La Gazzetta Men s i l e d’i nfo r m a z i o n e s o c i a l e d ella Coop erat iva It aca - n °3 - Mar zo 2012
Suono e oltre suono
Musica al confine tra Arte e Salute
Il rientro dalla maternità in Itaca Il nuovo CCNL non convince Panchina - “L’oggi in vista del domani”
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La Gazzetta | Marzo 2012
ARTICOLO DI FONDO
Percorsi di informazione e rafforzamento
Il rientro dalla maternità in Itaca Oltre 60 mila le ore richieste dalle lavoratrici nel 2010
Pordenone Dedicato esclusivamente alle socie neomamme che hanno da poco terminato l’assenza per maternità, si è appena concluso il primo percorso di affiancamento al rientro al lavoro in Itaca, finanziato dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e dal Fondo Sociale Europeo. Bisogna partire dal considerare un dato di fatto; la presenza di figli tutt’oggi continua a essere un limite per la permanenza femminile nel mercato del lavoro. La Cooperativa sociale Itaca, invece, ha voluto dare un segnale in controtendenza grazie ad un progetto finalizzato a riaccogliere al meglio e dare il benvenuto alle madri che operano nei nostri servizi. Le ore di assenza per maternità sono sempre state elevate e hanno superato le 60 mila anche nel 2010. Sono state molte, peraltro, le lavoratrici che hanno espresso la necessità di essere accompagnate nella fase di rientro al lavoro con l’obiettivo di riprendere il contatto con il servizio in modo graduale. Discutendo all’interno di un piccolo gruppo di lavoro, durante queste settimane le socie hanno avuto la possibilità di confrontarsi tra loro ed esporre le problematiche che potenzialmente possono nascere nel “bilanciarsi” tra famiglia e lavoro, raccogliendo suggerimenti e qualche soluzione, nonché prendendo consapevolezza della propria nuova “doppia presenza” derivante dalle responsabilità di conciliazione familiare. L’intervento recentemente conclusosi ha così sperimen-
tato un innovativo micro-percorso di quattro brevi incontri riguardanti gli strumenti di conciliazione, ospitati all’asilo nido il Farfabruco di Pordenone, garantendo altresì la possibilità di usufruire del servizio nido, per agevolare la presenza agli incontri e non creare ulteriori disagi alle mamme. Nel concreto, gli argomenti di cui si è discusso alla presenza di consulenti esperte hanno riguardato aree diverse tra loro, seppur complementari. Anzitutto abbiamo cercato di lavorare sul tema del rafforzamento delle persone nelle esperienze di conciliazione. Non a caso il primo incontro si intitolava “Fare il punto della situazione: un momento di riflessione per chi non ha tempo da perdere”. Spesso, prese tra mille impegni e vincoli, le donne sono costrette a mettere loro stesse da parte e a subordinare le loro esigenze ai ruoli pressanti di lavoratrice e di madre. Invece, si è voluto partire da un punto fermo, ovvero dare la possibilità alle socie di ritagliarsi un momento da dedicare a loro stesse, fermando almeno per qualche ora la ruota di impegni incalzanti per riflettere assieme sulla ricerca di un equilibrio e su come poter affrontare al meglio tutti i propri compiti. A ciò si è legato anche l’incontro sul rafforzamento delle competenze personali, delle quali spesso non si ha piena consapevolezza. Altri argomenti di discussione hanno riguardato la condivisione degli impegni in casa, come riconoscere ed evitare i fattori di disturbo nella gestione della propria agenda, la maternità come questione di scelte e non di
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rinunce. Oltre a ciò, ci è parso importante trasmettere informazioni relative al tema della conciliazione e delle pari opportunità. Infine, alla presenza di un delegato sindacale, nell’ultimo incontro abbiamo inteso fornire ulteriori conoscenze riguardo le buone prassi da applicare nell’organizzazione aziendale nonché possibili soluzioni contrattuali. Gli incontri sono stati tenuti dalla Giovanna Roiatti, consulente esperta di pari opportunità, formatrice e consulente nel campo della valutazione e della progettazione partecipata, dalla sociologa Maria Adelasia Divona, esperta in pari opportunità, consulente dell’Agenzia regionale del lavoro, e da Renata Della Ricca, rappresentante sindacale del Coordinamento Donne Cisl. Si informano le lavoratrici già rientrate dalla maternità che questo percorso verrà replicato a maggio presso la sede Itaca di Udine e che siamo felici di invitarle a partecipare. Per eventuali informazioni o chiarimenti, contattare Elisa De Biasio, coordinatore del progetto “Family Friendly”, oppure Chiara Stabile, referente di Itaca per le pari opportunità, presso la sede amministrativa di Pordenone. Tel: 0434 366064, e-mail e.debiasio@itaca. coopsoc.it; c.stabile@itaca.coopsoc.it Un sentito ringraziamento alle consulenti che hanno reso possibile la realizzazione degli incontri e anche alle ragazze che hanno partecipato al progetto! Elisa DE BIASIO
http://www.tealibri.it/scheda.asp?idlibro=4335
SOMMARIO Il rientro dalla maternità in Itaca
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Suono e oltre suono - Musica al confine tra Arte e Salute
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Il nuovo CCNL non convince
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Panchina - “L’oggi in vista del domani”
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La solitudine come conseguenza dell’emarginazione
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Il Giornale Radio Sociale anche in Fm
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“Cresce il Welfare, cresce l’Italia”
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A domanda risponde: The Village
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Genius Loci news
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Raccontare e giocare per essere vecchi e felici Letti per voi
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EDITORIALE
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Suono e oltre suono
Musica al confine tra Arte e Salute
Pordenone
“Per la prima volta, potrei dire, non ho “fatto” musica, ma “sono stato” musica”. (Giorgio, infermiere e musicista)
1. MUSICA E APPARTENENZA La Musica è una condotta umana. Ciò significa che la Musica è parte dell’Umanità, dell’Essere Umano, come lo è il Linguaggio. Forse la Musica ha addirittura preceduto il Linguaggio1. Infatti, non ci sono notizie riguardo a gruppi umani che non conoscono la Musica o non ne facciano un utilizzo molto intenso. Dalla complessità tecnica e filosofica della musica dell’India fino alla misteriosa essenzialità della musica degli
1 La Scienza ritiene che l’uomo neanderthaliano non fosse in grado di parlare. Da poco è stata ritrovata una tomba Neanderthal con il corredo funebre che includeva un flauto realizzato con l’osso di un femore, in assoluto il più antico strumento musicale della Storia: “An ancient bone flute segment, estimated at about 43,ooo up to 82,ooo years old, was found recently at a Neanderthal campsite by Dr. Ivan Turk, a paleontologist at the Slovenian Academy of Sciences in Ljubljana. It's the first flute ever to be associated with Neanderthals and its confirmed age makes it the oldest known musical instrument” (FINK, Bob Neanderthal Flute - Musicological Analysis, Related information on this analysis: April 5 '97 Times of London; April 12 Globe & Mail; April 11 Science Magazine, p.203; Discovery Channel 5/7/97; Western Report 5/5/'97 (Cover story); Scientific American (Sept., ‘97).
amerindi, la Musica è una necessità religiosa, rituale, sociale o artistica, più che una semplice attività pratica dalla quale si potrebbe prescindere. Si può affermare che la Musica ha un forte potere nell’integrazione delle persone; ciò è dovuto non soltanto alla forza dei legami culturali ma anche a certe caratteristiche fondamentali del sistema nervoso centrale. Alcune ricerche hanno associato il ritmo agli impulsi d’attacco, difesa, ricerca del cibo e sessualità. La melodia, a sua volta, è collegata all’affetto e l’armonia all’intelletto. La Musica sembra coordinare tra loro le risorse del sistema nervoso, come se esse fossero un’orchestra, sia nella percezione sia nella conoscenza dello stesso fenomeno musicale. Quanto più grande è lo sviluppo sensoriale di un determinato organismo, tanto più ricco è il suo mondo esterno e, probabilmente, la Musica costituisce una via d’espansione della coscienza e della sensibilità in generale. Questo è, in principio, il ruolo fondamentale della Musica nella vita dell’Uomo: arricchire. Non possiamo arrivare allo sfruttamento totale delle nostre capacità umane se non cresciamo e non ci sviluppiamo all’interno di un ambiente musicale ricco. Nessuna cultura si è mai accontentata dei suoni prodotti dalla Natura. L’uomo ha prodotto nuovi suoni arrangiandoli in maniera ordinata in sistemi o organizzazioni che, in genere, privilegiano di più l’aspetto ritmico (in rilievo le strutture di tempo e le accentuazioni),
EDITORIALE volte mettono in risalto la parte melodica e raramente presentano la caratteristica armonica (cioè la sovrapposizione di voci in contrappunto oppure in maniera a formare accordi per l’accompagnamento, caso della tradizione europea o occidentale). Tutta questa ricchissima produzione lungo i secoli ha creato alquanti condizionamenti nell’umanità (pensiamo, ad esempio, alle sensazioni provate durante l’ascolto dei modi maggiore e minore anche nel caso di chi non ha avuto l’iniziazione al linguaggio musicale), forse, incorporandoli nel patrimonio genetico. Mettendo suoni e silenzi in un ordine, sviluppato tramite norme appartenenti a diversi strati culturali di uno spazio e un tempo particolari, è possibile trasmettere sensazioni, atteggiamenti, atmosfere, scenari naturali o umani. Proprio come il Linguaggio, però, senza la capacità di comunicare contenuti informativi precisi strutturati in catene di significati. La Musica non possiede quella caratteristica del Linguaggio chiamata da Karl Buhler funzione referenziale, vale a dire la capacità di rappresentare il mondo esterno. Il dominio della Musica è il mondo interno, il mondo dell’inconscio, delle emozioni. La Musica può rappresentare anche uno spirito d’epoca e raccontare agli uomini quei valori dal punto di vista emotivo; può anche riportarci mentalmente indietro nel tempo della vita e metterci in contatto con delle sensazioni avute in una determinata situazione importante. La Musica stimola l’introspezione e aiuta a bloccare la censura durante momenti d’auto analisi, di psicoterapia, e può, perfino, presentarsi come un percorso non verbale verso le grandi questioni della filosofia, come ha intuito il geniale musicologo romeno Balan con la sua Musicosofia. Ogni bambino, quando riesce ad imparare una determinata musica, lo fa riguardo alla tradizione musicale della sua stessa cultura. Ogni popolo sviluppa un linguaggio musicale consono ai suoi bisogni ed attività e nessun altro linguaggio è migliore di quello per rappresentare questi bisogni ed attività. La Musica è collegata a diverse istituzioni sociali e all’affettività della gente locale perché riesce a codificare in un livello non verbale l’ethos o “modo di essere”. L’essere napoletano o siciliano, per esempio, è, forse, molto più presente nelle strutture musicali e nel modo di interpretare che nelle parole delle canzoni come normalmente si pensa. Cantata da un non napoletano, o da un non siciliano, una canzone napoletana o siciliana dalle parole molto espressive perde tantissimo, perché i piccoli insiemi di intervalli di quarto di tono, i melismi (abbellimento che mette diverse note all’interno di una unica sillaba come accade, ad esempio, nel fado portoghese o nel flamenco) caratteristici scompaiono; l’accentuazione di certi tempi non c’è; i ritardi nell’andamento non compaiono, gli anticipi mancano. Allora il brano diventa freddo al contrario della sua tradizione locale calda. Chiedete ad un belga di cantare o suonare dei blues e vedrete che, nonostante sia un bravo cantante o strumentista, potrà sembrare inespressivo se paragonato ad un nordamericano del Sud poco competente tecnicamente ma che
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possiede le informazioni musicali ed extra musicali riguardo allo stile. Forse si può affermare che la Musica costituisce una parte dell’identità di una comunità o gruppo di persone che condividono una determinata visione del mondo e un atteggiamento verso la vita; è la colonna sonora che aiuta, a livello emotivo, a rinforzare le credenze e a regolare il tempo soggettivo mettendolo in sintonia con un tempo interno ai gruppi d’appartenenza. I contenuti emotivi, l’animo, la disposizione, possono essere trasmessi dalla Musica che così diventa un valido ausiliario per formare il soggetto nello spirito del gruppo. Pensate al ruolo degli inni, nazionali o religiosi, delle bande marziali, ma anche delle diverse forme musicali che hanno costituito e tuttora costituiscono una forma d’identificazione per milioni e milioni di persone. Questo potere d’identificazione, di coinvolgimento dell’individuo in uno stile di vita associato all’ethos rappresentato dalla forma musicale, conferisce alla Musica un enorme potere. Un pericoloso potere, il cui utilizzo Platone, nella Repubblica, metteva sotto il controllo severo della legge. Pare che il consiglio di Platone abbia trionfato sotto le dittature: tutti noi conosciamo la dicitura arte decadente con la quale la musica contraria ai canoni dello Stato è stata bollata (vedere la storia del nazifascismo o del comunismo). Alberto Chicayban all’opera
2. IL POTENZIALE RELATIVO La Musica, nonostante la nostra buona volontà verso la Musa, è servita, però, anche come strumento per indottrinare, come artificio di propaganda e mezzo per controllare il comportamento delle moltitudini. Il nazifascismo, ad esempio, l’ha applicata con efficacia durante i grandi raduni, come ricordano Renzo De Felice e Serge Tchakotine. I nazifascisti avevano imparato la tecnica dai bolscevichi che, per quanto riguarda la manipolazione dell’opinione delle masse, erano grandi specialisti. Si sa che la Musica viene sfruttata per stimolare la produzione nelle fabbri-
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che e uffici con tecniche simili alla Musak2, ma è anche adottata per rendere i consumatori più compiacenti nei grandi negozi o davanti alla tv. La Musica è stata ed è tuttora uno strumento fondamentale nelle sette per addormentare la volontà dei soggetti e renderli sottomessi. La Musica può, inoltre, diventare una droga che porta all’alienazione o ad uno stato di quasi autismo dove esiste soltanto la prepotenza di un gigantesco Ego. Ammettere che la Musica possa servire come collante per i branchi e stimolarli così alla violenza non mi sembra un’affermazione spropositata. Per esempio, una buona parte della Musica che è messa a disposizione del giovane ascoltatore medio nord americano è disgregante, a prescindere dei testi, e punta verso l’aumento d’aggressività e all’esibizione della prepotenza. Ritmi, sempre quaternari, fortemente sostenuti e incalzanti, ripetizioni di frasi melodiche dure sfruttando timbri distorti e ritmiche di linearità ipnotica, che si associano ad urla e ad un volume assordante, a volte, uguale in numero di decibel ad un Boeing decollante, creano la colonna sonora dell’odio. Odio verso chi? Contro i diversi, contro quelli che non appartengono al gruppo, alla tribù, al branco simboleggiato dalla musica che riassume il loro modo d’essere. Sfortunatamente, questi prodotti musicali tipici della cultura anglosassone soprattutto quella nord americana (come succede anche nel caso del cinema di violenza) sono esportati ed emulati in tutto il mondo in nome della libertà d’espressione e, certo, di commercio. Sono convinto che, oltre all’indiscutibile disagio, un determinato tipo di colonna sonora stia dietro a quei molti massacri compiuti da adolescenti negli Stati Uniti in questi ultimi tempi. Sono anche convinto che ci sia una colonna sonora della droga e del teppismo. A questo punto mi dispiace dover affermare che la Musica, in generale, non può offrire garanzie nell’arginare l’infelicità, la sofferenza psichica o fisica, perché non è altro che un sistema di comunicazione adatto a trasmettere sentimenti e stati di coscienza. Sarebbe poco adeguato alla stessa maniera credere, per esempio, nelle capacità curative del linguaggio umano senza considerare minimamente i contenuti e senza tenere in conto le intenzioni di qualcuno che adopera quel linguaggio. Una tale credenza sarebbe paragonabile al feticismo. Dunque, considerato il discorso sopra sviluppato, possiamo, forse, dire: non tutta la Musica è, in maniera sistematica, capace di stimolare le poten2 Musak è una tecnica industriale sviluppata negli Stati Uniti per condizionare il comportamento attraverso l’ascolto di musica. Utilizza sequenze studiate, con un’orchestrazione caratteristica, per rendere i brani uniformi secondo la finalità desiderata. Tramite radio Fm, Musak trasmette la programmazione agli abbonati: uffici, sale d’attesa, aeroporti e addirittura mattatoi. Vedere a proposito p.330 e seguenti di Il suono in cui viviamo di Franco Fabbri, Il Saggiatore Tascabili.
zialità umane, nonostante l’Arte Musicale abbia delle categorie proprie che la possono rendere UN POTENZIALE STRUMENTO PER CRESCITA PERSONALE. Allora come potrebbe la Musica spingere verso la crescita, la maturazione o una modulazione di comportamento? Forse i motivi potrebbero essere questi:
A) La Musica è strutturata perché 1. Esige una condotta cronologica: a. Richiede una condotta adatta alla realtà; b. Richiede che la condotta diventi obiettiva in modo immediato e continuo. 2. La Musica permette una condotta adeguata alla capacità: a. Permette di adattare la condotta a protocolli di risposta fisica; b. Permette l’adeguamento della condotta a protocolli di risposta psicologica. 3. La Musica provoca una condotta orientata dagli affetti. B) La Musica può essere d’importanza nell’auto organizzazione perché: 1. Permette l’auto espressione; 2. Rende possibili le condotte compensative; 3. Offre delle opportunità di ricevere ricompense socialmente accettabili; 4. Rende possibile l’aumento dell’autostima: a. Rende possibile il raggiungimento di alcuni risultati qualunque sia la capacità del soggetto; b. Rende possibile sentirsi utile agli altri; c. Fa crescere la stima degli altri. C) La Musica può facilitare il rapporto con gli altri. Infatti: 1. Offre i mezzi per realizzare un’espressione socialmente accettabile;
EDITORIALE 2. Regala all’individuo l’opportunità di scegliere la propria risposta all’interno dei gruppi; 3. Proporziona le opportunità di assumere delle responsabilità con un altro e con un gruppo: a. Permette lo sviluppo di una condotta auto orientata; b. Rende possibile sviluppare una condotta rivolta verso gli altri. 4. Aumenta l’interazione sociale e la comunicazione non verbale e verbale; 5. Permette la cooperazione e la competizione in forme socialmente accettabili; 6. Dona l’opportunità del gioco sano e della gioia che richiede l’ambiente educativo; Rende possibile l’apprendimento d’abilità sociali e protocolli di condotta realistici accettabili all’interno dei gruppi in quelli della comunità.
