Cronache volgari del Vespro

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ISSN 1924 - 3912 ISBN 978-88-89190-91-3

ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO

FONTI PER LA STORIA DELL’ITALIA MEDIEVALE

CRONACHE VOLGARI DEL VESPRO

ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO

FONTI PER LA STORIA DELL’ITALIA MEDIEVALE

CRONACHE VOLGARI DEL VESPRO a cura di MARCELLO BARBATO

a cura di MARCELLO BARBATO

R OMA

ROMA 2012

NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO   BORROMINI PIAZZA DELL’OROLOGIO

e 40,00

RErum ITALICARUM SCRIPTORES

2012

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ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO


ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO

FONTI PER LA

STORIA DELL’ITALIA MEDIEVALE RERUM ITALICARUM SCRIPTORES (Terza serie) 10

ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI PIAZZA DELL’OROLOGIO

2012


CRONACHE VOLGARI DEL VESPRO a cura di MARCELLO BARBATO

ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI PIAZZA DELL’OROLOGIO

2012


Unité ULB720 – Études Littéraires, Philologiques et Textuelles Publié avec le concours de la Fondation Universitaire de Belgique

Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo Redazione: Silvia Giuliano

ISSN 1924 - 3912 ISBN 978-88-89190-91-3 Stabilimento Tipografico « Pliniana » - Viale F. Nardi, 12 - 06016 Selci-Lama (PG) - 2012


A mia madre


Ringraziamenti Questo lavoro ha mosso i suoi primi passi nel 2006 a Zurigo, dove ho potuto giovarmi di una borsa della Nachwuchsförderungskommission und StiefelZangger-Stiftung, ed è proseguito a Bruxelles, quando nell’autunno del 2007 sono stato chiamato a insegnare all’ULB. Il libro era sostanzialmente pronto nella primavera del 2010, ma la sua pubblicazione è stata ritardata dalle note difficoltà economiche, finché è arrivato il contributo decisivo della Fondation Universitaire de Belgique (la bibliografia ha potuto essere solo imperfettamente aggiornata). Nel congedare il libro, dunque, il mio pensiero grato va da un lato all’Università di Zurigo, ai proff. Michele Loporcaro, Martin Glessgen e Luciano Rossi, e ai miei compagni di stanza del Romanisches Seminar: Ilario Anzani, Heike Necker, Tania Paciaroni, Lorenza Pescia e Paola Vecchio; dall’altro alla Fondation Universitaire, all’Université Libre de Bruxelles e a Giovanni Palumbo, che a Bruxelles ha seguito da vicino la ricerca con sostegno costante e preziosi consigli. Il mio maestro Alberto Varvaro ha avuto la bontà di leggere integralmente il lavoro e di postillarlo pazientemente. Gli amici e già compagni di studi Fulvio Delle Donne e Andrea Mazzucchi sono stati sempre disponibili e prodighi di aiuti e di suggerimenti. Sandro Bertelli, Marco Giola e Massimiliano Corrado mi hanno messo a disposizione generosamente i loro materiali e la loro competenza. Altri supporti sono venuti da Alvise Andreose, Luca Azzetta, Eugenio Burgio, Luca Dalisi, Lorenzo Filipponio e Fabio Zinelli. Ringrazio vivamente il personale della Biblioteca Nazionale di Firenze e della Biblioteca Estense di Modena, dove ho potuto lavorare in pieno conforto. La mia gratitudine va infine a Massimo Miglio e Isa Lori Sanfilippo, per aver accolto il lavoro in questa sede prestigiosa e per averne seguito con cura la pubblicazione.


INTRODUZIONE 1. «MORANU LI FRANCISCHI» La sollevazione siciliana del 1282 contro Carlo d’Angiò è scolpita da Dante (Par. VIII 67-75) in versi memorabili: «E la bella Trinacria che caliga tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo che riceve da Euro maggior briga, non per Tifeo ma per nascente solfo, attesi avrebbe li suoi regi ancora, nati per me di Carlo e di Ridolfo, se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”»1.

Il Vespro, che segnava la fine del tentativo imperiale di Carlo e l’inizio del tramonto della teocrazia papale (Giunta 1969b, 559), colpì profondamente la sensibilità dei contemporanei. Una rivolta inattesa con scoppi di inaudita ferocia. Il re più potente d’Europa, che col saldo appoggio del papato mirava a impadronirsi dell’impero orientale, sconfitto, umiliato, costretto ad abbandonare la sua terra. Com’era potuto succedere? Dante attribuisce la rivolta a un fatto materiale (la mala signoria), ma non furono pochi quelli che cercarono di rintracciarne le cause in interventi soprannaturali, divini o diabolici. Qualche decennio dopo Dante, in Petrarca e Boccaccio questa ricerca eziologica – la domanda che secondo Jolles sta all’origine della forma-mito – si è coagulata in una tradizione definita che attribuisce il Vespro all’opera instancabile di un uomo eccezionale. 1 A parlare è Carlo Martello, primogenito di Carlo II e sposo di Clemenza, figlia di Rodolfo I d’Asburgo, morto ventiquattrenne nel 1295.


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MARCELLO BARBATO

Giovanni di Procida, medico e barone del Regno, subito un affronto da un vassallo di Carlo e non avutane giustizia dal re, decide di vanificare le sue mire. Viaggiando infaticabilmente attraverso il Mediterraneo, egli mette d’accordo i baroni siciliani, il re Pietro d’Aragona, l’imperatore d’Oriente Michele Paleologo e persino Niccolò III (il papa simoniaco di Inf. XIX), e determina, da un lato, il passaggio della Sicilia alla corona d’Aragona, dall’altro la salvezza dell’impero greco. Questa tradizione è rappresentata da quattro versioni che offrono un testo in gran parte sovrapponibile ma con un colorito linguistico diverso: due sono toscane, la Leggenda di Messer Gianni di Procida (= Leg) e la Cronaca del Vespro interpolata nel Tesoro volg. (= Tes); una è settentrionale, il Liber Jani de Procita et Palioloco (= Lib); l’ultima è siciliana, il Rebellamentu di Sichilia (= Reb). Questi testi, pur presentando differenze a volte anche notevoli, sono per lo più così prossimi nel dettato che si può escludere siano traduzioni autonome dal latino o da un’altra lingua romanza e si possono far risalire con certezza a un archetipo volgare2. Tale archetipo, la cui indubbia qualità letteraria si riverbera sulle versioni esistenti3, rischia di essere la più antica opera storiografica originale prodotta in Italia in volgare autoctono4, se si escludono i primi testi di andamento annalistico, come la Cronichetta lucchese, i Gesta florentinorum e in parte ancora la Cronica fiorentina5. 2 Nel seguito definiremo collettivamente “testi continentali” Leg, Tes e Lib, e denomineremo “leggenda”, “testo originario” o “Anonimo”, secondo un grado crescente di concretizzazione, la fonte di tutta la tradizione. Il primo termine si presta, è vero, a un bisticcio con Leggenda (Leg), ma preferisco conservarlo perché invalso sin da Amari. 3 «Veramente gustosa e ricca di colorito avventuroso è la narrazione dei viaggi» nel Rebellamentu, secondo Duprè Theseider (1954, 35). D’Agostino (1995, 591) attribuisce al testo siciliano «uno stile vivace e saporoso». Cingolani (2006, 356) definisce Reb un «relat digne d’una pel·lícula, amb Giovanni da Procida solcant un i altre cop la Mediterrània de punta a punta per coordinar els esforços de l’emperador, del papa Nicolau III i de llur braç armat, el rei Pere». 4 La precisazione linguistica s’impone, giacché in francese era già stato prodotto un vero capolavoro del genere, Les estoires de Venise di Martin da Canal (cfr. Minervini 1993, 773). 5 Per un panorama degli inizi della storiografia in volgare cfr. D’Agostino (1995, 588s.). La Cronica fiorentina, che farcisce di storia cittadina il Chronicon di Martin Polono, arriva fino al 1303 ma fu completata forse in gran parte entro il 1293 (cfr. D’Agostino 2001, 126). La Sconfitta di Monte Aperto – che si credeva una narrazione a caldo degli avvenimenti del 1260 – va probabilmente datata alla metà del Trecento, forse al periodo 1355-1368 (cfr. Spagnolo 2004, XXVI).


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INTRODUZIONE

2. LE VERSIONI E LA TRADIZIONE INDIRETTA La Leggenda di Messer Gianni di Procida è trasmessa con questo nome dal ms. it. 197 della Biblioteca Estense di Modena (1325ca.). L’edizione di Cappelli (1861) fu riprodotta da Di Giovanni (1882)6, da Amari (II, 16-189)7 e da Sicardi (1917, app. II). La parte iniziale dello stesso testo, contenuta in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Firenze, il Magl. XXXVIII 127 (1335ca.), è ora edita in Barbato (2010d)8. Il codice estense (E) e il frammento magliabechiano (F) sono tra loro indipendenti, come mostrano diversi errori separativi (cfr. Apparato): Leg

E

F

La seconda versione è interpolata nel volgarizzamento toscano del Trésor di Brunetto Latini contenuto nel Magl. VIII 1375 della Biblioteca Nazionale di Firenze (XIV sec. in.). Questo testo è stato trascritto da Amari (II, 455-521), da Sicardi (1917, app. IV) e, parzialmente, dalla Bolton Holloway (1993, 364-380)9. Il Liber Jani de Procita et Palioloco è contenuto nel Vat. Lat. 5256 (XIV sec. in.)10. Il testo fu edito per la prima volta da Di Giovanni sul «Propugnatore» nel 1870 (= Di Giovanni 1871, II 52-94)11, poi di nuovo nel 188212. Amari (II, 16-189) riproduce la trascrizione di

6 A quanto pare, come scrive più tardi Di Giovanni (1886, 4), con la supervisione dello stesso Cappelli. 7 Con la revisione di Benedetto Malmusi. 8 Amari era venuto a conoscenza dell’esistenza di questo frammento, come si deduce dalle note autografe successive all’ultima ed. della sua opera sul Vespro (cfr. Giunta 1969a, 8 e 10-12). 9 Fino al § 44.6 della nostra numerazione. 10 Conserviamo qui la dizione tradizionale, sebbene nel titolo, aggiunto da mano successiva, si legge, mi sembra, libe(r) zani d(e) p(ro)cita (e) palioloco. 11 Su di una copia di Pietro Matranga, scrittore della Vaticana. 12 A detta di Di Giovanni (1886, 4), la lezione del Vaticano fu rivista «da uno degli ufficiali di quella biblioteca».


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MARCELLO BARBATO

Di Giovanni rivista da Isidoro Carini; una nuova trascrizione offre Sicardi (1917, app. I). Il Rebellamentu di Sichilia è conservato in otto manoscritti13: B B’ N N’ S C C’ P

Barcelona, Biblioteca de Catalunya 990, sec. XVI (cc. 49r-64r) Barcelona, Biblioteca de Catalunya 1034, sec. XVI (cc. 1r-13v) Napoli, Biblioteca Nazionale XIII D 104, sec. XVI (cc. 95r-108v) Napoli, Biblioteca Nazionale V G 29, sec. XVI (cc. 146r-158r) Palermo, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana I C 21, sec. XV Palermo, Biblioteca Comunale 4 Qq D 47, sec. XVI (cc. 129r-150v) Palermo, Biblioteca Comunale Qq D 47, sec. XVII (cc. 47v-71v) Piacenza, Biblioteca Comunale Pall. 225, sec. XV (cc. 57r-74v)

I risultati della collazione permettono di ricostruire lo stemma seguente: Reb a

b

S

C’

g

P

g’

B’

d

N

B

d’

N’

C

Per motivi esterni sappiamo anche che l’archetipo della tradizione siciliana è successivo, ma probabilmente non di molto, al 1350 (cfr. Barbato 2004). La stessa versione trasmessa da Leg, Tes, Lib e Reb si trova, con differenze più sensibili e in forma scorciata, nella Nuova Cronica di Giovanni Villani14. In passato è stata formulata l’ipotesi che proprio 13 14

Per tutte le questioni relative al Rebellamentu rimando a Barbato 2010e. Se ce ne fosse bisogno, il nostro caso costituisce un’ulteriore prova del fatto che la Storia fiorentina di Ricordano Malispini non è che una rielaborazione della


INTRODUZIONE

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Villani sia alla base di tutta la tradizione (vedi § 5), ma, sia per ragioni cronologiche che per motivi testuali, oggi appare evidente che lo storico fiorentino ha utilizzato una fonte vicina all’archetipo dei nostri testi. Infatti, sebbene l’ideazione della cronaca fiorentina risalga al giubileo del 1300 e la fase preparatoria al 1308, la concreta redazione dell’opera ci porta al periodo successivo al 132215, una data che già solo l’età dei nostri manoscritti mostra come troppo tarda. Inoltre l’ipotesi che Villani abbia creato di sana pianta il nucleo della storia – che, come vedremo, presuppone un certo grado di forgery – e che poi un anonimo abbia gonfiato fantasiosamente la sua narrazione appare doppiamente inverosimile16. L’obiettivo di questo lavoro è, da una parte, chiarire i rapporti tra le versioni (§ 8) e ricostruire il carattere della loro fonte comune (§§ 9-11) – problemi che, come si vedrà nel § 7, hanno ricevuto risposte diverse dalla critica –, dall’altra fornire una nuova edizione dei testi che, corredata di un commento filologico e linguistico, superi quelle esistenti, vecchie e inadeguate17. Ma, per cominciare, analizzeremo la narrazione, distinguendo gli elementi comuni e quelli peculiari alle singole versioni (§§ 3-4), e studieremo il rapporto della leggenda con gli eventi storici da cui è sorta (§ 5-6).

cronaca di Villani (cfr. per tutta la questione Mastroddi 2000-2001). La versione malispiniana della leggenda (che si può leggere in Sicardi 1917, app. III) non contiene nulla che non sia in Villani, mentre è priva di alcuni elementi che questi condivide con le nostre cronache (ed es. il racconto del primo scontro tra i francesi e i palermitani al cap. 223, la menzione del conte di Artois al cap. 224, dei conti di Brienne e di Monforte al cap. 227, ecc.). Faremo dunque astrazione, in seguito, dalla presenza del nostro testo in quest’opera. 15 Per questa cronologia cfr. Trenti 1991. 16 È vero che «Giovanni Villani era solito indicare con precisione la provenienza delle informazioni», ma il «debito verso alcuni autori è sicuramente taciuto», e l’uso di fonti volgari è certo (Ragone 1998, 14; 18 n. 57; 20). Villani ha utilizzato probabilmente anche il compendio dell’Eneide di Andrea Lancia (Azzetta 1996, 129), la digressione storica del Tesoro volg. (cfr. Zabbia 2007, 128; 2008, 914) e un altro testo che si rivela tipologicamente vicino al nostro (cfr. oltre, § 6), ossia la già menzionata Cronica fiorentina (Miglio 1989, 176). La dipendenza dello storico fiorentino dalle nostre cronache è riconosciuta da Aquilecchia (1979, 59n.). 17 In particolare l’edizione Cappelli adegua, come era uso del tempo, la lingua del manoscritto estense all’ideale della “lingua del buon secolo”. Il testo contenuto nel corpus TLIO (Legg. G. di Procida, tosc., 1289-99) ripristina la veste originaria ed è quindi linguisticamente attendibile; andrà però precisata la datazione e la localizzazione (vedi Nota ai testi, § 1).


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MARCELLO BARBATO

3. LA LEGGENDA Nel 1279 Carlo d’Angiò è pronto a lanciare la sua spedizione contro Costantinopoli. Giovanni di Procida (= G.) per impedirlo decide di andare dall’imperatore Michele Paleologo. Giunto a Costantinopoli, grazie all’intercessione di due cavalieri regnicoli ribelli a re Carlo si fa introdurre presso l’imperatore, di cui diventa consigliere (§§ 1-3). Dopo tre mesi G., chiesto un colloquio segreto all’imperatore, lo rimbrotta per la sua inerzia dinanzi al pericolo e gli promette di salvarlo: se il Paleologo gli prometterà centomila once d’oro, farà intervenire qualcuno che insidierà Carlo in Sicilia. L’imperatore accetta e G. parte con il suo impegno scritto, simulando di essere stato bandito (§§ 4-10). Lo stesso anno G. si reca in Sicilia vestito da frate minore. Lì scuote i baroni siciliani e ottiene che scrivano una lettera a Pietro di Aragona invocando il suo aiuto, ricordandogli i diritti di sua moglie Costanza e nominando G. loro “segreto”18. Dopo aver ottenuto l’impegno dei baroni siciliani, G. mostra loro la lettera del Paleologo (§§ 11-15). G. si reca quindi dal papa Niccolò III e invoca pietà per i siciliani. Al papa, che osserva che non può opporsi al difensore della Chiesa, G. ricorda l’offesa fattagli dall’angioino, che aveva rifiutato di imparentarsi con lui. Niccolò ammette il suo odio per Carlo ma anche la sua impotenza. Allora G. gli rivela il suo piano e ottiene una lettera col sigillo privato in cui il papa concede la Sicilia a Pietro d’Aragona e nomina G. suo “segreto” (§§ 16-20). G. si reca in Catalogna [siamo ormai nel 1280]19, dove è accolto con onore da Pietro. Dopo qualche tempo, a Maiorca, chiesto un colloquio segreto al re, gli prospetta la possibilità di vendicarsi delle offese subite dalla casa di Francia e, mostrategli le lettere di cui è in possesso, ottiene il suo appoggio all’impresa (§§ 21-25). Tornato in Italia, G. informa del successo prima il papa, poi i siciliani; quindi, vestito da frate minore, si reca a Costantinopoli. Qui mostra all’imperatore le lettere dei siciliani e del papa e lo informa che la ribellione della Sicilia è programmata per il 1282. Chiede che l’imperatore gli dia trentamila once d’oro e che lo faccia accom-

18 Per questo tecnicismo cfr. Commento a 15.4. 19 Così Villani VIII 57 (Porta 1990-1991, I 504). Cfr. anche Sicardi (1917, XCV).


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pagnare da un suo “segreto”. L’imperatore manifesta la volontà di imparentarsi con Pietro (§§ 26-30). G. si imbarca con l’oro e con Accardo Latino, “segreto” dell’imperatore. Durante il viaggio apprendono da una nave pisana che il papa è morto [il 22 agosto 1280]. I baroni siciliani riuniti a parlamento a Malta propongono di lasciare cadere l’impresa, ma G. riesce a convincerli a non desistere (§§ 31-32). G. e Accardo vanno a Barcellona dove consegnano l’oro a Pietro. Mentre sono a corte arriva la notizia dell’elezione del papa francese Martino IV [febbraio 1281]20. G. convince anche Pietro ad andare avanti (§§ 33-35). Nel mese di aprile [1281] arriva un messaggio dal re di Francia che chiede qual è l’obiettivo dei preparativi bellici di Pietro e promette aiuto finanziario. Pietro accetta il denaro ma risponde che non può rivelare dove va, sebbene presto «tutto il mondo ne parlerà». Il re di Francia, avuta la risposta, manda a Pietro quaranta mila libbre di tornesi21 e nello stesso tempo avverte Carlo di eventuali pericoli (§§ 36-38). Carlo, saputa la cosa, si consiglia con il papa, che manda a Barcellona il frate predicatore Jacopo, intimando a Pietro di rivelare il suo obiettivo e vietandogli di attaccare terra cristiana. Pietro, consigliatosi con G., si limita a rispondere che la Chiesa avrà grande gioia della sua impresa (§§ 39-42). Nel mese di gennaio 1282, G. va in Sicilia e incontra i baroni siciliani: Pietro ha una flotta fortissima agli ordini di Ruggeri di Lauria; il momento è ideale perché Carlo è presso il papa e suo figlio è in Provenza. Nel marzo 1282 [ma Reb dice aprile, Tes 1283] i baroni si recano a Palermo. Il lunedì dopo Pasqua [martedì, secondo Reb], durante la tradizionale festa fuori le mura, un francese molesta una donna siciliana. Un fante di un barone siciliano reagisce. La rissa, inizialmente sedata, si trasforma in aperta ribellione, al grido «Muoiano i francesi». Tutti i transalpini sono uccisi, anche i religiosi, anche il capitano di re Carlo, che pure si era arreso. Tutta la Sicilia si ribella, tranne Messina che rimane esitante. I francesi uccisi sono quattromila (§§ 43-44)22. 20

Tutti i testi parlano però di Martino III e indicano l’anno 1282. Su questo problema torneremo nel § 10. 21 Secondo Leg, cinquanta. 22 Tes dice seimilacinquecento, Reb tremila.


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L’arcivescovo di Monreale avvisa Carlo della ribellione. Consultatosi col papa e coi cardinali, l’Angiò si prepara a scendere in Sicilia accompagnato dal cardinale Gherardo di Parma come legato della Chiesa, e scrive al re di Francia e al figlio Carlo che si trova presso di lui. Il re di Francia, che sospetta che dietro la ribellione ci sia Pietro d’Aragona, manda in Italia insieme al principe Carlo diversi baroni francesi (§§ 45-48). Carlo passa lo stretto con grosse forze e pone campo presso Messina. I messinesi impauriti si dichiarano pronti alla resa ma Carlo rifiuta, commettendo (si capisce già) un grosso errore. Dopo un primo scontro disastroso presso Milazzo, i messinesi chiedono un incontro con il legato affinché questi interceda presso Carlo (§§ 49-50). Il cardinale mostra la lettera del papa che minaccia i siciliani di scomunica [secondo Reb siamo nel mese di luglio, Tes specifica: calendiluglio]. Dopo avere eletto trenta uomini, i messinesi propongono nuovamente di arrendersi, chiedendo che venga ripristinato il sistema di tassazione del re Guglielmo e che possano essere governati da ufficiali latini. Il legato comunica la richiesta a Carlo, il quale però vuole una resa senza condizioni. I messinesi rispondono che preferiscono «mangiarsi l’un l’altro»; il legato li scomunica (§§ 5153). Sebbene i baroni consiglino a Carlo di prendere Messina con la forza, questi preferisce un assedio. I messinesi si difendono eroicamente (§ 54). Ad agosto Pietro, raggiunta la costa africana, pone assedio alla città di Alcoll. Insieme a Guglielmo, ambasciatore di Messina, e a due sindaci di Sicilia, G. va dall’aragonese chiedendogli di intervenire nell’isola (§§ 55-56). Pietro accetta e, giunto in Sicilia, incontra i baroni. Su consiglio di G. cavalca verso Palermo, dov’è accolto con giubilo e acclamato re: non incoronato, ché l’arcivescovo di Monreale era fuggito (§§ 57-59). A Palermo Pietro apprende delle grandi forze di Carlo e dello stato disperato di Messina. Gualtieri di Caltagirone propone di cavalcare verso Messina, convinto che Carlo si sarebbe allontanato al suo arrivo. G. propone invece di scrivere una lettera a Carlo intimandogli di lasciare l’isola: in caso questi non accetti, si taglieranno con la flotta i rifornimenti al suo esercito. Così viene fatto. Alla risposta infuocata di Carlo, Pietro ordina a Ruggeri di Lauria di prepararsi. Una spia informa l’ammiraglio di Carlo del pericolo. Questi confessa al re la sua inferiorità e gli consiglia la ritirata. I baroni accettano, non senza aver rimproverato a Carlo i suoi errori tattici (§§ 60-69).


INTRODUZIONE

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Nel mese di settembre Carlo passa in Calabria, lasciando duemila cavalieri nascosti per cogliere di sopresa i messinesi, ma anche questo tentativo fallisce. Ruggeri di Lauria fa un’incursione nel canale di Messina contro la flotta angioina. In ottobre Carlo congeda i soldati, mentre Pietro entra in Messina accolto solennemente (§§ 70-72). 4. DIFFERENZE TRA LE VERSIONI Il Rebellamentu è privo del breve prologo (§ 0) in cui il narratore annuncia il contenuto del testo e, come di prassi, invoca l’aiuto del Signore. Va aggiunto che Tes fonde in maniera non molto felice questo cappello nell’opera cornice (cfr. Amari II, 432ss.) e subito dopo rovescia di segno il giudizio sui fatti: il gran peccato e periglioso fallo di G. diventa «lo grande savere e ’l pirilglioso affanno». Giovanni di Procida non è più perfido (o peggio ancora), non ha intenzione di uccidere Carlo (§ 2.3); non è ispirato dal maligno ma dalla divina provvidenza (§ 2.4). Anche Reb elimina la perfidia e qualsiasi intervento soprannaturale, ma ammette l’intenzione di «fari distrudiri et muriri lu re Carlu». Nel § 26.6-7 Reb aggiunge un brano in cui Giovanni di Procida e papa Niccolò si scambiano giudizi lusinghieri su Pietro d’Aragona. Nel § 36.3 Lib aggiunge di sana pianta un episodio: nel mese di febbraio [1281] Carlo, allarmato da un messo, scrive al re di Francia chiedendogli di informarsi sui preparativi di Pietro. La susseguente ambasceria del re di Francia a Pietro non appare dunque come un atto spontaneo, mentre Carlo risulta più prudente che nelle altre versioni. In Reb è assente il § 37.4 in cui il re di Aragona accetta l’offerta di denaro del re di Francia, anche se la menzione del prestito ritorna più tardi. Nei testi continentali l’ambasciatore mandato dal re di Francia a Carlo (§ 38.3) è lo stesso che era stato mandato al re di Aragona. Egli raggiunge in Puglia Carlo, il quale successivamente si reca dal papa; in Reb invece l’ambasciatore si ferma a Viterbo, dove si trovano insieme Carlo e il papa (§ 39.1). Reb aggiunge un’appendice al dialogo tra Carlo e il papa (§ 42.3) in cui questi mette in guardia il re dal pericolo costituito da Pietro d’Aragona. A 43.2 si dilunga sul congedo tra G. e il re di Aragona, ma non menziona il fatto che il re comanda ad Accardo Latino di accompagnare G. in Sicilia.


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MARCELLO BARBATO

Lib dà una versione diversa dello scoppio del Vespro (§ 44.2): la donna è aggredita perché nascondeva un coltello. Nel paragrafo successivo Reb non menziona il fante siciliano che colpisce il francese e l’esito negativo per i palermitani della scaramuccia successiva, ma poi si dilunga di più sulla violenza dei palermitani contro i francesi. A 44.6 Tes è l’unico a dare un nome (Filippo) al capitano di re Carlo, definendolo però curiosamente capitano di Messina. Nel § 46.8 tutti dicono che Messina esitò ma solo le versioni continentali aggiungono «per fare peggio». A 53.4 Tes racconta in modo più complicato la risposta del camerlingo del legato ai messinesi. In Reb Carlo riflette un giorno e una notte prima di rinunciare all’idea di distruggere Messina (§ 54.1-2). A 61.1 Reb non accenna alla possibilità di abbandonare la Sicilia ventilata da Pietro dinanzi alla superiorità numerica delle forze di Carlo. A 71.2 Reb specifica il numero delle galee di Ruggeri di Lauria (dieci) ma non il numero delle navi nemiche prese o bruciate (diciannove). Il testo siciliano si dilunga sull’accoglienza festosa dei messinesi a Pietro d’Aragona (§ 72.2). Tes aggiunge un paragrafo che allaccia la narrazione all’episodio della sfida di Bordeaux, Leg alcune informazioni, in parte scorrette, sulla morte dei protagonisti della vicenda. In Reb la leggenda si conclude con la spiegazione dell’antefatto: un grande barone di Carlo aveva violentato una figlia di G. e il re non gli aveva reso giustizia, di qui il suo odio feroce. Dunque chiunque ha un qualche potere non offenda o lasci offendere i suoi sottoposti, ma faccia sempre piena giustizia. Isoliamo ora i numerosi casi in cui, pur senza alterare il plot, Reb racconta i fatti in maniera più dettagliata delle altre versioni. Nel § 22.3 il testo siciliano specifica che l’uccisione dell’avo di Pietro avvenne a «Morellu in Tulusa». La narrazione del secondo viaggio di G. in Sicilia (§ 27.1) e a Costantinopoli (§ 27.5) e della ripartenza dall’Oriente (§ 30.2) è più ricca di dettagli spazio-temporali; maggiori inoltre sono le informazioni su Accardo Latino (ibid.). Nel paragrafo che racconta il ritorno dell’ambasceria di frate Jacopo (42.1), si aggiunge la circostanza che Carlo e il papa si trovavano insieme a Montefiascone. Solo Reb menziona che lo scoppio della rivolta avviene davanti alla chiesa di Santo Spirito; inoltre nel testo siciliano ci sono maggiori dettagli sulla festa e sulle usanze villane dei francesi (§ 44.2). In 59.3 si accenna all’uccisione dell’arcivescovo di


INTRODUZIONE

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Palermo, per giustificare forse il fatto che l’autorità di incoronare il re è attribuita a quello di Monreale. Analizziamo qui anche la rielaborazione di Villani. Lo storico fiorentino condensa brevemente tutta la prima parte della leggenda (§§ 1-32) nel cap. 57 dell’VIII libro. Qui si narra di come G., appresi i progetti espansionistici di Carlo, «segretamente andò in Gostantinopoli al Paglialoco imperadore due volte» (Porta 19901991, I 502). L’imperatore scrive lettere per G. e manda con lui ambasciatori e denaro. In Sicilia sono coinvolti Alaimo da Lentini, Palmieri Abbate e Gualtieri di Caltagirone. G. si reca indi in corte di Roma dove corrompe Niccolò: «E ciò fatto, il detto messer Gianni venne in corte di Roma sconosciuto a guisa di frate minore, e tanto adoperò, ch’egli parlò a papa Niccola III degli Orsini al segreto a uno suo castello che si chiamava Soriana, e manifestogli il suo trattato; e da parte del Paglialoco, raccomandandolo alla sua signoria, e presentò a·llui e a messer Orso del suo tesoro riccamente, secondo che per gli più si disse e si trovò la verità, commovendolo segretamente colla detta moneta contro al re Carlo» (Porta 1990-1991, I 503).

Infine G. si reca a Barcellona, dove conclude l’accordo con Pietro. Già prima (cap. 54) Villani aveva accennato alla causa dell’inimicizia tra Niccolò e Carlo: «ancora [Niccola III] prese tenza col re Carlo per cagione che ’l detto papa fece richiedere lo re Carlo d’imparentarsi co·llui, volendo dare una sua nipote per moglie a uno nipote del re, il quale parentado il re non volle assentire dicendo: “Perch’egli abbia il calzamento rosso, suo lignaggio nonn-è degno di mischiarsi col nostro, e sua signoria nonn-era retaggio”; per la qual cosa il papa contro a·llui isdegnato, e poi non fu suo amico, ma in tutte cose al sagreto gli fu contrario [...] e per moneta che·ssi disse ch’ebbe dal Paglialoco aconsentì e diede aiuto a favore al trattato e rubellazione ch’al re Carlo fu fatta dell’isola di Cicilia» (Porta 1990-1991, I 495).

Nel capitolo 59, dove è narrato un nuovo viaggio in Catalogna durante il quale G. vince le esitazioni di Pietro, Villani rifonde alcuni materiali dei §§ 21ss. (primo incontro di Giovanni di Procida con Pietro d’Aragona). Nel cap. 60, dedicato ai preparativi navali di Pietro e all’ambasciata del re di Francia, utilizza i §§ 36-42. In seguito la narrazione segue più da vicino il nostro testo:


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Villani

Leggenda

cap. 61

§§ 44-45

cap. 62

§§ 46-48

cap. 65

§ 49

capp. 66 e 67

§§ 50-53

cap. 68

§ 54

cap. 69

§§ 55-59

cap. 70

§§ 60-63

cap. 71

§ 64

cap. 72

§ 65

cap. 73

§ 66

cap. 74

§ 67

cap. 75

§§ 68-72

5. LA STORIA Diversi elementi della leggenda sono inverosimili o senz’altro falsi23. Innanzitutto si ignora la vera posizione di Giovanni di Procida, che dal 1275 era stabilmente insediato alla corte aragonese, pur non avendovi un ruolo ufficiale24. Inoltre, che G. abbia compiuto i viaggi narrati e abbia partecipato agli ultimi avvenimenti in 23 Per la ricostruzione evenemenziale del Vespo cfr. Amari, Cartellieri 1904, La Mantia (1917, CLVss.), Runcimann 1958, Geanakoplos (1959, 375ss.), Giunta 1980, Cingolani (2006, 343ss.): rinunciamo alle citazioni puntuali per i dati indiscussi. Per un bilancio sul significato storico del Vespro, le sue premesse e le sue conseguenze si rimanda a Duprè Theseider 1954, Giunta 1969b, Galasso 1992, Bresc 1998. Per la storia della ricezione del Vespro nella storiografia, nell’arte e nelle tradizioni popolari, vedi infine Pitrè 1882, Sciascia 1973, Paratore 1984, Tramontana 1989. 24 Il 26 giugno 1275 l’infante Pietro dona alcuni feudi per i «grata et accepta servicia que vos Johannes de Prochida, felicis memorie quondam Rege Mafrido, socero nostro, laudabili contulistis et nobis et nostris heredibus cofuturum conferrere poteritis» (Soldevila 1950, 377s. e doc. 53b); altri feudi vengono donati nel 1276 (Soldevila 1962, 16 e doc. 28). Contrariamente a quanto dice Runciman (1958, 266) però Giovanni non era ancora cancelliere di Pietro (Hillgarth 1984, 57 e n.). Cfr. anche il Commento a 1.3.


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Africa e in Sicilia è non solo improbabile – sia per i tempi di navigazione dell’epoca, sia perché G. doveva avere circa 70 anni –, ma addirittura impossibile, perché tra il 1279 e il 1282 la sua presenza è documentata in Spagna, dove firma regolarmente i documenti della cancelleria aragonese25. Runciman (1958, 271) osserva che qualcuno – un figlio? – avrebbe potuto compiere i viaggi al suo posto: «l’itinerario dei viaggi e i particolari concernenti le navi sulle quali sarebbero stati compiuti sono troppo precisi per essere inventati di sana pianta» (cfr. anche p. 379s.). Ma si potrebbe ben pensare a degli “effetti di realtà” che servono a dare credibilità a una deliberata impostura. Che vi sia stata una congiura non è più messo in dubbio, per quanto non tutti sottoscriverebbero la formulazione estrema di Runciman (1958, 275s.): «È certo che emissari provenienti dall’Aragona agissero sull’isola; è certo che armi vi vennero contrabbandate. È altrettanto certo che i cospiratori erano in stretto contatto con Costantinopoli, da cui ricevevano denaro con la promessa che ancor più ne sarebbe giunto qualora tutto si fosse svolto secondo i piani».

L’interesse della linea ufficiale aragonese a minimizzare la responsabilità di Pietro spiega il fatto che la cospirazione non sia minimamente menzionata dai cronisti catalani Bernat Desclot e Ramon Muntaner. Analogamente si spiega il silenzio della storiografia siciliana in latino di Bartolomeo di Neocastro, Nicola Speciale e del Chronicon Siculum26. I contatti tra la corte aragonese e i baroni siciliani sono documentati: una lettera di Pietro ad Alfonso di Castiglia del 18 gennaio 1282, autenticata da Dominus Iohannes, comprova i rapporti di Pietro con i ghibellini italiani e con alcuni nobili regni Siciliae27. Meno certi sono i contatti con la corte bizantina: nonostante l’enfasi di Geanakoplos (1959, 377 e n.), potrebbe essere un falso la lette-

25 Cfr. soprattutto Wieruszowski (1935, 175ss.) che corregge le ricostruzioni precedenti. 26 Per le cronache catalane cfr. Soldevila 1971; l’Historia sicula del Neocastro si legge nell’ed. Paladino 1921; per lo Speciale e il Chronicon bisogna ricorrere ancora a Gregorio (1791, 284-508; 1792, 121-267). 27 Cfr. Carini (1884, II 46): «Documento di capitale importanza, che chiude tutte le controversie sulla cospirazione anteriore al Vespro».


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ra a Pisa dello stesso gennaio 1282 in cui Pietro dichiara di voler difendere Bisanzio e installarsi in Sicilia28. Non è unanime l’interpretazione dell’ambasceria dell’imperatore d’Oriente che incontra il re d’Aragona nel maggio del 1282 a Portfangos e nell’estate dello stesso anno a Palermo29. Certo l’alleanza greco-aragonese è menzionata da fonti opposte come i ghibellini Annales Placentini e il guelfo Salimbene (vd. oltre, § 11); la bolla di Martino contro Pietro di Aragona (18 novembre 1282), che insinua un collegamento tra l’aragonese e la sedizione siciliana, menziona le voci di un coinvolgimento del Paleologo30. La questione rimane aperta31. Non ci sono, ovviamente, documenti del coinvolgimento di papa Niccolò nella congiura, ma rumori di una sua corruzione sono raccolti anche da Salimbene e forse da Dante (cfr. Commento a 16.1). Non è escluso, anzi è probabile, che il papa, la cui politica era volta ad arginare lo strapotere angioino, cercasse di impedire a Carlo di

28 Essa è contenuta infatti in una raccolta di documenti (ms. II.IV.312 della Bibl. Naz. di Firenze) non immuni da una rielaborazione quanto meno stilistica (Kern 1911, 16). 29 Cfr. Lopez (1933, 67s.) e Geanakoplos (1959, app. A). 30 Cfr. La Mantia (1940, 100), il cui resoconto però è travisato da Geanakoplos. 31 Secondo Amari (I 159) i contatti non risalgono al 1279 come dice la leggenda, ma sono successivi all’elezione di Martino IV nel 1281: «Allora sì che il bizantino si sentì con l’acqua alla gola: e però è più verosimile che siasi deliberato allora a giuocar una grossa somma di denaro negli armamenti del re d’Aragona». Wieruszowski (1935, 179ss.) vede la possibile traccia di contatti precedenti in un documento della cancelleria aragonese che menziona il viaggio svolto dal cavaliere catalano Taverner nell’agosto del 1278 «pro quibusdam negotiis ad Curiam Romanam et ad dominum imperatorem»; documento su cui insistono, in maniera forse eccessiva, Duprè Theseider (1954, 39), Geanakoplos (1959, 383) e Tramontana (1989, 151; 2000, 99). Lopez (1933, 71ss.) nega qualsiasi accordo precedente il Vespro; sulla stessa linea, Giunta (1959, II 58ss.) sostiene che l’incontro tra Aragona e Bisanzio non è il prodotto di un disegno preciso da parte di Pietro ma di una oggettiva convergenza di interessi, e in ogni caso si perfeziona dopo il 1282. Cfr. anche Giunta (1969b, 559): «Sia Pietro III che la Sicilia si erano messi in movimento in modo autonomo, senza che i negoziati con Bisanzio potessero assumere un ruolo determinante. L’impero orientale, infatti, rimase ai margini degli avvenimenti e indirettamente venne liberato dal pericolo angioino che incombeva come una spada di Damocle». Anche Hillgarth (1984, 58 e n.) nega l’idea di un complotto tra Pietro e il Paleologo: «És possible que Miquel hagués tramès diners als sicilians per tal d’animar-los a la revolta contra el seu enemic Carles d’Anjou que es preparava a atacar Constantinoble, pero els bizantins no cercaren l’ajut de Pere fins després que aquest hagué desembarcat a Sicìlia». Secondo Cingolani (2006, 357ss.), che ci fosse un accordo tra Aragona e Bisanzio è certo, ma non se ne può definire esattamente data ed entità.


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attaccare Costantinopoli. Anche Amari (I, 157) ammette: «A me sembra verosimile che Niccolò abbia fatta qualche promessa a re Pietro, ma in voce e non altrimenti». Secondo Geanakoplos (1959, 385), «in mancanza di elementi più persuasivi, l’adesione di Niccolò a tale accordo va considerata soltanto come una suggestiva ipotesi». Per Tramontana (2000, 99) è «probabile che Niccolò III, proprio per stroncare subito i progetti espansionistici di re Carlo I e impedire la spedizione angioina su Costantinopoli, abbia avviato rapporti con la corte d’Aragona» (cfr. già 1989, 151). In ogni caso l’atteggiamento con cui è ritratto l’Orsini appare incredibile o quanto meno esagerato. Che nella congiura Giovanni di Procida abbia avuto un ruolo cruciale è ritenuto generalmente probabile. Secondo Cartellieri (1904, 89), il merito più importante di G. è di aver stretto il nodo tra Pietro e il Paleologo: «er bereitete dadurch in wirksamer Weise die Befreiung der Insel Sizilien vom angiovinischen Joche vor». De Stefano (1937, 39) vede G. come «l’artefice maggiore» di una vasta attività diplomatica. Wieruszowski (1935, 182) ipotizza che G. abbia ricevuto da Pietro l’incarico di tirare i fili della cospirazione, fatto che potrebbe costituire il “nucleo storico” «der Procida-Legende in den sizilischen und toskanischen Quellen». Secondo Duprè Theseider (1954, 34) i documenti «dimostrano chiaramente come nulla avvenisse alla corte aragonese senza il suo intervento, e, forse, senza il suo consenso, almeno per quanto riguardava la questione siciliana»32. A detta di Runciman (1958, 380), G. non sarebbe potuto diventare «il gran furfante di cui favoleggiavano i guelfi dal loro punto vista, se non ci fossero state delle buone ragioni per credere che era stato implicato nella rivolta»33. Va detto tuttavia che i cronisti francesi, che menzionano l’accordo di Pietro con i siciliani, non fanno parola del ruolo di Giovanni di Procida (cfr. Amari II, 4-7). Se l’esistenza di una trama segreta è evidente, neanche il carattere spontaneo della ribellione palermitana si può negare. È un fatto che la rivolta coglie di sorpresa Pietro che, non ancora pronto a 32

Più scettico Hillgart (1984, 57s.): «No hi ha dubte que Procida, que havia estat el canceller de Manfred, ajudà Pere en les ùltimes etapes del seus plans, però no tenim pas proves que fos ell, més que Pere mateix, qui els dirigí». 33 Lo storico inglese aggiunge anacronisticamente: «Gli stessi Siciliani, un popolo altero e non incline alla modestia, non avrebbero permesso che nelle loro leggende primeggiasse in tal modo come guida un napoletano di nascita, se non fossero stati convinti che era stato lui a guidarli».


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intervenire, mantiene per un certo tempo un atteggiamento attendista. Di contro, i siciliani tentano prima la via autonomistica sotto l’egida del papa e solo quando questa si rivela impraticabile si rivolgono a Pietro. Il nesso causale istituito dalla leggenda tra la congiura baronale e la rivoluzione di popolo potrebbe dunque essere dovuto a ignoranza o a deliberata deformazione dei fatti34. 6. DALLA STORIA ALLA LEGGENDA Se la narrazione dei fatti è evidentemente alterata, non più credibile appare la rappresentazione dei protagonisti. Nella prima edizione della sua opera Amari (1842, 48s.) riassume la leggenda con tocchi ironici, quasi da opera buffa. Giovanni è l’unico protagonista, «ombre gli altri personaggi»: «Non pensan, non osan essi senza Procida: al sol vederlo ogni fiata rompono in lagrime come fanciulli; ei solo sospinto da amor di patria e desio di vendetta, va, torna, muta sembianti, ignoto ha credenza da’ grandi; ei solo disegna, comincia, e fornisce l’impresa».

Secondo Lopez (1933, 69s.): «il carattere dei protagonisti è falsato e frainteso: per lo pseudo cronista, il cavalleresco e ardito Pietro II, che gli spagnoli chiamano il Grande, è un vigliacco; Michele VIII, energico fino alla brutalità, è un querulo adulescentulo che non sa come fare poichè gli vogliono portare via l’Impero. Non solo non c’è la verità: non c’è neanche la verosimiglianza».

Secondo Duprè Theseider (1954, 36): «né Michele Paleologo, né Pietro d’Aragona, né Niccolò III furono scialbe figure di secondo piano, come ci si vorrebbe far credere, anzi pro-

34 Cfr. Bresc (1998, 598), secondo cui il Vespro fu promosso da un «milieu de chevaliers urbains et de juristes», costretto poi dalla minaccia angioina a fare appello alla nobiltà feudale e alla casa di Aragona. Secondo Tramontana (1989, 35), il Vespro «presenta aspetti che, se confermano la partecipazione delle popolazioni isolane, ripropongono il problema della capacità dei movimenti spontanei di massa di darsi una direzione consapevole. Che nella Sicilia del Vespro è invece da ricondurre agli ambienti nobiliari e alle trame segrete dei legittimisti svevi con la Corona d’Aragona».


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prio il contrario; e si stenta ad ammettere che i baroni siciliani fossero quegli inetti, abulici e lagrimosi personaggi che l’anonimo messinese ama presentarci, a tutta gloria di messer Giovanni».

Geanakoplos (1959, 380) sottolinea l’«improbabile ritratto di Michele che viene presentato come sovrano debole e piagnucoloso, facilmente manipolato da Procida». Cingolani (2006, 352) osserva a proposito di Pietro: «pot ser curiós veure com, un rei cavalleresc i valent per excel·lència – i com hem vist n’és elogiat al mateix text –, és aquí acusat de dèbil i covard perquè encara no ha pensat de venjar les ofenses a la seva dona i a la seva nissaga, bé com a agnats i bé com a cognats».

Le lettere che punteggiano il testo, poi, sono del tutto incuranti non solo dell’esattezza ma anche della verosimiglianza. La lettera di Martino ai Siciliani è «intessuta d’ingiurie, fuori dal sonante stile della romana curia, da’ concetti della bolla data a Gherardo, e dall’oprar tutto del papa e di Carlo in que’ primi tempi» (Amari I, 214). Le lettere scambiate tra Pietro e Carlo sono «false non solamente perché possediamo le vere (...) ma ancora perché quelle degli anonimi sono scritte con uno stile villano che non si usava tra cavalieri» (Amari II, 204)35. Più in generale, se proiettiamo la versione fornita dai nostri testi sullo sfondo della storia quale si può ricostruire dalla critica moderna, emergono dei movimenti che mostrano un preciso processo di stilizzazione, non necessariamente conscio e non necessariamente intervenuto in un unico momento: Il primo motore degli eventi è individuato nel desiderio di vendetta di Giovanni di Procida.

35 Più aderenti alla realtà storica sono le lettere retoricamente elaborate che Saba Malaspina inserisce nella sua cronaca (cfr. Koller/Nitschke 1999, 322-323 e nn.). Amari (II, 233) riteneva che le lettere della leggenda si basassero su documenti apocrifi preesistenti: «Credo che delle lettere supposte di papa Martino a’ Siciliani, di Pietro d’Aragona a Carlo d’Angiò e viceversa, ne corresse già in Italia da parecchi anni; poichè le copie pervennero fino in Inghilterra dove, la falsa lettera italiana di Pietro a Carlo fu serbata tra le carte di Stato, poichè la veggiam nella raccolta del Rymer (Foedera ecc. ediz. della Hague, 1748, tom. I, parte I, p. 213)». In realtà, come mostra Cartellieri (1904, 57), Rymer trasse probabilmente da Villani la lettera di Pietro a Carlo e la risposta di questi.


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La nobiltà siciliana viene personificata da tre baroni, Alaimo di Lentini, Palmieri Abbate e Gualtieri di Caltagirone, scelti non tanto come individualità storiche ma come rappresentanti dei tre valli di Sicilia: Val Demone, Val di Mazara e Val di Noto36. La leggenda colloca l’ambasciata di Filippo a Pietro prima della ribellione (aprile 1281), mentre essa avvenne solo il 20 maggio 1282. Questo spostamento consente l’inserimento di elementi drammatici come la risposta di Pietro, il viaggio a Barcellona di fra Jacopo, la reazione incosciente da parte di Carlo37. La leggenda narra in sequenza la trattativa di Gherardo di Parma con i messinesi (giugno) e la spedizione di Pietro in Africa (agosto) che si svolsero in realtà contemporaneamente. Nell’assedio di Messina si enfatizza da un lato l’arrendevolezza dei messinesi, dall’altro la durezza di Carlo. Nel racconto del ritiro di Carlo dalla Sicilia si ritaglia un ruolo per Ruggeri di Lauria, detto anacronisticamente ammiraglio38.

Nel passaggio dalla storia alla leggenda si verificano, mi sembra, alcuni processi relativamente ben chiari: 1) l’alterazione della cronologia degli eventi, che può essere motivata dalla volontà di indirizzare la lettura in chiave propagandistica, ma forse anche dal tentativo di produrre un effetto di suspense, o solo dall’incapacità di padroneggiare le tecniche dell’entrelacement, che sono – si ricordi – un’invenzione duecentesca; 2) l’aggregazione degli eventi intorno ai personaggi, le cui azioni e motivazioni assumono una centralità assoluta: si va dal caso minore dei baroni siciliani e di Ruggeri di Lauria, ai due grandi protagonisti, Carlo d’Angiò e Giovanni di Procida; 3) l’iper36 Si tratta in effetti di alcuni tra i più potenti baroni dei tre valli. Amari nota che essi furono, se non ostili, estranei inizialmente alla ribellione (I, 152) e pensa che non sia casuale la scelta di tre personaggi «che i partigiani di casa d’Angiò ricordavano come baroni molto possenti su i quali essi avevano fondate le speranze d’una controrivoluzione in Sicilia, ed or li voleano far passare per vittime della gratitudine aragonese» (1882, 142). In realtà la loro partecipazione al Vespro è fuor di dubbio, cfr. Sicardi (1917, XXXVII), La Mantia (1917, XCVII), Duprè Theseider (1954, 40), Wieruszowski (1957, 232), Giunta 1960a e b, Walter 1973. Ma qui è in questione l’idea quasi certamente falsa che i baroni siano il motore del Vespro. È significativo della scarsa consistenza reale dei personaggi il fatto che la leggenda non menzioni l’importante ruolo di Alaimo da Lentini come capitano di Messina durante l’assedio. 37 Che Carlo fosse cosciente del pericolo creato dai preparativi di Pietro per la presunta crociata è evidente dalle misure di rafforzamento delle marine del Regno (Amari I, 156s.). 38 All’epoca del Vespro l’ammiraglio della flotta aragonese, e autore dell’impresa dello Stretto, è Jaume Pere, figlio naturale di Pietro (Soldevila 1971, 483 e n.).


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bolizzazione delle caratteristiche degli stessi personaggi: l’abilità militare di Ruggeri di Lauria, l’orgoglio autolesionistico di Carlo d’Angiò, l’astuzia quasi mefistofelica di Giovanni di Procida. Siamo di fronte dunque a quella tipica forma di storiografia medievale che procede, da un lato, riconducendo le motivazioni dell’agire umano a poche elementari passioni, dall’altro, operando “spostamenti” e “condensazioni” di fatti e personaggi39. Caratteristiche simili presenta la già citata Cronica fiorentina (§ 1): anche qui l’avvenimento è concepito «come una vicenda unitaria motivata da passioni o comportamenti elementari, che per una catena di atti individuali mossi da ragioni analoghe si trasforma in evento politico di portata generale» (Varvaro 1989, 169). Siamo ben al di qua, tipologicamente se non anche cronologicamente, da Dino Compagni che «è in grado di comprendere i fatti e di ordinarli nella pagina con ben altro approfondimento», e da Giovanni Villani, cosciente che i processi che governano la storia «sono mutevoli e regolati da cause complesse, che sono, esse, l’oggetto vero della storia, e che l’individuo singolo, con le sue passioni, è protagonista ma non motore e referente unico della storia» (ibid., 170)40. Un altro elemento che sembra strutturare il testo narrativo, agendo questa volta non sul piano della contiguità ma su quello della similarità, è la ricerca del parallelismo. Osserva Amari (II, 204) che un viaggio di Pietro e Giovanni a Maiorca nel 1280 (§ 21) è impossibile, dati i rapporti tesi tra il re di Aragona e suo fratello Giacomo, re di Maiorca: l’anonimo mitopoieta potrebbe aver collocato il dialogo nell’isola «per dar più forte colorito di verità alla scena e fare riscontro alla torre de’ tesori in Costantinopoli, dove il Procida avea sedotto il primo principe congiurato». Un altro notevole parallelismo si trova ai §§ 39-41: alla scena in cui Carlo, ricevuta la lettera del re di Francia che lo allerta sui preparativi di Pietro, subito si rivolge al papa, fa perfetto riscontro quella in cui Pietro, ricevuta l’ambasciata del papa, si indirizza immediatamente ai consigli di Giovanni di Procida. Infine una caratteristica costitutiva della tecnica narrativa è lo 39

Mi servo qui della terminologia freudiana riletta nell’ottica della linguistica generale da Jakobson 1956. 40 Il correlato formale di questa nuova coscienza è proprio la tecnica narrativa dell’entrelacement, che Villani desumeva dal romanzo in prosa (cfr. Varvaro 1989, 170). Per un confronto tra la Cronica fiorentina, Compagni e Villani, vedi anche Miglio (1989, 173-177).


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stile dialogico che si manifesta nei discorsi diretti e nelle lettere41. La rappresentazione drammatica degli incontri tra G. e i suoi interlocutori è apparsa spesso caricaturale alla critica. Amari (I, 153) lamenta ad esempio «i discorsi del Procida co’ supposti cospiratori di Sicilia e coi potentati stranieri, gli uni e gli altri irresoluti, piagnoni, bambini»42. Da questa, come dalle citazioni anteriori, traspare un fastidio per il fatto che i personaggi della leggenda, dimentichi della gravità che imporrebbe il loro status, non nascondono i loro sentimenti e non esitano a scoppiare in lacrime. Tale fastidio nasce forse dalla mancata percezione dell’alterità della letteratura e più in generale della cultura medievale, che tributa al pianto un ininterrotto successo, spiegabile «par le manque d’interdit portant sur l’expression gestuelle des sentiments et par la valorisation chrétienne de la souffrance et des larmes» (Nagy-Zombory 2002, 1117). Insomma, il giudizio di valore sulla leggenda si può agevolmente ribaltare, se solo si sostituisce alla prospettiva dello storico della politica o delle istituzioni quella dello storico della letteratura o delle mentalità. Proprio quegli elementi, dialoghi e lettere, che hatto fatto maggiormente storcere il naso alla critica, sono tra i meccanismi che segnano più vivacemente l’andamento della narrazione e restituiscono in maniera più piena la sensibilità medievale. 7. LA QUESTIONE Le risposte date di volta in volta al problema dei rapporti tra i nostri testi sono inestricabilmente intrecciate con la ricostruzione che contemporaneamente si forniva del Vespro, «mitizzato sia come effetto di una congiura sia come spontanea rivoluzione di popolo» (Sciascia 1973, 192). Questo intreccio, che non si può ripercorrere qui dettagliatamente, va letto però in trasparenza dietro l’intera questione43. La riflessione critica sui nostri testi si può far cominciare alla fine 41

Se il raro gallicismo villa attribuito a Carlo (cfr. Commento a 54.4) risalisse all’originale, cosa che non si può affermare con certezza, si potrebbe anche pensare a una embrionale caratterizzazione linguistica dei personaggi, procedimento che sarà sviluppato in maniera più conseguente da Villani. 42 Cfr. già Amari (1942, 293). 43 La critica italiana ottocentesca condivide largamente l’interpretazione risorgimentale del Vespro come liberazione contro lo straniero, che sul piano artistico si riflette da un lato nel famoso dipinto di Francesco Hayez (1846), dall’altro, con


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del sec. XVIII, quando l’erudito Rosario Gregorio (1791, 243-247), primo editore del Rebellamentu, si esprime per l’antichità e l’attendibilità dell’opera siciliana e fa notare i suoi rapporti col Villani. Gregorio fu costretto dalla censura a sopprimere non solo il paragrafo finale che spiega la ragione della ribellione, ma persino il titolo («Quistu esti lu Rebellamentu di Sichilia lu quali hordinau e ffichi fari misser Johanni di Prochita contra re Carlu»), sostituito da un più neutro «Historia conspirationis Iohannis Prochitae». E come Conspiration de Jean Prochyta l’edizione di Gregorio è tradotta in francese da Buchon (1840, 737-752), che giudica con simpatia il testo siciliano, di cui segnala i paralleli con i cronisti catalani Desclot e Muntaner (LXXI-LXXII). Nella prima edizione (1842) della sua opera magistrale sul Vespro, tesa con ardore patriottico a difendere il carattere spontaneo della sollevazione siciliana e – di conseguenza – a togliere ogni credibilità alla versione dei fatti trasmessa dalle nostre opere44, qualche ambiguità, nel Giovanni da Procida di Giambattista Nicolini (1830) e nei Vespri siciliani di Verdi (1855). Con Amari si assiste però alla distruzione sistematica del mito di Giovanni di Procida come libertador e a un’interpretazione del Vespro con tinte democratiche e anticlericali. La reazione ad Amari assume di conseguenza due aspetti: il primo è l’interpretazione aristocratica del Vespro come congiura e non come sollevazione di popolo; il secondo è la difesa della figura storica di Giovanni di Procida che, oltre agli apologeti come Rubieri e De Renzi, annovera Cappelli, Di Giovanni e, più tardi, Sicardi e La Mantia (per la questione cfr. Sanesi 1890). Dopo l’Unità la questione del Vespro divide ormai «i “democratici” anticlericali dai cattolici “liberal-moderati”, in una stagione storiografica nella quale la questione dei rapporti fra regno e sacerdozio nel medioevo era posta in posizione speculare a quella dei rapporti fra lo Stato italiano e il papato, e a quest’ultimo si addebitava una funzione negativa nell’evoluzione della storia nazionale verso l’unificazione» (D’Alessandro 1990, 5). 44 Nonostante uscisse con un titolo modificato per evitare la censura, l’opera costrinse Amari all’esilio parigino. La complessa vita editoriale dell’opera amariana è ricostruita da Salvo Cozzo 1910. Contro l’immagine deformata fornita dai suoi critici, va ribadito che Amari non negò mai la congiura ma solo il collegamento meccanico col Vespro. Già nella prima edizione l’accordo tra Pietro e il Paleologo è ritenuto certo, le trame con i baroni siciliani probabili: «Falso è che la pratica sì strettamente condotta fosse a punto riuscita a produrre lo scoppio del Vespro» (1842, 50). Nella prima edizione fiorentina si aggiunge: «Le trame coi ghibellini e con alcuni baroni di Napoli o di Sicilia, non si possono ormai rivocare in dubbio» (1851, 89). Amari è dunque perfettamente coerente quando nel 1882 ammette «che Pietro d’Aragona armava e trattava per messaggi col Paleologo; che questi gli fornia danari e più ne promettea; che Sancio di Castiglia e Pietro e gl’Italiani delle provincie meridionali rifuggiti a corte di Aragona tramavano con quanti nemici vecchi e nuovi avesse Carlo d’Angiò dalle Alpi fino al Tevere: il marchese di Monferrato, Corrado


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Amari si occupa dei rapporti tra il Rebellamentu da una parte e Villani e Malispini dall’altra. Reb, secondo lui, è opera del XIV secolo rifatta su Villani (p. 293): «Io penso che l’autore fiorì verso la metà del secolo XIV e fu della famiglia Procida, o attenente ed amico a quella [...]. Quest’anonimo dunque, cliente o partigiano, pieno d’umori guelfi, peregrinando fuori dalla patria, s’imbattè nella cronaca de’ Malespini o del Villani; alla quale aggiunse or qualche verità, or qualche errore cavato dalla tradizione e tendente ad esaltar Giovanni di Procida; e ne dettò quel che in oggi chiameremmo romanzo storico, o una istoria frammischiata di finzioni e novelle»45.

Cappelli (1861) è il primo a pubblicare Leg e a trattare dei suoi rapporti con Reb. Egli ritiene che la Leggenda sia il testo “originale” e la data al 1285, credendo di leggere nel paragrafo finale (cfr. Apparato al § 72) una prova che l’autore scrive nello stesso anno della morte di Carlo d’Angiò e di Pietro d’Aragona46. Egli crede inoltre che Leg sia fedele resoconto degli eventi: «Chè se la tendenza romanzesca del secolo nel darle titolo di Leggenda (...) avrà creduto di poter aggiugnere qualche ornamento al quadro magnifico, e se non potranno tenersi per autentiche in ogni loro forma e parola le cinque lettere ivi riferite, e così certe parlate troppo intime, e certe maniere troppo semplici, niun fatto però importante, niun nome e niuna data si scostano dalla verità storica, senza che alcun’altra cosa sia fuori di assoluta probabilità» (p. 27); «se in essa par che si esaltino i generosi fatti, i destri accorgimenti e la costanza e prevalenza su tutti del Procida, ciò non è che per forza di verità, non essendosi lo scrittore di parte guelfa prefisso di ottenere un tale scopo, ma addimostrandosi anzi nemico del perfido e orribile cospiratore, com’egli lo chiama con ingiuriose parole, che vennero soppresse nella traduzione siciliana» (p. 29)47. d’Antiochia, il conte Guido Novello, Guido da Montefeltro ed altri capi ghibellini; che infine coteste pratiche son da supporre estese giù per la terraferma e in Sicilia. Era scopo comune muover grossa guerra all’Angioino dove e come si potesse; ma sembra che il disegno non fosse maturo, i luoghi non determinati e le forze maggiori non pronte, quando il popolo di Palermo, indegnamente provocato, gridò “Muoiano i Francesi!”» (p. 107). Cfr. anche ibid. p. 130: «Da tutti i lati dunque ci torna, salvo le reticenze e le finzioni de’ cronisti, che tra il luglio e l’agosto 1282 Pietro aveva ultimate le pratiche co’ capi della rivoluzione siciliana e ch’era arrivato a farsi chiamare al trono». 45 Nulla cambia nell’edizione fiorentina del 1851. 46 Per l’inconsistenza di questa datazione cfr. Amari (II, 11), Hartwig (1870, 242). 47 Per il significato di leggenda cfr. Commento all’incipit.


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Cappelli si dice però d’accordo con Amari sul fatto che non c’è un rapporto diretto tra la congiura e la ribellione di Palermo (p. 33). Contro Cappelli, il canonico siciliano Vincenzo Di Giovanni nel 1865 (X-XI) si pronuncia per l’anteriorità del Rebellamentu tanto sulla Leggenda quanto sul Liber, intanto riportato alla luce. L’anno successivo, nella nuova edizione della Guerra del Vespro, Amari – che dal 1861 era senatore del Regno – accoglie l’idea dell’anteriorità del testo siciliano. Reb sarebbe un’«apoteosi di Giovanni di Procida» opera di siciliani antiaragonesi: «Così appunto la parte siciliana che pose mano alla rivoluzione e poi si voltò contro la dinastia aragonese, così dovea rappresentare l’origine della rivoluzione, e rinfacciare ingratitudine a’ novelli dominatori». Leg invece, che con il prologo aggiunge «una toppa d’altro panno», fornirebbe l’«edizione guelfa del romanzo» (1866, 227)48. Nel 1870 lo storico tedesco Otto Hartwig sviluppa le ipotesi di filiazione di Amari49: Leg e Reb deriverebbero indipendentemente da «eine aus dem Bericht Villani’s entstandene historische Novelle» (p. 260), mentre Lib deriverebbe a sua volta da Leg. L’operetta perduta non sarebbe filoguelfa come i testi continentali – il cui prologo stona con il tono complessivo –, né filosiciliana, ma tutta volta a celebrare la figura di Giovanni di Procida. Hartwig giunge addirittura a indicarne il possibile responsabile nel napoletano Bartolomeo Caracciolo, autore intorno al 1350 della Cronaca di Partenope (o meglio della Breve informacione confluita nella cronaca napoletana) e legato da ragioni familiari ai Procida. L’anno dopo, Di Giovanni (1871, II Vss.) ribadisce la sua ricostruzione opponendosi a Hartwig e ad Amari. Nell’edizione del Vespro del 1876, riferendosi ai lavori di Hartwig e Di Giovanni, Amari ipotizza che da una fonte comune derivino da una parte Reb, dall’altra, attraverso un subarchetipo, Leg e Lib; alcuni elementi della lingua di Reb porterebbero inoltre a credere che l’opera sia tradotta dal toscano (p. LXXXss.). Alla base di tutta la tradizione vi sarebbe un tractatus nato «dalla rivelazioni fatte in Roma dal Procida negli ultimi anni della sua vita» e arricchi48 Del resto Amari polemizza con Di Giovanni, che aveva sostenuto «l’opinione della congiura» usando contro di lui «qualche parola poco urbana a che non è luogo a rispondere» (ibid., 228). 49 Hartwig, giunto a Messina nel 1860 come predicatore della colonia tedesca protestante, era devoto e corrispondente dello storico siciliano (cfr. D’Ancona 1896, II 197).


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to di particolari fantasiosi nei testi successivi (p. LXXIX). Qualche anno dopo, in occasione della celebrazione del Vespro (1882)50, Amari aggiunge alla sua ricostruzione della nascita della leggenda tocchi interessanti in cui si riflette la sua lunga esperienza di politico e patriota: «E chi sa se Giovanni, vecchio e pentito, nei pochi anni di vita ch’ei trasse in Roma, non parlò dei suoi casi; non si vantò delle prodezze passate; non pretese di aver fatta lui la rivoluzione di Sicilia? Quanti, dal 1860 in qua non han detto aver loro fatta l’Italia; i quali con l’ingegno e col braccio ci hanno messa l’opera loro, ma hanno dimenticata l’opera di tutti gli altri! Se Procida non si vantò, nè disse bugie, si prestarono al caritatevole ufizio i parenti, gli amici, gli amici de’ primi e de’ secondi, i zelanti, che non mancano mai, quando non s’ha a far altro che ciarlare. Tutti costoro tramandarono di bocca in bocca i mirabili casi del gran cospiratore, con aggiunte, correzioni, commenti e illustrazioni, com’è uso costante, anzi necessità irresistibile della natura umana» (p. 145s.).

Ai rapporti tra le versioni è dedicata un’affermazione non del tutto trasparente: «Gli ultimi due [Leg e Lib], scritti in lingua più o meno conforme all’italiano illustre, sembrano versione del primo [Reb], ch’è in siciliano con frase toscana» (p. 137). Nello stesso anniversario del 1882 Di Giovanni ripubblica Reb, Lib e Leg, inaugurando il sistema dei testi paralleli che sarà perfezionato da Amari con l’aggiunta di Villani. Intanto nel 1869, in un importante studio sui manoscritti del Tesoro volgarizzato, Mussafia aveva segnalato l’esistenza di Tes, pronunciandosi anche sul carattere complessivo dell’opera: «La leggenda è dettata manifestamente da uomo avverso ai Francesi, animato dal più vivo interesse al buon esito degli adoperamenti del Procida. Ora nei codici Modenese e Vaticano leggonsi in sul principio alcune parole, che spirano sensi guelfi, ma chiaro appare che esse non possono derivare che dal copista, il quale, guelfo egli stesso, quasi ad acquetare i proprii scrupoli v’aggiugne quelle invettive contro l’eroe dell’impresa, senza accorgersi o senza curarsi ch’esse non s’accordino punto col tuono, che domina in tutta la scrittura» (p. 333). 50 Va rammentato che intanto Isidoro Carini aveva portato alla luce le carte dell’Archivio della Corona d’Aragona che documentavano le trame di Pietro (cfr. Ricordi 1882, vol. II, e poi Carini 1884, vol. II). Amari si era tenuto ansiosamente al corrente della missione spagnola del Carini, come testimonia la corrispondenza tra i due (cfr. Brancato 1976).


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Il testo siciliano invece, aggiunge il filologo dalmata, «non ci fa entrare nè Dio nè il demonio» (p. 334). Il saggio di Mussafia tuttavia arrivò all’attenzione degli studiosi della leggenda solo quando fu ripubblicato nel 1884 in appendice alla traduzione italiana dell’opera di Sundby dedicata a Brunetto Latini. Nell’ultima edizione della sua opera (1886-1887), Amari definisce Reb una «piacevole novella» (I, 151) e liquida il testo con un perentorio: «Torniamo ora alla storia» (p. 153). Egli ricostruisce così la genesi del testo originario: «La leggenda tutta insieme per cagione de’ fatti inverosimili che narra, dei fatti storici dai quali si allontana e spesso vi contraddice, e per quella andatura da romanzo e continua apologia di Giovanni di Procida, sembra fattura guelfa, composta ne’ principii del secolo decimoquarto, dopo la sua conversione a parte angioina e la sua morte» (ibid.).

All’inizio del XIV secolo «corsero frequenti nell’Italia centrale e meridionale coteste Memorie, come or le diremmo di Giovanni di Procida». La guerra in Sicilia si riaccendeva, Procida e Lauria erano passati ai Guelfi, «essi o i loro seguaci dovean chiamare delitto ciò che una volta avean lodato come virtù; potean anco dipingere i fatti con altri colori che quelli dati una volta da loro stessi» (II, 199). Ancora: «non fo voli d’immaginazione se aggiungo ch’egli avea parlato di molto dopo la sua conversione a parte angioina e papalina, e che avea svelato l’accordo col Paleologo, come fece Ruggier Loria ragionando con Marino Sanuto [...]. Di certo dopo la morte di Pietro uom non rimanea che de’ fatti del Vespro ne sapesse più di Giovanni di Procida. Dall’avere scritte le lettere che si mandavano al Paleologo, all’avere condotte le pratiche in persona non correa che un passo; nè era mestieri ch’egli il facesse da sè. Non potean mancare intorno a lui persone pronte a ripetere le sue parole con fioriture e comenti: la cronologia si guastava; i fatti si confondeano; su i veri si innestavano i possibili, e con l’aiuto della rettorica, la storia diventava romanzo» (II, 233). «Così mi raffiguro l’origine della leggenda. Credo che sia uscita di fucina guelfa, ancorchè il Ribellamentu, il quale pare versione fatta ad uso e consumo de’ Siciliani, la trasformi in apologia del Procida» (II, 234).

Quanto ai rapporti tra le versioni, lo storico siciliano sostiene che Reb, Lib e lo stesso Villani derivano indipendemente da Leg o dal suo prototipo (II, 8s. e 199ss.) e cerca di provare che Reb sia una traduzione dal toscano (II, 203). Amari allega anche una lettera di


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Corrado Avolio, a cui aveva sottoposto la questione linguistica: il glottologo contesta gli argomenti specifici dello storico ma conferma – con argomenti invero non più convincenti – l’ipotesi che il testo siciliano derivi da uno toscano (doc. LXXIII). Nell’Appendice Amari pubblica poi per la prima volta il testo di Tes, che era riuscito a rintracciare nonostante le vaghe indicazioni di Mussafia51. Ad Amari ed Avolio si oppone immediatamente il Di Giovanni (1886): il Rebellamentu sarebbe stato scritto «da persona che conobbe i maneggi di quel fatto, e fu fautore di parte aragonese, scrivendo già prima che dal governo aragonese si alienasse l’animo di molti siciliani e dei Ghibellini d’Italia» (p. 18), ossia prima del 1285; il Liber Jani e la Leggenda vi aggiungono un proemio guelfo e insolente per Giovanni di Procida che non può essere successivo al 1298, anno in cui questi, poco prima di morire, si riconcilia con la Chiesa (p. 17)52. Nel 1904 lo storico tedesco Cartellieri propone una ricostruzione simile a quella di Hartwig: Reb deriverebbe da una redazione simile a quella del codice modenese ma priva del prologo, della quale a loro volta Leg e Lib sarebbero «welfische Bearbeitungen». Questa redazione (l’Anonymus) non avrebbe fatto altro che aggiungere particolari romanzeschi al racconto di Villani: «Die anonymen Texte sind novellistische Bearbeitungen der Erzählung, wie sie Villanis Chronik bietet; sie mögen für die italienische Literatur des 14. Jahrhunderts von Interesse sein, für den Historiker sind sie völlig wertlos» (p. 235). Alla ricostruzione di Cartellieri aderisce Palma (1910) il quale cerca di dimostrare il carattere tardo della lingua del Rebellamentu e la sua derivazione dal toscano (ma i presunti errori di traduzione che egli imputa a Reb in realtà sono semmai errori tout court). La linea di Di Giovanni è ripresa, contemporaneamente e indipendentemente, da La Mantia e da Sicardi nel 191753. La Mantia 51 Mussafia citava il ms. magliabechiano dicendolo erroneamente Riccardiano e dolendosi di non ricordarne la segnatura (p. 316 e s.). 52 Cfr. già Di Giovanni (1882, XXIII). Questo argomento è raccolto più tardi da Runciman (1958, 378s.): «Ma sembra quanto mai improbabile che una qualunque di esse [i.e. opere] possa essere stata scritta dopo il 1298, data in cui Giovanni disertò la causa siciliana e si riconciliò con la Chiesa». Ciò presuppone che la riconciliazione di G. con la Chiesa fosse un fatto pubblico, cosa che è lungi dall’essere certa. Di Giovanni (1886, 20) non fa in tempo ad esprimersi su Tes: «Ma qui mi resto, aspettando le altre lezioni che verranno fuori dalle bibilioteche di Firenze, e a cui so che ora attende l’Amari medesimo». 53 La Mantia (p. CCI) fa in tempo a menzionare la comparsa del primo fascico-


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(1917, XCIV) sostiene che il Rebellamentu è il testo “originale”, opera forse di un messinese, «per le estese notizie che si trovano per Messina in quella cronaca, ed anche perché essa termina con la descrizione dell’ingresso trionfale del sovrano in quella città». Reb è inoltre narrazione fededegna dei fatti, sicché non sorprende che «non solo abbia avuto diffusione in Sicilia, ma ancora nel continente, massime in Toscana, e ne son prova i varî manoscritti dal secolo XIV in poi, che ancora rimangono, ed in alcuni dei quali si alterava in parte il testo siciliano per rendere più comprensibili ai Toscani le memorie del portentoso avvenimento» (p. XCVIII)54. Anche Sicardi, che nello stesso anno edita per i R.I.S. l’opera siciliana accludendo in appendice i testi continentali, ritiene Reb testo “originale” e narrazione coeva dei fatti da parte di un messinese55. L’autore scriverebbe non per esaltare G. ma «per un suo fine morale, per trarre dal suo racconto una moralisacio, com’era costume degli scrittori del suo secolo» (p. LXXVII). Gli argomenti che nel suo prologo fluviale Sicardi accumula per dimostrare la sua tesi sono ora indimostrabili, ora speciosi, ora irrimediabilmente invecchiati. Scrive ad esempio Sicardi: «non si saprebbe indovinare a che fine un siciliano si sarebbe data la pena di far quella traduzione nel suo dialetto da un testo toscano, come se il toscano dovesse riuscire nell’isola incomprensibile, e non fosse, sin d’allora, la lingua generale d’Italia» (p. XLVII). Il che contrasta ovviamente con quanto sappiamo sull’attività volgarizzatrice in Sicilia non solo nel XIV, ma ancora in pieno XV secolo. lo dell’edizione di Sicardi e a sottolineare la concordanza di vedute tra le sue tesi e quelle espresse dall’editore nella sua «estesa ed importante introduzione». 54 Come testimonio della mutata temperie ideologica cito qui le parole finali di La Mantia (1917, CCXV): «L’amore alla Patria italiana ed alla Sicilia ed altresì l’intento di ricercare la storica verità mi sono stati guida continua [...] La Casa di Savoia, munifica sempre, segue con vigile sguardo quanto più rechi onore all’Italia, e l’inclito Re Vittorio Emanuele III, rinnovando gli esempî di sua stirpe, da più anni abbandonata la reggia, vive sul campo ad auspicare la nuova grandezza della nazione, che il Destino conservi nei secoli venturi unita dalle Alpi alle vaste regioni della Libia a testimoniare l’antica civiltà ed il moderno valore!». 55 L’idea della congiura ormai non fa scandalo, ora che la rivoluzione è compiuta: «e anche questa volta, non senza congiure e accordi diplomatici, e non senza l’aiuto di un’altra testa coronata, che non veniva questa volta, la Dio grazia, nè di Spagna nè d’altronde, ma era un italiano d’intelletto e di cuore, e portava un nome augurale, quello di Vittorio: era Vittorio Emanuele II, che il novello popolo redento chiamò subito concorde, con aperto segno d’animo grato, il Re Galantuomo» Sicardi 1917, CLI).


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Ancora: nel § 52.1 di Reb si legge che i messinesi scelsero trenta uomini «li quali divissiru pinzari lu modu p(er) putirini acco(r)dari cu(m) lu re Carlu». Secondo Sicardi l’uso di putirini ‘poterci’ anziché putirisi ‘potersi’ sarebbe una prova del fatto che il testo è opera di un messinese presente agli eventi: «è chiaro che l’autore, sottostando anch’egli al pericolo minacciato dal papa alla città, si è qui lasciato sfuggire, forse impensatamente, per moto improvviso naturalissimo dell’animo suo, quel pronome personale» (p. XLIX). Si tratta in realtà solo di uno dei numerosi casi di confusione di discorso diretto e indiretto, fenomeno frequente nel nostro testo (cfr. Barbato 2009, 193-195)56. Infine Sicardi, ribattendo spesso ad Avolio e a Palma, elenca una serie di passi che proverebbero che Reb conserva la lezione originaria (p. LIVss.): questi passi mostrano eventualmente solo che Reb conserva in alcuni casi la lezione migliore, ma non che carattere linguistico aveva l’archetipo. Poco fondate sono poi le ipotesi sulla datazione (LXXIVss.) e sui rapporti tra i testimoni (LXXXVII)57. È evidente che la risposta al problema dei rapporti tra i nostri testi era viziata da un pregiudizio ideologico. Chi, come Amari, vedeva nella leggenda un apocrifo tardo volto a mistificare il carattere popolare della rivolta siciliana, considerava il testo toscano come quello originario; chi invece, come Sicardi, vi vedeva un resoconto contemporaneo e fedele del Vespro, considerava il testo siciliano come quello “autentico”58. A tal fine si difendeva ora Reb ora Leg come portatore della lezione originaria, dimenticando il fatto che la presenza di una buona lezione non implica automaticamente autenticità e tralasciando la possibilità che le lezioni buone potessero essere variamente distribuite nella tradizione. Chi sfuggiva a questo vizio logico59 rischiava di cadere vittima di 56 Ancora meno probante l’uso, parlando dei fatti di Messina, di avverbi o pro-

nomi (‘qui’, ‘questo’) che indicano prossimità con l’enunciatore (L-LI): si tratta di normali fenomeni di deissi testuale. 57 L’idea fantasiosa che la versione toscana contenuta nel volgarizzamento del Trésor sia di Brunetto in persona è stata ripresa più recentemente da Bolton Holloway (1993, 117ss.), la quale d’altra parte ipotizza che l’autore del Rebellamentu sia lo stesso Giovanni da Procida. 58 La rivendicazione dell’anteriorità di Reb in Di Giovanni, Sicardi e La Mantia non è neanche esente forse da tinte campanilistiche. 59 Come Hartwig (1870, 241): «Scheint es mir nach diesen und ähnlichen Beispielen zweifellos zu sein, daß der Cod. Mod. [= Leg] einzelne bessere Lesarten


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un altro pregiudizio, quello di una separazione stagna tra le fonti fidedigne, da una parte, e i falsi o apocrifi, dall’altra. Di qui deriva da un lato l’idea – presente in Palma, Cartellieri, Hartwig e nel primo Amari – che i nostri testi siano una fioritura romanzesca su Villani; dall’altro lato la convinzione – espressa da Di Giovanni, La Mantia e Sicardi – che il Rebellamentu, in quanto narrazione coeva del Vespro, non può che dire tutta la verità60. Lentamente la critica storica, oltre a superare quest’astratta dicotomia61, è giunta a una sintesi che pur riconoscendo l’esistenza di una cospirazione rifiuta i particolari più fantasiosi della leggenda (cfr. § 5). Tuttavia, se si è abbandonata l’idea che il Rebellamentu sia un resoconto fedele del Vespro, raramente si è messo in dubbio che esso costituisca la fonte delle altre versioni. Si può dire insomma che la questione filologica è rimasta bloccata sulle posizioni di Sicardi. A Sicardi fa eco Bertoni (1939, 395), quando definisce il Rebellamentu «preziosissima cronichetta del sec. XIII in volgare di Sicilia», il cui «autore non è un apologista di Giovanni da Procida, ma scrive per far conoscere gli avvenimenti e per trarre da essi una “moralizzazione”». Addirittura Carmelina Naselli (1935, 21ss.) si serve della testimonianza di Reb, «testo coevo al Vespro, com’è ormai dimostrato», per proporre una datazione alla stessa epoca di un altro testo siciliano antico, la Quaedam profetia. Anche Duprè Theseider (1954, 34), in accordo con La Mantia e

hat, als der Cod. Sp. [= Reb], so folgt daraus aber keineswegs, daß die Fassung der Erzählung, wie sie jener bringt, älter sei als die vom Cod. Sp. aufbewahrte». 60 Queste due linee sono riprese, a livello manualistico, da un lato da Balzani (1909, 238n.) che scrive: «né tengo parola del Rebellamentu de [sic] Sichilia, una specie di romanzo storico, come lo chiama l’Amari, dettato in siciliano e che mi par dimostrato non essere contemporaneo del Vespro»; dall’altro da Egidi (1922, 38) che cita la discussione intorno all’autenticità delle Cronache del Vespro, «conclusa, pareva, con sentenza di falsità, che oggi il Siccardi [sic] impugna con ragionamenti ed osservazioni sottili, se non pienamente convincenti». 61 Cfr. già Sanesi (1890, 511): «Quand’anche fosse dimostrato che, o uno dei tre racconti anonimi, o il testo primitivo da cui tutt’e tre derivarono, fu composto da persona contemporanea ai fatti del 1282, che cosa potremmo concludere? Forse, che la congiura sarebbe da accettarsi ad occhi chiusi perché forma il centro di tutto questo racconto contemporaneo?». L’eccesso opposto è censurato da Duprè Theseider (1954, 43) che ritiene che Reb, nonostante gli aspetti favolosi, sia degno «di nota e di fede»: «non sarebbe la prima volta che una fonte storica, rivelatasi inattendibile per qualche suo aspetto, conservi pieno valore di veridica testimonianza per altri suoi lati».


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Sicardi, ritiene Reb opera «redatta da un messinese, poco dopo i fatti del 1282». La ricostruzione di Sicardi è sottesa anche allo studio del 1950 di Del Monte, che sostiene l’autenticità di Malispini citando passi di Tes, Leg, Lib e Reb62. L’anteriorità del Rebellamentu non è messa in dubbio neanche da Geanakoplos (1959, 380), che pur sottolinea le contraddizioni del testo e conclude per un «falso redatto in epoca successiva in chiave pro-siciliana». In tempi più vicini spicca per indipendenza di vedute la posizione di Ferraù (1980, 670) che, sottolineato il carattere esemplare di Reb e auspicata una nuova edizione che faccia luce sulla questione, inclina a collocare il testo nella seconda metà del Trecento63. La ricostruzione di Sicardi è accettata invece in toto da Barbero (1983), secondo il quale Leg e Lib «tentano di modificare l’impostazione antiangioina [di Reb] semplicemente premettendovi un prologo in cui si attacca violentemente il protagonista» (p. 42); in Reb «l’interesse romanzesco prevale nettamente su quello politico»; l’opera ha un punto di vista sobriamente filosiciliano ma manca la volontà di mettere l’avversario in cattiva luce (di Carlo si citano anche aspetti positivi); l’obiettivo dell’autore è di narrare grandi fatti «salvo poi trasformarli in ‘exemplum’ morale, col frettoloso ammonimento finale ai principi troppo fidenti nella propria potenza. L’assenza di una chiara motivazione politica spiega come mai scrittori guelfi abbiano potuto utilizzare e tradurre il Ribellamentu» (p. 108). In una recente storia della letteratura italiana, la ricostruzione di Sicardi incontra lo scetticismo di Porta (1995, 194) ma l’adesione di D’Agostino (1995, 591), che parla di Reb come della «prima cronica dei Vespri siciliani [...] scritta con fine morale e in uno stile vivace e saporoso». Anche il recentissimo Cingolani (2006, 149 n. 157, 351ss.) crede con Sicardi che il Rebellamentu sia nato in ambienti siciliani antiangioini e poi si sia trasmesso al continente.

62

Cfr. in part. pp. 230, 233 e 236. Lo stesso Del Monte, riproducendo in un’antologia alcuni capitoli dell’ed. Sicardi, dice la cronaca «probabilmente composta da un anonimo messinese» con un fine morale: «dimostrare come il principe non debba far alcun torto ai suoi vassalli ma operare con perfetta giustizia» (in Vitale 1965, 430). 63 Per l’acuta lettura di Ferraù vedi anche oltre, § 9.


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8. RAPPORTI TRA LE VERSIONI Il problema dei rapporti tra le versioni e della fisionomia della loro fonte comune ha due aspetti, uno filologico e uno linguistico, che sono legati ma vanno tenuti metodologicamente distinti. Da una parte si tratta si ricostruire attraverso il confronto delle versioni la lezione – la materia – del testo originario, dall’altra di individuare attraverso spie linguistiche la sua forma, la varietà linguistica in cui è stato scritto. Nel dibattito sul nostro testo, che non si è potuto giovare – per motivi cronologici o per incompetenza degli antagonisti – di un maturo metodo filologico, questi due aspetti sono stati confusi e al problema dell’origine è stata data una risposta ideologica. Sgombrando il campo da ogni pregiudizio, occorre innanzitutto, sulla base degli errori significativi, individuare quali sono i rapporti genealogici tra le diverse versioni64. Alcuni casi mostrano una sofferenza di tutta la tradizione:

12.1

32.6

64

Leg

Tes

Lib

Reb

a quel te(m)po che ssi ordinerà p(er) li signori, e di que’ signori sarrete molto allegri Che magior força fu quella dello imperadore Federigo che non è quella del re K(arlo), sì vui teneste mentre che voleste stare insieme ad uno

a quello tempo k’è ordinato p(er) li sengnori d(e)’ quali sarete molto allegri ke maggiore forza fue quella d(e)llo ’nperadore Federigho che non è quella d(e)r Carlo, se voi teste mentre che voleste stare insieme ad una

ze po k’è ordinato p(er) li segno(r)e, di quel sig(n)ore sereti m(u)lti (con)te(n)ti (et) alegre Che mayore força fue q(ue)la d(e)l’i(m)p(er)adore Fred(e)rico ke no sarebe q(ue)la d(e)lo re Carlo, se vo’ tineste ad una m(en)tre ke voleste istare i(n)sieme ad una

a quillu tempu lu quali esti ordinatu p(er) li signuri di lu quali vui tucti se(r)riti allegri imperò ki majur forza fu quilla di lu inperaturi Fidericu ch(i) quilla di lu re Ca(r)lu et sì <vui tinistivu> fina ki vui <vulistivu> essiri liali e boni

Per quanto riguarda Leg, il codice estense è corretto se possibile dei suoi errori grazie al frammento magliabechiano. L’edizione di Reb è basata sul mano-


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56.1

Mess(ere) lo re di Raona, molto vi disideremo i vostri fedeli di Messina che vengnate alla te(r)ra e cche facciate levare lo re K(arlo) loro da dosso, c’altro socorso non actendono che ’l vostro

Mess(er) lo re di Ragona molto vi si disideramo divere li v(ost)ri fedeli di Messina che vengniate p(er) la terra, che ci faciate levare d’issò i-rre Carlo, che altro socorso non atendono d’avere che voi

Mess(er) lo re di Ragona, m(u)lto vi d(e)sid(e)ra gli vostri fid(e)li di Messina che vegnate ala t(er)ra e che faciate levare lo re Ca(r)lo loro da dosso, che altro secorso non ate(n)dono che lo v(ost)ro

71.2

et credectero avere colto il re K(arlo) di là o vero in mare

e credett[o]no bene avere colto i-rre Carlo o di làe in terra od in mare

E credetero bene avere tolto lo re Carlo di là ov’era i(n) mare

Sig(n)uri re, multu vi †disiyamu† li <vostri> fidili di Sichilia, et mandanuvi p(re)gandu ch(i) vui vegnati p(er) la te(r)ra di Sichilia e ki fazati livari lu campu a lu re Carlu et lu sou osti; ch(i) altru recuperu no(n) aspictamu si no(n) lu vostru cridendu putiri prindiri lu re Carlu in mari

Si individuano una serie di errori comuni a Leg, Tes, Lib65: 7.1

Leg Mess(ere) Pallialoco, mecteriste tu neente chi ti levasse di dosso questo furore e questa morte?

Tes Mess(er) lo Palglialoco, metterestevi voi mente ki vi levasse di dosso q(ue)sto furore e questa morte?

Lib Meser Palioloco, met(r)iste nie(n)te ki te levase d(e) dosso questo furor?

Reb Or cui ti liv[as]si di supra tuctu quistu fururi (et) quista mo(r)ti (et) affannu, miritirissilu tu di alcuna cosa?

scritto S (le correzioni apportate sulla base degli altri manoscritti sono tra parentesi aguzze). Per la spiegazione dettagliata dei casi citati si veda il Commento. 65 Per gli errori di Reb si rimanda all’edizione del testo siciliano (Barbato 2010e).


41

INTRODUZIONE

11.5

ch’i’ò ordinato di fare p(er) li nostri amici

quello

19.2

sia facto ciò che vuoli se (m)mi mostre lectere acq(ui)stare ciò che ctu di’ El frate Iacopo quando udì questo fu partito dal re di Raona e venne in corte dinançi al pap(a) e uno giorno venne a ddire l’ambasciata al pap(a) che vi era p(re)sente il re K(arlo). E ’l frate disse a mess(ere) lo pap(a) quello che llo re di Rao(n)a gli avea risposto

sia fatto ciò ke vuoli lettere

23.2

50.2

I Franceschi vedendoli usciro p(er) força loro adosso

(con)trastare a cciò che tu di’ Lo frate Giacopo quando udio questo fue partito da-rre di Ragona e da più parlare e andonne dinazi al p(a)p(a) ke v’era presente ke v’era i-rre Karlo e i· p(a)p(a). Un giorno venne e disse l’abasciata il frate Giacopo a mess(er) lo p(a)p(a) tutto quello ke i-rre avea detto ke i-rre di Ragona avea detto e risposto franceschi vedendolgli usciro fuori p(er) forza loro adosso

67.6

saectia

saettia

42.1

q(ue)llo che ordina(r)o d(e) fare p(er) li n(ost)ri amici sia fato zò che volge si m’è mostrato le let(r)e (con)trastare a zò che tu dici Il frate Iacopo qua(n)do odio q(ue)sto fue pa(r)tita dal re di Ragona e ve(n)ne i(n) corte al pap(a) (et) uno giorno ve(n)ne a ridire la ambagissata al pap(a) che vi era p(re)se(n)te lo re Ca(r)lo. E llo frate disse a mess(er) lo pap(a) q(ue)llo ke lo re d(e) Ragona avea risposto

quillu ki è ordinatu p(er) li vost(r)i amichi

E’ fra(n)cieschi vedd(e)ndogli ussioro p(er) fo(r)za loro adosso saecta

et quandu li francisch(i) li vidiru, sì <li> fireru adossu

sia factu zò ch(i) plachi a vui senza n(ost)ri l(ict)ri contrastari cum ip(s)u Quandu frati Jacupu appi richiputa la risposta di lu re di Aragona, si pa(r)tiu e chicau a Mu(n)tiflascu ni, et illocu trovau [l]u signuri sanctu papa et lu re Ca(r)lu <et contau tucta la sua inbaxata a lu papa in presencia di lu re Carlu>

spiya


42

MARCELLO BARBATO

Si aggiungano le seguenti omissioni (la prima dovuta forse a un saut du même au même): 10.1 -2

58.1

Leg Fu fatto il sacrame(n)to e partìsi. E questa sie la mia pa(r)tita

Tes E così fue lo saramento e partissi da più parole. E questa sia la mia partita

E lo re venne (e) mosse d’Anchole e fue aportato a Trapoli co(n) mess(ere) Palmieri Abati e colli altri baroni

E i· re di Ragona fue aportato al porto di Trapoli co· mess(er) Palmieri Abati e colgli altri baro(n)i

Lib Et i(n)(con)tene(n)te fo fato il sacramento e sagelate le letre e partirousi en questa serà la mia pa(r)tia

Reb Intandu lu imperaduri fichi sacramentu a (m)miss(er) Johanni (et) <partisi> di intru quilla ca(m)mara. Di ch(i) misser Johanni dissi a lu imperaduri: «Signuri, eu mi voglu partiri di vui in quistu modu...» Incontinenti Venne e lu re di movosso d’Ancolle e fue Aragona si pa(r)tiu aportato i(n) d’Alcoy et Trapoli (con) vi(n)nisindi in mess(er) Sichilia. Et Palme(r)i Abbati e (con) incontinenti sì fu davanti di gi altri baroni misser Palmeri Abati et li alt(r)i baruni di Sichilia

Diversi sono gli errori, più o meno evidenti, comuni a Leg e Lib: 18.3 18.4

Leg io farò torre [rimetterà] voi in vostro luogo

Tes io gli faroe torre rimetterae noi in nostro luogo

Lib eo farò tore remete(rà) voi e lli vost(r)i amici i(n) cassa

Reb eu li fa(r)rò livari rimictirà a tucti nui in n(ost)ru locu


INTRODUZIONE

20.2

a singnoregiare

22.2

no(n) v’intendesti mai po’ esso a vendicare

25.1

Or t’apperecchia celatame(n)te alla mia tornata valicò co(n)ciduto

26.3 27.2

a ssengnoreggiare lo paese non volesti mai venire p(er) esso, né vendicare

a seg(n)orezay

Ora t’aparechia celatamente di qui alla mia tornata

Ora t’aparegla celatam(en)te ala mia to(r)nata

cavalcò conceduto la sengnoria

vano (con)cieduto

no(n) volisti may veni(r)e p(er) es(er)one ve(n)dicate

27.3

ond’elli vi manda a dire ch(e) voi tengnate celato il facto di qui alla mia tornata

onde vi manda pregando ke tengniate celata il fatto di qui alla mia tornata e ’l mio ordinamento c’ò ’n pensato

und(e) vi ma(n)da a dire che tegnate cielato el fato d(e) q(ui) a mia tornata e dal mio ordine (com)pe(n)saro

29.1

Ma voi el potete melglio actare ch’uomo nato

tale cosa ài fatto che mai no lla poteo fare uomo nato di carne

che no lo feci anche ad homo nato

31.3

se nnon che ssi pur riconforte e presentò lo re

se non che prese conforto di sé medesimo E p(re)setoe l’oro

se no che si pute reco(n)forto E p(re)sentò lor let(r)e

35.4

43

a ssig(n)uriari ... la ysula di Sichilia jamai no(n) vulistivu viniri ad recup(er)ar[i] la vostra raxuni Ora <ti> apparicha chilatamenti di ’zà a la mia tornata cavalcau conchessu e datu la signuria undi vi manda a diri: tiniti chilatu lu factu p(er)fina a la mia to(r)nata, †ki cum quilli ordini ordinatamenti ki eu aju a ffari† ch(i) tu ay factu cosa ch(i) homu di lu mundu no(n) lu aviria potutu fari Ma ip(s)u in sì midesmi prisi confortu et poi li prisintau la munita


44

MARCELLO BARBATO

39.2

-

42.3 46.2 46.5

buna malle novelle dirai a’ ciciliani

come lo re di Ragona fae una grande armata di nave e di galee e dice ke vole andare sopra saracini; onde l’uomo è un gran becchone ed uomo co∙ molto ardire, onde mandiamogli buona male novelle dicha a’ ciciliani

-

comu lu re di Aragona fa grandi armata di mari e no(n) voli diri undi voli andari. Illu esti un gran folluni, inp(er)zò vi pregu ch(i) vui li mandati

buna malle novelle diray a’ ciciliani

mali novelli di(r)rà... a li sichiliani

Grazie all’accordo di Tes e Reb si possono interpretare come innovazioni comuni a Leg e Lib alcuni casi adiafori:

1.3

2.3

Leg strugere (e) menare il dicto passagio al neente et come potesse uccidere il dicto re Karlo (e) come potesse rubellare il Regno tucto

Tes istu(r)bare e menare a fine di neente ciò che llo re Carlo avea pe(n)sato di fare e come potesse rubellare la Cicilia

mia vita

mia vintura (e) mia vita

Lib d(e)strure e mena(r)e il pasage ch’avea lo re Ca(r)lo ordinà sovera lo Palioloco a niente, e como potesse cade(re) e d(e)stru(r)e e mena(r)e a mo(r)te lo re Ca(r)lo, e cho’ se potesse rebella(r)e il Reg(n)o di Cicilia tuto mia vita

Reb sturbari l’andata la qual[i] fachia lu re Carlu contra lu Plagalogu et comu putissi [fari] distrudiri et muriri lu re Carlu [et ribellari Sichilia] (et) auchidiri tucta sua genti

mia vintura


45

INTRODUZIONE

13.4

-

ciascuno di loro suggello

-

19.1

se voi vi vorrete intendere socto pena della terra

se voi volete concedere

se voy voleti (con)tendere

p(er) la mano sotto pena della terra che [cene]

suto pena d(e)la t(er)a

l’ofensa n(ost)ra e de’ n(ost)ri filgliuoli e dissoro a grandi boci

l’ofessa che li nostri fecioro

33.2 39.3

52.4

l’offense che’ nostri fecero

53.4

E quivi dissero

E quegli dissero

chasquidunu cum loru sigilli si vui lu voliti consentiri p(er) la manu sucta la pena di la te(r)ra ch(i) teni di vui la offisa ch(i) nui avimu facta et li nostri figloli Et lu populu rispusi tucti ad una vuchi

Come si mostra nel Commento, è apparente l’accordo in errore di Leg e Tes:

17.6

Leg

Tes

Lib

Reb

voi voleste piatire co(n) lui e col suo lingnagio et voleste dare vostra fe(m)mina al nepote

piatire voleste vostra nipote al suo lengniaggio

volisti parentae co luy e volisti da(r)e al nepoti soy vost(r)a nepota

vui vulistivu apparintari cu(m) ip(s)u et donavivuchi una fi(m)mina di vostru lingnaju

Saranno casuali infine le coincidenze, a volte parziali, in errore di Tes e Lib:

2.4

Leg diteli siccome io sono di grande ess(ere)

Tes ch’io sia di molto grande essere

Lib d(e) gra(n)d(e) ess(er)e

Reb e dichiti comu eu su d’assai et grandi


46 20.2

MARCELLO BARBATO

a ssengnoreggiare lo paese p(er) voi

a seg(n)orezay p(er) voi

a ssig(n)uriari p(er) nui la ysula di Sichilia

Leg

Tes

Lib

Reb

il modo di questo facto no(n) posso dire di quili alla mia tornata com’io ordinerò co’ ciciliani e col pap(a) e col Pallialoco ond’elli devrà venire sopra te siccome legitimo singnori

lo modo di q(ue)sto f(act)o no ’l ti posso dire di qui alla mia tornata com’è ordinato co’ ciciliani e col p(a)p(a) e col Pangnialoco con che dovea venire sop(ra) te sì come legiptimo singnore

di q(ue)sto fato no vi posso dire nulla d(e) q(ui) ala mia tornata como ò ordinato coli ciciliani e col pap(a) e col Palioloco colo q(u)alo d(e)vea venire sop(ra) a tee sì come legiptimo seg(n)ore

... imperò ki ip(s)u avia ad ordinari cu(m) lu Plagalogu et cum li sichiliani et cum lu s(anct)u Patri

a singnoregiare p(er) noi

e di Leg e Reb:

26.2

28.5

49.3

li quali divinu viniri supra di ti sì comu legitimi signuri

Occorre anche chiedersi quale sia la posizione di Villani e quale, di conseguenza, il contributo della tradizione indiretta alla ricostruzione del testo originario. Per quello che consente il confronto tra le versioni, possiamo dire che Villani non condivide nessun errore di Reb e solo un errore dei testi continentali:

49.2

Leg

Tes

Lib

Reb

Rocca Maiore

Rocchamaiore

Rochamaiora

Rocca Amaduri

Basterà questo per ricostruire un subarchetipo comune a Villani, da una parte, e ai testi continentali, dall’altra? Non si tratterà piuttosto di un errore di archetipo che Reb avrà corretto grazie alla sua conoscenza delle cose siciliane (vedi subito sotto)?


INTRODUZIONE

47

Considereremo dunque Villani come l’unico rappresentante di un ramo autonomo perduto della tradizione. In caso di adiaforia, di conseguenza, la concordanza con la cronaca fiorentina darà automaticamente la lezione originaria, ora a favore del testo siciliano66: Leg il re K(arlo) fu mosso di Brandizia con oste p(er) mare et p(er) terra

Tes il re Carlo si mosse di Bradiza con oste di mare e di terra

Lib lo re Ca(r)lo fu mosso di Bra(n)ditia con oste di mare

49.6

e stectero quatro giorni in questa co(n)teçione o difendere o di perire

51.1

siccome corrompitori di pace e ddi cristianità e ucciditori e spanditori de’ sangui de’ nostri fratelli

e stettoro XL giorni in questa condictione o di perire o di difendersi al postutto sì come corroppitori di pace e di cristinitade, ucciditori e spanditori di sangue de’ n(ost)ri fedeli

e stetero IIIt(r)o giorni i(n) questa (con)ditione: o d’avere miss(er)icordi a o di p(er)ire sì come coru(m)pito(r)i d(e) pacie e di (cristi)anitate et ulcidito(r)i e spandito(r)i d(e) sa(n)ge di nostri fid(e)li

49.1

66

Reb lu re Ca(r)lu si pa(r)tiu di Brandizi cum grandi hosti di mari, et p(er) te(r)ra vi(n)niru67 et stectiru quat(r)u jo(r)ni in consiglu, oy difendirisi oy rendirisi p(er) morti68 sì comu e co(r)ru(m)pituri di pachi, di cristiani alchidituri et isbandituri di lu sangu di li n(ost)ri fidili69

Che Villani fosse in alcuni casi piu vicino a Reb che ai testi continentali era già stato notato dal Hartwig (1970, 248ss.). 67 Villani «Lo re Carlo ordinata sua oste a Napoli per andare in Cicilia, tutta sua cavalleria e gente a piè mandò per terra in Calavra alla Catona incontra a Messina, il Faro in mezzo, e lo re n’andò a Brandizio, ov’era in concio il suo navilio». 68 Villani «e per IIII dì istettono in contesa tra·lloro d’arrendersi o di difendersi con grande paura». 69 Villani «siccome corrompitori di pace, e de’ Cristiani ucciditori, e spargitori del sangue de’ nostri fratelli».


