in carta, cartone e legno di oggetti di design e allestimenti, di plastici in legno e cartone colorato. Completano i materiali progettuali di design, schizzi, disegni, tavole e disegni esecutivi, modelli e prototipi in carta, cartone e altri materiali facilmente utilizzabili come ritagli di plastiche e di legno che documentano una modalità di lavoro particolare che denota cura per il particolare, per il materiale, per la produttività industriale a basso costo, ma anche una grande attenzione alla eticità del prodotto e alle modalità produttive. Temi questi oggi largamente condivisi nel mondo della progettazione, ma che già negli anni Ottanta si presentano come una scelta alternativa, al limite della rottura con le convenzioni, nella Milano dell’industria e del design. L’istituzione e la direzione della Fondazione Venosta negli anni Novanta da parte di Carla Venosta, in onore del marito prematuramente scomparso, la pongono, come persona e come progettista, al servizio dell’azienda no profit, proponendo l’applicazione della gestione manageriale dell’industria alle organizzazioni del volontariato no profit.

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In questa direzione che oggi definiamo etica, parlando di produzione del prodotto, nascono lavori come il sistema per ufficio Variabile per Arflex del 1975 e quelli per uffici direzionali per Busnelli, Korè e Portello del 1985 e 1989, la sedia in cristallo Le Violon del 1992, le librerie Antologia due del 1981 e Telemaco del 1993, la poltroncina in midollino Alice per Bonacina del 1996 che uniscono prodotto industriale e nuove tecnologie, funzionali ed economiche. Dagli anni Ottanta organizza e cura l’allestimento di numerose esposizioni a Milano nel campo della moda, per Trussardi e altri stilisti, alla Triennale e al Padiglione d’Arte Contemporanea. Il fondo depositato dalla designer allo CSAC non è ancora interamente consultabile, perché è in corso una revisione della prima schedatura realizzata nello studio.

Il Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC) è un centro di ricerca dell’Università di Parma fondato dal professor Arturo Carlo Quintavalle nel 1968. Fin dai suoi primi anni l’attività è volta alla costituzione di una raccolta di arte, fotografie, disegni di architettura, design, moda e grafica, all’organizzazione di numerose esposizioni e alla pubblicazione di cataloghi. Dal 2007 ha sede presso l’Abbazia di Valserena, in località Paradigna, a pochi chilometri da Parma. È strutturato in cinque sezioni – Arte, Fotografia, Media, Progetto, Spettacolo – nelle quali sono conservati circa 12 milioni di pezzi: oltre 1.700 dipinti, 300 sculture, 17.000 disegni di 200 artisti italiani del XX secolo; 7.000 bozzetti di manifesti, 2.000 manifesti cinematografici oltre a interi archivi (circa 100.000 pezzi) di grafici e pubblicitari; 14.000 disegni di satira, fumetto e illustrazione; 70.000 disegni di moda e un importante nucleo di abiti e costumi di scena; 2.500.000 negativi su lastre, 2.200.000 negativi su pellicola, 1.700.000 stampe fotografiche, 150 apparecchi fotografici antichi; 100 pellicole cinematografiche, 4.000 video-tape e una importante raccolta di attrezzature per tipografia, ottica e audiovisivi dei primi anni del Novecento. Dal maggio 2015 lo CSAC apre le sue collezioni a un pubblico più vasto, inaugurando un nuovo percorso museale permanente completamente ristrutturato: la Corte delle Sculture, la Sala Ipogea, la Sala delle Colonne, la Abbazia a cui si aggiungono le strutture per l’accoglienza al pubblico. Il nuovo percorso espositivo si propone di divulgare ad ampia scala e con un sistema di rotazione periodica delle opere, il vasto patrimonio conservato nell’archivio, promuovendo chiavi di lettura che mettano a fuoco gli aspetti meno indagati dell’arte, della fotografia, del progetto di architettura e di design, della moda e delle loro interazioni. Le innumerevoli possibilità offerte dai fondi archivistici conservati caratterizzano quindi le scelte culturali dell’Archivio/museo che diventa non solo luogo di visita, ma soprattutto luogo di riflessione culturale e di diffusione di ricerche nuove attraverso esposizioni, seminari, convegni e workshop sia di settore che interdisciplinari, finalizzati alla promozione culturale. Il Museo svolge attività didattica nell’ambito della formazione universitaria e dell’alta formazione, programmando laboratori specialistici di supporto alla ricerca e alla didattica, approfondendo problematiche relative alla conservazione, alla tutela del patrimonio culturale e sviluppando indagini tecnico-scientifiche sui materiali e soluzioni innovative nell’ambito della tutela degli archivi. 135 > ER/DESIGN


CSAC Centro Studi e Archivio della Comunicazione

Progettisti > Alchimia Studio; Archizoom Associati: Lucia e Dario Bartolini, Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Paolo Deganello, Massimo Morozzi; Mario Bellini; Enzo Bioli; Cini Boeri Associati; Stefano Boeri; Andrea Branzi; Brionvega: Franco Albini, Sergio Asti, Mario Bellini, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Richard Sapper, Ettore Sottsass, Hannes Wettstein, Marco Zanuso; Achille e Pier Giacomo Castiglioni; Ignazio Gardella; Enzo Mari; Gruppo Memphis; Alessandro Mendini; Roberto Menghi; Bruno Munari; Richard Neagle; Marcello Nizzoli, Mario Oliveri, Antonio Susini; Gio Ponti; Ambrogio Pozzi; Luciana Giovanna Roselli Amelotti; Alberto Rosselli; Lino Sabattini; Roberto Sambonet; Afra e Tobia Scarpa; Sottsass Associati, Ettore Sottsass jr.; Pino Tovaglia; Carla Venosta. Tipologia > Arredo d’interni / complementi d’arredo / ceramiche artistiche / apparecchi audio e video / vasellame e posateria / arredo urbano / giochi didattici / strumenti musicali / editoria e grafica editoriale / Corporate Identity Link > www.csacparma.it Bibliografia > Arturo Carlo Quintavalle, Il palazzo dell’arte, Milano, Fabbri, 1988.

Alberto Rosselli, poltroncina Jumbo, Saporiti, 1969, resina rinforzata, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Simona Riva del CSAC Università degli Studi di Parma ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvsPN1 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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La Collezione Borsari 1870

Parma via Trento 30/a

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Una delle sale in cui è esposta la Collezione Borsari 1870 a Parma (foto Andrea Scardova, 2016).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il primo museo italiano della profumeria apre nel 1990 all’interno della sede storica dell’azienda Borsari, fondata da Lodovico nel 1897, una eccellenza nel suo campo, la cui storia è legata all’essenza “Violetta di Parma”, rielaborazione della formula creata originariamente dai frati del convento dell’Annunciata per Maria Luigia, seconda moglie di Napoleone, duchessa di Parma per oltre trent’anni. La raccolta testimonia quasi cent’anni di storia dell’azienda e ne sottolinea l’attenzione all’immagine dei profumi: particolarmente curati il packaging e la comunicazione con i flaconi in vetro di forme diverse, intagliati e satinati, le scatole dalla carte raffinate, le etichette preziose, i manifesti, i piccoli calendari profumati e le cartoline. Importante la collaborazione con le vetrerie Bormioli ma è Erberto Carboni, architetto e designer parmigiano, a rivoluzionare lo stile dell’industria Borsari, firmando la linea sia delle locandine pubblicitarie, sia delle confezioni e delle bottiglie dei profumi, nonché di alcuni oggetti in metallo come i porta rossetto e il famoso porta profumo a forma del celebre aereo trimotore Savoia Marchetti S.79, prodotti dalle Fabbriche Riunite di Casalmaggiore. La collezione racconta la storia del gusto e del costume fino alla prima metà del


La Collezione Borsari 1870

Novecento senza tralasciare l’evoluzione della grafica e della pubblicità. Il percorso espositivo si completa con gli arredi originali del laboratorio chimico di Borsari: il tavolo da lavoro, con gli strumenti e i flaconcini delle essenze di base per preparare i profumi, accanto ai contenitori in metallo per lo stoccaggio del prodotto.

Da sinistra Flacone per l’essenza Violetta di Parma in vetro trasparente a foggia di mazzo di violette, con tappo in vetro satinato (vetreria Bormioli), Parma, La Collezione Borsari 1870 (foto Andrea Scardova, 2016).

PROGETTISTI > Bormioli vetrerie; Erberto Carboni; Fabbriche Riunite.

Flacone per Violetta di Parma in vetro trasparente e satinato di forma semicircolare a fontana, stile Art Déco, Parma, La Collezione Borsari 1870 (foto Andrea Scardova, 2016).

TIPOLOGIA > Corporate Identity / packaging LINK > www.parmacolorviola.com/ita/borsari.html BIBLIOGRAFIA > Sergio Coradeschi (a cura di), La Collezione Borsari 1870, Milano, Electa, 1990.

Erberto Carboni, portarossetto “Notte Romana”, Parma, La Collezione Borsari 1870 (foto Andrea Scardova, 2016).

Apparecchio spruzza profumo in uso nelle sale cinematografiche degli anni Trenta. L’apparecchio entrava in funzione inserendo 20 centesimi. Parma, La Collezione Borsari 1870 (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvykLH del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo Ettore Guatelli

Ozzano Taro Collecchio (Parma) via Nazionale 130

DE-PR004

Museo Ettore Guatelli, veduta d’insieme di una delle sale (foto Andrea Scardova, 2014).

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Dati informativi sul nucleo > L’identità del Museo è strettamente legata a quello del suo fondatore, Ettore Guatelli, e alla sua visione. Figlio di mezzadri, maestro elementare, collezionista di cose e di storie, etnografo e museografo. Spinto dalla curiosità e desideroso di salvarli dalla distruzione, a partire dagli anni Cinquanta raccoglierà più di 60.000 tra mobili, cose e attrezzi provenienti dalle case contadine e dai laboratori degli artigiani che venivano rimodernati, contribuendo alla riscoperta della cultura materiale. Anche l’allestimento del Museo, all’interno degli spazi del podere gestito dalla famiglia Guatelli, si presenta come un insieme di composizioni, di “installazioni”, non propone la tradizionale ricostruzione di ambienti, o la descrizione realistica dei cicli di lavorazione delle produzioni locali, ma lascia che siano gli oggetti disposti alle pareti a creare effetti scenografici e suggestioni visive che attirano l’attenzione del visitatore. Oggetti umili, quotidiani che conservano la memoria di chi li ha usati, aggiustati, consumati. Oggetti che rivelano l’ingegnosità di un nuovo utilizzo per scopi diversi, di un adattamento a nuove condizioni di vita e di lavoro o che danno forma ai desideri delle persone. Proprio alla creatività messa in atto per risolvere i casi offerti dalla vita di tutti i giorni fa riferimento una serie di oggetti conservati nel Museo: un arcolaio realizzato con rami curvati e un


Museo Ettore Guatelli

catino; una pompa carriola per verderame; una poltrona anatomica ricavata da uno strato di arenaria con forma naturale e datata 1886; una forma per rammendare le calze tenuta insieme dal coperchio di una scatoletta; un triciclo e una bicicletta realizzati con rami di albero; elmetti dei tedeschi trasformati in mestoloni da pozzo. Come scrive Catia Magni, si tratta di soluzioni «semplici, spontanee, inedite e geniali quanto necessitava. È questo il “design spontaneo” e rappresenta una delle tante chiavi di accesso per una lettura insolita, una vera strada percorribile che conduce dentro la natura umana delle cose. Quelle cose dei “grandi inventori ignoti”» (Il museo è qui, 2005, p. 211). Tipologia > Strumenti e attrezzi per il lavoro / macchine agricole / arredo d’interni / attrezzi e utensili da cucina / giocattoli / abbigliamento Link > www.museoguatelli.it Bibliografia > Catia Magni, Mario Turci (a cura di), Design spontaneo. Oggetti della cultura materiale creativa, Ozzano Taro di Collecchio, Fondazione Museo Ettore Guatelli, 2007. Catia Magni, Mario Turci (a cura di), Il Museo è qui. La natura umana delle cose. Il Museo Guatelli di Ozzano Taro, Milano, Skira, 2005.

In alto Un’arpa, Ozzano Taro, Museo Ettore Guatelli (foto Andrea Scardova, 2014).

Museo Ettore Guatelli, dettaglio di alcuni materiali della raccolta (foto Andrea Scardova, 2014).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvpkpP del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo storico dei lucchetti Collezione Vittorio Cavalli

Neviano degli Arduini (Parma) strada Chiavello 2/2 loc. Cedogno

DE-PR003

Veduta di una sala del Museo storico dei lucchetti - Collezione Vittorio Cavalli a Neviano degli Arduini (foto Andrea Scardova, 2015).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La passione di una vita: questo sono i lucchetti per Vittorio Cavalli che in più di settant’anni ha collezionato oltre 6.000 serrature portatili di ogni genere, epoca, materiale, dimensione e forma, provenienti dai cinque continenti. Nasce così nel 2001 il primo Museo al mondo dedicato esclusivamente ai lucchetti, con il contributo di enti, persone e imprese del territorio. Diverse le tipologie esposte a rotazione in un percorso per aree geografiche di provenienza. L’insieme con maggiore varietà di forme, dimensioni e provenienze è quello dei lucchetti a molla trasversale, mentre tra i più antichi ci sono quelli con molla a barbigli, più diffusi in Asia che in Occidente, e quelli zoomorfi che hanno solitamente dimensioni ridotte e diversi tipi di meccanismo. I lucchetti a tamburo dentato sono massicci e concedono poco all’estetica, mentre quelli a molla elicoidale possono avere dimensioni molto ridotte e sono frutto di una costruzione sapiente. Non mancano i lucchetti a combinazione di lettere, numeri o segni particolari e quelli a segreto svitabile di forme diverse, ma caratterizzati da una parte svitabile che nasconde il foro della chiave. Vanno poi ricordati quelli talismanici con corpo orizzontale e foro della chiave laterale e quelli per le biciclette, mezzo che già dall’Ottocento aveva bisogno di una protezione sicura. È proprio dal XIX secolo che cominciano a diffondersi le serrature portatili grazie alla produzione industriale di serie inglese e statunitense.


Museo storico dei lucchetti - Collezione Vittorio Cavalli

In Italia a metà Ottocento sono utilizzati soprattutto per chiudere le ante delle botteghe, le sbarre di chiusura delle stalle o le chiuse di irrigazione. Spesso, in Oriente come in Occidente, il lucchetto ha raggiunto un valore simbolico in termini di legame e appartenenza che ritroviamo in fenomeni come “i lucchetti dell’amore” o in oggetti quotidiani come gioielli, piercing, giocattoli, portacenere, salvadanai, termometri. TIPOLOGIA > Serrature LINK > www.museodeilucchetti.eu/homepage.html BIBLIOGRAFIA > Adriano Cappellini, Maria Cristina Curti, Adalberto Biasiotti,Un uomo, mille lucchetti, Parma, Grafica Step, 2006. Vittorio Cavalli, Stella Mei, I custodi dei segreti, Parma, Stamperia, 2014.

In alto Alcune serrature portatili esposte, Neviano degli Arduini, Museo storico dei lucchetti - Collezione Vittorio Cavalli (foto Andrea Scardova, 2015).

Particolare di alcuni esemplari esposti, Neviano degli Arduini, Museo storico dei lucchetti - Collezione Vittorio Cavalli (foto Andrea Scardova, 2015).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vw7gMd del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

142 > ER/DESIGN


Collezione Civica d’Arte Contemporanea MUseoSElla

Neviano degli Arduini (Parma) strada Cedogno 3 loc. Sella di Lodrignano

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Alessandro Mendini, Anna G., Alessi, 1994, Neviano degli Arduini, Collezione Civica d’Arte Contemporanea MUseoSElla (foto Andrea Scardova, 2015).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La Collezione raccoglie un variegato nucleo di arte contemporanea datato per lo più tra gli anni Sessanta e i giorni nostri e presenta simultaneamente artisti già storicizzati e giovani selezionati dai curatori del progetto. Quadri, sculture, fotografie, oggetti di design, collage, opere grafiche, installazioni, video e bozzetti di architettura compongono la panoramica, composta da circa 160 pezzi donati al Comune di Neviano degli Arduini per il progetto MUseoSElla tra il 2007 e il 2014. Questo primo nucleo di opere è stato distribuito sul territorio all’interno del progetto “Arte nelle case”, volto a realizzare un vero e proprio museo diffuso di arte contemporanea nelle case della piccola comunità nevianese, mentre sono state poi acquisite dall’Associazione Muse Artecontemporanea che gestisce la Collezione, e donate agli abitanti della zona, altre 60 opere di artisti già presenti nella raccolta. Entrambi i progetti sono in continua evoluzione con sempre nuove acquisizioni.


Collezione Civica d’Arte Contemporanea MUseoSElla

In basso a destra Renato Guttuso, Pierre Dinand, Marte di Battistoni, 1986, Neviano degli Arduini, Collezione Civica d’Arte Contemporanea MUseoSElla (foto Andrea Scardova, 2015). Sotto Renato Guttuso, Marta di Battistoni, 1985, Neviano degli Arduini, Collezione Civica d’Arte Contemporanea MUseoSElla (foto Andrea Scardova, 2015).

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Tre sono gli elementi riconducibili al mondo del design industriale all’interno della raccolta. Le bottiglie, disegnate e incise da Renato Guttuso a metà anni Ottanta, sono i campioni da esposizione per le linee di profumo femminile e maschile di Battistoni, “Marta”, chiaro omaggio a Marta Marzotto, e “Marte”, dedicato al dio della guerra e realizzato con la collaborazione tecnica di Pierre Dinand, famoso designer della profumeria mondiale. A queste si aggiunge il noto cavatappi “Anna G.” disegnato da Alessandro Mendini per Alessi, una vera e propria scultura di acciaio e plastica, ironico omaggio a una donna reale. PROGETTISTI > Pierre Dinand; Renato Guttuso; Alessandro Mendini. TIPOLOGIA > Packaging / Attrezzi e utensili da cucina LINK > www.museartecontemporanea.it BIBLIOGRAFIA > Come profumarsi con Guttuso, «La Repubblica», 24 ottobre 1985. Laura Polinoro, L’Officina Alessi. Alberto Alessi e Alessandro Mendini: dieci anni di progetto, 1980-1990, s.l., s.n.t., 1989.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Alessandro Garbasi del MUseoSElla ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvtJsT del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Musei Civici - Galleria Parmeggiani

Reggio Emilia corso Benedetto Cairoli 2

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Lampade industriali in stile Bauhaus, anni VentiTrenta del Novecento, Reggio Emilia, Musei Civici – Galleria Parmeggiani (foto Andrea Scardova, 2016).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Luigi Parmeggiani, particolare figura di anarchico di fine Ottocento convertitosi all’arte e all’antiquariato durante i suoi soggiorni a Londra e a Parigi come rifugiato, rientrato nel 1924 a Reggio Emilia, sua città natale, fa costruire un palazzo di gusto eclettico per ospitare la sua collezione che comprende arredi, armi, oreficerie, tessuti e dipinti antichi. Si tratta di un patrimonio che unisce la raccolta privata di Ignacio León y Escosura, pittore, collezionista e antiquario, con cui Parmeggiani collabora, di oggetti della bottega parigina Marcy che gestisce e di un nucleo di pitture di Cesare Detti di cui sposa più tardi la figlia. Nasce così una casa-museo privata che Parmeggiani venderà nel 1932 al Comune di Reggio Emilia, continuando a gestirla fino alla morte. Nell’allestimento delle sale sono riconoscibili alcuni esempi originali di lampade industriali in stile Bauhaus, risalenti agli anni Venti-Trenta del Novecento. In tutto si contano una ventina di pezzi riconducibili a un nucleo di design. TIPOLOGIA > Sistemi illuminanti LINK > www.musei.re.it/collezioni/galleria-parmeggiani

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvSwgu del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

145 > ER/DESIGN


Piccolo Museo della Moto Bariaschi

Guastalla (Reggio Emilia) via S. Giuseppe 16/a

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Veduta d’insieme dell’esposizione presso il Piccolo Museo della Moto Bariaschi a Guastalla (foto Andrea Scardova).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Emilio Bariaschi, appassionato e collezionista di moto d’epoca, ha aperto al pubblico nel 2008 il Piccolo Museo della Moto in cui sono esposte circa 170 moto prodotte nel periodo 1945-1965. Il Museo ripercorre la storia della motorizzazione di massa del secondo dopoguerra grazie a esemplari storici di 34 marchi diversi dell’industria motociclistica italiana e ad alcuni dei più importanti esempi dell’industria europea. Tra i modelli più significativi si segnala la bicilindrica Capriolo Cento50, progettata e realizzata dalla Aero Caproni di Trento. Nel riavviare la produzione dopo i danneggiamenti agli stabilimenti dovuti ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale l’azienda, famosa per la produzione di velivoli, scelse di puntare sul progetto di una motoleggera, presentata alla Fiera Internazionale del Ciclo e Motociclo di Milano nel 1953. Per la prima volta un motore a due cilindri orizzontali contrapposti veniva montato su una moto di piccola cilindrata. Prodotta fino al 1956 in non più di 500 esemplari, rappresenta, per originalità, speciali caratteristiche tecniche e raffinatezza costruttiva, una delle più apprezzate e ricercate motociclette degli anni Cinquanta. Negli stessi anni veniva prodotta la MV Agusta 125 Pullman, modello che si distingue nella storia dell’azienda per essere quello di cui sono stati realizzati in assoluto il maggior numero di esemplari. Sempre nel 1953 nasce Zigolo, la prima moto carrozzata della Moto Guzzi in cui


Piccolo Museo della Moto Bariaschi

In basso a destra Corradino D’Ascanio, Vespa, Piaggio, 1950, Guastalla, Piccolo Museo della Moto Bariaschi (foto Andrea Scardova). Sotto Isoscooter, prodotto da Isothermos, 1951, Guastalla, Piccolo Museo della Moto Bariaschi (foto Andrea Scardova).

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gli organi meccanici sono completamente nascosti appunto da una “carrozzeria” e la prima moto di questo tipo a ottenere un successo di vendita. Il progetto, come per il Guzzino, altra moto di grande popolarità, è dell’ingegner Antonio Micucci proveniente dall’Olivetti. La prima serie messa sul mercato per cercare di contenere il prezzo di vendita è di colore grigio e priva di cromature. Disponibile con una cilindrata di 98 cc e, dal 1960, anche di 110 cc viene prodotto fino al 1966. Per quanto concerne gli scooter sono questi gli anni della Vespa, brevettata nel 1946 e disegnata dall’ingegnere aeronautico Corradino D’Ascanio. Si tratta tuttora di uno dei simboli del design italiano nel mondo. Funzionale e innovativa gode da subito del consenso del pubblico e dei mezzi di comunicazione. La Piaggio ne produce in contemporanea anche una versione da corsa per dimostrarne la competitività anche nelle gare. L’ISOscooter contribuisce a far diventare la ISO di Bresso il terzo produttore italiano di scooter dopo Piaggio e Innocenti, favorendo anche la motorizzazione degli italiani all’inizio degli anni Cinquanta. Prodotto dal 1950 al 1957, come la maggior parte delle moto ISO è caratterizzato da un motore due tempi con cilindro sdoppiato, utile per coniugare economicità di costruzione ed economicità d’uso. PROGETTISTI > Aero Caproni; Corradino D’Ascanio; Antonio Micucci. TIPOLOGIA > Cicli e motocicli / motori LINK > www.piccolomuseodellamoto.it BIBLIOGRAFIA > Eugenio Baracchi (a cura di), Moto italiane e motorizzazione di massa tra il 1945 e il 1965, s.l., s.n., 2012.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vw4O8H del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo dell’Automobile

San Martino in Rio (Reggio Emilia) via Barbieri 12

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Alcuni dei modelli esposti, San Martino in Rio, Museo dell’Automobile (foto Andrea Scardova, 2016).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il primo nucleo del Museo dell’Automobile di San Martino nasce nel 1956 dall’idea geniale del bolognese Domenico Gentili, proprietario del saponificio Panigal di Borgo Panigale alle porte di Bologna e appassionato di auto d’epoca, che assieme al suo fornitore Giulio Campari, titolare della Campari & C. con sede a San Martino, e soprattutto con l’ausilio di Emilio Storchi Fermi, detto “Barighin”, decide di portare la sua collezione in questa paese in provincia di Reggio Emilia. All’inizio le auto vengono utilizzate dal mondo del cinema per le ambientazioni dei film poi Barighin con la Scuderia San Martino dà impulso alla raccolta, salvando e mettendo in circolo centinaia di esemplari, scovati un po’ dappertutto. Negli anni Sessanta e fino a metà degli anni Settanta San Martino in Rio diventa un importante centro del mondo automobilistico storico. Diverse vicissitudini portano alla vendita di buona parte della collezione, ma all’inizio degli anni Ottanta il Museo viene riaperto nella stessa sede dove oggi sono esposte una quarantina di vetture e una decina di moto. Tra i modelli presenti si segnalano la Zedel DB 14-18 HP del 1907, vettura di costruzione franco-svizzera che pare appartenuta alla regina Margherita,


Museo dell’Automobile

In basso a destra Lancia Augusta, 1934 e Lancia Artena, III serie, 1934, San Martino in Rio, Museo dell’Automobile (foto Andrea Scardova, 2016). Sotto Ford T, 1916, prima vettura costruita in catena di montaggio, San Martino in Rio, Museo dell’Automobile (foto Andrea Scardova, 2016).

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probabilmente disegnata da Carlo Biscaretti di Ruffia, all’epoca direttore della filiale romana della Carrozzeria Alessio che aveva lavorato alla realizzazione dell’auto, e la Ford T del 1916, la prima vettura costruita in catena di montaggio, il che permise di abbassarne significativamente il prezzo di vendita. Particolare la Fiat Balilla Coupé Royal del 1932 basata sulla popolare vettura Fiat, ma trasformata dalla Carrozzeria Brianza che faceva solo modelli di lusso: decappottabile, con interni in mogano, vetri discendenti e leggermente ricurvi, color verde petrolio con parafanghi blu. Di epoca più recente le auto disegnate da Pininfarina (Fiat 124 SS con linea di Tom Tjaarda, Alfa Romeo Giulietta Spider, Lancia Flaminia Coupé e Berlina, Ferrari 308) e Bertone (Dino 208 e Alfa Romeo Giulietta coupé). Caratteristica per i tre posti affiancati la Matra Bagheera del 1973, progettata da Philippe Guédon ma frutto di un lavoro d’équipe nel disegno definitivo del corpo vettura: tre i designer coinvolti, Jacques Nocher, Jean Toprieux (in forza alla Simca) e Antonis Volanis, designer greco trapiantato in Francia che tra l’altro progetterà le linee di altri modelli della casa automobilistica francese, nota anche per aver conquistato nel 1969 il campionato mondiale di Formula 1 con Jackie Stewart. PROGETTISTI > Ansaldo; Nuccio Bertone; Heinrich Bhune; Carlo Biscaretti di Ruffia; Carrozzeria Brianza; Piero Castagnero; Thomas A. Edison; Jen Farkas; Henry Ford; József Galamb; Philippe Guédon; Jacques Nocher; Pininfarina; Tom Tjaarda; Jean Toprieux; Leo Villa; Antonis Volanis; Childe Harold Wills. TIPOLOGIA > Automobili / cicli e motocicli LINK > www.museodellauto.it/museo/index.php/it BIBLIOGRAFIA > Roberto Vellani, Il museo dell’automobile di San Martino in Rio: storia di un museo, un indigeno e un paesino, Reggio Emilia, T&M Associati Editore, 2006.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Roberto Vellani del Museo dell’Automobile ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvqdyF del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

149 > ER/DESIGN


Museo della Città

Carpi (Modena) Palazzo dei Pio piazza dei Martiri 68

DE-MO011

In basso a destra Cappelli di truciolo, Carpi, Museo della Città (foto Andrea Scardova). Sotto Macchina per maglieria, Carpi, Museo della Città (foto Andrea Scardova).

150 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo della Città espone, razionalizzandolo nel filo cronologico della storia di Carpi, il patrimonio artistico e artigianale del vecchio Museo civico fondato nel 1898. Quell’istituto, in pieno clima positivista, aveva raccolto nelle sue collezioni, oltre a opere d’arte, tutto ciò che esprimesse l’attività e l’ingegno dell’uomo nei secoli della vita di Carpi. Dalle produzioni ceramiche alle terrecotte, dalle scagliole ai cimeli risorgimentali, passando per volumi a stampa e documenti, ma anche frammenti architettonici e decorativi della città, per arrivare a macchinari, attrezzi dell’attività agricola, quindi della produzione del truciolo fino alla più recente attività imprenditoriale del tessile abbigliamento. Proprio queste due ultime produzioni sviluppate nell’ambito delle collezioni del Novecento del Museo, anche grazie a supporti multimediali, sono di interesse nella documentazione del design anonimo. Si fa risalire alla seconda metà del Cinquecento l’origine della lavorazione dei trucioli, sottili e uniformi paglie tratte dai tronchi di salice e più tardi di pioppo, opportunamente coltivati, intrecciate in modo da ottenere una fettuccia utilizzata per realizzare cappelli e borse. Il lavoro si svolgeva principalmente a domicilio e confluiva solo in seguito negli stabilimenti per le ultime operazioni. L’attività del truciolo, oggi scomparsa, era fiorentissima tra metà Ottocento e primi decenni del Novecento e occupava manodopera femminile di tutte le età per l’intreccio e la confezione dei cappelli, una produzione che andò a variare l’abituale realizzazione di ceste e canestri, comune nel mondo contadino. Un copricapo leggero, economico, in grado di non far passare i raggi solari ma permeabile al sudore.


Museo della Città

La rete del lavoro a domicilio così formatasi permetterà l’avvio del tessile destinato all’abbigliamento che caratterizzerà l’industria locale nel secondo dopoguerra. Un settore che porterà continuità di lavoro e reddito rispetto all’industria stagionale del truciolo con un conseguente passaggio di manodopera dall’una all’altro. Le maglie vengono assemblate e confezionate in piccole aziende che arriveranno negli anni Ottanta a dare vita al sistema del “pronto moda” e nel decennio successivo a conquistare l’alta moda e il mercato internazionale. TIPOLOGIA > Abbigliamento / Macchine e componenti per l’industria LINK > www.palazzodeipio.it/imusei/Sezione.jsp?idSezione=32 Bibliografia > Manuela Rossi, Tania Previdi (a cura di), 100 oggetti per 100 anni. 1914-2014, un secolo di storia dei Musei di Carpi, Carpi, APM, 2014.

Trecce di trucioli, Carpi, Museo della Città (foto Andrea Scardova).

Macchina carpigiana per il taglio della paglia, 1847, Carpi, Museo della Città (foto Andrea Scardova).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvMFaY del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

151 > ER/DESIGN


Museo della Bilancia

Campogalliano (Modena) via Garibaldi 34/a

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In basso a destra Bilancia da banco tipo Béranger, portata di 5 kg, con meccanismo a leve composte in ferro. Indici contrapposti in ottone a forma di profilo d’uccello fissati ai sottopiatti. Catenot-Béranger & Companie 1860 ca., Campogalliano, Museo della Bilancia, inv. 148. Sotto Dettaglio della punzonatura sotto il piatto. CatenotBéranger & Companie 1860 ca., Campogalliano, Museo della Bilancia, inv. 148.

152 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La collezione del Museo della Bilancia di Campogalliano nasce sulla base di acquisizioni e donazioni susseguitesi a partire dal 1983 con lo scopo di mettere in piedi una raccolta che fosse esemplificativa dell’evoluzione dell’oggetto bilancia dalle sue origini ai giorni nostri. La precedenza, nel momento della ricerca degli esemplari che sarebbero andati a costituire il nucleo della collezione, è andata a oggetti di provenienza italiana, databili principalmente tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Non è mai stata presa in considerazione la scelta di acquistare oggetti di design, che pure sono noti dalla letteratura (Zanuso per Terraillon o Giovannoni per Alessi), perché più vicini ai nostri giorni e di minor interesse per una raccolta che doveva formarsi da zero con risorse economiche pubbliche quasi azzerate. La bilancia nasce come strumento di lavoro realizzato nelle botteghe di fabbri specializzati nella costruzione di pesi, misure e strumenti per pesare. Per lunghi secoli è stata la sola manualità, esperienza e saper fare dell’artigiano a caratterizzare gli strumenti per pesare e a distinguerli gli uni dagli altri. Possiamo ipotizzare che uno strumento appartenga a una categoria di design industriale nel solo momento in cui la produzione diventa industriale e su grande scala, non più quindi – come era usuale per la maggior parte dei produttori di bilance fino alla metà del secolo scorso – senza l’appoggio di un ufficio tecnico e senza la possibilità di replicare un esemplare in serie. Nella collezione del Museo della Bilancia sono conservate alcune bilance con indicazione del termine brevettato, relativo al sistema di leve che lo caratterizza, ma per la quasi totalità di queste non conosciamo né abbiamo alcuna notizia, non solo sul costruttore né tanto meno sull’eventuale designer né sul


Museo della Bilancia

In basso a destra Bilancia da banco tipo Béranger, portata di 40 kg, con meccanismo a leve composte in ferro. Indici contrapposti in ottone a forma di drago alato fissati ai sottopiatti. CatenotBéranger & Companie 1860 ca., Campogalliano, Museo della Bilancia, inv. 57. Sotto Dettaglio della punzonatura sotto il piatto: è possibile leggervi i numeri degli uffici metrici che hanno effettuato le operazioni di verifica, Savona e Albenga. CatenotBéranger & Companie 1860 ca., Campogalliano, Museo della Bilancia, inv. 57.

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brevetto. Possiamo però rintracciare una felice eccezione in una tipologia di bilance prodotte dalla ditta Joseph Béranger di Lione: le bilance a sospensione inferiore che prendono il nome dallo stesso Béranger e rappresentano una novità veramente innovativa nel panorama di strumenti in uso fino a quel momento. Queste “balances-pendules” prendono l’avvio da modifiche fatte alle bilance di tipo Roberval e vengono approvate in Francia per decisione ministeriale il 28 luglio 1847 ma negli anni a seguire vengono sottoposte a numerose modifiche atte a renderle sempre più sensibili. La ditta Béranger può contare su una vivace rete commerciale, così attiva che già in data 10 febbraio 1849 (firma del Reale Decreto del Re di Sardegna) si vede concessa la possibilità di fabbricare e vendere nel Regno (di Sardegna) questa tipologia di bilancia di sua invenzione. Gli esemplari esposti (invv. 57 e 148) sono prodotti dall’azienda mentre era sotto la guida di Catenot, genero e successore del fondatore: con cassa in legno e piano in ghisa, queste bilance hanno piatti in ottone punzonati col marchio del costruttore (Catenot-Béranger & Cie) e bolli di verifica del Regno d’Italia. PROGETTISTI > Joseph Béranger TIPOLOGIA > Strumenti e attrezzi per il lavoro LINK > www.museodellabilancia.it BIBLIOGRAFIA > Roberta Gibertoni, Annalisa Melodi, Giulia Luppi (a cura di), Il Museo della bilancia a Campogalliano, Milano, Electa, 1995. Enrico Gatti, Alessandra Mazzarella, Viola Nicolini, Museo della Bilancia. Guida alla collezione, Modena, Edizioni Sigem, 2015.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Lia Apparuti del Museo della Bilancia ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvGuUi del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

153 > ER/DESIGN


Collezione Caffè Cagliari Museo “Le Macchine da Caffè”

Modena via Giordano 125

DE-MO006

Veduta della sala in cui sono esposti alcuni esemplari prodotti da Victoria Arduino e La San Marco, 1910-1920 ca., Modena, Collezione Caffè Cagliari - Museo “Le Macchine da Caffè” (foto Andrea Scardova, 2016).

154 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo “Le Macchine da Caffè” riunisce la collezione di Caffè Cagliari, storica azienda di torrefazione modenese con oltre 100 anni di tradizione nel mondo del caffè. Si tratta di una delle più grandi e complete esposizioni al mondo di macchine per caffè espresso professionali che comprende oltre 120 esemplari di grande valore storico e stilistico. Il percorso espositivo mostra l’evoluzione nel corso del Novecento del sistema di estrazione dell’espresso italiano e l’influenza delle correnti artistiche e stilistiche sulle forme, i materiali e le decorazioni delle macchine. Seguendo un percorso cronologico si possono ammirare le macchine a colonna con funzionamento a vapore dei primi del Novecento, quelle con sistema a leva manuale del dopoguerra fino ai modelli a erogazione continua realizzate dagli anni Sessanta a oggi. Tutti gli esemplari esposti sono originali e funzionanti, alcuni dei quali nati dalle matite di prestigiosi designer italiani che hanno saputo interpretare le influenze sociali e artistiche traducendole in autentici capolavori della tecnica e del design industriale. Tra i modelli più prestigiosi si segnalano le serie Minivat e Supervat realizzate negli anni Cinquanta da Luigi Caccia Dominioni per lo storico mar-


Collezione Caffè Cagliari Museo “Le Macchine da Caffè” In basso a destra Super Eterna a vapore, Società Anonima Watt Pavia, 1925, Modena, Collezione Caffè Cagliari - Museo “Le Macchine da Caffè” (foto Andrea Scardova, 2016). Sotto Luigi Caccia Dominioni, Supervat, serie prodotta in tre varianti di modello per Victoria Arduino, Torino, 1952, Modena, Collezione Caffè Cagliari - Museo “Le Macchine da Caffè” (foto Andrea Scardova, 2016). Camillo Gaggia, Massimo Migliorini, Internazionale, Gaggia, 1954, Modena, Collezione Caffè Cagliari - Museo “Le Macchine da Caffè” (foto Andrea Scardova, 2016).

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chio Victoria Arduino, oppure la macchina Lilliput 55, nata dalla collaborazione tra l’azienda La Pavoni e i noti architetti Gio Ponti, Alberto Rosselli e l’ingegnere Luigi Fornaroli dello studio P.F.R. Fiore all’occhiello della collezione è il modello Concorso, disegnato nel 1956 da Bruno Munari e Enzo Mari. Soprannominato anche Diamante per le suggestive sfaccettature, vinse il concorso indetto da La Pavoni in collaborazione con le famose riviste di design «Domus», «Casabella» e «Stile Industria». Di significativo interesse anche il modello Ducale creato nel 1957 dal designer Giovanni Travasa per Rancilio e il modello Agorà realizzato nel 1964 dai fratelli Castiglioni per l’azienda milanese Cimbali. La collezione è in continua crescita e custodisce al suo interno una sezione dedicata alle macchine da caffè a uso domestico e preziosi oggetti legati al mondo del caffè. PROGETTISTI > Luigi Caccia Dominioni; Achille e Pier Giacomo Castiglioni; Luigi Fornaroli; Enzo Mari; Bruno Munari; Gio Ponti; Alberto Rosselli; Studio P.F.R.; Giovanni Travasa. TIPOLOGIA > Strumenti e attrezzi per il lavoro LINK > www.collezionecaffecagliari.it BIBLIOGRAFIA > Paolo Battaglia, Alessandra Cagliari (a cura di), Espresso! Le macchine da caffè, Modena, Caffè Cagliari, 2009.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Licia Mandrioli della Collezione Caffè Cagliari ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvSXYj del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

155 > ER/DESIGN


Museo dell’auto storica Stanguellini

Modena via Emilia Est 756

DE-MO008

Panoramica di alcuni modelli Stanguellini, Modena, Museo dell’auto storica Stanguellini (foto Andrea Scardova, 2016).

156 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo nasce nel 1996 per volontà di Francesco Stanguellini, figlio di Vittorio, fondatore dell’attività, e si è andato via via arricchendo di prestigiosi pezzi rari che hanno ampliato e impreziosito la collezione, con oltre una trentina di auto tra vetture da corsa e coupé sportive. Stanguellini è certamente il più antico nome modenese legato al mondo dei motori nel XX secolo. Sono presenti, oltre a una collezione tematica di veicoli e “pezzi unici” prodotti e modificati dai primi del Novecento, numerosi attrezzi utilizzati per la realizzazione e la messa a punto delle auto. Sono esposte vetture che hanno collezionato centinaia di vittorie fra cui Mille Miglia, Targa Florio, Coppa Vanderbilt, campionati italiani ed europei. All’interno del Museo si possono ammirare le prime vetture Sport 750 e 1100 di derivazione Fiat, il motore bialbero di intera costruzione Stanguellini del 1950 e ancora la gloriosa Stanguellini Junior 1100 degli anni Sessanta, vincitrice del G.P. di Montecarlo Junior del 1959, fino a giungere alla celebre Colibrì disegnata da Scaglione con motore Moto Guzzi posteriore e alla prestigiosa Formula 3, un gioiello di creazione sportiva. Si possono inoltre trovare altre autovetture, motori, accessori, fotografie – tra cui una con il mitico Fangio, cinque volte campione del mondo, al volante della F. Junior Stanguellini a Monza – riviste e materiale pubblicitario, accanto a diverse parti di auto da competizione, che insieme tessono le fila della storia automobilistica modenese.


