Una verde lettura. Fiori, piante ed erbe

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RIVISTA

IBC

La rivista “IBC. Informazioni commenti inchieste sui beni culturali” divulga e promuove le attività dell’Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna dal 1978. http://rivista.ibc.regione.emilia-romagna.it/la-rivista-ibc

INFORMAZIONI COMMENTI INCHIESTE SUI BENI CULTURALI

Una verde lettura. Fiori, piante ed erbe

Rassegna di articoli e recensioni di Alessandro Alessandrini Flora Piacentina “IBC”, XI, 2003, 1

Nel teatro di Ulisse “IBC”, XV, 2007, 2

Di carte e di erbe “IBC” XIII, 2005, 3 Verde alieno “IBC”, XIV, 2006, 2

Da Dioscoride al web “IBC”, XXIII, 2015, 2

Nomi, fiori, diversità “IBC”, XVIII, 2010, 3

La banca delle piante “IBC”, XVI, 2008, 2

Fiori rosa, fiori di Sulla... “IBC”, XX, 2012, 1

Lauro Bertani, naturalista “IBC”, XVI, 2008, 4

De Pisis tra le piante “IBC”, XX, 2012, 2


Flora piacentina “IBC” XI, 2003, 1

La flora è l'insieme delle piante che vivono in un territorio; la compilazione dell'elenco delle piante produce a sua volta libri che vengono chiamati "flore". L'obiettivo di chi compila la flora di un territorio è la completezza; l'elenco cioè deve essere costituito da tutte le specie vegetali presenti in quel momento nel territorio indagato. Ferma restando l'onestà intellettuale degli autori di simili imprese, purtroppo l'obiettivo viene raggiunto sì, ma non del tutto. Qualche pianta sfugge sempre; questa è una regola generale alla quale occorre rassegnarsi. E non fa eccezione nemmeno la recentissima Flora piacentina, curata da Enrico Romani e dallo scrivente, presentata il 30 novembre 2002 presso il Museo civico di storia naturale di Piacenza. Sono infatti presenti ben due aggiunte, una a stampa e una sotto forma di foglio "volante"; qui sono registrate le piante che nel frattempo sono state rinvenute nel territorio piacentino. Allora il lavoro è inutile? Da almeno tre secoli sono disponibili elenchi floristici. I botanici esplorano il territorio, registrano i loro rinvenimenti, raccolgono campioni che vengono identificati e archiviati negli erbari. Poi, quando ritengono che il lavoro abbia raggiunto livelli presentabili di completezza, lo pubblicano. E spesso dopo qualche anno pubblicano un'aggiunta. E ciononostante il lavoro continua. Nella Flora piacentina si dà conto della presenza di quasi 1.600 specie diverse; tra queste ben 277 sono state rinvenute in tempi recenti, quasi 400 sono da confermare, oltre 130 da eliminare. Nel compilare una flora si deve anche fare il punto delle conoscenze precedenti; infatti tra gli obiettivi del 2


lavoro c'è anche quello di confrontare lo stato attuale della flora con quello ricavabile dalle fonti scritte o dagli erbari disponibili. La conoscenza delle fonti risulta quindi fondamentale. Nel caso del Piacentino esiste una flora storica, pubblicata da Bracciforti nel 1877. Ma sono disponibili anche altre fonti precedenti, tra cui le segnalazioni riportate nella Flora Italica di Antonio Bertoloni; inoltre, nei primi decenni del Novecento sono stati pubblicati diversi contributi ad opera di botanici pavesi, relativi alla flora pavese. Poiché i confini del Piacentino sono stati anche molto diversi da quelli attuali, è stato necessario analizzare anche opere che a prima vista non si riferiscono a questo territorio. Fino al 1923, ad esempio, Bobbio e il suo territorio afferivano alla provincia di Pavia; nel periodo in cui lavorava Bertoloni (la Flora Italica fu pubblicata tra il 1833 e il 1854), la parte meridionale era inclusa nel territorio genovese. Ecco allora che per scrivere una flora occorre conoscere anche la storia amministrativa del territorio. Ma attraverso lo studio comparato delle presenze storiche e di quelle attuali è possibile stilare elenchi di specie scomparse. Grazie all'analisi delle esigenze ecologiche di queste piante si può anche trarre qualche utile sintesi ambientale. Nel caso piacentino le piante scomparse sono per massima parte legate ad ambienti umidi oppure si tratta di commensali delle colture agrarie. Quindi deduciamo che anche qui la maggior pressione delle attività umane è avvenuta a carico degli habitat umidi: il drenaggio, la semplificazione dei fiumi, ovvero l'uso di pesticidi e diserbanti, hanno causato una forte semplificazione degli agroecosistemi. Poi ci sono le piante "nuove" cioè quelle che non erano conosciute anticamente e che si presume siano arrivate di recente. Per la maggior parte si tratta di piante esotiche, che provengono cioè da molto lontano e non sarebbero mai riuscite ad arrivare utilizzando i messi normali di disseminazione. La loro presenza, anche se aumenta la

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diversità dal punto di vista quantitativo, la peggiora, cioè ne diminuisce la qualità: trattandosi spesso di piante molto inasive, rappresentano un indizio della pressione che l'uomo esercita sull'ambiente. Alcuni habitat sono ormai improntati da queste specie estranee; anche habitat "naturali" come i fiumi. Al di là dell'aspetto conoscitivo quindi, opere di questo tipo possono servire per la migliore conservazione del patrimonio di diversità biologica, attraverso l'individuazione delle specie di particolare importanza e delle aree più qualificate. Il volume di cui parliamo presenta le piante in ordine sistematico, con la nomenclatura uniformata a quella della Flora d'Italia di Pignatti. Per ciascuna specie sono indicate le caratteristiche generali di biologia e di ecologia, l'altitudine in cui è presente nel Piacentino, l'elenco delle segnalazioni antiche e recenti. In alcuni casi, per specie di particolare interesse, viene presentata anche la carta di distribuzione territoriale, derivante dall'archivio delle segnalazioni conservato presso il Museo civico di storia naturale di Piacenza. Questa parte, che è anche la più corposa, è quella che giustifica l'opera; viene preceduta da un apparato introduttivo nel quale il Piacentino viene descritto dal punto di vista geografico ed ecologico. Segue poi un elenco di località di particolare valore floristico, insieme all'elenco delle specie presenti. Sono presentate anche elaborazioni sulla struttura della flora in funzione dell'altitudine. Tabelle di sintesi e una nutrita bibliografia completano l'opera.

E. Romani, A. Alessandrini, Flora Piacentina, Piacenza, Museo civico di storia naturale di Piacenza, Società piacentina di scienze naturali, 2002, 395 p., s.i.p.

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Di carte e di erbe “IBC” XIII, 2005, 3

Nel 2005 si celebra il IV centenario della morte di Ulisse Aldrovandi, naturalista bolognese che ha lasciato un patrimonio di conoscenze, collezioni, materiali e documenti che desta meraviglia e, a distanza di 400 anni, suscita interesse e continua a produrre nuove idee e interpretazioni. La grandezza di questo personaggio e l’importanza della sua eredità non possono essere rappresentate adeguatamente in questo breve articolo; per questo il lettore interessato può riferirsi alla ricca bibliografia disponibile sull’argomento. Ormai è unanime l’opinione che l’Aldrovandi sia uno dei precursori delle scienze naturali anche se, per alterne vicende, l’opinione sul suo lavoro non sempre è stata positiva, a causa di equivoci e del fatto che la stragrande maggioranza della sua opera è inedita ed è stata ripresa e messa nella giusta luce solo in tempi relativamente recenti. Di Aldrovandi restano tra l’altro le raccolte di campioni della più diversa natura (un vero e proprio museo); le tavole a colori raffiguranti soprattutto piante e animali (fatte eseguire da esperti disegnatori); le tavole di legno predisposte per la stampa di volumi che per massima parte non hanno mai visto la luce; alcune opere a stampa; una mole impressionante di manoscritti; uno degli erbari più antichi della storia della botanica. Questo prezioso materiale è frutto di un’attività appassionata, di lungimiranza, di esplorazioni, di rapporti con gli altri grandi naturalisti suoi contemporanei. Nell’Italia del XVI secolo venivano poste le basi della scienza come oggi la conosciamo; e Aldrovandi fa parte a pieno titolo di questo fermento.

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Oggi tutto questo immenso patrimonio conosce una nuova vita grazie alla rete telematica. Stiamo vivendo un momento straordinario; nei siti di grandi istituzioni culturali è possibile accedere a fonti che fino a qualche hanno fa erano irraggiungibili o quasi sconosciute. La Bibliothèque nationale de France, ad esempio, all’indirizzo gallica.bnf.fr rende possibile la consultazione in linea o la acquisizione sul proprio computer di quasi tutti i testi base delle scienze naturali, a partire dal Canone di Avicenna (nella edizione di Lione del 1522, traduzione di Gerardo da Cremona, rivista da Pietro Antonio Rustico, da Andrea Alpago, rivisitata annotata e corretta da Benedetto Rinio), ai lavori dei Bauhin (tra tutti il Pinax), il Mattioli (sia i Commentari che i Discorsi, in diverse edizioni) e in generale tutta la letteratura dioscoridea; e poi anche i testi di Magnol, fino alle opere di Linneo; solo per citare qualche esempio. Ma lo stesso vale per la Biblioteca de la Universidad Complutense di Madrid ( www.ucm.es/BUCM/), in particolare nella “Biblioteca Digitál Dioscoridea” dove - oltre a molti tra i volumi già citati e ad altri - sono in linea anche 19 titoli aventi “Aldrovandi” come autore, anche se numerosi sono stati pubblicati postumi, e l’Antidotarium Bononiensis. Si assiste insomma a una vera e propria “democratizzazione”, resa possibile da internet e dalla lungimiranza delle istituzioni che mettono a disposizione questo patrimonio senza metterne a repentaglio la conservazione. Non va sottovalutata poi l’importanza del fatto che con queste nuove modalità è possibile consultare opere meno conosciute che invece possono essere anche di grande valore. Gli effetti di questo cambiamento sono già oggi notevoli. Stiamo assistendo a una forte ripresa d’interesse per questi temi, resa possibile proprio da questa inedita e amplissima disponibilità. E già sono disponibili repertori, indici, basi di dati che facilitano la ricerca e il confronto tra fonti diverse. Questa breve introduzione per collocare le iniziative di cui parleremo in un contesto più ampio.

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Intanto, un indirizzo internet di partenza: www.filosofia.unibo.it/aldrovandi/default.htm. Qui il navigatore può trovare l’intera serie delle tavole acquerellate conservate presso il Museo bolognese di Palazzo Poggi, ordinate secondo la sequenza di tomi, volumi e tavole. Le tavole sono riprese nella loro interezza, per cui sono anche leggibili le didascalie e visibili le matite. La bellezza di questo patrimonio iconografico e scientifico è nota; le tavole sono state oggetto di pubblicazioni anche recenti. Ma la conoscenza è sempre stata parziale, con perdita di informazioni importanti, mentre la completezza della riproduzione rende possibili, come si vedrà, analisi del tutto nuove. È in corso di preparazione un volume in collaborazione tra i Musei di Palazzo Poggi e l’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, volume che presenterà diverse centinaia di tavole e sarà l’occasione per fare il punto sull’argomento. Sono stati chiamati a collaborare studiosi ed esperti che già si sono occupati di questo grande personaggio e del periodo in cui lavorò. Da sottolineare (e chiunque può apprezzare la verità di questa affermazione consultando il sito sopra indicato) che gli interessi di Aldrovandi per le “cose naturali” erano amplissimi, comprendendo le piante, e tutti gli animali: soprattutto gli uccelli (uno dei pochi suoi libri a stampa fu proprio l’Ornithologia), i mammiferi, i rettili, gli anfibi e i pesci. Ma vennero rappresentati nelle tavole anche esseri viventi al tempo poco noti come i funghi o gli insetti. Una divagazione a parte va dedicata ai “mostri”; diverse tavole illustrano creature mostruose, sia “vere” (cioè forme patologiche) che frutto di immaginazione. E inoltre un volume postumo vide la luce nel 1642, a cura di Bartolomeo Ambrosini, la Monstrorum historia, cum Paralipomenis historiae omnium animalium. È difficile con la mentalità di oggi non sorridere di queste ingenuità non scientifiche. Ma era quella la fase delle grandi

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esplorazioni e i viaggiatori tornavano con piante e animali prima mai visti; e con racconti che parlavano di strane creature, dove si mescolavano parti di diversi animali e piante. Per meglio collocare questa parte del lavoro aldrovandiano sono molto suggestive alcune pagine del Baudolino di Umberto Eco (in particolare al capitolo 27): “Un’altra volta il basilisco l’incontrarono davvero, ed era proprio come lo avevano tramandato tanti racconti, indubbiamente veritieri”. Segue una descrizione terrifica di un essere formato da parti dei più diversi organismi. O ancora: “L’altra aveva una testa di leone, che ruggiva, il corpo di capra e le terga di drago, ma sul dorso caprino si elevava una seconda testa cornuta e belante. La coda era un serpente, che sibilando si drizzava in avanti a minacciare gli astanti”. Poi arrivano mostri umani: “La creatura, con spalle amplissime e dunque molto tarchiata, ma di vita sottile, aveva due gambe corte e pelose e non aveva testa, né peraltro collo. Sul petto, dove gli uomini hanno i capezzoli, si aprivano due occhi a mandorla, vivacissimi e, sotto un leggero rigonfiamento con due narici, una sorta di foro circolare, ma molto duttile, così che quando si mise a parlare gli faceva assumere varie forme [...]”. L’indice delle tavole acquerellate Grazie alla disponibilità dei materiali è stato anche possibile trascrivere le didascalie delle tavole di argomento botanico e creare una prima indicizzazione, destinata ad affiancare il sito dell’Hortus pictus, facilitando la ricerca dei soggetti. Le didascalie sono rivolte a un pubblico erudito, che ha familiarità con greco e latino; ma segue non di rado anche la dizione italiana, e a volte persino quella bolognese o toscana. Nel caso del Mirtillo si giunge a precisare che viene denominato “bagolo” dai montanari (montanis rusticis).

