Il Catalogo forma ed essenza del patrimonio

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Il Catalogo

forma ed essenza del patrimonio a cura di Fiamma Lenzi e Patrizia Tamassia


Il Catalogo

forma ed essenza del patrimonio a cura di Fiamma Lenzi e Patrizia Tamassia

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Ritorno al futuro. Viaggio nel catalogo digitale del patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna Fiamma Lenzi

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PatER un percorso che continua Patrizia Tamassia

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I musei della Regione: un repertorio in divenire Isabella Giacometti

9 Castelli, rocche, fortezze. Il catalogo che verrà Gilberta Franzoni

11 Giardini e parchi pubblici sul territorio Carlo Tovoli

13 E-R Design. Estetica del quotidiano negli istituti culturali Claudia Collina

15 Il Museo Baracca di Lugo: sulle ali del patrimonio artistico Daniele Serafini, Simona Parisini

17 Il “Caso Forlì”

Orlando Piraccini, Flora Fiorini

19 Le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara: tra catalogazione e riallestimento Chiara Vorrasi

21 I Musei Civici di Modena: lavori in corso Lorenzo Lorenzini

23 Il Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo: unificare catalogando

Diego Galizzi

IMMAGINI

La documentazione fotografica è tratta dal Catalogo del Patrimonio http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/


Ritorno al futuro. Viaggio nel catalogo digitale del patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna Fiamma Lenzi

La scocca fiammante della moto Gabbiano FB 125 gareggia in squisitezza cromatica con il vaporoso pallore dell’abito indossato da Maria Luigia, sovrana di Parma. La liquida luminosità di un pranzo all’aperto immortalato da Amedeo Bocchi trascolora nell’atmosfera fané di una cartolina début de siècle dai contorni ormai sgranati. La delicata Vergine e Bambino benedicente, partorita dal genio artistico del Guercino, dialoga con la severità e l’autorevolezza mensurale di una bilancia, dove si materializzano la precisione e le capacità tecniche dell’artigianato operoso vanto della nostra terra. E molto altro ancora: oltre un migliaio di luoghi culturali e più di centomila record relativi a beni mobili, accompagnati da circa centoquarantamila immagini, illustrano la varietà del patrimonio culturale regionale. I beni storicoartistici nelle più svariate accezioni fanno la consueta parte del leone. Una nutrita documentazione demoetnoantropologica comprende attrezzi agricoli, utensili delle attività artigianali e manifatturiere, oggetti e suppellettili della quotidianità rurale, testimonianze delle tradizioni economico-produttive locali. Seguono diverse migliaia di reperti archeologici. Un ricco patrimonio scientifico e tecnologico e un notevole insieme di beni naturalistici afferenti ai domini della botanica, paleontologia, zoologia, mineralogia costituiscono un altrettanto prezioso scrigno di dati. Non sono che alcuni degli innumerevoli soggetti chiamati a comporre l’universo immateriale dell’informazione digitale. Qui nuovi esploratori, non già di continenti lontani e di mari procellosi, ma della memoria storica emiliano-romagnola, raccolta dall’IBC nel Catalogo del Patrimonio Culturale, possono trovare risposte alla sete di conoscenza, alla ricerca di dati utili per il governo del territorio, al desiderio di localizzare i luoghi della storia, alla domanda di nuove traiettorie raccomandabili dal turismo sostenibile e socialmente responsabile. Popolato grazie anche alla stretta cooperazione con i musei e le realtà culturali degli enti locali, che da sempre affiancano l’IBC con azioni di catalogazione partecipata, il sistema informativo progressivamente accresciuto sostanziandolo con quanto è stato prodotto in lunghi anni di impegno dedicati ai beni culturali del territorio regionale, consente di portare alla luce e far dialogare in pienezza la trama di relazioni che

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intrecciano e collegano le infinite sfumature del manifestarsi del patrimonio culturale. La consultazione del Catalogo offre così l’opportunità di una navigazione simultanea pluridirezionale e multiverso che collega gli istituti della conservazione, le sedi espositive, i luoghi della contemporaneità con le multiformi espressioni d’arte e gli oggetti del vissuto quotidiano, le reliquie documentali e la memoria orale, i modelli del sapere tradizionale e i frutti dell’innovazione culturale che vi sono custoditi. Il Catalogo in rete, vera “opera aperta” in continuo divenire, si nutre giorno dopo giorno di nuovi siti culturali, vedendo la stretta convivenza fra le sedi tradizionali della cultura (musei, teatri storici, luoghi d’arte contemporanea) e una molteplicità di altri luoghi sparsi in cui si concentrano insiemi – anche non strutturati – di beni culturali (parchi e giardini, complessi di archeologia industriale, raccolte degli enti di beneficenza e assistenza, chiese e cimiteri storici, edifici termali, architetture contemporanee), individuati in seguito a ricognizioni caratterizzate da focus specifici come nel caso del Censimento del Design o grazie a operazioni di valorizzazione di vasta scala come il progetto in itinere dedicato ai castelli. Allo stesso modo, fanno continuamente il loro ingresso nel Catalogo nuovi materiali mobili, espressione della cultura odierna, destinati col tempo alla codifica come ulteriori, novelle, categorie di beni da preservare e valorizzare. Viaggiare nello spazio e nel tempo sino alla più stringente attualità, raggiungere virtualmente realtà remote o di scarsa visibilità oppure riscoprire, fin nelle pieghe più minute, i molti rivoli confluiti

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nell’eredità culturale ricevuta dai nostri predecessori, pretendono un accesso riconoscibile, affidabile, in grado di proporsi come insieme di servizi per chiunque si accosti al patrimonio e aspiri al disvelamento, sotto qualsiasi forma, del suo potenziale. Uno stargate - rimanendo in metafora - che colleghi la nostra dimensione a quella della conoscenza digitale. Capace di fornire a ogni possibile tipo di utenti strumenti di orientamento, di proporre richiami alla ricchezza dei contenuti, di restituire chiavi interpretative ed elementi utili alla rielaborazione personale. Questi scopi hanno guidato la recente realizzazione di PatER, su piattaforma sw © Samira, il portale che ricompone, integra e correla le risorse digitali costituite dall’IBC durante le proprie quarantennali attività di valorizzazione, catalogazione, conservazione e sviluppo del sistema regionale dei musei e delle raccolte culturali, rendendole accessibili e liberamente consultabili non solo dagli specialisti, ma da chiunque navighi il web. Cosa mette a disposizione il portale PatER a chi lo visita? Un linguaggio divulgativo che, senza rinuncia alla scientificità del dato, “supera” il lessico tecnico in uso per gli standard catalografici, un’etichettatura descrittiva dei contenuti semplificata, modalità di ricerca google like ovvero del tutto simili a quelle degli attuali motori web, l’effettuazione di esplorazioni territoriali su supporto Google Map e la costruzione di mappe personali a partire dai risultati di una ricerca specifica, il linking esterno o a materiali multimediali. La presentazione del patrimonio per “famiglie” e “classi” tipologiche porta in primo piano i legami di senso, le relazioni funzionali, i nessi d’origine o di appartenenza fra gli oggetti che fanno capo a uno stesso ambito, a uno stesso oggetto complesso, a un insieme di beni storicamente aggregati, mentre la valorizzazione tematica dei contenuti migliori attraverso “vetrine”, gallerie e percorsi invita l’utente ad avvicinarsi a particolari segmenti del catalogo o a indagarlo secondo un preciso punto di vista. Tutti i contenuti proposti sono shareable verso i principali social network: Facebook, Twitter, Instagram, Google+, Pinterest. Il portale applica infine strategie responsive per assicurare un’ottimale user experience tramite dispositivi mobili, smartphone e tablet. Buon viaggio!

