Gazzetta Settembre 2011

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La Gazzetta Mensile d’informazione sociale della Cooperativa Itaca - n°9 - Settembre 2011

Ben-essere, famiglia e autonomia sono qualità della vita

Cresce del 7,6% il fatturato dell’area Disabilità

Al Candussi “cura gentile” per affrontare l’Alzheimer La Responsabilità dell’Operatore Socio Sanitario Belluno 15 ottobre

Dall’assistenza domiciliare al sistema domiciliarità Tavola rotonda a Sacile


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ARTICOLO DI FONDO

L’area Disabilità acquisisce nuovi servizi

Ben-essere e autonomia sono qualità della vita Risposte diversificate in base alle necessità della persona

Pordenone

ha segnato nel 2010 una crescita che ha permesso alla Coop friulana di toccare i 31,466 milioni di euro con un L’area Servizi residenziali e semiresidenziali Disabilità +12% rispetto al 2009. La Disabilità registra nel 2010 registra un +7,6% nel fatturato 2010 evidenziando un un fatturato pari a 5 milioni 138 mila euro, proseguendo buon consolidamento delle posizioni nei servizi a genel trend di crescita (nel 2008 4,157 milioni e nel 2009 stione propria, come le Comunità Calicantus di Pasian invece 4,775 milioni di euro). di Prato e Casa Carli di Maniago. Nonostante la cesI servizi residenziali per disabili gestiti da Itaca sono risazione al 31 dicembre 2010 dell’appalto relativo alla volti a persone adulte di ambo i sessi con una disabilità gestione del Centro residenziale handicap gravi graprevalentemente di tipo psico-fisico e con una limitata vissimi di Sacile, a fine anno autonomia e autosufficienza. Villa Veroi abbiamo acquisito la gestione I servizi semi residenziali si della Comunità di Begliano in caratterizzano per la ricerca e appalto con il C.I.S.I..e istitulo sviluppo di percorsi di inteito una rete valida di collabograzione all’interno di contesti razione con l’A.I.S.M. che ad normali di vita, attivando interaprile 2011 ci hab poi portato venti mirati al potenziamento all’aggiudicazione del servizio delle capacità relazionali e di residenziale e semiresidenziale comunicazione. Villa Sartorio a Trieste. La filosofia di lavoro, che si Prosegue con l’area Disabilità, concretizza nell’impegno quonata nel 2008, il focus sui settidiano, è quella di dare rispotori che compongono i servizi ste diversificate in base ai bisodella Cooperativa sociale Itagni del singolo individuo, intesi ca, il cui fatturato complessivo non solo come presa in carico

SOMMARIO Ben-essere e autonomia sono qualità della vita

2-4

La battaglia del cavallo che liberò i malati di mente

5-6

Al Candussi “cura gentile” per affrontare l’Alzheimer La Responsabilità dell’Operatore Socio Sanitario

7 7-8

Dall’assistenza domiciliare al sistema domiciliarità

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ApertaMente a Fossalato

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Fondo sanitario integrativo

9 - 10

Manovra e armi: “Il male oscuro”

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Sul “Molaro” soffia E’ Vento Nuovo

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La “Festa d’estate” della Comunità Alloggio Cisi

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Ciacole de casa de riposo

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assistenziale o riabilitativa, ma soprattutto come realizfunzionamento di massima compreso tra le 8.30 e le 16, zazione di una progettualità complessa che coincide con organizzano attività di carattere educativo, riabilitativo la qualità della vita nel suo significato più ampio. ed assistenziale con lo scopo di facilitare l’integrazioLe comunità per disabili hanno lo scopo di promuovere ne sociale e promuovere il mantenimento e lo sviluppo il benessere di ogni singolo, inteso come attenzione alla dell’autonomia personale, oltre ad una crescita delle sfera affettivo relazionale, senso di appartenenza, rispetpotenzialità della persona. Garantiscono prestazioni di to delle diverse inclinazioni identitarie, cura degli aspetti assistenza diretta, di cura del contesto di vita, di supemotivi e possibilità di crescita verso un’autonomia posporto allo svolgimento delle attività quotidiane e di aiuto sibile. Attraverso la progettazione individualizzata, che alla vita di relazione. I Centri diurni costituiscono una rappresenta lo strumento operativo sul quale si fonda risposta a supporto delle famiglie tale da favorire un una valida relazione di aiuto e un accompagnamento copotenziamento di interventi verso la persona disabile. struttivo della persona disabile, vengono pianificati gli Al momento dell’ingresso, l’èquipe di riferimento definiinterventi. sce il progetto individualizzato rispondente alle esigenze Tra gli obiettivi principali vi è quello di stimolare e sostedella persona nell’integrazione tra intervento educativo nere l’integrazione sociale e culturale nel territorio e nella ed assistenziale. comunità locale attraverso iniAl 31 dicembre 2010 nell’area ziative mirate; la programmaoperavano 174 addetti pari al zione delle stesse tiene conto 14,4% dei lavoratori della Codelle caratteristiche personali operativa, di cui 141 donne e degli ospiti e si articolano co33 uomini. Le donne sono una erentemente con i progetti inpresenza preponderante ed dividuali. La partecipazione è estremamente significativa andefinita in base agli interessi e che nell’area Disabilità, dove riai desideri di ognuno. vestono ruoli di responsabilità, La finalità dei diversi servizi direzione e coordinamento. Il residenziali è orientata a ricrepersonale per il 76,5% è comare un contesto di vita il più posto da addetti all’assistenza possibile vicino a quello famidi cui il 62,4% è qualificato. liare, caratterizzato dai conI servizi in capo all’area sono sueti aspetti della quotidianità 21, localizzati nelle province di e contraddistinto da una relaPordenone, Udine e Gorizia, 8 zione accogliente e partecipaquelli gestiti da più di 10 anni, ta. Il rapporto con la famiglia, 11 da meno di 5, 388 gli utenti ove presente, è certamente da la maggior parte dei quali (294) considerarsi un obiettivo imsono non autosufficienti. portante: recuperare o manteNel corso del 2010 sono stati nere un livello di relazione con formati 23 operatori (rispeti familiari è essenziale ai fini to ai 15 del 2009) attraverso del programma d’intervento. i corsi da 200 ore per il conLa relazione con i familiari da seguimento delle Competenparte degli operatori dei servize minime nei processi di aszi risulta pertanto una modalisistenza alla persona, due le tà di lavoro che sa riconoscere giornate formative sul modello la significatività e l’importanza ICF (International Classification of Functioning, Disability dei legami affettivi. I familiari Calicantus and Health). infine rappresentano un sostePer il 97% dei beneficiari dei servizi è stato stilato un gno emotivo per la persona disabile e parte attiva nel progetto individualizzato costantemente verificato e condividere il progetto individualizzato, le responsabilità adeguato al mutamento delle situazioni personali. delle scelte ed i momenti di verifica degli interventi. Buoni i risultati in tema di soddisfazione di utenti, soci Le principali aree di intervento, programmate in sinergia e committenti. Molto alta la soddisfazione degli utenti con gli ospiti e le diverse alleanze educative, riguardadei servizi campionati, con una media di 8,58 punti (in no l’aiuto pratico nella vita quotidiana, la promozione una scala da 1 a 10). La maggiore soddisfazione l’hanno dell’emancipazione attraverso lo stimolo all’autodeterespressa gli ospiti della comunità Calicantus con una minazione, la sperimentazione delle regole di convivenmedia di 9,43. Particolarmente gradita la “possibilità di za, la riduzione del rapporto di dipendenza legato all’imricevere visite in struttura e di mantenere legami sociali magine di assistito con la restituzione della percezione e familiari”. di sé come persona adulta. Soddisfacente anche la media generale di soddisfazione I Centri diurni sono strutture integrate che accolgono dei soci che ha segnato 3,39 (scala da 1 a 4). Nell’anagiornalmente persone disabili in età post scolare che lisi per genere le socie hanno un grado di soddisfazione non hanno la possibilità di essere inserite in percorsi generale alto pari a 3,4 e i soci un po’ più basso pari a lavorativi. Aperti per 220 giorni l’anno con un orario di