48

MARCELLO BARBATO

67.5

Incontanente fue la dicta spia a llui e disse(r)li come l’armata del re di Raona veni’ verso il Fare e come doveva pilgliare e ardere tucti legni del re K(arlo)

70.2

date alla terra et intrate dentro alla terra

In(con)tanente fue a mess(er) Arringhino e dissegli co’ mess(er) Rugieri di Loria amiraralglio de-rre di Ragona venia isforzatamente p(er) lo Fare di Messina e come dovea pilgliare tutti le(n)gni de-rre Carlo andate alla t(er)ra e intrate dentro della t(er)ra

In(con)tane(n)te fue a mess(er) Arichino e disse come la armata delo re de Ragona venia v(er)so lo Fare di Messina e d(e)vea cremare tuti y legni

et incontine(n)ti si pa(r)tiu di Palermu et vi(n)ni all’osti et dissi a lu sou a(m)miragla tucta la vinuta <di l’armata> di misser Rugeri di Lauria70

date ala t(er)ra e trarette dentro ala t(er)ra

sì <curririti> infra loru, et firendu intrati in Missina71

Lib Ay perfidi crud(e)li di l’isola di Cicilia

Reb A li p(er)fidi judei [di l’]isula di Sichilia72

volonomi toglere la sig(n)oria e volono k’io tegna l’uso d(e)lo re Guielmo

Ip(s)i no(n) mi liviranu la mia sig(n)uria, anti adimandanu la signuria antica di lu re Guill(elm)u73

ora a favore dei testi continentali: 51.1

53.1

Leg [A’] perfidi crudeli dell’isola di Cicilia volgla·me torre la singnoria (e) volgliono ch’io tengna l’uço del re Guilglielmo

Tes A’ perfidi e crudeli ho(min)i dell’isola di Cicilia vogliomi torre la sengnoria e volgliono ch’io tengna l’uso de-rre Guillemo

70 Villani «e incontanente con una saettia armata venne a Messina, e anunziò al detto amiraglio la venuta dell’armata del re d’Araona». 71 Villani «venissono loro adosso e entrassono nella terra». 72 Villani «A’ perfidi e crudeli dell’isola di Cicilia». 73 Villani «voglionne torre la signoria».


49

INTRODUZIONE

62.2

cavalca p(er) Dio p(er) la via di Missina infino a L milglia

65.3

il conte di Bertangna

p(er) Dio cavalca tosto p(er) la via di Messina infino a cinquanta milglia il (con)te di Brettangna

p(er) Dio cavalca p(er) la via di Messina i(n)fin’a migla

cavalcati p(er)fina a (m)Milazu, lu quali esti app(re)su Missina74

lo conte di Bretagna

lu co(n)ti di <Brinda>75

Insomma, i rapporti tra le versioni si possono schematizzare nel quadro seguente: x

y Villani Tesoro

Rebellamentu

z z’

Leggenda Liber Dalla fonte comune derivano indipendentemente Reb, Villani e l’archetipo dei testi continentali y. Tra il subarchetipo z e Lib possiamo collocare un interposito z’: le aggiunte peculiari di Lib, infatti, non si possono attribuire al copista settentrionale del manoscritto vaticano, perché la loro lingua presenta lo stesso fondo toscano del resto del manoscritto. Dunque tra z e Lib è esistito (almeno) un altro manoscritto toscano76. 74 Villani «e pareali che ’l re Piero con tutta sua gente cavalcasse verso Messina pressovi a L miglia». 75 Villani «conte di Brettagna». 76 Per la possibile prova dell’esistenza di un interposito anche tra y e Tes cfr. Nota ai testi, § 2.3.


50

MARCELLO BARBATO

Il prologo – presente in Leg, Tes e Lib – si può far risalire con certezza fino a y; un’eco delle parole proemiali sembra risuonare però anche in Villani VIII 56: «Lasceremo alquanto de’ fatti di Firenze, e diremo d’altre novità ch’avennero in questi tempi, e spezialmente della rubellazione dell’isola di Cicilia al re Carlo, la quale fu notabile e grande, onde poi seguì molto male, e fu quasi cosa maravigliosa e impossibile, e però la tratteremo più distesamente» (Porta 1990-1991, I 501).

Ciò lascerebbe credere che il prologo risalga a x e sia stato soppresso da Reb. Reb di contro è l’unico testo che menziona l’oltraggio subito da G. come molla della vendetta. Va detto però che nel raccordo con la narrazione principale anche Tes raccoglie una tradizione simile; prima accenna all’orgoglio di Carlo, ai gravami imposti da lui ai siciliani per la preparazione della spedizione in Oriente, alle angherie dei francesi sui siciliani e sulle loro donne, e poi scrive (17vb): «E sì come piacque alla divi(n)a provedenza, k’è madre di tutta provedenza (e) giustitia, I valente ho(mo) del reame di Cecilia, il quale i· re Carlo avea fatto e sua familglia [sic] molto onta e danagio ed era suo rubello, il quale avea nome mess(er) Gianni di Proccita medico e cha(valiere) dello ’mperadore Federigho di Soave, sì provide i(n) suo cuore di q(ue)ste cose menare a nie(n)te ke re Carlo avea inpreso, di recarle a nie(n)te in tal maniera ke suo intendimento verrebbe in tutto fallito».

L’idea dell’oltraggio è poi anche in Villani VIII 57: «che’ Franceschi teneano i Ciciliani e’ Pugliesi per peggio che servi, isforzando e villaneggiando le loro donne e figlie; per la qual cosa molta di buona gente del Regno di Cicilia s’erano partiti e rubellati, intra’ quali fu per la suddetta cagione di sua mogliera e figlia a·llui tolte, e morto il figliuolo che·lle difendea, uno savio e ingegnoso cavaliere e signore stato dell’isola di Procita, il qual si chiamava messer Gianni di Procita» (Porta 19901991, I 502).

È probabile dunque che questo elemento fosse presente in qualche modo nella leggenda. Quanto ai numerosi dettagli presenti nel solo Reb (cfr. § 5), verrebbe naturale credere che si tratti di particolari presenti in x e tralasciati dalla tradizione continentale. Tuttavia un esame più attento potrebbe portare a una conclusione diversa. Secondo Amari (1876,


INTRODUZIONE

51

LXXXVI), Reb «si tradisce talvolta per troppo studio di mettere nomi e particolari» e non si accorge che con la presunzione della esattezza storica non fa che «svela[re] sempre più il romanzo». Amari (II, 202) aggiunge che «tutti questi particolari non si possono supporre mancanti in L e l [= Lib e Leg ] per trascuranza, sbaglio, o capriccio. Però è da conchiudere che l’autore di R [= Reb] li abbia aggiunti, come meglio informato ch’egli era delle cose di Sicilia e di Aragona e bramoso di parer meglio informato di ciascun altro».

9. IL CARATTERE IDEOLOGICO DEL TESTO ORIGINARIO Dal punto di vista politico, il testo ricostruibile dal confronto delle versioni appare a prima vista piuttosto neutrale: esso mette in luce da una parte l’insipienza di Carlo, dall’altra la furbizia se non la slealtà di Pietro, in generale le debolezze dei potenti. Alcuni elementi sembrano però escludere un’origine aragonese della leggenda. Come scrive Pispisa (1988, 71): «I primi storici siciliano-aragonesi [...] non hanno coscienza [...] che dopo il Vespro è anacronistico parlare ancora della Sicilia e del continente come di un organismo politico unico»; «leggendo le pagine del Desclot, del Muntaner e di Bartolomeo di Neocastro, si cercherebbe invano una distinzione tra l’isola e la terra al di qua del Faro: se tale distinzione, infatti, fosse stata presa in considerazione da questi scrittori, avrebbe messo in crisi tutta l’impalcatura delle loro cronache ed avrebbe fatto fallire lo sforzo di far accettare alle coscienze contemporanee l’inoppugnabile diritto degli Aragona alla corona che era stata dello sfortunato quanto nobile Manfredi».

Invece nei nostri testi – e in Reb, forse per motivi cronologici, ancor più che nei testi continentali – è chiara la consapevolezza della ormai irreparabile separazione:

17.8 18.3

Leg per tucta Cicilia

Tes p(er) tutta la Cicilia

Lib p(er) tuta Çicilia

la Cicilia e ’l Regno tucto

la Cicilia e ’l Rengno tutto

la Cicilia e ’l Regno

Reb p(er) tucta Sichilia et lu Regnu Sichilia [et lu] Regnu


52

MARCELLO BARBATO

46.4

Vae nel Regno... e passia di llà

Vanne in Pulglia... e passa di làe

Va en le Reg(n)o.... e passa di là

67.9

sicché ’l mercato ti vengna del Regno e de nostre terre

sì che il mercato ti vengna del Rengno delle n(ost)re terre

sì che ’l mercato ci vegna di n(ost)ra t(er)ra

Vatindi a lu Regnu… et passa in Sichilia sì ki zò ki vi bisogna vi vegna di te(r)ra di li nostri cuntrati

Si noti inoltre che, come osserva Ferraù (1980, 670), «il Rebellamentu non partecipa del fervido clima delle cronache del Vespro e nessun rilievo è dato a quella “voluntas siculorum” che è il momento caratterizzante della più genuina tradizione indigena». «Tra l’altro il Rebellamentu sarebbe l’unico esempio in Sicilia di storiografia in certo qual modo “baronale” dal momento che in essa agiscono come forze autonome, e non in posizione negativa, anche se subordinati a Giovanni di Procida, un gruppo di baroni che in fondo si configurano come i veri iniziatori del moto del Vespro» (n. 53 a p. 676).

Non mancano neanche argomenti positivi per sostenere l’origine angioina della leggenda. Innanzitutto essa riflette il tipo di informazione che si poteva avere da parte guelfa. La prima parte della storia, quella dedicata alle peregrinazioni di Giovanni di Procida – di cui tra l’altro si ignora la vera posizione –, è la più fantastica, mentre più aderente alla realtà appare la seconda parte, con l’ambasciata di Filippo, l’assedio di Messina e la ritirata di Carlo, elementi di cui si poteva venire a conoscenza più facilmente in ambienti angioini77. La leggenda sembra riflettere inoltre temi politici tipicamente guelfi. A livello macroscopico, il motivo stesso dell’opera, l’idea della congiura, è un tema portante della propaganda angioina (cfr. Cingolani 2006, cap. 12), che non si vede come potesse svilupparsi in ambiente filo-aragonese. Venendo a fatti particolari, non può che essere nata in ambienti filo-angioini l’accusa calunniosa a Pietro di aver usato i soldi del nipote, Filippo re di Francia, per preparare la spedizione contro lo zio, Carlo d’Angiò (§ 37)78. Secondo Amari (II, 77 Si noti poi come il testo mostri una conoscenza piuttosto precisa dell’itinerario di Carlo (cfr. Commento a 42.1 e 43.5). 78 Sulla base dei documenti aragonesi già lo storico cinquecentesco Zurita nei suoi Anales smentiva questa versione: «Pongo a la letra lo que en esta embajada se


INTRODUZIONE

53

200) anche l’accusa di corruzione a Niccolò è «pretta calunnia guelfa, messa in giro dopo il Vespro, quando gli Orsini praticarono con Pier d’Aragona». Un indizio più sottile potrebbe nascondersi nella narrazione del primo consiglio di Pietro con i siciliani (§§ 61 e 62). Qui prima si rappresenta l’aragonese preso dalla tentazione di fuggire davanti a Carlo, poi viene detto a chiare lettere che l’angioino non è un uomo che fugga per un nonnulla. La presenza di questi passi potrebbe essere stata motivata da un desiderio di replicare alla versione antiangioina, presente in Desclot e nel Chronicon siculum, secondo cui Carlo sarebbe fuggito da Messina senza neanche rispondere alla lettera di Pietro (cfr. Cingolani 2006, 421). Una replica che è un vero contrattacco, perché non solo si nega la fuga di Carlo, ma si ritorce anche contro Pietro d’Aragona l’accusa di viltà79. A ben vedere non sono ignoti altri casi di letteratura parastorica fiorita in ambiente guelfo intorno alla figura di Carlo. Il primo è la “novelletta” di Beatrice di Provenza, che – forgiata secondo Cingolani (2006, 226) a Roma o in Toscana e propagatasi nella storiografia italiana e catalana – narra che Carlo avrebbe accettato l’investitura di Sicilia davanti alle lacrime della moglie Beatrice di Provenza, offesa dalle sorelle che tutte potevano fregiarsi del titolo di regina. Un altro caso che, pur trattando avvenimenti più remoti, risulta forse ancora più calzante è quello della leggenda di Romeo di Villanova, nata secondo Cingolani (2006, 135 e n.) in ambienti guelfi – forse direttamente angioini – a cavallo tra XIII e XIV secolo e raccolta anche da Dante80. Anche questo racconto, che ha lo scopo di denunciare l’ingratitudine dei potenti, ha un chiaro carattere esplicó, porque notoriamente se entienda no ser cierto lo que historiadores franceses y algunos italianos antiguos y modernos escriben, que el rey de Francia ayudó al rey de Aragón para esta jornada y empresa con cierta suma de dinero, habiéndole sido por su parte dicho que iba contra los moros de Berbería, porque no intervino en ello más desta promesa» (IV 19 = II 71 dell’ed. mod.). Amari (I, 230; II, 204), che allega le testimonianze dell’Archivio di Francia, osserva che deve trattarsi di un’aggiunta della fonte guelfa tesa «a rendere più odiosa la simulazione di Pietro». 79 Per altri possibili indizi dell’origine guelfa della leggenda cfr. Commento a 32.6 e 52.3. 80 La leggenda narra come Romeo riesca a sposare tutte le figlie del buon conte di Provenza a dei re ma non ne riceva dal conte nessuna gratitudine. Cfr. Par. VI 133-135 «Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, / Ramondo Berlinghiere, e ciò li fece / Romeo, persona umìle e peregrina».


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MARCELLO BARBATO

esemplare. Qui inoltre Romeu de Vilanova, siniscalco ed esecutore testamentario di Raimondo V di Provenza, viene trasformato in un pellegrino, con una torsione paragonabile a quella subita nella nostra leggenda dalla figura storica di Giovanni di Procida. In conclusione sembra fuor di dubbio che x sia nato in ambiente guelfo (napoletano? romano? toscano? avignonese?). Le singole versioni avranno poi modificato leggermente, in senso guelfo o ghibellino, il carattere originario. Le già viste aggiunte del Liber (§§ 36.3, 44.2) sono chiaramente filo-angioine. Tes, in linea con l’impostazione dell’opera cornice (vd. oltre, § 12), cerca di capovolgere il prologo e trasformare in un elogio la condanna di Giovanni di Procida. Reb apporta delle modifiche in senso filo-aragonese: non menziona infatti l’esito negativo per i siciliani della prima scaramuccia a Palermo (44.4), né la paura di Pietro in Sicilia davanti all’esercito di Carlo (61.1)81; il testo siciliano di contro aggiunge un dialogo tra G. e papa Niccolò che si scambiano giudizi lusinghieri su Pietro (26.6-7)82, e un monito inascoltato di papa Martino a Carlo (42.3) che rafforza l’impressione negativa sulla condotta dell’angioino. 10. LA LINGUA DEL TESTO ORIGINARIO Nel dibattito critico il problema della lingua del testo originario è stato identificato con la questione se fosse prioritaria la versione siciliana o quella continentale. Di volta in volta si è cercato di rintracciare i passi in cui l’una o l’altra conservavano la lezione migliore, senza comprendere che questo procedimento permette semmai di ricostruire la materia del testo originario ma non la sua forma linguistica. Evidentemente a un problema linguistico non si può dare che una risposta linguistica, ma gli strumenti della moderna glottologia, al pari di quelli della filologia e per gli stessi motivi, non sono mai stati veramente applicati alla questione. È evidente che una prova certa della lingua di x si può avere solo in presenza di “errori di traduzione monodirezionali”, ossia di casi di fraintendimento che denunciano chiaramente la lingua del testo 81 L’omissione del prestito di Filippo a Pietro (37.4), se volontaria, è maldestra,

perché la menzione del prestito ritorna poco più tardi. 82 D’altra parte il topos del valore militare di Pietro è comune alla storiografia guelfa e ghibellina (Cingolani 2006, 296-298).


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INTRODUZIONE

di partenza. Purtroppo nei nostri testi, anche per la grande vicinanza delle varietà, errori evidenti di questo tipo non sembrano presenti. Tuttavia, con l’aiuto di uno strumento come il TLIO – che, informandoci sulla diffusione geografica delle voci, ci permette anche di fare ragionevoli ipotesi sull’area in cui una voce era ignota – i casi seguenti si possono interpretare, con un certo margine di dubbio, come errori di traduzione dal toscano al siciliano: Leg

Tes

Lib

Reb

onde priegovi che mmi acco(n)tiate col Pallialoco, che sse mi volesse a familgliare, volonteri dimorerei collui. Et priegovi che mmi accontiate (e) menateme dinançi da lui Io mi sono amesso alla Eccl(es)ia di Roma e al papa (e) a’ cardinali

Pregovi come m’amate che io sia p(er) voi s(er)vito e racomandato al Paglialoco semiglimi volesse p(er) famigliare, che volentieri dimorerei collui. Priegovi ke mi pongniate avanti lui io mi sono amesso alla Chiesa di Roma e al p(a)p(a) e a’ cardinali

p(er)ò vi p(re)go che mi a(con)tati col Palioloco. Se me volesse a famegla, volo(n)tera demorareve co lui. E p(re)gove che mi a(con)tate e metiteme ava(n)te lui

Undi eu vi pregu caramenti ch(i) vi placza di putirimi acconzari cum lu imperaduri (et) ki eu fussi di sua famigla; et pr[e]g[u]vi: micti[ti]mi multu innanti

Eu me sone tornato ala Giessa di Roma (et) al papa (et) ale ca(r)dinali

34.1

per rincorare li amici tuoi que’ di Cicilia

p(er) ancorare i n(ost)ri amici di Cicilia

p(er) rincora(r)e gli amici n(ost)ri d(e) Cicilia

53.2

salvo ch’io ne volglio di loro p(er) stadichi

salvo ch’io volglio di loro VIIIC istadichi

salvo che ne vglio di loro

ch(i) eu sì mi su misu in putiri di sa(n)cta Ecclesia di Ruma et di li cardinali atali ch(i) nui ni pozamu a(r)ricordari di li n(ost)ri amichi di Sichilia salvu ch(i) eu voglu ch(i) ip(s)i stayanu a (m)meu putiri

2.34

6.4

VIIIC

VIIIC


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MARCELLO BARBATO

Nel primo caso Reb sembra trasformare in ‘acconciare’ un originario accontare, ossia ‘rendere familiare’: in effetti il TLIO (s.v. accontare) dà solo esempi centro-settentrionali del verbo. Nel caso seguente Reb ha misu in putiri in luogo di ammettere ‘rivolgersi’ dei testi continentali: nel TLIO, s.v. ammettere (§ 2) non ci sono esempi siciliani. Nel terzo caso Reb sembra sostituire con ‘ricordare’ il verbo rincuorare, che, come risulta dal corpus del TLIO, è solo toscano83. Nell’ultimo caso pare che il traduttore non abbia inteso la forma stadichi ‘ostaggi’, che dal medesimo corpus risulta solo centro-settentrionale, trasformandola in stayanu ‘stiano’84. Un’altra via per cercare di rispondere alla nostra domanda è analizzare il tessuto linguistico delle versioni per vedere se non rivelino tracce di uno stadio linguistico anteriore. Ebbene, mentre le versioni continentali non mostrano alcun fondo siciliano (cfr. Nota linguistica)85, il testo siciliano potrebbe presentare alcune tracce di un archetipo toscano. In un’altra sede è stato sottoposto a spoglio il manoscritto S, che è il più antico e autorevole del Rebellamentu: se la fonetica e la morfologia del codice mostrano un carattere compattamente siciliano (cfr. Barbato 2007, 108), lo spoglio morfosintattico ha evidenziato alcune caratteristiche insolite – non tanto in termini di presenza/assenza quanto di frequenza relativa dei fenomeni – che ne intaccano la sicilianità (Barbato 2010c). Anche i dati di storia della tradizione concorrono a una localizzazione toscana di x. È evidente che lo stemma disegnato nel § 8 delinea anche la diffusione geografica, da un lato continentale, dall’altro siciliana, dell’opera. Ora, come si dimostra nella Nota linguistica e in Barbato (2010d), i testi continentali tutti presuppongono un antigrafo toscano o sono toscani senz’altro: Tes è toscano con patina occidentale e qualche carattere orientale; Leg è trasmes-

83 Già prima (32.8) l’incertezza del testo siciliano potrebbe essere stata prodotta dal rincorati del toscano; ma dopo (35.1), a rincorato corrisponde accertatamente incoraiatu. 84 I dati del TLIO sono confermati dal corpus Artesia che raccoglie un numero maggiore di testi siciliani antici: si rafforza dunque l’impressione che queste voci fossero assenti in Sicilia. Per un altro possibile errore di traduzione v. Barbato (2010e, XVIII). 85 I tratti meridionali del codice estense si possono infatti attribuire al copista campano; la frequente uscita -u del codice vaticano si può spiegare all’interno delle oscillazioni del vocalismo finale italiano settentrionale.


INTRODUZIONE

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so da una copia napoletana di un antigrafo lucchese e da un frammento fiorentino con tratti occidentali; Lib è copiato in Emilia da un antigrafo toscano occidentale in cui dovevano essere già presenti le aggiunte filoangioine, giacché la lingua di queste presenta lo stesso fondo del resto del manoscritto. Possiamo affermare dunque con sufficiente sicurezza che il carattere linguistico di z e di y è toscano. Più difficile stabilire a che varietà appartenga x: teoricamente potrebbe essere stato scritto in un qualsiasi volgare italiano, in pratica però i sospetti si concentrano sulla Toscana o sulla Sicilia. Ora, un testo filoangioino si immagina bene scritto in Toscana, o semmai a Roma e a Napoli, ma non in Sicilia. La storia insegna inoltre che la direzione normale della traduzione è quella che va dalla Toscana alla Sicilia e che il caso inverso, sebbene non del tutto ignoto, è certamente meno frequente (cfr. Bruni 1980). Del resto in quest’epoca la Toscana ha il monopolio quasi assoluto della prosa volgare, come mostra lo stesso D’Agostino (2001, 539ss.) che, pur credendo alla primazia del Rebellamentu, non può che definirlo un «fiore nel deserto» (p. 541). C’è un ulteriore elemento che potrebbe da una parte sciogliere un problema esegetico, dall’altra precisare l’ipotesi di un’origine toscana. Si ricorderà che in tutte le versioni, e quindi nel testo originario, l’elezione di papa Martino si dice avvenuta nel 1282 anziché nel (febbraio) 1281. L’ipotesi di un errore di fatto è da escludere perché nella fabula l’evento è collocato al posto giusto tra quelli del 1280 e quelli successivi. Resta certo l’ipotesi di un errore di archetipo: ma non vi sarebbe affatto errore, solo una leggera imprecisione, nel caso l’Anonimo seguisse il computo cosiddetto pisano, in base al quale il 25 marzo cominciava l’anno 128286. Questa potrebbe non essere l’unica traccia del computo pisano: il fatto che Leg e Tes collochino a turno la rivolta palermitana (31 marzo 1282) nel 1283 potrebbe essere dovuto non a errore ma, appunto, alla conservazione del computo originario:

86 Il fatto che tutti i testi dicano il papa terzo del suo nome potrebbe essere dovuto a un’eco del nome del predecessore (Niccolò III) di cui Martino costituisce in qualche modo l’antitesi. Del resto anche il nome di Martino IV era dovuto a un errore: l’inclusione, tra i Martini, di Marino I (sec. IX) e Marino II (sec. X).


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MARCELLO BARBATO

Leg

Tes

Lib

Reb

28.5

M CC LXXXIII

M CC LXXXII°

M CC LXXXIIIIor

43.1

-

M CC LXXXIII

-

49.1

M CC XXXII

M CC LXXXIII

M CC LXXXII

milli et dui chentu octanta dui milli e dui chentu octa(n)ta dui milli e dui chentu octanta dui

Ora, noi sappiamo che a Firenze vigeva lo stile dell’Incarnazione detto appunto fiorentino, usato anche a Roma, a Napoli e in Sicilia accanto allo stile della Natività. Il luogo di nascita della leggenda potrebbe dunque essere individuato nella Toscana occidentale, dove lo stile dell’Incarnazione al modo di Pisa era usato non solo nella città marinara, ghibellina o neutrale, ma anche nella guelfissima Lucca (Cappelli 1998, 1-11).

11. LA GENESI DEL TESTO ORIGINARIO Appurato che la leggenda è guelfa e toscana, resta da elucidare il modo in cui essa ha preso forma e da fissare la sua datazione all’interno di quell’arco di tempo di tre-quattro decenni che va dal Vespro ai primi manoscritti. A me sembra evidente che l’Anonimo conosca Saba Malaspina (1285) da cui trae sia un’ispirazione generale sia elementi precisi. Lo scriptor vaticano è il primo a nominare Giovanni di Procida (VII 3) attribuendogli un ruolo, sebbene laterale, nell’impresa di Pietro in Sicilia (Koller/Nitschke 1999, 270): «... quidam ipsius regni Sycilie exules, precipue magister Iohannes de Procida et quidam Roggerius de Laorea, nutritus in Aragonia cum dicta Constantia, penes regem Aragonum ad promovenda consilia et consulenda negotia continuo adistebant. Quos verisimile erat credere frequenter regis Aragonum aures superbie vento replere ac ei suggerere et instare, ut


INTRODUZIONE

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regnum invadat Sycilie, quod supponebant forsitan haberi posse per eum faciliter et teneri. Et ut inducant aut seducant eum potius ad ipsorum votiva proposita exequenda, fertur, quod circa hec sermones suos subdolos ratione duplici fulciverunt, quibus coinquinent iuvenis regis animum et superbi...».

Ancora a Giovanni di Procida e Ruggeri di Lauria allude Saba (IX 8) al narrare l’ambasceria che i siciliani mandano a Pietro in Alcoll (Koller/Nitschke 1999, 316): «Regi ergo Aragonum per nuntiorum relatus Siculorum cordibus reseratis statim regnicole, qui erant apud eum exules, quibus hoc nefas consuevit esse domesticum, ut in maiori pacis tempore constituti regni sui scandala cogitent et tales ordiantur insidias ac eas dissensionis filo contexant, novam statim decipiendi artem seu potius novos modos palliandi, quod temerarie faciunt, adinvenire non cessant novaque versant pectore insidiante consilia».

È interessante notare come in entrambi i casi i consiglieri vengano espressamente condannati come ingannatori (sermones... subdolos, decipiendi artem) e seminatori di discordie (scandala, insidias). La duplice leva (ratione duplici) mossa dai fuoriusciti è il tema dei legittimi diritti di Costanza in Sicilia e dell’oppressione che i Francesi esercitano sui siciliani. «Però, Saba és coneixedor també de la tradició de la doble venjança d’agnats i cognats» (Cingolani 2006, 353). Infatti, concludendo la narrazione della stessa ambasceria (IX 12), egli allude al dolore di Pietro per la morte di Manfredi (soceri) e dell’avo Pietro II (avita... morte): «Nuntiis ergo predictis nondum post inchoatum a curia reditum factis velis, rex Aragonum a celato pectoris fomite flammam fervescentem excutiens, cum nondum cause irarum, quas dicebatur contra Galicos concepisse, a suo animo excedissent, nec sevos dolores de avita et soceri morte susceptos temporis vetustate substulisset oblivio, spoliis onustus Arabum petit Trinacrie lytora» (Koller/Nitschke 1999, 320).

Questa stessa tradizione, che è assente nella storiografia catalana, si ritrova nei nostri testi:


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22.14

MARCELLO BARBATO

Leg

Tes

Lib

Reb

Allora disse mess(ere) Gianni: «Mess(ere) re di Raona, vorrestiti tu vendicare dell’onte (e) delle offensioni ch(e) cti sono facte p(er) lontano (e) p(er) novello? cha ài più onta e vitupero che mai avesse gran singnore, siccome fu quello che llo re Ma(n)fredi lasciò a tua molgliera, e tu vile e codardo no(n) v’intendesti mai po’ esso a vendicare l’onta del nimico tuo, p(er) lo tuo avolo che villaname(n)te l’uccisero i Franceschi: ora lo poi vendicare (e) raquistare tucto tuo da(n)nagio se sè prode (e) ardito».

Allora disse mess(er) Gianni: «Mess(er) lo re, voreste voi vendicare l’ofense che tti sono fatte p(er) lontano (e) p(er) lo novello, ch’ài più onte e più vituperi che omo che sia mai grande sengnore al mondo, sì come fue quella ke ’l re Manfredi ti lasciò a tua molgliera il rengno di Cicilia, e tu vile codardo non volesti mai venire p(er) esso, nè vendicare l’onta dell’avolo tuo, che villanamente l’uccisoro i franceschi». Allora disse: «Ora te ne puoi vendicare e raquistare tutto il tuo danaggio, se ssè prode e valentre».

Allora disse mess(er) Giani: «Mis(er) lo re di Ragona, voresti tu ve(n)dica(r)e d(e)le offension ke te su(n) fate p(er) lontaiyo o p(er) novello? Chi ê più unte e più vitip(er)ii che may sia a gra(n)d(e) seg(n)ore, xì como foe q(ue)la che lo re Mayfredo ti laxò a tua molge(re) il Reg(n)o tuto e tu vile e coardo no(n) volisti may veni(r)e p(er) es(er)one ve(n)dicate d(e)l’unta d(e)l’aulo tou, ke vilanam(en)te l’ozis coli fra(n)ceschi. Ora la poi ve(n)dica(r)e e raq(ui)sta(r)e tuto il dalmayo se sè d(e) p(ro) e valente».

Et misser Johanni dissi: «Vu(r)rissivu vui divinjari di li offisi li quali vi su stati facti p(er) lu tempu passatu? ch(i) aviti richiputu plui vi(r)gogni ch(i) signuri ki sia in cristiani; ch(i) jà comu vui sapiti ki lu re Ma(n)frè lassau lu regnu di Sichilia a ssua figla, la quali è vostra mugleri, et vui comu debili et cutardu jamai no(n) vulistivu viniri ad recup(er)ar[i] la vostra raxuni. Ancora vi diviria rico(r)da[ri] di vostru avu, ki villanamenti lu auchisiru li franchiski a Morellu in Tulusa, ora vi ’ndi potiti vinjari et satisfari tuctu lu tou da(m)maju, si vui vuliti essiri prudu et arditu».


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I paragrafi della leggenda dedicati all’ambasceria di Filippo a Pietro (36-37) hanno singolari consonanze con il resoconto dell’ambasciata conservato negli archivi della Corona di Aragona: «Sire le roys nostre sires qui à vos nos a envoyés, o ses letres que nos vos avoms bailées nos a enchargé que nos vos dioms de part de luy que il ha entendu que vos avés fet gran apparell de gens d’armes et de navia, et que li ond dit que vos devés aler sor mescreanz, e li autre dient autrement [...]. Si vos fet savoir par nos que si vos tornés vostra emprisa sor les enemis de la fe christiana e nostre sires cuy besoyna vos fariés en ce faisant vos done victoire o autre anantenement il end sera liés et joyaus, et plus chier vos end hauret. Et si vos avés autre entencion, il veut que vos sachiés que quiquonques feret guerra ho autre enuyement le roy de Secile son once o le prince de Salerna son cousin, il li deplaret forment. E tot ce qui ancontre eus seroit fet il tenrroit à fet à soy meismes»87;

e con il resoconto della risposta di Pietro: «Et diu que sa voluntat et son proposit fo e est totavia, et que·l fet que ell ha fet, aya fet a enteniment de Déu a servir»88.

In realtà anche qui la fonte diretta potrebbe essere il cap. VII 56 di Saba Malaspina (Koller/Nitschke 1999, 272-273), autore che doveva avere accesso a un qualche documento ufficiale, dal momento che la sua narrazione riecheggia dettagliatamente i resoconti. Anche in Saba l’episodio è anticipato rispetto agli eventi del Vespro, addirittura in un momento anteriore alla morte di Niccolò III. Da Saba, inoltre, l’Anonimo potrebbe aver tratto il motivo dell’offerta di aiuto. Anche nella cronaca latina Filippo offre denari: «Si enim pro voto exsolvendo in subsidium terre sancte aut contra regum infidelium terras vel adversus hostem, si quem vobis creditis, disponitis proficisci, nostra circa hec affinitati vestre auxilia opportuna non deerunt; sed sive gentium sive pecunie magis subsidia causam et propositum vestrum iuvent, dextera nostra, quod vobis magis gratum fuerit, exequetur».

Qui però Pietro respinge l’offerta: «De oblato ad hec nobis per magnificentiam vestram rerum personarumque iuvamine uberes liberalitati regie gratiarum referimus actiones; disposimus enim absque regum et principum et consanguineorum nostrorum subsidio inchoata peragere ac prosequi sub fortune cursibus votum nostrum». 87 88

Amari II, doc. IX. Trascrizione rivista da Cingolani (2006, 366). Amari (I, 230) traduce «Il mio proposito è tuttavia quel che è stato, e farò come sempre ho fatto, con intendimento di servire Iddio».


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MARCELLO BARBATO

I punti di contatto tra Saba Malaspina e la leggenda si infittiscono nella narrazione del ritiro di Carlo dalla Sicilia. Nei nostri testi l’ammiraglio di Carlo avverte che la flotta di Pietro piomberà sugli angioini di lì a tre giorni e consiglia al re di passare in Calabria per evitare la disfatta e i rischi dell’inverno: 67.7 -8

Leg

Tes

Lib

Reb

E sse cci viene, io non ò galee armate di bactalglia, ançi ci àe lengni da mistere, e mi pilglia sança niuno riparo et tu rima(r)rai di cqua sança vivanda e converà che tu perischi con tucta tua ge(n)te, et ciò sarrà di quie a tre gurni. Onde p(er) Dio ti briga di passare di llà per questa cagione, e p(er)ché cti viene il verno i(n)dosso et tu non ài porto vernatoio dove i legni steano. Et però se ctu t’indugi le piaggie romperanno i llegni

E sed e’ ci viene, io nonn’ò ghalee armatte di battalglia, anzi ci òe lengni da mistiere, ch’elgli ci pilglerae sanza riparo niuno e tue rimarae di quae sanza vivanda niuna (e) (con)verà che perischa tue e tutta tua gente, e ciòe sarà passato di làe a tre giorni. Ond(e) tri p(r)iega di passare di làe p(er) questa cagione, e p(er)ché il verno ti viene adosso e tu non ài porto neuno dove gli lengni tuoi possano vernare, e p(er)ciò si tt’i(n)dugi le piage ropera(n)no tutti le(n)gni

E s’egli ci viene, io non ò galee armate p(er) batagle, anci ci è legni da mistiere. S’egli mi pigla sa(n)za riparo veruno e tu rimaray di quae sanza viva(n)da, e co(n)viene che tu p(er)ischi co(n) tuta la toa gente, e ziò serà di qui a tri giorni. Disbriga di passa(r)e di làe p(er) questa cagione, e p(er)ché il v(er)no viene adosso a ti e tu no(n) ày porto vernatoyo oe i legni tuoi istiano, e p(er)ò se tu t’indugii li piagie rompirano y legni

Et sachati ki eu no(n) aju galei, anti avimu ligni disarmati; di ki illu ni p(r)indirà senza nixunu consiglu, sì ni p(er)dirimu senza [bac]tagla, et rumaniriti di quista pa(r)ti senz[a] vidanda e convi(r)ravi di moriri di fami, [et] quistu se(r)rà di ’zà a tri jo(r)ni. Et inp(er)ò pe(n)za[ti] di passari di quilla parti p(er) quista raxuni, et lu ve(r)nu ni veni adossu, et vui no(n) aviti bonu po(r)tu ch(i) li navili <pozanu> [stari]. Et si p(er) aventura quistu no vi plachi, li ligna rumpiranu


INTRODUZIONE

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In Saba IX 15, la stessa determinazione temporale ricorre nelle parole di Carlo ai suoi baroni: «audivimus enim, quod classis istius proditoris regis Aragonum portum Messane est infra diem tertium intratura et quod ipse versus nos mature festinat per terram» (Koller/Nitschke 1999, 324). Qualche riga dopo, nella risposta di uno dei baroni, troviamo l’accenno all’inverno e ai pericoli di morte (IX 16, ibid. p. 325)89: «Ad hec, domine, si vos hic tempestas ponti aspera intercludat et austro respirante obsidio nostro perduret, non solum ad nos instante yeme victualia non vehentur, set in undosi maris concita tempestate flatus ventorum yemalium ad terram vi vassellos nostros impellet, et erimus similes naufragis ac aut hic fame perhybimus aut invalescentibus contra nos hostibus moriemur».

All’altezza di Salimbene de Adam, che lascia incompiuta la sua cronaca nel 1288 o 1289, si può dire che un primo nucleo della leggenda è già formato: è infatti menzionata l’alleanza di Pietro con il Paleologo e la complicità di Niccolò III90. Salimbene riporta anche in forma tendenziosa l’ambasceria di Filippo a Pietro, attribuendo a quest’ultimo la promessa di devolvere tutti gli acquisti dell’impresa a suo figlio, destinato a sposare una nipote di Carlo: «Et cum ipse Petrus Aragonum preparasset naves et vasa ad navigandum per mare, rex Francorum sibi misit sollemnes ambaxatores et nuntios speciales dicentes ei quod ipse Petrus nullo modo deberet ire contra regem Karulum nec contra filium suum nec intrare modo aliquo regnum suum, quia, si eidem regi Karulo vel heredi suo aliquam conferret iniuriam, reputaret sue persone proprie fore factum. Qui Petrus predictis ambaxatoribus curialiter et benigne respondit quod domino regi Karulo vel heredi suo in aliquibus iniurari minime cupiebat, sed intendebat ire ultra mare contra perfidos Saracenos, et quicquid terre posset acquirere vel lucrari, filio suo, qui haberet predictam filiam filii regis Karuli, traderet et donaret» (Scalia 1966, 765)91. 89 Altri punti di contatto tra Saba e la leggenda sono segnalati nel Commento a 50.1, 52.3, 54.4, 70.1. 90 Salimbene dapprima si limita a dire che Pietro «adiutores habebat regem Castelle et Palialogum» (Scalia 1966, 745); ma più tardi, a proposito della disfida di Bordeaux, scrive: «Debebat autem fieri bellum predictum occasione Sicilie, quam intraverat Petrus rex Aragonie, et occupaverat eam cum exercitu suo, siquidem papa Nicholaus III dederat eam sibi in odium regis Karuli cum consensu aliquorum cardinalium qui tunc erant in curia» (Scalia 1966, 757). 91 Per un altro possibile punto di contatto tra Salimbene e la leggenda, cfr.


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MARCELLO BARBATO

L’allenza tra Pietro e il Paleologo è registrata anche negli Annales placentini gibellini (ante 1295) che all’anno 1282 annotano: «De mense Aprilis rex Aragonis fecit magnum apparatum navigii, et creditur quod ipse fecit tam magnum apparatum cum auxilio et conscilio regis Castelle et regis Anglie et cum auxilio et avere Palialoghi regis et imperatoris Grecorum» (Pertz 1863, 574). La leggenda si arricchisce di nuovi particolari nel domenicano Tolomeo da Lucca. Assente nella prima redazione, la figura di Giovanni di Procida compare nella seconda redazione dei suoi Annales, composta entro il 1308 (Schmeidler 1930, 197)92: Red. A: «Huius autem rebellionis causa fuit Pallialogus contra regem Karolum, qui ad suum imperium auferendum multum aspirabat». Red. B: «Huius autem rebellionis causa fuit Pallialogus et quidam alius magnus inter principes, cuius nomen ignotum, mediantibus domino Iohanne de Procida et quibusdam magnis civibus Ianuensibus; ad quod fuit commotus Pallialogus, quia ad suum imperium auferendum rex Karolus cum Martino papa plurimum conabatur».

Si menziona dunque l’accordo col Paleologo e con un principe ignoto93 e la mediazione di Giovanni di Procida e di alcuni genovesi. Maggiori dettagli dà Tolomeo nella sua Historia Ecclesiastica nova (XXIV 4), composta tra il 1314 e il 1316 (Clavuot 2009, 616): «Hii autem fuerunt mediatores: unus fuit dominus Benedictus Zacharias de Ianua cum quibusdam aliis Ianuensibus, qui domini erant in terris Pallialogi, alius autem fuit dominus Iohannes de Procida. Et hii, autem precipue dominus Iohannes mediatores fuerat inter unum de maio-

Commento a 44.5. Dipende da Salimbene il Memoriale dei podestà di Reggio, citato da Amari (II, 209) come fonte autonoma (cfr. Scalia 1966, 972; Rossi 1991, 231. Zabbia 2007, 126). 92 L’editore data la red. A al 1303-1305, la red. B al 1305-1308. Kaeppeli 1993 data entrambe le redazioni al 1303-1306; Schmugge (1997, 319) dice entrambe le versioni «rielaborate tra il 1303 e il 1306-07». Tolomeo da Lucca, già allievo di Tommaso d’Aquino, dopo essere stato tra il 1300 e il 1302 priore di Santa Maria Novella, in questi anni sembra essere rimasto ininterrottamente a Lucca. Tra il 1309 e il 1319 è ad Avignone. Morirà nella sua sede episcopale di Torcello nel 1327 (Roßmann 1980, Kaeppeli 1993, Schmugge 1997). 93 La preterizione cela secondo Schmeidler (ibid. n. 3) il re d’Inghilterra. Per altre fonti che menzionano un coinvolgimento di Edoardo vd. Cartellieri (1904, 190 e n.).


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INTRODUZIONE

ribus principibus mundi et regem Aragonum supradictum de auferendo regnum regi Karolo, quem tractatum ego vidi»94.

Come si vede, i genovesi sono ora capeggiati da Benedetto Zaccaria95; la funzione di Giovanni viene ulteriormente enfatizzata; l’ignoto principe degli Annali diventa «uno dei più grandi principi del mondo», tanto da far pensare che in realtà anche qui altro non vi sia se non un’allusione a Niccolò III (Clavuot, ibid. n.). Tolomeo presenta altri elementi in comune con la leggenda. Il più evidente è la menzione del motto di Pietro sulla segretezza della sua impresa che si trova, come risposta al papa, sia nei nostri testi che nelle opere del domenicano lucchese96:

41.4

94 95

Leg

Tes

Lib

Reb

Ma diretegli che, del volere sapere ove nostra andata sia od a cui adosso, q(ue)llo non può sapere, mess(ere), p(er) neuno modo che ssia. E diretegli che se ll’una mano la dicesse all’altra, che io la mosserei

Ma diretegli che, del volere sapere in qual parte n(ost)ra andata fia od a cui a(n)deremo adosso, quello non potrebbe sapere p(er) neuno modo che sia; e ditegli che se lla mano ritta lo sapesse ed ella lo dicesse a la mancha, sì lla talglierei in(con)tanente

Ma diretegli ke, d(e)l vole(re) sape(re) qua(n)do n(ost)ra andata fia o a cuy adosso, q(ue)llo no può sape(re), mess(ere), p(er) v(er)uno m(od)o ke sia. E ditegli se en una mano il diciese al’altra la muzarebe

Et dichitili ch(i), di lu factu di sapiri dundi nui andamu, ch(i) ip(s)u no(n) lu pò sapiri p(er) nixunu modu; ch(i), si una di li n(ost)ri manu lu dichissi <all’altra>, nui ni la fa(r)riamu taglari

Da Tolomeo dipende Marin Sanudo il Vecchio (cfr. Amari II, 214). Il solo Benedetto Zaccaria è menzionato come mediatore tra il Paleologo e Pietro nella Cronaca del Templare di Tiro (1243-1314), cfr. Minervini 2000, § 179. Per un’ipotesi che l’Accardo Latino della leggenda non sia altri che Zaccaria, cfr. Commento a 31.4. 96 Parole analoghe riferisce Muntaner (cap. 49) come dette da Pietro a Arnau Roger conte di Pallars: «En comte, jo vull que vós sapiats e tots los altres que ací són, e encara aquells qui no hic són, que si nós sabíem que la mà esquerra sabés ço que ha en cor de fer la man dreta que nós mateix la’ns tolríem» (Soldevila 1971, 707). Nella presunta prima red. della cronaca di Desclot (cap. 79) invece parole


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Annales: «Eodem anno [1281] rex Aragonum apparatum facit, quem Martinus papa suspectum habuit, hoc insinuante sibi domino Karolo; unde licteras sibi direxit, quod de dicto apparatu cercionari volebat. Cui rex Aragonum, quod negotium sic erat privatum et occultum sibi, quod, si sciret manum vel linguam hoc velle revelare, ipse statim a se ipso amputaret» (Schmeidler 1930, 195)97. Historia ecclesiastica XXIV 4 2: «Propter quam causam tradunt papam Martinum scripsisse eidem regi Aragonum ad suggestionem regis Karoli, quod volebat scire, ad quid istum faceret apparatum. Cui praedictus rex sic dicitur respondisse, quod illud, quod faciebat, sic erat privatum apud ipsum, quod, si lingua sua hoc manifestaret, amputaret eam» (Clavuot 2009, 617).

Un punto di contatto più tenue, ma comunque significativo, si può intravedere nel fatto che tanto Tolomeo quanto l’Anonimo attribuiscono a Carlo la volontà di risparmiare Messina98:

54.2

Leg

Tes

Lib

Reb

Allora il re vedendo questo disse: «Io no(n) volglio guastare mia terra n’uccidere li fanti che no(n) v’ànno colpa...»

Allora disse i-rre Carlo: «Io non volglio quastare mia terra nè uccidere gli fanti che non v’ànno colpa...»

Allora lo re Carlo udendo q(ue)sto disse: «Io no voglo guastare mia t(er)ra nè ocide(re) li fantini che no aviano colpa...»

e ppoi la matina vinendu mandau p(er) li soi baruni e dissi: «Signuri, no(n) mi acco(r)du cum vui di lu co(n)siglu lu quali nui avimu t(er)minatu, inp(er)ò ki, si fus[si] cussì comu lu consiglu, eu guastiria mia te(r)ra; no(n) voglu auchidiri li pichulilli, inp(er)ch(ì) no(n) à(n)nu culpa...»

simili nella stessa circostanza (preparativi per la spedizione africana) sono dette a N’Ambert de Mediona: «si yo sabia que la una mà sabés ço que l’altra sab, yo la’m faria tolre» (Cingolani 2006, 362-364). Alla base secondo Cingolani c’è un passo di Valerio Massimo (VII, 4, 5) in cui Quinto Metellio, interrogato sulle sue intenzioni durante la campagna di Spagna, «Absiste – inquit – istud quaerere: nam si huius consilii mei interiorem tunicam consciam esse sensero, continuo eam cremari iubeo». Ma mi sembra evidente che la radice ultima sia Matth. 6, 3 («nesciat sinistra tua quid faciat dextera tua»). 97 Cito la prima redazione: la seconda non presenta differenze sostanziali. 98 Cfr. anche la Cronaca del Templare di Tiro, secondo cui Carlo parte da Messina di sua spontanea volontà per evitare che i messinesi distruggano la città, «pour ce qu’il ne voloit pas le destruement dou païs, car il avoit entendement de recovrer le sainement» (Minervini 2000, § 180).


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Annales: «Messanam obsidet et ipsam in circuitu vastat, sed non capit, quamvis potuisset, ut aliqui tradunt; sed pepercit, ne dicta civitas destrueretur ex nimio furore sue gentis» (Schmeidler 1930, 198). Historia Ecclesiastica XXIV 6: «Messanam obsidet, quam capere potuisset, si voluisset. Sed timuit terrae destructionem, si vi belli fuisset capta» (Clavuot 2009, 618).

Ma qual è la natura dei rapporti tra la leggenda e Tolomeo da Lucca? Possiamo spingerci fino a vedere nell’ut aliqui tradunt degli Annali e nel tractatum della Historia un riferimento diretto all’Anonimo99? Si obietterà che sarebbe alquanto strano che il discepolo di Tommaso, teologo e teorico politico (autore tra l’altro di un Tractatus de iurisdictione ecclesiae super regnum Siciliae et Apuliae [1308-14]), desse credito alla leggenda volgare. Ma la cosa sorprenderebbe meno se la leggenda fosse stata elaborata proprio a Lucca, in ambienti vicini all’ordine domenicano. Considerazioni di ordine filologico e linguistico (§ 10) non escludono anzi suggeriscono una localizzazione lucchese del testo originario. Quanto al retroterra domenicano, sarà casuale l’invenzione nel § 40 di un frate predicatore come messo del papa (cfr. Commento ad locum) e l’idea, che si potrebbe pensare maligna, di far viaggiare G. travestito da frate minore (§§ 11 e 26)? Si consideri inoltre che è possibile che nel codice estense di Leg si rifletta direttamente un progetto editoriale nato a Lucca in ambiente domenicano: qui infatti la Leggenda va accompagnata dal volgarizzamento del Gioco degli scacchi del domenicano Jacopo da Cessole (cfr. Nota ai testi, § 1.4)100; i caratteri linguistici dei due testi mostrano che la loro unione si può ben fare risalire a un antigrafo lucchese (cfr. Nota linguistica, § 1.1). Attribuire all’impulso domenicano la genesi, a questa altezza, di una cronaca filoangioina in volgare non appare affatto illegittimo. I 99

A detta di Amari tractatus potrebbe designare il nucleo originario della leggenda. Secondo lo storico siciliano il tractatus avrebbe registrato solo le pratiche tra Pietro e il Paleologo senza estendersi «a maneggi presso Niccolò III e presso i baroni siciliani» (II, 219). La leggenda si sarebbe poi servita del tractatus «come d’una tela da ricamarvi sopra con colori vivaci ed effigiarvi in scene maravigliose tutta l’Odissea del Procida» (II, 233). Quest’interpretazione è contestata però in maniera abbastanza convincente da Sicardi (1917, XXXIVn.) e da La Mantia (1917, CLXII). 100 L’opera, del resto di straordinario successo, composta in latino intorno al 1300, propone una «lettura moralizzata della società umana assimilata alle pedine dello scacchiere» (Scolari 1989, 32). Per l’autore cfr. ibid. p. 31 e bibliografia.


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domenicani si erano già esercitati nella storiografia latina ed è nota l’importanza delle cronache da loro composte nella seconda metà del sec. XIII per la riproposizione «di contenuti peculiari della propaganda anti-sveva promossa dalla curia pontificia» (Zabbia 2007, 120). Come risulta dallo studio di Boyer (1998), inoltre, il rapporto tra la corte angioina e l’ordine domenicano è strettissimo: la corte si appoggia deliberatamente ai frati predicatori allo scopo «de conquérir une opinion publique, mais aussi d’édifier une idéologie vaste et cohérente, marquée du sceau du thomisme» (p. 152); i domenicani pronunciano sermoni filo-angioini non solo a Napoli, ma anche a Firenze, a Perugia e in Provenza. Infine, l’influsso dell’ordine sullo sviluppo della letteratura in volgare è stato da tempo riconosciuto (cfr. Antonelli 1982, in part. alle pp. 704s.)101 e la sua precocità è stata enfatizzata in un saggio di Francesco Bruni (1990, 84). Se è difficile scorgere nell’Anonimo le fattezze di un alto prelato, perché non potremmo pensare a un membro di una confraternita, quale quelli che trascrivevano le prediche recitate in piazza da fra Giordano (cfr. ibid., 81)? È più prudente, forse, non arrischiarsi a postulare rapporti univoci di derivazione e limitarsi a dire che i testi latini di Tolomeo e il nostro testo volgare sono usciti dagli stessi ambienti filoangioini e nello stesso periodo storico. Possiamo tuttavia confermare pienamente le conclusioni di Amari (I, 153) che diceva la leggenda «fattura guelfa, composta ne’ principii del secolo decimoquarto». Il testo originario appare come un sapiente racconto di parte guelfa ordito mescolando disinvoltamente notizie reali e calunnie e innestando, sul canovaccio di Saba Malaspina, i rumori dell’accordo tra Pietro, Niccolò e il Paleologo e l’invenzione dei viaggi di Giovanni di Procida. Gli estremi per la datazione possono considerarsi il 1285 (Saba Malaspina) e il 1308 (Tolomeo da Lucca), ma ci sono diversi argomenti per collocare il nostro testo più vicino alla seconda data che alla prima: 1. Il testo sembra nato a distanza di qualche decennio dai fatti, quando l’urgenza della polemica politica cede il passo alla moralizzazione. 2. Il tema della congiura, assente in Saba Malaspina, si afferma nella storiografia solo con Salimbene. Anche nella polemica politica il tema sem101 I nomi di Giordano da Pisa, Domenico Cavalca, Bartolomeo di San Concordio e Jacopo Passavanti fanno una parte non piccola della produzione toscana della prima metà del XIV secolo.


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bra tardo: Amari (II, 226ss.) osserva che papa Martino nelle bolle e nelle lettere accusa Pietro di essere entrato in Sicilia proditoriamente (nulla diffidatione premissa) ma non di aver suscitato la ribellione dei palermitani; analoghe sono le accuse che provengono dalle cancellerie dei due Carli102. 3. Dato che la separazione tra Sicilia e Mezzogiorno continentale si dà per acquisita (vd. sopra, § 9), il testo potrebbe essere successivo alla pace di Caltabellotta (29 agosto 1302) che sancisce «anche in termini di valenze giuridiche e di riconoscimenti internazionali» (Tramontana 2000, 109) quello che era un distacco di fatto. Non esiterei a credere che il testo sia nato come reazione a caldo proprio nel momento immediatamente successivo a Caltabellotta, quando il riconoscimento ormai inevitabile della mutata realtà politica scatena la necessità della ricerca eziologica.

12. DALLA LEGGENDA ALLA STORIA Una serie di testi, sia latini che volgari, provano che «nella prima metà del XIV secolo il mito di Giovanni di Procida si moltiplicava e prendea forme sempre più varie» (Amari II, 15). La leggenda interferisce innanzitutto con la tradizione del Tesoro volgare, in particolare con quella costellazione di codici, individuata per la prima volta da Mussafia, che prolungano la sezione storica fino al Vespro con sentimenti ghibellini. Come segnalarono prima Mussafia e poi Amari (II, 426), nei codici laurenziani Gadd. 26 e Plut. 42.20, alla fine della narrazione della rivolta siciliana è presente un’inserzione che denota un contatto con la leggenda: la sollevazione siciliana è attribuita a Giovanni da Procida, si cita l’accordo tra Pietro e il Paleologo, e si allude all’esistenza di un testo completo dedicato alla macchinazione. In realtà l’inserzione sembra propria di tutta la famiglia a2, che insieme al codice magliabechiano che contiene Tes, siglato F4 dagli studiosi del Tesoro, costituisce il ramo w della versione a del volgarizzamento, caratterizzata tra l’altro dall’ampliamento della sezione storica (Giola 2008, 28ss.; 2010, 165ss.)103. Evidentemente, in una 102 Tuttavia alcune insinuazioni sono, come abbiamo visto, già nella bolla papale del 18 novembre 1282, e ancora più chiaramente in quella del 21 marzo 1283 (Sicardi 1917, XXX e app. VI). 103 L’inserzione è trascritta nell’appendice A. Sigle: G1 = Firenze, Bibl. Med. Laur., Gadd. 26; V1 = Bibl. Ap. Vat., Vat. Lat. 5908; Br = London, British Library, Add. 26105; L1 = Firenze, Bibl. Med. Laur., Plut. 42.20; S = San Daniele del Friuli, Bibl. Com. Guarneriana, 238; C = Bibl. Ap. Vat., Chig. L.VI.210. Non ho potuto vedere i mss. As (Laur. Ashburnham 540), M (Marc. It. II 53) e Parm. (Bibl. Pal.


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data molto alta, w ha inserito la notizia che desumeva da quella che doveva essere una novità letteraria. F4, o piu probabilmente il suo antigrafo (vd. Nota ai testi, § 2.3), non soddisfatto della breve inserzione, trascriveva di peso il testo dell’Anonimo. Del resto anche alcuni manoscritti della famiglia a2 aggiungono altri particolari desunti dal nostro testo: L1 e S la notizia del denaro ricevuto dal re di Francia, Br la partecipazione del papa e dei baroni siciliani. Presenta sostanzialmente la stessa inserzione il Fioretto di Cronache degli Imperatori, testo dai contorni incerti, che non ha ancora ricevuto le attenzioni della filologia moderna, ma che, a quanto pare, prolunga la digressione storica del Tesoro volg. fino al 1313104. Qui si legge a proposito di Pietro: «Questo re di Ragona avea per moglie la figliuola dello Re Manfredi, sì che i Ciciliani si dierono a lui. E a questo trattato s’adoperò molto messere Giovanni di Procida, lo quale era savio e grande uomo; e fece tanto questo messere Giovanni che ’l Paglialoco porse mano di moneta allo Re Piero di Ragona a torre la Cicilia. E questo abbiamo detto brieve sanza contare ogni trattato che lunga storia sarebbe; e per ciò abbreviando v’abbiamo detto pure la sustanza» (Del Prete 1858, 56).

Un’altra cronaca, contaminata con questa – e trasmessa dal Riccardiano 1550, della metà del XIV secolo105 – lascia trapelare nuovi particolari della leggenda (i viaggi di G. in Oriente e in Spagna, la partecipazione dei siciliani): «E dicesi che tutto questo e la perdita di Cicilia ordinò messer Gianni di Procida, cavaliere, grandissimo medico e rubello e grande nemico del re Carlo. E perchè la gente del re Carlo facea loro tante ingiurie si avvenne loro questo. E ’l detto messer Gianni venne a quello che desiderava. E sappiate che la Cicilia diedi egli a messer Piero re di Ragona, quegli ch’avea per moglie la figliuola del re Manfredi. E grande aiuto vi fece a ciò il Paglialoco da parte di moneta: sì che coll’aiuto di costui e col senno e grande istudio di questo messer Gianni di Procida si venne a fine di quest’impresa. E a dire

105) che appartengono allo stesso ramo. Ringrazio Marco Giola che mi ha fornito le riproduzioni dei manoscritti e notizie sulla loro datazione: C è dell’inizio del XIV sec., S è datato 1368, Br è della fine del secolo, V1 del 1456. Secondo Bertelli (2008, numm. 3 e 8), il manoscritto G1 è della metà del Trecento, mentre l’ipotesi che L1 sia della fine del Duecento va probabilmente rivista alla luce della datazione della leggenda. Vedi ora Giola (2010, 14-46). 104 Cfr. Mussafia 1869, Amari (1876, IV), Zabbia (2008, 912 e n.). 105 Cfr. Amari (II, 421), De Robertis/Miriello (2006, num. 36 [tav. 73]).


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tutto motto a motto come messer Gianni andò in Romania al Paglialoco a consigliarlo del suo bene e come egli andò in Raona a consigliare il re di Raona e quello ch’egli ordinò e consigliò i Ciciliani, e quanto senno ci ebbe in far ciò che fu, si sarebbe lunga mena a scriverlo, e però l’abbiamo detto brievemente» (Amari II, 524).

Negli stessi anni la leggenda si riflette forse non solo nella produzione storiografica ma anche nella polemica politica. Secondo Amari (II, 230), la versione dei fatti narrata dai nostri testi traspare nelle parole di Roberto d’Angiò, che nel 1314 lamenta «quod homines insulae Siciliae a longissimis retro temporibus, rebellionis, perfidiae et hostilitatis improbe spiritum assumentes, contra clarae memoriae progenitores nostros proditionaliter rebellarunt». La diffusione a Napoli della leggenda è provata del resto dal codice estense latore di Leg (cfr. Nota ai testi, § 1). Verso la metà del secolo, a Firenze, un frammento di Leg chiude un codice contenente vite di santi, con una scelta che non si sa se definire ironica o ingenua (cfr. Barbato, 2010d). La prima opera che, precedendo anche la rielaborazione villaniana, fornisce un racconto continuo paragonabile per grandi linee a quello della leggenda è il Chronicon cui Francesco Pipino da Bologna, anch’egli domenicano, continua a lavorare almeno fino al 1322106. Pipino inserisce una digressione nel suo testo per narrare la congiura, «tum ad majorem Historiae cognitionem, tum ad posterorum exemplar [...], tum ex quadam admiratione insolitae rei», e in linea con il testo volgare opera una vera e propria mitizzazione di Giovanni di Procida: «Hujus autem rei novitatem tractasse ac procurasse fertur multis periculis, sudoribus, ac dispendiis vir sagax et perspicax Magister Johannes de Procida [...] vir ille corde magnanimus, et animo constans, rem tantam tamquam periculosam ausus est aggredi, per abrupta videlicet montium, et devexa terrarum, per viarum angustias, per marinos fluctus, et hominum insidias, dispendiis propriis et laboribus non parcendo, ut jugum excuteret servituti» [III 10 = p. 686].

106 Su Francesco Pipino cfr. Kaeppeli 1970, Paolini 1991, Pini 1993, Dutschke 1993. L’opera è priva di un’edizione moderna: cito dall’edizione parziale di Muratori 1726, che riduce a quattro i trentuno libri dell’originale (i passi citati corrispondono al libro 27).


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In Pipino il plot è diverso, più lineare, evidentemente semplificato, come risulta dalla tabella seguente, in cui si può notare il parallelismo tra i viaggi di G. dal papa (a, c) e quelli da Pietro (d, f), entrambi inframezzati da un altro viaggio (riproduco per comodità anche il plot villaniano): Leggenda 1. viaggio a Costantinopoli 2. ritorno in Sicilia 3. viaggio dal papa 4. viaggio da Pietro 5. ritorno dal papa e in Sicilia 6. viaggio a Costantinopoli 7. ritorno in Sicilia 8. viaggio da Pietro

Pipino

Villani

a. viaggio dal papa b. viaggio in Sicilia c. ritorno dal papa d. viaggio da Pietro e. viaggio a Costantinopoli f. ritorno da Pietro

A. due viaggi a Costantinopoli B. viaggio in Sicilia C. viaggio dal papa D. viaggio da Pietro [E. ritorno in Sicilia] F. viaggio da Pietro

Pipino menziona anche il rifiuto di Carlo a contrarre parentela con Niccolò III («cum eo idem rex recusaverat affinitatem contrahere» III 9 = p. 687) e la circostanza che la famiglia di Giovanni era stata vittima della «libido gallica» (III 11 = p. 687). La concordanza arriva fino a echi verbali come la corrispondenza tra III 11 [p. 687], dove i baroni assicurano «sese usque ad mortem opere completuros», e il passo seguente dei nostri testi:

11.6

Leg

Tes

Lib

Reb

E que’ dissero: «Infine a morte ti seguiteremo, fa pe(r) noi ciò che vuoli»

«Sì lgli ateremo e sequiteremo e fia fatto p(er) voi ciò ke voi volete»

E q(ue)li diseno: «I(n)fine a mo(r)te vig(n)aremo, fa d(e) nuy zò che vogle»

Et quilli signuri supradicti rispusiru: «Nui simu apparichati di sequiriti fina a la morti»

Non mi sembra dubbio, insomma, che il monaco bolognese, già noto come traduttore di testi volgari, abbia rielaborato qui il nostro


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testo107. La diffusione dell’opera in terra emiliana testimoniata da Lib aggiunge un ulteriore rincalzo a questa ipotesi108. Un’eco della fortuna settentrionale della leggenda si trova anche nella Historia latina di Ferreto Vicentino (1330-1337). Giovanni, narra lo storico preumanista, «qui Karolum odio nimis habebat» (Cipolla 1908, 29), persuaso Pietro all’impresa di Sicilia, va dal Paleologo che scuote con parole che ricordano da presso quelle del nostro testo (il dialogo è assente in Villani e in Pipino): «Bone Rex scio te Caroli viribus non posse resistere; sed si peccuniam et opes maximas michi dederis, inveniam alterum, qui auro carens, vires habet ad resistendum» (ibid., 30).

9.12

Leg

Tes

Lib

Reb

Allora disse il Pallialoco: «I(n) che modo?». E que’ disse: «Il modo no(n) ti dirò io, ma se mmi promicte di dare Cm oncie d’oro io farò venire uno che torrà la terra al re Karlo e daralgli tanta briga che mai di cqua no(n) passa»

El Palglialoco disse: «Dimi in che modo». «Uno mio modo non dire, ma se mi prometti di dare Cm uncie d’oro e io ti farò venire uno ke torrà la terra di Cicilia a· re Carlo e daragli tanta brigha di là ke p(er) tutto il tempo suo giamai non passerà di qua»

Allora disse el Palioloco: «I(n) q(u)al m(od)o?». E q(ue)lo disse: «El m(od)o no te diroe, ma se tu m’i(m)p(ro)mite d(e) dare Cm onze d’oro eo farò veni(r)e uno chi torà la t(er)a d(e) Cicilia alo re Ca(r)lo e darayli ta(n)ta briga che di q(u)a may no(n) pass(er)à»

Intandu dissi lu imperaduri: «In ch(i) modu vui putiti fari quistu factu?». Et misser Joha(n)ni dissi: «Eu no vi lu di(r)ria ja(m)mai, excectu ch(i) vui no(n) mi promictiti chentu milia unczi, dundi eu ti fa(r)rò viniri unu ch(i) prindirà la terra di Sichilia a lu re Carlu et da(r)rali tanta briga ch(i) ja(m)mai no(n) sapirà di ki modu porrà spichicari di ip(s)u»

107 Pipino aveva già tradotto in latino, probabilmente a partire da una versione veneziana, il Divisament dou monde di Marco Polo. 108 La dipendenza di Pipino dalla leggenda è riconosciuta sia da Amari (II, 197 e 205), che da Sicardi (1917, XXXIII e n.) e La Mantia (1917, XCVIII).


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G. si reca dunque da Pietro che accetta il dono e prepara il naviglio. Ferreto riporta la versione secondo cui Carlo, «de regno suo semper metuens» (p. 31), chiede a Filippo di indagare sui preparativi di Pietro, elementi che poteva trovare in z’ o direttamente in Saba Malaspina (cfr. Commento a 36.3). Pietro risponde di voler andare «ubi esset desiderium amicorum» e implora aiuto al re di Francia, «a quo et certam auri quantitatem, subsidii gratia, supplex accepit» (ibid.). Diverso è invece il racconto dello scioglimento del Vespro (ibid., 32)109. La leggenda è menzionata da Bosone da Gubbio nel proemio dell’Avventuroso Ciciliano, pastiche di materiali eterogenei che il primo editore, sulla base dell’explicit dell’unico manoscritto, datava al 1311, ma che in realtà è posteriore al 1333 (Mazzatinti 1884-1885, 303s.). L’autore narra di come «cinque baroni di Cicilia, d’accordo presono a cercare loro aventure per lo mondo» (Gigliucci 1989, 50). Menziona come cause della ribellione un oltraggio che Carlo avrebbe fatto a G. e il rifiuto opposto dal re a papa Niccolò, che «contro a· Re s’interpuose, cominciando a fargli perdere la Cicilia» (ibid., 37). Narra di due viaggi di Giovanni, il primo dal papa, il secondo dal Paleologo (ibid., 37-39). Aggiunge la descrizione di una visione che avrebbe ispirato a Giovanni la sua impresa (p. 39s.). È difficile dire se Bosone utilizzi la leggenda direttamente o attraverso Pipino o Villani, ma, siccome anche altrove rielabora materiali villaniani, è probabile che tragga le sue informazioni proprio dalla Nuova Cronica110. Come abbiamo detto, non è certo che la tradizione rappresentata dai nostri testi sia accolta da Dante. Nei versi di Inf. XIX 98-99 («guarda ben la maltolta moneta / ch’esser ti fece contra Carlo ardito») alcuni hanno scorto un’accusa a Niccolò di aver accettato denaro per tramare contro l’angioino, ma altri vi hanno visto un’allusio-

109 La dipendenza di Ferreto dalla leggenda è riconosciuta già da Amari (II, 198), il quale aggiunge: «Dei particolari della congiura ei non prese altro che i dialoghi del Procida col Paleologo, i quali gli davano l’occasione di comporre alcuni periodi da umanista». 110 In una nota marginale però il rifiuto di Carlo è descritto in maniera diversa da Villani: «Indegnò il Papa per lo parentado rifiutato, ma più per una parola che Re Carlo disse. Profferendo alcuno il parentado a· Re, rispuose così dicendo allo ambasciadore: “Laddove il Papa promette di sempre vivere io consento, ma considerando che morendo egli il sangue nostro rimane mischiato coll’orsino, non è licito, e però nonne accetto”» (ibid., 42).


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ne all’appropriazione indebita dei proventi delle decime ecclesiastiche111. Che Dante non menzioni G. sembrò all’Amari (II, 224) un segno del fatto che egli non ebbe il ruolo che la tradizione tende ad attribuirgli: «Dante l’avrebbe messo tra i grandi o buoni o ribaldi se l’avesse giudicato degno dell’una o dell’altra sorte». Ma Sicardi (1917, XXXI n. 2) e La Mantia (1917, CXVIII) hanno buon gioco a controbattere a questo argomento ex silentio. La leggenda non attecchisce subito nei commenti danteschi112. I commenti a Inf. XIX 98-99 menzionano unanimemente il rifiuto di Carlo a imparentarsi con papa Niccolò e la partecipazione di quest’ultimo a una congiura contro l’angioino, ma solo Guido da Pisa (1335-1340) parla di soldi ricevuti da Bisanzio; solo a partire dall’Ottimo (1334ca.) si parla di Giovanni di Procida113: «Onde è da sapere, che costui fatto Papa fu corrotto per pecunia, della quale elli era vago, da Messer Gian di Procida, trattatore della ribellione di Sicilia; onde elli assentì alla detta ribellione, e del detto assentimento scrisse lettere alli congiurati, ma non le bollò con papale bolla. Alcuni dissero, che ciò assentia per quello medesimo disdegno, per lo quale elli fece renunziare al re Carlo il Senato di Roma, e la Vicaria dello Imperio, che li avea data Papa Bonifazio IV; cioè perchè il detto re Carlo non volle fare parentado con lui, anzi il dispettò, dicendo che non volea fare parentado con un prete».

La menzione di G. torna in Maramauro (1369-1373): «E allora, contractato de <ciò con> uno chiamato Iane de Procida de Salerno, medico del re Manfredo, favoregiò Pietro d’Aragona contra Carlo»114. Deriva chiaramente da Villani VIII 54 il testo di Benvenuto da Imola (1379-1384): «iste papa Nicolaus tentavit contrahere affinitatem cum Carolo I veteri, et voluit dare unam suam neptem uni nepoti eius. Cui Carolus respondit: licet habeat calceamenta rubea, non est eius sanguis dignus nostra affinitate. Ex quo Nicolaus indignatus palam privavit eum Senatu urbis et vica111 Cfr. Bartoli Langeli 1976 e vd., da ultimo, i commenti di Chiavacci Leonardi 2005 e Inglese 2007. 112 Salvo ove altrimenti specificato, utilizzo i Commenti raccolti in Procaccioli 1999 e, per le informazioni sulle date e le fonti, ricorro a Bellomo 2004. 113 Per la datazione dell’Ottimo cfr. Corrado 2007. Per la complicata tradizione di questo commento vd. Id. 2003. 114 L’integrazione editoriale è probabilmente superflua: con tractato de uno vale ‘grazie ai maneggi di uno’, cfr. sopra n. 99 e Commento a 60.1.


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riatu Tusciae, quem habebat ab ecclesia vacante imperio; et clam in omnibus erat sibi hostis infestus, unde consensit rebellioni Siciliae pro qua recepit magnam quantitatem pecuniae per manus domini Iohannis de Procida, qui illam rebellionem sagacissime ordinavit»115.

Tra i commenti a Par. VIII 73-75 menzionano Giovanni di Procida ancora l’Ottimo e Benvenuto da Imola. Quest’ultimo riprende chiaramente Francesco Pipino da Bologna, di cui riproduce il plot e anche lacerti verbali (es. «Et continuo laetus et impiger, reversus in Siciliam...» = «Laetus itaque Iohannes et impiger, Siciliam est reversus...» III 11 = p. 687)116. L’Ottimo inserisce una lunga digressione in cui narra i fatti del Vespro117. La fonte, come già supposto da Azzetta (1996, 130), è Villani VIII 57-70: coincidono la narrazione dei viaggi di G. e anche singoli elementi, come l’ambientazione della rivolta a Monreale, il numero dei Francesi uccisi (quattromila), il numero delle galee di Ruggeri di Lauria (sessanta, particolare assente nella leggenda), il giorno della partenza di Carlo da Messina (26 settembre). La coincidenza nella narrazione del Vespro, dunque, da una parte conferma l’utilizzo di Villani da parte dell’Ottimo118, dall’altra prova la verità di una prima circolazione – se non di una prima redazione, come vuole Porta – della Nuova Cronica entro il 1333119. Più breve, ma tratta pure da Villani (in particolare dai capp. 57 e 59 = Porta 1990-1991, I 501-507), è la glossa del Lancia, con riprese quasi letterali (cfr. il passo di Villani cit. alla fine del § 8): «li Franceschi teneano li Ciciliani per meno che servi. Per la quale cosa molta buona gente di Cicilia e del regno s’erano rubellati, intra’ quali fue

115 Inoltre nel commento a Inf. XXVI 19 Giovanni è ricordati tra i grandi astuti insieme a Mitridate, Giugurta, Mario e Catilina. 116 Per un altro caso in cui Benvenuto utilizza Pipino cfr. Delle Donne (1997, 737 n. 3). 117 Il testo dell’inaffidabile edizione moderna è confermato da uno dei manoscritti più autorevoli, il ms. Conv. Soppr. I.I.30 della Bibl. Naz. di Firenze (seconda metà del sec. XIV) che si stampa nell’appendice B (ringrazio Massimiliano Corrado per avermene fornito una riproduzione). Possiamo escludere dunque che si tratti di un’interpolazione più tarda. 118 Sostenuto da Bellomo 1980 ma sulla base di prove non incontestabili (cfr. De Medici 1983). 119 Per una sintesi sui problemi testuali dell’opera villaniana cfr. Gualdo/Palermo (2001, 380-383).


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uno savio e valente cavaliere e signore stato dell’isola di Procida, chiamato messer Ianni di Procida»120.

In effetti, «la conoscenza precoce, cioè anteriore alla pubblicazione, della Cronica di Villani» costituisce uno dei non pochi punti di contatto tra l’Ottimo e il Lancia. Secondo Azzetta (2003, 23), Villani è «assiduamente compulsato e spesso citato letteralmente dal Lancia», sebbene «le chiose non sopravanzano il libro IX (ed. Porta), comportandosi come se i successivi non fossero ancora stati scritti o, comunque, come se non fossero disponibili»121. È lo stesso Villani a trasmettere probabilmente l’idea dell’oltraggio a Boccaccio e Petrarca (Amari I, 146; Sicardi 1917, X n. 2). Petrarca (Itinerarium ad sepulcrum Domini) si limita ad accennare all’ardimentosa vendetta di G. contro Carlo: «Vicina huic [i.e. Isclae] Prochita est, parva insula, sed unde nuper magnus quidam vir surrexit, Iohannes ille qui formidatum Karoli diadema non veritus, et gravis memor iniurie, et maiora, si licuisset ausurus, ultionis loco habuit regi Siciliam abstulisse» (ed. Stoppelli 1997).

Boccaccio invece insiste sulle ambages di G. (De casibus, IX 19)122: «Hinc, fabricante Fortuna dolos, tam avaritia quam luxuria suorum Syculis gravissimus factus, actum est ut violata pudicitia coniugis Iohannis de Procida, nobilis et astutissimi viri, adeo egre Iohannes ferret, ut ad communem votum vires omnes ingenii excitaret, nec minori labore quam sagacitate per biennium hinc inde discurrens incognitus, optimatum Sicilie animos, imperatoris Constantinopolitani, Petri Aragonum Regis, et Nicolai pontificis maximi in eandem deduxit sententiam; et ex composito, die eadem irritato apud Panormum tumultu, omnis insula in Gallos commota, omnes ad unum usque perimeret» (Ricci/Zaccaria 1983, 818). 120 Dal ms. della Bibl. Naz. di Firenze II.I.39, autografo del Lancia, anteriore al 1343 (Azzetta 2003, 19). Ringrazio Luca Azzetta, che ne ha in corso l’edizione, di avermi fornito una trascrizione della glossa, riprodotta nell’Appendice C. 121 Del resto Andrea Lancia doveva conoscere personalmente Giovanni Villani, dal momento che nel marzo del 1338 testimonia in suo favore per il recupero di un manoscritto «qui dicitur liber Dantis Alligherii» (ibid.). 122 Cfr. anche Decameron, II 6: «avvenne che il re Piero da Raona per trattato di messer Gian di Procida l’isola di Cicilia ribellò e tolse al re Carlo» (Branca 1987, 212). La novella sesta della V giornata ha come protagonista Gianni di Procida, che, come svela Ruggeri di Lauria a Federico III di Sicilia, «è figliuolo di Landolfo di Procida, fratel carnale di messer Gian di Procida, per l’opera del quale tu se’ re e signor di questa isola» (ibid., 657).


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La novella XXV 1 del Pecorone di Ser Giovanni Fiorentino (1380ca.), dedicata ai nostri fatti, riproduce alla lettera, come avviene in altri 31 casi, la Nuova Cronica (Esposito 1974, p. XXII). Da Villani traggono la leggenda anche Simone della Tosa e la Cronaca di Partenope (Amari II, 7-8). Insomma si può dire che la fortuna della leggenda sia stata ovunque fagocitata da Villani, salvo in Sicilia dove essa conosce col Rebellamentu uno sviluppo originale. La tradizione manoscritta continentale si arresta alla metà del XIV secolo, proprio quando comincia quella siciliana, che si spinge fino al XVI secolo e, per motivi eruditi, anche più in là. Attraverso Reb, la leggenda raggiunge la Spagna – dove Zurita postilla un codice del testo siciliano e lo utilizza nei suoi Anales (1562) – e, per altri versi, si folclorizza, arrivando fino ai racconti e ai canti popolari dell’età moderna raccolti da Pitrè (1882). Villani trasmetterà la leggenda anche alla storiografia rinascimentale e moderna: a lui si deve se essa, fino alla vigorosa revisione di Amari, avrà valore di storia vera.

13. CRITERI DI EDIZIONE A proposito dei rapporti tra i nostri testi, Michele Amari (II, 199), con la consueta sensibilità filologico-linguistica, scriveva: «In vero qui non son da confrontare de’ codici, mutati in qualche luogo, volontariamente o no, da’ copisti, sì che possa disegnarsi con certezza l’albero genealogico delle copie. Abbiamo invece delle mezze parafrasi e mezze traduzioni da dialetto a dialetto, nelle quali lo scrittore si sente libero a fraseggiare e può toglier via senza scrupolo le parole e i fatti che non accomodino a lui o all’umore della sua consorteria politica, e soprattutto può aggiugnere nuovi particolari ch’egli abbia uditi o letti».

In effetti siamo di fronte a una situazione ben nota nel mondo romanzo medievale. Da una parte abbiamo una tradizione manoscritta disinvolta che altera liberamente il testo tradito. D’altra parte si riscontra un fenomeno di «commutazione linguistica» (Varvaro 1996, 532), per cui un testo viene automaticamente adattato alla varietà del luogo in cui si trascrive. Questi processi rendono labili i confini, da un lato, tra copia e rimaneggiamento, dall’altro tra copia


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e traduzione123. In sede editoriale, di conseguenza, non si potranno fondere le varie versioni per ricostruire un testo originario i cui caratteri concreti inevitabilmente ci sfuggono. Come scrive Alberto Varvaro (1970, 602), «se lo studio della tradizione permette di fissare i rapporti reciproci fra i testimoni senza però mostrare una tale omogeneità fra di loro od offrire tali indizi da guidare con sicurezza nella ricostruzione dell’archetipo (o dell’autografo), converrà scegliere come base il ms. più autorevole dal punto di vista della competenza».

La soluzione al problema editoriale passa dunque per una disamina delle caratteristiche dei singoli testimoni. In generale si può dire che Lib sembra conservare più fedelmente l’andamento del testo originario124, Leg mostra una certa propensione all’abbreviamento, Tes una notevole libertà rielaborativa, Reb una spiccata tendenza ad aggiungere zeppe, glosse, amplificazioni. Quanto alla qualità del lezione, Leg e Reb si dimostrano migliori, mentre Tes e Lib presentano errori grossolani e frequenti. Come si è detto, a Reb è dedicata un’edizione autonoma. Quanto ai testi continentali, la soluzione che mi è sembrata migliore è quella di dare un’edizione critica di Leg con interventi cautamente correttivi, affiancata da un’edizione interpretativa di Tes e Lib. La preminenza accordata a Leg ha molteplici giustificazioni: si tratta innanzitutto della versione che ha la tradizione relativamente più ricca, perché attestata dal frammento magliabechiano oltre che dal manoscritto estense; nella scelta del testo di riferimento, inoltre, Lib è escluso per la sua veste linguistica settentrionale, mentre tra i testi toscani la preferenza non può andare che a Leg che, pur essendo più

123 A dire il vero il passaggio dal toscano alle altre varietà continentali si configura come un caso di commutazione, quello dal toscano al siciliano piuttosto come un caso di traduzione: «si tratta di due lingue autonome e in sé compiute, per cui il passaggio dall’una all’altra non avviene con una graduale assimilazione (e con le relative conseguenze di ibridismo linguistico che un simile processo comporta), ma nei modi rapidi e netti della traduzione» (Bruni 1980, 203). In termini scolastici, dunque, la differenza tra siciliano e toscano è una differenza sostanziale e non accidentale: il siciliano, per motivi certo sociolinguistici e non strutturali, viene considerato non come un idioma dell’italiano ma come una lingua a sé stante (Varvaro 1996, 533). 124 Pur presentando, come abbiamo visto, due casi di macro-varianza (§§ 36 e 44).


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bassa nello stemma, appare per le caratteristiche sopra indicate più “competente” di Tes125. Si aggiunga che vi è una non remota possibilità che il codice estense latore di Leg conservi in parte il carattere linguistico del testo originario e anche un progetto editoriale nato in ambienti prossimi alla fonte (cfr. §§ 10 e 11)126. L’edizione sinottica permette d’altra parte di preservare l’individualità delle singole redazioni che, come abbiamo visto, appare molto marcata anche a livello ideologico. Nel testo di Leg – oltre agli errori del manoscritto estense, corretti con l’ausilio del frammento magliabechiano – si correggono gli errori singolari di Leg e gli errori comuni a Leg e Lib. Si conservano, marcati da cruces, gli errori che risalgono all’archetipo dei testi continentali y e al testo originario x. Non si correggono le innovazioni singolari di Leg e le innovazioni comuni a Leg e Lib: si è fatta un’eccezione però per le omissioni, la cui correzione tocca in maniera meno invasiva il testo ed è mentalmente espungibile dal lettore. In tutti i casi in cui non si interviene, la possibilità di ricostruire in astratto la lezione originaria si discute nel commento. Nella trascrizione si impiega il corsivo per lo scioglimento delle abbreviazioni, le parentesi quadre per le letture incerte e per la correzione degli errori, le parentesi aguzze per le integrazioni. In tutti i casi il restauro è fatto seguendo l’uso del manoscritto estense, ma non nelle particolarità grafiche127. Il testo di Tes e Lib è corredato delle sole note paleografiche. Le correzioni si limitano alla soppressione di parole ripetute e alla segnalazione di lacune (<...>). Le abbreviazioni sono sciolte tra parentesi tonde; le lettere poco leggibili sono tra parentesi quadre. Le porzioni di testo irriducibili a un senso sono circondate da cruces128.

125 Per il fatto che la competenza di un manoscritto non si identifica con la sua posizione stemmatica cfr. Varvaro (1970, 592). 126 La preminenza data a Leg ci assolve retrospettivamente dal bisticcio segnalato nella n. 2, in quanto la Leggenda appare il testimone per eccellenza della leggenda. 127 Nell’apparato si fa riferimento per default al manoscritto estense (E), F indica il frammento magliabechiano, Leg la lezione concorde di E ed F. 128 In tutti gli apparati si usa il trattino <-> per indicare l’interruzione di riga, la barra </> per indicare l’interruzione di colonna o di pagina. Per la giustificazione dettagliata dei criteri impiegati nella trascrizione dei manoscritti si rimanda alla Nota ai testi.


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L’edizione è seguita da un commento in cui si discutono i problemi filologici, linguistici ed esegetici. Seguono una descrizione dei manoscritti e uno studio delle loro caratteristiche linguistiche, che costituiscono la base documentaria di tutto il lavoro129. Chiudono il volume gli indici dei nomi e delle voci commentate.

129 Per le caratteristiche codicologiche e linguistiche del frammento magliabechiano si rimanda a Barbato (2010d). Nello studio linguistico, si citano come identiche anche forme differenziate dalla presenza di un’abbreviazione, se questa non tocca il fenomeno in questione. Le opere di riferimento e le varietà linguistiche sono citate secondo le sigle del LEI.



APPENDICE A LA MENZIONE DELLA LEGGENDA 1

NEI CODICI DEL TESORO VOLGARIZZATO

G1, c. 59v: ... e tutto questo fatto della p(er)dita del reame ordinò un savio huomo ch’era essuto del re Charlo e suo chavaliere et suo rubello, e avea nome mess(er) Gia(n)ni di P(ro)cida. Et p(er) le grande ingiurie che lla giente del re Charlo facieva loro sì ordinoro(n) loro questo. E ’l detto mess(er) Gia(n)ni la diede a dom Pero re di Raghona col consentimento e co· l’aiuto del Palglialoco da parte di moneta, e con altro aiuto e col suo se(n)no grande se(n)no. E di ciò sappiate ched e’ sarebbe lungha mena a scriverlo tutto p(er) ordine. V1, 40v: ... (e) tutto q(ue)sto facto de la p(er)dita del reame ordinò uno savio huomo ch’era issuto del re Karlo (e) suo ch(avalie)ri (e) suo rubello (e) avea nome miss(er) Gianni di Procida. E per le grande ingiurie ch(e) la ge(n)te del re Karlo faceano loro sì adivenne loro q(ue)sto. E ’l detto miss(er) Gianni la diede a don Pietro re di Raona co(n) co(n)sentime(n)to (e) coll’aiuto del Paglialocho da parte di moneta, (e) co(n) altro aiuto (e) col suo grande se(n)no. E di ciò sapiate che serebe lunga mena a scriverlo tucto p(er) ordine. Br, p. 8: Et sappiate che tutto questo fatto ordinò un savissimo huomo e gentile il quali era chavaliere (e) medicho ed avea nome mess(er) Gianni di P(ro)cida, il quale era rubello del re Charlo (e) ciò gli era i(n)tervenuto p(er) le molte ingiurie che gli erano state fatte [e p(er)ò si .....................] del paese (e) tutto ciò ordinò p(er) lo suo grande senno choll’aiuto del Palglialocho (e) chon quello del re di Francia (e) chon lettere ch’ebbe da l’apostolicho di Roma celatamente (e) da certi grandi gentili huomini de la detta isola di Cecilia; sì che la fece rubellare e dal re Carlo e fune singnore Piero re di Raona. (E) a chontare il fatto tutto p(er) ordine sarebbe lungha mena ma [...] brievemente detto a le meno parole ch’avemo potuto. 1

Cfr. sopra, n. 103.


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APPENDICE A

L1, c. 68r: Et sappiate che tutto questo ordinò un savio huomo il quale era rubello de-rre Charlo per le grandi ingiurie ch’eran fatte a llui ed algli altri cittadini del paese (e) ed [sic] ebbe nome questi mess(er) Gian di Procida (e) fece tanto da monte e da valle e tanto p(ro)chacciò chol suo se(n)no et choll’aiuto altrui che la diede a mess(er) Piero re di Raona, (e) chol tesoro che ’l Palglialocho (e) ’l re di Francia vi misero. Et ciò sappiate che sarebbe lungha mena a scriverlo. S, c. 45r: Et sappiate che tucto questo ordinò un savio homo il quale era ribello del re Karlo p(er) le grande ingiurie ch’eran facte a llui (et) ad [sic] algli altri cetadini del paese, et ebbe nome questi mess(e)re Gian di Proccia (et) fece tanto da mo(n)te et da valle (e) tanto procacciò col suo senno (et) coll’aiuto altrui che la diede a mess(er) Piero re di Raona, (et) col tesoro che ’l Palglialocho e ’l re di Francia vi misero. Et ciò sappiate che sarebbe longa mena a scriverlo. C, c. 60r: E sappiate che tutte queste chose (e) questa perdita dell’isola di Cecilia ordinò un savio huomo il quale era grande medicho (e) chavaliere ed era rubello del re Charlo (e)d avea nome mess(er) Gianni di Procida. Et p(er)ché la gente del re Charlo facea loro tante ingiurie sì avenne loro questo (e) il detto messere Gianni ne venne a quello che disiderava in suo chuore. E sappiate che la detta Cecilia died’elgli a mess(er) Piero re di Raona, quelgli ch’avea p(er) molgle la filgliuola de· re Manfré, (e) grande aiuto a cciò vi fece il Palglialocho da parte di moneta, sicché choll’aiuto di chostui (e) chol senno di questo mess(er) Gianni sì ssi ve(n)ne a ffine di questa inpresa. (E) a dire di tutto a motto a motto sì ssarebbe lungha mena a scriverlo (e) p(er)ò l’abiamo detto brieveme(n)te al meno parole che potemo p(er) più abreviare il fatto che a cciò apertiene.


APPENDICE B LA NARRAZIONE DEL VESPRO NELL’OTTIMO COMMENTO

2

Palermo si rubelloe da Carlo re di Cicilia per lo tractato cercato et mosso per messer Gianni di Procida, et uccisoro li palermitani il justitiere che v’era per lo re co(n) tucti li francischi che vi erano. (E)t poco tempo passando alla sommossa d’i palermitani, si rubelloe Messina et tucte l’altre terre di Cicilia, et tucta la gente che v’era per lo decto re uccisoro et captivaro. Et la cagione foe secu(n)do che dice lo testo la iniuria i(n)co(m)portabile et molestia da no(n) potere sofferire la quale li oficiali et familgle del decto re faceano alli ysolani di Cicilia, sì come è scripto di sopra... Li francischi per le [.....] avute sotto il dicto re Carlo tractavano li ciciliani et li puglesi per servi, per la qual cosa molti de’ buoni del Regno et di Cicilia s’erano partiti e rubellati. Intra li quali il sop(ra)scripto messere Gianne, segnore stato dell’isola di Procida, per suo senno et industria pe(n)soe torbare il dicto passagio et indibelire le forçe reale. Secretamente andoe in Constantinopoli al Paglaloco per due volte (et) mostrolli la via di suo scampo, ciò era la rubellione di Cicilia la quale promecteva fare per intervenimento de sua pecunia, aiuto de’ baroni di Cicilia, co(n) consentimento de Papa Nichola delli Ursini et força de gente d’arme del re Piero d’Araona, interprenditore di ciòe però che a llui si dovia la Cicilia per hereditagio della reina Costança sua molgle. Et avuto l’assentimento del decto Paglaloco et sue lectere et ambasciaduri (et) presenti et moneta, tornò in Cicilia (et) palesoe lo incomenciato tractato a messere Alamo da Lentino, messere Gualtiere de Catalagirone et a messere Palmieri Abate in [sic] maggiori et più odiali del re c’avesse l’isola, dalli quali prese lectere et ando(n)ne al re d’Aragona. Appresso ne venne in corte de Roma in habito de frate minore (et) parloe a papa Nichola, il quali illi indusse all’assentimento della rubellione sì per moneta sì per compassione dell’affliççione delli ciciliani, sì per indignatione conceputa contra il re Carlo per lo rifiutato parentagio. Dal quale avute lectere sigillate col secreto sigillo, tornoe al re d’Araona, anno MCCLXXX. Poi diriççò sua via a ddar l’ordine alla cosa in Cicilia, ma papa Nicchola morie in questo tempo, ciòe fue nel MCCLXXXI d’agosto a Viterbo. (Et) depoli [sic] V mesi fu facto 2

Cfr. sopra, n. 117.


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APPENDICE B

papa messere Symone dal Torso di Francia, poi chiamato papa Ma(r)tino quarto, molto amico del re Carlo. Et nel decto anno messere Gianni di P(ro)cida colli ambasciaduri et cu(m) moneta per che facesse la inpresa et co(m)minciasse l’armata <...> sup(ra) la quale cosa il re molto dubita(n)do, sì p(er) la pote(n)ça del re Carlo et della Chiesa come per la morte de papa Nicchola et creatione de papa Ma(r)tino, per le suasioni de messere Gianni co(n) molta fatiga retornoe al tractato; il quale di ricapo iuroe, acce(n)de(n)dolo il desiderio del regno, acciòe amore de vendicare il suo avolo, la presentata moneta et la devotione de’ ciciliani. Fece gridare l’armata et bandire soldo a cavallo (et) a piede, dicendo d’andare sopra Saracini; per la qual cosa se offerse a llui in moneta et gente il re di Francia suo cognato et poi la Chiesa di Roma, no(n) meno per susspictione c’avea di lui che per afecto c’avesse alle sue opere. Quelli sotto genere celando il luogo dove dovea, ne prese moneta dal re di Francia. Appresso, nel MCCLXXXII, il lunidì della Pasqua res(ur)rectionis d(omi)ni, die XXX martii, sì come per messere Gianni era ordinato, li baroni et caporali di Cicilia che comunicavano la rubellione ve(n)nero a pasquare i(n) Palermo il giorno si facea la festa a Mo(n)reale, lungi di Palermo tre milgla, alla quale l’isolani come i franceschi andavano a piede et a cavallo. Dove andando uno francescho per rogolglo prese una do(n)na palermitana per farle villania; alla q(ua)le gridando il co(m)mosso populo trasse, (et) per li familiari di dicti baroni si comi(n)cioe a defendere la donna. Onde nacque battalgla tra’ franceschi et li ciciliani, et morti et feriti assai da ciasscuna parte. Li ciciliani fuorono vinti onde si trassono alla citade et quivi, come dice la lectera, prendendo arme gridarono “muoiano, muoiano li franceschi”. Alla voce seguio l’opera, dove fue mo(r)to il justitiere che v’era per lo re et tucti li franceschi. Li baroni ciciliani si tornarono alle loro terre et fecioro el somilglante, salvo che Mesina ritardoe alquanto (et) poy fecioro più che lli altri. Et morirone in Cicilia più di MMMM franceschi. In q(ue)sto tempo era il re Carlo in corte, dove avuta la novella si co(m)pianse di ciò al papa (et) alli principi (crist)iani et li richiese i(n) suo adiutorio. Li palermitani pentuti, sente(n)do il grande apparechiame(n)to che ’l re Ca(r)lo facia, ma(n)daro in corte chiedendo p(er)dono et no(n) fuoro uditi. Il re mo(n)toe in su la Cicilia co(n) moltitudine di cavalieri et di peduni, et puse l’assedio a Messina, i quali nullo perdono trovavano illui. Et lasciate le correrie, li assalti della citade et l’altre cose molte, il re d’Araona venne a Palermo (et) superbe lectere ma(n)doe al re Carlo, che ssi partesse della sua ysola. Poi ma(n)doi il suo amiglaglo [sic] messere Rugiere de Loria cum LX galee sottili armate alla bocca del Far de Messina per impedire il foraggio dello re. Onde il re Carlo per co(n)silglo de’ soi baroni si levoe da oste temendo il pericolo di XXVII di sette(m)bre MCCLXXXXII, et tornoe in Calavria co(n) molta dolgla, da(n)no et unta.


APPENDICE C 3

LA NARRAZIONE DEL VESPRO NEL COMMENTO DI ANDREA LANCIA

E dice che questa Cicilia s’elli fosse più tempo vivuto avrebbe avuti per re i miei discendenti, il quale sono nato per padre di Karlo della casa di Francia e per madre della figliuola di Ridolfo re delli Romani. E sogiugne quale fue la cagione che Cicilia non aspettò d’avere re de’ suoi discendenti, ciò fue la mala signoria che li Franceschi faceano in Cicilia, la quale mala signoria mosse i palermitani a gridare e uccidere i Franceschi, onde tutta l’isola si rubellòe al re Karlo suo avolo. Anno Domini mcclxxviiii, regnante Karlo in Cicilia e apparecchiando stuolo sopra lo Paglialoco di Costantinopoli, li Franceschi teneano li Ciciliani e li Pugliesi per meno che servi. Per la quale cosa molta buona gente di Cicilia e del regno s’erano rubellati, intra ’ quali fue uno savio e valente cavaliere e signore stato de l’isola di Procida, chiamato messer Ianni di Procida. Questi trattòe col Paglialoco che mise moneta e con papa Niccola terzo delli Orsini che assentìe e con don Piero re d’Aragona che mise la persona e le genti d’arme e con messer Alano da Lentino e messer Palmieri abate e messer Gualtieri di Catalagirone, maggiori baroni de l’isola. La rubellione di Cicilia, la quale si compiée nel mcclxxxii, lunedì della Pasqua di resurexio, dì xxx di marzo, il quale dì, secondo l’ordine dato, tutti li baroni e caporali de l’isola che intendeano alla detta rubellione furono nella cittade di Palermo a pasquare. E andando li Palermitani, huomini e donne e femini, alla festa di Monreale presso a Palermo a tre miglia, uno Francesco prese una donna di Palermo per farle villania. La donna cominciòe a gridare, in cui aiuto trassoro i Palermitani, onde nacque grande battaglia tra ’ Franceschi e li Ciciliani, e furono morti assai da catuna parte, ma più de’ Palermitani. Li quali fuggendo nella cittade, armati gridando: «Muoiano li Franceschi», secondo l’ordine combatterono e presoro il vicario del re, e quanti Franceschi furono trovati furono morti. E così poi si fece per tutta l’isola di Cicilia.

3

Cfr. sopra, n. 120.



EDIZIONE SINOTTICA


90

LEG

Inc. Qui comincia la legenda di messere Gianni di Procida. Manca in F; Procida] -da nel rigo successivo

0. 1 Volendo dimostrare apertamente a ciascheduno il gran peccato e ’l perilglioso fallo che fece e contrasse messere Gianni di Procida inverso lo re Karlo, di sì grande tradigone che fece e commise, one si duole et piange la Ecclesia di Roma e lla casa di Francia e loro amici, 2 e però prego l’Altissimo Singnore e Magistro fino che mmi doni gratia e vertude in mia lingua et in mia mente di ricordare e discrivere tucto ’l tenore del facto e ’l modo come el dicto perfido homo fece rubellare l’içola di Cicilia dalla singnoria del gran re Karlo, <re di Gerusalem e di Cicilia, e di Provenza conte>. 1. perilglioso] F pericholoso; fece e] F fece @@@ 2. Magistro] F maestro; discrivere] F discenere; del gran] F de lo; re di Gerusalem... conte] Leg om.


TES

LIB

91

0. 1 E p(er) melglio divisare la storia del fatto, sì come Dio dona diritta sententia e del grande stato viene a piccholo, p(er) la volontade e p(er) lo piacim(en)to di Dio è be(n) gra(n)di periculi, in volendo dimostrare in tutto ap(er)tamente lo grande savere e ’l pirilglioso affanno lo †quele† fece lo grande savio ho(mo) mess(ere) Gianni di Procita in(con)tra lo grande e getile ho(mo) mess(ere) lo re Carlo, sì che sempre piange e puote piangere la casa di Francia a lla Chiesa di Roma e tutti loro amici e benivolglie(n)ti e chi à a lloro †attinene†, 2 e acciò sì priego il somo mio fattore e maestro p(er)ké mi doni gra(tia) e virtude di s(er)vire (e) ricord(a)re il tinore (e) †falto† e ’l modo sì come la t(er)ra di Cicilia fue tolta e rubellata dalla sengnoria del gra(n)de ho(mo) mess(ere) lo re Carlo, re di Gerusalem e di Cicilia e di Provenza (con)te.

1 Se voleti ascoltare (et) i(n)tende(re), o· eu v’ò contare e dimo(n)strare ap(er)tamente lo gra(n) peccato (et) uno p(er)icoloso fallo che feze (et) ordinò miss(er) Giani d(e) P(ro)cita d(e) Salerno i(n)(con)tra lo re Karlo, di sì grande tradixone che fez’e (con)trase, onde sì se dole (e) pia(n)ge la Gesa de Roma e lla cassa d(e) Fra(n)za e lor amici, 2 e p(er)ò p(re)go lo meo factore magistro fino che a mi done gracia e v(er)tù e dia ala mia lingua bona memo(r)ia de recordarve e d(e)scrive(re) il tenore del fato e ’l modo. El dito p(er)fido homo miss(er) Giani feze rebellare l’isola d(e) Cicilia dala segno(r)ia d(e)l gra(n)d(e) re Karlo, re d(e) Cicilia e d(e) Gerusalem, e d(e) P(ro)henza (con)te e d’Angiò.