3. ISTRUZIONI PER L’USO Molto bene, ma non è tutto. Vi sono forse altre condizioni per fare della Musica uno strumento di crescita personale. La qualità della Musica come strumento teso al progresso personale dipende da parametri esterni alle strutture musicali. Il primo di questi parametri è il CONTESTO, l’ambiente dove il fenomeno musicale s’inserisce. Per esempio, la pizzica, fuori della situazione rituale, non può assicurare e stabilizzare l’individuo appartenente ad una comunità dove il tarantismo è praticato. Così un determinato pezzo musicale del repertorio sacro del Candomblé o della Santeria3 non è capace, isolato 3 Candomblé è una parola utilizzata il Brasile per definire religione afro brasiliana (esistono alcuni tipi di candomblé) che si poggia nella tradizione yoruba oppure alla tradizione fon; Santeria è la parola usata a Cuba per definire la stessa tradizione religiosa di radice africana. Ambedue le religioni applicano la trance nei rituali, dove il ruolo della Musica e della Danza si presenta come asse fondamentale per arrivare alla comunicazione profonda con la Divinità.
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dalla cerimonia, di operare la potente catarsi alla quale i fedeli sono abituati. L’accoglienza, certi riferimenti simbolici, un patrimonio di conoscenze e consuetudini subordinate ad un sistema gerarchico funzionale a queste religioni, più l’atmosfera mistica, sono catalizzatori importantissimi. Insomma, una serie ordinata di riferimenti che appartengono alla sfera dell’integrazione profonda, dell’appartenenza organica alla cultura del gruppo, nei gesti rituali, nella danza, nella musica, nei canti, nelle parole, colori, cibi, indumenti, fiori, ecc. Un altro parametro per fare della Musica uno strumento di crescita è la GUIDA. Una persona alla quale diamo fiducia, dentro al CONTESTO appropriato, offre la conoscenza degli elementi del percorso musicale adatto ai candidati al percorso, provvede la scelta degli elementi da utilizzare nella stimolazione. Così fa il musicista che orienta il lavoro dei suonatori nel rituale del tarantismo, così fanno gli ogan4 nel Candomblé, così hanno operato da sempre i direttori musicali, i dirigenti dei gruppi strumentali, i musicisti più anziani, i maestri del mestiere, con la finalità di portare ad una integrazione che possa fare dei musicisti riuniti in gruppo un unico strumento musicale. Vogliamo parlare d’Arte Musicale? La discussione potrebbe giovare nella consapevolezza della situazione della Musica come un mezzo per ottenere il progresso personale, il cambiamento verso la fusione dell’Uomo all’Umanità, l’argine dell’emarginazione. L’Arte Musicale non risiede nel virtuosismo e nelle capriole della tecnica strumentale o vocale, come vuole il senso comune. Il virtuosismo fine a se stesso è, semmai, una categoria del circo, non dell’Arte Musicale. Anche nella musica colta, barocca, classica, del romanticismo o contemporanea, il solo virtuosismo non è, neanche lontanamente, l’Arte Musicale. La dimensione cerebrale non sembra, nella stessa misura, l’obiettivo dell’Arte Musicale – ciò potrebbe spiegare il fallimento nell’imporsi di tante opere musicali colte caratteristiche del Novecento, nonostante le lodi della critica specializzata e il lavoro di teorici appassionati (come lo fu Adorno, ad esempio). Sono personalmente convinto che l’Arte Musicale sia raggiungibile anche con poche note e tramite una qualsiasi ritmica senza particolari segreti. Sono anche convinto che l’interpretazione sublime non è una questione di virtuosismo o di sforzi filologici, ma di coinvolgimento emozionale profondo dell’interprete nell’attacco delle note, nell’intensità delle pause e nei contrasti dell’espressione; nel vivere intensamente ogni evento di suono o di silenzio come un messaggio urgente all’umanità. Il narcisismo del virtuoso o l’ossessività 4 Ogan è il musicista sacro nei Candomblé. Gli ogan suonano i tre tamburi sacri (rum, rumpi e lê) e cantano le musiche rituali.
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cerebrale del compositore probabilmente non servono né all’Arte Musicale né all’Uomo. Lo scopo dell’Arte Musicale è riuscire a modificare l’uomo per renderlo degno di entrare, almeno per alcuni momenti, in risonanza con i grandi valori dell’umanità: la tolleranza verso di sé e verso gli altri, la lotta contro la sofferenza esistenziale, l’altruismo, la meraviglia davanti alla sacralità della vita e della bellezza, la valorizzazione dell’amicizia, permettersi l’amore. Questo rientra negli obiettivi di un cambiamento desiderabile o no? L’Arte Musicale serve alla trasformazione dell’Uomo, alla metamorfosi dall’essere ridotto a pezzi all’essere integrale. Questo rappresenta (o dovrebbe rappresentare) l’obiettivo supremo delle filosofie e delle religioni, vero? Se esiste una dimensione sublime nella Musica ciò non è dovuto ai suoni o all’azione benefica intrinseca a certe musiche, ma soltanto al coinvolgimento della persona nel progetto folle di raggiungere l’attimo sfuggente di bellezza insieme ai suoi simili che, in quell’attimo, in quel CONTESTO, diventano veramente i suoi fratelli, l’oggetto del suo amore: a questo fenomeno che chiamo l’EVENTO.
Stimolazione musicale al Centro diurno di Francenigo di Gaiarine
Poco importa se il pezzo condiviso fra queste persone è di grande respiro o di modesta architettura artistica. Poco importa se il brano arriva dalla dimensione etnologica o se si tratta d’opera di musicalità colta. Per le emozioni conta molto di più il SIGNIFICATO rispetto alla FORMA, perché è principalmente il significato a conferire alla Musica la condizione di patrimonio affettivo dell’Uomo. Conta il CONTESTO e la GUIDA di chi propone una data musica come strumento di Stimolazione Musicale. Conta di più COME questo qualcuno la propone. Conta l’emozione del momento vivo dell’Arte Musicale del quale siamo partecipi durante l’EVENTO e non lo stesso momento congelato in una registrazione. Per raggiungere la dimensione sublime, la modulazione verso l’Uomo Integrale, non bastano le promesse potenziali del fenomeno Musica. Forse c’è bisogno di allargare i confini del così detto setting verso l’EVENTO ed eleggere l’Integrazione come finalità dell’azione tesa alla crescita, alla maturazione, alla gioia di vivere. Nell’EVENTO GUIDATO VERSO L’INTEGRAZIONE L’ARTE MUSICALE RAGGIUNGE IL SUBLIME e in quel momento ognuno può provare nel proprio corpo l’esperienza di diventare Musica. Alberto CHICAYBAN
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Apprendistato e gare al massimo ribasso
Il nuovo CCNL non convince
Visita della presidente nazionale Menetti al seminario interregionale di Portogruaro
Portogruaro “E’ stato un negoziato particolarmente lungo quello che è stato chiuso in termini unitari, che ha visto dopo una decina d’anni un intervento sulla parte normativa e ovviamente anche su quella economica”. Così ha commentato Paola Menetti, presidente nazionale di Legacoopsociali, il recente rinnovo del CCNL delle Cooperative sociali nel corso del seminario interregionale tenutosi a Portogruaro lo scorso 7 febbraio. “Le coperture economiche si riferiscono a parametri condivisi – ha evidenziato Menetti -, sostanzialmente una cosa dovuta ai sensi dell’accordo del 22 gennaio tra Governo e parti sociali”. Il rinnovo prevede due anni senza alcun ritocco (il 2010 ed il 2011), come concordato dalle parti. Alcuni numeri sui costi a carico delle imprese la presidente li ha evidenziati, tra cui il costo reale del 5,4% al termine della vigenza contrattuale, con un incremento scaglionato in tre tranches: del 2,35% il 1° gennaio 2012 (rispetto al 2011); dell’1,54% al 1° ottobre 2012 e dell’1,51% al 1° marzo 2013. I lavori, ospitati nella sala della antica Biblioteca del Collegio Marconi di Portogruaro (Ve), erano incentrati su un tema oltremodo attuale, ovvero “Il CCNL della Cooperazione Sociale 2010-2012: ricadute economiche e novità normative”. Dopo l’introduzione di Gian Luigi Bettoli e di Loris Cervato, rispettivamente presidenti regionali di Legacoopsociali Friuli Venezia Giulia e Veneto, il saluto del sindaco di Portogruaro, Antonio Bertoncello. Interventi programmati di Gianfranco Rossato della Direzione Fimiv su “L’assistenza sanitaria integrativa ed i rapporti tra mutue e cooperative sociali nella costruzione di un Welfare comunitario”, che ha citato l’esempio della Cooperativa sociale Itaca di Pordenone che ha già stipulato una convenzione per il fondo sanitario integrativo con la Mutua Cesare Pozzo, anticipando di un anno quanto previsto nel CCNL dal 2013.
L’incontro si è aperto con l’intervento di un cooperatore storico, Antonio Bertoncello, già nella dirigenza nazionale di Legacoop e oggi sindaco della città di Portogruaro. “Quando si parla di sociale l’amministrazione comunale cerca sempre di essere presente per dare attenzione a un settore molto delicato. In passato ho ricoperto ruoli importanti nell’ambito dirigenziale della Lega delle Cooperative, esperienza che mi è servita molto per ricoprire al meglio l’incarico amministrativo”. “Come enti locali stiamo vivendo una situazione drammatica – ha evidenziato il primo cittadino -. Siamo l’ultimo anello della catena e ci vediamo costretti a fare gli esattori per conto di altri. Questo fantomatico federalismo fiscale è pertanto alla rovescia. L’Imu ci farà incamerare risorse di gran lunga inferiori di quello che prima avevamo come Ici, minori entrate per i Comuni comportano il rischio – ha proseguito Bertoncello – che il fondo di riequilibrio non sia sufficiente. Quindi il rischio di trovarci costretti a contenere i servizi a favore dei cittadini se le entrate per i Comuni saranno sempre minori, lo dico anche come membro del direttivo nazionale dell’Anci”. “Nella regione Veneto stiamo subendo un taglio verticale dei servizi in base al quale le Cooperative sociali devono essere considerate alla pari di altre imprese. Noi combattiamo quotidianamente su questo fronte. Dobbiamo però aprire una battaglia, un confronto con il Governo sulla dimensione sociale e valoriale della Cooperazione sociale – ha sottolineato il sindaco di Portogruaro -. Risulta necessario individuare le formule contrattuali con la Regione Veneto che facilitino il lavoro delle Cooperative sociali.”. Quanto agli enti locali, “se i Comuni non pagano non è perché non hanno i soldi, ma perché devono stare dentro il patto di stabilità. Il Comune di Portogruaro non ha debiti, non ha creditori che avanzano denaro. Io stesso ho firmato dieci convenzioni con altrettanti Istituti bancari per consentire alle Cooperative sociali di accedere a tassi agevolati”.
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IN PRIMO PIANO
“L’apprendistato rappresenta la vera novità normativa di questo contratto, che non avrebbe dovuto essere l’unica, cito ad esempio la banca delle ore. Ma le condizioni non lo hanno permesso”. Così Carlo Ricciputi di Legacoop. “A differenza della Legge Biagi, questo articolo abroga tutte le precedenti normative e diviene l’unica norma che dal prossimo 25 aprile disciplina l’apprendistato. Ma questo non vale per noi, giacché per noi l’apprendistato vale dalla firma del contratto”. Diverse le novità evidenziate, tra le quali il fatto che trattasi di contratto “a tempo indeterminato” e che “prevede la formazione da parte del datore di lavoro al fine di passare quale lavoratore qualificato”. “Il contratto – ha proseguito Ricciputi -prevede, a differenza della precedente disciplina tarata su sei anni, un tetto massimo di tre anni per l’apprendistato: tre gli scaglioni, 18 mesi per la categoria A, 24 per la B e la C, 36 mesi per D, E, F”. Altra scelta sui profili retributivi: la legge Biagi aveva previsto “il sottoinquadramento all’inizio del percorso” fino a due livelli sotto rispetto al livello finale di destinazione. “Norma criticata da commercianti e artigiani, che hanno fatto pressioni sul Ministero che poi con una circolare ha precisato la non abrogazione della legge storica su apprendistato”, concedendo la possibilità di prevedere entrambi i sistemi. “Ora è stata fatta una scelta netta, o una o l’altra, o sotto inquadramento o percentualizzazione – ha concluso Ricciputi -. Si è optato per la seconda soluzione”. Il dibattito tra gli esponenti delle Cooperative sociali di Friuli venezia Giulia, veneto e Alto Adige-Sudtirol si è
acceso proprio sul tema dell’apprendistato. “Da tempo chiediamo il coinvolgimento della Conferenza Stato Regioni riguardo il rinnovo del nostro CCNL – ha affermato il presidente della Cooperativa sociale Itaca, Leo Tomarchio -. Le Coop sociali di tipo A, tra cui la nostra, in questi anni hanno accumulato delle riserve proprio per il fatto del mancato rinnovo del contratto”. “Congelare l’applicazione del CCNL (come da proposta della Coop Azalea di sospendere l’applicazione del Contratto, ndr) come solidarietà al movimento cooperativo, come da alcuni proposto, sarebbe difficile da giustificare ai soci della Cooperativa Itaca”. I problemi sono però anche altri: “tanto per citarne uno, il fatto che gli enti locali procedano ancora con le gare al massimo ribasso. Mi sento decisamente insoddisfatto – ha evidenziato il presidente Tomarchio - del contratto sull’apprendistato, anche perché temo che i competitors più spregiudicati lo possano utilizzare solo per abbassare il prezzo”. Peraltro “mi riesce difficile immaginare che un addetto alle pulizie debba stare in formazione per 18 mesi, credo che l’apprendistato sia altro, un pulitore o un Oss 18 mesi in apprendistato mi sembra una aberrazione. Tanto che se fossi un Oss punterei al concorso pubblico, non certo alla Cooperazione sociale. Credo che una riflessione su tutto ciò vada aperto – ha concluso il presidente di Itaca -, soprattutto nella trattativa di secondo livello”. Fabio DELLA PIETRA Paola Menetti
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Aggiornamento Ragazzi della Panchina
L’oggi resta incerto, le promesse parole Sede provvisoria e sede definitiva ancora un miraggio
Pordenone Problema della sede provvisoria dei Ragazzi della Panchina a tutt’oggi irrisolto, anche sa da un qualche cilindro pare sia sbucata qualche giorno fa l’ipotesi ex asilo in via Selvatico. Problema della sede definitiva sempre in alto mare. Come volevasi dimostrare, verrebbe quasi da dire. Eppure qualcuno aveva creduto nella bontà del poker di proposte tirate fuori da un ennesimo cilindro, in sede di conferenza stampa. Non una alternativa, ma addirittura quattro strade potenzialmente percorribili, un quadrivio che aveva lasciato storditi perché pareva non ci fosse che l’imbarazzo della scelta, confusi perché sembrava di dover solo decidere da che parte andare. E invece no. Sarebbe stato sin troppo facile. Tutte ipotesi poi tramontate perché non percorribili. Come volevasi dimostrare, verrebbe quasi da ridire. Peraltro si scopre poi che erano proposte provenienti tutte da una (o più) agenzie immobiliari. Ecco da dove partivano i quattro conigli usciti dal cilindro. Come se i Ragazzi non ci avessero già pensato prima di tentare anche quella strada. Ciliegina sulla torta, due di quelle proposte erano negozi, già perché il principale pensiero dell’associazione non è più quello di trovare una sede per potersi incontrare, ma un esercizio commerciale. E pensare che, sempre in conferenza stampa, si era altresì parlato ufficialmente di due mesi di tempo per chiudere la questione, definita una priorità. Giusto i tempi tecnici, si era detto. La conferenza stampa indetta dai Ragazzi della Panchina lo scorso 8 febbraio sperava di portare a casa qualcosa di concreto. “L’oggi in vista del domani”, così si intitolava l’appuntamento per presentare il rendiconto delle attività del 2011, le prospettive per il 2012, le questioni aperte, era stato ospitato all’interno della sala convegni Teresina Degan della Biblioteca civica di Pordenone. Tanti i presenti. Pochi i risultati per non disperdere persone e risultati. “Da oltre un decennio l’associazione è impegnata sul territorio con numerose attività rivolte a persone con dipendenze da sostanze e con disagio sociale in genere e di integrazione con la cittadinanza. Collabora con il Dipartimento per le dipendenze dell’Azienda sanitaria n.6 Friuli Occidentale, con i Servizi sociali di Ambito, con il Comune di Pordenone e con la Cooperativa Itaca.