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a sviluppare il livello di autonomia delle persone adulte 3,33. Livello di soddisfazione massima per la voce “orcon disabilità medio lieve per una migliore qualità della ganizzazione” (3,51). vita, favorire l’esperienza di una graduale separazione Elevata anche la soddisfazione dei committenti con una dei componenti dal nucleo familiare, aiutare le persone media complessiva di 8,68, punto di forza dei servizi coinvolte ad esprimere in modo comprensibile ed accetevidenziato la “qualità dei rapporti con la Cooperativa” tabile le proprie soggettività. Ma anche intervenire sulla e la “Flessibilità nella gestione del servizio” con la media comunità per modificare l’immaginario collettivo a favopiù alta (9,5). Rispetto al 2009, l’utenza servita è piutre di una visione della persona disabile come capace di tosto stabile, preponderante quella di sesso maschile sviluppare una propria autonomia. (53,6%). Nel triennio (l’area Disabilità è nata nel 2008) Particolarmente efficaci i Laboratori dell’area Disabilità, risulta più che evidente che l’area è a forte presenza a Villa Veroi il progetto “Si-Danza” di danzaterapia bafemminile. Stabile la percentuale di presenza per genesato sul metodo proposto dalla maestra Maria Fux, che re (81%), il numero assoluto del personale dell’area è si distingue per il suo approccio artistico-creativo e che calato rispetto al 2009 (da 202 a 174). si avvale della musica come elemento fondamentale. In Tra le attività del settore da evidenziare per il Csre di ogni incontro il filo conduttore, che accompagnava la Tarvisio e Pontebba il “Progetto Provincia” che ha financreatività e l’immaginazione ziato anche per il 2010 l’amdei partecipanti, era rapprepliamento del Centro diurno sentato da una storia fantadi Pontebba che fino agli inizi stica: in questo modo, anche del 2009 aveva un’apertura su le persone con disabilità più quattro giorni a settimana. Per grave, erano stimolate a muodiminuire la sofferenza della vere il loro corpo ed entrare in distanza territoriale che li serelazione con i compagni. para dagli altri Centri, i Csre di Il corso “Alimentazione e traTolmezzo, Gemona ed Esemon dizioni enogastronomiche” con hanno cercato di coinvolgere il contenuti incentrati sull’educaCentro con visite in occasioni zione alimentare, la conoscenparticolari, o giornate in cui il za dei prodotti primari (latte e gruppo per lo svolgimento di derivati, formaggi, tipologie di alcune attività si è spostato a carne, farine, mais, pasta...), Tolmezzo e Gemona. Cjase San Gjal la piramide alimentare e i proA partire dal 1° luglio 2009 la dotti tipici della tradizione friuCooperativa Itaca ha preso in lana. gestione la parte educativa Casa Carli si è distinta per la del progetto “Un giorno dopo produzione di segnalibri per l’altro, dalla convivenza alla la libreria di Maniago “La Naf residenzialità”, appartamento Spazial”, un Laboratorio di attiad Azzano Decimo. Nel pavità espressivo-manuale per la norama territoriale il progetto produzione di un mosaico dirisulta essere innovativo provenuto l’insegna esterna della prio nella visione della disabiComunità, la partecipazione al lità e di una possibile residenprogetto “Sport e Disabilità” zialità. La finalità è stimolare con attività di nuoto, tiro con gli utenti all’indipendenza abil’arco, judo e pallacanestro, tativa grazie alla presenza di Casa Carli la collaborazione con l’assoun’equipe di educatori in fasce ciazione l’Atelier dei Sogni di orarie prestabilite. Il progetto Frisanco per la manutenzione del Parco Giochi e la coappartiene al Piano di zona 2006-2008 dell’Ambito distruzione di alcuni giochi per bambini. strettuale Sud 6.3, Sevizio Sociale dei Comuni di Azzano Cjase San Gjal ha visto l’attuazione del progetto Stadio, Decimo, Chions, Fiume Veneto, Pasiano di Pordenone, dove abitualmente due ospiti vengono accompagnaPrata, Pravisdomini, Zoppola e come finalità è diretto ad ti per seguire le partite in casa dell’Udinese, progetto accogliere giovani del territorio che vivono in famiglia e Onoterapia presso la struttura di Fagagna, Cestinaggio che necessitano di sperimentare le proprie autonomie al in collaborazione con il Centro diurno di Fagagna, faledi fuori del contesto familiare. Un percorso di preparagnameria “Teste di legno” al Dsm di Udine. zione all’uscita dalla famiglia e di acquisizione di nuove Onoterapia anche al Calicantus in collaborazione con abilità all’interno del quale viene sottolineata l’imporl’associazione “Gli amici di Totò” e successivamente con tanza di creare una realtà che consenta di sperimentare la Cooperativa “Ator dal Mus” e poi Adozione a distanza altri programmi di riabilitazione residenziale. del “Rifugio del cavallo” in collaborazione con l’associaVivere da soli assume nella vita di ogni persona un vazione Zedan Ranch. lore simbolico importante, che coinvolge l’individuo ma anche il nucleo familiare dal quale avviene la separazioA cura di Caterina BORIA e Fabio DELLA PIETRA ne. Pertanto gli obiettivi principali del progetto mirano


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La battaglia del cavallo che liberò i malati di mente Claudio Magris a colloquio con Peppe Dell’Acqua

Trieste

malato che commetta reati, perché la dignità comporta pure responsaIl 12 giugno 1972, il presidente bilità e doveri. La questione della della Provincia di Trieste riceve una punibilità rimanda alle angosciose lettera firmata «Marco Cavallo», in e arcaiche condizioni degli ospedali cui l’animale, che ha sentito l’odore psichiatrici giudiziari. La commisdel mattatoio cui è verosimilmente sione parlamentare presieduta dal destinato, rivendica il diritto a un senatore Marino, che ha visitato i meritato pensionamento, dichiaransei ospedali psichiatrici che sono dosi pronto a continuare a svolgere attivi e che trattengono ancora Smith, Trieste 1973 marzo, Laboratorio “P” - il corteo di il suo lavoro, documentando la sua Marco Cavallo esce - San Giovanni | Fonte: Dsm Trieste 1400 internati, ha riferito al presicapacità di farlo e testimoniando dente Napolitano, che ha pubblicala volontà di molti suoi amici umani, viventi nello stesmente espresso la sua pena, invitando la commissione e so Ospedale psichiatrico di Trieste, di provvedere al suo il Parlamento ad arrivare in tempi rapidissimi alla chiusura sostentamento vita natural durante e di pagare alla Prodi questi ospedali. vincia la medesima cifra che ricaverebbe dalla sua venMa anti-ideologico è anche l’elemento giocoso, la capadita. Il 30 ottobre dello stesso anno la giunta provinciacità di creare momenti di festa e di inventare la vita anle di Trieste delibera la vendita del cavallo in dotazione che nella dura guerra contro il dolore. Ne è una prova dell’Ospedale psichiatrico dal 1959 e addetto al trasporto tangibile pure Marco Cavallo, il destriero azzurro come di biancheria, rifiuti di cucina e altro materiale, decidendo quelli di Franc Marc costruito da Vittorio Basaglia in un di sostituirlo con un motocarro. laboratorio corale di degenti, artisti, infermieri, medici e È così che comincia la storia di Marco Cavallo, che non tanti amici. Quel cavallo ha iniziato a girare il mondo il sarà venduto e non morirà, anzi continua a vivere e a ga25 febbraio 1973, quando Franco Basaglia ha spaccato loppare per il mondo, portando in groppa il malato che ha con una panchina di ghisa il muro di cinta dell’Ospedale scritto per lui quella lettera e molti altri suoi compagni di psichiatrico triestino – il muro della reclusione – perché sventura. Diventerà il simbolo, ilare e picaresco, di quella Marco Cavallo era così grande che non riusciva a passare liberazione che è stata la cosiddetta riforma Basaglia, la attraverso l’uscita normale. Da allora sono cominciati i legge 180 che ha trasformato l’istituzione manicomiale e suoi viaggi nei più diversi Paesi, viaggi da cui nascevasoprattutto la condizione di molti dei suoi degenti e che no spettacoli, poesie, incontri in cui i singoli contributi non sarebbe stata possibile senza l’impegno di tanti che e le storie drammatiche da cui nascevano si fondevano hanno lottato per essa e di quel presidente destinatario in una creatività diffusa che sarebbe piaciuta a Novadella lettera di Marco Cavallo, Michele Zanetti. lis o a Lautréamont. È stato uno scrittore e poeta dalla Basaglia e i suoi colleghi che hanno condotto quella batfantasia metamorfica, Giuliano Scabia, a scrivere questa taglia non hanno mai negato la malattia mentale né cestoria, in un libro affascinante e plurimo – scritto fra il duto ad alcuna «ideologia». Non a caso alcuni rapporti 1973 e il 1976 e ora ripubblicato, Marco Cavallo. Da un nati, nel fervore della lotta, con l’abborracciato e facilone ospedale psichiatrico la vera storia che ha cambiato il estremismo movimentista degli anni Settanta sono sfomodo di essere del teatro e della cura (ed. Alphabeta ciati nello scontro avvenuto a Trieste nel settembre 1977 Verlag, Merano, pp. 247, € 20) – che contiene pure tenel corso del terzo Reseau di alternativa alla psichiatria. sti di Franco Basaglia, Umberto Eco, e un racconto dei Gli psichiatri basagliani (non solo loro, anche altri pure viaggi del corsiero azzurro, scritto da Peppe Dell’Acqua estranei al gruppo, ma soprattutto loro) hanno costretto ed Elisa Frisaldi. a vedere quella realtà che ogni ideologia copre e mistifiÈ a Peppe Dell’Acqua che chiedo, incontrandolo a Trieca: la realtà dell’essere umano e della sua sofferenza. Un ste, cos’è stato, cos’è, cosa potrà ancora essere Marco malato non cessa di essere una persona, cui la CostituCavallo. Direttore del Dipartimento di salute mentale, zione attribuisce dignità e inalienabili diritti civili. Non si Dell’Acqua è stato ed è uno dei protagonisti più conriduce soltanto alla sua malattia; tutti sappiamo che un creti, più vivi di quel percorso di liberazione. Rigorouomo malato di cancro non è un cancro. Invece il «pazso e ironico, autorevole e fraterno, consapevole della zo» – parola vaga che indicava confusamente le cose più complessità di ogni destino che non è mai solo un caso diverse, dalla malattia mentale al disadattamento sociale clinico e insieme aperto alla misteriosa semplicità della – era, per la sensibilità corrente, pressoché solo un’incarvita, Dell’Acqua smentisce già con il suo modo di essere nazione della follia; non una persona, ma una malattia. ogni «ideologia». Nel suo libro Non ho l’arma che uccide il leone ha raccontato con precisione e felicità narratiPure i fattori sociali chiamati in causa dalla nuova psichiava l’avventura della rivoluzione psichiatrica, ascoltando tria non sono astrazioni ideologiche, bensì elementi che tante voci prima inascoltate di chi non poteva parlare e concorrono alla malattia; un cardiopatico è certo malato cogliendone non solo il dolore o l’infamia che l’ha prodi cuore, ma se abita al ventesimo piano senza ascensore vocato, ma anche la sorgiva creatività, quella capacità ciò contribuisce al suo male. d’infanzia e di favola che talora perfino la sventura e la A testimoniare il carattere non ideologico della riforma è violenza non riescono a soffocare del tutto. ad esempio la rivendicazione anche della punibilità del