Museo dell’auto storica Stanguellini

PROGETTISTI > Oberdan Golfieri; Franco Scaglione; Vittorio Stanguellini. TIPOLOGIA > Automobili / motori LINK > www.stanguellini.it/museo BIBLIOGRAFIA > Luigi Orsini, Franco Zagari, Stanguellini. Piccole grandi auto da corsa, Vimodrone, Giorgio Nada Editore, 2003.

Auto da corsa Stanguellini. In primo piano la innovativa Colibrì con carrozzeria disegnata da Franco Scaglione nel 1963. Modena, Museo dell’auto storica Stanguellini (foto Andrea Scardova, 2016).

Pininfarina, Alfa Romeo 1900, 1953, Modena, Museo dell’auto storica Stanguellini (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Massimo Neri del Museo dell’auto storica Stanguellini ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvOqop del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

157 > ER/DESIGN


Galleria Civica

Modena corso Canalgrande 103

DE-MO001

In basso a destra Koki Fregni, bozzetto per un tappeto di piastrelle Edilcuoghi, 1968-1979, Modena, Galleria Civica. Sotto Ico Parisi, bozzetto per poltrona antropomorfa a forma di mano, 1968, Modena, Galleria Civica.

158 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La Galleria Civica di Modena alla sua vocazione istituzionale legata alla organizzazione di mostre temporanee di arte contemporanea affianca, da oltre un ventennio, una attività collezionistica, di primo livello in ambito nazionale, costituita dalla Raccolta della Fotografia e dalla Raccolta del Disegno. In particolare quest’ultima, un unicum nel panorama del collezionismo pubblico nel nostro paese, nasce nel 1989 su impulso dell’allora direttore della Galleria, Flaminio Gualdoni e negli anni si è mantenuta fedele ad alcune linee programmatiche che puntano sulla qualità, sulla costituzione di nuclei di opere e documenti relativi a eventi o personalità di rilievo nella cultura figurativa dall’inizio del XX secolo sino ai giorni nostri, sull’attenzione all’arte sul territorio e alle giovani generazioni. Tra i fondi monografici della Raccolta se ne segnalano alcuni dedicati al design. Il fondo Koki Fregni, donato dalla vedova dello scenografo modenese nel 1997, comprende anche 75 bozzetti che ne documentano l’attività di grafico e autore di noti marchi (Granarolo, Annovi e Reverberi, Edilcuoghi ceramiche, Moto Malaguti), diversi utilizzati ancora oggi, e di manifesti che hanno segnato il gusto di un’epoca e alcune delle occasioni più importanti della cultura cittadina e regionale (poster per il “Festival del libro economico” degli anni Cinquanta, per alcune stagioni teatrali e anche copertine di libri). Da giovane, nei primi anni Cinquanta, Fregni è impiegato come grafico della Federazione del Partito Comunista di Modena e inoltre lavora per qualche tipografia, compresa quella della Curia, per cui realizza i primi progetti per arredi e allestimenti di stand e negozi e cura la grafica di alcune industrie del territorio, tra cui anche Ferrari e Maserati.


Galleria Civica

Aldo Cibic, due panche della serie Standard, 1990, Modena, Galleria Civica.

Molto ricco è il fondo donato da Ico Parisi dopo un paio di esposizioni monografiche che la Galleria gli aveva dedicato negli anni Novanta. Poliedrico ed eclettico, è stato architetto, artista, designer e fotografo fuori dagli schemi. Parisi ha sempre teso a operare ai confini delle soglie disciplinari e nel campo del design a lui si devono, tra gli altri, mobili icona come il tavolo-mensola per Rizzi del 1947 e la poltrona a uovo 813 per Cassina del 1951. Ispirato dalle forme naturali, sia vegetali che animali, passa poi negli anni Sessanta alla scoperta del corpo umano disegnando oggetti antropomorfi, spesso realizzati sul filo dell’ironia (poltrone a forma di mano, lampade a forma di occhio). Tra i documenti conservati nel fondo (disegni, fotografie, cataloghi, volumi, quaderni di appunti, lettere) si segnalano 43 lettere autografe manoscritte, datate dal 1954 al 1967, arricchite di straordinari elementi decorativi e calligrafici inviate dal noto architetto Gio Ponti ai coniugi Parisi, cui era legato da una profonda amicizia. Nel 2011 la Galleria ha ricevuto in dono due panche della serie Standard, disegnata dall’architetto e designer Aldo Cibic, dalla collezione Alessandro Grassi, courtesy Galleria “Le Case d’Arte di Milano” di Pasquale Leccese, sedute che sono attualmente in mostra negli spazi espositivi di Palazzo Santa Margherita. La panca in legno tinta all’anilina della produzione Standard è stata disegnata con l’idea di essere allo stesso tempo un elemento scultoreo e un elemento d’uso. Ha un aspetto monolitico e nelle intenzioni viene utilizzata sia per sedersi sia come console bassa sulla quale si possono appoggiare degli oggetti. Fa parte di una collezione articolata di mobili, oggetti e accessori, molto diversi tra loro, disegnati e prodotti da Aldo Cibic nel 1990 che volevano rappresentare un design di qualità per la vita. Oltre a questa panca c’erano divani fuori scala, tavoli in legno colorati, una serie di ceramiche per la tavola ed elementi di illuminazione non convenzionali. PROGETTISTI > Aldo Cibic; Koki Fregni; Ico Parisi. TIPOLOGIA > Arredo d’interni / complementi d’arredo / Corporate Identity / editoria e grafica editoriale LINK > www.comune.modena.it/galleria

Koki Fregni, bozzetto di studio per il marchio Granarolo, Modena, Galleria Civica.

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BIBLIOGRAFIA > Mario Cadalora (a cura di), Koki scenografo. Il libro di Giuseppe Fregni, Modena, Artioli, 1995. Flaminio Gualdoni (a cura di), Ico Parisi & Architetture, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1990. Piero Deggiovanni (a cura di), Ico Parisi & Disegni, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1994.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Gabriella Roganti della Galleria Civica ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvTQQu del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

159 > ER/DESIGN


Museo Civico d’Arte

Modena largo Porta S. Agostino 337

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Manifattura Ferrari Moreni di Sassuolo, servizio da tavola, 1836-1854, terraglia, Modena, Museo Civico d’Arte (foto Andrea Scardova, 2015).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo Civico d’Arte insieme al Museo Civico Archeologico Etnologico costituiscono oggi i Musei Civici di Modena, nati nel 1871 come museo unitario, con sede nel Palazzo dei Musei dal 1886. Realizzato per evitare la dispersione del patrimonio archeologico, storico e artistico della città, è caratterizzato da nuclei di diversa tipologia, espressione del territorio. Tra le numerose collezioni che compongono oggi il Museo Civico d’Arte, alcune risultano molto significative quali precoci esempi di design industriale. Tralasciando la collezione tessile Gandini, straordinario repertorio di modelli ordinato sotto gli auspici di una rinascita manifatturiera, il Museo ospita sia la strumentazione “didattica” ad uso della formazione delle classi imprenditoriali, sia il risultato di sperimentazioni e di applicazioni al comparto produttivo. Al primo caso appartengono i modelli di macchine che il Gabinetto di Fisica dell’Università cedette al Museo tra il 1889 e 1898; non più funzionale all’insegnamento, tale strumentazione fu incamerata per il suo valore storico e, soprattutto, quale testimonianza documentaria rispetto alla tradizione tecnico-scientifica del Ducato. Molti sono i nomi dei “macchinisti” modenesi che diedero forma alle intuizioni di scienziati specializzati in astronomia, termologia, idraulica e ottica, spesso vestendo le loro opere di preziosi dettagli decorativi, sempre aggiornati sui dettami stilistici più moderni. Tale attenzione all’ornamento trova poi punte di estrema raffinatezza in alcuni oggetti come l’accendilume di Alessandro Volta (1800 ca.) i cui delicati e complessi meccanismi sono celati dentro a un’urna dalla purissima forma classica. Un altro capitolo fondamentale per la creazione


Museo Civico d’Arte

In basso a destra Felice Riccò, lastra metallica a sbalzo, Modena, Museo Civico d’Arte (foto Andrea Scardova, 2015). Sotto Macchine e modelli di macchine relative alla disciplina della meccanica del Gabinetto di Fisica dell’Università, Modena, Museo Civico d’Arte (foto Andrea Scardova, 2015).

161 > ER/DESIGN

di un gusto schiettamente locale è la Scuola dei Cadetti Matematici Pionieri, istituita dal duca Francesco V d’Austria-Este nel 1823 sulle ceneri dell’Università, giusto in quell’anno trasformata in una serie di convitti organizzati militarmente. Modelli di gru, elevatori, pompe e mulini dalle forme prettamente funzionali utilizzati per lo studio dagli ingegneri e dagli architetti. Altra figura di “artefice” è quella del poliedrico Felice Riccò (1817-1894) che fece dono di numerosi materiali al Museo nell’anno della sua fondazione. Tali materiali testimoniano un’attività tutta volta a ottenere con mezzi meccanici elementi decorativi fino a quel momento appannaggio dell’artigianato. Intagli e intarsi lignei, lastre metalliche incise o sbalzate erano realizzate con l’ausilio di pantografi, laminatoi e, talvolta, con strumenti e procedimenti non ancora individuati. Perfezionò poi la “stampa naturale”, una tecnica che utilizzava elementi bidimensionali come ali d’insetto, petali, foglie e merletti per ottenere una matrice; in questa operazione non era previsto alcun intervento umano e la lastra così ottenuta poteva essere usata per riproduzioni su svariati supporti. Riccò ottenne diversi riconoscimenti partecipando alle grandi esposizioni internazionali del secondo Ottocento ma, sebbene esistano opuscoli sulle applicazioni pratiche e numerosi campionari, mancano esempi di oggetti effettivamente prodotti. Per quanto riguarda la collezione delle ceramiche, le istanze iniziali della raccolta portano sempre alla ricerca di una radicata tradizione artigianale, la quale si dilata poi in una serie di esemplari legati alla città più per le loro vicende che per l’effettiva esecuzione in ambito locale. Dove invece emerge in pieno una vicenda produttiva legata al territorio è nelle ceramiche di Sassuolo, le cui attività hanno inizio nel 1741. Quelle prime manifatture di maioliche da tavola seguitano a sfornare manufatti che mano a mano si adeguano ai tempi; nel 1836 una delle due maggiori fabbriche viene acquistata dal conte Ferrari Moreni che si specializza nelle terraglie “all’uso d’Inghilterra”. Verso la fine del secolo la famiglia Rubbiani ne diviene proprietaria e, cambiando totalmente il registro, consolida quel fortunatissimo filone, ora davvero industriale, delle mattonelle.


Museo Civico d’Arte

Tra gli artigiani locali vanno annoverati anche Antonio Apparuti la cui attività iniziò con le armi, proseguì con gli strumenti a fiato in ottone e finì, passando al figlio, con le bilance e le stadere; a parte un fucile da valle datato 1825, il Museo conserva soprattutto gli ottoni, alcuni dei quali presentano significativi perfezionamenti e innovazioni molto apprezzate dai contemporanei. Anche nel campo dell’argenteria Modena offre con continuità una produzione di qualità elevata che, nel corso dell’Ottocento, si confronta anche con la realizzazione di oggetti ottenuti da semilavorati seriali. Candelieri, saliere e caffettiere sfruttavano una lavorazione a stampo che, seppure ottenuta con mezzi artigianali, consentiva una serialità già pre-industriale. Il nucleo di argenterie da tavola donato da Carlo Sernicoli, testimonianza soprattutto stilistica del gusto imperante nel Ducato, si lega ai lavori della bottega di Tommaso Rinaldi la cui attività è ampiamente testimoniata in Museo; accanto agli oggetti sono esposti anche i modelli in cera e in piombo oltre a stampi di ferro per lo sbalzo e la fusione, a testimoniare i vari passaggi di produzione. PROGETTISTI > Antonio Apparuti; Manifattura Ferrari Moreni; Felice Riccò; Tommaso Rinaldi; Manifattura Rubbiani; Scuola dei Cadetti Matematici Pionieri; Alessandro Volta. TIPOLOGIA > Ceramiche artistiche / vasellame e posateria / ceramica per rivestimenti e pavimentazioni / strumenti e attrezzi per il lavoro / strumenti scientifici / strumenti musicali Link > www.museicivici.modena.it/it/raccolte/raccolte-del-museo-darte Bibliografia > Museo civico d’arte di Modena, Guida al Museo civico d’arte, a cura di Francesca Piccinini, Luana Ponzoni, Modena, Comune di Modena, 2008.

Felice Riccò, campionario di lastrine metalliche incise, Modena, Museo Civico d’Arte (foto Andrea Scardova, 2015).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Lorenzo Lorenzini del Museo Civico d’Arte ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvTFor del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo Enzo Ferrari

Modena via Paolo Ferrari 85

DE-MO004

Particolare dello spazio del Museo durante la proiezione del filmato sul fondatore, Modena, Museo Enzo Ferrari (foto Andrea Scardova, 2016).

163 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Dal primo gennaio 2014 la Ferrari ha due musei, complementari e sinergici. A quello classico di Maranello, che presenta la Ferrari di oggi che affonda le proprie radici nel passato guardando al futuro, si affianca ora il MEF di Modena, il Museo Enzo Ferrari, costruito attorno alla casa natale del fondatore. Il nuovo edificio futuristico a forma di cofano giallo, ispirata alle vettura da corsa degli anni Cinquanta, disegnato da Jan Kaplicky dello studio Future Systems di Londra, sorge come un grande spazio avvolgente di 5.000 metri quadrati per esposizioni di automobili a tema. In questo spazio rivive, tra le automobili più significative della sua vita, la storia del fondatore, come pilota creatore della Scuderia negli anni Trenta e come costruttore dal 1947. Una storia raccontata anche da due filmati che, grazie a ben 19 proiettori, avvolge il visitatore e permette di collocare Enzo Ferrari nelle diverse epoche, tra piloti, modelli di auto e personaggi noti. Inoltre, nello spazio dove Alfredo Ferrari, il padre di Enzo, aveva la sua officina all’inizio del secolo scorso, ha sede oggi il Museo dei Motori Ferrari. Tra le vetture in esposizione, troviamo la prima Ferrari presentata in un Salone automobilistico, la 166 MM, le iconiche GT degli anni Cinquanta e Sessanta e alcune tra le serie speciali più performanti. La Dino 246 GT, presentata al Salone di Ginevra del 1969, grazie al suo successo commerciale è rimasta in produzione fino al 1974. La versione spider,


Museo Enzo Ferrari

Alcuni dei modelli storici esposti insieme a esemplari di motori, Modena, Museo Enzo Ferrari (foto Andrea Scardova, 2016).

pensata quasi esclusivamente per il mercato statunitense, è diventata la protagonista della serie “Attenti a quei due” con Tony Curtis e Roger Moore. In occasione del suo novantesimo compleanno e dei 40 anni di produzione automobilistica, Enzo Ferrari presenta nel 1987 a Maranello la F40, equipaggiata con motore a 8 cilindri di 3000 cc con due turbocompressori. Una vettura con prestazioni e contenuti tecnologici estremi che si colloca perfettamente tra un modello da strada e un’auto da corsa, diventando un vero e proprio oggetto di culto per gli appassionati Ferrari. La F50, erede della F40, viene presentata al Salone di Ginevra nel 1995. Si tratta di una vera monoposto travestita da granturismo, che prevede una serie di innovazioni tecnologiche mutuate direttamente dall’esperienza in pista con un design unico in puro stile Pininfarina. Viene prodotta fino al 1997 in 349 esemplari. L’aerodinamica è un elemento fondamentale in questa vettura, soprattutto nell’alettone posteriore, nelle prese d’aria del cofano anteriore e nel fondo vettura con effetto suolo. Anche la struttura dell’abitacolo in carbonio richiama la monoposto.

Pininfarina, F40, 1987, Modena, Museo Enzo Ferrari (foto Andrea Scardova, 2016).

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Museo Enzo Ferrari

La Enzo Ferrari, dedicata nel 2002 al fondatore dell’Azienda, si inserisce nel filone delle serie speciali, uniche per prestazioni ed esclusive per numero di esemplari. Si tratta di una vettura di eccellenza prodotta in 399 esemplari, sviluppati per un uso stradale, ma espressione dei più avanzati contenuti tecnologici messi a punto nella Formula 1. Tra le sue caratteristiche la vettura, al variare della velocità, assume automaticamente l’assetto aerodinamico ottimale. Infine LaFerrari è la prima vettura ibrida realizzata nel 2013 per unire agli 800 cavalli del motore V12 aspirato, i 163 cavalli dati dal Kers. Rispetto alla Formula 1, dove il Kers viene utilizzato su comando del pilota, su LaFerrari i 963 cavalli sono sempre a disposizione di chi è al volante. A questa potenza straordinaria si uniscono una riduzione di consumi ed emissioni pari al 40% e una grande facilità di guida grazie all’aerodinamica mobile e agli aiuti elettronici sperimentati nella F1. PROGETTISTI > Nuccio Bertone; Carrozzeria Pininfarina; Centro Stile Ferrari - Flavio Manzoni; Gioachino Colombo; Dino Ferrari; Aurelio Lampredi; Sergio Scaglietti. TIPOLOGIA > Automobili / motori LINK > musei.ferrari.com/it/modena BIBLIOGRAFIA > Future Systems, Shiro Studio. Museo casa Enzo Ferrari, Modena, testi di Fabio Camorani et al., Milano, Electa, 2012.

Centro Stile Ferrari - Flavio Manzoni, LaFerrari, 2013, Modena, Museo Enzo Ferrari (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Veronica Bellinazzi del Museo Enzo Ferrari ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvSe99 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Collezione Umberto Panini Motor Museum

Modena via Corletto Sud 320 loc. Cittanova

DE-MO007

Maserati 6C 34 (a destra). Con questa vettura Tazio Nuvolari vincerà i Gran Premi di Modena e Napoli dopo avere lasciato la Scuderia Ferrari nel 1933 per correre in proprio. Modena, Collezione Umberto Panini - Motor Museum (foto Andrea Scardova, 2016).

166 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Appassionato di motori, Umberto Panini ha collezionato automobili e motociclette durante la sua vita, scegliendoli solo in base alle emozioni che i diversi modelli gli trasmettevano, per puro piacere personale. Un momento cruciale per la sua Collezione è segnato dall’acquisizione di 19 vetture storiche Maserati che stavano per lasciare l’Italia. La storia di questo marchio è lunga e travagliata. Già i fratelli Maserati avevano conservato gli automezzi più significativi prodotti, oltre ai prototipi sperimentali, creando così nel corso dei decenni una collezione di automobili, di motori e di componenti unica al mondo, in grado di illustrare l’evoluzione storica, tecnica e stilistica dell’Azienda. Nel 1965 la famiglia Orsi, divenuta proprietaria del marchio nel 1937, aveva riservato una parte dello stabilimento modenese per esporre le vetture storiche, creando un vero e proprio museo. Quando nel 1993 il Gruppo Fiat Auto acquisì la fabbrica dal Gruppo De Tomaso, la collezione di auto e motori rimase alla vecchia proprietà che nel 1996 ne rivendicò la disponibilità: Fiat comprò i 15 motori, mentre le 19 vetture vennero ritirate per essere messe all’asta a Londra. La città si mobilitò per evitare la dispersione di un patrimonio del territorio e Umberto Panini decise di farsi carico del loro acquisto, portandole poi nella loro sede espositiva attuale, all’interno dell’azienda agricola di fa-


Collezione Umberto Panini Motor Museum

Maserati Ghibli Spider (prima a sinistra) degli anni Sessanta. La linea, frutto della fantasia di Giugiaro per Ghia, risultò un perfetto connubio tra eleganza e stile, rendendo questa vettura unica nel suo genere. Modena, Collezione Umberto Panini - Motor Museum (foto Andrea Scardova, 2016).

Maserati 5000 GT (prima a sinistra). Prodotta in soli 34 esemplari, è stata carrozzata da diversi designer tra i quali Pinifarina, Allemano che è stato il più utilizzato, Touring e altri. Modena, Collezione Umberto Panini Motor Museum (foto Andrea Scardova, 2016).

167 > ER/DESIGN

miglia. Si tratta della più importante collezione Maserati del mondo per numero di pezzi esposti. Particolarmente significati alcuni modelli del reparto corse a partire dalla 6C 34 di Tazio Nuvolari che nel 1933 decide di lasciare la Scuderia Ferrari e correre con una vettura propria e vince i Gran Premi di Modena e di Napoli. La A6 GCS Berlinetta Pininfarina, prodotta in soli quattro esemplari, con carrozzeria barchetta conquista importanti vittorie come quelle nel Gran Premio d’Italia, edizioni 1953 e 1954. La 250F che gareggia in Formula 1 per sette stagioni, vince un titolo Piloti nel 1957 con Fangio e fa esordire la prima donna in un Gran Premio: Maria Teresa De Filippis, nel 1958. La 420M 58 “Eldorado” costruita espressamente per la 500 Miglia di Monza del 1958 che, guidata da Stirling Moss, lotta per le prime posizioni. La Tipo 61 Drogo “Birdcage” con un telaio particolarmente leggero composto da oltre 200 piccoli segmenti di tubo.


Collezione Umberto Panini Motor Museum

Nel 1957 viene messa sul mercato la 3500 GT con carrozzeria Touring, la prima vettura su strada che, grazie al rilevante successo di vendita, contribuisce alla ripresa economica della Maserati. Da segnalare poi i modelli disegnati da Giugiaro: la prima, la Ghibli coupé del 1967, dall’aspetto aggressivo e filante, ma non troppo vistoso, la Bora del 1971, la prima granturismo Maserati con motore posteriore centrale, e la Merak, presentata al Salone dell’Automobile di Parigi nel 1972, in cui il progettista utilizza due archi rampanti al di sopra del tetto posteriore per dare continuità alla silhouette dell’auto il cui volume era tagliato verticalmente dietro i sedili. PROGETTISTI > Giulio Alfieri; Vittorio Bellentani; Carrozzeria Allemano; Carrozzeria Pininfarina; Carrozzeria Touring; Gioachino Colombo; Medardo Fantuzzi; Pietro Frua; Marcello Gandini; Giorgetto Giugiaro; Italdesign; Ernesto Maserati; Alberto Massimino. TIPOLOGIA > Automobili LINK > www.paninimotormuseum.it BIBLIOGRAFIA > Decio Giulio Riccardo Carugati, Elisabetta Marsano, Maserati, 90 anni di storia Maserati, 90 anni di storia italiana, Milano, Electa, 2004. Gianni Cancellieri et al., Maserati, un secolo di storia. Il libro ufficiale, Vimodrone, Giorgio Nada, 2013. Nunzia Manicardi, Modena capitale dei motori: Ferrari, Maserati, Stanguellini & tutti gli altri. Vicende e protagonisti di cento anni di motorismo: quando la passione diventa storia, Finale Emilia, CDL, 2011.

Maserati Concept Italdesign 124. Concept car dei primi anni Settanta affidata all’estro e alla fantasia di Giorgietto Giugiaro, voluta da Maserati per studiare nuove linee di design. Non trovò mai alcun sbocco realizzativo per via di alcune scelte tecniche troppo avanzate per quegli anni, rimanendo così per sempre prototipo. Modena, Collezione Umberto Panini - Motor Museum (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Giovanni Panini della Collezione Umberto Panini Motor Museum ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvNQr2 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica Sassuolo (Modena) viale Monte Santo 40

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Guido Crepax, piastrella disegnata per Mila Schön, 1987, Sassuolo, Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica (foto Andrea Scardova, 2016).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Centro di Documentazione è stato inaugurato nel 1995 e ha sede presso Confindustria Ceramica a Sassuolo, nella storica Palazzina della Casiglia, già residenza estiva dei duchi Estensi, restaurata alla fine degli anni Ottanta da Gae Aulenti. Il progetto di rendere pubblico un primo nucleo essenziale di piastrelle di ceramica nell’ambito del Centro di Documentazione costituisce il concretarsi di un luogo di raccolta della piastrella, individuato come punto di riferimento nazionale e internazionale. Il Centro, composto da una biblioteca e da una sezione museale, si trova infatti nell’area in cui è nata la piastrella di ceramica industriale, cui fa riferimento la storia, lo sviluppo e l’evoluzione del settore. Il museo contiene circa 1.000 pezzi che rappresentano la produzione di tutta Italia con esemplari datati dall’inizio del Novecento fino al 1990 circa e un nucleo importante relativo alle manifatture di Sassuolo. La raccolta è organizzata in modo da metterne in luce gli esempi più importanti e significativi sotto un triplice aspetto: creativo e artistico, tecnologico e di ricerca, di marketing e di diffusione. Sono pertanto conservati sia pezzi significativi per essere stati realizzati da designer di fama internazionale (Bruno Munari, Ettore Sottsass, Enzo Mari, Sergio Asti) o da artisti (Renato Guttuso, Lucio Fontana, Augusto Chini) o da architetti (Gio Ponti, Gae Aulenti, Paolo Portoghesi, Cini Boeri), sia pezzi rilevanti per il loro contenuto tecnologico e di innovazione (prime serigrafie o prodotti brevettati come il Kervit), sia pezzi importanti dal punto di vista commerciale e di successo di vendita (tutta la serie degli stilisti di moda, da Va-


Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica

Veduta del museo del Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica a Sassuolo.

lentino a Versace, solo per fare qualche esempio). Consistente è il numero di piastrelle prodotte da aziende del distretto di Sassuolo dalle più importanti aziende (alcune delle quali ancora operative, come per esempio la Marazzi) a quelle che hanno avuto un’importanza storica e che ora non esistono più o i cui marchi sono stati acquisiti da altre aziende del distretto in un processo di evoluzione continua non solo del prodotto, ma anche del tessuto societario delle aziende produttrici. Troviamo quindi testimonianze dell’antica tradizione italiana con le diverse tipologie decorative, di architetti e designer che si sono cimentati con le grandi opere, prototipi legati alla ricerca e alla sperimentazione all’interno di aziende e laboratori, elaborati di vincitori di concorsi e manifestazioni dedicati alla ceramica, piastrelle individuate come capisaldi dell’evoluzione tecnologica del prodotto, frutto della ricerca scientifica e dell’innovazione dei processi – dal

Particolare di una delle vetrina, Sassuolo, Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica.

170 > ER/DESIGN


Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica

In basso a destra Aldo Londi, piastrella disegnata per Ceramica Flavia, Sassuolo, Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica (foto Andrea Scardova, 2016). Sotto Alessandro Mendini, piastrella disegnata per Cottoveneto, Sassuolo, Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica (foto Andrea Scardova, 2016).

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Kervit, al grès rosso, alla pasta bianca, alla monocottura e monopressatura – per arrivare all’evoluzione stilistica del prodotto grazie alla creatività di artisti, designer e stilisti. PROGETTISTI > Alchimia; Alietti; Lodovico Asirelli; Sergio Asti; Gae Aulenti; D. Bedini; M.L. Belgioiso; Giampaolo Bertozzi; Angelo Biancini; Biki; Cini Boeri; Franco Bucci; Gianfranco Budini; Antonio Bullo; Antonia Campi; Roger Capron; Nino Caruso; Beppe Caterugli; Silvio Cattani; Augusto Chini; Galileo Chini; Vieri Chini; Chiozzi; Giovanni Cimatti; CP&PR Associati; Annabelle d’Huart; Stefano Dal Monte Casoni; Della Casa; Riccardo Dalisi; Delord; Piero Dorazio; Lucio Fontana; Emidio Galassi; J.P. Garault; Riccardo Gatti; Bianco Ghini; C. Grasova Rihova; Renato Guttuso; Guy Harloff; Krizia; Ugo La Pietra; Luciano Laghi; Leandro Lega; Alfonso Leoni; Aldo Londi; P. Manara; Enzo Mari; Gino Marotta; Alessandro Mendini; Bruno Munari; Original Designers 6R5 Network; Annibale Oste; Dante Passarelli; Pompeo Pianezzola; Massimo Piani; Leda Piazzi Chiari; Gio Ponti; Renata Ponti; Paolo Portoghesi; Aldo Rontini; Mimmo Rotella; Agostino Salsedo; Guglielmo Sansoni; A. Scarzella; Mila Schön; Scolaro Atelier; Davide Servadei; Ettore Sottsass jr.; Sottsass Associati; Sutor; Paolo Tilche; Panos Tsolakos; Trussardi; Valentino; Versace; Marco Zanini; Marco Zanuso; Carlo Zauli. TIPOLOGIA > Ceramica per rivestimenti e pavimentazioni / piastrelle ceramiche LINK > www.confindustriaceramica.it/site/home/associazione/centro-di-documentazione-dellindustria-italiana-delle-piastrelle-di-ceramica.html BIBLIOGRAFIA > Assopiastrelle, Centro di documentazione dell’industria italiana delle piastrelle di ceramica, Sassuolo, Assopiastrelle, 1995.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata Maria Teresa Rubbiani del Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvx0Z6 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

171 > ER/DESIGN


Galleria Marca Corona

Sassuolo (Modena) via Emilia Romagna 7

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Progetti e piastrelle realizzate per la Maison Ungaro di Parigi dal 1988 al 1994, Sassuolo, Galleria Marca Corona (foto Andrea Scardova, 2016).

172 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La Galleria viene inaugurata nel 2010 per esporre la collezione storica aziendale di ceramiche in un allestimento in cui la narrazione multimediale e interattiva, realizzata dallo Studio N03! di Milano, aiuta a comporre il contesto storico culturale degli oggetti. La raccolta documenta l’evoluzione della fabbrica sassolese dal 1741 a oggi, dalla produzione di stoviglie, oggetti di arredo, targhe per la toponomastica e la numerazione stradale, sino alle piastrelle decorate per pavimenti, precorritrici della produzione industriale odierna. In seguito alle trasformazioni societarie avvenute nel corso del Novecento – il nome Marca Corona compare per la prima volta nel 1935 – la Galleria trova le proprie origini nel patrimonio del “Museo della Fabbrica Rubbiani”, allestito nell’Ottocento nel fabbricato residenziale adiacente all’impianto di Contrada del Borgo, la prima raccolta della ceramica a Sassuolo. Da questa provengono pregiati oggetti di ceramica sassolese, unitamente a pezzi faentini e di altre aree italiane a vocazione ceramica, come Casteldurante, Castelli, Pesaro, Savona, Carpi e Modena. La collezione permette di ripercorrere la successione storica degli stili e la realizzazione dei primi materiali per rivestimenti, antenati delle odierne piastrelle. È nel 1847 che alla tradizionale produzione di oggetti per la casa si affianca per la prima volta la realizzazione delle “quadrelle” o “pianelle” di argilla, smaltate e preziosamente decorate. I fratelli Rubbiani lavorano per migliorarne le qualità sia in termini di


Galleria Marca Corona

In basso a destra Ditta Carlo Rubbiani, parte del “Saggio di piastrelle in maiolica per pareti” presentato nel 1889 all’Esposizione del Museo Artistico Industriale di Roma, Sassuolo, Galleria Marca Corona (foto Andrea Scardova, 2016). Sotto Ditta Carlo Rubbiani, catalogo delle “mattonelle smaltate” da esportazione, Sassuolo, Galleria Marca Corona (foto Andrea Scardova, 2016).

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materiale che di decorazione ed estendono il loro utilizzo dalle abitazioni all’arredo urbano e alle cappelle monumentali. Recentemente è stato individuato il pennello liberty di Carlo Casaltoli proprio nella decorazione di un rivestimento. A partire dal 1889 l’introduzione della pressatura a secco, lavorazione mutuata dagli stabilimenti inglesi di Wedgwood, permette di avere un prodotto più sottile rispetto alla precedente mattonella. Inizia la promozione di questi nuovi prodotti sassolesi nelle mostre campionarie internazionali, da Parigi a Vienna e a Londra. Le piastrelle, dopo i decori neorinascimentali e floreali di fine Ottocento, nel Novecento imitano le lacche e le forme geometrizzanti del Déco, riprendono poi temi neorealisti e di propaganda bellica, la ritrattistica familiare e i soggetti sacri. In tempi più recenti è la moda a influenzare nuove forme espressive e nuove funzioni per i rivestimenti ceramici. Marca Corona collabora con la Maison Ungaro a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta producendo 16 diverse serie su disegno dell’atelier parigino. Un passato e un presente che si ritrovano nella produzione contemporanea nel segno di una continuità imprenditoriale e artistica. PROGETTISTI > Carlo Casaltoli; Carlo Rubbiani; Emanuel Ungaro. TIPOLOGIA > Ceramica per rivestimenti e pavimentazioni / vasellame e posateria / complementi d’arredo / arredo urbano LINK > www.marcacorona.it/azienda/galleria-marca-corona.html BIBLIOGRAFIA > Vincenzo Vandelli, La raccolta di ceramiche della Marca Corona. Nel nuovo “Museo della fabbrica” due secoli di storia artistica e tecnologica, in Duecentocinquant’anni di ceramica a Sassuolo, 1741-1991, 2 voll., 1, Dalla manifattura alla fabbrica, s.l., Ceramiche Marca Corona, 1991, pp. 81-121.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvQv3V del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

173 > ER/DESIGN


Collezione di ceramiche artistiche sassolesi

Fiorano Modenese (Modena) Villa Vigarani Guastalla via Statale Est 3

DE-MO012

Da sinistra Ceramiche Manifattura Dallari, seconda metà XVIII secolo, Fiorano Modenese, Collezione di ceramiche artistiche sassolesi (foto Andrea Scardova). Ceramiche Fabbrica Ferrari Moreni, 1836-1853, Fiorano Modenese, Collezione di ceramiche artistiche sassolesi (foto Andrea Scardova).

174 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Nel 1999 Emilceramica Group ha completato la ristrutturazione di Villa Vigarani Guastalla, storico edificio seicentesco opera di Gaspare Vigarani, in cui espone la propria collezione di antiche ceramiche artistiche sassolesi composta di circa 300 pezzi, dalla manifattura Dallari a quella dei Rubbiani. Le “manifatture” sono gli stabilimenti che realizzarono il primo passo verso l’industrializzazione. I lavori venivano ancora svolti a mano, ma secondo criteri industriali come quelli della produzione in serie o della divisione dei compiti. La produzione locale di maiolica inizia nel 1756 con la fornace sassolese di Gian Maria Dallari che aveva ottenuto da Francesco III d’Este il monopolio per la fabbricazione di questa preziosa ceramica. Nella collezione sono presenti vasetti in maiolica Dallari con decorazioni “alla Rouen” d’ispirazione lodigiana; zuppiere e vassoi in cui si riconosce la mano del pittore sassuolese Pietro Lei (1740-1814). Quando la manifattura passa al conte Ferrari Moreni viene introdotto l’uso della terraglia con cui vengono realizzati vasetti, vasi, piatti, vassoi, coppe, tazze, zuppiere e statuette di gusto romantico, con alcune tarde decorazioni a chinoiserie. La terraglia della fabbrica del Ferrari Moreni interpreta nelle forme semplici, aggraziate, ma senza ostentazione, nella bicromia bianco e azzurro (i colori di Casa d’Este) e nei decori, il gusto dell’aristocrazia modenese e dell’emergente borghesia nel corso della Restaurazione austro-estense.


Collezione di ceramiche artistiche sassolesi

In basso a destra Ceramiche Fabbrica Rubbiani, 1853-1911, Fiorano Modenese, Collezione di ceramiche artistiche sassolesi (foto Andrea Scardova). Sotto Ceramiche Fabbrica Rubbiani, 1853-1911, Fiorano Modenese, Collezione di ceramiche artistiche sassolesi (foto Andrea Scardova).

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L’attività di Gian Maria Rubbiani e dei figli documenta l’evoluzione della fabbrica nell’ultimo quarto dell’Ottocento. Sono esposti numerosi pezzi di ceramica policroma, sia d’uso sia d’arredo, di gusto eclettico neorinascimentale, come piatti, vasi, vassoi, zuppiere, bugie, mensole e statuette e in alcuni è riconoscibile la paternità dell’esecuzione e della decorazione a opera di artisti come Luigi Rubbiani, Silvestro Barberini e Carlo Casaltoli. Le rinnovate disposizioni urbanistiche post-unitarie, nonché le nuove disposizioni in materia sanitaria, inducono i Rubbiani alla fabbricazione di targhe in maiolica di varie dimensioni e piastrelle pressate a secco per rivestimenti e pavimentazioni, da affiancare alla produzione di ceramica artistica. PROGETTISTI > Silvestro Barberini; Carlo Casaltoli; Pietro Lei; Manifattura Dallari; Manifattura Ferrari Moreni; Manifattura Rubbiani; Luigi Rubbiani. TIPOLOGIA > Ceramiche artistiche / complementi d’arredo / vasellame e posateria LINK > www.emilgroup.it/home BIBLIOGRAFIA > Francesco Liverani, Le ceramiche: Sassuolo secoli XVIII e XIX, in Vincenzo Vandelli (a cura di), Villa Vigarani Guastalla, s.l., Emilceramica, 2005.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvs2M1 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

175 > ER/DESIGN


Museo della Ceramica

Fiorano Modenese (Modena) via del Castello 12 Spezzano

DE-MO003

Piastrelle e listelli in maiolica decorati con motivi geometrici e floreali. Tecniche e formati vari. Fabbrica Carlo Rubbiani, Sassuolo, ultimo quarto dell’Ottocento. Raccolta Ceramiche Marca Corona, Sezione Contemporanea, Fiorano Modenese, Museo della Ceramica (foto Andrea Scardova, 2016).

176 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo della Ceramica, allestito nel Castello di Spezzano, nasce per documentare la vocazione del territorio alla lavorazione dell’argilla fin dall’antichità. Il percorso museale intende ricostruire l’evoluzione della ceramica dal Neolitico ai giorni nostri con riferimento all’evoluzione delle tecniche di lavorazione, delle fornaci, delle decorazioni. La Sezione Contemporanea del Museo espone da un lato le persistenti produzioni locali, ancora manuali e poi meccaniche, di laterizi e formelle, dall’altro documenta le innovazioni tecnologiche dell’Ottocento proto-industriale e lo sviluppo della meccanizzazione. Lo esemplificano i prodotti dalla Manifattura Ferrari Moreni di Sassuolo: piatti, vassoi e il vaso portafiori in terraglia “all’uso inglese”, con decori floreali nei colori bianco e azzurro del restaurato governo ducale, oppure nell’elegante colore bianco avorio; prodotti dal costo più contenuto rispetto alla maiolica quindi di minore prezzo e maggiore diffusione. Il salto innovativo compiuto in questo territorio è evidente nei manufatti della Fabbrica Carlo Rubbiani di Sassuolo: da una parte il piatto da portata in maiolica dipinta a tema floreale, firmato dal pittore Vittorio Neri, che documenta la produzione artistica di stoviglieria e oggetti domestici di alto livello, dall’altra l’emergente produzione industriale della piastrella pressata a secco, qui rappresentata da diversi esemplari per pavimento e rivestimento decorati a mascherina e a cuerda seca. Della Fabbrica Rubbiani sono presenti anche targhe viarie, numeri civici, tavolette mortuarie, formelle per stufe in maiolica


Museo della Ceramica

Ettore Sottsass, Carlo Zauli, Aldo Londi, Enzo Mari, Alessio Sarri, Alessandro Mendini: solo alcuni nomi tra i tanti artisti e designer italiani e stranieri rappresentati nella Raccolta Contemporanea del Museo della Ceramica di Fiorano, una collezione composta di pezzi unici che rappresentano le tendenze più significative nel campo della ceramica (foto Andrea Scardova, 2016).