Dal 14 dicembre 2011, dopo 12 anni, il sodalizio è stato costretto a lasciare la storica sede di viale Grigoletti ed oggi sta vivendo l’urgenza di trovare un nuovo sito cittadino che faccia da punto di riferimento per le numerose persone e per le attività del gruppo. Ora che non c’è una sede i ragazzi sono dispersi sul territorio, quali saranno le conseguenze di questa parcellizzazione del gruppo, per la città? Quali quelle legate ai ragazzi senza un punto di ritrovo e di confronto-contenimento? In ultima analisi, quali le conseguenze per l’associazione nell’immediato e medio futuro, con una gestione della quotidianità così dispersiva e conseguentemente così poco incisiva?”. Così i Ragazzi introducevano l’evento. Cosa è cambiato da allora? Poco o nulla. Nel corso della conferenza sono stati presentati i dati dell’attività svolta nel 2011 e i risultati raggiunti, il progetto “Convivenza tra Agio e Disagio” nel parco di via Rotate – via Cividale e il laboratorio “Teatro in carcere” con Pino Roveredo. Sono intervenuti in qualità di relatori Ada Moznich, presidente dell’associazione “I Ragazzi della Panchina”, Stefano Venuto, operatore dell’associazione, e per l’Ass6 la dott.ssa Roberta Sabbion, direttrice Dipartimento per le Dipendenze. Spulciando tra gli appunti di quel giorno trovo ancora qualcosa. “Abbiamo voluto fare questa conferenza stampa per il problema della sede dell’associazione che tutti conoscono”, aveva subito affermato la presidente Moznich. Ma poi solo parole e solo promesse dalle istituzioni che invece avrebbero dovuto trovare una soluzione. Altro allarme quello lanciato da Venuto: “disperse nel territorio ci sono ora persone non in carico ad alcun servizio, la mancanza della sede non ci consente più di continuare l’opera di canalizzazione sul come restare in città, siamo a rischio di dispersione, e la città potrebbe risentirne non tra molto, appena il tempo sarà più clemente questi ragazzi usciranno nuovamente dalle loro case per fare aggregazione in città”. E la primavera è ormai alle porte. “Adesso che la sede non c’è – i Ragazzi, o meglio gli operatori e la presidente sono ancora ospitati presso un ufficio in vicolo Selvatico, sede legale ed amministrativa di Itaca, ndr – che cosa succederà in città?”. Fabio DELLA PIETRA
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IN PRIMO PIANO Gazzettino (1)
Panchina di fortuna per i ragazzi sfrattati
L’hanno collocata nel parcheggio del civile, ma non ha ripari e il gruppo rischia di disgregarsi Pordenone Sabato 3 Marzo 2012 La nuova panchina è una tavola di legno poggiata su due blocchi di cemento. L’ha allestita uno dei componenti del gruppo, sotto un albero e accanto a due bidoni della spazzatura, dopo che dall’angolo in cui i ragazzi sono ormai soliti ritrovarsi, in fondo al parcheggio di via Montereale, è stato portato via quel po’ di verde che avrebbe garantito una protezione dal sole. Già, perché tra una promessa e una rassicurazione, i Ragazzi della panchina sfrattati da un paio di mesi dalla storica sede di viale Grigoletti cominciano ormai a guardare rassegnati a un’estate senza un tetto sulla testa. Oltre vent’anni dopo, la storia di quei ragazzi che ormai tanto ragazzi non sono più ricomincia suppergiù dallo stesso punto. A fare la differenza è quella ragnatela di relazioni che nel tempo si era costruita attorno e che ora va disgregandosi di pari passo con la scomparsa dei punti di riferimento. «La nostra era una realtà che stava diventando importante - racconta F., uno dei fondatori -. È dal 1987 che hanno iniziato a cacciarci da ogni parte, perché davamo fastidio. Ma adesso il rapporto con il quartiere stava ingranando e sul più bello ci hanno mandati via». Con la sede molti hanno perso anche una casa. Letteralmente. Un luogo, cioè, in cui andare a farsi una doccia, lavare il bucato, ripararsi dal freddo: «Per chi non ha famiglia - aggiunge F. - era un punto di riferimento anche per tante cose pratiche, in una città in cui non ci sono neanche docce pubbliche». Lo sa bene M. che nei giorni più freddi di quest’inverno ha dormito in una tenda, e altri ancora che, quand’è possibile, si appoggiano da amici. Ma, anche per chi una casa ce l’ha, le giornate sono lunghe. La mattina in via Montereale, nei dintorni del
Sert, per la distribuzione del metadone. Qui gli operatori dell’associazione vanno a trovarli quotidianamente, per tenere insieme quel gruppo che rischia di sciogliersi. Una birra, quattro chiacchiere, magari anche qualche bisticcio che dura lo spazio di pochi minuti. E poi quei lunghi pomeriggi senza fine, che in viale Grigoletti volavano via fra quattro chiacchiere, una partita a calcetto, un caffè e uno sguardo alla tv. Un’abitudine così consolidata che il sabato e la domenica, giorni di chiusura dell’associazione, i componenti si sentivano «cani randagi, persi». Fuori di là, i ragazzi devono fare i conti con le ordinanze che, nel tempo, li hanno banditi da tanti luoghi della città in cui erano soliti ritrovarsi, fino a confinarli di nuovo nel parcheggio accanto all’ospedale, senza nemmeno un tetto per ripararsi dalle intemperie. «Quando piove l’unico riparo che abbiamo è dietro al bocciodromo racconta G. - sotto una struttura in legno. Ma, se piove di traverso, neppure quella basta». Degli anni in viale Grigoletti restano tanti ricordi, alcuni belli e altri meno: «Ma anche quelli brutti erano lo stesso belli - è il rimpianto di F. - perché eravamo insieme». Come quella volta, ricorda G., in cui, «durante una messa, una ragazza ha letto la lista di quelli di noi morti di Aids o per malattie legate alle dipendenze. Era una lista che non finiva più, ci ha messo 15 minuti. Con il tempo siamo rimasti la metà, forse un terzo. Adesso arrivano i giovani, e noi cerchiamo di fare un po’ di prevenzione». «È anche per loro - continua M. - che abbiamo bisogno della sede -. Per cercare di dare una mano. Ognuno sceglie il suo destino, ma per me è importante raccontare ai ragazzi di 20 anni quello che è successo a me, perché non pensino che a loro non capiterà». Lara ZANI
Gazzettino (2)
«Pronti a ospitarli ma l’Ass 6 si muova» Il Comune: soluzione provvisoria
Pordenone Sabato 3 Marzo 2012 «Fin dal primo momento ci siamo impegnati per trovare una soluzione nei tempi più stretti possibili. Abbiamo proposto all’Azienda sanitaria ben quattro soluzioni immobiliari possibili, ma sono passati quasi due mesi e continua a esserci solo silenzio. E siccome crediamo che questa sia una questione legata alla coesione sociale della città rilanciamo e diamo la disponibilità a ospitare provvisoriamente i “ragazzi della panchina” in uno degli edifici comunali. Ma a patto che l’Azienda sanitaria proceda in fretta verso la soluzione del problema». Non usano mezzi termini il sindaco Claudio Pe-
drotti e l’assessore alle Politiche sociali Vincenzo Romor intenzionati a “suonare la sveglia” all’Azienda sanitaria sulla scelta del futuro sito definitivo. Una delle possibili sedi provvisorie potrebbe essere (magari con qualche minimo lavoro di adeguamento) l’ex asilo di via Selvatico, per altro non lontano dalla sede di viale Grigoletti da dove il gruppo dei ragazzi è stato sfrattato. Un impegno che il Comune potrebbe assumersi a fronte però, e su questo sindaco e assessore sono inflessibili, di precise garanzie “nero su bianco” da parte dell’Azienda 6. «Dovrà essere chiaro - sottolineano Pedrotti e Romor - che la soluzione sarà soltanto temporanea. E dovrà essere stabilito un impegno formale dell’Ass6 dei servizi sanitari a provvedere in tem-
IN PRIMO PIANO pi celeri alle pratiche di individuazione di una sede e all’acquisto». Insomma, patti chiari e amicizia lunga: noi potremmo ospitare il gruppo per alcuni mesi e l’Ass (che ha il finanziamento regionale di 250 mila euro) procede nella ricerca della sede defintiva. E sui tempi il
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Comune insiste: «Chiediamo all’Azienda se il bando per ricevere le offerte dei privati è stato avviato. Capiamo le lungaggini e le difficoltà burocratiche ma il lungo silenzio comincia a preoccuparci». Davide LISETTO
Messaggero Veneto
Il sindaco: pronti a dare l’ex asilo Soluzione temporanea in via Selvatico. «Ma l’Ass faccia presto»
Pordenone Sabato 3 Marzo 2012 Comune in pressing sull’Azienda per i servizi sanitari per arrivare presto all’individuazione della nuova sede dei ragazzi della Panchina. «A fronte di garanzie certe sui tempi della gara e dell’avvio della nuova sede – dicono il sindaco Claudio Pedrotti e l’assessore Vincenzo Romor– siamo disponibili a mettere a disposizione un immobile per far riprendere subito l’attività dell’associazione. Naturalmente a tempo e senza costi di manutenzione per il Comune». Quella dell’amministrazione Pedrotti – che ieri ha dibattuto la questione in giunta ritenendo che il tempo delle attese sia finito – è una mano tesa che suona, però, anche come un ultimatum. «L’Ass 6 ha le risorse per comprare la nuova sede 8ndr 350 mila euro) e da parte nostra – sottolineano il sindaco e l’assessore – c’è stata la massima disponibilità a trovare soluzioni immobiliari compatibili con le esigenze del gruppo». Già prima che la villa di viale Grigoletti 11 fosse venduta, infatti, il Comune si era dato da fare e aveva individuato quattro possibili soluzioni nell’area del quartiere dove storicamente il gruppo ha lavorato. I mesi, però, sono passati (lo “sfratto” è avvenuto lo scorso dicembre) e dall’azienda ancora nessun passo concreto. «Quello che ci preme – dicono con chiarezza Pedrotti e
Romor – è che non si disperda il patrimonio costruito dall’associazione in città». C’è poi il timore che l’assenza di un punto di riferimento generi una nuova emergenza sociale «specie in un momento complesso come quello in cui viviamo dove la mancanza di occupazione e la marginalità sociale – ricordano gli amministratori – sono in netto aumento». Il sindaco per ora preferisce non dire quale immobile l’amministrazione sarebbe disponibile a cedere temporaneamente a Rdp, ma da quanto si apprende la soluzione ipotizzata in giunta sarebbe quella di “prestare” all’associazione l’ex asilo di via Selvatico. Un prestito che potrebbe comunque essere di pochi mesi visto il bene è alienato. «Dalle verifiche fatte – aggiunge l’assessore Romor –, la gara potrebbe essere istruita dall’azienda sanitaria in circa due mesi. Ammesso che poi ci voglia il tempo di perfezionare il contratto e di organizzare il trasloco, il Comune potrebbe offrire una sede per quattro, cinque massimo sei mesi. Naturalmente parliamo di un luogo da prendere com’è nel senso che non possiamo farci carico di interventi strutturali e quindi di spese per adattare una sede per pochi mesi». L’amministrazione comunale ancora una volta ha aperto la porta. Ora si tratterà di capire se l’Azienda per i servizi sanitari 6 sia pronta ad accogliere l’invito. Martina MILIA
Parole e numeri dalla Panchina Pordenone
Attività
Interventi di promozione della salute nelle scuole (14 classi per un totale di 273 ragazzi/e del Liceo LeoMajor; assemblea d’Istituto Ipsia Zanussi sul tema “La Panka: sostanze e territorio” - 300 ragazzi/e). Consegna farmaci a domicilio - Gruppo terapeutico Il giornale “Libertà Di Parola” - Il blog - Attività teatrale (progetto “Teatro in Carcere”; progetto Teatro dei Ragazzi della Panchina) - Promozione dell’aggregazione e cura delle relazioni all’interno della sede e in città (progetto “Convivenza Agio-Disagio” in collaborazione con i Servizi Sociali del Comune di Pordenone; Pranzo di Natale dell’Associazione tenutosi all’interno della sala riunioni dei Servizi Sociali del Comune di Pordenone) - Progetto Povertà finanziato dai Servizi Sociali del Comune di Pordenone.
Monitoraggio dei luoghi informali di aggregazione in città (Progetto di Educativa di Strada dal titolo “Open Square”) - Partecipazione al progetto “Legati ma liberi – Passo dopo passo” del Ser.T.-CAI - Partecipazione alla “Festa in Piassa” 2011 di Villanova di Pordenone - Organizzazioni eventi culturali (“Oltre le sbarre” in collaborazione con CinemaZero; Evento-spettacolo “La legge è uguale per tutti?” - “Ahlan Wa Sahlan -Benvenuti-“ Classicl Arabic Music - Partecipazione eventi culturali (incontro dal titolo “Dipendenze e territorio”: Spunti di riflessione e conoscenza, in occasione della giornata internazionale dell’infermiere) - Partecipazione alla Consulta delle Associazioni di lotta all’Aids del Ministero della Salute - Partecipazione a Tavoli di lavoro (“Progetto Consulta Indicatori Ecdc-Idu” c/o Istituto Superiore di Sanità a Roma; Progetto “Genius Loci”) - Incontro al Tribunale di Pordenone per presentare le attività dell’Associazione ed il progetto di Teatro in Carcere.
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in primo piano
Collaborazioni Azienda Sanitaria n.6 Friuli Occidentale, Dipartimento per le Dipendenze di Pordenone (Ser.T. e Alcologia), Comune di Pordenone, Ministero della Giustizia – UEPE, Ministero della Salute – Dipartimento di Prevenzione, Ministero della Salute – Istituto Superiore di Sanità, Cooperativa sociale Itaca, Scuole superiori di Pordenone, Università di Padova, Cinemazero, Forze dell’ordine Casa Circondariale di Pordenone, Associazione “Festa in Piassa” - Quartiere di Villanova.
“Convivenza tra agio e disagio” – La scheda Molti dei ragazzi che vivono la strada come casa loro, i cosiddetti “sbandati”, nella primavera 2011 avevano cominciato a frequentare quotidianamente il parchetto pubblico all’incrocio tra via Rotate e via Cividale. Questa aggregazione, venutasi a creare per la presenza nelle immediate vicinanze dell’ormai ex sede de “I Ragazzi della Panchina”, non proprio silenziosa e discreta, aveva cominciato a creare tra i residenti della zona un senso di paura, di rabbia, fastidio e preoccupazione. Cosa è stato fatto? Luglio 1° Incontro con la cittadinanza all’interno della sede dell’associazione per affrontare il problema del parco tra Via Rotate e Via Cividale.
Agosto Incontro nel parco per merenda conviviale tra residenti, bambini e ragazzi della panchina all’interno del progetto “parco assieme” festa di compleanno al parco di una bambina del quartiere organizzata da residenti, ragazzi e Comune. Settembre Incontro in sede dei Ragazzi della Panchina nel progetto “Parco Assieme” presenti residenti della zona, operatori Panka e Strada, Comune di Pordenone, Coop Itaca, Dip. Dipendenze. Realizzazione di due incontri di formazione ai residenti del quartiere tenuti dalla dott.ssa Sabbion nella sala conferenza del Dip. Dipendenza in via Interna. Ottobre Castagnata al parco a cui hanno partecipato I Ragazzi della Panchina, residenti della zona, Comune di Pordenone, Coop Itaca, Dip. per le Dipendenze, Poliziotti di Quartiere, Parrocchia Don Bosco. Dicembre Dopo il pranzo natalizio attività di formazione ai minori, figli di alcuni residenti di via Rotate e via Cividale, tenuta da un’operatrice dell’Associazione e da Monia Guarino (Comune di Pordenone). Grazie al lavoro di strada la maggior parte delle persone con conclamato disagio, che stazionavano nelle piazze e nelle vie cittadine (Parco di S. Carlo, Via Colonna, zona San Giorgio, P.le Ellero, Parcheggio dell’Ospedale in via
in primo piano Montereale) creando disturbo e disagio alla cittadinanza, hanno iniziato a trascorrere i pomeriggi presso la sede de I Ragazzi della Panchina. Ciò ha permesso da un lato di arginare il conflitto sociale cittadino, dall’altro di iniziare un percorso di educazione civica. A conferma di quanto detto presentiamo i numeri delle presenze mensili della sede de I Ragazzi della Panchina.