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Cos’è stato veramente, gli chiedo, Marco Cavallo, quale è stata la sua strada? Dell’Acqua – Marco Cavallo è la storia della libertà riconquistata dagli internati. È il testimone di una restituzione: il diritto di cittadinanza a tutti i cittadini, anche se folli. È una grande straordinaria macchina teatrale che la visionarietà di Giuliano Scabia ha reso capace di testimoniare storie intense, singolari e collettive, felici e drammatiche. Testimone di una svolta epocale, il cavallo è l’evidenza della «possibilità» riaffermata contro il destino segnato e ineluttabile della malattia mentale, come di ogni altra condizione umana di oppressione, di fragilità, di limitazione di libertà. Forse è per questo che non ha smesso mai di viaggiare. Magris – Quale è stato l’impatto di Marco Cavallo sui ricoverati, sul gruppo che vi ha lavorato, su chi invece se ne è tenuto in disparte? C’è stato qualche malato che lo ha rifiutato? Talvolta si ha comprensibilmente paura di uscire da una reclusione; la si desidera come si desidera la tana. Ci si rifugia nel disagio per sentirsi paradossalmente protetti dalla difficoltà di cercare la vita vera e dalla frustrante amarezza di non poterla raggiungere… Dell’Acqua – Vedi, i matti non hanno costruito Marco Cavallo. Solo Dino Tinta, un paziente del reparto sudici, saliva sulla pedana e quando fu pronto il corpo del cavallo, non ci fu verso, volle entrare nella sua pancia. I matti hanno costruito qualcosa che faccio fatica a definire. Qualcosa di più duraturo. Hanno riempito la pancia del cavallo di storie e di desideri: l’orologio che Tinta desiderava più di ogni altra cosa, il porto con le navi e il capitano della giovinezza di Ondina, le tante agognate Marie, il paio di scarpe nuove… Quel 25 febbraio un corteo di più di 600 matti attraversa con il cavallo le vie della città. L’uscita non può che essere festosa e tuttavia contiene paure profonde. Sembra ora veramente possibile che si potrà andare per il mondo ognuno con la sua storia. Zoran Pangher non uscì quel giorno. Poco più di 40 anni, carsolino, colto, orfano, i genitori morti in un campo di concentramento nazista, in collegio prima e in manicomio dopo, si oppose a quella festa. L’ipotesi, soltanto l’idea, che il manicomio potesse finire lo terrorizzava. Nelle lunghe e rigorose discussioni cercava di dirci che a San Giovanni c’erano i matti veri e che Basaglia era incosciente se solo pensava che potessero vivere altrove. Solo quelli come lui, forse, che matti non erano, avrebbero potuto uscire. Anzi non avrebbero mai dovuto essere rinchiusi. Ma, aggiungeva, lui, perseguitato da sempre e da sempre impedito ad una sua normale vita, non poteva che restare in manicomio. Era suo diritto restarci. Quel cavallo con le sue promesse di libertà per tutti lo disorientava. Comprese che il manicomio veramente poteva sparire. La sua angoscia divenne incontenibile. Il bisogno di «certezza» di Zoran segnerà negli anni a venire il percorso difficile e durissimo del cambiamento. Magris – Non c’è stato forse, in qualche momento, un pericolo di entusiasmo facile, l’illusione di aver risolto festosamente i problemi? Alcuni degli stessi psichiatri protagonisti della vostra battaglia come

Rotelli, una delle figure guida, e alcuni pazienti si erano opposti alla sortita di Marco Cavallo, temevano che quello squarcio nel muro desse la falsa idea di aver creato il mondo nuovo, mentre le cose erano e talora sono ancora terribili. Dell’Acqua – L’opposizione all’uscita del cavallo, quella animatissima e crudele discussione che per quasi tutta la notte del sabato precedente alla festa coinvolse Basaglia, che voleva l’uscita, gli artisti e tutti noi (anch’io, anche se capivo poco, volevo l’uscita) costruì un’altra immagine del cavallo: «l’animale della buona coscienza», così lo chiamò Rotelli. L’animale che avrebbe potuto mettere a tutti l’anima in pace davanti alle orribili condizioni del manicomio invece di denunciarle. Il compromesso fu un volantino che diceva degli internati, del lavoro degli infermieri, della lentezza del cambiamento di fronte ai bisogni violenti degli internati di casa, di lavoro, di relazioni. Magris – Marco Cavallo ha creato spettacoli, poesie, favole, testi letterari, lirici e teatrali. Pensi che quell’esperimento – a parte il suo valore liberatorio terapeutico, che è la cosa più importante – possa incidere direttamente sul linguaggio letterario o, per poterlo fare, debba essere tradotto, filtrato da una scrittura letteraria, come nel libro di Scabia? Dell’Acqua – Credo che il filtro del linguaggio letterario, della traduzione poetica, come tu dici, sia stato e sia utilissimo. È quasi banale citare Alda Merini, John Nash, il premio Nobel, nel racconto di A Beautiful Mind. E tanto altro ancora. Magris – La storia di Marco Cavallo è finita o continua, e come? Dell’Acqua – Il cavallo continua a correre senza sosta, nei più diversi Paesi, anche oltre oceano. Dovunque va c’è sempre qualcuno che deve dire, denunciare, domandare: …quando ero ricoverato, mi hanno legato per una settimana… io ho visto mio figlio dietro una porta chiusa per più di 15 giorni… mio padre è morto dopo una settimana che era legato a letto nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Cagliari… Viaggia per allontanare la smemoratezza che rischia di cancellare dal presente ogni traccia del passato profondo; per restituire ai giovani una storia che non hanno potuto sapere. Ha cominciato a fermarsi davanti ai servizi psichiatrici chiusi, vigilati da sgradevoli telecamere, dove le persone sono legate; davanti ai luoghi dove le persone muoiono di psichiatria, davanti al dolore degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle carceri, davanti ai centri di salute mentale vuoti, sporchi e privi di significato, davanti alle cliniche private, private di senso, che privano le persone di futuro e di storia: cliniche e imprese sempre sostenute dai contribuenti con centinaia di milioni di euro che ogni anno bruciano al di fuori di ogni sensata politica di salute mentale senza produrre un briciolo di salute nel Lazio, in Piemonte, in Sicilia, in Lombardia, in Puglia, in Emilia Romagna. È per questo che vuole continuare a correre. Corriere della Sera, 30 agosto 2011 Il Corriere.it


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Operativo dal 1° settembre a Romans il Centro Candussi

La “cura gentile” per affrontare l’Alzheimer Un servizio a favore delle famiglie e del territorio