177 > ER/DESIGN

e targhe devozionali realizzate a stampo e in serie con decorazione dipinta nei tradizionali colori bianco e blu. La Sezione Attuale è interamente dedicata alla piastrella ceramica, prodotto seriale industriale di successo del comprensorio modenese-reggiano. 120 i pezzi esposti, a partire da piastrelle e listelli di fine Ottocento-inizio Novecento della Fabbrica Carlo Rubbiani e piastrelle con marchio di fabbrica “Società Ceramica Sassuolo”, erede della storica Fabbrica Rubbiani, poi trasformata nel 1935 in Società Ceramiche Marca Corona. Degli anni Venti e Trenta sono documentati listelli a decoro geometrico déco della Società Ceramica di Sassuolo e una singolare piastrella con decoro a mascherina “Ritratto del Duce” della Ceramica Carani e Giglioli della Veggia (Reggio Emilia). Da segnalare la piastrella “Marinai”, decorata a mano e firmata “Luciana 1944” prodotta dalla Ceramica Marca Corona; sempre degli anni Quaranta è il pavimento composito, con disegno ripetitivo modulare, su disegno dell’artista Venerio Martini, realizzato da Erminio Martini per Marazzi Ceramiche. Dopo la Seconda guerra mondiale la necessità di ricostruire spinge le aziende a realizzare prodotti di poco costo, funzionali e non diversificati, pertanto raramente le piastrelle sono firmate; singolare prodotto degli anni Cinquanta è il Kervit, su brevetto Korak-Dal Borgo, per l’Industria Ceramica Veggia, una piastrella da rivestimento di spessore sottile, ottenuta per colaggio, di piccole dimensioni, che sperimenta una tecnologia nuova e anticipa gli spessori sottili del grès porcellanato attuale. Numerose le piastrelle esposte di produzione industriale realizzate con il contributo di stilisti, designer e artisti tra gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta: Paco Rabanne, Federico Forquet e Biki per Marazzi Ceramiche; Antonia Cam-


Museo della Ceramica

pi per Manifattura Richard Ginori; Lodovico Asirelli per Cisa e Iris Ceramica; Antonio Bullo, Franco Bucci, Panos Tsolakos per Iris Ceramica; Gianni Versace per Cerdisa; Roger Capron, Amleto Dalla Costa e Nino Caruso che collaborarono con “Il Crogiolo” di Marazzi Ceramiche, laboratorio e fucina di idee nato grazie a Erminio Martini. Negli anni Novanta il design è rappresentato da Setsuko Nagasawa per il Crogiolo di Marazzi Ceramiche, Peynet con la famosa immagine “I Fidanzatini” per Marazzi Ceramiche; Rolando Giovannini e Francesco Liverani per A.C.I.F, Gino Gavioli e Gianfranco Morini per Iris Ceramica, Maurizio Mengolini per Alta Ceramica Faentina. La Raccolta Contemporanea del Museo è una collezione di pezzi unici, oggetti firmati di elevata qualità e già connotati da una propria storicizzazione, opere contemporanee in ceramica che rappresentano le tendenze più significative nei campi dell’arte ceramica, del design, delle ceramiche d’architettura e dell’innovazione tecnologica e funzionale. Grazie a donazioni, concorsi e alla manifestazione Biennale della Ceramica, è stato acquisito un numero considerevole di opere che documentano la contemporaneità e i suoi protagonisti italiani e stranieri. Per citare solo alcune autorevoli presenze: dai più giovani Antonio Bullo e Massimo Piani fino ai celebri nomi dei milanesi Mari, Mendini, La Pietra, Guerriero, Sottsass Associati, Marco Zanini, Antonia Campi, come pure i fiorentini Adolfo Natalini, Alessio Sarri, per non tralasciare artisti del calibro di Mimmo Paladino e Pablo Echaurren e i più noti ceramisti italiani Carlo Zauli, Pompeo Pianezzola, Alessio Tasca, Carlos Carlè, Tullio Mazzotti, Sandra Baruzzi, Giuseppe (Pino) Spagnulo, Aldo Rontini, Alberto Lingotti. PROGETTISTI > Lodovico Asirelli; Sandra Baruzzi; Biki; Franco Bucci; Antonio Bullo; Antonia Campi; Roger Capron; Nino Caruso; Carlos Carlè; Amleto Dalla Costa; Pablo Echaurren; Federico Forquet; Gino Gavioli; Rolando Giovannini; Alessandro Guerriero; Ugo La Pietra; Alberto Lingotti; Francesco Liverani; Enzo Mari; Erminio Martini; Venerio Martini; Tullio Mazzotti; Alessandro Mendini; Maurizio Mengolini; Gianfranco Morini; Setsuko Nagasawa; Adolfo Natalini; Mimmo Paladino; Peynet; Pompeo Pianezzola; Massimo Piani; Paco Rabanne; Aldo Rontini; Alessio Sarri; Sottsass Associati; Giuseppe (Pino) Spagnulo; Alessio Tasca; Panos Tsolakos; Gianni Versace; Marco Zanini; Carlo Zauli.

Artisti, designer e grafici come Biki, Antonio Bullo, Franco Bucci, Lodovico Asirelli interpretano in modo personale la piastrella e alla fine degli anni Settanta intervengono anche stilisti come Valentino, chiamati dalle grandi aziende del settore. Sezione Attuale, Fiorano Modenese, Museo della Ceramica (foto Andrea Scardova, 2016).

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TIPOLOGIA > Ceramica per rivestimenti e pavimentazioni / ceramiche artistiche / complementi d’arredo / vasellame e posateria LINK  >  www.comune.fiorano-modenese.mo.it/aree-tematiche/culturasport-e-tempo-libero/museo-della-ceramica/il-museo BIBLIOGRAFIA > Museo della ceramica, Castello di Spezzano. Guida, Fiorano Modenese, Comune, 2000. Rolando Giovannini (a cura di), Progetto ceramica. Le Biennali e la Raccolta Contemporanea, Fiorano Modenese, Comune, 2004.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Stefania Spaggiari del Museo della Ceramica ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvzVRA del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

178 > ER/DESIGN


Museo Ferrari

Maranello (Modena) via Alfredo Dino Ferrari 43

DE-MO005

Veduta d’insieme del Museo Ferrari a Maranello (foto Andrea Scardova, 2016).

179 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo Ferrari si trova a Maranello nel cuore dei luoghi più significativi della storia e della produzione Ferrari, a 400 metri dallo storico ingresso di via Abetone, dal quale uscì nel 1947 la prima vettura, la 125 S, e dalla pista di Fiorano, il famoso circuito di prove della Ferrari, fortemente voluto dal fondatore Enzo Ferrari e inaugurato nel 1972 proprio accanto agli stabilimenti. Il Museo nasce nel 1990, a un anno e mezzo di distanza dalla morte di Enzo Ferrari, nel giorno del suo compleanno, col nome di Galleria Ferrari. Massimo Iosa Ghini ne ha poi curato la ristrutturazione e il restyling in un allestimento essenziale come lo stile della casa automobilistica e legato all’idea di velocità che la caratterizza. Fin da subito il Museo ha dovuto attingere al patrimonio dei collezionisti privati per poter esporre modelli e memorabilia della storia Ferrari perché Enzo Ferrari non amava soffermarsi sui successi passati e conservare i modelli prodotti. Il Commendatore era, infatti, noto per essere sempre rivolto al futuro, alla prossima vettura da realizzare e alla prossima sfida da vincere. Ancora oggi continua la collaborazione con collezioni private in Italia e nel mondo per poter arricchire il patrimonio di vetture e proporre ai visitatori modelli sempre diversi che siano significativi della storia sportiva e della produzione stradale dell’Azienda. Per quanto riguarda il rapporto con i designer, Touring, Vignale, Bertone, Ghia sono alcuni dei carrozzieri storici che sin dalla fine degli anni Quaranta facevano a gara per “vestire” i primi modelli Ferrari. Ogni vettura era costruita a mano


Museo Ferrari

Ferrari 250 GT Berlinetta a passo corto, 1959. Automobile da strada disegnata da Pininfarina e costruita con la collaborazione di Scaglietti, con poche modifiche poteva correre sui circuiti in versione da gara, Maranello, Museo Ferrari (foto Andrea Scardova, 2016).

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e il cliente aveva l’opportunità di soddisfare le sue personali esigenze stilistiche, rendendo ogni automobile un esemplare unico. Tra un’auto e l’altra si potevano cogliere numerose differenze di dettaglio. La collaborazione più continuativa e duratura è stata, però, quella con Pininfarina, nata nel 1952 e durata 60 anni, contribuendo a creare quegli stilemi e quella linea Ferrari riconosciuti in tutto il mondo. Nel 2010 è nato il Centro Stile Ferrari, interno all’Azienda, che sviluppa oggi il design di tutte le nuove vetture. All’interno del Museo sono esposte le monoposto Campioni del Mondo dal 1999 al 2008 con i relativi motori originali. Una serie di mostre temporanee a tema permettono di esporre a rotazione modelli da strada e da pista, raccontando storie e persone uniche: dalle supercar ai modelli di laboratorio, dalle auto che hanno conquistato gli Stati Uniti alle serie limitate, ai piloti che hanno vinto almeno una gara con una Ferrari. PROGETTISTI > Nuccio Bertone; Aldo Brovarone; Carrozzeria Ghia; Carrozzeria Pininfarina; Carrozzeria Touring; Leonardo Fioravanti; Marcello Gandini; Giorgetto Giugiaro; Alfredo Vignale. TIPOLOGIA > Automobili / motori LINK > musei.ferrari.com/it/maranello BIBLIOGRAFIA > ICARO Progetti X l’Arte, Elisabetta Barbolini Ferrari, Augusto Bulgarelli (a cura di), Maranello e il suo museo. Tra storia, presente e futuro, Modena, Artioli, 2012.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Veronica Bellinazzi del Museo Enzo Ferrari ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvBTS5 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

180 > ER/DESIGN


Museo delle moto e dei ciclomotori DEMM

Porretta Terme (Bologna) via Mazzini 230/a

DE-BO013

Panoramica di alcuni modelli di ciclomotori, Porretta Terme, Museo delle moto e dei ciclomotori DEMM (foto Andrea Scardova, 2016).

181 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La DEMM (Fratelli Daldi e Matteucci S.p.A.) è stata un’industria metalmeccanica e una casa motociclistica italiana attiva dal 1919 al 1988. Fondata a Milano come fabbrica di ingranaggi, diviene DEMM nel 1928, ampliando la propria produzione a vari componenti di motori e strumenti di precisione. Attualmente ha dismesso le attività motociclistiche per dedicarsi alla produzione di ingranaggi e sistemi di trasmissione per veicoli agricoli e industriali. Il Museo deve la sua nascita nel 2005 a Giuliano Mazzini che ha dedicato la sua vita alla DEMM: prima come disegnatore meccanico, poi come direttore di produzione e infine come consigliere delegato e vicepresidente. A lui si devono sia i disegni di motori diesel, pompe di lubrificazione, macchine utensili che i progetti del Bialbero 49cc 4T desmodromico, rimasto prototipo, e del Bialbero 5 e 6, del rivoluzionario ciclomotore Mini DEMM con motore all’interno della ruota posteriore, del Rotary con serbatoio nel tubo del telaio, dello Smily (1972) e del Koala, del Condor e del Panther (1979 entrambi) con motori Minarelli. Giuliano Mazzini a partire dal 1985, insieme al figlio Mosè, ha iniziato un lungo e minuzioso lavoro di ricerca, recupero, restauro e valorizzazione dei documenti, dei prototipi e dei modelli legati alla produzione di motoleggere e ciclomotori, sia su strada che da gara. La squadra corse dell’azienda ha partecipato a diverse attività sportive, tra cui diverse edizioni del Campionato Italiano Velocità Montagna.


Museo delle moto e dei ciclomotori DEMM

Siluro, motore 50 cc, campione mondiale di velocità su pista nel 1956, Porretta Terme, Museo delle moto e dei ciclomotori DEMM (foto Andrea Scardova, 2016).

Tra i circa 100 esemplari esposti si segnalano anche Dick-Dick, il primo ciclomotore DEMM, costruito nel 1956, e il Siluro, ciclomotore carenato con motore 50 cc 2 tempi che, sempre in quell’anno, conquistò ben 24 record mondiali di velocità sulla pista di Monza. TIPOLOGIA > Cicli e motocicli LINK > www.registrostoricodemm.com/museo.htm BIBLIOGRAFIA > Giuliano Mazzini, Museo. Storia moto/ciclomotoristica della SPA Officine Meccaniche F.lli Daldi & Matteucci, Porretta Terme (BO), 1952-1982, s.l., s.n.t., 2002. Giuliano Mazzini, 40 anni in DEMM. Una storia montanara, le nostre radici, s.l., s.n.t., 2003.

Panoramica di alcuni modelli di motocicli, Porretta Terme, Museo delle moto e dei ciclomotori DEMM (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvK9Bt del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

182 > ER/DESIGN


Museo Lamborghini

Sant’Agata Bolognese (Bologna) via Modena 12

DE-BO014

Museo Lamborghini, veduta d’insieme (foto Andrea Scardova, 2015)

183 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Inaugurato nel 2001, il Museo Lamborghini ripercorre tutte le tappe salienti del marchio del Toro ed è frutto della volontà di Automobili Lamborghini di coniugare la tradizione artigianale italiana con l’innovazione e la tecnologia che da sempre caratterizzano le vetture della Casa di Sant’Agata, nel cuore della Terra dei Motori. Il patrimonio del Museo è costituito da 45 vetture, esposte a rotazione. Motori, modelli e foto contribuiscono a fornire ai visitatori una panoramica completa delle vicende che riguardano il marchio, che prosegue la sua storia sulla scia della prima idea visionaria di Ferruccio Lamborghini. Vengono presentate le più belle automobili progettate e costruite a Sant’Agata Bolognese dal 1963, anno di fondazione dell’azienda, sino ad oggi: percorrendo i due piani del Museo si possono ammirare sia vetture storiche, come la 350 GT, la Miura, il Countach e la Diablo, che automobili fabbricate in serie limitata e one-off, veicoli costruiti in un unico esemplare. Si tratta di celeberrimi esempi di design industriale che hanno segnato dei punti di svolta nella storia dell’automotive. Si segnalano alcuni fra i pezzi più pregiati. 350 GT e 400 GT caratterizzate dal design elegante. La carrozzeria viene realizzata in alluminio da Touring di Milano e per questo motivo denominata “superleggera”. Miura il cui prototipo, autotelaio completo di meccanica, viene esposto nel novembre del 1965 al Salone di Torino. Il primo in assoluto con un motore trasversale posizionato nella parte posteriore centrale della vettura. Subito dopo la presentazione, è Nuccio Bertone a “vestire” la creatura rivoluzionaria di Ferruccio Lamborghini che viene presentata ufficialmente il marzo seguente al Salone di Ginevra. Countach la cui linea a cuneo, che contraddistingue già il primo prototipo, sembra sia stata disegnata senza staccare neppure per un istante la matita dal foglio. Tra i collaboratori nella realizzazione del prototipo Stanzani, che ha montato il classico


Museo Lamborghini

Franco Scaglione, prototipo 350 GTV, Sant’Agata Bolognese, Museo Lamborghini (foto Andrea Scardova, 2015).

motore V12 da 5.0 litri sul nuovissimo design di Marcello Gandini dalle linee estreme e spigolose che riecheggiano la geometria di un esagono persino nei sedili. La Countach diviene la prima Lamborghini con le portiere a forbice, ancora oggi icona di esclusività per i modelli V12. Nasce quello che verrà chiamato il “Lambo Style”. Murciélago, progettata da Luc Donckerwolke, a partire da concetti come atleticità, efficenza, ispirazione aeronautica. Un connubio di acciaio e carbonio che richiama le superfici cuneiformi della Countach ma punta alla purezza delle linee: lo spoiler posteriore compare solo quando serve accrescere il carico, gli “air intake” diventano dinamici. Miura Concept, reinterpretazione della storica icona disegnata dal Centro Stile Lamborghini, sotto la guida di Walter de Silva, in occasione del 40° anniversario della nascita della Miura. Viene presentato al Salone dell’Auto di Detroit nel gennaio 2006. I segni distintivi dell’auto sportiva sono attualizzati e le proporzioni leggermente modificate a definire una rara pulizia stilistica, a favore di una migliore aerodinamica, caratteristica imprescindibile per una prestazione al passo coi tempi. Vanno ricordati anche i modelli versione roadster (Diablo, Murciélago) o SUV (LM 002 e Urus), le Gallardo in dotazione alla Polizia di Stato attrezzate anche per il pronto intervento sanitario e il trasporto di organi per i trapianti, le auto di Formula 1 con motore Lamborghini (Ligier, Lola-Larousse, Lotus, Minardi) e la Lambo progettata da Forghieri per l’esordio della scuderia Lamborghini nei gran premi automobilistici.

Gian Paolo Dallara, Paolo Stanzani, Marcello Gandini, Lamborghini Miura P 400 S 1969-1971, Sant’Agata Bolognese, Museo Lamborghini (foto Andrea Scardova, 2015)

184 > ER/DESIGN


Museo Lamborghini

Paolo Stanzani, Marcello Gandini, Countach, 1971-1990, Sant’Agata Bolognese, Museo Lamborghini foto Andrea Scardova, 2015)

PROGETTISTI > Nuccio Bertone; Walter de Silva; Marc Deschamps; Luc Donckerwolke; Marcello Gandini; Giorgetto Giugiaro; Filippo Perini; Franco Scaglione. TIPOLOGIA > Automobili / motori LINK > www.lamborghini.com/it-en/experience/museo BIBLIOGRAFIA > Daniele Buzzonetti (a cura di), Automobili Lamborghini. Velocità e colore dal 1963 ad oggi, Modena, Artioli 1899, 2016. Daniele Buzzonetti (a cura di), Lamborghini. 50 anni di fascino e passione, Modena, Artioli 1899, 2014.

Luc Donckerwolke, Concept S, 2005, prodotta in due soli esemplari. Sant’Agata Bolognese, Museo Lamborghini (foto Andrea Scardova, 2015)

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Sebastiano Bisson del Museo Lamborghini ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvRyRp del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

185 > ER/DESIGN


MAGI’900 - Museo delle eccellenze artistiche e storiche

Pieve di Cento (Bologna) via Rusticana 1/a

DE- BO007

Una delle sale del MAGI’900 a Pieve di Cento.

186 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La raccolta di opere e cimeli del Ventennio ora esposta al MAGI’900 è appartenuta allo storico e giornalista italiano Duilio Susmel che, dopo la caduta del regime, si impegnò in una vastissima ricerca di documenti originali, al fine di sottrarli alla dispersione e a supporto degli studi finalizzati alla pubblicazione a stampa della sua Opera Omnia di Benito Mussolini. La raccolta è stata acquisita da Giulio Bargellini, collezionista d’arte e fondatore del MAGI’900, per esporla in una sezione del suo museo privato. Il museo, aperto nel 2000, è infatti ambientato in una struttura di archeologia industriale di epoca fascista, un silo granario del 1933 riconvertito a uso espositivo dall’architetto Giuseppe D’Avanzo. L’allestimento intende valorizzare una collezione d’arte contemporanea di oltre 2.000 opere ed è strutturato per sezioni tematiche o monografiche, prevalentemente dedicate all’arte e ai fenomeni culturali dei secoli XX e XXI. Tra le sezioni di ambito storico-documentario, figura appunto la sala dedicata all’arte del Ventennio, nella quale si trovano oggetti e opere provenienti in massima parte dalla collezione Susmel. All’interno di questa vasta raccolta di opere originali e documenti visivi legati alla figura e all’evoluzione dell’iconografia di Benito Mussolini, compare un significativo nucleo di ceramiche che documenta la diffusione di oggettistica celebrativa come appunto piastrelle, vasi e piatti decorativi. Questi manufatti, spesso di significativa qualità estetica, venivano ampiamente prodotti dall’industria ceramica italiana, nell’ottica della diffusione capillare del culto dell’immagine del duce e della propaganda dei valori fascisti, in particolare negli anni Trenta. Interessante è il gruppo costituito da cinque piastrelle e un bassorilievo realizzati


MAGI’900 Museo delle eccellenze artistiche e storiche

Corrado Cagli, Dante Baldelli, Fondazione dei fasci di combattimento, In silenzio e dura disciplina, piastrelle in ceramica dipinta a mano, 20x20 cm, 1931-1932, Ceramica Rometti, Pieve di Cento, MAGI’900 (foto Andrea Scardova, 2016).

187 > ER/DESIGN

Corrado Cagli, Dante Baldelli, Ritratto di Benito Mussolini, bassorilievo in ceramica nero di fratta, 20x20 cm, 1931-1932, Ceramica Rometti, Pieve di Cento, MAGI’900 (foto Andrea Scardova, 2016).

presso lo stabilimento delle Ceramiche Rometti vicino a Perugia, opera di Corrado Cagli e Dante Baldelli. Furono entrambi collaboratori di questa manifattura d’avanguardia aperta a Umbertide tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta e ancora oggi operante. Fino agli anni Quaranta le produzioni Rometti si distinsero per la collaborazione con artisti come appunto Cagli, Baldelli, Leoncillo, i quali introdussero elementi stilistici e tecnici di sperimentazione estetica e tecnica. Le quattro piastrelle murali in ceramica policroma furono realizzate insieme al bassorilievo monocromo per finalità celebrative della fondazione del fascismo e della marcia su Roma e furono con ogni probabilità eseguite negli ultimi mesi del 1931, quando già fervevano i preparativi per il decennale che si sarebbe celebrato nel 1932. Il montaggio originale prevedeva che fossero disposte in linea e che al centro fosse collocato il bassorilievo raffigurante il volto di Mussolini, che qui sembra affiorare da un gioco di cerchi concentrici come anelli d’acqua (forse uno stagno, con riferimento alla stagnazione delle situazione politica dalla qua-


MAGI’900 Museo delle eccellenze artistiche e storiche

le il duce emergeva, o forse una sorta di aura di energia da lui sprigionata, con un gioco cinetico non esente da suggestioni futuriste). Mentre le piastrelle hanno colori dominanti nello sfondo (rosso, giallo, verde) e figure stilizzate in silhouettes nere, il bassorilievo è completamente verniciato in “nero di fratta”, una particolare colorazione scura con effetti metallizzati, ottenuta all’epoca mescolando casualmente una serie di colori avanzati nella fabbrica e mai più riprodotta con la stessa composizione. Dell’intera serie si conoscono tre esemplari, molto simili ma con riconoscibili differenze conferite dagli effetti di cottura e dall’esecuzione manuale. Significativo per l’inedita vena caricaturale è un piatto di Paolo Garretto che raffigura Mussolini domatore insieme a un leone, del 1935. Garretto negli anni Trenta si affermò come disegnatore satirico per importanti riviste come «The New Yorker» e «Vanity Fair», contribuendo con i suoi disegni e le sue memorabili copertine a fissare le iconografie dei grandi personaggi del suo tempo. La rappresentazione caricaturale del duce, ritratto con la mascella molto enfatizzata e un abbigliamento circense, e l’aspetto antropomorfo del leone rimandano con evidenza allo stile dell’autore e attestano la diffusione di immagini satiriche durante il Ventennio. PROGETTISTI > Dante Baldelli; Corrado Cagli; Ceramica Rometti; Leoncillo.

Corrado Cagli, Dante Baldelli, La marcia su Roma, Credere, obbedire, combattere, piastrelle in ceramica dipinta a mano, 20x20 cm, 1931-1932, Ceramica Rometti, Pieve di Cento, MAGI’900 (foto Andrea Scardova, 2016).

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TIPOLOGIA > Ceramiche artistiche LINK > www.magi900.com/ BIBLIOGRAFIA > Giorgio Di Genova, Catalogo delle collezioni permanenti / Museo d’arte delle generazioni italiane del ’900 G. Bargellini, Pieve di Cento, 8 voll., Bologna, Bora, 1999-2006.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Valeria Tassinari del Museo Magi’900 ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvvJ4x del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

188 > ER/DESIGN


Pinacoteca Civica

Pieve di Cento (Bologna) piazza Andrea Costa 10

BO009

Veduta d’insieme della collezione Vetri d’autore, Pieve di Cento, Pinacoteca Civica (foto Andrea Scardova).

189 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La Pinacoteca Civica, aperta nel 1980, riunisce oggi sia una raccolta di arte antica che una dedicata alle arti del Novecento. All’interno di quest’ultima, a partire dalla donazione di Maria Gioia Tavoni del 2007 e grazie ad altri lasciti, si è sviluppata una collezione dedicata ai Vetri d’autore. Il nucleo della prima donazione è prevalentemente incentrato sulla produzione vetraria francese di fine Ottocento e inizi Novecento, con opere di artisti come Emile Gallé, i fratelli Daum, Charles Schneider, Sabino e René Lalique. A queste si affiancano esemplari della contemporanea scuola boema con le manifatture di Johann Lötz Witwe di Klastersky Myln e di Ludwig Moser di Karlsbad (oggi Karlovy Vary), con vetri incisi profondamente, o costolati, con la caratteristica fascia a motivo classicheggiante, incisa e dorata. Si aggiungono poi i vetri delle scuole scandinava e veneziana, promotrici negli anni Venti di quei rinnovamenti stilistici e ideologici che si sarebbero palesati in seguito al secondo conflitto mondiale. La donazione Stefano Benfenati si concentra sulla scuola scandinava, con particolare attenzione alla svedese Orrefors che, insieme ad altre manifatture di Murano, è stata negli anni Venti


Pinacoteca Civica

In basso a destra Emile Gallé, vaso lacrimale, vetro cammeo a più strati, 1900 ca., Pieve di Cento, Pinacoteca Civica. Sotto Emile Gallé, vaso ad anfora, vetro cammeo a più strati, 1900 ca., Pieve di Cento, Pinacoteca Civica.

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culla delle istanze stilistiche e ideologiche del Funzionalismo, con il rispetto dei materiali e dell’equilibrio tra arte e industria, senza rinunciare allo stile. Completa la prestigiosa sezione il prestito della collezione Giorgio Anderlani con opere di Pino Signoretto e i manufatti creati su disegno di Alberto Martini. PROGETTISTI > Ercole Barovier; Barovier & Toso; Cristallerie de Sèvres; Antonin Daum; Effetre International; Ekenäs; Fratelli Toso; Emile Gallé; Simon Gate; Kosta; René Lalique; Auguste Legras; Charles Legras; Vicke Lindstrand; Johann Lötz Witwe; Alberto Martini; Ludwig Moser; M.V.M. Cappellin & C.; V. Nason & C.; Edvin Öhrström; Orrefors; Michael Powolny; Greta Runeborg; Marius Ernest Sabino; Val Saint Lambert; Charles Schneider; Seguso; Pino Signoretto; Hans Stoltenberg Lerche; Lino Tagliapietra; Venini & C.; Whitefriars Glassworks; Vittorio Zecchin. TIPOLOGIA > Complementi d’arredo LINK > www.comune.pievedicento.bo.it/aree-tematiche/turismo/cosa-visitare/copy_of_musei/pinacoteca-civica BIBLIOGRAFIA > Mirna Boncina, Vetri d’autore. Una collezione, una donazione, Pieve di Cento, Comune di Pieve di Cento, 2007.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvS9T9 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

190 > ER/DESIGN


Museo Ferruccio Lamborghini

Funo di Argelato (Bologna) Strada Provinciale 4 Galliera 319

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Panoramica degli spazi del Museo Ferruccio Lamborghini (foto Andrea Scardova, 2014).

191 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Per onorare i 50 anni dalla fondazione del marchio Lamborghini Automobili, il figlio di Ferruccio, Tonino, ha dato vita nel 2014 al Museo Ferruccio Lamborghini a Funo di Argelato dove ha trovato definitiva e ampia collocazione il museo polifunzionale che nel 1995 era nato a Dosso, nel ferrarese. All’interno della “Motor Valley” emiliana la sede espositiva è situata nell’ex stabilimento Lamborghini Oleodinamica. Uno spazio dedicato al genio meccanico e imprenditoriale di Ferruccio Lamborghini, alle sue creazioni innovative e di design. All’interno del Museo è stato ricreato l’ufficio, in autentico stile anni Cinquanta, che Ferruccio aveva alla Lamborghini Trattori, il suo primo stabilimento di produzione, con oggetti personali, documenti ufficiali e foto d’epoca. Il percorso espositivo comincia dal primo trattore Carioca del 1947, passa al primo prototipo di auto, la 350 GTV, ideato da Franco Scaglione, e prosegue con la Miura SV, un mito degli anni Sessanta, e con l’avveniristica Countach, entrambe legate al nome di Marcello Gandini (1971). Sono esposti anche esemplari di Jarama, Urraco ed Espada disegnate sempre da Gandini tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta e i prototipi di Jalpa, ultima Lamborghini con il motore V8,


Museo Ferruccio Lamborghini

I primi trattori prodotti nel dopoguerra, Funo di Argelato, Museo Ferruccio Lamborghini (foto Andrea Scardova, 2014).

degli anni Ottanta. Da segnalare l’offshore Fast 45 Diablo Classe 1 di 13,5 metri con motore Lamborghini, 11 volte campione del mondo, e l’unico esemplare rimasto di elicottero Lamborghini. Le auto, possedute o prodotte da Ferruccio, costituiscono il nucleo più significativo del Museo. Tra quelle a lui appartenute vi sono l’Alfa Romeo 1900 Super Sprint, le Ferrari 250 coupé e GTE e la Maserati 3500 GT. Le prime automobili da lui prodotte sono, in successione, la 350 GT e la 400 GT, ma sarà con la Miura che la Lamborghini raggiungerà l’apice del successo nel 1966. La scelta di Bertone per questo modello si deve sia al fatto che l’azienda di Grugliasco non aveva rapporti di collaborazione con Ferrari e Maserati, i principali concorrenti di Lamborghini, sia alla chiusura della carrozzeria Touring che aveva disegnato i primi modelli. La nuova auto viene progettata in soli quattro mesi dall’allora giovane designer Marcello Gandini, una collaborazione destinata a durare nel

Un esemplare omologato di elicottero Lamborghini con doppi comandi (foto Andrea Scardova, 2014).

192 > ER/DESIGN


Museo Ferruccio Lamborghini

La Miura di Ferruccio Lamborghini, Funo di Argelato, Museo Ferruccio Lamborghini (foto Andrea Scardova, 2014).

tempo. Nel 1967 nasce la Marzal, disegnata ancora da Gandini, ispirata alla forma dell’esagono, e quasi contemporaneamente la Islero su disegno di Mario Marazzi. PROGETTISTI > Enzo Atti; Carrozzeria Touring; Gian Paolo Dallara; Marcello Gandini; Ferruccio Lamborghini; Tonino Lamborghini; Mario Marazzi; Corrado Menini; Pininfarina; Carlo Riva; Orazio Satta Puliga; Sergio Scaglietti; Franco Scaglione; Paolo Stanzani; Alfredo Vignale. TIPOLOGIA > Automobili / motori / natanti / velivoli LINK > www.museolamborghini.com/it/home/ BIBLIOGRAFIA > Tonino Lamborghini, Ferruccio Lamborghini. La storia ufficiale, Formigine, Golinelli Communication Lab, 2014.

Veduta del Museo Ferruccio Lamborghini (foto Andrea Scardova, 2014).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvQoFA del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

193 > ER/DESIGN


Gelato Museum Carpigiani

Anzola dell’Emilia (Bologna) via Emilia 45

DE-BO011

In basso a destra Gelato Museum Carpigiani, veduta d’insieme (foto Andrea Scardova, 2016). Sotto Macchina L 20 destinata al laboratorio artigianale, Anzola dell’Emilia, Gelato Museum Carpigiani (foto Andrea Scardova, 2016).

194 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo, inaugurato nel settembre 2012, sorge presso la sede di Carpigiani, azienda produttrice dal 1946 di macchine per gelato artigianale, all’interno di spazi industriali ora convertiti in centro per lo studio e l’approfondimento di storia, cultura e tecnologia del gelato. Dalle origini ad oggi, viene proposto un percorso interattivo su tre livelli di lettura: l’evoluzione del gelato nel tempo, la storia della tecnologia produttiva e i luoghi e i modi di consumo del gelato. Nei 1.000 metri quadrati espositivi trovano spazio circa 50 macchine originali, postazioni multimediali, 10.000 fotografie e documenti storici, preziosi strumenti e accessori d’epoca, inedite video-interviste e laboratori didattici. Elementi grafici in sospensione, collocati sopra ciascuna postazione, presentano ai visitatori le ricette delle diverse epoche storiche e le caratteristiche tecniche delle macchine. Se già dall’antichità l’uomo amava degustare bevande e cibi ghiacciati, la difficoltà del reperimento e il costo delle materie prime necessarie per produrre sorbetti e gelati dal Cinquecento in poi hanno fatto sì che sia rimasto per molti secoli un dessert riservato ai ricchi e alle classi nobili. È solo verso la fine dell’Ottocento che inizia la grande diffusione del gelato grazie all’invenzione del ghiaccio artificiale, all’emigrazione dei gelatieri della Val di Zoldo, del Cadore e del Friuli che aprono gelaterie nelle principali capitali europee e al contributo delle macchine automatiche per gelato che agli inizi del Novecento eliminano in gran parte lo sforzo fisico necessario al gelatiere nella fase della preparazione. Le macchine per gelato brevettate da Otello Cattabriga nel 1931 (motogelatiera) e da Bruto Carpigiani nel 1945 (autogelatiera) automatizzano il cosiddetto metodo “stacca e spalma” che applicavano le sorbettiere del secolo precedente, costituite da una botte di legno con all’interno un cilindro verticale in metallo nel quale


Gelato Museum Carpigiani

veniva inserita la miscela liquida per il gelato, mentre nell’intercapedine tra i due veniva posta una miscela di ghiaccio e sale. Azionando manualmente una manovella, la sorbettiera subiva una agitazione in seguito alla quale la miscela liquida si solidificava a contatto con le pareti fredde. La produzione principale della Carpigiani nei primi anni di attività è proprio l’autogelatiera destinata ai laboratori artigianali. Veniva inserita in un qualsiasi banco refrigerante costruito su misura. Per la forma e la dimensione eleganti veniva spesso esposta sul punto vendita per dare evidenza dell’artigianalità del gelato prodotto con materie prime naturali e fresco di giornata. Il colore giallo richiamava la crema che, nel dopoguerra, era il gusto preferito. Diversi i modelli disponibili – L12, L16, L30, L 40 – il cui numero rappresentava la produzione di gelato finito, ottenibile in un’ora di lavoro ininterrotto. Per ovviare alle limitazioni date dall’utilizzo del banco che necessitava di un “accumulo” di freddo prima di iniziare la produzione viene progettata una macchina indipendente, un mantecatore verticale – SED (Semi Espansione Diretta) – che è rimasto in produzione fino all’inizio degli anni Novanta. Un unico monoblocco con un impianto frigo autonomo e automatico per il raffreddamento del liquido conduttore per la produzione del gelato. Inconfondibile la forma elicoidale della spatola controrotante, molto affilata e con dimensioni tali da permettere un regolare raschiamento sulle pareti e sul fondo del vaso. PROGETTISTI > Poerio Carpigiani; Otello Cattabriga. TIPOLOGIA > Macchine automatiche LINK > www.gelatomuseum.com/it BIBLIOGRAFIA > Luciana Polliotti, Gelato Museum Carpigiani. Storia, cultura e tecnologia del gelato, Milano, Editrade, 2013.

Macchina per gelato Carpigiani Self Service Jukebox, Anzola dell’Emilia, Gelato Museum Carpigiani (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Caterina Ghelfi del Gelato Museum Carpigiani ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvB8Z8 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli

Bologna via Col di Lana 7/n

DE-BO006

In basso a destra Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli, veduta d’insieme (foto Andrea Scardova). Sotto Guglielmo Marconi, radio, 1895, Bologna, Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli (foto Andrea Scardova).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo G. Pelagalli di Bologna, nato nel 1990, si compone di oltre 2.000 pezzi esposti e funzionanti che raccontano la storia e l’evoluzione degli strumenti della moderna comunicazione. Sono in mostra 250 anni di storia scientifica, tecnica, di costume e anche del design industriale riferito soprattutto al XX secolo, con oggetti progettati e prodotti, tra gli altri, da Marconi, Edison, Pathé Frères, Società Scientifica Radio Brevetti Ducati, Philips, Radiomarelli, Brionvega. Dal giugno 2007 la raccolta è entrata a far parte del patrimonio Unesco della cultura. Le diverse sezioni del Museo ripercorrono la storia della radio, della fonografia, degli strumenti musicali meccanici, della canzone italiana (dischi e spartiti), del cinema, della televisione, del telefono e del computer. Uno spazio importante è dedicato a Guglielmo Marconi con pezzi originali e cimeli marconiani: si segnalano la radio V1 del 1923, una piccola “scatola” in legno massello con incastri a “coda di rondine” e coperchio apribile incernierato, e la radio cosiddetta “a tapparella” prodotta dalla BBC, sempre nel 1923, su brevetto Marconi. Un design assolutamente unico, realizzato in legno massello con struttura verticale e trapezoidale, con comandi radio frontali protetti da chiusura scorrevole a scomparsa detta appunto “a tapparella”. Significativa anche la presenza di apparecchiature radio civili e militari prodotte dai fratelli Ducati – Adriano, Bruno e Marcello – che fin dal 1926 si sono dedicati a questo settore e solo dal 1946 hanno iniziato la loro avventura nel mondo dei motori. Diversi i modelli esposti della storica azienda Radiomarelli tra cui Fido, una radio “da comodino” racchiusa in una scatola di bachelite con spigoli smussati dal design attraente e “moderno” che si evolve negli anni. Viene infatti prodotta dal 1938 al 1952 in sette versioni che troveranno sempre grande accoglienza da parte del pubblico e verranno prodotte in migliaia di pezzi. Oltre alla produzione italiana nel Museo sono presenti esemplari realizzati tra fine


Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli

Anonimo, radio a cattedrale, 1930 ca., Bologna, Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli (foto Andrea Scardova).

Ottocento e inizio Novecento da Edison, inventore della fonografia, e dai fratelli Pathé cui si deve anche una sorta di jukebox ante litteram: un grammofono con una grande tromba esterna sorretta da un braccio fisso verticale, supportata da un mobile porta dischi previsto per una selezione manuale di 20 dischi il cui funzionamento era solo a moneta. In esposizione anche modelli dell’olandese Philips cui si deve una vasta produzione di radio e televisori a partire dal periodo tra le due guerre mondiali. Completano la raccolta i prodotti Brionvega, azienda italiana che si è sempre avvalsa della collaborazione di importanti designer, di cui sono esposti tre modelli iconici come la radio Cubo del 1963, disegnata da Marco Zanuso e Richard Sapper, il radiofonografo stereofonico RR226 del 1965, progettato da Achille e Pier Giacomo Castiglioni, la cui struttura componibile permette, spostando gli altoparlanti, una forma a cubo o a parallelepipedo e il televisore Algol, disegnato sempre da Zanuso e Sapper nel 1964, con il caratteristico schermo inclinato e maniglia in metallo, archetipo dei televisori portatili. PROGETTISTI > Achille e Pier Giacomo Castiglioni; Adriano, Bruno e Marcello Ducati;Thomas Edison; Guglielmo Marconi; Charles ed Émile Pathé; Richard Sapper; Marco Zanuso. TIPOLOGIA > Apparecchi audio e video / strumenti musicali LINK > www.museopelagalli.com BIBLIOGRAFIA > Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli, Bologna, s.n., s.d.