http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/

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PatER un percorso che continua Patrizia Tamassia

Sono venticinque anni che il processo di catalogazione informatizzata del patrimonio culturale regionale ha iniziato il proprio percorso: infatti si è avviato nel 1992 quando viene approvata la legge nazionale 145 che prevede, tra l’altro, il Progetto di precatalogazione dei beni culturali a rischio dell’Emilia-Romagna. Per la realizzazione di una parte dell’operazione di precatalogazione IBC si avvale dei finanziamenti della legge regionale sui musei allora in vigore, L.R. 20/1990, e opera con il coinvolgimento degli enti locali per lo studio del patrimonio dei loro musei. L’idea, fortemente innovativa, di affiancare al metodo di ricerca consolidato e tradizionale rappresentato dai censimenti e dalle catalogazioni dei beni culturali - una delle ragioni stesse della nascita dell’IBC - la tecnologia informatica si è rivelata davvero vincente. In questo modo si è dato l’avvio ad un importante ambito di intervento regionale, quello della catalogazione informatizzata, che già da allora aveva delineato le due caratteristiche fondamentali ovvero il suo inserimento in un progetto più ampio, di prospettiva almeno nazionale, e il coinvolgimento degli enti locali quali soggetti imprescindibili in quanto detentori dei patrimoni museali. IBC ha scelto, nella prima fase di applicazione sperimentale, di non attuare una vera e propria pianificazione degli interventi di catalogazione sul territorio regionale ma di offrire il servizio di catalogazione informatizzata ai musei per venire incontro alle loro differenti esigenze di studio e valorizzazione. È soltanto ad un certo punto del processo di costruzione del Catalogo digitale che si rende necessario applicare una metodologia volta al coinvolgimento anche dei musei che fino ad allora non avevano fatto richieste magari proprio con la motivazione che il loro patrimonio museale era studiato e catalogato. In questi casi si sono realizzati massicci recuperi di catalogazioni cartacee, prodotte per scopi diversi nel corso del tempo e stratificate, procedendo al loro trasferimento su supporto informatico, sempre accompagnate dalle relative campagne fotografiche o di digitalizzazione delle stampe possedute. È importante sottolineare quanto la documentazione fotografica sia un aspetto essenziale del processo di catalogazione informatica. Tutta la conoscenza dei patrimoni museali realizzata prima dell’informatizzazione, quasi mai completa ma dedicata a singole collezioni o a tipologie specifiche di materiali, era stata realizzata non per essere messa a disposizione del pubblico così come avveniva da sempre per i cataloghi delle biblioteche. Venivano quindi elaborati strumenti di conoscenza dei materiali che necessitavano della mediazione degli operatori: la innovazione più profonda introdotta dal processo di informatizzazione è data proprio dalla possibilità di un accesso diretto da parte del pubblico alle schede di

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catalogo; elemento fondamentale è l’immagine fotografica che rappresenta la possibilità più immediata di identificazione e che è parte, come già sottolineato, essenziale della schedatura informatica. Come è noto, dal 2000 il processo di catalogazione è stato sostenuto e finanziato con i piani annuali museali previsti in attuazione della legge regionale 18/2000 relativa a musei e biblioteche. Il continuo incremento quantitativo dei dati ha portato ad un risultato davvero importante, oggi abbiamo circa 130.000 schede di catalogo liberamente accessibili in PatER. Contemporaneamente si è cercato di cogliere le sempre nuove possibilità evolutive della tecnologia informatica per rinnovare e migliorare l’offerta di informazioni al pubblico e agli operatori, moltiplicando e facilitando le possibilità di accesso alla conoscenza del patrimonio culturale. Per rendere più comprensibile l’attività svolta presentiamo, raccontate dai responsabili stessi, alcuni casi esemplari di catalogazioni complesse realizzate in importanti musei della regione, svolte nell’arco di più anni e su materiali molto eterogenei: ciascun caso illustra aspetti, realtà ed esigenze diverse che possono aiutare a cogliere la complessità di composizione del ricco mosaico costituito dal patrimonio culturale della nostra regione. Partiamo dalla Romagna, a Bagnacavallo, nel Museo delle Cappuccine, si va dalla ricognizione sul patrimonio artistico alla ricca raccolta di incisioni. È un caso questo veramente speciale perché quest’ultima raccolta era inizialmente schedata in un repertorio a parte e, per scelta della direzione del museo, si è voluto inserirla in PatER che si è arricchito così di 11.000 schede. Le ragioni di questa scelta sono una conferma del lavoro e delle scelte operate da IBC e sono descritte appunto nell’articolo. Rimaniamo sempre in Romagna con il caso di Forlì: come città capoluogo vanta molti musei con patrimoni ricchi e variegati. La catalogazione informatizzata è avvenuta snodandosi per almeno un decennio, passando dalle schede del Museo etnografico romagnolo a quelle del Museo del Risorgimento passando per il Museo romagnolo del teatro e per l’Armeria Albicini. Il contributo analizza e approfondisce in particolare la questione relativa al patrimonio artistico e soprattutto all’operazione relativa alle collezioni del Novecento che si sono definite proprio attraverso il processo di catalogazione e che sono esposte nel Museo di Palazzo Romagnoli di recente istituzione. Ancora Romagna, Lugo e il suo museo dedicato a Francesco Baracca e alla Grande Guerra di cui sono stati catalogati tutti i reperti, compresa la ricca collezione di cartoline Baldini. Poi il patrimonio artistico sparso - la Pinacoteca diffusa - che ha una identità a partire proprio dalla catalogazione e le fotografie del fondo Giovannini. A Ferrara un caso con caratteristiche originali definite da un evento negativo quale il terremoto che ha costretto a disallestire la sede museale di Palazzo Massari: in questo contesto la catalogazione informatizzata è un modo per mettere a disposizione del pubblico il patrimonio non più visitabile, in particolare le collezioni Boldini e de Pisis. La collaborazione è proseguita con la catalogazione delle opere pittoriche di Michelangelo Antonioni, parte di un progetto più ampio relativo al fondo archivistico realizzato sempre in collaborazione con IBC, settore Archivi. Infine in Emilia il caso Musei Civici di Modena che si compone di nuclei differenziati di materiali a cui corrisponde un altrettanto differenziato percorso catalografico che è tuttora in pieno svolgimento. Una considerazione finale: PatER non è solamente somma o moltiplicazione dei dati ma è esso stesso un soggetto culturale. Come scrive Umberto Eco «Nella misura in cui una lista - catalogo - caratterizza una serie per quanto difforme di oggetti come appartenenti allo stesso contesto o visti dallo stesso punto di vista essa conferisce ordine, e dunque un accenno di forma, a un insieme altrimenti disordinato».