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Febbraio 2011: iniziano gli incontri settimanali all’interno del carcere che si concludono a metà giugno con la rappresentazione, filmata, della commedia. Giugno 2011: all’ex Convento di San Francesco, evento di presentazione alla città del progetto “Teatro in Carcere” e proiezione della commedia “La Legge è Uguale per Tutti?” ALCUNI NUMERI N°10 incontri nella sede dell’associazione (ottobre 2010-gennaio 2011) N°18 incontri in carcere (gennaio-giugno 2011)
“Festa in Piassa” 2011 - La scheda Nell’edizione 2011 si è aperta una nuova collaborazione con l’alcologia di Pordenone (referente Dott. Cimarosti) che ha prodotto un questionario da somministrare ai giovani contattati durante la “Festa in Piassa” per indagare le abitudini del consumo alcolico dei giovani e delle relative percezioni A disposizione, nell’area Skate Park (area giovani), uno stand con materiale informativo, giornali e libri dell’associazione, profilattici, due alcol test professionali, distribuzione alcol test monouso, gadget e regolo per orientarsi in relazione al tasso alcolico nel sangue Apertura stand: 8 giornate su 12 totali
“Teatro in carcere” – La scheda Ottobre 2010: inizia il corso di scrittura creativa condotto in sede da Pino Roveredo. Pino Roveredo inizia a lavorare per la realizzazione del testo di una nuova commedia a fronte delle riflessioni uscite dagli incontri con i partecipanti al corso Fine Novembre: il direttore del Carcere di Pordenone Dott. Alberto Quagliotto viene a fare una visita all’interno dei locali della sede. Nasce così l’idea di modificare il progetto spostando le attività della scrittura creativa dalla sede all’interno del carcere. Si sviluppa così il progetto “Teatro in Carcere” con la collaborazione e partecipazione di un’educatrice del Ser.T. di Pordenone e i professionisti della Casa Circondariale
Numeri Giornali Libertà di Parola distribuiti gratuitamente: 100 N° Volantini informativi distribuiti: 300 N° Profilattici distribuiti: 1000 Libro “Noi Viviamo!”: 20 Alcol test monouso: 130 In generale: Questionari: 121 Alcol test eseguiti: 250 Contatti: 400 Operatori RdP a Ser.T: 5 Ragazzi, volontari e tirocinanti: 6
Info e contatti
info@iragazzidellapanchina.it www.iragazzidellapanchina.it
“Convivenza tra agio e disagio” Il progetto
Pordenone Nell’arco dell’estate 2011, grazie alla stretta collaborazione tra l’associazione e i Servizi sociali del Comune è stato sviluppato un progetto che ha visto coinvolti anche i ragazzi dell’associazione, il Dipartimento per le Dipendenze, le Forze dell’ordine, la Cooperativa Itaca, la Parrocchia Don Bosco e gli stessi cittadini residenti nel quartiere compreso tra le vie Grigoletti, Rotate e Cividale.
Molti dei ragazzi che vivono la strada come casa loro, i cosiddetti “sbandati”, nella primavera 2011 avevano infatti cominciato a frequentare quotidianamente il parchetto pubblico di via Rotate, ad un centinaio di metri dall’ormai ex sede de “I Ragazzi della Panchina”, nelle ore pomeridiane per stare assieme e continuare a condividere la giornata. Questa aggregazione, tuttavia, poiché non proprio silenziosa e discreta, aveva cominciato a creare tra i residenti della zona un senso di paura, di rabbia, fastidio e preoccupazione. Fu pro-
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prio la telefonata fatta da una cittadina ad Alessandro Zamai, medico del Ser.T di Pordenone e referente del Dipartimento alle Dipendenze per l’associazione, a dare avvio a questa esperienza. L’associazione attraverso i suoi operatori si è così posta come ponte tra i cittadini ed i ragazzi, avviando un progetto che si è sviluppato quotidianamente all’interno del parchetto e che con il passare delle settimane ha abbassato la diffidenza dei residenti, moderato il comportamento dei ragazzi e creato grazie alla collaborazione di tutti diversi momenti di integrazione. Da giugno ad oggi, sono stati così realizzati due incontri in plenaria con numerosi residenti della zona all’interno della sede di viale Grigoletti, diversi incontri con i singoli residenti in situazioni formali ed informali e una stretta relazione con i poliziotti di quartiere. E’ stato organizzato un incontro al parco per una merenda con tre mamme e cinque bambini ed una decina di ragazzi dell’associazione; una festa di compleanno al parco per una bambina con presenti 10 genitori ed una quindicina di bambini. Sono quindi
seguite due serate di formazione per i cittadini del quartiere condotte dal Primario del Dipartimento per le Dipendenze di Pordenone, Roberta Sabbion; un pomeriggio ludico con castagnata finale al parco, con più di 50 persone, per poi cenare tutti assieme in una sala del vicino Don Bosco. Si è organizzato un pomeriggio ludo-pedagogico per dei bambini residenti nel quartiere sul tema delle diversità. Grazie a tutto questo non sono cambiate le persone fisiche, sono gli stessi “sbandati” di sempre, ma sono cambiate le prerogative, le informazioni, le percezioni, i luoghi, il contesto e di conseguenza le persone. C’è stato uno sforzo, un interesse attivo da parte dell’intera rete di servizi per valutarne gli sviluppi, ci sono stati gli operatori impegnati tutti i giorni in strada, in sede, nelle piazze e nei parchi per trovare linguaggi nuovi, interazioni positive, un futuro di crescita e di cambiamento dove tutti si possano sentire protagonisti. I Ragazzi della Panchina
“Teatro in carcere” Il progetto con Pino Roveredo
un progetto, in collaborazione con il carcere, per la realizzazione di un opera teatrale dove attori fossero gli stessi carcerati del castello pordenonese. Partito nell’ottobre 2010, il corso di scrittura creativa Da gennaio 2011 si sono così tenuti degli incontri è stato coordinato, nella sede di viale Grigoletti, dallo all’interno del carcere cittadino, per presentare il proscrittore e autore di teatro, Pino Roveredo. Molti dei getto ai ragazzi detenuti e per condividere con loro ragazzi che frequentavano il corso, così come in gelo sviluppo della commedia. Da febbraio a maggio si nerale la maggior parte degli utenti dell’associazione, sono svolti gli incontri settimanali per la messa in sceavevano avuto o avevano ancora in corso procedina della commedia. Il 23 giugno si è realizzato, nell’ex menti giudiziari e l’aula di un tribunale è quasi sempre convento di San Francesco a Pordenone alla presenentrata a far parte di un pezzo importante della loro za di 200 persone, lo spettacolo con proiezione della vita. commedia “La Legge è Uguale per Tutti?”, scritta da Partendo da queste considerazioni, Pino Roveredo Roveredo, registrata in carcere dai detenuti, un’eduiniziò a lavorare per la realizzazione del testo di una catrice del Ser.t, una psicologa della Casa Circondanuova commedia. Verso la fine di novembre, il direttoriale e Ragazzi della Panchina. Alla realizzazione del re del carcere di Pordenone, dott. Alberto Quagliotto, progetto hanno collaborato anche un musicista, un fu invitato a visitare la sede de “I Ragazzi della Panattore esterno e un tecnico audio video. china”. In quell’occasione nacque l’idea di sviluppare Il racconto dell’esperienza avuta all’interno del carcere, i suoi significati e vaA destra Pino Roveredo lori, le difficoltà e le bellezze delle evoluzioni, sono state raccontate poi nell’ambito di Pordenonelegge.it, a settembre 2011. Per l’associazione si è trattato di un’esperienza intensa: si è portato oltre le sbarre del carcere, anche solo attraverso un video, i detenuti della casa circondariale, presentandoli alla città in una veste inusuale, quella cioè di attori, nell’ambito di una commedia che tocca a 360 gradi i temi della giustizia, dalla parte dei detenuti e dalla parte dei magistrati. Pordenone
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attualità
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Diventare anziani oggi, bisogni, pregiudizi e opportunità
La solitudine come conseguenza dell’emarginazione Atti del convegno (2) - Sacile 28 ottobre 2011
Pordenone Il servizio di assistenza a domicilio e la sua futura evoluzione sono stati i temi affrontati nella giornata seminariale che si è svolta a Sacile lo scorso 28 ottobre e che ha visto la partecipazione dell’allora assessore alla sanità Vladimir Kosic e di molte altre personalità di spicco regionali ed extra regionali afferenti all’area socio-sanitaria. Dal convegno abbiamo iniziato nello scorso numero de La Gazzetta a presentare la sintesi dei contenuti di alcune relazioni. Qui di seguito “Diventare anziani oggi, bisogni, pregiudizi e opportunità. La solitudine come conseguenza dell’emarginazione” del geriatra Piero Angelo Bonati. L’invecchiamento è un fenomeno naturale intimamente legato ai processi di differenziazione e di crescita. Se l’invecchiamento è obbligatorio, esso però non si manifesta allo stesso orario e allo stesso modo in ciascuno di noi. Può iniziare anzitempo e terminare rapidamente in una senilità precoce o, al contrario, può svilupparsi lentamente, consentendo una buona vecchiaia. Le discussioni attuali fanno pensare che l’invecchiamento sia un problema nuovo, ma la novità consiste solo nel fatto che oggi si manifesta come fenomeno di massa. E’ frequente il confronto fra la vecchiaia del “passato” associata ad una immagine di persone sagge, autorevoli, leader nella famiglia e nella comunità e la vecchiaia “attuale” associata a un ruolo dell’anziano non così evidente, anzi sono le generazioni più giovani ad assegnare loro la condizione sociale, secondo un sistema di valori dominante.
Ma, quando comincia l’invecchiamento? Non si verifica in un momento “databile” della vita di un uomo: è piuttosto un processo che avviene nel tempo e comprende non solo modificazioni a livello biologico, ma investe la persona in tutte le sue componenti. Si può definire come un tempo di trasformazioni fisiche, psicologiche, sociali, spirituali. Si potrebbero distinguere tre fasi in cui si articola questo processo: • dai 55 ai 64 anni di età: “tempo di preparazione” • dai 65 ai 74 anni di età: “tempo di attività” • dai 75 ai 85 anni di età: “tempo di perdita” Se una persona affronta l’invecchiamento come un rifugio in un passato irrimediabilmente perduto, potrebbe diventare un “vecchio disperato”; se invece una persona tenta di far rivivere il passato nel presente ha buone possibilità di diventare un “bel vecchio”. Il modo più adeguato per affrontare l’invecchiamento e trovare nuovi adattamenti può essere quella del “buon vecchio”: vive bene il presente come un
tempo che viene dal suo passato e va verso il futuro”. L’invecchiamento delle persone è influenzato in modo determinante: • Dalla storia relazionale (familiare, amicale, associativa) • Dalla storia professionale (l’eventuale grado di nocività dell’ambiente di lavoro, l’aver svolto un lavoro più o meno coinvolgente ed interessante, il reddito prodotto dal lavoro svolto) • Dalla storia sanitaria • Dalla storia culturale
La Gerotrascendenza La società attuale legge la situazione dell’età anziana prevalentemente in termini assistenziali. Questo pregiudizio sociale nasce anche dal super valore che viene attribuito al lavoro, all’efficienza ed alla produttività. Infatti, in una società caratterizzata da una considerazione mitica del lavoro, è naturale che si valuti in maniera negativa chi da questo mondo è uscito. Ogni età della vita tende ad accentuare particolari caratteristiche e valori; è infatti innegabile che l’età anziana sia caratterizzata da un certo disimpegno dall’efficienza e dalla produttività, che può derivare dall’aumentato senso di trascendenza della personalità anziana. Questo atteggiamento può costituire una lettura più realistica dell’anziano e si può definire come quell’andare oltre se stessi, che fa preferire momenti di pace, piuttosto che un impegno per nuove prospettive e nuove occupazioni.
Dati da una ricerca Da una ricerca svolta in Emilia Romagna nel 2009 su un campione di 620 persone di età superiore ai 64 anni di età, emergono alcuni dati: • La femminilizzazione della persona anziana è pari al 58% del campione, la media dell’età è pari a 75 anni • Il 67% degli intervistati riferisce un basso livello di istruzione, il 55% vive con familiari coetanei. Il 22% vive solo e sono principalmente donne.
Quali sono i tre pilastri dell’invecchiamento attivo? 1. Essere risorsa per la famiglia e la collettività e partecipare alla vita sociale 2. Rimanere in buona salute
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3. Usufruire di cure e tutele e avere un reddito adeguato
Quante persone ultra 64enni sono una risorsa per la famiglia? • Circa metà degli intervistati (49%) rappresenta una risorsa per la famiglia e per i conoscenti • Più di un terzo delle persone con nipoti sotto i 14 anni (38%) si occupa di loro • Il 27% ha dichiarato di accudire e aiutare altri familiari quasi tutti i giorni • Circa un terzo (32%) ha dichiarato di prestare assistenza ad altri anziani • L’essere risorsa per famiglia e conoscenti è più diffuso tra i 65-74enni, nelle donne e tra coloro che non hanno difficoltà economiche • La percentuale di persone che risultano essere una risorsa per famiglia e conoscenti è minore nelle zone montane.
La solitudine • Le persone intervistate a rischio isolamento sociale sono risultate il 10% • L’isolamento sociale è più diffuso nella fascia di età oltre i 75 anni, nelle donne e nelle persone con molte difficoltà economiche • Tra gli ultra 64enni in buona salute e a basso rischio di malattia solo l’1% è a rischio isolamento. La percentuale sale al 19% nelle persone in buona salute ma a rischio malattia, al 10% nelle persone fragili e ben al 33% in quelle disabili • Pur senza differenze sul piano statistico, l’isolamento sociale risulta più diffuso nei comuni di montagna e nei capoluoghi
La depressione Il 19% delle persone intervistate hanno riferito sintomi di depressione Questi sintomi sono più diffusi: • Nella fascia degli ultra nelle 75enni • Nelle donne • Nelle persone con molte difficoltà economiche percepite • Nelle persone in buono stato di salute percepito ma a rischio di malattia, in quelle con segni di fragilità e nei disabili Pur non raggiungendo la significatività sul piano statistico, i sintomi depressivi risultano più diffusi nelle zone di montagna. Le persone con sintomi di depressione hanno dichiarato una percezione della qualità di vita peggiore rispetto alla persone senza sintomi e i giorni di cattiva salute fisica o mentale o con limitazioni delle abituali attività è risultata significativamente più alta. Il 72% di queste persone riferiscono di essersi rivolte a
figure di riferimento per: • il 55% a medici/operatori sanitari • il 15% a familiari e amici • il 2% a entrambi • Ben il 28% non chiede aiuto a nessuno.
Bisogni, pregiudizi e opportunità Le bugie sugli anni 1. Gli anni della vecchiaia sono tranquilli e sono l’età d’oro della vita: non è vero, né desiderato dagli anziani. La vita è una sfida all’adattamento e ciò vale anche per la vecchiaia. 2. Vecchiaia uguale malattia: l’invecchiare in se stesso non è causa di malattie croniche anche se la frequenza di queste è maggiore negli anziani. Tuttavia, anche soffrendo di alcuni disturbi cronici, gli anziani possono adattare il loro stile di vita ed il loro ambiente. 3. Dopo i 65 anni le persone invecchiano in modo drammatico. I cambiamenti nel corpo associati all’età sono continui. Ma il cambiamento può variare secondo l’ereditarietà, la dieta, l’occupazione, i fattori ambientali e l’atteggiamento mentale. 4. Gli anziani sono rigidi, fissi, incapaci di cambiare. Agli anziani occorre tempo per assimilare le nuove conoscenze, per rispondere e per prendere decisioni ma questa non è rigidità. Inoltre, la capacità dell’anziano varia in base a molteplici fattori: stile culturale di apprendimento, educazione, linguaggio, ambiente, deficit sensoriali, capacità cognitiva.
Anziani e valori La qualità di vita dipende dal grado di realizzazione della totalità della persona e in questa totalità devono essere considerati i bisogni, i desideri, ma anche i valori. Il rispetto dei valori dell’anziano comincia dall’ambito familiare: • Dalla possibilità di interazione con altri congiunti • Dalla convinzione che i suoi valori sono condivisi o quanto meno rispettati • Dalla consapevolezza di essere accolto dall’ambiente • Dal sentirsi parte del gruppo familiare L’integrazione e l’acquisizione di nuovi valori può permettere di evitare due modalità estreme di vita: • L’alienazione della persona anziana che si trova sola con i suoi ricordi in un passato che non può tornare • L’alienazione dell’anziano che legge il presente con gli occhi del passato chiudendosi al futuro.