Radio Addison, 1940-50 ca., Bologna, Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli (foto Andrea Scardova).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Giovanni Pelagalli del Museo della Comunicazione e del Multimediale ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvxEWD del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo del Patrimonio Industriale

Bologna ex Fornace Galotti via della Beverara 123

DE-BO012 In basso a destra Uno degli ambienti del Museo del Patrimonio Industriale all’interno della Fornace Galotti. Sotto IMA C20, macchina automatica per confezionare the o erbe in bustine filtro con filo ed etichetta, progettista Andrea Romagnoli, 1975, Bologna, Museo del Patrimonio Industriale (foto Andrea Scardova, 2016).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo è dedicato alla storia economica e produttiva di Bologna e del suo territorio dal Quattrocento agli anni Duemila. Il percorso espositivo tiene conto delle eccellenze e dell’innovazione che hanno reso la città competitiva sul mercato internazionale nel corso del tempo. Si comincia con l’industria serica che permise a Bologna tra il XV e il XVIII secolo di vendere con successo anche all’estero veli e filati pregiati di seta grazie all’alta tecnologia del mulino da seta, di cui è esposto un grande modello funzionante in scala 1:2, e al complesso sistema idraulico artificiale che permetteva di raggiungere Venezia e i più importanti mercati europei in tempi rapidi. La Rivoluzione Industriale costringe la realtà bolognese ad aggiornare saperi e organizzazione del lavoro. La città punta sulla formazione tecnica come elemento strategico di rinnovamento rappresentata nel Museo dalla collezione dell’Istituto Aldini Valeriani che, sul modello della scuolaofficina, combinava sapere tecnico e lavoro manuale formando maestranze qualificate. In esposizione macchine, motori, modelli, apparati divulgativi prodotti da artigiani (Poluzzi, Franchini, dall’Acqua…) e ditte otto-novecentesche locali ed europee (Bate, Salleron, Clair, Breguet…). Il Museo ha significativamente sede all’interno di una fornace da laterizi risalente alla seconda metà dell’Ottocento e quindi un nucleo della collezione è dedicato alla terracotta con circa 300 stampi in gesso ed elementi in cotto per decorare esterni.


Museo del Patrimonio Industriale

In basso a destra 1600 SP prodotta dalla O.S.C.A. dei Fratelli Maserati, 1963, Bologna, Museo del Patrimonio Industriale (foto Andrea Scardova, 2016).

Una parte importante del percorso documenta poi i distretti industriali che caratterizzano tuttora il territorio: meccanica, motori e macchine automatiche. Le macchine da pasta della Zamboni & Troncon, le penne stilografiche della Omas, i gabbioni della Maccaferri, i giocattoli della Giordani, i macchinari per cioccolatini Fiat della Majani, i lettori e sensori della Datalogic sono rappresentativi dell’originale vocazione produttiva locale. In campo motoristico non solo sono presenti celebri case costruttrici di automobili e motociclette (O.S.C.A., G.D., Ducati, FBM, Minarelli e Minardi) ma anche importanti aziende della componentistica (Verlicchi, Marzocchi) del XX secolo. L’industria delle macchine automatiche fa di Bologna tuttora la capitale indiscussa del packaging a livello internazionale, tuttavia la sua è una storia pressoché centenaria: nel 1924 viene fondata infatti la ACMA, tra le prime aziende italiane del settore. Le macchine bolognesi hanno un successo straordinario per alcune doti che le caratterizzano come la capacità di innovazione, la semplicità d’uso, l’ingombro ridotto, la velocità ma soprattutto la loro estrema funzionalità e versatilità. Il nucleo, unico nel suo genere, è composto da macchine e prototipi degli anni 1920-1980 di alcune delle più interessanti aziende del territorio tra cui si segnalano l’astucciatrice CAM tipo PR (1960-1961), la confezionatrice per caramelle ACMA tipo 749 (1956), la dosatrice a moto continuo di polveri confezionate in capsule MG2 tipo G36 (1966), la dosatrice e confezionatrice di dadi da brodo Corazza tipo FD 220 (1959), la confezionatrice di the o erbe in bustina filtro con filo ed etichetta IMA C20 (1975) e l’astucciatrice Marchesini tipo BA 100 (1987). TIPOLOGIA > Macchine e componenti per l’industria / macchine automatiche / automobili / cicli e motocicli / motori / strumenti scientifici / giocattoli LINK > www.museibologna.it/patrimonioindustriale

Sotto Il Gabbiano FBM 125 cc, Bologna, Museo del Patrimonio Industriale (foto Andrea Scardova, 2016).

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BIBLIOGRAFIA > Roberto Curti, Maura Grandi (a cura di), Guida al Museo del Patrimonio Industriale. Cinque secoli di storia in una fornace da laterizi, Bologna, Museo del Patrimonio Industriale, 2003.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Alessio Zoeddu del Museo del Patrimonio Industriale ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvL8BB del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Collezione storica ATC

Bologna via Bigari 1/a

DE-BO008

In basso a destra Locomotiva a vapore tramviaria TBPM9, 1907, Bologna, Collezione Storica ATC. Sotto Autobus urbano ATC 4030 (tipo Fiat 421/A), 1973, Bologna, Collezione Storica ATC. Uno dei simboli della strage del 2 agosto 1980: l’autobus della linea 37 che faceva la spola tra la stazione e l’obitorio con i corpi delle vittime.

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Questa collezione è frutto di vent’anni di ricerche e di recuperi, talvolta avventurosi, iniziati nell’ormai lontano 1977, al tempo delle celebrazioni per il centenario del trasporto pubblico a Bologna. Dal 1981 al 1992, nell’ambito del Centro Studi e Documentazione sui trasporti pubblici nel territorio bolognese, l’impegno di ATC, l’azienda locale del servizio di trasporto pubblico, unito a quello dell’Amministrazione Provinciale, del Circolo “G. Dozza” dei dipendenti dell’Azienda, dei sindacati del settore Autoferrotramvieri e di singoli lavoratori e cittadini, ha permesso la nascita di un’importante realtà nel panorama museale del settore. Dal 1992, la Collezione Storica è succeduta nell’attività al Centro Studi e oggi riunisce, oltre a circa 250 oggetti connessi alle diverse lavorazioni aziendali e ai 22 rotabili di varie tipologie ed epoche (treni, tram, autobus e filobus), un’importante documentazione divisa tra i “fondi” dell’Archivio storico di ATC (azienda oggi confluita in TPER), un archivio fotografico con 7.000 immagini e una biblioteca con 600 titoli circa. I capannoni della sede di via Bigari che accolgono la Collezione sono, essi stessi, una testimonianza storica di una vecchia tramvia provinciale a vapore, quella per Pieve di Cento e Malalbergo, che dal 1957 ha cessato il servizio. La Collezione storica ATC rappresenta una delle poche raccolte di archeologia industriale, legata ai trasporti pubblici, esistenti in Italia. TIPOLOGIA > Mezzi per il trasporto pubblico LINK > www.tper.it/azienda/collezione-storica BIBLIOGRAFIA > Davide Damiani, La storia del trasporto pubblico a Bologna vista attraverso la Collezione storica ATC, Bologna, ATC, 2000, CD-ROM.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vw4x5o del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Musei Civici d’Arte Antica Collezioni Comunali d’Arte

Bologna piazza Maggiore 6

DE-BO016

In basso a destra Frangia (modello per la terminazione della gonna dell’abito della signora Balduino di Genova), merletto ad ago, Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, inv. T279. Sotto Bordura, merletto ad ago, Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, inv. T183.

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Appartengono al Museo 347 campioni e frammenti di ricami e merletti (invv. T1-T347) provenienti dalla società cooperativa Aemilia Ars. Una piccola parte di essi sono manufatti antichi, utilizzati come fonte di ispirazione per punti e motivi decorativi dalle ricamatrici e dalle merlettaie; i restanti costituivano il campionario al quale le artigiane si attenevano per copiare i punti e le tecniche da usare per l’esecuzione del lavoro, ma che veniva mostrato anche ai clienti per scegliere i modelli dei decori. La società Aemilia Ars fu fondata nel 1898, ispirandosi alle gilde medievali, da artisti e uomini di cultura bolognesi, tra cui il conte Cavazza; a sua moglie, la contessa Lina Bianconcini Cavazza, fu affidata l’organizzazione e la cura del settore tessile, che fu l’unico a sopravvivere allo scioglimento della società cooperativa, avvenuto nel 1903. Presso il negozio Aemilia Ars, sito in via Farini, fino alla fine degli anni Settanta del XX secolo vi erano artigiane che si dedicavano alla produzione. Come negli altri settori produttivi, i lavori si attenevano a progetti e disegni realizzati dagli artisti che avevano aderito alla società cooperativa Aemilia Ars, talvolta ideandoli in base al nuovo gusto del tempo, lo stile floreale, e in altri casi rielaborando soggetti antichi, tratti dai modellari per ricamo rinascimentali e barocchi. Attraverso un criterio moderno di organizzazione, si rivificava l’artigianato di qualità, non tralasciando di prendere a modello le produzioni antiche e tradizionali. Confrontando i pezzi del campionario con i pochi disegni datati conservati sempre a Bologna presso il Museo Davia Bargellini, nonché con le foto e i manufatti eseguiti dal laboratorio, essi si posso datare tra il 1898 e la seconda metà degli anni Venti. Mentre negli altri ambiti la produzione fu affidata a ditte artigiane già attive, il set-


Musei Civici d’Arte Antica Collezioni Comunali d’Arte

tore tessile venne organizzato ex novo e basandosi su principi sociali allora all’avanguardia: furono impiegate per un lavoro a domicilio donne di diverse estrazioni sociali, soprattutto del popolo e della piccola borghesia, per permettere loro di contribuire con un reddito all’economia domestica, senza dover trascurare la cura della famiglia con attività da svolgersi fuori casa. Il lavoro veniva preparato all’interno del laboratorio (disegni, istruzioni di realizzazione, filati), dove poi tornava per essere assemblato e confezionato. Non è raro, in lavori di grande formato, riconoscere distintamente mani diverse nell’esecuzione dei ricami e soprattutto dei merletti. Il successo di questi manufatti (biancheria personale e per la casa, capi d’abbigliamento femminile e per bambini, tessili d’arredo) fu tale che vennero richiesti in tutta Europa e in America, soprattutto per l’originalità e la bellezza del merletto ad ago. Si tratta di campioni e frammenti di ricami eseguiti principalmente con le tecniche del punto antico e della sfilatura. Vi sono inoltre campioni e frammenti di merletti eseguiti con le tecniche del tombolo, del macramè, del reticello e del punto in aria, oggi usualmente indicato col nome di “merletto Aemilia Ars”. I filati utilizzati sono lino, cotone e seta. PROGETTISTI > Guido Fiorini; Alberto Pasquinelli; Alfonso Rubbiani; Alfredo Tartarini. TIPOLOGIA > Biancheria per la casa / tessuti per l’arredamento / abbigliamento / pizzi e merletti LINK > www.museibologna.it/arteantica/luoghi/53004/offset/0/id/36144 BIBLIOGRAFIA > Carla Bernardini, Doretta Davanzo Poli, Orsola Ghetti Baldi (a cura di), Aemilia Ars, 1898-1903. Arts & crafts a Bologna, catalogo della mostra (Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, 9 marzo-6 maggio 2001), Milano, A+G, 2001. Silvia Battistini, Pia Breviglieri, Aemilia Ars: dai vecchi disegni ai nuovi merletti, San Giovanni in Persiceto, Edizioni Il punto antico, 2008.

Polsino (modello per quelli dell’abito della signora Balduino di Genova), merletto ad ago, Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, inv. T304.

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Silvia Battistini delle Collezioni Comunali d’Arte ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvRwc8 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo Ducati

Bologna via Antonio Cavalieri Ducati 3

DE-BO005

Siluro 100, una Gran Sport Marianna rielaborata che nel 1956 stabilì 46 record mondiali di velocità sul circuito dell’Autodromo di Monza. Da notare la carenatura in lega d’alluminio per ottenere una maggiore penetrazione aerodinamica. Bologna, Museo Ducati.

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo Ducati viene presentato nel 1998 durante la prima edizione della World Ducati Week, dedicata agli appassionati Ducati nel mondo, per testimoniare la storia dell’evoluzione tecnologica e del design della produzione motociclistica dell’azienda e cinquant’anni di competizioni: una pista illuminata su cui sono esposte cronologicamente le moto che corre attorno a una struttura per riunioni a forma di casco, disegnate entrambe dagli architetti Eugenio Martera e Patrizia Pietrogrande, e alcune stanze multimediali di approfondimento con disegni, documenti, filmati d’epoca, accessori, cimeli selezionati dal curatore, Livio Lodi. Nel 2016, in occasione dei 90 anni di Ducati, il Museo è stato completamente rivisto per esprimere al meglio i valori fondanti del brand: stile, raffinatezza e prestazioni. Il colore dominante è il bianco per lasciare al centro della scena una quarantina di moto, da corsa e da strada, raccontate non solo nei dettagli tecnici, ma inserite nel contesto socio-culturale che le ha viste nascere, grazie a installazioni che sottolineano il significato dei singoli modelli. Importante lo spazio dedicato ai “Ducati Moments”, vicende, persone e innovazioni tecnologiche che hanno segnato la storia dell’azienda: la passerella a ferro di cavallo ospita 24 moto Ducati da competizione, dal Cucciolo Competizione del 1950 alla 1198 di Carlos Checa del 2011. In realtà la storia aziendale comincia prima, nel 1926, come documentato all’inizio del percorso espositivo: Adriano Cavalieri Ducati brevetta un tramettitore a onde corte con cui riesce a collegarsi con gli Stati Uniti e con i fratelli Bruno e Marcello fon-


Museo Ducati

750 GT, la prima maxi moto con motore bilindrico a L progettato da Fabio Taglioni, Bologna, Museo Ducati.

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da la Società Scientifica Radio Brevetti Ducati che inizia producendo i condensatori Manens per poi dedicarsi ad apparecchi radiofonici e componenti radio. È nel dopoguerra che l’azienda, distrutta dai bombardamenti alleati, rinasce convertendosi al settore motoristico e viene realizzato Cucciolo, un motore ausiliario da 48 cc, a quattro tempi e cambio a due marce, dai bassi consumi, progettato da Aldo Leoni. L’idea vincente di Aldo Farinelli è di montarlo su una bicicletta, il mezzo di circolazione più diffuso in quegli anni e questo ne decreterà il successo anche al di fuori dell’Italia. La prima motocicletta prodotta è la Ducati 60, economica, confortevole e leggera, adatta anche a un pubblico femminile. Gli anni Cinquanta vedono l’arrivo in Ducati dell’ingegner Fabio Taglioni, figura geniale che negli anni progetterà molti modelli che hanno fatto la storia della casa motoristica e a cui si deve il perfezionamento del sistema della distribuzione desmodromica nelle moto, divenuto simbolo tecnico della produzione Ducati. Una delle prime moto da lui disegnata è la 125 Sport, derivata dalla Gran Sport “Marianna” da corsa, con un motore dotato di un sistema di distribuzione a coppie coniche: la velocità entra a far parte del mondo delle moto da strada. Se gli anni Sessanta vedono il lancio dello Scrambler, pensato inizialmente per il mercato statunitense, con manubrio largo e pneumatici per lo sterrato, gli anni Settanta sono caratterizzati dalla comparsa delle maxi moto. Ancora Fabio Taglioni progetta un nuovo motore bicilindrico a L a coppie coniche, in grado di ottenere risultati sia in strada che su pista, e nasce la 750 GT. L’ulteriore innovazione che viene introdotta nel 1979 sulla 500 Pantah (contrazione di “pantera”) e che continua a distinguere la produzione Ducati è il telaio a traliccio tubolare d’acciaio. Progettata da Taglioni, Mengoli, Bocchi e Martini la Pantah diventa uno dei modelli di maggior successo. Negli anni Ottanta il rosso diventa il colore ufficiale della Ducati a partire dalla Paso 750, disegnata da Massimo Tamburini, il cui nome è un tributo a Renzo Pasolini, pilota scomparso in gara a Monza nel 1973. Questo modello sancisce l’ingresso del marchio nell’industrial design e segna il passaggio di Ducati alla nuova gestione del gruppo Cagiva. Uno stile che si ritrova nella Ducati 916, sempre firmata da Tamburini nel 1993, definita «la moto più bella degli ultimi 50 anni» (MCN, 2014), dal design compatto ed elegante, e nella Monster del designer argentino Miguel Galluzzi, nata essenziale ma con diverse possibilità di personalizzazione, destinata a rilanciare le moto “naked”. Due icone del panorama motociclistico.


Museo Ducati

Il passaggio alla nuova proprietà nel 1999 porta alla nascita di un reparto corse che porta in pista e testa le nuove moto per le gare dei campionati Superbike, Supersport, Superstock e MotoGp e di un centro stile interno guidato da Pierre Terblanche in cui progettisti, designer, tecnici e modellisti studiano e realizzano nuove moto e nuovi accessori. Ducati vince in Superbike quattro titoli iridati piloti (2006, 2008, 2009 e 2011) e tre titoli mondiali costruttori (2006, 2008 e 2011). Debutta nel 2003 in MotoGp con la Desmosedici, prima quattro cilindri da corsa progettata da Filippo Preziosi, e conquista il titolo iridato piloti e quello costruttori nel 2007. Nel 2012 la 1199 Panigale, disegnata da Gianandrea Fabbro, impiega per le moto di serie materiali molto leggeri e resistenti come il magnesio, il titanio, la fibra di carbonio e l’alluminio, già utilizzati su moto da gara, e una sofisticata tecnologia. Nel 2014 la 1199 vince il prestigioso premio Compasso d’oro ADI con la seguente motivazione: «Compasso d’Oro alla Ducati 1199 Panigale per aver trasferito prestazioni agonistiche in un prodotto di serie raffinato e in coerenza con l’immagine tradizionale del marchio». PROGETTISTI > Massimo Bordi; Carrozzeria Ghia; Gianandrea Fabbro; Aldo Farinelli; Giovanni Fiorio; Miguel Galluzzi; Giorgetto Giugiaro; Gianluigi Mengoli; Renzo Neri; Fabio Taglioni; Massimo Tamburini; Leopoldo Tartarini; Pierre Terblanche. TIPOLOGIA > Cicli e motocicli / motori

916, disegnata da Massimo Tamburini nel 1993, massima espressione dello stile dell’azienda bolognese. Bologna, Museo Ducati.

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LINK > www.ducati.it/museo_ducati/index.do BIBLIOGRAFIA > Eugenio Martera, Marco Montemaggi, Patrizia Pietrogrande (a cura di), Ducati, Cassina de’ Pecchi, Sep editrice, 2004.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvLGaD del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Musei Civici d’Arte Antica Museo Davia Bargellini

Bologna Strada Maggiore 44

DE-BO004

In basso a destra Una delle sale del Museo Davia Bargellini a Bologna. Sotto Cancello a un’anta in ferro battuto, progettato da Giuseppe De Col (Belluno 1863 - Bologna 1912) e realizzato nel 1902 nella rinomata officina di Pietro Maccaferri (Bologna 18591941), Bologna, Museo Davia Bargellini, inv. 4292/1986.

206 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Appartengono al Museo 556 disegni (invv. 9211477) provenienti dalla società cooperativa Aemilia Ars. Sono eseguiti a matita, china e acquerello, su carta bianca o da lucido, e raffigurano progetti di oggetti di ceramica, mobili, ferri battuti, cuoi, vetri, ricami e merletti, per lo più in stile Liberty. La società Aemilia Ars fu fondata nel 1898 sul modello delle gilde medievali, da artisti e uomini di cultura bolognesi, tra cui il conte Cavazza; in calce ad alcuni disegni si possono leggere le firme dei pittori, architetti e decoratori che li idearono: Alfonso Rubbiani, Achille e Giulio Casanova, Alfredo Tartarini, Giuseppe De Col, Alberto Pasquinelli, Edgardo Calori, Cleto Capri. L’attività della società aveva finalità di promozione culturale ed economica dell’artigianato locale, la cui produzione di oggetti di uso quotidiano doveva essere riqualificata, grazie al gusto di artisti aggiornati sui nuovi indirizzi dell’arte europea. Furono numerose le ditte nei diversi ambiti produttivi (ceramisti, legatori, vetrai, fabbri, mobilieri, tappezzieri, ecc.) che aderirono a questa esperienza, a Bologna e in alcune città della Romagna. Gli oggetti realizzati seguendo questi criteri vennero apprezzati dal pubblico e premiati in numerose esposizioni internazionali, ma nel 1903 la società dovette chiudere, poiché questa organizzazione del lavoro non era economicamente abbastanza redditizia. Rimase operativo solo il settore dei ricami e dei merletti, ancora produttivo negli anni Settanta del XX secolo. Proprio per questa continuità, tra i disegni del settore tessile ve ne sono alcuni eseguiti dopo il 1903, ma comunque prima degli anni Venti. Oltre a schizzi di manufatti e disegni con indicati i dettagli esecutivi, vi sono copie di soggetti antichi, tratti dai modellari per ricamo rinascimentali e barocchi, ampiamente riproposti nelle decorazioni tessili dell’Aemilia Ars. La collezione comprende anche 22 oggetti, per lo più in ferro battuto, tra cui un cancello a un’anta – inv. 4292/1986 – progettato da Giuseppe De Col e realizzato


Musei Civici d’Arte Antica Museo Davia Bargellini

Sante Mingazzi (Ravenna 1867 - Bologna 1922), insegna dell’officina Mingazzi, 1914, ferro battuto, Bologna, Museo Davia Bargellini, inv. 1844/1986.

nel 1902 nella rinomata officina di Pietro Maccaferri. Ornato da un susseguirsi di farfalle, foglie e frutti di melograno in stile Liberty, venne forgiato per l’Esposizione di Torino, in cui fu esposto nel padiglione con i manufatti dell’Aemilia Ars. Sempre a Pietro Maccaferri si deve una campanelliera di inizio Novecento, mentre si segnalano diversi manufatti realizzati nell’officina di Sante Mingazzi, tra cui l’insegna dell’officina stessa, lampade, tralci di fiori o foglie.

In basso a destra Aemilia Ars, mobile a due ante con alzata, 1900-1902, matita, penna, inchiostro su carta, Bologna, Museo Davia Bargellini, inv. 1023/1984. Sotto Alberto Pasquinelli (Bologna 1872-1928) su schizzo del Cav. Rubbiani, ventaglio decorato con “bignonie”, 1902, penna, inchiostro e matita rossa su carta da lucido, Bologna, Museo Davia Bargellini, inv. 1291/1984.

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PROGETTISTI > Achille e Giulio Casanova; Edgardo Calori; Cleto Capri; Giuseppe De Col; Pietro Maccaferri; Sante Mingazzi; Alberto Pasquinelli; Alfonso Rubbiani; Alfredo Tartarini. TIPOLOGIA > Arredo d’interni / complementi d’arredo / illuminazione decorativa / biancheria per la casa / tessuti per l’arredamento / arredo urbano / arredi e complementi per il lavoro /pizzi e merletti / accessori moda LINK > www.museibologna.it/arteantica/luoghi/62013/id/53174 BIBLIOGRAFIA > Silvia Battistini, Il nucleo di opere di Sante Mingazzi al Museo Davia Bargellini, in Benedetta Basevi, Mirko Nottoli (a cura di), Leggero come il ferro. L’arte di Sante Mingazzi nell’archivio fotografico delle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Bologna, Bononia University Press, 2015. Fernando Mazzocca (a cura di), Liberty. Uno stile per l’Italia moderna, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2014.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Silvia Battistini del Museo Davia Bargellini ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvGG6a del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

207 > ER/DESIGN


Genus Bononiae. Musei nella Città

Bologna Palazzo Pepoli Vecchio via Castiglione 8

DE-BO002

Bruno Munari, Girondella, oggetto cinetico, tiratura limitata, 1967, Bologna, Collezione Danese, Genus Bononiae.

208 > ER/DESIGN

Dati informativi sul nucleo > Genus Bononiae. Musei nella Città è un progetto nato nel 2005 da un’idea dell’allora Presidente della Fondazione Carisbo, Fabio Roversi-Monaco, un percorso culturale, artistico e museale articolato in vari edifici, restaurati e recuperati all’uso pubblico. Cuore di Genus Bononiae è il Museo della Storia di Bologna in Palazzo Pepoli Vecchio, aperto al pubblico nel gennaio 2012, dedicato alla storia, alla cultura e alle trasformazioni di Bologna, dalla Felsina etrusca fino ai nostri giorni. Al Museo afferisce un fondo di arti applicate all’interno del quale vi sono alcuni esemplari di oggetti destinati a una produzione industriale multipla e divulgativa. Si tratta di un curioso esempio di strumento per la scansione della giornata, un dispositivo per la misurazione del tempo opera dell’ingegno bolognese che appartiene alla categoria degli orologi solari “eliocaustici” del 1830 ca.; di alcuni frangifiamma in ferro battuto del XIX secolo; di un ventaglio in bachelite prodotto intorno al 1930 da una ditta tedesca per la Ditta Majani di Bologna; di alcuni soprammobili in maiolica della Manifattura Minghetti di Bologna, databili tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo; di un vassoio ovale con decorazioni in stile Liberty stampate su latta dallo Stabilimento G. De Andreis; e di un fondo cospicuo di tessili di Aemilia Ars. Il fondo di design del Museo è invece composto da 164 oggetti prodotti dalla ditta Danese e donati dalla Fondazione Jacqueline Vodoz e Bruno Danese nel 2009 all’istituzione bolognese. Oggi conservati nei depositi, in attesa di un fu-


Genus Bononiae. Musei nella Città

Enzo Mari, appendiabiti Tricorno Tre 3120, 1980, Bologna, Collezione Danese, Genus Bononiae.

turo allestimento espositivo, gli oggetti, frutto di quarant’anni di attività dell’azienda milanese, costituiscono un insieme di grandissima importanza per la storia del design italiano oltre che per la storia dell’arte tout court. Il fondo è composto da diversi nuclei rappresentativi, tra cui si segnala quello dedicato ai giochi e ai libri ideati da Bruno Munari, dal pedagogista Giovanni Belgrano, dall’istituto di ricerca IARD di Milano e da Enzo Mari. La ditta Danese, fondata nel 1957 da Bruno Danese e Jacqueline Vodoz cominciò a produrre nel 1959 oggetti per l’ufficio e per la casa, distinguendosi da subito come uno dei principali e più fecondi esempi di innovazione e ricerca progettuale nell’Italia della fine degli anni Cinquanta. Costruita come un moderno “laboratorio” creativo, la Danese seppe attrarre i più innovativi designer italiani, con un metodo di lavoro che vedeva gli artisti impegnati nella progettazione di oggetti dall’idea sino all’imballaggio. Accanto all’originaria produzione di oggetti in ceramica, realizzati dal pittore e scultore Franco Menguzzo (Valdagno 1924 - Milano 2008) con cui Bruno Danese aveva messo in piedi nel 1955 la sua prima società, chiamata DEM, poi inglobata nella Danese, nacquero, su spinta di Bruno Munari, delle produzioni in altri materiali che permisero di ampliare la ricerca progettuale e la conseguente offerta. Si deve a Munari e ai suoi collaboratori l’attenzione verso il tema dell’educazione. I giochi da loro progettati hanno trasformato profondamente il modo d’intendere la didattica: attraverso di essi il bambino utilizza la fantasia e diventa protagonista del gioco, decide la storia, la inventa, la crea, scegliendo gli elementi che più si adattano al racconto. Altro grande artefice della Danese è stato Enzo Mari, presentato ai fondatori proprio da Munari. Mari cominciò a collaborare fin da subito creando un legame molto stretto e importante con l’azienda. Fondamentale è stata la creazio209 > ER/DESIGN


Genus Bononiae. Musei nella Città

ne della serie “Fatti a mano” con cui Mari ha voluto dimostrare l’orientamento che avrebbe dovuto prendere in quel momento l’artigianato, secondo un tipo di pratica che Mari portò avanti fino agli anni Novanta poco prima della cessione della ditta alla Strafor/Facom, nel 1992. Per tutti i progettisti della Danese la forma estetica esteriore non era mai gratuita, mai un fatto di gusto, la funzione e la realizzazione dovevano essere strettamente legate. Compito del buon designer era quello di dare anche alla forma esteriore, strettamente legata alla parte tecnica, un significato progettuale, un aspetto decorativo inteso non come pura decorazione ma che fosse conseguente alla progettazione. Inoltre, nelle collezioni di Genus Bononiae vi sono altri diversi oggetti di design come il calice di Achille Castiglioni, gli oggetti di arredo di Angelo Mangiarotti, Enzo Mari e Bruno Munari. PROGETTISTI > Aemilia Ars; Giovanni Belgrano; Claudio Boselli; Achille Castiglioni; G. De Andreis; Marco Ferreri; Angelo Mangiarotti; Manifattura Minghetti; Enzo Mari; Franco Menguzzo; Bruno Munari; Kuno Prey. TIPOLOGIA > Complementi d’arredo / ceramiche artistiche / biancheria per la casa / abbigliamento / pizzi e merletti / giochi didattici / arredi e complementi per il lavoro / editoria e grafica editoriale LINK > collezioni.genusbononiae.it BIBLIOGRAFIA > Stefano Casciani, Arte industriale. Gioco oggetto pensiero. Danese e la sua produzione, Milano, Arcadia, 1988. Jens Bernsen, Design danese. Ricchezza & semplicità, Copenaghen, Danish Design Centre, s.d.

Claudio Boselli, Gioco dei percorsi, 1987, Bologna, Collezione Danese, Genus Bononiae

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Benedetta Basevi Genus Bononiae ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvHtUG del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna

Bologna via Don Minzoni 14

DE-BO003

Il foyer d’ingresso al MAMbo (foto Matteo Monti).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il fondo Alfredo Tartarini entra nelle collezioni della ex Galleria d’Arte Moderna (ora MAMbo) nel 1981, per volontà degli eredi dell’artista, Elda Calissoni Tartarini e i nipoti Enrico, Carla e Carlo Tartarini. Viene conservato nei depositi del MAMbo, precisamente nelle cassettiere dedicate alle opere su carta, suddiviso in quattro cassetti ed è composto da 144 carpette contenenti più di 600 fogli e da diversi rotoli con materiale di grande formato. Alfredo Tartarini (Bologna, 1854-1905) si forma all’Accademia di Belle Arti di Bologna e dedica la sua attività principalmente al disegno, all’ornato e alla decorazione. Rilevante per la storia cittadina la sua stretta collaborazione con Alfonso Rubbiani di cui è interprete perfetto. Tutto il suo lavoro è specchio di quel gusto tipicamente emiliano teorizzato da Rubbiani, un liberty “floreale” che prende spunto dagli elementi della natura che investono ogni dettaglio degli arredi e della decorazione di interni degli appartamenti borghesi cittadini. Il fondo è di natura prevalentemente documentaria, costituito principalmente da annotazioni, schizzi, minute e brogliacci, e testimonia la sua attività nel campo del disegno e dello studio calligrafico per l’invenzione di pergamene, nonché della decorazione e progettazione di mobili e monumenti. Comprende i progetti per


MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna

Alfonso Tartarini, progetti per vari orologi in ferro battuto, grafite su carta, Bologna, MAMbo (foto Andrea Scardova).

diversi mobili, alcuni elementi decorativi (tra cui ferri battuti, orologi, lampade) e anche per oggetti di interesse storico per la città come il Gonfalone dell’Università di Bologna. Significativa anche la presenza dei progetti per la realizzazione di oggetti in cuoio bulinato e cesellato, in particolare cofanetti e rilegature per libri. PROGETTISTI > Alfredo Tartarini TIPOLOGIA > Arredo d’interni / arredo urbano / illuminazione decorativa LINK > www.mambo-bologna.org BIBLIOGRAFIA > Lucia Pallaver, Alfredo Tartarini e il liberty nella scuola bolognese fra ’800 e ’900, Budrio, Comune di Budrio, 1998.

Alfonso Tartarini, progetto per scrittoio, grafite su carta, Bologna, MAMbo (foto Andrea Scardova).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Barbara Secci del MAMbo ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvDHue del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Fondazione Massimo e Sonia Cirulli

San Lazzaro di Savena (Bologna) via Emilia 275

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Fondazione Massimo e Sonia Cirulli, interno, particolare architettonico di Achille e Pier Giacomo Castiglioni (foto courtesy Fondazione Cirulli).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La Fondazione Massimo e Sonia Cirulli raccoglie l’eredità trentennale del Massimo and Sonia Cirulli Archive, fondato nel 1984 da Massimo Cirulli a New York, con lo scopo di raccontare con un taglio inedito e multidisciplinare l’arte del Novecento e la storia d’Italia del secolo scorso, dal 1900 al 1970, dalla nascita della modernità e del made in Italy sino al boom economico. A partire dagli anni Ottanta il Massimo and Sonia Cirulli Archive avvia la propria collezione con l’acquisizione di opere d’arte grafica pubblicitaria di inizio Novecento. La collezione si amplia successivamente con l’acquisizione di dipinti, sculture, fotografie, collage e fotocollage, disegni artistici e disegni progettuali, in grado di restituire la complessa storia visuale del XX secolo. Particolarmente significativo il nucleo relativo alla grafica che comprende cartelloni pubblicitari, packaging, libri e riviste, dai primi anni del Novecento agli anni Sessanta. L’estesa collezione di manifesti comprende opere dei principali grafici e illustratori italiani spesso a servizio delle grandi imprese come Alemagna, Barilla, Campari, Motta, Cisitalia, Fiat, Pirelli. Un importante fondo di manifesti proviene dall’Archivio Arti Grafiche Ricordi. Sempre alla storia delle aziende fa capo il fondo di collage e foto collage che dagli anni Venti agli anni Sessanta del


Fondazione Massimo e Sonia Cirulli

Enzo Mari, progetto grafico di tessuto per la XI Triennale di Milano, 1957, San Lazzaro di Savena, Fondazione Massimo e Sonia Cirulli (foto courtesy Fondazione Cirulli).

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Novecento ripercorre la sperimentazione tardo futurista attraverso le opere di Thayaht e Bruno Munari e i montaggi grafico-pittorici realizzati da Ram, Riccardo Ricas e Studio Boggeri per riviste e pubblicità aziendali. Altrettanto rilevante il nucleo di disegni preparatori e disegni progettuali, realizzati dagli anni Trenta agli anni Settanta del Novecento, che ripercorre gli studi, i progetti e le prove di artisti, architetti e designer del periodo. Di particolare interesse il fondo E42 (Esposizione Universale di Roma, 1942), il fondo di Virgilio Marchi, i disegni progettuali realizzati in occasione della X e XI Triennale di Milano (Lucio Fontana, Bruno Munari, Ettore Sottsass) e i disegni di Lorenzo Castellaro per Cisitalia e Olivetti. La nascita e l’evoluzione della moda e del design italiano vengono poi raccontati attraverso il passaggio dalla tradizione artigianale di inizio secolo alla sperimentazione futurista sino alla produzione industriale lungo un percorso che, partendo dalle illustrazioni di Marcello Dudovich per La Rinascente e dalla “Signorina grandi firme” di Gino Boccasile, passa per le illustrazioni di Franco Grignani ed Erberto Carboni e i progetti per tessuto realizzati negli anni Cinquanta da artisti e designer del calibro di Lucio Fontana, Piero Dorazio, Enzo Mari, Fausto Melotti. Di particolare rilevanza il fondo di disegni progettuali per tessuto realizzati in occasione della X e XI Triennale di Milano (1954 e 1956). PROGETTISTI > Roberto Aloi; Araca (Enzo Forlivesi); ATLA (Giovanni Mingozzi); Mario Bazzi; Mario Bellini; Lucien Bertaux; Alberto Bianchi; Gino Boccasile; Luigi Bonazza; Mario Borrione; Carlés Buïgas; Adolfo Busi; Luigi Caldanzano; Erberto Carboni; Lorenzo Castellaro; Ludovico Cavaleri; Osvaldo Cavandoli; Centro


Fondazione Massimo e Sonia Cirulli

Tullo D’Albisola, Vino, 1931, San Lazzaro di Savena, Fondazione Massimo e Sonia Cirulli (foto courtesy Fondazione Cirulli).

Pirelli; Philippe Chapellier; Alberto Chappuis; Roberto Crippa; Tullio D’Albisola; Jean d’Ylean; Lucio Del Pezzo; Fortunato Depero; Nicholay Diulgheroff; Gianni Dova; Jean Droit; Marcello Dudovich; Fede (Federica Cheti); Dino Fontana; Felix Fraschini; F. Frigé; G. Gibus; Golia (Eugenio Colmo); Gruppo Armando Testa; GUS; Adolfo Hohenstein; Franz Laskoff; Osvaldo Marchesi; Virgilio Marchi; Enzo Mari; Giovanni Maria Mataloni; Ettore Mazzini; Fausto Melotti; Mingozzi; Giorgio Muggiani; Bruno Munari; Pierluigi Nervi; Ugo Nespolo; Marcello Nizzoli; Plinio Nomellini; Bob Noorda; Pininfarina; R.F. Piquillo; Pollione (Pollione Sigon); Gio Ponti; Enrico Prampolini; Giuseppe Riccobaldi Del Bava; Mario Ridolfi; Norman Rockwell; Gian Rossetti; Enrico Sacchetti; Roberto Sambonet; San Marco; Richard Sapper; O. Savelli; Emilio Scanavino; Xanti Schawinsky; Federico Seneca; Sepo (Severo Pozzati); A. Soldati; Ettore Sottsass jr; Studio Boggeri; F. Targia; TATO (Guglielmo Sansoni); Aleardo Terzi; Tigiù (Emma Bonazzi); Pino Tovaglia; Gino Valle; Marco Zanuso. TIPOLOGIA > Corporate Identity / editoria e grafica editoriale / packaging / arredo d’interni / complementi d’arredo / tessuti per l’arredamento / apparecchi audio e video / illuminazione decorativa e tecnica / automobili / strumenti e attrezzi per il lavoro LINK > cirulliarchive.org Xanti Schawinsky, pannello per negozio Olivetti a Torino, 1935, San Lazzaro di Savena, Fondazione Massimo e Sonia Cirulli (foto courtesy Fondazione Cirulli).

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BIBLIOGRAFIA > Massimo Cirulli, Sonia Cirulli (a cura di), Lo Stile Italiano. Arte e Design, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2011. M. Beatrice Bettazzi, La Fondazione Massimo e Sonia Cirulli a San Lazzaro. Intervista a Massimo Cirulli, «Quaderni del Savena», 16, 2017, pp. 133-140.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Sonia Pellegrini della Fondazione Massimo e Sonia Cirulli ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvTlFS del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo Storico “G. Bucci” di Cooperativa Ceramica d’Imola

Imola (Bologna) via Vittorio Veneto 13

DE-BO001

Una delle sale espositive del Museo Storico “G. Bucci” di Cooperativa Ceramica d’Imola.

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il cospicuo nucleo di opere conservate nel Museo e negli archivi della Cooperativa Ceramica d’Imola testimonia la storia di una realtà imprenditoriale che fin dal suo esordio, nel 1874, ha sperimentato nuove forme stilistiche, reinterpretando il patrimonio del passato. Lo dimostra la figura di Gaetano Lodi, pittore ornatista della Casa Reale e accademico bolognese, cui CCI affida l’incarico di rinnovare la produzione artistica. In qualità di direttore artistico dal 1883 al 1886 reinventa decorazioni floreali, grottesche e motivi esotici con un carattere fantasioso e originale. Centrale diventa nel secondo dopoguerra il legame con Gio Ponti che visita l’azienda e instaura un rapporto di reciproca stima e amicizia con Domenico Minganti, scultore modellatore della Cooperativa. Inoltre Ponti tramite le riviste «Stile» e «Domus» aiuterà a far conoscere la produzione di CCI. La produzione ceramica di Minganti è ricca di elementi scultorei, piccole plastiche lustrate o rivestite da smalti opachi a grosso spessore. Nel 1993 CCI realizzerà un’edizione a tiratura limitata delle “bottiglie animate” ispirata ai disegni di Gio Ponti da una sua lettera manoscritta ricevuta il 4 gennaio 1951, omaggio al grande architetto. All’interno di una produzione generalmente anonima, tra i protagonisti identificabili della sezione Artistica si segnalano Arrigo Visani che tra il 1946 e il 1951 contribuisce con grande vivacità al rinnovamento degli stilemi decorativi con le sue figurazioni poetiche e originali e Umberto Marfisi che si dedicherà alla produzione di vasi decorati a figure e scene rurali di gusto novecentista fino al 1960.


Museo Storico “G. Bucci” di Cooperativa Ceramica d’Imola

Germano Sartelli, Carte lavorate, prototipo per piastrella in ceramica, 2003, Imola, Museo Storico “G. Bucci” (foto Andrea Scardova).