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Notevole la permanenza delle denominazioni italiane, che si ritrovano spesso pressoché identiche nell’ottocentesco Dizionario botanico italiano di Ottaviano Targioni Tozzetti (ad esempio la Celosia, 08_114, “Gelosia”, o “Fior di Gelosia”) e poi nelle coeve o successive flore italiane generali, rimbalzando quasi inalterate di generazione in generazione e di secolo in secolo, fino ai giorni nostri: si pensi alla “Celidonia” (Chelidonium majus) o al “Pungitopo” (Ruscus aculeatus). Molte tra le tavole più ricche di nomi si trovano nei volumi 5 e 6 e per massima parte si tratta di piante terapeutiche, velenose o di interesse officinale. Non va dimenticato che obiettivo primario di questi erbari dipinti era la didattica, per medici e speziali. Tra le piante con più nomi: il Ciclamino (Vol 5, Tav. 234), che presenta la maggior ricchezza in assoluto con 64 dizioni, in ebraico, aramaico (o caldeo), greco (qui da Teofrasto e da Dioscoride), arabo, moresco (mauritanico); la bellissima e quasi inquietante Mandragora (Vol. 5, Tav. 222); la Verbena (Vol. 6, Tav. 66); il Rododendro (Vol. 6, Tav. 115). Le tavole botaniche sono oltre 1.800. Poiché spesso ogni soggetto è indicato con più di un nome, è stato messo a punto (da chi scrive, con la collaborazione di Laura Gavioli e la consulenza di Zita Zanardi) un indice di oltre 6.000 nomi, ciascuno legato a una tavola e a un soggetto. La trascrizione ha presentato diversi problemi, per gran parte risolti o affrontati mediante normalizzazione. In generale si è deciso di seguire una trascrizione che rendesse il senso, piuttosto che la lettera. Ad esempio, “Vua” è stato registrato come “Uva” (e di uva si tratta) a evidente vantaggio della comprensibilità. La nomenclatura, uno dei temi più complessi e ricchi di implicazioni per chi si occupa di scienze naturali, merita

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qualche breve annotazione. Va precisato che per massima parte si tratta di denominazioni che vengono riprese da altre fonti. Sono piuttosto poco numerosi i nomi coniati da Aldrovandi. Le denominazioni sono costituite da uno o più termini; il primo è un sostantivo e prefigura quello che in seguito sarebbe diventato il genere. I termini successivi hanno funzione attributiva; infatti spesso sono aggettivi o svolgono funzione di aggettivo: tutti insieme formano ciò che poi sarebbe diventato l’epiteto specifico. Nel caso di nomenclatura binomia si verificano anche casi di coincidenza con la nomenclatura linneana. Di grande interesse anche le indicazioni accessorie, consistenti o in riferimenti a un autore (non solo come fonte, ma anche nel senso di auctoritas) ovvero a una lingua. Ad esempio l’Arum (Vol. 5, Tav. 283), identificato da 21 denominazioni diverse (si tratta di A. italicum ma con foglie macchiate di nero) è chiamato Dracunculus in Teofrasto, Sicantica nel Pandectarius di Matth. Sylvaticus, Gigaro o Herba bissaia in italiano. Le fonti citate sono numerosissime. Un esame della frequenza dà anche l’idea di quali fossero le più autorevoli e utilizzate. Limitandosi alle fonti più citate e raggruppandole per grandi periodi storici, tra le classiche ricorrono soprattutto Plinio (è il più citato: oltre 130 volte), Teofrasto (oltre 60 volte), Ippocrate, Galeno, Dioscoride (oltre 50); dalla tradizione medica medievale islamica sono ripresi Averrhoe, Avicenna, Mesue (o Mesve) e elRasi; da ambiente occidentale provengono Arnaldo di Villanova, Serapione e il già citato Matth. Sylvaticus (quest’ultimo con oltre 50 citazioni). Infine, tra le fonti bassomedievali o più o meno coeve molti nomi sono desunti da Ermolao Barbaro, da Mattioli (citato oltre 50 volte), Cordus (44 citazioni), Dodoens (quasi 70 citazioni), Tragus (oltre 40), Fuchs (circa 30).

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La lista delle denominazioni è risultato di analisi critica da parte di Aldrovandi, tanto è vero che sono numerosi i casi di nomi citati ma rifiutati come falsi o ritenuti dubbi. L’erbario S’è accennato al fatto che di Aldrovandi resta uno degli erbari più antichi della storia della botanica. Su insegnamento di Luca Ghini, maestro suo e di altri fondatori della botanica, Aldrovandi confezionò nel corso dei decenni, a partire probabilmente dal 1551, un erbario comprendente oltre 5.000 campioni, rilegato in 15 volumi, oggi conservato presso l’erbario dell’Università di Bologna. Qui sono conservati campioni raccolti nel corso delle esplorazioni svolte in luoghi diversi: l’Appennino emiliano (soprattutto bolognese e modenese), il Monte Baldo, diverse località marchigiane, i Monti Sibillini; tuttavia la località di raccolta non viene precisata. Ciascun campione è identificato con una o più denominazioni. In non pochi casi sono stati utilizzati per realizzare la tavola corrispondente. Alcuni tra questi volumi erano stati illustrati nei primi anni del secolo scorso. Ma ora le tavole sono state trascritte e, laddove possibile, identificate con la denominazione attuale. Alcuni campioni sono infatti piuttosto danneggiati e la cosa non stupisce, essendo trascorsi oltre quattro secoli dalla raccolta. Sono quindi stati pubblicati a stampa vari contributi. È da sottolineare inoltre che, grazie all’esame o alla più corretta interpretazione dei manoscritti aldrovandiani conservati presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, è stato anche possibile ricostruire la provenienza delle raccolte. La grande e recente novità è che nel sito www.sma.unibo.it/erbario/erbarioaldrovandi.html oggi è possibile

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consultare questo straordinario documento, a ulteriore dimostrazione di quanto la rete telematica possa contribuire alla diffusione di informazioni rarissime e di natura fragile, senza danneggiare il materiale originale. Sarà importante in futuro schedare queste denominazioni e creare un unico database integrato, relativo ai due erbari, quello dipinto e quello con campioni essiccati. In questo modo sarà forse possibile anche identificare altri campioni secchi oggi non più riconoscibili. Sono previsti ulteriori sviluppi; chi vuol conoscere meglio i programmi che riguardano Ulisse Aldrovandi in internet si colleghi a www.centenarioaldrovandi.org. L’avventura continua.

[con la collaborazione di Laura Gavioli]

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Verde alieno “IBC” XIV, 2006, 2

L’invasione di specie esotiche rappresenta una delle minacce maggiori alla biodiversità, seconda solo alla distruzione di habitat. Con questa frase drammatica inizia un quaderno della serie “LIFE Focus” intitolato Alien species and nature conservation in the EU.1 Dall’invasione può nascere una serie di eventi che influenza radicalmente non solo il patrimonio biologico ed ecologico, ma anche la stessa struttura sociale ed economica. È emblematico, a livello planetario, il caso del Persico del Nilo, che, introdotto nel Lago Vittoria, ha dato l’avvio a un processo di estinzione a catena delle specie endemiche del lago, che un tempo fornivano alimento alle popolazioni locali. Poiché le carni vengono affumicate, i territori circostanti sono stati deforestati per ricavare legna da ardere. Il caso del Lago Vittoria è solo quello più ampiamente noto, ma il problema è generale e generalizzato, ormai interessa tutto il nostro pianeta ed è di particolare gravità per le aree più ricche di endemismi. Il continente australiano è forse quello che in modo più grave ed esteso ha subìto gli effetti delle invasioni biologiche; ma anche l’Europa conosce bene la questione. Spesso si parla di specie animali, ma problemi gravi si creano anche in seguito a invasioni di specie vegetali. Un termine molto efficace, anche se non strettamente scientifico, per definire gli organismi che al di fuori dei loro territori d’origine divengono invasivi e fonte di problemi è “peste”, a indicare l’analogia con le epidemie e riecheggiando antiche e mai sopite paure. Soprattutto le piante di ambiente acquatico sono in grado di invadere canali e superfici lacustri, a volte nel giro di poche settimane. Ma ben noti sono i casi della Robinia e dell’Ailanto,

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per rimanere nella nostra regione, o dei Carpobrotus, che colonizzano le dune e gli ambienti rocciosi in ambiente mediterraneo costituendo un tappeto inestricabile e sottraendo spazio alle cenosi spontanee. Alcune piante sono state introdotte per produrre alimenti, fibre tessili, legname pregiato, sostanze utili in medicina; o sono piante apprezzate per la loro bellezza. Per gran parte le piante coltivate non sono in grado di vivere al di fuori dell’ambiente agrario, se non per brevi periodi e sempre nei dintorni del luogo di coltivazione. In alcuni casi tuttavia qualcosa sfugge, ma per stabilire se effettivamente la specie sfuggita forma popolazioni stabili e relativamente durevoli nel tempo, e per capire se essa compie l’intero ciclo biologico in ambiente aperto, occorrono osservazioni ripetute e attente. Tra le piante coltivate, che spesso non sono ceppi selvatici, ma varietà selezionate, alcune possono inselvatichire, a volte recuperando caratteri simili alle popolazioni selvatiche: si tratta delle cosiddette “ferali”; queste sono alloctone in origine, ma le stirpi che divengono spontanee si sono generate nel nostro territorio. Un problema del tutto diverso è rappresentato dalle “archeofite”: questo termine indica le specie alloctone originarie del Vecchio mondo, giunte sul nostro territorio spesso al seguito di piante coltivate. Le archeofite più note e tipiche sono le commensali dei campi di cereali, come i Papaveri, il Fiordaliso, l’Erba-consolida, le Adonidi, il Gittaione. Con l’uso di diserbanti selettivi le archeofite sono divenute spesso rarissime o addirittura sono scomparse da ampi territori. In alcuni paesi (come l’Olanda), con i fondi dei regolamenti applicativi della politica agricola comunitaria, sono finanziate azioni per la loro protezione attiva, soprattutto in aree protette o per rafforzare i corridoi ecologici della rete ecologica nazionale o locale.

