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INCONTRI, 1
Arsenio Frugoni
G. VILLANI, “CRONICA”, XI, 94 introdotto da Giampaolo Francesconi
ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO 2015
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Incontri collana diretta da Massimo Miglio
Coordinatori scientifici: Redattore capo:
Isa Lori Sanfilippo Giampaolo Francesconi Salvatore Sansone
ISBN 978-88-98079-31-5
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L’Istituto ha una ricchezza immensa che è il suo patrimonio storiografico, sedimentato e stratificato in molto più di un secolo nel Bullettino e nelle Collane. Ma la memoria è labile, incostante, distratta. Bastano pochi anni per dimenticare, per riservare pagine eccezionali a pochi o per farle dimenticare del tutto. Soprattutto a chi è molto giovane. Questo ci dicevamo nei momenti migliori della vita dell’Istituto, quando è possibile parlare del nostro mestiere. Da questo parlare è nata una nuova iniziativa editoriale, che vorremmo avesse tanta fortuna perché dovrebbe essere anche un incontro tra generazioni, tra chi ha scritto molti anni fa e chi ancora riflette sulla storia; un incontro a cui vorremmo partecipassero tanti, soprattutto quelli che muovono i primi passi nella ricerca. Incontro è un termine amato da Arsenio Frugoni e da lui vissuto nel quotidiano e nella ricerca. Per questa ragione, e perché nel 2014 ricorre il centenario della sua nascita, il primo volume pubblica di nuovo un suo testo e il nome della collana è Incontri. Massimo Miglio dicembre 2014
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Nota editoriale
Il saggio introduttivo e il saggio di cui si offre la ristampa seguono criteri editoriali diversi. L’idea dell’incontro voleva, infatti, essere fermata anche attraverso una restituzione editoriale che mantenesse una dialettica fra la fedeltà alle norme redazionali in auge al momento in cui il saggio era uscito a stampa la prima volta, si trattasse del Bullettino o di altra collana, e le norme attualmente in uso in tutte le collane dell’Istituto. Il lettore si troverà di fronte, così, volutamente, ad apparati di note con strutture non sovrapponibili.
L’articolo di Frugoni fu pubblicato per la prima volta nel «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo e Archivio Muratoriano», 77 (1965), pp. 229-255.
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Giampaolo Francesconi
Frugoni, Villani e Firenze Un «incontro» inquietante e inevitabile Perché non sono nato nell’ora tua Lorenzo? Come doveva esser bello vivere nel tuo tempo breve averti amico e in quel mondo creato da te operare. Aldo Palazzeschi
I. L’incontro fra Arsenio Frugoni e Firenze avvenne attraverso Giovanni Villani. Fu il testo della Nuova cronica a sollecitare il corto circuito che avrebbe innescato la riflessione dello storico bresciano sui motivi della crescita e della stagnazione fiorentina dei decenni iniziali e centrali del Trecento. Il saggio sul capitolo XI, 94 della Cronica, pubblicato a stampa nel 1965 sul «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo e Archivio Muratoriano»1, si poneva come l’esito di alcune delle sollecitazioni che in quei primi anni Sessanta interessavano l’orizzonte storiografico, largo e plurale, di Arsenio Frugoni. L’orizzonte indomito di uno studioso che dalla costante
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Giampaolo Francesconi