Romans d’Isonzo Giovedì 1° settembre è iniziata ufficialmente l’attività del nuovo Centro diurno “Francesco Candussi” di Romans d’Isonzo. La Cooperativa sociale Itaca, che gestisce il servizio, ha optato per un’apertura graduale di un paio d’ore giornaliere, al fine di consentire agli ospiti un inserimento graduale. Il Centro, che si propone come punto di riferimento nella zona di Romans e nel territorio circostante per le persone anziane affette da demenza senile e Alzheimer e le loro famiglie, potrà accogliere fino ad un massimo di 10 ospiti. Gli operatori di Itaca si ispireranno nel loro approccio al metodo Gentlecare della terapista canadese Moyra Jones, un modello innovativo elaborato per la cura della persona affetta da demenza o Alzheimer che persegue l’obiettivo della promozione del benessere inteso come migliore livello funzionale possibile in assenza di stress. La “cura gentile” è un approccio rivoluzionario che propone un sistema protesico per compensare il deficit cognitivo attraverso l’adattamento dello spazio fisico, delle persone che curano e delle attività proposte. Il modello Gentlecare non rincorre finalità impossibili o idealistiche, ma mira a costruire “progetti personalizzati” dove il benessere è possibile e si concretizza nella relazione fra il malato e l’ambiente di vita. La valenza sociale del Centro diurno Candussi è notevole e sarà funzionale al tentativo di dare una risposta concreta alle famiglie alleviando il carico assistenziale nella

fase in cui la demenza/Alzheimer può diventare dirompente per la persona malata e chi se ne prende cura. Nei primi giorni la struttura è stata aperta con un orario ridotto di un paio di ore giornaliere. Tale modalità di avvio del servizio ha permesso un inserimento graduale degli ospiti all’interno del Centro Candussi, consentendo loro di potersi ambientare, conoscere la struttura e gli operatori che si prenderanno cura di loro. A partire da lunedì 5 settembre la struttura ha invece iniziato ad osservare l’orario di apertura a pieno regime, dal lunedì al sabato dalle 8 alle 17. L’importante opera, che è stata finanziata con il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia, è stata realizzata nei locali dell’ex Casa di riposo per anziani “Pia Fondazione Francesco Candussi”. La struttura è stata interamente riqualificata, gli arredi sono nuovi e trasmettono una grande cura nei dettagli, con ampi spazi dedicati alle attività quotidiane. La titolarità e la gestione diretta del Centro diurno di Romans è stata interamente assegnata alla Cooperativa Itaca, che da anni opera anche all’interno di strutture dedicate alla cura di persone affette da demenze e dal morbo di Alzheimer. Nello staff di Itaca personale qualificato e una gestione che punta sul gruppo degli ospiti, il personale, i rapporti con le famiglie e il territorio, in un’ottica di lavoro di rete con i Servizi sociali, i Comuni, i medici di medicina generale e il Distretto sanitario. Settore Anziani Territoriale

Convegno il 15 ottobre a Belluno

La Responsabilità dell’Operatore Socio Sanitario Una decisione libera o una costrizione del ruolo?

Belluno L’area Residenziale Anziani della Cooperativa Itaca sta organizzando il convegno pubblico “La Responsabilità dell’Operatore Socio Sanitario: una libera decisione o una costrizione del ruolo? …tra professione, etica e responsabilità”, che si terrà sabato 15 ottobre dalle 9 alle 13.30 nella Sala Luciani del Centro Congressi di Belluno in piazza Piloni 11. Il termine “responsabilità” deriva dal verbo latino “respondire”, che letteralmente significa: “rispondere”. Possiamo chiederci, insieme: rispondere a cosa? Il dizionario Garzanti, tra le definizioni di “responsabilità”, riporta: “consapevolezza di dover rispondere degli effetti di azioni proprie o altrui;… l’azione concreta, l’impegno derivante da tale consapevolezza”. Quindi la responsabilità sembra legata da un lato al

dover rispondere prima a se stessi, poi agli altri, circa le proprie azioni, e circa le azioni compiute da altri, che sono a noi strettamente collegati; così come un datore di lavoro risponde dei suoi impiegati e del buon funzionamento dell’azienda e del risultato finale. D’altro canto la responsabilità sembra collegata anche alla consapevolezza di avere tale responsabilità, cioè di dover rispondere di se stessi. Non si può prescindere, quindi, dal vedere che le azioni che compiamo hanno un effetto pratico, nella realtà che ci circonda, a più livelli: fisico, emotivo, morale ed etico. È, quindi, ancora più importante nell’ambito di professioni basate su una “relazione d’aiuto” essere coscienti delle proprie responsabilità, per orientare i propri pensieri, emozioni ed azioni, sapendo che condizionano i soggetti cui sono destinati i nostri servizi, noi stessi e i nostri colleghi.


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IN PRIMO PIANO

Affronteremo il tema grazie all’intervento di docenti esperti nella materia, quali il professor Alessandro Sicora, il dottor Massimiliano Giocanda e la dottoressa Monica Fratta. Durante la mattinata e al termine del convegno l’area Residenziale Anziani della Cooperativa

Itaca sarà lieta di offrire coffee break e buffet. Informazioni, a partire dal 20 settembre, alla segreteria dell’area Anziani: 0434 366064 (Antonella Negrini). Anna LA DIEGA

Tavola rotonda a Sacile

Dall’assistenza domiciliare al sistema domiciliarità Un ponte fra passato e futuro

E io spettatore seduto In una sala vuota, i palchi deserti, le luci spente, resto il solo del mio tempo, davanti al sipario abbassato, con il silenzio e la notte F.R. Chateaubriand

Presentazione di una esperienza da parte di una associazione di volontariato. La non autosufficienza e la deprivazione socio economica. Lo stato dell’arte in Fvg Studi nazionali e internazionali segnalano una relazione tra deprivazione socio economica e rischio di disabilità e non autosufficienza.

Sacile L’area Domiciliare Anziani organizza a fine ottobre a Sacile, in collaborazione con l’Ambito di Sacile, una tavola rotonda avente come argomento lo sviluppo della domiciliarità. “Dall’assistenza domiciliare al sistema domiciliarità. Un ponte fra passato e futuro” nasce come idea dal lungo lavoro svolto dall’area che ha visto la responsabile Leopoldina Teston intervistare l’84% dei responsabili di Ambito del Friuli Venezia Giulia e che merita alcune riflessioni sui dati emersi. A ciò va aggiunto il lavoro che si sta realizzando in regione sul piano dello sviluppo della domiciliarità. Diversi gli spunti di riflessione dell’appuntamento convegnistico sacilese, che qui di seguito si riassumono. Diventare anziani oggi: bisogni, pregiudizi e opportunità La solitudine e le conseguenze dell’emarginazione Pensare e progettare servizi, iniziative culturali, strutture per persone anziane oggi richiede uno sforzo di approfondimento anche sociologico e una vision proiettata verso il futuro. La vecchiaia come risorsa: il volontariato attivo

Il piano della domiciliarità: l’esperienza dell’Ambito di Sacile L’ambito socio assistenziale, assieme al Comune di Sacile, ha avviato un lavoro inerente il tema della domiciliarità che verrà illustrato durante i lavori della giornata. L’evoluzione delle professioni di cura nei servizi socio assistenziali Dal cambiamento dei bisogni al cambiamento delle risorse e la qualità attesa dell’utente. Modelli a confronto: scambi di esperienze fra le regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto. Le carte vincenti sono senza dubbio l’efficienza gestionale basata su flessibilità e competenze diversificate nell’erogazione, sotto la stessa unità di direzione, di attività svolte in regimi giuridici e organizzativi diversi. La giornata di lavoro – che sarà dedicata alla discussione del “fenomeno” della popolazione anziana che vive al’interno del proprio domicilio - avrà l’obiettivo di aprire riflessioni e fare il punto sull’avanzamento relativo alle azioni innovative di sistema, attraverso le quali ci si propone di incrementare l’efficacia delle politiche regionali a favore della popolazione tutta.

Per avvicinarci alla Città e avvicinare la Città

ApertaMente a Fossalato

Festa il 16 settembre al Centro polifunzionale con musica e poesia Portogruaro Festa al Centro polifunzionale psichiatrico di Fossalato di Portogruaro venerdì 16 settembre, dalle 18.30 cena insieme a familiari, ospiti, operatori e amici delle associazioni locali. “ApertaMente” a Fossalato – questo il nome della manifestazione - durante la serata proporrà musica con gruppi musicali giovanili del territorio e la presentazione dell’ultima raccolta poetica di Fabio Franzin “Coe man monche”, edizioni Le Voci Della Luna,

curata da Francesco Tomada. Organizzazione a cura di Centro salute mentale di Portogruaro, AITSaM di Portogruaro, Cooperativa sociale Itaca e Consorzio Insieme, Consiglio comunale Giovani di Portogruaro e associazione culturale Porto dei Benandanti di Portogruaro con il Patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Portogruaro. La festa è aperta a tutti i cittadini per avvicinarci alla Città e avvicinare la Città.