1. precede E sì come piacque alla divi(n)a provedenza, k’è madre di tutta provedenza (e) giustitia, I valente ho(mo) del reame di Cecilia, il quale i· re Carlo avea fatto e sua familglia molto onta e danagio ed era suo rubello, il quale avea nome mess(ere) Gianni di Proccita medico e cha(valiere) dello ’mperadore Federigho di Soave, sì provide i(n) suo cuore di q(ue)ste cose menare a nie(n)te ke re Carlo avea inpreso, di recarle a nie(n)te in tal maniera ke suo intendimento verrebbe in tutto fallito

1. precede di altra mano libe(r) zani d(e) p(ro)cita (e) palioloco


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1. 1 Dico acciò che nel M CC LXXVIIII il decto re Karlo avea impresa una guerra col re di Grecia el quale è appellato Pallialoco; 2 <e fece armare molte navi e galee per passare in Grecia con tutto il suo sforzo>, et avea convitata tucta la baronia di Francia e <di Provenza e> di Talia per vincere e sengnoregiare Grecia. 3 Allora il dicto perfido horibile messere Gianni stando nell’isola di Cicilia pensò siccome potesse strugere e menare il dicto passagio al neente et come potesse uccidere il dicto re Karlo e come potesse rubellare il Regno tucto. 4 Et siccome [pi]acque al n[im]ico che lui menava, venneli pensato d’andare in Grecia per [p]arlare al dicto Pallialoco a ordinare [e a] pensare che ’l suo pensero venesse in affecto. 2. e fece... sforzo] Leg om.; di Provenza e] Leg om.; di Talia chiaramente separato e con la maiuscola, F ditalia @@@ 3. al neente] F a la mente @@@ 4. piacque] ipacque, F piaque; nimico] im poco leggibile; parlare] larlare, F parlare; e a] (e) di, F ed a

2. 1 Allora si [partio] missere Gianni et misesi in mare andando verso quello Pallialoco; 2 et in quello tempo giunse in Costantinopoli et mandò per due cavalieri i quali erano rubelli del re Karlo ed accontosi co-lloro celandosi multo per quello per che venia in quele parti. 3 Et quelli lo dimandarono perch’elli [era venuto]; ed e’ rispuose e disse com’era discacciato di [sua terra «e vo per lo mondo procacciando] <mia ventura e> mia vita, onde priegovi che mmi accontiate col Pallialoco, che sse mmi volesse a familgliare volonteri dimorerei co-llui. 4 Et priegovi che mmi accontiate e menateme dinançi da lui. E diteli siccome io sono di grande essere et di savio consilglio [e ch’io sono] uomo che ssa d’ongne mestieri». 5 I cavalieri udendo questo fuoro allegri e disseno che volonteri farranno quella ambasciata. E fuoro andati dinançi al Pallialoco et disero: 6 «Messere, così ti diciamo che noi t’apportamo buone novelle, che de· regno di Cicilia è venuto il milgliore magestro di fiçica che ssia al mondo, il


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1.

1 Di[ce] che nel tempo e nell’ano di M c II LXX q(uan)do ’l detto re Carlo avea inpresa una guerra collo re de’ creci k’era appellato Paglialoco. 2 (E) avea fatte fare molti navi e galee p(er) passare in Crezia con tutto suo podere. E avea (con)vitata tutta la buona gente di Franza (e) di Proenza (e) di tutta Talia p(er) passare (e) p(er) vincere (e) p(er) suggiugare Grecia. 3 I(n) quello tempo uno rubello del re Carlo, lo quale avea nome mess(ere) Gianni di Proccita, era in Cicilia e vedea fare l’aparecchiamento del re Carlo, pessosi come potesse istu(r)bare e menare a fine di neente ciò che llo re Carlo avea pe(n)ssato di fare e come potesse rubellare la Cicilia. 4 E disengnò tutto come piacque alla divina provedenza, venegli pessato d’a(n)dare in Crecia p(er) parlare al detto Palglialoco (e) a tratare come suo pensiero venisse inn affetto.

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1 Che en M CC LXXVIIIIor miss(er) lo re Ca(r)lo aveva p(re)so una guera colo re d(e) Grecia chi era giamato Palioloco. 2 E feze armare multe d(e) nave e d(e) galee p(er) pasare i(n) Grecia (con) tuto il so isforzo. Et erano invitata tuta la bona zente d(e) Fra(n)za e di P(ro)ve(n)za e d’Italia p(er) ve(n)ce(re) e seg(n)oreza(r)e. 3 Alora il dito pessimo crud(e)le miss(er) Giani d(e) P(ro)cita istando en l’isola di Cicilia pensò como ello potesse d(e)strure e mena(r)e il pasage ch’avea lo re Ca(r)lo ordinà sovera lo Palioloco a niente, e como potesse cade(re) e d(e)stru(r)e e mena(r)e a mo(r)te lo Re Ca(r)lo, e cho’ se potesse rebella(r)e il Reg(n)o di Cicilia tuto. 4 Como piazé al’inimico che ’l menava e ’l teneva, venegli pe(n)sato d’anda(r)e i(n) G(re)cia p(er) parla(r)e col dito Palioloco a pe(n)sare como il so pe(n)sero venisse i(n) affetto.

1. precede Come mess(ere) Gianni di P(ro)cita si p(ro)cacciò di fare rubellare la Cicilia. CVI.

1 Allora il detto mess(ere) Gianni si partio celatamente p(er) mare e andone inv(er)so il Palglialoco. 2 E giunsse in Co(n)stantinopoli (e) mandoe p(er) due cha(valieri) del Rengno quali erano suoi amici e rubelli del re Carlo e ra(con)tossi co-lloro celando sé molto che venia. 3 Q(uan)do quelli il domandaro p(er)ké, ed elli r(ispuose) loro (e) disse: «Io vengno sì come ho(mo) discacciato di mia t(er)ra e voe p(er) lo mondo procacciando mia vintura (e) mia vita. Pregovi come m’amate che io sia p(er) voi s(er)vito e racoma(n)dato al Palglialoco, †semilgli† mi volesse p(er) familgliare, che volentieri dimorrei collui. 4 Priegovi ke mi pongniate avanti lui, <...> ch’io sia di molto grande essere e di savio (con)siglio e k’io sia ho(mo)

2.

1 Allora sì se pa(r)tì miss(er) Giani d(e) P(ro)cita p(er) so †pe(n)seron† (et) i(n)trò i(n) ma(r)e (et) andò v(er)so q(ue)lo Palioloco. 2 E giunse i(n) (Con)sta(n)tinopolo e ma(n)dò p(er) dui cavaler li qualli erano rubelli d(e)lo re Ca(r)lo (et) aco(n)tosse a loro multe zellatam(en)te p(er) q(ue)lo che ve(n)ia i(n) q(ue)le pa(r)te. 3 E q(ue)le li doma(n)dò p(er)q(ué) era venuto. E q(ue)llo rispose «sì co(m)’homo d(e)scazato d(e) sua t(er)a e vome p(er) lo mu(n)do p(er)cazando mia vita. P(er)ò vi p(re)go che mi a(con)tati col Palioloco: se me volesse a famegla, volo(n)tera demorareve co lui. 4 E p(re)gove che mi a(con)tate e metiteme ava(n)te lui, <...> d(e) gra(n)d(e) ess(er)e e sono homo che sa d’og(n)e


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quale viene a stare al vostro servitio; 7 e diciamvi di certo che questi è ’l più savio homo che ssia e del più savio consilglio, et colui che melglio sa i facti del re Karlo et d’i baroni di llà da’ monti». 1. partio] parte, F partì; verso quello] F inverso questo @@@ 2. rubelli del] F rubellati da; per che] F che; quele] F quelle @@@ 3. era venuto] venia, F era venuto; sua terra... procacciando] om., F sua t(er)ra e vo per lo mondo procaciando; mia ventura e] Leg om. @@@@ 4. priegovi] F vi pregho; accontiate] F achonciate; diteli] F chontateglimi; di grande essere] F d’essere; e ch’io sono] Leg el mio ed; che ssa... mestieri] F di grande mestiere @@@@ 6. ti diciamo] F vi d.; t’apportamo] F v’a.; magestro] m. di Cicilia, F maestro; servitio] F servigio 7. colui] F que’; melglio] F me’

3. 1 Quando il Pallialoco intese questo fu multo allegro et comandò che fuosse menato dinançi da lui <nel palagio>, che ’l volea vedere. 2 Allora si mossero i dicti cavalieri e menaro il dicto missere Ganni dinançi al Pallialoco. Quando fu dinançi da lui, feceli riverença siccome a signore; e que’ [lo] ricevecte molto alegramente e fecelo suo magistro <generale> e co[n]silglieri. 3 Et dice che stando per due mesi in sua corte gli era facto multo grande honore da tucta gente ma da’ pulliesi e da’ ciciliani più, i quali n’aveano facto loro capo di lui. 1. nel palagio] Leg om. @@@ 2. dinançi] F om.; Quando] F e q.; feceli] F fece; siccome] F chome; lo ricevecte] lla r., F la r.; molto] F om.; magistro] F maestro; generale] Leg om.; consilglieri] con omissione del titulus, F chonsigliere @@@ 3. gli era] F ed eragli; loro] loror, F loro

4. 1 Dice che stando un giorno il dicto messere Ganni a solo col Pallialoco disseli: «Messere imperadore, ordina per Dio un secreto luogo di [parlare] nel quale luogo non si’ altri che voi e io et c’altri non puossa spiare di nostro consilglio nè ddi nostra credença». 2 Allora disse el Pallialoco: «Ch’è cciò, Ganni, che me volete parlare sì ssecretamente?». 3 Et quelli disse: «Per la magior cagione c’abbia


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da bisongnevole mistieri e molto valuto». 5 E’ due cha(valieri) udendo questo furo(n)o molto allegri e dissono ke volentiera farebono quella abasciata. Inmantenente furono avanti al Palglialoco, dissoro: 6 «Mess(ere), così ti diciamo ke noi ti reghiamo buone novelle, che del rengno di Cicilia è venuto uno nobile cha(valiere) il quale è milgliore fisicho che sia al mondo, lo quale viene a stare al vostro s(er)vigio. 7 E decemovi così †(con) questi elgli† migliore e ’l più savio ho(mo) ke sia e di più savio consilglo, (e) quelli che melglo sae i fatti del re Carlo, de’ baroni di là da’ monti».

magiste(re)». 5 Gi cavale(r)i audie(n)do q(ue)sto f[or]on multi allegre e disseno che volu(n)tera la farebeno q(ue)lla ambaysata. Et i(n)(con)tene(n)ti †andorve† al Palioloco e disseno: 6 «Mess(er), così ti diçamo che nuy te po(r)tamo bone novelle, che d(e)lo reg(n)o d(e) Cicilia c’è venuto lo melglor magist(r)o de fisica che sia al mu(n)do, lo quallo vene a stare al vost(r)o s(er)vixio. 7 E diçamo p(er) z(er)to che q(ue)sto è ’l pyù savio che sia e q(ue)lo che melgio sa li fati d(e)lo re Ca(r)lo e deli soy barone».

5. Inmantenente furono] I. furono furono

3. sua] precede altra lettera cancellata

3.

1 Quando lo Palglialoco udio questa cosa fu molto allegro, comandò ke fosse menato dinati da lui nel palagio, ke ’l volea vedere. 2 Allora si mosse gli detti cha(valieri) e menaro mess(ere) Gianni di Procita al Palglialoco. E quando fue dinazi da lui sì lgli fece reverenza come a ssingnore, ricevettelo allegramente e fecelo suo maestro g(e)n(er)ale. 3 Istando mess(ere) Gianni p(er) tre mesi in sua corte, i era fatto molto honore da tutta gente, ma da’ pulgliesi (e) da’ ciciliani via piùe, e fecelo loro capitano e singnore.

1 Qua(n)do lo Palioloco i(n)tesse q(ue)sto fue m(u)lte alegro e coma(n)doe che fusse menato a luy i(n)el palagio, che llo volia vede(re). 2 Allora se movò li diti cavale(r)i e †menarou† il dite miss(er) Giani d(e) P(ro)cita dava(n)ze al Palioloco. Qua(n)do fu dava(n)te luy fecelli rev(er)encia como a seg(n)ore, e q(ue)llo lo recevete alegram(en)te e fezello so magist(r)o gen(er)ale e (con)silgle(re). 3 E dice che sta(n)do tre messe i(n) soa cu(r)te eragli fato multe hono(r)e da tuta ge(n)te, †mando† a polglesi (et) a ceciliani, quasi l’avera(n)o fato lor capo.

1. precede CVII.

1 Avenne ke uno giorno stando mess(ere) Gianni a solo col Palglialoco e dissegli: «Mess(ere) lo ’nperadore, ordi(n)a p(er) Dio uno sacreto (con)siglio in uno luogho di parlare, lo quale luogho <...> he Dio (e) voi (e)d io, n(on) ci possa d’altrui ispiare n(ost)ro (con)siglio». 2 Allora disse lo Palglialoco: «Ke è cciò,

4.

1 Dice che stando miss(er) Giani a solo col Palioloco diselgle: «I(m)p(er)ato(r)e, hordina p(er) D(e)o uno segreto loco lo qualo sia segreto, che homo spiar no ’l possa lo nost(r)o (con)seglo». 2 Allora disse ’l Pallioloco: «Che è zò, Giani, che me vo’ p(ar)lar i(n) segreto loco?». 3 E q(ue)llo ’lor li disse: «P(er)


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[al] mundo <vi voglio parlare>, fate che così sia tosto, per Dio». 4 Allora dice che andaro di sopra alle torri di Costantinopoli, là ove sta il secreto luogo dil tesoro del Reame. 1. di parlare] di parte, F da parlare; che voi e io] F udito @@@ 2. volete] F voli @@@ 3. c’abbia al mundo] c’abbia il m., F ch’i’ abbia al mondo; vi voglio parlare] Leg om.; tosto] F (e) tosto @@@ 4. andaro] F n’andarono; dil tesoro] F e ’l t.

5. 1 E que’ disse: «Noi siamo qui bene sicuri: or dic[e]te messere Ganni ciò che vvi piace, che io sono vostro in tucto». 2 Allora disse messere Gianni: «Messere Imperadore, qual che ct’abbia per savio e per prode, io t’ò per lo contrario, <per stolto e per vile>, siccome [la] bestia che non sente s’ella non è toccata col pu[n]çuolo mortale! 3 Tre misi e più sono stato in tua corte e non t’ò odito parlare <nè pensare> del tuo pericoloso stato nè della morte ch’adosso ti vene nè ddi metterti a difensa di quello pericolo <ch’addosso ti viene>. 4 Or no· pensi tu, stulto e passo, che llo re Karlo ti vene addosso per torrte la corona e ’l reame tuo et occidere te [e ’l tuo] lengnagio? 5 e viene con colui che di ragione è [sua], ciò è collo imperadore Baldovino, 6 e venti indosso con tucti i cristiani crociati e con cento galee ben armate e con XX navi grosse e con [dieci milia] cavalieri bene armati e ben XL conti co-lloro masnada per conquistare tucta Grecia». 1. qui] F om.; dicete] dicte, F dite; in tucto] F om. @@@ 2. Messere Imperadore] F Inperadore; per stolto e per vile] Leg om.; contrario] F contradio; la bestia] bestia, F la bestia; sente] F si sente; punçuolo] con omissione del titulus, F punzuolo; mortale] mortale ho(mo) che ctu s-se, F mortale uomo che giàe @@@ 3. e non] F no(n); nè pensare] Leg om.; pericolo] F pericolos unito a or successivo; ch’addosso ti viene] Leg om. @@@ 4. e ’l tuo lengnagio] el reame tuo e·lengnagio, F e ’l tuo lengnaiago [sic] @@@ 5. sua] suo, F sua @@@ 6. cristiani m crociati] (crist)iani e crociati, F scristiani crociati; XX] F venti milia; dieci milia] V , F dieci milia

6. 1 Lo Pallialoco udendo questo cominciò fortemente a piangere e disse: 2 «Messere Gianni, che vuo’ tu ch’io faccia? ch’io sono come l’uomo disperato. 3 Io mi sono voluto conciare col re Karlo molte volte e non posso trovare co-llui acordo. 4 Io mi sono amesso alla Ecclesia di Roma e al papa e a’ cardinali et al re di Francia e a quel-


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mess(ere) Gianni, ke vuoli parlare così sacreto?». 3 E [qu]elli disse: «P(er) magiore bisongna k’abbiate al mondo vi volglio parlare: fate ke sia tosto p(er) Dio». 4 Allora n’andaro sopra la grande torre di Consta(n)tinopoli, là dove istà il sacreto tesoro del [rea]me.

lo maior besog(n)o che sia al mu(n)do ti volge pa(r)la(r)e, faite che zò sia tosto, p(er) D(e)o». 4 Allora dice: «O· andaremo sopra la porta d(e) (Con)sta(n)tinopollo là o’ è lo segreto loco» – lasùe sta il tesso(r)io d(e)l Palioloco.

1. Palglialoco] a sovrascritta @@@ 4. n’] la n ha tre aste di cui la prima espunta

1 E qui disse: «Ben siamo sicuri, or dite, mess(ere) Gianni, ciò ke a voi piacce, a dire (e) a ffare sono q(ue)llo ke vi piace». 2 Allora mess(ere) Gianni disse a mess(ere) lo ’nperadore: «Qual è quelli ke tt’abia p(er) savio, io sono quelli che t’òe per lo (con)tradio e p(er) istolto e p(er) vile, e ssè come la bestia che non si sente se non è toccata col pulgello mortale. 3 Ke tre mesi e più sono stato nella tua corte e n(on) t’ò udito parlare nè pensare del pericoloso tuo istato nè della morte ti viene [...]te(r)ti a riparo [nè in] difensa di quello pericolo c’adosso ti viene. 4 Or non pessi, istolto pazzo, ke lo re Carlo ti viene adosso p(er) torre a tte la corona (e) pe[........] te e tutto tuo lengnaggio? 5 E viene collui ch’è sua ragione la corona e ’l paese, cioè lo ’nperadore Baldovino, 6 e vienti adosso con tutti gli cristiani crocciati e con cento galee bene armate (e) (con) XX navi grosse e con X M cha(valieri) tutti bene adobbati e bbe· (con) XL (con)ti co(n) lloro masnade p(er) conquidere (e) pilgliare te e tutto tuo lengnaggio e reditaggio».

1 El Palglialoco cominciò a pessare fortemente e disse: 2 «Come vuo’ tue ch’io facia, me disperato, 3 (e) vivo e sono in aconciare collo re Carlo molte volte, no(n) posso trovare (con) lui acconcio nè concordia. 4 Io mi sono amesso alla Chiesa di Roma e al p(a)p(a) e a’ cardi-

5.

6.

1 E q(ue)llo disse: «Or siamo †uoy† bene i(n) seg(re)to loco: or dì, mis(er) Giani, zò che piaza i(n) tuto a voy». 2 Allora disse miss(er) Giani: «Imp(er)ato(r)e, cheuncha t’abia p(er) savio e p(ro), no, ch’eu t’ò p(er) lo (con)t(ra)iro, zoè p(er) stuldo e p(er) vilo, xì como la bestia che no si sente se non è tocata col coltello mortalle. 3 Che tri mesi e più so stato i(n) tua corte (e) no t’ò odito nè parlare nè pensare d(e)l to p(er)iculo <...> nì a d(e)fe(n)sa d(e) q(ue)llo p(er)iculo che adosso ti veni. 4 Or no pe(n)sa-tu, stulto e paço, che lo re Ca(r)lo ti ven adosso p(er) torte lo regname (et) occide(re) lo to legnazo? 5 E vene co luy q(ue)llo ki d(e) caxon è sua (Con)sta(n)tinopollo, zoè l’i(m)p(er)ator Baldoyno, 6 e ve(n)te adosso (con) tuti li c(r)istiani e (con) C galee ben armate e (con) XX navi grosse e (con) Xm cavale(r)i bene adobati e bene (con) XL (con)te co loro masnaderi p(er) (con)q(ui)de(re) te e tuta tua gente. E questo abie p(er) certo».

1 Lo Palioloco auda(n)do q(ue)sto com(en)zò forte a piange(re) e disse: 2 «Mess(er) Giani, q(ue) vole k’eu faza, y’ so como homo disp(er)ato. 3 Eu me son voluto a(con)za(r)e colo re Ca(r)lo m(u)lte volte e no(n) posse t(r)ovar co lui (con)zo v(er)uno. 4 Eu me sone tor-


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lo d’Inghilterra e a quello di Spagna e a quello di [Raona]; 5 et ciaschuno m’à dicto che pur delle lectere avevano paura di morte, nonché d’imprendere per me contra lo re Karlo, tanta è sua possansa. 6 Sicch’io mi nde sono indurato; e di ciò sarà ciò che piacerà a Deo, da ch’io non truovo aiuto da niuno cristiano». 2. vuo’ tu] F volete voi @@@ 3. voluto] vol-luto @@@ 4. amesso] F messo; Raona] Leg Roma 5. ciaschuno] F cascheduno; d’imprendere] F di pigliare; sua possansa] F la sua potezia

7. 1 Allora disse messere Gianni: «Messere Pallialoco, †mecteristi† tu neente chi ti levasse di dosso questo furore e questa morte?». 2 E que’ rispuose e disse: «Ciò ch’io potesse fare. Ma chi mi v’aterrebbe o chi sarebbe ardito?». 1. mecteristi tu] F metteres’tue @@@ 2. mi v’] F me ne

8. 1 E que’ disse: «Io sarò quelli che mecterò ad distrussione il re Karlo, se ttu mi vorrai dare adiuto. 2 Il meo sinno àe viduto ciò che biçogna. 3 Però ti piaccia de exultare te e me e gli altri suoi rubelli: ben vendicheremo l’onte nostre, se piace a Dio». 2. Il meo sinno àe] F al mio senno i’òe; de exultare] F d’asaltare

9. 1 Allora disse il Pallialoco: «In che modo?». E que’ disse: 2 «Il modo non ti dirò io; ma se mmi promicte di dare Cm oncie d’oro, io farò venire uno che torrà la terra <di Cicilia> al re Karlo e daralgli tanta briga che mai di cqua non passa». 3 Allora il Pallialoco fu multo allegro e disse: 4 «Tucto ’l tresoro mio pilglia se cti piace, e fa che così sia tosto». 5 Messere Gianni disse: «Or mi giurerete credença e


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nali e no mi vale, a· re di Francia e q(ue)llo d’Inghilterra ed a quello d’Ispangna e a q(ue)llo di Ragona: 5 ciascuno mi dissoro che pur delle lectere ànno paura di morte, nocché di volere pilgliare parte p(er) me (con)tra i· re Carlo, tanto è sua potentia e suo valore. 6 Sì ch’io vi sono indurito, e di ciò sarà quello che Idio vorrà, da che non truovo aiuto da nesuno (crist)iano».

nato ala Giessa di Roma (et) al papa (et) ale ca(r)dinali: no me valle niente; et allo re d(e) Fra(n)za (et) a q(ue)llo d’Ingaltera (et) a q(ue)llo d(e) Spagna (et) a q(ue)llo d(e) G(ra)nata: 5 v(er)uno d(e) q(ue)sti re no(n) †pou† t(r)ova(r)e (con)zo co luy, anzo †no† paura da mo(r)te d(e) lui che no(n) ci volone piar pa(r)te (con)t(ra) luy p(er) la sua possanza. 6 Siché eo me son i(n)durato, e di zò serà zò ke porà, da che no t(r)ovo aiuto da neuno (crist)iano».

1. precede CVIII

1 Allora mess(ere) Gia(n)ni disse: «Mess(ere) lo Palglialoco, mettererestevi voi mente ki vi levasse di dosso q(ue)sto furore e questa morte?». 2 E q(ue)lli risposse: «†Eccho† chio potesse fare o cchi me n’aterebe o cchi sarebbe ardito?».

7.

1 Et allora miss(er) Giani disse: «Mes(er) Palioloco, met(r)iste nie(n)te ki te levase d(e) dosso q(ue)sto furor?». 2 E q(ue)llo disse: «Zò o· chi potesse fare? Or chi serebe ta(n)to ardito?».

1. precede CVIIII.

1 E mess(ere) Gianni disse: «Io sarò quelli che metterò e menerò a struzzione lo re Carlo se tue mi vorrai dare aiuto. 2 El mio senno àie veduto ciò ke ne fae bisongno, 3 p(er)ò ti piaccia d’asultare te e me e gli altri suoi rubelli, ke vendicheremo l’onta n(ost)ra se piacerae a Dio».

8.

9.

1 El Palglialoco disse: «Dimi in che modo». 2 «†Uno mio modo non dire†, ma se mi prometti di dare Cm uncie d’oro, e io ti farò venire uno ke torrà la terra di Cicilia a· re Carlo e daragli tanta brigha di là ke p(er) tutto il tempo suo giamai non passerà di qua». 3 Allora il Palglialoco fue molto allegro e disse: 4

1 E q(ue)llo disse: «Eo s(er)ò q(ue)llo che menarò a d(e)struct(i)one lo re Ca(r)lo se tu me voray dare aiuto †il†. 2 Eu sono aveduto di zò che bessog(n)a, 3 p(er)ò ti piaza di sb(r)iga(r)te, saze che mi e li altri soi rebelli be(n) ve(n)dicarome li onte nost(r)i, se a D(e)o piaze».

1 Allora disse el Palioloco: «I(n) q(u)al m(od)o?». E q(ue)lo disse: 2 «El m(od)o no te diroe, ma se tu m’i(m)p(ro)mite d(e) dare Cm onze d’oro, eo farò veni(r)e uno chi torà la t(er)a d(e) Cicilia alo re Ca(r)lo e darayli ta(n)ta briga che di q(u)a may no(n) pass(er)à». 3 Allora il Palioloco fo m(u)lto alegro e disse: 4


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sugelleretemi lectere de questo che mmi promectete, 6 e io mi parterò in questo modo e cercherò [tutto] il facto». 1. di Cicilia] Leg om. @@@ 2. ti dirò io] F direi; mai di cqua] F di quae mai @@@ 3. il Pallialoco... allegro] F disse il Paglialocho fue allegro molto @@@ 5. lectere] F lettera; che mmi] che(m)-mi @@@ 6. tutto] tuctu ’l, F tutto

10. 1 Fu ffacto il sacramento e partìsi †...†. 2 «E questa sie la mia partita perché non si espii neente del facto, e voi mi farite dare banno e appelleriteme traditore dinançi [a’ miei] amici latini 3 e io dirò che io v’abbia offeso, et parrà ch’io fugga per questa cagione, sicché non si [sappia] di nostra credença neente». 4 E ciò che pensaro fu facto, et sono partiti da più parlare in grande gaudio l’uno dall’autro e sono scesi delle torri. 1. fu ffacto] fu f-facto @@@ 2. E questa sie] F In questo modo sia; appelleriteme] F aproveretemi; a’ miei amici] amici, F a’ miei @@@ 3. che] c-che con c barrata; fugga] F fugha fugha; sappia] saprà, F sapia @@@ 4. E] F om.; sono scesi] F scesi; delle] F da le

11. 1 Or si mecte messere Gianni per mare nel dicto anno, e venne in Cicilia vestito a guiça di frate minore. E parlò con messere Alamo di [Lentino] e con messere Palmieri Abate e con altri baroni del paese e disse [loro]: 2 «[Miseri] venduti come <cani e> schiavi malaventurusi, c’avete i quori vostri di pietra, 3 or non vi moverete mai di stare servi potendo stare signori, vendicando l’onte vostre?». 4 Allora piansero tucti [quanti] e dissero: «Messere Gianni, come potemo noi altro fare? socto tal singnoria siamo, mai non saremo franchi». 5 E [que’] disse: «Agevolemente vi nde posso trare, purché voi volgliate tenere credença di ciò che vi dirò et voi volgliate far quello †ch’i’ò ordinato† di fare per li nostri amici». 6 E que’ dissero: «Infine a morte ti seguiteremo, fa per noi ciò che vuoli». 1. mecte] F muove; venne] F viene; F parlò] parla; Alamo] Alamano con an espunto; Lentino] Latino, F La(n)tino; con altri] F cogli a.; loro] lor, F loro @@@ 2. Miseri] misteri, F Miseri; cani e] Leg om.; pietra] F pietre @@@ 4. tucti quanti] tucti, F tutti quanti; Messere] E mess(ere), F ess(er) con iniziale lasciata in bianco; singnoria] F singniore @@@ 5. que’] qui, F quegli; che vi dirò] F ch’io vi d. @@@ 6. infine a] F infino a la; vuoli] F vogli


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«Tutto lo mio tesoro pilglia se tti piace, e fae ke sia tosto». 5 E mess(ere) Gianni disse: «Or mi giurate credenza e suggelatemi †terrerra† di quello ke prometete; 6 e io mi partirò in questo modo e cercheronne tutto il fatto».

«Toto lo meo tesauro pigla se te piaze, e fa ke sia tosto». 5 Miss(er) Giani disse: «Or me zurate crede(n)za e sagelareteme letri d(e) q(ue)sto che vo’ me p(er)ferite; 6 et eo me pa(r)tirò i(n) q(ue)sto m(od)o e c(er)caroe tuto lo fatto».

10.

1 E così fue lo saramento e partissi da più parole. 2 «E questa sia la mia partita p(er)ké non si espi’ del fatto nieente», disse mess(ere) Gianni al Palglialoco, «apporetemi p(er) traditore e fatemi dare bando dinazi a mie’ latini, 3 e io dirò k’io v’abbia fatta l’afensa e paia h’io mi fugha p(er) questa cagione, sì ke non si sappia di n(ost)ra credenza k’avemo detto e pensato». 4 E così fue fatto e sono partiti da più parole co(n) grande gioia e festa l’uno da l’altro e così fece fare.

1 Et i(n)(con)tene(n)te fo fato il sac(ra)m(en)to e sagelate le let(r)e e †partirousi en†. 2 «Q(ue)sta serà la mia pa(r)tia p(er)ché no se spiase d’il fato niente, vo’ me fa(r)ite da(r)e ba(n)do (et) apellaretime tradito(r)e dava(n)ze daly amici e dal popolo, 3 e direte ch’eu v’abia offesso e para ch’eu mi fuga †p(re)† q(ue)sta caxone, xiché nexù sapia vost(r)a c(re)de(n)za nie(n)te. 4 E zò che pe(n)saromo veg(n)a fatto». E son pa(r)titi da †poi pa(r)lono† i(n) gra(n)d(e) godio l’†uo† col’alt(r)o.

11.

1 Ora si mette mess(ere) Gianni di Proccita p(er) mare nel detto anno <...> in Cicilia e vestito a llege di frate mino(re) e parlò a mess(ere) Alano di Lentino barone di Cicilia (e) mess(ere) Palmieri e con altri baroni del paese e disse loro: 2 «O miseri tapini venduti come can’e ischiavi male aventurati che no vi movete mai, ch’avete gli cuori vostri come pietra, 3 ke potendo stare sengnori sì state s(er)vi e videndo (e) vendica(n)do l’onte vostre!». 4 Allora piansoro dolorosam(en)te e dissoro a mess(ere) Gianni: «Come possiamo altro fare, sotto tale sengnoria siamo ke mai n(on) saremo franchi». 5 E mess(ere) Gianni disse: «Agevolemente ve ne posso trare, purché voi volgliate tenere credenza di ciò ch’io vi diroe e volgliate far quello» <...>. 6 «Sì lgli ateremo e sequiteremo e fia fatto p(er) voi ciò ke voi volete».

1. precede CX; di frate] di frate di frate

1 Or se mete miss(er) Giani i(n)t’el dito a(n)no e viene i(n) Cicilia vestito a guissa d’un frat(r)e mino(r)e e pa(r)lò (con) mess(er) Alamo da †Lelitino† barono cicilia(n)o e (con) mess(er) Palm(er)e Abate e (con) i alt(r)i barone d’il pagesse e dise a loro: 2 «O miss(er)i venduti como cani e sclavi malave(n)turati ch’avite li cori vost(r)i como petra. 3 Or no ve move(r)ite o· mai? Voleti stare pur s(er)vi pote(n)do ista(r)e seg(n)ore ve(n)dica(n)do l’onte vost(r)e?». 4 Allora pianseron tuti qua(n)ti e disseno: «Miss(er) Giani, como pot(r)omo altro fare? No(n) sai tu che no’ su(m)mo a tal segnor che zamay no(n) sera(m)me fra(n)chi, p(er) q(ue)lo k’è xì po(n)d(er)oso?». 5 E q(ue)llo disse: «Axevelm(en)te ve ne poso tra(r)e pur che vo’ voglati fare q(ue)llo che ordina(r)o d(e) fare p(er) li n(ost)ri amici». 6 E q(ue)li diseno: «I(n)fine a mo(r)te vig(n)aremo, fa d(e) nuy zò che vogle».


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12. 1 «Dicovi ch’a voi converrà rubellare la terra di Cicilia tucta a quel tempo che ssi ordinerà †per li singnori, e di que’ singnori† sarrete molto allegri di loro sengnoria». 2 Allora disse messere Gualteri di Calagirona: «Come potrebbe essere ciò che pensate e dite? 3 che abbiamo lo più potente singnore adosso che ssia tra cristiani e [di] più podere, 4 onde questo pensiero mi par vano». 1. ch’a voi converrà] F che voi choverrà; che ssi] ch-che ssi con ch barrata; e di que’] F di quelli @@@ 2. Calagirona] F Chalagirone @@@ 3. di] a, F di

13. 1 Quando messere Gianni udì questo disse: 2 «Credete voi che mi fusse impreso a ffare così gran facto s’io non avesse veduto imprima ciò ch’è da pensare e da fare, <e> come il facto dovesse andare? 3 Voi non avete a ffare altro ch’una cosa, che voi mi tengate credença di qui a meno d’un anno, et poi vederete fare per opera i facti vostri». 4 Allora fuoro tucti accordati e giurati credença, e [suggellaro] lectere <ciascuno di loro suggello> a messere Gianni in questo modo: 1. Quando] F e q. @@@ 2. che mi fusse impreso] che mi fusse messo i., F ch’io mi fossi i.; e come] Leg come @@@ 3. vostri] F n(ost)ri @@@ 4. credença] F credençe; suggellaro] suggellato, F sugellaro; ciascuno di loro suggello] Leg om.

14. 1 «Al gran gentile homo messere Piero re di Raona e di Valença conte, Alamo di Lentino, Palmieri Abati et Gualteri di Calagirona e gli altri baroni dell’isola di Cicilia salute e raccomandagione delle [loro] persone. 2 Siccome huomini venduti e subiugati come bestie, vi ci raccomandiamo a voi et alla vostra donna, la quale è di ragione nostra donna, e cui dovemo portare leança. 3 Mandianvo pregando che cci debiate trarre de servitudine de’ vostri e de’ nostri nimici, siccome trasse Moysè il popolo di mano a Faraone, e che noi possiamo tenere i vostri filgluoli per singnori e vendicarci de’ perfidi lupi che cci divorano il dìe e lla nocte. 4 Quello che non si puote scrivere, credete alle parole di messere Gianni nostro secreto».


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12.

1 E mess(ere) Gianni disse: «A voi (con)ve(r)rà rubellare <...> di Cicilia tutta a quello tempo k’è ordinato p(er) li sengnori d(e)’ quali sarete molto allegri di loro sengnoria». 2 Allora si levò suso mess(ere) Gualtieri di Catalagirona e disse: «Come potrebe essere questo? Che non pessate ciò ke dite? 3 c’averete adosso lo più potente sengnore che sia tra cristiani di più podere, 4 onde questo pensiero mi pare vano».

1 <...> «Che ne (con)verà rebella(re) tuta la t(er)ra di Cicilia †zepo† k’è ordinato p(er) li segno(r)e, di q(ue)l sig(n)ore sereti m(u)lti (con)te(n)ti (et) alegre d(e) sua segno(r)ia». 2 Allora disse miss(er) Gualt(er) d(e) Calatugirone: «Como pò ess(er)e zò che vo’ dite? 3 k’abiamo lo più pote(n)te segno(r)e adosso che sia i(n)fra (crist)iani e d(e) più pode(re), 4 ond(e) q(ue)sto pie(n)s(er)e mi par vano».

1. allegri] -i corretto su -o

13.

1 E quando mess(ere) Gianni udio questo disse: 2 «Credete voi ch’io avesse preso a fare sì grand(e) fatto s’io non avesse pensato inp(r)ima ciò ke era da fare e come dovesse il facto andare? 3 Voi nonn avete a ffare ma una cosa: ke voi mi tengniate credenza di qui a uno anno e vedrete fare p(er) op(er)a i fatti vostri». 4 Allora furono tutti acordati e iurarono credenza e suggellaro lettere ciascuno di loro suggello a mess(ere) Gianni, ke lle portasse a· re di Ragona da loro parte. E diciano in questo modo:

1 Qua(n)do miss(er) Giani d(e) P(ro)cita odì q(ue)sto dise: 2 «C(re)dite voy ch’eu me fose i(m)p(re)sse a fa(r)e uno sì gra(n)de fato si eo no(n) avesse i(m)p(r)ima pe(n)sato zò ch’era i(m)p(r)ima da fare e como d(e)vesse anda(r)e il fato? 3 Voi no(n) avite a fare ma una cosa: che voi me teg(n)ati c(re)de(n)za alm(en) uno an(n)o e ved(e)rite p(er) ovra fare lo fato v(ost)ro». 4 Allora furon tuti acordati e zurati c(re)denza e sagelaro le let(r)e a mess(er) Giani i(n) questo modo:

14.

1 «Al grande e getile uomo mess(ere) Piero re di Ragona e di Valdenza (con)te, Alamo di Lantino e Palmieri Abati e Gualtie(r)i di Catalagirona e lgli altri baroni dell’isola di Cicilia salute in racomandazione delle loro p(er)sone. 2 Sì come uomini venduti e sogiogati come bestie vi ci racomandiamo, a voi e alla vostra donna, la qual’è di ragione nostra donna a cui doveno portare leanza. 3 Mandiavi pregando ke cci dobiate trare di s(er)vitudine de’ nostri e de’ vostri nemici sì come trasse Moysè de mano il p(o)p(o)lo di Faraone, sì ke noi vi possiamo tenere p(er) singnori, voi e

1 «Al gra(n)d(e) e ge(n)tile homo mess(er) Pero di Ragona re siciliano, Palm(er)e Abate e Gualte(r)i d(e) Calatagirone e li alt(r)i barone d(e)l’isola di Cicilia salute e recom(en)dat(i)o(n)e d(e) lor p(er)sone. 2 Sì como homeni ve(n)duti e seg(n)orezati cu(m)’ bestie, no’ si recoma(n)demo (et) a vo’ (et) ala vost(r)a dona di Ragona n(ost)ra, a cuy d(e)vemo portar lianza. 3 Mandiamo p(re)ga(n)do ke d(e)biati t(r)are d(e) s(er)vitudine di vost(r)i e di n(ost)ri i(n)imici sì como t(ra)sse Moisè il popolo di mano d(e) Faraune. Che no’ possamo teni(r)e p(er) seg(n)ore il vost(r)i


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1. e di Valença conte] F om.; Alamo di Lentino] F aletino (e); Abati] F abate; Gualteri di Calagirona] F Gualtieri di Chalagirone; dell’isola] F di Chalagirona e di; loro] n(ost)re, F loro 2. vi ci raccomandiamo a voi] F a voi ci r.; la quale... donna] F om. @@@ 3. a Faraone] F di F.; che noi] F se nnoi; i vostri filgluoli per singnori] F p(er) singniore i vostri figlioli; il dìe e lla nocte] F om.; secreto] F singniore

15. 1 Quando ebbero sugellate le lor lectere, el dicto messere Gianni si partio da loro e disse che dovessero tenere credença ciò ch’era ordinato [di] fare, 2 e mostrò lor <le> lectere che ’l Pallialoco [gli] avea date e come avea proferto avere assai e giurata credença e compagnia co-lloro e con tucti rubelli del re Karlo e di sua gente; 3 e così si partiro. 1. le lor] le lorre, F lor; el dicto] Leg furon partiti e ’l dicto; di fare] da f., F di f. @@@ 2. le lectere] Leg lectere; gli avea] avea lor, F gli avea; proferto] F promesso @@@ 3. partiro] F partirono l’uno da l’altro

16. 1 In quello tempo singnoregiava e sedea nell’apostolicale sedia di Roma messere [papa Nicola terzo romano], di primo suo nome [avea] messere Gianni Guatano della casa delli Orsini di Roma. 2 E uno giorno stando el papa en una terra ch’à nome Soriano, venne a llui messere Gianni di Procida e disse: «Padre santo, io vi vorrei parlare di celato in uno segreto luogo». 3 E ’l papa disse: «Volenteri», [che bene lo conoscea, e volonteri lo] serverebbe. 1. messere papa... romano] mess(ere) Nicola te(r)ço pap(a) di Roma, F papa Nichola terzo romano; avea] om., F avea; Gianni Guatano] F Gianguatano @@@ 2. E] F om.; ch’à] F ch’avea @@@ 3. che bene... lo serverebbe] le s., F che bene lo chonsceva [sic] e volontieri lo servirebe

17. 1 Allora disse messere Gianni: «Padre santo, che tucto ’l mondo [tieni] in pace, increscati di que’ miseri scacciati de· regno di Cicilia e di Pulglia, che non truovano albergo che lli ritegna e che sson pegio che llebrosi. 2 Però piacciati di rimicterli in casa loro, che ssono ben cristiani come gli altri». 3 Allora disse il papa: «Come lo


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vostri filgliuoli, e vendicarci d’i p(er)fidi lupi ke cci divorano il dìe e lla nocte. 4 Quello ke no ssi puote iscrivere, credete alle parole di mess(ere) Gianni di Procita, n(ost)ro †saltero† (con)silglio».

fioli e ve(n)dica(r)e di y p(er)fidi lupi che çe d(e)vorano. 4 Quello che no se poti sc(r)ive(re), c(re)dete ale parole d(e) miss(er) Giani n(ost)ro sec(re)to».

1. precede CXI.

1. siciliano] ci aggiunto in interlinea, -n- con tre aste

15.

1 E quando ebboro sugellate loro lettere sì ssi partio il detto mess(ere) Gianni da loro e dissero che dovessoro tenere credenza di ciò ke era ordinato di fare, 2 e mostrò lectere ke ’l Palglialoco gli avea date e come avea proferto avere asai e come avea giurato c(r)edenza e conpangnia co-lloro e con tutti rubelli del re Carlo. 3 E così si partio da lloro in questo modo.

1 Qua(n)do ebbeno sagelate lor let(r)e sì se pa(r)tì el dito mess(er) Giani da lor e dise che d(e)vesseno tenir c(re)denza çò ch’era ordinato d(e) fare, 2 e mostrò a lor le let(r)e ke ’l Palioloco li avea dato e dito di fare e como avea p(ro)ferta multa moneta e zurato c(re)denza e (com)pagnia co lloro e (con) tuti li rebelli d(e)lo re Ca(r)lo e d(e)la sua gente. 3 E così se pa(r)tirono.

16.

1 In quello tempo segnoreggiava e sedea nell’apostolicale sedia di Roma mess(ere) lo papa Niccholaio romano, di p(r)imo suo nome avea mess(ere) Gianni Guatani della casa delle Orsighi di Roma. 2 Uno giorno stando inn una terra he si chiama Soria venne a llui mess(ere) Gianni di Proccita e disse: «Padre santo, io vi vorrei parlare in celato luogo». 3 E ’l p(a)p(a) disse ke bene lo conoscea e «bene t’ascolterò volentieri».

1 In q(ue)llo te(m)po seg(n)orezava e sethia i(n) la apostolica seda miss(er) lo pap(a) Nicola romano, d’i(m)p(r)ima so nome era miss(er) Giani Gaytane di la cassa d’Algosmi di Roma. 2 Et uno dìe istando i(n) una t(er)ra ch’à nome Soriano ve(n)ne miss(er) Giani da P(ro)cita e disse: «Padre santo, eo voreo pa(r)la(r)e (con) vo’ i(n) uno sec(re)to loco». 3 E ’l papa disse ke volo(n)t(er)e, che ben lo conosceva, e volontera lo s(er)virebe.

1. precede CXII.

2. dìe] -e aggiunto in interlinea

17.

1 Allora disse mess(ere) Gianni al p(a)p(a): «Padre santo e di misericordia, che tutto il mondo mantieni in pace, increscati di quelli miseri discacciati di Cicilia ke non trovano ki lli ritengha o cchi lgli abergha, he sono peggio ke lle-

1 Allora disse miss(er) Giani: «Padre santo, che tuto lo mu(n)do ma(n)tene i(n) pax, que d(e)’ ess(er)e d(e) q(ue)lli miss(er)i tapini discazati d(e)lo reg(n)o d(e) Cicilia e d(e) Pugla? che no(n) trovano t(er)ra nè logo nì alb(er)go, che


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posso fare contra lo re Karlo ch’è nostro filgluolo, il quale mantene [noi e la] santa Ecclesia <in buono stato>?». 4 E allora messere Gianni disse: «Già so io che non [obbidisce] in niuna cosa i vostri comandamenti ch’io so». 5 E que’ disse: «Quali?». 6 E quelli disse: «Quando voi voleste piatire con lui e col suo lingnagio et voleste dare vostra femmina al nepote, e non volle ançi <v’ebbe a disdegno e> stracciò vostra lectera: ben vo ne dovreste racordare». 7 Allora el papa udendo questo meraviglosi molto com’elgli el sapea e disse: «Dimmi come tu ’l sai». 8 E que’ disse: «È piuvico per tucta Cicilia che non vi obbedio neente e non vole fare parentando con voi <nè con vostro lignaggio> e disdegnovi». 1. tieni] mecti, F tieni; increscati] F increscavi @@@ 2. piacciati] F piacciavi @@@ 3. ch’è] F il quale è; noi e la] om., F noi e la; in buono stato] Leg om. @@@ 4. E allora] Leg E stando allora; messere Gianni disse] F disse m. G.; obbidisce] obidio, F ubidisce; in niuna] F in una 6. quando voi] F q.; al nepote] F om.; v’ebbe a disdegno e] Leg om.; stracciò] F iscracciò; racordare] F richordare @@@ 8. è piuvico] F egl’è p.; obbedio] F ubidisce; neente] F di niente; vole] F volle; parentando] F parentado; nè con vostro lignaggio] Leg om.

18. 1 Allora il papa fu <molto> adirato e disse: «Volonteri ne llo farei pentire, che ben è vero ciò che di’». 2 Et messere Gianni disse: «Niuno homo àe nel mundo che ’l possa fare me’ di voi <ed io>». E que’ disse: «Come può essere?». 3 Messere Gianni disse: «Se voi me volete dare la paraola, io <gli> farò torre la Cicilia e ’l Regno tucto». E ’l papa disse: «Come? ch’è della Ecclesia». 4 E messere Gianni disse: «Io la vi farò tenere, e rendere bene lo ’ncenso, ad omo [ch’à] volglia d’essere vostro fedele et che vuole parentando con vostro lingnagio, e [rimetterà noi] in [nostro] luogo». 5 E ’l papa disse: «Chi sarà quel singnore che [ciò potesse] fare al re Karlo <e che pensasse tanto ardire> [e] cche fornire [potesse] tal facto?». 6 E messere Gianni disse: «Se [voleste] tenere celato sopra vostra anima e di pena e di periculo, io lo ve direi bene e mosterei come essere potesse». 7 Allora il papa disse: «Sopra la mia fe’ dillo, che bene lo terrò celato».


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brosi o malatti. 2 Piacciati di reghalgli in casa loro, ke sono bene cristiani come gli altri ho(min)i». 3 Allora r(ispuose) il p(a)p(a) a mess(ere) Gianni e disse: «Come gli posso io attare (con)tra lo re Karlo nostro filgliuolo, il quale †mattine† noi ed è campio della s(anct)a Eccl(esi)a». 4 E mess(ere) Gianni disse: «Già ssappiamo noi che non ubidisce gl vostri comandamenti inn uno caso k’io soe». 5 E ’l p(a)p(a) disse: «†Quel† è quello?». 6 E mess(ere) Gianni disse: «So bene ke piatire voleste vostra nepote al suo lengniaggio ed e’ non vuole, anzi v’ebbe a disdegno e p(er) grande viltade istracciò vostre lectere, ke bene ve ne dovereste ricordare». 7 Allora il p(a)p(a) udio questa cosa, maravilgliossi molto com’elli lo sappea e disse: «Come sa’ tu cciò?». 8 E quelli disse: «Come? k’è piuvicato e saputo p(er) tutta la Cicilia ke no vi ubidisce nè non vi vuole fare parentado con voi».

sono pezo ke lebrossi. 2 Piazave d(e) remetile i(n) cassa loro, che son ben (crist)iani come li alt(r)i». 3 Allora risposse il pap(a) e disse: «Come li posse eo adiuta(r)e (con)t(ra) lo re Ca(r)lo n(ost)ro filyolo, lo quallo ma(n)tene noi e la santa Giessa i(n) bono stato?». 4 Allora disse miss(er) Giani: «Zà soe be(n) che no obedisse li vost(r)i coma(n)di e no gli †curono† nie(n)te». 5 E ’l pap(a) disse: «Sì fae». 6 E q(ue)llo disse: «Como qua(n)do volisti parentae co luy e volisti da(r)e al nepoti soy vost(r)a nepota, no(n) vosse vedde(re) le vost(r)e let(r)e, ben ve n’ dev(er)ebe recordare». 7 Et allora il pap(a) aude(n)do q(ue)sto ma(ra)veglose m(u)lte como ello lo sapea e dicioie: «Como say tu zò?». 8 E †cel† disse: «P(er)ké n’è pu(bli)ca fama p(er) tuta Çicilia che no ve vole obedi(r)e nie(n)te e no(n) vole fare pare(n)tado cu(m) voi nè (con) vost(r)e leg(n)azi».

2. ke] ke / che @@@ 3. mattine] forse con titulus @@@ 7. precede CXIII.

18.

1 Allora il p(a)p(a) disse: «Volentieri ne llo farei pe(n)tere, che bene è vero ciò ke vo’ avete detto». 2 E mess(ere) Gianni disse: «Non è almeno ho(mo) ke ne ’l possa fare pentere me’ di voi ed io altressì». E ’l p(a)p(a) disse: «Come puote essere?». 3 (E) mess(ere) Gianni disse: «Se voi mi volete dare parola, io gli faroe torre la Cicilia e ’l Rengno tutto». E ’l p(a)p(a) disse: «Come? k’è della Chiesa». 4 «Io lo farò bene tenere e rendere bene la frugga e lo ’ncesso a vuomo ke àe gra(n)de volglia d’ess(er)e vostro fedele e che vuole parentado col vostro lengniaggio e rimetterae noi in nostro luogo». 5 E·p(a)p(a) disse: «Chi sarebbe quello sengnore ke ciò potesse fare od avesse o cche pensase tanto ardire o che fornire lo potesse tale fatto?». 6 E mess(ere) Gianni disse: «Se llo voleste tenere celato sop(ra) la vostra a(n)i(m)a

1 Allora el pap(a) fo multo adirato e disse: «Volu(n)tera ne ’l farebe pe(n)tire, che ben è vero zò che tu die». 2 E mess(er) Giani dise: «Veruno homo †el† al mu(n)do che ’l possa fa(r)e cu(m)’ voi e (com)’eo». E q(ue)llo disse: «Como †po(n)te† ess(er)e?». 3 E mess(er) Giani disse: «Se vo’ voleti dare parola, eo farò tore la Cicilia e ’l Regno». E ’l pap(a) disse: «Como? ch’ell’è d(e)la Giexa». 4 E q(ue)llo dise: «Eo la faray teni(r)e e atte(n)de(re) be(n) l’ince(n)ssu a omo che volrà ess(er)e v(ost)ro amico e fed(e)lle e che vole pare(n)tado cu(m) v(ost)ro leg(n)azo e remete(rà) voi e lli vost(r)i amici i(n) cassa». 5 Allora el pap(a) disse: «Chi serebe q(ue)llo seg(n)ore che zò potese fare e che avesse ta(n)to ardim(en)to e che forni(r)e potesse uno tallo fato?». 6 E miss(er) Gia(n)i disse:


108

LEG

1. molto] Leg om.; di’] F dite @@@ 2. Et] F om.; nel mundo che ’l] F al mondo che; me’] F meglio; ed io] Leg om.; E que’] F cioè quelli @@@ 3. gli] Leg om. @@@ 4. E messere Gianni disse] F om.; ch’à volglia] che v., F ch’à volglia; parentando] F parentado; rimetterà] rimectere, F rimetterà; noi in nostro] Leg voi in vostro @@@ 5. che ciò potesse] che ’l possa, F che ciò potesse; e che pensasse tanto ardire] Leg om.; e cche] e non perfettamente leggibile; fornire potesse] f. possa, F f. potesse; tal facto] F tutto il fatto @@@@ 6. voleste] volete, F voleste 7. fe’] F fede

19. 1 E que’ disse: «Il re di Raona farà ciò, se voi vi vorrete intendere, colla força del Pallialoco e d’i ciciliani che ssono giurati insemi di farlo, ed io sono procacciatore di ciò fare». 2 Allora disse il papa: «Sie facto ciò che vuoli †se mmi mostre lectere†». Allora disse messere Gianni: 3 «Ciò non potrebbe essere, ma se mmi date vostra lectera io la porterò con quelle ch’i’ò al dicto singnore». 4 E ’l papa disse: «Farolo, quando tu vuoli». Fecero fare lectere e sugellare <non> con bolla papale ma di suo sugello c’avea di[na]nçi quando era cardinale. 5 Messere Gianni si partì in questa dal papa in piana concordia [ed] amore; e disse la lectera in questo modo: 1. ciò se voi vi vorrete] F s’a cciò volete; procacciatore] F aparechiatore @@@ 2. vuoli] F vogli 3. porterò] F porterà @@@ 4. vuoli] F vuogli; sugellare] F sugellarle; non] Leg om.; dinançi] dinçi, F anzi che fosse papa @@@ 5. Messere Gianni] F E m. G.; questa] F quella]; ed amore] Leg d’amore

20. 1 «Al carissimo filgluolo suo Piero re di Raona, papa Nicola nostra benedictione. 2 Acciò che’ nostri fedeli di Cicilia non siano singnoregiati nè recti bene per lo re Karlo nè per la sua gente, preghianti che vegni a singnoregiare <il paese> per noi e per li dicti ciciliani, 3 giudicandoti tucto il Regno e di pigliare e di mantenere per noi. 4 E di ciò credi a messere Gianni ciò che in celato conta del facto, tenendo celato che non si senta. 5 E però piacciati ciò ricevere e pilgliare e non temere di niente». 2. siano] F sono; preghianti] F preghoti; il paese] Leg om. @@@ 3. Qui termina il Frammento magliabechiano @@@ 5. niente] n-niente con n barrata


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TES

LIB

sotto pena di penetenza, io lo vi direi bene e mosterei come esse(r)e puote sanza neuno afanno». 7 Allora disse il p(a)p(a): «Sop(ra) la mia fede dillo, che bene lo terroe credenza e celato».

«Se volesti tene(re) zelato sop(ra) la v(ost)ra a(n)i(m)a, e d(e) pena e d(e) p(er)iculo, eo lo dirò bene e mo(n)staroni bene come ess(er)e pote». 7 Allora disse il pap(a): «Sop(ra) la mia fed(e) dilo, che be(n) è çelato».

6. Allora] precede CXIIII.

19.

1 E mess(ere) Gianni disse: «I-rre di Ragona fa ciòe, se voi volete concedere, colla forza del Palglialoco e d’i cicigliani ke sono giurati insieme di fare tutto ciò, e io sono p(ro)cacciato(r)e di tutto il fatto». 2 Allotta disse il p(a)pa: «Sia fatto ciò ke vuoli <...> lettere». Allora disse mess(ere) Gianni: 3 «Ciò non puote essere, ma sse mi date vostra lectera io la porteroe con quella del detto sengniore». 4 E ’l p(a)p(a) disse: «Farollo quando tu vuoli». E fece fare lectere suggelate no(n) di bolla p(a)pale ma di suggello ke avea dina(n)zi quand(o) iera cardinale. 5 E mess(ere) Gianni si partio in questo modo dal p(a)p(a) in piana (con)cordia e amore. Et disse la detta lectera del p(a)p(a) in questo modo:

1 E q(ue)llo disse: «Lo re di Rago(n)a farà zò, se voy voleti (con)tende(re) colla forza del Palioloco e d’i çiciliani che sono zurati i(n)sema d(e) farlo, et eo son p(ro)cazatore d(e) zò fare». 2 Allora disse il pap(a): «Sia fato zò che volge si m’è mostrato le let(r)e». Allora disse mess(er) Giani: 3 «Çò non pote es(er)e, ma †s(er)a† date vost(r)e let(r)e et eo †gla† apo(r)ta(r)ò cu(m) q(ue)le che ò al dito seg(n)ore». 4 E ’l papa disse: «Farolo qua(n)to tu vole». Feze fare let(r)e e salgela(r)e no(n) d(e) bolla papalle ma d’uno sagello c’aveva d(e)na(n)ze qua(n)do era ca(r)dinale. 5 E mess(er) Giani se pa(r)tì i(n) q(ue)sto m(od)o dal pap(a) i(n) piena (con)cordia (et) amo(r)e. E dise la let(ra) i(n) q(ue)sto m(od)o k’io vi dirò q(ui) ap(re)so:

20.

1 «Al karissimo mio filgliuolo Piero di Ragona, p(a)p(a) Nicholao n(ost)ra benedictione. 2 Acciò ke lli nostri fedeli dell’isola di Cicilia non sono sengnoreggiati bene p(er) lo re Carlo nè da sua ge(n)te, sì priego io te ke vengnie a ssengnoreggiare lo paese p(er) voi e p(er) li detti ciciliani, 3 †giudicato io a te† tutto Rengno debbi pilgliare e mantenere p(er) noi. 4 E di ciò credi a mess(ere) Gia(n)ni di P(ro)cita, celando ciò ke co(n)ta del fatto, e tutto sie celato ke mai non si senta. 5 P(er)ò tti piaccia di ricevere e di pilgliare e di mantenere». 1. precede CXV.

1 «Al gra(n)d(e) karissimo filyolo so Pero di Ragona, pap(a) Nicola nost(r)a benedict(i)one. 2 Azò che li nost(r)i fid(e)li d(e) Cicilia no(n) sian seg(n)orezati nè †zeghy† bone p(er) lo re Ca(r)lo nè p(er) sua ze(n)te, sì p(re)gomoti che veg(n)i a seg(n)orezay p(er) voi 3 toto il Regno, e pilglalo e tello p(er) voi. 4 Crede a mess(er) Giani d(e) P(ro)cita zò che dici et è zellato sì che may no se n’ savrà nulla. 5 P(er)ò ti piaza zò receve(re) e di piglare e no(n) teme(re) d(e) nie(n)te».


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LEG

21. 1 E con questo processo facto e sugellato si partì messere Gianni dal papa e prese ad andare in Catalogna. 2 Allora quando fu giunto, il re di Raona gli fece honore assai; et dimorava come homo disconnoscuto col re e colla reina. 3 Et quando fu stato uno tempo co-llui, menolo seco in Maiolica per mare. E ’l dicto messere Gianni disse al re: 4 «Io vi vorrei parlare di celato d’una grande credença la quale non si conviene sapere se nnoe per Dio et per noi due». 5 E llo re disse: «Dì securamente ciò che ctu vuoli, ch’io il terò ben celato». 6 E que’ disse: «Non ti dico neente se nnon giuri credença». Allora giurò credença. 7 Disse messere Gianni: «Messere Piero di Raona, or sappie che cciò ch’io ti dirò, se mai se ne sentisse nulla o di decto o di facto, sì è di tanto pericolo che nne saristi morto tu e tucto tuo lingnagio mai sempre, tanto è ito inançi el facto». 8 Allora il Re di Raona ebbe gran doctansa e disse: «Ch’è cciò?». Disse messere Gianni: «Io sono venuto tanto avante ch’io posso fare te sengniore del mondo, se vvolete tenere credença». 9 Allora disse il re: «Sia facto, s’a Dio piace». 7. se ne] se(n)-ne

22. 1 Allora disse messere Gianni: «Messere re di Raona, vorrestiti tu vendicare dell’onte e delle offensioni che cti sono facte per lontano e per novello? cha ài più onta e vitupero che mai avesse gran singnore, 2 siccome fu quello che llo re Manfredi lasciò a tua molgliera <il regno di Cicilia>, e tu vile e codardo non [volesti] mai [venire per] esso, 3 [nè] vendicare l’onta del nimico tuo, per lo tuo avolo che villanamente l’uccisero i franceschi: 4 ora lo poi vendicare e raquistare tucto tuo dannagio, se sè prode e ardito». 2. il regno di Cicilia] om.; volesti mai venire per esso] v’intendesti mai po’ esso @@@ 3. nè vendicare] a v.


TES

1 (Con) q(ue)sto processo fatto e suggelato si partio mess(ere) Gianni e p(re)se ad andare i(n)verso Catalongnia. 2 E quando fue giu(n)to allo re di Raghona, elgli gli fece honore assai; e dimora come ho(mo) non conosciuto co-rre e colla reina. 3 E quando fue stato un tempo co-llui, e menollo seco in Maiolica p(er) mare. E ’l detto mess(ere) Gianni disse: 4 «Mess(ere) lo re, io vi vorei parlare in celato d’una grand(e) credenza la quale no ssi conviene sapere ke p(er) Dio (e) p(er) due noi». 5 «Dì sicuramente ciò ke vuoli, ch’io lo terò bene celato». 6 E mess(ere) Gianni disse: «No tti dico niente se no mi giuri credenza». E llo re di Ragona sì giurò cre(n)de(n)za. 7 Allora disse mess(ere) Gianni: «Or sappie, mess(ere) Piero di Ragona, ke cciò ch’io ti diroe, se ma’ si sentisse nulla [o] i· detto o in fatto, sì è di tanto pericolo che saresti morto tu e tutto tuo lengniaggio (e) [....]to il fatto avanti». 8 Allora i-rre di Ragona ebbe grande dottaza e disse: «K’è cciò?». Mess(ere) Gianni disse: «Io sono venuto tanto avanti ch’io posso fare di te sengnore del mondo, se vuoli tenere credença». 9 Allora disse il re: «S’a Dio piace, io lo terò celato».

LIB

111

21.

1 Como q(ue)sto p(ro)cesso foy fato e sagelato, pa(r)tisse mess(er) Giani e p(re)se ad anda(r)e i(n) Catelogna. 2 Allora qua(n)do fo zu(n)te alo re di Ragona feceli hono(r)e †asiay†; e d(e)morava como homo umano col re (et) era (con) luy la regina. 3 Qua(n)do fu statu un te(m)po, menolo una s(er)a i(n) Maiolica p(er) mare. E ’l dito mess(er) Giani disse alo re: 4 «Eo voreve pa(r)la(r)e (con) voy d(e) celato d’una gra(n)d(e) c(re)denza la q(u)ala no si (con)vene sap(er)e o p(er) dìe o p(er) note». 5 E llo re disse: «Dì seguram(en)te zò ke vogle, ch’eu lo terò ben zelate». 6 E mess(er) Giani disse: «No ti dico nie(n)te se no me zu(r)i c(re)denza». (Et) allora zurà c(re)denza. 7 Allora disse mess(er) Giani: «Mess(er) P(ero) d(e) Ragona, or sapie che zò che te dico no se n’ †seta† nulla o i(n) dito o i(n) fato, p(er)ò ch’è di ta(n)to p(er)iculo ke sarixe mo(r)tu tu e tuti li to». 8 Allora lo re di Ragona ebbe gra(n)t dota(n)za. Disse mis(er) Giani: «Eo c(re)zo ch’eu so venuto ta(n)to ava(n)te ch’eu posse fare d(e) te seg(n)ore d(e)l mu(n)do, se mi vole teni(r)e c(re)de(n)za». 9 Allora disse lo re: «Sì farò, se a D(e)o piaze».

7. precede CXVI

1 Allora disse mess(ere) Gianni: «Mess(ere) lo re, voreste voi vendicare l’ofense che tti sono fatte p(er) lontano (e) p(er) lo novello? ch’ài più onte e più vituperi che omo che sia mai grande sengnore al mondo, 2 sì come fue quella ke ’l re Manfredi ti lasciò a tua molgliera il rengno di Cicilia, e tu vile codardo non volesti mai venire p(er) esso, 3 nè vendicare l’onta dell’avolo tuo, che villanamente l’uccisoro i franceschi». 4 Allora disse: «Ora te ne puoi

22.

1 Allora disse mess(er) Giani: «Mis(er) lo re di Ragona, voresti tu ve(n)dica(r)e d(e)le offension ke te su(n) fate p(er) †lontaiyo† o p(er) novello? chi ê più unte e più vitip(er)ii che may sia a gra(n)d(e) seg(n)ore, 2 xì como foe q(ue)la che lo re Mayfredo ti laxò a tua molge(re) il Reg(n)o tuto, e tu vile e coardo no(n) volisti may veni(r)e 3 p(er) es(er)one ve(n)dicate d(e)l’unta d(e)l’aulo tou, ke vilanam(en)te †l’ozis coli† fra(n)ceschi. 4 Ora la poi


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LEG

23. 1 Allora disse il re: «Come ciò può essere? Sè ctu passo, messere Gianni, o che ài trovato? Non sai tu che lla casa di Francia singnoregia tucto il mondo, spitialmente lo re Karlo? 2 Come potrebbe essere <che> homo di sì piccolo podere come il mio potesse acquistare ciò che ctu di’ e cch’io possa tanto fare quanto tu di’? Ma se llo mi mostri per alcuno modo, volintieri farò ciò che die <s’esser potrà> al mio podere». 3 Allora disse messere Gianni: «S’io ti do la terra guadagnata sança ferita niuna, no-lla puoi tu pilgliare? E sed io ti do Cm once d’oro, non potrai tu fronire ben le spese?». 2. essere che] e.; s’esser potrà] om.

24. 1 <E il re disse>: «Come lo mi fareste tu? Io non crederei neente se non mi ne facessi più certo». 2 Allora sì trasse fuori messere Gianni le lectere del papa e del Pallialoc[o] e de’ baroni di Cicilia e puosellelli in mano. E quelli [vide] ciò che diceano, fu molto allegro e disse: 3 «Ben pare che tu sii buono amico, tanta terra ài cercata! 4 E io mi sengno da parte di Dio e ricevo, da poi che messere lo papa vuole; io mi rendo ben sicuro <di lui>, perché ssì puote fare quello che mmi [dice]. 5 E così inpromecto et giuro credença quanto vuoli: 6 fa che mmi vengia facto ed io farò ciò che cti piacerà e pilglierò il facto». 1. E il re disse] om. @@@ 2. Pallialoco] Pallialoc; vide] udio @@@ 4. di lui] om.; dice] dici


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TES

LIB

vendicare e raquistare tutto il tuo danaggio, se ssè prode e valentre».

ve(n)dica(r)e e raq(ui)sta(r)e tuto il dalmayo, se sè d(e) p(ro) e valente».

4. puoi] la -u- ha tre aste

1 Allora disse il re: «Com’è ciò?». E mess(ere) Gianni diss[e]: «Or sè ttu pazo? Or che ài trovato? Or no sa’ tu che lla casa di Francia sengnoreggia tutto il mondo, ispezzialmente il re Carlo? 2 Or come potrebbe essere, e uno di così piccolo podere come ’l mio (con)trastare a cciò ke tu di’? Ma sse tu mi mostri p(er) alcuno modo, volentieri farò ciò ke ttu di’ s’io potrò al mio podere». 3 Allora disse mess(ere) Gianni: «E io lo ti volglio dire lo mo’: s’io ti daroe guadangnato la terra sanza fedita, no lla puoi pilgliare? S’io ti doe C M ucce d’oro, non potrai tue fornire le spesse bene?».

23.

1 Allora lo re disse: «Come zò pote es(er)e? Sè tu paço, miss(er) Giani, o che ài trovato? No(n) say tu ke la Gessa di Roma e la cassa di Fra(n)za seg(n)oregia tuto il mu(n)do, specialm(en)te lo re Ca(r)lo? 2 Como porebe ess(er)e ke uno seg(n)ore di sì picolo pode(re) come il meo potesse (con)t(ra)sta(r)e a zò che tu dici, ch’io possa fare ta(n)to como tu di’. Ma se tu me lo mo(n)st(r)i p(er) alcun m(od)o, volentera farò zò ch’es(er) porà al meo pode(re)». 3 Allora disse mess(er) Giani: «Eo ti voglo dire il m(od)o. S’eo te do a guadag(n)are la t(er)ra sanza fadica, no la poi tu pilgla(r)e? S’eo ti do Cm unze d’oro no la poi tu pilgla(r)e e forni(r)e le spese bene?».

1. precede CXVII @@@ 3. precede CXVIII

24.

1 E il re disse: «Come lo mi faresti? Io no ne crederei neente se non me ne facessi più certo». 2 Allora mess(ere) Gianni <...> fuori le lectere del p(a)p(a) e del Palglialoco e de’ baroni della Cicilia (e) puoselgli in mano. E que’ vide ciò ke lle lectere diceano e fu molto allegro e disse ke 3 «Ben pare ke tu ssè buono amico, tanta terra ài cercato p(er) me; 4 e io mi sengno dalla parte di Dio e ricevo la sengnoria, da poi che mess(ere) lo p(a)p(a) vuole; ch’io mi rendo be(n) sicuro di lui, che bene mi puote fare quello che dice. 5 E così prometto e giuro credença quanto vuoli: 6 fae ke mi vengnia fatto e io farò ciò ke tti piace, e tu procaccia il fatto il melglio che puoi».

1 Disse lo re: «Como mi li fa(r)isti tu dare, eo no(n) cred(e)reve nie(n)te se no me festi più c(er)to». 2 Allora trasse miss(er) Giani fora le let(r)e d(e)l pap(a) e d(e)l Palioloco e d(e)li baroni di Cicilia e porsegele i(n) mano. E q(ue)llo vid(e) be(n) zò ke li dizavano, fue m(u)lte alegro e disse: 3 «Ben pare ke tu sii bono amico, ta(n)ta t(er)ra ày c(er)cata; 4 (et) eo mi segno dala pa(r)te di D(e)o e rezev’eo; da poy ke mess(er) lo pap(a) vole, òme ben securo, p(er)ké ello [..] †e mio† lo pò ben fare †e† q(ue)lo ke me dice. 5 E cossì p(ro)metto e zu(r)o c(re)de(n)za qua(n)to voli: 6 fa che mi vegna fato (et) eo piglarò çò che te piazerà e piglarò il fato».

2. precede CXVIIII.

3. bono] -o aggiunto nell’interlinea


114

LEG

25. 1 Rispuose messere Gianni e disse: «Or t’apperecchia celatamente <di qui> alla mia tornata, e io retornarò al papa e al Pallialoco e a’ ciciliani; e ssì recharò moneta assai per fronire tucto il facto e mosterò il ricevemento vostro a ctucti [que’ secreti] che cciò sanno. 2 Per nulla no ’l manifestare giammai altrui, nè per morte nè per vita, che non si senta mai, che di troppo pericolo sarebbe il facto». 1. di qui] om.; al Pallialoco] all P. con la seconda l espunta; que’ secreti] questi singnori; cciò] c-cio @@@ 2. altrui] altr/trui

26. 1 E· la partita di Maiolica, tornando in Catalongia, 2 sì ss’acommiatò dal re di Raona e disse: «Il modo di questo facto non posso dire di qui alla mia tornata, com’[è ordinato] co’ ciciliani e col papa e col Pallialoco». E partìsi di Barcellonia. 3 Quelli ne venne per terra e messere Gianni per mare infino a Pisa, e [cavalcò] per le celate vie infine a Viterbo e quivi trovò messere lo papa. 4 E quando il papa il vidde fu molto allegro e disse come avea facto per tucte cose. 5 E messere Gianni disse: «Io òe facto vostro intendimento compiutamente; e allegramente àe ricevuta messere lo re di Raona la singnoria e molto vi si racommanda e manda questa lectera siccome voi studiate e ordinate come sia celato questo facto e avacciato». 7 E ’l papa disse ad messere Gianni: «<Va da mia parte al Pallialoco e in Cicilia>, e dì loro ch’io alla coperta gli aterrò; che procaccino d’uscire della singnoria del re Karlo con mia parola se ponssono, e averanno buon singnore se a Dio piace». 1. acommiatò] aco(m)minciato con nci espunto @@@@ 2. qui] quili; è ordinato] io ordinerò 3. cavalcò] valicò; infine] inifine @@@ 5. racommanda] raco(m)-manda @@@ 7. Va da mia parte al Pallialoco e in Cicilia] om.


TES

1 Rispuose mess(ere) Gianni: «Ora t’aparechia celatamente di qui alla mia tornata. Ed io ritorneroe al p(a)p(a) ed al Palglialoco e a’ ciciliani, e sì recheroe moneta p(er) fornire il f(act)o e mosteroe il ricevimento del Reame a tutti quelli sacreti che cciò lo sanno. 2 E tu, re Piero di Ragona, no llo manifestare nè da vita nè da morte, che non si senta mai, che di troppo pericolo sarebbe il fatto». 1. precede mosteroe

CXX;

LIB

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25.

1 Resposse miss(er) Giani e disse: «Ora t’aparegla celatam(en)te ala mia to(r)nata. Eo tornarò al pap(a) (et) al Palioloco (et) a’ ciciliani, e sì recharò m(u)lta mo(n)eta p(er) forni(r)e il fato e mo(n)strarò lo recevim(en)to v(ost)ro a tuti q(ue)li †sacen† che zò sanu. 2 P(er) nezuna caxone no lo ma(n)ifestare a altruy, nè p(er) mo(r)te nè p(er) vita, ch’el no se senta may, ke di t(r)opo p(er)icolo serebe il fato».

e mosteroe] e mosteroe e

1 Nella partita di Maiolica tornando in Catalongnia 2 sì presse co(m)miato da· re e disse: «Lo modo di q(ue)sto f(act)o no ’l ti posso dire di qui alla mia tornata, com’è ordinato co’ ciciliani e col p(a)p(a) e col Pangnialoco». E partìsi di Barsalona. 3 E i-rre ne ven p(er) terra e mess(ere) Gianni p(er) acqua †infino a mare† infino a Pisa, e cavalcò p(er) le celate vie infino a Viterbo e quivi trovò mess(ere) lo p(a)p(a). 4 E qua(n)do il p(a)p(a) vide mess(ere) Gianni fu molto allegro e domandolo come avesse fatto p(er) tutte cose. 5 E mess(ere) Gianni disse: «I’ò fatto tutto vostro intendimento (con)piutamente; e allegramente à ricevuto mess(ere) Piero re di Ragona la sengnioria p(er) la pregaria vostra, e molto vi si racoma(n)da e mandavi questa lectera sì come voi ordinate. Or studiate sì come sia celato questo fatto». 7 E ’l p(a)p(a) †diss(er)†: «Mess(ere) Gianni, vammi da mia parte al Palglialoco ed a’ ciciliani, e dì loro ch’io alla coperta io gli aterò e che procaccino di studiare e d’uscire della sengnoria del re Carlo sed e’ possono co· mia parola, e dì c’avranno milgliore sengnore se piacerà a Dio e alla Maestà divina».

26.

1 Ma ala pa(r)tita d(e) Mayolica torna(n)do i(n) Catelog(n)a 2 sì tollò comiato e p(re)sse ad anda(r)e e dise: «Di q(ue)sto fato no vi posso dire nulla d(e) q(ui) ala mia tornata, como ò ordinato coli ciciliani e col pap(a) e col Palioloco». E pa(r)tisse d(e) Bazalona. 3 E q(ue)sto ne vene i(n) t(er)a e miss(er) Giani p(er) mare i(n)fine a Pisa. E †vano† p(er) celati pa(r)te e vie fino a Vit(er)bo, et illò t(r)ovò miss(er) lo pap(a). 4 E qua(n)do lo pap(a) lo vid(e) fue m(u)lte alegro p(er) sape(re) como el avesse fato p(er) tute guise. 5 E mess(er) Giani disse: «E’ ò fato tuto lo nost(r)o i(n)te(n)dim(en)to (com)piitamente (et) alegram(en)te; et à reçivoto miss(er) lo re di Ragona la seg(n)oria p(er) le p(re)ge(re) v(ost)re, e multo vi recoma(n)da e ma(n)davi let(r)a sì cu(m)me voi ystudiate (et) ordinate come sia celato e ma(n)dave reg(ra)ciando d(e) q(ue)sto fato». 7 E ’l pap(a) disse a mes(er) Giani: «Va dala mia pa(r)te al Palioloco (et) in Cicilia †ali† piùe cop(er)tam(en)te, e dicigli che li aiutarò e ch’io p(ro)caçierò d(e) tra(r)li di sig(n)oria d(e)lo re Ca(r)lo e, cola mia parola, che averano buono sig(n)ore s’a D(e)o piaçe.

3. parte] con taglio della gamba della p sovrabbondante


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27. 1 Allora si mosse messere Gianni e andonne in Cicilia per accontare questo a’ baroni di Cicilia. Venne il dicto messere Gianni per mare e giunse in Trapani e fue con messere Palmieri Abati e mandò per li altri baroni di Cicilia. 2 Allora vennero e accontò loro tucto ’l facto e come il papa di Roma avea dato e conciduto <la signoria> a messere Pero re di Raona, e come avea ricevota in tuct[o] la singnoria e lla morte de lloro inimici avea giurata; 3 «ond’elli vi manda a dire che voi tengnate celato il facto di qui alla mia tornata <e al mio ordinamento ch’ò ’n pensato>. E io mi ne vo al Pallialoco per accontare tuctu ’l facto com’è stato e recherò la moneta per cominçare l’armata grande e grossa, e se Dio piace faremo tucto bene. 4 E voi priego che tengnate celato, con ciò sia cosa che neuno il possa sapere, che venuto è il tempo ch’usceremo di servitudine di nostri nimici e vendicheremo l’onte nostre e faremo tucto bene». 5 E così si partio e intrò per mare e apportò in Costantinopoli a guiça di frate minore. 1. Cicilia] Cici Cicilia @@@ 2. la signoria] om.; tucto] tucta @@@ 3. e al mio ordinamento ch’ò ’n pensato] om.

28. 1 Incontanente si nd’andò diricto al Pallialoco e fue co-llui nel segreto luogo e disse: 2 «Messere, or t’allegra che llo intendimento nostro viene tucto facto. Ecco la veritade siccome messere lo papa di Roma àe conciduta la morte e lla distrutione del re Karlo coll’aiutorio tuo e d’i ciciliani e di tucti nostri amici; 3 e àci dato messere Pero re di Raona per capitaneo, <e à ricevuta la signoria di Cicilia e fia capitano della guerra>, e à giurata teco compagnia e <a> vita e <a> morte, ed [averà] ad amici i tuoi amici e a nimici i tuoi nimici. 4 E però vedi se quello ch’io te [promisi] viene facto tuto! 5 E così abbiamo ordinato che nel M CC LXXXIII la Cicilia sarà rubellata dal re Karlo e saranno tucti morti i suoi franceschi, e tolte le galee e lle nave e tucto ’l fronimento ond’elli [dovea] venire sopra te: 6 ne fie suo intendi-


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27.

1 Allora questo dìe si mosse mess(ere) Gianni e and(ò) in Cicilia p(er) racontare questo fatto e questa ambasciata a’ baroni di Cicilia. E venne il detto mess(ere) Gianni e giusse in Trapoli e fu co· mess(ere) Palmieri Abati e colgli altri baroni di Cicilia ke allora vi erano. 2 E mess(ere) Gianni contò loro questo fatto, come il p(a)p(a) avea dato e conceduto la sengnoria a mess(ere) Piero re di Ragona, e come «volentieri ricevut’à la loro sengnoria e à giurata la morte de’ vostri nemici; 3 onde vi manda pregando ke tengniate †celata† il fatto di qui alla mia tornata e ’l mio ordinamento c’ò ’n pensato. Ed io me ne voe al Palglialoco p(er) acontare il fatto come stae tutto p(er) avere la moneta grande e grossa. E s’a Dio piace faremo tutto bene. 4 E voi prego p(er) Dio ke llo tegniate celato il fatto, ke nesuno lo senta, ke venuto è llo tempo che usciremo di s(er)vitudine di nostri nimici e vendiceremo l’onte nostre e faremo tutto bene». 5 E così si partio e introe in mare e aportò in Costantinopoli a guissa di frate minore.

1 Allora se movò mess(er) Giani d(e) P(ro)cita et andoe i(n) Cicilia p(er) (con)tare q(ue)sto fato ay baroni di Çicilia. Vene el dito mess(er) Giani p(er) mare e giunse i· Napoli e foe (con) mess(er) Palmie(r)i Abbate e ma(n)doe p(er) gi altri baroni d(e) Cicilia. 2 Alora ven(er)o e (con)tò loro tuto lo fato, come il pap(a) d(e) Roma aveva dato e (con)cieduto a mis(er) P(ero) re d’Aragona, e come aveva reciuta la sig(n)oria e la mo(r)te d(e) lor i(n)nemici aveva giurato cred(e)ntem(en)te; 3 «und(e) vi ma(n)da a dire che tegnate cielato el fato d(e) q(ui) a mia tornata e dal mio ordine †(com)pe(n)saro†. Et io me ne vo al Palioloco p(er) a(con)tare il fato tuto come istae et a rechare la moneta p(er) comi(n)zia(r)e la armata bene gra(n)d(e) e grossa. E s’a Dieo piaze faremo tuto bene. 4 E voi p(re)go p(er) Dio che ’l teg(n)ati cielato, aziò ke may no si sapia, ke venuto è il te(m)po che usierete d(e) s(er)vitud(e)ne di v(ost)ri inimici e ve(n)dicarete le onte v(ost)re e farete tuty beni». 5 E così se pa(r)tio †da po(r)to† i(n) (Con)sta(n)tinopollo a guisa d’un fratre minore.

1. precede Co(m)e m(esser) G(ianni) dise allo re di Ragho(n)a. CXIX; fatto] fatto f(act)o

28. 1 Fra queste cose in(con)tenente se n’andò al Palglialoco e fu co-lloro in sacreto luogo e disse: 2 «Mess(ere) lo ’nperadore, or te ralegra ke llo ’tendimento tuo viene inn affecto. Ed eccho la verità come mess(ere) lo p(a)p(a) à conceduta la morte e la struzione del re Carlo collo aiutorio tuo e <...> ciciliani e di tutti n(ost)ri amici; 3 e àcci dato p(er) capitano mess(ere) lo re di Ragona e à ricevuta la sengnoria d’i ciciliani e fie capitano della guerra e à giurato in conpangnia teco a vita e a morte ed à p(er) amici i tuoi amici e p(er) nemici i tuoi nemici. 4 E p(er)ò vedi quello che tti

1 In(con)tane(n)te se n’andoe drito al Palioloco e fue co lui nel secreto loco e disse: 2 «Ora t’alegra ch’e’ ò l’ente(n)dim(en)to v(ost)ro fato. Io vi recho la v(er)itad(e) sì come miss(er) lo pap(a) di Roma à (con)cieduto la mo(r)te e la d(e)structione di lo re Ca(r)lo e d’i ciciliani; 3 et †aciò† dato p(er) capitano miss(er) P(ero) re di Ragona et àe recievoto la seg(n)oria di Cicilia e sì è capitano d(e)la guera et à giurato techo (com)pagnia (et) a vita (et) a mo(r)te (con)t(ra) li toi i(n)imici. 4 Or ved(e) se q(ue)lo ch’io t’inp(ro)missi ti viene bene tuto lo fato! 5 E così abia-


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mento perduto ed averà tanto che fare di llà che di qua mai non passarà». 1. Pallialoco] Pallalialoco @@@ 3. e à ricevuta la signoria di Cicilia e fia capitano della guerra] om.; e a vita e a morte] (e) vita e mo(r)te; averà] avendo @@@ 4. promisi] promecto @@@ 5. e lle] e l-le; dovea] devrà

29. 1 E quando il Pallialoco udio questo e vide ciò per bollate lectere, disse: «Messere Gianni, io sono per fare e dire ciò che cti piace, [tale cosa ài fatta che mai no la poteo fare] uomo nato, che Dio l’à dato a compiere». 2 Messere Gianni disse: «Or tosto mi dona e fa pesare XXXm oncie d’oro per apparecchiare l’armata e ssoldare cavalieri. E dammi un tuo secreto amico che vegna meco in Raona al segnore». 3 Allora disse il Pallialoco: «Io vo’ fare parentado co-llui e vo’ dare una mia filgluola ad uno suo filgluolo per avere più amore al facto». 1. tale cosa ài fatta che mai no la poteo fare uomo nato] che cosa facta no(n) puote mai frastornare co(n) onore. Ma voi el potete melglio actare ch’uomo nato

30. 1 Allora disse messere Gianni: «Be-mmi piace: or tosto sia facto quello ch’io domando, che non vorrei soprastare nè [vedere] persona che mmi connoscha». 2 E fu pesato l’oro e messo in mare. 1. vedere] co(n)noscere

31. 1 Quando andavano per passare in Cicilia trovaro navi di Pisani e domandaro di novelle. E que’ dissero che papa Nicola era morto, altra novella non aveano. 2 Allora disse messere Gianni: «Or andate con Dio, allora». E infinsesi di non sapere neente, perché ’l cavalie-


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promisi se viene fatto tutto! 5 E così abiamo ordinato che nel M CC LXXXII° la Cicilia sarà rubellata da-rre Carlo e saranno morti tutti gli suoi franceschi e tolte le galee e lle nave e tutto il fornime(n)to (con) che dovea venire sop(ra) te; 6 e fie suo intendimento p(er)duto e verae a tanto ke mai di quae no cci passerae».

mo ordinato che en M CC LXXXIIIIor Cicilia s(er)à rebellata dalo re Ca(r)lo e serano mo(r)ti tuti i soi fra(n)ceschi e tolue le galee e le navi e tuto lo fornim(en)to colo q(u)alo d(e)vea venire sop(ra) a tee; 6 e si’ il suo i(n)te(n)dim(en)to p(er)duto: d(e)ve(r)rà ta(n)to ke farà sì d(e) làe che may no(n) pass(er)à di quae».

1. precede CXXII

29.

1 Quando il Palglialoco udio questo e vide p(er) sulgelate le lectere, e disse a mess(ere) Gianni: «Io sono tutto vostro p(er) dire e p(er) fare ciò ke voi piacerae, tale cosa ài fatto che mai no lla poteo fare uomo nato di carne, e Dio la dia a conpiere». 2 E mess(ere) Gianni disse: «Or tosto mi fae pessare XXXm oncie d’oro p(er) apparecchiare l’armata e p(er) soldare cha(valieri), e dami uno tuo sacreto amico che vengnia meco in Ragona al sengnore». 3 Allora disse il Palglialoco: «Io volglio fare parentado co-llui e volglio dare una mia filgliuola a uno suo filgliuolo p(er) avere più amore al fatto».

1 Qua(n)do il Palioloco vid(e) q(ue)sto e vid(e) ciò ch’era p(er) bolate let(r)e, disse a miss(er) Giani: «Io sono p(er) fare ziò chi ti piace, che no lo feci anche ad homo nato, se D(e)o li ti dà a (com)piere». 2 Miss(er) Giani disse: «Or tosto mi dona e fae pessare XXXm unçe d’oro p(er) aparegliare la armata e soldare li cavale(r)i. E dami uno tuo s(er)giente amico che veg(n)a meco i(n) Aragona al seg(n)ore». 3 Allora dise: «Eu voio fare pare(n)tad(e) co luy e voglola dare una mia figlola ad uno sou figlolo p(er) ave(re) più amore al fato».

1. precede CXXIII; uomo] prima o sovrascritta

1 Allora disse mess(ere) Gianni: «Ben mi piace, or tosto sia fatto questo comandamento, che non vorrei sop(ra)stare nè essere conosciuto». 2 E così fue fatto e messo in mare.

30.

1 Alo(r)a disse miss(er) Giani: «Bene mi piacie. Or tosto sia fato q(ue)llo ch’io doma(n)do, ch’io no vorey sup(r)istare al fato nè vede(re) p(er)sona che me cognosiesse». 2 Foe pesato l’oro tuto e messe i(n) mare.

31.

1 Quando andavano p(er) passare in Cicilia trovarono una nave di Pisani e dima(n)darono di novelle. E quelli disono: «Sappiate ke ’l p(a)p(a) Nicholao è morto e altre novelle noi non sappia-

1 Qua(n)do andavane p(er) passare i(n) Cicilia trovarono navi di pissani e dima(n)darono d(e) novelle, e q(ue)gli disero: «Sapiate ke ’l pap(a) Nicola sì è morto, alt(r)e novele no ci abiamo». 2


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ri ch’era co-llui non s’avedesse di nulla. Ma molto isbigoctì messere Gianni e fu tucto ’l facto come rimaso, 3 se nnon che [prese conforto di sé medesmo], e via in Cicilia. E ffue apportato in Trapoli a messere Palmieri Abati, e <incontanente mandò per> messere Alamo da lLentino e per li altri baroni che devesseno andare nell’isola di Malta a parlamentare con messere Gianni e ccoll’ambasciadore del Pallialoco al più celato che potesseno. 4 Da che fuoro tucti insieme assembrati, fecero molta festa all’ambasciadore del Pallialoco, il quale avea nome messere Acardo Latino. 5 E quivi si levò messere Gianni di Procida e cominciò a dire come messere lo Pallialoco avea ferma comppagna e gurata col re di Ragona e co-lloro, e come avea data il Pallialoco grande quantità di moneta per cominciamento del facto. 6 Allora si livò messere Alamo da Lentino e disse: «Messere Gianni, molto ringratiamo messere lu Pallialoco di tanto bene e voi di tanta fadica che cci avete messa e di dìe e de nocte in volere trare noi di servitudine di nostri inimici. 7 Ma sappiate per certo che ora è incontrata una traversa molto ria, siccome quella della morte di mesere lo papa, lo quale era capo di queste cose e per cui si poteano fare. 8 Onde, da ch’è morto, a me non pare che ssi nde vada innançi, e cche quello ch’è facto si tengna celato; che Dio non pare che volglia, tale insengna ci nd’à mostrata di questo singnore ch’è morto. 9 E così dico che non si vada più innançi me[n]tre che noi vedremo chi sarà papa, se fia amico del sengore o se fia inimico: allora videremo che sia da fare. E questo pare ad me il melglio». 10 A questo parve che ssi acordassero tucti gli altri baroni di Cicilia e quasi furono tucti discordati del facto, sì erano paurosi della morte del papa. 3. prese conforto di sé medesmo] ssi pur riconforte; incontanente mandò] om.; per messere] a m.; che devesseno] fu comandato che devesseno; celato che potesseno] c. c-che p. @@ 4. assembrati] a-assembrasti con l’ultima s espunta @@@ 5. col re] co-col re @@@ 8. ch’è morto] cche m. con c barrata @@@ 9. si vada] sia v. con a espunta; mentre] metre @@@ 10. paurosi] pauorosi con o espunta


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mo». 2 Allora disse mess(ere) Gianni: «Ora andate (con) Dio», ed infinsisi di non sappere, p(er) lo ch(avaliere) ch’era co-llui, che non se ne avedesse di nulla cosa. Ma molto isbigottio mess(ere) Gianni e fue il fatto quasi come p(er) rimaso; 3 se non che prese conforto di sé medesimo, e via innazi e fue aportato in Cicilia in Trapoli a mess(ere) Palmieri Abati. Incontenente mandoe p(er) mess(ere) Allamo di Lentino e p(er) gli altri baroni che cciascheuno dovessono <...> nell’isola di Malta a parlamentare (con) mess(ere) Gianni e collo abasciadore del Palglialoco il più di celato che potessoro. 4 E da che fu(r)ono tutti insieme asembiati, e fecioro grande gioia e festa a l’abasciadore del Palglialoco lo quale avea nome mess(ere) Acchardo Latino. 5 E quivi si levò mess(ere) Gianni di Procita e co(m)minciò a dire come mess(ere) lo Palglialoco avea fatta ferma (con)pagnia co-lloro e avea giurato collo re Dragona e come avea data molta moneta p(er) cominciamento del fatto. 6 Allora si levò mess(ere) Alamo di Lentino e disse: «Mess(ere) Gianni e mess(ere) lo Palglialoco sia molto rigratiato di tanta fatica e afanno c’avete messo p(er) Dio e p(er) nocte in volereci trare di s(er)vitudine di n(ost)ri nimici. 7 E sappiate p(er) certo che ora è †i(n)(con)treta† una grande traversa disanventura, sì come q(ue)lla di mess(ere) lo p(a)p(a) Nicholao, lo quale era capo di q(ue)sto fatto p(er) †cu(n)ti† potea fare il fatto. 8 Onde da poi k’è morto, e così dico che non se ne vada più innazi del fatto nieente, 9 <...> che noi no vedremo chi sarà p(a)p(a) e se fie nemico: allora ved(e)remo che fie da fare. E q(ue)sto pare a me il milglore». 10 Ed a questo s’acordarono tutti ilgli altri baroni di Cicilia e furono tutti iscordati della morte del p(a)p(a).

Allora disse miss(er) Gia(n)i: «Ora andati (con) Dio», (et) i(n)fisesi d(e) no sap(er)e nullo p(er)ké li cavale(r)i no se n’ad(e)seno di nulla. Ma multo è dibiosso miss(er) Giani, il fato hè q(u)asi remaso; 3 se no che si †pute† reco(n)forto et andò i(n) Cicilia e fue apo(r)tato i(n) T(ra)pali (con) mess(er) Palm(er)i Abbate. Et i(n)(con)tane(n)te andarono a mess(er) Ala(m)o di Latino e p(er) gi altri baroni di Cicilia che ciascheduno d(e)vesse veni(r)e en l’isola di Malta a pa(r)lam(en)ta(r)e (con) miss(er) Giani e col’ambaglsato(r)e d(e)l Palioloco al più cielato ch’elli potessero. 4 Da che fuorono tuti i(n)sieme assembiati feciero m(u)lta festa †e† ll’ambasiatore d’il Palioloco il q(u)ale avia nome miss(er) Agardo Latino. 5 E qui sì si levò miss(er) Giani d(e) P(ro)cita e sì comi(n)ziò a dire come miss(er) lo Palioloco aveva ferma (com)pagnia (con) miss(er) lo re d’Aragona e kogli ciciliani, e comme aveva data multa mo(n)eta p(er) comi(n)ziam(en)to d(e)l fatto. 6 Allora si levò miss(er) Alamo e disse: «Miss(er) Giani, multo ringraciamo miss(er) lo Palioloco e voi di ta(n)to bene e di ta(n)ta faticha qua(n)ta voi aveti messo p(er) note e p(er) dìe in volerni trare di s(er)vitudine di n(ost)ri i(n)imici. 7 Ma sapiate p(er) cierto che ora ci è i(n)(con)t(ra)ta una trav(er)sa t(r)opo rea, sì come fue q(ue)la d(e) mes(er) lo pap(a), lo q(u)ale era capo d(e) q(ue)ste cosse e p(er) cuy si potano fare. 8 Ond(e), da ch’è mo(r)to, a me no pare che si vada più i(n)anze al fato, e q(ue)llo k’è fato si teg(n)a çielato, che no pare che Dio vogla, un talle seg(n)ore à mostrato di q(ue)sto seg(n)ore che è mo(r)to. 9 Così dico ke no si vada più i(n)anzi al fato i(n)troi che noi no vedieramo chi s(er)à pap(a), se fia amico o se fia inemico del seg(n)ore. Allora ved(e)remo che s(er)à da fare. E q(ue)lo pare a me el meglore che si fazia». 10 A q(ue)sto par[ve] che s’acordasseno tuti gli altri baroni di Cicilia e quasi furono tuti discordati d(e)l fato, sì erano paurosi d(e)la morte d’il pap(a).

1. precede CXXIIII @@@ 5. compagnia] con -isovrascritto (o è un titulus?) @@@ 6. precede

8. à] aggiunto in interlinea; mostrato] con lineetta ondulata sovrabbondante e -t- forse corretta su altra lettera

CXXV


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32. 1 E messere Gianni quando udì questo fu molto crucioso e levose e disse: «Bei singnori, molto mi meravilglio di ciò che voi dicete. 2 Vera cosa è che messere lo papa è morto ed è ben vero c’al facto è disconcio assa’ la sua morte. 3 Ma non si dèe lasciare cotal facto per questa ragione. Se papa si fa nostro amico ben sta, et se non fuosse amico “comminçia lite, concia non ti falla”. 4 Che lla Ecchi[e]ça <di Roma> perdona volontieri e, sse non viene facto tucto quello che pensiamo, averemo il meno buono concio. 5 Ma se cci viene facto, al malgrado della Ecclesia e del papa terremo la terra. Quale la ci torrà mai, se vorrite stare leali al singnore? 6 Che magior força fu quella dello imperadore Federigo che non è quella del re Karlo, sì vui teneste mentre che voleste stare insieme ad [una]. 7 E perciò dico che non si lasci, ançi <si> vada innançi col facto valentemente». 8 Sicché lgli ebbe tucti rincorati il dicto suo e lle ragione che mostrò loro. E così [fermaro] che ssi dovesse mandare in corte del re di Raona per sapere la volontà sua. 9 E messere Gianni disse che vvi volea andare pur’elgli e ’l cavalieri, ciò era messere Acardo, del Pallialoco, che [volea vedere] dare la moneta ch’aveano co-lloro per fronire il navile e’ cavalieri e l’armata ben tucta. 4. Ecchieça] Ecchiça con titulus; di Roma] om. @@ 6. teneste] ten-neste; una] uno @@@ 7. si vada] vada @@@ 8. fermaro] formaro @@@ 9. volea vedere] voleano andare a

33. 1 Allora si partirono per mare e andaro in Raona messere Gianni e messere Acardo Latino; e fuoro apportati in Barcellona vestiti siccome frati ermini, che non fossero connosciuti, e andarono a messere lo re di Raona. 2 E quando messere lo re li vidde fu molto allegro e disse che ssedessero. Incontanente prese messere lo re mes-


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32.

1 Quando mess(ere) Gianni udio questo d(e)tto fu molto cruccioso e levossi a dire: «Belli sengnori, molto mi meravilglo di ciò che voi dite. 2 Vera cosa è che mess(ere) lo p(a)p(a) è morto e ben è vero che al fatto n(ost)ro è disconcio assai la sua morte. 3 Ma no(n) si dè lasciare p(er)ciò uno sì grande fatto p(er) questa ragione: se ’l p(a)p(a) si †fano† n(ost)ro amico, bene istà; e se ’l p(a)p(a) non è n(ost)ro amico, cominciamo lite, (con)cio non ci falla; 4 che lla Chiesa di Roma p(er)dona volentieri, e se non aviene fatto tutto q(ue)llo ke pensiamo, almeno aremo buono concio; 5 ma sse ci viene fatto, a malgrado del p(a)p(a) e della Chiesa noi torremo la terra, e †quelle sengnorie† la ti tolglie mai se vorete stare leali al sengnore. 6 Ke maggiore forza fue quella d(e)llo ’nperadore Federigho che non è quella †d(e)r† Carlo, †se voi teste† mentre che voleste stare insieme ad una. 7 E p(er)ciò dico che non si lasci, anzi si vada tutto innazi col fatto valentremente». 8 Sicché gli ebe tutti ricorati il detto suo e lle grandi ragioni che mostrò loro. E così fermaro che si dovesse mandare i(n) corte de-rre di Ragona p(er) sapere la volontà sua. 9 E mess(ere) Gianni <...>: «Io vi vo’ pur andare io col cha(valiere), cioè mess(ere) Accardo del Palglialoco», †sia† ch’elli il volea vendere e dare moneta c’aviano co-lloro p(er) fornire il navile e p(er) soldare cavalieri e ll’armata tutta bene.

1 E mess(er) Giani udio q(ue)sto, foe multo cruciosso (e) levassi e disse: «Belg seg(n)ori, m(u)lto mi maraveglo d(e) ziò che voi dite. 2 Vera cosa è che mess(er) lo pap(a) èe mo(r)to (et) è ben vero (et) al fato è disconzio asay la soa mo(r)te. 3 Ma no(n) d(e)o torna(r)e uno cotalle fato aretro p(er) q(ue)sta ragione: se ’l pap(a) fia v(ost)ro amico bene istà, e †sa† no fusse nost(r)o <...> “comi(n)zia lire, (con)tio no ze falla”; 4 che la Giessa p(er)dona volu(n)te(r)i: se no zi veno fato tuto q(ue)lo ke pe(n)siamo avere, mo almeno bono (con)tio averemo. 5 Ma se cie vene fato, a malgrado d(e)l pap(a) e d(e)la Giessa di Roma teremo la tera, q(u)al mal ci ni vogla, se vorete istare liali sig(n)ori. 6 Che mayore força fue q(ue)la d(e)l’i(m)p(er)adore Fred(e)rico ke no sarebe q(ue)la d(e)lo re Carlo, †se vo’ tineste ad una† m(en)tre ke voleste istare i(n)sieme ad una. 7 Et i(m)p(er)ziò dico ke no si lassi, anzi si n’a(n)da i(n)anzi col fato valentem(en)tre (et) arditam(en)te». 8 Sì ke lgi ebe tuti rincarati il d(e)to sou cole cagione che mostrò. E cossì †fermato† ke si d(e)vessi ma(n)dare i(n) corte d(e)lo re d(e) Ragona p(er) sape(re) la volu(n)tad(e) sua. 9 E mes(er) Gia(n)ni disse che zi voleva andare pur eli col cavalie(re) c’aveva co luy, ziò era mis(er) Agardo d(e)l Palioloco, ch’el gle voleva dare moneta c’aveano co loro p(er) fornire il fato e llo navilio e’ cavalie(r)i e la armata tuta bene.