Il valore fondamentale è dare un senso all’età che si sta vivendo, permettere una rilettura del passato senza rimpianti, un chiarimento dei veri valori, uno sguardo sereno al futuro in un contesto di apertura verso gli altri e le cose del mondo. Piero Angelo BONATI
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Dal 1° marzo in diretta su 36 radio italiane
Il Giornale Radio Sociale anche in Fm Iniziativa editoriale promossa dal Forum del Terzo settore
Roma Dal primo marzo il Giornale Radio Sociale approda alla Modulazione di Frequenza grazie a 36 Radio italiane che lo trasmettono tra le 18 e le 19 di ogni giorno, dal lunedì al venerdì. Un importante risultato che premia l’originalità di questo prodotto giornalistico realizzato in presa diretta con il Terzo settore. Il Giornale Radio Sociale è striscia informativa di tre minuti diffusa quotidianamente “on line” (www.giornaleradiosociale) e “on air” (attraverso le Radio Fm). L’impaginazione standard prevede sei notizie, dall’attualità all’economia, dalla cultura all’internazionale e allo sport sociale. Trattasi di un’iniziativa editoriale promossa dal Forum del Terzo settore, come spiega il portavoce Andrea Olivero, organismo di rappresentanza che raccoglie oltre cento organizzazioni sociali italiane: “abbiamo lanciato questo nuovo progetto di comunicazione sociale perché il mondo associativo rappresenta, nel suo complesso, una sog-
gettività e una riconoscibilità che chiede di avere voce oltre i classici canali di stampa. Si tratta di una nuova opportunità di comunicazione che vede protagonisti i comunicatori e i giornalisti sociali che collaborano nelle nostre organizzazioni, sia nazionali, sia locali. Una redazione che si propone di trasformare in notizie i tantissimi fatti di cui il Terzo settore, ogni giorno, è protagonista”. Da Radio Città Futura di Roma a Jonica Radio della Calabria, da Radio Sound di Milano a Radio Antenna Sud di Bari, da Studio 90 Italia Smi della Scilia, alle toscane Radio Nostalgia e Novaradio, via alle trasmissioni dal 1° marzo: una rete che copre tutta l’Italia e si rivolge ad un pubblico medio totale di ascoltatori giornalieri di oltre duecentomila persone. Questo risultato di ramificazione è reso possibile grazie alla collaborazione con l’Agenzia Radiofonica Area e con Radio Articolo1, che si occupa anche della produzione radiofonica. www.legacoopsociali.it
Proposte per lo sviluppo socio economico dell’Italia
Cresce il Welfare, cresce l’Italia Cinquanta organizzazioni sociali a confronto
Roma Lo stato sociale non è beneficenza e neppure un lusso: il welfare è un potente antidoto al debito pubblico. Questo perché, tanto più in una fase di crisi come questa, risponde meglio e in modo mirato ai bisogni delle persone ed è economicamente più vantaggioso. Questo è il messaggio di sintesi che è stato lanciato da oltre 50 organizzazioni sociali che si sono ritrovate a Roma per la Prima Conferenza nazionale “Cresce il welfare, cresce l’Italia” che si è tenuta al Centro congressi Frentani nelle prime due giornate di marzo. Si sono succeduti oltre 200 interventi che hanno toccato varie tematiche, approfondite in sette sessioni di lavoro, dai livelli essenziali di assistenza sociale alle questioni della democrazia e della partecipazione, dall’integrazione socio-sanitaria al tema delle risorse. Proprio quest’ultimo aspetto ha catalizzato l’interesse di molti relatori: come rilanciare il welfare e allo stesso tempo sviluppare il nostro Paese. Bloccare i tagli, definire i livelli essenziali e rilanciare le politiche sociali: queste sono state le richieste indirizzate al governo e alle istituzioni locali e regionali. I temi della delega fiscale e quello del Patto per la salute devono tradursi nella definizione delle risorse che devono restare disponibili per i livelli essenziali e per accelerare sull’integrazione socio-sanitaria e sul tema dell’autosufficienza. Le oltre 50 organizzazioni sociali che hanno dato vita a questo primo appuntamento hanno deciso di proseguire nel percorso di confronto e
coordinamento. Terzo settore, forze sociali e rappresentanze delle autonomie locali daranno vita ad un tavolo permanente di confronto e di analisi con l’obiettivo di stimolare la politica e spingere in avanti le buone pratiche che stanno maturando sul territorio. L’Assemblea della Conferenza “Cresce il welfare, cresce l’Italia” ha approvato all’unanimità una mozione che afferma l’esigenza di una drastica riduzione delle spese militari e “chiede al governo l’immediata rinuncia all’acquisto degli aerei F35 che permetterebbe di acquisire risorse straordinarie per oltre 10 miliardi”. In fase di presentazione dell’iniziativa, i promotori della stessa – si leggeva nel documento preparatorio – “considerano non più sostenibile, come ha evidenziato con chiarezza la crisi economica e finanziaria che stiamo attraversando, una prospettiva che veda nel welfare un mero costo, un freno alla crescita economica. Piuttosto, invitano gli attori politici, economici e sociali a ragionare insieme su un nuovo patto per il sociale, una nuova idea di responsabilità collettiva, che tenga insieme libertà e uguaglianza; sviluppo economico, sviluppo sociale, giustizia redistributiva”. La conferenza si è aperta con l’intervento di Nicoletta Teodosi a nome del Comitato promotore, a seguire Chiara Saraceno su “Europa e welfare: vincoli, criticità, opportunità”, Paolo Leon su “Le politiche sociali e lo sviluppo”, Stefano Rodotà su “La Carta Costituzionale e i diritti di cittadinanza”. Fonte: www.legacoopsociali.it
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Welfare Roma Il welfare – quello straordinario complesso di aiuto e promozione offerto ai cittadini dalla sanità, dall’istruzione, dalla previdenza e dall’assistenza pubbliche – è il risultato più alto realizzato dalle democrazie europee. Il sistema di protezione sociale sostiene i cittadini nella realizzazione del loro progetto lavorativo ed esistenziale, consentendo di affrontare le difficoltà individuali (malattie, infortuni…), ma anche gli effetti dei cambiamenti sociali ed economici che incidono pesantemente sulla vita delle persone. Il modello sociale europeo è nato proprio dal riconoscimento che, abbandonando gli individui a se stessi, perderemmo o non valorizzeremmo molte energie, creatività, aspirazioni: creare le condizioni per sviluppare queste risorse è diventato il compito di una responsabilità pubblica, collettiva, ancorata alla tutela dei diritti di cittadinanza. Inoltre, questo modello – grazie alla certezza di un sistema di aiuto offerto a tutti i cittadini – ha permesso di sviluppare senso di appartenenza alla collettività, che difficilmente può nascere dove non c’è reciprocità e disponibilità a sostenersi vicendevolmente. Più è forte il welfare, più è forte la cittadinanza. Il welfare è stato una condizione essenziale per lo sviluppo economico e sociale che l’Europa, esempio unico nel mondo, ha conosciuto dal dopoguerra a oggi. La coesione sociale, la fiducia, la solidarietà, la redistribuzione delle risorse aiutano l’economia. Alla luce di queste convinzioni, i soggetti che promuovono l’iniziativa “Cresce il welfare, cresce l’Italia” hanno proposto a tutti i cittadini responsabili del proprio e altrui futuro, agli addetti ai lavori e ai decisori politici un’importante occasione di confronto e di riflessione sullo stato del welfare italiano, sulle sue criticità, nonché sulle proposte concrete e attuabili per renderlo più adeguato agli standard europei e a bisogni sociali sempre più acuti, e dunque più equo e più efficiente. Non v’è dubbio che il sistema italiano di protezione sociale soffra di numerosi e rilevanti problemi: i tagli indiscriminati realizzati negli ultimi anni, oltre a ridurre diritti e tutele, rendono ancora più grave la mancata copertura dinanzi a fenomeni sociali nuovi e rilevanti (come la povertà e l’esclusione sociale crescenti, l’im-
A mia figlia Onora sempre le bolle di sapone come l’uomo sono fatte di fiato provengono da un respiro come il corpo umano sono una tessitura di acqua con trasparenza mostrano il silenzio.
poverimento del ceto medio, la non autosufficienza, la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro), la profonda differenziazione territoriale – effetto anche dell’assenza di un disegno organico sulle politiche sociali –, l’insufficienza delle risorse economiche disponibili, l’incidenza di clientele e interessi particolari, la grave carenza di servizi e interventi promozionali. Questi limiti e storture, tuttavia, non inficiano il valore e il significato di un sistema di protezione sociale a responsabilità pubblica, nel senso che a questo termine viene dato dall’articolo 118 della Costituzione. Se da un lato vanno contrastati sprechi e iniquità, dall’altro bisogna aver chiaro che l’austerità e i “sacrifici” non ci permetteranno di rilanciare l’economia e si abbatteranno, ancora una volta, sui più deboli e sul ceto medio. È invece il momento di investire nel welfare, parte rilevante di quei beni comuni che possono essere – con la green economy – il motore di un nuovo modello di sviluppo. In questo modo contribuiremmo a rilanciare la domanda e a innovare istituzioni, reti, organizzazioni, imprese e competenze che producono benessere non solo sociale, ma anche economico. Organizzazioni promotrici e aderenti: Agricoltura Capodarco, Aiab, Alpa, Alternative europee, Altramente, Antigone, Anpas, Arci, Arciragazzi, Arci Servizio Civile, Associazione Nuovo Welfare, Associazione Servizi Nuovi, Assifero, Auser, Campagna Batti il cinque, Campagna I diritti alzano la voce, Campagna Sbilanciamoci!, Centro Studi Erasmo onlus, Cgil, Cilap-Eapn Italia, Cittadinanzattiva, Cnca, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Confronti, Conferenza Permanente delle Associazioni Federazioni e Reti di Volontariato-ConVol, Federconsumatori, Fish, Fondazione Basaglia, Fondazione Zancan, Forum nazionale dell’agricoltura sociale, Forum nazionale Salute Mentale, Gruppo Abele, Gruppo solidarietà, Handy Cup, Inca, Ires, La bottega del possibile, La Società della Ragione, Legacoopsociali, Libera, Mama Africa, Movi, Movimento federalista europeo, Opera don Calabria, Osservatorio Europa, Psichiatria democratica, Rete fattorie sociali, la Rivista delle politiche sociali, Società nazionale di mutuo soccorso Cesare Pozzo, Sos Sanità, Spi Cgil, Stop Opg, Uisp, Unione Italiana Ciechi, Università del Terzo Settore, Unasam
Un soffio le fa volare nell’aria e vanno si rincorrono come baci come la vita non ritornano.
Giovanni Fierro da “Il riparo che non ho” Edizioni Le Voci della Luna 2011
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The Village ovvero come capire le proprie competenze sociali Trieste
progetti articolati.
Sapere quali sono le competenze che ci servono, capire cosa dobbiamo saper fare, definire il bilanciamento che ci può servire per rendere un gruppo più efficace, immaginare la caratteristica di una buona squadra di lavoro, ci può dare spunti innumerevoli per progettare il presente e il futuro di un gruppo, che si tratti di un’organizzazione, di una comunità sociale, di una squadra sportiva. Nel nostro mondo liquido in continua osmosi tra territorio digitale e fisico è molto difficile definire cosa siano le competenze sociali. Il confine tra fittizio e reale è sempre labile e incerto e spesso conta più il fatto che tu sappia raccontarti, piuttosto che la tua reale abilità sociale. Il racconto però non deve prendere il sopravvento sul contenuto ma supportarlo valorizzandolo, per chiarire agli altri e a noi stessi obiettivi, specificità, percorsi.
Per questo motivo sono molto interessata a questo progetto. Si chiama The Village ed è un gioco ma non solo. E’ un seminario ma non solo. Un momento di approfondimento, ma non solo.
La competenza sociale non è forse la capacità di sapere tessere reti con gli altri valorizzando le loro specificità e mettendo in condivisione le proprie? Insieme si lavora bene, ma solo quando i patti sono chiari, quando il team è fatto di persone che assumono ruoli differenti e complementari e quando l’ascolto non si limita solo a quello della propria voce. La rete dilata la possibilità di raccontare e quindi di rendere fruibile un contenuto ma il rischio è sempre quello di incepparsi sul contenitore, sulla parola come conversazione rapida e che – seppur indelebile – si dimentica molto in fretta, lasciando spazio a una nuova conversazione. Le competenze sociali: quali sono le mie? quali sono le tue? quali sono le nostre? Non so voi, ma per me individuare le mie non è così banale e spesso mi chiedo se non si tratti di un abbaglio. A volte si fanno dei percorsi, si prendono delle decisioni operative che sembrano le più efficaci, per poi accorgersi che forse come ti vedi tu non è come ti vedono gli altri, che si da troppo o troppo poco e che – comunque – non è affatto semplice coordinarsi con altri, specie su
The Village ha scelto il gioco per individuare le proprie competenze sociali e insieme riflettere su quelle dei gruppi. Il gioco in fondo è la più primitiva (e primigenia) forma di narrazione, storytelling di vita per raccontare se stessi, quello che si vorrebbe essere, quello che si può essere solo in certi contesti. Il linguaggio del gioco mischia parola a azione, immersione a riflessione metanarrativa. Sto seguendo con interesse questo esperimento di Dof (Counseling per l’Impresa) di Trieste e Coop Itaca di Pordenone perché credo che oggi sia più che mai importante capire qual è l’ambito in cui possiamo intervenire, sia in ambito professionale che sociale, per dare un contributo efficace e non disperdere le energie. Trovo che la struttura liquida della nostra realtà e lo stare in rete siano fattori che devono essere considerati, quando si riflette sulle competenze sociali per il ruolo che giocano sia in positivo che in negativo. In positivo, oggi la possibilità di posizionarsi efficacemente su un Mercato o in un contesto sociale è facilitata dalla circolazione delle idee e dalla loro gratuità in Rete, il lato negativo è che l’autoreferenzialità e la mancanza di punti di riferimento univoci per le tantissime comunità presenti rischia una dispersione di competenze finalizzate ai medesimi obiettivi. Voglio dire che, se per esempio in tanti ci occupiamo di femminismi, non ha senso duplicare gli ottimi contenuti di altri pur di dire “qualcosa”, eppure spesso non è facile creare una mappa condivisa tra tutti su uno stesso tema e produrre risultati concreti che si avvalgano di tante competenze differenti. Francesca SANZO www.francescasanzo.net
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A domanda risponde: The Village Pordenone Qual è il ruolo del gioco nel lavoro sociale e nella relazione d’aiuto? Il gioco è una cosa terribilmente seria. La dimensione ludica, giocosa è di fondamentale importanza nel lavoro con le persone, nella cosiddetta relazione di aiuto. Infatti è risaputo quanto sia psicologicamente pesante ed emotivamente molto coinvolgente lavorare con le persone in stato di bisogno. Il gioco è quindi un validissimo aiuto per gli operatori sociali per affrontare tale complessità in maniera, non superficiale, ma sicuramente un po’ più leggera e gioiosa. Inoltre, chi lavora con le persone, con i gruppi sa bene quanto sia importante avere a disposizione strumenti che ci aiutino, quotidianamente, a cogliere le potenzialità di ciascuno, in un ottica di crescita personale e di gruppo. Come nasce The Village? (Ecco perché) dopo anni di lavoro sul campo e di riflessione la Cooperativa Itaca di Pordenone e Dof Consulting si sono posti la seguente domanda: come possiamo approcciare una tematica così importante come le competenze relazionali in un modo che sia al contempo efficace, innovativo e coinvolgente? La risposta è stata The Village, ovvero un gioco che aiuta a parlare di competenze in modo serio e divertente e giocoso al tempo stesso. Il progetto, presentato in anteprima nazionale a Trieste, ha una forte componete innovativa, che ha portato sin da subito al coinvolgimento dell’Ente Nazionale di Ricerca Area Science Park di Trieste. Inoltre, vuole essere rigoroso anche da punto di vista scientifico: ecco perché è fondamentale la presenza di partner autorevoli come l’Università di Udine (Facoltà di Scienze della formazione) e AICCON (Associazione Italiana per la Promozione della Cultura della Cooperazione e del Non Profit). Che cos’è The Village in concreto? È principalmente un gioco, composto da una plancia e da 15 carte - tipo tarocchi - che rappresentano 15 personaggi di un idealtipico villaggio, che sono riprodotti graficamente su ogni singola carta. Ogni personaggio rappresenta una competenza relazionale. Ad esempio, abbiamo il Capo del villaggio, che rappresenta la competenza “gestione delle risorse umane”; oppure il Narratore, che impersona la competenza della “comunicazione efficace”; o ancora il Custode del fuoco”, portatore della competenza “Orientamento ai valori”, importantissima per una organizzazione del Terzo settore come la nostra. Il tutto è corredato da un libro, in cui le caratteristi-
che dei 15 personaggi (ovvero le 15 competenze) sono analizzate alla luce di aneddoti e storie tratte dalla letteratura, dalla poesia, dalla musica. Come si gioca? Si può giocare sia in modalità individuale che in gruppo. In modalità individuale il gioco consente nell’utilizzare gli abitanti di per riflettere sul nostro modo di essere in un determinato momento della nostra vita. Quali sono gli abitanti del villaggio e le relative competenze che ci descrivono in modo migliore? Quali carte ci attraggono a prima vista? Quali ci respingono? Abbiamo ritrovato qualche tratto di noi, qualche aspetto che vorremmo sviluppare o di cui vorremmo liberarci? Ogni carta contiene la descrizione di tratti positivi e di tratti critici. Entrambi fanno parte della vita di ogni personaggio del villaggio e potrebbe succedere di riconoscerci sia negli uni che negli altri. Si può giocare in modalità di gruppo. In tale modalità, sarà possibile scoprire insieme agli altri membri quali siano le competenze che l’organizzazione ha già presenti e forti, e quali invece necessitano di uno sviluppo maggiore. Chi vince a The Village? Non è un gioco di competizione: non vi sono vincitori o vinti nel senso classico del termine. Vincono tutti coloro che riescono a cogliere il messaggio che proviene dal villaggio, ovvero coloro i quali (siano singoli o gruppi) riescono a fare chiarezza rispetto alle competenze possedute o sono capaci di sviluppare le loro competenze relazioni attraverso il gioco. Questa è sicuramente una grande vittoria! Dove può essere applicato The Village? In tutti i contesti organizzativi, ma in particolare in quelli in cui la componete relazionale è fondamentale, ovvero per i soggetti che operano nel sociale. Può, ad esempio, essere utilizzato all’interno di equipe di addetti all’assistenza di una casa di riposo per riflettere su quali siano le competenze relazionali che il gruppo deve sviluppare o migliorare. Può essere utilizzato anche in contesti scolastici o di orientamento, in cui è necessario, ad esempio, aiutare l’adolescente nella scelta della scuola media superiore. Utilizzare il gioco, la metafora, aiuta il docente o l’educatore a presentare il tema dello sviluppo delle competenze in maniera molto concreta, direi tattile, grazie all’aiuto delle carte e delle immagini. A cura di Emanuele CESCHIN
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Genius Loci news (1)
Il mondo a portata di... supermercato Dalla caprese al platano fritto: il passo è breve?