Nei primi anni Ottanta CCI inizia a delineare la realizzazione di un Centro Internazionale di Studi e Sperimentazione sulla Ceramica, luogo di ricerca sui rapporti tra arte e industria per promuovere attività di sviluppo sul materiale ceramico. Attività il cui scopo principale sarà quello di riprogettare oggetti di tipo artigianale di alta qualità, mettendo in contatto i ceramisti della sezione Artistica con il mondo dell’arte. Remo Brindisi è tra i primi artisti di fama internazionale ad aderire all’invito di CCI (vasi in maiolica dipinta, 1981), seguito da Hsiao Chin che durante la sua lunga collaborazione realizza servizi da tavola, piatti, grandi pannelli e formelle in maiolica. Negli incontri, nelle mostre e negli eventi che ruotano intorno a questo progetto molti sono gli artisti che frequentano la CCI, arricchendo la collezione di opere d’arte conservate nel Museo e negli archivi. Da questo movimento di idee scaturirà un ricco susseguirsi di presenze artistiche che prosegue fino a oggi. Enrico Baj, Lucio Del Pezzo, Tullio Pericoli, Gianfranco Pardi, Agenore Fabbri, Arnaldo Pomodoro, Aldo Spoldi ed Emilio Tadini sono alcuni dei grandi artisti che prendono parte al progetto “Artecotta” (1981-1986), un evento a più voci in cui ogni autore accompagna l’opera realizzata con un testo sulla materia ceramica e sulle sue infinite possibilità. Vanno ricordati anche il contributo di Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni che progettano e realizzano opere proprie dalle forme fantasiose e gli oggetti progettati da Ugo La Pietra, nuove interpretazioni di oggetti d’uso, o le opere di Joe Tilson prodotte dalla sezione Artistica in tiratura limitata. PROGETTISTI > Enrico Baj; Giampaolo Bertozzi - Stefano Dal Monte Casoni (Bertozzi & Casoni); Remo Brindisi; Hsiao Chin; Lucio Del Pezzo; Piero Dorazio; Agenore 217 > ER/DESIGN


Museo Storico “G. Bucci” di Cooperativa Ceramica d’Imola

Piero Dorazio, servizio da pesce in ceramica, 1985, Imola, Museo Storico “G. Bucci” (foto Andrea Scardova).

Fabbri; Emidio Galassi; Tomo Hirai; Ugo La Pietra; Gaetano Lodi; Umberto Marfisi; Sebastian Matta; Alessandro Mendini; Nedo Merendi; Domenico Minganti; Mimmo Paladino; Gianfranco Pardi; Tullio Pericoli; Arnaldo Pomodoro; Gio Ponti; Paolo Portoghesi; Aldo Rontini; Germano Sartelli; Aldo Spoldi; Emilio Tadini; Joe Tilson; Arrigo Visani. TIPOLOGIA > Ceramica per rivestimenti e pavimentazioni / ceramiche artistiche / complementi d’arredo / vasellame e posateria / set da scrivania LINK > museo-g-bucci.culturalspot.org/home BIBLIOGRAFIA > Museo centro di documentazione storico-artistica G. Bucci, Museo Centro di Documentazione. Guida al museo, Imola, Cooperativa ceramica d’Imola, [199.].

Bertozzi & Casoni, Bip Bip, prototipo di lampada in ceramica, 1985, Imola, Museo Storico “G. Bucci” (foto Andrea Scardova).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Patrizia Filipponi del Museo Storico “G. Bucci” ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvZbHw del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

218 > ER/DESIGN


Centro Studi Dante Bighi

Copparo (Ferrara) via Marino Carletti 110

DE-FE002

Copparo, Villa Bighi, interno con la grande vetrata da cui si vede il parco con le sculture realizzate da Dante Bighi recuperando oggetti provenienti da altri contesti e pienamente inserite nella natura (foto Andrea Scardova, 2015).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Villa Bighi è un patrimonio storico monumentale di proprietà del Comune di Copparo ricevuto in donazione nel 1994 dall’allora ideatore e proprietario Dante Bighi, pittore, scultore, pensatore eclettico, seguace delle avanguardie del Novecento, graphic designer, viaggiatore, collezionista, figura di spicco nel panorama italiano e internazionale dal 1950 al 1990. Villa Bighi ospita dal 2007 l’omonimo Centro Studi, una struttura dedita alla realizzazione e valorizzazione dell’Archivio Bighi e alla produzione culturale del contemporaneo. Questo luogo dove Dante Bighi scelse di vivere è stato concepito fin dal suo primo segno come un sistema integrato tra arte, architettura e natura. Un contenitore e un contenuto che dovevano continuamente autoalimentarsi attraverso questa integrazione tra le arti anche dopo la scomparsa del suo autore. E così la Villa ha cambiato i materiali e le funzioni interne più volte, pur rimanendo fedele al suo scheletro architettonico e all’impalcatura culturale voluta dal suo ideatore. Alcuni elementi addirittura sono inamovibili e paiono essere “innestati” nell’architettura. Il design è parte integrante del luogo. Lo sono alcuni arredi disegnati ad hoc per la zona giorno da Bighi e una serie di piccoli complementi di design figli del loro periodo e avuti, come merce di scambio, quasi a livello di prototipo dai grandi marchi del primo design italiano: Gavina, Mivar, Cirla Graniti, Stilnovo, Zanotta, ISA, aziende che hanno dato vita al sistema imprenditoriale dei grandi marchi internazionali. Alcune di loro tuttora esistenti, altre scomparse o incorporate da altri. Nella casa si trovano le poltrone originali Sheriff disegnate da Sergio Rodrigues, una sedia attribuibile a C.R. Mackintosh e alcune lampade di fine design


Centro Studi Dante Bighi

Da sinistra Kazuhide Takahama, lampada da terra Sirio T, 1977, collezione “Classici” di Nemo, divisione luci di Cassina. Copparo, Centro Studi Dante Bighi (foto Andrea Scardova, 2015). Stilnovo, lampada da parete orientabile, 1955, Copparo, Centro Studi Dante Bighi (foto Andrea Scardova, 2015).

come la Toio disegnata per Flos da Achille e Pier Giacomo Castiglioni nel 1962. Non va dimenticato che il Centro custodisce un fondo importante per documentare l’arte del Novecento. La collezione è rappresentata da due momenti: quello del Bighi autore le cui opere sono tutte contenute all’interno della Villa, dalle Teche di Plexiglass alle Spremute di Carta di giornale ai grandi libri oggetto e quello del Bighi collezionista che ha riunito opere di 100 artisti internazionali in grado di offrire una panoramica di tutto il XX secolo, con una particolare attenzione riservata a tutti i giovani artisti dell’epoca che poi diedero vita o confluirono nel Nouveau Réalisme dell’amico Pierre Restany. Forte rimane l’influsso dell’ambiente milanese degli anni Cinquanta-Settanta e della Triennale, ambiente in cui Bighi è vissuto per il suo lavoro di grafico e pubblicitario. PROGETTISTI > Achille e Pier Giacomo Castiglioni; Piero Gatti; Charles Rennie Mackintosh; Cesare Paolini; Sergio Rodrigues; Kazuhide Takahama; Franco Teodoro. TIPOLOGIA > Arredo d’interni LINK > www.dantebighi.org BIBLIOGRAFIA > Elena Bertelli et al. (a cura di), Villa Bighi. Copparo, Ferrara, Copparo, Comune di Copparo, 2008.

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Maurizio Bonizzi del Centro Studi Dante Bighi ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvQzR5 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

220 > ER/DESIGN


Casa Museo Remo Brindisi

Lido di Spina (Ferrara) via Nicola Pisano 51

DE-FE001

Il salotto nero, Lido di Spina, Casa Museo Remo Brindisi (foto Andrea Scardova, 2014).

221 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La Casa Museo Remo Brindisi, già definita “Museo alternativo” dal suo ideatore, l’artista e collezionista Remo Brindisi, è stata costruita tra il 1971 e il 1973 su progetto dell’architetto e designer Nanda Vigo. L’edificio è stato concepito e realizzato fin dall’inizio come museo e casa insieme, ma non solo, anche come manifesto di una concezione culturale, artistica e museografica che accomunava Remo Brindisi e Nanda Vigo e che essi sintetizzavano con la formula “integrazione delle arti”. Entrambi avevano un’idea della collezione come “fatto totale”, come visione della contemporaneità, e intendevano creare un ambiente in cui la vita potesse svolgersi in stretto contatto con l’arte. Dunque, Brindisi e Vigo hanno programmaticamente cercato di integrare in un insieme senza soluzione di continuità l’ambiente, l’architettura, l’arte, il design e la vita degli abitanti della casa e dei visitatori. Gli arredi sono ovviamente parte del progetto di integrazione. In alcuni casi ciò avviene in modo più radicale, come per ciò che riguarda il “salotto nero” o “conversation pool”, situato al centro della grande sala cilindrica che costituisce il cuore dell’edificio, il quale è realizzato in muratura e sembra emergere dal pavimento. Alcuni elementi architettonici, come le vetrate interne e il monumentale corrimano in


Casa Museo Remo Brindisi

Veduta d’insieme dall’alto della scala elicoidale, Lido di Spina, Casa Museo Remo Brindisi (foto Andrea Scardova, 2014).

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acciaio della scala elicoidale che collega i piani, sono in realtà opere d’arte di Nanda Vigo, “cronotopi” e “stimolatori di spazio” secondo la sua definizione. Anche alcune sculture sono direttamente innestate nell’architettura, come la scultura cinetica di Carmelo Cappello e gli alberi in metacrilicato di Gino Marotta. In alcuni casi opere di pittura rivestono intere pareti, come i “quadroni” di Remo Brindisi e di Claudio Papola e la “scrittura cancellata per una camera da letto” di Emilio Isgrò che è una vera e propria boiserie. Il design, quindi, è parte integrante della Casa Museo e si possono riconoscere una cinquantina di elementi. Innanzitutto gli arredi di Nanda Vigo che completano il progetto della “camera da letto prototipo”, altrimenti denominata “camera nera”, e il “salotto bianco”. Si tratta di mobili in alcuni casi realizzati su misura, oppure di arredi della serie “Top” progettata dalla Vigo nel 1970 per FAI International, della serie “Essential” per Driade del 1973, oltre alla lampada Linea per Arredoluce (1970). A cavallo tra l’opera d’arte e l’oggetto di design è invece la lampada Diaframma del 1971 sempre della Vigo. Sono da considerare alla stessa stregua di prototipi-opere d’arte le lampade di Cesare Fiorese, Calos, Bruno di Bello, Bruno Contenotte, la sedia di Riccardo Dalisi, le due poltroncine in metallo e materiale plastico della tavernetta. La sedia di C.R. Mackintosh che si trova nella “camera nera” è probabilmente da riferirsi alla mostra dedicata proprio alle sedie di Mackintosh organizzata nel 1973 alla Triennale di Milano, presieduta da Remo Brindisi. Produzioni di design industriale sono invece le versioni originali della lampada Parentesi di Pio Manzù e Achille Castiglioni (Compasso d’Oro 1979) che Remo Brindisi utilizzava nel suo studio per dipingere, della Toio di Achille e Pier Giacomo Castiglioni (1962), della Eclisse di Vico Magistretti (Compasso d’Oro 1967) collocata sul comodino accanto al letto dell’artista e utilizzata a parete nei bagni, della Cobra (1968) di Elio Martinelli


Casa Museo Remo Brindisi

A sinistra, Charles Rennie Mackintosh, sedia Hill House, 1902, prodotta da Cassina nel 1973, e, a destra, Nanda Vigo, armadio a specchio, 1971-1973, Lido di Spina, Casa Museo Remo Brindisi (foto Andrea Scardova, 2014).

che accresce con la propria luce il piano trasparente e luminoso incassato nel bar in muratura della tavernetta. Numerose anche le sedie e i mobiletti di design in plastica di Kartell, Artemide, Longato, B&B Italia, tra cui si ricordano le versioni originali delle sedie in plastica impilabili di Joe Colombo, De Martino, Fois, Falcon e della Dr. Glob di Philippe Starck. PROGETTISTI > Calos; Achille e Pier Giacomo Castiglioni; Joe Colombo; Bruno Contenotte; Riccardo Dalisi; De Martino; Bruno di Bello; Falcon; Cesare Fiorese; Fois; Emma Gismondi Schweinberger; Charles Rennie Mackintosh; Vico Magistretti; Pio Manzù; Elio Martinelli; Alberto Rosselli; Marcello Siard; Philippe Starck; Nanda Vigo. TIPOLOGIA > Arredo d’interni / illuminazione decorativa e tecnica LINK > www.casamuseoremobrindisi.com BIBLIOGRAFIA > Orlando Piraccini (a cura di), Casa museo Remo Brindisi. Una collezione d’artista. Dall’archivio all’inventario, Bologna, Editrice Compositori, 2005. Eleonora Sole Travagli, Villa Brindisi, un’astronave nella pineta. Storia del museo alternativo tra arte, architettura e design, Ferrara, Linea BN, 2010.

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Laura Ruffoni della Casa Museo Remo Brindisi ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vwhqfP del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

223 > ER/DESIGN


Museo Civico Carlo Venturini

Massa Lombarda (Ravenna) viale Zaganelli 2

DE-RA004

In basso a destra Manifattura Miliani di Fabriano, zuccheriera, seconda metà sec. XIX, terraglia smaltata, Massa Lombarda, Museo Civico Carlo Venturini (foto Andrea Scardova, 2016). Sotto Manifattura Wedgwood, piatto da parata, sec. XIX, terraglia a smalto e a rilievo, Massa Lombarda, Museo Civico Carlo Venturini (foto Andrea Scardova, 2016).

224 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Figura di rilievo per la storia e la cultura massese, Carlo Venturini testimonia come si è andato formando il collezionismo antiquario ottocentesco. La professione di medico e l’attività diplomatica svolta per il governo tunisino fino al 1881 gli consentono di intrattenere rapporti personali con studiosi, viaggiatori e diplomatici. Riesce così a costruire una fitta rete di relazioni che si concretizzano in scambi di gentilezze con l’invio di omaggi, oggetti e curiosità i più disparati. Anche i contatti e l’adesione a istituzioni storiche, scientifiche, artistiche contribuiscono a orientare i suoi interessi di collezionista. Prende così forma una raccolta varia ed eterogenea che unisce nuclei omogenei di materiali, come quelli archeologici e naturalistici, a oggetti strani e curiosi, raccolta che Venturini stesso intende aprire al pubblico insieme alla sua importante biblioteca. Nel 1990 il Comune riesce a dare una collocazione permanente alla donazione ricevuta alla sua morte, inaugurando il Museo Civico. Nelle vetrine del Museo è documentato il gusto per il bric à brac e per la nascente arte industriale da una serie di manufatti che per la loro natura non offrono particolari qualità estetiche, ma si configurano semplicemente come oggetti d’uso appartenenti alla suppellettile domestica, consueta soprattutto nella seconda metà del XIX secolo: vasi da fiori, tazzine, brocche, scaldini, piatti e piattini. Molti degli esemplari presenti appartengono alla Manifattura Miliani di Fabriano (zuccheriere, brocche, taglieri, servizi da camera). Altri oggetti ancora provengono da manifatture inglesi, come la famosa Wedgwood, alla quale appartiene il piatto da parata a smalto verde con rappresentazione della maternità. Uguale curiosità Venturini riserva alle produzione in vetro: oliere decorate con motivi floreali di derivazione classicista, bottiglie, candelieri, vasi da fiori che costituivano l’arredo vero e proprio della sua abitazione e numerosi bicchieri di forme diverse e con varie


Museo Civico Carlo Venturini

iscrizioni che testimoniano un atteggiamento romantico e un gusto che rendeva il manufatto un oggetto ricordo. Maioliche, porcellane e vetri sono tra i pochi materiali raccolti per lo più mediante acquisto o per sua richiesta esplicita. Dal 2007 il Museo è stato trasferito all’interno del Centro Culturale dedicato a Venturini in un edificio che riunisce le istituzioni culturali più importanti della città e in cui è conservata la sua raccolta libraria. TIPOLOGIA > Ceramiche artistiche, vasellame e posateria LINK > www.comune.massalombarda.ra.it/Citta-e-territorio/La-Citta/Biblioteche-e-musei/Museo-civico-e-pinacoteca/Museo-Civico-e-Pinacoteca BIBLIOGRAFIA > Museo Civico Carlo Venturini di Massa Lombarda, testi di Ivo Scarpetti, Ravenna, Provincia di Ravenna, 2013.

Gruppo con bugia (manifattura italiana), vaso da fiori (manifattura napoletana), bottiglia da acqua (manifattura europea), candeliere, vasetti da fiori, vasetto e bottiglie da notte (manifattura italiana), seconda metà sec. XIX, Massa Lombarda, Museo Civico Carlo Venturini (foto Andrea Scardova, 2016).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Ivo Scarpetti del Museo Civico Carlo Venturini ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vw39j8 del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

225 > ER/DESIGN


MIC Museo Internazionale delle Ceramiche

Faenza (Ravenna) viale Baccarini 19

DE-RA003

Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, veduta d’insieme di una sala espositiva (foto Andrea Scardova, 2014).

226 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il MIC Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza è la più grande collezione al mondo dedicata all’arte ceramica internazionale. Nella sua mission vi è la promozione, valorizzazione, tutela di tutte le forme di arte ceramica e, attraverso il suo esteso patrimonio, cerca di documentare il passato ma anche la contemporaneità, per ogni area geografica e per ogni tipologia. Lunga la sua storia e diverse le attività promosse: dalla rivista di studi ceramologici «Faenza» (1913) alla Biblioteca, dalla Scuola di ceramica (1916) al Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea (1938) e, in tempi più recenti, all’attività didattica con un’idea sperimentale che coinvolse nel 1978 Bruno Munari, al Laboratorio di Restauro (inizio anni Novanta). Il MIC non ha una vera e propria sezione di design ma possiede numerosi pezzi ascrivibili a questa categoria, molti donati nelle occasioni del Concorso Internazionale. Alcuni appartengono a vere industrie che negli anni sono ancora esistenti e che lavorano nel settore, altre hanno avuto una gloriosa storia ma sono scomparse da anni, pur avendo avuto collaborazioni importanti, altre ancora appartengono a produzioni saltuarie attivate con singole manifatture anche locali. Si può iniziare con una prima ricognizione pre-bellica, con il nucleo di oggetti disegnati da Gio Ponti dagli anni Venti per Richard Ginori e facenti parte di quell’operazione di “educazione del gusto borghese” intrapresa da Ponti per la rinascita del prestigioso marchio fiorentino. A seguire, sempre nello stesso ambito manifatturiero, gli oggetti disegnati da Giovanni Gariboldi, che succede nella direzione artistica a Ponti, seguendo uno stile personalissimo per diversi decenni. Altra industria importante, documentata con numerosi manufatti nelle raccolte del MIC, è la SCI Società Ceramica Italiana di Laveno Mombello, di cui il MIC possiede oggetti realizzati da Guido Andlovitz, da Angelo Biancini e da Antonia Campi (Neto).


MIC Museo Internazionale delle Ceramiche

Giacomo Balla, servizio da the, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza.

Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, una sala interna (foto Andrea Scardova, 2014).

227 > ER/DESIGN

Relative a un ambito non industriale ma di alto artigianato artistico, possono essere segnalate le manifatture Mazzotti di Albisola e Gatti di Faenza che hanno coinvolto nei decenni diversi artisti, designer, intellettuali (entrambe le manifatture sono tuttora esistenti e attive) già negli anni Trenta. Altre “situazioni” documentate nelle raccolte del MIC sono: la SIMAC di Castelli d’Abruzzo, la Galvani di Pordenone, la SICA e la Zanolli di Nove, la Mancioli di Firenze, Laboratorio Pesaro (con pezzi di Anselmo Bucci e Nanni Valentini), l’esperienza di Zanini, Cimatti, Gruppo Memphis per Bitossi. Altre autorevoli presenze sono: Ico Parisi, Ambrogio Pozzi, Ettore Sottsass, Matteo Thun, Federico Fabbrini, Roberto Garcia, Rosanna Bianchi Piccoli. Una sezione recentemente inaugurata (2013) all’interno del percorso museale del MIC riguarda i rivestimenti e le piastrelle, dal Medioevo ai giorni nostri, con rilievo internazionale. La parte contemporanea consta di oltre 15.000 piastrelle industriali italiane, con contributi significativi di designer come Gio Ponti, Gae Aulenti, Marcello Morandini, Ettore Sottsass, Marco Zanuso, Bruno Munari, Paolo Tilche, Antonia Campi, Alessandro Mendini, solo per citare alcuni dei tanti nomi presenti.


MIC Museo Internazionale delle Ceramiche

PROGETTISTI > Guido Andlovitz; Gae Aulenti; Rosanna Bianchi Piccoli; Angelo Biancini; Anselmo Bucci; Antonia Campi (Neto); Federico Fabbrini; Roberto Garcia; Giovanni Gariboldi; Alessandro Mendini; Marcello Morandini; Bruno Munari; Ico Parisi; Gio Ponti; Ambrogio Pozzi; Ettore Sottsass; Paolo Tilche; Matteo Thun; Nanni Valentini; Marco Zanuso. TIPOLOGIA > Ceramica per rivestimenti e pavimentazioni / ceramiche artistiche / complementi d’arredo LINK > www.micfaenza.org/it/

Piastrelle d’autore, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza (foto Andrea Scardova, 2014)

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BIBLIOGRAFIA > Gian Carlo Bojani (a cura di), Artigianato e design due esperienze a confronto: Deruta e Faenza, giornale di mostra (Faenza, Palazzo delle esposizioni, Museo internazionale delle ceramiche, 16 settembre-22 ottobre 1995), Vitorchiano, Milo, 1995. Franco Bertoni (a cura di), Ceramiche d’arte. I luoghi della ricerca di Ugo La Pietra, catalogo della mostra (Museo internazionale delle ceramiche in Faenza, 18 ottobre 2009-10 gennaio 2010), Faenza, MIC, 2009. Franco Bertoni, Un evento eccezionale. Tre mostre di Enzo Mari al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, Faenza, MIC, 2000. Claudia Casali, Valentina Mazzotti (a cura di), Guida al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, Faenza, MIC, 2016.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Casali del Museo Internazionale delle Ceramiche ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vwa7ES del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

228 > ER/DESIGN


Museo Carlo Zauli

Faenza (Ravenna) via della Croce 6

DE-RA002

Museo Carlo Zauli, veduta d’insieme della sezione dedicata al design (foto Andrea Scardova, 2014).

229 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo Carlo Zauli nasce, per volontà della famiglia, dopo la morte dell’artista nel 2002 all’interno del laboratorio-atelier dello scultore sia per conservare e diffondere il suo lavoro che come luogo di produzione culturale e di divulgazione nell’ambito dell’arte contemporanea. Carlo Zauli nel 1949 rileva insieme ad alcuni compagni di studi il laboratorio di un ceramista e si dedica a una produzione artigianale per poi concentrarsi sulla scultura e partecipare alla fondazione nel 1960 della fabbrica di piastrelle “LaFaenza” per la quale disegnerà superfici o decori nell’arco di una collaborazione trentennale. Il Museo dedica un’intera sezione proprio allo Zauli designer, capace di coniugare arte e industria. La prima produzione è caratterizzata da piastrelle in grès bianco in bicottura, decorate con la tecnica della mascherina applicata con aerografo, e i disegni si ispirano allo stile Optical. Gli anni Settanta, grazie all’innovazione industriale, vedono ridursi l’uso della serigrafia mentre i formati si ingrandiscono e viene introdotto il modellato in rilievo. Le decorazioni rimangono di tipo geometrico, rigorose ed essenziali, e viene creato il famoso motivo a onda in rilievo. Nel 1979 Zauli inizia una collaborazione anche con Rosenthal, noto produttore di articoli per la tavola. Negli anni Ottanta nella produzione delle piastrelle in ceramica si diffonde l’uso della policromia e di linee sinusoidali, favorito dal punto di vista tecnico dall’utilizzo del cosiddetto terzo fuoco, ossia la terza cottura. Lo stile di LaFaenza rimane geometrico, rivisitato con colori pastelli e tonalità naturali su formati più grandi. Zauli disegna una nuova linea presentata con successo al Cersaie del 1988 denominata “Terza dimensione”: disegno in positivo e in negativo e modellato in altorilievo richiamano la sua opera come scultore così come le sue ricerche nel settore dell’acquaforte si applicano alla piastrella con ritagli di immagine ricomposti e


Museo Carlo Zauli

rilievi che richiamano la volumetria che caratterizza la sua opera. Il legame tra LaFaenza, marchio di Cooperativa Ceramica d’Imola, e Carlo Zauli continua nel tempo sia nel sostegno al Museo a lui dedicato, sia nella riedizione delle piastrelle da lui progettate. Questa nuova linea, Zauli collection, rivisita le sue migliori creazioni e intuizioni estetiche. È stata presentata al Fuori Salone nel 2008 e ripropone alcuni pezzi che hanno fatto la storia della ceramica e sono oggi esposti al MoMA di New York e al Victoria & Albert Museum di Londra. PROGETTISTI > Carlo Zauli In alto Carlo Zauli, piastrelle LaFaenza, anni 1965-1970, Faenza, Museo Carlo Zauli (foto Andrea Scardova, 2014). Sotto Carlo Zauli, acetati con progetti di piastrelle LaFaenza, Faenza, Museo Carlo Zauli (foto Andrea Scardova, 2014).

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TIPOLOGIA > Ceramica per rivestimenti e pavimentazioni / ceramiche artistiche LINK > www.museozauli.it BIBLIOGRAFIA > Ryuichi Matsubara, Naoka Toyoda (edited by), Carlo Zauli. A retrospective, catalogo della mostra (Kyoto, Gifu, Tokyo, Yamaguchi 2007-2008), con testi di Luciano Caramel e Claudio Spadoni, Kyoto, The National Museum of Modern Art, Nikkei, 2007.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvJOih del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

230 > ER/DESIGN


Museo Civico Luigi Varoli Casa Varoli

Cotignola (Ravenna) corso Sforza 19

DE-RA006

Depero Futurista, Milano, Dinamo Azari, 1927, copertina del volume, Cotignola, Museo Civico Luigi Varoli (foto Andrea Scardova, 2015).

231 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo Varoli si articola e ramifica in più sedi e sezioni, a partire dal nucleo centrale delle collezioni rappresentato dalla donazione della moglie dell’artista Anna Cortesi Varoli, donazione composta da dipinti, disegni, sculture e ceramiche dell’artista cotignolese, ma anche da una raccolta eterogenea di oggetti a lui appartenuti, prevalentemente conservati nella casa museo, tra cui un numero considerevole di strumenti musicali, libri e monografie d’arte, una piccola gipsoteca, fotografie varie, maschere, strumenti di lavoro, arredi e reperti di epoca romana e medievale. All’interno di questa curiosa collezione spiccano due libri progettati da Fortunato Depero e donati da Depero stesso a Luigi Varoli: il Numero Unico Futurista Campari 1931 e l’ancor più celebre Depero Futurista anche noto come “libro imbullonato” che costituiscono il nucleo Depero conservato nella casa-studio. Il Numero Unico Futurista Campari 1931, ideato da Depero come omaggio della “Ditta Davide Campari & C. Milano” e stampato nella tipografia Mercurio di Rovereto in tiratura limitata, è oggi un oggetto da collezione, un raro documento della storia del Futurismo italiano; per questo volume di 80 pagine di formato 24x30 cm, Depero realizzò a china nera 50 opere grafiche di proprietà della ditta Campari, oggi conservate nell’omonima Galleria. Queste tavole originali, create tra il 1927 e il 1931, vennero riprodotte a stampa con l’aggiunta dei testi del poeta Giovanni Gerbino e dovevano essere lette in pubblico con il


Museo Civico Luigi Varoli Casa Varoli

Depero Futurista, Milano, Dinamo Azari, 1927, frontespizio del volume con a fianco la dedica autografa di Depero a Luigi Varoli, Cotignola, Museo Civico Luigi Varoli (foto Andrea Scardova, 2015).

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sottofondo musicale composto dal musicista Franco Casavola, perché esaltavano «gli artisti creatori, gli industriali e i produttori». L’artista trentino teorizzava infatti in quegli anni che «l’arte della pubblicità è un’arte colorata, obbligata alla sintesi», auspicando un’arte di massa «in grado di marciare, come il Futurismo, di pari passo all’industria, alla scienza, alla politica, alla moda del tempo, glorificandole», perché la pubblicità è «arte gioconda-spavaldaesilarante-ottimista». La copia conservata al Museo Varoli si apre a pagina 3 con questa dedica autografa «A Varoli con ammirazione e simpatia sincera F. Depero». Il volume Depero Futurista edito da Dinamo Azari, noto anche come “libro imbullonato”, fu progettato da Fortunato Depero nel 1927 per promuovere la propria attività e quella della casa editrice Dinamo Azari. Si tratta di una pubblicazione composta da 242 pagine, con copertina fustellata e chiusura realizzata con bulloni in alluminio, stampata in formato rettangolare, tipo album 25x32 cm. La parte che richiese il maggior tempo di elaborazione fu quella relativa al frontespizio, dove si rendeva necessario un equilibrio grafico tra il titolo del libro, Depero futurista, e l’editore Dinamo Azari che, secondo gli accordi, doveva comparire con ugual peso nella grafica di copertina. Poesie, caratteri tipografici, parole e immagini in libertà, esempi di onomalingua (voce inventata da Depero stesso), furono inserite in questo libro macchina, rilegato con due bulloni metallici e relativi dadi e copiglie, per suggerire al fruitore un possibile smontaggio a proprio piacimento (ma anche per spaccare e lacerare e sbarazzarsi – metaforicamente e fisicamente – del vecchiume passatista delle biblioteche). Il libro è una sorta di summa del futurismo tipografico deperiano. È uno dei capolavori dell’editoria d’avanguardia, per la varietà delle soluzioni grafiche e l’inventiva che cattura il lettore, pagina dopo pagina, in un percorso di incessanti sorprese: inchiostri e carte di differenti colori, tavole ripiegate che si aprono, giochi tipografici, ecc.


Museo Civico Luigi Varoli Casa Varoli

A destra e in basso Fortunato Depero, Numero Unico Futurista Campari 1931, Rovereto, Tipografia Mercurio, pagine interne e copertina del volume, Cotignola, Museo Civico Luigi Varoli.

Come interni si compone di 123 schede, compresi i fogli di guardia, le veline trasparenti e un sestino, e una copertina costituita da due piatti di cartone cordonati, l’anteriore stampato in nero e argento su fondo blu-azzurro, il posteriore senza stampa. La copia conservata al Museo Varoli è la n. 455 /1000 e si apre con una dedica autografa «Fortunato Depero 1928 all’ingegno plastico dell’amico Varoli al suo cuore esplosivo Cotignola 30 ott 932» (pagina 4). PROGETTISTI > Fortunato Depero TIPOLOGIA > Editoria e grafica editoriale LINK > www.comune.cotignola.ra.it/Guida-ai-servizi/Cultura-sport-e-tempo-libero/Museo-Civico-Luigi-Varoli BIBLIOGRAFIA > Aldo Colonetti, Futurismo e industria: il caso Depero-Campari, «Alfabeta», 83, 1986.

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Massimiliano Fabbri del Museo Civico Luigi Varoli ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vw2Xkj del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

233 > ER/DESIGN


Museo dell’Arredo Contemporaneo

Russi (Ravenna) S.S. San Vitale 243 in deposito a Milano

DE-RA001

Veduta d’insieme dell’interno del Museo dell’Arredo Contemporaneo di Russi (foto Andrea Scardova, 2014).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Nato nel 1988 per volontà di Raffaello Biagetti, con il contributo di Giovanni Klaus Koenig, Filippo Alison e Giuseppe Chigiotti che hanno selezionato i 150 pezzi di arredo esposti, il Museo si propone d’illustrare la storia del design, attraverso testimonianze e opere che hanno scandito il percorso cronologico di questo fenomeno artistico e socio-culturale che ha caratterizzato il Novecento in tutto il mondo. L’edificio che ospita la collezione è composto da una moderna struttura industriale completata da una galleria a forma di patio, appositamente progettata da Ettore Sottsass. Gli oggetti esposti ricostruiscono la nascita e l’evoluzione del design, raccontandone i momenti fondamentali dal 1880 al 1980, attraverso i maggiori protagonisti e in relazione ai movimenti e agli stili che si sono succeduti nella storia dell’arte e del costume: dall’Art Nouveau al Wiener Werkstätte e al Bauhaus, dal Costruttivismo russo al Funzionalismo razionalista francese e italiano degli anni Trenta, dal Moderno al made in Italy. L’allestimento e gli apparati esplicativi e didattici sono stati curati da Piero Castiglioni. Significativa negli anni l’attività espositiva con mostre temporanee dedicate ad artisti e designer. A partire da aprile 2015, la collezione permanente è stata in mostra a Milano. PROGETTISTI > Alvar Aalto; Franco Albini; Archizoom; Erik Gunnar Asplund; Gae Aulenti; Mario Bellini; Giandomenico Bellotti; Harry Bertoia; Raffaello Biagetti; Cini Boeri; Osvaldo Borsani; Marcel Breuer; Luigi Caccia Dominioni; Anna Castelli


Museo dell’Arredo Contemporaneo

Ettore Sottsass, Padiglione nella corte, 1992-1993, Russi, Museo dell’Arredo Contemporaneo (foto Andrea Scardova, 2014).

In basso a destra Vari arredi anni Dieci del Novecento tra cui spiccano alcuni lavori di Josef Hoffmann e un attaccapanni di Adolf Loos, rieditati da Woka, Kobus, Wittmann e Haus Koller. Russi, Museo dell’Arredo Contemporaneo (foto Andrea Scardova, 2014). Sotto Vari arredi anni Settanta tra cui spicca lo specchio Ultrafragola disegnato da Ettore Sottsass per Poltronova nel 1970, Russi, Museo dell’Arredo Contemporaneo (foto Andrea Scardova, 2014).

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Ferrieri; Achille e Pier Giacomo Castiglioni; Mario Ceroli; Pietro Chiesa; Joe Colombo; Charles Eames; El Lissitskij; Gianfranco Frattini; Antoni Gaudí; Bernard Govin; Eileen Gray; Laura Griziotti; Walter Gropius; Örni Halloween; Poul Henningsen; René Herbst; Josef Hoffmann; Max Ingrand; Arne Jacobsen; Rodney Kinsman; Toshiyuki Kita; Shiro Kuramata; Le Corbusier; Charles Rennie Mackintosh; Vico Magistretti; Charles Martin; Elio Martinelli; Alessandro Mendini; Ludwig Mies van der Rohe; Carlo Molino; Gabriele Mucchi; Bruno Munari; George Nelson; Herbert Ohl; Gaetano Pesce; Giancarlo Piretti; Gio Ponti; Jean Prouvé; Man Ray; Gerrit Thomas Rietveld; Eero Saarinen; Richard Sapper; Carlo Scarpa; Tobia Scarpa; Ettore Sottsass; Mart Stam; Kazuhide Takahama; Giuseppe Terragni; Michel Thonet; Lella e Massimo Vignelli; Stefan Wewerka; Frank Lloyd Wright; Marco Zanuso. TIPOLOGIA > Arredo d’interni / complementi d’arredo / illuminazione decorativa e tecnica LINK > www.museiitaliani.org/it/ BIBLIOGRAFIA > Giuseppe Chigiotti, Giovanni Klaus Koenig, Filippo Alison, Brani di storia dell’arredo 1880-1980, Ravenna, Edizioni ESSEGI, 1999.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vyKQdp del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

235 > ER/DESIGN


MAR Museo d’Arte della città di Ravenna

Ravenna via di Roma 13

DE-RA005

Giorgio Gregori, sei pale di mosaico per paravento, 1986, Ravenna, MAR.

236 > ER/DESIGN

DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La Collezione dei Mosaici Contemporanei del Museo d’Arte della città conta complessivamente 90 opere, parte delle quali recentemente riallestite nel quadriportico al piano terra del Museo, grazie a un progetto europeo sull’asse Italia-Slovenia chiamato “Open Museums”. La collezione si sviluppa per nuclei cronologicamente scanditi che evidenziano le diverse anime che il mosaico può incarnare. Momento cardine delle vicende musive a Ravenna è la mostra dei “Mosaici Moderni” inaugurata il 7 giugno 1959, le cui opere rappresentano il nucleo centrale della collezione su cui si è andata sviluppando poi l’intera raccolta. Il progetto, promosso da Giuseppe Bovini, intendeva mettere la tecnica musiva al servizio dell’arte contemporanea. Agli artisti, scelti dal comitato scientifico composto dallo stesso Bovini, Giulio Carlo Argan e Palma Bucarelli, fu chiesto di eseguire i cartoni preparatori di opere destinate a essere realizzate in mosaico. Fra gli esemplari presenti in collezione, un nutrito gruppo di manufatti testimonia il rapporto della tecnica musiva con il design d’interni. Soprattutto nei decenni Ottanta e Novanta del secolo scorso si perseguono, da parte di alcuni designer, le straordinarie possibilità applicative del mosaico agli ambienti domestici, agli arredi e oggetti d’uso quotidiano, spesso con risultati affascinanti e di valore artistico. È possibile individuare alcuni nuclei specifici. Il primo si configura come un allestimento spaziale con opere musive, a formare un quadrato di circa 4,5 m per lato: la Stanza aulica, composta da sei pale autoportanti di 220x90 cm ciascuna, simili a un paravento, da un pannello, Ritratto di Alessandro Mendini, una scultura, Testa di guerriero,


MAR Museo d’Arte della città di Ravenna

Giorgio Gregori, Mobile aulico, 1987, Ravenna, MAR (foto Andrea Scardova, 2016).

e da un cassettone completamente rivestito di tessere vitree, il Mobile aulico. Opera complessa dello Studio Alchimia, comprendeva anche un tappeto musivo e una sedia. Lo Studio, fondato da Alessandro Guerriero a Milano nel 1976 con la collaborazione, tra gli altri, di Alessandro Mendini, Ettore Sottsass, Franco Raggi, Michele De Lucchi e Giorgio Gregori, si inscrive nell’evoluzione del design italiano di post-avanguardia che, superando le barriere disciplinari, ha voluto riproporre i valori dell’artigianato e della dimensione artistica degli oggetti, accogliendo fin da subito artisti della Transavanguardia come Enzo Cucchi, Mimmo Paladino e Sandro Chia, oltre a soggetti di altre discipline, come i Magazzini Criminali dalla scena teatrale. L’installazione, volutamente frutto di contaminazioni tra l’attitudine funzionale e la comunicazione poetica, vuole rappresentare una stanza eccezionale – come un’opera unica, ma replicabile in alcune parti – un ambiente domestico connotato dall’insolito ricorso al rivestimento musivo delle superfici, un rivestimento prezioso, iconico. La realizzazione tecnica è di alcuni mosaicisti legati a vario titolo all’Associazione Mosaicisti di Ravenna: Alessandra Caprara, Marco De Luca, Stefano Mazzotti, Luciana Notturni, Paolo Racagni, Marco Santi con la Cooperativa Mosaicisti, Carlo Signorini, Daniele Strada e Enzo Tinarelli. L’opera singola Cameriere, una sorta di “servo muto”, si deve invece a un progetto di Andrea Baj, realizzato da Felice Nittolo nel 1992 per l’Associazione Mosaicisti di Ravenna. L’Associazione – una sezione operativa ravennate dell’Associazione Internazionale Mosaicisti Contemporanei – sviluppa nel 1986, in collaborazione con la Pinacoteca del Museo, il progetto “Prototipo mosaico”, la cui area di interesse è soprattutto quella dell’arredo urbano e del design. Nel 1988 l’Associazione realizza a Ravenna un convegno e due mostre, accomunate dal titolo complessivo: “De Mosaico”. Una mostra riguardava in particolare le nuove applicazioni del mosaico 237 > ER/DESIGN


MAR Museo d’Arte della città di Ravenna

Francesca Fabbri (Akomena), Puttino assopito soddisfatto e satollo, III MIllennio, 2003, Ravenna, MAR (foto Andrea Scardova, 2016).

nel design, attraverso la realizzazione di progetti degli architetti Dardi, Mendini, Minardi e appunto Studio Alchimia. Il mobile quadro Puttino assopito soddisfatto e satollo, III Millennio, realizzato da Akomena nel 2003, è un contenitore sospeso con lo sportello frontale costituito da un quadro che rivisita a mosaico, ironicamente, due icone del nostro tempo: il putto, bimbetto nudo con le ali che ci accompagna da secoli, dai troni degli dei pagani, al Rinascimento, al Barocco, all’estro di Fiorucci, strappandoci sempre un sorriso; e la M, appena suggerita, di Mc Donald’s. Con il marchio Akomena Francesca Fabbri è la designer ma anche la mosaicista di quest’opera. All’interno del mobile viene riprodotto il suo bozzetto originale. Il mobile fa parte di un progetto di contenitori prodotti in cinque varianti in cui i puttini sono accostati ai loghi di altrettanti brand o al mantello di Superman. CIDM CENTRO INTERNAZIONALE DI DOCUMENTAZIONE SUL MOSAICO Il Centro è nato nel 2003 grazie anche ai finanziamenti del progetto europeo “Siti Unesco Adriatici”, proseguito poi nel progetto “Extension of Potentiality of Adriatic Unesco Sites”, ancora in corso. Le attività istituzionali riguardano lo studio e la valorizzazione del mosaico, sia come testimonianza dell’antico splendore delle decorazioni architettoniche d’età tardo antica, sia come forma artistica del contemporaneo. Il Centro comprende anche una biblioteca specializzata e un archivio. Quest’ultimo, frutto delle donazioni di alcuni membri dello storico Gruppo Mosaicisti di Ravenna, custodisce una ricchissima documentazione manoscritta (tra cui i preziosi diari che testimoniano giorno per giorno le attività della bottega), alcuni cartoni pittorici, nati come strumento di lavoro preliminare ai restauri e poi divenuti mezzo per la creazione di copie a calco dei mosaici antichi, e infine numerose fotografie che documentano lo stato di conservazione del patrimonio musivo cittadino a partire dalla seconda metà del Novecento. Nell’archivio inoltre si conservano alcuni bozzetti delle opere d’arte che formano la collezione musiva. Per rendere fruibile il risultato delle ricerche finanziate dai progetti europei e svolte da ricercatori universitari, il CIDM ha sviluppato due banche dati, consultabili on line e in continuo aggiornamento: la Banca dati del Mosaico e la Banca dati Mosaicisti Contemporanei.