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Sul tema delle esotiche e del loro impatto sulla flora italiana è stato avviato un progetto finanziato dalla Direzione per la protezione della natura del Ministero dell’ambiente, progetto in corso di svolgimento da parte del Centro interuniversitario “Biodiversità, fitosociologia ed ecologia del paesaggio” e del Gruppo di lavoro di Floristica della Società botanica italiana. L’Istituto per i beni culturali (IBC) è stato coinvolto come coordinatore del progetto per la Regione Emilia-Romagna; è stato quindi costituito un gruppo di lavoro, del quale fanno parte per ora Giacomo Bracchi (Piacenza e Museo civico di storia naturale di Milano), Filippo Piccoli e Mauro Pellizzari (Università di Ferrara), Nicola Merloni (Cervia), Alessandro Alessandrini (IBC), tutti esperti conoscitori della flora regionale e in particolare della flora esotica. Un incontro di lavoro si è tenuto all’Orto botanico di Roma il 23 e 24 marzo 2006. Sono state presentate alcune relazioni generali, e ciascuna Regione ha presentato lo stato delle conoscenze sul tema, a partire dagli elenchi già presenti nella Checklist della Flora italiana (di cui s’è parlato nel n. 1/2006 di “IBC”), elenchi che sono stati integrati, corretti e aggiornati. L’argomento è infatti in rapidissima evoluzione e nuove scoperte si succedono con ritmi accelerati. Un primo obiettivo del progetto consiste nello stilare una lista nazionale di piante alloctone. Per chi non si occupa del tema può apparire facile stabilire se una specie è alloctona,2 o autoctona, ma non sempre è così. Occorre infatti valutare molti aspetti, per i quali spesso non si hanno dati sufficienti. Alcuni esempi già presentati possono essere utili al lettore per conoscere qualcuno dei problemi che si incontrano. È stato svolto molto lavoro per mettere a punto la lista nazionale delle piante esotiche; grazie al fatto che si sono ritrovati nello stesso luogo i migliori esperti di flora, sia nazionale che regionale, questo importante obiettivo è stato

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sostanzialmente raggiunto, grazie anche all’efficace coordinamento di Laura Celesti dell’Università di Roma “La Sapienza”; come si è già accennato, non sempre le opinioni degli esperti sono concordi e quindi queste occasioni per mettere a punto una visione condivisa sono di fondamentale importanza metodologica. Qualche notizia è opportuna sulla situazione dell’Emilia-Romagna, che per le sue caratteristiche geografiche e territoriali offre ampie possibilità di insediamento per piante esotiche. Tra le caratteristiche del suo territorio almeno due sembrano infatti giocare un ruolo decisivo per l’ingresso e la diffusione di flora esotica: circa metà di questo territorio è costituita dalla pianura alluvionale del Po e dei suoi affluenti; è una regione di passaggio tra l’Italia settentrionale e quella peninsulare. L’attività agricola è molto estesa e intensa; sono presenti grandi conurbazioni in rapida estensione e trasformazione e potenti corridoi di collegamento, sia naturali, come i fiumi (e tra questi il Po e i litorali marini sabbiosi), sia artificiali, come strade e ferrovie. L’impatto complessivo della presenza e delle attività umane è molto elevato e in crescita. Un primo dato qualitativo è che nei lavori più recenti le “novità” segnalate per la flora dell’Emilia-Romagna sono assai spesso costituite da piante esotiche, chiaro indizio che il tasso di specie esotiche nella flora regionale è senz’altro in crescita. Attualmente possiamo parlare di un pool di esotiche che si aggira intorno alle 450 specie complessive; escludendo le “casuali”, il numero si aggira intorno alle 280. Grazie al progetto potranno essere migliorate le conoscenze su questo tema, con la compilazione di una lista aggiornata e criticamente analizzata delle piante esotiche note e documentate, sia nel passato che attualmente. Alcuni temi da sviluppare in specifico: le aree fluviali (quella del Po in primis), le aree ferroviarie e industriali,

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le aree di cantiere delle grandi opere infrastrutturali (alta velocità ferroviaria, variante di valico); un tema preoccupante, infine, riguarda l’impatto sulla flora spontanea di alcune piante molto aggressive, che costituiscono un’ulteriore minaccia verso habitat già a rischio, come i litorali sabbiosi, le zone umide e gli ambienti fluviali. Terminologia Di seguito si propone la terminologia raccomandata nell’ecologia delle invasioni vegetali (tratta da: D. M. Richardson et alii, Naturalization and invasion of alien plants: concepts and definitions, “Diversity and Distribution”, 2000, 6, pp. 93-107, lievemente modificato).3 Piante aliene (sinonimi: piante esotiche, non-native, non-indigene, xenofite) Entità vegetali la cui presenza in una certa area è dovuta all’introduzione intenzionale o accidentale, come un risultato dell’attività umana. Piante aliene casuali Piante aliene che possono propagarsi e persino riprodursi occasionalmente in un’area, ma che non formano popolazioni autosostituenti, e che dipendono da introduzioni ripetute (il termine include entità denominate in letteratura come “effimere”, “transeunti”, “occasionali” e “persistenti dopo la coltivazione”). Piante naturalizzate Aliene che si riproducono regolarmente e formano popolazioni che si sostengono autonomamente per numerosi cicli vitali successivi senza (o nonostante) intervento umano diretto; spesso si diffondono liberamente, di solito

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nei pressi di piante adulte, e non necessariamente invadono ecosistemi naturali, seminaturali o di origine umana. Piante invasive Naturalizzate che producono discendenza, e spesso in quantità molto elevata, a distanza considerevole dai genitori (scala approssimativa: oltre 100 metri / entro 50 anni, per piante che si diffondono per semi e altri propaguli; oltre 6 metri / entro 3 anni, per piante che si diffondono per radici, rizomi, stoloni, o fusti striscianti), e quindi possiedono il potenziale per diffondersi su un’estensione notevole. Malerbe (sinonimi: piante infestanti, piante nocive, piante problematiche, pesti) Piante (non necessariamente aliene) che crescono in luoghi dove non sono volute e che di solito producono sensibili effetti economici o ambientali. “Infestanti ambientali” sono piante aliene che invadono la vegetazione naturale, di solito danneggiando la biodiversità nativa e/o il funzionamento degli ecosistemi. Trasformatrici Un sottoinsieme di invasive che modificano il carattere, le condizioni, la forma o la natura di ecosistemi per un’area sostanziale rispetto all’estensione di quell’ecosistema. Esempi: utilizzatori eccessivi di risorse come acqua o luce; luce e ossigeno (in ambienti acquatici); che cedono risorse limitate come l’azoto; che facilitano o ostacolano il fuoco; che stabilizzano le sabbie; che accumulano e ridistribuiscono sali; ecc. Approfondimenti in rete Sono centinaia i siti nel web che trattano l’argomento, tanto che una rassegna richiederebbe molte pagine.

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Forniamo qui due utili punti di partenza: • nel sito della Convention on Biological Diversity (CBD): www.biodiv.org/programmes/cross-c utting/alien/default.aspx ; • la World Conservation Union (IUCN) ha al suo interno un gruppo di specialisti sulle specie invasive: www.issg.org Note (1) Il quaderno può essere scaricato dal sito dedicato al Programma LIFE: europa.eu.int/comm/environ ment/ life/infoproducts/alienspecies_en.pdf (2) Altri termini usati e praticamente sinonimi di “alloctona”: “esotica”, “aliena”, “xenofita”, ecc. (3) web.uct.ac.za/depts/ipc/pdf/richard/rich09.pdf

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Nel teatro di Ulisse “IBC”XV, 2007, 2

A distanza di quattro secoli, il patrimonio di conoscenze, collezioni, materiali e documenti lasciato da Ulisse Aldrovandi (Bologna, 1522-1605) continua a destare meraviglia, suscitare interesse e produrre nuove idee e interpretazioni. Di lui restano, tra l’altro, le raccolte di campioni della più diversa natura (un vero e proprio museo), alcune opere a stampa, una mole impressionante di manoscritti; uno degli erbari più antichi della storia della botanica e i volumi di tavole a colori fatte eseguire da un vero e proprio laboratorio artistico, prodotte anche pensando alla realizzazione di opere che per massima parte non hanno mai visto la luce o che sono state pubblicate postume da altri. Aldrovandi può essere considerato fondatore delle scienze naturali: la sua curiosità, la completezza degli interessi, la sua indole di esploratore e classificatore non conoscevano limiti. Fin dall’adolescenza mostra uno spirito avventuroso e, dopo un lungo corso di studi e alterne vicende, inizia a dedicarsi, intorno al 1550 a quella che per diversi decenni sarebbe diventata la sua passione principale: raccoglie infatti campioni di piante, animali, rocce, fossili, analizzando, archiviando e classificando ogni prodotto naturale. La scoperta delle Indie occidentali portò nel Vecchio mondo esseri viventi straordinari e mai visti prima, suscitando l’entusiasmo dei cultori di cose naturali. Grazie alla raccolta di oggetti naturali provenienti dalle terre appena scoperte, ma anche da luoghi più vicini, a partire dalle colline di Bologna, nasceva quel museo o “teatro”, o “microcosmo di natura”, che assorbì buona parte delle energie fisiche e intellettuali del naturalista bolognese e che gli consentì

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di raccogliere diciottomila “diversità di cose naturali” e settemila “piante essiccate in quindeci volumi”. Il volume Natura picta, pubblicato dall’Editrice Compositori, è frutto del lavoro di numerosi esperti e della collaborazione tra l’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) e il Comitato nazionale per le celebrazioni del IV centenario della morte di Ulisse Aldrovandi, un’occasione preziosa per far conoscere a un pubblico più ampio questo illustre bolognese, oggetto di numerosi e approfonditi studi nell’ambito della pubblicistica scientifica specialistica. La premessa del rettore dell’Università di Bologna Pier Ugo Calzolari, la presentazione del presidente dell’IBC Ezio Raimondi e il saggio introduttivo di Walter Tega, direttore del Museo di Palazzo Poggi, sono l’avvio di un viaggio che si dipana attraverso numerosi e circostanziati articoli che mostrano l’apporto che i diversi interessi di Aldrovandi hanno dato alla nascita e all’evoluzione delle scienze naturali. Scienze complesse e molto articolate, che nel corso dei secoli hanno subìto profonde trasformazioni. Dal museo come “camera delle meraviglie” agli studi sui più intimi meccanismi della materia vivente, fino alle attuali preoccupazioni sulla conservazione della diversità biologica, c’è un filo sottile che tutto unisce. Si susseguono numerosi saggi monografici, opera di storici, botanici, esperti in alberi da frutto, piante da orto, micologi, ornitologi, teriologi, ittiologi, entomologi, erpetologi e paleontologi. Gli articoli, tutti scritti con consapevole passione, nel loro insieme dimostrano proprio come sia possibile riconsiderare il lavoro di Ulisse Aldrovandi con gli occhi del biologo e del naturalista di oggi senza metterne in discussione il pensiero e lo spirito originari. Il cuore del volume è costituito dalle tavole (circa cinquecento), uno degli aspetti più spettacolari del lascito aldrovandiano: sono state scelte in modo da rappresentare con efficacia il ricchissimo patrimonio iconografico e le fasi con cui venivano realizzate le immagini. Le tavole sono pubblicate integre,

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complete di annotazioni, liste di denominazioni e in alcuni casi appena tratteggiate a matita e completate solo in alcuni dettagli significativi, come promemoria per una rifinitura successiva destinata a fissarne forma, colori, ombre e sfumature. Importanti anche, a chiusura del volume, gli apparati bibliografici che raccolgono una summa aggiornatissima di centinaia di titoli. Il volume è stato donato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo scorso 16 marzo in occasione della sua visita all’UniversitĂ e al Museo di Palazzo Poggi.

Natura picta. Ulisse Aldrovandi, a cura di A. Alessandrini e A. Ceregato, Bologna, Editrice Compositori, 2007, 670 p., euro 38,00.