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I musei della Regione: un repertorio in divenire Isabella Giacometti

Terra di motori, terra di sapori, terra di scrittori e poeti, sono alcuni degli appellativi utilizzati per la promozione turistica dell’Emilia-Romagna ma rappresentano solo un accenno alla straordinaria e diversificata ricchezza culturale di questo territorio, a volte sottovalutato. Un territorio che da Rimini a Piacenza, dall’Appennino alla Pianura Padana ci racconta storie antiche e presenti, di ingegno e imprenditorialità, di guerra e ricostruzione, di scienza e natura, di fede laica e religiosa, di bellezza e passioni attraverso un patrimonio culturale conservato, valorizzato e tramandato anche grazie ai musei e alle raccolte. Proprio la consapevolezza della varietà che caratterizza l’anima multiforme di questa regione ha portato l’Istituto per i beni culturali nei primi anni del 2000 a censire e pubblicare in un volume l’insieme degli istituti museali disseminati nella regione, che allora contava circa 360 realtà museali; repertorio successivamente trasformato grazie all’apporto delle nuove tecnologie in banca dati digitale consultabile direttamente dal web. Da allora ad oggi il numero dei musei e delle raccolte similari nella nostra regione è salito ad oltre 500 unità, dimostrazione della grande vitalità di questa terra e conferma del ruolo attribuito a questi luoghi, segno tangibile di identità e di appartenenza di una comunità. Viste in mappa queste realtà mostrano un’omogenea distribuzione su tutto il territorio regionale con maggiori concentrazioni nelle città più importanti che via via diminuisce allontanandosi dai centri urbani. Un mosaico composito fatto di musei di tradizione e nuove fondazioni, di collezioni d’arte e dimore storiche, di ecomusei, di castelli, di musei all’aperto e musei d’impresa, di luoghi e spazi nei quali rivive la memoria dei protagonisti della storia locale e nazionale. Un patrimonio prezioso capace di incontrare e soddisfare le esigenze di chi ha sete di cultura, di arte e di bellezza, dove i musei di storia, arte e archeologia costituiscono, con oltre 300 unità, il nucleo più significativo, non solo da un punto di vista numerico ma perché custodi della memoria storica del territorio. Ma non si tratta solo di arte e archeologia, i musei della regione raccontano anche la quotidianità, quella degli oggetti d’uso, della ormai tramontata civiltà contadina, i saperi e i mestieri, le tecniche e le scienze della modernità, i manufatti scaturiti dall’altissima capacità imprenditoriale e produttiva emiliano-romagnola nelle sue molteplici manifestazioni: macchine, motori, tipicità e filiere di prodotto, ceramiche, industrie

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conserviere, buon cibo. Questi musei con la loro specificità disegnano un altro tratto della regione, quello del lavoro, dell’alacrità della sua gente, della buona organizzazione della cosa pubblica, delle vocazioni economiche e commerciali che rappresentano da sempre uno degli aspetti caratteristici della sua identità. Questo insieme multiforme che compone il repertorio digitale dei musei della regione è stato recentemente oggetto di un restyling grafico che ha interessato più ampiamente tutto il portale dedicato al Patrimonio Culturale dell’Emilia-Romagna. Uno spazio, quello del portale, che si propone d’essere una cassa di risonanza per i musei, senza volersi sostituire agli strumenti già a loro disposizione ma piuttosto offrirne uno in più che si aggiunga e possa essere utile soprattutto a quelle realtà più piccole che faticano ad uscire dai confini del loro territorio, inserendole in un contesto di più ampio respiro. Un punto di accesso unificato dove gli oggetti museali e i luoghi culturali non sono entità separate ma costituiscono un complesso organico e sono elementi di un insieme di relazioni significative, che cerca di conciliare gli aspetti più divulgativi coi vari livelli di fruizione dando la possibilità di sviluppare nuove esperienze di visita. Uno strumento quindi che invita alla scoperta e che per sua natura non può essere che in continua evoluzione, come lo sono i musei stessi.

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Castelli, rocche, fortezze. Il catalogo che verrà Gilberta Franzoni

Dall’aprile di quest’anno il Castello di Contignaco - fortezza militare del Parmense edificata da Adalberto II Pallavicino nell’XI secolo a protezione delle saline di Salsomaggiore e Salsominore - apre le sue porte al pubblico. Sarà possibile per la prima volta accedere con visite guidate alla rocca restaurata, con il mastio di 30 metri risalente al 1030 e lo splendido parco circostante - che accanto a cedri, cipressi e allori ospita anche una quercia ultrasecolare, classificata tra gli alberi monumentali della Regione, dal tronco di oltre due metri di diametro - nonché all’azienda vitivinicola dedicata a produzioni di alta qualità. Salgono così a quasi 130 i castelli visitabili dell’Emilia-Romagna: un insieme di beni culturali del massimo interesse che copre l’intero territorio regionale, e che comprende realtà diverse frutto di complesse stratificazioni storiche, come le maestose residenze nobiliari del Piacentino e del Parmense, spesso originate da presidi a controllo di aree produttive o delle vie militari, commerciali e devozionali connesse all’area ligure e lombardo-piemontese; le rocche di collina e di montagna - compresi i caposaldi matildici - disseminate tra Reggio Emilia, Modena, Bologna e legate alle lotte tra Esarcato e Longobardi, Papato e Impero o tra i Comuni, e le loro riletture frutto del “Medioevo reinventato” dell’Ottocento post-unitario e dei primi decenni del Novecento; le residenze e le delizie delle “piccole Signorie” rinascimentali di pianura tra via Emilia e Po o le difese daziarie, militari e idrauliche erette sulle vie di terra e di acqua che univano Bologna a Ferrara e al mare; le testimonianze veneziane, estensi, medicee, sforzesche diffuse tra Ferrarese, Ravennate e Forlivese e quelle dei Malatesta e dei Montefeltro tra Cesenate e Riminese fino alle Marche. Ai castelli visitabili del territorio il Catalogo del Patrimonio Culturale PatER dedica un’intera, affascinante sezione, grazie a un progetto IBC di censimento che - avviato nel 2000 insieme a Università di Bologna e Istituto Italiano dei Castelli con un’indagine di tutte le architetture castrensi fondate in ambito regionale, comprese quelle ormai rintracciabili solo nelle fonti documentarie - si è man mano focalizzato sulle realtà ancora esistenti fino ad arrivare nel 2015 ad un elenco completo, e costantemente aggiornato, delle strutture fruibili dal pubblico. Fruizione che può esercitarsi, a seconda dei casi, in forma permanente o parziale (stagionale, su appuntamento, eccetera) o addirittura “a distanza”, nel caso di ruderi particolarmente significativi per dimensione dei resti visibili e contesto paesaggistico. Il censimento è oggi parte di un più

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ampio progetto di valorizzazione e promozione dei siti - che ha visto anche la firma di un accordo tra IBC e Associazione Castelli del Ducato di Parma e Piacenza - che si propone di connettere finalità culturali e turistiche, con l’intento di fornire le informazioni utili allo studio e alla ricerca ma anche a una fruizione consapevole e “di qualità” dei beni culturali del territorio. Il catalogo online - attualmente in fase di strutturazione e integrazione - si propone così come uno strumento rivolto non solo al pubblico degli studiosi ma anche alle comunità locali, agli appassionati e ai turisti: il database raccoglie infatti in un’unica struttura le schede descrittive dei beni, arricchite da informazioni pratiche e immagini fotografiche, e integrate da collegamenti alle informazioni scientifiche - di carattere bibliografico-archivistico, architettonico, archeologico, storico, artistico, militare - raccolte nel corso dell’indagine del 2000 nonché alle cartografie storiche e alla documentazione iconografica appartenenti ai database dell’Istituto, frutto di decenni di studio e indagine. Particolare attenzione viene prestata, come nelle altre sezioni del Catalogo, agli elementi di raccordo storici, tematici, tipologici o connessi a una significativa contiguità geografica - tra i castelli e altri fattori costitutivi il patrimonio: in ogni scheda vengono così evidenziati gli istituti culturali, in particolare i musei, ospitati negli spazi stessi del castello o in altri “luoghi della cultura” nelle vicinanze; le tipologie dei beni, i nuclei patrimoniali presenti e gli interventi conservativi eseguiti in loco dall’IBC; i beni ambientali - parchi e giardini - circostanti, che laddove presenti costituiscono non solo e non tanto una gradevole “cornice” estetica al castello, ma parte costitutiva della sua identità visiva e simbolica ed elemento di cerniera fisica e funzionale con il territorio.