Pordenone E’ un freddo pomeriggio di dicembre e io, Carlos e Martina decidiamo di entrare nel Mar Market per conoscere un po’ meglio questa strana “piazza” che molte delle persone straniere presenti in quartiere ci hanno indicato come uno dei luoghi di ritrovo favoriti… ci incuriosisce il luogo, ma soprattutto ci incuriosisce chi questo luogo l’ha creato e chi contribuisce a renderlo così vivo e frequentato…. Jairo: Com’è nata l’idea di vendere prodotti stranieri in un market “storico” di Villanova? Raffaele: E’ cominciato tutto 8-10 anni fa, quando alcuni cittadini stranieri residenti in quartiere hanno cominciato a chiederci determinati prodotti che noi non conoscevamo e che di conseguenza non tenevamo in negozio. Marco: All’inizio non sapevamo nulla dei prodotti che ci richiedevano, però per cercare di venire incontro alle persone abbiamo cominciato ad informarci. Alcuni ci portavano le scatole vuote o l’indicazione esatta dell’alimento, poi io mi incaricavo di cercarlo. Pian pianino, accettando anche i loro inviti a pranzo e a cena, provando a vedere cosa cucinano e conoscendoli sempre meglio abbiamo imparato molto e abbiamo potuto iniziare a specializzarci in questo tipo di commercio. Jairo: In un certo senso, possiamo dire che innanzitutto è stato un vostro personale percorso di avvicinamento all’interculturalità, non solo alimentare… Marco: Certamente… è stato interessante conoscere i vari Paesi del mondo, come si vive, cosa si pensa, cosa si mangia, come ci si comporta, le tradizioni… un lungo viaggio senza aver comprato il biglietto dell’aereo… siamo contenti perché questa svolta commerciale rappresenta anche un modo nostro di accogliere bene chi proviene da altre realtà, ma nel lungo termine, si è rivelata anche una forma di accoglienza reciproca, da parte loro che ogni giorno ci portano il loro sorriso. Jairo: In cambio voi offrite un pezzo di cultura italiana… una bella sfida direi… Marco: Si, anche se in realtà qua son più loro che danno a noi che viceversa… Loro vivono in Italia e spesso già conoscono la nostra cultura e le nostre tradizioni, siamo più noi che attraverso i loro racconti e la condivisione di esperienze possiamo conoscere Paesi in cui non siamo mai andati.
Jairo: I cittadini extracomunitari che vivono in questo quartiere entrano al Mar Market e hanno la sensazione di sentirsi come a casa propria… Volete offrire qualcosa in più agli immigrati, ma credo non si tratti solo dei prodotti che vendete… Raffaele: E’ proprio questa l’idea: questo è un negozio in cui entrando ti senti come a casa tua, trovando ambiente, cordialità, accoglienza e soprattutto prodotti familiari. Angelina: Per noi l’accoglienza è fondamentale, soprattutto perché da sempre, a differenza di molti, abbiamo considerato i cittadini extracomunitari persone come noi, con la loro sensibilità, il loro cuore, le loro tradizioni e la nostalgia delle proprie radici. Quando vengono qui, alcuni di loro mi chiamano mamma, chiamano papà mio marito e fratello Marco, con noi sono estremamente affabili. Quando hanno cominciato a percepire che quello che volevamo trasmettere loro era affetto e considerazione, quando si son sentiti trattar bene e rispettati nella loro identità hanno cominciato anche a sentirsi “in famiglia”. Vengono volentieri insomma, oltre al semplice fatto di far la spesa ad un buon prezzo. La nostra accoglienza forse è la chiave di lettura per interpretare il gran numero di persone che frequenta questo supermercato e che spesso viene anche da lontano, da Udine, Conegliano, da Oderzo, da alcuni paesi della montagna, come Travesio. Carlos: Per lei e per la sua famiglia è un orgoglio gestire un negozio con queste peculiari caratteristiche? Angelina: Senz’altro ci sono tante soddisfazioni nel lavorare in questo modo, soprattutto la cosa bella è essere riconosciuti per strada ed essere salutati come persone di famiglia, “ciao mamma, ciao papà, come stai?” è sempre un piacere. Ringraziano Dio per tutto quello che hanno anche se purtroppo manca il lavoro per loro in questo momento. Tanti stanno tornando nei loro Paesi, oppure emigrano altrove pur di trovare lavoro. Hanno un forte orgoglio e una notevole determinazione. Jairo: Da quale Paese provengono i prodotti che voi vendete? Raffaele: Un po’ da tutto il mondo, come i nostri clienti: Ghana, Burkina Faso, Costa D’Avorio, Congo, Filippine, India, Cina, alcuni Paesi del Sudamerica. Possiamo dire che siamo specializzati in prodotti mondiali, ma con un’attenzione speciale per l’Africa.
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La Gazzetta | Marzo 2012
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Jairo: Dove reperite i prodotti stranieri che proponete? Raffaele: Alcuni li facciamo fare con il nostro marchio, altri li compriamo da alcuni distributori. Carlos: Immagino che non ci siano molti supermercati come questo in zona… Angelina: Ci sono i supermercati gestiti da africani oppure anche da italiani, ma con un’offerta differenziata come quella che c’è nel nostro negozio non ce ne sono altri, alcuni supermercati vendono qualcosa ma non una vasta gamma alimentare come la nostra. Carlos: Probabilmente dovrebbero esserci più posti del genere… Angelina: Molti esportano attraverso le linee aeree anche prodotti freschi, riso, ma negozi che hanno un reparto grande come noi sinceramente nei dintorni non ne conosco. Siamo fieri di poter servire la gente anche perché i prezzi sono abbastanza buoni rispetto ad altri negozi di questo tipo e allora la gente si innamora… Jairo: In quartiere penso siate quelli che più hanno contatti quotidiani con la cittadinanza straniera presente in zona… credo che a volte ci siano enormi problemi di integrazione in quartiere e lo dico dal punto di vista di uno straniero che certe situazioni le ha vissute direttamente sulla sua pelle. Il fatto di vedere un alimento del tuo Paese su uno scaffale di un supermercato italiano, gestito da italiani, di vedere la tua bandiera nazionale appesa al soffitto… un certo sollievo effettivamente lo dà… Marco: In questo negozio credo si sentano accolti bene, se no non ci verrebbero neanche. Abbiamo voluto appendere le bandiere e le piantine dei Paesi da cui provengono i nostri prodotti, ma soprattutto i nostri clienti, abbiamo esposto i piccoli oggetti che ci portano in omaggio dal loro Paese. Son tutti messaggi che vogliamo trasmettere. Jairo: Avete degli orari di chiusura più flessibili rispetto ad altri negozi, a volte son passato di qui anche alle 9 di sera ed eravate ancora aperti… è una scelta? Marco: Dipende… nel senso che se siamo ancora qui e qualcuno, oltre l’orario di chiusura, bussa per comprare qualcosa, tendenzialmente noi apriamo, certo che se vengono a suonare a casa a mezzanotte perché vogliono un pacco di patatine allora no…. hi hi hi, nel limite del possibile però cerchiamo di venire incontro alle persone. E’ successo che la domenica magari qualcuno arrivato da lontano ci vedeva per strada e in quel caso cerchiamo di venirgli incontro e apriamo il negozio. Jairo: Il Mar Market è un osservatorio privilegiato per conoscere molti aspetti del quartiere. Che opinione avete di Villanova? Raffaele: Io sono qui da 35 anni e il quartiere l’ho visto crescere e svilupparsi negli anni. Dal mio punto di vista questo è un buon quartiere, c’è gente che proviene
da diversi Paesi che riesce a convivere pacificamente e credo che si trovino anche bene. Jairo: Quali sono le caratteristiche che rendono così speciale questo quartiere e cosa invece potrebbe ancora migliorare? Raffaele: Sicuramente ci sono sempre cose da migliorare, però rispetto ad altri quartieri credo abbia un buon livello nelle condizioni di vita, è un quartiere dove facilmente puoi trovare amicizia e cordialità. Jairo: Cosa ne pensa di questo negozio in cui può trovare tanti prodotti del suo paese? Signora: Mi piace, sono brave persone e i prezzi sono ottimi. Mi trovo bene. Jairo: Da dove viene? Signora: Dalla Nigeria. Angelina: E sapesse che bel bambino che hanno… Seconda signora: Qua ormai g’avemo de tut’… e basta! …è così che dobbiamo imparare a vivere e a pensare… Jairo: Viene sempre qui a comprare? Signora: Io abito qua sopra al negozio per cui vengo sempre qui. Jairo: Cosa compra di più? Signora: Soprattutto riso, pesce, platano e semolino. Jairo: Come si trova a Villanova? Signora: E’ un buon quartiere, la gente è simpatica. Io vivo in Italia da 16 anni con mia figlia ed altri membri della mia famiglia. Da quasi 11 anni sono qui a Villanova e praticamente il Mar Market l’ho scoperto quasi subito e l’ho comunque sempre frequentato.
Jairo: Buongiorno signora, un’italiana nel mezzo dei prodotti dal mondo… Seconda signora: Sì sì, a me questo negozio piace molto, è familiare, se non arrivi a pagare un euro, loro aspettano e non si fanno troppi problemi. Ci trovo roba bella fresca… i titolari son gentilissimi, sono anni che li conosco, per lo meno 30… Qui c’è tutto, non mi serve andare nei supermercati grandi… e poi accolgono bene la gente, mi conoscono e non sarebbe uguale andare
eventi in un affollato supermercato dove nessuno ti conosce. Poi qui ci son tanti colori e i colori a me piacciono tanto, mia nipote ha un ragazzo di colore, i genitori non è che siano molto contenti, dicono… insomma si sa… io la proteggo sempre però… è proprio un bel ragazzo… proprio come lei sa…
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Jairo: Anche io son sposato con un’italiana… Angelina: E sapesse che bel bambino che hanno… Seconda signora: Qua ormai g’avemo de tut’… e basta !…è così che dobbiamo imparare a vivere e a pensare… Jairo CAZAR, Carlos D’AGARO, Martina CANNOLETTA
Genius Loci news (2)
Qui come a casa mia
Azioni e abilità per la coesione sociale, responsabilità civile e appartenenza territoriale Pordenone Sono passati circa 2 anni e mezzo dal momento in cui ho lasciato l’Ecuador, il mio paese. Viaggiare alla volta dell’Italia mi ha permesso non solo di conoscere cultura, persone e luoghi diversi, ma soprattutto mi ha dato la possibilità di conoscere me stesso. Credo che il trovarmi ad affrontare situazioni tanto differenti rispetto a quelle a cui sono abituato, mi abbia dato l’opportunità di analizzare la mia capacità di cambiare, di imparare, di trasformare, di trasmettere, di includermi, di apprezzare ciò che ho, ciò che non ho e ciò che mi piacerebbe avere. Questa insaziabile sete di conoscenza mi ha permesso di integrarmi al gruppo intergenerazionale costituitosi a Villanova nell’ambito del progetto Genius Loci. Vivo in questo quartiere da quando sono arrivato in Italia. Nonostante per me sia un piccolo quartiere ho trovato molto difficile stabilire relazioni che vadano al di là del “buongiorno” e del “buonasera”. Credo che questa sia una difficoltà che tutti i nuovi abitanti affrontano, ma forse il fatto di appartenere ad una minoranza etnica, come me, e di essere considerati sempre prima che persone “stranieri”, rende tutto più difficile. Da quando ho iniziato a partecipare al progetto Genius Loci ho scoperto che è possibile sviluppare azioni e “abilità” per la convivenza e per rafforzare la capacità di dialogo. Credo che esista un modo di comunicare in grado di generare tra persone di diversa età e nazionalità, atteggiamenti di stima reciproca e di “cura” verso il territorio, favorendo nuovi legami di identità e di appartenenza. I temi e le iniziative proposte dal gruppo di cittadini coinvolti nel progetto nell’arco di questi mesi, come il foglio di quartiere e il mercatino dell’usato, invitano alla partecipazione e sono pensati per promuovere i valori del rispetto, della comprensione, della collaborazione e della convivenza, oltre che a facilitare il rafforzamento dei legami “affettivi” tra le persone. La dinamica di questo progetto mi suggerisce il ricordo dei processi partecipativi che si stanno portando avanti da qualche anno nel mio Paese per promuovere lo svilup-
po locale. In ogni quartiere si sono costituite, grazie all’assessorato alla Partecipazione cittadina, assemblee popolari (naturalmente intergenerazionali) che discutono circa la situazione economica, politica e istituzionale locale, toccando tematiche quali l’istruzione, l’urbanistica, la sanità, l’ambiente e i trasporti. Tali assemblee hanno la funzione di orientare gli investimenti delle risorse finanziarie a livello comunale e hanno avuto il merito, con tutte le imperfezioni del caso, di facilitare la convivenza e la fratellanza e di ridurre la distanza tra cittadini e istituzioni. Un quartiere caratterizzato dalle relazioni umane. I luoghi dove per tradizione esistono tali gradi di convivenza sono generalmente i quartieri popolari, come quello in cui sono nato 28 anni fa. Purtroppo molti di questi quartieri, in Ecuador, ma forse anche in Italia, sono comunemente percepiti come territori afflitti dalla mancanza e dalla povertà, ma, allo sguardo più attento, non può sfuggire il richiamo alla semplicità. Vorrei poter guardare Villanova come ad un quartiere in cui le relazioni umane siano alla base del suo sviluppo, dove il diverso (per età e per origini) sia percepito come opportunità di conoscenza, di scambio e di arricchimento. Dopo non molto tempo dal mio arrivo, ho scoperto che ho conosciuto l’Italia, ma anche il Ghana, la Bulgaria, la Nigeria, la Francia, il Senegal, l’India, la Romania, Cuba… Ho avuto la grande possibilità di conoscere persone che mi hanno raccontato la loro storia, facendomi respirare cultura e tradizioni. Credo che la diversità sia una delle ricchezze più grandi che possiede questo paese. Grazie all’interazione originale che il Progetto Genius Loci ha messo in moto e ai piacevoli spazi di convivenza che si sono costruiti e che si costruiranno, il concetto del “dare e ricevere” si può convertire in una pratica abituale, rinnovando lo spirito di complicità comunitaria, indispensabile per rilanciare concetti quali: coesione sociale, responsabilità civile e appartenenza territoriale. Jairo CAZAR
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eventi Genius Loci news (3)
Meditazioni lievi sullo star bene assieme Le prime prove tecniche di progetto con i Papu
Pordenone Mercoledì 24 agosto 2011, un centinaio di persone hanno partecipato alla serata presentata dai Papu, intitolata “Derby in Piassa: meditazioni lievi sullo star bene assieme”. L’evento, promosso nell’ambito del progetto Genius Loci, ha avuto luogo all’interno della Festa in Piassa, nel quartiere di Villanova, giunta ormai al suo 36esimo anno di vita, con l’obiettivo di condividere e socializzare l’esperienza vissuta da chi per mesi ha partecipato, in differenti forme, al progetto di sviluppo di comunità nel quartiere, cercando di raccontare il proprio vissuto e coinvolgendo il pubblico attraverso il dialogo e il confronto. La proiezione del video fotografico realizzato dai partecipanti al laboratorio “Anatomia di un quartiere”, esordio del progetto Genius Loci a Villanova, ha dato il via allo spettacolo, attraverso una carrellata di personaggi, strade, negozi, aree ricreative e sportive, eventi artistici e culturali che rendono il quartiere cosi vivo e complesso. I Papu, battuta dopo battuta, tra risa ed applausi, hanno così illustrato le intenzioni del progetto che in sostanza intravede nel dialogo intergenerazionale e interetnico un’enorme possibilità di migliorare le condizioni di vita degli abitanti. Le intenzioni del progetto si sono rivelate ancor più evidenti quando sul palco sono saliti i rappresentanti della società civile, della scuola, della parrocchia e delle associazioni che hanno raccontato con soddisfazione il percorso avviato attraverso il laboratorio. Nonostante ciò e nonostante comunque siano state di gran lunga superate le aspettative di presenza del pubblico, durante la serata non si è riusciti a coinvolgere in maniera soddisfacente gli spettatori, soprattutto è mancato un dialogo interattivo con gli abitanti del quartiere presenti in sala. Si notava inoltre la totale assenza dei vari gruppi etnici presenti a Villanova, assenza che ha sicuramente limitato il racconto corale del quartiere. Considerando che uno degli obiettivi