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La banca delle piante “IBC”XVI, 2008, 2

La “Strategia europea per la conservazione delle piante” rappresenta in Europa la declinazione dedicata al mondo vegetale della “Convenzione sulla biodiversità” (la cosiddetta “Convenzione di Rio”) e riconosce tra i propri obiettivi quello di “comprendere e documentare la diversità vegetale”; questo obiettivo si articola in passi e priorità, ma il messaggio resta coerente e basato sul principio che ogni comunità umana è responsabile del proprio patrimonio di diversità biologica.1 In questo ambito le amministrazioni pubbliche devono svolgere un ruolo che non può essere demandato ad altri soggetti: conoscere, mantenere basi di dati aggiornate e sensibili, sviluppare specifici approfondimenti, elaborare e tenere aggiornate liste di attenzione (le cosiddette “liste rosse”) e trovare i modi più efficaci per sostenere le specie in condizioni più critiche. La flora, infatti, giocando il ruolo di produttore di materia vivente nella struttura degli ecosistemi, è una delle componenti fondamentali della biodiversità. Il progetto qui presentato illustra criteri, metodi e primi risultati della banca dati sulla flora dell’Emilia-Romagna, collocandosi in questo alveo più ampio e di scala globale. La “flora” è l’insieme delle piante che vive in un territorio. L’elenco delle entità sistematiche, che deriva da studi, esplorazioni, ricerche, confronti, costituisce invece la “Flora” con l’iniziale maiuscola; la Flora assume tradizionalmente la forma di una pubblicazione a stampa oppure elettronica (sia su CD-ROM che all’interno di siti web). In generale le conoscenze sulla flora di un territorio, e quindi anche quelle relative all’EmiliaRomagna, sono disseminate in molte sedi diverse (fonti bibliografiche, erbari, rilevamenti inediti) e derivano da

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studi che coprono un arco di tempo molto ampio. I dati relativi alla presenza di specie in un certo luogo compaiono in lavori scientifici o divulgativi pubblicati da riviste specializzate o di settore. Una lista piuttosto completa dei lavori di argomento floristico e vegetazionale noti fino al 1995 compare nel volume Vedi alla voce Natura, bibliografia naturalistica per l’Emilia-Romagna curata dall’Istituto regionale per i beni culturali (IBC).2 Nel CD-ROM The Italian vascular flora: references and sources sono elencati quasi 1000 lavori di argomento botanico pubblicati dal 1950 al 2005.3 Naturalmente non tutti i lavori sono della stessa importanza. In alcuni casi si tratta di Flore generali relative a territori di ampiezza provinciale o subregionale, elaborate con l’obiettivo di presentare un catalogo completo e aggiornato della flora vascolare del territorio indagato. Una categoria particolare è quella delle Flore-base, le prime opere generali relative a un determinato territorio, che diventano il punto di partenza per le integrazioni e precisazioni successive. L’elenco che segue contiene i riferimenti essenziali delle principali Flore-base del territorio regionale, di cui si riportano autori, titolo e anno di pubblicazione: • • • • • •

G. Gibelli, R. Pirotta, Flora del Modenese e del Reggiano, 1882 C. Casali, La Flora del Reggiano, 1899 G. Cocconi, Flora della Provincia di Bologna, 1882 L. Caldesi, Florae Faventinae Tentamen, 1879-1880 P. Revedin, Flora vascolare della Provincia di Ferrara, 1909 P. Zangheri, Repertorio della flora e fauna della Romagna, 1966

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G. Passerini, Flora dei contorni di Parma, 1852 P. Bolzon, Flora della provincia di Parma e del confinante Appennino tosco-ligure-piacentino, 1920 A. Alessandrini, G. Branchetti, Flora reggiana, 1997 E. Romani, A. Alessandrini, Flora Piacentina, 2001

A volte, alla prima lista seguono uno o più aggiornamenti, a cura dello stesso autore o di altri. L’esplorazione infatti prosegue nel tempo e ciò porta al rinvenimento di specie in precedenza non note per il territorio indagato. Questo incremento di conoscenza consiste nell’accertare: • specie già presenti al tempo della redazione dell’elenco di base ma non rinvenute; • specie che nel frattempo si sono insediate (appartengono a quest’ultima categoria soprattutto piante di origine esotica, giunte in conseguenza di attività umane). Può anche verificarsi il caso di specie presenti un tempo, ma non confermate, come accade con le piante di habitat umidi scomparsi: l’analisi dei dati storici permette infatti il confronto con la situazione attuale e dà la possibilità di esprimere valutazioni quantitative e qualitative sui cambiamenti dello stato di questo patrimonio nel tempo. Non va sottovalutato inoltre il fatto che le conoscenze e le valutazioni sulla sistematica sono in continuo cambiamento. I lavori che risistemano gruppi, generi, specie, sono numerosi e compaiono in sedi diverse, non sempre diffuse né di facile reperimento. Per aggiornare la nomenclatura e la sistematica della flora italiana è stata pubblicata la checklist della Flora

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italiana,4 cui è seguita (sempre a cura degli stessi autori, ma con contributi di numerosissimi collaboratori) una corposa raccolta di Integrazioni alla checklist della flora vascolare italiana, a ulteriore dimostrazione della estrema vitalità attuale degli studi sistematici e nomenclaturali. Anche queste modifiche di livello generale producono cambiamenti qualitativi e quantitativi sulle conoscenze delle flore locali, che devono essere riconsiderate sotto punti di vista nuovi. Se per esempio all’interno di una specie ritenuta monotipica vengono riconosciute piccole specie o sottospecie diverse, risulta necessario riguardare le popolazioni presenti nel territorio e collocarle nel quadro sistematico innovato. I cambiamenti qualitativi e quantitativi della flora costituiscono l’oggetto di numerosi lavori che già nel titolo presentano termini come “aggiunte”, “novità”, “addenda”, “supplementi”, a indicare che si tratta di integrazioni a una Flora-base. Molto spesso in queste opere minori per dimensioni sono raccolti dati di grande valore qualitativo. Un’altra tipologia di lavori è quella che illustra la Flora di territori di minor estensione, come le aree protette, di particolare valore naturalistico e in particolare floristico; tra queste, a titolo d’esempio, possono essere ricordate le Flore relative a substrati particolari come i gessi messiniani (romagnoli, bolognesi, reggiani) o triassici (nel Reggiano), e le ofioliti; oppure quelle relative a zone umide (Campotto e Valle Santa, il Quadrone), a boschi (il Gran Bosco della Mesola, i Boschi di Carrega), eccetera. Una modalità particolare e tipica di dati di argomento floristico è quella che si presenta come campione d’erbario. Fin dalla seconda metà del XVI secolo i botanici hanno creato erbari, costituiti da piante raccolte ed essiccate. È relativamente più recente l’uso di annotare alla raccolta anche una serie di altri dati, tra cui la località, la data, il raccoglitore e altre informazioni ritenute utili. In genere, a una Flora edita corrisponde un fondo erbariologico

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dove sono conservati i campioni che documentano i rinvenimenti pubblicati. Ma non sempre i campioni sono raccolti in vista di una pubblicazione; oppure la pubblicazione dei dati si limita a piante di particolare importanza, mentre la gran parte dei campioni ritenuti di minore interesse, o di identità non accertata, resta inedita. A titolo d’esempio, l’erbario della Flora del Modenese e del Reggiano e delle Aggiunte di Gibelli e Pirotta è conservato a Modena, quello di Caldesi relativo al Florae Faventinae Tentamen è conservato a Bologna. Sempre a Bologna si conserva l’Erbario della Flora Italica di Antonio Bertoloni, che contiene molti dati anche sulla flora dell’Emilia e della Romagna. L’erbario corrispondente al Repertorio della Flora della Romagna e alla Romagna Fitogeografica di Pietro Zangheri è conservato nel “Museo Zangheri”, presso il Museo civico di storia naturale di Verona. Ma grazie a contatti con diverse sedi museali, sia universitarie che di altra natura, sono stati individuati per ora due fondi erbariologici inediti e sconosciuti. Uno di questi è l’erbario Mattei, conservato all’Orto botanico di Napoli; Giovanni Ettore Mattei (1865-1943) era allievo di Federico Delpino, e lo seguì quando si trasferì a Napoli; la riscoperta del suo erbario, del quale si erano perdute le tracce, è recentissima ed è avvenuta nell’ambito delle attività relative al progetto. I campioni provengono dal Bolognese e dal Modenese. Un altro erbario relativo al territorio regionale, ma conservato altrove, è quello di Antonio Del Testa, autore di numerosi lavori sulla flora del Cesenate (collocati all’inizio del secolo scorso); questo fondo è conservato presso il Centro di Ricerche floristiche Marche a Pesaro. Entrambi questi erbari sono in corso di schedatura, grazie a contributi dell’IBC derivanti dal “Fondo Conservazione della Natura” e il loro esame sta dando risultati di notevole valore. Nel corso di approfondimenti sulle Province di Modena e di Ferrara sono stati indagati gli erbari delle

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rispettive Università. Più di recente, i dati floristici (e naturalistici in generale) vengono archiviati in banche dati elettroniche. In particolare, sono da citare gli archivi derivanti da alcuni progetti regionali, come quelli che hanno prodotto l’Atlante della Flora protetta e l’Atlante delle Felci. Inoltre, sono disponibili anche: i dati confluiti nel progetto “Bioitaly” (svolto dall’IBC su incarico della Regione negli anni Novanta) per la individuazione dei siti della Rete europea “Natura 2000” in Emilia-Romagna, e i dati desunti dai rilievi svolti per la elaborazione delle Carte della Vegetazione (progetto coordinato da Stefano Corticelli, nel Servizio regionale che si occupa di sistemi informativi geografici). Infine, numerosi studiosi hanno messo a disposizione i propri dati inediti originali.5 Indipendentemente dal tipo di fonte, i dati di cui stiamo parlando si presentano come una lista di nomi di specie vegetali, a ciascuna delle quali è associata una o più di una località di presenza. Sfogliando una Flora locale questa struttura è evidente; ma lo è anche osservando una scheda nella quale all’intestazione, che consiste nel nome della pianta, segue l’elenco delle località; lo stesso avviene anche negli erbari, dove in una carpetta (detta tecnicamente “camicia”) vengono inseriti tutti i campioni appartenenti a quella specie. La struttura del sistema di archiviazione ricalca questa modalità di archiviazione dei dati. È costituito, nelle sue linee fondamentali, da tre tabelle tra loro relazionate. La “denominazione” dell’entità corrisponde all’intestazione di una scheda e quindi viene archiviata in una tabella. Le “località” di rinvenimento dell’entità sono archiviate in un’altra tabella, unita con legame “uno-a-molti” alla prima, in quanto ogni entità può essere segnalata per una o più località. I records delle denominazioni sono a loro volta legati a una “fonte” univoca. Questa struttura di base (la tripletta “fonte-entità-località”) è stata estesa a dati di ogni tipologia: bibliografici, erbariologici, inediti

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in qualsiasi formato. La denominazione viene registrata esattamente come si presenta nella fonte e ciascuna parte componente viene registrata in un campo diverso: genere, epiteto specifico, autore del binomio, tipo di entità infraspecifica (sottospecie, varietà), epiteto infraspecifico e relativo autore. Ovviamente la stessa identica denominazione può comparire in fonti diverse, ma le informazioni vengono mantenute distinte. In questa schedatura si è adottato il principio della completezza. Vengono cioè registrate indistintamente e acriticamente tutte le informazioni; è rimandata a un secondo tempo la identificazione di dati dubbi, da confermare o relativi a territori non regionali. Al di sopra della tabella delle denominazioni sta l’anagrafe della flora italiana, dove sono registrate tutte le piante note per l’Italia. Allo stato attuale, in base alla già citata Checklist, la tabella della Flora vascolare italiana è formata da oltre 8000 righe. La tabella di anagrafe italiana e quella di intestazione delle segnalazioni sono collegate attraverso il campo che identifica univocamente l’entità come compare nella Checklist italiana. La stessa pianta può comparire sotto denominazioni diverse, i cosiddetti “sinonimi”; da ciò consegue che il contenuto di questo campo di collegamento deve essere riempito con grande attenzione, utilizzando un principio di cautela. In altri termini, se la sinonimia non è accertata, il campo viene lasciato vuoto. In base ai dati finora presenti, sono registrati oltre 9700 nomi diversi, che sinonimizzati alla nomenclatura attualmente accettata corrispondono a oltre 3300 unità sistematiche di rango specifico o inferiore. Nei casi dubbi si è preferito per ora tralasciare l’identificazione attuale; si tratta di casi ben noti agli esperti, relativi a entità che anticamente erano classificate in modo non confrontabile con l’attuale. Alcuni esempi di denominazioni non interpretabili

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si trovano nei Generi Festuca, Thymus, Euphrasia, Rubus. Naturalmente il numero totale di unità sistematiche per le quali esistono informazioni comprende non poche voci dubbie, da accertare, confermare o da eliminare in quando quasi certamente errate. Tuttavia rappresenta una prima quantificazione - anche se per eccesso - delle entità diverse che compongono il patrimonio floristico dell’Emilia-Romagna. Allo stato attuale i records di intestazione delle schede, basati sulla coppia nome-fonte sono oltre 50000. Va precisato che per le Flore provinciali di base si è preferito schedare in un primo tempo le denominazioni rimandando la fase dedicata alla schedatura delle località, mentre alcune Flore risultano schedate solo parzialmente come lista di denominazioni.6 Le fonti finora schedate sono oltre 300. Sono stati per ora curati: le fonti più recenti, gli apporti inediti, gli erbari; ma è stata data priorità anche alle fonti più antiche come il già citato Bertoloni,7 e le Flore-base. Per progetti in collaborazione con altri soggetti, è stata data priorità ai dati relativi al Modenese, Ferrarese e Reggiano. La tabella delle località, come s’è detto, ospita tutti i dati nei quali viene descritta la localizzazione dei rinvenimenti. Questa è ovviamente la tabella più ricca. A oggi, infatti, è composta da poco più di 180000 dati, in rapido incremento. A ogni località è associata anche la provincia o le province in cui il toponimo si trova. In questo modo, grazie a semplici elaborazioni, è possibile avere elenchi aggiornati delle Flore provinciali. Come per le intestazioni, anche per questo dato si è scelto il criterio della completezza; vengono quindi registrati tutti i dati di località, anche se si tratta di dati dubbi (come i toponimi non più riconoscibili) ovvero relativi a località fuori regione. In alcune Flore generali, infatti, sono trattati territori di ampiezza diversa da quella delle attuali province: nella Flora del Modenese e del Reggiano, per esempio, è trattata anche la zone dell’Abetone (oggi