IN PRIMO PIANO

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Fondo sanitario integrativo

Una nuova forma di mutualità per i soci allo studio del CdA di Itaca Pordenone Ci muoviamo esattamente nell’ambito del principale obiettivo che Itaca si è dato dalla sua costituzione, ben espresso dall’art. 2 dello Statuto (“oggetto sociale”): “lo scopo mutualistico che i soci lavoratori della Cooperativa intendono perseguire è quello di ottenere, tramite la gestione in forma associata, continuità di occupazione lavorativa e le migliori condizioni sociali, professionali ed economiche”. Così, ad incrementare le forme di mutualità già presenti – a livello di inquadramenti, di tutela della maternità, di prestito sociale, e che già da sole rappresentano un significativo miglioramento delle condizioni economiche applicate - il CdA della Cooperativa Itaca è al lavoro per implementare ulteriormente il ventaglio di tali interventi: tra i molteplici strumenti presi in considerazione, è ora allo studio l’istituzione di un Fondo sanitario integrativo aziendale. L’ipotesi è quella di un fondo integrativo sanitario con cui garantire agli aderenti prestazioni concordate a fronte di un esborso pro-capite annuo predeterminato, tenendo presente le seguenti esigenze: 1) La prima è quella del contenimento del costo ma a fronte di un livello delle prestazioni comunque significativo e soprattutto effettivamente utilizzabili da tutti i soci – e non solo da quelli che ne hanno una specifica necessità contingente: quindi prestazioni che riguardino anche medicina preventiva (leggi check up), o conservativa (pulizia dei denti); 2) Diventa poi importante prevedere una modalità di accesso al Fondo che spinga ad una adesione il più massiccia possibile della base sociale – che non può prescindere da una forte azione di divulgazione (utilizzando gli incontri preparatori

alla consueta assemblea di ottobre/novembre che potrebbe essere incentrata sull’argomento): un preventivo, informato coinvolgimento dell’Assemblea dei soci diventa un passaggio fondamentale; 3) La scelta di un partner affidabile, abituata alla gestione autonoma delle prestazioni e della liquidazione delle somme (senza coinvolgimento della cooperativa) e territorialmente presente per svolgere correttamente la propria funzione nei confronti dei soci. E’ necessario infatti che lo strumento venga vissuto per quello che è davvero, cioè un effettivo vantaggio che non può essere poi frustrato da estenuanti aggravi burocratici per ottenere il rimborso; 4) La considerazione del fatto che nella piattaforma del nuovo C.C.N.L. è previsto, tra gli elementi caratterizzanti, anche la tutela integrativa sanitaria – e quindi comunque si dovrà andare in questa direzione. Infatti nei recenti rinnovi dei contratti o accordi collettivi, le associazioni datoriali e sindacali hanno disposto, attraverso l`avvio di apposite casse, la costituzione di un canale parallelo in grado di fornire prestazioni sanitarie di carattere integrativo rispetto a quelle erogate dal servizio pubblico. I Fondi sanitari integrativi, per legge, devono necessariamente destinare almeno il 20% delle risorse totali impiegate per tutte le prestazioni, per poter fruire delle agevolazioni fiscali previste. beneficio prevede che i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ai fondi integrativi non concorrono a formare il reddito imponibile del lavoratore dipendente, per un importo massimo di 3.615,20 euro: la forma di agevolazione fiscale scelta dal legislatore è dunque quella della deducibilità, certo la più vantaggiosa avendo come soglia minima quella del 23% del reddito imponibile.

Alcune domande e risposte sull’assistenza sanitaria integrativa Assistenza sanitaria integrativa, di cosa si tratta? Sono fondi che gestiscono trattamenti sanitari e assistenziali supplementari, integrativi delle prestazioni obbligatorie rese dal servizio sanitario pubblico; quindi sono fondi che ai lavoratori di avere un rimborso anche parziale di alcune spese sanitarie sostenute (e ovviamente non supportate dal Servizio Sanitario Nazionale). Posso avere un esempio dei rimborsi? Ogni fondo prevede uno specifico elenco di interventi

assicurati, che possono essere parzialmente personalizzati. Per esempio possono essere rimborsati: • il 100% dei ticket delle prestazioni diagnostiche o con massimali annui prestabiliti per alcuni tipi di prestazione • le eventuali spese correlate ad un grande intervento chirurgico, • le ecografie e le analisi clinico chimiche effettuate in gravidanza • le cure odontoiatriche con massimali annui prestabiliti


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IN PRIMO PIANO

Come funziona? Ci sono contratti di lavoro che già prevedono la sanità integrativa e l’eventuale quota di compartecipazione alla spesa da parte del lavoratore. In ogni caso, quando l’attivazione trae origine da un regolamento ‘aziendale’, il datore di lavoro sottoscrive una convenzione, per esempio con una Società di Mutuo Soccorso, valida per la generalità dei lavoratori; successivamente, per beneficiare delle prestazioni previste, è condizione essenziale che il lavoratore sottoscriva personalmente l’adesione. Ma per poter beneficiare delle prestazioni, devo andare in posti specifici? Trattandosi di interventi ulteriori (e non sostitutivi del SSN) ciascun fondo, seppur con specifiche differenze, prevede diverse opzioni: • si può andare presso le strutture pubbliche e si può ottenere quindi il rimborso totale o parziale del ticket pagato; • si può andare in strutture private convenzionate con alcuni Fondi e per alcune tipologie di prestazioni (per esempio per l’alta diagnostica o per le prestazioni dentistiche) e si può ottenere quindi il rimborso totale o parziale del pagamento della prestazione; • si può andare in strutture private non convenzionate o in regime privato, pagare la prestazione e ottenerne il rimborso parziale. Quanto costa effettivamente? Il costo dipende dalla tipologia di fondo attivato e quindi di prestazioni integrative al servizio pubblico: per costi che variano dai € 70 ai € 300 annui a persona si possono avere fondi già abbastanza adeguati.

Chi paga? Paga il datore di lavoro con eventuale compartecipazione del lavoratore. La compartecipazione alla spesa è prevista dai contratti collettivi di lavoro o, in assenza, da accordi aziendali interni. Qual è il regime fiscale applicato ai fondi? Per legge, le somme pagate per i fondi sanitari integrativi non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente e sono tassate con un contributo di solidarietà del 10% a carico del datore di lavoro e sono deducibili fiscalmente per i lavoratori. E’ possibile assicurare i familiari? E’ possibile prevederlo, ma comunque a richiesta del lavoratore (e verosimilmente con oneri a suo carico). Chi rimborsa le spese? Le spese non sono rimborsate dal datore di lavoro e non vengono rimborsate in busta paga. Cosa si deve fare – e in che tempi - per chiedere il rimborso delle spese? Si deve compilare uno specifico modulo predisposto dal fondo stesso e spedirlo o consegnarlo presso le sedi territoriali della Mutua gestrice del Fondo entro e non oltre i 12 mesi successivi la spesa sostenuta. Si può fare anche la richiesta in un’unica soluzione; per esempio che chi, entro la fine di ogni anno, mette insieme tutte le ricevute e presenta richiesta di rimborso. Solitamente le somme vengono accreditate (o rimborsate con assegno) entro poche settimane. Il Fondo ogni anno manda al lavoratore il riepilogo delle spese rimborsate anche per consentire ai lavoratori di scaricare fiscalmente l’eccedenza non rimborsata.

Vuoi contribuire a La Gazzetta? Invia il tuo articolo, meglio se corredato da immagini in allegato jpg, a: f.dellapietra@itaca.coopsoc.it oppure al fax 0434 253266. Per informazioni chiama il 348 8721497. Il termine ultimo per il numero di ottobre è lunedì 26 settembre alle ore 12. Ricordo a tutti/e che le immagini a corredo dei vostri articoli NON vanno impaginate all’interno del file word, ma devono essere inviate in allegato jpg (via mail) o consegnate a mano.