principali del progetto è quello di riuscire a coinvolgere il numero maggiore di abitanti, indipendentemente dall’età, dalla condizione sociale, dall’etnia e dalla religione, sarebbe stato opportuno riuscire a realizzare attività che potessero catturare l’attenzione di tutti e non solo di chi già normalmente partecipa attivamente alla vita di quartiere, come di fatto è successo durante la serata condotta dai Papu. Il progetto Genius Loci, promosso dal Comune, la Provincia, l’Azienda sanitaria e la cooperazione sociale (Fai e Itaca), si sta sviluppando in due quartieri urbani di Pordenone, Villanova e Borgomeduna. Tra le varie attività proposte in stretta sinergia con i rappresentanti della società civile ci sono la realizzazione di un foglio di quartiere, la creazione di una compagnia teatrale di comunità, un mercatino dell’usato. Iniziative che se riescono a coinvolgere tutte le persone residenti, faciliteranno sicuramente la possibilità non solo di vivere in un determinato quartiere, ma di abitarlo nella forma più completa possibile, trasformandolo in uno spazio fisico di esperienze sociali condivise, costruendo un universo materiale e simbolico che faccia sentire le persone partecipi di una società e di una cultura comuni. Vivere in quartiere, in questo senso, rappresenta la possibilità di appartenere ad una comunità politica e ad una organizzazione sociale che stabilisce e progetta il proprio futuro nelle relazioni di potere che si creano tra i differenti gruppi che la compongono, tutto ciò nel mezzo di un territorio condiviso che contempla i concetti di pluralismo e di diversità. La serata del “Derby in Piassa” si è completata con l’esposizione delle fotografie del quartiere realizzate dai partecipanti al laboratorio, alle quali si sono affiancate i colorati disegni dei bambini della scuola elementare A. Rosmini. E’ stato inoltre presentato il numero 0 del foglio di quartiere, contenente foto e interviste ai diversi attori protagonisti della vita di quartiere che raccontano la propria realtà disegnando così un pezzo importante del vissuto di comunità. (JC)
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Carnevale a Muggia con tanto di sfilata
Il meraviglioso mondo dei fiori Gemellaggio con la Sarcinelli di Cervignano
Muggia Il progetto Carnevale 2012, sviluppato nei mesi di gennaio e febbraio, ha visto impegnati gli operatori della Cooperativa Itaca, l’animatore, gli anziani, il laboratorio di sartoria, familiari e le associazioni del territorio. Dopo alcune riunioni con gli ospiti e stato scelto e condiviso il tema del ovvero “Il meraviglioso mondo dei fiori”. Nelle riunioni successive ogni ospite ha scelto i fiori da applicare alla propri coroncina o la scenetta da interpretare, in questa fase sono stati coinvolti anche gli operatori e cosi si sono formate anche delle coppie operatore-anziano, il che ha portato ad una interazione positiva coinvolgendo anche gli operatori dei servizi (Idealservice), della cucina (Camst ) e del servizio domiciliare (Quercia). Particolarmente curate sono state la progettazione e la realizzazione degli abiti e delle coreografie per la manifestazione finale, per la cui riuscita determinante è stata la partecipazione attiva delle famiglie, nonché di tutti gli operatori del consorzio Ati - Welcoop. I veri protagonisti, però, di questa positiva esperienza, vissuta in sinergia con gli operatori ed i familiari, sono stati i nostri anziani, perché con il loro impegno e il loro entusiasmo hanno offerto un ricco e variopinto spettacolo fatto di spontaneità, di gioia e carico di significati culturali. La sfilata si è svolta con l’entrata delle cornacchie (Va-
lentina e Iolanda) per nulla infastidite dalla presenza dell’imponente spaventapasseri, l’anziano Edy, a ruote è entrato un cacciatore (Tonino) che ha cercato senza riuscirci di far fuori le cornacchie che distruggevano tutti i fiori. A ruota sono entrate poi, sulla canzone “Papaveri e papere”, l’operatrice Renata e l’anziana Emili vestite da papere circondate dalle anziane Iolanda, Eufemia e Nerina vestite da tulipani. Accompagnate dalla canzone “Rose rosse”, sono così entrate in scena le anziane Mari, Pina e Eugenia, che era la prima volta che indossava un vestito di carnevale, ecco le nostre anziane Lina, Lidia e Sofia vestite da tulipani gialli, e Manuela vestita da contadina accompagnata da “Quel mazzolin di fiori”. E prima del carro principale, sottofondo la canzone dell’Ape maja, è arrivata volando ancorata sul solleva carrozzine Eda, vestita da ape. E per finire il carro principale con un spaventapasseri che muoveva le mani verso l’alto per scacciare un merlo che, incurante, stava appollaiato sulla sua spalla. Altra nota positiva di questo carnevale il gemellaggio con la Casa di riposo di Cervignano del Friuli Sarcinelli, che ha partecipato alla festa indossando delle splendide coroncine addobbate di fiori, gli anziani erano accompagnati dall’animatrice Caren e dalle operatrici della struttura. Antonino FERRARO
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EVENTI La Casa anziani stimola gli ospiti
Raccontare e giocare per essere vecchi e felici Il progetto portato da Ambito 1.3 Muggia-Dolina e Coop Itaca
Muggia La scarsa attività favorisce nell’anziano l’inerzia, la noia e la depressione. L’anziano non riesce a riempire tutto il suo tempo, anzi subisce la malinconia del suo tempo libero. Quindi diviene molto importante sollecitare le motivazioni dell’anziano sottoponendolo a stimoli che favoriscano le interazioni sociali, la sua autonomia e indipendenza, aiutandolo a mantenersi il più attivo possibile fisicamente e psichicamente. Cosa fare? Gli aspetti negativi della vita in casa di riposo e degli anziani soli a domicilio devono essere sempre contrastati attraverso la sollecitazione costante degli anziani con vari interventi, mirati a sfruttare al massimo le funzioni residue di ciascuna persona. Pertanto noi operatori della Casa di riposo di Muggia e del territorio dell’Ambito 1.3 Muggia –Dolina riteniamo opportuno proporre attività di gruppo, anche in forma ludica, per evitare la tendenza all’isolamento e riconsiderare l’importanza del prossimo, mitigare le spigolosità del carattere e confrontare i propri punti di vista, facendo percepire al singolo di essere parte integrante di un insieme di persone. Inoltre cercheremo attività di riattivazione, le attività occupazionali, quelle di animazione, la ginnastica di mantenimento e l’attività ludico-motoria. Tramandare i propri ricordi ed ascoltare quelli degli altri, è un rituale da sempre presente in tutte le civiltà. La narrazione rende possibile lo scambio comunicativo fondamentale per l’istaurarsi delle relazioni umane e della socialità ed inoltre il parlare di sé e delle proprie
esperienze di vita rende possibile il rituale introspettivo dell’accorgersi di aver vissuto. Il racconto investe di senso l’esperienza dell’uomo nel mondo e crea un nesso temporale tra presente-passato e presentefuturo il ricordo ha dei confini ben delineati, il futuro è un progetto da realizzare. La narrazione dona specificità agli eventi di vita. Il gioco è un’espressione motoria spontanea che tende a soddisfare il bisogno di svago di ogni individuo. Attraverso l’attività ludica si rendono evidenti i bisogni affettivi, le emozioni, i comportamenti sociali e i lati del carattere di ogni anziano. Nel gioco ogni individuo esprime sé stesso nei confronti del prossimo e con il gioco conserva il desiderio di agire. Vi sono i giochi di movimento che si possono sottoporre: pallavolo (con i palloncini), gimcane costruite con percorsi motori semplici, giochi con la palla e cognitivi per stimolare anche la memoria, l’udito, la vista, la capacità di calcolo ecc. e, perché no, per mitigare comportamenti di timidezza o di aggressività. Inoltre non dimentichiamo che l’attività motoria è un ottimo preventivo contro la malinconia e la depressione, in quanto, oltre ad influenzare alcune funzioni di apparati importanti, favorisce la vasodilatazione a livello muscolare, migliora la mobilità articolare, il tono e il trofismo muscolare, nonché la coordinazione neuro-motoria. Ha inoltre benefici effetti sull’equilibrio psichico perché stimola nuovi interessi, sollecita la socializzazione, riduce la dipendenza psicologica da farmaci e migliora la qualità del sonno. (AF)
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Giovedì grasso a Fossalato Portogruaro É stata festa giovedì 16 febbraio a Fossalato. Festa di Carnevale, ovviamente. É stata divertente e siamo stati veramente bene. Abbiamo invitato tutti i familiari, gli amici delle associazioni, addirittura gli operatori della Ctrp, delle Ca di Fossalato e di Concordia Sagittaria e perfino del Csm di Portogruaro. C’era Sergio Nespolo, che tanto ha lavorato al Csm e adesso è in pensione, come presentatore, affabulatore e locomotiva della Festa! C’era anche un ragazzo, Flavio Di Nardo, che ha portato il suo impianto audio e i suoi dischi e con la sua musica abbiamo ballato tantissimo. C’era un altro ragazzo, il poeta Giacomo Sandron, che ha letto, con nostro grande divertimento, un racconto con protagonista il Re Carnevale, che mangiava e
mangiava... e una poesia dedicata a sua nonna (la nonna di Giacomo), che cuoce e prepara senza sosta succulenti piatti e prelibate cibarie per il caro nipotino... C’erano le maschere e le decorazioni che abbiamo preparato nel nostro Laboratorio di Espressione Artistica. Le potete vedere nella fotografie! C’erano anche due amici da Udine, artisti di livello che collaborano con un Laboratorio simile al nostro. C’era anche un favoloso buffet a kilometri zero, ovvero preparato utilizzando prodotti biologici locali. Alla fine della Festa non è rimasto nulla, tutto spazzolato, mangiato e anche digerito... alla salute dell’iniziativa nazionale M’Illumino di Meno, con cui ci siamo collegati. Non resta che guardare le nostre fotografie! Godetevele!
Endometriosi: “l’intrusa” che ti priva della femminilità Pordenone Parlare di endometriosi non è facile. E’ una malattia molto diffusa tra le donne in età fertile, ma se ne sa troppo poco. Io ne sono affetta da una vita e sicuramente tra di voi qualcun’altra si riconoscerà in me. Ho voluto che la mia storia potesse essere di aiuto per chi come me sta soffrendo e magari non sa perché. Se una donna sa come muoversi gli errori si possono evitare. Sicuramente tra di voi ci sarà qualcuna che sa cos’è l’endometriosi perché ne è affetta, oppure ci sarà qualcun’altra che ha i sintomi, ma non sa che cos’ha. Io faccio parte di quel gruppo di donne, la diagnosi, per fortuna è arrivata nel 2007, dopo circa dieci estenuanti anni di “pellegrinaggio” da un ambulatorio all’altro. Ma andiamo per ordine. L’endometriosi è una patologia del tutto particolare, in parte ancora misteriosa. E’ molto diffusa, si calcola che ne sia affetta almeno il 12% della popolazione femminile, ma secondo altre stime potrebbe colpire 1/3 delle donne. Colpisce tutti i ceti sociali. Difficile da diagnosticare, spesso viene scoperta quando è in fase avanzata, solo un esperto ginecologo la può trattare. Deriva dalla parola endometrio, il tessuto che riveste la superficie interna dell’utero. E’ una malattia complessa, cronica, poco conosciuta. Non è affatto nota né fra la gente comune né, a volte, fra i medici stessi. L’endometriosi è una malattia ormono-dipendente e tut-
ti i mesi, sotto l’effetto del ciclo mestruale, del tessuto simile all’endometrio si localizza al di fuori dell’utero, in altre parti del corpo, sviluppando “noduli”, “escrescenze”, “cisti”, tessuto cicatriziale che causa dolore, infertilità e altri problemi. Si sviluppa soprattutto nell’addome, ovaie, tube, legamenti dell’utero, il setto retto vaginale, intestino, diaframma, vescica e ureteri, peritoneo, cervice. Lesioni endometriosiche sono state trovate anche all’esterno dell’addome, nel polmone anche se si tratta di casi rari. Si ritiene che nel 25% dei casi l’endometriosi sia asintomatica, cioè non produca sintomi. Nell’ambito dei sintomi dolorosi si tratta di dolore prima, durante e dopo le mestruazioni, dolore durante e dopo il rapporto sessuale, dolore alla defecazione, dolore alla minzione, dolore nella regione lombare, senso di affaticamento e di stanchezza. La sterilità colpisce il 35% delle donne affette da endometriosi. Le formazioni endometriosiche non sono maligne o cancerose: si tratta di un tessuto normale situato in sede anomala. L’endometriosi è una malattia altamente invalidante, per questo dopo una grande battaglia, il 18 gennaio 2006 sono stati presentati al Senato due disegni di legge, ora confluiti in un’unica proposta, per riconoscere l’endometriosi quale malattia sociale. Ritornando alla mia storia, ho passato anni in cui il dolore era diventato una consuetudine. Avevo un grande affaticamento fisico, mi sentivo tanto stanca e non sa-
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pevo perché. Avevo cicli mestruali molto dolorosi, sanguinamenti e dolore durante i rapporti sessuali, forti dolori pelvici e alla schiena. Inizialmente convivevo con questo dolore, poi il dolore divenne cronico, interferiva con la mia vita sociale, lavorativa e privata. I medici continuavano a dirmi che non avevo nulla, era normale secondo loro avere questi sintomi dopo aver avuto un figlio, l’utero si era modificato e io dovevo pazientare. Dal 1996, l’anno che divenni madre per la prima volta, al 2007, la pazienza ormai non esisteva più. Il mio era un dolore poco creduto e spesso sottovalutato, c’è stato perfino un ginecologo che ha catalogato il mio malessere come psicosomatico. Poi un giorno mi sono insospettita. Una mia conoscente era stata operata di endometriosi all’Ospedale Sacro Cuore di Negrar Verona, aveva i miei stessi sintomi. Prenotai subito una visita, da quel momento la triste scoperta: endometriosi al terzo stadio (esistono quattro stadi), del setto retto vaginale, del legamento largo e della plica vescico-uterina. E nessuno se ne era accorto. Fui operata dal Prof. Stefano Landi, uno specialista in merito. Il focolaio di endometriosi che più lo preoccupava era quello del setto-retto vaginale, si trovava infatti tra la vagina e il retto, temeva che l’endometriosi si fosse infiltrata nell’intestino. Se così si fosse verificato, mi sarei risvegliata dall’intervento con la colonstomia, il sacchettino che applicano sulla pancia per deviare le feci. Ero terrorizzata. Quando mi svegliai per fortuna, non avevo nessun sacchetto, il focolaio endometriosico non si era infiltrato nell’intestino. Subito dopo l’intervento mi venne prescritta una terapia ormonale per indurre la menopausa, in questo modo la malattia si sarebbe rallentata, l’assenza del ciclo fa in modo che non si produca. Nel frattempo e per grande fortuna ho avuto la mia seconda bambina con una distanza di quattordici anni dalla prima. L’endometriosi non aveva permesso prima di avere un altro figlio. Dopo la seconda gravidanza la malattia si è ripresentata con una recidiva, il calvario doloroso non era terminato. A gennaio 2012 il secondo intervento, sempre eseguito dal Prof. Landi. La mia endometriosi in forma molto aggressiva si era riformata. Ce n’era ovunque ed è stato necessario togliere utero e tube a soli 37 anni. Con questo racconto mi sento di dirvi di rivolgervi solo ad esperti. Se avessi conosciuto il Prof. Landi all’inizio dei miei sintomi, forse tutto questo non sarebbe avvenuto. Una diagnosi fatta per tempo potrebbe risparmiare anni di perdite di tempo. L’intervento laparoscopico di escissione completa di endometriosi richiede un chirurgo altamente specializzato. Gli interventi per endometriosi sono i più complessi che può affrontare un ginecologo e un chirurgo. Non fatevi operare dal primo che capita, ma soprattutto non credete mai se vi dicono che di endometriosi si può guarire. La malattia è cronica, attualmente non c’è una cura che la faccia guarire. L’endometriosi è difficile da diagnosticare, spesso non si vede in ecografia e sono necessari altri esami diagnostici per scoprirla. La risonanza magnetica, il clisma opaco, gli esami del sangue CA125 e CA19.9 risultano utili. L’intervento laparoscopico è l’unico che la conferma. Se
si segue questo percorso fatto da medici competenti si arriva prima alla diagnosi, evitando frustrazioni e sofferenze. Conosco donne operate di endometriosi per ben quattro volte. Questa malattia ti priva della femminilità, oltre che colpire il fisico, colpisce noi donne nella nostra intimità e nella psiche. Il nostro dolore deve essere compreso, non sottovalutato. La condivisione, l’ascolto, l’informazione possono creare consapevolezza per evitare di sottovalutare il problema. Monia BERGAMO
CENTRI SPECIALIZZATI Prof. Stefano Landi Primario di Ostetricia e Ginecologia Azienda Ospedaliera della Valtellina e della Valchiavenna Sondrio Riceve a Mantova Portale Valsecchi Via Torelli,16 Tel. 0376-355141 Prof. Fabrizio Barbieri Veneto-Bussolengo (VR) Azienda Sanitaria Ambulatorio del dolore pelvico e dell’endometriosi Via Citella,52 045-6712300 Dott. Riccardo Zaccoletti Dott. Andrea Fiaccavento Peschiera del Garda Centro Multidisciplinare per Endometriosi Via Monte Baldo, 24 tel.045-6449111 Cup tel. 045-6449270 Verona Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar Ambulatorio Endometriosi Via Don A. Sempreboni Negrar (VR) tel.045-6013257 PER SAPERNE DI PIù: www.stefanolandi.it Associazione Italiana Endometriosi A.P.E Associazione Progetto Endometriosi
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Letti per voi Ve li leggiamo, ve li recensiamo, ve li consigliamo ma soprattutto... ve li compriamo!