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Toscana, provincia di Pistoia) o i dintorni di Sermide e l’Oltrepo mantovano (Lombardia). Le prospettive del progetto sulla flora dell’Emilia-Romagna sono in primo luogo nel completamento dell’immissione dei dati. È piuttosto difficile stimare quantitativamente il lavoro che resta; come è stato accennato, è stata data priorità ad alcuni ambiti provinciali e ad alcune tipologie di fonti. Alcune province sono state quindi affrontate solo molto marginalmente; tra queste sono da ricordare Bologna, Parma e Piacenza. Ma si può valutare che nel breve volgere di qualche mese queste vistose carenze saranno colmate, almeno per le Flore-base. Un altro filone di sviluppo è quello della collocazione dei dati in un sistema geografico. Va premesso che dal punto di vista metodologico sarebbe impensabile e fuorviante la referenziazione a livello puntuale di tutti i dati. In generale, in coerenza con le tendenze a livello nazionale ed europeo, le località saranno collocate in un reticolo cartografico il cui modulo corrisponde a un elemento scala 1:10000 della Carta tecnica regionale ovvero a un foglio al 25000. Per alcune specie di particolare valore dal punto di vista della conservazione del patrimonio naturale sarà invece assicurata la collocazione puntuale delle stazioni. Questo avverrà per esempio per le endemiche italiane, ovvero per alcune piante il cui limite d’areale è collocato nel territorio dell’EmiliaRomagna, specie che si trovano in una sola località. Lo stesso potrà avvenire per specie vegetali di particolare importanza nelle aree protette. Saranno resi pubblici approfondimenti relativi alle flore provinciali. Allo stato attuale sono in corso di svolgimento le analisi per produrre una Flora del Modenese e una Flora del Ferrarese. Il progetto relativo al

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Modenese si svolge in collaborazione con l’Amministrazione provinciale e con l’aiuto decisivo di un gruppo di appassionati. Come è già stato accennato, nel corso del progetto è stato anche analizzato il contenuto dell’Erbario dell’Università, dove sono conservati i campioni non solo della Flora-base del Modenese, ma anche di Antonio Vaccari, instancabile esploratore e scopritore di numerose piante interessanti. La Flora del Ferrarese è in corso di elaborazione da parte di Filippo Piccoli e Mauro Pellizzari (Università di Ferrara), profondi conoscitori del patrimonio vegetale di quel territorio. In entrambi i casi, l’IBC sta curando la schedatura dei dati sia bibliografici che erbariologici e inediti. La prospettiva, nel medio periodo, è quella di rendere i dati disponibili su web, in modalità di interrogazione a query, come già avviene in alcuni siti internazionali dedicati alla nomenclatura o alla sistematica. Note (1) Per approfondire si può consultare il sito di “Planta Europa” (www.plantaeuropa.org) che ha messo a punto la “Strategia” (per il testo: www.plantaeuropa.org/pe-publications-EPCS.htm). (2) A. Alessandrini, G. Rossi, Bibliografia geobotanica dell’Emilia-Romagna (1773-1995), in Vedi alla voce Natura. Repertorio bibliografico su flora, vegetazione e fauna vertebrata in Emilia-Romagna, a cura di T. Tosetti, Bologna, IBC-Grafis, 1997, pp. 29-159. (3) The Italian vascular flora: references and sources, a cura di A. Scoppola e S. Magrini, CD-ROM allegato al volume Stato delle conoscenze sulla flora vascolare d’Italia, a cura di A. Scoppola e C. Blasi, Roma, Palombi Editori, 2005. (4) F. Conti, G. Abbate, A. Alessandrini, C. Blasi, An Annotated Checklist of the Vascular Italian Flora, Roma,

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Palombi Editori, 2005. (5) Tra questi: Michele Adorni, Fausto Bonafede, Fabrizio Bonali, Giuseppe Branchetti, Luciano Delfini, Filiberto Fiandri, Luigi Ghillani, Franco Giordana, Villiam Morelli, Filippo Piccoli, Claudio Santini, Maurizio Sirotti. Da sottolineare, come peraltro riconosciuto anche nei documenti ufficiali, il ruolo dei volontari nella raccolta di informazioni sul patrimonio naturale: i progetti regionali citati (Atlante della Flora protetta e Atlante delle Felci) hanno raggiunto risultati molto positivi proprio grazie al lavoro di volontari. Lo stesso avviene anche in altre realtà nazionali, soprattutto per la realizzazione di atlanti floristici o faunistici. (6) La schedatura delle Flore di base è avvenuta grazie al lavoro di Laura Gavioli. Alcune Flore di base provinciali e subprovinciali sono in corso di schedatura da parte di Alessandro Ceregato e Maurizio Sirotti. (7) Questi dati derivano da una schedatura della Flora italica realizzata da Alessandro Alessandrini, di cui si dà notizia nell’”Informatore Botanico Italiano”, 2007, 39, pp. 343-350.

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Lauro Bertani, naturalista “IBC”XVI, 2008, 4

Parlare di Lauro Bertani è per me un grande onore. Si mescolano nella memoria le escursioni fatte insieme, le risate, il bonario prenderci in giro e le migliaia di piccole cose che uniscono gli amici. Ma non è questo il luogo per parlarne, una naturale riservatezza deve lasciare quei ricordi là dove sono, nella dimensione privata. Lauro Bertani era per indole e vocazione una persona pubblica; dico questo rammentando la sua voglia di raccontare, la sua continua ansia di migliorare. Le sue foto non erano solo immagini scattate per sé stesso, erano una storia da raccontare. La sua personalità era proiettata verso l’esterno, verso il tessuto sociale nel quale viveva e lavorava e si proponeva con uno spirito attivo, positivo, per migliorare, con le cose che faceva e con le parole che diceva, l’ambiente intorno a lui. Non ricordo di lui parole negative per nessuno; un carattere, aperto e cordiale, che cercava il buono dovunque, anche là dove nessun altro riusciva a vederlo. E da lui, attraverso le immagini che ha saputo costruire, arriva un “saper vedere” che apre punti di vista nuovi e inediti sulla realtà. Per fotografare occorre prima vedere e per vedere occorre una mente, un’intelligenza che coglie, interpreta e racconta. In questo senso le foto di Lauro - il fascicolo di “IBC” che state sfogliando ne presenta solo una piccola scelta - diventano un racconto. Perché nel momento in cui erano immaginate, già prima che scattate, erano altrettanti frammenti di un tutto. Erano, e sono, una visione intelligente della realtà, un punto di partenza, una tappa, una parte di un ragionamento. La nostra mente pensa per immagini, ne produce continuamente, e chi comunicando riesce a costruirne, e a evocarne, parla un linguaggio naturale 34


e universale. Nell’immagine c’è la cosa in sé, ma c’è anche un rimando a qualcosa di più grande e generale, o di più profondo e nascosto. Un fiore, un albero, un paesaggio, sono il risultato di una storia e di un luogo. Partendo da un petalo si può arrivare all’universo. Tutto si lega a tutto il resto e nella natura possiamo intravedere questa legge generale; se una pianta si trova in un certo posto è perché là si verificano quelle determinate condizioni ambientali, ma ogni presenza, ogni forma sono il risultato di una storia, naturale o umana. Allora ecco i bucaneve o i crochi, che con le loro corolle preannunciano la fine dell’inverno; oppure le orchidee che fioriscono più avanti nella stagione, con forme e colori a volte inquietanti e suggestivi; e la flora delle montagne, che Lauro conosceva e amava forse più di ogni altra. Ecco le foto che Lauro aveva scattato per la Flora Reggiana, il catalogo della diversità floristica reggiana compilato da Giuseppe Branchetti e da chi scrive.1 Lauro è stato colto dal malore che l’ha portato via proprio durante una escursione nella quale voleva migliorare la qualità di alcune immagini che intendevamo pubblicare in quel volume. Si era proposto lui; per noi le foto erano già di qualità più che adeguata. Questo fatto, incredibile e definitivo, mi legherà per sempre a lui con un filo che non ha eguali. Ma, riprendendo il ragionamento, le immagini servivano per raccontare. Nelle proiezioni di diapositive, allora, quella certa foto diventava il punto di partenza, il pretesto, per parlare d’altro; della storia, dei nodi, dei collegamenti, delle leggi che regolano la natura e la vita degli esseri viventi. Lauro era un comunicatore e per lui sapere una cosa e comunicarla erano la stessa cosa. Le escursioni guidate da lui erano sempre un successo, così come le proiezioni. Perché attraverso le sue parole si imparava in modo semplice ed essenziale, ma anche poetico e lirico.

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Le foto che ha lasciato sono una documentazione preziosa; l’ambiente in cui viviamo si sta progressivamente e rapidamente modificando. I mutamenti climatici, i cambiamenti a scala locale, il maggior peso delle attività umane sul territorio, modificano in continuazione lo stato della biodiversità. Piante e animali che compaiono, originari di terre lontane, e piante e animali che scompaiono, perché il luogo in cui crescono viene distrutto. Chi si occupa di questi argomenti sa che le conoscenze non sono mai definitive. Allora l’esplorazione del territorio e la conoscenza del suo patrimonio non sono soltanto aridi elenchi di nomi e località, ma diventano strumento per proteggere, per conservare, per lasciare una memoria utile. La documentazione fotografica di Lauro Bertani, per fare un esempio, ha permesso anche una scoperta. Il Geranium macrorrhizium era citato nella flora reggiana di Carlo Casali per l’Alpe di Succiso, ma da nessuno mai più era stato ritrovato, tanto che si dubitava persino della sua reale presenza nel Reggiano; grazie a una foto di Lauro, rinvenuta nel corso dei lavori di riordino della sua fototeca, sono state effettuate escursioni da parte di Giuseppe Branchetti e di Villiam Morelli, fino a confermarne il ritrovamento. Un’altra scoperta di Lauro è quella del Ranuncolo dei Pirenei (oggi si chiama Ranunculus kuepferi); fino a quel momento la sua presenza in Italia era nota solo per le Alpi; mi accompagnò a vederlo, nel corso di una giornata memorabile. In Lauro la consapevolezza di quanto questo suo lavoro fosse importante c’è sempre stata. Certo, non era uno scienziato, almeno nel senso che comunemente viene dato a questo termine. Si lasciava incuriosire dalla bellezza, dalla possibilità di rappresentare in modo originale una forma, un particolare; penso ai fiori degli alberi, per esempio a quelli del noce o dei salici; pochi sono coloro che osservano queste bellezze di dimensioni minuscole.

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Tuttavia aveva un uso molto accurato della macchina fotografica, degli obiettivi macro, che diventavano strumento per cogliere questa bellezza e per renderla visibile anche a chi non nota questi capolavori in miniatura. Ma negli ultimi anni, seguendo le tendenze più attuali della fotografia naturalistica, sempre più collocava le piante nel loro ambiente. Grazie all’utilizzo di grandangoli spinti si potevano cogliere le relazioni tra il soggetto fotografato e l’ambiente di vita. Il grande amore per il territorio e soprattutto per la collina e la montagna trova in alcune sue foto un’espressione di altissimo livello; mi vengono alla mente, tra tutte, le immagini del Senecio incano o del Rododendro; tra l’altro, e non a caso, specie di grande importanza scientifica per la flora e l’ambiente dell’Appennino emiliano. Siamo circondati dalla bellezza, ma è grazie al lavoro di persone come Lauro Bertani che tutti noi possiamo rendercene conto e apprezzare questa semplice verità. Le foto che presentiamo in queste pagine di “IBC” (già pubblicate in un prezioso volume a colori nel 2004)2 sono state scelte tra tutte quelle che donate dai suoi eredi alla Biblioteca comunale “Panizzi” di Reggio Emilia. Per arrivare a questo risultato è stato necessario un lavoro lungo e minuzioso, svolto da Giuseppe Branchetti, Villiam Morelli, Enrico Belpoliti, Piero Arduini e altri. Si è trattato di identificare il soggetto, annotare tutti i dati presenti sui telaietti delle diapositive e scavare nella memoria per collocare ogni foto nel suo giusto contesto. Ciascuna immagine è diventata un record di una banca dati: grazie a questo lavoro, quindi, l’attività fotografica viene documentata in modo analitico e viene consegnata a un’istituzione pubblica, rispettando la volontà degli eredi e lo spirito con cui sono state scattate nel corso di molti anni di attività.

