Restauri a palazzo-a cura di Luisa Bitelli e Marta Cuoghi Costantini

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INSERTO

a cura di

Luisa Bitelli e Marta Cuoghi CostantinĂŹ

Imola, palazzo Tozzoni, appartamento barocchetto: la porta della stanza dell'alcova


RESTAURI A PALAZZO

\\estauro 2001: riBCfa il punto MARTA CUOGFII COSTANTINI

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ono passati dieci anni da quando nel 1991 a Ferrara si tenne la prima edizione del Salone dell'arte del restauro e della conservazione. Da allora molte cose sono cambiate anche nel mondo dei beni culturali. Il quadro che oggi si osserva in Italia è estremamente ricco e dinamico, anche nella prospettiva dell'imminente unificazione monetaria dell'Europa, che necessariamente introdurrà molte novità e cambiamenti. In generale oggi si registra maggior interesse verso i musei, l'arte, l'artigianato artistico non solo da parte degli addetti ai lavori ma anche del grande pubblico. In coincidenza con ciò si sono moltipllcate le iniziative promozionali, sono proliferate nuove istituzioni museali, nuovi percorsi formativi in beni culturali; pur con fatica, è stata awiata la riforma delle norme che disciplinano la tutela dei beni storicoartistici secondo criteri di decentramento e ridistribuzione di competenze; nel campo del restauro, supportato da tecnologie sempre più raffinate sia per quanto attiene la diagnostica sia per quanto riguarda le metodologie di intervento, si è andata affermando una nuova sensibilità, un modo nuovo di vedere la disciplina, intesa ora come azione preventiva piuttosto che come rimedio estremo. In Italia, tuttavia, la tutela e la conservazione del patrimonio storico artistico e architettonico, ma soprattutto di quello paesaggistico e naturalistico, rimangono ancora oggi una vera e propria emergenza.

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ibadendo il proprio impegno su questo fronte, l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna è presente anche quest'anno a Ferrara, al Salone del restauro, con un nutrito calendario di incontri cui partecipano operatori museali, restauratori, studiosi, rappresentanti di enti pubblici, fondazioni, associazioni di categoria. In tema di restauro il convegno sulla legge Merloni e sul regolamento per la qualificazione professionale dei restauratori si propone di approfondire le nuove norme introdotte nel settore, con attenzione anche al delicato problema dei

requisiti che d'ora in poi le ditte dovranno possedere per ottenere incarichi di lavoro. Il problema della formazione nel campo della conservazione è stato oggetto della ricerca "CON.B.E.FOR" promossa dalle Regioni Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana e Lombardia insieme all'Associazione Secco Suardo. Gli esiti di questa indagine, che in pratica ha comportato il censimento delle scuole di restauro e dei corsi di formazione operanti in Europa, sono confluiti in un volume e vengono ora presentati a Ferrara come punto di riferimento per individuare nuovi percorsi formativi in questo settore. Il convegno "Museo e cultura della qualità" affronta invece il tema degli standard e degli strumenti gestionali nei musei per fare il punto su quanto si è sviluppato in questi anni in Italia, anche in confronto con gli altri paesi europei. Il censimento e la catalogazione dei beni culturali, compito che l'IBC annovera fra i propri mandati istituzionali, costituisce il tema centrale di due diversi incontri: uno si propone di presentare il recente accordo Stato-Regioni su questa materia ed in particolare la nuova configurazione del sistema informativo messo a punto dall'Istituto centrale per il catalogo, l'altro si propone di definire un quadro comparativo dei sistemi catalografici europei per la descrizione del paesaggio culturale e formulare una nuova proposta metodologica nel quadro del progetto transnazionale "Let's Care Method". Il problema della salvaguardia del patrimonio culturale che documenta l'età contemporanea è oggetto del convegno "Conservare il Novecento: la stampa periodica", che oltre ad esaminare il valore di questi veicoli culturali affronta i diversi problemi legati alla loro conservazione. Al legame che intercorre fra scavo e conservazione dei siti archeologici, infine, è dedicato il convegno intitolato al caso emblematico della città di Ebla.

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l programma fieristico dì Ferrara comprende anche due piccole rassegne espositive dedicate rispettivamente a campane ed orologi da torre e agli arredi di una casa-museo, ambiti di lavoro assai diversi ma ugualmente esemplificativi dei programmi di lavoro dell'IBC. "Il suono del tempo" riunisce per il pubblico ferrarese una significativa campionatura di campane e di orologi da torre, oggetti familiari a ciascuno di noi per la funzione storica che essi hanno svolto nell'ambito della comunità, della


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Giudìzio di Paride (cerchia di Marcantonio Francescani, XVIII secolo)

parrocchia o del centro civico, ma poco noti se non sconosciuti per quanto riguarda le loro caratteristiche tecniche e costruttive. Punto di arrivo di una lunga ricerca sul territorio, la mostra sottolinea anche gli aspetti inerenti alla salvaguardia di questo raro patrimonio, in particolare la delicata manutenzione che simili manufatti comportano. "Le stanze del Conte" nasce con l'intento di valorizzare il patrimonio di oggetti d'arte e arredi d'epoca di palazzo Tozzoni a Imola, una dimora nobiliare del XVIII secolo divenuta museo agli inizi degli anni Ottanta. In una ricostruzione scenografica degli spazi reali, la mostra presenta una selezione di opere provenienti dall'"appartamento barocchetto", l'ala del palazzo che meglio documenta la cultura del tardo barocco, teatro di una impegnativa campagna di restauri condotti col sostegno regionale. Correlata e strettamente connessa alla rassegna, da cui prende spunto, è un'altra iniziativa ferrarese dedicata per l'appunto al tema della conservazione delle tappezzerie antiche. "L'abito delle dimore storiche", questo è il titolo del convegno, intende fornire un quadro di aggiornamento sulle complesse problematiche connesse a questo settore, affrontando non solo gli argomenti riguardanti le tecniche del restauro in senso stretto ma anche gli aspetti relativi alla gestione di questo genere di materiali e i costi spesso elevati che simili interventi comportano.

Presso lo stand IBC, infine, trova spazio "Bologna 2000 Città europea della cultura" con tre importanti progetti sul tema della conservazione preventiva messi a punto dal CNR - Consiglio nazionale delle ricerche, dall'ENEA - Ente per le nuove tecnologie l'energia e l'ambiente e FISAO - Istituto di scienze dell'atmosfera.

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^'introdurre le pagine di questo inserto, che come di consueto esce in concomitanza con il Salone del restauro, ci sembrava doveroso richiamare sinteticamente le iniziative dell'IBC tracciando una sorta di promemoria per il visitatore della fiera ferrarese. Tanto più che l'inserto ha carattere monografico, accompagna la mostra su palazzo Tozzoni, ne delinea la tipologia e la storia, presenta la famiglia che lo abitò per secoli, documenta i restauri condotti sugli arredi. Ma saranno i testi di Claudia Pedóni, Oriana Orsi, Claudia Baroncini e Luisa Bitelli, insieme alla suggestiva antologia di immagini che li accompagnano, a guidare il lettore in un ideale percorso attraverso le stanze del palazzo, con attenzione alla duplice chiave di lettura dell'antica dimora nobiliare ora divenuta casamuseo e del cantiere di restauro, luogo di incrocio delle competenze di conservatori e studiosi, restauratori di dipinti e decoratori, ebanisti, tappezzieri, restauratori di tessuti.