di Giovanni Gustinelli ...anni fa ho chiesto al poeta Jirì Kolàr “allora, che fai?” Ho servito il re d’Inghilterra (Obsluhoval jsem anglického krále)
Bohumil Hrabal
« Fate attenzione a quello che ora vi racconto». Così inizia lo straordinario romanzo di Bohumil Hrabal (e tutti i capitoli a seguire), un libro che possiede la rara qualità di essere un romanzo popoBohumil Hrabal racconta... bookforum.com lare, per il suo irresistibile umorismo, per i personaggi, perché ha gli ingredienti (sesso, denaro, potere) di un qualsiasi best seller, per il linguaggio colloquiale; ma che è pure un capolavoro stilistico che non teme confronti con un Babel, un Joyce, un Celine. Il romanzo racconta le strabilianti avventure di un piccolo, ovvero un apprendista cameriere, complessato per la sua bassa statura e perché è povero in un mondo di ricchi. Serve, sotto la direzione di leggendari maìtre, il Negus, il presidente cecoslovacco Masaryk e gente abituata a ricoprire il pavimento della propria camera da letto con banconote da cento corone. Racconta di quando frequenta le case di piacere, un sorprendente erotismo, il gusto per le cose belle lo sorreggono nell’aspra lotta per diventare un nuovo ricco. Quale sarà la sua delusione, potete immaginarlo, quando i comunisti, giunti al potere nel 1948, gli rifiuteranno il carcere insieme agli altri milionari, a lui che è diventato finalmente padrone del più fantastico albergo di tutti i tempi? Ma non si può raccontare Bohumil Hrabal senza tentare una sintetica definizione di pábitelé, che , con grande approssimazione, trova una sua corrispondenza in italiano nel lemma pìcaro, o nell’aggettivo picaresco. I pábitelé non sono altro che bislacchi eroi notturni, un po’ bohèmienne che Hrabal definirebbe gli spacconi dell’infinito.
e lui mi ha risposto con l’aria di chi la sa lunga “pábìm”. Così ho sentito per la prima volta la parola Pábitel. Subito ho intuito che pábenì è un certo tipo di attività poetica che si discosta dalle attività poetiche esistite fino ad ora e che piuttosto va a cercare il vietato, l’incerto, l’inafferrabile e ciò che rifugge dalle regole e il cui significato appare soltanto in un secondo momento. Da allora ho cominciato ad usare quella parolina ,e sotto l’impressione della situazione, ho cominciato a chiamare un certo tipo di persone pábitelé e la loro attività pábenì. Erano di regola persone, e lo sono anche oggi, le quali sono capaci di esagerazione, quello che fanno lo fanno con troppo amore, perciò camminano sull’orlo del ridicolo... Una delle loro peculiarità è quella di essere grandi raccontatori e grandi ascoltatori (meglio se davanti ad un boccale di ottima birra di pilsen) con la capacità di stupirsi e di meravigliarsi al cospetto di avvenimenti mirabolanti e di personaggi improbabili. Un esempio significativo di appartenenti a questa categoria è rappresentato dallo zio Pepin che con la sola imposizione delle mani riuscì a fermare l’avanzata dei carri sovietici che mise fine alla primavera di Praga (se non sbaglio nel libro La tonsura – Bohumil Hrabal) salvo esserne travolto subito dopo; ma la fermata temporanea della colonna armata bastò a renderlo eroe immortale presso il popolo dei pábitelé. E’ utilizzando questo registro che vengono narrate le avventure di Jan Ditje apprendista cameriere e futuro Maitre che servirà l’imperatore d’Abissinia. Come non rimanere rapiti e affascinati dal candore poetico con cui Jan avvicinerà le ragazze del Paradiso (un noto bordello di Praga) e le stupirà e le conquisterà decorandone i sessi con fiori e foglie. Come non ridere Il Negus Hailè Selassiè amaro quando il collaborazioniart.com
letti per voi sta per amore Jan verrà sottoposto ad una grottesca visita medica per capire se sarà in grado di fecondare adeguatamente Liza, la puledra del terzo Reich che sposerà. Ed infine come resistere ad uno dei più poetici finali, che accompagna il crepuscolo della vita del nostro eroe, dove sempre profondamente pábitelé troverà una propria dimensione intima, profonda, interiore in compagnia del paesaggio montano dei sudeti, della neve, del suo cane, la capra, del cavallo, e della gatta (anche lei pábitelé perché selvatica all’ennesima potenza, faceva le fusa e si contorceva a delle carezze somministrate a distanza perché non sopportava il tocco umano). Anche questo assoluto capolavoro della letteratura mondiale lo potrete trovare nella biblioteca di Itaca. Chiedete a Fabiana…chiedete e vi sarà dato
Bibliografia: • Ho servito il re d’Inghilterra • Treni strettamente sorvegliati • Vuol vedere Praga d’oro • Inserzione per una casa in Zlata Ulicka - Praha cui non voglio più abitare paesionline.it • Una solitudine troppo rumorosa • L’uragano di novembre • Sanguinose ballate e miracolose leggende • Un tenero barbaro • La tonsura • La tendenza alle sbronze ed al comunismo, ovvero paure totali
Tratto da: Ho servito il re d’Inghilterra Antefatto: il giovane Jan Ditje per arrotondare la magra paga di apprendista cameriere vende salsicce alla stazione. Il furbacchione indugia nel dare il resto fino a quando il treno parte intascando così la “plus valenza”. Decide allora di investire questi soldi in alcune visite alle ragazze dei Rajsky. ...la seconda signorina della mia vita fu invece una biondina. Quando entrai e mi chiesero cosa desiderassi, io dissi che volevo cenare e subito aggiunsi, però in un separé, e quando mi chiesero con chi, io indicai una biondina e anche quella volta ero innamorato di quella ragazza dai capelli chiari, fu addirittura più bello della prima volta, sebbene quella prima volta fosse stata indimenticabile. E così non facevo che provare il potere del denaro, ordinavo champagne, ma prima lo assaggiavo, la signorina doveva bere insieme a me quello originale, non permisi più che a me versassero da bere vino e alla ragazza limonata. E mentre stavo disteso nudo guardando il soffitto, e la biondina mi stava distesa accanto e guardava anche lei il soffitto, di punto in
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bianco mi alzai e tolsi da un vaso una peonia e ne strappai i petali, e con diverse peonie coprii tutt’intorno il ventre della signorina, era tanto bello che ne rimasi stupito, e la signorina si tirò su per guardare anche lei il proprio ventre, ma le peonie scivolavano giù, e io la spinsi teneramente indietro perché rimanesse distesa, e tolsi lo specchio dal gancio e lo aggiustai in modo che la signoriBella epoque - ladigetto.it na potesse vedere com’era bello il suo ventre coperto di petali di peonie, e le dissi sarà bello, ogni volta che verrò qui, a seconda dei fiori che ci saranno, ti coprirò il pancino, e lei disse che una cosa del genere non le era ancora mai successa, un simile omaggio alla sua bellezza, e mi disse che quei fiori l’avevano fatta innamorare di me, io dissi -come sarebbe stato bello quando a Natale avrei strappato ramoscelli di abete e con quei ramoscelli le avrei coperto il pancino, e lei disse che sarebbe stato ancora più bello coprirle il ventre di vischio, ma la cosa migliore — e a questo doveva provvedere lei — sarebbe stato uno specchio appeso al soffitto sopra al canapè, per poterci vedere distesi, ma soprattutto per vedere com’era bella lei nuda con una coroncina tutt’attorno al batuffoletto dei peli, una coroncina che sarebbe mutata a seconda dei periodi dell’anno e a seconda dei fiori che sono tipici per ciascun mese, come sarebbe stato bello ricoprirla di margherite e di manine della madonna e di crisantemi e di tanaceti e di foglie colorate... e mi tirai su e mi abbracciai ed ero grande, uscendo le diedi duecento corone ma lei me le restituì, e io le poggiai sul tavolo e uscii e avevo la sensazione di essere alto un metro e ottanta, anche alla signora Rajskà diedi cento corone nello sportelletto dove si era rincurvata Peonie - cesarecamporesi.it guardandomi da dietro gli occhiali... e uscii nella notte, e nelle stradine buie il cielo era pieno di stelle, ma io non vedevo nient’altro che le epatiche e le campanule e i bucaneve e le primule tutt’attorno al ventre della signorina bionda, e più proseguivo oltre e più mi stupivo di come mi fosse potuta venire in mente quell’idea di guarnire, come con dell’insalata russa un piatto di prosciutto, allo stesso modo quel bel ventre di donna con la collinetta dei peli al centro e, attingendo alle mie conoscenze dei fiori, continuavo a coprire la biondina nuda con potentille e petali di tulipani e di giaggioli, e mi proposi di trovarne ancora degli altri perché per tutto l’anno mi sarei divertito, perché coi soldi ci si può comprare non soltanto una bella ragazza, coi soldi ci si può comprare anche la poesia. La mattina dopo, mentre stavamo sul tappeto e
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La Gazzetta | Marzo 2012
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il principale girava controllando se avevamo le camicie pulite e tutti i bottoni, e dopo che ebbe detto Signore e signori, buon giorno, io guardai la sguattera e la ragazza del buffet, guardavo i loro grembiuli bianchi in un modo tale che la sguattera mi tirò un orecchio, tanto fisso le stavo guardando, e mi convinsi che nessuna delle due si sarebbe lasciata avviluppare il ventre e i peluzzi né di margherite, né di peonie, né tantomeno, come un cosciotto di capriolo, di rametti di abete o di vischio... e così pulivo i bicchieri, guardavo controluce le grandi finestre al di là delle quali andavano e venivano persone tagliate a metà, e continuavo coi fiori estivi, li prendevo a mano a mano dai cestini e coprivo di fiori e di pianticelle o soltanto di petali il ventre della bella biondina dei Rajsky, lei stava distesa sulla schiena e apriva anche le gambe, e io la ricoprivo tutta quanta, anche intorno alle cosce, e se i fiori scivolavano giù io li incollavo con la gomma arabica o li fermavo leggermente con un chiodino o una puntina da disegno, e così Tolouse Lautrec – Nudo sdraiato – sport85.com pulivo i bicchieri in maniera esemplare, nessuno voleva farlo e io immergevo i bicchieri nell’acqua, mi piazzavo il bicchiere davanti all’occhio e guardavo se era pulito, ma attraverso quel bicchiere pensavo a tutto quello che avrei fatto dai Rajsky, e così arrivai fino alle ultime pianticelle dei giardini e dei prati e del bosco, e mi intristii, che farò in inverno? Ma poi scoppiai a ridere felice perché in inverno ci sono fiori ancora più belli, avrei comprato ciclamini e magnolie e sarei sceso a Praga a prendere magari anche delle orchidee, o mi sarei addirittura trasferito a Praga, anche lì c’è posto nei ristoranti, e lì avrei avuto fiori tutto l’inverno... e poi si stava già avvicinando mezzogiorno e cominciai a portare i piatti e i tovaglioli, e la birra e le granatine rosse e quelle al limone, e a mezzogiorno, nel momento di più grande trambusto, la porta si aprì e la bella biondina dei Rajsky prima entrò e poi si voltò per chiudere, e si sedette e aprì la borsetta, ne tirò fuori una busta e si guardò intorno, e io mi accovacciai e mi allacciai in fretta e furia una scarpa col cuore che mi batteva nel ginocchio, e arriva il maitre e mi fa va’ subito al lavoro, e io annuii soltanto, e il ginocchio era come se mi avesse attraversato tutto e avesse cambiato di posto col cuore, tanto mi batteva, ma poi mi feci coraggio e mi tirai su, alzai la testa quanto più potevo e mi gettai il tovagliolo sulla manica, e domandai alla ragazza cosa desiderasse, lei disse che voleva vedere me e una granatina di lampone, e io mi accorsi che indossava un vestitino estivo, un vestito tutto pieno di peonie, tutt’attorno prigioniera in aiuole di peonie, e mi vergognai e divenni rosso anch’io come una peonia, questo non me l’aspettavo, i miei soldi avevano preso il volo, le mie migliaia di corone, quello che adesso vede-
vo era completamente gratis, e così andai a prendere il vassoio con le granatine di lampone e, quando le portai, dalla busta che la biondina teneva sulla tovaglia erano scivolate fuori lentamente, come se niente fosse, quelle mie due banconote da cento, e lei mi lanciò uno sguardo tale che cominciai a tremare con tutte le granatine, e la prima si rovesciò, si abbassò lentamente e le gocciolò in grembo, e il maìtre fu subito sul posto e poi accorse anche il principale e si scusavano, il principale mi prese l’orecchio e me lo storse, e questo non avrebbe dovuto farlo perché la biondina urlò che la sentì tutto il ristorante: Ma come si permette? E il principale: Le ha bagnato e rovinato il vestito, sono io a doverlo pagare... E lei: Di cosa si impiccia?, io da lei non voglio nulla, perché scredita questa persona? E il principale, con dolcezza: Le ha bagnato il vestito... tutti avevano smesso di mangiare e lei disse: A lei non deve importare nulla, io glielo proibisco, e stia a guardare! E prese una granatina e, dall’alto, se la versò in testa sui capelli, e poi un’altra granatina, ed era tutta sciroppo di lampone e bollicine di seltz, e allo stesso modo si versò l’ultima granatina di lampone nella scollatura... e disse: II conto... e andò verso l’uscita seguita dal profumo di lampone, e uscì con quel vestito di seta e pieno di peonie, e le api già le ronzavano attorno, e il principale prese la busta dal tavolo e disse: raggiungila, si è dimenticata questa... e io mi precipitai fuori e lei stava sulla piazza e, come alla fiera un chiosco di torroni, era tutta piena di vespe e di api, e non si difendeva, e loro raccoglievano da lei quello sciroppo zuccheroso che la avvolgeva come avesse avuto addosso una seconda pelle, una patina leggera, come quando sui mobili si passa la politura o una cera protettiva, e io le guardavo il vestito, e le consegnai Toulose Lautrec - Toilette i due pezzi da cento, e ibiblio.org lei me li restituì dicendo che me li ero dimenticati da lei il giorno prima... E per farmi andare la sera dai Rajsky, aggiunse di aver comprato un bel mazzo di papaveri di campo... e io vedevo che il sole aveva seccato la granatina di lampone nei suoi capelli, e i capelli le si erano induriti come si indurisce una pennellessa se non la mettete nell’acquaragia, come gomma arabica che si sia rovesciata, come politura per legno, vedevo che la granatina dolciastra aveva a tal punto incollato il vestito al suo corpo che se lo sarebbe dovuto strappare di dosso come un manifesto vecchio, come una vecchia carta da parati da un muro... ma per me tutto quello era ancora poco, lo sconvolgente per me era che mi parlasse in quel modo, che non avesse paura di me, che di me sapesse più di quanto sapessero al ristorante, che di me sapesse quasi più di quanto sapevo io...
RICERCA PERSONALE AREA disabilità Ricerchiamo per Comunità per Disabili zona Udine Addetta/o all’Assistenza • Si richiede: Qualifica Operatore Socio Sanitario; esperienza minima nei servizi di assistenza alla persona; possesso di patente B, auto propria. • Si offre: contratto a tempo determinato; part time su turni; applicazione completa del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali.
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Le domande vanno inviate ad uno dei seguenti recapiti: Cooperativa Itaca - Ufficio Risorse Umane 1. Vicolo Selvatico n. 16 - 33170 Pordenone 2. e-mail: ricerca.personale@itaca.coopsoc.it 3. Telefono: 0434-366064; 4. Fax: 0434-253266
Ricerchiamo per Comunità per Disabili Gorizia Addetta/o all’Assistenza
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Redazione Fabio Della Pietra - Cooperativa sociale Itaca
Ricerchiamo per Comunità per Disabili Trieste Addetta/o all’assistenza
Impaginazione / Grafica La Piazzetta Cooperativa Sociale - Trieste
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In copertina Stimolazione musicale a Francenigo Foto di Fabio Della Pietra
Stampa Rosso Grafica&Stampa - Gemona del Friuli (Ud) Numero chiuso il 7 marzo alle ore 17.00 e stampato in 1320 copie
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Suono e oltre suono Musica al confine tra Arte e Salute