e reiterata frizione fra filologia e storia2 aveva tratto la linfa per occuparsi di temi e problemi molto distanti come l’umanista Benedetto Colucci e, dopo l’incontro con Raffaello Morghen, dei fenomeni religiosi nella loro dimensione liturgica, culturale e addirittura di comprensione di una forma mentis aperta al sacro e all’assoluto3. Nodi e cruces che costituivano i tratti quasi originari di quella «intelligenza solitaria e pensosa»4 e che sarebbero divenuti ricorrenti all’interno di un tragitto di ricerca che aveva trovato nello studio sul Giubileo di Bonifacio VIII, nei saggi di Celestiniana e nei lavori preparatori all’edizione dell’Opus metricum di Jacopo Stefaneschi i momenti forse più compiuti e più omogenei5. Il percorso del Frugoni studioso era stato, del resto, un percorso pieno di bivi, di curiosità mai del tutto risolte e di un randagismo intellettuale che si prestava allo scarto e all’«incontro»6. La stessa predilezione, almeno per tutta una prima fase della sua vita di studioso, per il Rinascimento e poi la successiva tensione sui secoli XII e XIII non furono mai del tutto esclusive. In un cammino di ricerca scandito dal magistero di Giovan Battista Picotti e di Raffaello Morghen, il primo per l’affinamento di un rigoroso metodo filologico-erudito, il secondo per la maturazione di un interesse per la tradizione religiosa quale tratto fondante di una civiltà, un ruolo rivelatore, e forse anche chiarificatore, dovette assumerlo Giorgio Pasquali. Quello che era stato il suo docente di filologia classica, alla Normale di Pisa, dovette es8
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Frugoni, Villani e Firenze
sere anche l’ispiratore, in qualche modo il tramite intellettuale, di quella indomita curiosità, di quel controllatissimo migrare tematico, che proprio nelle pagine pasqualiane della Paleografia quale scienza dello spirito doveva aver trovato un argine metodologico, un argine che era anche un viatico in quel fissare la cultura medievale come il campo di una continua dinamica di incontri fra tradizioni e centri culturali differenti7. Una dinamica di «incontri» che nella ricerca di Frugoni – che era anche ricerca di un modo nuovo e più appagante di fare storia, che era anche una tensione al superamento di molte certezze «combinatorie» che animavano la medievistica nostrana del secondo dopoguerra – avrebbe avuto un approdo sicuro e costante nella tensione per la cura testuale, per quella «attitudine al restaturo» individuata da Giuseppe Sergi come uno dei tratti fondanti del metodo frugoniano8; un’attitudine che poteva fidare in una severa fedeltà alla testimonianza, alla sua critica, alla sua lettura in controluce. Incontro e testimonianza possono considerarsi due lemmi decisivi e rivelatori del «fare storia» per Arsenio Frugoni: incontro e testimonianza erano, del resto, gli architravi di un metodo il cui obiettivo prioritario era quello di produrre una “reazione”, di accendere una miccia nel testimone singolo, anche nel più minimo frammento che, letto nella sua individualità, osservato dall’interno del suo contesto, poteva arrivare a dar vita ad un punto di vista diverso e ad una verità, magari anche piccola, ma che risultava 9
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Giampaolo Francesconi
spesso più complessa e più sfumata9. Questo era stato il focus metodologico dell’Arnaldo da Brescia e lo stesso atteggiamento aveva guidato Frugoni nei suoi molteplici «incontri» nel e col Medioevo e il Rinascimento10. Entro quella temperie di metodo e quel cammino di curiosità deve essere inquadrato anche l’incontro con Giovanni Villani e con Firenze. Senza dimenticare, come ricordava Ovidio Capitani, che in Frugoni ogni interesse di ricerca, ogni «incontro» storiografico si originava nell’imperativo morale e conoscitivo di «costruire una ricerca storica che – avesse – in se stessa le sue giustificazioni»11.