1. precede CXXVI @@ @ 6. d(e)r] d(e)-der 8. Sicché gli ebe] Sicché gli ebe sì che gli ebe

1 Allora si partio mess(ere) Gianni e mess(ere) Accardo Latino p(er) mare ad andare in Ragona; e furono aportati in Barsolona vestiti a guisa di frate minore, che non fossono conosciuti, e andaro a mess(ere) lo re. 2 E quand(o) il re gli

33.

1 Allora se †pa(r)ti[roe]† p(er) ma(r)e (et) andaro i(n) Catalogna mess(er) Giani e mess(er) Aga(r)do Latino. E fuorono apo(r)tati i(n) Bra(n)caluna vestiti come frati eremini, ke no siano conossuti, (et) andaro a mess(er) lo re. 2


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sere Gianni <per la mano> e menolo nella camera tucto solo, e fece co-llui grande compianto della morte del papa e disse: 3 «Ben ci è fallita la pensata nostra: da ch’è perduto il nostro capo, non è ogimai a dire del nostro facto più nè d’andarne più innançi». 1. siccome] sicccome

34. 1 Allora disse messere Gianni: «Per Dio, non doctare di neente, che noi riavremo buono papa e fia ben nostro amico; 2 e però non doctare, ançi mecte più studio che mai per rincorare li amici tuoi que’ di Cicilia, che della morte del papa non <debbiano> doctare neente, che ssì ò lor facto vedere che già non n’è doctato neente. 3 E sappiate che questo mio comp[a]gno è uno cavalieri del Pallialoco e àe nome messere Acardo Latino e è un savio homo: faretelgli honore e udirete quello che vorrà dire. 4 Et sappiate che vvi reca XXXm oncie d’oro per cominciamento del facto. E voi, apparecchiate di fare l’armata grande». 2. debbiano] om. @@@ 3. compagno] compgno

35. 1 Da che ’l re udio questo, fu tucto rincorato e disse: «Io veggo che Dio vole che pur così vada: sie ciò che ctu vuoli, e ffarò ciò che m’à’ decto e anderò inançi». 3 E così si partirono di là entro e vennero fuori; e cchiamaro messere Acardo e fecerli molto honore; e messere Acardo il salutò da parte del Pallialoco e disse come avea volontà «di voi vedere e di fare parentando con voi e col vostro lingnaro»; 4 e presentò [l’oro] <come era ordinato di fare e tennero molto consiglio sopra il fatto> come ssi dovesse fare e cominciare l’armata de’ legni. 5 [S]tando insieme il re di Raona e messere Gianni e messere Acardo in quello anno, ciò è nel M CC LXXXII, venne loro un messo


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vide fu molto alegro e disse loro che sedessono e prese mess(ere) Gianni p(er) la mano e menollo seco nella camera tutto solo e fece co-llui grande pianto della morte di m(e)ss(er) lo p(a)p(a) e disse: 3 «Bene è venuta fallita la pessata nostra: da ch’è p(er)duto il n(ost)ro capo non è oggimai più da dire del fatto nè d’andare più innazi».

E qua(n)do lo re gli vidd(e) fue m(u)lto alegro e dise loro ch’essero d(e)vesse. I(n)(con)tane(n)te p(re)sse lo re miss(er) Giani e menollo nella cam(er)a tuto solo e fecie co luy gra(n)d(e) (com)pianto d(e)la mo(r)te d(e)l pap(a). E disse lo re: 3 «Falita è la pe(n)sata n(ost)ra: da k’è p(er)duto lo nostro capo non è da anda(r)i giamay i(n)anzi col fatto».

1. precede CXXVII

34.

1 Allora disse mess(ere) Gianni: «Mess(ere) lo re, p(er) Dio non dottare di neente, che noi n’averemo buono p(a)p(a) e fie bene n(ost)ro amico. 2 P(er)ò no(n) dottare anzi meniamo più istudio al fatto p(er) ancorare i n(ost)ri amici di Cicilia, che della morte del p(a)p(a) non doctano nieente: sia fatto vedere loro che già non doctano nè micha. 3 E sappiate che questo mio conpangno sì è uno savio ho(mo) d’i cha(valieri) del Palglialoco: fateli grande honore e vedrete quello che dirae. 4 E sappiate ch’io vi recho XXXm oncie d’oro p(er) cominciam(en)to del fatto, che v’aparecchiate di fare l’armata grande e grosa».

1 Allora disse mess(er) Giani: «P(er) Dio, no(n) dota(r)e di nie(n)te, ke noi zi averemo bono pap(a) e fia bene n(ost)ro amico. 2 P(er)ò no dota(r)e di nie(n)te, anze meti più i(n)studio chi may fussi p(er) rincora(r)e gli amici n(ost)ri d(e) Cicilia, che d(e)la mo(r)te d(e)l pap(a) no(n) d(e)ba dota(r)e di niente. 3 E sapiate ke q(ue)sto meo (com)pag(n)o sì è uno cavale(re) d(e)l Palioloco ch’à nome miss(er) Aga(r)do Latino et è uno savio homo: fetegli hono(r)e gra(n)d(e) et udirete q(ue)lo ke ve vorà dire. 4 E sapiate ch’el vi rechò XXXm unze d’oro p(er) i(n)comi(n)ciam(en)to d(e)l fato, che †n’apa(r)e curate† di fare la armata gra(n)d(e)». 1. di] aggiunto in interlinea

35.

1 I· re di Ragona quando udio q(ue)sta cosa incontene(n)te fue tutto ricorato, sì come ho(mo) ch’era di grande valore, e disse: «Io vegio che Dio pur vuole che così vada. Sia ciò che tu voli. Io farò quello che tu m’ài detto e anderò innazi». 3 E così si parti(r)o di là entro e chiamaro mess(ere) Accardo Latino e diegli il †saluta† da parte del Palglialoco e disse come à grande volontade di lui vedere o di fare parentado co-llui o co(n) suo lengniaggio. 4 E p(re)setoe l’oro come era ordinato di fare e tenne-

1 Da che lo re udie q(ue)sto in(con)tane(n)te fue rincorato e disse: «Io vegio che Dio vole pur che così vada. Sia ziò ke tu violi. Farò ziò che tu m’ày d(e)to». 3 E così se pa(r)tiro di là entro, e vene(n)do fuori gliamaro miss(er) Agardo e fecieli m(u)lto honore. E mess(er) Aga(r)do lo salutò dala pa(r)te d(e)l Palioloco e dise come aveva volu(n)tad(e) d(e) luy vedde(re) e di fare pare(n)tado co luy e (con) sou legniayo. 4 E p(re)sentò lor let(r)e comi era ordinato di fare e tenero m(u)lto (con)siglo


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siccome era chiamato papa un cardinale il quale avea nome mesere Simone del Torso di Francia, il suo nome [papale] sì era papa Martino terço. 6 E quando udirono questo disseno: «Multo ci è da pensare quando è papa francesco, e molto dè essere amico del re Karlo e potrebbe essere troppo grande danno <a questo fatto>». 1. Dio] d-dio con d barrata @@@ 4. l’oro] lo re; come era ordinato... sopra il fatto] om.; l’armata] la-l con la barrato @@@ 5. Stando] Qtando con erronea iniziale; M CC LXXXII] M CC LXXXXII; papale] pap(a) @@@ 6. a questo fatto] om.

36. 1 Allora disse il re di Raona: «Messere Gianni, per Dio pensate ciò ch’è da pensare al facto». Messere Gianni disse: «Lo magiore amico che ’l re avesse in corte sì è questi, 2 ma però faremo tucto nostro apparecchiamento e vederemo quello che vorà fare, e quivi penseremo quello che ssi converà al facto». 4 Venne del mese d’aprile uno ambasciatore dal re di Francia al re di Raona e disse: «Mesere lo re di Francia per l’amore che vvi porta, sentendo che armata di legni voi fate per andare sopra Sarracini, a voi sì profere avere e persona a ctucto vostro comandamento, 5 e priegavi per lo suo amore che voi debiate, o per lectere o per messi, sinificare vostro passagio in qual parte sarà o sopra qual secta di Saraceni; 6 e sse voi biçogna moneta, forsi che voi non ne siete ben agiato, che volontieri vi nne presta quanto biçogna e volete». 2. vederemo] venderemo con n espunta @@@ 4. lo re di Francia] lo re di Francia vi saluta e dice


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ro (con)silglio molto sop(ra) il fatto come dovea fare o ccominciare l’armata di lengni e di soldare chavalieri. 5 In questo mezzo, stando insieme mess(ere) lo re di Ragona (e) mess(ere) Gianni (e) mess(ere) Accardo, venne loro il messo e contò sì come era chiamato il p(a)p(a) – ciò fue nell’anno del M CC LXXXII. Ed era chiamato uno cardinale c’avea nome mess(ere) Simone d’il Torso di Francia e ’l suo nome papale era chiamato Martino p(a)p(a) terzo. 6 Quando udiro questo dissoro: «Molto ci à da pensare, quando il p(a)p(a) franciescho molto dè essere amico de-rre Carlo, potrebbe essere molto grande danno a q(ue)sto fatto».

sop(ra) al fato come dovesse anda(r)e e comi(n)ziare la armata di y legni. 5 Istiando i(n)sieme mess(er) lo re di Ragona e mess(er) Giani e mess(er) Agardo i(n) q(ue)llo a(n)no, zioè en M CC LXXXII, ve(n)ne loro uno messo e (con)tò loro sì co(m)’era giamato pap(a) uno ca(r)dinale ch’avia nome mess(er) Symo(n)e d(e) Torso di Fra(n)zia, il sou nome papale era Martino pap(a) terzo. 6 Qua(n)do udirono q(ue)sto dis(er)ro: «Ista aveme a pe(n)sare, qua(n)do è pap(a) fra(n)cischo m(u)lto d(e)’ ess(er)e amico d(e) re Ca(r)lo e poterebe ess(er)e t(r)opo isco(n)zo al fato».

3. come] -e sovrascritta @@@ 5. precede CXXVIII

36.

1 Allora disse il prodomo mess(ere) lo re di Ragona: «P(er) Dio, pensiamo ciò ch’è da pensare al fatto». E mess(ere) Gianni disse: «Il maggiore amico che questi avesse in corte è questi, 2 ma p(er)ò faremo tutto n(ost)ro aparecchiamento e vedremo quello che vorà fare (e) quello pensaremo di fare che si converrà di fare al fatto». 4 Venne del mese d’aprile uno a(m)basciadore da parte del re di Francia a mess(ere) lo re Dragona e disse: «Mess(ere) lo re di Francia p(er) l’amore ke vi porta, sentendo ke armata di lengni fate p(er) andare sopra saracini, sì vi si p(ro)fera inn avere (e) in p(er)sona a tutto vostro comando, 5 e sì priega p(er) lo suo amore che dobbiate o p(er) me o p(er) lectere singnificare lo vostro passagio e in †quelle† parte sarae e in †q(ue)le† setta di saracini; 6 e se vi bisongna moneta – forse che non siete bene ad aggio –, che volentieri vi ne presterae qua(n)ta ve ne bisongnierà».

4. precede CXXVIIII

1 Allora disse mess(er) lo re di Ragona: «Mess(er) Giani, pe(n)sate ziò k’è da pe(n)sare al fato». E mess(er) Giani disse: «Lo malior(e) amico k’avesse lo re Ca(r)lo sì è q(ue)sto i(n) cu(r)te, 2 ma p(er)ò faremo tuto n(ost)ro aparegliam(en)to e ved(e)remo q(ue)llo che vo(r)à fare e q(ui) ni pe(n)saremo quello che si converà al fato». 3 Dicie che del mesu d(e) febraro vene alo re Ca(r)lo i(n) Pugla uno messo e (con)togli sì cu(m)e mess(er) P(ero) d(e) Ragona facieva gra(n)d(e) armata i(n) ma(r)e, e no si pote sape(re) come nè lo ’np(er)ché la faciesse nè a cui adosso, sì era cielato. Qua(n)do lo re Ca(r)lo udie q(ue)sto maraveglossi e i(n)(con)tine(n)te fecie fare letra e ma(n)dola al re di Fra(n)zia e disse i(n) q(ue)sto m(od)o ch’io vi dirò p(er) ap(re)sso, et egli se n’andò a Roma al papa: «Al gra(n)d(e) (et) al’alto karissimo mio nepote Phylippo re, Carlo re salute. Facio(n)i a sap(er)e ch’io òe mesagio el q(u)ale ci †(con)tio† sì come mess(er) P(ero) di Ragona fae armata di ma(r)e e lo ’np(er)ché no si sa. Und(e) vi ma(n)diamo p(re)gando che d(e)biati ma(n)dare


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37. 1 Allora disse lo re di Raona: «A messere lo re di Francia faccio molte gratie delle grande proferte e promesse che m’àe facte nelle miei biçogn[e]. 2 Acciò che me non conviene parlare per lectere a llui che già fu mio cognato, parlerò a voi, messere lu cavalieri. 3 Or dite al re di Francia da mia parte che vera cosa è ch’io debbo andare sopra Saracini, ma io non direi dove nè a ccui per niuna cagione, ma io credo che tosto il saprà tucto ’l mondo dove io andarò; 4 che delle proferte sue non mi biçogna altro che moneta: pregheretelo da mia parte che mmi debbia prestare della sua moneta XLm o L milia lib. di tornisi per melglio fronire mia gente, se a llui piace». 1. biçogne] biçogno


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messagi ke sapiano i(n) tuto p(er)k’egli la fa et a cui egli vuole ire adosso, ch’al postuto lo voglamo sap(er)e». 4 Qua(n)do lo re di Fra(n)cia udio q(ue)sto ma(ra)veglossi m(u)lto e ma(n)dò d(e)l messo d(e) ap(r)ile uno ambaisatore di Fra(n)zia a mess(er) lo re d’Aragona e disse: «Mess(er) lo re di Fra(n)zia p(er) l’ono(r)e e p(er) l’amore ch’el vi porta, senciendo ke voi fate armata di legni p(er) andare sop(ra) a saracini, vi si p(ro)fero ave(re) e p(ersona) a tuto v(ost)ro coma(n)do, 5 e p(re)gavi p(er) sou amo(r)e ke d(e)biate p(er) let(er)ra o p(er) messo sig(n)ifica(r)e v(ost)ro passagio (et) i(n) q(u)ali p(ar)te serà e sop(ra) a q(u)ali saracini. 6 E se bisogna m oneta – ke forxe ve ne bisog(n)a –, ke volentie(r)i ve ne p(re)starà qua(n)ta bisogna». 1. fare] afare con a- espunta @@@ 3. letra] con titulus sovrabbondante; mandare] ma(n)diamodare con diamo cancellato

37.

1 Allora disse i· re di Ragona: «Al grande ho(mo) messere lo re di Francia faccio molte granze delle grandi proferti che m’ài fatte nel mio bisongno, 2 ma accioe che me non conviene parlare a llui p(er) lectera, che già fue elgli mio (con)gniato, parleremo a voi, mess(ere) cha(valiere). 3 Or dite a mess(ere) lo re di Francia da mia parte che vera cosa è ch’io debo andare sopra saracini, ma no(n) vi direi dove sia la mia andata p(er) nulla cagione: ma io credo che di p(re)sente lo saprà tutto il mondo dov’io anderò †il† qual parte. 4 Delle proferte sue ben mi bisongna moneta: pregatelo da mia parte ke mi presti della sua moneta da XL M livre o da L milia lib. di tornesi p(er) fornire melglio mia gente e mie bisongne, s’a lui piace». 2. congniato] (con)gni-iato @@@ 3. presente] p(re)sen/sente

1 Allora disse lo re d’Aragona: «Dizie a mis(er) lo re di Fra(n)za ke fazioi multe g(ra)tie d(e)la gran p(ro)ferta ke †çi† m’à fata en la mia bisogna. 2 Aziò ch’a me no(n) (con)vene pa(r)la(r)e p(er) letera, ke già fue mio cog(n)ato, pa(r)la(r)ò a voi, mess(er) cavale(re). 3 E dite al re d(e) Fra(n)za dala mia pa(r)te che vera cossa è ch’io d(e)bio anda(r)e sop(ra) a saracini, may io no(n) direo ove nè a cuy p(er) nulla cagione, ma io credo che tosto lo saprà tuto il mu(n)do ove gi’ò andare. 4 Delle p(ro)ferte soe a me no bissogna altro ke moneta: pregetello dala mia pa(r)te che mi d(e)bia p(re)stare d(e)la sua moneta XLm libri d(e) tornesi p(er) forni(r)e me e mia ge(n)te, s’a luy piacie».


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38. 1 Partìsi il cavalieri del re di Raona e andonde in Francia e ccontò tucta questa ambasciata al re di Francia; 2 e llo re di Francia comandò incontenente che’ denari fossoro portati incontinente in Raona a· re, e ffuoro cinquanta milia lib. di tornesi. 3 Incontenente comandò a questo medesmo ambasciatore che cavalchasse incontenente al re Karlo in Pulglia per accontare le novelle ch’avea dil re di Raona 4 e come avea decto ch’andava sopra Saracini con grande sforso ma none avea voloto dire in qual parte andava: or ci [ponesse] mente e guardia e ne tenesse consilglio con messere lo papa. 4. ponesse] tenesse; e ne tenesse] ne tenesse e

39. 1 Quando il re Karlo udio questo, fu al papa e disse: 2 «Padre santo, uno ambasciatore ci à dal re di Francia lo quale conta novelle <come lo re di Raona fa una grande armata di navi e di galee e dice che vuole andare sopra Saracini: l’uomo è un gran †beccone†, onde mandiamogli> da vostra parte che vui faccia a ssapere dove vuole andare; 3 che, sse va sopra Saracini, che lli daremo aiuto grande. Et se va sopra cristiani comandateli, socto pena della terra <che tiene da voi>, che non vada in parte da dare danno ad alcuno fedele della Ecclesia di Roma». 2. come lo re... onde mandiamogli] om.; dove vuole andare] dove lo re di Raona vuole andare @@@ 3. che tiene da voi] om.

40. 1 Quando il papa udio questo incontanente mandò per frate Iacomo dell’ordene de’ frati predicatori e incontanente lo mandò al re di Raona da sua parte e disse: 2 «Va ad re di Raona e dilli ch’io intendo che fa armata di lengni in mare per andare sopra Saracini: che sse va, vada dalla parte di Dio, e che lli dia gratia di


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38.

1 Partìsi lo cavaliere da· re di Ragona e a(n)dò in Francia e (con)tò tutta questa abasciata a-rre di Francia. 2 E lo re di Francia in(con)tane(n)te comandò che’ denari fossoro portati a-rre di Ragona e furono XL M lib. di tornesi. 3 In(con)tanente comandò a questo cha(valiere) medesimo che cavalcase in Pulglia a-rre Carlo a (con)tare le novelle de· re di Ragona, 4 come avea detto c’andava sop(ra) saracini (con) grande isforzo ma non avea detto in quale parte andava, ond(e) in ciò ponesse tutta sua guardia e tenesse (con)silglio (con) mess(ere) lo p(a)p(a).

1 Partissi lo cavalie(re) dal re di Ragona (et) andone i(n) Fra(n)zia e (con)tò tuta q(ue)sta ambaisata alo re di Franzia. 2 E llo re di Fra(n)cia coma(n)doe i(n)(con)tane(n)te che gli d(e)nari fosseno aportati i(n) Aragona alo re d’Aragona, e fuorono XLm lib. de tornesi. 3 Et i(n)(con)tane(n)te coma(n)dò a q(ue)sto ambaisatore med(e)simo che cavelcase i(n)(con)tane(n)te a re Ca(r)lo i(n) Pugla p(er) (con)tare le novelle ch’avea dal re d’Arago(n)a, 4 come avea detto ch’andava sop(ra) a sarasini (con) gra(n)d(e) isforzo ma non aveva voluto dire il dove nè i(n) q(u)ali pa(r)ti andava. «Or ci ponete m(en)te e †gua(r)diave† et abiatene (con)seglo (con) mess(er) lo pap(a)».

1. precede CXXX

39.

1 Quando i-rre Carlo udio questo, in(con)tanente fue al p(a)p(a) e disse: 2 «Padre s(anct)o, uno a(m)basciadore m’è venuto da· re di Francia e (con)tami cotali novelle come lo re di Ragona fae una grande armata di nave e di galee e dice ke vole andare sopra saracini; onde l’uomo è un grande becchone ed uomo co· molto ardire, onde mandiamogli da vostra parte ke vi faccia a sappere dove vuole andare; 3 e se va sopra saracini k’elli vi faccia a sapere, che lli darete aiuto grande; e se va sop(ra) (crist)iani comanderetegli sotto pena della terra che [cene] che no(n) vada in parte da dare danno a veruno fidele (crist)iano ned a la Chiesa di Roma».

1 E qua(n)do lo re Ca(r)lo vid(e) q(ue)sto fue al pap(a) e disse: 2 «Padre santo, uno ambaisatore ci à dalo re di Fra(n)cia lo q(u)ale (con)ta novelle da sua pa(r)te, che vi fa a sentire [........] vole andare lo re di Ragona». Qua(n)do vid(e) q(ue)sta ambaisata maraviglosi multo. Allora disse lo re Ca(r)lo: 3 «Mandategli dice(n)do ch’egli vae sop(ra) a saracini, che li darete aiuto gra(n)de. E se va sop(ra) a (crist)iani, coma(n)daretegli suto pena d(e)la t(er)a ke no vada i(n) pa(r)te di dare da(n)no a neuno fid(e)le d(e)la Chiessa di Roma».

40.

1 Quando il p(a)p(a) udio questo in(con)tanente mandò p(er) frate Iacopo d(e)ll’ordine de’ frati predicatori e mandollo a· re di Ragona dalla sua parte e disse: 2 «Vae a-(r)re di Ragona Piero e dìe ch’io intendo ke fae armata grande

1 Qua(n)do il pap(a) udie q(ue)sto in(con)tane(n)te ma(n)dò p(er) frate Iacobo d(e)l’ordine di y frati p(re)dicato(r)i e disse ch’a(con)ciasse sou bisogno p(er) andare alo re di Ragona. 2 «E digli ch’eu i(n)tendo ched egli fae


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fare bene; 3 e se lgli biçogna aiuto da noi, volonteri glil daremo. E pregalo da nostra parte che cti dica in quali parti vae, se vva in terra di Tartari o di Barbari o di Granata; che al tucto lo volgliamo sapere, 4 che lla sua andata toccha troppo alla Ecclesia nell’onore e nel dannagio suo. E comandagli, socto pena della terra quant’à da noi, che non vada sopra alcuno cristiano per guerra fare. E di questo recha risposta certa». 2. dilli] disse dilli

41. 1 Lo frate Iacopo tolse compangnia, e via in Raona; e fue apportato dinançi al re di Raona e mostroli tucta l’ambasciata che papa Martino li mandava. 2 Allora dice che ’l mostrò a messere Gianni di Procida e tenne co-llui suo consilglio; e vievia quel giorno fecero la risposta al dicto frate Iacopo e disse in questo modo: 3 «Direte al nostro singnore <papa Martino che come nostro padre> lo ringratiamo di tanta buona proferta quanto ci à facta nella nostra impresa e di tanto amore quanto ci mostra. E diretegli che, quando sarà biçogno suo aiuto, [farello] richiedere come nostro padre. 4 Ma diretegli che, del volere sapere ove nostra andata sia od a cui adosso, quello non può sapere, messere, per neuno modo che ssia. E diretegli che se ll’una mano [lo] dicesse all’altra, che io la mosserei. 5 E però ditelmi che mi perdoni a questa volta, che non può altro essere. Ma, s’a Dio piace, io credo andare in luogo e in parte là ove messere lo papa n’avrà molta letitia e gaudio. Questo li dite da mi’ parte, e che prieghi Dio per me». 3. papa Martino che come nostro padre] om.; farello] farebo @@@@@ 4. lo dicesse] la d. 5. mi] me mi


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†di mandare† di mare p(er) andare sopra saracini; che se vae, vada dalla parte di Dio e che lli dia gratia di ben fare; 3 e che se lgli †daremo† aiuto, volentieri gli manderemo (e) daremo. E pregatelo dalla n(ost)ra parte ch’elli debia singnificare in quale parte farae la sua andata, od in terra di [.]gito od in Barberia o in Granata, che al tutto lo vogliamo sapere, 4 p(er)ché la sua andata toccha molto alla Chiesa di Roma nello onore e nel dannaggio suo. E comandategli, socto pena della terra che tiene da noi, che non vada sopra alcuno fedele della Chiesa di Roma p(er) guerra fare. E di questo reccha risponsione certa».

gra(n)d(e) armata di ma(r)e p(er) andare sop(ra) a saracini; che se va, vada dala pa(r)te di D(e)o, ke gli darà gra(n)di bene fare. 3 E se bisog(n)a aiuto, dizoi che volu(n)tera giele daremo. E p(re)gallo dala n(ost)ra pa(r)te che ti dica i(n) q(u)al pa(r)te e’ va, e se va i(n) t(er)ra d(e) Barba(r)i o d(e)l re di Granata, ke al postuto lo volglamo sape(re), 4 che la soa andata dota t(r)opo la Giessa en hono(r)e e enel danagio sou. E coma(n)da, soto pena di p(er)de(re) la t(er)ra qua(n)to <...> da noi, che no vada sop(ra) a alcuno (crist)iano p(er) guera fare. E di q(ue)sto recha risposta cierta».

3. [.]gito] la prima lettera è forse una -o- corretta in -i-

41. 1 Lo frate Iacopo tolse sua conpangna e via in Ragona. E fue aportato in Ragona dinazi a Piero re di Ragona e mostrogli tutta l’a(m)basciata che ’l p(a)p(a) Martino gli mandava. 2 Allora i-rre di Ragona la mostrò a mess(ere) Gianni di Proccita e tenne consilglio di ciò co-llui; e vievia fecioro la risposta al detto frate Giacopo e disse in questo modo: 3 «Direte al n(ost)ro singnore mess(ere) lo p(a)p(a) Martino †come n(ost)ro padre rigraziando† lui di tante buone profete quant’e’ ci àe fatte nella n(ost)ra inpresa e q(u)anto amore quant’e’ ci à mostrato. E diragnli, quando farae bisongno aiuto farello ricchiedere. 4 Ma diretegli che, del volere sapere in qual parte n(ost)ra andata fia od a cui a(n)deremo adosso, quello non potrebbe sapere p(er) neuno modo che sia. E ditegli che se lla mano ritta lo sapesse ed ella lo dicesse a la mancha, sì lla talglierei in(con)tanente. 5 E p(er)ciò ditegli ke mi p(er)doni a questa volta, ch’io non posso fare altro. Ma, s’a Dio piace, io credo andare in parte ke Idio n’averà grande letizia e gaudio. E

1 Il frate Iacopo †col† sou (com)pagno e via andau i(n) Aragona. E fue aportato i(n)anzo alo re di Ragona e mostrogli tuta la ambagisata ke ’l pap(a) Ma(r)tino gli ma(n)dava. 2 Allora dicie ke ’l most(r)à a mess(er) Giani d(e) P(ro)cita e te(n)ne co luy di ziò (con)seglo. Et i(n) q(ue)llo giorno fecie(r)o la risposta al deto frate Iacopo e dise i(n) q(ue)sto m(od)o: 3 «Direte al n(ost)ro sig(n)ore pap(a) Ma(r)tino che come n(ost)ro padre lo ri(n)graciamo luy di ta(n)ta buona p(ro)ferta qua(n)ta ci mostra. E diretegli, qua(n)do s(er)à bisogno lo sou adiuto, farolo ri(n)chiede(re) sì come n(ost)ro padre. 4 Ma diretegli ke, d(e)l vole(re) sape(re) qua(n)do n(ost)ra andata fia o a cuy adosso, q(ue)llo no può sape(re), mess(ere), p(er) v(er)uno m(od)o ke sia. E ditegli, se en una mano il diciese al’altra, la muzarebe. 5 P(er)ò ditegli ke mi p(er)doni a q(ue)sta volta, ch’esse(re) no puote alt(r)o. Ma s’a D(e)o piazie eo credo andare i(n) pa(r)te che mess(er) lo pap(a) n’avrà multa leticia e gaudio. Questo gli dite


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42. 1 El frate Iacopo quando udì questo fu partito dal re di Raona e venne in corte dinançi al papa, e uno giorno venne a ddire l’ambasciata al papa che vi era presente il re Karlo. E ’l frate disse a messere lo papa quello che llo re di Raona gli avea risposto. 2 E quando l’udiro [maravigliarosi] multo, e ’l re Karlo disse: «Dissivi bene che ’l re di Raona era un †biccone†: udite bella risposta ch’à facta! Ma faccia con Dio <ciò che fa>: se ffa in [buona] fede <d’>adcquistare sopra Saracini, dovete essere allegro voi e tucta Ecclesia di Roma». 2. maravigliarosi] maravilgliaristi; ciò che fa] om.; se ffa] se f-fa; buona] buna; d’adcquistare] adcquistare

43. 1 Po’ si partio il dicto messere Giann[i] dal re di Raona e disse: «Io vo in Cicilia a ordinare come in quisto anno la terra si rubelli dal re Karlo». 2 E ffu partito dal re di Raona et disse a messere Accardo Latino ch’aconciasse sue biçogne per andare co-llui in Cicilia, 3 e presero commiato dal re del mese di gennaio nel [M CC LXXXII]. E giunse in Trapali e mandò per messere Palmieri Abati e per mesere Alamo da Lentino e per messere Gualteri di Calagirone che dovesseno venire a parlamento co-llui e con tucti gli altri singnori segreti dell’isola. In quel tempo venero tucti in Trapoli e messere Gianni incominciò a ddire: 4 «Belli singnori e belli amici, buone novelle v’aporto del vostro novello singnore, come àe facta la più bella armata che giamai fosse facta in mare e di milgliore gente, ed à facto capi-


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questo dite dalla mia pa(r)te, ke preghi Idio ke mi dia bene a ffare».

dala mia p(ar)te e p(re)govene p(er) Dio».

1. precede CXXXI @@@@ 3. quante] con titulus sovrabbondante (apparentemente il copista aveva cominciato a scrivere qd = quando) 4. diretegli] con titulus sovrabbondante

1 Lo frate Giacopo quando udio questo fue partito da-rre di Ragona e da più parlare e andonne dinazi al p(a)p(a) ke v’era presente i-rre Karlo e i· p(a)p(a). Un giorno venne e disse l’abasciata il frate Giacopo a mess(ere) lo p(a)p(a), tutto quello ke i-rre di Ragona avea detto e risposto. 2 E quando l’udiro meravilliarsi molto, e’rre Carlo disse al p(a)p(a): «Diss’io bene ke quello re di Ragona è un becchone: udite bella risposta ke †fattalo† <...> (con) Dio ciò ke fa: se lo fae in buona fede †da q(ue)st’ora† sopra saracini, dovetene essere allegri molto voi e tutta la Chiesa di Roma».

42.

1 Il frate Iacopo qua(n)do odio q(ue)sto fue †pa(r)tita† dal re di Ragona e ve(n)ne i(n) corte al pap(a), (et) uno giorno ve(n)ne a ridire la ambagissata al pap(a) che vi era p(re)se(n)te lo re Ca(r)lo. E llo frate disse a mess(er) lo pap(a) q(ue)llo ke lo re d(e) Ragona avea risposto. 2 E qua(n)do l’odirono maraveglosi multo e llo re Ca(r)lo disse: «†Istia† dixemo beni ke q(ue)llo di Ragona è uno barone: odite bella risposta k’à fata! Ma facia (con) Dio çiò che fa: s’egli à buna fed(e) d’aq(ui)sta(r)e sop(ra) a saracini, d(e)veretene ess(er)e alegro voi e tuta la Chiessa d(e) Roma».

1. precede CXXXII; ke v’era presente] ke v’era presente ke v’era; tutto quello ke i-rre di Ragona] tutto quello ke i-rre avea detto ke irre di Ragona

43. 1 Poi si partio mess(ere) Gianni di P(ro)cita da-(r)re di Ragona e disse: «Io voe in Cicilia a ordinare come la terra di Cicilia in q(ue)sto anno si rubelli da-rre Carlo». 2 E fue partito da-rre di Ragona e disse a mess(ere) Acardo Latino anbasciadore del Palglialoco ke acconciase sue bisongne p(er) andare in Cicilia, 3 e prese commiato da· re del mese di ge(n)naio nel mille CC LXXXII, e via in Cicilia. E giunse in Trapoli e mandò p(er) mess(ere) Palmieri Abati e p(er) mess(ere) Alamo di Lentino e p(er) mess(ere) Gualtieri di Catalagirona che dovessono venire a parlamento (con) lui

1 Poi se pa(r)tio il deto mess(er) Giani da P(ro)cita dalo re di Ragona e disse: «Io vo i(n) Cicilia ad ordina(r)e come la t(er)ra se rebelli i(n) q(ue)sto a(n)no da re Karlo». 2 E †fae† pa(r)tito dalo re d’Aragona e disse a mess(er) Aga(r)do Latino ambasiadore d(e)l Palioloco k’a(con)ciasse sou bissog(n)o p(er) andare co lui i(n) Cicilia. 3 E p(re)sse(r) comiato d(e) mese d(e) genaio en M CC LXXXII. E giunse i(n) Trapalli e ma(n)dò p(er) mess(er) Palme(re) Abate e p(er) mess(er) Allamo d(e) Lentino e p(er) mess(er) Gualte(r)i d(e) Calatagirone che d(e)vess(er)o veni(r)e a pa(r)la-


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tano il milgliore e ’l più franco homo che mai sia, ed è nostro latino ed à nome messere Rugieri da Loria di Calavra, lo quale è sempre stato col re di Raona, <ed è> el più guerrieri homo che ssia e quelgli che ppiù innodia i franceschi per la morte di suo padre. 5 Però pensate come lla terra sia tolta incontanente per qualunque cagione o modo si puote. E mai non è più bel fare ch’ora, quando il re Karlo è a corte di papa e lo prençe è in Proença: ançi che ’l santano sarà gran tempo passato e potrete melglio fornire vostra terra per tucta l’isola». 6 Come piacque a messere Gianni, fu facto e ordinato che ’l più tosto che ssi puote sia tolta la terra. 1. Gianni] Giann @@ 3. M CC LXXXII] M CC LXXXI; in Trapoli] in T(r)apoli a mess(ere) Gianni 4. più franco] p-piu con p barrata; stato] s-stato con s barrata; ed è] om. @@@ 6. che ssi] che ssia con a espunta

44. 1 Venne nel tempo del mese di março, il secundo dì della Pasqua dello Risorresso, era in Palermo messere Palmieri Abati e messere Alamo e messere Gualteri e tucti gli altri baroni di Cicilia. E andavano ad una festa ch’era fuori della terra tucti quelli di Palermo 2 et per quella via sì andavano molti franceschi. Vene uno francescho e prese una femina di Palermo per uçare co-llei villanamente, 3 e quella comminciò a gridare e lla gente trassero là. E uno [fante] di questi baroni comminciò ad bactere quello francescho che sforçava la fante. Allora gli altri franceschi trassero, e quivi s’incominciò una grande battalglia, sì cche’ palermitani ne stectero al di socto. 4 Tornaro in Palermo e ccominciarono a gridare: «Muoiano i franceschi!». E ffuoro in sulla piaça tucti armati 5 e assalgliro il capitaneo che v’era per lo re Karlo, sicché quelli vedendo questo fuggio nella


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e con tutti gli altri sacreti dell’isola di Cicilia. E in quello tempo vennoro tutti in Trapoli e mess(ere) Gianni di Procita cominciò a dire: 4 «Bei sengnori e bei amici, buone novelle v’aporto del n(ost)ro novello se(n)gnore, com’elgli à f(act)a la più bella armata di mare e della milgliore ge(n)te ke sia, e abbiamo p(er) amiraglio il milgliore e ’l più francho ho(mo) ke sia al mondo ed è nostro latino e à nome mess(ere) Rugeri di Loria di Caulavra, †colavale† è sempre istato col cuore a s(er)vire lo grand(e) omo mess(ere) lo re di Ragona ed è il più guer(rie)re ho(mo) che mai sia e quelli ke più <...> inn odio i franceschi p(er) la morte del suo padre. 5 E p(er)ò sì dobbiate pensare come la terra sia tolta in(con)tanente p(er) qualunq(ue) cagione o modo, ke mai non fu lo più bello torre ke ora, quando i-rre Carlo è in corte del p(a)p(a) e ’l prenze è in Provenza: anzi che ciò sentano sarà grande tempo passato e potrete melglio fornire e fare ciò che vorrete p(er) tutta l’isola». 6 Come piacque a mess(ere) Gianni, fue f(act)o e ordinato ke ’l più tosto ke ssi possa sia tolta la terra.

m(en)ta(r)e co luy e (con) tuti gli altri sacreti del’isola. In q(ue)l te(m)po ven(er)o tuti i(n) Trapoli e mess(er) Giani comi(n)ziò a di(r)e: 4 «Bey seg(n)ori e buoni amici, bone novelle v’apo(r)to d(e)l n(ost)ro novello seg(n)ore, come à fata la più bella armata ke may fosse i(n) mare e d(e)le megiori ge(n)ti, et àe fato amiraglo lo miglore e lo più fra(n)cho homo ke sia (et) è n(ost)ro latino et à nome mess(er) Rugie(r)i di Loria d(e) Calura, lo q(u)ale è istato lo più gue(r)iero homo ke sia e q(ue)lo k’à più i(n) odio li fra(n)cieschi p(er) lo mare d(e)lo sou pode(re). 5 E p(er)ò sì pe(n)sate ke la tera sia tolta i(n)(con)tine(n)te p(er) q(u)alu(n)che ragio(n)e ke si puote. E may no foe più belo fare che ora, qua(n)do lo re Ca(r)lo è a corte d(e)l pap(a) e ’l prenze è i(n) P(ro)henza: anzi ke se n’ to(r)ni serà longo te(m)po passato e potete meglo forni(r)e v(ost)re t(er)re p(er) l’isola». 6 Come piache a mess(er) Giani fue fato (et) ordinato di fare che al più tosto ke si puote sia tolta la tera.

1. precede CXXXIII

44.

1 Nel tempo del mese di marzo nel M CC LXXXIII, il secondo dì di Pasqua di Risu(r)rexi, un dìe passato era passato in Pale(r)mo mess(ere) Palmieri Abati e mess(ere) Alamo di Lentino e mess(ere) Gualtieri di Catalanogirona e tutti gli altri baroni di Cicilia, e andavano a una festa elgli e tutta la gente di Palermo. 2 E p(er) quella via andavano franceschi andando e venne uno baron francescho e prese una ge(n)tildonna di Palermo p(er) usare co-llei villaname(n)te, 3 e quella cominciò a gridare e lle genti trassero, intra li quali era un fante di mess(ere) Palmie(r)i Abati e incominciò a battere quello barone fra(n)cescho ke

1 Venne il te(m)po del mese di ma(r)zo, il se(con)do dìe dala Pasqua d(e) Risoreso. Et era i(n) Pale(r)no mess(er) Giani e mess(er) Palm(er)i e mess(er) Alamo e mess(er) Gualtie(r)i e tuti gli alt(r)i baroni di Cicilia. Andavano ad una festa tuta la ge(n)te di Palerno p(er) q(ue)la via. 2 E lli fra(n)cieschi andavano c(er)cando p(er) le arme, e q(ue)gli ke li aveva(n)o le davano ale femine. Ve(n)ne uno fra(n)ciesco ke vid(e) una femina nasco(n)de(re) lo coltello e p(re)sella e tolseglele vilanam(en)te, 3 e q(ue)lla comi(n)tiò a grida(r)e e la ge(n)ti di Palerno trassero lày. Ed un fa(n)te d(e) q(ue)li baroni (com)-


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mastra forteçça. 6 E lli franceschi ch’erano per la terra fuoro tucti morti, [e ’l] capitano s’arendio a cpacti; quando fu adrenduto non li tenneno i pacti, incontanente gridaro: «Muoia!»; e così fuoro tucti morti. 7 Ancora nonché ssecolari ma frati minori e predicatori e romitani ch’aveano lingua francescha furono tucti morti nelle ecclesie loro. 8 E quando [i dicti] baroni videro quest[e] cose così andate di sano, ciascuno n’andò in sua terra per la Cicilia e ffecero lo similgliante, salvo che Messina penò più um poco per fare pegio. Ben fuoro morti infino a IIIIm. 1. di março] d-di con d barrata @@@@ 2. di Palermo] di di palermo @@@@ 3. fante] frate 6. e ’l] le @@@ 8. i dicti] non perfettamente leggibile; queste] con e non perfettamente leggibile

45. 1 Stando il re Karlo in quel tempo in corte di Roma, venneli un messo da parte dell’arcivescovo di Moreale, siccome Cicilia era quasi rubellata tucta e era morti i suoi franceschi. 2 E tucto era questo intervinuto e’ non savia perché. Che dovesse pensare quello che fosse il milgliore di lui.


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forzava quella donna. Allora gli altri franceschi trassero e qui si cominciò una grande battalglia, sì che li palermitani ne stettoro al peggio e p(er)denti 4 e tornarono in Palermo e incominciaro a gridare: «Muoia, muoia gli franceschi». E furono in sulla piazza tutti armati 5 e asaliro il capitano ke vi era p(er) lo re Carlo, ed elli vegendo questo fatto in(con)tanente fugio in sulle fortezze. 6 E quantu(n)q(ue) franceschi erano nella terra di Palermo, tutti quanti furono morti e isspezzati. E mess(ere) Filippo francescho, capitano di Mesina, s’arandeo a ppatti e, quando fue arrenduto, no lgli attenoro i patti, in(con)tanente gridando: «Muoia muoia». E così furono tutti morti e menestrati. 7 Ed ancora, nonké i seculari ho(min)i, ma lgli frati minori e predicatori che franceschi furono o ssono o che a lingua loro parlasse, furono tutti quanti isparati in ventre sanza neuna misericordia nelle chiese loro. 8 E quando gli detti baroni di Cicilia vidoro q(ue)sto fatto andarono e fecioro questo f(act)o somilgliante, salvo che in Mesina penò più un poco p(er) fare magiore dalmagio. Ben furono i morti per veritade VIm Vc.

mi(n)tiò a bate(re) q(ue)llo fra(n)ciescho sì come ordinato era. Allora gli alt(r)i fra(n)cieschi trassero e q(ui) si (com)m(en)ciò una gra(n)d(e) batagla, sìe che’ palermitani ne stetero p(er)de(n)ti. 4 E tornoro i(n) Palerno e comi(n)ciaro a gridare: «Muoiano, muoyano y fra(n)cieschi». E fuorono i(n) sula piaça tuti armati 5 et asalirono lo capitano che vi era p(er) lo re Ca(r)lo. E q(ue)gli vedd(e)ndo q(ue)sto fugiru nella forteça, 6 e lli fra(n)cieschi ch’erano p(er) la t(er)ra fuorono tuti mo(r)ti, e llo capitano loro se rendoe a pati e, qua(n)do foe re(n)duto, no gli tenero y patti et i(n)(con)tane(n)te gridarono: «Muoya, muoya y fra(n)cieschi». E cossì fue fato. 7 Ancora no che noi seculari, ma y frati mino(r)i e p(re)dicato(r)i ch’aveano lingua fra(n)ceyscha fuorono tuti mo(r)ti en le giessie loro. 8 Qua(n)do li deti baroni vid(e)ro q(ue)sto così andato il fato, ziaschauno andoe i(n) soa t(er)ra p(er) la Cicilia e feciero il somiglente, salvo che Messina penò un pocho più p(er) fare pegio. E bene fuorono morti i(n) q(ue)sto m(od)o i(n)fino a quatro milia.

1. precede CXXXIIII

45. 1 Istando in quello tempo in corte del p(a)p(a) i-rre Carlo, vennegli un meso da parte d(e)llo arciveschovo di Morreale sì come la terra di Cicilia era quasi tutta rubellata e che v’erano morti tutti li suoi franceschi e fatto tutto lo magiore †almagio† che mai fosse; 2 e q(ue)sto gli era intervenuto e’ non sapea come nè lo p(er)ché; dovesse ispiare e pensare quello ke ffosse il melglio di lui. 1. precede CXXXIIIII

1 Istando i(n) q(ue)llo te(m)po i(n) corte di Roma lo re Carlo, venelli uno messo da pa(r)te di l’arciveschevo di Moreale e diss(er)o sì come Cicilia erano q(u)asi rebellata tuta, e co(n)tò sì co(m)me erano mo(r)ti soi fra(n)cieschi, 2 lo ’np(er)ché no ’l sapeva. «Or vi (con)siglate q(ue)lo che sia il meglo di voi».


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46. 1 Quando il re Karlo udio questo <fu> multo cruccioso e incontanente fu al papa e disse: 2 «Padre santo, [male] novelle t’aporto di me, che lla Cicilia m’è rubellata e èvi morta tucta la mia gente, il perché non so. 3 Però ti piaccia me consilgliare e me aitare di tucto quello che melglio sia, perché ffare lo devete voi e vostri frati e tucta Ecclesia di Roma». 4 E ’l papa disse: «Filgluolo nostro, non temere, che tucto l’aiuto e consilglio che vorrai <e> che ssia mestieri, tucto lo ti faremo. Vae nel Regno e [fa tua] armata e [passa] di llà e racquista per concio e per pace se puoi. 5 E mena con tico uno nostro legato con nostre lectere, e da nostra parte [dirà] a’ ciciliani che rendano la terra la quale [tegnamo] nostra spitiale camera». 6 Allora si partio il re Karlo di più parlare col papa. 1. fu] om. @@@ 2. male] malle @@@ 4. e che ssia] che ssia; e fa tua armata e passa] e ffare [..] armata e passia; se puoi] s-se con s barrata @@@ 5. dirà] dirai; tegnamo] tengnono

47. 1 Et in quello dìe andoe lo re Karlo ad uno consilglio <di> tucti li chierici e cardinali e gli altri prelati e pregolli per Dio che llui dovesseno consigliare delle sue bisongne, e contò loro siccome Cicilia gli era rubellata e come avea perduta tucta gente. 2 Allora si levò messere Iacomo Savelli cardinale e disse: «Messere lo re, alla Ecclesia di Roma piace al tucto che voi siate atato e consilgliato, perché ’l dovemo fare per tucte ragioni, che troppo ài messo nello honore di santa Ecclesia di Roma e de’ suoi frati. 3 E perciò per [me] vo’ che vadi in Cicilia et meni teco un nostro legato cardinale con tucti i processi che ssi possono dare e ffare sicché ssi raquisti la terra, prima per via di pace, se valere puote, e se nno per via di guerra». 4 E così per questo tenore disse tucti gli altri. E questo fermaro e ordinaro, e tornaro <al papa e dissero quello ch’aveano ordinato di fare>. Al papa piacque, e incontanente commandò a messere Gherardo da Parma cardinale ch’acconciasse sue biçogne per andare in Cicilia in servigio della Ecclesia e di re Karlo. E così fu facto il suo comandamento. 1. di tucti] tucti @@@ 3. per me] p(er) via @@@ 4. al papa... fare] om.


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46.

1 Quando i-rre Carlo udio questo fu molto doloroso e in(con)tanente se ne andoe al p(a)p(a) e disse: 2 «Padre s(anct)o, †e di mia† male novelle v’aporto ke lla terra di Cicilia m’è rubellata e tolta ed èvi morta tutta mia gente, lo p(er)ché no(n) so. 3 P(er)ò ti piacia di me consilgliare e d’atare di tutto quello che milgliore sia p(er) me, p(er)ké fare lo dovete voi e vostri frati e tutta la Chiesa di Roma». 4 E ’l papa disse: «Filgliuolo mio, non temere di neente, ke tutto l’aiuto e ’l (con)silglio che vo(r)rai e che fie mistiere, lo ti faremo. Vanne in Pulglia e fae tutta tua armata e passa di làe e aquista p(er) (con)cio o p(er) pace se puoi, e se non, p(er) gue(r)ra; 5 mena teco uno legato co· nostra lectera e da n(ost)ra parte dicha a’ ciciliani che rendano la terra, la qual tegniamo n(ost)ra ispeziale camera». 6 Allora si partio lo re Carlo dal p(a)p(a).

1 Qua(n)do lo re Ca(r)lo udio q(ue)sto fue multo crucioso (et) i(n)(con)tene(n)te andoe al pap(a) e dise: 2 «Padre santo, malle novelle v’aporto d(e) me, ke la t(er)ra d(e) Cicilia me è rebellata e mo(r)ta tuta la mia ge(n)te, e lo ’np(er)ché no ’l soe. 3 P(er)ò piaciave di (con)siliglami e d’aiutarmi d(e) tuto q(ue)llo ke mi sia bisog(n)a, p(er)ké far lo d(e)vete voi e tuti vost(r)i frati e (con) tuta la Chiessa di Roma». 4 E ’l pap(a) disse: «Figlolo n(ost)ro, no teme(re) nie(n)te, che tuto l’agloto e ’l (con)seglo che voray e che sie mistie(r)i, tuto lo ti faramo. Va en le Reg(n)o e fa tua armata e passa di là e raq(ui)sta p(er) (con)cio e p(er) †piace†, se puoi; 5 e mena (con) techo uno n(ost)ro legato e n(ost)re let(r)e, e da n(ost)ra pa(r)te diray a’ ciciliani che ti rendano la t(er)a, la q(u)ala tig(n)amo n(ost)ra yspiciale camera».

47.

1 E in quel dìe andoe i-rre Carlo a uno consilglio di tutti gli kerici e cardinali e alt(ri) parlati di corte e pregogli p(er) Dio ke lui dovessono aiutare e (con)silgliare delle sue bisongne, e (con)tò loro come la Cicilia era rubellata e come tutta la sua gente erano morta e p(er)duta. 2 Allora si levò mess(ere) Iacopo Savelli cardinale e disse: «Mess(ere) lo re Carlo, alla Chiesa di Roma piace a tutti ke voi siate s(er)vito e (con)silgliato, p(er)k’elli lo debiano fare p(er) tutte ragioni, ke troppo ànno messo nell’onore di s(anct)a Eccl(esi)a e ne’ suoi frati. 3 E p(er)ciò †òe messo† p(er) me volglio ke vadi in Cecilia e meni techo un legato cardinale (con) tutti quelli processi ke ssi possono dare o fare, sì che si raquisti la terra p(r)ima p(er) via di pace, se vale(r)e puote, e se non, p(er) via di guerra». 4 E sse no(n) è così, p(er) q(ue)sto tinore dissero tutti gli altri. E questo fermaro e tornarono al p(a)p(a) e dissoro quello che avano f(act)o e ordinato. El p(a)p(a) piacque;

1 Allora se pa(r)tio lo re Ca(r)lo (et) adunò (con)siglo d(e) tuti y chieressi e ca(r)dinali (et) altri p(re)lati e p(re)gogli p(er) Dio che ’l d(e)vess(er)o (con)siglare d(e)le sue bissog(n)e, e (con)tò loro sì come Cicilia era rebellata e come aveva p(er)duta la soa ge(n)te. 2 Allora si levò mess(er) Iacopo Salvello e disse: «Mes(er) lo re, alla Chiessa di Roma piazie ke voi sciate adiutato e (con)siglato, p(er)ké lo d(e)biamo fare p(er) tute ragioni, ke t(r)opo à’ messo en l’onore d(e)la s(anct)a Chiesa di Roma e d(e) suoi frati. 3 Et io p(er)ziò p(er) me voglo ke vadi i(n) Cicilia e meni (con) techo uno legato cardinale †che† tuti y p(ro)ciessi che si possono dare e fare, sì ke se raq(ui)sti la t(er)ra p(er) via d(e) pacie p(er) vole(re) guera». 4 E cossì p(er) q(ue)sto teno(r)e dissero tuti gl’alt(r)i. E q(ue)sto fermaro (e) tornaro al pap(a) e diss(er)o q(ue)lo ch’avean ordinato di fare; (et) al pap(a) piacé et ama(n)tene(n)te choma(n)dò a mess(er) Girardo da Parma ca(r)dinale


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48. 1 Allora il re Karlo tolse assai messagi e mandoli per tucte parti e al re di Francia e al prençe suo filgluolo, siccome Cicilia era rubellata da lui ed erano morti i suoi franceschi, cagione perché non sapea; 2 che per Dio il Re di Francia il dovesse actare e consilgliare in questo facto, e al prençe che incontanente dovesse venire in Pulglia <con quanto sforzo potesse, e che pregasse tutti baroni di Francia che debbiano venire in Puglia> per suo amore. 3 E allora quando il re di Francia udio questo fu multo cruccioso, e gictò molti sospiri e disse al prençe: «Fratello mio, gran pagura òe che questo facto non sia facto a petitione di re di Raona, che non mi vole dire perché andava o dove, quando li prestai libr. cinquanta milia di tornesi. 4 Troppo me ne pare male! Ma se cciò è, non porti io mai corona se io no nde ’l foe pentire, se questo tradim[en]to àe facto alla casa di Francia». 5 E incontanente disse al prençe che cavalchasse in Pulglia, <e> al conte Artese e a quel di Lançone e a quello di Donmartino e a molti baroni e cavalieri. E così fue facto. 2. con quanto sforzo... venire in Puglia] om. @@@@ 3. cruccioso] cr-cruccioso con cr barrato 4. tradimento] con omissione del titulus @@@ 5. e al conte] al conte


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in(con)tanente mandoe p(er) mess(ere) Gherardo cardinale di Parma che a(con)ciasse sue bisongne p(er) andare in Cicilia in s(er)vigio della Chiesa di Roma e del grande homo mess(ere) lo re Carlo. E cosie fue fatto lo suo comandamento.

ch’a(con)ciase sou bissog(n)o p(er) anda(r)e i(n) Cicilia i(n) s(er)vigio d(e)la Chiessa di Roma e d(e)lo re Carlo. E cossì foe fatto al so coma(n)dam(en)to.

1. precede CXXXVI

4. cardinale] aggiunto in interlinea

48.

1 Allora tolse lo re Carlo messagio assai e mandolgli in tutti parti a-rre di Francia e al pre(n)ze suo filgliuolo, sì come la Cicilia era rubellata da lui ed eravi morti tutti li suoi franceschi, la cagione non sapea lo p(er)ché; 2 p(er) Dio il re di Francia lo dove’ atare e co(n)silgliare lui in questo f(act)o; e al preze che in(con)tane(n)te dovesse venire in Pulglia (con) quanto forzo potesse e che preghasse tutti baroni di Francia che debiano venire in Pulglia p(er) lo suo amore. 3 Allora quando i-rre di Francia udio questo fue molto cruccioso e gittoe molte lagrime e disse al prenze molto dolorosamente: «Fratello mio, grande paura òe non questo f(act)o sia f(act)o a petizione de-rre di Ragona, che no mi volle dire p(er)k’elli andava quando io gli prestai XL M lib. di tornesi: 4 troppo me ne pare male. Ma se ciò è vero, non port’io mai corona in testa se bene no ne foe pentere, se questo tradime(n)to àe fatto alla casa di Francia e alla Chiesa di Roma». 5 In(con)tanente disse al p(re)nza che cavalcasse in Pulglia, al (con)te Artese e a quello di Lanzone e a quello di Donmartino ed a molti altri baroni e cha(valieri) ke questo era suo f(act)o.

1 Allora lo re Ca(r)lo tolso i messagi asay e ma(n)dogli p(er) tute pa(r)ti, al re di Fra(n)cia (et) al p(re)nze sou figliolo, sì come Cicilia era rebellata da lui (et) erano tuti mo(r)ti li soi fra(n)cieschi, cagione p(er)ké no ’l sapeva; 2 che p(er) Dio lo d(e)vesse lo re di Fra(n)zia (con)siglare (et) aiuta(r)e lui i(n) q(ue)sto fato, et al p(re)nze che i(n)(con)tane(n)te d(e)vese veni(r)e i(n) Pugla (con) qua(n)to isforzo potesse e che p(re)gasse tuti li baro(n)i di Fra(n)cia ke d(e)biano veni(r)e i(n) Pugla p(er) lo sou amore. 3 Alora qua(n)do lo re di Fra(n)cia udio q(ue)sto fue m(u)lto cruciosso e gitò multi sospiri e dise al pre(n)ze: «Fratello mio, grand(e) paura òe che q(ue)sto fato no sia fato a petitione di lo re di Ragona, ke no mi vole dire nè p(er)ché nè dove andava quando li p(re)stai XLm lib. d(e) tornessi: 4 t(r)opo me ne parve male. Ma si ziò è, no porti io corona s’io no ne ’l fo pentire, se q(ue)sto tradim(en)to à fato alla Chiessa di Roma (et) ala casa di Fra(n)cia». 5 Et i(n)(con)tane(n)te disse al p(re)nze ke cavelcasse i(n) Pugla (et) al (con)te Artese (et) a q(ue)llo di Lancone, d(e) Piema(r)tino (et) a m(u)lti alt(r)i baroni e cavalie(r)i. E così fue fato.

1. precede Come lo re Carlo raunoe uno gra(n)de (con)silglio i· Roma. CXXXVII

3. li] l- forse su altra lettera


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49. 1 Venne in quel tempo, <ciò è> nel [M CC LXXXII], il re Karlo fu mosso di Branditia con oste per mare et per terra <infino a Reggio di Calavra> con tucto suo sforso, baroni e cavalieri franceschi, provençali e lombardi e toscani e di terra di Roma, 2 e ffue passato a Missina. E quando fue, puose suo campo a Santa Maria di †Roccha Maiore†, e ’l legato co-llui. 3 Quando i missenesi viddero questo fuorono molto inpaurati, come homini che doveano ricevere morte, che ben l’aveano servita. Incontanente mandarono ambasciatori al re Karlo e al legato, che dovesseno venire per la terra siccome legitimo [signore], pregando di misericordia di loro. 4 E sse fosse andato nella terra il re Karlo sì lla s’avea al suo commandamento: mai non volse e mandoli diffidando siccome traditori di sua corona; e cche non volea loro promectere mercede ma morte, di loro e de lloro filgluoli, 5 perché ctale offesa aveano facta e ctal peccato alla Ecclesia di Roma e alla casa di Francia che mai non avrebeno misericordia ma morte, che di ciò erano tucti dengni; che tornassero in loro terra e m[a]i non li venessero più innaçi per niu[n]o pacto fare. 6 Con questo si partiro da lui e tornaro in Missina e acontaro la loro ambasciata. Allora vedendo questo i missenesi ebbeno paura di morte e stectero quatro giorni in questa conteçione, o <di> difendere o di perire. 1. ciò è] om.; M CC LXXXII] M CC XXXII; con oste] con titulus sovrabbondante; infino a Reggio di Calavra] om.; con tucto] e con t. @@@@ 3. signore] singnori; pregando... loro] ripetuto 5. misericordia] mis(er)icordia di loro; e mai] e mi; niuno] niuo @@@ 6. Con questo] c-co(n); vedendo] vendendo con n barrata; di difendere] difendere


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49.

1 Venne in quello tempo, cioè nel M CC LXXXIII, il re Carlo si mosse di Bradiza con oste di mare e di terra infino a Regi di Cav(r)a con molta buona gente di baroni e di cha(valieri) ifforzatamente e franceschi e prove(n)zali, e con lo(m)bardi e con toschani e di terra di Roma, 2 e fue pasato a Messina. Quando fue passato di làe puose suo campo a Santa Maria di Rocchamaiore, e co-llui era lo legato di mess(ere) lo p(a)p(a). 3 Quando gli missinesi udiro questo furono forteme(n)te inpaurati, sì come ho(min)i c’avano bene s(er)vita la morte. In(con)tanente mandaro a-rre Carlo e al legato del p(a)p(a) il messo ke dovessoro venire nella terra sì come legiptimo singnore e p(re)ghandolo di m(isercord)ia. 4 E allora fossevi i-rre Carlo andato, avea la terra a suo comandamento. Ma elgli non volle, anzi gli mandoe diffidando sì come traditori di sua corona; e p(er)ché non volea loro p(er)donare nè mercé, anzi p(ro)mettea loro la morte e di loro filgliuoli generalmente a tutti; 5 p(er)ché tale offessa avano f(act)a e tal f(act)o e sì grande peccato alla Chiesa di Roma e lla chasa di Francia ke «mai n(on) aver(re)te m(isericord)ia ma morte, e di ciòe ne siete dengni»; e disse loro che tornassoro in loro terra e difendessoro loro e la loro terra, e che mai no lgli venissero più innazi p(er) neuno pacto fare. 6 E in questo si partirono i detti messaggi di Messina c’aportaro la risposta a’ messinesi; ed elgli udendo questa risposta eboro paura di morte e stettoro XL giorni in questa condictione: o di perire o di difendersi al postutto. 1. precede Come lo re Carlo mandò messaggi i(n) Fra(n)cia. CXXVIII @@@ 3. precede Come lo re Carlo andò sop(r)a Messina con gra(n)de hoste. CXXXX

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1 Venne che i(n) quel te(m)po, zioè en M CC LXXXII, lo re Ca(r)lo fue mosso di Bra(n)ditia con oste di mare i(n)fino a Regio di Calavra (con) tuto sou isforzo, cavalie(r)i e baroni fra(n)cieschi e p(ro)vi(n)zali e lombardi e toschani e di di tera romana, 2 e fuorono passati a Mesina. E qua(n)do fue di là puosse su ’l ca(m)po a S(anct)a Ma(r)ia di Rochamaiora, et era co lui el legato. 3 Qua(n)do gli missinessi vid(e)ro q(ue)sto fuorono ispave(n)tati sì come homeni che d(e)vevano receve(re) morte, che bene la avevano p(er)s(er)vita. In(con)tene(n)te ma(n)doe ambasiatore a re Carlo (et) al legato ke devesero veni(r)e p(er) la t(er)ra sì come legiptimo seg(n)ore, p(re)gando di miss(er)icordia di loro. 4 E fusse lo re andato en la tera, avevalla al so coma(n)dam(en)to. Ma no volse e ma(n)doli diffidando sì come tradito(r)i di soa corona, ch’el no volle loro p(ro)mete(re) m(er)ced(e) ma mo(r)te di loro e di loro figloli; 5 ke talle offensa aveano fatta e tal peccato alla Chiessa di Roma (et) alla cassa di Fra(n)za, che may no(n) averano mis(er)icordia ma di morte. E d(e) ziò sono tuti dig(n)i e ke to(r)nas(er)ro i(n) loro t(er)ra e defend(e)seno loro t(er)ra, e may no li venisero più i(n)anzi p(er) neuno patto fare. 6 E (con) q(ue)sto sì se pa(r)tirono da luy e tornaro(n)si i(n) Mesina e (con)taro loro q(ue)sta ambasiata. Allora vedd(e)ndo q(ue)sto q(ue)li d(e) Messina, zioè q(ue)sto fato, li messinesi eboro paura di mo(r)te e stetero IIIIt(r)o giorni i(n) questa (con)ditione: o d’avere miss(er)icordia o di p(er)ire.


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50. 1 Uno giorno venne il conte di Monforte e quello di Brenna con cavalieri e con pedoni verso una terra ch’à nome [Malasso], ardendo e guastando tucta la terra. 2 E quelli della terra usciro fuori credendose difendere. I franceschi vedendoli usciro per força loro adosso, sconfisserli e uccisende ben octocento tra messinesi e que’ di Malasso. 3 Quando tornò la novella in Missina tucti si tennoro morti e mandaro per lo legato che dovesse venire nella terra per acconciare col re Karlo quelle cose. 4 El dìe medessmo entrò in Messina el legato e presentò lectere dal papa al comune di Messina e ’l processo che lla Ecclesia di Roma avea facto loro, 5 [se] per via di mercede [non volessero] andare e dare la terra portando le chiave al re Karlo siccome a legitimo loro singnore. Dissero le lectere in questo modo: 1. Malasso] Malençça @@@ 5. se] che; non volessero] dovessero

51. 1 «[A’] perfidi <e> crudeli dell’isola di Cicilia, Martino papa terço salute che ssite degni, siccome corrompitori di pace e ddi cristianità e ucciditori e spanditori de’ sangui de’ nostri fratelli. 2 Voi comandiamo che, vedute le nostre lectere, debbiate rendere la terra al nostro filgluolo e campio Karlo, re di Ierusalem e di Cicilia per autoritate di sancta Ecclesia. 3 Però debiate lui e noi obbidere come vostro legitimo singnore. E sse cci[ò] non farrete, annutiamo [voi] scomunicati <e> interdicti secondo l’uço della divina ragone, annutiandovi iustitia spirituale e temporale». 1. A’] l’iniziale non è stata realizzata; e] om. @@@ 3. cciò] cci; voi scomunicati e] noi s.; spirituale] corretto su spiritualmente


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50.

1 E uno giorno venne il (con)te di Monforte e ’l (con)te di Bra(n)na inv(er)so una terra c’à no(m)e Melazzo, ardendo e quastando tutta la terra. 2 E que’ della terra vidono questo, uscirono fuo(r)i credendosi defendere. Franceschi vedendolgli usciro fuori p(er) forza loro adosso e sconfissolgli e uccisorne bene c VIII tra messinesi e di Melazzo. 3 Tornò la novella in Messina, tenorsi tutti morti e mandaro p(er) lo legato del p(a)p(a) ke dovessoro venire nella terra p(er) acconciare quelle cose col re Carlo. 4 Il dì di Kalendilulglo entroe lo legato in Mesina e ap(re)sentoe le lettere del p(a)p(a) al comune di Messina e ’l processo ke lla Chiesa avea f(act)o contra loro, 5 se p(er) via di mercede non voliano dare la t(er)ra e portando le chiavi arre Carlo come al loro legittimo sengnore. E dissoro le lectere in q(ue)sto modo ch’io vi diviseroe apresso:

1 Et uno giorno ve(n)ne el (con)te d(e) Mo(n)forte e q(ue)llo d(e) Bre(n)na (con) cavalie(r)i e (con) pedoni v(er)so una t(er)ra ch’à nome Melazo, arde(n)do e vasta(n)do la t(er)ra. 2 Usirono fuo(r)i c(re)de(n)do d(e)fende(re). E’ fra(n)cieschi vedd(e)ndogli ussioro p(er) fo(r)za loro adosso e sco(n)fissoro ent(ra) messinessi e d(e) q(ue)li d(e) Melazzo bene octece(n)to. 3 Qua(n)do tornò la novella a Messina, tenessi tuti morti e ma(n)dorono p(er) lo legato ke d(e)vesse veni(r)e en la t(er)ra p(er) a(con)ciarli colo re Ca(r)lo, sì che avess(er)ro logo en q(ue)le cosse. 4 E llo legatto i(n)trò i(n) Messina e p(re)se(n)tò let(r)e del pap(a) al comune di Messina, e †fì† lege(r)o il p(ro)cesso che la Chiessa avea fato (con)t(ra) a loro, 5 se p(er) via di m(er)ced(e) no(n) voles(er)o dare loro la tera porta(n)do lieltad(e) sì come a legiptimo segnore. E diss(er)o le letre in questo modo ch’io vi dirò qui apresso:

1. precede Come Messi(n)a volle dare la t(er)ra allo (r)e Ch(arlo). CXXXXI

51.

1 «A’ perfidi e crudeli ho(min)i dell’isola di Cicilia, Martino p(a)p(a) terzo di quelle salute che siete dengni salute, sì come corroppitori di pace e di cristinitade, ucciditori e spanditori di sangue de’ n(ost)ri fedeli. 2 Noi comandiamo a voi che, vedute le lectere n(ost)re, dobiate rendere la t(er)ra al n(ost)ro filgliuolo e campione, cioè Carlo re di Gerusalem e di Cicilia p(er) autoritate di s(anct)a Eccl(esi)a; 3 dobiate noi e voi ubidire in tutto come n(ost)ro legittimo filgliuolo e vostro singnore, e se non fate ciò, annu(n)tiamo a voi iscomunicati e (con)tradetti seco(n)do l’uso della divina ragione, annunziandovi giustitia ispirituale e temporale».

1 «Ay p(er)fidi crud(e)li di l’isola di Cicilia, Ma(r)tino pap(a) t(er)zo de quelle salute che sete digni salute, sì come coru(m)pito(r)i d(e) pacie e di (cristi)anitate et ulcidito(r)i e spandito(r)i d(e) sa(n)ge di nostri fid(e)li. 2 Voi coma(n)diamo che, vedute le n(ost)re letre, d(e)biate rende(re) la tera a nost(r)o ca(m)pione, zioè mess(er) Karlo di Gerusalem e di Cicilia re p(er) l’auto(r)itate di s(anct)a Chiessa di Roma. 3 P(er)ò d(e)biate voy a lui obedire come v(ost)ro legiptimo seg(n)ore, e se ziò no facieste, anu(n)ciovi iscominicatio(n)e (et) ent(er)d(e)ti se(con)do l’uso d(e)la divina ragione, anu(n)cia(n)dovi gusticia in spirituale e te(m)porale».

1. precede Come lo (con)te di Mo(n)forte quastò Melazo. CXLI.

1. ulciditori] -di- aggiunto in interlinea


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52. 1 Quando il comune e ’l popolo di Messina udio questo, [fuoro] multo isbigoctiti e fuoro chiamati XXX huomini del popolo di Messina che dovessero trovare il concio col legato e col re Karlo. 2 E quando fuoro molto stati sopra cciò, domandò il legato che vollessero fare e cche pacti. 3 <E quelli dissero: «Noi volemo questi patti>: che noi li daremo la terra e pagher[emo] [all’uso] antico <del> re Guiglielmo, et volemo singnoria da lui latini e non franceschi nè provençale, 4 et volemo che cci perdone l’offense che’ nostri fecero a ssoi cavalieri: se questo fa noi sarremo buoni <e> fideli». 5 El legato udio questo, disse: «Manderemo nel campo al re Karlo e vederimo la volontà sua e, sse a dDio piace, noi farremo bene e mecteremo in acordio il facto e in pace». 6 E incontenente tolse il legato il camarlingo suo e mandolo al re con questo mandato: da parte di Dio lo dovesse pilgliare quello <partito>, e perdonare <loro> perché Dio perdoni a llui. 1. fuoro] fu @@@ 2. il legato] il-il l. col primo barrato; e cche pacti] e c-che p. @@@ 3. E quelli dissero: «Noi volemo questi patti] om.; pagheremo] con emo non perfettamente leggibile; all’uso] al suo; del re Guiglielmo] re G. @@@ @ 4. e fideli] fideli @@@ 6. partito] om.; loro] om.

53. 1 Allora il re quando udio questo fu molto adirato e questa fue la sua risposta: «Quelli che ssono degni di morte domandano pacti e volglia·me torre la singnoria, e volgliono ch’io tenga l’uço del re Guilglielmo, che non avea quasi niente del paeçe di rendita. 2 Io non ne farrei neente, ma, da che al legato piace, io perdonerò loro la morte, salvo ch’io ne volglio di loro per stadichi VIIIc a ppotere fare di loro al mio comandamento, 3 et tenendo da me singnoria quella che a me piace siccome a libero singnore, pagando colte e dogane com’è uçato. Et se questo volliono fare, facciano, et, se nnon, difenda·si se possono, che ben biçogna loro». 4 [I]l camarlingo tornò in Missina con questa ambasciata. E quando i XXX di Missina udirono


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52.

1 Quando il comune di Messina e ’l p(o)p(o)lo udiro questo furono molto isbigottiti e furono chiamati XXX ho(min)i del p(o)p(o)lo di Mesina che dovessoro trovare lo concio col legato (e) collo re Carlo. 2 E quando furono molti istati sopra ciò, el legato domandoe loro ke volessero fare e che patti, 3 e’ messinesi rispuosero e dissero: «Noi volemo questi patti: che noi gli daremo la terra e pagheremo la colta all’uso antico de-rre Guilliemo, e volgliamo sengnoria da lui la quale sia latina e no(n) francescha nè provinzale, 4 e volemo che ci p(er)doni l’ofensa n(ost)ra e de’ n(ost)ri filgliuoli. E se questo fae, noi †istare† buoni e fedeli». 5 El legato udio questo <...>: «Manderollo a dire nel campo a-rre Carlo e udiremo la volontade sua, e s’a Dio piace noi metteremo inn acordi e i(n) pace il fatto». 6 E in(con)tanente tolse il legato lo gamarlingho suo e mandollo <...> dalla parte di Dio ke llo dovesse pilgliare quello partito e p(er)donare p(er)ké Dio p(er)doni lui.

1 Qua(n)do il comune di Mesina vid(e)ro q(ue)sto, il popolo fue ispaurito e fuorono chiamati XXXta homeni d’il popolo d(e) Mesina che d(e)vess(er)o trova(r)e (con)tio colo legato e colo re Ca(r)lo. 2 E qua(n)do fuorono m(u)lto istati sop(ra) a ziò, doma(n)dogli il legato ke pati volles(er)o. 3 E q(ue)li dissero che voleano cotalli patti dal re: «Ke noi sì gli da(r)remo la t(er)ra e pagerelo al fodro antiq(u)o d(e)lo re Guielmo; e voglamo seg(n)oria da lui la q(u)ale sia latina e no fra(n)ciescha nè p(ro)ve(n)zalle; 4 e volemo che p(er)doni l’ofessa che li nostri fecioro a suoi cavaglie(r)i: se q(ue)sto fa, noi istaremo buoni (e) fid(e)li». 5 E llo legato qua(n)do udio q(ue)sto dissero: «Mandaremo enel ca(m)po a re Carlo e ved(e)remo la volu(n)tad(e) soa. E s’a Dio piace noi faremo bene e metereme i(n) acordio il fato (et) i(n) pacie». 6 Et i(n)(con)tane(n)te tolse i· legato il cama(r)le(n)go sou e ma(n)dolo a re Ca(r)lo (con) q(ue)sto ma(n)dato: da pa(r)te di Dio lo devesse pigla(r)e e p(er)dona(r)e loro p(er)ché Dio p(er)donasse luy.

1. precede La lettera che mandò il p(a)p(a) a ccicigliani. CXLII @@@@@ 4. istare] istare / 5. precede Di fare concio i· re Carlo co’ messinessi. CXLIII.

4. e fideli] e aggiunto in interlinea

53.

1 Quando i-rre Carlo udio questo fue molto adirato e questa fue la sua risposta e disse: «Quelli che sono dengni di morte adomandami patti e vogliomi torre la sengnoria e volgliono ch’io tengna l’uso de-rre Guilliemo, che non avea quasi niente del paese. 2 Di q(ue)sto non faroe io niente; ma <...> che il legato piace, io p(er)doneroe loro la morte, salvo ch’io volglio di loro VIIIc istadichi p(er) potere fare di loro tutti miei comandamenti, 3 e tene(n)do da me p(er) sengnore quello che mi piacerà

1 Allora qua(n)do lo re Carlo udiu q(ue)sto fue adirato e questa fue la sua risposta: «Quegli che sono digni d(e) morte adoma(n)dano pati e volonomi toglere la sig(n)oria e volono k’io tegna l’uso d(e)lo re Guielmo, che non aveva quasi d(e) re(n)dita d(e)l paese. 2 No ne faroi nie(n)te; ma da che al legato piace, eo p(er)donarò la mo(r)te, salvo che ne †vglo† di loro VIIIc a pote(re) fare di loro al mio coma(n)do, 3 e tene(n)do segno(r)ia da mee quela che me piacie sì come libero segno(r)e, paga(n)do colte


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questo, fuorono dinanci a ctu[cto] il popolo e dissero come il re avea mandato dicendo. E quivi dissero <a grandi boci>: 5 «Ugn’omo mannuchi l’uno a l’altro ançi che così sia, che ciascuno di noi sarrebbe di quelli [VIIIc] che domanda. Ançi volemo morrire intra nostri filgluoli e in nostra terra, che morrire per lo mundo in pregione da’ nostri nimici». 6 E questo rispuosero al legato. Quando il legato udio questo fu molto cruccioso e disse loro: «Da che non [volete] fare concio col re Karlo, [e io] v’annutio scomunicati e interdicti da [parte] dalla Ecclesia di Roma e del papa». 7 E comandò a ctucti quelli cha aveano ordine sagro che di qui al terço dìe [siano] fuori della terra; e [richiese] il comune che dovesse di qui a XL giorni comparire dinançi a messere lo papa a udire la sententia socto pena della terra che teneano dalla Ecclesia di Roma. E uscìsi della terra. c

c

4. Il] Al con erronea iniziale; ctucto] ctu; a grandi boci] om. @@@ 5. VIII ] VIIII @@@6. volete] voleste; e io] ciò; parte] padre @@@ 7. siano] stando; richiese] richedesse; sententia] sententetia

54. 1 Quando il re Karlo vidde lo legato fuori della terra, fue a cconsilglio con sui baroni che dovesse fare. E’ baroni il consilgliàno che dovesse ristrengere la terra per bactalglia e per difeci per gictare, sicch’elgli avesse la terra per força, da che per pace no-lla puote avere. 2 Allora il re vedendo questo disse: «Io non volglio guastare mia terra n[è] uccidere li fanti che non v’ànno colpa, 3 ma io li volglio [asseccare] di vidanda, se puosso, ed averimo la villa al nostro comando. E faremo certi mangani per gictare e inpaurelgli». E ccosì


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di dare loro come libero singnore, e panghando colte e dazi sì come usati erano. E se questo volglono fare, facialo; e se non, difendasi se possono, ke be· bisongna loro». 4 Il gamarligho del legato tornò in Mesina (con) questa lectera e diedela al legato. Mandò p(er) XXX ho(min)i di Messina e di presentia di tutto il p(o)p(o)lo disse loro ciò ke’rre Carlo ave’ detto e che volea. Allora quando udiro questo fecioro grande romore e dissoro a grandi boci: 5 «Manuchi p(r)ima l’uno l’altro e ’l padre il filgliuolo che ciò sia, che ciascuno di noi farebbe di quelli VIIIc istadichi che domanda. Anzi volgliamo morire tra noi e n(ost)ri filgliuoli ed in n(ost)ra terra che morire inn altri paesi p(er) lo mondo in pregione tra le mani de’ nostri nemici». 6 Quando il legato udio questo fue molto crucciato e disse loro: «Dunq(ue) non volete voi (con)cio col re Carlo ed io v’anuntio iscomunicati ed intradetti da parte di mess(ere) lo p(a)p(a) e della Chiesa di Roma». 7 E comandò a tutti q(ue)li ch’ànno ordine sacrato che si dovessoro tutti partire fuori della terra; e richiese il comune che da ivi XL giorni dovessoro aparire dinazi a mess(ere) lo p(a)p(a) e udire la sentenzia sotto pena della terra ke tenghono dalla Chiesa di Roma. E uscio fuori della t(er)ra di Messina e ritornoe al campo a-rre Carlo.

e dogane sìe come usato. Se q(ue)sto vollono fare, facialo, e se no d(e)fendassi se possono, che bene bissogna loro». 4 Il cama(r)lengo tornò i(n) Messina (con) q(ue)sta ambasiata. E qua(n)do li ta XXX di Mesina udirono q(ue)sto fuorono dina(n)ci a tuto il popollo e disseno come lo re Ca(r)lo aveva ma(n)dato dice(n)do. E quegli dissero: 5 «†Ogni vollomo† manucha(r)i l’uno l’altro (et) anzi vollemo mo(r)ire i(n)tra n(ost)ri figloli (et) i(n) n(ost)ra t(er)ra che mo(r)ire p(er) lo mu(n)do (et) i(n) p(re)gioni d(e)gli n(ost)ri i(n)imici». 6 E questo risposeno al legatto. E qua(n)do lo legato udiu q(ue)sto fue m(u)lto crucioso e disse loro: «Da che no volete fare ziò a re Carlo, et io vi d(e)nu(n)tio iscominicati (et) i(n)trad(e)ti d(e)la s(anct)a Chiessa e di miss(er) lo pap(a) di Roma». 7 E comma(n)dò a tuti quegli ch’àno ordine sagro che di q(ui) al t(er)zo dìe siano fuori d(e)la t(er)ra. E ri(n)chiesse il comune di Mesina che dovesse di qui a XL giorni co(m)pare(re) dina(n)zi a mess(er) lo pap(a) ad audire se(n)tenza soto pena d(e)la t(er)ra che teneano dala Chiexa di Roma. E usirono d(e)la t(er)a.

6. precede Sì come i· re Carlo non volle ricevere i messinessi a mercé. CXLIIII.

1 E quando i-rre Carlo udio questo fue molto curiccioso, quando non reghoe quello che avea mandato †e dicendo†. E fue a (con)silglio <...> ke dovesse contrigere la t(er)ra p(er) battalglia o p(er) difici, sì ch’elgli avesse la terra p(er) forza, da che no lla poteo avere p(er) patti. 2 Allora disse i-rre Carlo: «Io non volglio quastare mia terra nè uccidere gli fanti che non v’ànno colpa, 3 ma io

54.

1 Qua(n)do lo re Carlo vid(e) lo legato fuori d(e)la t(er)ra sua, consiglosi colgli soi baroni quello che dovesso fare, e lli baroni lo (con)siglaro ch’egli d(e)vesse d(e)strue(re) la t(er)ra p(er) bataygla e p(er) dificii, sì ch’elli avesse la tera p(er) força, da che p(er) pacie no si †puotue† ave(re). 2 Allora lo re Carlo udendo q(ue)sto disse: «Io no voglo guastare mia t(er)ra nè ocide(re) li fantini che no


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fue facto. 4 E uno giorno volendo dare una dura bactalglia alla terra, e’ messenesi fuorono colle femmine e con fanciulli e ffecero uno muro [alla] terra da· lato dill’oste e cominciaro a ddifen[de]re la terra. 5 E chiamaro loro capitano e difenditore e stectero in quello stato bene duo mesi. 2. nè] n @@@ 3. asseccare] ass(er)rare @@@ 4. alla terra] da· lato della terra; ddifendere] ddifenre

55. 1 In quel tempo vende che llo re di Raona mosse di Catalongna e fece vista d’andare a Tunisi, e ccapitò a una terra ch’à nome Anchole e dievvi una bactalglia e dimorài XV giorni. 2 Et in quel tempo del mese d’agosto messere Gianni di Procida e gli altri baroni e ambasciatori di Cicilia anda[rn]o per mare al re di Raona che dovesse venire per la terra. E quelgli ambasciadori fuoro messere Gianni di Procida e mesere Guillelmo da Messina e due altri sindichi dell’isola. E giunsero ad Ancole dinançi al re di Raona ed e’ fece loro honore assai. 3 Et incontanente lo re prese per la mano messere Gianni e disse: «Che novelle ci àe? Il re Karlo è ad oste a Messina con multa gente et àe molto distrecta la terra. Che è da fare [ora mi consiglia]». 4 E messere Gianni disse: «Non dubitare di niente: verrai ’n sulla terra e manderai a ddire al re Karlo che cti sgombri la terra ch’è ctua, la quale ti concidecte papa Nicola, che ddi ragione era di tua molgliere. 5 E da quello ambasciatore da Messina udirai quello che vorrà dire». 1. che llo] chel-lo @@ 2. andarno] andanro @@ 3. ora mi consiglia] or consigliò @@@ 4. E messere Gianni] mess(ere) Gianni e


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volglio assecchare la terra di vivanda, s’io posso, averemo la terra a n(ost)ro comando». E fece fare certi manghani e difici p(er) ispauragli e p(er) gittare entro. E cosie fue fatto. 4 E uno giorno, volendo <...> la battalglia alla terra, i messinessi usciro fuori colle femine e co’ fanciulli e fecero uno muro dal lato dell’oste e comiciarsi a dife(n)dersi. 5 E stetoro alle difense ben due mesi.

aviano colpa. 3 Ma io li voglo asseca(r)e di viva(n)da si poso, et averemo la villa al n(ost)ro coma(n)do. E farò certi ma(n)gani p(er) gitali e p(er) ispaurali». E cossì fue fato. 4 Et uno giorno voleano dare una batagla alla t(er)ra, e’ messinessi f[e]rono colgli famigle e (con) fantioli uno muro ala t(er)a i(n)torno dal lato dal’hoste e comi(n)zia(r)o a deffende(re); 5 e chiamarono loro capita(n)o e lor †diffendiro(r)e†, e stetero i(n) q(ue)sto istato bene p(er) due messi. 4. ferono] fuorono con e sovrascritta

55.

1 In quello tempo i-rre di Dragona si mosse di Barsalona e fece vista d’andare a Tunissi e capitò a una terra c’à nome A(n)colle e diedevi una battalglia e dimorovi p(er) XV giorni. 2 E in quello tempo del mese d’agosto e mess(ere) Gianni di P(ro)cita e gli altri baroni di Cicilia ambasciadori andaro p(er) mare a-rre di Ragona che dovesse venire p(er) la terra; e q(ue)sti ambasciadori furono †a† mess(ere) Gianni di Procita ed †a† mess(ere) Guilliemo di Messina e due altri sindachi de l’isola. Giussoro ad Ancole dinazi da-rre di Ragona ed elgli fece loro honore assai. 3 E in(con)tanente †porsse† p(er) mano mess(ere) Gianni e disse: «Hor che novelle ci àe? I-rre Carlo <...> ad oste a Messina co· molta gente ed àe molta distretta la gente di Messina cioè la t(er)ra. K’è de fare orra mi consilglia!». 4 E mess(ere) Gianni disse: «Or no dubitare di nieente: [tu ssì] verai in sull’isola di Cicilia e manderai a dire a-rre Carlo che tti sghoberi la terra tua, la quale ti concedette lo p(a)p(a) Nicholao e che di ragione era dota di tua molgliera. 5 E udirai che q(ue)sto ambasciadore di Messina ti vorrae dire». 1. precede Come furono maladetti e scomunichati. CXLV. @@@ 4. a-rre] a-rre a-rre

1 In quello te(m)po ve(n)ne che lo re d(e) Ragona è mosso di Catalogna e fecie vista d’andare i(n) Tunessi e capitoe ad una t(er)ra ch’à nome Ancolle e dègli una bataygla e d(e)morogli XV giorni. 2 In quel te(m)po d(e)l messe d’agusto mess(er) Giani da P(ro)cita e gl’altri baroni ambasiadori di Cicilia andorono p(er) mare al re di Ragona che d(e)vesse veni(r)e; e gl’ambasiadori fuorono mess(er) Giani da P(ro)cita e mess(er) Guigl(elm)o di Messina e due altri sindichi d(e)l’isola; e gions(er)o ad Ancolle dina(n)ci alo re di Ragona et elgli fecie loro hono(r)e asay. 3 Et i(n)(con)tene(n)te lo re diè di mano a mes(er) Giani e disse: «Che novelle ci àe?». «Che lo re Carlo hè ad hoste a Messina (con) multa ge(n)te et àe i(n)volta la t(er)ra: che è da fare ora ti (con)sigla». 4 Mes(er) Giani disse: «No dubita(r)e di nie(n)te: veray i(n) sula t(er)ra e ma(n)d(e)ray a dire a re Carlo che ti sgombri la t(er)ra ch’è tua, la qualla ti (con)cid(e)te il pap(a) Nicola, ch’è di ragione di tua mogliere: 5 E q(ue)sto è ambasiadore di Messina, udiray q(ue)lo che vorà dire, e li sindichi».


154

LEG

56. 1 Allora si levò l’ambasciadore di Missina e disse: «Messere lo re di Raona, molto vi †disideremo† i vostri fedeli di Messina che vengnate alla terra e cche facciate levare lo re Karlo loro da dosso, c’altro socorso non actendono che ’l vostro. Piacciavi di cò fare per Dio. 2 E se non voleste venire al loro soccorso, che farebboro le comandamenta della Ecclesia di Roma e del re Karlo». Quando questi ebbe così decto, e gli altri dissero il somilglante. 1. non actendono] con titulus superfluo

57. 1 Allora si levò lo re di Raona e disse che volonteri verrebbe nell’içola nell’aiutorio delli suoi fedeli, e che andassero e dicessero ciascuno a suo comune che lla sua venuta serà di presente. «E dite a’ messenesi che steano francamente, ch’io sarò tosto nel loro aiuto». 2 E quando i sindachi udiron questo fuorono partiti dal re. 1. che lla] che lla che lla @@@ 2. sindachi] sindac-chi

58. 1 E lo re venne e mosse d’Anchole e fue aportato a Trapoli †...† con messere Palmieri Abati e colli altri baroni. Venne messere Gianni e disse: 2 «Messere lo re, cavalca tosto in Palermo e ffa andare il navile. E qua[n]do sarremo in Palermo io pensarò che ssi converrà di fare al facto e vedirimo come lo re Karlo averà facto a Missina e nel paese e consilgleremo nel nostro melglio, s’a Dio piace». 2. quando] quado con titulus omesso; averà facto] farà e averà facto

59. 1 Dice che nel M CC LXXXII, del mese d’agosto, giunse in Palermo il re di Raona e fecero i palarmitani gran festa e gioia di lui siccome quelli che ssi credeano campare per lui da morte. 2 E tucti si lgli


TES

LIB

1 Allora si levoe l’abasciadore di Messina e disse: «Mess(ere) lo re di Ragona, molto vi si disideramo †divere† li v(ost)ri fedeli di Messina che vengniate p(er) la terra, che ci faciate levare †disso† i-rre Carlo, che altro socorso non atendono d’avere che voi. Piaciavi di ciò fare, p(er) Dio! 2 ke se non voleste venire i-lloro socorso, che farebono le coma(n)damenta della Chiesa e de-rre Carlo». Quando e questo ebbe così detto, e gli altri sindachi disso· lo somilgliante.

1 Allora si levò i-rre di Ragona e disse che volentieri verrebe nell’isola di Cicilia in aiuto de’ suoi fedeli, e disse c’andassoro e dicessoro a suoi ho(min)i catuno che lla sua venuta sarà tosto e di p(re)sente. 2 Quando i sindachi udiro questo furono partiti da-rre di Ragona.

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56.

1 Allora si levò l’ambasiadore di Mesina e disse: «Mess(er) lo re di Ragona, m(u)lto vi d(e)sid(e)ra gli vostri fid(e)li di Messina che vegnate ala t(er)ra e che faciate levare lo re Ca(r)lo loro da dosso, che altro secorso non ate(n)dono che lo v(ost)ro: piazavi di ziò fare, p(er) Dio! 2 E se no voleste veni(r)e a loro securso, ch’ey farebe(r)o lo coma(n)dam(en)to d(e)la Chiexa e d(e)lo re Ca(r)lo». E qua(n)do q(ue)sti ebe cossì detto, gli altri sindichi diss(er)re lo somigla(n)te.

57.

1 Allora si levò lo re di Ragona e disse che volu(n)tie(r)i v(er)ebe en l’isolla i(n) aiuto di soi fid(e)li e ch’andassero e dicess(er)o ziaschauno al sou comune che la venuta sirà d(e) p(re)sente. «E ditte a’ messinesi che stiano fra(n)cam(en)te, ch’io serò tosto di là en loro adiuto». 2 E qua(n)do gli ambasiadore udiorono q(ue)sto fuorono pa(r)titi dal re.

1. precede Come lo re di Ragona andoe sop(r)a d’A(n)cone u(n)a t(er)ra sa(ncta). CXLVI.

1 E i· re di Ragona fue aportato al porto di Trapoli co· mess(ere) Palmieri Abati e colgli altri baro(n)i. Ve(n)ne a llui mess(ere) Gianni e disse: 2 «Mess(ere) lo re, p(er) Dio cavalca tosto in Pa(le)rmo e fae andare tosto il navile p(er) mare. E quando saremo i(n) Palermo penseremo ciò che si converrà al fatto e vedremo quello ch’avrà fatto i-rre Carlo a Messina †or† ne· paese. S’a Dio piace, noi (con)silglieremo il n(ost)ro melglio».

58.

1 Venne e movosso d’Ancolle e fue aportato i(n) Trapoli (con) mess(er) Palme(r)i Abbati e (con) gi altri baroni. E mess(er) Giani disse: 2 «Mess(er) lo re, p(er) Dio cavalcha tosto i(n) Palerno e fa andare lo navilio p(er) mare. E qua(n)do seramo i(n) Palerno pensaremo q(ue)lo che si (con)verà pe(n)sare al fato e ved(e)remo q(ue)llo che lo re averae fato a Mesina e pensaremo d(e)l n(ost)ro meglo, s’a D(e)o piace».

59.

1 Dice che nel M CC LXXIII, del mese d’agosto, giunse im Palermo i-rre di Ragona e fecero i palermetani grande gioia e festa di lui sì come di loro co, che

1 Dicie che en M CC LXXXII, del messe d’agosto, giunse i(n) Palerno lo re di Ragona e fecies’i(n) Palerno gra(n)d(e) festa e gra(n)d(e) gioia di loro, sì come


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fecero incontro insino a sei milglia, donne e cavalieri e tucta gente. 3 E ffue facto re a grido di popolo, salvo che ll’arcivescovo di Moreale non vole dare loro la corona che tene del Reame, ançi si ffugio di nocte infino a Roma: e cosie non fue incoronato se nnon di facto per volontà di gente. 4 E uno giorno vennero tucti baroni dell’içola <al re> a grandissimo consilglio. 4. al re] om.

60. 1 Et levose messere Palmieri Abati e disse: «Messere lo re di Raona, ben çi è venuto facto il pensieri e ’l tractato nostro per la bontà di Dio e lla vostra e di messere Gianni di Procida. Idio volglia che ssia di tucto buono compimento. 2 Ma bene vorria che fuossete venuto com più gente che non siete, che se ’l re Karlo vene per l’isola di Cicilia, elgli àe ben XVm cavalieri, troppo averemo che fare. 3 Perciò pensiamo di raunare gente assai, se potemo, per ciò che credo che Messina sia perduta, sì era distrecta di vidande». 1. bontà] bonata con la prima a espunta @@@ 2. cavalieri] cav-avalieri

61. 1 E quando il re udio questo, ebbe gran doctansa, da che il re Karlo avea tanto podere. Et incontanente sì pensò di partirsi dell’isola se ’l re Karlo venesse verso Palermo. 2 E stando una nocte, venne una [saettia] di Missina, ivi suso uno notaio con lectere, e contò come Missina potea avere vidanna per octo dìe e non per più; 3 che, vedute lui quelle lectere, il re dovesse soccorrere la terra; se nnon, che ffarebbero le commandamenta del re Karlo, e altro non potea essere per certo. 2. saettia] saecta


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LIB

si crediano campare p(er) lui da morte. 2 E tutti gli si fecero in(con)tro (con) grande letizia d’infino alle VI milglia, donne e donzelle e cha(valieri) e tutta altra buona gente. 3 E quando fue giunto nella terra fue fatto a grido di p(o)p(ol)o loro re, salvo che l’arcivescho di Morreale non volle dare a-rre la corona che lla tenea de-rreame, anzi si fugio di nocte infino a Roma; e così non fue incoronato se non p(er) fatto, di volontade di gente. 4 E uno giorno tutti baroni di Cicilia vennoro a-rre di Dragona a consilglio co-llui.

coloro che se cred(e)ano sca(m)pare p(er) luy da morte. 2 E tuti gli si feciero in(con)tra infino a sey migla da ona lato, cavalie(r)i e tuta altra ge(n)te. 3 E fue a grido di popolo fato re, se no che l’arciveschevo di Mo(r)iale no gli volse dare la corona d(e)l reame, anzi si fugio il tempo di note i(n)fino a Roma; e cossì no(n) fue i(n)coronato si no di fatto, d(e) volu(n)tad(e) d(e)la gente. 4 Et uno giorno ven(er)o tuti li baroni di l’isola al re e fuorono a gra(n)dissimo (con)seglo.

1. precede Co(m)e lo re di Ragona ve(n)ne i(n) Cicilia a po(r)to di Trapoli. CXLVII.

1 E levossi mess(ere) Palmieri Abati e disse: «Mess(ere) lo re di Ragona, ben è venuto f(act)o il tratto n(ost)ro p(er) la bottà di Dio e p(er) la vostra e p(er) quella di mess(ere) Gianni di Procita; †a† Dio volglia che sia di tutto buono (con)pimento. 2 Ma bene vorrei che foste venuto con più gente che voi non siete, che’rre Carlo si viene p(er) l’isola di Cicilia, elgli àe bene XVm cha(valieri), che troppo averemo che fare. 3 P(er)ciò pensiamo di raunare gente assai se potemo, p(er)ciò ke Messina credo che sia p(er)duta, sì era alla streta di vivanda».

60.

1 E levosi mess(er) Palme(r)i Abbate e disse: «Mess(er)e lo re d(e) Ragona, ben è venuto fato il pensiere n(ost)ro e ’l tractate n(ost)ro p(er) la bontad(e) v(ost)ra e p(er) quella di miss(er) Giani di P(ro)cita; Dio il vogla che sia di tuto bono co(m)pim(en)to. 2 Ma ben vorei che fusse venuto (con) più ge(n)te che no siete, che se llo re Ca(r)lo viene p(er) l’isola di Cicilia, egl’à bene XVm cavalie(r)i, tropo averemo che a fare. 3 E p(er)ciò pensiamo di adunare ge(n)te assai se possiamo, e p(er)ziò Messina c(re)do che sia p(er)duta, sì era is[tr]eta di viva(n)da».

61.

1 Dice che vedendo questo i-rre di Ragona ebbe grande dottanza, udendo ke·re Carlo avea tanto podere: in(con)tanente pe(n)soe di partirsi dell’isola sed elgli venisse inverso Palermo. 2 E vene(n)do una nocte ve(n)ne una saiettia di Messina, ivi suso avea uno notaio con lectere, e (con)tò come Messina non avea vivanda p(er) più d’otto giorni e non p(er) più; 3 ke, vedute quelle lettere, il rre di Ragona dovesse socorrere la t(er)ra, se noe ke farebono le comanda-

1 In quella lo re udendo q(ue)sto ebe gra(n)t dota(n)za, udendo lo re Carlo ch’avea cota(n)to pode(re). In(con)tane(n)te pensò di pa(r)tirsi di l’isola se venisse v(er)so Palerno. 2 Istando una note ve(n)ne una †sactia† di Messina chi †viti† uno notayo (con) letere. E co(n)toe come’ messinessi poteano ave(re) viva(n)da p(er) VIII dìe e no p(er) piùe; 3 che, vedute q(ue)le letre, lo re d(e)vesse secore(re) la t(er)ra, se no sì fareb(er)o lo coma(n)dam(en)to


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62. 1 Allora il re di Raona udio questo, fece appellare i baroni di Cicilia e accontò loro questo facto. 2 Allora si levò messere Gualtieri di Calagirona e disse: «Messere, cavalca per Dio per la via di Missina infino a L milglia, per ciò forse che il re Karlo si levarà dalla terra. E questo pare ad me che ssi faccia, che se lla terra si perde noi averemo mal capitato di nostra inpresa». 3 Allora si levò suso messere Gianni di Procida e disse: «Ad me non pare che ssi faccia per questo modo, cha llo re Karlo non è huomo che fugga per paura e per niente. Ma faremo così: 4 noi ma[n]deremo da parte di messere lo re di Raona una lectera al re Karlo siccome la terra di Cicilia fue data da papa Nicola al re di Raona, che incontanente debbia sgomborare la terra sua. Se nnon, sì ’l manda diffidando. E sse lla lascia, “dio con bene”, 5 e sse non, sì mandarimo l’amiralglio nostro per mare insino a Missina e ssu per lo Fare, et pilgli tucte le trite che recano vidande al re Karlo: 6 prese le trite, il re converrà che moia di fame con tucta sua gente, e ffaremo di lui magior vendecta che mai fusse facta per [uomo] del mondo. 7 Ma s’elgli sgombra la terra noi vederemo quello che ffarà o se viene ad altra terra di Cicilia». 2. dalla terra] d-dalla con d barrata; ssi faccia] ssia f. con la a espunta @@@4. manderemo] maderemo; e sse lla] e s-se lla @@@@ 6. moia] con a soprascritto cancellato; uomo] huomini @

63. 1 Quando il re e gli altri baroni udirono questo, fuorono accordati al dicto di messere Gianni di Procida. Et ’contanente comma[n]dò


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menta de-rre Carlo e della Chiesa ed altro non puot’essere p(er) certo.

d(e)lo re Ca(r)lo, c’altro no(n) puote essere p(er) certo. 1. questo] aggiunto in interlinea

62.