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Note (1) A. Alessandrini, G. Branchetti, Flora Reggiana, Verona, Cierre, 1997. (2) Lauro Bertani. Ricerca sulla flora reggiana, a cura di A. Alessandrini, P. Arduini, E. Belpoliti, L. Bertani, G. Branchetti, V. Morelli, M. Uccelli, Reggio Emilia, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Comune di Reggio Emilia - Biblioteca Panizzi - Comune di Bibbiano - CIEA dei territori Canossani della Val d’Enza, 2004. Il testo di questo articolo è ripreso dal volume, con le necessarie modifiche redazionali.

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Nomi, fiori, diversità “IBC”XVIII, 2010, 3

A Modena la ricerca floristica ha prodotto, soprattutto nel passato, risultati di grande valore. Qui si sono formati, o hanno lavorato, studiosi che poi hanno realizzato Flore nazionali che, nel caso di Adriano Fiori e della sua Flora Analitica d'Italia, hanno accompagnato la ricerca italiana per decenni. Nonostante queste tradizioni, però, il territorio modenese non aveva mai finora avuto una propria Flora, cioè un elenco generale aggiornato e completo delle piante spontanee. I due precedenti repertori erano infatti riferiti al "Modenese e Reggiano", cioè all'antico ducato preunitario, e avevano visto la luce, rispettivamente, nel 1882, a opera di Giuseppe Gibelli e Romualdo Pirotta, autori della Flora del Modenese e del Reggiano, e nel 1947 grazie al lavoro di Giorgio Negodi: Flora delle Province di Modena e Reggio Emilia. La Flora del Modenese recentemente pubblicata costituisce quindi il primo catalogo della diversità floristica dedicato al territorio modenese.1 L'esplorazione di un territorio alla ricerca di piante richiede costanza, capacità e metodo. Tutti gli ambienti sono da indagare; da quelli più nobili e gradevoli, come le alte montagne, che ospitano una flora rara e spesso di grande bellezza, a quelli difficili e inospitali, come i terreni argillosi della collina, fino a quelli poco invitanti, ma non meno importanti, come i coltivi e gli ambienti urbani. La flora, infatti, è costituita da numerose piante, ciascuna delle quali mostra un comportamento ecologico peculiare, e ciascuna specie va cercata nei luoghi e nei momenti giusti. La realizzazione della Flora del Modenese è stata dunque possibile grazie a diverse forze concordi e coerenti: tra tutti i contributi vanno ricordati quelli della Provincia di Modena e dell'Università di

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Modena e Reggio, oltre a quello dato dall'Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione EmiliaRomagna (IBC). L'opera prende origine, in primo luogo, dalle esplorazioni di un gruppo di ricercatori tenaci e appassionati, che per decenni hanno raccolto dati con l'obiettivo di formare un catalogo completo e aggiornato. Questa risorsa di conoscenze analitiche ha formato il nucleo fondamentale intorno a cui sono state sviluppate l'analisi delle conoscenze storiche e, in generale, la ricerca e la sistemazione dei dati che in precedenza erano stati prodotti sull'argomento. Inoltre, presso l'IBC, è in corso di realizzazione un archivio generale della flora regionale, in cui confluiscono sia dati bibliografici storici e attuali, sia dati da erbari, sia dati freschi originali, derivanti dall'attività degli esploratori di oggi. Questo archivio costituisce un corpus informativo di notevoli dimensioni, che permette di operare sintesi, elaborazioni e confronti. Tra le analisi ad hoc svolte per la realizzazione della Flora va sottolineata la ricerca presso l'Erbario storico conservato all'Orto botanico universitario di Modena. Qui si trovano i campioni essiccati che sono stati raccolti da precedenti studiosi, in particolare dai già citati fondatori Gibelli e Pirotta, da Adriano Fiori e da Antonio Vaccari. Quest'ultimo è uno studioso di ambiente non accademico, che ha raccolto campioni per molti decenni e aveva in animo di realizzare una Flora del territorio modenese. Inoltre molti campioni sono stati rinvenuti grazie a una ricerca svolta presso l'Erbario dell'Orto botanico di Napoli, dove sono conservate le raccolte di due autori di scuola bolognese e modenese che hanno agito tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento: Giovanni Ettore Mattei e Domenico Riva.

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L'analisi dei campioni di erbario ha permesso di raggiungere alcuni importanti e solidi risultati. In primo luogo è stato possibile accertare l'identità di piante segnalate ma che per ragioni diverse erano da verificare. Inoltre è stata confermata l'effettiva antica presenza di piante che poi sono scomparse a causa della distruzione degli ambienti di vita, principalmente ambienti umidi e boschi della pianura o delle prime colline. È stato infine verificato che alcune segnalazioni storiche erano errate e che, quindi, le piante a suo tempo indicate sono da eliminare dalla flora provinciale e in alcuni casi regionale. Uno dei criteri che ha guidato gli autori è stata la consapevolezza che la flora, a saperla leggere e interpretare, costituisce un insieme di dati che riflette lo stato del territorio: se infatti, come si è già accennato, ciascuna specie vive in determinate situazioni ecologiche, esse indicano condizioni più o meno ampie di clima e di suolo, e la loro presenza in un'area, il loro status, sono il risultato di un percorso storico antico, che a volte parla di fasi climatiche del tutto diverse da quella attuale. Non va poi sottovalutato un altro aspetto: nel corso del tempo la flora cambia e quindi i cataloghi che sono stati compilati in passato oggi non sono più validi, o comunque richiedono aggiornamenti più o meno profondi. Le diverse specie modificano la loro presenza, divengono più frequenti oppure rare fino al punto di scomparire; compaiono e poi si diffondono, a volte in pochissimo tempo, entrando in competizione con la flora preesistente. L'analisi delle modificazioni del patrimonio floristico, effettuata col confronto tra le conoscenze storiche e quelle attuali, rende quindi evidenti le trasformazioni del territorio e permette di interpretarle. Il Modenese è un territorio ricchissimo di ambienti, diversi sia in termini geologici che climatici. Dalla pianura bassa alla vetta del Cimone si susseguono ambienti fluviali, calanchi, boschi, rupi, prati, zone umide, che vanno

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a formare un mosaico ricchissimo di habitat e quindi di flora. Le analisi presentate nel volume permettono di interpretare la composizione della flora nelle diverse fasce altitudinali e nei diversi ambienti. Da flore di ambienti caldi e con forte impronta mediterranea delle colline si passa a compagini floristiche di ambienti freddi e con prevalenza di specie boreali. Anche le attività umane incidono in modo più o meno profondo e determinante sul mosaico ambientale, in certi casi arricchendolo e permettendone la conservazione, in altri invece degradandolo e causando impoverimento e semplificazione. Una delle più forti modificazioni che risulta evidente dal confronto tra i dati storici e quelli attuali è l'aumento delle piante "alloctone", cioè originarie di aree molto lontane, giunte nel Modenese in conseguenza di attività umane. Si tratta, a volte, di piante coltivate e spontaneizzate, ma, molto più spesso, di piante introdotte inconsapevolmente, che si inseriscono in ambienti fragili e minacciati, entrando in competizione con la flora nativa: gli esempi più preoccupanti si registrano negli ambienti fluviali e in generale in quelli umidi. La parte speciale del volume è costituita dall'elenco delle piante note nel Modenese, ordinate secondo l'alfabeto; un ricco apparato di rimandi permette di localizzare la trattazione anche partendo da una denominazione diversa (da un sinonimo). A ciascuna specie sono associati alcuni dati generali sintetici: come il tipo di distribuzione geografica, gli ambienti in cui vive, le fasce altitudinali; questi dati sono stati la base per le diverse elaborazioni che sono state sviluppate per offrire al lettore un quadro sintetico delle caratteristiche della flora modenese e della sua distribuzione nel territorio. Le note sottolineano i motivi di interesse, i problemi sistematici e identificativi e lo stato di conservazione.

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Vengono inoltre identificate le piante illustrate nell'iconografia, presente nel volume e suddivisa in immagini riprese dal vivo e immagini realizzate nell'Erbario modenese. Ma la gran parte delle immagini (relative a oltre ottocento specie diverse) è presentata nel CD-ROM che accompagna il volume e nel sito web, da cui si può scaricare la versione elettronica della pubblicazione: flora.provincia.modena.it. Il sito e il CD contengono l'archivio completo dei dati (oltre cinquantamila), interrogabile grazie alla possibilità di applicare filtri di selezione: il CD permette di usarne solo uno, quello della collocazione sistematica; nel sito sono possibili interrogazioni complesse e integrate su ulteriori caratteristiche: ambienti, fasce altitudinali, forma biologica, distribuzione geografica (corologia). Per finire, alcuni dati sintetici. La Flora del Modenese tratta oltre duemiladuecento entità vegetali diverse. Di queste ne sono accertate attualmente quasi milleottocento; tra le piante non confermate, sono 77 quelle sparite, soprattutto a causa della scomparsa degli habitat di vita, in particolar modo degli ambienti umidi. Tra le piante rinvenute di recente, come si è già detto, sono molto numerose quelle non appartenenti alla flora nativa. Si tratta di fenomeni specifici dell'area indagata, ma vanno collocati in un contesto più generale, che coinvolge tutto il territorio italiano e non solo. La perdita di biodiversità e la sua degradazione sono infatti tendenze ormai planetarie e derivano da un uso incauto e spesso sconsiderato di un patrimonio che invece andrebbe meglio conosciuto e più efficacemente protetto e conservato. Anche per questo motivo l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2010 "anno della biodiversità". Purtroppo i risultati concreti sono stati assai pochi. La Flora del Modenese vuole anche essere un contributo di conoscenza per la conservazione di questa biodiversità: grazie a una "lista di attenzione",

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infatti, sono state identificate precisamente le specie che necessitano controlli e cure, dal monitoraggio delle popolazioni all'ideazione e realizzazione di progetti di conservazione attiva. L'importanza di repertori di questo tipo, oggi, non sta solo nella documentazione ma soprattutto nella capacità di fornire indicazioni di priorità nelle azioni volte a conservare. Molte sono, purtroppo, le specie a rischio di scomparsa: la loro tutela efficace è una responsabilità comune. Nota (1) Flora del Modenese. Censimento, analisi, tutela, a cura di A. Alessandrini, L. Delfini, P. Ferrari, F. Fiandri, M. Gualmini, U. Lodesani e C. Santini, Modena - Bologna, Provincia di Modena - Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, 2010.

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Fiori rosa, fiori di Sulla... “IBC”XX, 2012, 1

Hedysarum confertum, il cui nome italiano è Sulla minore, è una leguminosa erbacea dai bei fiori rosa, della famiglia delle Fabacee. Questa specie è presente nell'area mediterranea occidentale, con area di distribuzione molto frammentata. Nel territorio italiano è presente, rara e localizzata, solo in Emilia-Romagna, e in particolare nei colli modenesi e parmensi. È stata rinvenuta per la prima volta in Italia negli anni Trenta da Antonio Vaccari, un valente e attivissimo esploratore della flora modenese, che la scoprì casualmente su alcune argille nelle praterie aride dei dintorni di Castagneto, nel Modenese. Fu Adriano Fiori, grande studioso della flora italiana, a riconoscere che si trattava di Hedysarum humile varietà laeve, una novità per la flora italiana. Della scoperta venne data notizia in un breve articolo nel "Nuovo Giornale Botanico Italiano" del 1931. Da allora il rinvenimento non venne confermato; la sua presenza viene tuttavia data per certa nella Flora d'Italia di Pignatti (1982), che nella cartina della distribuzione italiana indica la presenza nella sola EmiliaRomagna. Dagli anni Trenta, però, nessuno si era più preoccupato di confermare l'effettiva presenza di questa specie, che venne rinvenuta alla fine degli anni Ottanta da Luigi Ghillani sulle colline parmensi, nella zona sovrastante la confluenza tra Taro e Ceno. Questa importante novità mi spinse a cercare la pianta nei luoghi del suo primo rinvenimento e, dopo un paio di sopralluoghi infruttuosi, la ritrovai nella media valle del Panaro. Grazie all'attività di altri rilevatori dell'area modenese (Luciano Delfini, Filiberto Fiandri, Umberto Lodesani e Claudio Santini) la presenza venne poi accertata in diverse località della stessa area.