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L\obili dimore e case-museo CLAUDIA PEDRINI

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opo che per cinque secoli aveva accolto la vita e le vicende della famiglia, nel 1978 la dimora imolese dei conti Tozzoni diventa patrimonio pubblico e di lì a breve le sue stanze sono destinate ad aprirsi non più solo ad un ristretto numero di ospiti. Il palazzo, dagli ambienti di servizio a quelli di rappresentanza, con i propri arredi ancora nell'assetto originario e d'uso, le collezioni d'arte e l'archivio, per volontà di Sofia Serristori Tozzoni, diviene un museo. Di quel particolare tipo che sono le case-museo. Di solito per caratteristiche e valenze i due termini sono assai distanti: la casa è la negazione del museo moderno quale luogo che isola ed esalta le opere astraendole dal contesto di appartenenza ed imponendo loro un ordinamento sistematico, comprensibile e fruibile dai più; la casa è per eccellenza il luogo naturale, privato ed originario, di collocazione delle opere d'arte, con le quali vivere in un contatto quotidiano: il luogo di sedimentazione degli oggetti storici e della memoria. La casa-museo, negli esempi migliori e ben intesi, può mettere in crisi questa antinomia e invitare a qualche riflessione.

amante, collezionista e studioso appassionato degli interni domestici e degli arredi, un precursore nella sua attenzione alle tematiche del gusto dell'abitare e delle casemuseo (la cui casa romana peraltro Chastel frequentava). Delle case-museo Praz coglieva la peculiarità e diffidava, con senso critico all'epoca raro, dalle "imitazioni": Un preconcetto diffuso associa invariabilmente la freddezza al carattere d'un museo. Ove le cose son catalogate, hanno numero d'inventario, sono assicurate ai muri o protette dai cordoni sicché qualche malintenzionato visitatore non rubi o non sciupi, ivi a giudizio comune è morte e cimitero. Classificati in vetrine, oggetti simili in compagnia di oggetti simili, per belli che siano ne svanisce ogni profumo, ne esula ogni incanto: l'ordine logico sopprime l'alone fantastico. Onde la tendenza moderna di presentare i musei come appartamenti arredati, e le curiose trovate di Wilhelm R. Valentiner, consulente di collezionisti americani, che cercava di rendere vive le sale dei musei con colpi d'occhio pittoreschi [ . . . ] . Godesti espedienti sanno alquanto di bric-abrac [...]. Altra cosa da tali fìttizi arredamenti sono le case arredate divenute musei."

Ma se è vero che la casa è la negazione del museo sistematico, è pur vero che la casa ha una valenza museale intrinseca e costituisce il precedente più diretto del museo. Caratteristiche, queste, sia delle dimore antiche che di quelle più recenti, sia di quelle ricche e prestigiose che di quelle più modeste. Le antiche gallerie per le statue e le sale ai piani nobili che presentavano la quadreria e le collezioni preziose di famiglia sono gli antecedenti diretti dei musei. Ma più estesamente, ed anche in casi di minor prestigio co-llezionistico e sociale, ogni casa assolve ad una vita di relazioni domestica e pubblica per la quale gli oggetti vengono creati, conservati ed esposti da chi abita secondo valori di affezione: per mantenere un legame con il ertamente le case-museo sfuggono quei pericoli a passato e la storia, per manifestare il proprio status, gusto cui va incontro il museo sistematico tipico dell'epo- e preferenze culturali. In questo "vero paradiso degli ogca moderna e di cui avvertiva Andre Chastel: esaltando getti" - come scrive Cesare De Seta a proposito della casa l'opera e l'oggetto in sé, creando "oggetti erratici [ . . . ] - "a seconda dei livelli sociali, culturali ed economici esiabbiamo creato dei talismani preziosi per mantenerci sve- ste una diversa natura di oggetti: ma in ogni casa, anche gli, ma con un rischio: che un'accumulazione monotona la più povera, si registra questo processo di museificazione ne annulli a poco a poco la virtù".1 Pericolo sventato degli oggetti".3 quando "grazie a una sorta di incastro esemplare, la col- La casa quindi, e con essa la casa-museo che riesca a non lezione s'inscrive wt\V edificio che 1% città riveste". Cosa che perdere la dimensione di dimora vissuta, è il "museo navale per la maggior parte dei musei italiani - a cui Chastel turale", il luogo in cui cogliere l'arte e la storia nelle loro si riferiva — inseriti in contesti architettonici e urbani storici, manifestazioni più accostanti e domestiche, e, di fruirle e che vale al massimo grado per la casa-museo. nella forma più vicina a quella originaria. I,e case-museo In fondo sono osservazioni vicine a quanto già scriveva sono luoghi ideali di confine e permeabilità tra l'eccezionel 1944 Mario Praz, il professore di letteratura inglese naiità del museo e la quotidianità della casa.

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Lo scalone, veduta dalla loggia superiore


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? Emilia-Romagna presenta un panorama piuttosto ricco e vario di questi musei. A fianco infatti di un caso piuttosto raro quale quello imolese (un palazzo abitato per secoli da una famiglia della nobiltà locale divenuto museo integralmente e senza sostanziali modifiche) sono presenti altre diverse tipologie di casa-museo. Dalle abitazioni di letterati o personaggi insigni, che hanno nei ricordi e cimeli legati alla vita e alla produzione degli illustri abitanti il fulcro maggiore di interesse (basti citare Casa Carducci a Bologna, o Villa Verdi, o II Cardello di Alfredo Oriani a Casola Valsenio) si arriva ai due esempi ferraresi di case rinascimentali, Casa Romei e la Palazzina di Marfisa d'Este, che presentano ancora l'architettura e la suddivisione degli spazi di abitazioni signorili quattrocinquecentesche con soffitti e brani di affreschi originali ma che sono, nel primo caso, completamente senza arredi e, nel secondo, con arredi reperiti sul mercato antiquariale al fine di rievocare gli interni di una dimora cinquecentesca. Il territorio parmense offre i due casi delle rocche di Fontanellato, con la famosa saletta del Parmigianino, e di Soragna, proprietà dei principi Meli Lupi che la aprono regolarmente al pubblico. Si tratta di due esempi ben conservati di architettura militare e residenziale che in parte presentano ancora integra la veste originaria degli interni, come accade nell'appartamento nobile della rocca di Soragna, con stucchi, dipinti, mobili intagliati e dorati e stoffe della seconda metà del XVII secolo e inizio del XVIII. Un caso singolare è costituito dalla Civica Galleria Parmeggiani di Reggio Emilia, un esempio di quel particolare tipo di casa-museo costituito dalle abitazioni di collezionisti (famosi sono i musei Poldi Pezzoli e Bagatti Valseceli! a Milano) in cui predomina la dimensione espositiva delle opere d'arte, mentre sono ancora abitate dai proprietari. Infine un esempio parallelo, ma assai diverso da palazzo Tozzoni, il palazzo Milzetti a Faenza, divenuto Museo nazionale dell'età neoclassica nel 1979- Commissionato anch'esso da una famiglia dell'aristocrazia locale quale immagine del proprio potere e prestigio, è caratterizzato dagli affreschi e stucchi eseguiti e progettati da Felice Giani. Rari, in questo insieme neoclassico di alta qualità e coerenza, gli arredi superstiti: il palazzo faentino fu venduto non appena terminato e non venne quasi mai abitato, prevalendo ben presto sulla funzione abitativa la fama dei suoi affreschi e la valenza "museale" di luogo da visitare. Un destino assai diverso da quello del palazzo imolese, che non co-

nobbe mai cicli decorativi della qualità di quelli faentini, ma che fu lungamente vissuto dalle generazioni della famiglia Tozzoni, registrando le mutazioni di gusto e conservando in gran parte mobili, suppellettili, stoffe e quadreria voluti dai suoi abitanti.