Il 14 luglio è nata Greta, la bimba della nostra socia Elisabetta Leita (lavora al Gau di Udine). I colleghi dell’Ambito di Maniago si congratulano con la mamma Marzia Versolatto e il papà Simone per l’arrivo di Daniele, nato il 25 luglio! “Fiocchi blu a Villa Veroi, in questa calda estate sono venuti alle luce due splendidi fanciulli. Sono nati Matteo, figlio della socia Tamara Venturini, e Jacopo, figlio della coordinatrice Lisa Zambelli. Tante tante tante felicitazioni alle mamme, ai papà ed alle sorelline da parte di tutta la comunità Villa Veroi e dall’intera area produttiva! E benvenuti a Greta, Daniele, Matteo e Jacopo!


attualità

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La cooperazione si fa Stato

“A Pordenone si fa festa ed a Napoli si muore: vado a Napoli” Quando si dice la coincidenza

Udine 4 luglio 2011 Mercoledì e giovedì scorso sono stato a Napoli, chiamato dagli amici dell’Airsam di Pd (che dagli anni ‘70 vuol dire Psichiatria Democratica) e del Consorzio Gesco, roccaforte di Legacoopsociali campana, per dire quattro parole in un convegno sulla Salute Mentale. Un viaggio “toccata e fuga”, ma allietato dal fatto che mi sono letto un libro intero andata e ritorno sul treno. Le uniche soste assurde, come al solito, le ho fatte a Mestre - snodo di quel Nordest dove mezzo secolo fa si invocavano le provvidenze della Cassa del Mezzogiorno, e fra un po’ torneremo a farlo - mentre come al solito la moderna stazione dell’antica capitale borbonica si merita l’eredità dei primi treni che solcarono la Penisola. L’amico Fedele, psichiatra tra i promotori dell’evento, nell’accompagnarmi nella calda serata partenopea mi faceva notare come, dopo l’elezione di De Magistris a sindaco, si potessero vedere perfino le volanti della polizia fermare e multare qualche automobilista indisciplinato. Ma la curiosità, quella vera, era per i mucchi di immondizie, quelli che si continuano a vedere in televisione. Quasi nessuna traccia. Venerdì, per spiegarne l’entità ai colleghi di Legacoop riuniti in assemblea a Trieste, facevo l’esempio della non esatta igiene ausburgica delle strade interne del porto adriatico. Certo, meglio della Roma veltroniana ed alemanna, da sempre disordinata e lurida oltre ogni dire. Nella notte il caldo mi ha fatto passare qualche tempo ad osservare in diretta il servizio di raccolta rifiuti. Nel viale per Capodimonte, a pochi passi dal ponte che sorvola il quartiere di Sanità, la raccolta avveniva addirittura già con elementi di differenziata: i mucchi di cartoni abbandonati fuori dei bidoni vuoti alle prime ore del nuovo giorno, all’alba erano tutti rigorosamente spariti. Chissà se per farmi uno scherzo (anche se giurano di no), i colleghi di Gesco mi hanno fatto dormire in uno splendido villino ottocentesco, proprietà di due insegnanti di educazione artistica in pensione. Abbiamo finito per argomentare sul fatto se siano più ottusi i leghisti varesotti (dove loro avevano lavorato a lungo) o quelli veneto-friulani, ma non siamo riusciti a giungere ad una conclusione unanime: la materia era troppo influenzata da crisi di ribrezzo. Ma fuori, su una stele (che il padrone di casa vorrebbe presto restaurare - e mica è cosa sua: è un monumento pubblico, ed è per quello ci tiene!), l’antico motto umbertino mi ammoniva: “A Pordenone si fa festa ed a Napoli si muore: vado a Napoli”. Quando si dice la coincidenza. L’indomani, il convegno viene inaugurato da un puntualissimo sindaco. De Magistris riesce a farti sentire

sensazioni strane: come quando, all’incipit, afferma che la Salute Mentale non è un problema specialistico, ma generale, e che tutti prima o poi, compreso il sindaco di Napoli, hanno momenti di disperazione. Per cui la pazzia finisce per essere uno dei pochi criteri cui ispirarsi, come hanno fatto lui e gli altri che hanno sconfitto un intero sistema politico e liberato la loro città. Come fanno i valsusini che difendono la loro valle (lo ha detto lui, non io, ma modestamente mi associo). Lo spirito delle assemblee basagliane non avrebbe potuto aleggiare più vicino. Il resto della giornata è solo la prova generale di un movimento che per lunghi mesi, dalla fine del 2010, ha posto sotto denuncia le politiche di distruzione del Welfare italiano. Che a Napoli hanno portato a chiudere strutture di cooperative sociali, per trasferire gli utenti - a costi lievitati a livelli astronomici - nelle cliniche private. I centri diurni chiusi hanno lasciato gli utenti a casa, soggetti al moltiplicarsi dei ricoveri ed alla disperazione delle famiglie. L’inserimento lavorativo diventa inavvicinabile, in una città angustiata dalla disoccupazione di massa, dove i cooperatori sociali attendono la paga da molti mesi, a causa delle irresponsabilità istituzionali. Intanto le esperienze positive stanno lì, a dimostrare che “un altro mondo è possibile”. Come il gruppo appartamento gestito quasi a costo zero, le cui tre utenti intervengono in assemblea con lucidità. Come gli operatori pubblici che non si rassegnano a diventare somministratori di farmaci e ricette per i ricoveri nei nuovi manicomi. Come i cooperatori che costituiscono i principali presidi sociali in quartieri come Secondigliano, dove c’è l’Aquilone, la più grande delle cooperative di Gesco. Ed i ragazzi dei centri estivi che per primi, con gli operatori, sono scesi nelle piazze cittadine per iniziare la raccolta differenziata. All’assessorato ai servizi sociali del Comune ora non c’è più l’esponente di Sel che aveva assistito inerte all’accumularsi di 3 anni di ritardi nei pagamenti alle cooperative sociali. Abbracciato e baciato che neanche la Madonna, ora c’è Sergio D’Angelo, l’ex presidente di Gesco ed ex vicepresidente di Legacoopsociali nazionale. Il tempo è poco ma l’impegno è solenne: tornare giù appena possibile, per un viaggio di studio su come “la cooperazione si fa Stato” nelle condizioni più difficili. In fondo il mio primo lavoro sociale l’ho appreso nell’Irpinia del dopo-terremoto, quando le compagne del “manifesto” locale mi dicevano che era “come faceva S. Luigi Gonzaga” (ed infatti...), ed io argomentavo che l’assistenza domiciliare era invece un pezzo dello Stato sociale europeo. Gigi BETTOLI Presidente Legacoopsociali Fvg


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attualità L’appello di padre Alex Zanotelli

Manovra e armi: “Il male oscuro” Dal sito www.ildialogo.org

Napoli

impegnati in politica. Il Vangelo di Gesù è la buona novella della pace: è Gesù che ha inventato la via della nonviolenza attiva. Oggi nessuna guerra è giusta, né in Iraq, né in Afghanistan, né in Libia. E le folle somme spese in armi sono pane tolto ai poveri, amava dire Paolo VI. E da cristiani come possiamo accettare che il governo italiano spenda 27 miliardi di euro in armi, mentre taglia 8 miliardi alla scuola e ai servizi sociali? Ma perché i nostri pastori non alzano la voce e non gridano che questa è la strada verso la morte?