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Ma più di recente la specie ha offerto ulteriori motivi di interesse. Nel quadro di un programma di indagini più ampio, studiosi dell'Università di Padova (coordinati da Andrea Squartini) hanno chiesto di essere accompagnati in una stazione di crescita di Hedysarum confertum nel Modenese, per poter prelevare campioni completi di radici. Il prelievo era necessario per analizzare i batteri presenti nei noduli radicali. Le leguminose, infatti, ospitano nelle loro radici dei microorganismi simbionti che sono in grado di spezzare la molecola dell'Azoto, producendo ioni ammonici assimilabili direttamente dalla pianta ospite. Questa particolarità conferisce alle Fabacee un indubbio vantaggio in ambienti poco ospitali; esse, inoltre, producono semi molto ricchi in contenuto proteico, essendo l'Azoto l'elemento-chiave per la produzione delle proteine. Questa caratteristica riveste un enorme interesse pratico: sono infatti molte le specie di importanza alimentare che appartengono a questa famiglia, si pensi per esempio a fagioli, ceci, fave, piselli, ma anche all'erba medica o alla soia. In base alle analisi svolte e pubblicate in una rivista internazionale ("Plants Biosystems") è stato accertato che i microorganismi rinvenuti nei tubercoli radicali di Hedysarum confertum appartengono a un tipo finora sconosciuto e per ora indicati come Mesorhizobium sp. [specie, ndr]. Le analisi hanno inoltre accertato che i batteri non sono coltivabili al di fuori della pianta ospite. Questa particolarità è stata messa in rapporto con il carattere relittuale della specie ospite e con il suo areale fortemente frammentato. La storia qui raccontata ben esemplifica i modi in cui lavora chi si occupa di ricerche sulla diversità floristica del territorio; negli anni recenti, infatti, grazie anche all'attività dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, si è creata una rete di rilevatori in continuo contatto, che si scambiano informazioni e si tengono aggiornati sui rinvenimenti. L'esplorazione attiva, la condivisione delle informazioni, la formazione e

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la manutenzione di archivi informatizzati, sono considerati strumenti fondamentali per lo studio concreto della biodiversitĂ del territorio e per la sua migliore conservazione e gestione.

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De Pisis tra le piante “IBC”XX, 2012, 2

Filippo De Pisis è noto come artista e come pittore in particolare. Meno nota è la sua passione giovanile per la botanica, che si concretizzò nella realizzazione di un erbario in piena regola, con tutto ciò che caratterizza una collezione ordinata di campioni. Questa raccolta, poi, è stata donata dallo stesso futuro artista a un'istituzione scientifica, nelle mani di uno dei più grandi studiosi della flora italiana che in quel tempo operava a Padova: Augusto Béguinot. De Pisis - ma sarebbe più corretto chiamarlo "Luigi Filippo Tibertelli De Pisis", così come nell'intestazione delle etichette a stampa della sua raccolta - era quindi consapevole del destino che andrebbe riservato alle raccolte di piante essiccate: prima o poi, dovrebbero essere conferite a un istituto botanico o a un museo di storia naturale. Che esistesse un erbario di De Pisis, era cosa nota; anzi, al tempo, la donazione fu resa pubblica anche nei quotidiani; ma è stato grazie al lavoro appassionato di Paola Roncarati, già insegnante di Lettere e studiosa della figura e delle opere di De Pisis, e di Rossella Marcucci, curatrice del Museo botanico - Erbario dell'Università di Padova, che questa raccolta è stata identificata e analizzata. Il lavoro delle autrici, tuttavia, è andato oltre, spingendosi fino a visitare i luoghi che videro il giovane artista cercare piante; è stato un viaggio appassionante e questa passione traspare dagli scritti che con poche e ben scelte parole restituiscono l'atmosfera e lo straniamento di chi cammina esplorando e cercando. Una ricerca

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dei luoghi che diviene anche ricerca di persone, testimonianze, documenti. Quei campioni d'erbario diventano l'occasione per ricostruire non tanto e non solo cronologie e geografie, ma anche percorsi interiori e mutamenti d'animo. Alcune immagini dei campioni di erbario corredano il volume e danno conto della cura con cui Tibertelli De Pisis operava. Sicuramente, dietro a questa corretta modalità, c'era l'insegnamento di qualcuno che aveva fornito l'impostazione e anche la disponibilità di testi adatti per il riconoscimento. Il volume, per quanto ricco di informazioni e suggestioni, non fornisce una risposta diretta; è possibile tuttavia individuare nella madre, Giuseppina Donini (di Longara, nella campagna bolognese), la figura decisiva che incoraggiò la passione per erbe e fiori del suo estroso figliolo. Della madre di De Pisis, nel libro, compare un ritratto nel parco della villa di famiglia. Ma compare anche il suo maestro gesuita, citato in un gustoso autoritratto in terza persona del cercatore d'erbe sulle mura di Ferrara, dove le coppie di innamorati lo osservano più incuriosite che infastidite. Più tardi, nella biografia del giovane De Pisis, compaiono anche alcuni tra i più bei nomi della botanica italiana del tempo; tutti grandi scienziati e anche attivi esploratori; oltre al già citato Augusto Béguinot, che per qualche anno lavorò a Ferrara e tra gli altri pubblicò diversi lavori sull'ambiente vegetale dei litorali, anche Andrea Saccardo, pure di ambiente padovano, e Caro Massalongo, veronese di nascita e all'epoca prefetto dell'Orto botanico ferrarese. Ma un altro aspetto va notato: il giovane De Pisis visitò, per le sue raccolte, i luoghi classici da cui provenivano campioni di botanici ferraresi e bolognesi. Di sicuro egli era aggiornato sulla letteratura di quegli anni.

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La seconda parte del volume è tutta centrata sulla geografia delle sue esplorazioni; con parole efficaci viene colto il rapporto tra peregrinazioni esteriori e stati d'animo, essendo la scoperta un'esperienza razionale ma anche un'emozione estetica che confina con la creazione artistica. Qui ricorrono molti nomi di luoghi, ognuno dei quali, con le sue diverse caratteristiche, suscita una sua speciale ricchezza di sensazioni e moti interiori: la città di Ferrara e le sue mura, la pianura ricca di acque del Ferrarese o quella più alta e asciutta del Bolognese, i litorali che a quel tempo rappresentavano la natura nella sua primigenia potenza, i colli di Bologna con alcuni luoghi classici come l'Osservanza o l'Eremo di Ronzano, e poi la via della Futa verso Firenze. E, infine, i Colli Euganei, insieme domestici e selvatici. Il volume è quindi il risultato di due dimensioni che solo in apparenza sono distanti o addirittura contrapposte: quella letterario-artistica e quella razionale-scientifica. L'osservazione attenta dei particolari, la ricerca della diversità delle forme, aiutano la mente a formarsi e a trovare punti di contatto e di armonia che poi possono diventare modo di vedere e di trasfigurare. L'occhio dell'artista vede il mondo da un punto di vista particolare e originale, e saper cogliere differenze e sfumature fornisce nuove parole per il linguaggio, che poi prende forma e colore nelle tele del pittore. La natura, anche in questo, è fonte inesauribile di ispirazione. P. Roncarati, R. Marcucci, Filippo de Pisis, botanico flâneur. Un giovane tra erbe, ville, poesia. Ricostruita la collezione giovanile di erbe secche, Firenze, Olschki, 2012, 208 pagine, 28,00 euro.

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Da Dioscoride al web “IBC”XXIII, 2015, 2

La botanica è nata dalla concreta necessità di saper distinguere le piante: per esempio, quelle utili per l'alimentazione o per la salute, per tingere i tessuti o per conciare le pelli; oppure da quali alberi ricavare materiale per costruire ricoveri solidi o come evitare le specie pericolose perché tossiche. La conoscenza delle piante è dunque una scienza antichissima e affonda le sue radici nella più lontana preistoria umana. Per trovare i primi esempi di catalogazione di piante con apparato iconografico occorre però riferirsi ai codici cosiddetti "dioscoridei", derivati cioè dall'opera di Dioscoride Pedanio, medico greco del I secolo, autore del De Materia Medica, un testo che viene considerato fondativo per la nascita della medicina e della farmacia. La botanica nasce quindi non tanto come studio delle piante "in sé", ma come scienza ancillare della medicina; le piante infatti venivano trattate in quanto materia prima per la preparazione di farmaci. Per facilitare il riconoscimento e la trasmissione della conoscenza i codici dioscoridei sono illustrati con modalità piuttosto primitive, ma assai efficaci, tanto che è ancora possibile riconoscere la maggior parte delle piante illustrate. Vengono messi in chiara evidenza i caratteri più immediati: a volte la forma delle foglie o delle infiorescenze, la spinosità o la forma delle corolle. Occorre anche tener presente che il numero di piante oggetto di interesse è esiguo, dell'ordine di poche decine

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di specie. Tuttavia il rischio di confondere le piante utili in quanto terapeutiche da quelle simili ma inefficaci, se non addirittura dannose, è elevatissimo, tanto che uno degli argomenti che più spesso viene sollevato è proprio quello del rischio di errori o di frodi. La scienza medica si confonde poi con la magia o la superstizione, per cui vengono messi a punto medicamenti misteriosi e di formula segreta che avrebbero dovuto risolvere ogni malanno, primo tra tutti ilMorbus Gallicus. Grande fama ha conquistato nei secoli la "Teriaca", medicamento di cui ognuno affermava di detenere la vera e più efficace formula di preparazione. La coltivazione di piante con proprietà terapeutiche di sicura identità è peraltro uno dei motivi per cui vengono fondati gli "orti botanici" come luogo di produzione sia di materiali per la didattica (la cosiddetta "ostensione"), sia per la preparazione di farmaci a partire dai componenti elementari, i cosiddetti "semplici". Questo breve excursus ci serve per giungere al momento cruciale di svolta, costituito dall'invenzione della stampa. Dalle illustrazioni vergate una a una, da amanuensi e scrivani, si passa infatti a matrici su legno che permettono la pubblicazione in più copie sostanzialmente identiche delle illustrazioni oltre che, naturalmente, dei testi. Il De Materia Medica conosce allora una nuova vita e viene edito in numerosissime versioni a stampa, nelle quali, oltre alla trascrizione più o meno fedele dei testi, i diversi autori polemizzano tra loro, ciascuno rivendicando a sé l'"autentica" identificazione delle piante trattate da Dioscoride e sbeffeggiando coloro che invece le identificavano con specie più o meno simili, ma in realtà diverse.

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Anche le illustrazioni risentono delle vicende alterne di questo periodo; accanto a piante ben riconoscibili ne vengono tratteggiate altre invece poco chiare e che risultano impossibili o assai ardue da riconoscere. Non è corretto esprimere giudizi sul passato con gli assai più smaliziati occhi di oggi, ma va precisato che non di rado le piante da rappresentare erano effettivamente difficili, facilmente confondibili e per distinguerle sarebbe stata necessaria un'analisi e una forma mentis che in quel periodo erano impensabili. Mancava poi la consapevolezza di quando fosse importante osservare direttamente le piante da raffigurare; spesso le immagini derivavano da altre immagini, perdendo di freschezza e di dettagli man mano che passavano da un'incisione all'altra. Alcune opere tuttavia sono considerate cardinali in quanto puntano proprio sulla qualità delle illustrazioni e grazie a ciò hanno esercitato un'influenza ampia e duratura. Si tratta del Kräuterbuch (Libro delle Erbe, o Erbario) di quel Leonhart Fuchs che nei paesi di lingua germanica fa parte dei Vätern der Botanik, i "Padri della Botanica", e ancor di più del Dioscoride (dapprima Commentarii e poi Discorsi) di Pietro Antonio Mattioli (si veda per esempio l'edizione Valgrisi con le tavole di grande formato "tirate dalle naturali & vive"; Mattioli, 1581). Nonostante le notevoli differenze di stile e di ambito culturale, uno luterano e l'altro cattolico (siamo all'epoca del Concilio di Trento), Fuchs e Mattioli realizzano entrambi opere che costituiscono una svolta fondamentale sia per la qualità artistica delle immagini, sia perché la trattazione non solo riprende la tradizione, ma deriva dalla visione diretta "autoptica" delle piante di cui si parla. La pianta viene cioè osservata nel corso di apposite "escursioni" e coltivata in orto in modo da poterla seguire in tutte le fasi stagionali. Sia Fuchs che Mattioli erano in stretto rapporto ciascuno con una propria rete di colleghi e collaboratori. Nel