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egli ultimi anni un'attenzione e una consapevolezza nuove sono maturate in Italia circa l'importanza e la specificità delle case-museo. Si sono tenuti convegni sull'argomento e le ex dimore reali stanno conoscendo un momento di particolare vitalità, a cui ha dato il via l'esperienza pionieristica di studio, restauro e ri allestì mento degli appartamenti reali di palazzo Pitti, riaperti nel 1993 dopo quasi vent'anni di lavori. Operare in musei che sono stati dimore private, come è stato notato, impone attenzioni particolari: la pratica consueta della conservazione e dello studio delle singole opere non può essere disgiunta dalla tutela di quell'insieme fragile e complesso costituito dal sommarsi delle "cose", dalle personalità degli antichi proprietari, dai percorsi e dagli usi originali degli spazi, dalla memoria degli avvenimenti storici accaduti, dalla forte impronta lasciata sugli oggetti dal mutare nel tempo di gusti, esigenze, disponibilità economiche. Il tutto, spesso, calato su di un patrimonio di manufatti estremamente vari per tipologia, materiali ed epoca. A questo delicato equilibrio - il solo che assicura di poter conservare la dimensione di dimora ed il valore di luogo autentico e vissuto - bisogna dedicare la massima cura nella prassi museale: dagli interventi di restauro alla corrente manutenzione, fino alle necessità determinate dall'introduzione del pubblico (didascalie e apparati informativi, percorsi, dispositivi di sicurezza, illuminazione). È quanto si è cercato di fare in palazzo Tozzoni con successivi interventi di restauro a partire dal 1995. Una prima trancile ha interessato gli ambienti a piano terra dell'ala est ai quali, pur privi di arredi, è stata però restituita l'immagine di appartamento domestico scoprendo e ripristinando le vecchie e semplici decorazioni parietali e le incorniciature delle porte settecentesche. In questa ritrovata veste si sono rivelati cornice ideale per ospitare incontri e approfondimenti attorno a preziosi o rari oggetti delle cosiddette arti applicate. Una seconda tranche di restauro è stata quella, giunta ora al termine, dedicata all'appartamento barocchetto al piano nobile. Le tre stanze, termina-


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te nel 1738 e volute dai conti Tozzoni quale appartamento di rappresentanza, sono state restaurate in loto (decorazioni parietali e stucchi, arredi e dipinti) e riarredate sostanzialmente con la guida dell'inventario settecentesco. Ăˆ inoltre in corso un intervento sulle cantine dell'edificio, mirato al restauro e alla catalogazione dei beni demoantropologici che qui sono conservati ed allo studio delle denominazioni ed usi setteottocenteschi dei vari ambienti di servizio.

Ma il cantiere proseguirĂ , a fianco dell'approfondimento necessario della conoscenza, coi restauro di altre parti del complesso e col progetto di nuove iniziative, restando attenti a salvaguardare lo spirito delle antiche stanze abitate dai conti Tozzoni. Note ( I ) A. Chastel, L'Italia, museo dei musei, in Capire l'Italia. ! musei, Milano,TCI -Touring club italiano, 1980, pp. 13-14.

Ritratto di gentiluomo in veste da camera (XVIII secolo), in corso di restauro

(2) M. Praz, La filosofia dell'arredamento, Milano, Longanesi, 1981, p. 34. (3) C. De Seta, Oggetto, in Enciclopedia, IX, Torino, Einaudi, pp. 1015-1016.


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\Jna visita a palazzo Tozzoni ORIANA ORSI

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rasferitisi a ImoladaLucca nel corso del XVsecolo, i Tozzoni si stabilirono già a partire dal 1500 in due case contigue che si affacciavano su via della Fortezza (l'attuale via Garibaldi), trasformandole in palazzo tra il 1726 e il 1738 sotto la supervisione del I1 architetto di origine ticinese Domenico Trifogli. Pur non esistendo dati documentari certi è assai probabile che la risistemazione delle ''case Tozzoni" venne commissionata dal conte Francesco ad Alfonso Torreggiani, architetto bolognese di fama, mentre Trifogli, attivo in città, avrebbe assunto la direzione dei lavori, portando a termine una ristrutturazione modellata sulle accresciute condizioni di status sociale della nobile famiglia imolese ed aggiornata sui moderni usi di rappresentanza. L'imponente mostra del portale d'ingresso sulla strada, lo scenografico scalone e l'altrettanto magnifico salone — elementi della grammatica architettonica bolognese fissati a fine Seicento - nel piano nobile si accompagnano alla creazione di un nuovo quartiere di rappresentanza di tre stanze, che non solo nelle dimensioni ma anche nella decorazione è debitore alla cultura francese dell'abitare e del ricevere d'inizio Settecento. Sempre all'ala ovest, ma al piano terreno, si procedette alla partimentazione delle grandi stanze quattrocinquecentesche in vani più piccoli, funzionalmente diversificati, che attualmente conservano arredi scalati tra il Seicento e il tardo Ottocento. La scansione dei lavori architettonici è percorribile lungo l'arco dei dodici anni necessari al completamento grazie alla rendicontazione delle spese, ancora conservata nell'archivio famigliare. Nel 1818 un ulteriore ammodernamento interessò tre stanze del lato ovest del piano nobile, arredate secondo il gusto antichizzante proprio della cultura neoclassica: al contrario degli adeguamenti settecenteschi questi interventi furono eseguiti in pochi mesi.

Lo scalone II primo intervento strutturale riguardò la costruzione dello scalone d'ingresso e del salone d'onore. La grande scala, che mette in comunicazione il cortile con il piano nobile, si diparte dal loggiato e si snoda lungo due rampe per approdare frontalmente all'ingresso della sala di rappresentanza. I lavori murari per la sua edificazione sono collocabili in modo molto preciso grazie ad un riferimento che compare nel libro delle spese ("Al nome di Dio principia il lavoro della nuova scala, sala et altro sotto la direzione del Sig. Dom.co Trefogli [ . . . ] adì 3 marzo 1726"), mentre la decorazione a stucco è databile al 1730 circa. L'esecutore delle statue è il plasticatore fiammingo Francesco Janssens, allievo dell'Accademia Clementina di Bologna, mentre i rilievi e le decorazioni sono opera dello stuccatore ticinese Giovan Battista Verda. Nelle statue dello scalone il debito con la cultura classica appare ormai saldato, ed esse si collocano di diritto nel solco della tradizione plasticatoria bolognese, vicino ai modi di Angelo Piò: l'austera retorica della cultura figurativa seicentesca è prosciugata in forme esili ed eleganti, che sono alla base del "barocchetto" emiliano. La consueta collocazione delle statue al punto d'incrocio delle rampe, sui pianerottoli, permette di utilizzarle come fulcro ottico; l'atteggiamento stesso delle figure, i corpi in torsione, la postura delle gambe, invitano ad una visione dinamica che riesce ad animare anche la struttura architettonica.

11 salone La grande sala di rappresentanza è caratterizzata dalla presenza di numerosi dipinti alle pareti, disposti in stretta contiguità e su più file, così come doveva essere l'originale sistemazione settecentesca. Nel corso del XVIII secolo, su una scarsa, primitiva dotazione seicentesca, per lo più costituita da ritratti di famiglia e da qualche dipinto utile alla devozione privata, la famiglia Tozzoni compose una delle collezioni più importanti della città. Fondamentale, intorno al 1780, fu l'incameramento di una quadreria importante per quantità e qualità di opere, quella appartenuta alla famiglia Pighini. L'incremento della collezione di dipinti non era comin-


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In alto: il salotto del Papa. A destra: la console a tralci di vite e la specchiera dorata del salotto rosso

ciato con questo importante acquisto in blocco. Basti pensare alla grande tela di Ignazio Stern raffigurante la Gloria di tre santi agostiniani, acquistata dal conte Giuseppe Tozzoni nel 1728 dagli eredi del cardinale Ulisse Goz~ zadini, committente dell'opera. Il dipinto, esemplare per qualità, fu posizionato fin dairinizio nel salone, dove tuttora si trova. A partire dai terzo decennio dell1 Ottocento, forse durante una congiuntura economicamente sfavorevole, Giorgio Barbato Tozzoni cominciò ad intaccare il corpus della collezione, vendendone alcuni pezzi. All'inizio del Novecento parte dei dipinti venne trasferita a Firenze, in palazzo Serristori, presso il ramo fiorentino della famiglia imolese. Da qui ebbe il via un ulteriore depauperamento, che culminò con Tasta Serristori del 1977. Attualmente la quadreria esposta nelle sale del palazzo consta di centosettanta pezzi.