1 Allora lo re di Ragona udio questo, fece sacretamente un (con)silglio co’ baroni di Cicilia ed a(con)tò loro questo fatto. 2 Allora si levò mess(ere) Gualtieri di Catalagirona e disse: «Mess(ere) lo re, p(er) Dio cavalca tosto p(er) la via di Messina infino a cinquanta milglia, p(er)ciò forsse ke’rre Carlo si leverà della terra. E questo mi pare il melglio ke ssi facia, ke se lla terra si perde noi avemo mal capitato di n(ost)ra inpresa». 3 Allora si levò mess(ere) Gianni di Procita e disse: «A me non pare ke si facia p(er) cotesto modo, ke i-rre Carlo non è ho(mo) ke fugga p(er) “muccia muccia”. Ma faremo così: 4 noi manderemo da parte di mess(ere) lo re di Ragona una lectera a mess(ere) lo re Carlo sì come Cicilia fue data dal p(a)p(a) Nicholao arre di Ragona; ke in(con)tanente, vedute queste lectere, sì debia isghonberare la terra; e se non, sì llo mandiamo diffidando. E s’elli la lascia, “Dio quanto bene!”, 5 e se no lla lascia, manderemo l’amilraglia n(ost)ro p(er) mare infino a Messina e p(er) lo Fare, e pilglierae tutte le trite che regano la vivanda a-rre Carlo; 6 e noi presse le trite, i-rre Carlo (con)verrà ke muoia di fame, e faremo di lui maggiore vendetta che mai fosse fatta p(er) ho(mo) del mondo. 7 Ma sse ci is(con)bera la t(er)ra, vedremo che farà o sse viene †od† altra terra de Cicilia».

1 Allora lo re di Ragona udando q(ue)sto fecie appellare y baroni di Cicilia e contò loro questo fato. 2 Allora si levò mess(er) Gualtie(r)i d(e) Calatagirone e dise: «Mess(er), p(er) Dio cavalca p(er) la via di Messina i(n)fin’a <...> migla, p(er) ziò forse che lo re Carlo si levarà d(e)la t(er)ra. E questo pare a me lo miglore che si facia, che se lla tera si p(er)d(e) noi averemo male capitato di n(ost)ra i(m)p(re)ssa». 3 Allora si levò mess(er) Giani di P(ro)cita e disse: «A me no pare che xì se facia p(er) cotesto modo, che lo re Carlo no(n) è homo che fuga p(er) muzia. Ma faremo così: 4 noi ma(n)daremo da pa(r)te di miss(er) lo re una letera allo re Carlo, che, sì come la t(er)ra di Sicilia fue data dal pap(a) Nicola, che i(n)(con)tene(n)te disgombri la t(er)ra; se no, sì lo ma(n)da difidando. S’egli la lascia da cheto, bene; 5 se no, ma(n)daremo l’amiraglo n(ost)ro p(er) mare i(n)fino a Messina, e piglarà tute le t(er)re che rechano la viva(n)da alo re Carlo. 6 Preselle tute, converà che lo re Carlo muoia di fame (con) tuta la sua gente, e faremo d(e) luy mayo(r)e vend(e)ta che fuse may fata p(er) home del mu(n)do. 7 Ma s’egli disgombri la t(er)ra, ved(e)remo che farà e se viene ad altra t(er)ra di Sicilia».

1. precede: Co(m)e lo re di Ragho(n)a giusse i(n) Palermo. XLVIII.

3. e disse] aggiunto in interlinea @@@ 5. alo] -lo aggiunto in interlinea @@ 6. vendeta] -a sovrascritta a lettera cancellata

1 Quando i-rre e’ baroni udiro questo, furono acordati al detto di mess(ere) Gianni. E in(con)tanente (com)mandoe

63.

1 Quando lo re e y baroni udirono q(ue)sto fuorono tuti acordati al deto di miss(er) Giani. Et i(n)(con)tane(n)te


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il re a due cavalieri catalani che anconciassero loro bi[ç]ogne per andare con lectere e con ambasciata al re Karlo nel campo dalla sua parte. E ll’uno fue messere Guillelmo catalano e ll’altro messere Namigo catalano, e portaro una lectera al re Karlo, e disse in questo modo: 1. commandò] co(m)mado; biçogne] bicogne

64. 1 «Piero di Raona e di Cicilia re, a cte Karlo re di Gierusalem e di Provença conte. Singnifichamo a cte il <nostro avvenimento dell’isola di Cicilia, sì come> nostro giudicato reame per la autorità di sancta Ecclesia e di messere lo papa e d’i venerabili cardinali. 2 Però comandiamo a cte che, veduta questa lectera, ti debbi levare d’in sull’içola di Cicilia con tucto tuo podere e gente, sappiendo che, se cciò non facessi, che’ nostri cavalieri e ffedeli vederesti di presente in vostro dannagio offendendo vo’ e vostra gente». 1. nostro ... come] om.; autorità] preceduto da u eraso @@@@ 2. debbi] debbbi

65. 1 Quando il re Karlo udio questo, fu a consilglio con suoi baroni. E quivi si miravilgli[a]ro tucti baroni franceschi quando udirono dire algli ambasciatori del re di Raona e alla sua lectera tanto oltragio inverso lo re Karlo e verso i suoi cavalieri. 2 E disse messere Guido di Monforte, come ciò potea essere che un singnore di così picciolo podere avesse un sì grande ardimento di torre la terra al milgliore et a· magiore homo del mondo? 3 Istando in questa, i baroni fuoro a ddire ciascheduno quello che lli parea sopra ’l facto, e alla perfine si levò il conte di Bertangna e disse: «Messere lo re, a me pare che voi rispondiate a· re di Raona così per vostra lectera: 4 siccome v’à ffacta grande tradigione e cche [no] ’l dovea fare, e ccome facto v’àe grande tradimento e cche no lglile [avete] servito; e ccha no-ll’àe dalla Ecclesia di Roma nè da papa nè da cardinali quel che dice, ançi


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a due kavalieri ch’aco(n)ciassoro loro bisongne p(er) andare co-llectere e con a(m)basciata al campo del rre Carlo dalla sua parte; e ll’uno fue mess(ere) Guilliemo catalano e ll’altro fue †moss(er)† Namicho catalano, e portarono †uno† lectera nel campo a-rre Carlo, e disseno in q(ue)sto modo:

coma(n)dò lo re a due cavalie(r)i catalani ch’a(con)ciass(er)o loro bisogno p(er) andare co(n) letre e (con) ambasiata enel campo di lo re Carlo dala sua pa(r)te. E l’une fue mess(er) Namico catalano, e portarono una letra alo re Carlo i(n) questo m(od)o ch’io vi dirò per apresso: 1. letre... letra] con titulus sovrabbondante

64.

1 «Piero di Ragona e di Cicilia re, a tte Carlo re di Gerusalem e di Proenza (con)te. Singnifichiamo a tte lo n(ost)ro avenim(en)to dell’isola di Cicilia, sì come n(ost)ro giudicato reame p(er) utilitade di s(anct)a Eccl(esi)a e di mess(ere) lo p(a)p(a), d’i venerabili cardinali. 2 P(er)ò comandiamo a tte che, vedute queste lectere, debieti levare dell’isola di Cicilia (con) tutto tuo podere e gente; sapiendo, se no facesse ciòe, ke’ n(ost)ri cha(valieri) e †fereli† vedreste di p(re)sente in v(ost)ro dannaggio ofendendo voi e vostra gente».

1 «Piero di Ragona e di Cicilia re, a te Ca(r)lo re d(e) Ierusalem e di P(ro)hença conte. Sig(n)ifichiamo a ti il n(ost)ro avenim(en)to d(e)l’isola di Cicilia, sì come n(ost)ro iudicato che me è p(er) l’auto(r)itad(e) di s(anct)a Chiessa di Roma e di mess(er) lo pap(a) e d’i venerabili ca(r)dinali. 2 P(er)ò coma(n)diamo a te che, veduta questa letera, d(e)biate levarvi d(e)l’isola di Cicilia co(n) tuto tou pode(re) e gente. Sapiendo, se no ’l faciessi tiò, li nostri cavalie(r)i e fed(e)li vederesti di p(re)sente in vostro danagio ofe(n)de(n)do voy e vostra gente».

1. precede Co(m)e r(e) di Rago(n)a si (con)silgliò co’ b(aro)ni di C(icilia). CXLIX.

65.

1 Quando i-rre Carlo udio questo fue a (con)silglio co’ baroni suoi; e qui si meravilgliaro tutti i baroni franceschi e provinzali quando udirono dire agli abasciadori de-rre di Ragona e della sua lettera tanto oltragio in(con)tra i-rre Carlo e suoi cha(valieri). 2 Allora disse mess(ere) Guido (con)te di Monforte che ciò potea essere che uno di sì picciolo podere avesse sì grande ardimento di torre la t(er)ra al milgliore (e) al magiore ho(mo) del mondo? 3 [.] istando in q(ue)sto i baroni furono a dire ciascheduno quello ke paresse del fatto ed alla p(er)fine si levò il (con)te di Brettangna e disse: «Mess(ere), a me pare ke voi

1 Qua(n)do lo re Carlo vidde questo fue a co(n)siglo coli suoi baroni; e quigli si maraviglarono multo, e gli baroni fra(n)cieschi, qua(n)do udirono dire al’ambasiadore di lo re di Ragona e d(e)la sua letera tuto oltragio v(er)so lo re Carlo e suoi cavalie(r)i. 2 Levasse mess(er) Guido d(e) Mo(n)forte e dise: «Come ziò puote ess(er)re ch’uno signore d(e) cossì pinziolo pode(re) potesse ave(re) sì gra(n)de ardim(en)to di tore la tera al magiore signore del mu(n)do?». 3 Istando in questo li baroni fuorono a dire quello che paresse loro del fato. Alla fine si levò lo conte di Bretagna e disse: «Mess(er) lo re, a me pare che voi


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lo s’àe pensato malvagiamente questo tractato; 5 e cche incontanente discombri la terra; e di quello ch’elgli àe pensato e ffacto, e’ nne sarae ben ricriduto siccome malvagio homo e traditore; 6 che mai non si trova che un singnore andasse adosso ad altro sança diffidare l’uno l’altro, ma questi come malvagio e traditore fece boce d’andare sopra Sarracini ed ora è venuto sopra cristiani e contro alla Ecclesia di Roma. E questa è la mia volontade che lli si mandi a ddire e per lectere e per le suoi messi». 7 Allora tucti baroni gridaro: «Sia facto!», e ’l re stecte contento. E ffecero una lectera e diederla agli ambasciadori, e disse in questo modo: 1. miravilgliaro] miravilgli(r)o @@@ 4. v’à] v-va con v barrata; tradigione] con titulus sovrabbondante; no] vo; avete] avea; ccha no] ccha n-no

66. 1 «Karlo, per la Dio gratia di Ierusalem e di Cicilia re, prince di Capova, e d’Angiò e di Folcaqueri e di Provença conte, a cte Piero di Raona re e di Valença conte. 2 Miravilglianci di te come ardito fosti di salire o di venire in sullo reame di Cicilia, giudicato nostro per la autorità di Santa Ecclesia di Roma. 3 Et perciò comandamote che, vedute queste lectere, ti debbi partire del reame di Cicilia siccome malvagio e di Dio traditore e ddi santa Ecclesia. 4 Et se cciò voi non facete, diffidanti siccome nostro traditore; e ddi presente ci viderite venire in vostro dannagio, <noi e nostri cavalieri>, che disideramo di vedere voi con [vostra] gente». 3. santa] sana(n)ta @@@ 4. noi e nostri cavalieri] om.; vostra] no(st)ra


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rispondiate a-rre di Ragona 4 sì come v’àe facta grande tradigione e come no lla dovea fare e come voi no lglele avate s(er)vita; e come no ll’avea dalla Chiesa di Roma nè d’il p(a)p(a) nè da’ cardinali <...>, anzi lo s’avea levato di suo cuore e di suo tradimento. 5 E che in(con)tanente vi debia is(con)berare la terra, e di quello k’avea pensato e fatto ne sarebe ben r[e]credente come malvaggio e traditore ho(mo). 6 Che mai no ssi trovò k’uno singnore andasse adosso all’altro, ma questi come malvaggio e traditore fece vista d’andare sopra saracini e ora è venuto sop(ra) (crist)iani e contra la Chiesa di Roma. E q(ue)sta è la mia voluntade ke lli si mandi a dire p(er) lectera p(er) li suoi messi medesimi». 7 Allora tutti baroni cridarono ad alta boce: «Sie fatto!», e i-rre Carlo vi stette (con)te(n)to. E fece(r)o una lectera e diedorla agli a(m)basciadori de-rre di Ragona, e la lectera disse in q(ue)sto modo come voi udirete:

respondeate alo re di Ragona p(er) letera e p(er) vostri messi 4 sì come v’àe fatto gra(n)de tradim(en)to e com’egli no lo d(e)vea fare e come voi ne l’abete servito. E com’egli no l’avea dala Chiexa di Roma quello ch’egli dicieva, anzi l’à allevato tractatamente di sou tradim(en)to. 5 Che i(n)(con)tane(n)te disgombri la t(er)ra, e di quello ch’avea fato e pensato egli ne s(er)ia bene recrehente come malvagio tradito(r)e huomo. 6 Che may no si trova che uno segno(r) andasse adosso al’altro sança diffidare l’uno l’altro, ma questo come malvagio traditore fecie buzie d’anda(r)e sopra a saracini et ora è venuto contra li cristiani e (con)tra alla Chiessa di Roma. E questa è la mia volu(n)tad(e) che gli si ma(n)de p(er) letre e p(er) vostri messi». 7 Allora tuti li baroni gridarono: «Sia fato!». E lo re ni stete tuto contento e tolse una letra e dièlla al’ambasiado(r)e, e disse in questo modo ch’io vi dirò p(er) ap(re)so:

1. precede P(er)k(é) mand(ò) r(e) Carl(o) a lo (r)e di Ragh(ona). CL.

2. e dise] aggiunto in interlinea @@ 6. letre] con titulus sovrabbondante @@@ 7. letra] con titulus sovrabbondante

66.

1 «Carlo, p(er) la Dio gra(tia) re di Cicilia e di Gerusale, prençe del principato de Gallilea e di Capova, e di Folchachieri e di Proenza (con)te, sanatore della gran città romana, a te Piero di Ragona re e di Valenza (con)te. 2 †Mavinglianci† di te come ardito fosti di salire o di venire in sul reame di Cicilia, giudicato n(ost)ro p(er) autoritade di s(anct)a Eccl(esi)a. 3 E p(er)ciò comandiamo a tte ke, vedute queste lectere, ke tti debbia partire del reame di Cicilia sì come malvaggio e traditore di Dio e della s(anct)a Eccl(esi)a romana. 4 E se ciòe no(n) facesse, †diffidando† voi e v(ost)ra gente sì come n(ost)ro traditore, e di p(re)sente ci vedrete in v(ost)ro ddannaggio noi e n(ost)ri cha(valieri), ke molto disideriamo di voi vedere e vostra gente».

1 «Karlo, p(er) la Dio gracia d(e) Gerusalem e di Cicilia re, pre(n)ze d(e) Capua, e d’Angiò e di Folcachie(r)ia e di P(ro)hença conte, a te Piero di Ragona e di Valença. 2 Maraviglamoci di te come ardito fusti di salire e di veni(r)e i(n) sulo reame di Cicilia, giudicato n(ost)ro p(er) l’auto(r)itate di s(anct)a Giessa di Roma. 3 P(er)ciò coma(n)diamo a te che, veduta questa letra, d(e)bite pa(r)tire d(e)lo reame di Cicilia sì come malvagio traditore di s(anct)a Chiessa di Roma. 4 E se cossì no faciessi, difidiamo voy sì come nostro traditore, e di p(re)sente ved(e)rete i(n) vostro danagio noi e lli nostri cavalie(r)i, che vole(n)tie(r)i disid(e)rano voi vedde(re) cu(m) vostra ge(n)te».


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67. 1 Partirosi gli ambasciadori dal re Karlo colle lectere e colla ambasci[a]ta et presero ad andare verso Palermo al re di Raona. Fuorono giunti e presentarono la lectera. E quando lo re udio e vidde questo, sì fue a consilglio colli baroni. Et messere Gianni di Procida si levò e disse: 2 «Mesere lo Re, per Dio manda l’amiralglio per mare a Messina e ffae pilgliare tucti lengni da misteri del re Karlo. Da che ll’ài diffidato, proccaccia ogiomai il facto tuo. 3 E se lgli fai torre il navilio, elli rimarrà di cqua e ffarello [asseccare] di fame, et converà che ssia morto con tucta sua gente ed averimo vinto la guerra». Ccosì fu fermo e ordinato di fare. 4 Et mandaro per messere Rugieri di Loria amiralglio e dissero che dovesse andare per mare a Messina e pilgliare e ardere tucti lengni del re Karlo. 5 Questo seppe una spia di mesere Aringhino da Mare, amiralglio del re Karlo. Incontanente fue la dicta spia a llui e [disseli] come l’armata del re di Raona veni’ verso il Fare e come doveva pilgliare e ardere tucti legni del re Karlo. 6 Quando messere Aringhino udio questo, fue al re Karlo e disse: «Messere, per Dio ti briga di passare làe in Calavria, che lla †saectia† mia [conta] come l’amiraglio del re di Raona viene su per lo Fare per pilgliare il navilio nostro. 7 E sse cci viene, io non ò galee armate di bactalglia, ançi ci àe lengni da mistere, e mi pilglia sança niuno riparo; et tu rimarrai di cqua sança vivanda e converà che tu perischi con tucta tua gente, et ciò sarrà di quie a tre gurni. 8 Onde, per Dio, ti briga di passare di llà per questa cagione, e perché cti viene il verno indosso et tu non ài porto vernatoio dove i legni steano, et però se ctu t’indugi le piaggie romperanno i llegni. 9 Onde per quest[a] cagione ti convene passare in terra ferma, sicché ’l mercato ti vengna del Regno e de nostre terre». 1. ambasciata] ambascita @@@ 3. asseccare] a-assecheare con a barrata @@@ 5. disseli] disse(r)li @@@ 6. conta] co(n)tra @@@ 9. questa] questo


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1. precede Pistola che mandò i· re K(arlo) allo re di C(icilia). CLI. @@@ 4. dannaggio] ddannaggio

3. letra] con titulus sovrabbondante

67.

1 Partirsi gli a(m)basciadori dell’oste del re Carlo e co(n)n a(m)basciata e p(re)sero ad andare i(n)verso Palermo a-rre di Ragona. E quando furo giunti presente a llui, e apresentaro loro lectere. E quando i-rre udio (e) vide questo, fue a (con)silglio co’ baroni di Cicilia e mess(ere) Gianni di Procita si levò e disse: 2 «Mess(ere) lo re, p(er) Dio ma(n)da †p(er)† l’amiraglio tuo p(er) mare infino a Messi(n)a e fae pilgliare tutti lengni p(er) lo mistiere de-rre Carlo: da che l’ài diffidato, ogimai proccacia il fatto tuo; 3 se lgl fae torre il navile, elgli rimarae di quae e farello asseccare e morire, elli e †tutto† sua gente, di fame; e poi averemo vinta la guerra e faremo di loro magiore istrazio che mai fosse fatto d’omo, he ben è dengno, ta(n)to ci àe f(act)a». 4 Immantanente mandoe p(er) mess(ere) Rugeri di Loria amiralglio c’andare dovesse a Messina p(er) pilgliare tutto il navile de-rre Carlo. 5 Questo seppe una spia di mess(ere) Arrichi(n)o da Mare, amiralglio de-rre Carlo. In(con)tanente fue a mess(ere) Arringhino e dissegli co’ mess(ere) Rugieri di Loria, †amiraralglio† de-rre di Ragona, venia isforzatamente p(er) lo Fare di Messina e come dovea pilgliare tutti le(n)gni de-rre Carlo. 6 Quando mess(ere) Arringhino udio questo fue a-rre Carlo e disse: «Mess(ere), p(er) Dio ti briga di passare di làe in Calavra, che ll’armata del rre di Ragona viene sopra lo Fare di Messina – ciòe mi dice la mie saettia – p(er) pilgliare tutto il n(ost)ro navile. 7 E sed e’ ci viene, io nonn’ò ghalee armatte di battalglia, anzi ci òe lengni da mistiere, <...> ch’elgli ci pilglerae sanza riparo niuno e tue rimarae di quae sanza vivanda niuna (e) (con)verà che perischa tue e tutta tua gente, e ciòe sarà passato di làe a tre giorni. 8 Ond(e) †tri† p(r)iega

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1 Partissi l’ambassiadore dalo re Carlo co(n) letere e co(n) ambasiata e p(re)sero ad andare v(er)so Palerno et al re di Ragona, e fuorono giu(n)ti e p(re)sentarono loro letere. E qua(n)do lo re udiu questo fue a co(n)siglo coli suoi baroni. E mess(er) Giani di P(ro)cita si levò e disse: 2 «P(er) Dio, ma(n)da l’amiraglo p(er) mare a Messina e fa piglare tuti i legni da meste(r)i d(e)lo re Carlo. Da ch’egli t’à diffidato, p(ro)chaça ancoymai il fato tou, 3 e sì gli fa tore lo navilio e sì †gli† rema(rà) di quae. E fallo assichare di fame e co(n)verà ch’egli sia morto co(n) tuta sua gente et averemo vi(n)ta la guera». E cossì fue fatto e ffermo et ordinato di fare. 4 E ma(n)dorono p(er) mess(er) Rugie(r)i d(e) Loria amiraglo ch’andare dovesse a Messina e mena(r)e et ardere tuto lo navilio d(e)lo re Carlo. 5 Questo sape una spia di mess(er) Arichino di mare, amiraglo di lo re Carlo. In(con)tane(n)te fue a mess(er) Arichino e disse come la armata delo re de Ragona venia v(er)so lo Fare di Messina e d(e)vea cremare tuti y legni. 6 E qua(n)do mess(er)e Arichino udie questo, fue a re Carlo e disse: «Mess(er), p(er) Dio, isbriga di passare i(n) Calavra! Saecta mia co(n)tò come l’amiraglo di lo re di Ragona venia sopra il Fare di Messina p(er) cremare lo navilio n(ost)ro. 7 E s’egli ci viene, io non ò galee armate p(er) batagle, anci ci è legni da mistiere. †S’†egli mi pigla sa(n)za riparo veruno e tu rimaray di quae sanza viva(n)da e co(n)viene che tu p(er)ischi co(n) tuta la toa gente, e ziò serà di qui a tri giorni. 8 Disbriga di passa(r)e di làe p(er) questa cagione, e p(er)ché il v(er)no viene adosso a ti e tu no(n) ày porto vernatoyo oe i legni tuoi istiano, e p(er)ò se tu t’indugii li piagie rompirano y legni; 9 und(e) p(er) questa


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68. 1 Quando il re Karlo udio questo fu sbigoctito e cruccioso. E incontanente fue a consilglio con suoi baroni e disse loro come messere Aringhino da Mare avea dicto. E quando i baroni udirono questo, fuoro adirati e dissero: 2 «Messere lo re, molto ci dole che non ci lassasti pilgliare Messina nè per concio nè per guerra. Or la vorresti e no-lla puoi avere per neuno modo di mundo. Molto ne siamo crucciosi ma non può essere altro. Passiamo di llà e sserà ciò che piace a dDio». Ccosie <fu> ordinato et fermo da tucti baroni. 1. Aringhino] Artinghino con t espunta @@@ 2. Ccosie] Cccosie; fu] om.; baroni] -ni nel rigo successivo

69. 1 Allora quando il re Karlo udio questo, sbigoctio tucto e disse infra sé stesso sospirando: «[De! Or] foss’io morto, da che tanta disaventura m’incontra, ch’òe perduta la terra mia e non so perché. Et toglielami quelli che mai non glile diservio <e mai no gli offesi>. 2 Molto mi dolglio che non volli torre la terra di Missina, ma, da che va così, passiamo di llà. E cchi m’averà colpa di questo tradimento che m’è facto, fie morto, o cchierico o layco che ssia». E ccosie fue stantiato e ffermato. 1. De! Or] De cor; e mai no gli offesi] om.


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di passare di làe p(er) questa cagione, e p(er)ché il verno ti viene adosso e tu non ài porto neuno dove gli lengni tuoi possano vernare e p(er)ciò, si tt’i(n)dugi, le piage ropera(n)no tutti le(n)gni; 9 ond(e) p(er) questa cagione ti co(n)viene passare in terra ferma, sì che il mercato ti vengna del Rengno delle n(ost)re terre».

cagione ti co(n)viene passare in t(er)ra ferma, sì che ’l m(er)cato ci vegna di n(ost)ra t(er)ra».

1. precede Come f(ece) (con)silio i· re di Rago(n)a co’ cicigliani. CLII. @@@ 5. precede Come m(esser) Rugieri ve(n)ne p(er) lo Fare di Messi(n)a. CLIII.

68.

1 Quando i-rre Carlo udio questo, sospiroe fortemente. Fue a (con)silglio molto cruccioso co’ suoi baroni e disse loro come mess(ere) Arringhino da Mare avea detto. Quando i baroni udirono questo furo molto adirati e dissoro: 2 «Mess(ere) lo re, molto ci duole che non ci lasciaste pilgliare Messina nè p(er) patti nè p(er) guerra. Ora la voresti e no lla puoi avere p(er) neuna via: mol’ ne siamo crucciosi, ma puot’essere altro? Passiamo di làe e serae quello che piaccerae a Dio». E così fue ordinato e fermo di passare di làe da tutti li suoi baroni.

1 Qua(n)do lo re Carlo udie questo fue multo cruciosso et i(n)(con)tane(n)te fue a co(n)siglo coli suoi baroni et disse loro come mess(er) Arichino di Mare aveva detto. Qua(n)do li baroni udiro questo fuorono cruciossi e diss(er)o: 2 «Mess(er) lo re, multo ci doglamo che no lasciaste piglare Messina nè p(er) co(n)cio nè p(er) guera, ora la voresti e no la puoy ave(re) p(er) neuna via. Multo ne siamo cruciossi ma no puote ess(er)re altro. Passiamo di làe e ss(er)rà ziò che piacierà a Deo». E cossì fue ordinato e fermo da tuti li baroni.

1. precede Come lo re K(arlo) si dolve q(uando) udio le novelle di C(icilia). CLIIII.

69.

1 Allora i-(r)re Carlo fue molto cruccioso e disse a’ franceschi sospirando: «Dè! or foss’io morto, da ke tanta disanventura m’è ’(con)trata ch’ò p(er)duta la t(er)ra mia, e non so p(er)ché tolglielami colui che mai no lgliele s(er)vio e mai no lgliele affessi. 2 Molto mi dolglio che non volle torre la t(er)ra di Messina, ma dacché vae cosie passiamo di làe. Ma cchi n’†avereva† colpa di q(ue)sto tradimento che m’è fatto, o cherico o laico

1 Allora qua(n)do lo re Carlo udio questo, il stete dubioso multo e disse f(r)a ssé istesso suspira(n)do: «D(e)! or foss’io morto, da che tanta dissave(n)tura m’i(n)co(n)tra ch’i’òe p(er)duta la t(er)ra mia no so p(er)ché, e toglelami quegli che may no glele diss(er)vii e may no igl’ofessi. 2 Multo mi doglo che no voli tore la tera di Messina, ma da che va così passiamo di làe, e chi avrà colpa di questo tradim(en)to che m’è fato sì sia


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70. 1 E all’uscita del mese di septembre si levò da Missina in questo modo: lo primaio giorno passò la sua donna, el secundo giorno passoe il re et tucta la gente. E lasciò di là due capitani con IIm cavalieri e disse loro: 2 «State di cellato, e quando quelli di Missina usceranno fuore per [le robbe], date alla terra et intrate dentro alla terra, et io tornerò a voi se ffacto ci vene». E ccosie fue ordinato. 3 E quel dìe mossero, e quelli di Missina vedendo questo incontanente feceno uno comandamento che nneuno uscisse della terra in pena della vita, e ccosie fue facto. 4 Quando i francischi viddero che quelli della terra non usciano fuori, acconciaro loro lengni e venero di cqua tucti. E fuoro con re e dissero: «Messere, la pensata nostra ci è venuta fallita, che quelli di Missina non uscirono fuori». 1. di là] dil-là @@@ 2. le robbe] lo robbare; E ccosie] ec-cosie @@@ 3. e ccosie] ec-cosie

71. 1 Allora il re fu via più adirato che prima e disse: «Stiamo ad vedere che sserà di loro e del re di Raona». 2 E l’altro giorno appresso giunse l’amiralglio del re de Raona per lo Fare menando grande gioia <e gran festa>, et fedio al navilio del re Karlo et presene ben XXVIIII tra gale’ e trite. Et fforo prese V gale’ di pisani del comune et menate in Missina, et credectero avere colto il re Karlo †di là o vero in mare†. 3 E llo re Karlo vedendo questo tennesi morto di dolore, e ffece suo parlamento di cqua da Reggio, e diede commiato a ctucti quelli che non teneano terra da lui. 1. e gran festa] om.


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che sia, sarà morto». E così fue istanzato e fermo.

morto, o clerico o ladicho ch’el sia». E così fue istanciato e fermo.

1. precede Come i· re Ca(r)lo p(er)deo Cicilia. CLV. @@@ 2. istanzato] forse con -i- sovrascritta

70.

1 Del mese di settebre si levò da Messi(n)a in questo modo: lo p(r)imaio giorno passoe la sua reina e l’altro dìe passoe lo re (con) tutta sua gente, e lascioe di làe due capitani (con) IIm cha(valieri) e disse loro: 2 «State di celato e quando quelli di Messina usciranno fuori della terra p(er) le robbe, e andate alla t(er)ra e intrate dentro della t(er)ra, e io torneroe di quae, e sse fatto ci viene ben istà». E così fu ordinato. 3 E q(ue)lli di Messina vedendo questo in(con)tanente feciono comandamento che neuno uscisse fuori della terra sotto pena della vita, e così fue fatto. 4 E quande lli franceschi videro che †qulli† della terra no(n) uscirono fuori, acconciarono loro lengni e †vernene† di quae tutti e furono a-rre e dissero: «Mess(ere), la pensata n(ost)ra ci è venuta fallita, che quelli di Messina no(n) uscirono fuori».

1 Allora i-rre fue più adirato che p(r)ima e disse: «Istamo a vedere che sarà di loro e de-rre di Ragona». 2 E l’altro giorno †aprese† giusse di làe l’amiralglio de-rre di Ragona – ciò fue mess(ere) Rugieri di Loria – p(er) lo Fare di Messina, menando grande gioia e festa sì come homo di grande grande valore. E fedio valentemente nel navile de-rre Carlo e prese XVIIII tra galee e trite; e fuorono p(re)se V galee de’ pisani e †mineto† a Messina, e credett[o]no bene avere colto i-rre Carlo o di làe in terra od in mare. 3 E vedendo questo irre Carlo tennesi morto e conquiso di dolore e fece suo parlamento di quae da

1 D’il mese di setemb(re) al’inxuta si levò i(n) q(ue)sto m(od)o. Lo p(r)imo giorno passò la soa regina, lo sico(n)do dìe passò lo re co(n) tuta la sua gente, e lassiò di làe doi capitani co(n) doa milia cavalie(r)i e disse loro: 2 «Istate di ziàe celati e, qua(n)do q(ue)gli di Messina usierano fuo(r)i p(er) le robe, date ala t(er)ra e trarette dentro ala t(er)ra; et io tornerò a voi, se fatto ci viene». Cossì fue ordinato. 3 Videndo questo quegli di Mesina fecero coma(n)dam(en)to che neuno i(n)sisse dela t(er)ra a pena dela vita, e cossì fue fato. 4 Qua(n)do y francieschi vid(e)ro che quegli d(e)la t(er)ra no(n) insievano fuori, aco(n)ciarono loro legni e ve(n)ne di fuori tuti e fuorono col re e dissero: «La pensata n(ost)ra ci vene falita, che q(ue)gli di Messina no(n) escono fuo(r)i».

71.

1 Allora lo re Carlo fue adirato più che i(m)p(r)ima e disse: «Istiamo a vedde(re) di loro e di lo re di Ragona». 2 E ll’altro giorno ap(re)sso giunse l’amiraglo d(e)lo re di Ragona p(er) lo Fare, mena(n)do gra(n)t gioya e gra(n)t festa. E fuorono allo navilio di lo re Ca(r)lo e p(re)ssero dicenove tra galee e trite; e fuorono p(re)sse cinque galee d’il comune di Pissa, ve(n)ne e menolle a Messina. E credetero bene avere tolto lo re Carlo di là ov’era i(n) mare. 3 E cossì lo re veddendo questo tenesi mo(r)to di dolo(r)e e fecie sou parlam(en)to di qua dalo Regno e dègli comiato a tuti quellgli che no teneano tera da luy.


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72. 1 E ccome vende del mese d’octobre, il re di Raona vene in Missina con messere Gianni di Procida e con tucti gli altri baroni di Cicilia. 2 E quivi fue grande gioia che quelli di Missina fecero al nobile messere Piero re di Raona, cio è al loro novello singnore.

Segue: Et nel M CC LXXXII diede mess(ere) Gia(n)ni di Procida la Cicilia, la q(ua)le tenea e ssingnoregiava mess(ere) lo re K(arlo) nato della casa di Francia, il decto mess(ere) Gianni nel dicto diede la dicta ysola di Cicilia a mess(ere) Piero re di Raona. Nel dicto anno o poco più inançi sì morio lo dicto mess(ere) pap(a) Martino terço, lo quale era di prima chiamato mess(ere) Simone del Torcio, di Francia nato. En questo medesmo anno morio pap(a) Nicola quarto, en questo anno morio el re di Francia e ’l re K(arlo) e ’l re di Raona: in poco temporale morioro tucti quanti. Dio padre onnipotente sì p(er)done loro et noi quando a cciò verremo. Am(en). Am(en). Am(en).


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LIB

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Regi e diede (com)miato a tutti quelli che non teniano †parte† da llui terra. 1. precede Come m(esser) Rug(eri) p(re)se cotante ghalee a· re K(arlo). CLVI.

72.

1 E come venne del messe d’ottobre, irre di Ragona <...> in Messina colla sua gente e (con) mess(ere) Gianni di Procita e (con) tutti gli altri baroni di Cicilia, 2 e quivi fecero grande festa e gioia. E cosie fue bene ricevuto a tutto honore sì come loro singnore. 2. segue P(er) la qual cosa vedendo ciò il re Carlo fece suo messo p(er) lectera e mandò a Piero re di Ragona diffidando sì come suo traditore era venuto nel reame suo di Cicilia giudicato p(er) autoritade di s(anct)a Eccl(esi)a

1 E qua(n)do ve(n)ne del messe d’otob(re) lo re di Ragona ve(n)ne a Messina co(n) mess(er)e Giani di P(ro)cita e colgli altri baroni di Cicilia, 2 e qui zi fecioro gra(n)t gioia e gra(n)t festa.



COMMENTO Inc. In italiano antico leggenda (B § 5) può avere il senso generico di ‘narrazione, racconto’, in particolare ‘racconto breve’ (cfr. Matteo Villani: «Porne qualche esempio in nostri ricordi non fia da biasimare se non da coloro che per morbidezza d’animo sono amatori delle brevi leggende»), ma può non essere estraneo alla scelta del titolo il carattere vagamente agiografico (eventualmente per antifrasi) del testo (vd. Introduzione, § 6). In ogni caso non ci sono prove che il titolo risalga all’archetipo dei testi continentali né a maggior ragione al testo originario. 0. 1. A questo paragrafo, assente in Reb, si attaglia perfettamente la descrizione di Ragone (1998, 117): «Ancora per tutto il Duecento e agli inizi del secolo successivo il prologo non è che uno scarno segnale di avviamento della scrittura, accompagnato immancabilmente, come nella migliore tradizione delle “ricordanze”, dall’invocazione». — contrasse di Leg è registrato dal TLIO ma andrebbe spostato dal § 4, ‘prendere (una malattia)’, al 4.1, ‘commettere’. 2. l’Altissimo Singnore e Magistro: il confronto di Tes e Lib permette di ricostruire qualcosa come «il mio sommo fattore e maestro». — fino che ‘affinché’ (cfr. Tes perké). — La dizione isola (o terra) di Sicilia (anche 1.3, 12.1, 14.1, ecc.) non è pleonastica, perché (regno o reame di) Sicilia può indicare, secondo l’uso svevo continuato sia dagli Angioini che dagli Aragonesi, tutta l’Italia meridionale (cfr. 2.6, 17.8, 20.2): in questo senso si usa anche l’antonomastico Regno (1.3, 20.3). Tuttavia, nel corso della narrazione, a poco a poco Sicilia si va generalizzando in senso geografico (cfr. 24.2, 27.1, ecc.), mentre si fa strada un’opposizione tra Sicilia e Regno (vedi 18.3, 46.4, 67.9). Per l’intera questione dell’intitolazione del Regno si veda Pispisa 1988. — Leg omette i titoli di Carlo. L’aggiunta di Lib (e d’Angiò) sarà una rielaborazione del Dico aciò che apre il paragrafo successivo. 1. 1. Il testo descrive l’origine della spedizione di Carlo e il suo stato di avan-


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zamento nel 1279, ma questi dati numerici s’attagliano piuttosto allo stato del 1282 (Amari I, 170). — Il nome Paleologo assume varie forme nelle cronache del Vespro. Partendo dalla forma accentata alla greca, i testi continentali permettono di ricostruire la seguente trafila: *Paleològo > Palioloco (Lib) > Palialoco, per assimilazione (Leg) > Paglaloco, con palatalizzazione (Tes). La strana forma di Reb Plagalogo si spiega forse come effetto di una metatesi grafica a partire da *Paglalogo. 2. Leg omette i particolari sulla preparazione della flotta. Si ricostruisce la lacuna sulla base della concordanza di Tes e Lib; cfr. anche Reb [fichi fari multi] navi grossi et galei p(er) passari in (Con)stanti[no]puli [cum tuctu lu so] isforzu, che mostra che, tra podere e sforzo, la lezione originaria è la seconda. Per sforzo ‘esercito’ cfr. B § 9, con diversi esempi duecenteschi (si tratta certamente di un francesismo, cfr. fr.a. esforz: FEW 3, 727). Tes ha anche forzo 48.2, che è tipo tosc. e ven. (corpus TLIO). — baronia è un’innovazione di Leg, cfr. oltre a Tes e Lib, Reb [bona] agenti. 3. Giovanni di Procida non si trovava in Sicilia ma a Barcellona dove era espatriato almeno dal 1275 con i figli Francesco e Tommaso ed era confidente di Pietro d’Aragona e di Costanza. I difensori ostinati dell’autenticità della leggenda obiettano che potrebbe esservi stato sotto mentite spoglie (Cappelli 1861, 30; Sicardi 1917, CXLVIII). Sulla figura storica di G. cfr. Amari (I, 145ss.), La Mantia (1917, CXXIVss.), Runciman (1958, cap. XII), Menniti 1995; vedi anche Introduzione, § 5. — strugere... tucto: Reb ha sturbari l’andata la qual[i] fachia lu re Carlu contra lu Plagalogu et comu putissi [fari] distrudiri et muriri lu re Carlu [et ribellari Sichilia] (et) auchidiri tucta sua genti. La lezione «sturbare» di Tes e Reb è confermata anche da Villani VIII 57: «Questi per suo senno e industria si pensò di sturbare il detto passaggio» (Porta 1990-1991, I 502). La lezione «distruggere» di Leg e Lib è dovuta ad anticipazione del verbo successivo. Il confronto tra le versioni permette di ricostruire qualcosa come «disturbare e impedire il passaggio che il re Carlo aveva ordinato contro il Palialoco, distruggere e menare a morte il re Carlo e far ribellare il regno di Sicilia tutto». 4. Su questo viaggio di G. e sui successivi cfr. Introduzione, § 5. — La lezione «pensare» di Leg e Lib, contro «trattare» di Tes, sembra dovuta a un’anticipazione di «pensiero». 2. 3. La lezione di Reb mia vintura mostra che il sintagma mia ventura e mia vita non è dovuto a un ampliamento di Tes ma è quello originario sottoposto a diffrazione. 4. Le parole di G. hanno risonanze di gap, cfr. Ruggeri Apugliese: «ad ogni cosa do sentenza / et a[g]gio senno e provedenza / in ciascun mestiere» (Contini 1960, I 890). — e ch’io sono: ricostruito sulla base di Leg e Tes (cfr. anche Reb (et) comu eu su homu multu neccessariu).


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3. 2. Contro «maestro generale e consigliere», Reb ha mastru consigleri generali, che secondo Sicardi (1917, LXIII) vale ‘principale consigliere’. Si tratta probabilmente di un fraintendimento di Reb, perché maestro sta per ‘medico’: cfr. Palma (1910, 412) e B s.v., § 8. 3. Pugliesi contrapposto a siciliani vale ‘regnicoli continentali’, come dopo Puglia ‘Italia meridionale’ (38.3, 48.2, 48.5). Anziché «dai pugliesi e dai siciliani», Reb ha da li grechi (et) latini. 4. 3. c’abbia al mundo ‘che ci sia al mondo’; ma la lezione di Tes k’abbiate al mondo è confermata da Reb lu plui grandi bisognu ch(i) vui aviti in quistu mundu. 4. Alla lezione «segreto (luogo del) tesoro» Reb oppone la variante adiafora secretanczi ‘cose segrete’, voce attestata in altri testi siciliani trecenteschi (corpus TLIO). 5. 2. punzuolo ‘pùngolo’ è un derivato di punzare < PUNCTIARE (REW 6845), non altrimenti attestato nel corpus TLIO. Modernamente troviamo però spunzone in lucch.-vers. (AIS 1243 cp, p. 520) e, col significato di ‘pungiglione’, il tipo punzo in gallur. e sassar. (AIS 1153), punzello in cort. (p. 554). 5. La lezione originaria doveva essere «viene con lui quello (colui) che di ragione è sua, cioè l’imperatore B.»: cfr., oltre a Tes e Lib, Reb et veni cum ip(s)u q(ui)llu ch(i) di raxuni sì esti sua conquesta et sua coruna, zò esti lu imperaduri B. — Baldovino II, genero di Carlo di Angiò, titolare dell’Impero latino di Costantinopoli, in realtà era morto nel 1273 e gli era succeduto Filippo. Sui patti tra Baldovino e Carlo, che assicuravano a quest’ultimo il potere sostanziale sull’Oriente, cfr. Amari (I, 131). 6. armati per addobbati in Leg è un’evidente eco del precedente armate (cfr. anche Reb adubati). 6. 3. La formulazione è iperbolica ma riflette l’intensa attività diplomatica di Michele Paleologo presso i latini, studiata da Geanakoplos 1959. 4. In luogo di ammesso, Reb ha misu in putiri, probabile errore (l’argomento è già di Cappelli). Per ammetter(si) ‘rivolger(si)’ cfr. TLIO s.v., § 2. 5. pur delle lectere... ‘il solo fatto di scrivere li spaventava a morte’. 6. Le varianti indurire/indurare ‘diventare indifferente’ sono del tutto equivalenti, cfr. B s.vv., § 7. Conserviamo la costruzione di Leg (me ne sono i.), sebbene la variante di Tes (vi sono i.) con avverbiale locativo appaia più naturale (cfr. Savonarola: «se’ tu quello che induri lo uomo al peccato»).


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7. 1. *meriteresti ‘ricompenseresti’ è diventato metteresti nei testi continentali. La lezione giusta è conservata da Reb Or cui ti liv[as]si di supra tuctu quistu fururi (et) quista mo(r)ti (et) affannu, miritirissilu tu di alcuna cosa? Cfr. B s.v., § 8 dove è attestata anche la stessa costruzione (Abbracciavacca: «sì ’n meretria – voi d’alcuna cosa»). 8. 3. Contro «esultare», Reb ha ascutarimi. Secondo Sicardi (1917, LIV) si tratterebbe della lezione giusta, travisata dai testi continentali. Ma per esultare ‘far trionfare’ cfr. TLIO s.v. 9. 2. Per l’integrazione cfr. anche Reb la terra di Sichilia. 5. Per credenza ‘segretezza; (cosa detta in) segreto’, spesso nei sintagmi tenere/giurare c., cfr. B § 10. — lectere ‘una lettera’, come spesso in seguito, plurale latineggiante. 6. Cfr. TLIO s.v. cercare, § 2.4 ‘compiere azioni affinché qualcosa si realizzi’. 10. 1. I testi continentali presentano qui un’omissione, cfr. Reb Intandu lu imperaduri fichi sacramentu a (m)miss(er) Johanni (et) <partisi> di intru quilla ca(m)mara. Di ch(i) misser Johanni dissi a lu imperaduri: «Signuri, eu mi voglu partiri di vui in quistu modu...». 2. La lezione a’ miei amici latini, diffratta per aplografia, è confermata da Reb li mei amichi latini. 4. Conserviamo la lezione di Leg (partirsi da più parlare ‘mettere fine a un colloquio’) che ritorna a 46.6, sebbene quella di Tes (partirsi da più parole) appaia meglio documentata: cfr. il sintagma partirsi da(lle) parole, attestato in B s.v. parola, § 22, con esempi toscani del sec. XIV. 11. 1. Per Palmieri Abbate e Alaimo da Lentini cfr. Introduzione, § 6. 5. quello ch’i’ò ordinato... amici: cfr. Reb quillu ki è ordinatu p(er) li vost(r)i amichi. È evidente che Reb conserva la lezione giusta, col verbo passivo e il complemento d’agente introdotto da per. L’archetipo dei testi continentali presentava probabilmente una lezione erronea simile a quella di Leg, che Lib ha cercato di rammendare, Tes ha senz’altro soppresso.


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12. 1. Il passo sembra individuare un disagio di tutta la tradizione, cfr. Reb a quillu tempu lu quali esti ordinatu p(er) li signuri di lu quali vui tucti se(r)riti allegri. L’archetipo doveva avere qualcosa come «a quel tempo che è ordinato per i signori del quale sarete molto allegri della sua signoria»; Tes ha poi omogeneizzato il testo (li sengnori de’ quali), Leg e Lib lo hanno sciolto paratatticamente. 2. Su Gualtieri di Caltagirone cfr. Introduzione, § 6. — Manteniamo la forma Calagirona di Leg. La forma etimologica è trasmessa da Lib e Reb (Calatagirone, Calatagiruni). La forma metatetica di Tes Catalagirona – forse per accostamento a catalano, Catalogna – è presente anche in Villani VIII 57 (Porta 1990-1991, I 505). 13. 2. s’io non avesse... da fare: la lezione originaria doveva essere «s’io non avessi imprima pensato ciò ch’era da fare», come si deduce, oltre che da Tes e Lib, da Reb si eu no(n) avissi imprima pinczatu quillu ch(i) si convinia di fari. 3. Reb ha Dundi vui no(n) aviti a ffari altru si no(n) di tiniri cridenza, ki a (m)minu di unu annu vidiriti fari p(er) opera li vostri facti; probabilmente la lezione giusta è quella dei testi continentali, perché la determinazione temporale si riferisce alla “credenza”. — Tes e Leg hanno l’uso antico di ma nel senso di ‘altro che’ (Rohlfs § 958); per opera vale ‘effettivamente’ (cfr. B § 26). 4. Per l’integrazione cfr., oltre a Tes, Reb chasquidunu cum loru sigilli. 14. 1. La frase ellittica ricalca la formula di salutazione latina. In luogo di ‘conte di Valenza’, Reb ha più correttamente conti di Barsilona. 2. Costanza, figlia di Manfredi, aveva sposato l’allora infante Pietro nel 1262. 3. L’eco biblica riprende un tema amato dalla propaganda antiangioina che è ripercorso in dettaglio da Cingolani (2006, 305ss.): il paragone di Carlo con il Faraone compare per la prima volta nella lettera dei palermitani ai messinesi del 13 aprile 1282, ritorna in Saba Malaspina, Bartolomeo di Neocastro, Desclot e Muntaner e sarà usato dallo stesso Pietro nelle sue lettere. Si noti l’uso antonomastico di popolo; Faraone sembra nome proprio, come spesso in it.a. (cfr. TLIO s.v.). — In luogo di «il giorno e la notte», Reb ha di zò ch(i) omni jornu <vi> scrivirimu ‘della qual cosa vi scriveremo ogni giorno’. Si tratta probabilmente di erronea interpretazione: i baroni dicono semplicemente che la parola di G. vale a complemento della lettera. 4. L’uso sostantivato di segreto ‘confidente’ è un’evoluzione del significato ‘capace di mantenere il segreto’ registrato da B § 1 (un esempio di Boccaccio), elevato a vero e proprio tecnicismo nel nostro testo.


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16. 1. Su Giovanni Orsini eletto papa nel 1277 come Niccolò III, cfr. Amari (I, 138), Runcimann (1958, 237ss.). Dante lo mette all’Inferno tra i simoniaci; nella sua invettiva («guarda ben la maltolta moneta / ch’esser ti fece contra Carlo ardito» Inf. XIX 98-99) alcuni commentatori hanno visto un’allusione alla sua partecipazione alla congiura e ai denari ricevuti dal Paleologo (vedi Introduzione, § 12). 2. A Soriano nel Cimino, presso Viterbo, Niccolò possedeva un castello (Runcimann 1958, 368). 3. G. aveva curato Giovanni Orsini prima che diventasse papa. Questi aveva interceduto per lui presso Clemente IV dopo la rotta di Benevento (Sicardi 1917, XXXIX). 17. 1. regno di Cicilia e di Pulglia: questa denominazione era presente, anche se sporadicamente, già in età fridericiana (Pispisa 1988, 16). – albergo che lli ritegna: la dittologia verbale di Tes è confermata da Reb cui li regiri no(n) cui ritiniril[i]. 3. lo posso fare: conserviamo la lezione di Leg, anche se dagli altri testi continentali si deduce «li posso aiutare», mentre Reb ha Comu pu(r)ria and[ari] contra di lu re Ca(r)lu: situazione che rende impossibile la ricostruzione del testo originario. Si integra in buono stato sulla base di Lib, tenendo conto di Reb manteni lu <statu> e lu honuri di la Ec[clesia] di Ruma. 4. Sulla base di Tes verrebbe da ricostruire non obbidisce i vostri comandamenti <inn una> cosa ch’io so, ma cfr. Reb no(n) obedixi li vostri comandamenti in nixunu casu. 6. L’uso del verbo piatire ‘litigare’ sembra incongruo, quand’anche si volesse intendere col Cappelli ‘disputare di nobiltà e preminenza’. Esso sembrerebbe configurare un errore comune di Leg e Tes, come proposto da Amari. Tuttavia, come si legge in una poesia anonima del Vat. Lat. 3793 («Lo giorno che fui piatita / non foss’io nel mondo»: CLPIO, p. 321; cfr. anche B § 5), piatire può voler dire anche ‘dare in matrimonio’. — v’ebbe a disdegno: l’aggiunta di Tes è confermata da Reb vi disdignau. — La notizia del rifiuto di Carlo è anche nel Chronicon di Pipino, in Villani, in Bosone da Gubbio e nei commenti danteschi (vedi Introduzione, § 12). 8. Per l’integrazione cfr., oltre a Lib, Reb nè vosi fari parintatu cum vostru lignaju e disdignauvi. 18. 1. Per l’integrazione cfr. Lib e Reb fu multu iratu. 4. lo ’ncenso ‘il censo’, cfr. B incenso2. Tes aggiunge la frugga, testimoniando un’inedita continuazione toscana di *FRÛGA ‘rendita’ (REW 3546). 5. Si integra e che pensasse tanto ardire sulla base di Lib e Tes e tenendo conto di Reb et ki pensassi tali ardiri.


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6. Se voleste tenere celato: conserviamo il testo di Leg (e Lib) che sembra rimandare a un uso sostantivale di celato ‘segreto’, non attestato nel TLIO ma confermato da passi successivi (20.4, 27.4). — La lezione di Leg e Lib «di pena e di pericolo» e quella di Tes «sotto pena di penitenza» appaiono entrambe insoddisfacenti, né aiuta Reb, che non fornisce corrispondenze. Si potrebbe ipotizzare un originario «sotto pena di pericolo»? Cfr. nella Regola di Altopascio sotto periculo dell’anima (sec. XIV, B). 19. 1. In luogo di se voi vi vorrete intendere, Reb ha si vui lu voliti consentiri. L’accordo di Reb e Tes fa pensare a una trafila *se voi volete concedere > contendere > intendere. — giurati (insieme) ‘congiurati’ è frequente nella prosa due-trecentesca (Cappi 2000, 230). La lezione procacciatore sembra una banalizzazione dei testi continentali: Reb ha procuraturi. 2. se mmi mostre lectere: errore comune dei testi continentali, cfr. Reb Sia factu zò ch(i) plachi a vui senza n(ost)ri l(ict)ri. La lezione originaria *nostre è diventata mostre, che non dà senso, donde la lacuna di Tes. 4. Reb non parla di sigillo cardinalizio, ma di lu sigillu prop(r)iu di lu papa secretu. 5. Per la correzione, oltre a Tes e Lib, cfr. Reb in grandi pachi et conchordia, con diversa dittologia. 20. 2. Acciò che: in funzione causale, cfr. TLIO s.v. acciocché, § 2. 3. Leggi: ‘aggiudicandoti tutto il Regno da pigliare...’ 21. 1. Per processo vd. oltre (50.5) 3. Sul viaggio a Maiorca cfr. Introduzione, § 6. 22. 1. Per il tema della doppia vendetta cfr. Introduzione, § 11. Sarà casuale, ma è significativa la coincidenza con i versi di Cerverí de Girona (BdT 434a, 52) in cui si descrive la capacità di sopportazione di Pietro, ancora Infante, di fronte ai torti di Carlo d’Angiò, definito enic ‘iniquo’: «Nostr’Enfans, car sab affans / sofrir, c’anc hom meyls no·ls sofri, / an[s] ac tans que·l meyls estans / tremble» (Riquer 1947, num. 36 vv. 33-36). — L’alternanza vitupero/vituperio/vitiperio è frequente in antico (cfr. B s.v. vituperio). 2. quello: originariamente quella, cioè ‘quell’onta’ (cfr. Lib e Tes). Si integra il regno di Sicilia sulla base di Lib e Tes e tenendo conto di Reb lu regnu


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di Sichilia. — per esso: Tes conserva la lezione giusta, con la costruzione venire per qc. ‘venire a prendere qc.’ (Rohlfs § 810) che ritorna a 55.2. Cfr. anche Reb viniri ad recup(er)ar[i] la vostra raxuni. 3. l’onta del nimico tuo, per lo tuo avolo: innovazione di un originario «l’onta dell’avolo tuo» (cfr. Tes e Lib). — Reb specifica: a Morellu in Tulusa. A Muret presso Tolosa nel 1213 occitani e catalani furono sconfitti dai crociati antialbigesi e Pietro II d’Aragona trovò la morte. 4. Per ‘dannaggio’ Lib ha dalmayo. Il tipo, che torna più tardi in Tes (dalmagio 44.8), è noto all’it.sett., al tosc., al sic. (corpus TLIO) e continua in piem. (REW 2468). Non lo trovo nella voce dannaggio del TLIO, sebbene derivi probabilmente per dissimilazione dallo stadio danmagio < prov. damnatge (ibid.). 23. 1. Contro «sei pazzo... o che hai trovato?», Reb ha Sì tu paczu oy exutu di ti? Secondo Amari (I, 203) si tratta di un errore di traduzione del testo siciliano. 2. Si conserva la lezione di Leg «acquistare ciò che tu dici», che sembra rimediare in qualche modo a un errore comune dei testi continentali («ciò che tu dici» è un’anticipazione di quello che segue). La lezione originaria doveva essere «contrastare con lui» (cfr. Reb contrastari cum ip(s)u), diventato poi «contrastare a ciò che tu dici» (e in Leg ulteriormente acquistare...). — Si integra s’esser potrà sulla base di Tes e Lib (cfr. anche Reb ch(i) eu lu pocza fari). 24. 3. Invece di «tanta terra hai cercato», Reb ha tanta cosa ay chi(r)cata. Si tratta di una banalizzazione: cfr. cercare ‘attraversare, percorrere’, pure attestato in siciliano antico (TLIO s.v.). 4. L’espressione mi sengno da parte di Dio vale ‘mi faccio il segno della croce’ (B s.v. segnare, § 6) ‘in nome di Dio’ (B s.v. parte, § 53). Reb ha eu mi proffiru di la pa(r)ti di Deu ‘mi dichiaro dalla parte di Dio’ che è probabilmente una banalizzazione, se non addiritura, come credeva Amari (I, 203), un errore di traduzione. — La lezione di Reb mi rendu ben sicuru da issu, contro «mi rendo ben sicuro di lui», è certamente erronea: Pietro sta dicendo che è sicuro (dell’appoggio) del papa; cfr. anche Villani VIII 59: «del quale vivendo si rendea molto sicuro, sappiendo ch’egli nonn-era amico del re Carlo» (Porta 1990-1991, I 507). — Per la correzione dici > dice, oltre a Tes e Lib, cfr. Reb zò ki illu mi promecti. 25. 1. L’accordo di Tes e Reb (tucti quilli secreti ki zò sapinu) dimostra che la lezione originaria doveva essere segreti ‘congiurati’ (cfr. 14.4).


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26. 1-3. La narrazione è piuttosto confusa, perché non è chiaro se il dialogo avvenga a Maiorca o a Barcellona, né dove vada il re (Quelli ne venne per terra). Più lineare Reb, che narra prima la partenza da Maiorca (misser Johanni si pa(r)tiu cum lu re di Mayorca p(er) andari in Catalogna insembli), poi il dialogo a Barcellona, infine la partenza di G.: Et cussì si partiu l’unu da l’autru et [Giovanni] andausindi p(er) mari et lu re di Aragona rumasi in Ba(r)silona. 2. La lezione ordinerò di Leg è apparentemente confermata da Reb ... imperò ki ip(s)u avia ad ordinari cu(m) lu Plagalogu et cum li sichiliani et cum lu s(anct)u Patri. In realtà G. dice a Pietro che non potrà riferirgli come evolverà il fatto se non al suo ritorno in Catalogna. 5. Per avacciare ‘fare con sollecitudine’ cfr. l’articolo del TLIO, che cita anche il nostro esempio (§ 1.1). — È assente qui un intero paragrafo che in Reb suona: Et lu papa adimandau a (m)misser Johanni: «Ch(i) vi pari di lu re di Aragona?». Et misser Joha(n)ni rispusi: «Fachiti ch(i) illu esti lu plui saviu homu di lu mundu et lu plui prudu cavaleri ki ogi sia in (cristi)anitati». Et lu papa dissi: «Ben mi plachi di cutali homu, imp(er)ò ki a nnui fachia bisognu in quistu factu, ancora bisugnava a li sichiliani. 7. Per alla coperta ‘copertamente, di nascosto’ cfr. TLIO s.v. coperto, § 5. Il sintagma con mia parola vale probabilmente ‘col mio consenso’, cfr. B § 12. 27. 1. Più dettagliata la versione di Reb: Allura si pa(r)tiu misser Johanni di lu papa et andau a Co(r)nitu, et illocu trovau unu lignu di pisani et mu(n)tau di supra q(ui)stu lignu, et vinnisindi in Trapani. Corneto è l’attuale Tarquinia. Come scrive Amari (II, 202n.), «Corneto era veramente luogo di sbarco a chi andasse da Ponente a corte pontificia quando questa non sedeva in Roma». — Accanto a Trapani, Trapali è molto frequente in tosc.a., Trapoli è attestato anche in Pucci (corpus TLIO). 3. L’aggiunta, basata su Lib e Tes, vale probabilmente ‘finché non si realizzi il piano che ho in mente’: cfr. B s.v. pensato, § 5 ‘pensiero, intendimento, deliberazione’ (frequente nella lirica del Due-Trecento). Non molto perspicuo qui Reb: tiniti chilatu lu factu p(er)fina a la mia to(r)nata, ki, cum quilli ordini ordinatamenti ki eu aju a ffari, ki eu voglu andari p(er)fina a lu Plagalogu. 4. L’accordo di Leg e Reb (Preguvi p(er) <amuri> di Deu ch(i) vui teniti chilatu) sembra confermare l’uso sostantivale di celato ‘segreto’ (cfr. anche 18.6 e 20.4). 5. Reb fornisce ancora una volta maggiori dettagli: E poi prisi conviatu di miss(er) Palmeri Abati, et p(er) mari muntau di Trapani cum una galia di viniciani et misirulu in te(r)ra in Rumania ad unu locu lu quali avia nomu Nigruponti, et [poi si ’ndi] andau in Costantinopuli vistutu ad modu di frati minuri p(er) andari chilatamenti, actali ch(i) ip(s)u non fussi canuxu-


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tu. Negroponte è il nome antico dell’Eubea e della sua capitale Calcide (cfr. Capacci 1994, s.v.; Debanne 2011, s.v.). 28. 3. Nel correggere avendo si preferisce il futuro (Tes ha il presente, Lib una lacuna), sulla base dell’alternanza precedente tra à e fia e visto anche Reb et avirai p(er) amichi li toi amichi. 4. Reb aggiunge <eccu> li lictri di li baruni di Sichilia et di lu papa: piuttosto che di un’omissione delle redazioni continentali, si tratterà di un’anticipazione di 29.1. 5. Per la data cfr. Introduzione, § 10. La lezione di Leg devrà è apparentemente confermata da Reb li quali divinu viniri supra di ti; in realtà Leg e Reb non intendono l’uso dell’imperfetto come futuro del passato (‘sarebbe dovuto venire’). 29. 1. Si ricostruisce sulla base di Tes (Lib è pure erroneo), visto anche Reb ch(i) tu ày factu cosa ch(i) homu di lu mundu no(n) lu aviria potutu fari. Il senso fattuale di che Dio l’à dato a compiere, nonostante la varia lezione degli altri testi continentali, è confermato da Reb: et pari ki Deu ti aya datu tou vuliri et conplimentu. 3. Progetti di un’alleanza matrimoniale tra Pietro e Michele sono documentati, ma solo nel 1282 (Amari I, 159 e II, doc. XII). 30. 1. soprastare ‘indugiare’ è frequente in it.a. (cfr. B s.v. sovrastare, § 6). 2. Reb dà maggiori dettagli sul viaggio, anticipa quanto si dirà in 31.4 e precisa l’origine dell’ambasciatore del Paleologo: Et lu inperaduri incontinenti fichi pisari l’oru e (m)misilu supra di una galia cum misser Joh(ann)i insembli, la quali galia era di ginuisi; a lu quali po(r)taru in Barsilona insembli cum unu cavaleri di lu imperaduri ch(i) era missaju secretu, ch(i) p(er) nomu si chamava misser Accardu Latinu, ch(i) era natu di lu planu di Lumba(r)dia, lu quali era prudu e ssaviu et valenti cavaleri. 31. 1. Niccolò III muore nell’agosto del 1280. 2. Per rimaso ‘interrotto, sospeso, non compiuto’ cfr. B s.v. rimanere, §§ 1213. 3. Per la correzione, oltre a Tes, cfr. Reb in sì midesmi prisi confortu. 4. Secondo Hartwig (1870, 258) il personaggio di Accardo Latino è una deformazione della figura storica di Benedetto Zaccaria; la sua ipotesi è accolta da La Mantia (1917, CLXII) e non è esclusa da Geanakoplos


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(1959, 386 n. 71). Per la vita di Zaccaria e per l’importante ruolo da lui svolto presso l’imperatore d’Oriente cfr. Lopez 1933, Geanakoplos (1959, 228). A differenza di quest’ultimo (ibid., 386), lo storico italiano nega che egli abbia avuto un ruolo reale nelle pratiche precedenti il Vespro. Per una fantasiosa identificazione di Accardo con Brunetto Latini vedi Bolton Holloway (1993, 117ss.). 7. Per traversa ‘traversìa’ cfr. B § 7. La lezione di Tes traversa disaventura sembra nascere dall’inserimento nel testo di una glossa; va detto però che traverso è attestato anche come aggettivo nel senso di ‘avverso, sfavorevole’ (cfr. B s.v. traverso1, § 12). 8. insegna per ‘segno’ è comune in antico (cfr. B § 7). 9. Per la grafia sengore ‘signore’ vd. Nota linguistica, § 1.2.1. 32. 1. In luogo di «e levossi», Reb ha in lu visu: ciascuna delle due lezioni potrebbe essersi facilmente generata dall’altra. 2. Per disconcio ‘danno’ cfr. TLIO s.v., § 2.1. 3. comincia lite... è un’espressione proverbiale, cfr. in Sacchetti «Muovi lite, acconcio non ti falla» (corpus TLIO); il proverbio è registrato come adespoto nella Crusca 1612, s.v. lite. Per il tosc.a. concia ‘accordo’ cfr. TLIO s.v. concia2. 6. Passo poco chiaro, forse: ‘Federico fu più forte di Carlo, eppure voi gli resisteste, finché voleste stare uniti’ (per ad una ‘insieme, in unità’ cfr. B s.v. una). Ancora meno chiaro Reb: Et sì <vui tinistivu> fina ki vui <vulistivu> essiri liali e boni. Che si tratti di un errore di archetipo? In ogni caso questo passaggio lascia trasparire una posizione antifridericiana impensabile nella Sicilia di Federico III, che rivendicava orgogliosamente l’eredità sveva (De Stefano 1937, 14). 9. In vedere dare si ricostruisce la lezione diffratta nei testi continentali (cfr. Reb volia vidiri dari la monita) ma che doveva essere presente nel loro archetipo. L’alternanza navile/navilio è frequente in antico (B, s.v. naviglio; corpus TLIO). 33. 1. La lezione frate minore di Tes sembrerebbe confermata da Reb (et foru chicati in Barsilona vistuti a (m)modu di frati minuri), ma si potrebbe trattare di una banalizzazione poligenetica, anche per eco di passi precedenti (11.1, 27.5). Per il tosc.a. ermini ‘armeni’, di origine galloromanza, vedi LEI (3, 1316). 2. Per l’integrazione cfr. Tes e Reb p(ri)si a miss(er) Johanni p(er) la manu. 34. 2. per rincorare...: si conserva la lezione di Leg con l’integrazione fornita da


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Lib; ma forse sulla base di Tes (laddove si corregga con Amari il secondo doctano in dottamo) e Reb (ni pozamu a(r)ricordari di li n(ost)ri amichi di Sichilia; ch(i) di la mo(r)ti di lu papa no(n) dubitamu nenti) si può ricostruire qualcosa come «per rincuorare gli amici tuoi di Sicilia, che della morte del papa non temono niente [perché convinti precedentemente da G.]: sia fatto loro credere che neanche noi [ossia neanche Pietro] temiamo niente». 4. E voi, apparecchiate...: probabilmente ipotattico nel testo originario, cfr., oltre a Lib e Tes, Reb actalkì vui apparichati l’a(r)mata. 35. 1. Probabilmente è un’eco di 34.3 l’aggiunta di Reb: Et misser Johanni dissi: «Signuri, q(u)istu cavaleri ch(i) esti cum micu sì esti cavaleri di lu inperaduri di Costantinopuli et esti so inbaxaturi». 3. e fecerli: forse modifica un originario *e il re feceli, cfr. Lib e Reb et lu re li fichi multu grandi honuri (Tes è lacunoso). — Per la forma lingnaro cfr. Nota linguistica, § 1.8. 4. Per la correzione cfr. Tes e Reb et poi li prisintau la munita. 5. Simone di Brie viene eletto papa col nome di Martino IV nel febbraio 1281 (del Torso vale ‘di Tours’, cfr. anche Purg. XXIV 23-24 «dal Torso fu, e purga per digiuno / l’anguille di Bolsena e la vernaccia»). I testi dicono tutti «Martino III» e danno concordemente l’anno 1282: per una possibile spiegazione vedi Introduzione, § 10. 6. Per l’integrazione cfr. anche Reb po(r)riani dari grandi sconzu a quistu nostru factu. 36. 2. Reb aggiunge un passo poco chiaro: «...inp(er)ò †no(n) lassamu di no(n) intendiri di aviri adiminticati nostri facti†». Et stantu insembli intisiru supra lu accomenzame(n)tu di l’a(r)mata. 3-4. Il re di Francia è Filippo III, nipote di Carlo. Sulle fonti e l’esatta collocazione di questo episodio cfr. Introduzione, §§ 6 e 11. La lunga aggiunta di Lib potrebbe basarsi su Saba Malaspina VII 4: «Cumque inter hec ad autumandam causam tanti navigii dompni Petri Karolus denuo se convertens non excuteret rancorem concepte suspicionis ab animo, sapientum suorum studet indagare consilio, per quam viam possit prefati dompni Petri propositum mentale detegere causamque tanti et cum tanta celeritate parati navigii valeat perscruptari. Tandem ex provida sui deliberatione consilii Phylippo regi Francorum nepoti suo et cognato regis Aragonum memorati suas litteras inter alia sub tali significatione transmittit, ut videlicet sagaci perquirat indagine ac per alios faciat explorare, quo intentionis proposito dictus rex Aragonum ad parandum tam grande navigium moveatur quove sit iturus cum ipso; quod si rex Francie per alios hoc scire non valeat, ab ipso dompno Petro


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per speciales litteras ac apocrisarios suos aliquos indagare procuret» (Koller/Nitschke 1999, 272). 4. Conserviamo la lezione di Leg (e Lib) a voi sì profere avere e persona, perché perfettamente legittima (cfr. B proferire, § 7 ‘offrire’, con un esempio calzante di Dino Compagni: «e noi a ciò fare vi proferiamo l’avere e le persone»), anche se la lezione di Tes sì vi si p(ro)fera inn avere (e) in p(er)sona, altrettanto legittima (cfr. B § 16), è confermata da Reb: Però ip(s)u si <proffiri> in aviri et in persuna. 37. 1. Per la risposta di Pietro cfr. ancora Introduzione, § 11. 2. La sorella di Pietro, Isabella († 1270), aveva sposato Filippo nel 1262. 4. Per il prestito presuntamente accettato da Pietro, cfr. Introduzione, §§ 9 e 11. Reb sopprime – secondo Sicardi volontariamente – questo paragrafo. 38. 2. cinquanta milia: originariamente quaranta milia: cfr., oltre a Tes e Lib, Reb quaranta milia. 3. Reb, cui forse è sembrato troppo investire l’ambasciatore di una nuova missione, scrive semplicemente: Et inco(n)tine<n>ti fichi unu imbaxaturi a lu re Ca(r)lu. Cfr. del resto anche Villani VIII 60: «mandò a·ddire incontanente, e per suoi ambasciadori il fece assapere al suo zio lo re Carlo in Puglia, ch’egli si prendesse guardia di sue terre» (Porta 19901991, I 508). 39. 1. Secondo Reb, Carlo si trovava già a corte di Roma, il che corrisponde ai dati di fatto (cfr. n. a 42.1): Lu imbaxaturi si mossi p(er) andari in Pugla, et quandu fu a Vite(r)bu sì trovau lu re Carlu e lu papa insembli, et cuntauli tucta la inbaxata la quali li avia conmisu sou sig(n)uri re di Franza. Et quandu lu re Carlu audiu quisti palori, si ’ndi andau a lu papa e dissi... 2. Si ricostruisce la lacuna sulla base di Tes e tenendo conto di Reb: comu lu re di Aragona fa grandi armata di mari e no(n) voli diri undi voli andari. Illu esti un gran folluni, inp(er)zò vi pregu ch(i) vui li mandati a diri... Per beccone, vedi oltre, § 42. 3. Per l’integrazione cfr. Tes e Reb sucta la pena di la te(r)ra ch(i) teni di vui (un analogo sintagma ritorna oltre, § 40.4). La minaccia di spossessione, oltre che con l’idea della teocrazia papale, si giustifica col fatto che l’avo del re di Aragona, Pietro II, nel 1204 si era fatto incoronare dal papa e gli aveva giurato fedeltà.


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40. 1. Sia la data dell’ambasceria che il suo latore sembrano frutto di invenzione. Come si ricostruisce dai documenti ufficiali, Martino IV invia il vescovo di Grosseto Bartolomeo d’Amelia nel dicembre del 1281, prima dunque dell’ambasciata di Filippo avvenuta nel maggio del 1282 (cfr. Cingolani 2006, 365). Se tuttavia si volesse tentare un’identificazione per il frate domenicano, si potrebbe pensare a Iacopo di Focignano, che tra il 1298 e il 1301 è priore nella provincia del Regno e dal 1299 cappellano di Carlo II (Kaeppeli 1975). L’episodio è assente in Desclot, ma Muntaner (cap. 47) parla di un’ambasciata del papa precedente quella del re di Francia: «Sí que el papa li tramès a dir que el pregava que li dixés ço que havia en volentat de fer e si li ho trametia a dir, que en tal lloc poria anar que li trametria secors de moneda e de perdonança. E el senyor rei En Pere d’Aragon tramès-li a dir que li graïa molt la sua proferta, mas que el pregava que no li desplagués com en aquela saó no li ho trametia a dir, mas que en breu ell li faria a saber e que llavors hauria lloc l’ajuda e la perdonança que li proferia; mas que ara en aquell punt que li plagués que se’n soferís» (Soldevila 1971, 706). Solo dopo aggiunge: «Aprés així mateix li vengren missatges del rei de França, son cunyat, qui li tramès semblant missatgeria que havia feta lo papa, e ab aital resposta se n’anaren» (ibid.). 3. Tartari è probabilmente un modo per sanare un difetto del subarchetipo (cfr. la lacuna di Lib). La lezione originaria è Egitto, cfr. Tes e Reb Egiptu. 4. In luogo di «sopra alcun cristiano» o «sopra alcun fedele della Chiesa di Roma», Reb ha supra nullu fidili cristianu, lezione confermata da Villani (VIII 60): «sopra niuno fedele cristiano» (Porta 1990-1991, I 509). 41. 1. Su via ellittico del verbo «per indicare l’estrema rapidità di un’azione», cfr. B § 1. 2. Per vievia ‘subito, immediatamente’ cfr. DEI 4050. 4. Per il motto di Pietro cfr. Introduzione, § 11. 42. 1. I testi continentali separano in maniera inverosimile il momento in cui frate Iacopo arriva dal papa e quello in cui, alla presenza di Carlo, riferisce la sua ambasciata. Cfr. invece Reb Quandu frati Jacupu appi richiputa la risposta di lu re di Aragona, si pa(r)tiu e chicau a Mu(n)tiflascuni, et illocu trovau [l]u signuri sanctu papa et lu re Ca(r)lu <et contau tucta la sua imbaxata a lu papa in presencia di lu re Carlu>. Forse il testo originario aveva qualcosa come «... e andò in corte dinanzi al papa un giorno che era presente il re Carlo. E il frate disse a messer lo papa...». — La notizia che nell’estateautunno 1281 Carlo fosse presso il papa è corretta (Minieri Riccio 1872,


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17): Carlo era andato ad aprile ad Orvieto per incontrare il neoeletto Martino; quivi il 3 luglio veniva stipulata la lega con Venezia che preludeva all’impresa di Grecia. Reb coglie dunque nel segno quando precisa che la corte papale non si trovava a Roma, sebbene scambi Orvieto con la vicina Montefiascone. Si sa del resto che Montefiascone era residenza amata da Martino (cfr. Koller/Nitschke 1999, 298) e lo stesso Carlo vi è documentato il 3 aprile (Minieri Riccio 1872, 17). 2. L’archetipo dei testi continentali doveva avere beccone ‘stupido’ (cfr. TLIO s.v.), mentre Reb ha fulluni. La lezione originaria, poi diffratta poi nei due rami della tradizione, doveva essere fellone briccone come in Villani VIII 60 (Porta 1990-1991, I 509). — In luogo di se ffa in buona fede d’adquistare si potrebbe anche stampare, rinunciando all’integrazione, se ffa in buona fe’ de adquistare. Per acquistare ‘conquistare’ (qui usato insolitamente in costruzione assoluta) cfr. TLIO s.v., § 2. — Reb aggiunge un intero paragrafo: Supra zò no(n) fu plui pa(r)latu, anti dissi lu papa: «Ajati cura e custodia di la vostra te(r)ra, ch(i) eu aju audutu diri ki lu re di Aragona è unu di quilli signuri ch(i) sia in quistu mu(n)du di la mayuri inprisa ki nixunu altru». Et lu re Carlu rispusi: «Sanctu Patri, nui sta(r)rimu a lu vidiri zò ki ip(s)u fa(r)rà». Anche Villani (VIII 60) rincara sull’insipienza di Carlo: «Lo re Carlo, ch’era di sì grande cuore e teneasi sì possente, poco o niente ne curò, ma per dispetto disse a papa Martino: “Non vi diss’io che Piero d’Araona era uno fellone briccone?”. Ma non si ricordò lo re Carlo del proverbio del comune popolo, che dice: “Se t’è detto ‘Tu hai meno il naso’, ponviti la mano”; anzi si diede a non calere, e non si mise a sentire i trattati e tradimenti che si faceano in Cicilia per messer Gianni di Procita, e per gli altri baroni ciciliani; ma cui Idio vuole giudicare, è apparecchiato chi fa tosto l’esecuzione» (Porta 1990-1991, I 509). 43. 2. Diversa la versione di Reb: Et lu re di Aragona li donau <conviatu>, dichendu ch(i) secretamenti fachissiru lu factu, azò ki lu loru intendimentu vegna factu. 4. Ruggeri di Lauria, il cui padre era morto nella battaglia di Benevento e la cui madre era stata nutrice di Costanza, era venuto fanciullo alla corte di Aragona e qui si era distinto in fatti d’arme (Amari I, 145; Cartellieri 1904, 24). Solo nel 1283 egli verrà nominato ammiraglio della corona di Aragona e Sicilia. — Per l’integrazione cfr. Tes e Reb et esti lu plui grandi... Il tipo inodiare per ‘odiare’ è comune in antico (cfr. B s.v.). 5. Il sintagma bel fare ‘buona occasione, circostanza propizia’ è un hapax nel corpus TLIO, cfr. però il tipo dialettale centro-sett. bello ‘occasione propizia’ in LEI (5, 992). — La notizia sulla posizione di Carlo è corretta: il re era ancora a Orvieto, e ripartirà per Napoli solo il 20 gennaio (Minieri Riccio 1872, 17). Il principe di Salerno (futuro Carlo II) era in Provenza sin dal 1279.


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44. 1. Venne... era ‘accadde che... era’: per questo modulo giustappositivo di matrice biblica vd. Barbato (2009, 192). Per Risorresso (Risurrexi) ‘Resurrezione’ cfr. B s.v. Resurrèssi. — Contro il secundo dì della Pasqua ‘lunedì’, Reb ha lu martidii di la Pascua. In effetti le cronache si dividono tra il lunedì 30 e il martedì 31 marzo (Amari I, 178 n 4; Cartellieri 1904, 208ss.), ma la data esatta è probabilmente la seconda, che è anche in Desclot, Nicola Speciale e nel Chronicon Siculum. Il fatto che Reb parli di aprile anziché di marzo si spiega secondo Amari (II, 202) con la circostanza che la sollevazione «si riseppe e divampò nel resto dell’isola nel mese d’aprile»; secondo Sicardi (1917, 19 n.) invece, «stando all’orario della Chiesa, pel quale i vespri aprono la solennità del giorno seguente, sparirebbe ogni contraddizione, potendosi contare quel giorno come primo del mese di aprile». 2. Sebbene con alcune differenze, tutti i cronisti citano l’oltraggio a una donna come causa scatenante della rivolta (cfr. Amari I, 179s.; Runcimann 1958, cap. XIII). La versione di Lib rispecchia in maniera deformante quella delle cronache latine siciliane, ma anche di Saba Malaspina e di Muntaner (Amari II, 201; Cingolani 2006, 376s.), secondo cui i francesi al fine di toccare le donne fingono di perquisirle. Significative differenze presenta qui anche Reb: Dundi in quillu jo(r)nu p(re)dictu si soli fari una gran festa fora di la chitati di Pale(r)mu, in unu locu lu quali si chama Sanctu Spiritu. Dundi unu franchiscu sì prisi una fi(m)min[a] toccandula cum li manu disonestame(n)ti, comu jà eranu usati di fari. 3. In Reb si tace l’episodio del fante e l’esito negativo per i palermitani della prima scaramuccia. Sebbene la lezione di Tes (quella donna) sembri preferibile, conserviamo la fante di Leg, perché il sostantivo poteva valere genericamente ‘donna, ragazza’ (B § 2). 4. Cfr. Dante, Par. VIII 73-75 «se mala segnoria, che sempre accora / li popoli suggetti, non avesse / mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”». Muntaner (cap. 93) riproduce approssimativamente la veste linguistica del grido: muiren li francesqui! (Soldevila 1971, 704). 5. Il Giustiziario Jean de Saint-Rémy, costretto a fuggire, si rifugiò nel castello di Vicari dove fu assediato dai palermitani. La sua fine è narrata in maniera più benevola per i siciliani da Bartolomeo di Neocastro e da Nicola Speciale (cfr. Amari I, 184; Runciman 1958, 281). Cfr. invece Salimbene: «Quidam vero iustitiarius Gallicus, dum vellet exire ad sedandum populum, rogatus fuit a quodam sapiente viro, ne se immitteret in populum, sed fugeret per fenestram et salvaret vitam suam. Et fecit sic, vadens ad quoddam castrum, ut tueretur ibi. Et iverunt post ipsum Panormitani et ceperunt castrum et iustitiarium ad plateam civitatis ducentes diviserunt membratim» (Scalia 1966, 744). 6. Per l’aggiunta di Tes (menestrati) cfr. Fra Giordano «Vederebbe ivi come gli uomini sono feriti e minestrati» ‘ridotti a mal partito’ (B ministrare, § 12). 7. Si potrebbe leggere in noi seculari di Lib una dichiarazione di apparte-


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nenza al laicato, ma probabilmente si tratta di un banale errore per cui un oi sormontato dal titulus – ossia omini, cfr. Tes i seculari ho(min)i – è stato letto come noi. 8. Conserviamo prudenzialmente di sano, che, privo di riscontri, sarà probabilmente un errore: il confronto con gli altri testi (cfr. anche Reb appiru vidutu tuctu quistu factu) potrebbe far pensare a un originario «videro queste cose e così andato il fatto». Per penare ‘indugiare’ cfr. Cappi (2000, 275). — A Messina, dove i francesi avevano una forte guarnigione ed era attraccata la flotta angioina, la rivolta scoppierà solo il 28 aprile. Villani (VIII 61) conferma il numero di morti dato da Lib e Leg. Secondo Bartolomeo di Neocastro i morti a Palermo furono duemila (Amari I, 181; Runciman 1958, 281). 45. 1. Probabilmente Carlo ricevé la notizia della ribellione palermitana il 7 o l’8 aprile a Napoli (Amari I, 199 e n.). Villani aggiunge alla versione dei testi paralleli la preghiera di Carlo a Dio che lo facesse calare a petitti passi (Porta 1990-1991, I 512). 46. 5. camera è usato nel senso di ‘possesso, bene posseduto’ registrato dal TLIO s.v., § 1.6.1 (ma l’esempio di Leg è listato erroneamente in 1.5). Per l’archetipo dei testi continentali si ricostruisce una lezione «la terra che riteniamo nostro possesso speciale». Ma altrettanto accettabile (e più esplicita) è la lezione di Reb: la t(er)ra n(ost)ra ch(i) teninu, ch(i) esti speciali ca(m)mara nostra, ch(i) ti la rendanu. 47. 2. Iacopo Savelli, dal 1261 cardinale diacono di S. Maria in Cosmedin, poi papa col nome di Onorio IV (1285-1287). 3. In luogo di «per me voglio», Reb ha p(ri)mu voglu: difficile dire quale fosse la lezione originaria. 4. Leg presenta una lacuna dovuta a saut du même au même. — Gherardo di Parma è nominato il 5 giugno legato in Sicilia con l’ordine di ottenere la resa incondizionata (Runciman 1958, 290). Il 7 maggio era stata già emessa la bolla di scomunica dei siciliani (ibid., 289). 48. 1. Il 9 maggio Carlo scrive una lettera a Filippo annunziandogli che «l’ile de Sezile est revelee» e chiedendogli di mandare il nipote Roberto, conte d’Artois, con cinquecento uomini d’arme (Amari II, doc. VIII). — Per messaggi ‘messaggeri’ cfr. B s.v.


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2. Ancora un saut du même au même in Leg. 3. cinquanta: cfr. 38.2. 4. Potrebbe essere una aggiunta indipendente di Tes e Lib «e alla Chiesa di Roma», cfr. infatti Reb si ip(s)u à factu quistu tradimentu a la casa di Franza. 5. Il conte di Lanzone è Pietro d’Alençon, fratello di Filippo, che insieme a Roberto d’Artois è citato in un diploma del 16 agosto come facente parte dei rinforzi (Amari I, 215 e n.). Accanto a loro, Léonard (1954, 150) menziona anche i conti di Dammartin (Donmartino) e di Boulogne. 49. 1. La costruzione giustappositiva (che Leg presenta anche a 44.1) è confermata dall’accordo di Leg, Tes e Reb. Brandizia (o meglio la variante di Villani Brandizio) è forma antica per ‘Brindisi’ (cfr. Capacci 1994, s.v.). Per oste ‘esercito (in campo)’, anche a 54.4, 55.3, cfr. Cappi (2000, 268). — La lezione «si mosse... per mare e per terra» costituisce una banalizzazione dei testi continentali. La lezione di Reb lu re Ca(r)lu si pa(r)tiu di Brandizi cum grandi hosti di mari, et p(er) te(r)ra vi(n)niru... è confermata da Villani VIII 65: «Lo re Carlo ordinata sua oste a Napoli per andare in Cicilia, tutta sua cavalleria e gente a piè mandò per terra in Calavra alla Catona incontra a Messina, il Faro in mezzo, e lo re n’andò a Brandizio, ov’era in concio il suo navilio» (Porta 1990-1991, I 514s.). 2. Carlo sbarca, probabilmente il 25 luglio, a Santa Maria di Roccamadore, sede di un’abbazia a quattro miglia a sud di Messina, e si accampa nel borgo di Santa Croce abbandonato dai messinesi (Amari I, 208s.). — Rocca Maiore è errore condiviso anche da Villani VIII 65 (Porta 19901991, I 514s.). Reb ristabilisce la dizione giusta Sancta Maria d<i> Rocca Amaduri. 3. Per servire ‘meritare’ cfr. B § 18 e vedi anche prov. servir ‘id.’ (FEW 11, 573). Lib ha il prefisso intensivo per- (Rohlfs § 1022). — legitimo signore: l’accordo di Lib e Tes mostra che Leg ha modificato parzialmente un sintagma singolare (la modifica è totale in Reb sì comu legitimi signuri). L’uso del singolare in frase comparativa, nonostante il plurale della principale, ritorna in 51.3. 4. mai non volse: conservazione della forma arcaica della congiunzione (Rohlfs § 765) o contrazione di ma ei (cfr. Tes)? 5. Villani VIII 65 rincara la dose: «onde lo re fallò troppo apo Idio, e in suo danno; ma a cui Iddio vuole male gli toglie il senno» (Porta 1990-1991, I 516). 6. La lezione contenzione ‘dibattito’ (cfr. TLIO, s.v. contenzione, in part. § 5.4, essere/stare in c.) è probabilmente quella presente nell’archetipo dei testi continentali: condizione di Tes e Lib può ben essere una banalizzazione poligenetica; Reb ha consiglu, Villani ha contesa. Quanto a «difendersi o perire», si tratta di un’innovazione dei testi continentali, in quanto la lezione di Reb et stectiru quat(r)u jo(r)ni in consiglu, oy difendirisi


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oy rendirisi p(er) morti appare confermata da Villani VIII 65: «e per IIII dì istettono in contesa tra·lloro d’arrendersi o di difendersi con grande paura» (Porta 1990-1991, I 516). 50. 1. Bartolomeo di Neocastro e Nicola Speciale collocano l’episodio prima dell’inizio dell’assedio, il primo nomina tra i protagonisti il conte Ugo di Brienne (cfr. conte di Brenna), Pietro Ruffo conte di Catanzaro, Erberto d’Orléans e Bertrando d’Accursio (Amari I, 206; Cartellieri 1904, 174 e n.); Saba Malaspina IX 5 lo colloca invece dopo l’inizio dell’assedio e nomina Guido di Montfort (conte di Monforte), Guillaume l’Étendart e Pietro Ruffo (Koller/Nitschke 1999, 313). 2. vedendoli usciro: probabilmente si tratta di un errore comune dei testi continentali, cfr. Reb et quandu li francisch(i) li vidiru, sì <li> fireru adossu. La lezione si spiega forse come eco della frase precedente (quelli della terra usciro) o come modificazione di un *vedendoli uscire. 5. Nei testi continentali questo paragrafo esprime la condizione in cui si verificherebbe la condanna della Chiesa, in Reb il contenuto della minaccia: si p(er) via di pachi <non> donassiru la te(r)ra et po(r)tassiru li chavi a lu re Carlu, sì comu e lligittimu signuri, ch(i) li potissi prindiri per via di mo(r)ti. Entrambe le versioni sono accettabili perché processo può significare (come altrove nel testo) ‘documento, incartamento’, ma anche ‘atto di accusa’ (cfr. B § 14). 51. 1. Per il giudizio di Amari su questa lettera, cfr. Introduzione, § 6. — Contro crudeli Reb ha judei. La lezione dei testi continentali sembrerebbe una banalizzazione (per giudeo ‘traditore’ in it.a. cfr. B § 3), ma si potrebbe anche vedere nel testo siciliano un riflesso automatico della famigerata formula liturgica «Oremus et pro perfidis Judaeis». Cfr. infatti Villani VIII 66: «A’ perfidi e crudeli dell’isola di Cicilia» (Porta 19901991, I 517). — Nella formula di saluto conserviamo la lezione di Leg, sebbene i testi continentali lascino ricostruire un archetipo corrotto *di quelle salute che ssiete degni †salute†. La lezione originaria doveva esser qualcosa come «di quelle salute che siete degni saluta», ossia ‘manda quei saluti di cui siete degni’. Per il raro uso di salutare con l’oggetto interno cfr. Dante, Vita Nuova «Quando questa gentilissima salute salutava» (B § 1). Per salute ‘saluti’ cfr. B § 11. — La lezione «corrompitori di pace e di cristianità e ucciditori...» costituisce un’innovazione dei testi continentali: la lezione di Reb sì comu e co(r)ru(m)pituri di pachi, di cristiani alchidituri et isbandituri di lu sangu di li n(ost)ri fidili, del resto difficilior per la forma chiastica, è confermata da Villani VIII 66: «siccome corrompitori di pace, e de’ Cristiani ucciditori, e spargitori del sangue de’ nostri fratelli» (Porta 1990-1991, I 517). Quanto a fratelli, si tratterà


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di un’innovazione poligenetica di Leg e Villani (gli altri testi mostrano che la lezione originaria era fedeli). 2. L’epiteto di campione (di Dio, della Chiesa) è frequentemente riferito a Carlo d’Angiò, cfr. TLIO s.v., § 2.4.2. Conserviamo la forma campio che potrebbe essere un riflesso della forma mediolatina (cfr. REW 4671) e che ricorre altrove (17.3) anche in Tes. 3. lui e noi obbidere: la lezione di Leg è condivisa da Villani VIII 66: «dobbiate lui e noi ubbidire, siccome vostro legittimo signore» (Porta 19901991, I 517). Per la costruzione vd. sopra, 49.3. — Il sintagma divina ragione dei testi continentali non sembra attestato ma potrebbe valere ‘diritto/giustizia divina’ (cfr. B § 25). In luogo di «secondo l’uso della divina ragione...», Reb ha e ssupra lu so undi avi raxuni, annu(n)ciamuvi <justicia spirituali> et te(m)porali. Cfr. la parafrasi di Sicardi (1917, LVII): ‘sopra il suo, su cui ha diritto, vi annunciamo di procedere contro di voi per via di giustizia spirituale e temporale’. Per ragione ‘diritto al possesso di un bene’ > ‘bene posseduto’ cfr. B § 23. Secondo Sicardi lu so > l’uso si spiegherebbe come un errore di traduzione dei testi continentali, ma è ben possibile anche il contrario. 52. 1-. L’elezione dei trenta deputati e la trattativa col legato è riferita con alcune differenze da varie cronache (cfr. Amari I, 213s.). 3. Per l’integrazione cfr. anche Reb Nui volimu quisti pacti di lu re Carlu. — Non è chiaro se la forma di Lib si identifichi col tecnicismo giuridico fodro ‘diritto di foraggio spettante al sovrano e ai pubblici ufficiali di passaggio’, dal long. FÒDR (DEI 1674). Cfr. anche Bonvesin de pagar fodri e taie (corpus TLIO). — La richiesta dei messinesi di essere governati da amministratori locali è anche in Saba Malaspina IX 3: «Statuat autem rex aliquem virum Latinum, qui vice regia nos regat et foveat et iura regalia exigat et exquirat» (Koller/Nitschke 1999, 310). Per il mito del “buon re Guglielmo” nella storiografia e nella letteratura coeva cfr. Carozzi 1998 e soprattutto Zabbia (2005, 264ss.). Pur essendo nato nella cancelleria di Federico II, il mito era presto stato adottato dalla curia romana e già all’altezza di Manfredi «era diventato uno strumento esclusivo nelle mani dei suoi avversari» (p. 269-270). 4. che’ nostri fecero...: si conserva la variante di Leg e Lib, per quanto la lezione di Tes sia confermata da Reb la offisa ch(i) nui avimu facta et li nostri figloli a li soi cavaleri et soy genti. 6. Per l’integrazione cfr. anche Reb ch(i) divissi prindiri quisti pacti et p(er)donarili, actali ch(i) Deu p(er)donassi ad ip(s)u. 53. 1. Alla luce di Reb Ip(s)i no(n) mi liviranu la mia sig(nu)ria, la lezione dei testi continentali «mi vogliono togliere la signoria» sembrerebbe una


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banalizzazione: *lìverano > leveranno > toglieranno (cfr. B s.v. liverare, § 2 ‘dare, abbandonare, consegnare’). Ma cfr. Villani VIII 66: «voglionne torre la signoria» (Porta 1990-1991, I 518). 2. Diversa la lezione di Reb: Dichitili ki eu no(n) indi voglu fari nenti; ma p[oi] ch(i) plachi a lu legatu, eu a lloru p(er)dugnu la mo(r)ti, salvu ch(i) eu voglu ch(i) ip(s)i stayanu a (m)meu putiri e ffari di loru tucta mia volu(n)tati. Ma stayanu potrebbe nascere da un travisamento di stadichi ‘ostaggi’ (vedi Introduzione, § 10). 3. In luogo di «tenendo da me signoria», Reb ha dimandu a lloru quilla signuria..., che è lezione inferiore. Per colta ‘tassa ordinaria sui possedimenti e talvolta anche sulla persona’ cfr. TLIO s.v. — Villani aggiunge ulteriori considerazioni sull’errore e l’accecamento di Carlo: «La qual risposta fu molto biasimata da’ savi; che se·llo re non gli avea voluti prendere a’ primi patti, quando si puose all’asedio, ch’erano per lui più larghi e onorevoli, a’ secondi fece fallo del doppio, e non considerò gli avenimenti e casi fortunosi ch’agli assedi possono avvenire [...]. Ma cui vince il peccato universale della superbia e dell’ira in nullo caso può prendere buono consiglio» (Porta 1990-1991, I 518). 4. Per l’integrazione cfr. Tes e Reb Et lu populu rispusi tucti ad una vuchi. Vd. anche Villani «onde tutti come disperati gridando» (Porta 19901991, I 518). 5. Rispetto a «prigione», p(er)dicioni di Reb sembra un errore. 54. 1. difeci per gictare ‘macchine da getto’: cfr. edificio ‘macchina da guerra, in part. per scagliare pietre’ (TLIO s.v., § 2). — Alla fine del paragrafo Reb aggiunge Et lu re Carlu stecti a quillu consiglu unu jo(r)nu et una nocti. 2. Sulla volontà di Carlo di non distruggere Messina cfr. quanto detto nell’Introduzione, § 11. 3. Il verbo asseccare ‘ridurre allo stremo’ è attestato in altri testi tosc.a. (cfr. TLIO s.v., § 2); per vidanda ‘viveri’ cfr. Nota linguistica, § 1.5. Come risulta da B, villa ‘città’ è francesismo non comunissimo, attestato per lo più in rima (Maestro Torrigiano, Dante) o in testi di origine francese (Fatti di Cesare). Il mangano è una ‘macchina da getto impiegata negli assedi’ (B). Tes e Lib oppongono spaurare a impaurire di Leg; effettivamente il primo verbo è più frequente in antico come transitivo, il secondo come intransitivo (B s.vv.). 4. Una lunga e retorica descrizione della costruzione del muro con la partecipazione dell’intera popolazione messinese si trova già in Saba Malaspina IX 4 (Koller/Nitschke 1999, 312s.). A proposito delle donne di Messina, Villani riporta il testo di una “canzonetta” coniata per l’occasione: «Deh, com’egli è gran pietade / Delle donne di Messina, / Veggendole scapigliate / Portando pietre e calcina. / Dio gli dea briga e travaglia, / A chi Messina vuol guastare» (Porta 1990-1991, I 520). Anche Muntaner (cap. 57) dice che gli almogàveri entrarono a Messina


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«per un lloc qui ha nom la Camperinya, on les dones de Messina feïen un mur qui encara hi és» (Soldevila 1971, 716 e n.). 55. 1. Pietro parte poco dopo il 3 giugno verso l’Africa e raggiunge il 28 Collo o Alcoll, oggi in Algeria (Cartellieri 1904, 191-193). La forma con inserto nasale Ancolle dei testi continentali trova riscontro nelle più antiche carte nautiche italiane (ancullu, anculo, ancollo: Capacci 1994, s.v. Collo). La forma di Reb Alcoy è più vicina alla catalana Alcoyl. 2. andarno... terra: leggi ‘per pregarlo di venire a prendere possesso della terra’. — Per una dettagliata analisi di come le diverse cronache latine e volgari narrano l’ambasceria dei siciliani a Pietro, cfr. Cingolani (2006, 389ss.). Nel nostro testo non si fa menzione dell’ambasciata di Pietro al papa, che si intreccia con questa in Malaspina, Desclot e Muntaner, giustificando in qualche modo la condotta del re aragonese. Secondo queste cronache, infatti, Pietro si decide ad accedere alle richieste dei siciliani solo dopo il rifiuto di Martino di avallare la crociata africana. 3. Si potrebbe anche pensare a un dialogo in tre battute, attibuendo a G. «Il re Carlo è ad oste a Messina et àe molto distrecta la terra». 4. Come appare dal corpus TLIO, dota per ‘dote’ (Tes) è metaplasmo diffuso in Toscana. 56. 1. La lezione «desideriamo» è confermata da Reb (disiyamu) e mostra dunque un errore (o un’imprecisione) che risale all’inizio della tradizione. 57. 1. Cfr. le parole di Pietro nella presunta prima redazione di Desclot (cap. 90): «Anats a la bona hora, que per cert hivàs me haurets» (Cingolani 2006, 404). 58. 1. La flotta aragonese sbarca a Trapani il 31 agosto (Cartellieri 1904, 201). I testi continentali presentano qui una lacuna, cfr. Reb Incontinenti lu re di Aragona si pa(r)tiu d’Alcoy et vi(n)nisindi in Sichilia. Et incontinenti sì fu davanti di misser Palmeri Abati et li alt(r)i baruni di Sichilia. 2. io pensarò: come mostrano gli altri testi (cfr. anche Reb pinsirimu) la lezione originaria è «penseremo». 59. 1. Pietro arriva a Palermo il 4 settembre (Cartellieri 1904, 201).