In tutta la discussione nazionale in atto sulla manovra finanziaria, che ci costerà 20 miliardi di euro nel 2012 e 25 miliardi nel 2013, quello che più mi lascia esterrefatto è il totale silenzio di destra e sinistra, dei media e dei vescovi italiani sul nostro bilancio della Difesa. E’ mai possibile che in questo paese nel 2010 abbiamo speso per la difesa ben 27 miliardi di euro? Sono dati ufficiali questi, rilasciati lo scorso maggio dall’autorevole Istituto Internazionale con sede a Stoccolma (Sipri). Se avessimo un orologio taraE come cittadini in questo mowww.fuorilemura.com to su questi dati, vedremmo mento di crisi, perché non griche in Italia spendiamo oltre 50.000 euro al minuto, diamo che non possiamo accettare una guerra in Afgha3 milioni all’ora e 76 milioni al giorno. Ma neanche se nistan che ci costa 2 milioni di euro al giorno? Perché fossimo invasi dagli Ufo, spenderemmo tanti soldi a dinon ci facciamo vivi con i nostri parlamentari perché fenderci!! votino contro queste missioni? La guerra in Libia ci è E’ mai possibile che a nessun politico sia venuto in costata 700 milioni di euro! mente di tagliare queste assurde spese militari per Come cittadini vogliamo sapere che tipo di pressione ottenere i fondi necessari per la manovra invece di fanno le industrie militari sul Parlamento per ottenere farli pagare ai cittadini? Ma ai 27 miliardi del Bilancio commesse di armi e di sistemi d’armi. Noi vogliamo saDifesa 2010, dobbiamo aggiungere la decisione del pere quanto lucrano su queste guerre aziende come la governo, approvata dal Parlamento, di spendere nei Fin-Meccanica, l’Iveco-Fiat, la Oto-Melara, l’Alenia Aeprossimi anni, altri 17 miliardi di euro per acquistaronautica. Ma anche quanto lucrano le banche in tutto re i 131 cacciabombardieri F 35. Se sommiamo quequesto. sti soldi, vediamo che corrispondono alla manovra E come cittadini chiediamo di sapere quanto va in tandel 2012 e 2013. Potremmo recuperare buona parte genti ai partiti, al governo sulla vendita di armi all’estedei soldi per la manovra, semplicemente tagliando le ro (ricordiamo che nel 2009 abbiamo esportato armi spese militari. A questo dovrebbe spingerci la nostra per un valore di quasi 5 miliardi di euro). Costituzione che afferma :”L’Italia ripudia la guerra E’ un autunno drammatico questo, carico di gravi docome strumento per risolvere le controversie internamande. Il 25 settembre abbiamo la 50° Marcia Perugiazionali…” (art.11) Ed invece siamo coinvolti in ben due Assisi iniziata da Aldo Capitini per promuovere la nonguerre di aggressione, in Afghanistan e in Libia. La violenza attiva. Come la celebreremo? Deve essere una guerra in Iraq (con la partecipazione anche dell’Italia), marcia che contesta un’Italia che spende 27 miliardi di le guerre in Afghanistan e in Libia fanno parte delle euro per la Difesa. cosiddette “guerre al terrorismo”, costate solo agli Usa E il 27 ottobre sempre ad Assisi , la città di S. Franceoltre 4.000 miliardi di dollari (dati dell’Istituto di Stusco, uomo di pace, si ritroveranno insieme al Papa, i di Internazionali della Brown University di New York). leader delle grandi religioni del mondo. Ci aspettiamo Questi soldi sono stati presi in buona parte in prestito un grido forte di condanna di tutte le guerre e un invito da banche o da organismi internazionali. Il governo al disarmo. Usa ha dovuto sborsare 200 miliardi di dollari in dieci Mettiamo da parte le nostre divisioni, ricompattiamoci, anni per pagare gli interessi di quel prestito. Non poscendiamo per strada per urlare il nostro no alle spese trebbe essere, forse, anche questo alla base del crollo militari, agli enormi investimenti in armi, in morte. delle borse? La corsa alle armi è insostenibile, oltre che essere un investimento in morte: le armi uccidono Che vinca la Vita! soprattutto civili. Alex ZANOTELLI Per questo mi meraviglia molto il silenzio dei nostri vescovi, delle nostre comunità cristiane, dei nostri cristiani PER ADERIRE ALL’APPELLO www.ildialogo.org


attualità

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Una delegazione italo-americana in Afghanistan

Contro la violenza, la guerra e il terrorismo La Tavola della pace e i familiari delle vittime dell’11 settembre vanno a Kabul

Perugia – New York A dieci anni dall’attentato che l’11 settembre 2001 distrusse le torri gemelle di New York e dall’inizio della guerra in Afghanistan, la Tavola della pace e l’associazione americana dei familiari delle vittime dell’11 settembre Peaceful Tomorrows hanno deciso di andare insieme a Kabul per dire basta alla violenza, alla guerra e al terrorismo. Una delegazione italo-americana si è recata a Kabul dal 31 agosto al 5 settembre 2011 per incontrare i familiari delle vittime del terrorismo e della guerra, le organizzazioni della società civile afgana e i rappresentanti delle principali organizzazioni internazionali presenti in Afghanistan. La missione di pace, organizzata grazie alla collaborazione di Afgana e del Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, si svolge alla vigilia della Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza dei popoli del 25 settembre 2011. La delegazione era composta da Arpaia, September 11th Families for Peaceful Tomorrows, Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace, Giordana, Coordinatore di Afgana,Mario Galasso, Assessore alla pace e alla cooperazione internazionale della Provincia di Rimini, Ferrari, Assessore alla pace e cooperazione Internazionale del Comune di Lodi, Dell’Olio, Responsabile Internazionale di Libera, Morgantini dell’Associazione per la pace, Sacco di Pax Christi.

Dopo dieci anni di “guerra al terrorismo”, la violenza, la miseria e l’insicurezza continuano a dominare la vita quotidiana del popolo afgano e dell’intera regione. Osama Bin Laden è stato ammazzato ma noi siamo ancora profondamente coinvolti in questa tragedia senza sapere come uscirne. Se ne parla malamente solo quando muore qualcuno dei nostri soldati. Poi nulla più. Eppure non possiamo smettere di porci alcune domande: a cosa è servito scatenare una simile guerra? Davvero non si poteva fare diversamente? E ora, cosa dobbiamo fare? La missione della Tavola della pace e di Peaceful Tomorrows ha voluto innanzitutto essere un forte gesto di solidarietà con il popolo afgano e rendere omaggio a tutte le vittime della guerra e del terrorismo. A loro è stata consegnata la “Luce di Assisi”, la lampada ideata dai francescani a simbolo della pace che dobbiamo impegnarci a costruire. Allo stesso tempo la delegazione intendeva raccogliere valutazioni e proposte per uscire da questa drammatica situazione ascoltando le diverse espressioni della società civile afgana e i rappresentanti delle principali istituzioni internazionali presenti a Kabul. La missione ha voluto dare seguito agli impegni assunti dalla società civile italiana in occasione delle Conferenze della società civile afgana di Kabul (marzo 2011) e di Roma (maggio 2011) organizzate da Afgana. www.perlapace.it

(La Libia) Non è Srebrenica (ma la guerra è la stessa)

Rovereto Il fallimento della comunità internazionale durante la guerra in Bosnia Erzegovina è stato utilizzato negli anni successivi per giustificare interventi armati in situazioni di crisi. La vicenda libica ne è l’ultimo esempio. Note a margine di un articolo di Adriano Sofri. Strano destino, quello di Srebrenica. Le sue vittime, dimenticate per anni, sono tornate alla ribalta. Mai più Srebrenica. Vuol dire mai più massacri di civili nell’indifferenza della comunità internazionale. Giusto. Dietro questo slogan, però, troppo spesso si nascondono altre ingiustizie, altri massacri. Adriano Sofri, in un editoriale di sostegno all’intervento della Nato e degli altri alleati in Libia, scrive sul quotidiano la Repubblica: “Che cosa sarebbe accaduto della popolazione indifesa di una grande città come Bengasi [...]? Sarebbe accaduto o no quello che Gheddafi e i suoi ferocemente giuravano? Non si sarebbe parlato di Srebrenica se Srebrenica fosse stata prevenuta...”.

Già, ma il problema sta nelle forme della prevenzione. A Srebrenica c’era un esiguo contingente di olandesi, con armi leggere, assolutamente inadeguato per affrontare l’esercito serbo bosniaco. L’enclave, di fatto, non era difesa. Nessuno era interessato alla sorte dei bosniaci, e i macellai aspettavano solo il segnale di via libera, puntualmente arrivato alla fine di giugno di quella tragica estate. Se avesse avuto di fronte un esercito di caschi blu, Mladić non avrebbe potuto attaccare. Il fatto che allora non ci sia stata interposizione, però, non può servire oggi per giustificare la guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali. Bisognerebbe piuttosto discutere di come dotarsi di strumenti efficaci per il mantenimento della pace. Il mantenimento della pace Guerra e interposizione, guerra e mantenimento della pace sono categorie differenti. Vale la pena ricordarlo. Sofri scrive che “la contraddizione è largamente inevitabile nel sistema di relazioni internazionali”. È vero. Questa però vale come constatazione, non come pro-


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gramma. Eccessive iniezioni di realismo cambia molto. Nessuno piange per la portano a perdere la bussola. In una scomparsa di Gheddafi dalla scena posituazione di conflitto aperto, la comulitica. Ma su quali basi si fonda la nuonità internazionale deve intervenire a va Libia? In questi mesi, purtroppo, protezione dei civili. Ma l’intervento non non abbiamo assistito alla rappresenpuò che avvenire per il mantenimento tazione della giustizia internazionale, della pace, non per creare altre vittime della protezione dei diritti umani. Se e altri lutti. le navi e gli aerei della Nato fossero Dopo Srebrenica, invece, il massacro stati nel Mediterraneo per difendere dei bosniaci è stato utilizzato per giui diritti umani, non avrebbero lasciastificare nuove guerre, condotte da to morire decine di profughi sulle loro Foto Reuters Suhaib Salem autoproclamate “polizie internazionali”. barche, violando oscenamente il diritGli interventi di queste forze (1999 Kosovo, 2001 Afghato del mare oltre che le più elementari norme del diritto nistan, 2003 seconda guerra del Golfo, 2011 guerra di internazionale umanitario, secondo quanto denunciato Libia) hanno però lasciato alle loro spalle, oltre ad una dai pochi sopravvissuti e dall’inchiesta del quotidiano brilunga scia di morti, una lunga scia di problemi irrisolti. tannico The Guardian. Non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. La nuova Libia, purtroppo, nasce sulle stragi dei migranDopo l’intervento Nato in Kosovo, i serbi sono dovuti, così come 15 anni fa la Bosnia Erzegovina nasceva ti fuggire, come prima fuggivano gli albanesi. La crisi sulle fosse comuni. La comunità internazionale ha fallito di quest’estate a Mitrovica nord, gli scontri a Jarinje e in entrambi i casi. Discutiamo di come creare meccaniBrnjak, mostrano che, dieci anni dopo, la situazione è smi efficaci di interposizione, torniamo a chiedere una tutt’altro che risolta. Organizzazione delle Nazioni Unite che sia coerente con il suo patto fondativo. Il feticcio della guerra ha già tropIl feticcio della guerra pi adepti. Un conto è mettersi in mezzo, altro è schierarsi con una parte contro l’altra. Dal punto di vista delle possibilità Andrea ROSSINI reali di elaborazione di un conflitto, di costruzione di Osservatorio Balcani e Caucaso una società accogliente per le sue diverse componenti, www.balcanicaucaso.org