L'appartamento barocchetto // salotto del Papa Come tutte le sale dell'appartamento barocchetto il cosiddetto salotto ''del Papa" venne costruito tra il 1736 e il 1738. Anche in questo caso i libri di spesa ci permettono di seguire i lavori di ricostruzione: accanto ai pagamenti per il capomastro e i muratori sono puntigliosamente annotate le spettanze di falegnami, fabbri, decoratori, imbianchini, ebanisti, nonché sono segnati gli approvvigionamenti delle materie prime necessarie. Anche i lavori di decorazione, così come quelli strutturali, furono seguiti

attentamente dal conte Francesco. Il risultato finale è di grande piacevolezza: ogni singolo arredo, ogni particolare decorativo, concorre a creare armonia e omogeneità di gusto; anche i pezzi di mobilia databili a periodi precedenti, che facevano parte dell'antica dotazione della casa, risultano ben inseriti nell'insieme. Sulla parete destra spicca il grande camino realizzato in gesso, impreziosito dal rilievo in stucco a larghi ed eleganti ramages dorati, che incorniciano la specchiera centrale. A lato si aprono le due finestre, i cui scuretti sono decorati a tempera e filamenti dorati, così come il parafuoco che copre la bocca del camino. La sigla decorativa unificante è quella dell'elegante festo-


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ne che si snoda lungo il perimetro della stanza, occupando la parte bassa delle pareti, sulla quale si innestava il parato in damasco cremisi, sostituito probabilmente nell'Ottocento da una più pratica decorazione a tempera stampata. L'appartamento venne terminato nel 1738 in occasione delle nozze tra Giuseppe lezzoni e Carlotta Beroaldi, parente del cardinale Lambertini, futuro Papa Benedetto XIV. La denominazione di "salotto del Papa" nasce proprio dalla consuetudine che ricorda un pernottamento del futuro pontefice tra le mura di questa stanza. // salotto rosso Come nel salotto del Papa anche in questa stanza spicca la decorazione perimetrale a motivi vegetali intrecciati, liberata dalla scialbatura nel corso dell'ultimo restauro. Tra gli arredi un elemento d'interesse è costituito dalla grande specchiera settecentesca in legno dorato, incorniciata da ricche volute vegetali, sovrastante una console in legno dalla struttura sontuosamente naturalistica che, benché d'esecuzione settecentesca e proprio per la perfetta mimesi del mondo naturale, richiama analoghi modelli di fine XVII secolo di ascendenza romana. Anche in questa sala viene ricordata l'acquisita parentela tra i Tozzoni e la famiglia Lambertini: qui è collocato il ritratto in vesti pontificali di Benedetto XIV: nella cornice

che contorna il dipinto, tra l'intreccio del fogliame, al lato destro e al lato sinistro, sono collocati due cervi, simbolo araldico della famiglia Tozzoni. L'alcova L'ultima sala dell'appartamento barocchetto è la camera nuziale di Giuseppe Tozzoni e Carlotta Beroaldi, connotata dall'alcova, la cui mostra è riccamente decorata da un festone in stucco a volute vegetali che alla sommità si apre in un elegante cartella a timpano spezzato. Gli elementi decorativi sono propri del linguaggio settecentesco: le membrature architettoniche (cornici, mostra

La stanza dell'alcova (in alto) con un particolare della decorazione a stucco (in basso)


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dell'alcova, mostra delle porte) trascorrono in morbida continuità nelle leggere ornamentazioni a volute. Il repertorio figurativo è quello del barocchetto francese, conosciuto sicuramente grazie alla documentata circolazione dei livres $ornammts del Meissonìer, del Lepautre o del Bérain e realizzato, in particolar modo in Romagna, da maestranze ticinesi. Non stupisce quindi ritrovare nel libro delle spese di casa Tozzoni, negli anni 1726-1737, il nome di Giovan Battista Verda, stuccatore originario di Gandria nel Ganton Ticino. Un accorgimento visivo dilata lo spazio della stanza, che viene replicato grazie ad una grande porta a specchio che occupa parte della parete ovest, creando un doppio illusivo di grande efficacia. Anche in questa stanza è presente, seppure indirettamente, la personalità del cardinal Lambertini: sopra la testiera del letto è appeso il crocifisso che il porporato donò alla coppia Tozzoni-Beroaldi in occasione delle nozze.

L'appartamento Impero

Le sale nominate "appartamento Impero", nell'ala est del piano nobile, furono oggetto di una ristrutturazione realizzata nel 1818 in occasione delle nozze tra il conte Giorgio Barbato Tozzoni e Orsola Bandirli. Lo stesso Giorgio Barbato, così come aveva fatto quasi un secolo prima l'antenato Francesco, seguì passo passo la realizzazione dei lavori del proprio appartamento nuziale ed ogni momento delia progettazione e messa in opera degli arredi e delle decorazioni. Questi ultimi furono realizzati da due artigiani faentini: l'ebanista Angelo Bassi per la mobilia e l'ornatista Pasquale Saviotti, allievo di Felice Giani, per le pitture parietali e probabilmente anche per il coordinamento dei lavori e per la definizione dei nuovi spazi. Come nel caso dell'appartamento barocchetto anche qui si realizza una sintesi stilistica unitaria, in questo caso improntata al gusto archeologico neoclassico, voluto da Giorgio Tozzoni e sostenuto da Saviotti, un artista ben documentato su repertori antichizzanti, incrementati dal vero nel corso di diversi soggiorni romani. L'appartamento, negli aspetti strutturali, decorativi e degli arredi, ci è arrivato intatto: ancor oggi un riscontro documentario, inventari alla mano, permette di riconoscere ogni pezzo.

La sala da pranzo La prima stanza dell'appartamento, una sala da pranzo, inizialmente di pianta rettangolare, venne trasformata in forma ellittica, senza intaccare le strutture murarie preesistenti. La decorazione a tempera della volta è a finta architettura: una serie di riquadri esagonali, di forma decrescente verso il centro, accolgono piccoli motivi en grisaille; al centro del soffitto è un ovale con Èrcole nell'Olimpo mentre lacunari quadrangolari ospitano divinità initologiche, putti e amorini. Se il repertorio figurativo è quello consueto della citazione dell'Antico, stilisticamente Saviotti abbandona il nervoso calligrafismo di Felice Giani per approdare a caratteri formali di maggiore forza plastica, quasi neocinquecenteschi.

// salotto La decorazione della "camera di società" (volta ripartita da un motivo monocromo e riquadro centrale con scena allegorica), è fortemente caratterizzata dalle quattro Virtù, collocate nello sguancio di raccordo tra pareti e volta. Gli arredi rispettano la tradizionale severità strutturale dei mobili emiliano-romagnoli, pur essendo attenuato l'aspetto L'di parata" per approdare ad una funzionalità ed un comfort moderni. Eseguiti in legno impiallacciato in noce ricoperto da una patina scura, sono privi di filettature ed intarsi: gli unici tocchi luminosi sono affidati ai piccoli

La sala da pranzo dell'appartamento Impero


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Da sinistra: poltroncina dell'appartamento Impero (Angelo Bassi, attivo nella prima metà del XIX secolo); particolare della decorazione dell'appartamento Impero (Pasquale Saviotti, 1791-1855)

inserti in bronzo dorato (borchie, rosette, espagnolettes). Su una console è collocata la statuetta in gesso che ritrae il piccolo Alessandro Tozzoni, figlio di Giorgio Tozzoni e Orsola Bandini, vissuto solo due anni, dal 1823 al 1825.