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2. Cfr. Muntaner (cap. 60): «E així anà-se’n a Palerm, e bé quatre llegües eixiren-li totes les gents; e qui anc veé gran alegre e gran festa ben pogra dir que aquella fo la pus alegre e major que jamés se feés» (Soldevila 1971, 715). — La redazione più estesa di Tes è confermata da Reb Di ki lu ascuntraru ben sei migla cum grandi gazara do(n)ni e du(n)zelli, homini e ffi(m)mini, conti e baruni e cavaleri <e tucta altra genti di la chitati>. 3. dare loro la corona: nasce forse da una errata interpretazione di dare allo re (cfr. Tes) o dargli (cfr. oltre a Lib, Reb darili coruna). — Che l’arcivescovo di Monreale avesse la corona è un fatto incongruo, per giustificare il quale Reb forse aggiunge ch(i) in Pale(r)mu avia statu mo(r)tu lu loru archiep(iscup)u (cfr. Hartwig 1870, 244). Villani VIII 69 invece aggiunge «ma coronollo il vescovo di Cefalù d’una picciola terra di Cicilia, che’era rubello del re Carlo» (Porta 1990-1991, I 522): evidentemente «il cronista fiorentino pensò di correggere il testo ch’egli seguiva», attribuendo a Pietro ciò che «per vero avvenne a Giacomo figliuolo di lui (1286)» (Amari II, 200). 60. 1. trattato, tractatus è termine impiegato spesso dai cronisti per designare la congiura (Sicardi 1917, XXII e 42). Per giustificare la variante di Tes si può invocare tratto ‘colpo felicemente riuscito e memorabile’ (cfr. B § 8: ma normalmente nel sintagma bel t.). 2. Sull’entità delle forze di Carlo cfr. Amari (I, 204 e n.). La delusione dei siciliani dinanzi alle poche truppe di Pietro è anche in Desclot, cap. 91 (Soldevila 1971, 478 e n.; Cingolani 2006, 412 e 415). 61. 1. da che: originariamente udendo che (cfr., oltre a Tes e Lib, Reb audendu ch(i) lu re Carlu...). In seguito Reb, che omette l’intenzione di fuggire di Pietro, dà un testo incomprensibile: et incontine(n)ti ma(n)dau cu(r)reri per l’isula di Sichilia, ch(i) †...† si re Carlu vinissi inver Palermu (Sicardi integra chi [lu avvisassiru] si...). 2. La saettia è una ‘galea sottile e velocissima’, cfr. già lat.mediev.gen. sagittea (XIII sec.), lat.mediev.sic. sagittia (Palermo 1176): DEI 3308. 62. 2. disse... milglia: Reb ha invece dissi: «A (m)mi pari ch(i) vui, signuri re, cavalcati p(er)fina a (m)Milazu, lu quali esti app(re)su Missina...». Secondo Di Giovanni (1882, 83) e Sicardi si tratterebbe di una incomprensione dei testi continentali: Milazzo > milia. Ma la lezione è confermata da Villani VIII 70: «e pareali che ’l re Piero con tutta sua gente cavalcasse verso Messina pressovi a L miglia» (Porta 1990-1991, I 523). 3. Come mostra il parziale accordo con Lib, Tes conserva la lezione origi-


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naria muccia muccia (cfr. B mucciare ‘andarsene in gran fretta, scappare’) testimoniando così un composto reduplicativo a base imperativale non altrimenti documentato (neanche nel corpus TLIO). Cfr. l’analoga espressione di Villani VIII 70: «che·llo re Carlo nonn-era garzone che·ssi movesse per lieva lieva» (Porta 1990-1991, I 523). Per il significato che si cela in questo scambio di battute vedi Introduzione, § 9. 4. L’esclamazione Dio con bene è documentata da B s.v. Dio, § 7 solo nel sec. XVI (1550, Grazzini), ma è già attestata, in analoghi giri, negli Statuti sen. del 1309-1310 (corpus TLIO), es. Et se la concordia avere potranno, Dio con bene, et se non... 5. Il metaplastico Fare ‘stretto di Messina’ (anche oltre, 67.5, 67.6, 71.2), diffuso in tosc.a. (corpus TLIO), «sarà adattamento del francese Far, dato che lo si ricorda nella narrazione della guerra del Vespro» (Ageno 1954, 319; e cfr. TL 3, 1630). Per trite ‘navi da carico’ cfr. DEI 3721 e 3907: it.a. tarida, trita, lat.mediev. tarita (Venezia 1281), trita (Napoli 1269), dall’ar. .tarïda (donde anche prov., cat. tarida, fr.a. taride). 63. 1. L’ambasciata di Pietro a Carlo avviene il 16 settembre. Secondo i diplomi originali (Ricordi 1882, II num. 2, 3 e 4) i messaggeri furono Ruis Eiximenis de Luna e Pere de Queralt. Desclot (cap. 92) aggiunge Guillem Eimerich, giudice di Barcellona; Muntaner (cap. 61) parla di «quatre rics-hòmens» (Amari I, 246 e n.; Soldevila 1971, 479 e n. e 716 e n.). Il nome Namigo (Reb Almingu) sembrerebbe riflettere un cat. En Amich, N’Amich o potrebbe essere una deformazione di Eimerich. 64. 1. Su questa lettera e la successiva vedi Introduzione, § 6. Si noti come Pietro avochi a sé osatamente il titolo di re di Sicilia. — L’omissione di Leg si deve a saut du même au même. Per avvenimento ‘invasione’ cfr. TLIO s.v., § 1.7. 2. Difficile dire se la lezione originale sia «di presente» o presenti (Reb). 65. 1. alla sua lectera: l’accordo di Tes e Lib imporrebbe «della sua lettera». 2. Per Guido di Monforte cfr. n. a 50.1. 3. In luogo di «Bretagna», Reb ha <Brinda> (il conte di Brienne era stato menzionato insieme a quello di Monforte a 50.1), ma la lezione dei testi continentali è confermata da Villani «conte di Brettagna» (Porta 19901991, I 523). 4. e ccome facto v’àe grande tradimento: sembra un’aggiunta di Leg. — no lglile avea servuto ‘non lo aveva meritato nei suoi confronti’, ‘non aveva meritato che lo facesse’: quest’uso di servire, non documentato in B,


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deve originare da una contaminazione tra servire qc. a q. e servire ‘meritare’ (cfr. sopra, 49.3); del resto la costruzione è attestata per il derivato deservire (vd. oltre, 69.1). — pensato malvagiamente questo tractato: la concordanza, seppur parziale, di Lib e Tes (cfr. anche Reb anti l’avia falsamenti comu e t(r)ay[di]turi) permette di ricostruire la lezione *levato trattatamente di suo tradimento, dove levato varrà ‘portato via’ (B § 38) e trattatamente ‘con l’inganno’: cfr. Giovanni da Vignano «questo malfactore pensadamente e tractadamente...» (corpus TLIO). 5. Si conserva la forma ricriduto ‘che si arrende, che desiste’ (B ricreduto, § 2), sebbene Lib e Tes attestino il tipo ricredente più vicino all’etimo galloromanzo (B). 66. 1. Carlo ribadisce orgogliosamente la titolazione ufficiale. Il titolo di re di Gerusalemme, già appartenuto a Federico II, era stato acquistato nel 1276 o 1277; dal matrimonio con Beatrice, Carlo aveva ricevuto le contee di Provenza e Forcalquier. — Per il “genitivo” apreposizionale la Dio gratia ‘la grazia di Dio’ cfr. ora Rapisarda 2008 (il passo di Villani cit. a p. 363 dipende appunto dal nostro). 2. Alla curiosa lezione ‘salire’ (un salire ‘invadere’ non è documentato in B), cui è stata poi aggiunta la glossa ‘venire’, corrisponde in Reb un ben più naturale intrari. 4. venire è un’aggiunta di Leg (cfr. Tes e Lib). 67. 2. lengni da misteri ‘navi da carico’: cfr. B s.v. mestiere, § 21, che cita il passo corrispondente di Villani. — il facto tuo ‘il tuo interesse’ (B § 3). Reb ha pinzati om(n)i so da(m)pnu ‘ogni suo danno’, lezione pure accettabile. 5. Questo episodio è ritenuto veritiero da Amari (I, 248s.) e da Hartwig (1870, 262). Per Enrico (Arrighino) de’ Mari, ammiraglio di Carlo, cfr. Hartwig (1870, 262). La forma Aringhino, accanto a Arrichino, è anche in altri testi tosc. (cfr. corpus TLIO). — Incontanente... Karlo: i testi continentali ampliano qui con un’eco del passo precedente. Reb ha et incontine(n)ti si pa(r)tiu di Palermu et vi(n)ni all’osti et dissi a lu sou a(m)miragla tucta la vinuta <di l’armata> di misser Rugeri di Lauria, lezione confermata da Villani VIII 74: «e incontanente con una saettia armata venne a Messina, e anunziò al detto amiraglio la venuta dell’armata del re d’Araona» (Porta 1990-1991, I 526). 6. saettia è errore per spia, cfr. Reb spiya. 7. A «legni da mestiere» corrisponde in Reb ligni disarmati. Probabilmente si tratta di diffrazione di una dittologia originaria, cfr. Villani VIII 74: «io nonn-ho galee armate da battaglia, ma legni di mestieri, e disarmati» (Porta 1990-1991, I 527). — «di qui a tre giorni»: la stessa indicazione temporale si trova in Saba Malaspina (cfr. Introduzione, § 11).


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8. Per la possibile fonte di questo passaggio cfr. Introduzione, § 11. — «le piagge romperanno i legni»: si tratta probabilmente di una banalizzazione dei testi continentali, cfr. Reb Et si p(er) aventura quistu no vi plachi, li ligna rumpiranu. I testi continentali non hanno inteso l’uso difficilior di rompere ‘fare naufragio, colare a picco’ (cfr. B §§ 57-58), raro sia dal lato sintattico (intransitivo invece che riflessivo) che semantico (tecnicismo nautico). Cfr. anche Villani VIII 527: «e in Calavra nonn-ha porti vernerecci, tutti i legni con tua gente potrebbono perire a le piagge, s’avessono uno tempo contrario» (Porta 1990-1991, I 527). — L’aggettivo vernatoio, derivato da vernare ‘passare l’inverno’ < HIBERNARE (REW 4124), è un hapax nel corpus TLIO ed è assente in B; Villani (ibid.) ha porti vernerecci. Il sostantivo vernadore ‘scalo adatto ad accogliere le navi nel periodo invernale’ è invece attestato già alla fine del Duecento nel Compasso de navegare (Debanne 2011, s.v.). 69. 1. Per deservire ‘meritare’ cfr. TLIO § 2. Si tratta certo di un francesismo, cfr. fr.a. deservir ‘meritare’ (FEW 3, 52), da cui anche l’ingl. deserve ‘id.’. La costruzione, comune anche al semplice servire (vedi sopra, § 65.4), è attestata nella nap. Destr. de Troya: «et illo no le llo avea deservuto» (TLIO s.v.). — Per offendere con l’oggetto indiretto, cfr. Ageno (1964, 49-50). 2. Il ritiro di Carlo avviene probabilmente il 26 settembre (Amari I, 251 e n.). 70. 1. la sua donna, cfr. Saba Malaspina IX 17: «premittit reginam in Calabriam cum omnibus suis caris» (Koller/Nitschke 1999, 326). 2. Non c’è traccia di questo episodio negli altri cronisti (Amari I, 252 e n.). — (an)date alla terra: banalizzazione dei testi continentali. La lezione di Reb (sì <curririti> infra loru, et firendu intrati in Missina) è confermata da Villani VIII 75: «venissono loro adosso e entrassono nella terra» (Porta 1990-1991, I 528). 3. E quel die mossero: probabile aggiunta di Leg. 71. 2. Per gli scontri navali dell’11 e del 14 ottobre con perdite degli angioini (Saba parla di diciassette galee catturate, Desclot di ventidue, di cui due pisane) cfr. Amari (I, 259), Runciman (1958, 302), Cingolani (2006, 434ss.). — In luogo di «gran gioia e gran festa», Reb ha fache(n)du gran gazara, lezione confermata da Villani VIII 75: «menando grande gazzarra e trionfo» (Porta 1990-1991, I 528). — In corrispondenza della crux Reb ha cridendu putiri prindiri lu re Carlu in mari, che secondo Sicardi


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(1917, LXXXV) è la lezione giusta, ma che potrebbe anche essere un appianamento di un errore di archetipo. Di un tentativo di catturare Carlo, ma in un momento e in circostanze diverse, parla Pietro in una lettera del 1284 (cfr. Cingolani 2006, 471).



NOTA AI TESTI 1. IL CODICE ESTENSE ms. testo

Modena, Biblioteca Estense, it. 197/a.G.6.5 (olim VII.D.39)1. Leggenda di Gianni di Procida, lucch. > camp., 1325ca.

1.1. Dati esterni Pergamenaceo, 290 × 220. Carte II + 55. Specchio di scrittura: 210 × 130; rigatura a colore; scrittura su due colonne di 38 righe. Le cc. 13, 38 e 45 sono state amputate; come si vedrà, inoltre, intere carte sono state strappate. La c. 20v è fortemente ossidata. La tinta è a volte sbiadita. Numerazione moderna a matita in basso a sinistra. Nelle cc. 1016 è visibile, in alto a sinistra, anche una numerazione antica a penna. Rilegatura in pelle rossiccia; sul dorso, in oro, «LEGGENDA / DI M. / GIANNI / DI / PROCIDA / ECC.» e l’aquila estense, «tipica dell’epoca in cui Girolamo Tiraboschi fu bibliotecario ducale» (Di Pietro, p. 220). A c. Ir, di mano settecentesca, «Giovan di Procida / Leggenda». 1.2. Scrittura Il manoscritto è in una gotica rotonda della prima metà del sec. XIV (Di Pietro). Secondo Sandro Bertelli (comunicazione personale del 13.1.2009) si tratta probabilmente dell’opera di un copista professionale che scrive non molto dopo il 1325.

1

La segnatura antica «venne sostituita con l’attuale alla fine del secolo scorso, in occasione del trasferimento della biblioteca nel Palazzo dei Musei» (Di Pietro, p. 220).


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L’ipotesi di Scolari (1989) che il testo c) sia di mano diversa dai testi a-b) sembra da escludere, anche alla luce del fatto che i testi presentano caratteristiche linguistiche analoghe (vd. Nota linguistica, § 1.1). Il primo testo presenta a c. 1r una rubrica e una iniziale miniata, poi iniziali alternatamente blu e rosse. Nel secondo testo i titoli dei capitoli sono rubricati, le iniziali in blu; il testo è interrotto da segni di paragrafo alternatamente rossi e blu. Richiami della stessa mano alle cc. 8, 16, 26, 33, 41, 49. 1.3. Decorazione Miniature alle cc. 11r, 16v, 31r, 32v, 35v, 41r, 43r. Riportiamo la breve descrizione di Fava e Selmi: «Miniatura napoletana. – È del sec. XIV senza caratteri stilistici molto spiccati, di forme semplificate rapidamente condotte e colorite leggermente con tinte sorde». Degenhart e Schmitt parlano genericamente di un maestro italiano della metà del Trecento. Secondo Mariani Canova (p. 223), la «questione può ancora rimanere aperta, per la difficoltà di giudicare prodotti ibridi come questo, ma in ogni caso ci si trova di di fronte al più antico esemplare figurato non solo del trattato di Jacopo da Cessole, ma di tutta la trattatistica italiana sugli scacchi. Il maestro a sua volta benché non francese, appare strettamente legato alla cultura avignonese. In particolare potrebbe essere intuibile un rapporto con la prima mano che lavora nell’esemplare napoletano della Chronologia magna oggi a Parigi (Degenhard, Schmitt, 1980, 3, tav. 143)». 1.4. Contiene a) Leggenda di Messer Gianni di Procida: comincia a c. 1r «Qui comincia la legenda di mess(er) Gianni di P(ro)cida», si interrompe a c. 9v per ricominciare a c. 17r, termina a c. 20r «Dio padre onnipotente sì p(er)dona loro et noi quando a cciò verremo. Am(en). Am(en). Am(en)». Il testo è completo. b) Avvertimenti di maritaggio: comincia a c. 20r «Karissima mia filgluola molto ti prego e commando che ctu cti debbie sofferire...», termina abruptamente alla fine della c. 20v. Il testo integrale fu edito nel 1852 da Francesco Zambrini di sul Magl. XXIII 127. Il nostro testo corrisponde alla versione ridotta priva della cornice novellistica e contenente dodici comandamenti anziché quattordici (cfr. 20r


203

NOTA AI TESTI

«che ssono XII cose p(er) li quali la buona femina è amata e pregiata...») presente in altri codici2. Esso si interrompe a metà del settimo comandamento («che tu no(n) disdiche cosa neuna che ssia di suo comandamento...»), ma originariamente doveva essere completo, dal momento che – vedi subito sotto – la carta successiva è andata perduta. c) Volgarizzamento del Gioco degli scacchi di Iacopo da Cessole: comincia acefalo a c. 10r «...sse. Taci et pensa che melglio è ad me morire innoce(n)te che finire il seççaio die p(er) colpa», si interrompe a c. 16v per riprendere a c. 21r, termina a c. 55v: «A Dio dunque ogne honore (e) tucta gloria in secula seculorum. Am(en). Am(en). Am(en)». All’inizio mancano il primo capitolo del primo trattato e buona parte del secondo, corrispondenti alle pp. 2-4 dell’ed. Marocco. Dopo la c. 21 manca la fine del capitolo sugli alfieri e l’inizio di quello sui cavalli, corrispondenti alle pp. 31-35 dell’ed. Marocco. Dopo la c. 25 manca la fine del capitolo sui cavalli e l’inizio di quello sui rocchi (le torri), corrispondenti alle pp. 47-51 dell’ed. Marocco. Dopo la c. 29 manca la fine del capitolo sulle torri e l’inizio del terzo trattato, cap. I (sui lavoratori della terra). 1.5. Sinossi Sulla base dei richiami e della fascicolazione visibile, si può ricostruire una struttura in quaderni, alterata nello stato attuale: cc.

fascicoli

testi

1-8

A

Leggenda

9

B

Leggenda

10-16

C

Gioco degli scacchi

17-20

B

Leggenda + Avvertimenti

21-26

D

Gioco degli scacchi

27-33

E

Gioco degli scacchi

34-41

F

Gioco degli scacchi

42-49

G

Gioco degli scacchi

50-55

H

Gioco degli scacchi

2 Un testo, sensibilmente diverso dal nostro, fu pubblicato da Francesco Trucchi nel 1847 senza indicare la fonte.


204

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1.6. Ricostruzione dell’assetto originario È probabile che il testo del Gioco degli scacchi (fasc. C-H), iconograficamente più prezioso, in origine aprisse il codice (cfr. Scolari 1989). Sembra provarlo anche la numerazione antica e il cattivo stato della c. 20. Si può dunque ricostruire il seguente assetto originario (tra parentesi la numerazione antica): fasc. C

fasc. D

fasc. E

-

21

27

10 (ii)

-

28

11 (iii)

22

29

12 (iiii)

23

-

13

24

30

14 (vi)

25

31

15 (vii)

-

32

16 (viii)

26

33

fasc. F

fasc. G

fasc. H

34

42

50

35

43

51

36

44

52

37

45

53

38

46

54

39

47

55

40

48

41

49

fasc. A

fasc. B

1

9

2

17

3

18

4

19

5

20

6

-

7 8


NOTA AI TESTI

205

Le lacune nel testo del Gioco sono state originate probabilmente per furto delle miniature. Nelle carte strappate dovevano essere presenti rispettivamente le miniature del cavallo, della torre e dei lavoratori della terra. Le carte amputate dovevano ospitare la regina (13), i medici (38) e i ribaldi (45). E davvero un ribaldo deve chiamarsi chi ha fatto un simile scempio del manoscritto. L’anteposizione dei fascicoli A-B può essere dovuta proprio al tentativo di nascondere le amputazioni subite dal codice, e dev’essere antica se il nostro manoscritto si identifica con quello menzionato nell’inventario della Biblioteca estense (vd. subito sotto). Il nuovo ordine dev’essere stato poi ulteriormente alterato nel XVIII sec., al momento della rilegatura, con l’inserzione di buona parte del fascicolo B tra C e D. 1.7. Storia del codice Il manoscritto proviene dall’antico fondo estense e va probabilmente identificato con il num. 207 dell’Inventario della Libreria di Ercole I (1495): «Gian di procida in uulgare cum fondello de montanina verde» (Bertoni, p. 242). Poiché una simile menzione è assente negli inventari precedenti (1437 e 1467), la Di Pietro ipotizza che sia entrato nella Biblioteca tra il 1467 e il 1495. Dati gli stretti legami tra la corte estense e quella aragonese, una provenienza da Napoli appare altamente probabile. Si ricordi che Ercole risedette a Napoli tra il 1445 e il 1463 e in seguito sposò Eleonora d’Aragona. Il manoscritto proveniva probabilmente da una collezione privata, perché non sembra aver mai fatto parte della biblioteca aragonese (cfr. De Marinis). 1.8. Bibliografia Bertoni 1903; Marocco 1829; De Marinis 1947-1952; Fava/Selmi 1973, num. 167, p. 101 [la tav. XLIV riproduce parzialmente la c. 11r]; Degenhart/Schmitt 1980, 70 n. 19 [le figg. 110-111 a p. 67 riproducono le miniature di c. 11r e 16v]; Milani/Di Pietro Lombardi/Ventura Barbolini 1987 [la tav. LX (p. 108) riproduce la c. 32v]; Scolari 1989, num. 18; Mottola Molfino/Natale 1991, num. 59 [riprodotte le cc. 32v e 35v, schede di Paola Di Pietro (pp. 220223) e Giordana Mariani Canova (pp. 223-224)]; Scolari 2001; Trucchi 1847; Zambrini 1852.


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MARCELLO BARBATO

1.9. Il testo di Leg Come abbiamo già detto, il titolo è in rosso. Aggiungiamo alcune informazioni sulle abitudini grafiche del copista: sono presenti non sistematicamente dei puntini sulle i; a volte, soprattutto a fine rigo, si trovano lettere sovrascritte, che si trascrivono senza nessuna segnalazione. Il copista va a capo senza badare alla divisione in sillabe, es. 1rb.2 pallial/oco, 1rb.14 risp/uose; spesso una consonante è ripetuta due volte, prima a fine rigo, poi all’inizio del rigo successivo. A volte, ma non sempre, la prima delle due consonanti è barrata. Nella trascrizione la consonante identica a cavallo di rigo è conservata solo se non è barrata ed è foneticamente motivata. Il testo conosce un unico segno interpuntivo <.>, più il segno <: ~> a fine paragrafo. Sono presenti note marginali di mano successiva, probabilmente quattrocentesca, di cui non si tiene conto nella costituzione del testo e nell’allestimento dell’apparato3. Le abbreviazioni si sciolgono nel modo seguente: titulus lineetta ondulata sovrascritta lineetta verticale ch’ d’ l’ p con svolazzo a sinistra p con la gamba tagliata p con titulus sovrascritto p con i sovrascritta q con titulus sovrascritto q con lineetta ondulata sovrascritta q con la gamba tagliata s’

(n), (m)4, (en)5 (r), (re)6 (r), (ri)7 ch(e), ch(i)8, d(e), l(e) p(ro) p(er), p(ar) p(re) p(r)i q(ue) q(ua) q(ui) s(ere)9

3 1.4 pa(r) a margine di larlare; 10.2 a li a margine di amici; 19.4 no(n) a margine di co(n) bolla papale. 4 In base all’uso moderno, già quasi costante nel ms., salvo 5 casi di <np> (49.3, 54.3, 62.2, 24.5, contro 28 di <mp>) e un caso di <mv> (diciamvi 2.7, contro 7 casi di <nv>). 5 In -m(en)to. 6 In pode(re), lecte(re). 7 In alt(ri). 8 In francesch(i). 9 In mess(ere) e ess(ere). Abbiamo sciolto mess(ere) anche quando il sostantivo


207

NOTA AI TESTI

bn con titulus sovrascritto cone con titulus sovrascritto ecclia con titulus sovrascritto eccle con titulus sovrascritto ecc. con a sovrascritta ecca con titulus sovrascritto .G. Guill’o ho con titulus sovrascritto irlm con titulus sovrascritto ka. .k. nro... con titulus sovrascritto nora con titulus sovrascritto n con titulus sovrascritto .pp. con a sovrascritta pplo con titulus sovrascritto sca con titulus sovrascritto

b(e)n10, b(e)n(e) co(mu)ne eccl(es)ia eccl(esi)e ecc(lesi)a ecc(lesi)a G(ianni) Guill(elm)o ho(mo)11 I(e)r(usa)l(e)m Ka(rlo) K(arlo) n(ost)ro... no(st)ra n(on) pap(a) p(o)p(o)lo s(anct)a

simbolo simile al 7 xp con titulus sovrascritto x con i sovrascritta

(e)12, (è) (crist) (cristi)

Non si sciolgono, secondo l’esempio di Castellani (1952, 15; 1982, XVIII): lib’ libr. con titulus sovrascritto

lib. libr.

Criteri di trascrizione: – Si impiega un trattino per indicare l’assimilazione della nasale finale alla consonante successiva: co-llei, co-llui, co-lloro = con lei, con lui, con loro; be-mmi = ben mi. funge da determinante, dato mesere 35.4, 36.3, 55.2, 67.2; non v’è dubbio però che l’apocope fosse realizzata, come mostra il fatto che segue sempre la forma postconsonantica dell’articolo: mess(ere) lo papa e non *messere ’l papa (vedi Nota linguistica, § 1.6.2). 10 Se preposto, perché in questo contesto a piene lettere ben supera bene (11 contro 5). 11 Potrebbe essere un logogramma per *uomo, ma cfr. a piene lettere omo 18.4. 12 Predomina su ed e et anche davanti a vocale.


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MARCELLO BARBATO

– Il punto in alto indica la caduta (almeno grafica) di una consonante: de· regno = del regno; e· la = en la; no· pensi = non pensi13. Analogamente si stampa difenda·si ‘si difendano’ e volglia·me ‘mi vogliono’. Il punto in alto senza spazio indica la caduta insieme di una vocale e di una consonante: e·lengnagio = e ’l lengnagio 5.4. – L’apostrofo indica l’aferesi in ’l14, ’n, ’contanente, ’ncenso. Si trascrive però senza apostrofo nde, giacché non è mai attestato inde. – L’apostrofo indica pure la caduta della semivocale di un dittongo decrescente (e’ = ei; de’ = dei; que’ = quei, ecc.), anche in fonosintassi (e’ = e i; che’ = che i)15, o più in generale la caduta di una vocale finale (gale’ = galee; mi’ = mia; si’ = sia; veni’ = venia). – L’apostrofo indica la caduta di una sillaba in di’ (con epitesi die) = dici (distinto da dì < DIC); fe’ = fede; me’ = meglio; vo’ = voglio (distinto così da vo ‘vi’). – Secondo la pronuncia antica, ricevono l’accento grave nè e dè ‘deve’ (con 16 epitesi dèe) . Sono accentate anche le seguenti forme verbali: sè ‘sei’, ò ‘ho’, à ‘ha’, ài ‘hai’, ànno ‘hanno’, -àno ‘-arono’. – Quanto alle forme con pronome enclitico o con epitesi, l’accento è mantenuto, secondo l’esempio di Castellani (1952, 13; 1982, XVII), solo in caso di monosillabi (anche in dìe ‘giorno’) o di perfetti di III (partìsi, uscìsi); per chiarezza si segna l’accento anche in dimorài ‘vi dimorò’ 55.1. – Si stampa all’, alla, ecc. ma a l’alt(r)o, ecc. Separati anche: acciò che, da che, per ciò che, con ciò sia cosa, ciò è (cfr. ciò era), da poi che, se no (se non).

2. IL CODICE MAGLIABECHIANO ms. testo

13

Firenze, Biblioteca Nazionale, Magliabechiano VIII 1375 (già Strozziano 265). Cronaca del Vespro interpolata nel Tesoro volg., tosc., 1310ca.

Ma si conserva la forma no davanti a clitico, che è normale nei testi merid. (Barbato 2001, 228). 14 Si trascrive sempre che ’l, per quanto sarebbe forse altrettanto legittimo trascrivere ch’el. 15 Non mi dà cuore di lasciare tra due spazi l’apostrofo, come si suol fare nel caso in questione. 16 Da die < DE(B)E(T) (Castellani 1952, 117ss.).


209

NOTA AI TESTI

2.1. Dati esterni Pergamenaceo, 295 × 228. Carte I + 33, bianca la c. 32v e la c. 33. Specchio di scrittura: 260 × 170; «rigatura mista a secco e a piombo» (Bertelli); scrittura su due colonne di 52 righe. La scrittura è spesso sbiadita. Vi sono delle «tracce di scrittura duecentesca, di due mani, su note di conti in volgare [Al f. 29r si legge una data: dì XXVIIII di febbraio anni novantaquattro; ripetuta, ma il giorno è il 23, al f. 30v]» (Bertelli). Numerazione a penna in alto a destra (forse seicentesca); una numerazione precedente è scarsamente visibile. Fascicolazione (tra parentesi la numerazione più antica): fasc. A

fasc. B

fasc. C

-

5 (9)

13 (16)

-

6 (10)

14

1 (3)

7

15 (18)

2

8

16 (19)

3 (5)

9

17 (20)

4 (6)

10

18

-

11 (14)

19 (22)

-

12 (15)

20 (23)

fasc. D

fasc. E

21

29

22 (25)

30

23

31

24

32

25

33

26

-

27

-

28

-

Probabilmente sono cadute due carte del primo fascicolo (non i primi quattro fogli, come pensava Mascheroni). Non è vero che «fra il f. 29 e il f. 30 manca un foglio» (Mascheroni). Alla fine dell’ultimo fascicolo si riconoscono almeno due carte tagliate, prive di testo ma con annotazioni.


210

MARCELLO BARBATO

Rilegatura in cartone novecentesca (CIABANI GINO / LEGATORE DI sul dorso in pergamena: «B. LATINI. TESORO. SEC. XIV».

LIBRI),

2.2. Scrittura Il testo è scritto in littera textualis del sec. XIV in. (cfr. Mostra e Bertelli). Ha iniziali e segni di paragrafo in rosso. Le rubriche, non sistematiche, sembrano aggiunte in seguito, da altra mano coeva e vicina (vd. Nota linguistica, § 2.1); si interrompono a partire da c. 25r. Illustrazioni geografico-astronomiche nelle cc. 25v, 26r e v, 27r e v, 28r, 29r; a c. 29v lo spazio per l’illustrazione è lasciato in bianco. 2.3. Contiene Tesoro volgare, acefalo e incompleto (Mascheroni: «il primo libro del Tesoro dal cap. IX al cap. CXXIV»). Inc. ex abrupto c. 1r «ke elli vengnano et p(er)ciò non àe in loro punto di fermeçça ... VIII. Qui si dice come Dio no(n)n àe nullo mutamento». Lacuna tra c. 4v e 5r: si passa dal cap. XXVI (storia di Enea) al cap. XXXII (storie bibliche). Expl. 32r «Qui comincia la se(con)da partita della terça parte del mondo... [il Rodano] si divide in due parti e lla maggiore parte entra in mare preso ad Arli, l’altro braccio»17. Il testo doveva cominciare dall’inizio (cfr. la perdita di due carte iniziali) ma la copiatura è stata interrotta come mostra la col. 32ra riempita per 2/3 e le carte finali lasciate in bianco. La Cronaca del Vespro, fusa all’interno del testo principale, va da c. 17vb a c. 23vb. Per uniformarlo forse alla cornice, il testo è stato fornito di intitolazioni, che spesso si riducono al solo numero di capitolo. Sono presenti diversi errori di numerazione; inoltre i titoli apposti ai capp. CXXI (scritto CXIX) e CXXXVII-CL si riferiscono ogni volta al capitolo immediatamente precedente. Ciò mi sembra provare che i titoli e la stessa inserzione della Cronaca nel testo del Tesoro non vadano attribuiti all’iniziativa di F4 ma risalgano al suo antigrafo. 2.4. Storia del codice Il codice proviene dalla biblioteca strozziana, acquistata nel 1784 dal Granduca Pietro Leopoldo. In un foglio di guardia si legge: «D 1375 / 265 / n° 265 / Tesoro, di ser Brunetto Latini, manca / il principio / in cartapecora / del Senre Carlo di Tommaso Strozzi / 1670». 17 Per un inquadramento del manoscritto, siglato F4, all’interno della tradizione del Tesoro volg. vd. Giola 2008 e 2010.


NOTA AI TESTI

211

2.5. Bibliografia Mussafia 1869; Mostra 1957 [le schede della Magliabechiana sono curate da Ignazio Baldelli], 104-105; Mascheroni 1969, in part. p. 497; Bertelli 2002, num. 67 e tav. LXXXII [c. 1r]; Giola 2008, 28; Id. 2010, 30 e 170; Bertelli 2008, num. 16. 2.6. Il testo di Tes I puntini sulle i non sono sistematici. La separazione delle parole è normalmente sillabica, ma cfr. 18ra f/urono, nov/elle ecc. Sono presenti due segni di punteggiatura: </ /> coperto quasi sempre dal segno di paragrafo; <: ~> a fine capitolo. Scioglimento delle abbreviazioni: titulus lineetta ondulata sovrascritta d’ m con titulus sovrascritto n con titulus sovrascritto p con svolazzo a sinistra p con l’asta tagliata p con titulus sovrascritto p con i sovrascritta q con titulus sovrascritto q3 q con l’asta tagliata s con l’asta tagliata v’

(n), (m)18 (r), (re)19, (rie)20 d(e), d(a)21, d(o)22 m(en), m(e)23 n(on) p(ro) p(er)24 p(re) p(r)i q(ue)-q(ue) q(u)25, q(ue)26 s(er), s(ere)27 v(er)

18 In base all’uso moderno. Infatti <mb> (27.1, 31.4, 55.2, tot. 5) prevale su <nb> (43.2, 62.4). Il titulus non è mai usato davanti a <p>, dove pure <n> è costante in in- e con-. 19 In mino(re), aver(re)te. 20 In guer(rie)re. 21 In ricord(a)re. 22 In 19.4 quand(o) iera (o quand’(e)i era?). 23 In m(e)ss(er). 24 In un caso pate con l’asta di p tagliata = pa(r)te. Per casi analoghi in altri mss. trecenteschi cfr. Ageno (1961, 177). 25 In q(u)anto. 26 In da q(ue)st’ora. 27 In mess(ere), dato messere lo re 37.1.


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MARCELLO BARBATO

aia con titulus cha’ ch’ eccl’a fco/fto... con titulus gn con titulus gra con titulus ho con titulus hoi con titulus mia col titulus nro... col titulus pp con titulus ppa con titulus pplo con asta di l tagliata pp con o sovrascritta qdo con titulus R con la seconda asta tagliata sco... con titulus sop con titulus tra con titulus, t’ra

a(n)i(m)a cha(valiere, -i) ch(avaliere) eccl(esi)a f(act)o... g(e)n(er)gra(tia) ho(mo) ho(min)i mi(sericord)ia n(ost)ro... p(a)p(a) p(a)pa p(o)p(o)lo p(o)p(ol)o q(uan)do r(ispuose) s(anct)o... sop(ra) t(er)ra

simbolo simile al 7 simbolo simile al 9 xp con titulus x con i sovrascritta

(e)28 29 (con), (com) (crist) (crist)

Non si scioglie: lib con asta di b tagliata

lib.

Nelle rubriche: bni col titulus f. m.

28

b(aro)ni f(ece) m(esser)

Anche davanti a vocale: infatti anche qui e è la forma prevalente, inoltre la d viene esplicitamente aggiunta in 4.1 <7d>. 29 Cfr. quanto detto sopra a proposito dello scioglimento del titulus.


NOTA AI TESTI

pk con titulus qn con titulus sac con la c tagliata

p(er)k(é) q(uando) sa(ncta)

C., c tagliata Carl con l’asta di l tagliata Ch K’ G R. Ragh Rug’

C(icilia) Carl(o) Ch(arlo) K(arlo) G(ianni) r(e) Ragh(ona) Rug(eri)

213

Criteri di trascrizione (per la giustificazione vedi 1.9): – i· = il, in; be· = ben30 – i-lloro = in loro; co-llei, co-llui, ecc. = con lei, con lui, ecc.; co· mia, ecc. = con mia, ecc. – i· re, i-rre = il re; a· re, a-rre = al re; de· re, de-rre = del re; da· re, da-rre = dal re; co-rre = col re – e’ = ei, e i; che’ = che i; de’ = dei; que’ = quei, ecc. – e·re, ke·re = e il re, ke il re – e’rre, che’rre = e il re, che il re – disso· = dissor – ave’ = avea; dove’ = dovea; espi’ = espii; mie’ = miei – me’ = meglio; co’ = coi, come; vo’ = voi, voglio – dè ‘deve’, nè ‘né’ – dì (dìe) < DIC, di’ < DICIS – sè ‘sei’, ò ‘ho’, à ‘ha’, ài ‘hai’, ànno ‘hanno’ – In presenza di pronome enclitico o epitesi di -e, conservano l’accento solo le forme monosillabiche (anche dìe ‘giorno’) e i perfetti di III (partìsi). – Si stampa separato: acciò che, da che, da poi che, se no (se non, se noe); unito: nonché (nocché), cioè.

30

È conservato no che sembra forma lessicalizzata (cfr. Castellani 1982, XVII).


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MARCELLO BARBATO

3. IL CODICE VATICANO ms. testo

Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 525631. Liber Jani de Procita et Palioloco, tosc. > emil., 1310ca.

3.1. Dati esterni Pergamenaceo, 150 × 215. Carte 12, bianche 10v-12. Specchio di scrittura: 120 × 180; rigatura a piombo; scrittura su 2 colonne di 36 righe. Lo stato di conservazione è buono; ci sono alcune macchie di umidità e – alle cc. 6, 7, 8, 10 – alcuni strappi precedenti la scrittura. In alto a sinistra, una numerazione più antica che va da 1 a 10, e una più moderna da 1 a 1232. Fascicolazione: 1

9

2

10

3

11

4

12

5 6 7 8

Il testo termina nella seconda colonna di 10r; a c. 12r si legge forse un’antica nota di possesso rifilata: «Questo fu un libero [..............]». 3.2. Scrittura Secondo Sandro Bertelli (comunicazione personale del 29.12.2008), il manoscritto non si può collocare molto oltre i primi anni del Trecento, come dimostrano la morfologia di alcune lettere quali g e u e la chiusura di c e t davanti alla vocale successiva; le legature, i ritocchi alle aste superiori delle lettere e le abbreviazioni uti-

31 Si tratta di un codice composito in cui sono stati rilegati insieme nella seconda metà del Cinquecento materiali disparati, cfr. l’inventario 306 della Biblioteca Vaticana a cura di A. Ranaldi (1627). Ci si limita alla prima parte, contenente il nostro testo. Per una descrizione della seconda parte vedi Andreose (2000, 74s.). Per una breve descrizione dell’intero codice cfr. Monaco (1978-1979, 193s.). 32 Prosegue nel resto del codice.


NOTA AI TESTI

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lizzate, numerose e inconsuete in ambito librario, indiziano un copista di formazione corsiva, documentaria (forse un notaio). 3.3. Il testo di Lib I puntini sulle <i> non sono sistematici. Non sempre è facile distinguere <c> da <t>. A volte nel nesso <zi>, la <i> è scritta in apice. Sono presenti due segni di punteggiatura: <.> e, a fine paragrafo, <: ->. Scioglimento delle abbreviazioni33: titulus lineetta ondulata sovrascritta lineetta verticale d’ s, p con l’asta tagliata p con svolazzo a sinistra p con titulus sovrascritto q con titulus sovrascritto q con la gamba tagliata m con titulus sovrascritto vocale sovrascritta a g vocale sovrascritta a q vocale sovrascritta ad altra lettera

(n), (m)34 (r), (re)35, (ra)36 37 (er), (re) 38 d(e) s(er) p(er), p(ar)39 p(ro) p(re) q(ue) q(ui) m(en) g(n)o, g(n)e, g(n)a, g(n)i q(u)a, q(u)o (r)o, (r)i, (r)e, (r)a

aia con titulus sovrascritto Guiglo m con o sovrascritta

a(n)i(m)a Guigl(elm)o m(od)o

33 34

Come sopra, non si scioglie lib con le aste tagliate. In base alla norma moderna: i casi di <n> davanti a bilabiale sono infatti minoritari (5 contro 33). 35 Solo nella desinenza dell’infinito -e(re). Ci si potrebbe chiedere se non occorra sciogliere -e(r), ma mancano casi di apocope della vocale finale a piene lettere. 36 In (con)t(ra), cont(ra)iro, ent(ra), G(ra)nata, g(ra)tie, let(ra), ma(ra)vegl-, rema(rà), remete(rà), sac(ra)m(en)to, sop(ra), sup(ra)istare, T(ra)pali, t(ra)sse. 37 In G(re)cia, seg(re)to, sec(re)to, c(re)d-, otob(re), che però potrebbe anche essere otob(er). 38 È vero che di prevale a piene lettere su de e che d’o si potrebbe sciogliere anche D(i)o (vedi Nota linguistica, § 3.3.1), ma in altri casi (come in d’v- ‘dovere’, disid’r- ‘desiderare’) d’ non può che rappresentare de-. 39 In p(ar)te.


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mlt- con l’asta di l tagliata nr- con titulus sovrascritto p con l’asta tagliata e a sovrascritta P. pp con a sovrascritta pu con ca sovrascritto sca con titulus sovrascritto ta con titulus sovrascritto to con titulus sovrascritto tra con titulus sovrascritto vr- con titulus sovrascritto

m(u)ltn(ost)rp(erson)a P(ero)40 pap(a) pu(bli)ca s(anct)a t(er)a -t(i)ot(er)ra v(ost)r-

simbolo simile al 7 simbolo simile al 9 x con i sovrascritta

(e), (et)41 (con), (com)42 (crist)i-

Criteri di trascrizione: – i· = il, in – ’lor ‘allora’ (distinto da lor ‘loro’) – cho’ = come; de’ = deve – no’ = noi; vo’ = vuoi, voi – o’ = ove; o· = or – e’ = eo ‘io’, ei ‘egli’, e i – è, hè ‘è’, ê ‘hai’ – dì < DIC, di’ (die) < DICIS – nè ‘né’, sè ‘sei’, ò ‘ho’, à ‘ha’, ài ‘hai’, ànno ‘hanno’ – In caso di pronome enclitico o epitesi conservano l’accento solo le forme originariamente monosillabiche (anche dìe ‘giorno’). – Le preposizioni articolate con a de da co ne su sono sempre unite; separato: acciò che, da che, da poi che, se no, no che. – Si unisce con un trattino il pronome agglutinato al verbo in pensa-tu (vd. Nota linguistica, § 3.7.4).

40 In base alla generale prevalenza delle forme non dittongate, sebbene nel caso specifico Pero e Piero si equivalgano a piene lettere (vd. Nota linguistica, § 3.3.1). 41 Forme prevalenti a piene lettere rispettivamente davanti consonante e vocale. 42 Vedi sopra a proposito dello scioglimento del titulus.


NOTA LINGUISTICA 1. IL CODICE ESTENSE 1.1. Generalità Il tessuto linguistico è sostanzialmente toscano ma con consistenti tracce centro-meridionali. Quanto allo strato toscano abbiamo una patina tosc.occ. piuttosto annacquata dal modello fiorentino1. La presenza del fenomeno di deaffricazione di [ts] restringe il campo all’area lucch.-pis. (Castellani 1952, 47ss.); la presenza di [e] [o] in corrispondenza di fior. [j'] [wn], la sonorizzazione in fadica, il tipo devere rimandano chiaramente al lucchese. Come si può circoscrivere lo strato centro-meridionale? L’innalzamento metafonetico delle medio-alte esclude Roma. Le -u finali, l’assimilazione ND > [nn], la desinenza -éte del congiuntivo imperfetto sembrerebbero testimoniare un passaggio mediano, ma i casi di [ ] finale, la geminata in lloro e il clitico dativo le riportano verso il napoletano. Si potrebbe pensare a un copista mediano attivo a Napoli e sensibile al modello linguistico della capitale, o, in alternativa, a un copista della Campania settentrionale, area in cui i fenomeni napoletani e quelli mediani, nel medioevo ancor più che oggi, dovevano convivere strettamente (Barbato 2002). I dati esterni, ossia la presenza di miniature di scuola meridionale (vedi Nota ai testi, § 1.3), portano a identificare lo strato meridionale con quello del copista. È importante notare che anche il testo del Gioco degli scacchi che accompagna la Leggenda nel nostro manoscritto presenta la stessa mescolanza linguistica. La presenza di tratti centro-meridionali è già stata osservata da Scolari (2001, 21); ricorrono inoltre diversi tratti lucchesi, come minde ‘me ne’ 11r, ansi 1 I tratti toscani non vanno suddivisi necessariamente tra due strati distinti: alcuni fenomeni di ipercorrezione (santano, morrire) fanno pensare che la mescolanza sia originaria.


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‘anzi’ 12v, anche non attestati in Leg, come pió ‘più’ 11v e abbo ‘ho’ 15r (su cui vd. Castellani 2000, 332). 1.2. Grafia e fonetica 1.2.1. Palatali e velari La velare sorda è rappresentata normalmente da <c(h)>; <k> compare solo in Karlo, dove però è costante; <qu> esprime la labiovelare anche davanti a vocale posteriore: quori 11.2. Seppur nettamente minoritarie, compaiono grafie “difettive” (ossia senza <i> diacritica) per le affricate palatali: cò ‘ciò’ 56.1; Ganni ‘Gianni’ 3.2, 4.1, 4.2, 5.1, gurata ‘giurata’ 31.5, gurni ‘giorni’ 67.7, ragone 51.3, tradigone 0.1 (e di contro Gierusalem 64.1)2. In alcuni casi, sempre dopo nasale, <ç> sembra rappresentare [t5]: cominçare 27.3, co(m)minçia 32.3 / cominci- (tot. 7), co(m)minci(2), incominciò 43.3, 44.3; ben çi è 60.1 (altrimenti sempre ci); nel gallicismo prençe 43.5, 48.2, 48.3, 48.5, pre(n)çe 48.1 <ç> potrebbe anche stare per [ts] (< fr.a. prince, FEW 9, 389). Per la resa della nasale palatale, oltre alla consueta alternanza <ngn(i)>/<gn(i)> si segnala la grafia <ng(i)> in Catalogna 21.1, Catalongia 26.1, Catalongna 55.1; segnore 29.2, sengniore 21.8, sengnoregiare 1.2, sengnoria 12.1, sengore 31.9; vegna 29.2, vengia 24.6, vengna 67.93. Alla luce di queste alternanze, e dati tengna 31.8, tengnate 27.3, 27.4, tengnono 46.5, verrebbe da interpretare come [ÕÕ] anche <ng> di tenga 43.1, tengate 13.3. Per la laterale, oltre a <lgl(i)>/<gl(i)>, abbiamo <lli> in Pulliesi 3.3, volliono 53.3. 1.2.2. Scempie e geminate La geminata [tt] è resa sempre da <ct> salvo in contatissimi casi (battalglia 44.3, metterti 5.3, se ttu 8.1, septembre 70.1). Singolare la resa del raddoppiamento fonosintattico in a cpacti 44.6, che risentirà della più frequente sequenza a ct-4. Il raddoppiamento è registrato solo in un caso dopo DE-AB (31.3)5.

2 Simili grafie sono normali nei testi fior. duecenteschi, cfr. Castellani (1952, 17): fancullo, ragone, ecc. 3 Per la grafia ng(i) = [ÕÕ] cfr. Castellani (1985, 237n.). 4 Cfr. <cb, cf> nel Libro di conti fior. del 1211 (Castellani 1958, 110). 5 Il raddoppiamento dopo da distingue il pis. dal lucch.a. (Castellani 2000, 309).


NOTA LINGUISTICA

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Non c’è mai raddoppiamento dopo ò < *AO e à < *AT. In enclisi la geminazione è assente dopo *-AO del futuro (farolo 19.4) e nettamente minoritaria dopo -AUT del perfetto: cfr. mandolo 52.6, mandoli 48.1, 49.4, menolo 21.3, 33.2, mostroli 41.1, contro il solo pregolli 47.16. Dubbio il raddoppiamento dopo TU, perché l’unico caso compare a cavallo di rigo (ctu s-se 5.2) e dunque potrebbe essere puramente grafico (cfr. Nota ai testi, § 1.9)7. Una certa incertezza nella distinzione tra scempie e doppie è fisiologica nelle scritture più antiche (Castellani 1952, 18)8. Saranno di ragione puramente grafica crucioso 32.1, Idio 60.1, quatro 49.6, tuto 28.4. Particolarmente frequenti le oscillazioni per <s>, cfr. disero 2.5 e mes(ere) 31.7, 43.3, 67.5, mesere 35.4, 36.3, 55.2, 67.2; e per <l>, cfr. cellato 70.2 (altrimenti sempre celato, 12 occ.), que’ lla ricevecte 3.2 (probabile errore di copia), i llegni 67.8, malle novelle 46.2 (ma doveva essere nell’antigrafo perché è anche in Lib), quele 2.2 (altrimenti sempre quell-). In altri casi l’oscillazione sembra di origine fonetica: il raddoppiamento in co(n)noscere 30.1, co(n)noscha 30.1, co(n)nosciuti 33.1, disco(n)noscuto 21.2 è attestato in tosc., roman. e nap.a (corpus TLIO); l’alternanza procacciatore 19.1, p(r)ocaccino 26.7 / proccaccia 67.2 si spiega con un raddoppiamento analogico dopo pro- diffuso in testi toscani (ibid.). Potrebbe riflettere uno scempiamento tosc.occ. di [rr] (Rohlfs § 238) horibile 1.3; morrire 53.5 (bis), che costituisce un unicum nel corpus TLIO, potrebbe essere ipercorretto9. L’alternanza tra Saraceni 36.4, Saracini 37.3, 38.4, 39.3 (tot. 5) e Sarracini 36.3, 65.6 si può spiegare con l’influsso del fr. sarrazin (FEW 11, 217). Dal corpus TLIO appare che l’alternanza trare 11.5, 31.6 / trarre 14.3 è propria del fior., del pist. e del pis., mentre il lucch. ha sempre la scempia, il prat. sempre la doppia; la scempia è anche propria dei testi tosc.or., mediani e napoletani (ibid.; Barbato 2001, 160 e n.). Per l’oscillazione di <r> e <rr> al futuro e al condizionale vedi oltre, §§ 1.7.6-7. 6 Il raddoppiamento fonosintattico è assente in lucch. e pis. in questi casi (Castellani 2000, 306-310). 7 Secondo Loporcaro (2003) il lucch.a. avrebbe avuto raddoppiamento in questo caso, così come la varietà moderna. 8 Tralasciamo i casi dopo AD-. Per actare cfr. oltre, § 1.3.2. Per la degeminazione nel perfetto forte, vd. § 1.7.5. 9 È attestato però in lucch.a. morrere, che con Salvioni (1905, 405) si può spiegare come una forma sincopata rientrata «nel giro della conjugaz. regolare coll’aggiunta di -re».


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MARCELLO BARBATO

Nel caso di [bb] e [dd<] la mancata rappresentazione della geminata è un fenomeno noto nelle scritture toscane, che si spiega con l’assenza o estrema rarità di grafie latine <bb> <gg> (Castellani 1963-1964, 214s.) e che, nel caso specifico, potrebbe essere stato rafforzato dal fatto che in it.merid. è assente un’opposizione fonologica tra scempia e doppia. Oscillazione tra grafia latina e volgare in obbedio 17.8, obidio 17.4, obbidere 51.3. Troviamo la scempia in llebrosi 17.1, e di contro la geminata in robbare 70.2, oscillazione che potrebbe riflettere una pronuncia meridionale sempre geminata; tuttavia robba compare anche in tosc. (Rohlfs § 215; Castellani 2000, 357; corpus TLIO) e l’oscillazione grafica è anche di Tes (vedi oltre, § 2.2.5). Si veda anche oltre l’oscillazione tra <bb> e <b> nel condizionale. Anche nel caso di [dd<] la grafia scempia è maggioritaria. Si segnalano solo fuggio 44.5, piaggie 67.8, Reggio 71.3 contro legenda (tit.), legitimo 49.3, 50.5, 51.3, magior 4.3, 32.6, magio(r) 62.6, magiore 36.1, 65.2, pegio 17.1, 44.8, Rugieri 43.4, 67.4, sengnoregiare 1.2, singnoregi- 16.1, 20.2 (bis), 23.1, ssingnoregiava 72.3, strugere 1.3; sugell- 9.5, 15.1, 19.4 (tot. 5) prevale su suggellato 13.4. La scempia è incontrastata nel suffisso -ATICU: da(n)nagio 22.4, dannagio 40.4, 64.2, 66.4, lengnagio 5.4, lingnagio 17.6, 18.4, 21.7, messagi 48.1, oltragio 65.1, passagio 1.2, 36.4. Normale il raddoppiamento della consonante di grado medioforte dopo nasale in comppagna 31.5 (Castellani 1952, 18) e in coda sillabica in medessmo 50.4, torrte 5.4 (Castellani 1956, 58s.). Sarà dovuta allo strato meridionale la conservazione della geminata etimologica di - ECCU SIC: ccosì 67.3, ccosie 68.2 - ECCU HAC: di cqua 9.2, 67.3, 67.7 (tot. 5), contro di qua 28.6, di qui 13.3, 27.3, 53.7 (bis), di quie 67.7 - ILLAC: di llà 2.7, 28.6, 46.4 (tot. 6), contro di là 70.1, 71.2 - ILLORUM: de lloro 27.2, 49.410, contro di loro 12.1, 49.3, 49.4 (tot. 7).

Se la geminata in ‘così’, ‘qua’, ‘là’ ha un’estensione piuttosto vasta in Italia centro-meridionale (cfr. Rohlfs § 946, 893 e 894), lloro sembrerebbe tipicamente nap. (ibid. § 440; Loporcaro 2002).

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Nota la cooccorrenza con un altro tratto meridionale (de).


NOTA LINGUISTICA

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1.2.3. Nasali Presenteranno una banale omissione del titulus co(m)madò 63.1, cosilglieri 3.2, maderemo 62.4, metre 31.9, puçuolo 5.2, quado 58.2. Queste forme dunque sono corrette nel testo critico, mentre si conservano prudenzialmente a(n)nutio 53.6, co(n)teçione 49.6, ’contanente 63.1, da una parte, ponssono 26.7, anco(n)ciassero 63.1 e parentando 18.8, 18.4, 35.3, dall’altra, perché potrebbero riflettere reali fenomeni dissimilatori o assimilatori (vd. oltre § 2.2.3)11. 1.3. Vocalismo 1.3.1. Vocalismo tonico All’interno di una prassi generalmente dittongante si segnalano alcuni casi di assenza o riduzione di dittongo: convene 67.9 / co(n)viene 21.4, conviene 37.2; cor 69.1 / quori 11.2; dole 68.2 / duole 0.1; i(n)semi 19.1 / insieme 31.4, 32.6, 35.4; mantene 17.3; moia 62.6 / muoia 44.6, muoiano 44.4; omo 18.4, homini 49.3, ugn’omo 53.5 / huomo 62.3, uomo 2.4, 6.2, 29.1, huomini 14.2, 52.1, 62.6; pregalo 40.3, prego 0.2 / priegavi 36.4, prieghi 41.5, priego 27.4, priegovi 2.3, 2.4; trova 65.6 / truovano 17.1, truovo 6.6; vene 5.3, 5.4, 60.2, 70.2, venti ‘ti viene’ 5.6 / viene 2.6, 5.5, 28.2 (tot. 10); vole 35.1 / vuole 18.4, 24.4, 39.2.

La mancata dittongazione in prego e trovo, omo - omini è tanto pis. quanto lucch., ma l’assenza di dittongo negli altri casi è solo lucch. (Castellani 1965, 290; 2000, 287ss.). Il fenomeno può aver avuto l’appoggio dello strato meridionale. Sarà un errore la forma buna ‘buona’ 42.2 che ricorre anche in Lib. Il dittongo in puose 49.2, puosellelli 24.2 < *PÓSIT è tosc. comune. Sembrerebbero forme ipercorrette puossa 4.1, puosso 54.3 contro possa 18.2, 18.5 (bis, tot. 5), posso 6.3, 11.5, 17.3 (tot. 5)12. Per AU secondario si segnala l’alternanza paraola 18.3 / parola 26.7, parole 14.4. La conservazione del dittongo è prat., pist., lucch. e pis. (Castellani 1952, 47ss.). Non mancano nel vocalismo tonico alcuni fenomeni imputabili 11

L’ultima forma del resto è attestata in testi tosc. della seconda metà del Trecento (Esopo, Leggenda Aurea: corpus TLIO) e potrebbe avere anche una motivazione morfologica. 12 Ma il corpus TLIO, oltre a puosso nel Tristano ven., dà anche puossa nel volg. pis. di Albertano da Brescia (1287-1288).


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allo strato meridionale13. Si segnala la presenza della metafonesi, nella morfologia nominale o pronominale (a) e particolarmente in quella verbale (b): a) b)

francischi 70.4, gurni ‘giorni’ 67.7, malave(n)turusi 11.2, misi ‘mesi’ 5.3, quisto 43.1, sinno ‘senno’ 8.214, tico 46.5, tornisi 37.4, vui 32.6, 39.2 appelleriteme 10.2, averimo 54.3, 67.3, farite 10.2, mandarimo 62.5, maravigliaristi 42.215, mecteristi 7.1, promicte 9.2, saristi 21.7, ssite 51.1, vederimo 52.5, viderite 66.4, vorrite 32.5

Si dovrà allo strato meridionale la mancata anafonesi in ristrenge(r)e 54.1, contro camarlingo 52.6, 53.4, lingua 0.2, 44.7. L’alternanza è frequente nel francesismo prençe 43.5, 48.2, 48.3, 48.5, pre(n)çe 48.1, prince 66.1. La /i/ tonica in dicta 67.5, 72.3, dicti 3.2, 20.2, dicto 0.1, 1.3 (bis, tot. 21), inte(r)dicti 51.3, 53.6, contro decto 1.1, 21.7, 35.1 (tot. 6), è propria del pist., lucch. e pis. (Castellani 1952, 47ss.). Le forme once 23.3, oncie 9.2, 29.2, 34.4 rappresentano il tipo fior. contro il tosc.occ. uncia (Castellani 1952, 41ss.). Le seguenti alternanze si spiegano con la tensione tra latino e volgare, non senza una possibile coincidenza degli esiti latineggianti con quelli metafonetici meridionali: magistro 0.1, 3.2 / magestro 2.6; mu(n)do 4.3, mundo 18.2, 53.5, 68.2 / mondo 2.6, 17.1, 21.8 (tot. 7); secundo 44.1, 70.1 / secondo 51.3. Latinismi saranno anche stulto 5.4 e rimicte(r)li 17.2 (isolato contro mect-). La concordanza tra vocalismo merid. e francese spiegherà Saracini 37.3, 38.4, 39.3 (tot. 5), Sarracini 36.3, 65.6, contro il solo Saraceni 36.416. Di origine antimetafonetica (cfr. Barbato 2001, 115) sarà l’apertura della vocale estrema in difeci ‘macchine belliche’ (< edifici) 54.1, e voloto 38.4, mentre ricevota 27.2 si può spiegare o come fenomeno analogico di ragione meridionale (estensione da -oto), o come espediente grafico, noto in testi toscani, per evitare la sequenza <uu> (Castellani 1974, 42).

13 14

Essendo questi tratti sempre minoritari, non si forniscono le controforme. Anche in Buccio di Ranallo (corpus TLIO). Per i continuatori merid. del germ. SINN cfr. REW 7948a, Faré. 15 Il contesto vorrebbe *maravigliaronsi. 16 La forma fr. si spiega come evoluzione itacizzante da gr. SarakhnoÇ, mentre la forma merid. si può anche considerare metafonetica da SARACÇNI.


NOTA LINGUISTICA

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Difficile spiegare la tonica di inpaurelgli ‘inpaurirli’ 54.3, mentre sarà metaplastico obbidere 51.3, cfr. ubidere negli Stat. sen. del 1343 e obbiderete nelle Novelle Panciatich. (fior., metà sec. XIV, corpus TLIO). Sempre più 2.7 (bis), 3.3 (tot. 27): non c’è traccia del lucch. e pis. pió (Castellani 1952, 47ss.). Gli sporadici esiti irregolari delle vocali in iato si dovranno a latinismo (Deo 6.6, meo 8.2, sui 54.1 ‘suoi’) o a meridionalismo (ssoi 52.4 ‘suoi’). 1.3.2. Vocalismo atono Negli esiti di -AR- si segnalano le alternanze apperecchia 25.1 / apparecchia- 29.2, 34.4, 36.2, camarlingo 52.6, 53.4 / camera 33.3, 46.5. I casi di -ar- nel futuro e nel condizionale (vedi oltre, §§ 1.7.67) andranno imputati allo strato meridionale, dal momento che il passaggio ad [er] è comune a tutta la Toscana centro-occ. (Castellani 1952, 25ss.). Il passaggio di [an] e [en], proprio di Firenze e dintorni (Castellani 1952, 53ss.), è pure attestato, accanto alla conservazione: ’contanente 63.1, incontanente 28.1, 33.2, 40.1 (tot. 18), incontenente 38.2, 38.3 (bis), 52.6, i(n)continente 38.2, denari 38.2, sança 23.3, 65.6, 67.7 (bis). Sarà un iperfiorentinismo santano ‘sentano’ 43.5. In affecto 1.4 ‘effetto’ troviamo il passaggio di [e] iniziale ad [a], forse di origine dissimilatoria, che è noto anche al tosc. (Rohlfs § 130). La labializzazione per contatto di [e] atona alterna con la conservazione: dima(n)darono 2.3 / domand- 30.1, 31.1, 52.2 (tot. 5); devesseno 31.3, devete 46.3, devrà 28.5 / dovea 65.4, doveano 49.3, dovemo 14.2, 47.2, dovesse 13.2, 32.8, 35.3 (tot. 14), dovesseno 43.3, 47.1, 49.3, dovessero 15.1, 50.5, 52.1, dovete 42.2, doveva 67.5, dovreste 17.6; similgliante 44.8 / somilglante 56.2. Sempre romitani 44.7 e rubell- 0.2, 1.3, 2.2 (tot. 12). Il quadro è prezioso per la localizzazione, giacché dimandare è pis. e lucch., ma devere solo lucch. (Castellani 2000, 287ss.). Si segnalano le seguenti oscillazioni nella chiusura di [e] protonica: fedel- 18.4, 20.2, 39.3 (tot. 5) / fideli 52.4; inimici 27.2, 31.6, inimico 31.9, nimici 27.4, 28.3 (bis, tot. 5); lengnagio 5.4 / lingnagio 17.6, 18.4, 21.717; milgliore 2.6, 43.4 (bis, tot. 5); mess(ere) tit., 0.1, 1.3 (tot. 149) / 17 A rigore da Ï, ma il tipo le- è frequente in it.a. (cfr. B) forse per influsso di legno (cfr. ted. Stammbaum).


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MARCELLO BARBATO

miss(ere) 2.1, 3.2; Messina 44.8, 50.4 (bis, tot. 13) / Missina 49.2, 49.6, 50.3 (tot. 19); nepote 17.6; pregione 53.5; securamente 21.5 / sicur- 5.1, 24.4; segnore 29.2, sengniore 21.8, sengnoregiare 1.2, sengnoria 12.1, sengore 31.9 / signore 3.2, signo(r)i 11.3, singnore 0.2, 12.3, 18.5 (tot. 15), singnoregi16.1, 20.2 (bis), 23.1, singnori 12.1 (bis), 14.3 (tot. 8), singnoria 0.2, 11.4, 26.5 (tot. 8), ssingnoregiava 72.3; vertude 0.2.

La mancata chiusura in pregione è anche pis.-lucch., quella in megliore, nepote e segnore solo fior. (Castellani 1952, 117ss.). La chiusura in fidele sembrerebbe un tratto specifico del pist. (Castellani 2000, 348) ma potrebbe anche essere un banale latinismo. Si aggiunga l’alternanza el/il nell’articolo (cfr. oltre, § 1.6.2), dove la forma el è lucch. e pis. (Castellani 1952, 41ss.). Non va dimenticato che lo strato meridionale può aver contribuito alla mancata chiusura della atona. Di ragione meridionale sarà senz’altro la [e] in retornarò 25.1, in protonia sintattica in de ‘di’ 8.3, 9.5, 14.3 (tot. 9), en ‘in’ 16.2, 72.4 (bis)18, nei clitici me volete 4.2, 18.3, te promecto 28.4, negli enclitici appelleriteme 10.2, comandamote 66.3, credendose 50.2, menateme 2.4, torrte 5.4, vogliame 53.1, in posizione interna in ordene 40.1, ricevemento 25.1. Per [o] protonica si segnalano le alternanze: occidere 5.4 / ucci1.3, 22.3, 50.2 (tot. 5), odito 5.3 / ud- 2.5, 6.1 13.1 (tot. 35). Da AUsempre agosto 55.2, 59.1: non è attestato dunque il tipo tosc.occ. ogosto (Castellani 1952, 47ss.; 2000, 292). Manca il tipico stigma pis. -ul- (Castellani 1952, 47ss.; 1965, 293; 2000, 295): avolo 22.3, içola 0.2, 57.1, 59.4, 64.3, isola 1.3, 14.1, 31.3 (tot. 10), ysola 72.3, pericolo 5.3, 21.7, 25.2, picciolo 65.2, piccolo 23.2, popolo 14.3, 52.1 (bis), 53.4; l’unico periculo 18.6 sarà latinismo o meridionalismo. I dialetti tosc.occ. conservano più a lungo del fior. i dittonghi discendenti (Castellani 2000, 287ss.). Nel nostro testo troviamo aitare 46.3 ma atato 47.2, aterrebbe 7.2, aterrò 26.7, piatire 17.6. Sarà dovuta ad allungamento compensatorio la geminata in actare 29.1, 48.219. Alternanze nella chiusura della [e] in iato: neente 1.3, 7.1, 10.2 (tot. 12) / niente 20.5, 53.1, 55.4, 62.3; neuno 27.4, 41.4, 68.2, nneuno 70.3 / niuna 17.4, 23.3, 37.3, niuno 6.6, 18.2, 67.7. In posizione finale si segnalano i meridionalismi promicte 9.2 18 19

Ma negli ultimi due casi si potrebbe anche leggere e ’n ‘e in’. Il TLIO s.v. aitare segnala alcuni casi di -tt-. Una delle due forme della Leggenda è però lemmatizzata sotto attare < APTARE, raro latinismo che mal si spiega nel nostro testo.


NOTA LINGUISTICA

225

(‘prometti’) e tuctu 9.6, 27.3 (tuctu ’l il facto [sic], tuctu ’l facto). Si aggiungano i due articoli lu 31.6, 37.2, sempre nella consecuzione mess(ere) lu.... La -e di Come lo mi fareste tu? 24.1 potrebbe anche essere dovuta alla frequente oscillazione tra seconda persona sing. e plur. nell’allocuzione. Comunque sia, la presenza di -e < -I fa pensare al nap., il casi di -u da -U piuttosto all’area mediana, anche se una [u] finale in nap., soprattutto in protonia sintattica, non è da escludere. 1.4. Consonantismo 1.4.1. Occlusive Non sorprende la sonora in podere sost. 12.3, 23.2 (bis, tot. 6) né l’alternanza sagro 53.7 / sacrame(n)to 10.1, secreto 4.1, 4.4, 14.4, 29.2 / segret- 16.2, 28.1, 43.3. Più raro – ma non ignoto al tosc. duecentesco (Rohlfs § 205; Cella 2003, 24) – l’isolato savia ‘sapeva’ 45.2. Troviamo la sorda in poco 44.8, 72.4 (bis), reca 34.4, recano 62.5, recha 40.4, recharò 25.1, recherò 27.2, secondo 51.3. Non sono dunque rappresentati il tosc.occ. pogo (Castellani 1952, 47ss.), il prat., pist., lucch. regare (Castellani 1952, 47ss.; 1965, 304; 2000, 295) e il lucch. e pis. segondo (Castellani 1952, 47ss.). Notevole fadica 31.6, che dev’essere forma ibrida, giacché il lucch. ha fadiga20. 1.4.2. Esiti di C, G + vocale palatale Il mancato assorbimento di G in magestro 2.6, magistro 0.1, 3.2 (mai maest-; mastra 44.5) sarà un fenomeno latineggiante ma potrebbe anche risentire del pis. maiestro (Castellani 1952, 41ss.). In obbedienza alle condizioni pis., lucch., pist. (Castellani 2000, 287ss.) NG non passa a [ÕÕ] in piange 0.1, piangere 6.1, ristrenge(r)e 54.1. La conservazione della velare in disco(n)noscuto 21.2 (contro co(n)nosciuti 33.1) sarà di ragione meridionale (cfr. Barbato 2001, 201s.). 1.4.3. Esiti di TJ, S Da TJ abbiamo per lo più <ç> (<c>): ançi 17.6, 32.7, 34.2 (tot. 9), dinanci 53.4, dinançi 2.4, 2.5, 3.1 (tot. 10),

20 Nel Leggendario della Bibl. Governativa di Lucca si legge anche fadicha, ma in questo testo <ch> vale spesso [g] (Castellani 1965, 302 e n.). Per la possibilità di <c> con valore di [g], cfr. Castellani (1952, 18).


226

MARCELLO BARBATO

inançi 21.7, 35.1, 72.4, innaçi 49.5, innançi 31.8, 31.9, 32.7, 33.3; credença 4.1, 9.5, 11.5 (tot. 12); força 19.1, 32.6, 50.2, 54.1; forteçça 44.5; Lançone 48.5; leança 14.2; Malençça 50.1; março 44.1; piaça 44.4; puçuolo 5.2; rivere(n)ça 3.2; sança 23.3, 65.6, 67.7 (bis); sforçava 44.3; terço 16.1, 35.4, 51.1 (tot. 5); Vale(n)ça 14.1, Valença 66.1.

Ma non mancano casi di <s>: docta(n)sa 21.8, doctansa 61.1; Malasso 50.2; mosserei ‘mozzerei’ 41.4; passo ‘pazzo’ 5.4, 23.1; possansa 6.5; sforso 38.4, 49.1.

Da -S- invece abbiamo per lo più <s>: Artese 48.5; bisongne 47.1; casa 0.1, 16.1, 17.2 (tot. 7); ccosie, 68.2, ccosie 69.2, 70.2, 70.3, cosie 59.3, ccosì 54.3, 67.3, così 2.6, 4.3, 9.4 (tot. 23); co(m)mise 0.1; cosa 13.3, 17.4, 27.4 (tot. 6), cose 31.7, 44.8, 50.3; crucciosi 68.2, cruccioso 46.1, 48.3, 53.6 68.1, crucioso 32.1; disideramo 66.4, disideremo 56.1; Gierusalem 64.1; i(m)presa 1.1, impresa 41.3, impreso 13.2, inpresa 62.2; intese 3.1; isola 1.3, 14.1, 31.3 (tot. 9), ysola 72.3; llebrosi 17.1; malave(n)turusi 11.2; mese 36.3, 43.3, 44.1 (tot. 7), mesi 3.3, 54.5, misi 5.3; messenesi 54.4, 57.1, messinesi 50.2, missenesi 49.3, 49.6; miseri 17.1, misericordia 49.3; misesi 2.1; offesa 49.5, offeso 10.3; paese 11.1, 58.2; paurosi 31.10; pericoloso 5.3; perilglioso 0.1; pesare 29.2, pesato 30.2; Pisa 26.3, pisani 31.1, 71.2; prese 21.1, 33.2, 44.2 (tot. 6), presene 71.2, presero 43.3, 67.1; presentarono 67.1, p(re)sente 42.1, presente 57.1, 64.2, p(r)esente 66.4, presentò 35.3, 50.4; Pulliesi 3.3; puose 49.2, puosellelli 24.2; quasi 31.10, 45.1, 53.1; rimaso 31.2; Risorresso 44.1; rispuosero 53.6, rispuose 2.3, 7.2, 25.1; scesi 10.4; spese 23.3; suso 61.2, 62.3; tesoro 4.4, tresoro 9.4; tornesi 38.2, 48.3, tornisi 37.4; Tunisi 55.1; uccisende 50.2, uccisero 22.3.

Ma non mancano casi di <ç> (<c>): biçogna 8.2, 36.5 (bis, tot. 6), bicogne 63.1, biçogne 43.3, 47.4, biçogno 37.1, 41.3; fiçica 2.6; guiça 11.1, 27.5; içola 0.2, 57.1, 59.4, 64.2; paeçe 53.1; uçare 44.2, uçato 53.3, uço 51.3, 53.1.

Si verifica dunque una convivenza del sistema fior.-merid. e di quello lucch., con prevalenza del primo: TJ

S

lucch.

/s/ <s>

/z/ <ç>

fior.-merid.

/ts/ <ç>

/s/ <s>


NOTA LINGUISTICA

227

Nella rappresentazione dell’esito semidotto [tsj]/[sj] abbiamo per lo più <ti>: a(n)nutiamo 51.3, annutiandovi 51.3, a(n)nutio 53.6; b(e)n(e)dictione 20.1; Branditia 49.1; distrutione 28.2; gratia 0.1, 40.2, 66.1, gratie 37.1; iustitia 51.3; letitia 41.5; petitione 48.3; ri(n)gratiamo 31.6, ringratiamo 41.3; servitio 2.6; spitiale 46.5, spitialme(n)te 23.1; stantiato 69.2.

In un caso compare <çi> (co(n)teçione 49.6), in un caso <si> (distrussio(n)e 8.1). 1.4.4. Gruppi consonantici Da X abbiamo lasci 32.7, lascia 62.4, lasciare 32.3, lasciò 22.2, 70.1, contro il solo lassasti 68.2: la forma non palatalizzata potrebbe essere merid. ma anche tosc.occ. (lucch., pis., pist.: Castellani 1952, 41ss.; 2000, 304). La forma isolata sinificare 36.5 potrebbe riflettere l’esito centromeridionale del nesso GN, cfr. in particolare camp.sett. léna ‘legna’, sin ‘segno’, laz.merid. léna, séno, abr. lèna (Rohlfs § 259). Assimilazione meridionale ND > [nn] in banno 10.2, mannuchi 53.521. Alternanza onde 2.3, 12.4, 31.8 (tot. 5) / one 0.1; vida(n)da 54.3, vidande 60.3, 62.5, vivanda 67.7 / vidanna 61.2. Notevole l’ipercorrettismo vende 55.1, 72.1 ‘venne’ (ma vene 44.2, 72.1, venne 11.1, 16.2, 26.3, tot. 14). Velarizzazione di [l] preconsonantica in dall’autro 10.4 (altrimenti sempre altr- anche preceduto da [l]). Il fenomeno è prat., pist., lucch., pis. (Castellani 1952, 47ss.) e può aver ricevuto appoggio dallo strato merid. (Rohlfs § 243). 1.5. Fenomeni generali Su fornire 18.5, 43.5 prevale il metatetico froni- 23.3, 25.1, 28.5 (tot. 5), che non ha altri riscontri nel corpus TLIO. Alternanza tra forma piena e aferetica in inimici 27.2, 31.6, inimico 31.9, nimici 27.4, 28.3 (bis, tot. 5). Aferesi comune anche in Talia 1.2. Il tipo vida(n)da 54.3, vidande 60.3, 62.5, vidanna 61.2 (contro vivanda 67.7) – adattamento del fr. viande con [d] anti-iatica – è mediano, meridionale ma anche tosc. (Barbato 2001, 328). 21 Ma va detto che il primo potrebbe risentire di franc.a. ban/lat.mediev. bannus (LEI Germ 1, 173ss.) e che, quanto al secondo, il tosc. conosce il tipo ridotto manuc- (cfr. corpus TLIO).


228

MARCELLO BARBATO

La mancata sincope in agevoleme(n)te 11.5 è tosc. comune (Castellani 1960), mentre di tipo fior. è l’asincopato diricto 28.1 (Castellani 1952, 53ss.). Assente l’epentesi tipicamente fiorentina (Castellani 1952, 53ss.) in medesmo 38.3, 72.4, medessmo 50.4 e in masnada 5.6. 1.6. Morfologia nominale 1.6.1. Nome Il suffisso galloromanzo -ier (< ARIU, -ARIE, -ERIU) è adattato per lo più come -ieri, più di rado come -ere, -eri, -iero: cavalieri 31.2, 32.9, 34.3 (tot. 5), cosilglieri 3.2, guerrieri 43.4; mestieri 2.4, 46.4, mistere 67.7, misteri 11.2, 67.2; pensero 1.4, pensieri 60.1, pensiero 12.4; volente(r)i 16.3, volintieri 23.2, volonteri 2.3, 2.5, 18.1 (tot. 5), volontieri 32.4, 36.5.

La forma in -i è di tutta la Toscana salvo Firenze (Castellani 1952, 41ss.); i casi di assenza di dittongo saranno dovuti allo strato meridionale. Nel plurale dei nomi femminili di III classe alternano -e e -i: le chiave 50.5, gra(n)de proferte 37.1, nave 28.5, ragione 32.8 / navi 5.6, 31.1, parti 2.2, 48.1, quali parti 40.3, ragioni 47.2, torri 4.4, 10.422. L’uscita in -e è tipica del pis. ma non è ignota al lucch. (Castellani 1965, 308). 1.6.2. Articolo Per l’articolo maschile singolare preconsonantico distinguiamo: a) posizione postvocalica, b) posizione postconsonantica, c) posizione ad inizio di frase23: a)

el 0.2, 1.1, 4.2 (tot. 8), il 0.1, 1.1, 1.3 (tot. 70), ’l 0.1, 0.2 (bis, tot. 35), Ø 5.424, lo 12.3, 43.5, 44.8 (tot. 5)

22 Tralascio salute 51.1 che potrebbe essere formato da un metaplastico saluta (cfr. B § 11; GAVI). 23 A queste e alle forme che seguono vanno aggiunte quelle dopo preposizione elencate nel paragrafo seguente. Si tralasciano ovviamente lo ’mperatore e simili. Non contati: tuctu ’l il facto 9.6, il meno ‘almeno’ 32.4, il p(er)ché 46.2. 24 Per la coalescenza dell’articolo vd. Nota ai testi, § 1.9.


NOTA LINGUISTICA

b) c)

229

lo 5.2, 20.2, 22.2 (tot. 37), lu 31.6, 37.225 el 5.4, 42.1, 50.4 (tot. 5)26, il 2.6, 8.2, 9.2 (tot. 7), lo 6.1, 31.7, 36.1 (tot. 8)

Per quanto riguarda la sostanza fonetica, el è lucchese, lu meridionale (vedi sopra, § 1.3.2). La distribuzione dei tipi il (el, ’l) e lo (lu) è però pienamente toscana. Rispetto alla norma arcaica il tipo il si è emancipato e può ricorrere anche all’iniziale assoluta: siamo in presenza dunque di quel sistema misto che si afferma in tosc. tra XIII e XIV e in it.sett. tra XIV e XV sec. (Vanelli 1992). Nel caso dei lessemi re, reame, regno c’è una maggiore resistenza della forma lo (eventualmente llo per raddoppiamento fonosintattico): a) c)

el 5.4, 72.4, il 1.3, 8.1, 20.3 (tot. 36), ’l 5.4, 18.3, 35.1 (tot. 10), lo 0.1, 6.5, 20.2 (tot. 15), llo 21.5, 22.3, 42.1 (tot. 6) el 65.7, il 19.1, 21.2, 49.1 (tot. 6)

Queste le forme dell’articolo maschile plurale davanti a consonante: a) b) c)

i 2.2, 2.7, 3.2 (tot. 31), Ø 20.2, 32.9, 38.2 (tot. 7)27, li 47.1, lli 44.6 li 11.5, 12.1, 20.2 (tot. 5)28 i 2.5, 3.3, 50.2

Analogamente a il, i può ricorrere all’iniziale assoluta, anzi è l’unica forma in questo contesto. Si ricordi che l’affermazione di i al posto di li è parallela ma un po’ più tarda di quella di il in luogo di lo (Vanelli 1998, 238s.). 1.6.3. Preposizioni articolate Distinguiamo: a) forma singolare prevocalica, b) forma femm. sing. preconsonantica, c) forma femm. plur. preconsonantica, d) forma masch. sing. preconsonantica (salvo il caso seguente), e) forma masch. sing. preconsonantica davanti a re e sim., f) forma masch. plur. preconsonantica, g) forma masch. plur. prevocalica29: 25 26 27

Dopo per e messer. Ma si potrebbero anche interpretare come e ’l. In alcuni casi tucti potrebbe valere tuct’i (tucti rubelli 15.2, tucti baroni 59.4, 65.1, 65.7, 68.2, tucti lengni 67.2, 67.4), ma cfr. tucte cose 26.4, tucte ragioni 47.2, tucte parti 48.1. 28 Sempre dopo per. 29 Tra parentesi quadre le forme analitiche; dil nasce dalla chiusura di del e non da una formazione sincronica de + il (cfr. dill’oste).


230

MARCELLO BARBATO

a) b) c) d) e) f)

all’ 31.4, 41.4, 70.1, a l’alt(r)o 53.530 alla 6.4, 14.2, 25.1 (tot. 18)31 alle 4.4, 14.4 al 1.3, 1.4 (bis, tot. 59), a· magiore 65.2 al re 6.4, 9.2, 21.3 (tot. 24), a· re 38.2, 65.232 a’ 6.4, 25.1, 27.1 (tot. 5)

a) b) c) d) e) f) g)

coll’aiutorio 28.2 colla 19.1, 21.2, 67.1 colle 54.4, 67.1 col 2.3, 4.1, 5.2 (tot. 10) col re 1.1, 6.3, 21.2 (tot. 8)33 co’ ciciliani 26.2, colli baroni 67.1 colli altri 58.1

a) b) d) e) f)

dall’autro 10.4 dalla 0.2, 40.2, 53.6 (tot. 7)34 dal 19.5, 21.1, 50.4, da· 54.4 (bis) dal re 26.2, 28.5, 36.3 (tot. 12) da’ 2.7, 3.3 (bis), 53.535

a) b) c) d) e) f) g)

dell’ 14.1, 22.1, 40.1, dill’oste 54.4 della 5.3, 16.1, 18.3 (tot. 28)36 delle 6.5, 10.4, 14.1 (tot. 7) del 0.2 (bis), 2.7 (tot. 42), dil tesoro 4.4, dello Risorresso 44.1 del 2.2, 2.7, 4.4 (tot. 26), dil re 38.3, de· regno 2.6, 17.1 de’ 14.3 (ter), 24.2 (tot. 9), delli suoi fedeli 57.1 [d’i 2.7, 19.1, 28.2, 64.1] delli Orsini 16.1

a) b) c) d) e)

nell’ 1.3, 16.1, 31.3 (tot. 6), nello honore 47.2 nella 33.2, 41.3, 44.5 (tot. 5) nelle 37.1, 44.737 nel 1.1, 4.1, 11.1 (tot. 20)38 nel Regno 46.4

30 Probabilmente per interferenza meridionale, come mostra l’oggetto preposizionale: ugn’omo mannuchi l’uno a l’alt(r)o. 31 Anche alla Ecclesia che varrà [alla kkjesja], cfr. Barbato (2007, 145). 32 Anche ad re 40.2 vale probabilmente a rre = al re. 33 Anche con re 70.4 vale probabilmente col re. 34 Anche dalla Ecclesia. 35 Abbiamo stampato da’ davanti a possessivo col conforto di de’. 36 Anche della Ecclesia. 37 Nel secondo caso nelle eccl(esi)e. 38 In un caso apparentemente en + lo, che rimanderebbe piuttosto all’area aretina: 26.1 E· la partita di Maiolica.


231

NOTA LINGUISTICA

a) b) e)

sull’içola 64.2 sulla piaça 44.4, sulla terra 55.4 sullo reame 66.2

Abbiamo dunque: 1) alcuni casi di conservazione della forma forte preconsonantica da considerare come arcaismi (cfr. dello sacrato nel Ritmo lucchese: Formentin 2007, 49); 2) generalizzazione delle preposizioni articolate geminate, fenomeno che si verifica a Lucca sin dai testi più antichi, a Firenze solo nel Trecento (Castellani 2000, 314; 2002, 10s.). 1.6.4. Clitici Dopo vocale39 e davanti a consonante la forma debole del clitico accusativo maschile singolare prevale su quella forte (sono state contate anche le occorrenze in gruppo clitico): el

il

’l

lo

llo

17.7

21.5, 26.4, 27.4 (tot. 6)

17.7, 18r.2, 18.5 (tot. 11)

2.3, 17.3, 18.6 (tot. 12)

18.1, 23.2

Il testo rispecchia dunque la fase di compresenza di (i)l e lo con la stessa distribuzione delle forme identiche dell’articolo, propria dei testi tosc. del Duecento e dei primi del Trecento (Vanelli 1996, 254). Il dativo (normalmente lgli, li) in un caso è le 16.3, forma tipica del napoletano (Rohlfs § 458; Barbato 2001, 188 e n., con bibliografia). La forma di seconda persona plur. è quasi sempre vi, ma in un caso troviamo la forma più conservativa vo40: v’ 10.3, 43.4, 53.6 (tot.5), vi 11.3, 11.5, 16.2 (tot. 8), vvi 5.1, 34.4, 36.3, mandianvo 14.3, priegovi 2.3, 2.4 (vedi anche le occorrenze nei gruppi clitici nel paragrafo successivo). Queste le forme del clitico genitivo (si aggiungano quelle listate nel paragrafo successivo): proclitico ne 26.3, 28.6, 36.5 (tot. 8), nne 21.7, 65.5, n’ 3.3, 34.2, 41.5, 44.8 enclitico andonde 38.1, andonne 27.1, presene 71.2, uccisende 50.2

39 40

Non ci sono casi dopo consonante e (ovviamente) dopo pausa. Per la resistenza di vo a Lucca e a Pisa cfr. Castellani (2000, 314 e n.).


232

MARCELLO BARBATO

È noto che (n)de si conserva relativamente a lungo a Lucca, Pisa, Pistoia (Castellani 1952, 41ss.; 2000, 315). Nel nostro testo ne ha sostituito de in posizione proclitica e fa concorrenza a nde in posizione enclitica e in nesso con monosillabi: la relativa conservazione indizia Lucca piuttosto che Pisa (Castellani 1965, 312ss.). Va aggiunto che alla prevalenza di ne può aver concorso l’appoggio di una varietà meridionale che ha assimilato nde in nne; così si potrebbe spiegare la geminata non solo in posizione raddoppiante (che nne 21.7), ma anche non raddoppiante (e’ nne 65.5, andonne 27.1). 1.6.5. Gruppi clitici Questi i gruppi clitici secondo la griglia di Lombard ripresa da Castellani (1952, 79ss.): I

me ne

ci nd’ 31.8, me ne 48.4, mi nde 6.6, mi ne 24.1, 27.3, si nd’ 28.1, ssi nde 31.8, se ne 21.7, vi nde 11.5, vo ne 17.6, vi nne 36.5

III

me lo

la ci 32.5, la vi 18.4, vo ’l 65.4, llo mi 23.2, lo ve 18.6, lo mi 24.1, lo ti 46.4, lla s’ 49.4, lo s’ 65.4, toglielami 69.1

IV

glielo

glil 40.3, glile 69.1, lglile 65.4

gliele

puosellelli 24.2

V

gli si

si lgli 59.2, lli si 65.6

VI

mi gli

ditelmi 41.5

VII

ne lo

(no) nde ’l 48.4, ne llo 18.1

VIII

mi si

vi si 26.5

IX

mi ti

mi v’ 7.2, vi ci 14.2

L’ordine I è costante in tutte le varietà; il tipo fonetico mi ne (accanto a me ne), diffuso in tutte le varietà salvo in lucchese, è il tipo più antico in fiorentino. In III predomina l’ordine fior. noto anche a Prato e Pistoia. In IV troviamo per lo più il tipo fior. invariabile lo/la/li/le + li > glile; in un caso troviamo il tipo discreto -le + li > -llelli (la seconda geminata esprime probabilmente la palatale, per la prima vedi subito oltre). In V troviamo alternanza tra fior. gli si e tosc. comune si gli, in VII il tipo tosc. comune ne lo (contro fior. lo ne). In ne llo è conservata la geminata [ll] costante in lucch. nelle combinazioni clitiche (Castellani 1966). La geminata si conserva anche quando l’ordine originario lascia posto a quello fior.: *me llo > llo mi, *se lla > lla s’,


NOTA LINGUISTICA

233

*-glille > -llelli, *se lli > lli si (ma qui la geminata potrebbe rappresentare la palatale). 1.6.6. Possessivi e numerali Notevole miei femm. plur. 37.1 (senza controcasi): per miei tuoi suoi ambigeneri in pis., lucch e pist. cfr. Castellani (2001, 289 e 315). Accanto a due 2.2, 3.3, 21.4 (tot. 6, sempre con sost. masch.), troviamo duo mesi 54.5, probabile latinismo, da tenere separato dalla forma popolare fior. che si afferma nel sec. XV (Rohlfs § 971; Castellani 1957, 400 e n.). 1.7. Morfologia verbale 1.7.1. Imperativo Alla seconda pers. dell’imperativo di II classe troviamo alternanza tra -e e -i: credi 20.4, mecte 34.2, vedi 28.4. La conservaz. di -E è pis. e lucch. (Castellani 2000, 287ss.) anche se non si può escludere l’influsso meridionale. 1.7.2. Presente Queste le forme della 2a persona: I II

indugi 67.8, mostre 19.2, mostri 23.2, pensi 5.4 mecti 17.1, promicte 9.2, vuoli 11.6, 19.2, 19.4 (tot. 6)

Il fior. duecentesco oppone ame a odi (Castellani 1952, 53ss.). Sconsiglia tuttavia di considerare mostre come tratto fior. il sicuramente meridionale promicte. Alla 4a pers. troviamo: I

II

disideramo 66.4, diffidanti 66.4, mandianvo 14.3, miraviglianci 66.2, passiamo 68.2, 69.2 (sempre imper.), pensiamo 32.4, 60.3 (imper.), preghia(n)ti 20.2, ri(n)gratiamo 31.6, ringratiamo 41.3, singnifichamo 64.1, stiamo 17.6 (imper.) abbiamo 12.3, 28.5, diciamo 2.6, diciamvi 2.7, dovemo 14.2, 47.2, potemo 11.4, 60.3, siamo 5.1, 11.4, 68.2, volemo 52.3, 52.4, 53.5, volgliamo 40.3

L’alternanza -iamo/-emo nella seconda classe è comune a Firenze e alle varietà occ. (Castellani 1952, 117ss.). Nella prima classe la desinenza -iamo è quasi generale: -amo può essere un arcaismo di area laterale toscana o un meridionalismo (Rohlfs § 530).


234

MARCELLO BARBATO

Alla 6a pers. troviamo in un caso volglia·me 53.1 ‘mi vogliono’: per l’estensione della desinenza di prima classe in pis. e lucch. cfr. Castellani (2000, 321). Forme particolari: dè 35.3, dèe 32.3 < DEBET41; di’ 18.1, 23.2 (bis), die 23.2 / dici 24.4 < DICIS42. Dal corpus TLIO le alternanze seguenti risultano attestate in toscano: dicete 32.1 (cfr. anche l’erroneo dicte 5.1) / dite 12.2; facete 66.4 (ma potrebbe essere un errore per faceste, cfr. gli altri testi) / fate 36.3. 1.7.3. Imperfetto Queste le forme di terza persona dell’imperfetto di II classe: 3a 6a

avea 1.1, 1.2, 15.2 (tot. 26), dovea 65.4, doveva 67.5, parea 65.3, potea 61.2, 61.3, 65.2, sapea 17.7, 48.1, savia 45.2, sedea 16.1, tenea 72.3, volea 3.1, 32.9, 49.4 aveano 3.3, 31.1, 32.9 (tot. 7), avevano 6.5, credeano 59.1, diceano 24.2, doveano 49.3, poteano 31.7, teneano 53.7, 71.3, voleano 32.9

Assente dunque l’alternanza tra avea e aviano comune in tosc. (Castellani 2000, 287ss.). Spicca savia che anche il consonantismo denuncia come forma di sapore letterario. Alla III classe troviamo regolarmente venia 2.2, 2.3 (veni’ 67.5), usciano 70.4. È costante era: non compare dunque mai iera, presente nei testi fior. fino alla prima metà del XIV sec. (Castellani 1952, 53ss.). 1.7.4. Perfetto debole 3a 6a

3a a 6

I classe sempre -ò acco(n)ciaro 70.4, andanro [sic] 55.2, andaro 4.4, a(n)daro 33.1, andarono 33.1, cchiamaro 35.2, chiamaro 54.5, fermaro 47.4, formaro 32.8, grida(r)o 44.6, gridaro 65.7, mandaro 50.3, 67.4, mandarono 49.3, menaro 3.2, miravilgli(r)o [sic] 65.1, ordinaro 47.4, pensaro 10.4, portaro 63.1, presentarono 67.1, tornaro 44.4, 47.4, 49.6, trovaro 31.1 II classe co(n)cidecte 55.4, arendio 44.6, ricevecte 3.243 credectero 71.2

41 42 43

Per l’accento vedi Nota ai testi, § 1.9. La forma tronca sarà dovuta ad equiparazione all’imperativo (cfr. dite). La forma mecte 11.1 sarà presente storico, cfr. 2.1 Allora si parte miss(er) Gianni.


NOTA LINGUISTICA

3a 6a

235

III classe fedio 71.2, morio 72.4 (ter), obbedio 17.8, obidio 17.4, p(ar)tì 19.5, p(ar)tio 15.1, partio 27.5, 43.1, 46.6, partìsi 10.1, 26.2, 38.1, sbigoctio 69.1, udì 13.1, 32.1, 42.1, udio 24.2, 29.1, 35.1 (tot. 18), uscìsi 53.7 assalgliro 44.5, morioro 72.4, partiro 15.3, 49.6, partirono 33.1, 35.2, partirosi 67.1, udiro 42.2, udiron 57.2, udirono 35.5, 53.4, 63.1 (tot. 5), usciro 50.2 (bis), uscirono 70.4

La confusione di II e III in arendio dev’essere di origine meridionale. Alla III classe manca il tipico -itte pisano. Il passaggio -io > -ì, prodottosi originariamente prima di enclitico (Castellani 1952, 146), si estende anche in altri contesti, anche se il tipo originario rimane maggioritario. Si noti anche la prima pers. dis(er)vio 69.1, dovuta a confusione con la terza pers., ben attestata in tosc.a. (Rohlfs § 571). Alla 6a pers. l’alternanza -aro/-ar(o)no e -iro/-ir(o)no è normale a quest’altezza, andanro sarà un errore per *andarno, maravilgli(r)o per *maravilgliaro. Nella III classe -ioro, per quanto meno frequente di -iono, è attestato in lucch.a. (Castellani 1965, 317ss.). Accanto ai tipi normali si segnala un dimorai 55.1 e un co(n)silgliano 54.1 che, dato il contesto, e visti i testi paralleli, si possono interpretare rispettivamente come ‘vi dimorò’ e ‘consigliarono’, riflettendo così un tipo lucchese o comunque occidentale (Salvioni 1905, 265; Castellani 2000, 327 e n.). Nel primo caso si può pensare anche all’effetto convergente del nap. -ai < -AVI (cfr. Barbato 2001, 213 n. 158, con bibliografia). 1.7.5. Perfetto forte 3a

diede 71.3, 72.3 (bis), dievvi 55.1, ebbe 21.8, 32.8, 56.2, 61.1, giunse 2.2, 27.1, 43.3 (tot. 5), infinsesi 31.2, intese 3.1, ipacque [sic] 1.4, misesi 2.1, mosse 27.1, 55.1, 58.1, parve 31.10, piacque 43.6, 47.4, prese 21.1, 33.2, 44.2 (tot. 6), presene 71.2, puose 49.2, puosellelli 24.2, rispuose 2.3, 7.2, 25.1, seppe 67.5, tene 59.3, tenne 41.2, tennesi 71.3, tolse 41.1, 48.1, 52.6, trasse 14.3, 24.2, uccisende 50.2, vende 55.1, 72.1, vene 44.2, 72.1, venne 11.1, 16.2, 26.3 (tot. 14), venneli 1.4, 45.1, vidde 26.4, 33.2, 54.1, vidd(e) 67.1, vide 29.1, vole 17.8, 48.3, 59.3, volle 17.6, volse 49.4

6a

diederla 65.7, disero 2.5, disseno 2.5, 35.5, dissero 11.4, 11.6, 31.1 (tot. 10), ebbeno 49.6, ebbero 15.1, feceno 70.3, fecerli 35.3, fecero 19.4, 31.4, 41.2 (tot. 7), ffecero 44.8, 54.4, 65.7, giunsero 55.2, mossero 3.2, 70.3, piansero 11.4, presero 43.3, 67.1, rispuosero 53.6, sco(n)fisserli 50.2, stectero 44.3, 49.6, 54.5, tenneno 44.6, te(n)noro 50.3, trassero


236

MARCELLO BARBATO

44.3, uccisero 22.3, venero 43.3, 70.4, vennero 27.2, 35.2, ve(n)nero 59.4, viddero 49.3, 70.4, videro 44.8

Desinenze: l’uscita -eno è a quest’altezza pis. e lucch. (Castellani 1952, 47ss.; 1965, 319ss.); per la desinenza -oro, non particolarmente caratterizzante, cfr. Castellani (1952, 117ss.) e le importanti osservazioni di Serianni (1977, 83 e n.). Temi: ci si può chiedere se la scempia in tene, vene, vole sia solo grafica o sia dovuta a un’estensione del tema del presente. Da notare vidde, tipo, oltre che aretino, pisano e lucchese (Castellani 2000, 334 e 445). Nel verbo ‘essere’ è normale l’alternanza tra furo e fuoro: 2a pers.: fosti 66.2; 3a pers.: fu 3.1, 3.2, 9.3 (tot. 34), fue 27.1, 41.1, 48.5 (tot. 20), ffu 43.2, ffue 31.3, 49.2,59.3; 6a pers.: fforo 71.2, fuoro 2.5 (bis), 13.4 (tot. 14), ffuoro 38.2, 44.4, fuorono 49.3, 53.4, 54.4 (tot. 6), furon 15.1, furono 31.10, 44.7.

1.7.6. Futuro 1a

2a 3a 4a 5a 1a 2a 3a 4a 5a 6a

I classe andarò 37.3, anderò 35.1, aterrò 26.7, ce(r)cherò 9.6, mosterò 25.1, ordinerò 26.2, parlerò 37.2, pensarò 58.2, p(er)donerò 53.2, pilglierò 24.6, porterò 19.3, recharò 25.1, recherò 27.2, retornarò 25.1, tornerò 70.2 manderai 55.4 levarà 62.2, ordinerà 12.1, passarà 28.6 co(n)silgleremo 58.2, maderemo 62.4, mandarimo 62.5, manderemo 52.5, pe(n)seremo 36.2, seguiteremo 11.6, vendicheremo 8.3, vendich(e)remo 27.4 appelleriteme 10.2, giurerete 9.5, pregheretelo 37.4 II classe mecterò 8.1, terò 21.5, terrò 18.7 potrai 23.3, rima(r)rai 67.7, vorrai 46.4, 16.2 ave(r)rà 28.6, averà 58.2, 69.2, avrà 41.5, devrà 28.5, pa(r)rà 10.3, piacerà 6.6, 24.6, rimarrà 67.3, saprà 10.3, 37.3, torrà 9.2, 32.5, vorà 36.2, vorrà 34.3, 55.5 averemo 32.4, 60.2, 62.2, averimo 54.3, 67.3, mecteremo 52.5, riavremo 34.1, terremo 32.5, vederemo 36.2, 62.7, vederimo 52.5, ved(r)emo 31.9, videremo 31.9 moverete 11.3, potrete 43.5, vederete 13.3, viderite 66.4, vorrete 19.1, vorrite 32.5 avera(n)no 26.7, romperanno 67.8


NOTA LINGUISTICA

1a 2a 3a 4a 5a 6a

237

III classe p(ar)terò 9.6 udirai 55.5, verrai 55.4 co(n)verà 36.2, co(n)ve(r)à 12.1, co(n)ve(r)rà 58.2, co(n)verrà 62.6 usceremo 27.4, verremo 72.4 udirete 34.3 usceranno 70.2

Per l’alternanza -ar-/-er-, e le desinenze -imo, -ite vedi sopra (§§ 1.3.1-2). La sincope tra ostruente e [r] appare facoltativa secondo condizioni fior., mentre in Toscana occidentale, compresa Pistoia, è regolare (Castellani 1952, 53ss.). Manca il tipo tosc.occ. arò (Castellani 1952, 47ss.). La geminazione di -r- in aterrò, averrà (e vedi subito oltre farrà e sarrà) è attestata in it.merid. già nel Due-Trecento, in tosc. solo più tardi (Rohlfs § 587; Barbato 2001, 218s.). Lo scempiamento di -r- in terò, vorà, converà potrebbe essere puramente grafico ma anche analogico agli altri casi bisillabici arà (darà, farà), dirà, sarà. La comparsa del tema -er- alla III classe è fenomeno regolare a Pisa, sporadico a Lucca (Castellani 2000, 329). Ci può essere anche qui una convergenza con condizioni meridionali (Barbato 2001, 218s.). Casi particolari: 3a pers.: daralgli 9.2; 4a pers.: daremo 39.3, 40.3, 52.3 1a pers.: dirò 9.2, 10.3, 11.5, 21.7; 2a pers.: dirai 46.5; 5a pers.: direte 41.3, diretegli 41.3, 41.4 (bis) ‘fare’ 1a pers.: farò 9.2, 18.3, 18.4 (tot. 5), farolo 19.4, ffarò 35.1; 3a pers.: farà 19.1, 58.2, ffarà 62.7; 4a pers.: faremo 27.3, 27.4, 36.2 (tot. 6), farremo 52.5, ffarello 67.3; 5a pers.: faretelgli 34.3, farite 10.2, farrete 51.3; 6a pers.: farranno 2.5 ‘essere’ 1a pers.: sarò 8.1, 57.1; 3a pers.: sarà 6.6, 18.5, 28.5 (tot. 7), sarae 65.5, sarrà 67.7, serà 57.1, sserà 68.2, 71.1, fia 31.9 (bis), 34.1, fie 28.6, 69.2; 4a pers.: saremo 11.4, sarremo 52.4, 58.2; 5a pers.: sarrete 12.1; 6a pers.: saranno 28.5

‘dare’ ‘dire’

Il tipo serò scompare in fior. alla fine del Duecento ma si conserva più a lungo nelle altre varietà (Castellani 1952, 114). 1.7.7. Condizionale 1a

I classe dimorerei 2.3, mosserei 41.4, mosterei 18.6


238

MARCELLO BARBATO

2a 3a

maravigliaristi 42.244 aterrebbe 7.2

1a 2a 3a 5a 6a

II classe crederei 24.1, vorrei 16.2, 21.4, 30.1, vorria 60.2 mecteristi 7.1, vederesti 64.2, vorresti 68.2, vorrestiti 22.1 potrebbe 12.2, 19.3, 23.2, 35.5 dovreste 17.6 avrebeno 49.5

3a

III classe serverebbe 16.3, verrebbe 57.1 Casi particolari

1a pers.: direi 18.6, 37.3 1a pers.: farei 18.1, farrei 53.2; 2a pers.: fareste 24.145; 3apers.: farebboro 56.2, ffa(r)ebbero 61.3 ‘essere’ 2a pers.: saristi 21.7; 3a pers.: sarebbe 7.2, 25.2, sarrebbe 53.5

‘dire’ ‘fare’

Dunque in un caso compare il condizionale in -ìa, che sarà di origine merid. perché in tosc. a questa altezza è piuttosto poetico (cfr. Barbato 2001, 219 e n.; Manni 2003, ad indicem). Per il resto il quadro è coerente con quello appena visto del Futuro. Per la desinenza -isti vedi § 1.3.1, per -eno vedi § 1.7.5. 1.7.8. Congiuntivo presente 1a 2a 3a 5a 6a 1a 2a 3a

I classe porti 48.4 meni 47.3 disco(m)bri 65.5, doni 0.1, espii 20.2, lasci 32.7, mandi 65.6, mannuchi 53.5, p(er)done 52.4, 72.4, p(er)doni 41.5, 52.6, pilgli 62.5, sgombri 55.4 menateme 2.4 p(r)ocaccino 26.7 II-III classe fugga 10.3 debbbi [sic] 64.2, debbi 66.3, perischi 67.7, sappie 21.7 (imper.), vadi 47.3, vegni 20.2 debbia 37.4, 62.4, dica 40.3, faccia 6.2, 39.2, 42.2 (tot. 5), fugga 62.3, 44 45

Il senso vorrebbe maravigliaronsi. Per la -e finale cfr. 1.3.2.