II. Il capitolo XI, 94 della Nuova Cronica di Giovanni Villani – il XII, 94 nell’edizione critica di Giuseppe Porta del 199112 – s’inserisce alla fine di un quartetto di rubriche che avevano l’obiettivo di raffigurare il «podere ed entrata ch’avea il Comune di Firenze in questi tempi». Il tono encomiastico, di laudatio della propria città, così diffuso nella cronistica comunale e ben presente anche nel tessuto narrativo villaniano, assumeva qui la trama di un racconto che intendeva esaltare una grandezza. Una grandezza però che voleva essere misurata, che doveva essere calibrata sulla trama dei fatti e sull’aderenza dei numeri, con un pragmatismo espositivo che marcava una distanza anche rispetto al descrittivismo impressionistico di un Bonvesin da la Riva13. L’attenzione del cronista era tutta rivolta alla comprensione dello «stato» in cui si trovava la sua città e sul 10
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Frugoni, Villani e Firenze
rango economico e politico che aveva assunto all’interno di una dinamica intercittadina delicata come quella toscana e non solo toscana degli anni Trenta del Trecento14. Una gran parte del libro XI della Cronica (ma XII) era stata d’altra parte dedicata ai nove anni decisivi della storia di Firenze che si inscrivevano fra la grande alluvione del 1333 e la caduta di Lucca sotto il dominio pisano del 1342, un passaggio peraltro che avrebbe spalancato le porte all’instaurazione della signoria di Gualtieri di Brienne15. Vale la pena aggiungere che i 143 capitoli nei quali Villani aveva scandito la struttura di questo libro costituivano la materia quasi nefasta di un crescendo di calamità che fanno di questa parte del suo racconto una delle zone più cupe dell’intera cronaca, con lo stigma incombente del presagio malefico per la città e – come hanno già rilevato anche Enrico Artifoni e Andrea Zorzi – caratterizzato da un climax ascendente di «aversità»16. Il quadro politico di quegli anni era stato, del resto, segnato dalla minaccia concreta dell’espansionismo scaligero e dall’offensiva che Mastino aveva avviato in Emilia e nella stessa Toscana nell’intento di dare una prospettiva sovraregionale al proprio dominio17. Le alluvioni, gli incendi, le frane in Mugello, le epidemie di influenza e di vaiolo, l’eclissi di sole, la distruzione dei raccolti erano la cornice più larga e in qualche modo premonitoria, sullo sfondo delle guerre interregionali italiane e dei primi contraccolpi finanziari, di uno stato d’animo an11
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Giampaolo Francesconi
goscioso il cui collante era politico e il cui profilo era tutto da ascrivere alla «nostra guerra col Mastino di Verona»18. I quattro capitoli dell’esaltazione della grandezza fiorentina nascevano proprio sulle rovine della paura, entro la bolgia dello spavento per le sorti di una città da primato che ne sentiva vacillare le fondamenta. Il cronista – che naturalmente scriveva a cose fatte nella metà del decennio successivo – trovava lo scatto per ricordare e per cristallizzare il ritmo e la progressione di una crescita19. Quello scatto d’orgoglio narrativo si fondava evidentemente sul senso di una grandezza che doveva essere conservata e protetta, ma che in realtà si avvertiva come minata da più parti. L’apogeo fiorentino, declinato nei suoi fattori economici, produttivi e socio-culturali, assumeva la forza dunque di un messaggio, anche se da una visuale postuma, che era insieme legittimante, morale e performativo. Il Villani mercante, membro della classe dirigente fiorentina e intellettuale e cronista consapevole del proprio ruolo si assumeva l’onere di narrare le fonti della forza e della ricchezza della sua città e di costruirne una memoria che servisse anche da impegno morale per i futuri cittadini, per quei posteri che dovevano essere all’altezza di un compito tanto ingrato: perché i nostri successori che verranno per li tempi s’avegghino del montare o bassare di stato o potenzia che facesse la nostra città, acciò che per li savi e valenti cittadini, che per li tempi sa12
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Frugoni, Villani e Firenze
ranno al governo di quella, per lo nostro ricordo e asempro di questa cronica procurino d’avanzarla inn-stato e podere20.
Il «montare o bassare di stato o potenzia» doveva essere presentato e discusso affinché servisse da esempio per il futuro. L’oscillare della forza, di quello «stato e potenzia», era tutto scandito sulle cifre, la retorica lasciava lo spazio nell’analisi di Villani alla nuda evidenza dei numeri. L’oggettività dei dati faceva retrocedere lo sguardo interpretativo del cronista, che si affidava ai parametri probanti della «grandezza e stato della città di Firenze»: il numero degli armati, l’ammontare complessivo della popolazione della città e del distretto, la quantità e la qualità dei giovani alfabetizzati nelle scuole di «abbaco», di grammatica e di logica, la diffusione delle chiese e dei monasteri, la concentrazione delle botteghe dell’arte della lana, dei fondaci dell’arte di Calimala, dei calzolai e dei pianellai e, ancora, il conio del fiorino, il numero dei banchi del cambio e il consumo dei beni alimentari fondamentali come il vino, la carne e il grano. Firenze era, in sostanza, una lista di quantità che esprimevano la qualità di una grandezza.
III. I capitoli 91-94 della Nuova Cronica di Giovanni Villani, per la tensione statistica con la quale erano stati pensati e strutturati, costituiscono un’eccezione nel panorama della cronistica tardomedievale italiana21. Soltanto forse il già ri13