La camera da letto La camera è caratterizzata dall'austero letto nuziale (come tutti gli arredi dell'appartamento è in noce patinato scuro), circondato alle pareti da una decorazione che finge un fitto drappeggio: quasi una citazione del gusto francese per i tendaggi drappeggiati, inaugurato in epoca napoleonica dagli architetti Percier e Fontain. In alto, entro una fascia, compare una teoria di amorini entro oculi profilati in oro; al centro della volta è un riquadro con la scena mitologica di Latona e i pastori della Litia.

Famiglia con San Giovannino e Sant'Anna, bella tavola cinquecentesca di scuola bolognese, la Maddalena penitente di Ignazio Sterri e un San Francesco in preghiera convincentemente attribuito a Bartolomeo Passerotti. La camera da letto è decorata alle pareti da una finta tenda bianca con frangia a nappine, illusionisticamente appesa alle pareti con vere borchie in bronzo dorato. Anche qui, come nel resto del palazzo, la traccia persistente della vita quotidiana rimane nelle suppellettili che riempiono le stanze: un esempio per tutti è quello della terza stanza dell'appartamento della veranda, la toilette, dove tra catini in smalto per le abluzioni, specchiere e tavolini sui quali fanno mostra pettini, boccette per oli profumati, spazzole e parrucche, sembra di poter cogliere l'essenza di gesti quotidiani, da poco compiuti.

Il piano terra L'appartamento della veranda Sul lato nord del palazzo, lungo la veranda che si apre sul cortile, sono disposte altre tre stanze, caratterizzate da mobilio composito, per la maggior parte ottocentesco. Nel salotto spicca tra gli altri arredi un'elegante dormeuse mentre tra i dipinti vale la pena segnalare una Sacra

Le stanze a piano terra, nell'ala est, furono ricavate da ambienti più grandi, divisi per razionalizzare gli spazi abitativi, nel corso dei lavori settecenteschi di ristrutturazione. Ad identificare i vani preesistenti rimangono tracce di decorazioni cinquecentesche e l'adattamento delle lunette dipinte con episodi tratti dal ciclo àe\VEneide, che deco-


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La biblioteca del piano terra

rano le pareti del salotto rosso e della biblioteca. Molti arredi sono ottocenteschi, ma sono presenti alcuni mobili più antichi: è il caso del grande mobile a due corpi seicentesco (classico "arredo da parata" della tradizione emiliana) conservato nella sala gialla e delle due credenze con alzata, anch'esse seicentesche, collocate nella sala da pranzo, ai lati della tavola apparecchiata secondo i canoni e il gusto dei ricevere.

Nella disposizione degli ambienti del piano terra la cucina è posizionata strategicamente: è quasi affrontata alla sala da pranzo, si apre sulla corte esterna ed è adiacente agli alloggi della servitù. La stanza conserva il grande camino, che occupa quasi per intero una parete, e tutti gli attrezzi d'uso per le mansioni casalinghe. Spicca sul resto degli arredi la grande madia per la conservazione dei cibi lavorati e della farina.

Da sinistra: la sala da pranzo del piano terra e la stanza della toilette nell'appartamento della veranda


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Storia f una famiglia CLAUDIA BARONCINI

U

n grande volume conservato nell'archivio di palazzo Tozzoni raccoglie e conserva le memorie della famiglia: lavoro minuzioso e accurato svolto tra i documenti privati, la Genealogia della famiglia dei Conti Tozzoni è fatica del conte Francesco, che poco prima di spegnersi nel 1910 desidera lasci-are un'opera "non per vana gloria, ma per solo uso di quei di Casa". Non è del resto il primo esponente della famiglia a farsi carico della trasmissione della propria storia: due secoli prima, nel 1706, 10 storico locale, l'abate Andrea Ferri, consegna una "particolareggiata relazione" sul casato al committente, il conte Ciro, che per redigerla apre le porte del già ricco archivio. Il Ferri prende avvio dall'anno 1140 e individua l'origine dei Tozzoni nei Balduini di Toscana, precisamente di Iucca, che trasferitisi a Bologna, dopo varie vicissitudini che li vedono ad Ozzano e a Casola Valsenio, approdano nel 1400 circa ad Imola, già recanti il nome Tozzoni e da subito protagonisti della vita cittadina. Vanto della famiglia, ricordato da un dipinto ad olio di Lavinia Fontana ancora presente nel palazzo, è il giureconsulto Pietro Paolo: è il primo a ricoprire in Imola la carica di gonfaloniere, è ambasciatore presso i papi Giulio II e Leone X e soprattutto figura nel 1520 come giudice della Repubblica di Firenze, per cui il palazzo del Bargello conserva affisso ad una parete l'antico stemma del casato che accampa il cervo rampante coi tre gigli di Francia. L'insegna araldica, ricorrente sulle pareti e gli arredi del palazzo, è spesso accompagnata da quelle di altre importanti famiglie, non solo imolesi, che legatesi ai Tozzoni con vincoli matrimoniali arrecano grande prestigio e ricchezza al casato. Un esempio: grazie al matrimonio con una Pantaleoni, figlia del Bali d'Ancona, ereditano nel Seicento il diritto di fregiarsi dell'insegna dell'aquila imperiale, privilegio concesso a tale famiglia dallo stesso Carlo V. È da questo matrimonio che nasce il già menzionato Ciro, 11 primo ad assumere la carica di conte nel 1666, quando,

conscio dell'importanza e del molo ormai assunto dalla famiglia, acquista il titolo dai conti Gabrielli di Bologna, con il diritto di subentrare nel possesso dell'antico feudo di Castel Falcino presso Sarsina, al cui vescovo (ancora all'inizio del secolo scorso) la famiglia paga poche libbre di cera ogni anno. Numerosi gli incarichi da lui ricoperti, soprattutto per mandato del duca di Modena Rinaldo d'Este: tra gli altri quello di ambasciatore presso il re di Polonia. È inevitabile che lo stesso palazzo imolese inizi ad assumere un importante ruolo di rappresentanza, vedendo sfilare ospiti come il duca di Modena e l'infante di casa Savoia. Grande è quindi la fama e il potere dei Tozzoni in città, molti altari nelle più importanti chiese cittadine si arricchiscono di suppellettili sacre fatte fabbricare in Roma e riportanti il cervo rampante. A soli diciotto anni Ciro si unisce a Samaritana, dell'antica e nobile famiglia imolese dei Sassatelli; il viatico per un buon matrimonio la giovane sposa lo riceve dal padre, in una lettera scritta in occasione delle nozze, in cui il Sassatelli la esorta ad essere "Santa in Chiesa, Dama fuori di Casa, Serva in Casa, vezzosa in letto" e — così commenta Francesco Tozzoni - "pare che lo fosse, se diede vezzosamente alla luce diciotto figli". Diciotto figli di cui otto muoiono in tenera età, nove si dedicano alla carriera religiosa ed uno solo, Alessandro Ranuccio, continua la discendenza, sposandosi con la modenese Beatrice Ferrari: il matrimonio e l'amicizia con il duca di Modena Francesco II, di cui è gentiluomo di camera segreta, arricchiscono la famiglia Tozzoni di un palazzo, della cittadinanza modenese e di possedimenti nel territorio del ducato che vanno ad aggiungersi alla già estesa proprietà fondiaria. Alessandro Ranuccio, a differenza dei fratelli, è mondano, ribelle alle austere regole della casa paterna, e si dimostra molto più attratto dalla vita "allegra e alquanto spendereccia" del ducato modenese. Eredita il palazzo imolese insieme al fratello, il priore Francesco Saverio, ma è quest'ultimo ad occuparsi della sua riedificazione nelle forme che conosciamo dopo la morte del padre Ciro nel 1725, adeguandolo sempre più alla importante funzione di rappresentanza. Cura non solo l'architettura, ma si occupa anche di "mobili, stoffe ed arazzi" e dota il palazzo di ricche argenterie e suppellettili. A continuare la discendenza di Alessandro Ranuccio è Giuseppe Èrcole, che si sposa diciannovenne con un'esponente del patriziato romano, la contessa Margherita Casa-