NOTA LINGUISTICA

4a 5a 6a

239

increscati 17.1, piaccia 8.3, 46.4, piacciati 17.2, 20.5, piacciavi 56.1, possa 18.2, 18.5 (bis, tot. 5), puossa 4.1, ritegna 17.1, senta 20.4, 25.2, tenga 53.1, tengna 31.8, vada 31.8, 31.9, 32.7 (tot. 7), vegna 29.2, vengia 24.6, vengna 67.9, volglia 18.4, 31.8, 60.1 possiamo 14.3 debbiate 51.2, debiate 14.3, 36.4, 51.3, facciate 56.1, rispondiate 65.3, sappiate 31.7, 34.3, 34.4 (sempre imper.), tengnate 27.3, 27.4, vegnate 56.1, volgliate 11.5 (bis) difenda·si 53.3, facciano 53.3, renda(n)o 46.5

Sono meridionalismi perdone e menateme (Barbato 2001, 210s.). In sappie troviamo il tipo fior. e pist. che già al volgere del sec. XIII cede a -i o -a (Castellani 1952, 53ss.). Casi particolari: il tipo tosc. comune dia 40.2 si oppone al fior. steano 57.1, 65.846; queste le forme di ‘essere’: 2a pers. sii 24.3; 3a pers. si’ 4.1, sia 4.3, 9.4, 21.9 (tot. 16), ssia 2.6, 2.7, 12.3 (tot. 9), sie 10.2, 19.2, 35.1; 5a pers. siate 47.2; 6a pers. siano 20.2. 1.7.9. Congiuntivo imperfetto 1a 2a 3a

5a 6a

avesse 13.2, potesse 7.2 facessi 24.1, 64.2 acconciasse 47.4, aco(n)ciasse 43.2, a(n)dasse 65.6, avedesse 31.2, avesse 22.1, 36.1, 54.1, 65.2, cavalchasse 38.3, 48.5, dicesse 41.4, dovesse 13.2, 32.8, 35.3 (tot. 14), levasse 7.1, potesse 1.3 (ter, tot. 5), richedesse 53.7, sentisse 21.7, tenesse 38.4 (bis), uscisse 70.3, venesse 1.4, 61.1, volesse 2.3 voleste 56.2 acordassero 31.10, anco(n)ciassero 63.1, andassero 57.1, devesseno 31.3, dicessero 57.1, dovesseno 43.3, 47.1, 49.3, dovessero 15.1, 50.5, 52.1, potesseno 31.3, ssedessero 33.2, tornassero 49.5, venessero 49.5, vollessero 52.2

‘essere’

1a pers. foss’ 69.1, fusse 13.2; 3a pers. fosse 43.4, 45.2, 49.4, fuosse 3.1, 32.3, fusse 62.6; 5a pers. fuossete 60.2; 6a pers. fossero 33.1, fossoro 38.2

Il testo ha l’uscita -e sia alla 1a pers. che alla 3a: è conservato dunque lo schema duecentesco comune al fior. e alle varietà occ. (Castellani 1952, 117ss.). Alla 6a persona alternano, come nel perfetto, -ero, -eno e -oro. 46 Dia e stia si impongono a Firenze nella seconda metà del sec. XIV (Castellani

1952, 53ss.).


240

MARCELLO BARBATO

La strana forma che incontriamo alla 5a pers. del verbo ‘essere’ rappresenta probabilmente l’emersione del tipo mediano e campano sett. che conserva lo schema accentuale latino (fuosséte). Cfr. nel corpus TLIO potessete (Ranieri volg., prima metà XIII sec., viterb.), fossete (Buccio di Ranallo, 1362ca., aquil.); camp.sett. e laz.merid. cercassít , abr. tr vassít , march. trovessáte (Rohlfs § 563). Notevole il pareggiamento della III classe sulla seconda (venesse, venessero), tipico dei testi merid. (Barbato 2001, 211). Il tema del perfetto in vollessero è pis. e lucch. (Castellani 2000, 328 e n.). Come mostra Castellani (1952, 41ss.), il tema foss- è fiorentino e pratese, il tema fuss- lucchese e pisano (Pistoia oscilla). Il tipo fuosssembrerebbe un ipertoscanismo, ma compare anche nel Bestiario tosc. (pis., fine XIII sec., corpus TLIO). 1.8. Varia La -e in avante 21.8 è normale in tosc.a. (Castellani 1955, 182 e n.); forse 62.2 alterna con forsi 36.5, forma pist., lucch. e pis. (Castellani 1952, 47ss.; 2000, 318); la forma fior., pist., prat. fuori 24.2, 25.2, 44.1 (tot. 8) predomina su quella lucch.-pis. fuore 70.2 (Castellani 1952, 41ss.). La forma i(n)semi 19.1 (che alterna con insieme 31.4, 32.6, 35.4) ha riscontri mediani (corpus TLIO) ma nel Quattrocento è anche nap. (Barbato 2001, s.v. insieme). La -e in infine 11.6, inifine [sic] 26.3 (contro infino 26.3, 44.8, 59.3, 62.2) è prat., pist., lucch., pis. (Castellani 1952, 47ss.). Accanto a ongne 2.4 abbiamo ugn’omo 53.5: cfr. lucch. ugna, ugne, ugni (Castellani 2000, 292). Allato a ogimai 33.3 ricorre ogiomai 67.2, forma pis., lucch. e sen. (Castellani 2000, 319). Al posto di che si trova il merid. ca in funzione esplicativa (cha ài 22.1, cha llo re 62.3), dichiarativa (e ccha no-ll’àe 65.4) e forse relativa (cha avevano 53.7), ma potrebbe trattarsi di una semplice grafia per ch(e) quando precede una parola cominciante per a-. Nell’erroneo assecheare 67.3 per ‘asseccare’ potrebbe avere influito l’esito merid. di -IDIARE. La forma lingnaro ‘lignaggio’ 35.3, priva di riscontri nel corpus TLIO, potrebbe essere dovuta a un’ipermeridionalizzazione di un *lignaio. Si noti l’emergenza dell’accusativo preposizionale in 53.5 mannuchi l’uno a l’alt(r)o.


241

NOTA LINGUISTICA

2. IL CODICE MAGLIABECHIANO 2.1. Generalità Il testo mostra una patina compattamente toscana, con alcune caratteristiche occidentali comuni al pis., al lucch. e al pist. (la parziale conservazione di -en- e -ar- atoni, gli esiti di NG, i tipi uncie e arò). Una localizzazione più precisa è resa difficoltosa dalla presenza di tratti apparentemente contraddittori: pis.

lucch.

pist.

fidele

-

-

+

avano

-

-

+

regare

-

+

+

ne llo

-

+

-

vesco

+

-

-

Inoltre alcuni tratti fanno pensare alla presenza di un ulteriore strato, stavolta orientale: l’uso di <gl> senza appoggio vocalico, alcuni casi di conservazione di [e] atona, il pronome chio ‘chi’, la prima pers. volle, le seconde pers. fae, rimarae, facesse, il futuro pensaremo. Si consideri anche che il tipo trare, la -i- epentetica, l’articolo el, la quarta in -amo, potrebbero pure rientrare nei fenomeni orientali. Per la ricostruzione della stratigrafia del testo non aiutano le rubriche, che mostrano opposizione tra due gradi della laterale palatale (cfr. consilglio 48.1, 64.1 vs cicigliani 52.1, 67.1), fenomeno sia pistoiese che orientale (Agostini 1968, 140 e 147; 1978, 15ss.; Manni 1990, 25). Lo studio linguistico andrebbe esteso all’intero codice, per verificare le eventuali differenze tra la lingua di Tes e quella del testo cornice (su cui vd. Introduzione, § 12)47.

47 Un ibridismo tra tratti occidentali e orientali è diffuso in manoscritti letterari coevi come il Riccardiano 2543 (Tristano), il cod. Martelli 12 della Laurenziana (Conti di antichi cavalieri), il cod. Conventi soppressi F IV 776 (Fiori e vita di filosafi) e il ms. II IV 136 (Milione) della Biblioteca Nazionale di Firenze, ma non è chiaro se sia costitutivo o sia dovuto a trasmissione (Scolari 1988, 84; Zinelli 2000, 512). Nel ms. latore dei Fiori e vita di filosafi potremmo avere a che fare piuttosto con un fondo grossetano, cfr. Castellani (2000, 364).


242

MARCELLO BARBATO

2.2. Grafia e fonetica 2.2.1. Velari e palatali Nella rappresentazione dell’occlusiva velare sorda si registrano 5 casi di <ka> (contro 33 di <cha> e 182 di <ca>), 2 casi di <ki> (contro 70 di <chi>), 143 casi di <ke> (contro 206 di <che>). Una peculiarità grafica del nostro manoscritto è l’uso di he = che 4.1, 16.2, 17.1, 67.3, h’ = ch’ 10.348. Isolato un caso di <c> davanti a vocale palatale: vendiceremo 27.4. Singolare per [ ] la grafia diragnli 41.349. Si dovrà invece a dissimilazione fonetica Pangnialoco 26.2 per il normale Palglialoco. Notevole la grafia <(l)gl> in non ubidisce gl vostri comandamenti 17.4, se lgl fae torre il navile 67.3, che ricorda il tipo perugino gl ‘i’, agl ‘ai’ con gl ‘coi’, probabile riflesso di un processo di delateralizzazione / / > /j/ (cfr. Agostini 1968, 141). 2.2.2. Sorde e sonore Nei casi seguenti <c> e <q> rappresentano probabilmente l’occlusiva sonora: creci 1.1, Crecia 1.4, Crezia 1.2 / Grecia 1.2; cridarono 65.7 / gridando 44.6, gridare 44.3, 44.4, grido 59.3; quastando 50.1, quastare 54.250; sequiteremo 11.7. Per analoghi casi in fior., prat. e pist. cfr. Castellani (1952, 18), Serianni (1977, 29), Manni (1990, 28). Cfr. anche l’alternanza sghoberi 55.4 / is(con)bera 62.7, is(con)berare 65.5. Non è escluso che rifletta una sonorizzazione di [k] iniziale gamarligho 53.4, gamarlingho 52.6. La forma non ha riscontri in TLIO s.v. camerlengo, ma per la tendenza alla sonorizzazione di Cin pist. cfr. Manni (1990, 48). 2.2.3. Coda sillabica Il ms. mostra frequenti incertezze nella resa delle sonoranti in coda sillabica (segnaliamo solo i controcasi dei lessemi in cui si verifica il fenomeno). 48 Nel corpus del TLIO il fenomeno compare in documenti pratesi (1245; p. 1247) e nelle prediche di Giordano da Pisa (1309). La grafia <h> per [k] tuttavia non appare marcata diatopicamente perché, come documenta Stussi (1965, 150154; 1997, 154-156), compare in manoscritti ed epigrafi di tutta l’Italia centro-settentrionale. 49 Casi di <gl> per /Õ/ e di <gn> per / / sono documentati in testi antichi di varia provenienza (cfr. CLPIO, CLXXI; Sanfilippo 2007, 418). 50 Cfr. anche nelle rubriche quastò 51.1.


NOTA LINGUISTICA

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A) omissione della resa della nasale: abascia- 2.5, 31.3, 31.4 (tot. 7) / ambascia- 27.1, 55.2 (bis), 55.5, a(m)bascia- 36.4, 39.2, 41.1 (tot. 7), anbasciadore 43.2; Bradiza 49.1 ‘Brindisi’; contrigere ‘costringere’ 54.1 (ma la nasale è anticipata nel prefisso); dottaza 21.8 / dottanza 61.1; getile 0.1, 14.1 (sempre gente); p(re)setoe 35.4 (sempre presente); preze 48.2 / prençe 66.1, p(re)nza [sic] 48.5, prenze 43.5, 48.3, pre(n)ze 48.1; ropera(n)no 67.8 (vedi anche B); settebre 70.1; sghoberi 55.4 / is(con)bera 62.7, is(con)berare 65.5.

A1) nei casi seguenti si ha possibile dissimilazione fonetica [NNC] > [N-C]: anutio 53.6 / annu(n)tiamo 51.3, annunziandovi 51.3; comiciarsi 54.4 / cominci- 6.1, 31.5, 34.4 (tot. 7); dinati 3.1, dinazi 3.2, 10.2, 41.1 (tot. 6), innazi 31.3, 31.8, 32.7 (tot. 6) / dina(n)zi 19.4; gamarligho 53.4 / gamarlingho 52.6.

A2) viceversa troviamo anticipazione [C-NC] > [NC-NC] in cre(n)denza 21.6 / creden- 9.5, 10.3, 11.6 (tot. 12); disanventura 31.7, 69.1; panghando 53.3. B) [NC] è rappresentato da <CC> (cfr. Castellani 1952, 18): affessi 69.1, offessa 49.5 / afensa 10.3, ofensa 52.4, ofense 22.1; bottà 60.1; corroppitori 51.1 (vedi anche A); giusse 27.1, 71.3, giussoro 55.2; lo ’ncesso 18.4 ‘censo’; nocché 6.5 / nonké 44.7; pess- 1.3, 1.4, 5.4 (tot. 7) / pens1.4, 5.3, 10.3 (tot. 18); ucce 23.3 / oncie 29.2, 34.4, uncie 9.2.

B1) viceversa <NC> può rappresentare [CC]: granze 37.1 / gratia 40.1. I medesimi fenomeni si verificano anche in fonosintassi: m’è ’(con)trata 69.1 = m’è ’ncontrata; llo ’tendimento 28.2 = lo ’ntendimento. Sull’esempio di Castellani si è rispettata la grafia del manoscrit51 to , giacché «non è certo che il fenomeno sia soltanto grafico» (1952, 18). Significative a proposito le forme sulgelate 29.1 ‘suggellate’ e pulgello 5.3 < *PUNGELLU (REW 6851) che si possono spiegare da [sund<'ll-] e [pund<'ll-] con successiva assimilazione (forse solo grafica) n-l > l-l.

51 Conservati anche mandiavi [= mandiamvi] 14.3, difendasi [= difendansi] 53.3, facialo [= faccianlo] 53.3.


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MARCELLO BARBATO

2.2.4. Grado medio-forte Il grado medio-forte della consonante (Castellani 1956, 58s.) dopo nasale e liquida è rappresentato in giunsse 2.2, pe(n)ssato 1.3, del rre 63.1, 67.6, forsse 62.2, porsse 55.3 [errore per prese]. Il grado medio-forte in coda sillabica è rappresentato in isspezzati 44.6. 2.2.5. Scempie e geminate Oscillazioni nella resa di [bb]: abbia 10.3, abbiamo 43.4, abbiate 4.3, adobbati 5.6, ebbe 17.6, 21.8, 56.2, 61.1 / abia 5.2, abiamo 28.5, debo 37.3, ebe 32.8 (bis), eboro 49.6, llebrosi 17.152. In robbe 70.2 e ubidire 51.3, ubidisce 17.4, 17.8 la grafia potrebbe rispecchiare la fonetica (vedi sopra, § 1.2.2). Oscillazioni nella resa di [dd<] (spoglio completo): <g(i)> dalmagio 44.8, fugio 44.5, 59.3, llege 11.2, magiore 4.3, 44.8, 45.1 (tot. 5), messagio 48.1, ogimai 67.2, oltragio 65.1, passagio 36.5, piage 67.8, Rugeri 43.4, 67.4, Rugieri 67.5, 71.3, sogiogati 14.2, sugellate 15.2, vegendo 44.5, vegio 35.1 <gg(i)> danaggio 22.4, dannaggio 40.3, 64.2, ddannaggio 66.4, lengnaggio 5.4, 5.6, lengniaggio 17.6, 18.4, 21.7, 35.3, maggiore 32.6, 36.1, 62.6, messaggi 49.6, oggimai 33.3, peggio 17.1, 44.3, reditaggio 5.6, segnoreggiava 16.1, sengnoreggia 23.1, sengnoreggiati 20.2, ssengnoreggiare 20.2, suggiugare 1.2, suggela- 9.5, 19.4, 21.1, suggell- 13.4 (bis), 19.4

Saranno dunque solo grafici aggio 36.6 e malvaggio 65.5, 65.6, 66.3, che sembrano distaccarsi dal normale esito [<] riflesso in agevolemente 11.6, cagione 10.3, 37.3, 43.5 (tot. 6), i(n)dugi 67.8, palagio 3.1, pregione 53.5, ragione 5.5, 14.2, 32.3 (tot. 5), ragioni 47.2, s(er)vigio 2.6, 47.4, tradigione 65.4. Segnaliamo le normali oscillazioni nella resa di [tts]: pazo 23.1 / pazzo 5.4; struzione 28.2 / struzzione 8.1, ecc. Neanche [tt5] è costantemente rappresentato, cfr. facia 6.2, 62.2, 62.3, facialo 53.3, faciate 56.1 (ma faccia 39.2, 39.3), proccacia 67.2, e di contro crocciati ‘crociati’ 5.6. L’oscillazione <c/cc> nel congiuntivo di ‘piacere’ (a) si accompagna ad un’analoga oscillazione nel tema del presente (b); del tutto analoga l’oscillazione tra <p> e <pp> in ‘sapere’: 52 Si completi lo spoglio con le forme del condizionale e del congiuntivo presente di dovere (2.7.7-8).


NOTA LINGUISTICA

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a) b)

piacia 46.3, piaciavi 56.1 / piaccia 8.3, 20.5, piacciati 17.2 piac- 5.1, 8.3, 9.4 (tot. 16) / piacc- 5.1, 68.2

a)

sapiendo 64.2 / sappia 10.3, sappiamo 31.1, ssappiamo 17.4, sappiate 31.1, 31.7, 34.2, 34.4, sappie 21.7 sap- 17.8, 21.4, 32.8 (tot. 11) / sappea 17.7, sappere 31.2, 39.2

b)

Difficile dire se si tratti di un fenomeno grafico o di estensione del tema del congiuntivo. Al di fuori del tema iodizzato, piacc- è attestato sporadicamente, sapp- abbastanza frequentemente nei testi toscani del corpus TLIO. Ancora più frequenti, ma percentualmente meno rilevanti, le oscillazioni nella resa di [ss]: acconciase 43.2 / a(con)ciasse 47.4; cavalcase 38.3 / cavalcasse 48.5; pensase 18.5; disono 31.1 / dissero 15.2, 47.4, 70.4, disso· 56.2, dissono 2.5, dissoro 2.5, 6.5, 11.5 (tot. 8); grosa 34.4 / grossa 27.3, grosse 5.6; Mesina 44.6, 44.8, 50.4 (tot. 5) / Messina 49.2, 49.6, 50.3 (tot. 32); meso (sost.) 45.1 / messo 35.5, 49.3, 72.3, messi 65.6; nesuno 6.6, 27.4; pasato 49.2 / passato 43.5, 44.1 (bis, tot. 5).

Di contro abbiamo <ss> per [s] in guissa 27.5 / guisa 33.1; messe 72.1 / mese 36.4, 43.3, 44.1 (tot. 6), mesi 3.3,5.3, 54.5; messinessi 54.4 / messinesi 49.6, 50.2, 52.3; presse 26.2 / prese 21.1, 31.3, 33.2 (tot. 7); presse 62.6 / preso 13.2; spesse 23.353.

Abbastanza frequenti anche le oscillazioni <t/tt>. Abbiamo armatte 67.7 / armat- 5.6, 29.2, 32.9 (tot. 12); e di contro prometete 9.5 / promett- 9.2, 24.5, 49.4; stetoro 54.5 / stettoro 44.3, 49.6, stette 65.7; streta 60.3; tratare 1.4 / tratto 60.1. Si noti che lo scempiamento avviene solo quando la parola contiene un’altra <t> (dissimilazione grafica). Fonetica la geminata in malatti 17.1 (cfr. REW 5264) che, come consueto in it.a. (TLIO s.v. malato), è sinonimo di lebbroso (peggio ke llebrosi o m.). Più rare sono le oscillazioni per [k] e [g] (a) e per <n m l r> (b): a)

fugga 62.3 / fugha 10.3; Niccholaio 16.1 / Nicholao 20.1, 31.1, 31.7 (tot. 5)54 53

Nei testi del Duecento <s t l> sono, probabilmente per motivi paleografici, le consonanti più soggette a geminazioni irrazionali (Castellani 1952, 18). 54 Per la rarità della grafia <cch> cfr. Maraschio (1993, 194).


246

b)

MARCELLO BARBATO

frugga 18.4 (< FRÛGA, REW 3546); reccha 40.3 / recheroe 25.1, recho 34.4 ano 1.1 / anno 11.2, 13.3, 35.5, 43.1; somo 0.2; q(ue)li 53.7 / quell- 1.3, 2.3, 2.5 (tot. 76); suggela- 9.5, 19.4, 21.1 / sugellate 15.2, suggell- 13.4 (bis), 19.4 orra 55.3 / ora 11.2, 22.4, 25.1 (tot. 9)55

La scempia costante in trare 11.6, 14.3, 31.6 sembra escludere il prat. (vedi sopra, § 1.2.2). Per l’oscillazione -r-/-rr- al futuro e condizionale vedi oltre (2.7.6-7). 2.2.6. Raddoppiamento fonosintattico Il raddoppiamento fonosintattico è prodotto anche da da (da lloro 15.4, da llui 71.4) e da tu (come sa’ tu cciò 17.7, tu ssè 24.3). Presente, anche se non sempre sistematicamente rappresentato, il raddoppiamento in enclisi a monosillabi tonici (a), alla 1a pers. del perfetto (b) e alla 2a pers. del futuro (c): a) b) c)

èvi 46.2, dami 29.2, dimi 9.1 / dillo 18.7, vammi 26.7, vanne 46.4 andone 2.1, dimorovi 55.1, domandolo 26.4, pessosi 1.3 / andonne 42.1, levossi 32.1, 60.1, mandollo 40.1, 52.6, maravilgliossi 17.7, menollo 21.3, 33.2, ra(con)tossi 2.2 cercheronne 9.6, farollo 19.4, manderollo 52.5

Analogamente al raddoppiamento da AD-, anche quello da SUBnon viene sempre rappresentato: socorrere 61.3, socorso 56.1, 56.2; sogiogati 14.2 / suggiugare 1.2 (ma vedi anche quanto si dice sopra sulla rappresentazione di [dd<]). Raddoppiamenti analogici. Isolato da RE- ricchiedere 41.3 / richiese 53.7; da PRO- proccacia 67.2 / procacc- 2.3, 19.1, 24.6, 26.7 (ma può trattarsi anche di anticipazione della geminata seguente); Proccita 1.2, 11.2, 16.2, 41.2 / Procita 0.1, 3.2, 14.4 (tot. 13) (dove può agire anche la proparossitonia); sempre la scempia in profert15.3, 37.1, 37.4, profete [sic] 41.3, provedenza 1.4. 2.3. Vocalismo 2.3.1. Vocalismo tonico La dittongazione toscana è quasi regolare, ma si osservano 55

Vedi anche oltre, § 2.7.5.


NOTA LINGUISTICA

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oscillazioni dopo i gruppi di cons. + [r] e nel caso di ‘uomo’ e ‘vuol-’56: homo 47.4, 71.3, omo 22.1, 43.4, 67.3 (prodomo 36.1) / uomo 14.1, 29.1, 39.2 (bis), uomini 14.2, vuomo 18.4; vole ‘vuole’ 39.2 / vuole 17.6, 17.8, 18.4 (tot. 6); voli ‘vuoi’ 35.1 / vuo’ 6.2, vuoli 4.2, 19.2, 19.4 (tot. 6); preghi 41.5, prego 27.4, pregovi 2.3 / priega 36.5, 67.8, priego 0.2, 20.2, priegovi 2.4; trovano 17.1 / truovo 6.6.

Abbiamo dunque oscillazione tra la soluzione fior. e quella occidentale. Il prat. presenta per lo più dittongo, «ma non è immune da venature occidentali» (Serianni 1977, 38). Il pist. più antico sembra avere prego ma truovo (Manni 1990, 34). Il rafforzamento in vuomo è pist. oltre che lucch. e pis. (Castellani 1952, 47ss.). Il tipo vole è presente anche in varietà altrimenti dittonganti come il senese e il pistoiese. Ventigenovi (1993, 174ss.), data la compattezza delle attestazioni, esclude che si possa trattare di una semplificazione grafica (uu > u) e pensa a un influsso analogico della 1a pers. voglio. Nel caso del pist. si potrebbe pensare anche a un uole [wnle] nato per reazione a [vwnmo]. Oscillazione tra vocalismo fiorentino e tosc.occ. anche in oncie 29.2, 34.4 / ucce 23.3, uncie 9.257. Per la /i/ in saracini 36.4, 36.5, 37.3 (tot. 9) vedi sopra, § 1.3.1. Dubbio che co 59.1 sia un settentrionalismo (< cao < capo) e non un semplice errore. Singolari le forme quel 17.5, quele 0.1, q(ue)le 36.5 ‘quale’, i(n)(con)treta ‘incontrata’ 31.7. Si tratterà del prodotto di una confusione grafica tra <a> e <e> o di un erroneo scioglimento di un’abbreviazione, piuttosto che di una traccia della palatalizzazione orientale di /a/, mai attestata in antico. 2.3.2. Vocalismo atono Si segnalano diversi casi di centralizzazione e abbassamento della vocale protonica iniziale (in alcuni casi non è esclusa la rianalisi morfologica o la dissimilazione): o>a

afensa 10.3, affessi 69.1 / ofendendo 64.2, ofensa 52.4, ofense 22.1, offessa 49.5

56 Normale in Toscana l’assenza di dittongo in cherico 69.2, kerici 47.1 (cfr. LEI

s.v. clericus [in prep.]). 57 La /u/ è anche pist. e prat. (Castellani 1952, 41ss.).


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MARCELLO BARBATO

e>a i>a

affecto 28.2, affetto 1.4, asultare 8.3, sacret- 4.1, 4.2, 4.4 (tot. 8) ancorare ‘rincuorare’ 34.158

Il passaggio di [en] atono ad [an] è frequente: arandeo 44.6, immantanente 67.4, incontanente 38.2, 38.3, 39.1 (tot. 21), sanatore 66.1, sanza 18.6, 23.3, 44.7 (tot. 5); ma arrenduto 44.6, denari 38.2, incontenente 28.1, 31.3, 35.1, inmantenente 2.5. Il prat. ha sanza ma denari, e oscillazione incontenente/incontanente (Serianni 1977, 52). Il più antico pistoiese ha sanza ma denari e incontenente (Manni 1990, 47s.). Sistematica la riduzione del dittongo discendente in protonia: atare 46.3, 48.3, aterebe 7.2, ateremo 11.7, aterò 26.7, piatire 17.6. Per attare 17.3 vedi sopra, § 1.3.2. Attestato anche il passaggio [ar] > [er]: troviamo Barberia 40.2, camera 33.2, 46.5, ma sempre apparecchia-, gamarligho 53.4, gamarlingho 52.6, pregaria 26.5. La conservazione tosc.occ. di -ar- è comune al pist. (Manni 1990, 46) e in misura minore al prat. (Serianni 1977, 51). Isolati de 14.3, 55.2, 62.7, 66.1, defendere 50.2, menestrati 44.6, decemovi 2.7 (< Ï), e di contro si ‘se’ 60.2, 67.859. Nell’articolo e clitico, il tosc.occ. o or. (Castellani 2000, 419) el (6 casi) è nettamente minoritario rispetto al fior. il (96, per i dati vedi oltre). Sempre /e/ in lengnaggio 5.4, 5.6, lengniaggio 17.6, 18.4, 21.7, 35.3, Messina 49.2, 49.6, 50.3 (tot. 32), nepote 17.6, pregione 53.5. Sempre /i/ in migliore 2.7, milgliore 2.6, 26.7,43.4 (tot. 6), milglore 31.9, minore 11.2, 27.5, 33.1, minori 44.7, sicur- 5.1, 21.5, 24.4, virtude 0.2. Alternanze: Cecilia 47.3 / Cicilia 0.2 (bis), 1.3 (tot. 55); fedel- 18.4, 20.2, 40.3 (tot. 7) / fidele 39.3; nemici 14.3, 27.2, 28.3 (tot. 5), nemico 31.9 / nimici 27.4, 31.6; segnoreggiava 16.1, sengnor- 0.2, 11.4, 11.5 (tot. 27), ssengnoreggiare 20.2 / singnor- 3.3, 14.3, 41.3 (tot. 8), ssingnore 3.2.

Abbiamo quindi un quadro comune al fior. e al pist. (megliore, nepote, segnore), ma pregione sembra tipicamente fior., fidele pist. (Castellani 1952, 117ss.)60. 58 59

Cfr. perug. antrata ‘entrata’ (Agostini 1968, 115). La conservazione di /e/ atona è tratto distintivo del tosc.or. (Castellani 2000, 365). In perug. è attestata l’apertura di Ï e, seppur minoritaria, la chiusura in si (Agostini 1968, 119 e 169). 60 Il prat. ha una situazione sostanzialmente uguale a quella fior. (Serianni 1977, 45).


NOTA LINGUISTICA

249

La labializzazione di /e/ è costante in dov- 13.2, 14.2, 15.2 (tot. 27), dob- (le forme sono citate nella morfologia), rubell- 0.2, 1.3, 1.3 (tot. 13), somilgliante 44.8, 56.2; alternanza dima(n)darono 31.1 / domand- 2.3, 26.4, 52.2, 53.5. La /o/ protonica si conserva in romore 53.4 (a rigore da Û, REW 7441); alternanza sogiogati 14.2 / suggiugare 1.2. La /e/ in iato, conservata in neente 1.3, 24.1, 34.1, 46.4, neuna 44.7, 68.2, neuno 18.6, 41.4, 49.5 (tot. 5), si chiude in niente 21.6, 53.1, 53.2, niuna 67.7, niuno 67.7. Singolare la forma nieente 55.4, 31.8, 34.2, 55.4, che deriva forse per metatesi dal noto neiente (Rohlfs § 218)61. Isolato, e non caratterizzante (Rohlfs § 427), l’indebolimento della vocale finale del possessivo in la mie saettia 67.6. Se non sono meri errori, fae ‘fai’ 67.3, rimarae ‘rimarrai’ 67.7, facesse ‘facessi’ 64.2, 66.4 e volle ‘volli’ 69.2 potrebbero riflettere l’apertura umbro-cortonese di -i (Rohlfs § 142; Agostini 1968, 130; Castellani 2000, 390). 2.4. Consonantismo Non sorprende la sonora in podere sost. 1.2, 12.3, 23.2 (tot. 7) e savere sost. 0.1, né la sonorizzazione con successivo dileguo in saramento 10.1. Alternanza tra tipo fior. e tosc.occ. (lucch., pist., prat.) in reccha 40.3, recheroe 25.1, recho 34.4 / regano 62.5, reghalgli 17.2, reghiamo 2.6, reghoe. Del resto abbiamo poco 44.8 e secondo 44.1, 51.3. Sistematico per NG l’esito tosc.occ. (pis., lucch., pist.): piange 0.1, piangere 0.1; per contrigere 54.1 e pulgello 5.3 vedi sopra, § 2.2.3. Sistematico invece l’esito fior. di X in lasci 32.7, lascia 62.4, 62.5, lasciare 32.3, lasciate 68.2, lasciò 22.2, lascioe 70.1. 2.5. Fenomeni generali Rispecchia la regola tosc.a. l’alternanza tra agevolemente 11.6 e generalmente 49.4. All’uso fior., non c’è sincope in diritta 0.1. Epentesi fior. in medesimi 65.6, medesimo 31.3, 38.362, ma non in masnade 5.6 (Castellani 1952, 53ss.). Non particolarmente caratterizzanti la dissimilazione [r-r] > [rd] in (con)tradio 5.2, l’aferesi in Talia 1.2, e l’epentesi in valentre 61 62

Per la -i- antiiatica vedi anche oltre, § 2.5. Il pist. più antico ha medesmo (Manni 1990, 100), il prat. oscilla (Serianni 1977, 67 e n.).


250

MARCELLO BARBATO

22.4, valentremente 32.7 contro valentemente 71.3 (Rohlfs § 333). Abbiamo sempre assimilazione in diffida- 49.4, 63.4, 66.4 (tot. 5), alternanza ifforzatamente 49.1 / isforzatamente 67.5. Il tipo abergha 17.1 < arberg- < HARIBERGO63 è diffuso in tutta la Toscana antica (corpus TLIO) e si dovrà a dissimilazione [r-r] > [Ør]. Analogamente si dovrà a una dissimilazione [ -l] > [ -Ø] il tipo Guilliemo 52.3, 53.1, 55.2, 63.1, attestato nel Libro giallo fior. del 1336-40 (Guilgliemo) e in un doc. prat. del 1296-1305 (Guilglemuço); in un doc. fior. del 1279-80 (= Castellani 1952, 485) si legge Guigle[l]mo. Sarà un banale errore profete 41.3 di contro a profert- 15.3, 37.1, 37.4. L’iato può essere estirpato mediante -i-: cfr. le alternanze Niccholaio 16.1 / Nicholao 20.1, 31.1, 31.7 (tot. 5), saettia 67.6 / saiettia 61.2, e la forma àie ‘ha’ 8.2 (normalmente àe)64. Normali anticamente anche in tosc. me’ ‘meglio’ 18.2, mo’ ‘modo’ 23.3 (Rohlfs § 321; corpus TLIO); potrebbe essere tosc.or. co’ ‘come’ 67.5 (Castellani 2000, 415 e 429); più dubbio mol’ ‘molto’ 68.2. 2.6. Morfologia nominale 2.6.1. Nome Negli adattamenti di fr.a. -ier prevale il tipo fior. -iere: cavaliere 38.1, mistiere 46.4, 67.2, 67.7, mistieri 2.4, pensiero 1.4, 12.1, volentiera 2.5, volentieri 2.3, 16.3, 18.1 (tot. 9). Da segnalare l’alternanza tra i plur. coma(n)damenta 56.2, comandamenta 61.3 e comandamenti 17.4, 53.2. Effetti di eco nell’accordo al femminile plurale: un nome di III classe coordinato con uno di I prende l’uscita -e (le galee e lle nave 28.5); l’aggettivo prende l’uscita del nome di III (molti navi e galee 1.2, in tutti parti 48.1); viceversa un nome di I prende l’uscita dell’aggettivo che precede (delle grandi proferti 37.1)65. 2.6.2. Articolo Queste le forme dell’articolo masch. sing. preconsonantico, 63 64

O *HARIBAIRGÒN se gotico (Castellani 2000, 57). Cfr. prat. èie < *èe ‘è’ (Serianni 1977, 67), pist. mandoie < *mandoe ‘mandò’ (Manni 1990, 62). L’epentesi di -i- è però particolarmente frequente in area orientale (Castellani 2000, 412; Agostini 1968, 162). 65 Per quelle salute 51.1 cfr. sopra n. 22.


NOTA LINGUISTICA

251

secondo la griglia già impiegata sopra (la ll- si deve a raddoppiamento fonosintattico): a) b) c)

il 0.2 (bis), 2.1 (tot. 78), i· 42.1, Ø 18.566, ’l 0.1, 0.2, 1.1 (tot. 29), lo 0.1 (ter, tot. 26)67, llo 27.4, 28.268 lo 0.1, 2.3, 5.2 (tot. 30)69 el 6.1, 8.2, 9.1 (tot. 6)70, il 2.6, 17.3, 36.1 (tot. 6), lo 0.1, 1.3, 2.6 (tot. 11)

Il tipo debole può dunque comparire anche all’iniziale assoluta, ma si nota una certa resistenza del tipo lo, non solo in questa posizione ma anche dopo vocale. Davanti a re, regno e sim. l’uso dell’articolo forte diminuisce anziché aumentare: a) b) c)

il 21.9, 22.2, 23.1 (tot. 6), i· 6.5, 37.1, 42.1, 58.1, i- 21.8, 26.3, 39.1 (tot. 31), Ø- 42.2, 53.4, 60.2, 62.2, Ø 61.1, ’l 18.3, 22.2, lo 5.4, 8.1, 17.3 (tot. 9), llo 1.3, 21.6 lo 0.1, 0.2, 20.2 (tot. 25) il 48.2, 49.1, 61.3, 72.3, i· 35.1, i- 19.1, 55.3, 61.1 (tot. 5)

Queste le forme dell’articolo masch. plur. preconsonantico: a) b) c)

i 2.6, 13.3, 22.3 (tot. 15), Ø 2.5, 38.2, 52.3, 63.1, 64.2, gli 3.2, 5.6, 11.3 (tot. 10), li 44.3 (bis), 45.1 (tot. 6), lgli 44.7, lli 20.2, 70.4 gli 31.3, li 12.1, 20.2, 65.671 i 54.4, 65.3

Curiosamente la forma debole è l’unica che compare all’iniziale assoluta, e la forma forte pareggia la forma debole dopo vocale. In un caso (tutti ilgli altri 31.10) troviamo la forma bisillabica dell’articolo masch. plur., che compare in altri testi tosc. dopo vocale e all’iniziale assoluta (Castellani 1952, s.v.; corpus TLIO).

66 67

Per la coalescenza dell’articolo, cfr. Nota ai testi, § 2.6. Ma cinque volte dopo infinito, e dunque, nonostante la grafia, in possibile contesto postconsonantico [r-lo]. 68 Ma nel secondo caso llo tendimento vale probabilmente [lo ntendimento] (cfr. 2.2.3). 69 Dopo per e messer. 70 Ma in diversi casi si potrebbe segmentare e ’l. 71 Sempre dopo per.


252

MARCELLO BARBATO

2.6.3. Preposizioni articolate Queste le forme secondo la griglia già impiegata: a) b) c) d) e) f) g)

a l’abasciadore 31.4, all’uso 52.3, all’altro 65.6 a la Chiesa 39.3, a la mancha 41.4, alla 1.4, 6.4, 14.2 (tot. 17) alle 14.4, 54.5, 59.2 al 1.4, 2.3, 2.6 (tot. 55) a-rre 38.1, 38.2, 38.3 (tot. 21), a· re 6.4, 9.2, 13.4, 40.1, allo re 21.2 a’ 6.4, 25.1, 26.7 (tot. 8) agli 65.1, 65.7

a) b) c) d) e) f) g)

collo aiutorio 28.2, collo abasciadore 31.3 colla 19.1, 21.2, 72.1 colle femine 54.4 col 4.1, 5.2, 18.4 (tot. 9) co-rre 21.2, col re 50.3, 53.6, collo re 1.1, 6.3, 31.5, 52.1 co’ 26.2, 54.4, 62.1 (tot. 6) colgli 27.1, 58.1

a) b) d) e) f)

da l’altro 10.4 dalla 0.2, 24.4, 40.1 (tot. 10) dal 19.5, 46.6, 54.5, 62.4 da-rre 28.5, 42.1, 43.1 (tot. 6), da· re 26.2, 38.1, 39.2, 43.3 da’ 2.7, 3.3 (bis), 65.4

a)

de l’isola 55.2, dell’isola 14.1, 20.2, 43.3 (tot. 7), dell’avolo 22.3, dell’oste 67.1 della 5.3, 16.1, 17.3 (tot. 34) delle 6.5, 16.1, 37.1 (tot. 7) del 0.1 (bis), 0.2 (tot. 50) [d’il 35.5, 65.4] de-rre 32.8, 35.6, 48.3 (tot. 17), de-rreame 59.3, de· re 38.3, del re 1.3 (bis), 2.2 (tot. 9), del rre 63.1, 67.6, del rengno 2.2, 2.6, 67.9, del reame 25.1, 66.3 de’ 1.1, 2.7, 14.3 (tot. 12) [d’i 19.1, 28.3, 34.3, 64.1]

b) c) d) e) f) a) b) c) d) e) f)

nell’an<n>o 1.1, 35.5, nell’apostolicale 16.1, nell’isola 31.3, 57.1, nell’onore 57.1, nello onore 40.3 nella 5.3, 26.1, 33.2 (tot. 8) nelle chiese 44.7 ne· paese 58.2, nel 1.1, 3.1, 11.2 (tot. 14) nel reame 72.3 ne’ suoi 47.2


NOTA LINGUISTICA

253

sull’isola 55.4 sulla piazza 44.4 sulle fortezze 44.5 sul reame 66.2

a) b) c) e)

Come si può osservare, 1) la forma geminata è quasi generalizzata; 2) la forma forte preconsonantica è assente al masch. plur. e al sing. resiste solo in allo re e collo re. 2.6.4. Clitici Queste le combinazioni di clitici: I

me ne

III

me lo

IV V VII VIII IX

glielo gli si ne lo mi si mi ti

me n’ 7.2, me ne 24.1, 27.3, 48.4, te ne 22.4, se ne 28.1, 31.2, 31.8, 46.1, ve ne 11.6, 17.6, 36.6, vi ne 36.6 lo mi 24.1, tolglielami 69.1, ’l ti 26.2, la ti 32.5, lo ti 23.3, 46.4, lo s’ 65.4, lo vi 18.6 lglele 65.4, lgliele 69.1 (bis) gli si 59.2, lli si 65.6 ne llo 18.1, ne ’l 18.2 vi si 26.5, 36.4, 56.172 vi ci 14.2

Per quanto riguarda I, l’alternanza ve ne / vi ne è normale in toscano. In III è sistematico l’ordine fior. (prat., pist.). In V troviamo il tipo fior. contro il tosc. comune si gli. Anche in VII abbiamo sempre il tipo fior. contro il tosc. comune lo ne; la geminata è tipica del lucch. (Castellani 1966). La forma forte del clitico postvocalico preconsonantico prevale sulla forma debole: il 2.3, 32.9

’l 3.1, 18.2, 26.2

lo 16.3, 17.7, 18.4 (tot. 21)

llo 18.1, 25.2, 27.4 (tot. 5)

È assente il tipo tosc.occ. (lucch., pis., pist.) nde (Castellani 1952, 41ss.).

72

L’ultimo caso in un contesto dubbio.


254

MARCELLO BARBATO

2.7. Morfologia verbale 2.7.1. Imperativo Si trova sempre -i alla 2a pers. dell’imperativo di II classe, come è normale in fior., in prat. e in pist.: credi 20.4, vedi 28.4. 2.7.2. Presente Assente alla 2a persona l’opposizione tra I e II-III classe: I II

giuri 21.6, i(n)dugi 67.8, mostri 23.2, pessi 5.4 mantieni 17.1, prometti 9.2

Alla 4a pers. troviamo: I

II

annu(n)tiamo 51.3, comandiamo 51.2, 64.2, 66.3, cominciamo 32.3 (imper.), disideramo 56.1, disideriamo 66.4, istamo 71.2 (imper.), mandiamo 62.4, mandiamogli 39.2 (imper.), mandiavi 14.3, mavinglianci [errore per maravi-] 66.2, meniamo 34.2 (imper.), passiamo 68.2, 69.2 (sempre imper.), pensiamo 32.4, 36.1 (imper.), 60.3 (imper.), racomandiamo 14.2, reghiamo 2.6, singnifichiamo 64.1 abbiamo 43.4, abiamo 28.5, avemo 10.2, 62.2, decemovi 2.7, diciamo 2.6, doveno 14.2, possiamo 11.5, 14.3, potemo 60.3, sappiamo 31.1, ssappiamo 17.4, siamo 5.1, 11.5, 68.2, tegniamo 46.5, vogliamo 40.2, volgliamo 52.3, 53.5, volemo 52.3, 52.4

L’alternanza -iamo/-emo è normale sia in fior. che in toscano occidentale. Da notare i due casi di -amo (è il tipo normale in tosc.or.: Castellani 2000, 433) e la forma demotica doveno (Rohlfs § 530; Manni 2003, 57 e n.). Casi particolari: di’ ‘dici’ 23.2 (bis); fae ‘fai’ 67.3 (vedi sopra, § 2.3.2). 2.7.3. Imperfetto Alla II classe rispettata l’alternanza ta avea e aviano normale in toscano: 3a

6a

ave’ 53.4, avea 1.1,1.2 (bis, tot. 31), conoscea 16.3, dove’ 48.2, dovea 28.5, 35.4, 65.4, 67.5, potea 31.7, 65.2, p(ro)mettea 49.4, sapea 45.2, 48.1, sappea 17.7, sedea 16.1, tenea 59.3, vedea 1.3, volea 3.1, 32.9, 49.4, 53.4 aviano 39.2, crediano 59.1, diceano 24.2, diciano 13.4, teniano 71.4, voliano 50.5


NOTA LINGUISTICA

255

Si segnalano le forme particolari di ‘avere’ avano ‘avevano’ 49.3, 49.5, avate ‘avevate’ 65.4: se il secondo (come avamo) è piuttosto frequente (Rohlfs § 550), il primo è attestato solo in testi pistoiesi (Manni 1990, 60)73. Per ‘essere’, si contrappone a era 1.1, 1.3, 3.3 (tot. 26) un unico iera 19.474, non certissimo, giacché in luogo di quand(o) iera si potrebbe sciogliere quand’(e)i era. 2.7.4. Perfetto debole 3a 6a

3a 6a 3a 6a

I classe sempre -ò (-oe) acconciarono 70.4, acordarono 31.10, andaro 4.4, 33.1, 55.2, andarono 44.8, aportaro 49.6, apresentaro 67.1, chiamaro 35.3, comiciarsi 54.4, dima(n)darono 31.1, domandaro 2.3, fermaro 32.8, 47.4, incominciaro 44.4, iurarono 13.4, mandaro 49.3, 50.3, menaro 3.2, maravilgliaro 65.1, meravilliarsi 42.2, portarono 63.1, suggellaro 13.4, tornarono 44.4, 47.4, trovarono 31.1 II classe arandeo 44.6, concedette 55.4, poteo 29.1, 54.1, ricevettelo 3.2 credett[o]no 71.3 III classe fugio 44.5, 59.3, isbigottio 31.2, partio 2.1, 15.2, 15.4 (tot. 9), partìsi 26.2, 38.1, partissi 10.1, udio 3.1, 13.1, 17.7 (tot. 20), uscio 53.7 asaliro 44.5, udiro 35.6, 42.2. 49.3 (tot. 7), udirono 65.1, 68.1, usciro 50.2, 54.4, uscirono 50.2, 70.4 (bis)

Si osservano dunque le consuete alternanze tra -aro, -iro e -arono, -irono. Al sing. la desinenza -ì di III classe compare solo davanti a enclitica; in un caso produce raddoppiamento75. Per la prima pers. s(er)vio 69.1 vedi sopra, § 1.7.4. 2.7.5. Perfetto forte a

3

avenne 4.1, diede 71.4, diedela 53.4, diedevi 55.1, diegli 35.3, disse 2.3, 4.2, 4.3 (tot. 103), dissegli 4.1, 67.5, ebbe 17.6, 21.8, 56.2, 61.1, ebe 32.8 (bis), fece 0.1, 3.2, 10.4 (tot. 13), fecelo 3.2, 3.3, giunse 43.3, 59.1, giunsse 2.2, giusse 27.1, 71.3, infinsisi 31.2, mosse 3.2, 27.2, 49.1, 55.1, porsse 55.3, prese 21.1, 31.3, 33.2 (tot. 7), presse 26.2, puose 49.2, puoselgli 24.2, richiese 53.7, risposse 7.2, rispuose 25.1, seppe 67.5, stette 73

Lo spoglio del corpus TLIO conferma questa distribuzione. Tuttavia il tipo ava, analogico su stava, dava, è diffuso in toscano popolare (Rohlfs § 550). 74 Per il fior. iera vedi sopra, § 1.7.3. 75 Per la trafila partiosi > partisi > partissi cfr. Castellani (1952, 146).


256

MARCELLO BARBATO

65.7, tenne 41.2, tennesi 71.4, tolse 41.1, 48.1, 52.6, trasse 14.3, venegli 1.4, venne 16.2, 27.1, 35.5 (tot. 11), vennegli 45.1, vide 24.2, 26.4, 29.1 (tot. 5), volle 48.3, 49.4, 59.3 6a

attenoro 44.6, diedorla 65.7, disono 31.1, dissero 15.2, 47.4, 70.4, disso· 56.2, dissono 2.5, dissoro 2.5, 6.5, 11.5 (tot. 8), eboro 49.6, fecero 54.4, 59.1, 59.2, 72.2, feciono 70.3, fecioro 31.4, 41.2, 44.8, 53.4, giussoro 55.2, piansoro 11.5, p(re)sero 67.1, rispuosero 52.3, sconfissolgli [= -orgli] 50.2, stetoro 54.5, stettoro 44.3, 49.6, tennero 35.4, tenorsi 50.3, trassero 44.3 (bis), uccisorne 50.2, uccisoro 22.3, vennoro 43.3, 59.4, videro 70.4, vidono 50.2, vidoro 44.8

Desinenze: il tipo -oro (28 casi) prevale su -ero (13) e -ono (4). Temi: da notare accanto al normale rispuose il più raro risposse, che, come risulta dal corpus TLIO, è attestato in Andrea da Grosseto (1268, tosc.) e nel Libro vermiglio (1337, fior.). Per l’interpretazione della scempia di venegli, attenoro e tenorsi vedi sopra, § 2.7.5. Potrebbe essere perfetto anche vale 6.4 = *valle ‘valse’, cfr. pist. tolle ‘tolse’ (Manni 1990, 88). Nel verbo ‘essere’ consueta alternanza tra furo e fuoro: 2a pers.: fosti 66.2; 3a pers.: fu 3.1, 24.2, 26.4 (tot. 10), fue 0.2, 3.2, 9.3 (tot. 50); 6a pers.: fuorono 71.3, furo 67.1, 68.1, furono 2.5 (ter, tot. 24).

2.7.6. Futuro

5a

I classe anderò 35.1, 37.3, ascolterò 16.3, aterò 26.7, cercheronne 9.6, diviseroe 50.5, manderollo 52.5, menerò 8.1, metterò 8.1, mosteroe 25.1 (bis), p(er)doneroe 53.2, porteroe 19.3, recheroe 25.1, ritorneroe 25.1, torneroe 70.2 manderai 55.4 bisongnierà 36.6, leverà 62.2, passerà 9.2, passerae 28.6, pilglerae 67.7, pilglierae 62.5, presterae 36.6 a(n)deremo 41.4, ateremo 11.7, (con)silglieremo 58.2, manderemo 40.2, 62.4, 62.5, pagheremo 52.3, parleremo 37.2, pensaremo 36.2, penseremo 58.2, sequiteremo 11.7, vendiceremo 27.4, vendicheremo 8.3 comanderetegli 39.3

1a 2a

II classe potrò 23.2, terò 21.5, 21.9, terroe 18.7 potrai 23.3, rimarae 67.776, verai 55.4, vorrai 8.1, vo(r)rai 46.4

1a

2a 3a 4a

76

Per -e vedi sopra, § 2.3.2.


NOTA LINGUISTICA

3a

257

averà 41.5, avrà 58.2, piaccerae 68.2, piacerà 26.7, 53.3, piacerae 8.3, 29.1, rimarae 67.3, rimetterae 18.4, saprà 37.3, torrà 9.2, vorà 36.2, vorrà 6.6, vorrae 55.5 aremo 32.3, averemo 34.1, 54.3, 60.2, 67.3, metteremo 52.5, torremo 32.5, ved(e)remo 31.9, vedremo 31.9, 36.2, 58.2, 62.7 apporetemi 10.2, averete 12.3, aver(re)te 49.5, potrete 43.5, vedrete 13.3, 34.3, 66.4, vorete 32.5, vorrete 43.5 avranno 26.7, ropera(n)no 67.8

4a 5a 6a

III classe udirai 55.5 (con)verà 67.7, (con)ve(r)rà 12.1, converrà 36.2, 58.2, (con)verrà 62.6, verae 28.6 udiremo 52.5, usciremo 27.4 udirete 65.7

2a 3a 4a 5a

Sorprende pensaremo, unico caso di conservazione di -ar-77. Si noti la dissimilazione in moster-. La sincope dopo ostruente è molto frequente ma non categorica (cfr. ander-, aver-, veder-): siamo quindi in condizioni fior., ma d’altra parte è presente il tipo tosc.occ. arò (anche prat. e pist.: Castellani 1952, 47ss.). Le forme sincopate formate a partire da un tema in sonorante hanno spesso una [r] scempia: l’alternanza r/rr è presente nei testi pistoiesi (Manni 1990, 60); per una possibile spiegazione vedi sopra, § 1.7.6. Casi particolari: 1a pers.: daroe 23.3; 3a pers.: daragli 9.2; 4a pers.: daremo 40.2 (bis), 52.3; 5a pers.: darete 39.3 ‘dire’ 1a pers.: dirò 10.3, diroe 11.6, 21.7; 3a pers.: dirae 34.3, diragnli 41.3; 5a pers.: direte 41.3, diretegli 41.4 ‘fare’ 1a pers.: farò 9.2, 23.2, 24.6, 35.1, faroe 18.3, 53.2, farollo 19.4; 3a pers.: farà 62.7, farae 40.2, 41.3; 4a pers.: farello 41.3, 67.3, faremo 27.3, 27.4, 36.2 (tot. 7) ‘essere’ 1a pers.: sarò 8.1; 3a pers.: sarà 6.6, 28.5, 31.9 (tot. 8), sarae 36.5, serae 68.2, fia 11.7, 41.4, fie 28.3, 28.6, 31.9 (tot. 6); 4a pers.: saremo 11.5, 58.2; 5a pers.: sarete 12.1, saranno 28.5 ‘dare’

77

Potrebbe essere tratto orientale (Castellani 1952, 25ss.). Anche a Perugia, probabilmente per ragioni analogiche, si ha -er-, ma non manca qualche caso di ar- (Agostini 1968, 120ss. e 171).


258

MARCELLO BARBATO

2.7.7. Condizionale 1a 3a

I classe dimorrei 2.3, mosterei 18.6, talglierei 41.4 aterebe 7.2

1a 3a 5a

II classe crederei 24.1, vorei 21.4, vorrei 16.1, 30.1, 60.2 potrebbe 23.2, 35.6, 41.4, potrebe 12.2, verrebe 57.1 dovereste 17.6, vedreste 64.2

3a

verrebe 57.1

III classe Casi particolari

1a pers.: direi 18.6, 37.3 1a pers.: farei 18.1; 2a pers.: faresti 24.1; 3a pers.: farebbe 53.5; 6a pers.: farebono 2.5, 56.2, 61.3 ‘essere’ 2a pers.: saresti 21.7; 3a pers.: sarebbe 7.2, 18.5, 25.2, sarebe 65.5

‘dire’ ‘fare’

2.7.8. Congiuntivo presente 1a 2a 3a 5a 6a 1a a 2 3a

5a

6a

I classe port’ 48.4 meni 47.3 abergha 17.1, doni 0.2, espi’ 10.2, lasci 32.7, mandi 65.6, manuchi 53.5, (per)doni 41.5, 52.4, 52.6, preghi 41.5, presti 37.4, raquisti 47.3, rubelli 43.1, sghoberi 55.4 aparecchiate 34.4 procaccino 26.7 II-III classe abbia 10.3, fugha 10.3, tengna 53.1 debbi 20.3, debbia 66.3, debieti 64.2, sappie 21.7 (imper.), vadi 47.3, vengnie 20.2 abia 5.2, debia 40.2, 62.4, 65.5, dicha 46.5, faccia 39.2, 39.3, facia 6.2, 62.2, 62.3, fugga 62.3, increscati 17.1, muoia 44.4 (bis), 44.6 (tot. 5), paia 10.3, perischa 67.7, piacia 46.3, piaciavi 56.1, piaccia 8.3, 20.5, piacciati 17.2, possa 4.1, 18.2, 43.6, ritengha 17.1, sappia 10.3, senta 20.4, 25.2, 27.4, vada 31.8, 32.7, 35.1 (tot. 6), vengna 67.9, vengnia 24.6, 29.2, volglia 60.1 abbiate 4.3, dobbiate 36.5, 43.5, dobiate 14.3, 51.2, 51.3, faciate 56.1, pongniate 2.4, rispondiate 65.3, sappiate 31.1, 31.7, 34.3, 34.4 (sempre imper.), tegniate 27.4, tengniate 13.3, 27.3, vengniate 56.1, volgliate 11.6 (bis) debiano 47.2, 48.2, difendasi 53.3, facialo 53.3, possano 67.8, rendano 46.5, sentano 43.5


NOTA LINGUISTICA

259

Osservazioni: nella I classe abergha 17.1 è dovuto a un effetto di eco (ki lli ritengha o chi lgli abergha); alla 2a pers. di II-III classe -e è uscita fior. e pist che già al volgere del sec. XIII cede a -i o -a (Castellani 1952, 53ss.). Casi particolari: troviamo il tipo tosc. comune dia 29.1, 40.1 (contro il fior. dea); le forme di ‘essere’ sono: 1a pers. sia 2.4 (bis); 3a pers. sia 2.6, 2.7, 4.3 (tot. 28), sie 20.4, 65.7; 5a pers. siate 47.2. 2.7.9. Congiuntivo imperfetto 1a 2a 3a

5a 6a

avesse 13.2 (bis) facessi 24.1, facesse 64.2, 66.4 acconciase 43.2, a(con)ciasse 47.4, andasse 65.6, avedesse 31.2, avesse 18.5, 26.4, 36.1 (tot. 5), cavalcase 38.3, cavalcasse 48.5, dicesse 41.4, dovesse 13.2, 32.8, 45.2 (tot. 9), levasse 7.1, paresse 65.3, parlasse 44.7, pensase 18.5, ponesse 38.4, portasse 13.4, potesse 1.3 (bis), 7.2 (tot. 6), preghasse 48.2, sapesse 41.4, sentisse 21.7, tenesse 38.4, uscisse 70.3, venisse 1.4, 61.1, volesse 2.3 voleste 18.6, 56.2 aco(n)ciassoro 63.1, andassoro 57.1, dicessoro 57.1, difendessoro 49.5, dovessono 31.3, 43.3, 47.1, dovessoro 15.3, 49.3, 50.3 (tot. 6), potessoro 31.3, sedessono 33.2, tornassoro 49.5, venissero 49.5, volessero 52.2

‘essere’ 1a pers.: foss’ 69.1; 3a pers.: ffosse 45.2, fosse 3.1, 45.1, 62.6, 67.3, fossevi 49.4; 5a pers.: foste 60.2; 6a pers. fossono 33.1, fossoro 38.2

La -e – normale alla 1a e alla 3a pers. (cfr. § 1.7.9) – è estesa, probabilmente per ragioni fonetiche, anche alla seconda persona (cfr. § 2.3.2). Per la prevalenza di -oro alla 3a plur. vedi § 2.7.5. Il tema foss- è costante in fior. e prat. e alterna con fuss- in pist. (Castellani 1952, 41ss.). 2.8. Varia Tra gli indeclinabili troviamo avanti 2.4, 2.5, 21.7, 21.8; forse 36.6, forsse 62.2; fuori 24.2, 50.2 (bis, tot. 10); infino 26.3 (ter, tot. 9). Assenti dunque i tipi occ. fuore (lucch., pis.), forsi (anche pist.) e infine (anche prat.). Notevole chio ‘chi’ 7.2, non attribuibile ad epitesi78. A proposito dell’identica forma attestata nel Diretano Bando (XIV sec., tosc.), 78 Tipicamente pist. sono le epitesi tuo, piuo (Castellani 1952, 47ss.), ma qui la -o è motivata dalla vocale precedente.


260

MARCELLO BARBATO

Casapullo (1997, 82) richiama il chio dei testi umbri trecenteschi, dove la -o sarebbe, come nel perf. partio, «segnacaso della terza persona singolare» (Baldelli 1983, 278s.)79. Notevole anche la forma quande ‘quando’ 70.4, attestata sporadicamente nei testi del corpus TLIO80. A differenza di quanto accade nei dialetti toscani moderni (Rohlfs § 767), provoca raddoppiamento fonosintattico: E quande lli franceschi. L’origine sembra dunque non quand’e’ < QUANDO *ILLI ma QUANDO ET. Cfr. anche 56.2 Quando e questo ebbe così detto... La forma arcivescho 59.3 (accanto ad arciveschovo 45.1) sembrerebbe pisanismo81. Il tipo cristinitade 51.1 è attestato in testi toscani e settentrionali (cfr. corpus TLIO e vedi anche Corti 1962, LVII). Per le forme campio 17.3 (accanto a campione 51.2), dalmagio 44.8 (contro il più frequente dann-), forzo 48.2 (accanto a isforzo 38.4) cfr. rispettivamente Commento a 51.2, 22.4 e 1.2. 3. IL CODICE VATICANO 3.1. Generalità Il testo presenta due strati: uno predominante, toscano, e uno minoritario settentrionale. Evidentemente un copista settentrionale ha avuto davanti un antigrafo toscano e si è adeguato progressivamente al suo modello. Forme toscane come io, detto, -aio, prima minoritarie, si impongono ormai negli ultimi paragrafi, mentre fenomeni quali la dittongazione di E, l’anafonesi, la chiusura delle vocali atone si fanno più frequenti verso la fine. Per quanto riguarda lo strato settentrionale, tratti generici sono la metafonia da -I, l’apocope in grant, la degeminazione, la sonorizzazione intervocalica, l’assibilazione di C G davanti a vocale palatale, i pronomi tonici mi ti, il relativo sogg. chi, il gerundio in -ando alla II-III classe, il perfetto di prima in -à, ecc. L’assenza della soluzione galloitalica del nesso CT82 rimanda alla zona orientale, escludendo il bergamasco ma non il bresciano, il mantovano e il veronese. Di contro l’esito -aro < -ARIU sfavorisce il trent. e il mant. da una parte, il 79 Per la documentazione del tipo vedi anche Vignuzzi (1994, 367). 80 Dove in alcuni casi si potrebbe segmentare quand’e’. 81 Per la tipica forma pisana vesco cfr. Castellani (1965, 325; 2000, 347). 82 A meno che non ne costituisca un caso faite, su cui cfr. oltre n. 149. Per gli esiti

sporadici CT > -it- in area orientale cfr. Stussi (1965, XXXIV) e Bertoletti (2005, 190).


261

NOTA LINGUISTICA

venez. e il trevis.-bell. dall’altra. L’osservazione delle vocali finali inoltre porta a escludere le varietà estreme nella perdita (lomb.or.) e nella conservazione (pad.)83. I sospetti si appuntano dunque su un’area che comprende Verona e l’Emilia-Romagna. La convergenza di alcuni indizi di per sé non decisivi (chiusura di /o/ davanti a nasale, apertura di /u/, palatalizzazione di [s] davanti a [i], epitesi, ona ‘ogni’) indirizzano più precisamente verso l’area emiliana84. Non ostano a questa localizzazione alcuni caratteri ora più nord-orientali (confusione di 3a e 6a, -mentre), ora più nord-occidentali (illò), che forse erano più diffusi di quanto si crede o sono interpretabili come fenomeni di coinè. Quanto allo strato toscano, diversi indizi (6a pers. del perf. in -eno e -ioro, -er- per -ir- nel futuro-condizionale, tema fuss-) fanno pensare a un antigrafo toscano occidentale. 3.2. Grafia e fonetica L’uso di <th> per esprimere la fricativa interdentale sonora (sethia ‘sedeva’ 16.1), già nella pergamena ravennate, è attestato in testi trent., lomb.or., mant. e venez. (Formentin 2007, 156). Nella rappresentazione dell’occlusiva velare sorda, <k> rivaleggia ancora con <c(h)>: [ka]

<ca> 194

<cha> 16

<ka> 7

[ke]

-

<che> 252

ke 76

[ki]

-

<chi> 3885

ki 2

[ko]

<co> 363

<cho> 11

kogli 1

[ku]

<cu> 27

-

-

In un caso <g> davanti a vocale posteriore ha valore non velare (gusticia 51.3); sempre <g> per la velare davanti a vocale anteriore86: pagerelo ‘lo pagheremo’ 52.3, p(re)ge(re) 26.5, pregetello 37.4, sa(n)ge 51.1.

83 84 85 86

Cfr. rispettivamente Contini 1935 e Stussi (1965, XXXIII-XXXV). Il primo tratto citato sembra escludere Ravenna, il secondo anche Ferrara. Esclusi gli esiti di CL, per cui vedi oltre, § 3.4.16. Secondo un uso comune ai testi ven. (Bertoletti 2005, 17 e n.), ravenn. (Sanfilippo 2007, 417), ferr. (Stella 1968, 261), bol. (Vincenti 1974, LXXI), mant. (Ghinassi 1965, 84).


262

MARCELLO BARBATO

Frequenti le iperscrizioni <ci> e <zi> per l’affricata palatale o dentale (per la documentazione vedi oltre, §§ 3.4.8-9). La fricativa palatale è resa con <si> più spesso che con <sc> (§§ 3.4.18-19). Nella resa delle sibilanti, partendo dal protosistema it.sett. (Formentin 2002, 98) e prescindendo dalle grafie <c g>, dalla geminazione e dalla <i> iperdiacritica, normalmente abbiamo le corrispondenze seguenti (per i dati vedi oltre, §§ 3.4.3-9): /s/

/z/ <s> <x>

/ts/

/dz/ <ç> <z>

Il sistema grafico non distingue dunque le sorde dalle sonore87. La distinzione tra affricate e fricative è invece per lo più preservata. I numerosi casi di <ç z> in corrispondenza di /z/ saranno dovuti all’interferenza di /t5/ toscano (cfr. 3.4.3). Per il resto si registra un caso di <z> per /s/ (nezuna ‘nessuna’ 25.2) e un caso di <s> per /dz/ (pianseron 11.4). Questa confusione grafica sarà indice di un’incipiente deaffricazione di /ts dz/ ma non necessariamente di una confusione con /s z/88. Singolare la corrispondenza che il nostro testo instaura tra le seguenti grafie (per i dati vedi i rispettivi paragrafi)89:

87 Per i casi di <s> per /z/ e <x> per /s/ nei volgari settentrionali, dovuti alla tradizione grafica latina, cfr. Bertoletti (2005, 29-31). 88 È noto che in diverse varietà moderne le antiche affricate rimangono distinte dalle fricative alveolari grazie all’articolazione (inter)dentale. Borgogno (1968, 97) segnala l’apparizione in docc. bol. del primo Trecento di grafie come caço ‘caso’, caza ‘casa’. L’equivalenza tra <ç>, <s> e <x> nel ms. K di Matteo dei Libri (bol., sec. XIII-XIV: volçe = *volse, çaço = *sazo, iuçu = *giuso, inforsa = *inforza, sò = *ciò, mesogne = *menzogne) è notata da Vincenti (1974, LXXIII) ed interpretata come effetto della «tendenza del dialetto di passare dall’affricata alla fricativa» (ibid., LXXV); cfr. anche in ferr.a. pransare ‘pranzare’ (Contini 1938, 314) e il topon. Socolino = Zoccolino (Stella 1968, 273). A Mantova nel Trecento i casi di <s> per /ts/ /dz/ e di <ç> <z> per /s/ /z/ sono sporadici (Borgogno 1968, 25s. e 38s.). Nel corpus di Videsott (2009, 367) la grafia <s> per Ce,i «compare per la prima volta a metà del XIV sec. nella zona orientale dell’area investigata». 89 Si aggiungano le grafie reduplicate <ygl> <igl> e <ligl>. Per il valore della grafia <gl> in testi ven. e lomb.or. cfr. Bertoletti (2005, 21).


263

NOTA LINGUISTICA

protosett. / / < LJ, LLI

fr. e tosc. /d / < G, J

<i> <y>

+

+

<g(i)>

+

+

<(l)gl(i)>

+

<lg(i)>

+

<li> <ly>

+

<yl>

+

/d / < CL, C’L

/j/ < E in iato, J, DJ, SSJ +

+

+

+

+

+

Non esiste evidentemente una distinzione grafica tra /j/ e /d</, il che rende impossibile stabilire quale sia l’esito di LJ. 3.3. Vocalismo 3.3.1. Vocalismo tonico Per le vocali medio-basse in sillaba libera la conservazione prevale sulla dittongazione: <e>

<ie>

<o>

<uo>

(con)vene 21.4, 37.2, dègli 55.1, 71.3, i(n)sema 19.1, ma(n)tene 17.1, 17.3, Pero 14.1, 20.1, petra 11.2, sete ‘siete’ 51.1, tello ‘tienilo’ 20.3, ven 5.4, vene 2.6, 5.5, 32.5, 70.4, veni 5.3, veno 32.4, ve(n)te 5.6 co(n)viene 67.7, 67.9, diè 55.3, dièlla 65.7, i(n)sieme 31.4, 32.6, 35.5, Piero 64.1, 66.1, ri(n)chiede(re) 41.3, ri(n)chiesse 53.7, siete 60.2, viene 11.1, 28.4, 60.2 (tot. 7) bona 0.2, 1.2, bone 2.6, 20.2, 43.4, bono 17.3, 24.3, 32.4 (tot. 5), cori 11.2, dole 0.1, figliolo 48.1, figlola 29.3, figloli 49.4, 53.5, figlolo 29.3, 46.4, filyolo 17.3, 20.1, fioli 14.3, fora 24.2, home 62.6, homeni 14.2, 49.3, 52.1, homo 0.2, 2.3, 2.4 (tot. 13), loco 4.1, 4.2, 4.4 (tot. 6), logo 17.1, 50.3, omo 18.4, pò 12.1, 24.4, poi ‘puoi’ 22.4, 23.3 (bis), pote 18.6, 19.3, 23.1, 36.3, poti 14.4, trova 65.6, trovano 17.1, t(r)ovo 6.6, vo’ ‘vuoi’ 4.2, vole ‘vuoi’ 6.2, 19.4, 21.8, voli 24.5, vole ‘vuole’ 18.4, 24.4, 35.1, 39.1 buona 41.3, buoni 43.4, 52.4, buono 26.7, fuori 35.3, 50.2, 53.7 (tot. 8), huomo 65.5, muoia 62.6, muoiano 44.4, muoya 44.6 (bis), muoyano 44.4, può 41.4, puoi 46.4, puote 41.5, 43.5, 43.6 (tot. 6), puoy 68.2, vuole 36.3

Per quanto l’ipotesi di un errore mi sembri altamente probabile, violi ‘vuoi’ 35.1 potrebbe attestare il tipo di dittongo oggi presente


264

MARCELLO BARBATO

in area veneta: es. venez., grad., istr. siola ‘suola’ (Rohlfs § 115). Per buna 42.2 vedi sopra, § 1.3.1. Minoritario il dittongo anche negli esiti di fr.a. -ier: femm. masch. sing. masch. plur. onom. avv.

p(re)ge(re) 26.5 cavale(re) 34.3, 37.2, (con)silgle(re), 43.3, meste(r)i 67.2, pe(n)sero 1.4, pie(n)s(er)e 12.3 / cavalie(re) 32.9, 38.1, gue(r)iero 43.4, mistiere 67.7, mistie(r)i 46.4, pensiere 60.1 cavaler 2.2, cavale(r)i 2.5, 3.2, 5.6 (tot. 5), masnaderi 5.6 / cavaglie(r)i 52.4 (solo grafico?), cavalie(r)i 32.9, 48.5, 50.1 (tot. 10) Gualte(r)i 14.1, Palme(r)i 58.1, 60.1 / Gualtie(r)i 44.1, 62.2, Palmie(r)i 27.1, Rugie(r)i 43.4, 67.4 (solo grafico?) volentera 23.2, volo(n)tera 2.3, volontera 16.3, volu(n)tera 2.5, 18.1, 40.3, volu(n)te(r)i 32.4 / volentie(r)i 36.6, vole(n)tie(r)i 66.4, volu(n)tie(r)i

Quanto all’esito italoromanzo si contrappongono i locali d(e)nari 38.2, febraro 36.3 e i tosc. genaio 43.3, notayo 61.2. In it.sett.a., se l’esito -er < -ARIU appare caratteristico del bresc., del mant., del cremon., del trevis., del venez., l’esito -aro < *-ARU si presenta meno marcato diatopicamente90, ma ha una scarsa probabilità di occorrere in testi trent., mant., trevis. e venez. (Videsott 2009, 292ss. e c. 15). Non segue l’evoluzione generale del suffisso (con)t(ra)iro 5.2. Da AU si segnalano le alternanze gaudio 41.5 / godio 10.4, tesauro 9.4 / tesso(r)io 4.491. Visti anche i casi di conservazione nel vocalismo atono, si potrà pensare a un localismo, giacché la scripta settentrionale da una parte mostra i segni di una più tenace conservazione del dittongo, d’altra parte oppone talvolta il monottongo alla conservazione dotta del toscano (Videsott 2009, 311ss.). Due casi isolati di esito metafonetico di *-ATI potrebbero essere fetegli ‘fategli’ 34.3, pregetello 37.4 ‘pregatelo’92. Minoritaria la chiu-

90 Cfr. Bonelli/Contini (1935, 142), Ghinassi (1965, 127), Stussi (1965, XXXIX), Pfister (1995, 197ss.), Formentin (2002, 107ss.), Tomasin (2004, 99), Bertoletti (2005, 163). 91 Vedi anche nel perfetto l’alternanza tra -ò e andau 41.1. 92 Tuttavia questo tipo metafonetico sembra esclusivo del bresc.a. (steth, passeth: Bonelli/Contini 1935, 142; Formentin 2002, 105). Più probabile dunque che si tratti di un errore di trasmissione: in entrambi i casi il ms. estense ha un futuro (faretelgli, pregheretelo).


NOTA LINGUISTICA

265

sura metafonetica di *-ETI: solo 7 casi di -ite contro 23 di -ete/-eti (per le forme si rimanda alla morfologia)93. L’esito metafonetico di - ISTI (-issi) nel perfetto e nel condizionale compare invece in ben sei casi su nove. L’esito -eve < *- ABI nel condizionale è sistematico 94. Rappresentata nell’unico caso possibile la metafonia alla 2 a pers. del presente: i(m)p(ro)mite 9.2 95. Normale l’assenza di metafonia e l’accordo neutro (Formentin 2002, 99) in doa milia 70.1; al masch. plur. la chiusura metafonetica non è costante: doi 70.1, due 54.5, 55.2, 63.1, dui 2.2; tre 3.3, tri 5.3, 67.7. Assente vui, nuy è molto minoritario (vd. § 3.6.3). Anche quigli 65.1 è minoritario rispetto a quegli 53.1, 53.4, 70.3, 70.4, quellgli 71.3 (si indicano solo le forme a piene lettere). Da E in iato davanti ad A troviamo sempre mia, ma rea 31.7. Quanto a EU, EO, si segnalano le seguenti alternanze tra l’esito settentrionale e quello toscano96: Deo 68.2, meo 0.2, 9.4, 23.2 (tot. 5) / Dio 27.4, 31.2, 31.8 (tot. 19); mio 24.4, 27.3, 36.3 (tot. 6); eo 6.6, 8.1, 9.2 (tot. 25), eu 0.1, 5.2, 6.2 (tot. 14), e’ 26.5, 28.2 / io 19.5, 23.2, 26.7 (tot. 30), y’ 6.2, gi’ 37.3.

Notevole la forma Dieo 27.3 che rimanda all’area veneta o emiliana (Barbato 2010a, 18). Analoga alternanza tra tipo settentrionale e toscano per *SOU e SUA (cfr. Barbato 2010b, 57): so 1.2, 1.4, 2.1. (tot. 8), soy 17.697, sou 29.3, 32.8, 35.3 (tot. 19), soa 3.3, 32.2, 40.4 (tot. 8), soe 37.4, soi 8.3, 28.5, 45.1 (tot. 6), soy 2.7, to 5.3, 5.4, 21.7, tou 22.3, 64.2, 67.2, toa 67.7, toi 28.3 / sua 2.3, 5.5, 6.5 (tot. 16), sue 47.1, suo 28.6, suoi 47.2, 52.4, 65.1 (tot. 6), tua 5.3, 5.6, 22.2 (tot. 6), tuo 29.2, tuoi 67.8.

L’anafonesi toscana si impone progressivamente98:

93 94

Cfr., anche per la vocale finale, l’uscita -ite in bol.a. (Vincenti 1974, LXXVI). Il fenomeno è lomb., emil., ven. (Contini 1938, 312; Elsheikh 2001, LV; Bertoletti 2005, 57 e n.). 95 Cfr. ferr.a. mite ‘metti’ (Contini 1938, 313), pad.a. mitti (Rohlfs § 538). 96 Per gli esiti di MEU e DEU cfr. Barbato (2010a, 14ss.), per quelli di E(G)O cfr. Videsott (2009, 396ss.). 97 Epitetico: cfr. soi dinaro in un doc. bol. del 1330 (Corti 1962, LIX), fiolo soe nel Laudario di Modena (Elsheikh 2001, L). 98 Va detto però che il tipo giuns- potrebbe essere di ragione locale (vd. subito sotto); inoltre il ferr.a. ha -ILJ- > -i- (cfr. oltre, § 3.4.12).


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MARCELLO BARBATO

cama(r)le(n)go 56.2, cama(r)lengo 53.4, (con)seglo 4.1, 38.4, 41.2 (tot. 5), famegla 2.3, gions(er)o 55.2, longo 43.5, maraveglo 32.1, ve(n)ce(re) 1.2 (con)sigla 55.3, (con)siliglami 46.3, (con)siglo 35.4, 47.1, co(n)siglo 65.1, 67.1, 68.1, famigle 54.4, giunse 2.2, 27.1, 43.4 (tot. 5), giu(n)ti 67.1, lingua 0.2, 44.7, vi(n)ta 67.3, zu(n)te 21.2

<e> <i>

Vocalismo toscano ha anche comi(n)zia 32.3. Presentano sempre veste latineggiante dig(n)i 49.5, digni 51.1, 53.1, magistro 0.2, 2.6, 3.2, mult-, mund-; diti ‘detti’ 3.2, dito 0.2, 1.3, 1.4 (tot. 10) alternano con deti 44.8, deto 41.2, 43.1, 63.1, detto 38.4, 56.2, 68.1; agosto 59.1 con agusto 55.2. Da invocare forse piuttosto l’influsso francese per le alternanze secorso 56.1 / securso 56.2 e corte 5.3, 32.8, 42.1 (tot. 5) / cu(r)te 3.3, 36.199. Si registrano diversi casi di chiusura di /o/: cu(m)’ 14.2, 18.2, cu(m)e 36.3, cu(m)me 26.5 / com’ 2.3, 35.5, 65.4 (bis), (com)’ 18.2, come 17.2, 17.3, 18.6 (tot. 59), comme 31.5, co(m)me 45.1, como 1.3 (bis), 1.4 (tot. 28); Faraune 14.3; suto 39.3 / soto 40.4, 53.7; unçe 29.2, unze 23.3, 34.4 / onze 9.2; unde 27.3, 36.3, 67.9 / onde 0.1, 12.3, 31.8; unta 22.3, unte 22.1 / onte 8.3, 11.3, 27.4; su(m)mo ‘siamo’ 11.4, su(n) ‘sono’ 22.1.

I casi elencati si possono attribuire a vari fattori: protonia sintattica, latinismo, tendenza alla chiusura di /o/ davanti a nasale; ma solo quest’ultima tendenza100 può spiegare Faraune ‘Faraone’ e unte ‘onte’. Le forme aberranti fra(n)ceyscha 44.7 e francischo 35.6 saranno probabilmente erronee riproduzioni di un *franciesc-. Potrebbero attestare l’apertura di /u/ tonico propria del bol.a. (Corti 1962, XLIX; Vincenti 1974, LXXVII; Formentin 2002, 108) le forme recievoto 28.3, reçivoto 26.5. È vero che si potrebbe pensare a una dissimilazione grafica volta a evitare la sequenza <uu> (cfr. infatti in concomitanza con la caduta della consonante reciuta 27.2), ma la spiegazione non si applica ad agloto 46.4 (contro adiuto 41.3, 99

In questo secondo caso si può pensare anche al «retaggio duraturo delle tradizioni grafiche precarolingie» (Bertoletti 2005, 51). 100 Tipica dell’area emil.-romagn. (Contini 1938, 312; Corti 1962, XLIX; Stella 1968, 269), ma con tracce anche nelle aree limitrofe (Bonelli/Contini 1935, 143; Ghinassi 1965, 90; Bertoletti 2005, 52).


NOTA LINGUISTICA

267

57.1, aiuto 6.6., 8.1, 39.3, tot. 5)101. Sarà certamente un latinismo toto 9.4, 20.3, contro tut- 1.2 (bis), 1.3 (tot. 90). 3.3.2. Vocalismo atono Nel vocalismo protonico è evidente l’interferenza tra il sistema settentrionale e quello toscano. Si veda, per limitarsi alla protonia sintattica, l’alternanza tra le forme delle preposizioni de 0.1, 0.2, 2.6 (tot. 6) / di 0.1, 1.2, 1.3 (tot. 279), en 1.1, 1.3, 10.2 (tot. 20) / in 1.2, 1.4 (bis, tot. 121)102 e dei pronomi clitici (§ 3.6.4). Anche settentrionale sança 65.6, sanza 23.3, 67.7 (bis), cfr. Rohlfs § 878. Passaggio ad /a/ della vocale protonica, oltre che nel solito affetto 1.4, in sagelareteme 9.5, sagelaro 13.4, sagelate 10.1, 15.1, sagelato 21.1, sagello 19.4, salgela(r)e 19.4: questo tipo, forse di origine galloromanza (cfr. FEW 9, 593ss.: fr.a. saieller, prov. sagellar), ha riscontri emil. (sagellata nella lauda Rayna potentissima [Contini 1960, II 9, v. 19]; sagiellae in un doc. moden. del 1326, corpus TLIO) ma anche tosc. (saggiellare in un doc. fior. del 1348-50, ibid.). Potrebbe essere un errore dibiosso 31.2 (contro dubioso 69.1)103. Aferesi isolata in ’lor ‘allora’ 4.3104. Da AU si segnalano l’alternanza [aw]/[u] in auda(n)do 6.1, aude(n)do 17.7, audie(n)do 2.5 / udando 62.1, udendo 54.2, 61.1 (bis)105, e il passaggio a [ol] in ulcidito(r)i 51.1 < *AUCID-, diffusissimo in it.sett. (Rohlfs § 134; Arcangeli 1990, 8s.; Bonelli/Contini 1935, 142; Contini 1938, 311; Stussi 1965, XLVI; Ghinassi 1965, 92; Stella 1968, 269; Elsheikh 2001, XXXVII; Bertoletti 2005, 59). Quanto alle intertoniche e postoniche, sfuggono al tipo toscano homeni 14.2, 49.3, 52.1, aulo ‘avolo’ 22.3, p(er)iculo 5.3 (bis), 18.6, 21.7 (contro p(er)icolo 25.2, p(er)icoloso 0.1), seculari 44.7. Assimilazione o dissimilazione in arciveschevo 45.1, 59.3 (diffuso in it.sett.a., come risulta dal corpus TLIO), Catelogna 21.1, 26.1 (contro Catalogna 33.1, 55.1), cavelcase 38.3, cavelcasse 48.5, octece(n)to 50.2, lieltad(e) 50.5 (attestato in tosc., emil. e ven.a., ibid.). Non toscana la sincope in axevelm(en)te 11.5. 101 Si dovrebbe semmai pensare a una forma *aioto dell’antigrafo volta a evitare la sequenza <iu>. 102 Del resto propria anche dei testi non interferiti (Stussi 1965, XLIX; Bertoletti 2005, 94 e n.; Sanfilippo 2007, 426). 103 La forma non ricorre nel corpus TLIO. 104 Cfr. ’lora in Matteo dei Libri (Vincenti 1974, LXXVIII). 105 Nelle forme finite di AUDIRE sempre ud-.


268

MARCELLO BARBATO

Le strane forme pie(n)s(er)e ‘pensiero’ 12.3 e vedieramo ‘vedremo’ 31.9 sembrano prodotte da un’estensione indebita del dittongo toscano in sillaba atona. 3.3.3. Vocalismo finale Nel vocalismo finale, all’interno di un quadro generalmente toscano, si segnalano numerosi fenomeni di confusione delle vocali diverse da /a/, imputabili al copista settentrionale. Isoliamo prima i casi che possono avere una motivazione morfologica. Nei nomi di III classe l’uscita -e potrebbe essere analogica se non addirittura etimologica (Rohlfs § 365 e 366)106: masch. barone 2.7, 11.1, 14.1, bene 40.2, messe ‘mesi’ 3.3, seg(n)ore 11.3, 12.1 (normalmente -i) femm. cagione 32.8, pa(r)te 2.2, 26.3, 36.5 (contro megiori ge(n)ti 43.4, pa(r)ti 38.4, 48.1, q(ua)li 36.5, 38.4, ragioni 47.2)107

Qui forse anche alegre 12.1, allegre 2.5 ‘allegri’, se si parte da un sing. in -e più vicino al probabile etimo provenzale (Rohlfs § 14). Potrebbero essere dovuti a metaplasmo barono 11.1, messo ‘mese’ 36.4, quallo 2.6, 17.3, q(u)alo 4.1, 28.5, tallo 18.5, vilo 5.2, cfr. i femm. nepota 17.6, q(ua)la 21.4, 46.5, qualla 55.4, seda 16.1; ma la frequenza del fenomeno indica che la reinterpretazione morfologica deve avere una base fonetica108. Per gle < ILLI si rimanda al § 3.6.4; per la -i finale in -ati, -eti, -iti, -assi, -asti, per la -e alla 2a pers. nell’imperativo di II classe e alla 1a pers. del presente si veda la morfologia verbale. Si noti inoltre che in i(m)p(ro)mite 9.2, met(r)iste 7.1, sarixe 21.7 e nei già visti -ite e -eve, la -e finale corrisponde sempre a una vocale metafonizzata. A parte va trattata anche l’alternanza seguente (cfr. it.sett.a. anço < *ANTIUS, LEI 2, 1653): anci 67.7, anze 34.2, anzi 32.7, 43.5, 53.5

106 Documentazione sett.a. in Arcangeli (1990, 25), Corti (1962, LIII), Elsheikh (2001, XXXIX), Sanfilippo (2007, 433). Cfr. inoltre ferr.a. conte, voxe, tore (Contini 1938, 313). 107 Per quelle salute 51.1 vedi sopra, n. 22. 108 Rohlfs § 143 attribuisce i metaplasmi frequenti nei dialetti emil. (es. néva ‘neve’, nuýa ‘noce’, carna ‘carne’) alla caduta generalizzata delle vocali finali. In realtà, come ha mostrato Loporcaro (2005-2006) essi riflettono un fenomeno di riaggiustamento morfologico successivo non alla caduta ma alla confusione delle vocali finali, insomma quello stadio rappresentato oggi da varietà come Piandelagotti (p. 78: ['n':va] ['ca:va]) e Sassalbo (p. 93: ['kro<a], ['no<a]).


NOTA LINGUISTICA

269

(tot. 5) / anzo 6.5; dava(n)ze 3.2, 10.2, d(e)na(n)ze 19.4, dina(n)ci 53.4, 55.2, dina(n)zi 53.7; i(n)anze 31.8, i(n)anzi 31.9, 32.7, 33.3, 49.5 / i(n)anzo 41.1. Sono presenti poi i seguenti scambi (non si danno i controcasi): o>e

e>o i>e e>i

o>u

andavane 31.1, aveme 35.6, diss(er)re ‘dissero’ 56.2, Gaytane 16.1, home 62.6, i(m)p(re)sse 13.2, le [art. masch. sing.] 46.4, messe 30.2, metereme 52.5, multe 2.2, 3.1, 3.3 (tot. 6)109, pare(n)tad(e) 29.3, pasage 1.3, sera(m)me 11.4, sone 6.4, tractate 60.1, ve(n)dicarome 8.3, ve(n)dicate 22.3, volone 6.5, zelate 21.5110 d(e)o [= *dee] ‘deve’ 32.3, dovesso 54.1, es(er)one 22.3, essero 33.2, lege(r)o 50.4, movosso 58.1, p(ro)fero ‘offre’ 36.4, tolso 48.1, veno ‘viene’ 32.4111 ale ‘ai’ 6.4, ma(n)tene 17.3, q(ue)le 2.3, vole ‘vuoi’ 6.2, 19.4, 21.8, vost(r)e 17.8112 anda(r)i 33.3, beni 42.2, celati 26.3, colgli famigle 54.4, comi 35.4, dici 20.4, ge(n)ti 44.3, letri 9.5, libri 37.4, li onte 8.3113, li [clitico acc. femm. plur.] 24.1, 44.2, nepoti 17.6, nost(r)i 8.3, poti 14.4, p(re)gioni 53.5 (sing., come mostrano i testi paralleli), veni 5.3114 andau 41.1, fugiru 44.5, ince(n)ssu 18.4, mo(r)tu 21.7, sanu 25.1, statu 21.3, udiu 53.1, 53.6, 67.1115

109 Influsso di -e avverbiale latina? Cfr. bone ‘bene’ 20.2. Vedi anche in Matteo dei Libri molte, certe (Vincenti 1974, LXXX). Secondo Rohlfs § 954 l’«antico lombardo presenta, come forma avverbiale, molte». 110 Cfr. ravenn.a. mene ‘meno’, tante ‘tanto’ (Sanfilippo 2007, 424), ferr.a. done, perdone, bol.a. gratiose (Contini 1938, 315), ome ‘uomo’, le megle ‘il meglio’ (Vincenti 1974, LXXXII), moden.a. braçe, nostre, vanne (Elsheikh 2001, XXXIX), mant.a. zose ‘giù’, serve ‘servo’ (Ghinassi 1965, 97), le ‘lo’ (ibid., 116). 111 Cfr. ravenn.a. teno ‘tiene’ (Sanfilippo 2007, 424), ferr.a. toso ‘tolse’, bol.a. abesognasso, aveto (Contini 1938, 315), manifestamento, bontato, se credo, se porto (Vincenti 1974, LXXXss.), moden.a. batero, fosso ‘fosse’ (Elsheikh 2001, XXXIX), mant.a. movo ‘muove’, moresso (Ghinassi 1965, 97), trent.a. nadalo ‘natale’, morisso (Coletti/Cordin/Zamboni 1992, 188). 112 Cfr. ravenn.a. quigle ‘quelli’, livre ‘libri’ (Sanfilippo 2007, 425), ferr.a. tuone ‘tuoni’ (Contini 1938, 313), bol.a. quilli che son offese, tute li nostri amici (Vincenti 1974, LXXXII), moden.a. amixe, ladre (Elsheikh 2001, XXXIX), mant.a. saxe, altre (Ghinassi 1965, 97). 113 In ferr.a. li è la forma normale solo davanti a vocale (Stella 1968, 270); in lomb.a. li è spesso unica forma plurale, che continua nel tipo it.sett. i donn, i cart (Rohlfs § 417). 114 Cfr. ravenn.a. le selvi, le charti (Sanfilippo 2007, 425 e 432), ferr.a. dixi, diexi (Contini 1938, 313), bol. le carti, imperadori ‘imperatore’, credi ‘crede’ (Formentin 2002, 108). Tuttavia in bol e ferr. (Corti 1960, 41s.; 1962, LIII) la -i per -e è ristretta ai plurali di I classe, ai singolari di III e alle desinenze di 3a singolare. 115 Cfr. inoltre i già citati eu e sou. Secondo Contini (1935, 44 n. 1) -u per -o,


270 e>u

MARCELLO BARBATO

mesu 36.3

Va aggiunto che a volte anche la vocale epitetica assume la forma -i: faroi 53.2, foy 21.1 (con reinterpretazione della finale etimologica), introi 31.9, lày 44.3, soy ‘suo’ 17.6116, seg(n)orezay ‘signoreggiare’ 20.2. Come si vede dalle note, i riscontri più vicini vengono dai testi emiliano-romagnoli. Siamo distanti dalla situazione del veronese che, nonostante le vicissitudini diacroniche che hanno portato le /e/ finali non flessionali a confluire in /o/, distingue chiaramente quattro vocali finali /i e o a/ (Bertoletti 2005, 123ss.). L’emiliano, di contro, potrebbe essere stato un tempo tipologicamente (e in gran misura anche diacronicamente, perché le corrispondenze etimologiche sono le stesse) identico al dialetto lunig. moderno di Sassalbo, che ha tre vocali finali /i o a/ (Loporcaro 2005-2006, 92). In /i/ e in /a/ erano probabilmente confluite anche delle E etimologiche appartenenti a determinati morfemi flessivi (rispettivamente: plurali di I classe, alcuni singolari di III, desinenze verbali di 3a pers. sing.; altri singolari di III). Le restanti E erano confluite in una vocale posteriore la cui realizzazione, come mostrano le grafie, doveva arrivare fino a [u]. Rispetto a questo quadro, nel nostro testo, date le confusioni più frequenti tra <i> ed <e>, è probabile che siamo a un sistema più avanzato con due sole vocali finali /a/ ed / / (cfr. Contini 1938, 315 n. 15), insomma un sistema quale quello attestato attualmente nella montagna modenese dal dialetto di Piandelagotti (Loporcaro 20052006, 78). 3.4. Consonantismo 3.4.1. Consonanti geminate La rappresentazione delle geminate, pur nel prevalente toscanismo, è completamente caotica. Segnaliamo a titolo esemplificativo qualche caso di degeminazione e di retroscrizione per le occlusive, fricative, liquide, nasali:

pur presente in diversi testi sett., è frequente solo in bolognese. Cfr. i numerosissimi casi del ms. K di Matteo dei Libri (Vincenti 1974, LXXXI). 116 Non sarà forse dunque «per influsso del plurale» il ravvenn.a. soi pegno (Sanfilippo 2007, 433).


271

NOTA LINGUISTICA

geminata protorom.

scempia

/t/

batagla 44.3, 54.4

ditte ‘dite’ 57.1

/f/

difidando 62.4

deffende(re) 54.4

/s/

pasare 1.2

cassa ‘casa’ 0.1, 16.1, 17.2 (tot. 6)

/l/

belo 43.5

cotalle 32.3, cotalli 52.3

/m/

dixemo 42.2

comme 31.5

Accade anche che la geminazione appaia scambiata tra due sillabe successive: vollemo = *volemmo 53.5, trarette = *trarrete 70.2. La differenza tra <s> e <ss> non è finalizzata, come in altri testi sett., alla resa dell’opposizione di sonorità: le due grafie sono in variazione libera, come si può vedere dagli esiti di S e SJ. Notevoli le grafie sarixe 21.7, nexù 10.3 e nezuna 25.2 per la sorda, cfr. lomb.a. sarissi, nissun, romagn. nsõ, ven. nissun (Rohlfs § 498). 3.4.2. Occlusive Il testo esibisce una generale conservazione delle occlusive sorde, tranne ovviamente in quei casi in cui la lenizione è normale anche in toscano, come malgrado, padre, pregare, recevere; cfr. inoltre arciveschevo 45.1, 59.3, pare(n)tado 17.8, 18.4, 35.3, pare(n)tad(e) 29.3, pode(re) 12.3, 23.2 (bis, tot. 7), sagro 53.7. Alternano -tore e -dore (a) e, con proporzioni inverse, -tate e -tade (b): a)

b)

ambasiadore 43.2, 55.5, 56.1 (tot. 6), ambasiadori 55.2 (bis), ambassiadore 67.1, i(m)p(er)adore 32.6 / ambaisatore 36.4, 38.3, 39.2, ambasiatore 31.4, 49.3, coru(m)pito(r)i 51.1, i(m)perator 5.5, i(m)p(er)ato(r)e 4.1, imp(er)ato(r)e 5.2, p(re)dicato(r)i 40.1, 44.7, p(ro)cazatore 19.1, spandito(r)i 51.1, traditore 10.2, 65.5, 65.6 (tot. 5), tradito(r)i 49.4, ulcidito(r)i 51.1 auto(r)itad(e) 64.1, bontad(e) 60.1, lieltad(e) 50.5, v(er)itad(e) 28.2, volu(n)tad(e) 32.8, 35.3, 52.5 (tot. 5) / auto(r)itate 51.2, 66.2

Banale l’alternanza sec(re)to 14.4, 16.2, secreto 28.1 / segreto 4.1 (bis), 4.2 (tot. 5). Più notevoli fadica 23.3 / faticha 31.6, loco 4.1, 4.2, 4.4 (tot. 6) / logo 17.1, 50.3, savrà 20.4 / sap- 17.7, 21.4, 26.4 (tot. 15), securo 24.4 / seguram(en)te 21.5, sovera 1.3 / sopra 4.4, 18.6, 18.7 (tot. 17).


272

MARCELLO BARBATO

Lenizione di -P- anche in ovra ‘opera’ 13.3. Sarà dovuta a ragioni etimologiche o analogiche la <b> che compare in luogo di <v> in abete ‘avete’ 65.4 e muzarebe ‘mozzerei’ 41.4. La [v] < P, V/B cade in aulo 22.3, P(ro)hença 64.1, 66.1, P(ro)henza 0.2, 43.5 (contro P(ro)ve(n)za 1.2), oe 67.8 (contro ove 37.3 bis), reciuta 27.2 (contro reçivoto 26.5, recievoto 28.2)117. Caduta di [d] < T in ordinà 1.3 (contro ordinato 12.1, 15.1, 26.2, tot. 11), partia 10.2 (contro pa(r)tita 26.1, 42.1), tolue < *tolude ‘tolte’ 28.5. La [d] < D cade nei francesismi coardo 22.2 e recrehente 65.5 e si fricativizza in sethia ‘sedeva’ 16.1. Toscana e non sett. (cfr. REW 6967) la sonorizzazione iniziale in grida(r)e 44.3, gridare 44.4, gridarono 44.6, 65.7, grido 59.3. 3.4.3. Esiti di Ce,i In posizione forte, in corrispondenza del tosc. /t5/ e del sett. /ts/ alternano le grafie <c(i)>, <ç(i)> e <z>118: arciveschevo 45.1, 59.3, ceciliani 3.3, celatam(en)te 25.1, celati 26.3, 70.2, çelato 18.7, celato 21.4, 26.5, c(er)cando 44.2, c(er)caroe 9.6, c(er)cata 24.3, certi 54.3, certo 5.6, 24.1, 61.3, Cicilia 0.2 (bis), 1.3 (tot. 45), Çicilia 17.8, 27.1, ciciliani 25.1, 26.2, 28.2 (tot. 6), cicilia(n)o 11.1, cielato 27.3, 27.4, 31.3, 36.3, çielato 31.8, cierta 40.4, cierto 31.7, cinque 71.2, (con)cid(e)te 55.4, (con)cieduto 27.2, 28.2, fra(n)ceschi 22.3, 28.5, fra(n)ceyscha 44.7, fra(n)ciescha 52.3, fra(n)cieschi 43.4, 44.2, 44.3 (tot. 11), francieschi 70.4, fra(n)ciescho 44.3, fra(n)ciesco 44.2, fra(n)cischo 35.6, ince(n)ssu 18.4, m(er)ced(e) 50.5, occide(re) 5.4, ocide(re) 54.3, octece(n)to 50.2, ozis 22.3 [errore?], prenze 43.5, 48.1, 48.2 (tot. 6), receve(re) 20.5, 49.3, recevete 3.2, recevim(en)to 25.1, recievoto 28.2, reciuta 27.2, reçivoto 26.5, rezev’ 24.4, ulcidito(r)i 51.1, ve(n)ce(re) 1.2, zelate 21.5, zelato 18.6, zellatam(en)te 2.2, zellato 20.4, z(er)to 2.7119.

In posizione debole, in corrispondenza del tosc. /t5/ e del sett. /z/ (Formentin 2002, 98), abbiamo <c(i)>, <ç>, <z(i)>, <s(s)>, <x> [tra parentesi i probabili cultismi che dovevano avere /ts/]: amici 0.1, 10.2, 11.5 (tot. 6), chieressi 47.1 [Cicilia 0.2 (bis), 1.3 (tot. 45), Çicilia 17.8, 27.1, ciciliani 25.1, 26.2, 28.2 (tot. 6), cicilia(n)o 11.1], 117 Cfr. ferr.a. vescoho, vedoe (Contini 1938, 314), bol.a. altroe ‘altrove’, vidua (Vincenti 1974, LXXXIV). 118 Vedi anche le forme dei pronomi clitici in 3.6.4. 119 Qui anche da fr. [t5] ciascheduno 31.3, ziaschauno 44.8, 57.1.