238 > ER/DESIGN


MAR Museo d’Arte della città di Ravenna

Cesare Mari, Panstudio, e Francesco Murano, installazione luminosa a soffitto per l’atrio, 2013, Ravenna, MAR (foto Andrea Scardova, 2016).

Grazie ai finanziamenti del progetto europeo “Open Museums”, l’atrio del Museo si è arricchito di un soffitto luminoso, ideato dall’architetto Cesare Mari, di Panstudio, e dal light designer Francesco Murano. La necessità di dare una maggiore luminosità all’ambiente e la ridotta altezza della sala hanno suggerito l’idea di realizzare un grande plafone, di limitato spessore e grande estensione, in grado di fornire una luce diffusa nell’intero ambiente. Si sono giustapposte grandi “tessere” luminose, costituite da pannelli LED, ad altezza leggermente diversa, per formare una composizione che alludesse a un soffitto musivo, non solo per l’accostamento di elementi quadrangolari, ma anche per spessori tridimensionali, e che permettesse nel contempo di variare cromaticamente e in modo dinamico la luce dei vari componenti. Il prototipo è stato realizzato dalla ditta Flexlite che ha adattato alle richieste dei progettisti una tecnologia già collaudata. PROGETTISTI > Associazione Mosaicisti di Ravenna: Alessandra Caprara, Marco De Luca, Stefano Mazzotti, Luciana Notturni, Paolo Racagni, Marco Santi con la Cooperativa Mosaicisti, Carlo Signorini, Daniele Strada e Enzo Tinarelli; Andrea Baj; Francesca Fabbri; Cesare Mari; Francesco Murano; Felice Nittolo; Studio Alchimia. TIPOLOGIA > Arredo d’interni / mosaici LINK > www.mar.ra.it/ita/Collezioni/Mosaici-moderni-e-contemporanei www.mar.ra.it/ita/CIDM BIBLIOGRAFIA > Silvia Pegoraro (a cura di), Oggetti del desiderio: mosaico e design, con scritti di Gillo Dorfles, Henri Lavagne, Silvia Pegoraro, Milano, Electa, 1997.

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Linda Kniffitz del Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vw1pqs del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo Italiano della Ghisa

Longiano (Forlì-Cesena) S.S. Emilia 1671 loc. Ponte Ospedaletto Chiesetta di Santa Maria delle Lacrime via Santa Maria 18a

DE-FC001

Veduta d’insieme della sala prototipi, Longiano, Museo Italiano della Ghisa (foto Andrea Scardova, 2014).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > A partire da un nucleo di collezione privata il patrimonio del Museo Italiano della Ghisa si è arricchito negli anni con donazioni da parte di enti locali e con acquisti presso antiquari. Gli oggetti esposti nelle due sedi – di Longiano città (chiesetta di Santa Maria delle Lacrime) e sulla via Emilia in prossimità dell’azienda Neri – sono complessivamente 150. Gli oggetti non esposti ma comunque facenti parte della collezione sono 470. Vengono documentate varie tipologie di arredo urbano, realizzate nella seconda metà dell’Ottocento e nel primo ventennio del Novecento. Sono lampioni, vasi, panchine, roste, stufe, mensole, battenti, fontane, ringhiere e scansaruote decorati da una profusione di elementi ornamentali, provenienti dalla tradizione classica, gotica, rinascimentale e barocca, con elementi comuni a molti manufatti: la baccellatura, il tortiglione, la foglia d’acanto, le ghirlande floreali e i festoni di frutta, i medaglioni, i mascheroni, i rosoni, le candelabre e le grottesche, la cariatide. La raccolta del Museo si compone di due nuclei principali: i modelli in legno e le fusioni in ghisa. I modelli, pezzi unici, di impronta artistico-artigianale, solitamente vengono conservati, in quanto è a partire da questi prototipi che si riproducono nel corso del tempo tutte le copie da utilizzare durante il processo produttivo, senza intaccare l’opera originale di intaglio. Con accentuazioni diverse, che dipendono dalla tipologia e dalle dimensioni di ciascun elemento, il modello esprime la precisione e l’accuratezza che il passaggio dal disegno alla dimensione tridimensionale richiede; la qualità dell’intaglio è molto importante in quanto si rifletterà sulla nitidezza della fusione. Ma il modello esprime anche un aspetto più tecnico poiché configura già le fasi successive


Museo Italiano della Ghisa

Pali della luce, fine XIX-inizio XX secolo, Longiano, Museo Italiano della Ghisa (foto Andrea Scardova, 2014).

del processo: la sua funzione infatti è quella di creare nella forma la cavità nella quale si colerà il metallo fuso. Le fusioni in ghisa costituiscono il nucleo più rilevante sia per quantità che per varietà di tipologie. Si tratta di manufatti soggetti a modificazioni che a volte andavano ben oltre l’intenzione progettuale dovute in parte ad adeguamenti tecnologici (il passaggio dal gas all’energia elettrica nell’illuminazione pubblica) e in parte all’eclettismo che ha sempre caratterizzato queste produzioni sia nell’ambito dell’arredo urbano che per alcuni complementi architettonici. Il lavoro di vero e proprio design, inteso come progettazione che precede la realizzazione del modello, non è molto documentato all’interno della raccolta, a parte una felice eccezione che lega un disegno originale a uno dei più interessanti manufatti della collezione. Si tratta di un’opera di Duilio Cambellotti che, fin da giovane, si è occupato di progettazione per l’illuminazione pubblica. Nel 1896 la Società Romana Tramways & Omnibus bandì un concorso per la progettazione di un palo da sostegno da utilizzare nelle linee più importanti, che fu vinto proprio da Cambellotti, allora allievo del corso serale del Museo Artistico Industriale di Roma. Il disegno definitivo era stato preceduto da una serie di schizzi, alcuni molto accurati, riferiti alle varie parti che componevano il palo sostegno (base, fusto, cima), dove compaiono elementi decorativi eclettici, di chiara derivazione classica e mitologica, fusi con altri più moderni, in un insieme armonioso e ben proporzionato. Tali disegni, quasi tutti realizzati a matita nera e a penna con inchiostro nero, sono stati acquistati nel 2011 dalla Fondazione Neri per il Museo. Tra i disegni inediti, provenienti dall’Archivio Cambellotti, sono presenti vari schizzi relativi a lampioni e arredi urbani (ad esempio orologi), alcuni dei quali possono probabilmente essere messi in relazione con i lampioni progettati negli anni Trenta e mai realizzati. Oltre ai lavori di Cambellotti sono conservati nel Museo anche tutti i disegni e gli schizzi di Domenico Neri che hanno dato vita alla ricca gamma della produzione aziendale. Si tratta degli ultimi disegni eseguiti a mano libera su tecnigrafo utilizzando la matita su carta lucida semitrasparente, talvolta man241 > ER/DESIGN


Museo Italiano della Ghisa

In basso a destra Allestimento all’interno della chiesetta di Santa Maria delle Lacrime, sede storica del Museo Italiano della Ghisa di Longiano (foto Andrea Scardova, 2014). Sotto Duilio Cambellotti, disegno del palo sostegno, 1896, Archivio Fondazione Neri, Longiano, Museo Italiano della Ghisa (foto Andrea Scardova, 2014).

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tenendo la grandezza naturale degli elementi e arricchendo con i chiaroscuri l’evidenza dei decori. È inoltre consultabile un Archivio che riunisce cataloghi e cartoline d’epoca, in cui vediamo gli arredi là dove erano collocati in passato, e immagini, scattate negli ultimi vent’anni, che si riferiscono agli oggetti ancora esistenti sul territorio e che vanno a comporre quello che possiamo chiamare un “museo diffuso”. PROGETTISTI > Duilio Cambellotti; Italo Marcori; Domenico Neri. TIPOLOGIA > Arredo urbano LINK > www.museoitalianoghisa.org BIBLIOGRAFIA > Claudia Collina, Le radici del bello nell’utile, «Arredo & Città», 1, 2001, pp. 3-24. Il Museo Italiano della Ghisa. Un percorso nella storia delle nostre città, «Arredo & Città», 2, 1998.

La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Raffaella Bassi del Museo Italiano della Ghisa ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vw2iPM del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo del Bottone

Santarcangelo di Romagna (Rimini) via della Costa 11

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In basso a destra Panoramica del Museo del Bottone a Santarcangelo di Romagna (foto Andrea Scardova, 2015). Sotto Bottoni di Elsa Schiaparelli, 1920-1930 ca., Santarcangelo di Romagna, Museo del Bottone (foto Andrea Scardova, 2015).

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > La raccolta nasce dalla passione di Giorgio Gallavotti per i bottoni e la loro storia. Grazie a un primo nucleo di esemplari che aveva a disposizione nella merceria di famiglia, ha iniziato a ordinarli cronologicamente e per materiali e a cucirli su pannelli. Negli anni è stato possibile documentare la storia di questo accessorio dall’Ottocento ai giorni nostri, in un susseguirsi di momenti di grande successo e di crisi. Dai modelli dalle fogge più diverse, realizzati con resine naturali e corozo, bachelite, galatite, madreperla, pasta di vetro e celluloide, a quelli in legno decorati con pitture a mano o di stoffa per sopperire alle mancanze di materie prime negli anni del secondo conflitto mondiale e del primo dopoguerra. Sono poi gli stilisti dell’alta moda negli anni Sessanta a dare nuova visibilità ai bottoni utilizzando pietre, strass, madreperle e passamanerie per creare oggetti preziosi. Dopo una nuova fase di bottoni essenziali e funzionali legata agli anni della contestazione e della crisi economica, gli stilisti trainano ancora il settore fino agli anni Novanta. Poi man mano la cultura del bottone comincia a perdersi anche se le ditte produttrici provano a presentare bottoni particolari fatti con materiali trasparenti, lavorati con il laser e li importano dall’India, dall’Indonesia fatti con materiali naturali come il legno, il corno, le madreperle lavorate a mosaico, la corda, la paglia, il sughero. In particolare, nel Museo sono esposti esemplari d’autore come il bottone in ceramica e smalto disegnato nel 1920 da Pablo Picasso per Coco Chanel raffigurante un cavallo stilizzato; i bottoni in celluloide con avena, juta e riso di Elsa Schiaparelli risalenti al 1920-1930; i bottoni in bachelite Art Déco, o specificatamente riferiti a oggetti di design come lo spremiagrumi; i bottoni bijoux di Chanel anni Cinquanta con la testa di leone e con la doppia C incrociata; bottoni


Museo del Bottone

Bottoni creati da Nicola Trussardi per Bettino Craxi, 1980 ca., Santarcangelo di Romagna, Museo del Bottone (foto Andrea Scardova, 2015).

gioiello di Pierre Cardin, Dolce & Gabbana, Mimmina, Armani, Krizia e Trussardi; e i bottoni in poliestere su finitura galvanica degli anni Sessanta di Secondo Stefano Pavese, cui si aggiungono alcuni esemplari gioiello della stesso autore; infine alcuni bottoni recentissimi, del 2015, in madreperla colorata e lavorata al laser del Bottonificio L.A.B. di Piacenza. PROGETTISTI > Giorgio Armani; Bottonificio Abramo Favaro Veneto; Bottonificio Ascoli Milano; Bottonificio L.A.B. Piacenza; Bottonificio Loris Bologna; Bottonificio Miban Lemignano per Balenciaga; Pierre Cardin; Coco Chanel; Dolce & Gabbana (Domenico Dolce e Stefano Gabbana); Krizia (Mariuccia Mandelli); Mimmina (Mimmina Rachini); Secondo Stefano Pavese; Pablo Picasso; Elsa Schiaparelli; Daniel Swarosvky; Nicola Trussardi. TIPOLOGIA > Accessori moda LINK > ibottonialmuseo.blogspot.it BIBLIOGRAFIA > Giorgio Gallavotti (a cura di), Museo del bottone Gallavotti. Guida alla visita. La memoria della storia, s.l., Edizioni Montefeltro, 2013. Michela Manservisi, Sergio Schianchi, Sotto il segno dei bottoni, Bologna, Nuova Libra, 1993. Vittoria De Buzzaccarini, Isabella Zotti Minici, Bottoni & bottoni, Modena, Zanfi, 1995.

Bottone disegnato da Pablo Picasso per Coco Chanel, 1920 ca., Santarcangelo di Romagna, Museo del Bottone (foto Andrea Scardova, 2015).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da Claudia Collina dell’Istituto Beni Culturali ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vw7aEf del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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Museo Nazionale del Motociclo

Rimini via Casalecchio 58/n

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DATI INFORMATIVI SUL NUCLEO > Il Museo trova le sua origine dalla comune passione per la moto di tre amici, Germano Corvatta, Giuseppe Savoretti e Tino Zaghini, che nel dicembre 1993, unendo le loro collezioni private, idearono e allestirono un Museo aperto al pubblico, il primo in Italia interamente dedicato alle moto, dalle origini ai giorni nostri. Nella sede attuale, più ampia e facilmente raggiungibile delle precedenti, sono esposti oltre 250 esemplari di 60 marche diverse, ordinati cronologicamente per aree tematiche, che raccontano questo mezzo a due ruote con le realizzazioni dei pionieri, di geniali progettisti, di case costruttrici nostrane, di colossi industriali dei nostri tempi. Sidecar, scooter, moto da Gran Premio, prototipi e pezzi unici come la Frera SS 4V del 1924, la Frera bicilindrica a valvole contrapposte di 1140 cc, la Moto Guzzi 500 GTV del 1937, appartenuta al pittore Antonio Ligabue. Inoltre è disponibile una biblioteca con oltre 10.000 volumi dedicati alla storia del motociclo. PROGETTISTI > Corradino D’Ascanio; Fratelli Balsamo; Pietro Remor. TIPOLOGIA > Cicli e motocicli LINK > www.museomotociclo.it

Scorcio del Museo Nazionale del Motociclo a Rimini (foto Andrea Scardova, 2015).

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La scheda della Banca dati del Design in Emilia-Romagna è stata compilata da G. Mussoni del Museo Nazionale del Motociclo ed è consultabile alla pagina bit.ly/2vvPzwp del catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali Un itinerario nei musei e nelle biblioteche dell’Emilia-Romagna tra museografia e architettura

Silvia Ferrari Istituto Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna >

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

Biblioteche e musei in Emilia-Romagna rappresentano un patrimonio di grande valore non solo per la considerevole ricchezza ma anche per la qualità e le caratteristiche specifiche delle collezioni; una varietà di beni e di contenitori culturali, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, dove il dialogo tra tradizione e spinte verso nuovi orientamenti, tra mantenimento ed esigenze di aggiornamento, deve anche fare i conti, soprattutto negli ultimi anni, con una riduzione sensibile delle risorse disponibili. Nel nostro territorio sono numerosi i casi in cui istituti culturali hanno rinnovato i propri spazi ricorrendo al design, riconoscendogli un ruolo centrale nel profondo processo di ridefinizione dell’identità di quei luoghi, processo in atto da qualche decennio e al centro di un dibattito sempre aperto sui nuovi obiettivi e orizzonti di lavoro, e sulla necessità di riconoscere il manifestarsi di nuovi utenti, nuove attitudini, nuovi bisogni. Si è condotta un’indagine per analizzare il rapporto tra il design e le sue applicazioni nell’ambito delle pratiche espositive del patrimonio culturale nel territorio emiliano romagnolo, privilegiando i campi di interesse specifici di musei e biblioteche, in stretta attinenza con le direzioni di lavoro percorse dall’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna in oltre quarant’anni di attività. L’indagine ha inteso osservare come il design si metta al servizio dei patrimoni collezionistici di questi due ambiti e ne interpreti diverse modalità di allestimento negli istituti culturali del territorio. È stata condotta una ricognizione a largo raggio negli edifici di musei e biblioteche alla scoperta di modelli innovativi di allestimento, soluzioni museografiche significative, portando esempi tra costruzioni ex novo o adattamenti di sedi storiche, interventi limitati

Biblioteca comunale “Pablo Neruda”, Albinea (foto PDP).

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

all’apertura di nuovi servizi, impieghi innovativi di materiali e tecnologie o soluzioni architettoniche di significativo impatto visivo. La tendenza in Emilia-Romagna a recepire le novità in campo espositivo si pone in linea di continuità con le frontiere più attuali del panorama nazionale, ma con una componente di cura e tutela nei confronti delle specificità dei luoghi, delle collezioni e delle condizioni preesistenti che ha soprattutto il pregio di rappresentare non tanto una corsa all’ultima moda in tema di novità tecnologiche, quanto piuttosto un approdo a risultati progettualmente avanzati dettati dalle “buone pratiche” e frutto della politica, come scrive Antonella Agnoli, delle piccole attenzioni per i bisogni delle persone. Da un lato musei e biblioteche si rivolgono al design per migliorare i propri servizi, ampliare i bacini di utenza a nuovi pubblici, allargare l’offerta delle possibilità di fruizione dei beni culturali, rinnovare la propria identità. Dall’altro lato architetti e designer oggi vengono caricati di una grande responsabilità e si confrontano con modelli sempre più innovativi di luoghi culturali, in virtù dello sviluppo rapidissimo della società dell’informazione e delle tecnologie digitali che fanno crescere nuove tipologie di utenti con bisogni radicalmente mutati. Inoltre i progettisti oggi, grazie ai molteplici impieghi delle tecnologie digitali, si trovano di fronte a un epocale cambiamento del concetto di bene culturale che include anche l’accezione di risorsa virtuale, ampliando così considerevolmente la capacità espositiva del contenitore culturale dove – come scrive Fulvio Irace – «non solo immateriale e virtuale convivono fianco a fianco con la fisicità delle opere, ma mettono persino in discussione la sua esistenza come luogo fisicamente determinato». Anche l’idea stessa di design ha da tempo cominciato a mutare la propria definizione e dilatare i propri limiti, dal concetto da sempre associato all’idea di oggetto di produzione industriale realizzato a partire da un disegno, alla possibilità di «definizione di scenari d’uso, anche di sensibilità attinenti alla dimensione dei comportamenti, delle reazioni e delle aspettative, proponendosi come servizio […] per aumentare la gamma delle prestazioni dal mondo dei consumi a quello della fruizione». Basti pensare al concetto di design thinking, una nuova modalità per sviluppare strategie, organizzazione, proposte di nuovi prodotti o servizi a partire da un approccio di problem-solving, cioè da una connessione diretta tra progettazione e utente, utilizzando il processo creativo del designer. Restando sul terreno comune delle tecnologie digitali applicabili nel design, musei e biblioteche si rivelano essere universi profondamente diversi tra loro, tanto che si rende necessario adottare due approcci metodologici diversi e due percorsi di analisi separati. La ragione di tale divario sta nella natura dei beni e nelle funzioni che le istituzioni sono chiamate a compiere: mentre il museo possiede un patrimonio culturale di «testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone per finalità di studio, educazione e diletto», la biblioteca «fornisce l’accesso alla conoscenza, all’informazione e alle opere dell’immaginazione tramite una gamma di risorse e di servizi». Sostanzialmente il patrimo-

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

nio museale necessita della dimensione comunicativa, mentre quello librario della messa a disposizione per l’utilizzo: è in questa differenza fondante che prendono vita le due anime diverse del design nei beni culturali. «La necessità di comunicare e di mediare i loro patrimoni, coinvolgendo interattivamente il pubblico, – sostiene Franco Niccolucci – caratterizza i musei come diversi dalle biblioteche, e ciò determina differenze sostanziali nella tecnologia interessata». Certamente sussistono ampie aree di scambio e di influenza tra i due ambiti, nonostante le diversità di cui si è accennato: i musei, ad esempio, sempre più frequentemente arricchiscono l’offerta agli utenti di contenuti documentari, a partire dalla presenza di bookshop specializzati, sia come servizio permanente

Biblioteca comunale “Edmondo De Amicis”, Anzola dell’Emilia. Foto tratta dalla mostra “Cantieri culturali. Nuovi spazi per biblioteche e archivi”, Ferrara, Salone del Restauro, 2005.

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

che come temporanea selezione di documenti tematici a corredo di eventi, passando da casi in cui il patrimonio librario stesso – soprattutto antico – entra materialmente nelle vetrine accanto agli oggetti museali come arricchimento di un itinerario storico, fino ad apparati bibliografici informativi tradizionali e a contenuti digitali che ampliano le potenzialità espositive del museo attraverso schermi interattivi, videoproiezioni, e così via. In ambito bibliotecario, dall’altra parte, tra le strategie per raggiungere nuovi pubblici e valorizzare i patrimoni si è assistito sempre di più a scelte basate su modalità narrative mutuate dalla comunicazione museale, un esempio gli scaffali tematici in cui vengono esposti libri, dvd, cd, prodotti multimediali o interattivi o quant’altro possa offrire il servizio finalizzato all’approfondimento di quello specifico argomento, selezionato a rotazione. IL DESIGN NELLE BIBLIOTECHE Negli ultimi anni l’attenzione del settore bibliotecario si è concentrata in modo particolare sull’evoluzione delle tecnologie: la biblioteca ha infatti avvertito l’urgenza di ridefinire la propria identità e la propria fisionomia in funzione dei nuovi obiettivi e sull’idea di innovativi contenitori, non di natura architettonica ma digitale. La tecnologia digitale è dunque l’ambito dove si annoverano le vere e significative rivoluzioni nella recente cultura delle biblioteche; tuttavia l’attivazione di nuovi servizi, l’offerta di postazioni sempre più numerose per la navigazione, la costruzione di reti di biblioteche digitali sono tutte funzioni che richiedono in ogni caso l’organizzazione e la progettazione degli spazi fisici. Parlare di design in ambito bibliotecario significa parlare di design, ovvero di architettura degli spazi dell’edificio, intrinsecamente in relazione all’architettura dei servizi. Le evoluzioni e i cambiamenti nelle tipologie architettoniche delle biblioteche, nell’arredo di aree destinate ai vari servizi non sono mai stati così rapidi ed evidenti proprio perché in funzione della velocità di sviluppo delle tecnologie dell’informazione. Anche se le risorse economiche sono state più sistematicamente convogliate nello sviluppo del digitale, negli ultimi anni non è mai venuta meno l’attenzione nei confronti dell’edificio biblioteca. Lo dimostra il fatto che a livello locale nell’ultimo ventennio si è registrato un aumento senza precedenti del numero di cantieri per nuove realizzazioni o ampliamenti di strutture per il servizio bibliotecario. Soprattutto nel territorio emiliano si concentrano i casi più recenti di costruzioni ex novo, che evidenziano come il design si sia orientato verso la realizzazione di modelli inediti, scegliendo di non ripetere tipologie o archetipi ricorrenti dal passato, piuttosto rispondendo a un’esigenza sempre più condivisa, anche a livello internazionale, di dare forma simbolica all’architettura, attribuendole il valore di icona della conoscenza e del sapere di un’intera comunità chiamata a riconoscersi e identificarsi in essa. Un esempio eclatante di questa tendenza è rappresentato dalla progettazione dell’edificio per la Biblioteca “Cesare Pavese” di Parma, firmata da Paolo Zermani nel 2002: la costruzione ex novo ha dato piena libertà all’architetto nel 250 > ER/DESIGN


/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

realizzare una struttura fortemente suggestiva, a forma di doppio libro aperto, che racchiude una corte interna porticata per la lettura e lo studio in esterno. «L’analogia con il tema del libro giustifica l’anima introversa dell’edificio che, come nell’esercizio della lettura, viene scoperto gradualmente. Questo è anche il carattere di taluni luoghi magici di Parma»; dalle parole dei progettisti è quindi esplicito l’intento di stabilire questo rapporto simbolico con la città e interpretare attraverso l’architettura i principi di protezione e riservatezza propri delle fasce di utenti a cui si rivolge, bambini e adolescenti. Nuovi modelli architettonici più frequentemente perseguono invece un decisivo scarto nella direzione opposta, suggerendo di contro un’idea di apertura verso l’esterno e dando così concretezza a un nuovo concetto di biblioteca intesa come “piazza”, come luogo aperto di incontro, confronto, scambio e non più di spazio dedicato soltanto allo studio ma anche ad altre attività tra relax, diletto e tempo libero. Sotto questo aspetto la Sala Borsa di Bologna ha definitivamente cambiato la percezione della biblioteca, ponendo fine alla sua concezione sacrale di luogo silenzioso, chiuso e accessibile a una riservata élite di studiosi. La struttura, inaugurata nel 2001, è incentrata sul ruolo chiave della piazza coperta, vero e proprio cuore pulsante della biblioteca, riadattata a replica dell’agorà, della piazza cittadina, punto di riferimento e di socializzazione della comunità; questo spazio comune raccoglie le funzioni di accesso per tutti i servizi della biblioteca, segnalati nel sistema di comunicazione direzionale realizzato per grandi tags colorate dalla grafica contemporanea e “amichevole” che orientano l’utente nei vari percorsi. Il lungo bancone sul fondo della piazza coperta, sovrastato dal grande videowall per notizie e comunicazioni di servizio, è l’inequivocabile punto

MABIC - Maranello Biblioteca Cultura (foto Oscar Ferrari).

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

di accoglienza attrezzato per la gestione di tutti i servizi al pubblico, mentre nella vasta area centrale numerose sedute informali, caratterizzate da poltrone di design contemporaneo, invitano alla lettura e alla navigazione internet. I numerosi spazi che si affacciano sulla piazza, come la caffetteria, lo spazio espositivo, l’area dedicata ai bambini e alle neomamme, si pongono nell’ottica del servizio multifunzionale aperto a tutti i tipi di utenti, non ultimi i turisti, per la possibilità di ammirare gli scavi della città antica stratificata nelle varie civiltà visibili dal pavimento a cristallo. Ancora una forma iconica diventa unità costituente nel progetto della nuova Biblioteca civica “Selmi” di Vignola. L’architetto Marco Fontana individua la spirale, simbolica della figura dell’orecchio con i significati metaforici a essa connessi, e lo impiega come principio strutturale in molti arredi e spazi dell’interno, oltre a dare il nome al centro culturale, Auris, e a ispirare alcune installazioni artistiche. La nuova costruzione del 2006 nel parco della ex sede Villa Trenti si sviluppa in un edificio ad alto risparmio energetico su doppio livello che vede l’accesso dall’interno del parco, mentre il livello inferiore si articola intorno a un’ampia area verde con sedute informali, tavoli al servizio della caffetteria interna e per il relax. Design specifico viene progettato per il bancone nell’ampio atrio d’ingresso, su modello tedesco, fortemente centrato sull’utente, i tavoli dell’emeroteca, gli scaffali con lati terminali sagomati e colorati per differenziare le sezioni, gli arredi del bar, le postazioni per l’autoprestito e i sistemi di illuminazione, di particolare interesse in quanto sfruttano la luce naturale riflessa. All’insegna del risparmio energetico nasce anche la nuova struttura della Biblioteca comunale “Neruda” di Albinea, inaugurata nel 2009, la prima biblioteca a “classe A” in Italia, un edificio totalmente autonomo dal punto di vista delle energie rinnovabili inserito in un plesso culturale costituito anche da centro giovani, pro loco, scuola elementare. Il disegno e la progettazione riguardano tutti gli spazi: gli elementi per l’illuminazione, la scala interna, il box in vetro serigrafato pensato per la consultazione dei materiali dell’archivio storico, ecc. Si distingue per l’impiego dell’acciaio Corten, dal caratteristico color bruno ruggine, per il rivestimento esterno e gli oggetti di arredo urbano sistemati nell’area del parco, come le panche e i cestini, tutti realizzati su progetto originale da Architetti associati Giorgio Adelmo Bertani e Francesca Vezzali. Le grandi vetrate che si affacciano sul parco creano un rapporto interno-esterno diretto e coinvolgente. L’utilizzo del vetro nel design della biblioteca ritorna spesso quale elemento di continuità tra interno e esterno rivestendo una valenza simbolica di apertura e di ideale abbattimento delle barriere “murarie”, proponendo un’immagine di edificio culturale accogliente e di facile accessibilità. In quest’ottica è stato realizzato l’edificio del MABIC - Maranello Biblioteca Cultura a firma di due grandi nomi del design internazionale, Arata Isozaki e Andrea Maffei. Costruito su un’area occupata da un ex fabbricato in disuso, la struttura (inaugurata nel 2011) si presenta oggi come una sinuosa forma organica che sembra galleggiare sull’acqua che la circonda e in cui si riflette: il

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

progetto gioca sui valori cromatici generati anche dalla luce naturale che filtra dai lucernai e dal riverbero verde delle piante esterne sul bianco assoluto degli interni. Il design sviluppa in modo sempre diverso il modello curvilineo sia nel corpo dell’edificio, che nei complementi interni come i dettagli dei tavoli, le postazioni per la navigazione internet, gli elementi contenitori-sedute provvisorie a cilindro, le zone a scaffale aperto con gli arredi su ruote realizzati secondo il principio della massima flessibilità degli spazi. Gli stessi criteri di accessibilità e flessibilità informano anche la costruzione del nuovo centro polifunzionale di Fiorano Modenese, BLA, Biblioteca, Ludoteca, Archivio storico, un edificio innovativo dalla veste architettonica interna ed esterna caratterizzata dall’uso di prodotti ceramici all’avanguardia, il grès porcellanato, come testimonianza del legame col territorio. Un grande open space organizzato su diversi piani, con spazi dilatati e flessibili, percorsi da collegamenti a vista, pervasi da luminosità favorita dalle ampie pareti vetrate che incarnano i valori di leggerezza e trasparenza ponendosi come amichevoli e invoglianti. Innovativo l’uso del Laminam per le superfici dei tavoli studio e dell’archivio storico, e soluzioni innovative per le postazioni di navigazione internet che diventano elementi di arredo fisso integrato alle strutture dell’architettura (Buonomo Veglia e Area Progetti, Torino). Risale al 2001, quindi dieci anni prima dell’apertura del BLA, la realizzazione della Biblioteca comunale “E. De Amicis” di Anzola Emilia su progetto dell’architetto e designer Italo Rota, che ne anticipa modalità e uso degli spazi su scala più ridotta in termini di spazio. Si tratta del recupero di un edificio preesistente per la nuova destinazione d’uso a centro polivalente per servizi culturali e bibliotecari; l’intervento si sviluppa nel ridisegno degli spazi su cinque livelli e nello sfondamento della parte centrale per l’articolazione di singole aree in volumi contenuti e collegati da giochi di passaggi e scale; la scomposizione in piccole frazioni e la suddivisione delle aree funzionali si avvale dell’uso di pannellature in vetro colorato e specchi con valore funzionale ed estetico che regola il rapporto tra comunicazione e privacy per gli utenti. Di scala monumentale è invece l’apertura a Forlimpopoli del centro multiculturale Casa Artusi, dedicato alla figura di Pellegrino Artusi e alla sua rinomata cucina domestica. Qui il recupero e la rifunzionalizzazione del complesso storico quattrocentesco, a cura di Susanna Ferrini e Antonello Stella dello studio n! di Roma, ha coinvolto tutti gli spazi, la corte interna e tutti gli arredi: il progetto architettonico e il design si sviluppano a partire dal principio d’utilizzo coerente e uniforme di tre materiali ricorrenti, come acciaio, pietra serena e vetro. L’applicazione di questo modello al sistema di pannelli espositivi, agli arredi di biblioteca, ristorante, scuola cucina, controsoffittatura è pervasa da uno stile contemporaneo all’insegna della leggerezza e versatilità. Il vetro a chiusura delle superfici degli archi nella corte è caratterizzato dall’uso di serigrafie con elementi grafici che richiamano l’immagine coordinata e i temi della gastronomia.

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

Di segno completamente diverso è invece l’intervento di restauro, molto più datato (1975) di un altro complesso monumentale seicentesco, quello del Collegio San Carlo di Modena, avviato per nuove esigenze funzionali come la destinazione d’uso degli spazi per la biblioteca, le sale studio, gli uffici. Il diverso contesto storico denota un approccio più orientato al design coinvolgente i soli elementi strutturali: di portata innovativa sono, ad esempio, i pilastri cilindrici in cemento armato portanti a vista a sorreggere la trave orizzontale all’interno dell’area a scaffale aperto; oppure la costruzione della scala in ferro di accesso all’emeroteca e l’utilizzo di contrasti cromatici come soluzione per coordinare il linguaggio contemporaneo alle strutture classiche. Il progetto è firmato da Cesare Leonardi e Franca Stagi. Non mancano i casi in cui architetti e designer sono chiamati a intervenire su singoli dettagli o recuperi parziali. Un caso è quello del Collegio Alberoni di Piacenza il cui progetto originale degli anni Sessanta ha riguardato l’allestimento della Galleria e la realizzazione della scala a firma di Vittorio Gandolfi che crea un elemento visivo di grande attrattiva per risolvere la forte longitudinalità della sala; successivamente il rinnovo ha coinvolto la ristrutturazione della nuova Galleria, con disegno di nuove finiture degli allestimenti in Corten, e di nuove vetrine ad opera di Giorgio Graviani. A San Martino in Rio, in provincia di Reggio Emilia, un castello fortificato di origine tardo medievale, la Rocca Estense, è stato oggetto di restauro e rifunzionalizzazione con nuova destinazione d’uso del piano nobile adibito a servizio biblioteca: qui l’intervento dell’architetto Mauro Severi, chiamato a interpretare l’operazione di riuso, è stato improntato al rispetto dell’antico assetto dell’edificio, per enfatizzarne il valore storico artistico. La scelta si è orientata al dialogo tra antico e contemporaneo grazie all’inserimento di arredi di gusto essenziale e materiali industriali per gli uffici e le scaffalature della zona utenti e la progettazione del disegno dei tavoli in stile post-moderno, oltre al progetto architettonico per uno snodo di passaggio tra due ali della sede. Il caso più rilevante di restauro architettonico e artistico di edificio storico adibito a biblioteca è costituito dall’ex chiesa tardomedievale di San Giorgio in Poggiale a Bologna. Michele De Lucchi ha lavorato con l’obiettivo di recuperare e far emergere l’importanza artistica dello stabile, realizzando un ambiente idoneo all’archivio e alla consultazione dei volumi e delle opere d’arte. Il principale intervento coinvolge la nuova pavimentazione in legno di rovere, quale elemento di comunione tra l’abside, la navata centrale e le cappelle laterali, con sfasamento del livello dell’area centrale rialzata e il progetto coordinato di tavoli, scaffalature, leggii in legno di rovere massello. Elemento distintivo è la grande bussola in entrata in mattoni di legno di abete in controcanto all’abside con funzioni di protezione dai rumori e ingresso allo spazio interno. Parte integrante del progetto di restituzione è anche la collocazione permanente di una serie di grandi opere d’arte di autori contemporanei che interpretano lo spazio e le funzioni per le quali è pensato.

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

IL DESIGN MUSEOGRAFICO La varietà e la quantità dei musei nel territorio emiliano romagnolo propone una molteplicità di casistiche nel design museografico tale da indurre a proporre in questa sede un itinerario limitato ad alcuni fra i principali interventi di riallestimento di collezioni permanenti o costruzioni ex novo di musei che rendano testimonianza delle più significative tendenze attuali. Dal passato persistono modelli progettuali di notevole spessore grazie a figure di grandi progettisti (basti pensare alle figure di Franco Albini, Carlo Scarpa, BBPR) che hanno portato avanti e sviluppato la riflessione teorica sul concetto di museo e di biblioteca. Di tale tradizione culturale italiana, cresciuta dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, è testimonianza diretta il Museo Monumento al Deportato di Carpi, istituito nel 1973 come memoriale dedicato ai caduti per la libertà dei popoli. Il museo storico sui temi della deportazione e dei campi di concentramento è una struttura unica nel suo genere, realizzata grazie all’impegno civile di architetti e artisti che hanno vissuto in prima persona gli eventi che rappresentavano. La concezione e l’allestimento del museo è ad opera del gruppo BBPR (Belgiojoso, Banfi, Peressutti, Rogers) in collaborazione con Renato Guttuso, che animano al di fuori di ogni retorica gli spazi con elementi grafici simbolici, scritte incise sui muri, disegni parietali sui temi del museo e curano l’allestimento del cortile delle stele, altro elemento simbolico in onore dei caduti. In continuità con questa rinnovata visione del museo e con «quegli anni di impegno inarrestabile», a Bologna, Leone Pancaldi è l’autore dei primi interventi di riallestimento e risistemazione dei percorsi espositivi della Pinacoteca Nazionale. La sua interpretazione del rapporto tra ambiente e oggetto museale si traduce in un segno possente, lontano da ogni minimalismo, e in una disin-

Museo dell’Arredo Contemporaneo, Russi (foto Andrea Scardova).