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Ritratto del conte Giuseppe lezzoni (XVIII secolo)

li, nipote dei cardinali Casali e Millini. Le nozze si celebrano a Roma nel maggio del 1726 e pare che gli sposi raggiungano Imola a cavallo: il ritratto della contessa che si conserva a palazzo la ritrae, forse non a caso, nelle vesti di Diana cacciatrice. "Bella era questa dama, finamente educata amava di figurare, e i trattamenti magnifici" e il marito non la delude. Le offre infatti, oltre al palazzo dotato di quattro appartamenti tutti ben arredati, altre due

dimore in via della Fortezza: a fianco casa Zappi dotata di rimesse, giardino, stalla e camere alla sinistra del palazzo e di fronte casa Vestri con la quale comunicano tramite un passaggio sotterrano, abitata dall'amministratore dei beni Tozzoni con la sua famiglia; infine due residenze per la villeggiatura. Alla signora non manca una lussuosa carrozza con lacchè, servi in livrea, un guardaportone con due mori, un


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"bracciere" e, tra gli svaghi, la possibilità di festeggiare il Carnevale a Venezia. Margherita muore però dopo il suo quarto parto, lasciando vedovo a soli ventisei anni Giuseppe, che quindi dopo cinque anni, nel 1738, si risposa con Carlòtta Beroaldi. Si tratta di un"'ottima scelta", soprattutto per il prestigio che arreca la nuova parentela. Carlòtta annovera tra i suoi famigliati il cardinale Prospero Lambertini, futuro Benedetto XIV, inoltre è ricca e figlia unica. È per loro che si rinnova nell'architettura e negli arredi l'appartamento barocchetto, le cui stanze quattro anni dopo, nel 1742, saranno adeguate ad ospitare per due volte Carlo Emanuele III di Savoia. Benedetto XIV è molto attento alla vita dei coniugi e non li priva anche di rimproveri, come quello per un ballo in Bologna tenuto in periodo quaresimale. Dall'Imperatrice d'Austria la Beroaldi ottiene il titolo di "dama della Crociera" e così si fa ritrarre nell'ovale che ancora si conserva nel palazzo. Donna "saggia e prudente" e ottima madre, non riuscì però ad evitare il dissesto economico causato dal marito, dedito al vizio del gioco. Da vero gentiluomo Giuseppe "giuocava nobilmente e perdeva con dignità", tanto da rimettere in una notte l'intera possidenza modenese. Francesco Saverio cerca di ovviare ai debiti del nipote vendendo preziose argenterie e suppellettili; gli affianca anche un economo, che si rivela però più dannoso che proficuo. Esiste ancora un taccuino in cui sono annotate dal conte le perdite di gioco avute con il duca di Modena, "magro conforto ai tardi nipoti". La Beroaldi muore dando alla luce l'undicesimo figlio; le speranze della famiglia sono ora riposte nel primogenito maschio Alessandro, che studia a Roma ma poi se ne allontana sdegnato dalla vita "cortigianesca" che vi si svolge e rifiutando la carriera religiosa a cui lo si vuole destinare. Tornato ad Imoìa si dedica alla vita pubblica, partecipando nel 1797 alla prima municipalità formatasi dopo la costituzione del "Provvisorio Governo Democratico" e continuando anche in seguito ad appoggiare il partito filofrancese. Sembra però dimenticarsi gli affari privati e gli agenti ai quali li affida gli dissipano gran parte del patrimonio. Fino a che non giunge il nipote Giorgio Barbato, figlio del fratello Giorgio Cristiano, che lascia la Toscana, dove veste la divisa di cadetto nelle guardie del corpo della regina reggente di Etruria, per occuparsi delle dissestate finanze famigliari. Sicuramente non dispiace allo zio Alessandro il fidanzamento del nipote con Orsola Bandini,

della famiglia Bandini Caldesi di Faenza, accomunata ai Tozzoni dalle medesime simpatie politiche. Lo stesso conte Giorgio Barbato si manifesta di idee moderatamente progressiste e liberali, e il gusto francese ben si avverte nella scelta stilistica che compie quando, in occasione delle sue nozze, si appresta a restaurare l'ala est del palazzo, il cosiddetto "appartamento Impero". Non è un matrimonio felice; il dolore per la morte del piccolo Alessandro a soli due anni per "indecifrabile malattia" getta Orsola in uno stato di profonda afflizione e le fa maturare una certa avversione verso il marito. Morta prematuramente, Giorgio Barbato fa modellare una bambola, un "di lei facsimile, in stucco, grande al naturale rivestito ed ornato con gli stessi suoi panni e capelli", che ancora si conserva nell'archivio del palazzo. Il conte, ritiratosi dalla vita pubblica cittadina nella quale ha rivestito incarichi di rilievo, passa la sua vecchiaia in "intellettuali distrazioni"; collezionista, di eclettici interessi, costituisce una discreta biblioteca, ancora in parte visibile nell'appartamento al piano terra, e soprattutto un ricco medagliere, essendo la numismatica una delle sue più grandi passioni. Unico erede dei beni Tozzoni, si sente responsabile anche della trasmissione della storia famigliare: a tal fine riordina l'archivio privato nelle forme e con gli strumenti di cui ancora ci si avvale, una fatica che gli costa tre anni di lavoro. La cecità che Io colpisce prematuramente non gli impedisce di scrivere, con l'ausilio di un segretario, lettere, racconti e memorie fino a tarda età. Il conte Francesco, l'estensore della suddetta Genealogia, nato da un secondo matrimonio di Giorgio Barbato, ricorda come con la morte del padre i conti cessino di risiedere stabilmente a palazzo Tozzoni, che si trasforma in "sede di tranquilla villeggiatura estiva". Gli interessi del casato, del resto, sono ormai rivolti altrove; attenuandosi il loro ruolo pubblico in Imola, intessono con la città un rapporto più privato. Nel luglio 1858 Francesco, più per accontentare il padre che per suo desiderio, si sposa a Firenze, appena ventenne, con la contessa Sofia Serristori, appartenente ad una delle più antiche e ricche casate toscane, e fissa stabilmente la sua dimora in Firenze. Per l'occasione si commissionano lavori a palazzo, a cui è interessata anche la camera dell'alcova. Dei figli di Francesco, Giuseppe e Umberto, il primo segue la carriera militare e come sottotenente di va-


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Ritratto di Cariotta Beroaldi, sposa del conte Giuseppe Tozzoni (XVIII secolo)

scello compie sulla corvetta "Vettor Pisani" un viaggio di studi e di circumnavigazione attorno al mondo (di cui nel palazzo si conserva un'abbondante documentazione fotografica). Abbandonata la Marina entra nella corte reale e viene nominato da Umberto I "Maestro delle cerimonie"; mentre la moglie, Vittoria Torregiani, diviene dama di palazzo della principessa Eugenia di Savoia. Stretto è il legame con i reali: Vittorio Emanuele III, come i suoi avi, sog-

giorna nel 1908 a palazzo Tozzoni, ultimo atto che vede l'antica dimora ricoprire un importante ruolo di rappresentanza. Alla figlia del fratello Umberto, Sofia, che eredita i beni dei Serristori e dei Tozzoni e unisce anche i due cognomi, si deve la decisione di donare il palazzo alla cittĂ , perchĂŠ lo destini a museo, quasi a sancire in forme nuove il legame antichissimo che lega la sua famiglia a Imola.