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caso di Mattioli è di fondamentale importanza la sua amicizia con Ulisse Aldrovandi (1522-1605), bolognese, naturalista curioso di tutte le "produzioni naturali" che raccolse materiali che poi andarono a costituire un museo tuttora presente in Palazzo Poggi a Bologna. Aldrovandi produsse poi un erbario figurato (Hortus pictus) in numerosi volumi dove sono raccolte diverse centinaia di acquarelli di grande qualità, destinati nelle intenzioni dell'autore a diventare la base per le incisioni su legno da usare nella stampa. Restando al tema dell'illustrazione botanica, questi acquarelli sono testimonianza della grande perizia artistica cui erano giunti i disegnatori dell'epoca e anche della grande importanza che veniva riconosciuta alle illustrazioni quale corredo alla descrizione degli esseri viventi. Nello stesso periodo nascono anche gli erbari veri e propri, cioè le raccolte ordinate di campioni essiccati di piante: Luca Ghini ne è considerato l'ideatore. Tra i suoi allievi ricordiamo Andrea Cesalpino, Gherardo Cibo e lo stesso Aldrovandi, il cui erbario, uno degli esempi più antichi noti al mondo, è anch'esso conservato a Bologna. L'esame dell'opera botanica di Aldrovandi rende evidente il salto di percezione del mondo vivente che informa soprattutto il suo Hortus Pictus. La diversità dei vegetali viene osservata e analizzata in tutte le sue componenti, non più e non solo come fornitrice di alimento o di guarigione. Le tavole che raffigurano vegetali di importanza farmaceutica o frutti, ortaggi e cereali sono numerose e assai accurate; tra queste, alcune rappresentano anche le diverse varietà coltivate in quel tempo. Accanto a questi soggetti che appartengono alla tradizione postdioscoridea compaiono decine di altre piante: per esempio moltissime acquatiche o numerose ombrellifere o semplicemente piante che avevano attirato la curiositas del naturalista. Piante che rappresentavano il bottino delle sue escursioni, come già accennato, ma anche spedite da corrispondenti (molte da Candia, come allora

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era chiamata Creta) o in alcuni casi dal continente americano, da cui cominciano a pervenire nel Vecchio Mondo piante che stupiscono per la loro bellezza e che ben presto si riveleranno di grande importanza per l'alimentazione o per la farmacopea. La confusione nomenclaturale che regna nelle opere di questo periodo verrà superata solo parecchi decenni dopo grazie all'opera di Linneo e grazie al principio della "priorità cronologica", ovvero a quella regola che stabilisce che il primo nome assegnato a un'entità è quello valido. Dell'erbario, ossia della collezione ordinata di esemplari vegetali essiccati, Linneo dirà, nella sua Philosophia Botanica (1751): "Herbarium praestat omni Icone, necessarium omni Botanico" (l'erbario è in tutto migliore di ogni iconografia, ed è del tutto necessario al botanico), lasciando trasparire un giudizio non del tutto favorevole rispetto all'illustrazione, che comunque porta con sé un divario incolmabile con quanto viene rappresentato e, secondo Linneo, non è in grado di sostituire il campione essiccato. Ciò che oggi appare scontato, e del tutto superato dal dibattito scientifico e dalle sue conseguenze pratiche, costituiva invece al tempo un argomento per opinione diverse a volte diametralmente. Va comunque sottolineato che il campione essiccato e l'illustrazione svolgono ciascuno funzioni importanti e insostituibili. L'illustrazione, ovvero la rappresentazione figurata, era considerata una forma minore della pianta essiccata che a sua volta, e necessariamente, non coincide con l'esemplare vivente e inserito nel suo ambiente. Più in generale, era comunque la descrizione letteraria che rappresentava la summa della perizia del botanico e quindi gran parte dell'attività dei botanici del tempo si esplicò nella creazione di un lessico sempre più preciso e di regole

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da seguire nella descrizione di un vegetale (su questo restano magistrali le pagine della stessa Philosophia Botanica). Il patrimonio lessicale e metodologico fissato in quei decenni, lungi dall'essere superato, costituisce ancora oggi una base imprescindibile, un linguaggio comune, che deve essere compreso e padroneggiato da chi si occupa di piante. Linneo sottolinea nella stessa sede che l'immagine è "artificio inusitato presso gli antichi"; tuttavia di fatto ne riconosce l'importanza se egli ne analizza la funzione conoscitiva in rapporto con il processo di stampa, in base alla tecnica, alla diffusione e alla qualità delle figure. Ma grazie a questo enorme sforzo di razionalizzazione nasce una visione del tutto nuova dell'organismo vegetale, che è visto sia come unitario che come insieme di parti, ciascuna delle quali ha sue caratteristiche anatomiche, morfologiche e presenta rapporti dimensionali stabili e quantificabili con le parti adiacenti. Nella descrizione degli organismi vegetali dovranno essere seguite regole fisse: dare una descrizione generale, cui segue una descrizione partendo dal basso verso l'alto: radice, fusto, rami, foglie, fiori, frutti; in particolare andranno analizzati il tomento, le stipole, le brattee; Linneo si dilunga con metodo analitico e stile asciutto sulle caratteristiche della descrizione letteraria (che deve essere, tra l'altro, completa ma non troppo lunga). Leggendo queste poche pagine, si resta colpiti dal fatto che le regole per una corretta descrizione, man mano che si svolgono, mirano evidentemente a creare un'immagine mentale della pianta; possono quindi servire

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anche come base per il lavoro di un disegnatore botanico, il quale seguendo le stesse regole potrà delineare un'immagine completa di tutti i particolari necessari (e sufficienti) a raffigurare efficacemente la pianta e fornire gli elementi utili a distinguerla da specie simili con le quali potrebbe essere confusa. Nasce dalla codificazione una modalità nuova per la creazione di immagini botaniche; accanto alla figura intera della pianta, verranno collocati tutti quei particolari anatomici, siano essi il fiore o una sua parte, la foglia, la radice, la forma e la densità dei peli: insomma, tutto ciò che caratterizza quell'organismo e lo distingue da tutti gli altri. Quella raffigurazione deriva da uno o più soggetti concreti, ma mira alla rappresentazione generale di una certa entità sistematica (specie, sottospecie, varietà) a cui va associato univocamente uno specifico nome. La fotografia e la botanica L'immagine fotografica è stata usata fin dai suoi inizi per la rappresentazione di organismi vegetali. Uno dei primi esempi di "immagine fotogenica" realizzati da Henry Fox-Talbot è costituito proprio dal cosiddetto "Album Bertoloni", dove sono state riprodotte su carta fotosensibile piante che gli furono inviate dal grande botanico. Non esiste una filosofia generale dell'uso della fotografia nelle scienze naturali, o della botanica in particolare, come potrebbe essere quella che prende forma dalla Philosophia botanica di Linneo. Ma di una tale filosofia non si ravvisa la necessità, poiché l'uso della fotografia rappresenta un'evoluzione di quanto già consolidato nei secoli precedenti sull'uso e sul ruolo delle illustrazioni come ausilio alla descrizione e al riconoscimento delle piante.

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La fotografia non è peraltro un mezzo (o un insieme di mezzi) alternativo al disegno; la rappresentazione fotografica può essere integrata con quella pittorica o viceversa, utilizzando al meglio le diverse possibilità tecniche e scegliendo ciascuna per le proprie specifiche possibilità. Per esempio, la collocazione nell'ambiente dell'organismo vegetale può essere risolta in termini fotografici con l'uso di focali grandangolari in condizioni di luminosità elevata (o con tempi di posa lunghi) e con diaframmi chiusi per aumentare la profondità di campo. Si ottengono così immagini di potente contenuto informativo, con tutti i piani a fuoco e la specie che si vuole illustrare collocata nel suo habitat: prato, bosco, roccia, spiaggia e così via. Se invece si desidera enfatizzare il soggetto lasciando sfocato lo sfondo, si lavorerà con focali lunghe, tenendosi lontano dal soggetto e con diaframma aperto, curando ovviamente con grande attenzione la messa a fuoco. Con queste modalità si ottengono effetti di grande gradevolezza estetica, anche grazie a quello che viene indicato nel gergo fotografico come bokeh (fondo sfocato) e che attualmente è molto apprezzato. Del tutto diversa è invece la "macrofotografia", che permette di avvicinarsi al soggetto fin quasi a toccarlo, in modo da poter registrare particolari di dimensioni millimetriche o submillimetriche, grazie all'uso di ottiche specifiche, fino al rapporto 1:1 in fase di ripresa e oltre in fase di stampa o di uso in ambiente digitale. Le ottiche possono essere adattate o potenziate con tubi di prolunga, soffietti, lenti addizionali, in modo da ottenere già in fase di ripresa rapporti dimensionali tra l'oggetto e la sua rappresentazione su pellicola o supporto digitale, riuscendo a "catturare" particolari di ordine decimillimetrico, pur senza avventurarsi nel

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campo dell'immagine da microscopio. Grazie alla combinazione di immagini diverse è possibile ottenere un mosaico, in cui ciascuna delle immagini illustra un aspetto della pianta, con esiti comunicativi e didattici di grande efficacia. I problemi con cui si confronta il fotografo sono essenzialmente gli stessi del disegnatore; si deve cioè interrogare su ciò che intende fare, come e perché. La maggiore praticità della fotografia rende possibili però alcune modalità che le sono proprie, come la facilità di effettuare scatti diversi e in tempi brevi se la ripresa non fosse soddisfacente. La conoscenza della pianta e delle sue caratteristiche peculiari è condizione che migliora sensibilmente la qualità del risultato; possono quindi essere scattate immagini relative all'habitus generale e di particolari utili per distinguerla rispetto a piante affini o comunque simili. Inoltre, se corredata dei dati essenziali, la fotografia diventa anche documentazione obiettiva di un rinvenimento e può sostituire il campione d'erbario. Rispetto per esempio al campione essiccato, per esempio, l'immagine fotografica la capacità di mantenere i colori nel tempo e di rendere bene l'impressione della tridimensionalità, soprattutto laddove questi aspetti sono decisivi per il riconoscimento. Si pensi, tra tutte, alle Orchidaceae, ma anche a molte Fabaceae o Scrophulariaceae, o al genere Orobanche. La pubblicistica che adotta un apparato fotografico come strumento per il riconoscimento è ormai molto ampia. L'immagine fotografica, e in particolare quella a colori, presenta indubbi vantaggi pratici rispetto a quella disegnata o dipinta. Tuttavia uno svantaggio notevole deriva dalla necessità di stampare i volumi su carta

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pesante, sia per la miglior resa tecnica, sia per evitare che il colore traspaia: i volumi diventano pesanti e quindi poco comodi per essere trasportati in escursioni a piedi. Infine un campo del tutto innovativo e in rapidissimo sviluppo è quello dell'immagine digitale e del suo utilizzo nel web. Sono ormai numerosi i casi di forum dedicati allo studio della flora nei quali vengono proposte anche gallerie fotografiche relative a migliaia di specie, frutto del lavoro disinteressato degli aderenti. Tra queste, l'esempio forse più noto è quello di Acta Plantarum, dove a tutt'oggi sono illustrate oltre 5.600 specie della flora italiana, con un patrimonio liberamente consultabile di oltre 70.000 immagini. In forum come questi, le immagini fotografiche possono essere proposte come mezzo per l'identificazione di una pianta non nota, sottoponendo il caso agli altri iscritti; ovviamente, nel caso di piante "difficili", è necessario documentare particolari specifici o corredare l'immagine con unità di misura per poter apprezzare le dimensioni delle diverse parti. Qualche cenno, infine, sull'utilizzo della fotografia per ritrarre campioni d'erbario. Come è noto, i campioni sono conservati in appositi locali e costituiscono documentazione di rinvenimento o in alcuni casi sono il "typus" di un'entità sistematica, ovvero la base della descrizione che fa fede per qualsiasi confronto e analisi critica. Un campione viene dapprima preparato ed essiccato; poi viene montato su un supporto cartaceo sul quale è apposta un'etichetta che contiene dati identificativi, località e data di raccolta, autore della raccolta e dell'identificazione ed eventuali note di qualsiasi contenuto. La fotografia del foglio d'erbario può essere utile per conservare al meglio le caratteristiche del campione, che a volte riveste anche una grande importanza storico-culturale; la consultazione della fotografia limita

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la manipolazione fisica ai casi di effettiva necessitĂ ; possono essere costituiti archivi iconografici anche da pubblicare nel web; vengono facilitati gli scambi di informazioni tra istituzioni e studiosi. La ripresa fotografica deve quindi rispettare alcune regole che garantiscano la massima corrispondenza possibile tra foto e soggetto. Saranno dunque curati il parallelismo grazie all'uso di stativi, l'illuminazione e la taratura del bianco tali da garantire il rispetto dei colori; saranno appoggiati al foglio d'erbario anche un'unitĂ di misura di lunghezza adeguata e una scala cromatica.

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