NOTA LINGUISTICA

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diçamo 2.6, 2.7, dice 3.3, 4.1, 4.4 24.4, dice(n)do 39.3, 53.4, dicenove 71.2, dicess(er)o 57.1, dizoi [= *dicio-gli] 40.3, dici 20.4, 23.2, dicie 36.3, 41.2, 59.1, diciese 41.4, dicieva 65.4, dicigli 26.7, dicioie 17.7, dixemo 42.2, dizavano 24.2, dizie 40.3, faciesse 36.3, faciessi 64.2, 66.4, facieste 51.3, feci 29.1, feceli 21.2, fecelli 3.2, fecie 33.2, 36.3, 55.1 (tot. 7), fecieli 35.3, fecies’ 59.1, fez’ 0.1, feze 0.1, 0.2, 1.2, 19.4, fezello 3.2, fecero 70.3, feciero 31.4, 41.2, 44.8, 59.2, fecioro 52.4, 72.2, inimici 14.3, 27.4, 28.3 (tot. 5), i(n)nemici 27.2, pacie 47.3, 51.1, 52.5, 54.1, pax 17.1, piace 29.1, 52.5, 53.2 (tot. 5), piaçe 26.7, piacie 30.1, 37.4, 53.3, piaze 8.3, 9.4, 21.9, 27.3, piazie 41.5, 47.2, piacé 47.4, piazé 1.4, piacierà 68.2, piazerà 24.6 [p(ro)ciessi 47.3, P(ro)cita 0.1, 1.3, 2.1 (tot. 17)], saracini 36.4, 36.5,37.3 (tot. 7), sarasini 38.4 [Sicilia 62.4, 62.7, siciliano 14.1].

Il persistente impiego, accanto a <s x>, delle grafie <z ç>, adibite normalmente alla rappresentazione dell’affricata, andrà attribuito ad interferenza col toscano. Borgogno (1968, 43) corregge infatti l’affermazione di Rohlfs § 214 secondo cui l’uso di <z> per /z/ < -Ce,i- è normale in it.sett.a.; egli mostra però che l’uso di <z ç> è frequente in testi interferiti come resa di /t5/ toscano: docc. mant. paçe, dezembrio, piaçe e plaze (p. 37), Bestiario tosco-venez. dize, feze, fezie, Navigatio S. Brend. fazeva, plazer (p. 121n.). 3.4.4. Esiti di Ge,i, J Da Ge,i iniziale o postconsonantico, in corrispondenza del tosc. /d</ e del sett. /dz/ (Formentin 2002, 98), abbiamo <g>, <s>, <z>: gen(er)ale 3.2, gente 3.3, 5.6, 15.2 (tot. 19), ge(n)ti 43.4, 44.3, ge(n)tile 14.1, pia(n)ge 0.1, piange(re) 6.1, pianseron 11.4, zente 1.2, ze(n)te 20.2.

Da J-, in corrispondenza degli stessi risultati, troviamo anche <i> (cfr. Vincenti 1974, LXXXV): genaio 43.3, già 37.2, giamay 33.3, 1.3 (tot. 73), gions(er)o 55.2, gitali 54.3, gitò 48.3, giudicato 66.2, giunse 2.2, 27.1, 43.3 (tot. 5), giu(n)ti 67.1, giurato 27.2, 28.3, gusticia 51.3, iudicato 64.1, zà 17.4, zamay 11.4, zu(n)te 21.2, zurà 21.6, zurate 9.5, zurati 13.4, 19.1, zurato 15.2, zu(r)i 21.6, zu(r)o 24.5.

Nomi propri: sempre <gi> in Giani 0.1, 0.2, sempre <i> in Iacobo 40.1, Iacopo 41.1, 41.2, 42.1, 47.2, e alternanza Ierusalem 64.1 / Gerusalem 0.2, 51.2, 66.1. Da -Ge,i-, in corrispondenza del tosc. [dd<] e del sett. [dz], troviamo sempre <g>:


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MARCELLO BARBATO

fugio 59.3, fugiru 44.5, lege(r)o ‘leggere’ 50.4, legiptimo 49.3, 50.5, 51.3, magiste(re) 2.4, magistro 0.2, 2.6, 3.2, regina 21.2, 70.1, sagelareteme 9.5, sagelaro 13.4, sagelate 10.1, 15.1, sagelato 21.1, sagello 19.4, salgela(r)e 19.4.

Notevole l’alternanza paese 53.1 / pagesse 11.1. Da -J-, in corrispondenza degli stessi esiti, abbiamo anche <i>, <y>,<li> e <z>: magiore 65.2, maior 4.3, malior(e) 36.1, mayore 32.6, 62.6, pegio 44.8, pezo 17.1. Nella resa del fr.a. /d</ compaiono <g(i)>, <y>, <z>120: gioia 59.1, 72.2, gioya 71.2, dalmayo 22.4, danagio 40.4, 62.2, 66.4, leg(n)azi 17.8, legnazo 5.4, leg(n)azo 18.4, legniayo 35.3, mesagio 36.3, messagi 36.3, 48.1, oltragio 65.1, pasage 1.3, passagio 36.5, Rugie(r)i 43.4, 67.4, s(er)giente 29.2.

3.4.5. Esiti di S La /z/ dovuta alla sonorizzazione intervocalica è rappresentata indifferentemente da <s> e da <ss>, es. casa 48.4, cassa 0.1, 16.1, 17.2 (tot. 6). Di contro /s/ può essere rappresentato anche da <x>: forxe 36.6, xì 5.2, 11.4, 22.2, 62.3, xiché 10.3. Si registra inoltre un isolato sciate 47.2, che potrebbe mostrare la «tipica palatalizzazione emiliana» (Formentin 2002, 108), sebbene la grafia sia diffusa anche in aree estranee alla palatalizzazione, dove nasce come retroscrizione (dato SCe,i > /s/)121. 3.4.6. Esiti di BJ, PJ BJ

PJ

abia 5.2, 10.3, abiamo 12.3, 28.5, 31.1, abiatene 38.4, abie 5.6, d(e)bio 37.3, d(e)bite 66.3, d(e)ba 34.2, d(e)bia 37.4, d(e)biate 36.5, 51.2, 51.3, 64.2, d(e)biati 14.3, 36.3, d(e)biano 48.2 sapia 10.3, 27.4, sapiate 31.1, 31.7, 34.3, 34.4, sapiano 36.3, sapie 21.7, sapiendo 64.2, saze 8.3

I risultati mostrano un sincretismo toscano-settentrionale. Per saze cfr. venez.a. saça, emil.a. saço (Rohlfs § 283). 3.4.7. Esiti di DJ, GJ In corrispondenza di tosc. [(d)d<] e sett. [dz] abbiamo ora <gi> ora <z>: giorni 49.6, 53.7, 55.1, 67.7, giorno 41.2, 42.1, 50.1 (tot. 7); 120 Per l’alternanza tra <y> e <z> nella resa dei francesismi nei testi sett.a. cfr. Bertoletti (2005, 171s.). 121 Cfr. Bertoletti (2005, 187 e n.) con bibliografia.


NOTA LINGUISTICA

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c(re)zo 21.8, vegio 35.1; piagie 67.8; Regio 49.1; seg(n)oregia 23.1, seg(n)oreza(r)e 1.2, seg(n)orezati 14.2, 20.2, seg(n)orezava 16.1, seg(n)orezay 20.2. Rispecchiano invece un esito /j/: il cultismo adiuta(r)e 17.3, adiutato 47.2, adiuto 57.1, agloto 46.4, aiuta(r)e 48.2, aiutarmi 46.3, aiutarò 26.7, aiuto 6.6, 8.1, 39.3 (tot. 5); il sett. ancoymai ‘ormai’ 67.2 < 122 HINC-HODIE-MAGIS ; il francesismo gioia 59.1, 72.2, gioya 71.2. 3.4.8. Esiti di CJ In corrispondenza di tosc. [(t)t5] e di sett. [ts] troviamo <c(i)>, <z(i)>, <ç(i)> e anche <ti>: aziò 27.4, 37.2, azò 20.2, ciò 29.1, çiò 42.2, i(m)p(er)ziò 32.7, p(er)ciò 60.3, 66.3, p(er)ziò 47.3, 60.3, tiò 64.2, ziàe 70.7, ziò 29.1, 32.1, 32.9 (tot. 17), zioè 35.5, 49.1, 49.6, 51.2, zò 11.6, 17.7, 19.1 (tot. 26), zoè 5.2, 5.5; facio(n)i 36.3, fazioi [-gli] 37.1, faza 6.2, facia 42.2, 62.2, 53.3, fazia 31.9, faciate 56.1, facialo 53.3, piaciave 46.3, piaza 5.1, 8.3, 20.5, piazave 17.2, piazavi 56.1; onze 9.2, unçe 29.2, unze 23.3, 34.4; P(ro)hença 64.1, 66.1, P(ro)henza 0.2, 43.5, P(ro)ve(n)za 1.2, p(ro)ve(n)zalle 52.3, p(ro)vi(n)zali 49.1123.

Nei cultismi, <ci> e <ti> varranno piuttosto [tsj]: (con)ditione 49.6, dificii 54.1, Grecia 1.1, 1.2, G(re)cia 1.4, specialm(en)te 23.1, yspiciale 46.5. 3.4.9. Esiti di TJ Nei casi in cui tosc. e it.sett. convergono in [(t)ts] troviamo <c(i)>, <ç>, <z(i)>: muzarebe 41.4, piaça 44.4; anci 67.7, anze 34.2, anzi 32.7, 43.5, 53.5 (tot. 5), anzo 6.5, dava(n)ze 3.2, 10.2, d(e)na(n)ze 19.4, dina(n)ci 53.4, 55.2, dina(n)zi 53.7, i(n)anze 31.8, i(n)anzi 31.9, 32.7, 33.3, 49.5, i(n)anzo 41.1; força 32.6, 54.1, forza 19.1, fo(r)za 50.2, isforzo 1.2, 38.4, 48.2, 49.1, Fra(n)za 0.1, 1.2, 6.4 (tot. 7), Franzia 35.5, 36.3, 36.4 (tot. 7), ma(r)zo 44.1, sança 65.6, sanza 23.3, 67.7 (bis), terzo 35.5, 51.1, 53.7; credenza 9.5, 10.3, 13.3 (tot. 11), rev(er)encia 3.2, se(n)tenza 53.7, Valença 66.1; dota(n)za 21.8, 61.1, lianza 14.2124. 122 Cfr. it.sett.a. ancoi, ven.a. ancomai (TLIO s.vv.), venez. ancuo, lomb., emil. ancöi, incö (Rohlfs § 277). 123 Qui anche, da base espressiva, pinziolo ‘picciolo’ 65.2 e forse muzia ‘fuggi [?]’ 62.3, che sembrerebbe un errore ma che ha riscontri in antroponimi ver.: Muço, Mucafaiga (Bertoletti 2005, 155). 124 Qui anche paço 5.4, 23.1.


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MARCELLO BARBATO

Nei casi in cui il tosc. ha [t5] la rappresentazione grafica è sostanzialmente identica, con <c(i)>, <ç(i)>, <z(i)>, <ti>: a(con)ciarli 50.3, aco(n)ciarono 70.4, a(con)ciase 47.4, a(con)ciasse 40.1, 43.2, a(con)ciass(er)o 63.1, a(con)zare 6.3, (con)cio 46.4, co(n)cio 68.2, (con)tio 32.3, 32.4, 36.3, 52.1, (con)zo 6.3, 6.5, disconzio 32.2, isco(n)zo 35.6; comi(n)ciaro 44.4, comi(n)tiò 44.3, comi(n)zia 32.3, comi(n)ziam(en)to 31.5, comi(n)ziare 27.3, 35.4, comi(n)zia(r)o 54.4, comi(n)ziò 31.5, 43.3, (com)m(en)ciò 44.3, (com)mi(n)tiò 44.3, i(n)comi(n)ciam(en)to 34.4; crucioso 46.1, 53.6, cruciossi 68.1, 68.2, cruciosso 32.1,48.3, 68.1; d(e)scazato 2.3, discazati 17.1, p(ro)caçierò 26.7, p(ro)cazatore 19.1, p(ro)chaça 67.2.

Nei cultismi <ci> e <ti> varranno piuttosto [tsj]: anu(n)cia(n)dovi 51.3 51.3, anu(n)ciovi 51.3, d(e)nu(n)tio 53.6; benedict(i)one 20.1, d(e)struct(i)one 8.1, petitione 48.3, recom(en)dat(i)o(n)e 14.1; g(ra)tie 37.1, reg(ra)ciando 26.5, ringraciamo 31.6, ri(n)graciamo 41.3; istanciato 69.2, leticia 41.5, senciendo 36.4.

3.4.10. Esiti di SJ In corrispondenza dell’esito tosc. /</ e dell’esito sett. /z/ troviamo <gi>, <x(i)> e <(s)s>: axevelm(en)te 11.5, cagione 32.8, 37.3, 48.1 (tot. 5), caxon 5.5, caxone 10.3, 25.2, p(re)gioni 53.5; Chiesa 47.2, Chiessa 39.3, 42.2, 46.3 (tot. 13), Chiexa 53.7, 56.2, 65.4, Gesa 0.1, Gessa 23.1, Giessa 6.4, 17.3, 32.4 (tot. 6), Giexa 18.3125.

Qui anche da TJ, per lo più attaverso il fr.a. [jz], indugii 67.8, malvagio 65.5, 65.6, 66.3, palagio 3.1, ragione 32.3, 43.5, 51.3, 55.4, ragioni 47.2, s(er)vigio 47.4, s(er)vixio 2.6, tradixone 0.1126. 3.4.11. Esiti di RJ Prevale l’esito toscano [j]: genaio 43.3, notayo 61.2, vernatoyo 67.8; muoia 62.6, muoya 44.6 (bis), muoiano 44.4, muoyano 44.4. L’originario esito sett. [jr] si conserva in (con)t(ra)iro 5.2127, mentre è stato ridotto a [r] per motivi morfologici in d(e)nari 38.2, febraro 36.3, para 10.3. 125 Esito dotto in giessie 44.7. 126 Se buzie 65.6 valesse ‘bugie’ (gli altri mss. voce), avremmo un caso di grafia <z>. 127 Cfr. lomb.a. pairo, emil.a., ven.a. vairo (Rohlfs § 285). Per altri esempi vedi

Videsott (2009, 308s.).


NOTA LINGUISTICA

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3.4.12. Esiti di LJ L’esito è rappresentato da <gl(i)>, <lgl>, <ly>, <gi>, <lg(i)>, <i>, <y>128: batagla 44.3,54.4, batagle 67.7, bataygla 54.1, 55.1, (con)seglo 4.1, 38.4, 41.2 (tot. 59), (con)sigla 55.3, (con)siglare 47.1, 48.2, (con)siglaro 54.1, (con)siglate 45.2, (con)siglato 47.2, (con)siglo 35.4, 47.1, co(n)siglo 65.1, 67.1, 68.1, consiglosi 54.1, (con)silgle(re) 3.2, (con)siliglami 46.3, fameglia 2.3, famigle 54.4, figliolo 48.1, figlola 29.3, figloli 49.4, 53.5, figlolo 29.3, 46.4, filyolo 17.3, 20.1, maraveglo 32.1, ma(ra)veglose 17.7, maraveglosi 42.2, maraveglossi 36.3, 36.4, maraviglamoci 66.2, maraviglarono 65.1, maraviglosi 39.2, megiori 43.4, meglo 43.5, 45.2, 58.2, meglore 31.9, melgio 2.7, melgior 2.6, migla 59.2, miglore 43.4, 62.2, pigla 9.4, 67.7, piglarà 62.5, piglare 20.5, 52.6, 67.2, 68.2, piglarò 24.6 (bis), pilglalo 20.3, pilgla(r)e 23.3 (bis), polglesi 3.3, Pugla 17.1, 36.3, 38.3 (tot. 6), somigla(n)te 56.2, somiglente 44.8.

Si danno addirittura casi di grafie reduplicate <y/li + gl>: bataygla 54.1, 55.1, (con)siliglami 46.3. Aggiungiamo, dalla morfologia verbale: doglamo 68.2, doglo 69.2, vogle 11.6, 21.5, volge 19.2, vogla 31.8, 32.5, 60.1, voglati 11.5, voglamo 36.3, 52.3, voglo 23.2, 47.3, 54.2, 54.3, voglola 29.3, voio 29.3, volge 4.3, volglamo 40.3.

Qui anche, dal nesso secondario o da prestiti129: amiraglo 43.4, 63.5, 67.2 (tot. 7), belg seg(n)ori 32.1, bey seg(n)ori 43.4, cavaglie(r)i 52.4 (per i controcasi vedi sopra, § 3.3.1), Guigl(elm)o 55.2, quegli 31.1, 44.2, 44.5 (tot. 11), quellgli 71.3, quigli 65.1 (contro q(ue)lli 17.1, q(ue)li 11.6, 25.1, 44.3, tot. 6).

Non è chiaro se questa esuberante variazione grafica rispecchi quell’alternanza fonetica [j]/[d<] presente in misura diversa in altre varietà (cfr. Stussi 1965, LIII; Bertoletti 2005, 158-60), giacché sappiamo per altri motivi che queste grafie rendono indifferentemente /j/ e /d</ (vedi sopra, § 3.2). A contatto con una [i] si può verificare il completo assorbimento: fioli 14.3, piar 6.5, Guielmo 52.3, 53.1 (cfr. moden.a. fiolo, pià: 128 129

Non si includono le forme semidotte; dubbio milia 44.8, 70.1. Vedi anche nella morfologia nominale gli esiti di ILLE (articoli, pronomi tonici e atoni).


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MARCELLO BARBATO

Elsheikh 2001, XLI), ma manca il tipo estremo ferr. consio, famia (Stella 1968, 264ss.). 3.4.13. Esiti di NJ Rappresentati sempre da <gn(i)> (si danno solo le forme a piene lettere): bisogna 36.6, bisogno 40.1, 41.3, 63.1, bissogna 37.4, 53.3, Bretagna 65.3, Catalogna 33.1, 55.1, Catelogna 21.1, (com)pagnia 15.2, 28.3, 31.5, (com)pagno 41.4, legnazo 5.4, legniayo 35.3, segnor 11.4, segnore 12.1, 12.3, 50.5 (tot. 5), segno(r)ia 0.2, 12.1, 53.3, signore 65.2 (bis), Spagna 6.4; tegna 53.1, veg(n)i 20.2, teg(n)a 31.8, vegna 10.4, 24.6, 29.2, 67.9, tegnate 27.3, teg(n)ati 13.3, 27.4, vegnate 56.1.

3.4.14. Esiti di KW, GW Il risultato di QUID normalmente è che (ke), ma in qualche caso abbiamo <qu>: p(er)q(ué) 2.3, q(ue) 6.2, que 17.1, con conservazione del nesso «frequente negli antichi testi settentrionali» (Formentin 2002, 105). Il fenomeno è ristretto all’interrogativo secondo quelle che erano anche le condizioni del veneto antico (Formentin 2008, 192)130. Di contro abbiamo perdita dell’elemento labiale in piache 43.6 < PLACUIT. Dopo N troviamo cinque 71.2, ma cheuncha 5.2 e q(u)alu(n)che 43.5; (con)q(ui)de(re) 5.6, ma ri(n)chiede(re) 41.3, ri(n)chiesse 53.7. Conservazione dotta in antiq(u)o 52.3, aq(ui)sta(r)e 42.2, raq(ui)sta 46.4, raq(ui)sta(r)e 22.4, raq(ui)sti 47.3. Sempre conservato il nesso secondario. Normalmente conservato [gw]-: guadag(n)are 23.2, gua(r)diave 38.4, guastare 54.2, guera 1.1, 28.3, 40.4 (tot. 6), gue(r)iero 43.4, guisa 27.5, guise 26.4, guissa 11.1; Gualt(er) 12.2, Gualte(r)i 14.1, Gualtie(r)i 44.1, Guido 65.2, Guielmo 52.3, 53.1, Guigl(elm)o 55.2.

Ma in un caso abbiamo vasta(n)do 50.1, con esito diffuso in it.sett. (Rohlfs § 168; Formentin 2002, 109). Dopo N troviamo lingua 0.2, 44.7, ma sa(n)ge 51.1, cfr. lomb. [le0gwa] ma [sa0k] (Rohlfs § 255).

130

Cfr. anche Benincà (2005) che ritiene che la grafia esprima una differenza grammaticale ma non fonetica.


NOTA LINGUISTICA

279

3.4.15. Esiti di consonante + W ebbe 21.8, ebe 32.8, 56.2, 61.1, ebbeno 15.1, eboro 49.6131 sape 67.5 stete 65.7, 69.1, stetero 44.3, 49.6, 54.5 tenesi 71.3, tenessi 50.3, te(n)ne 41.2, vene 26.3, 36.3, venegli 1.4, venelli 45.1, venne 16.2, 35.5, 42.1 (tot. 15), tenero 35.4, 44.6, ven(er)o 27.2, 43.3, 59.4 vole 17.8 (bis), 48.3, volle 49.4

BW PW TW NW

LW

3.4.16. Esiti di consonante + L Negli esiti di CL- alternano la conservazione e l’esito palatalizzato (tosc. [kj], sett. [t5]): chieressi 47.1, clerico 69.2, sclavi 11.2132. In CLAMARE e ECCLESIA fa la sua comparsa il tipico esito sonoro sett. (Rohlfs § 179; Bertoletti 2005, 172): chiamarono 54.5, chiamati 52.1 / giamato 1.1, 35.5, gliamaro 35.3; Chiesa 47.2, Chiessa 39.3, 42.2, 46.3 (tot. 13), Chiexa 53.7, 56.2, 65.4 / Gesa 0.1, Gessa 23.1, Giessa 6.4, 17.3, 32.4 (tot. 6), giessie 44.7, Giexa 18.3. Il nesso -C’L- ha esito sonoro: aparegla 25.1, aparegliam(en)to 36.2, aparegliare 29.2133. Sistematica la vocalizzazione della laterale nel nesso PL-: piaça 44.4, piace 29.1, 52.5, 53.2 (tot. 5), piaçe 26.7, piaciave 46.3, piacie 30.1, 37.4, 53.3, piacierà 68.2, piache 43.6, pia(n)ge 0.1, piange(re) 6.1, pianseron 11.4, piagie 67.8, piaze 8.3, 9.4, 21.9, 27.3, piazie 41.5, 47.2, piacé 47.4, piazé 1.4, piaza 5.1, 8.3, 20.5, piazave 17.2, piazavi 56.1, piazerà 24.6, piena 19.5, più 5.3, 12.3, 22.1 (tot. 21), piùe 26.7, 61.2, pyù 2.7.

Cfr. anche in posizione interna (com)pianto 33.2, (com)piere 29.1, (com)piitamente 26.5, co(m)pim(en)to 60.1134. Vocalizzazione anche nel nesso secondario -B’L-: assembiati 31.4. 3.4.17. Esiti di GN Confluisce regolarmente con -NJ-: cog(n)ato 30.1, dig(n)i 49.5, digni 51.1, 53.1, legni 35.4, 36.4, 67.2 (tot. 8), Regname 5.4, reg(n)o 1.3, 2.6, 17.1, 22.2, 46.4, regno 18.3, 20.3, 71.3, segno 24.4, 131 132

Vedi inoltre le forme del condizionale. Per la più tenace conservazione dei nessi in Italia sett. vedi ora Videsott (2009, 382ss.) con bibliografia retrospettiva. 133 L’esito moderno in area orientale è [t5] (Rohlfs § 248), ma per la variazione antica tra [t5] e [d<] vd. Stussi (1965, LIIs.), Bertoletti (2005, 172-176). 134 La conservazione del nesso «distingue le scritture ravennati trecentesche da quelle coeve ferraresi e bolognesi» (Sanfilippo 2007, 427).


280

MARCELLO BARBATO

sig(n)ifica(r)e 36.5, sig(n)ifichiamo 64.1. Sarà solo grafica la conservazione del nesso in cognosiesse 30.1 (contro conosceva 16.3, conossuti 33.1). 3.4.18. Esiti di SCe,i Si registra alternanza tra l’esito toscano [55] rappresentato da <si>, e quello sett. [s] <ss> (Rohlfs § 255): cognosiesse 30.1, conossuti 33.1, obedisse ‘obbedisce’ 17.4. Ancipite la grafia latineggiante <sc> in conosceva 16.3. Un’alternanza tra [55] e [js] – per la rappresentazione di jod vedi sopra, § 3.2 – si verifica nella famiglia seguente a causa della mediazione del prov. enbayssar (FEW 15, 19)135: ambagisata 41.4, ambagissata 42.1, ambaglsato(r)e 31.3, ambaisata 38.1, 39.2, ambaisatore 36.4, 38.3, 39.2, ambasiadore 43.2, 55.5, 56.1 (tot. 6), ambasiadori 55.2 (bis), ambasiata 49.6, 53.4, 63.1, 67.1, ambasiatore 31.4, 49.3, ambassiadore 67.1, ambaysata 2.5.

3.4.19. Esiti di X Esito sett. [s] (Rohlfs § 225) espresso eventualmente con <x>: laxò 22.2, Risoreso 44.1. Dalla morfologia verbale: (con)trase 0.1, dise 11.1, 13.1, 15.1 (tot. 15), diselgle 4.1, disse 4.2, 4.3, 5.1 (tot. 91), diseno 11.6, disero 31.1, dis(er)ro 35.6, disseno 2.5 (bis), 11.4, 53.4, dissero 45.1, 47.4 (bis, tot. 9), diss(er)re 56.2, trasse 24.2, sco(n)fissoro 50.2, trassero 44.3 (bis).

Da EXIRE si contrappongono il tosc. uscire e in sett. ensir (Rohlfs § 334): insievano 70.4, i(n)sisse 70.3, inxuta 70.1, usierano 70.2, usierete 27.4, usirono 50.2, 53.7, ussioro 50.2. 3.5. Fenomeni generali La dissimilazione in pinziolo ‘picciolo’ 65.2 non ha riscontri nel corpus TLIO né nell’AIS136. Nel caso di salgela(r)e ‘suggellare’ 19.4 si può pensare a un gallicismo (< fr.a. saieller FEW 11, 593ss.) con <lg> che rappresenta /j/ (cfr. sopra, § 3.2). 135

Le forme con la palatale potrebbero essere di diretta derivazione germanica, cfr. LEI Germ (1, 42ss.). 136 Ma per alcuni casi di dissimilazione di geminate in it.sett. cfr. Bertoletti (2005, 191ss.). Il tipo pizzolo è oggi trent., ven. e friul. (AIS 39).


NOTA LINGUISTICA

281

L’alternanza stuldo 5.2 / stulto 5.4 non si oppone alla localizzazione settentrionale: la sonorizzazione dopo laterale è soprattutto un fatto mediano, ma una forma (i)smaldo ‘smalto’ ricorre in un manoscritto poetico quattrocentesco di area feltresco-romagnola (Debanne 2008, 180 e 186) e Rohlfs § 246 menziona un saldo ‘salto’ dell’Orlando innamorato. La [d] anti-iatica in ladicho 69.2 è panitaliana (cfr. corpus TLIO). L’aggettivo anteposto ‘grande’ si apocopa secondo l’uso pansettentrionale (Formentin 2002, 98) in gra(n)t 21.8, 61.1, 71.2 (tot. 6). Si segnalano alcuni casi di apocope in pausa, oltre dunque la norma toscana: caxon 5.5, furor 7.1, segnor 11.4. Si ha apocope anche dopo sibilante in pax ‘pace’ 17.1 (favorita dal modello grafico latino?) e in ozis ‘uccise’ 22.3 (ma in un contesto dubbio). La nasale (rimasta) finale cade in nexù 10.3, so 5.3, 6.2, 21.8: fenomeno tipico del lomb.or. (Formentin 2002, 5 e 13) ma documentato anche in ver. (Bertoletti 2005, 184 e n.) e in emil. (Corti 1960, 43; 1962, LVII). Non particolarmente caratterizzanti le apocopi sillabiche nel participio maschile (ordinà 1.3)137 e negli infiniti di prima classe138 con successiva epitesi (parentae 17.6, seg(n)orezay 20.2). La frequente epitesi (per i dati vedi sopra, § 3.3.2, e oltre, § 3.7.6-8) avvicina il nostro ai testi emiliano-romagnoli: Contini (1938, 316) segnala lìe, dìe, quie, Vincenti (1974, LXXXVI) menaelo, potee, quie, Sanfilippo (2007, 430) làe, mie, soe ‘suo, suoi’. In particolare Corti (1962, LVIII) dice l’epitesi «frequentissima» in lìe, tie, noe, cussìe, ecc., e nella 3a sing. dei perf. (scomonegòe, ecc.); Elsheikh (2001, XLIVs.) cita casi di epitesi dopo il participio apocopato (es. castigae ‘castigato’, predegae, mostrae). 3.6. Morfologia nominale 3.6.1. Articolo Queste le forme dell’articolo maschile singolare preconsonantico139: a)

el 9.1, 11.1, 15.1 (tot. 11), il 0.2, 1.2, 1.3 (tot. 56), ’l 0.2, 2.7, 4.2 (tot. 19), lo 1.3, 2.6, 3.1 (tot. 38), llo 32.9, 42.1, 44.6 (tot. 5)

137 Cfr. Contini (1938, 313), Corti (1962, LVIII), Stussi (1965, XXXVI), Formentin (2002, 9s.), Bertoletti (2005, 65ss.), Sanfilippo (2007, 435). 138 Cfr. Rohlfs § 307, Corti (1962, LVIII). 139 Per la classificazione delle forme dell’articolo e delle preposizioni articolate vedi § 1.6.2-3.


282

MARCELLO BARBATO

lo 2.3, 4.3, 5.2 (tot. 19) el 0.2, 9.2, il 31.2, 35.5, 41.1 (tot. 7), lo 2.6, 6.1, 17.3 (tot. 9)

b) c)

Come negli altri testi, il tipo debole è esteso anche all’iniziale assoluta. Il tipo lo resite però non solo in questa posizione ma anche dopo vocale. Davanti a re, regno e sim. è usato quasi solo l’articolo forte: ’l 18.3, lo 1.3 (bis), 20.2 (tot. 65), llo 21.5, 38.2, 42.2, 60.2 lo 1.1, 5.4 (bis, tot. 19) lo 19.1

a) b) c)

Queste le forme dell’articolo masch. plur. preconsonantico: i 28.5, 67.8, y 44.4, 44.6 (bis, tot. 11), Ø 32.9, 44.3, 50.2, 54.4, 61.2, gli 38.2, 49.3, 56.1, 65.1, li 2.7, 3.2, 5.6 (tot. 27), lli 18.4, 44.2, 44.6 (tot. 5) i 11.1, li 2.2 li 49.6, 64.2, gi 2.5

a) b) c)

Difficile parlare in questo caso di forme forti e deboli, perché, come abbiamo visto sopra, tutte le grafie impiegate sono equivalenti nel nostro testo. Le stesse forme ritornano con proporzioni un po’ diverse davanti a vocale: gi 27.1, 31.3, 58.1, gl’ 47.4, 55.2 (bis), gli 31.10, 34.2, 43.3 (tot. 7), i 11.1, li 8.3, 14.1, 17.2. Ciò potrebbe far pensare a un sistema soggiacente con [li] davanti a consonante e [j] o [d<i] davanti a vocale140. 3.6.2. Preposizioni articolate al’ 1.4, 36.3, 41.4 (tot. 7) ala 0.2, 6.4, 14.2 (tot. 11), alla 47.2, 48.4, 49.5 (tot. 7) ale 14.4, 44.2 al 2.5, 2.6 (bis, tot. 67), allo 71.2 alo re 9.2, 21.2, 21.3 (tot. 12), allo re 6.4, 62.4 ale 6.4, ali 26.7141, a’ 25.1, 46.5, 57.1, ay 27.1, 51.1

a) b) c) d) e) f) 140

Un sistema diffuso in it.sett.a. prevede una forma-base li passibile di riduzione a i dopo vocale (Vanelli 1998, 221). Per il moden.a. Elsheikh (2001, XLVI) segnala l’alternanza i/li/gi, con la prima forma usata generalmente «dinanzi a vocale». Per l’alternanza diversamente regolata delle stesse forme in ver.a. cfr. Bertoletti (2005, 214ss.). 141 Probabilmente errore per al.


NOTA LINGUISTICA

a) b) c) d) e) f) g)

col’ 31.3 cola 26.7, colla 19.1 cole 32.8, colgli 54.4 col 1.4, 2.3, 4.1 (tot. 11), colo 28.5, 52.1 colo re 1.1, 6.3, 50.3, 52.1 colgli 54.1, coli 22.3, 26.2, 65.1 (tot. 5), kogli 31.5 colgli 72.1 [con i 11.1]

a) b) d) e) g)

dal’ 54.4 dala 0.2, 24.4, 26.7 (tot. 13) dal 10.2, 19.5, 27.3 (tot. 10) dalo re 28.5, 39.2, 43.1 (tot. 5), dalo Regno 71.3 daly 10.2

a) b) c) d) e) f)

del’ 43.3 [di l’ 45.1 51.1, 59.4, 61.1] dela 70.3 (bis), di la 16.1 delle 37.4 del 0.2, 19.1, 31.9 (tot. 11) [d’il 10.2, 11.1, 52.1 (tot. 5)]142 delo re 67.5 [di lo re 28.2, 48.3, 63.1 (tot. 8)] d(e)gli 53.5, deli 2.7 [d’i 19.1, 28.2, 64.1, di y 14.3, 35.4, 40.1]

a) b) c) d) e)

[en l’ 1.3, 31.3, 47.2, 57.1] nella 33.2, 44.5 [en la 37.1, 49.4, 50.3] [en le 44.7] enel 40.4, 52.5, 63.1, i(n)el 3.1, nel 28.1 [i(n)t’el 11.1] [en le Reg(n)o 46.4]

b) e)

sula 44.4, 55.4 sulo reame 66.2

283

Si conferma una notevole resistenza delle forme forti (cfr. d), sistematiche davanti a re e simili (e). Il tipo del subisce la concorrenza della formazione analitica d’il; il tipo nel, oltre che da in lo, è affiancato dal pansettentrionale int’, su cui vedi Rohlfs § 858. 3.6.3. Pronomi personali 1a

sogg. eo 6.6, 8.1, 9.2 (tot. 25), eu 0.1, 5.2, 6.2 (tot. 14), e’ 26.5, 28.2, io 19.5, 23.2, 26.7 (tot. 30), y’ 6.2, gi’ 37.3 obl. me 31.8, 31.9, 37.2 (tot. 10), mee 53.3, mi 0.2, 8.3 sogg. tu 5.4, 8.1, 9.2 (tot. 25) obl. te 5.6, 21.8, 64.1 (tot. 7), tee 28.5, ti 64.1, 67.8

2a

142

Si citano solo le forme a piene lettere.


284 3a

4a 5a

6a

MARCELLO BARBATO

sogg. masch. e’ 40.3, egl’ 60.2, egli 36.3 (ter, tot. 17), el 25.2, 26.4, 32.9 (tot. 7), elgli 55.2, eli 32.9, elli 54.1, ello 1.3, 17.7, 24.4, gli 67.3 [errore?], il 69.1; femm. ell’ 18.3 obl. lui 2.3, 2.4, 6.3 (tot. 11), luy 3.2, 5.5, 6.5 (tot. 21) sogg. no’ 11.4, 14.2, 14.3, noi 17.3, 31.9, 34.1 (tot. 10), nuy 2.6 obl. noi 40.4, nuy 11.6 sogg. vo’ 9.5, 10.2, 11.5 (tot. 6), voi 13.3 (bis), 17.8 (tot. 15), voy 13.2, 19.1, 51.3 obl. vo’ 14.2, 16.2, voi 20.2, 20.3, 27.4 (tot. 8), voy 5.1, 21.4, 64.2, 66.4 sogg. elli 31.3, ey 56.2 obl. lor 15.1, 15.2, loro 2.2, 11.1, 49.3 (tot. 9)

Il quadro mostra la sporadica emersione della forma pansettentrionale dell’obliquo da MÏ, *TÏ (Formentin 2002, 99) che in un caso, giusta condizioni moderne, assume anche la funzione di soggetto: 8.3 mi e li altri soi rebelli be(n) ve(n)dicarome li onte nost(r)i143. Alla 3a pers. alternano il tipo toscano egli e il tipo sett. el(o) (Rohlfs § 437). Non estranee all’it.sett. le forme meco 29.2, techo 28.3, (con) techo 46.5, 47.3 (cfr. Rohlfs § 443: mego, tego). 3.6.4. Clitici Queste le forme dei clitici di I e II persona, comprese quelle presenti nei gruppi proclitici: 1a 2a 4a 5a

m’ 9.2, 19.2, 35.1 (tot. 6), me 2.3, 4.2, 6.3 (tot. 23), mi 2.3, 2.4, 10.3 (tot. 17), -mi 29.2, 46.3 (bis), 53.1, -me 2.3, 9.5, 24.4 t’ 5.2 (bis), 5.3 (tot. 8), te 2.6, 7.1, 9.2 (tot. 8), ti 2.6, 4.3, 5.3 (tot. 20), -te 5.4, 5.6, 8.3, 66.3, -ti 20.2 çe 14.3, ci 31.7, 32.5, 36.3 (tot. 8), cie 32.5, ze 32.3, zi 32.4, -ci 66.2, -ni 31.6 v’ 0.1, 10.3, 43.4 (tot. 5), ve 11.3, 11.5, 17.6 (tot. 7), vi 2.3, 19.5, 26.2 (tot. 18), -vi 26.5, 36.5, 51.3 (tot. 6), -ve 0.2, 2.4, 17.2 (tot. 5)

Non sorprende anche in it.sett. l’alternanza alla 4a pers. tra ci (ce) e ne (ni)144; la forma si a 14.2 (no’ si recoma(n)demo (et) a vo’ (et) ala vost(r)a dona), piuttosto che attestare la deaffricazione di [tsi] (cfr. 143 Il contesto in questione (coordinazione con altro nominale) è tra i primi in cui si verifica la sostituzione (Vanelli 1987). Sull’affermazione di mi ti soggetto vedi anche Bertoletti (2005, 220) e Videsott (2009, 401-406). 144 Cfr. Rohlfs § 460 e vd. Corti (1962, LIX: ne ce çe) e Elsheikh (2001, L: ne ni ce çe).


NOTA LINGUISTICA

285

sopra, § 3.2), mostrerà la penetrazione del clitico riflessivo già attestata in antico e diffusa modernamente in tutta l’Italia sett. (Rohlfs § 460)145. Accusativo 3a pers. masch. sing.146: __V V__ C__ enclitico

l’ 3.3, 22.3, 42.2 (tot. 6) ’l 1.4 (bis), 4.1 (tot. 11), il 41.4, 60.1, lo 3.2, 16.3, 17.7 (tot. 22) lo 16.3, 46.3 dilo 18.7, facialo 53.3, farlo 19.1, farolo 19.4, 41.3, fezello 3.2, ma(n)dolo 52.6, menollo 33.2, menolo 21.3, pagerelo [= -eremlo] 52.3, pilglalo 20.3, p(re)gallo 40.3, pregetello 37.4, tello 20.

Masch. plur.: gli 17.4, 33.2, lgi 32.8, li 17.3, 26.7, 29.1, 54.3; enclitico: a(con)ciarli 50.3, gitali [= -ar-li] 54.3, ispaurali [= -ar-li] 54.3, ma(n)dogli 48.1, ma(n)doli 49.4, p(re)gogli 47.1, remetile [= -erli] 17.2, tra(r)li 26.7, vedd(e)ndogli 50.2. Dativo: sing.

plur.

gle 32.9, gli 40.2, 41.1, 41.5 (tot. 9), igl’ 69.1, li 2.3, 4.3, 15.2 (tot. 8); coma(n)daretegli 39.3, (con)togli 36.3, darayli 9.2, digli 40.2, diretegli 41.3, 41.4, diselgle 4.1, ditegli 41.4, 41.5, dizoi 40.3, eragli 3.3, fazioi 37.1, feceli 21.2, fecelli 3.2, fecieli 35.3, fetegli 34.3, mandategli 39.3, mostrogli 41.1, venegli 1.4, venelli 45.1 loro 27.2, 33.2, 35.5 (tot. 18)147; dègli 71.3, dicigli 26.7, doma(n)dogli 52.2

Nella resa di ILLI dunque, oltre alle grafie usate negli esiti di LJ, abbiamo anche <yl>; <igl> è grafia reduplicata (vedi sopra, § 3.4.12). La -e < -I può essere dovuta ad analogia con gli altri clitici, cfr. it.sett.a. je, ge accanto a li, i, gi (Rohlfs § 459), ravenn.a. i, gle (Sanfilippo 2007, 433). Riflessivo: s’ 31.10, se 0.1, 1.3, 2.1 (tot. 29), si 5.2, 27.4, 31.3 (tot. 37); a(con)tosse 2.2, d(e)fendassi 53.3, fecies’ 59.1, i(n)fisesi 31.2, levasse 65.2, levassi 32.1, levosi 60.1, ma(ra)veglose 17.7, maraveglosi 42.2, maraveglossi 145 Cfr. anche in un testo ferr. del Trecento: nui se ne clamemo in colpa denanci da Deo (Stella 1968, 275). 146 L’alternanza dopo vocale tra il tipo forte e quello debole è nota in antico alle varietà settentrionali, che poi opteranno per l’uno o l’altro (Vanelli 1996, 250ss.). 147 In realtà semiclitico, come in italiano moderno.


286

MARCELLO BARBATO

36.3, ma(ra)veglossi 36.4, maraviglosi 39.2, movosso 58.1, partirousi 10.1, pa(r)tisse 21.1, 26.2, partissi 38.1,67.1, tenesi 71.3, tenessi 50.3, tornaro(n)si 49.6.

Locativo: c’ 2.6, ci 6.5, 31.1, 38.4 (tot. 7), zi 32.9, 34.1, 72.2, vi 42.1, 44.5, dègli 55.1, d(e)morogli 55.1. Gli ultimi due casi continuano ILLIC (cfr. tosc.a. gli, lomb.a. ge/je, ver.a. g’: Rohlfs § 902). Partitivo: n’ 17.6, 17.8, 20.4 (tot. 10), ne 11.5, 12.1, 18.1 (tot. 15), ni 32.5, 36.2, 65.7, andone 38.1, d(e)veretene 42.2, es(er)one 22.3. Gruppi clitici: I

me ne

III

me lo

IV

glielo

ci ni 32.5, me ne 27.3, 48.4, ve n’ 17.6, ve ne 11.5, 36.6 (bis), p(re)govene 41.5, se n’ 20.4, 21.7, 28.1 (tot. 6), si n’ 32.7 mi li 24.1, me lo 23.2, li ti 29.1, lo ti 46.4, toglelami 69.1 giele 40.3, glele 69.1, porsegele 24.2, tolseglele 44.2

V

gli si

gli si 59.2, 65.6

VII

ne lo

ne l’ 65.4, ne ’l 18.1, 48.4

VIII

mi si

vi si 36.4

Il quadro è simile a quello degli altri manoscritti: in III prevale leggermente l’ordine fiorentino; in IV troviamo il tipo fior. invariabile gliele; in V il fior. gli si; in VII il tipo tosc. comune ne lo. 3.6.5. Relativi e interrogativi Emerge sporadicamente l’opposizione pansettentrionale (Formentin 2002, 99) tra chi relativo sogg. e che oggetto: ch’ 13.2, 15.1, 16.2 (tot. 14), che 1.4, 2.4, 2.6 (tot. 49), chi 1.1, 9.2, 29.1 (tot. 5), k’ 31.8, 36.1, 43.4, ke 6.6, 22.1, 36.3 (tot. 11), ki 5.5 ogg. c’ 19.4, 32.9 (bis), ch’ 1.3, 28.2, 30.1 (tot. 11), che 0.1 (bis), 5.1 (tot. 25), k’ 19.5, 36.1, 42.2, ke 15.2, 21.5, 24.2 (tot. 10) dopo prep. a cuy 14.2, p(er) cuy 31.7 sogg.

Nel pronome interrogativo abbiamo alternanza – normale in antico (Rohlfs § 488) – tra chi 7.2 (bis), 18.5 (tot. 7), ki 7.1, soggetto e oggetto, e a cui 36.3 (bis), a cuy 37.3, 41.4, obliquo.


NOTA LINGUISTICA

287

3.7. Morfologia verbale 3.7.1 Tempi non finiti Presenta metaplasmo, secondo l’uso sett. (Rohlfs § 616) tenir 15.1, teni(r)e 14.3, 18.4, 21.8 (ma tene(re) 18.6). I futuri rompirano 67.8, vig(n)aremo 11.6 presuppongono degli infiniti rompir, vegnir pure sett. (Rohlfs § 616s.). Il gerundio può essere formato sul tema del congiuntivo (istiando, sapiendo) e presenta talvolta l’uscita -ando anche alla II-III classe, come accade in tutta l’Italia sett. (Formentin 2002, 99; Rohlfs § 618); saranno latinismi audiendo e senciendo: c(er)cando 44.2, diffidando 49.4, difidando 62.4, istiando 35.5, p(er)cazando 2.3, porta(n)do 50.5, p(re)ga(n)do 14.3, p(re)gando 36.3, 49.3, reg(ra)ciando 26.5, sta(n)do 3.3, stando 4.1, suspira(n)do 69.1, torna(n)do 26.1, ve(n)dica(n)do 11.3 arde(n)do 50.1, c(re)de(n)do 50.2, dice(n)do 39.3, 53.4, ofe(n)de(n)do 64.2, pote(n)do 11.3, sapiendo 64.2, tene(n)do 53.3, vedd(e)ndo 44.5, 49.6, veddendo 71.3, vedd(e)ndogli 50.2, vene(n)do 35.3, videndo 70.3 auda(n)do 6.1, aude(n)do 17.7, audie(n)do 2.5, senciendo 36.4, udando 62.1, udendo 54.2, 61.1 (bis)

I

II

III

In somiglente 44.8 (contro somigla(n)te 56.2) abbiamo una sostituzione del suffisso assai diffusa in it.sett. e non estranea al toscano (Rohlfs § 619). 3.7.2. Desinenze Alla 2a pers. plurale dell’imperativo, dell’indicativo e congiuntivo presente, dell’imperfetto e del futuro l’it.sett. presuppone -ATI -ETI -ITI (Rohlfs § 607), come testimonia in maniera più conservativa il bol.a. -ati, -eti, -iti (Formentin 2002, 108). Nel nosto testo compaiono -ati e -eti ma le forme con -i (12 occorrenze) sono più rare di quelle con -e (49). Per l’eventuale effetto metafonetico di I vedi sopra, § 3.3.1. La confusione di 3a e 6a compare in casi sporadici e non tutti decisivi (soggetto posposto, verbo inaccusativo o passivo)148: 2.3 E q(ue)le li doma(n)dò; 3.2 Allora se movò li diti cavale(r)i; 19.2 si 148

Cfr. bol.a. vene le novelle, vene ambasaduri, ecc. (Corti 1962, LXVI).


288

MARCELLO BARBATO

m’è mostrato le let(r)e; 34.1 [i siciliani] no(n) d(e)ba dota(r)e di niente; 44.6 muoya, muoya y fra(n)cieschi; 49.3 [i messinesi] ma(n)doe ambasiatore a re Carlo; 50.1 tenessi tuti morti; 56.1 m(u)lto vi d(e)sid(e)ra gli vostri fid(e)li di Messina; 70.4 ve(n)ne di fuori tuti.

La confusione incondizionata è «comune a tutta l’area veneta» (Formentin 2002, 110), si verifica anche in trent. (Coletti/Cordin/Zamboni 1992, 188) e in bresc. (Bonelli/Contini 1935, 148), ma non è estranea all’area emiliana: compare infatti sporadicamente nel ms. K di Matteo dei Libri (Vincenti 1974, XCVIII) ed è «quasi di norma» nel ms. ferr. quattrocentesco studiato da Contini (1938, 317). 3.7.3. Imperativo 2a 5a

I classe -a curate 34.4, istate 70.2, mandategli 39.3, pe(n)sate 36.1, 43.5, pregetello 37.4, zurate 9.5

2a 5a

II classe crede 20.4, meti 34.2, tello 20.3, ved(e) 28.4 credete 14.4, ponete 38.4

5a

odite 42.2

III classe

Casi particolari dami 29.2 fa 9.4, 11.6, 24.6 (tot. 7), fae 17.5, 29.2, fallo 67.3; faite 4.3149, fetegli 34.3150 ‘dire’ dì 5.1, 21.5, digli 40.2, dilo 31.1, dicigli 26.7, dizie 37.1; dite 37.3, 41.5, ditegli 41.4, 41.5, ditte 57.1 ‘andare’ va 26.7, 46.4 ‘dare’ ‘fare’

Per la conservazione della desinenza etimologica -E alla II classe in it.sett.a., cfr. Rohlfs § 605.

149 La forma faite è attestata in area sett. nei Proverbia ven. e nelle Laudi dei Battuti di Modena (1377, corpus TLIO), faiti nel ms. K di Matteo dei Libri (Vincenti 1974, XCIII). Alla base potrebbe essere un *FAC(I)TI, cfr. spagn.a. fech < FAC(I)TE, feches < FAC(I)TIS (Penny 2006, 200). Diverso il caso della diffusa forma toscana, identica ma probabilmente di altra origine (Castellani 2000, 333, 360 e 444). 150 Su questa forma vedi sopra, § 3.3.1.


NOTA LINGUISTICA

289

3.7.4. Presente I classe -o indugii 67.8, mo(n)st(r)i 23.2, zu(r)i 21.6 -a coma(n)diamo 51.2, 64.2, 66.3, difidiamo 66.4, mandiamo 14.3, 36.3, maraviglamoci 66.2, passiamo 68.2, 69.2 (sempre imper.), pe(n)siamo 32.4, pensiamo 60.3 (imper.), po(r)tamo 2.6, p(re)gomoti 20.2, recoma(n)demo 14.2, ringraciamo 31.6, 41.3, sig(n)ifichiamo 64.1, istiamo 71.1 (imper.) ordinate 26.5, ystudiate 26.5 adoma(n)dano 53.1, d(e)vorano 14.3, disid(e)rano 66.4, rechano 62.5, trovano 17.1

1a 2a 3a 4a

5a 6a

II classe credo 37.3, 41.5, 60.3, c(re)zo 21.8, d(e)bio 37.3, dico 21.6, 21.7, 31.9, 32.7, dizoi [‘gli dico’] 40.3, doglo 69.2, facio(n)i 36.3, fazioi [‘gli faccio’] 37.1, i(n)tendo 40.2, poso 11.5, 54.3, posse 6.3, 17.3, 21.8, posso 26.2, p(ro)metto 24.5, vegio 35.1, voglo 23.2, 47.3, 54.2, 54.3, v<o>glo 53.2, voglola 29.3, voio 29.3, volge 4.3 dici 23.2, i(m)p(ro)mite 9.2, ma(n)tene 17.1 dice 3.3, 4.1, 4.4, 24.4, dici 20.4, dicie 36.3, 41.2, 59.1, dole 0.1, ma(n)tene 17.3, mete 11.1, par 12.3, pare 24.3, 31.8 (bis, tot. 7), p(er)d(e) 62.2, piace 29.1, 52.5, 53.2 (tot. 5), piaçe 26.7, piacie 30.1, 37.4, 53.3, piaze 8.3, 9.4, 21.9, 27.3, piazie 41.5, 47.2, pia(n)ge 0.1, sente 5.2, toglelami 69.1, valle 6.4 d(e)biamo 47.4, d(e)vemo 14.2, diçamo 2.6, 2.7, doglamo 68.2, possiamo 60.3, tig(n)amo 46.5, voglamo 36.3, 52.3, volemo 42.4, volglamo 40.3, vollomo 53.5 c(re)dite 13.2, d(e)vete 46.3, potete 43.5151, volete 53.6, voleti 0.1, 11.3, 18.3, 19.1 ate(n)dono 56.1, escono 70.4, possono 47.3, 53.3

1a

2a 3a

4a 5a 6a

III classe (con)vene 21.4, 37.2, co(n)viene 67.7, 67.9, ven 5.4, vene 2.6, 5.5, 32.5, 70.4, veni 5.3, veno 32.4, ve(n)te 5.6, viene 11.1, 28.4, 60.2 (tot. 7), obedisse 17.4, p(ro)fero 36.4 p(er)ferite 9.5

3a 5a

Alla 1a pers. la finale di posse, volge non va interpretata necessariamente come un fatto solo grafico; le varietà sett. che cancellano le vocali finali infatti presentano in questo caso una vocale d’appoggio: 151

Ma il contesto richiederebbe un futuro.


290

MARCELLO BARBATO

piem. -u, lomb. -i, trevis.-bell. -e (Benincà/Vanelli 1976)152. Notevole l’estensione del tema palatalizzato in dizo, cfr. ven.a. diço (Poes.an., corpus TLIO) e mil. disi (Rohlfs § 537). Alla 2a pers. oltre a quelle listate ricorre una forma interrogativa (< -AS): Or no pe(n)sa-tu...? 5.4, cfr. mil.a. vatu ‘vai tu?’, parm. hat ‘hai tu?’ (Rohlfs § 533). La -e di mantene, impromite (e vedi oltre vole) sarà dovuta a indebolimento vocalico, giacché «l’-i è provato dalla metafonesi» (Contini 1938, 313). Alla 4a pers. troviamo una volta -emo, due volte -omo. In effetti l’it.sett. mostra sin dai testi antichi generalizzazione ora di -EMU, ora di -UMU (su SUMUS): per il primo si decidono il berg., il ver., il trent., il venez., per il secondo il bresc., il mant. e il trevis. (cfr. Stussi 1965, XLV; Formentin 2002, 105ss.; Coletti/Cordin/Zamboni 1992, 188). L’emil.a. «sembra conoscere la desinenza solo al suo punto di partenza somo ‘siamo’» (Ghinassi 1965, 121), ma anche nel ms. K di Matteo dei Libri, accanto al generale -emo, troviamo un confessome ‘confessiamo’ (Vincenti 1974, XCII-XCIV). Data l’oscillazione attuale tra -ema e -om (Rohlfs § 530), si potrebbe pensare a un’antica variazione diastratica simile a quella presente in padovano, dove -om aveva carattere rustico. Casi particolari: 1a 2a 3a 4a 5a 6a

‘avere’ ò 0.1, 5.2, 5.3 (tot. 9), òe 36.3, 48.3, 69.1, òme 24.4 à’ 47.2, ài 23.1, ày 24.3, 35.1, 67.8, ê 22.1153 à 16.2, 26.5, 28.2 (tot. 19), àe 28.3, 43.4, 55.3 (tot. 5) abiamo 28.5, 31.1, aveme 35.6 abete 65.4, aveti 31.6, avite 11.2, 13.3 àno 53.7

1a 2a a 3 4a 5a 6a

‘essere’ so 5.3, 6.2, 21.8, son 6.3, 6.6, 19.1, sone 6.4, sono 2.4, 8.2, 29.1 sè 22.4, 23.1 è 2.6, 2.7, 4.2 (tot. 54), èe 32.2, hè 31.2, 55.3 siamo 5.1, 68.2, su(m)mo 11.4154 sete 51.1, siete 60.2 son 10.4, 17.2, sono 17.1, 19.1, 49.5, 53.1, su(n) 22.1 152

Va detto però che «l’Emiliano-Romagnolo mantiene tuttora la fase con Ø» (ibid., p. 151). 153 Forma sett. da *ai (Rohlfs § 541). 154 Per l’it.sett. som(o) vd. Rohlfs § 540.


NOTA LINGUISTICA

291

‘dovere’ 3a pers. d(e)’ 17.1, 35.6, d(e)o 32.3155 a ‘dire’ 2a pers. di’ 23.2, die a 18.1; 5 pers. dite 12.2, 32.1 a ‘fare’ 1 pers. fo 48.4; 3 pers. fa 36.3, 39.2, 42.2, 52.4, fae 36.3, 40.2, 43.2; 5a pers. fate 36.4 ‘stare’ 3a pers. istà 32.3, istae 27.3, sta 4.4 ‘sapere’ 1a pers. so 69.3; 2a pers. sai 11.4, say 17.7, 23.1; 3a pers. sa 2.4, 2.7, 36.3; 6a pers. sanu 25.1 ‘andare’ 1a pers. vo 27.3, 43.1, vome 2.3; 3a pers. va 39.3, 40.2, 40.3 (tot. 5), vae 39.3; 6a pers. vano 26.3 ‘potere’ 2a pers. poi 22.4, 23.3 (bis), puoi 46.4, puoy 68.2; 3a pers. pote 18.6, 19.3, 23.1, 36.3, poti 14.4, puote 41.5, 43.5, 43.6 (tot. 6), pò 12.1, 24.4, può 41.4 ‘volere’ 2a pers. vo’ 4.2, vole 6.2, 19.4, 21.8, voli 24.5, violi [?] 35.1; 3a pers. vole 18.4, 24.4, 35.1, 39.1, vuole 36.3; 6a pers. vollono 53.3, volone 6.5, volono 53.1, volonomi 53.1156

3.7.5. Imperfetto I classe andava 38.4 (bis), 48.3, d(e)morava 21.2, ma(n)dava 41.1, menava 1.4, seg(n)orezava 16.1 andavane 31.1, andavano 44.1, 44.2, davano 44.2

3a 6a

II classe avea 1.3, 15.2 (bis, tot. 10), aveva 1.1, 19.4, 27.2 (tot. 14), avevalla 49.4, avia 31.4, 35.5, conosceva 16.3, d(e)vea 28.5, 65.4, 67.5, facieva 36.3, sapea 17.7, sapeva 45.2, 48.1, sethia 16.1, teneva 1.4, voleva 32.9 (bis), volia 3.1 avean 47.4, aveano 32.9, 44.7, 49.5, aveva(n)o 44.2, avevano 49.3, aviano 54.2, d(e)vevano 49.3, dizavano 24.2, potano 31.7, poteano 61.2, teneano 53.7, 71.3, voleano 52.3, 54.4

3a

6a

III classe

3a 6a

venia 2.2, 67.5, 67.6 insievano 70.4

Normale in it.sett. la penetrazione di -ia alla II classe (Rohlfs § 551; Arcangeli 1990, 29s.). La 6a pers. potano ‘potevano’ potrebbe non essere un errore (vd. sopra, § 2.7.3). Le forme dizavano e insievano si potrebbero spiegare come reazione a un processo di sostitu155 156

Cfr. in Matteo dei Libri deve, dé, deo (Vincenti 1974, XCIII). Abbiamo qui il tipo non palatalizzato che presuppone VOLUNT, normale in it.sett. (Rohlfs § 548).


292

MARCELLO BARBATO

zione di -avan con -evan, e di -evan con -ivan, fenomeni attestati entrambi in it.sett. (Rohlfs § 551). 3.7.6. Perfetto debole I classe p(re)stai 48.3 -ò (-oe), andau 41.1, levasse 65.2, levassi 32.1, most(r)à 41.2, zurà 21.6 lasciaste 68.2 acco(n)ciarono 70.4, andaro 33.1 (bis), andarono 31.3, andorono 55.2. andorve 2.5 [errore per andorne?], chiamarono 54.5, comi(n)ciaro 44.4, comi(n)zia(r)o 54.4, (con)taro 49.6, dima(n)darono 31.1, fermaro 47.4, gliamaro 35.3, gridarono 44.6, 65.7, ma(n)dorono 50.3, 67.4, maraviglarono 65.1, menarou 3.2 [errore per menaron], ordina(r)o 11.5, portarono 63.1, p(re)sentarono 67.1, sagelaro 13.4, tornaro 47.4, tornaro(n)si 49.6, tornoro 44.4, trovarono 31.1

1a 3a 5a 6a

II classe (con)cid(e)te 55.4, dicioie 17.7, movò 3.2, 27.1, movosso 58.1, piacé 47.4, piazé 1.4, recevete 3.2, rendoe 44.6, tollò 26.2 credetero 71.2, pianseron 11.4

3a 6a

III classe diss(er)vii 69.1 fugio 59.3, odì 13.1, odio 42.1, 43.3, pa(r)tì 2.1, 15.1, 19.5, pa(r)tio 27.5, 43.1, 47.1, pa(r)tisse 21.1, 26.2, partissi 38.1, 67.1, udie 35.1, 36.3, 40.1 (tot. 5), udio 32.1,36.4, 46.1 (tot. 6), udiu 53.1, 53.6, 67.1 asalirono 44.5, fugiru 44.5, odirono 42.2, pa(r)tiro 35.3, pa(r)tirono 15.3, 49.6, partirousi 10.1 [errore per partironsi], udiorono 57.2, udiro 68.1, udirono 35.6, 53.4, 63.1, 65.1, usirono 50.2, 53.7, ussioro 50.2.

1a 3a 6a

Alla prima classe emerge il pansett. -à < -A(VI)T (Rohlfs § 569; Formentin 2002, 99). Il tipo in -ò è diffuso in testi ven. (Bertoletti 2005, 242 e n.), predomina nettamente in mant.a. ed «è, fin dalle origini, quasi la norma nei testi emiliani» (Ghinassi 1965, 123). Qui l’uscita -ò è estesa sorprendentemente anche alla II classe, forse per reazione all’estensione di -é nella I157. In andau 41.1 è conservato lo stadio dittongato (per riscontri sett.a. cfr. Bertoletti 2005, 242 e n.; Vincenti 1974, XCII). 157

Cfr. emil.or. [truvé] ‘trovò’, [ka5ké] ‘cascò’ (AIS 1697, pp. 446 e 466).


NOTA LINGUISTICA

293

Quanto alla 6a pers., se è banale -oro nella prima classe (Rohlfs § 568), l’uscita -ioro di III sembra rimandare a un antigrafo lucchese (vedi sopra, § 1.7.4). 3.7.7. Perfetto forte 1a 2a 3a

4a 5a 6a

2a 3a 6a

feci 29.1 (ma in contesto non chiaro), inp(ro)missi 28.4 volisti 17.6 (bis), 22.2 (con)trase 0.1, dègli 55.1, 71.3, diè 55.3, dièlla 65.7, dise 11.1, 13.1, 15.1 (tot. 15), diselgle 4.1, disse 4.2, 4.3, 5.1 (tot. 91), ebbe 21.8, ebe 32.8, 56.2, 61.1, feceli 21.2, fecelli 3.2, fecie 33.2, 36.3, 55.1 (tot. 7), fecieli 35.3, fecies’ 59.1, fez’ 0.1, feze 0.1, 0.2, 1.2, 19.4, fezello 3.2, fì 50.4 [errore?], giunse 2.2, 27.1, 43.4 (tot. 5), i(n)fisesi 31.2, i(n)tesse 3.1, 58.1, ozis 22.3 [errore?], parve 48.4, piache 43.6, porsegele 24.2, p(re)se 21.1, p(re)sella 44.2, p(re)sse 26.2, 33.2, puosse 49.2, resposse 25.1, ri(n)chiesse 53.7, rispose 2.3, risposse 17.3, sape 67.5, stete 65.7, 69.1, tenesi 71.3, tenessi 50.3, te(n)ne 41.2, tolso 48.1, tolse 52.6, 65.7, tolseglele 44.2, trasse 24.2, vene 26.3, 36.3, venegli 1.4, venelli 45.1, venne 16.2, 35.5, 42.1 (tot. 15), vidd(e) 33.2, vidde 65.1, vid(e) 24.2, 26.4, 29.1 (tot. 8), vole 17.8 (bis), 48.3, volle 49.4, volse 49.4, 59.3, vosse 17.6 dixemo 42.2, vollemo 53.5 tineste 32.6, voleste 32.6 diseno 11.6, disero 31.1, dis(er)ro 35.6, disseno 2.5 (bis), 11.4, 53.4, dissero 45.1, 47.4 (bis, tot. 9), diss(er)re 56.2, ebbeno 15.1, eboro 49.6, fecero 70.3, feciero 31.4, 41.2, 44.8, 59.2, fecioro 52.4, 72.2, gions(er)o 55.2, p(re)sero 67.1, p(re)sse(r) 43.3, p(re)ssero 71.2, risposeno 53.6, sco(n)fissoro 50.2, stetero 44.3, 49.6, 54.5, tenero 35.4, 44.6, trassero 44.3 (bis), ven(er)o 27.2, 43.3, 59.4, vid(e)ro 44.8, 49.3, 52.1, 70.4 ‘essere’ fusti 66.2 fo 9.3, 10.1, 18.1, 21.2, foe 22.2, 27.1, 32.1 (tot. 7), foy 21.1, fu 3.2, 21.3, fue 3.1, 24.2, 26.4 (tot. 42) fuorono 31.4, 33.1, 38.2 (tot. 22), furon 13.4, furono 31.10

La 6a in -eno potrebbe indicare un antigrafo tosc.occ. (vedi sopra, § 1.7.5) ma è anche sett. (Corti 1962, LX; Stella 1968, 276; Sanfilippo 2007, 434). Non è toscano il perf. fo. 3.7.8. Futuro 1a

I classe aiutarò 26.7, apo(r)ta(r)ò 19.3, cercaroe 9.6, menarò 8.1, mo(n)staroni 18.6, mo(n)strarò 25.1, pa(r)la(r)ò 37.2, p(er)donarò 53.2, piglarò 24.6 (bis), procaçierò 26.7, recharò 25.1, tornarò 25.1, tornerò 70.2


294

MARCELLO BARBATO

2a 3a 4a

ma(n)d(e)ray 55.4 levarà 62.2, pass(er)à 9.2, 28.6, piglarà 62.5, p(re)starà 36.6, andaremo 4.4, ma(n)daremo 62.4, 62.5, pagerelo 52.3, pensaremo 58.2 (bis), pe(n)saromo 10.4, ve(n)dicarome 8.3 appellaretime 10.2, sagelareteme 9.5, ve(n)dicarete 27.4

5a

6a

II classe dirò 18.6, 19.5, 36.3 (tot. 6), diroe 9.2, terò 21.5 diray 46.5, rimaray 67.7, voray 8.1,46.4 averae 58.2, avrà 41.5, 69.2, piacierà 68.2, piazerà 24.6, porà 6.6, 23.2, saprà 37.3, savrà 20.4, torà 9.2, volrà 18.4, vo(r)à 36.2, vorà 55.5 averemo 32.4, 34.1, 54.3 (tot. 6), metereme 52.5, pot(r)omo 11.4, teremo 32.5, ved(e)remo 31.9, 36.2, 52.5 (tot. 5), vedieramo 31.9 d(e)veretene 42.2, direte 10.3, 41.3, diretegli 41.3, 41.4, move(r)ite 11.3, trarette 70.2, ved(e)rete 66.4, ved(e)rite 13.3, vorete 32.5 avera(n)o 3.3158, averano 26.7, 49.5

1a 2a 3a 4a 5a 6a

III classe pa(r)tirò 9.6 udiray 55.5, veray 55.4 converà 12.1, 36.2, 58.2 (tot. 5), d(e)ve(r)rà 28.6 vig(n)aremo 11.6 udirete 34.3, usierete 27.4 rompirano 67.8, usierano 70.2

1a 2a 3a 4a 5a

Casi particolari a

1 pers. faray 18.4, farò 9.2, 18.3, 21.9 (tot. 6), faroi 53.2, farolo 19.4, 41.3; 3a pers. farà 19.1, 28.6, 62.7; 4a pers. faramo 46.4, faremo 27.3, 36.2, 52.5 (tot. 5); 5a pers. farete 27.4, fa(r)ite 10.2 ‘dare’ 3a pers. darà 40.2, darayli 9.2; 4a pers. daremo 40.3, da(r)remo 52.3; 5a pers. darete 39.3 ‘stare’ 4a pers. istaremo 52.4 ‘essere’ 1a pers. serò 57.1; 3a pers. serà 6.6, 10.2, 36.5 (tot. 5), sirà 57.1; 4a pers. sera(m)me 11.4, seramo 58.2; 5a pers. sereti 12.1; 6a pers. serano 28.5 ‘fare’

Si mantiene normalmente la distinzione etimologica -AR- -ER- -IR-, ma si registrano, oltre allo strano vedieramo, un caso di -ar- per -ir(vignaremo) e due di -er- per -ir- (usier-), fenomeno quest’ultimo che potrebbe essere di ascendenza tosc.occ. (vedi sopra, § 1.7.6)159. 158 Ma il contesto richiede un imperfetto. 159 Ma si potrebbe anche pensare a una dissimilazione grafica, con <e> al posto

di <i> dopo il digramma <si> (su cui vedi sopra, § 3.2).


NOTA LINGUISTICA

295

Per quanto riguarda le desinenze, alla 1a pers. accanto al tosc. -ò emerge il sett. -ay (Rohlfs § 588). Alla 4a pers., accanto a -emo e al già visto -omo, compare anche l’uscita -amo che, attestata in testi sett. (Rohlfs § 588), presuppone un amo ‘abbiamo’ (ibid. § 541: emil., lomb. am). In due casi è attestato il futuro analitico settentrionale: eu v’ò contare 0.1 ‘io vi racconterò’, ove gi’ ò andare 37.3 ‘dove io andrò’; cfr. bresc.a. ò chiamà, ò sofrì (Bonelli/Contini 1935, 147), ver.a. ò dir (Rohlfs § 590). 3.7.9. Condizionale I classe demorareve 2.3, muzarebe 41.4

1a

2a 3a

II classe cred(e)reve 24.1, direo 37.3, vorei 60.2, voreo 16.2, voreve 21.4, vorey 30.1 met(r)iste 7.1, vederesti 64.2, voresti 22.1, 68.2 dev(er)ebe 17.6, porebe 23.2, poterebe 35.6, v(er)ebe 57.1

3a

s(er)virebe 16.3

1a

III classe

Casi particolari ‘essere’ 2a pers. sarixe 21.7; 3a pers. sarebe 32.6, serebe 7.2, 18.5, 25.2, s(er)ia 65.5 ‘fare’ 2a pers. fa(r)isti 24.1; 3a pers. farebe 18.1; 6a pers. farebeno 2.5, farebe(r)o 56.2, fareb(er)o 61.3

Per il tema vedi il paragrafo precedente. Alla 1a pers. il tipo tosc. -ei alterna con il sett. -ev(e) (Rohlfs § 595). Le strane forme in -eo si potrebbero spiegare mediante una vocalizzazione [ev] > [ew] > [eo], o potrebbero essere un caso ulteriore di scambio delle vocali finale (-ei > -eo). Alla 2a pers. è attestata in un caso (sarixe) la sostituzione sett. di -isti con -issi (Rohlfs § 772). È interessante notare che il tipo locale -av(e) non emerge mai alla terza persona160.

160

Nel ms. K di Matteo dei Libri, al contrario, troviamo un isolato convirave ‘converrebbe’, mentre -eve non emerge mai alla prima persona (Vincenti 1974, XCIIXCIV).


296

MARCELLO BARBATO

3.7.10. Congiuntivo presente 2a 3a 5a

1a 2a a 3

4a 5a

6a

‘dare’ ‘stare’ ‘essere’

I classe meni 47.3, porti 48.4 a(n)da 32.7, disgombri 62.4, 62.7, 65.5, done 0.2, lassi 32.7, ma(n)de 65.6, p(er)doni 41.5, 52.4, raq(ui)sti 47.3, rebelli 43.1, sgombri 55.4, to(r)ni 43.5 a(con)tate 2.4, a(con)tati 2.3, gua(r)diave 38.4 [errore per guardiateve?] II-III classe faza 6.2, fuga 10.3, possa 23.2, tegna 53.1 abie 5.6 (imper.), d(e)bite 66.3, p(er)ischi 67.7, sapie 21.7 (imper.), saze 8.3 (imper.), vadi 47.3, veg(n)i 20.2, vogle 11.6, 21.5, volge 19.2 abia 5.2, 10.3, d(e)ba 34.2, d(e)bia 37.4, dica 40.3, facia 42.2, 62.2, 53.3, fazia 31.9, fuga 62.3, muoya 44.6 (bis), para 10.3, piaciave 46.3, piaza 5.1, 8.3, 20.5, piazave 17.2, piazavi 56.1, possa 4.1, 18.2, sapia 10.3,27.4, se<n>ta 21.7, senta 25.2, teg(n)a 31.8, vada 31.8, 31.9, 35.1 (tot. 6), vegna 10.4, 24.6, 29.2, 67.9, vogla 31.8, 32.5, 60.1 possamo 14.3 abiatene 38.4 (imper.), d(e)biate 36.5, 51.2, 51.3, 64.2, d(e)biati 14.3, 36.3, faciate 56.1, metiteme 2.4, respondeate 65.3, sapiate 31.1, 31.7, 34.3, 34.4 (sempre imper.), tegnate 27.3, teg(n)ati 13.3, 27.4, vegnate 56.1, voglati 11.5 d(e)biano 48.2, d(e)fendassi 53.3, facialo 53.3, muoiano 44.4, muoyano 44.4, rendano 46.5, sapiano 36.3 Casi particolari 3a pers. dia 0.2 6a pers. istiano 67.8, stiano 57.1 2a pers. sii 24.3, 3a pers. si’ 28.6, sia 2.6, 2.7, 4.1 (tot. 27), sie 46.4; 5a pers. sciate 47.2; 6a pers. sian 20.2, siano 33.1, 53.7

Alla 3a pers. di I classe emergono sia il tipo etimologico in -e che quello analogico in -a propri dei testi sett. (Rohlfs § 558; Arcangeli 1990, 31). Per l’alternanza tra -e e -i alla 2a pers. di II-III classe vedi sopra, § 3.7.4. Per le forme di 4a e 5a identiche a quelle dell’indicativo, cfr. Rohlfs § 558. 3.7.11. Congiuntivo imperfetto 3a

I classe a(con)ciase 47.4, a(con)ciasse 40.1, 43.2, andasse 65.6, cavelcase 38.3, cavelcasse 48.5, levase 7.1, p(er)donasse 52.6, p(re)gasse 48.2, spiase 10.2


NOTA LINGUISTICA

6a

1a 2a 3a

5a 6a

297

a(con)ciass(er)o 63.1, acordasseno 31.10, andassero 57.1, to(r)nas(er)ro 49.5 II classe avesse 13.2 faciessi 64.2, 66.4, festi 24.1 avesse 18.5, 26.4, 36.1, 54.1, cognosiesse 30.1, d(e)vese 48.2, devesse 13.2, 31.3, 33.2 (tot. 8), d(e)vessi 32.8, dovesse 35.4, 53.7, 67.4, dovesso 54.1, faciesse 36.3, paresse 65.3, potese 18.5, potesse 1.3 (ter, tot. 8), volesse 2.3 facieste 51.3, voleste 52.6, volesti 18.6 ad(e)seno 31.2, avess(er)ro 50.3, defend(e)seno 49.5, devesero 49.3, d(e)vesseno 15.1, d(e)vess(er)o 43.3, 47.1, 52.1, dicess(er)o 57.1, voles(er)o 50.5, volles(er)o 52.2

3a 6a

III classe i(n)sisse 70.3, venisse 1.4, 61.1 venisero 49.5

1a 3a 5a 6a

‘essere’ fose 13.2, foss’ 69.1 fosse 43.4, fuse 62.6, fusse 3.1, 32.3, 49.4, fussi 34.2 fusse 60.2 fosseno 38.2

Il tema fuss- sembra rimandare a un antigrafo tosc.occ. (vedi sopra, § 1.7.9); il tipo fessi ‘facessi’ è tosc. (Rohlfs § 560) ma anche sett. (Ghinassi 1965, 124; Stella 1968, 277; Vincenti 1974, XCIII; Sanfilippo 2007, 435). Non sorprendono la conservazione della 1a pers. in -e e l’alternanza -e/-i alla 3a pers. (Rohlfs § 560). La confusione settentrionale tra 2a e 5a pers. (Rohlfs § 562) si ritrova in fusse ‘foste’ e con reazione in festi = *fessi ‘facessi’ Per la 6a pers. in -eno vedi § 3.7.7. 3.8. Varia Contro 16 casi di -m(en)te, -mente, troviamo un solo valentem(en)tre 32.7, con uscita tipicamente veneta, ma presente anche in trent. (Coletti/Cordin/Zamboni 1992, 188) e sporadicamente anche in emil.-romagn. (nel Codice dei Beccai: Stella 1968, 273) e in mant. (nel solo comentr < QUOMO(DO)MENTE: Ghinassi 1965, 118). L’alternanza i(n)fine 11.6, 26.3 / infino 44.8, 49.1 (tot. 5) è comune (Rohlfs § 847). Il tipo i(n)sema 19.1 (contro i(n)sieme 31.4, 32.6, 35.5) è settentrionale (Rohlfs § 914).


298

MARCELLO BARBATO

Per introi che ‘finché’ 31.9 cfr. sen.a. intro che, lomb.a. entro che (Rohlfs § 772); ma la vocale epitetica è indice di ossitonia, confermando così la base INTER HOC presupposta da forme gallo-romanze come fr.a. entrues (FEW 4, 748). Non è certo che ista 35.6 valga ‘ora’ (cfr. il lomb.a. ista: Bonvesin, corpus TLIO)161. Notevole l’uso avversativo di mo ‘ma’ 32.4, frequente nei testi sett.a. e vivo in bol.mod. (Rohlfs § 765). L’avverbio ziàe ‘qua’ 70.7 è pansettentrionale (Rohlfs § 897), illò ‘là’ 26.3 sembra tipicamente lomb. (ibid. § 909; corpus TLIO); çi in ke çi m’a fata 37.1 sarà un errore (cfr. gli altri testi), piuttosto che un riflesso tonico di ECCE-HIC162. Settentrionale (Rohlfs § 500) il tipo OMNIA in ona 59.2 (contro og(n)e 2.4, ogni 53.5). Ma sembra tipicamente bolognese (Corti 1960, 39; 1962, LVI) l’assenza di palatalizzazione, dovuta forse all’allotropo OMNE > one163. Per dalmayo 22.4 vedi Commento. La forma lontaiyo 22.1 sarà una grafia erronea per *lointano, *loitano, cfr. il pansett. loitan, luitan < LONGITANU (corpus TLIO).

161 162

Gli altri testi hanno ‘molto’. Come invece piem. (t)sí, Tuenno ci, ver.a. cocì ‘qui’ (Rohlfs § 898), lig.a. e mi moro çi de fame (Sam Gregorio in vorgà, corpus TLIO). 163 Cfr. bol.a. on(e) (Corti 1960, 39; 1962, LVI), ravenn.a. one (Sanfilippo 2007, 428).


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300

MARCELLO BARBATO

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INDICI


Il primi tre indici fanno riferimento alla sola edizione sinottica, rinviando al paragrafo dell’edizione. Il primo indice raccoglie le voci di interesse linguistico (anche antropo- o toponimi) cui è dedicata una nota di commento; i lemmi possono essere tipizzati (es. Leg exultare, Tes asultare o esultare), ma si citano le singole forme se l’interesse risiede nella variazione formale; i verbi sono lemmatizzati all’infinito; il segno + precede le voci di particolare interesse (hapax, prime attestazioni). Il secondo indice raccoglie le menzioni di personaggi e il terzo i luoghi. I rinvii in corsivo rimandano alla presenza di una nota di commento.


INDICE DELLE VOCI COMMENTATE

acciò che ‘poiché’ 20.2 acquistare ‘conquistare’ 42.2 ammettersi ‘rivolgersi’ 6.4 Ancolle, Collo o Alcoll (Algeria) 55.1 Aringhino 67.5 asseccare ‘ridurre allo stremo’ 54.3 avacciare ‘fare con sollecitudine’ 26.5 avvenimento ‘invasione’ 64.1 beccone ‘stupido’ 42.2 Brandizia, Brindisi 49.1 Calagirona/Calatagirone/Catalagirone, Caltagirone 12.2 camera ‘possesso; bene posseduto’ 46.5 campio ‘campione’ 51.2 celato sost. (?) ‘segreto’ 18.6 cercare ‘brigare’ 9.6, ‘percorrere’ 24.3 colte ‘tasse sui possedimenti’ 53.3 +comincia lite, concio non ti falla prov. 32.3 concia ‘accordo’ 32.3 contenzione ‘dibattito’ 49.6 contrarre ‘commettere’ 0.1 coperta: alla c. ‘di nascosto’ 26.7 credenza ‘segretezza’ 9.5 dalmaggio/dannaggio 22.4 deservire ‘meritare’ 69.1 difici (per gittare) ‘macchine da

getto’ 54.1 Dio: da parte di D. ‘in nome di Dio’ 24.4, +D. con bene escl. 62.4, la D. grazia ‘la grazia di Dio’ 66.1 disconcio ‘danno’ 32.2 dota ‘dote’ 55.4 ermini ‘armeni’ 33.1 esultare ‘far trionfare’ 8.3 fante ‘donna, ragazza’ 44.3 Faraone, il faraone biblico 14.3 Fare, lo stretto di Messina 62.5 fare: +bel f. ‘buona occasione’ 43.5 fino che ‘affinché’ 0.2 fodro ‘diritto di foraggio (?)’ 52.3 forzo ‘esercito’ 1.2 +frugga ‘rendita’ 18.4 giurati insieme ‘congiurati’ 19.1 incenso ‘censo’ 18.4 indurare/indurire ‘diventare indifferente’ 6.6 inodiare ‘odiare’ 43.4 insegna ‘segno’ 31.8 leggenda Inc. legni da mistiere ‘navi da carico’ 67.2 ma ‘altro che’ 13.3 maestro ‘medico’ 3.2


316

INDICE DELLE VOCI COMMENTATE

mai ‘ma (?)’ 49.4 mangani ‘macchine da getto’ 54.3 menestrati ‘ridotti a mal partito’ 44.6 meritare ‘ricompensare’ 7.1 messaggi ‘messaggeri’ 48.1 +muccia muccia ‘minima minaccia’ (lett. ‘scappa, scappa’) 62.3 Namigo 63.1 navile/navilio 32.9 opera: per o. ‘effettivamente’ 13.3 oste ‘esercito’ 49.1 Palioloco/Palialoco/Paglaloco 1.1 parola: con mia p. ‘col mio consenso (?)’ 26.7 partirsi da più parlare/da più parole 10.4 penare ‘indugiare’ 44.8 pensato: avere in p. ‘avere in mente (?)’ 27.3 pericolo ‘perdizione dell’anima (?)’ 18.6 piatire ‘dare in matrimonio’ 17.6 popolo, il popolo d’Israele 14.3 procacciatore 19.1 processo ‘incartamento; atto di accusa’ 50.5 proferire ‘offrire’ 36.4 pugliesi 3.3 +punzuolo ‘pùngolo’ 5.2

ragione: divina r. ‘giustizia divina (?)’ 51.3 ricredente/ricriduto 65.5 rimaso ‘interrotto, sospeso’ 31.2 rompere ‘fare naufragio’ 68.8 saettia ‘galea sottile’ 61.2 salute ‘saluti’ 51.1 +segreto sost. ‘confidente, congiurato’ 14.4 servire ‘meritare’ 49.3, 65.4 sforzo ‘esercito’ 1.2 soprastare ‘indugiare’ 30.1 spaurare ‘mettere paura’ 54.3 stadichi ‘ostaggi’ 53.2 Trapali/Trapani/Trapoli 27.1 trattatamente ‘con l’inganno’ 65.4 trattato ‘congiura’ 60.1 traversa ‘traversìa’ 31.7 trite ‘navi da carico’ 62.5 venire ‘avvenire’ con frase giustapposta 44.1 venire per qc. ‘venire a prendere’ 22.2 +vernatoio ‘dove passare l’inverno’ 68.8 via ellittico del verbo 41.1 vidanda ‘viveri’ 54.3 vievia ‘subito, immediatamente’ 41.2 villa ‘città’ 54.3 vitiperio/vituperio/vitupero 22.1


INDICE DEI NOMI

Accardo Latino 31.4, 32.9, 33.1, 34.3, 35.3-6, 43.2 Alaimo da Lentini 11.1, 14.1, 31.3, 31.6, 43.3, 44.1 Arrighino de Mari, ammiraglio del re Carlo 67.5, 67.6-9 Baldovino II di Fiandra 5.5 Bretagna (conte di) 65.3 Carlo I d’Angiò 0.1, ecc. Carlo (poi II) d’Angiò 43.5, 48.1-5 Costanza, figlia di Manfredi 14.2, 22.2 Dammartin (conte di) 48.5 Federico II imperatore 32.6 Filippo III di Francia 36.3, 36.4-6, 37.1-4, 38.1-3, 48.1-5 Gherardo di Parma 47.4, 49.2, 50.35, 52.1-6, 53.2-7 Giovanni di Procida 0.1, 1.3, ecc. Gualtieri di Caltagirone 12.2, 14.1, 43.3, 44.1, 62.2 Guglielmo II (il Buono) 52.3, 53.1 Guglielmo, cavaliere catalano 63.1 Gugliemo da Messina, ambasciatore siciliano 55.2, 55.5, 56.1 Guido, conte di Monforte 50.1, 65.2

Iacopo, frate domenicano 40.1, 41.1-5, 42.1 Manfredi di Svevia 22.2 Martino IV (Simone di Tours) 35.5, 36.1, 38.4, 39.1-3, 40.1-4, 41.1-5, 42.1, 46.1-6, 47.4, 50.4, 51.1-3 Michele Paleologo 1.1-4, 2.1-5, 3.13, 4.1-4, 5.1-6, 6.1-6, 7.1-2, 9.1-4, 10.1-4, 15.1, 24.2, 25.1, 26.2, 26.7, 27.3, 28.1, 29.1-3, 31.5-6, 32.9, 34.3, 35.3 Monreale (arcivescovo di) 45.1, 59.3 Namico, cavaliere catalano 63.1 Niccolò III (Giangaetano Orsini) 16.1, 17.1-8, 18.1-7, 19.1-5, 20.14, 25.1, 26.2-7, 27.2, 31.1, 31.710, 62.4 Palmieri Abbate 11.1, 14.1, 27.1, 31.3, 43.3, 44.1, 58.1, 60.1 Pietro II d’Aragona 22.3 Pietro III d’Aragona 14.1, ecc. Pietro, conte di Alençon 48.5 Roberto, conte d’Artois 48.5 Ruggeri di Lauria 43.4, 67.4, 71.2 Savelli Iacopo (poi Onorio IV) 47.2 Ugo, conte di Brienne 50.1



INDICE DEI LUOGHI

Aragona 6.4, 33.1, 38.2 Barberia (= Africa sett.) 40.3 Barcellona 26.2, 33.1 Brindisi 49.1 Calabria 67.6 Catalogna 21.1, 26.1, 55.1 Collo (Alcoll) 55.1, 58.1 Costantinopoli 2.1, 4.4, 27.5

53.1-7, 54.1-5, 56.1-2, 58.2, 60.3, 61.2, 62.2, 62.5, 67.2, 67.4, 68.2, 69.2, 70.1-4, 72.1-2 Milazzo 50.1-2 Palermo 44.1-7, 58.2, 59.1, 61.1, 67.1 Pisa 26.3, 71.2 Provenza 1.2, 43.5 Puglia (= Italia merid.) 17.1, 38.3, 48.2, 48.5

Egitto 40.3 Reggio Calabria 49.1, 71.3 Francia 1.2, 6.4 Granada 6.4, 40.3 Grecia 1.2, 1.4, 5.6 Inghilterra 6.4 Italia 1.2 Maiorca 21.3, 26.1 Malta 31.3 Messina 44.8, 49.2-6, 50.3-5, 52.1-6,

Santa Maria di Rocca Amadore (Messina) 49.2 Sicilia 0.2, ecc. Soriano nel Cimino 16.2 Spagna 6.4 Trapani 27.1, 31.3, 43.3, 58.1 Tunisi (= Regno di Tunisi) 55.1 Viterbo 26.3



INDICE DEI LUOGHI, DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Accardo Latino 15, 17-18, 65, 120127, 134-135, 182-183 Africa settentrionale 21, 26, 133 Alaimo da Lentini 19, 26, 100-103, 120-121, 134-137, 176 Alcoll (Algeria) 16, 152-155 Alfonso X di Castiglia 21 Alighieri, Dante 9, 22, 53, 74-77, 188 Ambert de Mediona 66 Annales Placentini 22, 64 Aragona 21-22, 98-99, 122-123, 130-131 Arnau Roger, conte di Pallars 65 Arrighino de Mari, ammiraglio di Carlo d’Angiò 164-165, 197 Avvertimenti di maritaggio 202-203 Baldovino II di Fiandra 96-97, 175 Barcellona 15, 19, 26, 114-115, 122123, 181 Bartolomeo d’Amelia 186 Bartolomeo Caracciolo 31 Bartolomeo di Neocastro 21, 51, 177, 188-189, 191 Bartolomeo di San Concordio 68 Beatrice di Provenza 53, 197 Benedetto Zaccaria 64-65, 182-183 Benevento 178, 187 Benvenuto da Imola 75-76 Bertrando d’Accursio 191 Boccaccio, Giovanni 9, 77 Bordeaux 18, 63 Bosone da Gubbio 74, 178

Boulogne (conte di) 190 Bretagna (conte di) 160-161, 196 Brindisi 144-145 Calabria 17, 164-165 Caltabellotta 69 Caracciolo v. Bartolomeo Carlo I d’Angiò passim Carlo II d’Angiò 15-16, 69, 136137, 142-143, 186-187 Carlo Martello 9 Catalogna 14, 19, 110-111, 114-115, 152-153 Cavalca, Domenico 68 Cefalù (vescovo di) 195 Cerverí de Girona 179 Chronicon siculum 21, 53, 188 Clemente IV papa 178 Collo, v. Alcoll Compagni, Dino 27 Corneto (Tarquinia) 181 Corrado d’Antiochia 30 Costantinopoli 14, 18-19, 21, 92-97, 116-117 Costanza, figlia di Manfredi 14, 58, 70, 102-103, 110-111, 174, 177, 187 Cronaca di Partenope 31, 78 Cronaca del ms. 1550 della bibl. Riccardiana 70 Cronaca del Templare di Tiro 65-66 Cronica fiorentina 10, 13, 27 Cronichetta lucchese 10


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INDICE DEI LUOGHI, DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Dammartin (conte di) 142-143, 190 Desclot, Bernat 21, 29, 51, 53, 6566, 177, 186, 188, 194-196, 198 Egitto 133 Eleonora d’Aragona 205 Emilia-Romagna 57, 73 Erberto d’Orléans 191 Ercole I d’Este 205 Federico II imperatore 50, 91, 122123, 197 Federico III di Sicilia 183 Ferreto Vicentino 73-74 Filippo III di Francia 15-17, 19, 26, 52-54, 61, 63, 74, 126-131, 142143, 170, 184-185, 189 Filippo, capitano di Carlo d’Angiò 18, 139 Fioretto di Cronache degli Imperatori 70 Firenze 58, 68, 71 Francia 92-93, 96-97 Gesta florentinorum 10 Gherardo di Parma 16, 25-26, 140151, 189 Giacomo I di Sicilia 195 Giacomo II di Maiorca 27 Gioco degli scacchi volgarizzato 67, 203-205, 217 Giordano da Pisa 68 Giovanni di Procida passim Giovanni Fiorentino (Ser) 78 Granada 99, 132-133 Grecia 22-23, 92-97, 187 Gualtieri di Caltagirone 16, 19, 26, 102-103, 134-137, 158-159, 177 Guglielmo, cavaliere catalano 160161, 196 Guglielmo da Messina, ambasciatore siciliano 16, 152-155 Guglielmo II (il Buono) 16, 148-149, 192 Guglielmo VII di Monferrato 29 Guido da Montefeltro 30

Guido, conte di Monforte 146-147, 160-161, 191, 196 Guido da Pisa 75 Guido Novello 30 Guillaume l’Étendard 191 Guillem Eimerich 196 Iacopo da Cessole 67 Iacopo di Focignano 186 Iacopo, frate predicatore 15, 18, 26, 130-135, 186 Inghilterra 98-99 Italia passim Jaume Pere 26 Jean de Saint-Rémy 188 Lancia, Andrea 13, 76-77, 87 Landolfo di Procida 77 Latini, Brunetto 33, 36, 183 Lucca 58, 67 Maiorca 14, 27, 110-115, 179, 181 Malispini, Ricordano 12-13, 38 Malta 15, 120-121 Manfredi di Svevia 59-60, 75, 110111 Maramauro, Guglielmo 75 Marco Polo 73 Marin Sanudo il Vecchio 33, 65 Martin da Canal 10 Martino IV (Simone di Tours) 1518, 22-23, 25, 54, 57, 66-67, 69, 126-135, 140-141, 146-147, 170, 184, 186-187 Memoriale dei podestà di Reggio 64 Messina 15-18, 26, 36, 52, 66, 76, 138-159, 164-171, 189 Michele Paleologo 10, 14, 19, 22-25, 29, 33, 63-65, 70-74, 77, 92-101, 104-105, 112-125, 175, 182 Milazzo 16, 146-147, 195 Monreale 76 – arcivescovo di M. 16, 19, 138-139, 156-157, 195 Montefiascone 18, 187


INDICE DEI LUOGHI, DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Muntaner, Ramon 21, 29, 51, 65, 177, 186, 188, 193-196 Muret (Tolosa) 18, 60, 180 Namico, cavaliere catalano 160-161, 196 Napoli 57-58, 68, 71 Negroponte (Eubea) 182 Niccolò III (Giangaetano Orsini) 10, 14, 19, 22, 52, 54, 61, 63-65, 67-68, 72-77, 104-109, 114-121, 158-159, 178, 182 Nicola Speciale 21, 188, 191 Orsini, Giangaetano v. Niccolò III – Orso 19 Orvieto 187 Ottimo commento 75-77, 85-86 Palermo 15-16, 18, 30-31, 54, 136139, 154-157, 164-165, 194-195 – arcivescovo di P. 19 – Chiesa di Santo Spirito 18 Palmieri Abbate 19, 26, 100-103, 116-117, 120-121, 134-137, 154157, 176 Pere de Queralt 196 Perugia 68 Petrarca, Francesco 9, 77 Pietro II d’Aragona 59-60, 110-111, 180, 185 Pietro III d’Aragona passim Pietro, conte di Alençon 142-143, 190 Pietro Ruffo, conte di Catanzaro 191 Pipino, Francesco 71-74, 76, 178 Pisa 22, 58, 114-115, 168-169 Portfangos (delta dell’Ebro) 22 Provenza 15, 68, 92-93, 136-137 Quaedam profetia 37 Raimondo V di Provenza 54 Rebellamentu di Sichilia passim Reggio Calabria 144-145, 168-169 Roberto d’Angiò 71 Roberto, conte d’Artois 142-143, 189-190

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Roma 57-58 Romeo di Villanova (Romeu de Vilanova) 53-54 Ruggeri di Lauria 15-18, 26-27, 33, 58-59, 76, 136-137, 164-165, 168169, 187 Ruis Eiximenis de Luna 196 Saba Malaspina 25, 58-63, 68, 74, 177, 184, 188, 191-194, 197-198 Salimbene de Adam 22, 63, 68 Sancho IV di Castiglia 29 Santa Maria di Rocca Amadore (Messina) 144-145, 190 Savelli, Iacopo (poi Onorio IV) 140141, 189 Sconfitta di Monte Aperto 10 Sicilia passim Simone della Tosa 78 Simone di Tours v. Martino IV Soriano nel Cimino 19, 104-105, 178 Spagna 21, 63, 98-99 Taverner, cavaliere catalano 22 Tesoro volgarizzato 11, 13, 32, 36, 69-70, 83-84, 210-211 Tolomeo da Lucca 64-68 Tommaso d’Aquino 64, 67 Toscana 57-58 Trapani 116-117, 120-121, 134-135, 154-155, 194 Tunisi (regno di) 152-153 Ugo, conte di Brienne 146-147, 191, 196 Val Demone 26 Val di Mazara 26 Val di Noto 26 Valerio Massimo 66 Venezia 187 Villani, Giovanni passim Viterbo 17, 114-115 Zurita, Jerónimo 52-53, 78



INDICE GENERALE

Introduzione Pag. 1. «Moranu li francischi» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 2. Le versioni e la tradizione indiretta . . . . . . . . . . . . . » 3. La leggenda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 4. Differenze tra le versioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 5. La storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 6. Dalla storia alla leggenda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 7. La questione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 8. Rapporti tra le versioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9. Il carattere ideologico del testo originario . . . . . . . » 10. La lingua del testo originario . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11. La genesi del testo originario . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12. Dalla leggenda alla storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 13. Criteri di edizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Appendice A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Appendice B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Appendice C . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

9 11 14 17 20 24 28 39 51 54 58 69 78 83 85 87

Edizione sinottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

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Commento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

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Nota ai testi 1. Il codice estense . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1 Dati esterni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2. Scrittura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3. Decorazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4. Contiene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5. Sinossi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6. Ricostruzione dell’assetto originario . . . . . . . . 1.7. Storia del codice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.8. Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.9. Il testo di Leg . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il codice magliabechiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1. Dati esterni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Scrittura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3. Contiene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4. Storia del codice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

201 201 201 202 202 203 204 205 205 206 208 209 210 210 210

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326

INDICE GENERALE

2.5. Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6. Il testo di Tes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Il codice vaticano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1 Dati esterni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 . Scrittura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3. Il testo di Lib . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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211 211 214 214 214 215

Nota linguistica 1. Il codice estense . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1. Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2. Grafia e fonetica 1.2.1. Palatali e velari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.2. Scempie e geminate . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.3. Nasali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3. Vocalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1. Vocalismo tonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.2. Vocalismo atono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4. Consonantismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.1. Occlusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.2. Esiti di C, G, + vocale palatale . . . . . . . . . . 1.4.3. Esiti di TJ, S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.4. Gruppi consonantici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5. Fenomeni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6. Morfologia nominale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6.1. Nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6.2. Articolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6.3. Preposizioni articolate . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6.4. Clitici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6.5. Gruppi clitici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6.6. Possessivi e numerali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7. Morfologia verbale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.1. Imperativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.2. Presente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.3. Imperfetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.4. Perfetto debole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.5. Perfetto forte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.6. Futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.7. Condizionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.8. Congiuntivo presente . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.9. Congiuntivo imperfetto . . . . . . . . . . . . . . . 1.8. Varia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il codice magliabechiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1. Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Grafia e fonetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1. Velari e palatali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.2. Sorde e sonore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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217 217 218 218 218 221 221 221 223 225 225 225 225 227 227 228 228 228 229 231 232 233 233 233 233 234 234 235 236 237 238 239 240 241 241 242 242 242


327

INDICE GENERALE

2.2.3. Coda sillabica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.4. Grado medio-forte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.5. Scempie e geminate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.6. Raddoppiamento fonosintattico . . . . . . . . . 2.3. Vocalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3.1. Vocalismo tonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3.2. Vocalismo atono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Consonantismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5. Fenomeni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6. Morfologia nominale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.1. Nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.2. Articolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.3. Preposizioni articolate . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.4. Clitici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7. Morfologia verbale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.1. Imperativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.2. Presente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.3. Imperfetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.4. Perfetto debole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.5. Perfetto forte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.6. Futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.7. Condizionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.8. Congiuntivo presente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.9. Congiuntivo imperfetto . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8. Varia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Il codice vaticano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1. Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2. Grafia e fonetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3. Vocalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3.1. Vocalismo tonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3.2. Vocalismo atono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3.2. Vocalismo finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4. Consonantismo 3.4.1. Consonanti geminate . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.2. Occlusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.3. Esiti di Ce,i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.4. Esiti Ge,i, J . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.5. Esiti di S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.6. Esiti di BJ, PJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.7. Esiti di DJ, GJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.8. Esiti di CJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.9. Esiti di TJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.10. Esiti di SJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.11. Esiti di RJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.12. Esiti di LJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.13. Esiti di NJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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242 244 244 246 246 246 247 249 249 250 250 250 252 253 254 254 254 254 255 255 256 258 258 259 259 260 260 261 263 263 267 268 270 270 271 272 273 274 274 274 275 275 276 276 277 278


328

INDICE GENERALE

3.4.14. Esiti di KW, GW . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.15. Esiti di consonante + W . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.16. Esiti di consonante + L . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.17. Esiti di GN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.18. Esiti di SCe,i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.19. Esiti di X . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5. Fenomeni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6. Morfologia nominale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6.1. Articolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6.2. Preposizioni articolate . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6.3. Pronomi personali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6.4. Clitici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6.5. Relativi e interrogativi . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7. Morfologia verbale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.1. Tempi non finiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.2. Desinenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.3. Imperativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.4. Presente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.5. Imperfetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.6. Perfetto debole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.7. Perfetto forte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.8. Futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.9. Condizionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.10. Congiuntivo presente . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.11. Congiuntivo imperfetto . . . . . . . . . . . . . . . 3.8. Varia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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278 279 279 279 280 280 280 281 281 282 283 284 286 287 287 287 288 289 291 292 293 293 295 296 296 297

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

299

Indici Indice delle voci commentate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indice dei luoghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indice dei luoghi, dei nomi e delle opere anonime . . . .

315 317 319 321

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Composto e impaginato nella sede dell’Istituto storico italiano per il medio evo Finito di stampare nel mese di aprile 2012 dallo Stabilimento Tipografico  Pliniana  Viale F. Nardi, 12 - 06016 Selci-Lama (PG)




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