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Giardini e parchi pubblici sul territorio Carlo Tovoli

Il Catalogo del Patrimonio Culturale dell’Emilia-Romagna ha arricchito la propria offerta culturale con una nuova sezione “verde” dedicata ai parchi e giardini della nostra regione. L’IBC gestisce infatti la legge regionale sulla tutela degli alberi monumentali, ovvero l’insieme di quegli esemplari arborei singoli in gruppi o in filari di notevole pregio scientifico o monumentale che la Regione Emilia-Romagna ha assoggettato a vincolo con decreto, e da anni è impegnato in iniziative volte alla conoscenza e alla valorizzazione di tutto il patrimonio naturale presente sul territorio. Tra i luoghi culturali presenti nel Catalogo, le schede dedicate ai parchi e ai giardini sono il frutto di una ricognizione effettuata dalla Fondazione Villa Ghigi di Bologna tra il 2009 e il 2013 su incarico dell’Istituto. I beni coinvolti spaziano dai parchi e giardini pubblici delle città, ai giardini pubblici di cittadine e paesi, nonché ad alcuni contesti particolari rappresentati dalle aree ospedaliere e dai centri termali, dai cimiteri monumentali e dai giardini storici di ville, castelli, o di grandi proprietà nobiliari, luoghi dove si intersecano natura, architettura e paesaggio. L’indagine, che comprende oltre 100 schede, non ha coinvolto i parchi e giardini privati non accessibili al pubblico, così come quelli privi di alberature di pregio o di piante secolari. Ogni scheda raccoglie, per ciascuna area, una serie notevole di notizie, sia storiche che descrittive, con una particolare attenzione posta ai grandi alberi, di cui si descrivono le caratteristiche fondamentali, come le dimensioni, il portamento, il contesto. Le schede si aprono con una galleria fotografica, la descrizione dettagliata del parco o del giardino, le indicazioni su come raggiungerlo e gli orari di apertura. In alcuni casi è attiva una sezione dedicata agli edifici e ai manufatti storici presenti nell’area verde, con approfondimenti e curiosità. Si tratta di un’indagine che non ha la pretesa di essere esaustiva e proprio per questo è pensata come un “work in progress”. L’intento è quello di offrire alcune indicazioni utili per osservare con uno sguardo nuovo un importante aspetto del patrimonio verde regionale che merita di essere scoperto, custodito e, soprattutto, amato. Dalle schede dei parchi e dei giardini presenti nel Catalogo del Patrimonio Culturale sono tratte le informazioni contenute nei tre volumi Monumenti verdi nei giardini dell’Emilia-Romagna, il primo dedicato a Bologna e provincia, il secondo al territorio di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena; e, infine, il

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terzo a Ferrara, Ravenna, Forlì-Cesena e Modena. I volumi sono scaricabili gratuitamente nella sezione “pubblicazioni” del sito www.ibc.regione.emilia-romagna.it.

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E-R Design. Estetica del quotidiano negli istituti culturali Claudia Collina

Con design industriale «si indica quel particolare settore della produzione industriale dove al dato tecnico si accompagni un elemento estetico» (Dorfles, 1977); progetti, prototipi e oggetti che, accanto a una funzione utilitaria, coniugano una componente estetica e abbiano un carattere iterativo sottostando a leggi di mercato e di marketing, sono stati oggetto di una ricerca sulla materia sviluppata da IBC ad ampio raggio e su svariate tipologie di musei e raccolte, biblioteche e archivi dell’Emilia-Romagna. All’evoluzione del design concorrono vari fattori: il rapporto tra arte e tecnica, l’importanza della radice del design industriale nelle arti applicate, trasformatasi con operosa complessità nell’associazione di artigianato, arti visive e scoperte tecnologiche e industriali, la straordinaria comunione osmotica tra arte, architettura, scienza e tecnica che il design riflette nel suo uso quotidiano e che testimonia l’evoluzione culturale, tecnologica ed economica della società occidentale degli ultimi centocinquant’anni. Il censimento del design negli istituti culturali della regione Emilia-Romagna: ha indagato 439 realtà museali di cui 50 hanno dimostrato nuclei collezionistici inerenti la materia – disegni, progetti, prototipi, oggetti - che per i suoi indefiniti e ambigui confini è stata circoscritta in alcuni insiemi, e sottoinsiemi a seconda del caso, in base ai più recenti studi sull’argomento (A. Bassi, 2008; F. Clivio, H. Hansen, P. Mendell, 2014; M. Vitta, 2011). Nel corso della ricerca, viste le diramazioni della materia, si è ritenuto opportuno ampliare il censimento anche al design museografico di musei e biblioteche (Silvia Ferrari), e ai documenti custoditi negli archivi del territorio (Mirella Maria Plazzi), con una rilevanza di 28 casi di allestimenti museografici tra musei e biblioteche e circa 76 fondi archivistici monografici. Il materiale inerente il design è stato enucleato dal resto delle collezioni, fotografato e schedato utlizzando il sw © Samira con la scheda N (Nucleo), a sua volta agganciata alla scheda principale M (Luogo contenitore) di riferimento. La materia è stata così suddivisa: -prodotti manifatturieri e arti applicate all’industria -design d’autore

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-design anonimo, quest’ultimo ulteriormente discriminato in: a) Anonimo di tradizione: oggetti di epoca e condizione di produzione preindustriale, ove prevale l’antica tradizione del saper fare e produrre. Prodotti scaturiti da un’idea progettuale, non più artigianali ma già seriali per quantità e organizzazione del processo di produzione. b) Anonimo: manufatti dell’era industriale che hanno portato soluzioni di problemi. Prodotti storici tutt’ora in produzione. c) Anonimo d’autore: oggetti apparentemente anonimi ove, anche se progettati da un autore, essi rimarranno anonimi nella fruizione e, soprattutto, nell’intenzione progettuale che li sottende. d) Oggetti d’uso quotidiano (hidden forms): cose realizzate in maniera del tutto anonima che, per forma, fabbricazione, modo d’impiego o materiali, offrono qualcosa d’insolito, cose che raccontano storie, ma che sono sottoposte a processi d’innovazione tecnica e ingegnosità umana. Tale censimento ha messo in evidenza un atlante delle tipologie così suddiviso in base all’ADI Design Index: design per l’abitare, arredo urbano, design per la persona, design per la mobilità, design per il lavoro, design dei materiali e dei sistemi tecnologici, design per la comunicazione. A breve termine è prevista la pubblicazione della banca dati dei Luoghi del Design in Emilia-Romagna all’interno del Catalogo del Patrimonio Culturale http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/ e del libro in formato ebook E-R design: estetica del quotidiano nei musei dell’Emilia-Romagna a cura di C. Collina, con saggi di Raimonda Riccini, Flaviano Celaschi, Claudia Collina, Simona Riva Giovanna Cassese Beatrice Cunegatti, Silvia Ferrari e Mirella Maria Plazzi e mostre diffuse sul territorio.