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appartamento barocchetto: metodologia e criteri guida del restauro LUISA BlTELLI

I

I progetto di restauro dell'appartamento barocchetto di palazzo Tozzoni, messo a punto dall'IBC in collaborazione con il Comune di linola, ha rappresentato un'esperienza molto impegnativa in termini di scelte metodologiche, di responsabilità, di tempo, di onere finanziario. Il palazzo - dall'ingresso che affaccia sull'elegante cortile interno, all'imponente scalone impreziosito da statue e stucchi; dalle sale ancora allestite secondo l'impronta e il gusto degli ultimi discendenti della famiglia, alle ampie cantine che oggi accolgono gli attrezzi e gli oggetti del lavoro contadino (i Tozzoni erano proprietari terrieri) - regala un'armonia e un'atmosfera particolari, che ne fanno una dimora dalla suggestione unica. La sensazione che si avverte entrando è quella di una abitazione ancora "vissuta", dove l'arredo, pur seguendo canoni legati all'estetica, è improntato soprattutto in alcuni ambienti all'esigenza di praticità del vivere quotidiano. Alcune operazioni di manutenzione, come si suole dire "fatte in casa11 (maggiormente evidenti, per esempio, sulle tappezzerie, ma presenti anche sulle pareti e su alcuni particolari decorativi), rappresentano molto bene le esigenze della famiglia che ha occupato quelle stanze fino alla fine degli anni Settanta. Quindi se da un lato ci troviamo di fronte a locali in qualche modo salvaguardati, in particolare per quanto riguarda la mobilia e le numerose suppellettili, dall'altro dobbiamo prendere atto del progressivo deterioramento che ha colpito alcuni componenti di arredo della casa, in particolare le tappezzerie e le decorazioni murali. Interventi di manutenzione e di ripristino furono avviati dal Comune non appena entrato in possesso del palazzo,

nel 1978, a seguito della volontà testamentaria espressa dall'ultima discendente della famiglia, Sofia Serristori Tozzoni. Aperta al pubblico ed entrata nel circuito dei musei di Imola, la dimora successivamente è stata oggetto di finanziamenti regionali che hanno consentito di proseguire a più riprese, insieme al Comune, il programma di recupero dell'intero complesso. I lavori attuati nell'appartamento barocchetto, ideale conclusione dell'impegno messo in atto finora, sono stati preceduti da una serie di interventi localizzati al piano terra (il restauro delle sale dell'ala est, quello delle lunette affrescate dell'antibiblioteca e della biblioteca stessa, il riordinamento e la catalogazione dei materiali custoditi nelle cantine), interventi rivolti in generale alla salvaguardia e ad una più puntuale conoscenza del patrimonio conservato nel palazzo. Quando si è scelto di avviare una campagna di restauro nelle tre stanze del piano nobile che costituiscono l'appartamento barocchetto - stanze predisposte nel 1738 in occasione del matrimonio del conte Giuseppe Tozzoni — la situazione di degrado era tale da non porre dubbi sull'urgenza dell'operazione. I locali, denominati in successione salotto del Papa, salotto rosso e alcova, accolgono tipologie diverse di materiali - tessili, ebanisterie, decori murali, stucchi, dipinti — e pur nella consapevolezza di non riuscire a terminare in un'unica soluzione tutto il lavoro si è ritenuto opportuno affrontarlo nella sua interezza per poter valutare contestualmente le diverse problematiche che sarebbero emerse.

L'arredo ligneo II restauro dell'arredo ligneo - costituito da mobili, cornici e specchiere intagliate e dorate, divani, poltrone e mantovane, databili in un arco di tempo che va dal Seicento all'Ottocento - è stato preceduto da un trattamento di disinfestazione, indispensabile per eliminare gli insetti xilofagi che nel tempo avevano attaccato diffusamente il legno. Gli oggetti non presentavano tuttavia grossi problemi conservativi, ma per lo più necessitavano di una generale manutenzione con pulitura e consolidamento delle parti fragili. Solo gli intagli dorati, offuscati da una patina di sporcizia, avevano risentito, in alcuni casi, di operazioni manutentive malamente eseguite (riparazioni, rifacimenti,


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ecc.) che hanno comportato interventi di vero e proprio ripristino, anche con ricostruzione di parti mancanti. A lavoro ultimato l'effetto generale dell'arredo, ricomposto nelle tre sale con l'aiuto della ricerca svolta tra le carte del ricco archivio Tozzoni dal personale del Museo civico, ha rappresentato una conferma delle scelte intraprese: un restauro rispettoso della qualitĂ degli oggetti, eseguito con tecniche tradizionali.

Le ebanisterie dopo i! restauro: in alto, una cassapanca dipinta del salone d'onore; a sinistra, la porta a vetri, dorata e dipinta, della stanza dell'alcova; a destra, un particolare della specchiera in legno intagliato e dorato del salotto rosso


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L'arredo tessile Un discorso più articolato e complesso riguarda l'arredo tessile, che nell'appartamento barocchetto è largamente presente in tende, mantovane, sedute di seggiole, divani, poltrone, portiere, ecc. Da una prima verifica, necessaria per la messa a punto del progetto, è apparso evidente che le condizioni conservative dei manufatti dell'alcova avrebbero richiesto tempo e risorse tali da non poter affrontare contemporaneamente anche i tessili delle altre stanze. Si è scelto così di circoscrivere l'intervento sui tessuti della stanza dell'alcova, arredata con un damasco di

Gli arredi tessili. Dall'alto: tappezzerìa in damasco di seta cremisi prima e dopo l'intervento di restauro

seta gialla acquistato a Bologna nel 1738 (nelle altre il colore di stoffe e pareti è rosso). I danni maggiori sono stati riscontrati sui rivestimenti di sedie e divani. Essi presentavano abrasioni, disgregazioni del tessuto, lacune, macchie, integrazioni eseguite con tessuti diversi, incollati dal retro. In molti punti, inoltre, le passamanerie erano staccate e sfilacciate, in alcune parti mancanti. In condizioni migliori appariva il ricco corredo del letto (testiera, coperta e bordo), protetto dalle cortine e meno esposto alla luce. Anche in questo caso però non mancavano strappi, lacune e rammendi. II restauro si è svolto sostanzialmente in tre fasi: smontaggio e trasferimento dei tessuti presso il laboratorio; pulitura accurata, consolidamento e sostituzione degli inserti

Gli arredi tessili. Dall'alto: particolare di frange e galloni prima del restauro; seggiolone in legno intagliato e dorato con ricamo a mezzo punto dopo il restauro


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non originali (operazioni delicatissime, soprattutto in presenza di tessuti disgregati che necessitano di protezioni accurate per poterne garantire la conservazione); riproposizione dei tendaggi della finestra, purtroppo andati perduti. Quest'ultimo punto ha sollevato molti dubbi e indecisioni, sia in riferimento alla foggia dei tendaggi, sia rispetto alla scelta dei materiali che necessariamente dovevano accordarsi con quelli antichi. In considerazione del tipo di intervento condotto sull'arredo tessile dell'alcova, caratterizzato dal recupero capillare delle tappezzerie originali, non è stato possibile impiegare un damasco moderno. La scelta filologicamente più corretta, l'utilizzo di un tessuto unito - il gros di seta, in una gradazione tonale simile al vecchio arredo - è scaturita da ricerche e momenti di confronto tra la direzione dei lavori e il laboratorio di restauro (supportato anche dalle conoscenze e dalla pluriennale esperienza dei tappezzieri esperti nel trattare materiale d'epoca). Il risultato, a lavori ultimati, è una gradevole integrazione nel contesto complessivo dell'ambiente. Le decorazioni murali

Anche le decorazioni murali hanno comportato alcune scelte problematiche. Il decoro a finta tappezzeria, risalente alla fine del XIX secolo, era appesantito da vari strati di sporcizia accumulati negli anni, da interventi di manutenzione eseguiti non propriamente a regola d'arte e dai