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

voltura particolare nella movimentazione degli spazi, linguaggio che rimette in gioco a distanza di poco tempo nell’allestimento della Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Negli anni Novanta Cesare Mari con Panstudio riprende i lavori e conduce interventi di consolidamento e ampliamento di nuove aree, con l’apertura nei sotterranei della Sala degli Incamminati. Molto più di recente, nel 2014, è al Palazzo dei Musei a Reggio Emilia, sede storica dei Musei Civici che viene rilanciato un nuovo progetto museografico innovativo nella sua impostazione curato dall’architetto e designer Italo Rota. Il suo intervento ha coinvolto l’atrio e la biglietteria, la libreria, la riorganizzazione museale della Galleria, la rifunzionalizzazione e l’allestimento della Manica Lunga, del laboratorio e dello spazio Agorà. In particolare lo studiolo, dove gli utenti possono sostare prima della visita, è trasformato in una rivisitazione onirica: dalle pareti completamente rivestite con illustrazioni di grandi figure di animali, tratte da incisioni a colori, si animano suggestioni sui temi delle collezioni del museo. Ma l’aspetto inedito è la modalità narrativa delle collezioni che si propongono come racconti di storie del territorio e dei cittadini racchiuse negli oggetti, senza distinzioni tra settori e ambiti museali. È invece fortemente aderente al proprio campo di specializzazione il grande complesso museale nato a Modena nel 2012 dedicato al mito di Enzo Ferrari e al marchio automobilistico famoso in tutto il mondo. In questo ambizioso progetto predomina la cultura del grande contenitore museale firmato da famose archistar che possa essere di richiamo per il pubblico anche per il valore stesso dell’architettura. Il nuovo edificio futuristico del MEF, Museo Enzo Ferrari, progettato da Jan Kaplicky di Future Systems, Londra, è ideato a forma di cofano giallo, un segno che ha definitivamente marcato il paesaggio circostante. Si sviluppa intorno alla casa natale del padre del cavallino rampante, quasi in un abbraccio ideale e appare internamente come un unico grande spazio curvo avvolgente di 5.000 mq, adibito a esposizioni di automobili e reperti a tema, mentre la vecchia officina, originariamente inaugurata con percorsi multimediali, ora è riportata al suo aspetto originario, un segnale chiaramente orientato a voler tramandare il valore della memoria in un contesto di grande modernizzazione. Si caratterizzano per la particolare concentrazione di nuovi progetti in ambito museale i territori connotati dalla presenza di distretti economici e produttivi di particolare impatto, funzionando da grande traino per la nascita di centri sempre più avanzati tecnologicamente per l’esposizione di patrimoni culturali d’impresa. È il caso del Museo Ferrari a Maranello, che nel 2000 è stato oggetto di ristrutturazione e restyling dei percorsi espositivi e dello shop secondo criteri di stile, cromatismi e progettazione della Ferrari corporate identity, legati a un design essenziale ed evocativo dell’idea di velocità; intervento curato da Massimo Iosa Ghini. Restando nello stesso ambito, e in continuità con un concetto di allestimento che replica i valori più evidenti di cui il museo è portatore, al Museo Ducati di Bologna, Eugenio Martera e Patrizia Pietrogrande di Studio Associato nel 1998 curano la realizzazione del percorso espositivo che si dipana lungo una pista illuminata che scorre intorno a una struttura chiusa per riunioni ed eventi a

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

forma di grande casco, mentre intorno si aprono a intervalli regolari dei volumi per l’esposizione di materiali e documenti. A Sassuolo un altro museo d’impresa legato alla produzione ceramica, la Galleria Marca Corona, sposa la preferenza per la modalità multimediale nella ricostruzione visiva, di rigore filologico, del proprio patrimonio, comunicando la coniugazione tra passato e futuro. Accanto alle vetrine tradizionali su di un lungo tavolo espositivo scorre un nastro di immagini in movimento sul ciclo produttivo attuale che si avvale di documentazione video, fotografica, testuale sul contesto storico culturale degli oggetti e di una parte interattiva. In sintonia coi temi e con gli oggetti conservati sono anche gli spazi interni del Gelato Museum Carpigiani di Anzola Emilia. A seguito della trasformazione di alcune aree della sede da adibire a locali di rappresentanza e funzioni pubbliche, nel 2012 viene disposto un allestimento espositivo interno, ricavato da zone della produzione in disuso, con le tappe della storia aziendale e dell’evoluzione nella tecnologia della produzione del gelato; i progettisti Matteo Caravatti e Chiara Gugliotta scelgono soluzioni improntate ai valori della leggerezza e della giocosità in un grande spazio aperto dove si dispongono vetrine costruite con supporti ottenuti da tavoli circolari e grandi elementi grafici in sospensione dall’alto. Dedicato proprio ai temi del design è il Museo dell’Arredo Contemporaneo a Russi, che esternamente si presenta come un edificio introdotto da una galleria a forma di patio dalle forme geometriche rigorose, color blu elettrico, progetto di Ettore Sottsass. All’interno l’esposizione permanente racconta, attraverso gli oggetti e gli apparati didascalici, la storia dell’arredo: l’allestimento realizzato da Piero Castiglioni nel 1993 si dispiega in una serie di basi regolari per l’appoggio degli oggetti e accoglie sullo steso piano tavoli luminosi con i testi informativi e didattici.

Museo Enzo Ferrari, Modena (foto Andrea Scardova).

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

L’idea dell’installazione luminosa è l’intervento proposto anche da Cesare Mari, Panstudio e Francesco Murano al Museo MAR di Ravenna nel 2013 per il soffitto dell’atrio con l’obiettivo di miglioramenti funzionali degli spazi e delle condizioni di luci. Realizzato su ispirazione dei mosaici in pannelli LED colorati di forma quadrangolare con sfasamento in altezza, il soffitto musivo varia cromaticamente e in modo dinamico. Uno sguardo particolare è riservato ai casi dei musei interattivi e multimediali per i quali l’innovazione tecnologica e la strumentazione all’avanguardia consentono di estendere l’esposizione di patrimoni in spazi nuovi, virtuali, a disposizione del pubblico, amplificando potenzialmente all’infinito, quindi, le possibilità di comunicare. L’applicazione del design alle nuove tecnologie si sviluppa in ambito museale (musei multimediali, grandi installazioni video, postazioni interattive) ponendosi al servizio della diffusione di contenuti, immagini, suggestioni, in un’ottica narrativa e di spettacolarizzazione. Uno dei primi casi apparsi nello scenario dei musei emiliano-romagnoli agli inizi degli anni Duemila è quello del Castello di Formigine. Studio Azzurro è autore di un racconto multimediale che descrive alcuni momenti cruciali della comunità locale nella vita del castello nelle varie epoche. A metà tra design e opera d’arte, le installazioni sono allestite in oggetti mimetici come armadi, tavoli multimediali, bauli, libri interattivi con attivazione dei contenuti video ad azione manuale (apertura ante o coperchi, azione tattile) per celare al visitatore la natura elettronica dell’intervento e favorire un’interazione naturale, intuitiva e collettiva, senza perdere la comunicazione di tipo tradizionale. L’intervento è esteso anche alla realizzazione di teche per la conservazione dei reperti ritrovati durante i lavori di scavo nell’area del Castello e di doppi schermi sospesi trasparenti come supporti per le proiezioni video.

Palazzo dei Musei, Musei Civici di Reggio Emilia (foto Andrea Scardova).

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/ Il design per la fruizione dei patrimoni culturali

È ancora Studio Azzurro a curare l’allestimento del percorso espositivo multimediale della sezione didattica del MAST, Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, inaugurato a Bologna nel 2013. Quattro interventi di videoinstallazioni e ambientazioni multimediali interattive per l’accoglienza del pubblico poste all’inizio del percorso espositivo introducono alle tematiche del museo, alcune rinnovando il canone narrativo, altre più improntate alla didattica interattiva. Nell’attuale contesto di museo di una grande azienda industriale, la natura tecnologica delle installazioni viene enfatizzata, piuttosto che celata, dalla presenza preponderante di videowall, grandi schermi, monitor e tavoli interattivi. Anche nei nuovi allestimenti delle quattro sale dedicate all’abitato di Spina al Museo Archeologico Nazionale, a Palazzo Costabili, di Ferrara, si è scelto un percorso multimediale ma realizzato con le modalità della installazione immersiva di proiezioni video sincronizzate sulle pareti touch screen, coerentemente con la modalità comunicativa del patrimonio del museo attraverso l’esperienza sensoriale ripresa anche nei percorsi tattili per non vedenti. La comunicazione multimediale trova le sue più diversificate applicazioni a Palazzo Pepoli, Museo della Storia di Bologna del circuito Genus Bononiae. Un imponente lavoro di recupero dell’edificio storico duecentesco, come parte del percorso museale dedicato alla storia, alla cultura e alle trasformazioni della città, viene affidato all’architetto e designer Mario Bellini. Dallo schermo alla videoproiezione, da articolati ambienti interattivi a installazioni immersive, nel percorso della storia della città, dagli Etruschi ad oggi, si incontrano tutte le possibilità espressive delle nuove tecnologie. Fulcro del museo è la Torre del Tempo, «una torre-ombrello di vetro e acciaio recupera e reinventa la corte che così acquista dignità e funzione. Come una lanterna magica inondata dall’alto di bianca luce naturale che via via scende e smaterializza in pura trasparenza». Altri grandi contenitori in vetro collocati nelle sale come grandi vetrine accolgono le opere esposte, alternati a grandi pannelli retroilluminati con immagini e testi impaginati dalla grafica di Italo Lupi.

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/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna: ipotesi di indagine nel web

Mirella M. Plazzi Istituto Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna >

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/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna

Cercare tracce e testimonianze del design negli archivi è di per sé una sfida. Si potrebbe procedere con diverse modalità. Un possibile approccio porterebbe a individuare le persone fisiche e giuridiche che si sono dedicate a vario titolo al design e cercare sia i loro archivi sia gli archivi delle imprese che hanno realizzato gli oggetti da loro ideati, sperando che tali carte siano state conservate e che siano disponibili per studiosi e ricercatori. Tale modalità richiederebbe senz’altro competenze di diversi settori, la condivisione di saperi legati alla storia dei protagonisti del design e alla storia della conservazione dei loro documenti, nonché un alto rischio di parzialità delle informazioni raccolte in un tempo di indagine necessariamente finito. Si potrebbe allora affrontare la ricerca da un altro punto di vista e ipotizzare che più facilmente si possano trovare indizi negli archivi degli “addetti ai lavori”. Quindi un percorso possibile potrebbe essere, ad esempio, un’indagine su quali notizie

Dettaglio dell’ambiente in cui sono conservati i progetti presso il CSAC di Parma. In alto Enzo Mari, Struttura 301, 1956 (foto Andrea Scardova, 2016).

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/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna

offra il web rispetto agli archivi degli architetti, con la consapevolezza che non necessariamente gli architetti che hanno optato per la conservazione e condivisione dei propri archivi si sono cimentati, durante la loro attività professionale, in avventure legate al design, e che non è scontato che, di coloro che l’hanno fatto, siano reperibili informazioni sulla documentazione di lavoro1. I primi risultati di questa navigazione sono più ricchi del previsto e se ne offre, nelle pagine successive, una breve illustrazione, attingendo “a piene mani” dai siti stessi2. Nonostante la ricchezza che emerge non si possono ignorare gli ostacoli e le criticità che l’indagine così condotta suscita. Non possiamo nasconderci che spesso le descrizioni reperibili, e forse soprattutto quelle sul web, forniscono maggiori informazioni su ciò che l’archivio può offrire in potenza piuttosto che nella realtà, offrono cioè descrizioni di contesto e di quadro generale, piuttosto che illuminare il singolo e peculiare portato informativo conservato. Gli ostacoli più significativi sono però legati alla natura stessa degli archivi, la cui peculiarità (quella di nascere per fini pratici, operativi) può finire col nascondere carte con un potenziale “artistico” oltre che documentale. D’altra parte, è pure nella natura stessa degli archivi, anche quelli più dettagliatamente descritti e indagati, riservare sorprese nei contenuti: così come si possono trovare lettere di illustri intellettuali inserite in epistolari di persone meno note, così non è possibile escludere di reperire disegni, memorie, note progettuali in archivi ricchi di contenuti informativi che sembrano di tutt’altro genere. Non è quindi prudente porre limiti alla possibilità di documentare i percorsi creativi. Dall’archivio di un regista impareremo che un film è documentato non solo dai trattamenti e dalle sceneggiature, ma anche dagli appunti dei sopralluoghi per potenziali set, dalle foto di scena, dai volumi annotati e sottolineati della biblioteca personale, dai dischi collezionati nella fase di ricerca della colonna sonora, ecc. Allo stesso modo potremmo trovare testimonianze dell’attività dei designer in appunti sparsi di archivi personali, in scambi epistolari, nella documentazione amministrativa allegata a un contratto fra un artista e una società manifatturiera, nel passaggio di documenti relativi alle necessarie autorizzazioni per l’allestimento di arredo urbano, fra le carte amministrative di un ufficio tecnico comunale che bandisce un concorso per progettare un giardino pubblico, e così via. Se a questo si aggiunge che in un archivio ciascun documento è importante non solo e non tanto di per sé, ma anche e soprattutto per i legami con gli altri documenti conservati e che il valore informativo di ciascun documento è elevato alla potenza dalla concatenazione con gli altri documenti, si potrà concludere che anche sul tema della nostra ipotesi di indagine le potenzialità informative offerte dal mondo degli archivi sono aperte e tutt’altro che scontate. L’indagine sulle fonti nel web per il design in Emilia Romagna può offrire dunque, in ultima analisi, l’occasione per tracciare direttrici di ricerca, indicare punti di accesso ed esemplificare possibili percorsi, di cui si illustra una prima mappatura nei paragrafi successivi.

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/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna

I siti degli ordini degli architetti in Emilia Romagna illustrano in alcuni casi la valorizzazione di complessi documentari legati all’attività di architetti. In particolare: presso l’Ordine degli Architetti di Bologna3 è operativo un Gruppo Archivi4 che presenta e si occupa del patrimonio archivistico5 conservato: tra i fondi illustrati6 Fondo Attilio Muggia (1861-1936), particolarmente rilevante per indagare l’evoluzione tecnica e progettuale dei primi anni del Novecento, in quanto Attilio Muggia è stato uno dei pionieri in Italia del cemento armato, licenziatario tra i primissimi del brevetto Hennebique. Fondatore di una vera e propria tradizione didattica presso la Scuola per Ingegneri di Bologna, maestro riconosciuto, tra gli altri, di progettisti come Giuseppe Vaccaro, Enrico De Angeli e Pierluigi Nervi, che fu anche suo collaboratore professionale. Nel fondo sono presenti oltre 13.000 disegni, riguardanti ogni genere di costruzione […]. Fondo Enrico De Angeli (1900-1979), documenta l’attività estremamente articolata dell’autore, che ha dato alla città di Bologna alcuni degli interventi architettonici più qualificati, purtroppo in molti casi non più esistenti. Laureato nel 1924 in Ingegneria a Bologna, allievo di Muggia, inizia subito una intensa attività pubblicistica, partecipe dell’intenso dibattito architettonico che si sviluppa in quegli anni. Risale al 1934 il suo capolavoro, la villa Gotti. Nel dopoguerra opere di rilievo sono l’emporio Schiavio, il negozio Corradi, l’Aula di storia dell’arte all’ateneo bolognese. Il disegno dell’architettura si compendia sempre, nel lavoro di De Angeli, nello studio assiduo e intransigente di dettagli e finiture. Fondo Luigi Saccenti (1885-1972), testimonia l’attività svolta a partire dalla formazione all’Accademia, dove è assistente di Edoardo Collamarini, suo principale maestro, fino ai progetti della maturità, nel complesso rivolti principalmente all’edilizia residenziale e all’arredamento. Da segnalare, tra le sue opere, le ville Schiavio (1931) e Beau (1935), oltre a numerose tombe e cappelle funerarie.

Dettaglio di un cassetto del fondo Ettore Sottsass jr., Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna

Fondo Stefano Pompei (1934-2005), comprende sia l’archivio professionale che la biblioteca ad esso correlata. Architetto e urbanista, Pompei è stato un interprete attivo e sensibile della teoria e dell’applicazione urbanistica più avanzata, autore di numerosi piani regolatori sul territorio nazionale. Fondo riviste Alberto Legnani (1894-1958), […] una pregiata e panoramica rassegna di storiche riviste europee di architettura, urbanistica e design, risalenti ai primi decenni del Novecento, testimonianza della aperta visuale culturale di chi le raccolse, uno dei più autorevoli architetti del nostro territorio.

Nel sito dell’Ordine degli Architetti di Modena7 si nota una costante attenzione per iniziative culturali inerenti l’argomento, presentate nella sezione Eventi della Fondazione dell’Ordine8. Nei siti degli ordini degli architetti delle altre province e della Federazione regionale non si sono notati riferimenti all’argomento. Nell’ambito degli atenei che hanno sede in Emilia Romagna si può segnalare l’attività dell’Archivio storico dell’Università di Bologna9, con una Sezione architettura10 che annovera diversi complessi archivistici, fra i quali11: Fondo Leandro Arpinati: raccoglie un centinaio di tavole relative al periodo in cui Ulisse Arata (Piacenza 1881 - Milano 1962) chiamato a Bologna dal primo Podestà, vi attuò le grandi trasformazioni del “quadrilatero” centrale, il restauro di Palazzo Fava trasformato in Casa del Fascio, la Torre di Maratona al Littoriale, le Scuole tecniche nelle sette versioni in cui furono progettate nell’attuale area dell’Ospedale Maggiore, nonché un progetto di Villa da lui donato alla stessa famiglia Arpinati e l’Aula Magna per l’Università. […] Fondo Umberto Costanzini (Vignola 1897 - Bologna 1968): ingegnere e architetto, direttore dell’Ufficio tecnico della Casa del Fascio, strutturista di grande notorietà è protagonista di primo piano delle vicende bolognesi degli anni Venti. Costruttore del Littoriale, dell’Ippodromo, di innumerevoli edifici pubblici in tutta Italia ha lasciato un archivio che conta oltre 700 tavole più migliaia di incartamenti relativi ai progetti e foto delle opere eseguite. […] Fondo Fortunato Lodi (Bologna 1805-1882): raccoglie una cinquantina di tavole a china e acquerello relative ai progetti elaborati dagli allievi di Lodi nel periodo in cui questi, già direttore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, fu coassegnatario della cattedra di Architettura alla Scuola di applicazione per gli Ingegneri. Tra questi documenti è stato rinvenuto il progetto per una nuova stazione ferroviaria di Bologna, prevista per l’attuale piazza VIII Agosto. Il materiale di Lodi è di particolare interesse per quanto concerne il dibattito tra architettura e ingegneria sviluppatosi in anni cruciali per l’affermazione della modernità a Bologna. […] Fondo Giuseppe Modonesi (Bologna 1821-1891) e Alfonso Modonesi (Bologna 1873 - Verona 1922): determinante per capire le complesse vicende del passaggio dall’Ottocento al Novecento e i rapporti tra le scuole degli Ingegneri e l’Accademia di Belle Arti. […] 264 > ER/DESIGN


/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna

Fondo Umberto Rizzi (Mirandola 1903 - Bologna 1965): architetto dell’Amministrazione comunale di Bologna, svolse intensa attività di tecnico incaricato della soluzione di situazioni urbanistiche rimaste in sospeso dalla seconda metà dell’Ottocento e in particolare all’interno del P.R.G. del 1889. […] Fondo Paolo Sironi (Milano 1858 - Bologna 1927): […] Si tratta di circa 100 tavole e schizzi acquerellati inerenti un protagonista estremo del Liberty italiano. Formatosi a Parigi alla fine del secolo scorso, trasferitosi a Milano e poi definitivamente a Bologna, Paolo Sironi è importante soprattutto per la compattezza e la continuità della sua singolare ricerca tipologica legata al tema del villino unifamiliare e delle relative tecnologie per realizzarne i sofisticati involucri […]. Di estremo interesse un gruppo di circa 700 fotografie verosimilmente eseguite dall’autore e alcune centinaia tra libri e opuscoli pubblicitari che rendono plausibile l’ipotesi di una biblioteca tecnico-architettonica dalle dimensioni inusitate12. Fondo Ciro Vicenzi (Bologna 1893-1962): […] Per la lunga e ininterrotta attività dell’architetto-geometra che interessa la prima metà del secolo, i progetti di Vicenzi acquistano particolare rilevanza per ogni indagine che intenda chiarire la specificità linguistica del tessuto della città moderna negli anni tra il 1920 e il 1940. Si tratta di oltre 500 pezzi, prevalentemente in copie eliografiche autenticate che documentano la lunga ricerca di questo singolare protagonista in bilico tra Art déco e Secessione viennese. La corrispondenza allegata ai progetti consente capacità di lettura del rapporto tra architetto e committente e delle scelte formali che ne derivano. […] Fondo Antonio Zannoni (Faenza 1833-1910): […], ingegnere, archeologo e storico dell’architettura, raccoglie in prevalenza materiale didattico relativo agli anni del suo insegnamento presso la Scuola di applicazione degli Ingegneri negli anni successivi al 1870 quando successe a Coriolano Monti nella carica di Ingegnere capo del Comune di Bologna. Si tratta in prevalenza di foto

Dettaglio di un cassetto del fondo Bruno Munari, Parma, CSAC (foto Andrea Scardova, 2016).

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/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna

originali, schizzi architettonici di edifici antichi e moderni, progetti di allievi, ipotesi per la realizzazione di una Sala borsa all’interno del Palazzo Comunale di Bologna, del progetto per il nuovo ospedale di Faenza e di una sterminata quantità di ritagli stampa selezionati durante i lunghi anni del suo insegnamento relativi a fatti o a descrizioni di edifici.

Interessanti anche i Fondi degli architetti moderni13 (Arata Giulio Ulisse, Costanzini Umberto, Lambertini Ettore, Lodi Fortunato e la sua scuola, Marabini Adriano, Michelucci Giovanni, Mirri Remigio, Modonesi Alfonso, Modonesi Giuseppe, Muggia Attilio, Rizzi Umberto, Santini Francesco, Sironi Paolo, Vaccaro Giuseppe, Vicenzi Ciro, Vignali Luigi, Zannoni Antonio) illustrati in un apposito documento. Presso l’Università degli Studi di Parma è attivo il CSAC Centro Studi e Archivio della Comunicazione14 il cui archivio conserva oltre 500 fondi di arte, architettura, design, grafica, fotografia, moda, media e spettacolo, raccolti a partire dagli anni Settanta, che documentano la ricerca progettuale e artistica prevalentemente italiana dalla seconda metà del XIX secolo in avanti15. Fra le biblioteche di conservazione la Panizzi di Reggio Emilia16 ha inaugurato il progetto Archivi di architettura a Reggio Emilia17 con l’intento di recuperare, catalogare e promuovere gli archivi dei principali architetti che hanno operato nella città dal 1860 ad oggi. Gli archivi conservati e presentati sono quelli di Prospero Sorgato18 (1891-1959, insegnante, progettista e titolare dell’Ufficio tecnico del Comune di Reggio Emilia fino agli anni Cinquanta, ideatore di edifici privati, allestimenti temporanei e monumenti), Guido Tirelli (1883-1940)19, Carlo Lucci (1911-2000)20, Antonio Pastorini21, della Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia e Osvaldo Piacentini22. La Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna23 conserva il fondo degli architetti Gualandi24 (1827-1990, con documenti dal 1778). Si tratta di documentazione prodotta e raccolta durante l’attività professionale degli architetti e ingegneri bolognesi Francesco Gualandi, del figlio Giuseppe e del nipote Francesco, relativa a progettazione, restauro e realizzazione di opere di edilizia civile e religiosa in Emilia Romagna, Lazio (principalmente Roma) e Piemonte. Presso l’Archivio storico del Comune di Parma25 si conserva l’archivio dell’architetto Mario Monguidi26. Si tratta del carteggio di lavoro dell’architetto attivo a Parma e nel circondario durante la prima metà del XX secolo. Ad ogni fascicolo di intervento realizzato corrisponde del materiale grafico: planimetrie, lucidi, disegni. Presso la Fondazione Gramsci Emilia-Romagna27 con sede a Bologna si conserva l’archivio di Leone Pancaldi28. Il complesso si compone della documentazione prodotta tra il 1937 e il 1995 e in particolare: • d elle lettere indirizzate a Leone Pancaldi durante il suo periodo di internamento militare e della corrispondenza intercorsa nel dopoguerra tra Pancaldi e vari personaggi del mondo dell’arte e della politica; • dei disegni realizzati da Leone Pancaldi durante il periodo di internamento militare in Polonia e in Germania; […] 266 > ER/DESIGN


/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna

• d i documentazione relativa all’adesione di Pancaldi a mostre ed esposizioni collettive, alla progettazione e realizzazione di mostre individuali e alla partecipazione a competizioni e a premi d’arte; […] • di documentazione relativa alle attività svolte da Pancaldi nell’ambito della sua professione di architetto e museografo; • di tessere e certificati, agende e profili biografici di Pancaldi, ricordi funebri e disegni vari […]

La Biblioteca civica d’arte Poletti di Modena29 conserva diversi fondi documentari, descritti alla pagina Archivi d’arte e di architettura30 fra i quali: • Archivio Vinicio Vecchi31 con le carte dell’attività progettuale dell’architetto modenese (1946-2006). • Archivio dell’ILAUD32 (1975-2004). Il Laboratorio Internazionale di Architettura e Disegno Urbano, fondato da Giancarlo De Carlo nel 1976, ha accolto alcuni tra i nomi più prestigiosi dell’architettura internazionale. Ha organizzato annualmente workshop estivi in diverse città ospitanti sia italiane che straniere, producendo numerose pubblicazioni. L’ILAUD annovera tra i suoi alunni personaggi come Enric Miralles e Santiago Calatrava; tra i docenti, oltre a Giancarlo De Carlo, Sverre Fehn e Renzo Piano. L’archivio è composto da documenti, fotografie, diapositive, vhs e da elaborati grafici. • Archivio Franca Stagi33. La documentazione si riferisce all’attività professionale dell’architetto che in un primo periodo (1963-1984) opera nello studio associato con l’architetto Cesare Leonardi, mentre dal 1985 al 2008 lavora in maniera autonoma. La documentazione è costituita da disegni su carta da lucido, corrispondenza intercorsa tra l’architetto, i committenti, le imprese e i professionisti impegnati a vario titolo nella realizzazione del progetto, documentazione di natura prevalentemente tecnica e amministrativa degli enti pubblici coinvolti nei progetti (ad esempio: amministrazioni comunali, Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio dell’Emilia, comandi provinciali dei Vigili del fuoco e Unità sanitarie locali), eliocopie, fotografie, diapositive, copie di saggi e articoli relativi alla nascita e alla storia dell’edificio oggetto di intervento, rassegna stampa. Quest’ultimo complesso archivistico è strettamente collegato all’archivio di Cesare Leonardi34, conservato a Modena presso l’abitazione/laboratorio dell’architetto. Per conservare e valorizzare tale documentazione è nata l’associazione culturale Archivio Architetto Cesare Leonardi35, impegnata nell’organizzazione di mostre e seminari riguardanti l’architettura, la costruzione della città e del paesaggio, il design, la fotografia e la pittura quali campi fondamentali dell’attività dell’autore. L’Associazione Nazionale Archivi Architettura contemporanea36 «è nata per promuovere la conoscenza degli archivi di architettura d’età contemporanea da parte di un pubblico vasto, interessato alla città e all’ambiente costruito in senso lato. […]». All’associazione aderiscono istituzioni che conservano archivi di architet-

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/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna

tura, archivi privati di architetti, insieme a tutti coloro che sono interessati alle attività dell’associazione. Annovera fra gli aderenti anche alcuni istituti con sede in Emilia Romagna, e in particolare l’Archivio dell’Università di Bologna, il CSAC di Parma, l’Ordine degli Architetti di Bologna, l’Archivio Pastorini di Reggio Emilia. Dal sito del Sistema archivistico nazionale SAN37, promosso dal Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo si può accedere al portale tematico dedicato agli Archivi degli architetti38 che ci segnala la presenza sul territorio emiliano romagnolo, oltre che dell’archivio Luigi Pellegrin39, conservato dallo CSAC di Parma, anche degli archivi di Ada Defez e Vittorio Caruso40, conservati presso la Biblioteca civica d’Arte Poletti del Comune di Modena, che annovera «per lo più materiale relativo all’attività professionale dei due architetti (1957-2002) unitamente agli elaborati grafici realizzati su carta da lucido. Il nucleo documentario di Ada Defez riguarda prevalentemente le progettazioni di nuovi edifici e i restauri di edifici già esistenti. In particolare contiene corrispondenza con i committenti, relazioni tecniche, materiali preparatori e tavole inerenti ai progetti. È inoltre presente un nucleo di documentazione personale […]. La documentazione di Vittorio Caruso comprende relazioni tecniche, materiali di lavoro riguardanti i progetti svolti, regolamenti edilizi, corrispondenza con i committenti, cataloghi di mostre, programmi di opere teatrali rappresentate a Napoli e cartoline». Potremmo, infine, spaziare verso altre professionalità scoprendo che si interessarono a vario titolo di design nel corso della loro attività anche l’illustratore e disegnatore Alessandro Cervellati41, il cui ricchissimo archivio è conservato presso la Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna; Sebastiano Brusco42, professore ordinario di Economia e politica industriale dell’Università degli Studi di Modena e Reggio; fino all’eclettico Carlo Doglio43, urbanista, scrittore, docente presso diversi atenei italiani, le cui carte sono conservate dalla Biblioteca libertaria Armando Borghi di Castel Bolognese.

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Note 1 Ad esempio non è stato al momento possibile reperire dal web informazioni sull’archivio di OIKOS “Consorzio per la gestione del centro internazionale di studio, ricerca e documentazione dell’abitare”, attivo a Bologna fra la fine degli anni Settanta e il 2008. 2 I siti citati sono stati consultati in data 25 maggio 2017. 3 Sito dell’Ordine degli Architetti di Bologna www.archibo.it 4 Sito dell’Ordine degli Architetti di Bologna / Gruppo Archivi www.archibo.it/presentazione-gruppo-archivi 5 Sito dell’Ordine degli Architetti di Bologna www.archibo.it/patrimonio-archivistico 6 Informazioni tratte dal sito dell’Ordine degli Architetti di Bologna. 7 Sito dell’Ordine degli Architetti di Modena www.ordinearchitetti.mo.it/ 8 Sito della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Modena www.ordinearchitetti.mo.it/ fondazione-architetti-provincia-di-modena/ 9 Sito dell’Archivio storico dell’Università di Bologna www.archiviostorico.unibo.it/it/?LN=IT 10 Sito dell’Archivio storico dell’Università di Bologna / Sezione Architettura www.archiviostorico.unibo.it/it/struttura-organizzativa/ sezione-archivio-storico/archivi-aggregati/ archivio-darchitettura/introduzione/?IDFolder=327&LN=IT# 11 Informazioni tratte dal sito dell’Archivio storico dell’Università di Bologna. 12 Dall’ottobre 2015 la descrizione dell’archivio è consultabile nel sito Ar�chIVI Città degli archivi all’indirizzo www. cittadegliarchivi.it/pages/getTree/sysCodeId:IT-CPA-ST0114-0000001/archCode:ST0114/ levelType:high/ 13 Dal sito dell’Archivio storico dell’Università di Bologna www.archiviostorico.unibo.it/storico/PDF/Archivio_Architettura.pdf 14 Sito del Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma www.csacparma.it/archivio/

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15 Per la presentazione di questa importante raccolta si rinvia al contributo di Simona Riva. 16 Sito della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia panizzi.comune.re.it/index.jsp 17 Sito della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia / Archivi di Architettura a Reggio Emilia panizzi.comune.re.it/Sezione.jsp?titolo=Archivi+di+Architettura+a+Reggio+Emilia&idSezione=923 18 Sito della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia / Archivi di Architettura a Reggio Emilia panizzi.comune.re.it/allegati/Fondi%20e%20 Bibliografie%20PDF/SORGATO.pdf 19 Sito della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia / Archivi di Architettura a Reggio Emilia panizzi.comune.re.it/Sezione.jsp?titolo=Archivio+di+Guido+Tirelli&idSezione=1025 20 Sito della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia / Archivi di Architettura a Reggio Emilia panizzi.comune.re.it/allegati/Fondi%20e%20 Bibliografie%20PDF/CATALOGO%20Lucci.pdf 21 Sito della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia / Archivi di Architettura a Reggio Emilia panizzi.comune.re.it/Sezione.jsp?titolo=Archivio+di+Antonio+Pastorini&idSezione=1026 22 Sito della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia / Archivi di Architettura a Reggio Emilia panizzi.comune.re.it/Sezione.jsp?titolo=Archivio+della+Cooperativa+Architetti+e+Ingegneri+di+Reggio+Emilia+e+archivio+di+Osvaldo+Piacentini&idSezione=1028 23 Sito della Biblioteca comunale dell’Archiginnasio www.archiginnasio.it 24 Sito della Biblioteca comunale dell’Archiginnasio / Fondi nel web badigit.comune.bologna.it/fondi/fondi/272.htm 25 Sito dell’Archivio storico comunale di Parma www.archiviostorico.comune.parma.it/archivio/ 26 Sito IBC Archivi dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna archivi.ibc.regione. emilia-romagna.it/ead-comparc/IT-ER-IBC-034027-002-007 27 Sito della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna www.iger.org/


/ Fonti d’archivio sul design in Emilia Romagna

28 Sito del progetto “Una città per gli archivi” www.cittadegliarchivi.it/in-primo-piano/pubblicato-l-archivio-di-leone-pancaldi 29 Sito Biblioteche del Comune di Modena / Biblioteca Poletti www.comune.modena.it/biblioteche/poletti/ 30 Sito Biblioteche del Comune di Modena / Biblioteca Poletti / Archivi d’arte e di architettura Biblioteca Poletti www.comune.modena. it/biblioteche/poletti/archivipoletti/index.php 31 Sito IBC Archivi dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna archivi.ibc.regione.emilia-romagna.it/ead-str/IT-ER-IBC-AS00120-0000001 32 Sito IBC Archivi dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna archivi.ibc.regione. emilia-romagna.it/ead-comparc/IT-ER-IBC-036023-013-003 33 Sito IBC Archivi dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna archivi.ibc.regione.emilia-romagna.it/ead-str/IT-ER-IBC-AS00222-0000001 34 Sito dell’Archivio architetto Cesare Leonardi www.archivioleonardi.it/ 35 Sito dell’Archivio architetto Cesare Leonardi / Associazione www.archivioleonardi.it/it/ associazione/

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36 Sito dell’Associazione nazionale Archivi Architettura contemporanea www.aaa-italia.org/ 37 Sito del Sistema archivistico nazionale san.beniculturali.it/web/san/home 38 Sito del Sistema archivistico nazionale / Archivi degli architetti www.architetti.san.beniculturali.it/web/architetti/ 39 Sito del Sistema informativo unificato per le Soprintendenze archivistiche SIUSA siusa. archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=comparc&Chiave=135153 40 Sito del Sistema informativo unificato per le Soprintendenze archivistiche SIUSA siusa. archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=comparc&Chiave=408296 41 Sito IBC Archivi dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna archivi.ibc.regione.emilia-romagna.it/ead-str/IT-ER-IBC-AS00262-0000001 42 Sito IBC Archivi dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna archivi.ibc.regione.emilia-romagna.it/ead-str/IT-ER-IBC-AS00116-0000001 43 Sito IBC Archivi dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna archivi.ibc.regione.emilia-romagna.it/ead-str/IT-ER-IBC-AS00668-0000001


/ Apparati


NOTE BIOGRAFICHE

Roberto Balzani >

Docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna. Dal 1° novembre 2008 al giugno 2009 è stato preside della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali.

Giovanna Cassese >

Docente di Storia dell’arte contemporanea e di Problematiche di conservazione dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Dal marzo 2016 è presidente dell’Istituto Superiore Industrie Artistiche - Design & Comunicazione di Faenza. Dal settembre 2016 è stata nominata membro della Commissione interministeriale MiBACT - MIUR per le attività istruttorie finalizzate all’accreditamento delle istituzioni formative e per la vigilanza sull’insegnamento del restauro. Nel marzo 2017 ha curato per Progetto XXI del Museo Madre la mostra e il volume Provocazioni e corrispondenze. Franco Mello tra arti e design al Plart di Napoli; e per il MIUR all’ISIA di Faenza cura con Marinella Paderni la XII edizione del Premio Nazionale delle Arti / sezione Design, affiancata dal convegno Oltre il confine. Dialoghi e contaminazioni per un’estetica e una didattica del design del terzo millennio e dalla mostra “Builders of tomorrow. Immaginare il futuro tra design e arte” al MIC di Faenza.

Flaviano Celaschi >

Docente di Disegno industriale all’Università di Bologna. Coordina il Corso di Laurea in Design del prodotto industriale che ha istituito presso l’Università di Bologna nel 2013. Cofondatore e primo direttore del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano e del consorzio di ricerca POLI.design. Tra il 2004 e il 2008 ha insegnato al Politecnico di Torino dove è stato Pro-Rettore. Dal 2004 si occupa d’internazionalizzazione del design. Ha insegnato e fatto ricerca in Brasile, Messico, Repubblica Popolare Cinese, Argentina, India, Stati Uniti. Nel 2008 ha fondato la Rete Latina del Design dei Processi, organizzazione che raduna oltre 50 professori e ricercatori di università europee e americane. Si occupa d’innovazione trainata dal design e d’innovazione dei processi creativi.

Claudia Collina >

Storica e critica d’arte di età contemporanea, funzionario specialista in beni culturali del Servizio Biblioteche, Archivi, Musei e Beni Culturali dell’IBC. Oltre a questa ricerca ha curato I luoghi d’arte contemporanea in Emilia-Romagna: Novecento e dopo (I ed. 2004 e II ed. 2008) e Il percento per l’arte in Emilia-Romagna. La legge del 29 luglio 1949 n. 717. Applicazioni ed evoluzioni del 2% sul territorio (2009), editi da Compositori. Collabora continuativamente con la rivista interna «IBC» e ha al suo attivo più di 90 pubblicazioni, dal Neoclassico al presente.

Beatrice Cunegatti >

Dottore di ricerca in Informatica giuridica e diritto dell’informatica, è avvocato in Bologna e founding partner di InfoTech Law Firm, studio legale specializzato nei temi delle nuove tecnologie. È autrice di libri e contributi in rivista sulla proprietà intellettuale e le nuove tecnologie e docente al Master in Editoria dell’Università di Milano.

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/ Note biografiche

Silvia Ferrari >

Laureata al DAMS di Bologna, per oltre 13 anni alla Galleria Civica di Modena è stata curatrice di numerose mostre personali e collettive (tra cui “Fotogiornalismo e reportage”; “Nam June Paik in Italia”; “Gabriele Basilico”; “Pagine da un bestiario fantastico”) e della produzione editoriale del museo. Ha collaborato per diversi anni al progetto di arte contemporanea “UniCredit & Arte”. Dal 2014 all’IBC si occupa di progetti di valorizzazione di beni artistici e librari, conduce ricerche, segue il coordinamento e la redazione della rivista on line «IBC».

Massimo Mezzetti >

Diplomato al Liceo Scientifico, ha successivamente studiato presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma. Dal 1985 fino a metà degli anni Novanta assume diversi incarichi dirigenziali prima nella Federazione giovanile comunista e poi nel Partito democratico della sinistra, sia a livello nazionale che regionale. Nel 1995 inizia la sua esperienza di amministratore pubblico, come consigliere comunale e Assessore alla Cultura, Politiche Giovanili, Sport e città telematica del Comune di Modena. Nel 2000 è eletto in Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna ed è stato riconfermato nel 2005. Dal marzo 2009 al 2010 ha presieduto la Commissione consiliare Turismo, cultura, scuola, formazione, lavoro e sport. Dal 2010 al 2014 è Assessore regionale alla Cultura e Sport. Dal dicembre del 2014, nella nuova legislatura, è Assessore regionale alla Cultura, Legalità e Politiche giovanili.

Mirella M. Plazzi >

Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, ha conseguito il diploma in archivistica presso la Scuola del locale Archivio di Stato. Dopo una ventennale esperienza come archivista libero professionista, occupandosi di archivi istituzionali, familiari e di personalità, soprattutto di età contemporanea, dal 2009 è all’IBC, dove cura fra l’altro la descrizione dei complessi documentari nel sistema informativo IBC Archivi.

Raimonda Riccini >

Docente all’Università Iuav di Venezia, dove coordina l’area di Scienze del Design alla Scuola di dottorato. È presidente dell’Associazione italiana degli storici del design, di cui dirige la rivista «AIS/Design. Storia e ricerche» (www.aisdesign.org). Di recente ha curato, per i tipi del Poligrafo, Fare ricerca in design (Padova 2016) e Angelica e Bradamante. Le donne del design (2017) e ha scritto Gli oggetti della letteratura. Il design fra racconto e immagine, La Scuola Editrice, Brescia 2017.

Simona Riva >

Lavora dal 1978 al CSAC (Centro Studi Archivio della Comunicazione) dell’Università degli Studi di Parma come responsabile della sezione Progetto/Design. Ha curato editorialmente e redazionalmente numerosi volumi editi nelle collane del Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma per varie case editrici oltre a Electa e Skira.