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Il Museo Baracca di Lugo: sulle ali del patrimonio artistico Daniele Serafini, Simona Parisini

La scelta di digitalizzare la collezione del Museo Baracca e una parte significativa di materiale grafico e fotografico che questa istituzione ha acquisito nel corso del tempo ha dato in prima battuta un impulso alla riconsiderazione della gestione fisica e informativa del materiale. L’acquisizione di immagini digitali e l’organizzazione dei dati secondo criteri analitici per la catalogazione richiedono, infatti, una particolare attenzione di dettaglio per ogni singolo oggetto e documento, conservando allo stesso tempo una visione organica, ordinata e coerente dell’intero patrimonio. La varietà nella tipologia dei beni catalogati finora, dalle uniformi alle fotografie, dalle armi/aerei alle cartoline, ha comportato per ogni bene la compilazione di uno specifica scheda basata su modelli standard (i tracciati OA, S, F normati dall’ICCD, che considerano rispettivamente oggetti d’arte, stampe e fotografie) operando all’interno di un unico sistema informativo, il Catalogo del Patrimonio Culturale dell’EmiliaRomagna, che quindi complessivamente conserva, gestisce e mette in relazione informazioni eterogenee, ma organizzate secondo criteri comuni. Una volta controllate e approvate, le schede sono state pubblicate online, quindi rese liberamente fruibili dal pubblico attraverso un unico portale di accesso, PatER. Al momento attuale, al Museo Baracca fa capo la catalogazione di 155 oggetti (cimeli di guerra e ricordi dell’eroe dei cieli Francesco Baracca, parte dell’allestimento museale), 220 fotografie (la raccolta del fotoreporter Raffaele Garinei) e 2906 stampe (le cartoline illustrate della raccolta Baldini). Numeri significativi che corrispondono a un’importante azione di restituzione alla cittadinanza, non solo locale ma della rete globale, delle ricche collezioni storico-culturali lughesi: un contributo rilevante per la conoscenza e per le ricerche sul periodo della Grande Guerra, con innumerevoli temi di approfondimento. Un nucleo che all’interno del Catalogo del Patrimonio regionale non è chiuso, ma in relazione con le altre collezioni, in quanto, grazie ai criteri uniformi di catalogazione, è possibile navigare al suo interno attraverso la fitta rete di connessioni reciproche basate sulle analogie crono-tipologiche e semantiche dei singoli elementi, al di là delle collezioni a cui appartengono, favorendo in questo modo una più ampia ricerca e stimolando nuove scoperte.

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Di rilievo è stata anche la catalogazione del patrimonio artistico del Comune di Lugo, attraverso la documentazione fotografica di un’ampia selezione di sculture e dipinti attualmente distribuiti in varie sedi in un’ottica di “Pinacoteca diffusa”, e confluiti nel portale “Arte in Comune” (arte.comune.lugo.ra.it), un percorso artistico nelle sedi municipali tra Novecento e contemporaneo curato da Orlando Piraccini e Daniele Serafini. L’obiettivo che ci si pone è di rendere il più possibile conosciuto il patrimonio della città, in modo che possa essere sia consultabile da studiosi e appassionati, sia fruibile da quanti hanno a cuore le nostre istituzioni culturali. In questa direzione va l’inventario appena portato a termine di una importante sezione del “Fondo Baracca”, quella relativa a quotidiani e riviste che documentano la nascita e la persistenza del mito dell’aviatore Francesco Baracca, primo passo per la catalogazione completa del fondo stesso, in occasione delle celebrazioni per il centenario della fine della Grande Guerra e delle commemorazioni per il centenario della morte dell’eroe lughese.

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Il “Caso Forlì” Orlando Piraccini, Flora Fiorini

Un “caso”: come diversamente definirlo quello che all’interno dell’attuale sistema museale emilianoromagnolo riguarda proprio Forlì? Qui c’è una città che appare interamente investita dal nuovo rispetto alle proprie istituzioni culturali, tanto più all’indomani del duro colpo inferto dall’ultima violenta scossa di terremoto alla sede storica di Corso della Repubblica, dove con i musei ha sede la civica biblioteca con le sue collezioni piancastelliane. Certo, una vera e propria “movimentazione” aveva investito il patrimonio artistico locale, ben prima che Palazzo del Merenda venisse quasi interamente interdetto al pubblico per motivi di sicurezza. Già la sezione antica della pinacoteca risultava in parte riordinata all’interno dell’ex comparto conventuale di San Domenico, divenuto noto al mondo dell’arte per le “grandi mostre” annualmente promosse dalla Fondazione Cassa dei Risparmi. Ma poi, e siamo al 2012, ecco nascere all’interno del palazzo, che fu un tempo della nobile famiglia Romagnoli, il nuovo museo per le raccolte civiche del Novecento. Qui finalmente ha trovato “casa” una delle più straordinarie collezioni d’arte italiana del secolo scorso, quella costituita dall’industriale Giuseppe Verzocchi nell’immediato dopoguerra sul tema “Il lavoro”, poi donata alla città di Forlì e per troppo tempo rimasta obsoleta all’interno di Palazzo del Merenda. E sempre al Romagnoli, ora sono visibili le serie delle sculture di Adolfo Wildt che rimandano al nome di Paulucci de Calboli e i “gioielli” morandiani della Collezione Righini, mentre un percorso nella vicenda artistica romagnola del secolo scorso è stato tracciato attingendo dal cospicuo patrimonio figurativo che collega il tardo ‘800 alla contemporaneità. Un tale fermento progettuale destinato a determinare nel breve periodo nuove espansioni degli ordinamenti museali del San Domenico e del quasi adiacente Palazzo Romagnoli e, non ultimo, un riassetto dello stesso Palazzo del Merenda, non poteva che essere accompagnato da un’azione conoscitiva sistematica del patrimonio artistico di pertinenza comunale. Un vero e proprio piano poliennale di catalogazione concordato con l’Istituto per i beni culturali, ha prodotto effetti concreti per la sezione antica della pinacoteca, sia per quanto concerne la revisione delle schedature e delle documentazioni fotografiche preesistenti, sia l’inserimento di nuove schede con le relative immagini nel Catalogo del Patrimonio

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Culturale dell’Emilia-Romagna. I numeri sono eloquenti. Risultano oggi accessibili in rete le schede di ben 1026 opere della Pinacoteca, mentre sono attualmente oltre 1500 quelle in fase di verifica e compilazione. Va sottolineato che le continue campagne di catalogazione hanno permesso di schedare e divulgare ben 3784 fra opere e oggetti d’arte, beni demoetnoantropologici, strumenti, materiali musicali e fotografici delle vaste raccolte civiche forlivesi (Pinacoteca, Museo Etnografico Romagnolo “B. Pergoli”, Museo Romagnolo del Teatro, Museo del Risorgimento “A. Saffi”, Villa Saffi e Museo Storico “Dante Foschi”). Ma il più significativo “cantiere aperto” sul fronte catalografico è quello che riguarda proprio le raccolte novecentesche e i materiali della contemporaneità che da qualche anno fanno capo alla sezione museale di Palazzo Romagnoli. Qui, può dirsi esaurita una prima fase di lavori che ha riguardato la Collezione Verzocchi, compreso anche il corpus delle opere grafiche strettamente connesso alla componente pittorica, ed altri nuclei di particolare rilevanza, come quelli monografici di noti artisti forlivesi, da Giovanni Marchini, a Maceo Casadei, a Pietro Angelini. Ma straordinariamente vario ed articolato è il patrimonio che l’apprezzatissima serie espositiva intitolata Novecento rivelato andata in onda negli scorsi anni a Forlì ha consentito di apprezzare nelle sue molteplici componenti. È dunque su tali materiali, che all’interno di Palazzo Romagnoli si sta oggi concentrando un’azione conoscitiva estremamente precisa e capillare, come può dimostrare anche la recente indagine svolta sul corpus delle xilografie di Antonello Moroni. Nell’impresa catalografica in atto, la miglior via è sembrata quella indicata dallo stesso ordinamento espositivo all’interno del palazzo di via Albicini, con l’accattivante titolo di Grande Romagna e nel quale è possibile riconoscere ed identificare alcuni nuclei tematici precisi: è il caso della scultura con una presenza inaspettatamente notevole, specialmente per il periodo tra le due guerre; oppure delle opere che rimandano al rinomato “Cenacolo Forlivese” che tra gli anni Venti e Trenta animò la vita cittadina; o ancora dei materiali che si riferiscono alle varie “stagioni dei premi”, quella delle “sindacali” prebelliche, ma specialmente quella del secondo dopoguerra con la “Biennale Romagnola d’Arte”. Ma certo non sarà “catalograficamente” trascurato il non esiguo nucleo di opere della civica pinacoteca che rimandano alla creatività del nostro tempo. Come dev’essere, in fondo, per un Palazzo Romagnoli che pure al contemporaneo intende quanto prima connettersi.