Le decorazioni murali. Dall'alto e da sinistra: un particolare della decorazione a stucco prima e dopo il restauro; lo stipite di una porta a fìnto marmo durante i! restauro; il fregio perimetrale a volute vegetali dopo il restauro

danni provocati da infiltrazioni di acqua. A pareti nude quello che si presentava alla vista era un generale degrado, caratterizzato da numerose cadute di colore, pesanti ritocchi e macchie di umidità; i rifacimenti delle decorazioni del soffitto e delle zoccolature sottostanti alle pareti aumentavano la disomogeneità dell'insieme. Una serie di sondaggi ipotizzati già in fase di progetto per individuare l'eventuale presenza di decorazioni sotto i disegni parietali - tenuto conto che verosimilmente la sostituzione dei tessuti che in origine rivestivano le pareti era avvenuta alla fine del XVIII secolo - ha messo in luce nelle tre sale lacerti di ornamenti in finto tessuto, riproducenti motivi diversi da quelli attuali, purtroppo molto lacunosi e in alcuni tratti addirittura mancanti. Non era


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possibile, in questo caso, procedere alla scopritura nell'assenza totale di continuità del disegno. 11 ritrovamento di vecchi album fotografici (1900) ha permesso di circoscrivere l'epoca delle decorazioni a finto damasco alla fine del XIX secolo ed ha confortato la direzione dei lavori nella scelta di un ripristino della decorazione esistente. L'operazione non si è dimostrata semplice soprattutto quando si è trattato di eseguire la pulitura, impossibile da affrontare considerata la scarsa presenza di legante nel colore, divenuto di conseguenza molto polverulento e intoccabile sia con soluzioni acquose sia a secco. Il fissaggio della pellicola pittorica ha permesso di procedere alla stuccatura delle numerosissime lacune lasciate dalla rimozione dei ritocchi e al ripristino pittorico della superficie, nel rispetto delle zone chiaroscurali e dei colori originali. Il restauro del fregio perimetrale sottostante le pareti dei tre ambienti ha riportato alla luce il ricco disegno settecentesco a volute vegetali, in parte ricoperto e in parte malamente ripristinato nel corso di lavori di adeguamento effettuati a più riprese negli anni passati. Il risultato generale, ora che il lavoro è stato ultimato, mette in evidenza la delicatezza dei colori e la leggerezza dell'ornato (il cui motivo presenta affinità con il disegno degli scuretti delle finestre e di alcune porte interne del palazzo). L'intervento sui ricchi stucchi che ornano il camino del salotto del Papa e l'alcova ha eliminato l'accumulo di polvere sedimentata nel tempo e ha donato al disegno, molto articolato e di grande impatto visivo, la sua originale caratteristica materica e cromatica.

I dipinti Anche i dipinti su tela appesi alle pareti delle tre sale dell'appartamento barocchetto sono stati oggetto di interventi, eseguiti dal laboratorio di restauro interno ai musei imolesi. Come per altri elementi che arredano il palazzo anche nei dipinti erano rawisabili da un lato storie di vicissitudini conservative lontane (vecchie foderature, sostituzioni di supporti, ridipinture, ecc.) o più recenti (come nel caso della tela ammuffita da una infiltrazione d'acqua dalla parete), dall'altro lato erano riconoscibili le trasformazioni legate alle esigenze della famiglia, come gli spostamen-

ti dei quadri da una sala all'altra oppure l'adattamento di dipinti non pertinenti in cornici più grandi ed importanti. Il restauro ha restituito consistenza alle tele strappate ed allentate e ha permesso la rilettura dei rapporti cromatici originali, appiattiti ed offuscati da materiali ossidati, polvere e pesanti rifacimenti pittorici. Ne costituisce un esempio evidente il paracamino, la superficie del quale era fortemente alterata da strati di sporco grasso e vernici scurite: la sua pulitura ne ha confermato la coerenza con i colori della caminiera ed ha permesso di riconoscervi elementi formali ed esecutivi comuni agli scuretti dipinti delle finestre e della porta dell'alcova. Una scelta difficile si è imposta riguardo a uno dei dipinti del salotto del Papa, raffigurante una scena mitologica con figura femminile, un putto con arco e frecce e un vecchio barbuto paludato in un ampio manto e appoggiato a un bastone. Con le prime prove di pulitura è apparso evidente che l'acconciatura femminile e la figura maschile erano frutto di un completamento del dipinto in epoca più tarda rispetto a un originale "non finito", con alcune parti solo abbozzate, che raffigurava Vetwre con Amore e Vulcano (quest'ultimo in una più credibile versione ghignante, vestito da fabbro e appoggiato a un martello da forgiatore). La scelta di rimuovere le aggiunte, optata dalla direzione dei lavori, ha permesso di restituire al dipinto coerenza stilistica e leggibilità. Ora l'appartamento barocchetto è stato riaperto al pubblico, anche se riprenderanno al più presto i lavori per portare a termine il restauro dell'arredo tessile nel salotto rosso, nel salotto del Papa e nel grande salone di rappresentanza su cui si affaccia il complesso di stanze. La nuova operazione riguarderà anche i mobili restanti, le cornici e i dipinti del salone. Il progetto di restauro di palazzo Tozzoni - diretto da Claudia Pedrini (Musei comunali di Imola, Bologna) e da Luisa Bitelli (Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Kmilia-Romagna) - è stato realizzato dalle seguenti imprese: Decorazioni murali: La Fenice S.n.c. di Loredana di Marzio & C., Imola. Dipinti su tela: Marilena Gamberini, Laboratorio di restauro dei Musei comunali di Imola. Ebanisterie: Laboratorio di restauro ligneo Enrico Brusa, Imola. Arredi tessili: RT - Restauro tessile, Albinea (Reggio Emilia); Cigni & Coli S.n.c. (Reggio Emilia).


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I dipĂŹnti su tela. Dall'alto: Venere con Amore e Vulcano dopo il restauro, intero e particolare (XVIII secolo); il decoro a volute e a motivi floreali del paracamino prima e dopo il restauro


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LJ IBC al Salone

P

ubblichiamo di seguito il calendario sintetico delle iniziative organizzate dall'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna nell'ambito di "Restauro 2001. Salone dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali" (Ferrara Fiere, 29 marzo -1 aprile 2001).

CONVEGNI Giovedì 29 marzo Consentire il Novecento: la stampa periadica

Domenica 1 aprile L'abito delle dimore storiche. Il recupero delle tappezzerie antiche: restaurare, rifare... cosa fare? Sala A, primo piano - 10.00 -13,30 / 14.30 -18.30 Ebla fra passato e futuro. Scavo, restauro, valorizzazione di un caso emblematico del vicino Oriente Sala C, piano terra, padiglione 1 10.30-13.30/14.30-18.30

Sala C, piano terra - 15.00 -18.30

Presentazione del progetto "CON.B.E.FOR - Conservatori-restauratori di beni culturali in Europa: centri ed istituti di formazione'

Venerdì 30 marzo

Sala B, primo piano - 10.00 -13-30

Conservare il Novecento: la stampa periodica Sala C, piano terra - 9-30 - 13-30 / 15.00 - 18.30 Let's care Ferrara Presentazione del progetto transnazionale "Lets Care Method (Landscape EnvironmenT asseSment and Cultural heritAge REstoration) " 11 quadro comparativo dei sistemi catalografici europei e le iniziative di innovazione nel settore; ipotesi metodologica di descrizione e catalogazione del paesaggio culturale

MOSTRE // suono del tempo. Campane e orologi Le stanze del Conte. Palazzo Tozzoni a Imola: Vappartamejuo barocchetto restaurato

Sala B, primo piano - 10.00 -14.00

Da giovedì 29 marzo a domenica 1 aprile Padiglione 1 - 9.30 - 18.30

Sabato 31 marzo

STAND Padiglione 3

La legge Merloni e il regolamento per la qualificazione professionale dei restauratori Sala C, piano terra - 10.00 - 13-30 / 15.00 -18.30 Museo e cultura della qualità Sala A, primo piano - 10.00 -13-00 / 14.30 -18.00 // catalogo dei beni culturali. Nuovi strumenti informativi e modalità attuativeper ICCD e Regioni Sala B, primo piano - 10.00 - 13-30

BOOKSHOP Padiglione 6


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