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BIBLIOGRAFIA GENERALE

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/ Bibliografia generale

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stefano

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285 > ER/DESIGN


INDICE DEI NOMI A

Giorgio Armani 244

Jean Baudrillard 34

Alvar Aalto 234

Leandro Arpinati 264

Mario Bazzi 214

A.C.I.F 178

Arredoluce 48, 222

B&B Italia 49, 223

ACMA 199

Artemide 49, 124, 223

BBPR 255

Aemilia Ars 15, 16, 40, 41, 201, 202,

Pellegrino Artusi 253

D. Bedini 171

206, 207, 208, 210

Lodovico Asirelli 171, 178

M.L. Belgioiso 171

Aero Caproni 146, 147

Erik Gunnar Asplund 234

Giovanni Belgrano 209, 210

Agip 24, 130

Associazione Mosaicisti di Ravenna

Vittorio Bellentani 168

237, 239

Antonella Agnoli 248

Veronica Bellinazzi 165, 180

Akomena 238

Sergio Asti 125, 136, 169, 171

Franco Albini 125, 136, 234, 255

ATLA 214

Carlo Filippo Aldrovandi Marescotti

Enzo Atti 193

Giandomenico Bellotti 234

Gae Aulenti 52, 60, 169, 171, 227,

Vasco Bendini 56, 64

39

228, 234

Alemagna 213 Alessandro Locati 119

Mario Bellini 62, 122, 124, 125, 136, 214, 234, 259

Bernini 126 Lucien Bertaux 214

Alessi 126, 143, 144, 152

B

Harry Bertoia 234

Alfa Romeo 149, 157, 192

Baccarat 132

Nuccio Bertone 149, 165, 179, 180,

Giulio Alfieri 168

Domenico Baccarini 43

Alietti 171

Andrea Baj 237, 239

Bertozzi & Casoni 50, 217, 218

Filippo Alison 234

Enrico Baj 15, 50, 217

Giampaolo Bertozzi 50, 171, 217

Roberto Aloi 214

Dante Baldelli 187, 188

Heinrich Bhune 149

Alta Ceramica Faentina 178

Balenciaga 244

Raffaello Biagetti 234

Altamira 131

Giacomo Balla 77, 227

Alberto Bianchi 214

Emilio Ambasz 68

Aldo Ballo 134

Rosanna Bianchi Piccoli 52, 227,

Guido Andlovitz 51, 226, 228

Guido Ballo 77

Annovi e Reverberi 158

Dionigi Barattieri di San Pietro 118

Angelo Biancini 51, 171, 226, 228

Anonima Castelli 27

Silvestro Barberini 175

Lina Bianconcini Cavazza 42, 201

Ansaldo 149

Lodovico Barbiano di Belgiojoso 60

Dante Bighi 219, 220

Antonio Apparuti 162

Giulio Bargellini 186

Biki 171, 177, 178

Lia Apparuti 153

Emilio Bariaschi 146

Max Bill 127

Araca 214

Barilla 213

Bing&Grondhal 133

Giulio Ulisse Arata 266

Ercole Barovier 190

Enzo Bioli 124, 136

Francesco Arcangeli 21

Barovier & Toso 190

Carlo Biscaretti di Ruffia 149

Architetti associati Giorgio Adelmo

Roland Barthes 72

Sebastiano Bisson 185

Bertani e Francesca Vezzali 17,

Dario Bartolini 123, 136

Bitossi Ceramiche 227

252

Lucia Bartolini 123, 136

Boccardi Alessio 119

Sandra Baruzzi 178

Gino Boccasile 214

Benedetta Basevi 210, 280

Giuseppe Bocchi 204

Area Progetti 17, 253

Raffaella Bassi 242

Umberto Boccioni 77

Arflex 124, 126, 135

Bate 198

Remo Bodei 67

Giulio Carlo Argan 56, 60, 64, 122,

Silvia Battistini 202, 207

Cini Boeri 124, 136, 169, 171, 234

Battistoni 144

Stefano Boeri 124, 136

Archizoom Associati 122, 123, 125, 136, 234

236 286 > ER/DESIGN

183, 185, 192

228


/ Indice dei nomi

Andrea Goldsein Bolocan 130

C

Franco Casavola 232

Ferdinando Bologna 38, 78

Luigi Caccia Dominioni 154, 155,

Giovanna Cassese 19

Bonacina 135

234

Cassina 43, 45, 124, 131, 159, 220,

Luigi Bonazza 214

Cagiva 204

223

Achille Bonito Oliva 56

Corrado Cagli 187, 188

Piero Castagnero 149

Maurizio Bonizzi 220

Santiago Calatrava 267

Lorenzo Castellaro 214

Massimo Bordi 205

Luigi Caldanzano 214

Anna Castelli Ferrieri 234

Bormioli vetrerie 137, 138

Elda Calissoni Tartarini 211

Achille Castiglioni 23, 41, 42, 49,

Mario Borrione 214

Edgardo Calori 206, 207

Osvaldo Borsani 234

Calos 49, 222, 223

56, 122, 125, 126, 136, 155, 197, 207, 210, 213, 220, 222, 223, 235

Borsari & Figli 137, 138

Maurizio Calvesi 56

Livio Castiglioni 126

Lodovico Borsari 137

Duilio Cambellotti 41, 241, 242

Pier Giacomo Castiglioni 49, 122,

Claudio Boselli 210

Campari & C. 148

Bottonificio Abramo 244

Ditta Davide Campari & C. 213, 231

125, 126, 136, 155, 197, 213, 220, 222, 223, 235

Bottonificio Ascoli 244

Giulio Campari 148

Piero Castiglioni 234, 257

Bottonificio L.A.B. 244

Antonia Campi (Neto) 15, 51, 52,

Catenot-Béranger & Companie

Bottonificio Loris 244

171, 177, 178, 226, 227, 228

152, 153

Bottonificio Miban 244

Massimo Campigli 47

Beppe Caterugli 171

Giuseppe Bovini 236

Guido Canali 57

Otello Cattabriga 194, 195

Andrea Branzi 33, 75, 90, 122, 123,

Rafael Canogar 56, 64

Silvio Cattani 171

Carmelo Cappello 48, 222

Ludovico Cavaleri 214

Breguet 198

Alessandra Caprara 237, 239

Vittorio Cavalli 141

Marcel Breuer 44, 234

Cleto Capri 206, 207

Osvaldo Cavandoli 214

Edoardo Breviglieri 41

Roger Capron 171, 178

Francesco Cavazza 201, 206

Remo Brindisi 47, 48, 49, 50, 217,

Matteo Caravatti 257

Cedit 27

Erberto Carboni 137, 138, 214

Flaviano Celaschi 16, 17

Ennio Brion 124

Pierre Cardin 244

Benvenuto Cellini 78

Brionvega 124, 125, 126, 128, 136,

Carlos Carlè 178

Ceramica Carani e Veggia 177

Carlo Ferretti 119

Ceramica Flavia 171

Silvestro Brondelli di Brondello 118

Carpigiani 194, 195

Ceramica Rometti 187, 188

Brougham-Clarence 119

Bruto Carpigiani 194

Ceramica Sant’Agostino 47

Aldo Brovarone 180

Poerio Carpigiani 195

Ceramica Veggia 177

Manlio Brusatin 37, 76

Carrozzeria Alessio 149

Ceramiche Dallari 15

Sebastiano Brusco 268

Carrozzeria Allemano 167, 168

Cerdisa 178

Palma Bucarelli 236

Carrozzeria Brianza 149

Mario Ceroli 56, 57, 64, 235

Anselmo Bucci 227, 228

Carrozzeria Ghia 167, 179, 180, 205

Alessandro Cervellati 268

Franco Bucci 171, 178

Carrozzeria Touring 167, 168, 179,

Cesare Sala 118, 119

125, 136

221, 222, 223

196, 197

Gianfranco Budini 171

180, 183, 192, 193

Philippe Chapellier 215

Carlés Buïgas 214

Nino Caruso 171, 178

Alberto Chappuis 215

Bulgari 132

Vittorio Caruso 268

Carlos Checa 203

Antonio Bullo 171, 178

Claudia Casali 51, 228

Sandro Chia 237

Buonomo Veglia 17, 253

Carlo Casaltoli 173, 175

Pietro Chiesa 235

Adolfo Busi 214

Achille Casanova 42, 206

Giuseppe Chigiotti 234, 235

Busnelli 135

Giulio Casanova 41, 206, 207

Hsiao Chin 50, 217

Giorgio Casati 127

Augusto Chini 169, 171

287 > ER/DESIGN


/ Indice dei nomi

Galileo Chini 171

D

Dinamo Azari 231, 232

Vieri Chini 171

Tullio D’Albisola 215

Pierre Dinand 144

Chiozzi 171

Riccardo Dalisi 49, 171, 222, 223

Dionigi Barattieri di San Pietro 119

Christofle 132

Amleto Dalla Costa 178

Nicholay Diulgheroff 215

Aldo Cibic 159

dall’Acqua 198

Edmondo Dobranski 57

Giovanni Cimatti 171, 227

Gian Paolo Dallara 184, 193

Theo van Doesburg 44

Cimbali 155

Gian Maria Dallari 38, 174

Carlo Doglio 268

Cini Boeri Associati 124, 136

Stefano Dal Monte Casoni 50, 171,

Dolce & Gabbana 244

Cirla Graniti 219

217

Luc Donckerwolke 184, 185

Massimo Cirulli 4, 213

Enrico Dal Monte 47

Sonia Cirulli 213, 215

Gaetano Dal Monte 47

Cisa 178

Gabriella D’Amato 44

Gillo Dorfles 60, 76, 122

Cisitalia 213, 214

Danese 27, 52, 79, 81, 126, 127,

Gianni Dova 215

Citterio 124 Clair 198 Coco Chanel 243, 244

128, 208, 209, 210 Bruno Danese 52, 127, 128, 208, 209

Piero Dorazio 16, 50, 171, 214, 217, 218

Driade 27, 48, 222 Jean Droit 215 Ducati 29, 196, 197, 199, 203, 204,

Arturo Collamarini 41

Costantino Dardi 238

205

Edoardo Collamarini 263

Corradino D’Ascanio 147, 245

Adriano Ducati 196, 197, 203

Claudia Collina 12, 14, 15, 16, 18,

Datalogic 199

Bruno Ducati 196, 197, 203

20, 68, 138, 140, 142, 145, 147,

Daum 45

Marcello Ducati 196, 197, 203

151, 173, 175, 182, 190, 193, 200,

Antonin Daum 42, 189, 190

Marcel Duchamp 77

205, 230, 235, 244

Auguste Daum 42, 189

Marcello Dudovich 214, 215

Gioachino Colombo 165, 168

Giuseppe D’Avanzo 186

Jean d’Ylean 215

Joe Colombo 49, 223, 235

Enrico De Angeli 263

Bruno Contenotte 49, 222, 223

Giancarlo De Carlo 267

E

Cooperativa Architetti e Ingegneri di

Giorgio De Chirico 47

Charles Eames 235

Giuseppe De Col 41, 206, 207

Pablo Echaurren 178

Ada Defez 268

Umberto Eco 20, 58

Maria Teresa De Filippis 167

Edilcuoghi ceramiche 95, 158

Renato De Fusco 14, 36, 53, 68

Thomas A. Edison 149, 196, 197

Paolo Deganello 123, 136

Effetre International 190

Corazza 199

Della Casa 171

Ekenäs 190

Gilberto Corretti 123, 136

Delord 171

El Lissitskij 235

Anna Cortesi Varoli 231

Lucio Del Pezzo 15, 50, 56, 64, 215,

Elsa Schiapparelli 243

Reggio Emilia 266 Cooperativa Ceramica d’Imola 47, 50, 51, 216, 230 Cooperativa Mosaicisti Ravenna 237, 239

Germano Corvatta 245

217

Emilceramica Group 174

Umberto Costanzini 264, 266

Marco De Luca 237, 239

Andrea Emiliani 17, 21

Cottoveneto 171

Michele De Lucchi 237, 254

Tracey Emin 77

CP&PR Associati 171

De Martino 49, 223

Enrico Orsaniga 119

Bettino Craxi 244

Fortunato Depero 77, 215, 231, 232,

ERG 83

Guido Crepax 169

233

Walker Evans 59

Roberto Crippa 215

Marc Deschamps 185

Cristallerie de Sèvres 190

Walter de Silva 184, 185

F

Enzo Cucchi 237

Cesare Detti 145

Agenore Fabbri 15, 50, 217

Beatrice Cunegatti 19, 20

Annabelle d’Huart 171

Fabbrica Rubbiani 12, 40, 41, 162,

Tony Curtis 164

Bruno di Bello 49, 222, 223

288 > ER/DESIGN

172, 175, 176, 177


/ Indice dei nomi

Fabbriche Riunite 137, 138

Federico Forquet 177, 178

Paolo Garretto 188

Francesca Fabbri 238, 239

Massimo Fortis 25

Simon Gate 190

Massimiliano Fabbri 233

Hal Foster 72

Piero Gatti 220

Federico Fabbrini 52, 227, 228

Francesco Belloni 119

Riccardo Gatti 47, 171

Gianandrea Fabbro 205

Francesco I di Francia 78

Antoni Gaudí 43, 235

FAI International 222

Francesco III d’Este 37, 38, 174

Dino Gavina 34

Falcon 49, 223

Francesco Sala 119

Gino Gavioli 178

Fangio 156, 167

Francesco V d’Austria-Este 161

G.D. 199

Medardo Fantuzzi 168

Franchini 198

Clifford Geertz 53

Aldo Farinelli 204, 205

Franco Pozzi 131

Domenico Gentili 148

Jen Farkas 149

Felix Fraschini 215

Giovanni Gerbino 231

FBM 199

Fratelli Balsamo 245

Caterina Ghelfi 195

Fede (Federica Cheti) 215

Fratelli Baroni 119

Bianco Ghini 51, 171

Sverre Fehn 267

Fratelli Daldi e Matteucci 181

G. Gibus 215

Annibale Ferniani 40

Fratelli Guzzini 131

Siegfried Giedion 13

Ferrari 14, 23, 25, 39, 149, 158, 160,

Fratelli Patti 119

Antonella Gigli 119

162, 163, 164, 165, 166, 167, 174,

Fratelli Tagliabue 119

Gilera 30

175, 176, 179, 180, 192, 246, 256

Fratelli Toso 190

Giordani 199

Alfredo Ferrari 163

Gianfranco Frattini 235

Rolando Giovannini 178

Dino Ferrari 165

Koki Fregni 93, 95, 158, 159

Stefano Giovannoni 152

Enzo Ferrari 51, 163, 164, 165, 179,

F. Frigé 215

Emma Gismondi Schweinberger

180, 256 Giovan Francesco Ferrari Moreni

Pietro Frua 168

223

Future Systems 163, 256

Giorgetto Giugiaro 167, 168, 180,

Silvia Ferrari 17

G

Oberdan Golfieri 157

Marco Ferreri 53, 210

Gaggia 155

Golia (Eugenio Colmo) 215

Susanna Ferrini 253

Camillo Gaggia 155

Bernard Govin 235

Fiat 24, 149, 156, 166, 200, 213

József Galamb 149

Granarolo 93, 158, 159

FILA 25

Emidio Galassi 171, 218

C. Grasova Rihova 171

Patrizia Filipponi 218

Giorgio Gallavotti 243

Alessandro Grassi 159

Finmeccanica 134

Émile Gallé 42, 189, 190

Giorgio Graviani 254

Cesare Fiorese 49, 222, 223

Veronica Galletti 51

Eileen Gray 235

Guido Fiorini 202

Ferdinando Galli Bibiena 120

Giorgio Gregori 236, 237

Giovanni Fiorio 205

Miguel Galluzzi 204, 205

Vittorio Gregotti 15, 60, 122, 127

Flos 126, 220

Galvani 227

Franco Grignani 214

F.Loyer A 119

Marcello Gandini 168, 180, 184,

Laura Griziotti 235

38, 39, 161, 174

Fois 49, 223

185, 205

185, 191, 192, 193

Walter Gropius 9, 44, 78, 235

Dino Fontana 215

Vittorio Gandolfi 254

Gruppo Armando Testa 215

Lucio Fontana 34, 169, 171, 214

J.P. Garault 171

Gruppo De Tomaso 166

Marco Fontana 17, 252

Alessandro Garbasi 144

Francesco Gualandi 266

Ford 149

Roberto Garcia 52, 227, 228

Francesco Gualandi (nipote) 266

Forder Bros 119

Arnaldo Gardella 127

Giuseppe Gualandi 266

Henry Ford 149

Ignazio Gardella 127, 136

Flaminio Gualdoni 158, 159

Mauro Forghieri 184

Jacopo Gardella 127

Ettore Guatelli 139

Luigi Fornaroli 155

Giovanni Gariboldi 51, 226, 228

Philippe Guédon 149

289 > ER/DESIGN


/ Indice dei nomi

Alessandro Guerriero 178, 237

Kartell 49, 124, 126, 223

Ignacio León y Escosura 145

Chiara Gugliotta 257

Rodney Kinsman 235

Antonio Ligabue 245

GUS 215

Toshiyuki Kita 235

Ligier 184

Renato Guttuso 144, 169, 171, 255

Ernst Paul Klee 59, 78

Vicke Lindstrand 190

Linda Kniffitz 239

Alberto Lingotti 178

H

Knoll International 45, 124, 126, 131

Francesco Liverani 175, 178

Mike Hailwood 29

Kobus 235

Fortunato Lodi 264, 266

Örni Halloween 235

Giovanni Klaus Koenig 60, 122, 127,

Gaetano Lodi 216, 218

Guy Harloff 171

234

Livio Lodi 203

Haus Koller 235

Kosta 190

Lola-Larousse 184

Poul Henningsen 235

Krizia 171, 244

Aldo Londi 171, 177

René Herbst 235

Shiro Kuramata 235

Longato 49, 223

Tomo Hirai 218

Roberto Longhi 21

Josef Hoffmann 43, 235

L

Adolf Loos 28, 45, 72, 235

Adolfo Hohenstein 215

Laboratorio Pesaro 227

Lorenzo Lorenzini 162

Holland & Holland 119

LaFaenza 229, 230

Lotus 184

Marco Horak 121

Luciano Laghi 171

Carlo Lucci 266

René Lalique 43, 45, 189, 190

Italo Lupi 259

I

Ettore Lambertini 266

Giulio Iacchetti 79

Lamborghini 31, 184, 191, 192

M

IARD 209

Ferruccio Lamborghini 183, 191, 193

Maccaferri Italia 199

Ideal Standard 126

Tonino Lamborghini 4, 191, 193

Pietro Maccaferri 206, 207

ILAUD 267

Aurelio Lampredi 165

Frances MacDonald 43

IMA 198, 199

Lancia 126, 149

Margaret MacDonald 43

Max Ingrand 235

Dorothea Lange 59

Charles Rennie Mackintosh 43, 49,

Innocenti 147

La Pavoni 155

Massimo Iosa Ghini 179, 256

Ugo La Pietra 50, 51, 54, 171, 178,

Fulvio Irace 248

217, 218

219, 220, 222, 223, 235 Herbert MacNair 43 Andrea Maffei 17, 252

Iris Ceramica 178

La Rinascente 214

Vico Magistretti 49, 222, 223, 235

ISA 219

La San Marco 154

Catia Magni 140

Emilio Isgrò 48, 222

Franz Laskoff 215

Maison Ungaro 172, 173

Isothermos 147

Laverda 130

Majani 199, 208

Arata Isozaki 17, 252

Le Corbusier 45, 49, 235

Louis Majorelle 42

Italdesign 168

Russel Lee 59

Tomás Maldonado 15

Leandro Lega 171

Kazimir Malevicˇ 43

J

Alberto Legnani 264

Corrado Maltese 56, 60

Arne Jacobsen 235

Jacques Le Goff 33

P. Manara 171

Johann Lötz Witwe 43, 189, 190

Auguste Legras 190

Mancioli 227

Joseph Béranger 153

Charles Legras 190

Mandelli Sistemi 34

Joseph Cookshoot & Co. 119

Pietro Lei 38, 174, 175

Licia Mandrioli 155

Cesare Leonardi 254, 267, 270

Angelo Mangiarotti 53, 210

K

Leonardo da Vinci 78, 180

Manifattura Dallari 15, 36, 38, 39,

L.C. Kalff 33

Leoncillo 187, 188

Vasilij Kandinskij 43, 45, 78

Aldo Leoni 204

Jan Kaplicky 163, 256

Alfonso Leoni 171

290 > ER/DESIGN

174, 175 Manifattura Ferrari Moreni 14, 39, 160, 162, 174, 175, 176


/ Indice dei nomi

Manifattura Gatti 227

Gianluigi Mengoli 204

Gianfranco Morini 178

Manifattura Mazzotti 178, 227

Pietro Melandri 47

Massimo Morozzi 123, 136

Manifattura Miliani 224

Fausto Melotti 214, 215

William Morris 79

Manifattura Minghetti 208, 210

Alessandro Mendini 15, 52, 127,

Ludwig Moser 43, 45, 189, 190

Manifattura Wedgwood 39, 173, 224

128, 130, 136, 143, 144, 171, 177,

Moto Guzzi 146, 156, 245

Man Ray 235

178, 218, 227, 228, 235, 237, 238

Moto Malaguti 158

Flavio Manzoni 165

Roberto Menghi 129, 136

Moto Morini 30

Pio ManzĂš 49, 222, 223

Gianluigi Mengoli 205

Motori Minarelli 181, 199

Adriano Marabini 266

Maurizio Mengolini 178

Motta 213

Marazzi 170, 177, 178, 193

Franco Menguzzo 53, 209, 210

Gabriele Mucchi 235

Mario Marazzi 193

Corrado Menini 193

Attilio Muggia 263, 266

Marca Corona 38, 172, 173, 177

Filiberto Menna 56

Giorgio Muggiani 215

Marchesini Group 199

Nedo Merendi 218

Bruno Munari 15, 27, 52, 53, 60, 61,

Osvaldo Marchesi 215

Giovanni Michelucci 266

76, 122, 127, 129, 136, 155, 169,

Virgilio Marchi 214, 215

Antonio Micucci 147

171, 208, 209, 210, 214, 215, 226,

Guglielmo Marconi 196, 197

Ludwig Mies van der Rohe 48, 235

227, 228, 235, 265

Italo Marcori 242

Massimo Migliorini 155

Francesco Murano 239, 258

Umberto Marfisi 216, 218

Mila SchĂśn 169, 171

Ludovico Antonio Muratori 38

Margherita di Savoia 148

Francesco Milizia 38

Benito Mussolini 186, 187, 188

Maria Luigia di Parma 137

Mimmina 244

G. Mussoni 245

Cesare Mari 239, 256, 258

Minardi 184, 199

MV Agusta 146

Enzo Mari 51, 53, 61, 79, 81, 122,

Bruno Minardi 238

M.V.M. Cappellin & C. 190

127, 128, 136, 155, 169, 171, 177,

Domenico Minganti 47, 216, 218

178, 209, 210, 214, 215, 261

Sante Mingazzi 207

N

Gino Marotta 48, 171, 222

Angelo Minghetti 40

Setsuko Nagasawa 178

Eugenio Martera 203, 256

Giovanni Mingozzi 214, 215

Moholy Nagi 78

Charles Martin 235

Enric Miralles 267

V. Nason & C. 190

Elio Martinelli 49, 222, 223, 235

Remigio Mirri 266

Adolfo Natalini 178

Alberto Martini 190

Mivar 85, 219

Giulio Natta 23

Erminio Martini 177, 178

Mizzio Rossinelli e successori 119

Richard Neagle 129, 136

Federico Martini 204

Elisabetta Modena 62

Necchi 25, 30

Venerio Martini 177, 178

Alfonso Modonesi 264, 266

George Nelson 235

Marzocchi 199

Giuseppe Modonesi 264, 266

Neri 157, 205, 240, 241

Marta Marzotto 144

Carlo Molino 235

Domenico Neri 241, 242

Maserati 158, 166, 167, 168, 192

Molteni 124

Massimo Neri 157

Ernesto Maserati 168

Piet Mondrian 44

Renzo Neri 205

Alberto Massimino 168

Mario Monguidi 266

Vittorio Neri 176

Giovanni Maria Mataloni 215

Montecatini 126, 134

Pierluigi Nervi 215, 263

Sebastian Matta 218

Montedison 24

Ugo Nespolo 215

Ettore Mazzini 215

Coriolano Monti 265

Franco Niccolucci 249

Giuliano Mazzini 181

Paolo Monti 13, 21

Felice Nittolo 237, 239

Mosè Mazzini 181

Roger Moore 164

Nizzoli Associati 128, 130

Stefano Mazzotti 237, 239

Giorgio Morandi 47

Marcello Nizzoli 61, 69, 130, 136,

Tullio Mazzotti 178

Marcello Morandini 52, 227, 228

Mebel 132

Edgar Morin 67

291 > ER/DESIGN

215 Jacques Nocher 149


/ Indice dei nomi

Plinio Nomellini 215

Tullio Pericoli 15, 50, 217, 218

Jean Prouvé 235

Bob Noorda 215

Filippo Perini 185

Victor Prouvé 42

Donald Arthur Norman 72, 215

Mario Perniola 67

Paola Proverbio 52

Luciana Notturni 237, 239

Gaetano Pesce 79, 235

Tazio Nuvolari 166, 167

Ugo Pesci 39

Q

Carlo Petrini 28

Arturo Carlo Quintavalle 18, 55, 56,

O

Raymond Peynet 178

Herbert Ohl 235

Philips 196, 197

Edvin Öhrström 190

Osvaldo Piacentini 266

R

Mario Oliveri 136

Piaggio 24, 147

Paolo Racagni 237, 239

Olivetti 24, 49, 62, 69, 124, 130, 131,

Pompeo Pianezzola 171, 178

Radiomarelli 196

Massimo Piani 171, 178

Franco Raggi 237

Mario Oliveri 130

Renzo Piano 267

Ram 214

Omas 25, 199

Leda Piazzi Chiari 171

Rancilio 155

Original Designers 6R5 Network

Pablo Picasso 243, 244

Pietro Remor 245

Patrizia Pietrogrande 203, 256

Pierre Restany 127, 220

Pininfarina 149, 157, 164, 165, 167,

Riccardo Ricas 214

132, 134, 147, 214, 215

171 Orrefors 45, 189, 190 O.S.C.A. 199

168, 180, 193, 215

57, 58, 61, 63, 64, 124, 127, 135

Giuseppe Riccobaldi Del Bava 215

Annibale Oste 171

Pio XII 40

Felice Riccò 161, 162

Anna Ottani Cavina 21

R.F. Piquillo 215

Richard Ginori 45, 51, 131, 132,

Pirelli 24, 213, 215

178, 226

P

Giancarlo Piretti 235

Mario Ridolfi 215

Paco Rabanne 177, 178

Michelangelo Pistoletto 78

Gerrit Thomas Rietveld 44, 235

Mimmo Paladino 178, 218, 237

Mirella M. Plazzi 18, 19, 63, 260

Tommaso Rinaldi 162

Leone Pancaldi 255, 266, 267

Poggi 126

Carlo Riva 193

Giovanni Panini 168

Pollione (Pollione Sigon) 215

Simona Riva 18, 49, 136, 269

Umberto Panini 166, 168

Poltronova 71, 123, 235

Umberto Rizzi 265, 266

Panstudio 239, 256, 258

Poluzzi 198

Sergio Rodrigues 219, 220

Cesare Paolini 220

Arnaldo Pomodoro 15, 50, 217,

Gabriella Roganti 159

Giulio Paolini 56, 64

218

Andrea Romagnoli 198

Claudio Papola 48, 222

Stefano Pompei 264

Giuseppe Romagnoli 41

Gianfranco Pardi 15, 50, 217, 218

Gio Ponti 15, 45, 46, 47, 51, 52, 54,

Aldo Rontini 171, 178, 218

Ico Parisi 51, 103, 105, 158, 159, 227, 228 Luigi Parmeggiani 145

130, 131, 132, 136, 155, 159, 169,

Salvator Rosa 120

171, 215, 216, 218, 226, 227, 228,

Luciana Roselli Amelotti 131, 136

235

Rosenthal 120, 121, 124, 131, 229

Renzo Pasolini 204

Renata Ponti 171

Philipp Rosenthal 120, 121

Alberto Pasquinelli 41, 42, 202,

Paolo Portoghesi 49, 50, 169, 171,

Alberto Rosselli 33, 61, 122, 131,

206, 207

218

132, 136, 155, 223

Dante Passarelli 171

Michael Powolny 190

Paolo Rosselli 132

Antonio Pastorini 266

Concetto Pozzati 56, 57

Gian Rossetti 215

Pathé Frères 196, 197

Ambrogio Pozzi 24, 51, 131, 136,

Italo Rota 17, 253, 256

Secondo Stefano Pavese 244

227, 228

Mimmo Rotella 171

Giovanni Pelagalli 197

Pozzi e Ginori 24

Fabio Roversi-Monaco 208

Sonia Pellegrini 215

Kuno Prey 53, 210

Alfonso Rubbiani 41, 42, 202

Luigi Pellegrin 268

Filippo Preziosi 205

Carlo Rubbiani 173, 176, 177

292 > ER/DESIGN


/ Indice dei nomi

Giovanni Maria Rubbiani 15, 39, 40,

A. Scarzella 171

Giuseppe Spagnulo 178

161, 171, 172, 173, 174, 175, 177,

Xanti Schawinsky 215

Max Ritter von Spaun 43

206, 207, 211

Elsa Schiaparelli 243, 244

Aldo Spoldi 15, 50, 217, 218

Luigi Rubbiani 175

Mario Schifano 56, 64

Stabilimento G. De Andreis 208,

Maria Teresa Rubbiani 171

Charles Schneider 45, 189, 190

Laura Ruffoni 48, 223

Scolaro Atelier 171

Franca Stagi 254, 267

Greta Runeborg 190

Marco Scotti 62

Mart Stam 235

John Ruskin 79

Scuola dei Cadetti Matematici

Stanguellini 156, 157

Pionieri 161, 162

S

Barbara Secci 15, 47, 50, 119, 211,

Eero Saarinen 235

215, 217, 263

210

Francesco Stanguellini 156 Vittorio Stanguellini 156, 157 Paolo Stanzani 183, 184, 185, 193

Lino Sabattini 132, 136

Seguso 190

Philippe Starck 49, 223

Marius Ernest Sabino 189, 190

Federico Seneca 215

Antonello Stella 253

Luigi Saccenti 263

Sepo (Severo Pozzati) 215

Jackie Stewart 149

Safnat 130

Carlo Sernicoli 162

Stilnovo 130, 219, 220

Val Saint Lambert 190

Davide Servadei 171

Hans Stoltenberg Lerche 190

Salleron 198

Salvatore Settis 78

Emilio Storchi Fermi 148

Salmoiraghi 134

Mauro Severi 254

Daniele Strada 237, 239

Agostino Salsedo 171

Augusto Sezanne 41

Studio Alchimia 49, 52, 126, 136,

Sambonet 120, 132

Ben Shan 59

Roberto Sambonet 122, 132, 136,

Marcello Siard 223

Studio Azzurro 258, 259

SICA 227

Studio Boggeri 214, 215

Giuseppe Samonà 60

Siemens 126

Studio Memphis 52, 126, 136, 227

San Marco 215

Pino Signoretto 190

studio n! 253

Guglielmo Sansoni (TATO) 171, 215

Carlo Signorini 237, 239

Studio N03! 172

Marco Santi 237, 239

SIMAC 227

Studio P.F.R. 131, 132, 155

Francesco Santini 266

Simon Gavina 27, 219

Deyan Sudjic 72

Saporiti 136

Singer 25, 131

Antonio Susini 130, 136

Richard Sapper 125, 128, 136, 197,

Paolo Sironi 265, 266

Duilio Susmel 186

Società Anonima Watt 44, 155

Sutor 171

Marina Sarfatti 45

Società Ceramica Italiana 51, 226

Daniel Swarosvky 244

Alessio Sarri 51, 177, 178

Società Romana Tramways &

215

215, 235

Germano Sartelli 217, 218 Orazio Satta Puliga 193 O. Savelli 215

Omnibus 241 Società Scientifica Radio Brevetti Ducati 196, 204

171, 237, 238, 239

T Emilio Tadini 15, 50, 217, 218 Manfredo Tafuri 60

Giuseppe Savoretti 245

A. Soldati 215

Lino Tagliapietra 190

Manno Sbarri 78

Pier Giorgio Solinas 34

Fabio Taglioni 29, 204, 205

Sergio Scaglietti 165, 193

Prospero Sorgato 266

Kazuhide Takahama 220, 235

Franco Scaglione 157, 184, 185,

Sottsass Associati 83, 99, 133, 136,

Massimo Tamburini 204, 205

191, 193 Emilio Scanavino 215

171, 178 Ettore Sottsass 15, 49, 51, 52, 71,

F. Targia 215 Alfredo Tartarini 38, 41, 42, 97, 101,

Afra Scarpa 122, 133, 136

83, 99, 122, 125, 133, 134, 136,

Carlo Scarpa 235, 255

169, 171, 177, 178, 214, 215, 227,

Carla Tartarini 211

Tobia Scarpa 122, 133, 136, 235

228, 234, 235, 237, 257, 263

Carlo Tartarini 211

Ivo Scarpetti 225 293 > ER/DESIGN

Stefania Spaggiari 178

108, 202, 206, 207, 211, 212

Enrico Tartarini 211


/ Indice dei nomi

Leopoldo Tartarini 205 Alessio Tasca 178 Valeria Tassinari 188 Maria Gioia Tavoni 42, 189 Franco Teodoro 220 Pierre Terblanche 205 Giuseppe Terragni 235 Terraillon 152 Aleardo Terzi 215 Thayaht 214 Thomas Baptiste 119

V

Thonet 30 Michel Thonet 235 Matteo Thun 34, 52, 227, 228 TigiĂš (Emma Bonazzi) 215 Paolo Tilche 15, 52, 171, 227, 228 Joe Tilson 51, 217, 218 Enzo Tinarelli 237, 239 Guido Tirelli 266 Tom Tjaarda 149 Maria Cristina Tonelli 33 Jean Toprieux 149 Pino Tovaglia 134, 136, 215 TPER 200 Francesco Trabucco 36, 37 Giovanni Travasa 155 Tommaso Trini 56 Trussardi 135, 171, 244 Panos Tsolakos 171, 178

Lionello Venturi 37 Carlo Venturini 224, 225 Robert Venturi 49 Verlicchi 199 Versace 170, 171, 178 Ciro Vicenzi 265, 266 Victoria Arduino 43, 154, 155 Gaspare Vigarani 174 Alfredo Vignale 179, 180, 193 Luigi Vignali 266 Lella Vignelli 33, 235 Massimo Vignelli 33, 235 Nanda Vigo 15, 47, 48, 221, 222, 223 Leo Villa 149 Gilles Villeneuve 23 Francesco Vincitorio 56 Paolo Viola 130 Arrigo Visani 216, 218 Maurizio Vitta 35, 71 Jacqueline Vodoz 52, 127, 128, 208, 209

U Emanuel Ungaro 173

294 > ER/DESIGN

Giuseppe Vaccaro 263, 266 Nanni Valentini 227, 228 Valentino 171 Gino Valle 215 Eugène Vallin 42 Luigi Varoli 231, 232, 233 Vinicio Vecchi 267 Roberto Vellani 149 Venini & C. 190 Carla Venosta 134, 136

Antonis Volanis 149 Alessandro Volta 160, 162

W Hannes Wettstein 125, 136 Stefan Wewerka 235 James Abbott Whistler 43 Whitefriars Glassworks 190 Childe Harold Wills 149 Jan Wils 44 Wittmann 43, 235 Woka 235 Frank Lloyd Wright 235

Z Tino Zaghini 245 Zamboni & Troncon 199 Francesca Zanella 62 Marco Zanini 171, 178, 227 Antonio Zannoni 265, 266 Zanolli 227 Zanotta 126, 219 Marco Zanuso 15, 23, 52, 125, 128, 136, 152, 171, 197, 215, 227, 228, 235 Carlo Zauli 171, 177, 178, 229, 230 Vittorio Zecchin 190 Paolo Zermani 17, 250 Bruno Zevi 60, 122 Alessio Zoeddu 199 Zucchetti 130 Zucchi 47 Carmelita Zucchini 42


INDICE DEI LUOGHI

Albenga 153

Formigine 258

Albinea 17, 247, 252

Funo di Argelato 31, 191, 192, 193

Albisola 215, 227

Ginevra 95, 96, 163, 164, 183

Ancona 24

Glasgow 43

Nove 227

Anzola dell’Emilia 17, 194, 195,

Guastalla 146, 147

Oleggio 127

Imola 50, 216, 217, 218

Ozzano Taro 33, 139, 140

Barcellona 87

Karlsbad 189

Palagonia 119

Berlino 96

Klastersky Myln 189

Paradigna 56, 64, 135

Berna 59, 96

L’Aia 95, 96

Parigi 40, 45, 46, 61, 95, 96, 119,

Bologna 2, 12, 13, 16, 17, 21, 22,

Laveno Mombello 51, 226

249, 253, 257

143, 144 New York 57, 59, 61, 68, 69, 83, 123, 133, 213, 230

126, 133, 145, 168, 172, 173, 265

25, 27, 29, 38, 39, 40, 41, 42, 43,

Lemignano 244

46, 54, 67, 77, 81, 92, 97, 101, 108,

Lido di Spina 52, 73, 221, 222, 223

60, 62, 69, 75, 79, 83, 99, 122, 124,

112, 148, 196, 197, 198, 199, 200,

Lione 153

125, 127, 128, 131, 134, 135, 136,

201, 202, 203, 204, 205, 206, 207,

Lisbona 95

137, 138, 250, 251, 261, 263, 265,

208, 209, 210, 211, 212, 244, 251,

Londra 71, 95, 119, 145, 163, 166,

266, 268, 269

254, 255, 256, 259, 263, 264, 265, 266, 268, 269 Bregnano 132

173, 230, 256 Longiano 15, 18, 40, 41, 240, 241, 242

Parma 17, 18, 24, 49, 55, 56, 58,

Pavia 25, 44, 155 Pesaro 172 Pescarola 38

Bruxelles 95, 96

Malalbergo 200

Philadelphia 129

Campogalliano 152, 153

Manchester 119

Piacenza 27, 34, 114, 118, 119, 120,

Carpi 150, 151, 172, 255

Maranello 17, 23, 163, 164, 179,

Casalmaggiore 137

180, 251, 252, 256

121, 244, 254 Pieve di Cento 42, 44, 54, 186, 187,

Castel Bolognese 268

Massa Lombarda 224, 225

Casteldurante 172

Meda 131

Pistoia 123

Castelli 172, 227

Milano 19, 23, 24, 40, 45, 49, 50, 57,

Pordenone 227

Cedogno 141, 143

118, 125, 126, 129, 131, 132, 133,

Porretta Terme 181, 182

Colonia 133

134, 135, 146, 172, 181, 183, 209,

Prato 75, 125

Copparo 85, 219, 220

214, 222, 234, 237, 244, 265

Ravenna 49, 236, 237, 238, 239,

Cotignola 231, 232, 233

Modena 43, 44, 93, 95, 103, 105,

188, 189, 190, 200

258

Doccia 45

154, 155, 156, 157, 158, 159, 160,

Dosso 191

161, 162, 163, 164, 165, 166, 167,

Empoli 99

168, 172, 183, 254, 256, 257, 264,

Rimini 114, 245

Fabriano 224

267, 268, 269, 270

Roma 41, 96, 173, 187, 214, 241,

Faenza 15, 40, 43, 45, 46, 47, 51, 66, 226, 227, 228, 229, 230, 266

Monaco 81, 87

Reggio Emilia 145, 148, 177, 254, 256, 258, 266, 268, 269

253, 266

Montebelluna 133

Rovereto 231

Favaro Veneto 244

Montecarlo 23, 156

Rozzano 130

Ferrara 259

Monza 45, 156, 167, 182, 203, 204

Russi 48, 49, 71, 234, 235, 255, 257

Fiorano Modenese 17, 36, 41, 51,

Mosca 133

San Lazzaro di Savena 213, 214,

174, 175, 176, 177, 178, 253

Nancy 42

215

Firenze 25, 26, 123, 125, 126, 227

Napoli 41, 66, 68, 86, 166, 167, 268

San Martino in Rio 148, 149, 254

Forlimpopoli 253

Neviano degli Arduini 141, 142,

Sant’Agata Bolognese 183, 184, 185

295 > ER/DESIGN


/ Indice dei luoghi

Santarcangelo di Romagna 243, 244 Sassuolo 12, 14, 15, 27, 36, 37, 40, 47, 52, 160, 161, 169, 170, 171, 172, 173, 176, 177, 257 Savona 153, 172 Selb 120 Sesto Fiorentino 125 Spezzano 51, 176 Stoccolma 95, 96

296 > ER/DESIGN

Taranto 130 Torino 17, 24, 40, 110, 155, 183, 207, 215, 253 Trento 146 Umbertide 187 Venezia 11, 24, 49, 94, 133, 198 Vienna 41, 173 Vignola 17, 252 Washington 95 Zurigo 133


Prima edizione settembre 2017


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