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Le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara: tra catalogazione e riallestimento

Chiara Vorrasi

Tra il 2013 e il 2014 sono state catalogate 498 opere appartenenti alle collezioni delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, nell’ambito della campagna promossa dall’Istituto per i beni artistici culturali e naturali per sviluppare il Catalogo regionale dei beni culturali. Il progetto ha rappresentato una preziosa opportunità per i nostri musei a diversi livelli. La possibilità di estendere l’accessibilità del patrimonio museale è apparsa infatti particolarmente significativa nel momento in cui, a seguito del terremoto del 2012, le collezioni erano state disallestite dalla loro sede, Palazzo Massari, in attesa del completamento del restauro architettonico-museografico. Già dall’indomani del terremoto, la volontà di restituire le raccolte, anche solo parzialmente, alla fruizione del pubblico aveva trovato un segno tangibile nelle esposizioni temporanee allestite a Palazzo dei Diamanti e poi a Palazzo Pitti e a Palazzo Bardini a Firenze, grazie alla collaborazione con la Soprintendenza per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale di Firenze. Alle esposizioni si era accompagnata la pubblicazione sul sito del museo di un primo nucleo di schede di opere tratte dal catalogo della mostra. Parallelamente, la prospettiva del futuro riallestimento delle collezioni a Palazzo Massari aveva innescato una riflessione sulle finalità e sull’ordinamento delle Gallerie e intensificato le ricerche sui fondi, configurando un vero e proprio cantiere di studi sul museo. La possibilità di far convergere e arricchire questi contenuti, sulla base degli standard catalografici ICCD, nell’ambito di una piattaforma informativa condivisa a livello regionale, ha dato corpo alla proposta di collaborazione avanzata dall’Istituto per i beni artistici culturali e naturali. Ampliando il raggio delle indagini avviate con la mostra ferrarese-fiorentina, la selezione delle opere è stata indirizzata, soprattutto, a ricostruire un nucleo museologico che idealmente potesse raccontare la storia e il significato del museo, nelle sue connessioni con il contesto di appartenenza, mettendo in risalto la rilevanza storico-artistica dei suoi episodi di punta. Ne sono testimonianza, innanzitutto, i due principali nuclei collezionistici, il Museo Giovanni Boldini e la raccolta di opere di Filippo de Pisis del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea a lui intitolato, che sono stati oggetto di un’ampia campagna di catalogazione. La schedatura dei fondi boldiniani, estesa a 97 opere, ha riguardato non solo lo straordinario nucleo di dipinti del museo, che copre tutto l’arco della carriera del celebre ritrattista, ma anche un cospicuo corpus di opere su carta - pastelli, acquerelli, disegni, incisioni- in cui si esprime il formidabile talento dell’artista nel condensare in pochi segni il carattere di un modello femminile o di qualsiasi altro soggetto su cui si sofferma la sua attenzione. Il lavoro di selezione e di catalogazione si è potuto avvalere degli studi sulle collezioni condotti in preparazione delle esposizioni dedicate lo scorso anno all’artista, al China World

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Art Museum di Pechino e al Museo statale dell’Ermitage, oltre che dell’allestimento presso il Castello Estense, nel 2015-16, di una scelta di opere di Boldini e de Pisis. Lo stesso vale per il nucleo depisisiano, che è stato in gran parte catalogato. Le 166 schede realizzate permettono di ripercorrere la parabola di De Pisis nella sua interezza: dalle opere frutto del contatto con la pittura metafisica, alla scrittura immediata e quasi gestuale della maturità, fino alle ultime creazioni rivelatrici di una poesia essenziale. Emerge inoltre il ruolo del disegno nel processo creativo del pittore così come la qualità lirica della produzione litografica. Altrettanto importanti appaiono gli affondi su figure di primo piano dell’Otto e del Novecento italiano, quali Gaetano Previati, Giuseppe Mentessi o Roberto Melli, dei quali le collezioni ferraresi conservano ampi nuclei. La schedatura ha riguardato anche le opere su carta di cui ha messo in evidenza peculiarità e qualità. Un esempio per tutti è lo studio a carboncino sul tema della morte di Cleopatra: il foglio non ha nulla da invidiare agli esiti delle opere pittoriche ispirate allo stesso soggetto (1888 e c.1903) nella capacità di evocare, con la sensibilità del chiaroscuro, lo stato d’animo del soggetto. Parallelamente, la mappatura ha perseguito un criterio diacronico in grado di dare testimonianza alle stagioni che, attraverso due secoli, hanno determinato la configurazione delle collezioni. La selezione del Museo dell’Ottocento prende avvio nel clima culturale e artistico nel quale è sorta la Pinacoteca municipale, e si sviluppa tra le temperie puriste, romantiche e risorgimentali che ebbero come protagonisti ferraresi Gaetano Turchi, Giovanni Pagliarini, Massimiliano Lodi e Angelo Conti; il punto d’arrivo, negli ultimi decenni del secolo, è rappresentato dalla stagione delle battaglie per il rinnovamento artistico, in nome della natura o dell’idea, parole d’ordine in cui si riconoscono, da un lato, il giovane Boldini e Alberto Pisa, dall’altro, Gaetano Previati, Giuseppe Mentessi, Giuseppe Fei o Arrigo Minerbi. Ad aprire la parabola del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea sono poi i fermenti d’avanguardia interpretati dalle opere di Aroldo Bonzagni, Annibale Zucchini e Roberto Melli. Questi, nel periodo tra le due guerre, è una figura di rilievo nell’ambiente romano, tra Valori plastici e Scuola romana, mentre Achille Funi incarna il polo novecentista milanese vicino a Sironi. Le attività di ricognizione sulle collezioni di primo e secondo Novecento e l’accurato studio in sede di catalogazione hanno arricchito questo mosaico di preziosi tasselli –come il disegno di Umberto Boccioni donato da Orfeo Tamburi assieme a un ampio nucleo di disegni e incisioni di artisti europei– e sono state poste le premesse per evocare quel clima di sperimentazione e aggiornamento internazionale che connota la programmazione espositiva e la produzione video-performativa degli anni Sessanta-Settanta. Basta citare i dipinti di André Masson e Renato Guttuso e delle litografie di Emilio Vedova entrati nelle collezioni civiche in occasione delle monografiche allestite a Palazzo dei Diamanti nel 1968 - 69, o i bronzi di Man Ray e di Mirko Basaldella - già oggetto di uno studio in collaborazione con il Garden Club. Un filo rosso collega poi le ricerche di uno dei padri dell’astrattismo italiano, chiamato a Ferrara, Luigi Veronesi, che dalla fine degli anni Trenta sperimenta il cinema d’artista, e il lavoro di artisti che, negli anni Settanta, hanno gravitato attorno al Centro video arte di Ferrara e ad altri pionieristici centri italiani di produzione video quali la Galleria del Cavallino - ad esempio Guido Sartorelli. La messa in valore dell’importante fondo ferrarese di opere video e della relativa documentazione sarà possibile soprattutto a completamento del progetto di video-preservazione e mappatura realizzato in collaborazione con l’Università di Udine. Nel frattempo, dopo l’esito molto positivo della prima campagna di catalogazione, l’attività è ripresa lo scorso anno con la schedatura della raccolta di opere pittoriche di Antonioni. L’intervento rientra nell’ambito di un progetto di riordinamento, inventariazione archivistica e catalogazione del Fondo Michelangelo Antonioni avviato dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea in collaborazione con l’IBC e finalizzato alla valorizzazione del patrimonio di documenti e oggetti personali testimoni della vita e dell’opera del grande cineasta ferrarese.

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I Musei Civici di Modena: lavori in corso Lorenzo Lorenzini

La collezione tessile “Luigi Alberto Gandini” Quando nel 1886 i Musei Civici si trasferirono nella nuova sede del Palazzo dei Musei, l’allestimento comprendeva già la Collezione Gandini, uno degli assi portanti dell’istituzione stessa. Gli oltre duemila frammenti tessili furono ordinati in una grande sala con arredo, illuminazione e decorazione pensati appositamente per quella tipologia di oggetti. Il conte Luigi Alberto Gandini, oltre ad avere ben presente quali fossero le esigenze museografiche dei materiali da lui collezionati, elaborò un sistema classificatorio molto vicino ai moderni criteri di schedatura. Ad ognuno dei frammenti di tessuto che componeva la raccolta, lo studioso dedicò una scheda redatta su un foglio prestampato recante le principali voci identificative: inventario, oggetto, datazione, provenienza, misure, materia e tecnica ecc. Una metodologia assai vicina ai criteri conoscitivi attuali che, sviluppando per ogni oggetto un documento a se stante, si svincola e supera quello strumento imprescindibile che è l’inventario. A quelle date resta un caso abbastanza isolato nel panorama museale e, benché a distanza di un secolo, forse non è del tutto casuale che proprio su quella raccolta, iniziò in collaborazione con l’IBC, il capillare lavoro di ricognizione e di restauro, sfociati poi nella pubblicazione dei quattro cataloghi della collezione e del suo riallestimento nella sala storica. La prima schedatura iniziò nel 1980 su un modello messo a punto dal CIETA ma che non poteva che continuare, ampliandolo, lo schema di Gandini; fu l’incipit di un’attenzione e di una cura da parte dell’IBC durata oltre un trentennio ma, se da un lato il caso divenne esemplare, dall’altro ne causò una vera e propria “sovraesposizione”. E così, quando in tempi recenti iniziò il programma di schedatura informatizzata con i finanziamenti erogati in base alla L.R. 18/2000, la preferenza andò ad altre tipologie, pur restando la Gandini un esempio precoce e particolarmente fruttuoso. Il Museo del Risorgimento La prima vera campagna di schedatura prende il via nel 2003 e, rientrando in un più vasto progetto di valorizzazione dei musei del Risorgimento, ha come oggetto la collezione modenese i cui reperti, dopo la chiusura del museo avvenuta nel 1992, erano stati collocati in deposito. La sede, nonché i materiali storici

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e il loro allestimento, mostravano notevoli problemi conservativi, era inoltre necessario un aggiornamento degli studi storici. Contestualmente alla campagna di schedatura sono stati eseguiti la rilevazione fotografica, la manutenzione, il restauro e un nuovo stoccaggio di tutti gli oggetti, in totale 2176. Per 1135 di questi reperti è possibile vedere le schede on line, oppure consultare il catalogo pubblicato nel 2011 nella collana IBC “ER Musei e territori”: Il Museo del Risorgimento di Modena a cura di L. Lorenzini, F. Piccinini, BUP Bologna, nel quale sono stati affrontati temi come la storia del museo stesso, le vicende politiche di cui è stato un riflesso nonché una lettura storica aggiornata. Sono stati inoltre schedati un prezioso nucleo documentario di 2780 carte autografe; oltre 2500 immagini che il “Fotomuseo Giuseppe Panini” conserva dopo l’informatizzazione e la manutenzione; 2300 volumi dei 4000 facenti parte della biblioteca specializzata sono stati inseriti nel Catalogo Biblioteche del Sistema Comunale e Provinciale (OPAC); infine, a cura dell’IBC, è stato riordinato l’archivio. Un imponente lavoro che tuttavia non ha portato alla riapertura del Museo del Risorgimento ma che ha fatto, piuttosto, maturare la convinzione che il nuovo allestimento debba svilupparsi nel contesto dell’ampliamento dei Musei Civici, ora in fase di progettazione negli spazi recuperati dell’ex Ospedale Estense. Inaugurato nel 1894, il museo fu trasferito nel 1924 in due sale del piano terra del Palazzo dei Musei, ancora oggi identificate come tali nonostante la diversa funzione. La collezione dei dipinti e il fondo “Giuseppe Graziosi” Se le raccolte “Gandini” e del Risorgimento possono essere ricondotte ad un percorso conoscitivo canonico - dall’inventario alla schedatura, dallo studio approfondito alla pubblicazione e, infine, all’allestimento museale - per i dipinti e le opere di Graziosi l’iter è contrario. La schedatura informatizzata (L.R. 18/2000) arriva infatti come atto conclusivo, dunque, più che di un’azione fondativa si tratta di un riconoscimento e di un importante strumento divulgativo. Le 280 schede dei dipinti antichi e le 435 dei dipinti moderni sono state redatte a partire dai cataloghi già pubblicati, completate però da una campagna fotografica digitalizzata. Il patrimonio pittorico del museo comprende vari nuclei collezionistici: la collezione “Campori”, donata dal marchese Matteo nel 1929; la collezione “Carlo Sernicoli” donata nel 2007 e, infine, il fondo Graziosi, frutto di acquisti e doni, il più cospicuo dei quali avvenne negli anni ‘70 del Novecento da parte degli eredi dell’artista modenese. Da queste brevi annotazioni si evince quale sia stata la genesi dei Musei Civici, espressione cittadina di un singolare senso civico. Lavori in corso Il lavoro serrato condotto in collaborazione con l’IBC non copre la complessità e la varietà delle raccolte museali, soltanto in parte studiate e oggetto di schedature e pubblicazioni. Attualmente si sta portando a termine l’informatizzazione del nucleo di ceramiche composto di circa 400 oggetti interi o ricomposti e 800 frammenti. In previsione per il prossimo futuro è la schedatura della raccolta di strumenti scientifici.

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Il Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo: unificare catalogando Diego Galizzi

Nell’odierno e a volte acceso dibattito sulla gestione del patrimonio culturale italiano accade spesso di sentir parlare di tutela e conservazione in alternativa, se non in contrapposizione, alla valorizzazione. Nella realtà, ovviamente, la questione è molto diversa. Il caso del Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo rappresenta infatti un esempio interessante nel quale le linee strategiche di valorizzazione museale passano proprio per il costante, silenzioso ma imprescindibile processo conoscitivo della catalogazione. L’eterogeneità dei materiali conservati nel museo bagnacavallese (dipinti, sculture, disegni, ma anche un considerevole fondo di incisioni e di matrici) ha richiesto nel tempo approcci e anche strumenti informativi differenti. All’inizio degli anni Duemila una discreta porzione delle collezioni risultava inventariata, grazie a una campagna catalografica del 1985 che ha avuto il pregio di fotografare, per la prima volta, la consistenza del patrimonio museale, sebbene sotto forma di schede OA ancora embrionali ed esclusivamente dattiloscritte. Negli stessi anni si andava formando presso il museo una ricchissima collezione di incisioni, che oggi conta più di 12.000 opere. Un accrescimento così veloce del Gabinetto delle stampe del museo, frutto dell’intensa attività di ricognizione degli incisori operanti in Italia svolta in occasione della pubblicazione periodica del Repertorio degli incisori italiani, ha comportato la necessità di dotarsi di uno strumento informatizzato interno in grado di affrontare il compito di raccogliere, quasi in tempo reale, i dati catalografici dei fogli acquisiti, mettendoli sin da subito online. Si trattava di una banca dati immensa, con immagini e schede essenziali esemplate sul modello delle schede S. A fronte della preziosità dei dati raccolti, si andavano tuttavia progressivamente manifestando tutti i limiti dovuti a un sistema chiuso, non dialogante, consultabile unicamente dal sito web del museo e sostanzialmente invisibile ai principali sistemi informativi online del patrimonio culturale. L’avvento del Catalogo digitale del Patrimonio Culturale dell’Emilia-Romagna, il sistema di catalogazione web-based promosso dall’IBC, ha rappresentato una vera svolta e l’inizio di un percorso che ha portato nel tempo a quasi completare l’impresa conoscitiva delle collezioni del museo. A partire dal Piano Museale 2003 (L.R. 18/2000), il museo ha potuto usufruire di diverse campagne catalografiche, dirette in parte

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a tradurre in dati informatizzati il contenuto delle vecchie schede dattiloscritte, in parte a ereditare precedenti schede compilate in particolari occasioni, come nel caso del catalogo generale del fondo Enzo Morelli, altre volte a produrre nuove schede OA. Sono state così pubblicate nel sistema informativo regionale diverse centinaia di schede OA. Ma al di là dell’impegno diretto dell’IBC sul territorio, la novità che ha davvero cambiato il modo di intendere il processo catalografico è stato l’avvio di un percorso di responsabilizzazione dei musei, i quali sono stati messi in condizione, anche grazie a un sistema di accesso remoto in grado di raccogliere localmente le informazioni, di essere essi stessi gli attori di quella che è ormai un’unica e integrata campagna catalografica su vasta scala, secondo un modello non più top-down ma buttom-up. Significativo, per capire le dimensioni del fenomeno, che in virtù di questo nuovo corso il Museo Civico delle Cappuccine dal 2011 ad oggi abbia compilato e pubblicato autonomamente - previo controllo di uniformità dei dati da parte di IBC - ben 2701 tra schede OA e schede MI. Un discorso a parte merita la questione della catalogazione del fondo di incisioni contemporanee, che proprio in questi mesi è al centro di un importante progetto (in collaborazione con l’IBC e con il supporto tecnico di Data Management) che condizionerà le future linee di azione del museo anche in termini di valorizzazione del patrimonio. A distanza di circa vent’anni dalla prima edizione del Repertorio degli incisori italiani e di un quindicennio dalla messa in rete nell’inventario online del Gabinetto delle stampe, il contesto appare oggi radicalmente cambiato. Se negli anni ‘90 per poter avere un quadro esaustivo della grafica artistica in Italia il Repertorio era uno strumento editoriale quasi indispensabile, oggi la pubblicazione non appare più imprescindibile a causa dei numerosi altri canali di informazione presenti in rete. Parallelamente l’inventario online - divenuto nel frattempo il principale punto di forza del Gabinetto delle stampe, in grado di catalizzare l’interesse degli incisori che vedono nella possibilità di inserire anche il loro lavoro nella banca dati un fattore di visibilità e, forse, anche di riconoscimento - presenta diverse criticità: si tratta di un sistema chiuso, come si diceva, dalla forma estetica datata e con procedure di aggiornamento piuttosto macchinose. Di qui la decisione di abbandonare queste esperienze, per dare vita a un progetto fortemente orientato alla digital technology innovation: il Repertorio digitale dell’incisione italiana contemporanea, un portale web che si prefigge l’obiettivo di diventare un punto di riferimento nazionale e internazionale per la conoscenza della grafica contemporanea italiana. Attorno ad esso ruoteranno numerose funzioni. Innanzitutto l’inserimento e la simultanea messa in rete delle schede catalografiche e delle immagini delle opere sfruttando il sistema informativo regionale PatER (Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna) con intenti di inventariazione patrimoniale, di documentazione e di condivisione dei dati con le principali banche dati online. Tuttavia il Repertorio digitale rivestirà un altro importante ruolo: quello di rappresentare verso l’esterno l’identità stessa del Gabinetto delle stampe, il suo nome, la sua riconoscibilità, la sua reputazione. Il presupposto di questa vasta ristrutturazione è stata, ancora una volta, la piattaforma sw © Samira, all’interno della quale sono state trasferite, dopo alcuni inevitabili adattamenti, le 11.216 schede precedentemente archiviate nel inventario interno del museo. Sono molte le considerazioni che hanno portato a far confluire questo “tesoro” catalografico nella piattaforma regionale. In primo luogo la versatilità del sistema, che rende possibile il riutilizzo e la restituzione delle informazioni anche in altri contesti, ma soprattutto la presa d’atto che l’adozione di un sistema aperto e dialogante con altri portali nazionali ed europei del patrimonio culturale sia la garanzia di una prospettiva futura più solida ed efficace. Alla base di questo progetto, che vedrà la luce entro l’estate prossima, c’è la convinzione condivisa che un istituto museale al servizio della comunità debba preservare e mettere a disposizione del pubblico il proprio patrimonio. E naturalmente quel “mettere a disposizione” non esprime solo la necessità di offrirlo alla fruizione tradizionale, fisica, ma anche la capacità del museo di essere un soggetto attivo nella creazione e nella diffusione delle conoscenze.

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“IBC. Informazioni, commenti, inchieste sui beni culturali” (XXV, 2017, 1)

Registrazione del Tribunale di Bologna, n. 4677 del 31 ottobre 1978 ISSN 1125-9876 Direttore responsabile Angelo Varni Caporedattore Valeria Cicala Redattori Brunella Argelli, Gabriele Bezzi, Isabella Fabbri, Vittorio Ferorelli, Silvia Ferrari, Monica Ferrarini, Valentina Galloni, Maria Pia Guermandi, Carlo Tovoli Sede di redazione Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna via Galliera 21 - 40121 Bologna tel.: (+39) 051.527.6610/6667 rivistaibc@regione.emilia-romagna.it http://rivista.ibc.regione.emilia-romagna.it/ Segreteria di redazione Silvia Ferrari Progetto grafico e impaginazione Beatrice Orsini Stampa Centro Stampa della Regione Emilia-Romagna

Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna Presidente Angelo Varni Direttore Alessandro Zucchini Consiglio direttivo Andrea Battistini, Giuseppe Bellosi, Vanni Bulgarelli, Francesca Cappelletti © Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna. Tutti i diritti riservati Non tutti gli articoli pubblicati rispecchiano necessariamente gli orientamenti degli organi dell’Istituto: tutti, comunque, sono ritenuti validi sul piano dell’informazione



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