11 settembre 2001-2011

La Cia sapeva tutto e non informò l’Fbi New York Diciotto mesi prima della strage dell’11 settembre la Cia era sulle tracce di due dei 19 futuri dirottatori, i sauditi Khaled al-Mihdhar e Nawaf al-Hamzi. Sapeva che erano negli Stati Uniti e ha impedito all’Fbi di scoprirlo. A distanza di dieci anni dagli attacchi alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono di Washington, Richard Clarke, zar dell’antiterrorismo alla Casa Bianca, intervistato dalla tv franco-tedesca Arte, lancia il suo j’accuse: “Perché la Cia non ha avvertito il governo americano sulla presenza, nel nostro suolo, di due uomini di Al Qaeda? È uno dei grandi misteri dell’11 settembre”. La commissione d’inchiesta del Congresso, creata per risolverli, non ha approfondito la questione. Nelle sue memorie pubblicate sei anni fa, Richard Clarke dedica solo poche righe a quell’episodio. Oggi, però, per la prima volta, chiama in causa il ruolo dell’”agenzia”. Nuovi elementi, raccolti da Arte per un documentario, portano a un’ipotesi sconcertante: la “sorveglianza” sui due sauditi si sarebbe inserita in un’operazione, poi fallita, di grande portata della Cia contro Al Qaeda. Yemen, la centrale del terrore Tutto comincia nel ’98 quando i servizi Usa intercettano alcune conversazioni in una casa di Sanaa, capitale dello Yemen: è la “centrale del terrore”di Al Qaeda. Qui

i jihadisti ricevono istruzioni e lasciano messaggi. Tra il ’96 e il ’98 quel numero è stato chiamato più di 200 volte da Osama Bin Laden e dai suoi fedelissimi. E alla fine di dicembre ’99 scatta l’allarme, grazie a una telefonata dall’Afghanistan. Bin Laden ordina a Khaled e Nawaf di recarsi subito a Kuala Lumpur, Malesia. Qui è previsto il meeting preparatorio per la missione dell’11 settembre. Ma la Cia è all’erta. La “Alec Station”, l’unità speciale costituita al suo interno per occuparsi di Bin Laden, identifica Khaled al-Mihdhar e Nawafal-Hazmi. La caccia inizia. Il 5 gennaio 2000, in viaggio verso Kuala Lumpur, Khaled viene rintracciato in transito a Dubai. Il suo passaporto, con visto d’ingresso negli Usa, verrà fotocopiato e spedito al quartier generale della Alec Station. Dove lo riceveranno anche due agenti dell’Fbi, lì distaccati come liaison officers, Mark Rossini e Doug Miller. Stanno per mandare un rapporto in materia ai loro superiori di Washington quando il numero due della Alec Station, Tom Wilshire, dal quale ora dipendono gerarchicamente, li blocca. Rossini però protesta, esige un motivo. Wilshire lo gela: “Quando vorremo informare l’Fbi, lo faremo noi”. La riunione di Kuala Lumpur Il 5 gennaio, a Kuala Lumpur, agenti della “Special Branch” malese controllano il rendez-vous di Al Qaeda per conto della Cia. E pedinano Khaled fino a un lussuoso appartamento di proprietà di un ricco uomo d’affari malese simpatizzante di Al Qaeda. Presiede il summit


attualità di dodici persone Khaled Sheik Mohammed, il cervello dell’11 settembre. Scopo: organizzare due attentati: quello dell’ottobre 2000 al cacciatorpediniere Uss Cole nel porto di Aden e, appunto, quello delle Torri Gemelle. Ma gli agenti malesi non riescono a piazzare le cimici. Si limitano a stare alle costole di Mihdhar e Hamzi, per poi vedere il loro aereo decollare verso Bangkok. L’8 gennaio i due sauditi atterrano all’aeroporto tailandese, spiati dalla Cia, che li perde di vista. Mark Rossini, intervistato da Arte, commenta: “Ero molto preoccupato. Quei due stavano per giungere qui, e non certo in visita turistica. Avevo capito che il loro viaggio faceva parte di un piano. Mi chiedevo: ‘Che cosa vengono a fare da noi? Che cosa vogliono?’”. Percezione esatta. Il 15 gennaio 2000 Khaled e Nawaf sbarcano proprio a Los Angeles. Qui vengono accolti dal saudita Omar alBayoumi, ex impiegato al ministero della Difesa, vicino all’intelligence del regno arabo. E vanno a vivere a San Diego, dove seguono corsi d’inglese e di pilotaggio. Primi di marzo. Alla Alec Station ricevono posta dalla Cia di Bangkok. Con due mesi di ritardo apprendono che Khaled e Nawaf sono partiti per l’America. Da questo momento l’“agenzia” sa che i due jihadisti sono negli Usa. Ma continua a tagliar fuori l’Fbi. Visti per l’11 settembre Fine maggio 2000. Khaled al-Mihdhar vuole rimpatriare nello Yemen: è appena diventato padre, ci tiene a vedere sua figlia. Il 9 giugno Khaled salta su un aereo e raggiunge Sanaa. Nei mesi successivi andrà in Afghanistan e prenderà parte all’assalto alla Uss Cole di sei mesi dopo. A San Diego è rimasto l’amico Nawaf, tutto il giorno a navigare su Internet, leggere bollettini su Bosnia e Cecenia, ricevere messaggi da Khaled Sheik Mohammed. Il tempo passa. Nel maggio 2001 Khaled si sposta ancora, destinazione Arabia Saudita. Viaggia con un documento a suo nome, che riporta un segno distintivo invisibile ad occhio nudo, ma che lo qualifica come sospetto terrorista. I servizi sauditi lo segnalano subito agli americani. Per parte sua Khaled ha un problema. Deve ritornare negli Stati Uniti, ma ha un passaporto “pericoloso”, tutti quei timbri afgani e yemeniti, in grado di allertare i doganieri Usa. Studia il rimedio. Sosterrà che “quel” documento gli è stato rubato. Il primo giugno ne ottiene uno nuovo, sempre dotato della solita “stampigliatura”, ma che, per una ragione incomprensibile, non ha data di scadenza. Nessuno se ne accorge, nemmeno il consolato Usa di Gedda che appone il visto il 13 giugno. Una firma illegittima. Perché Khaled ha mentito scrivendo, nell’apposito formulario, di non aver mai messo piede negli Usa. Paradossale. Era stato quello stesso consolato a concedergli il visto in precedenza, nel dicembre ’99. Il 4 luglio, giorno della festa nazionale Usa, due mesi prima dell’11 settembre, Khaled rientra in America, con un passaporto pieno di “buchi”, bollato come terrorista, dopo essere stato monitorato dai servizi americani, malesi, tailandesi e sauditi. L’allarme dell’intelligence In tutto questo periodo la Cia lancia l’allarme: è in vista un attentato. Il 10 luglio 2011 il suo direttore George

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Tenet incontra Condoleezza Rice, consigliere per la sicurezza del presidente George W. Bush. Lo accompagna il responsabile della Alec Station, Richard Blee, che annuncia: “Ci saranno azioni spettacolari nelle prossime settimane o mesi. Avranno luogo simultaneamente contro interessi americani, forse all’interno degli Stati Uniti, e provocheranno danni gravissimi”. Il numero 2 della stessa Alec Station, Wilshire, è stato intanto trasferito al quartier generale dell’Fbi, come ufficiale di collegamento. Forse per assicurare che non vi siano fughe di notizie riguardanti KualaLumpur? Quel summit lo assilla. A fine maggio chiede a Margaret Gillespie, un’analista dell’Fbi, di passare in rassegna, ma “senza urgenza”, e nel tempo libero, tutti i fatti di Kuala Lumpur. Omette di aggiungere che almeno due dei presenti a quell’appuntamento, Khaled alMihdhar e Nawaf al-Hazmi, sono arrivati negli Stati Uniti il 15 gennaio 2000. L’ultima chance Il 21 agosto, a venti giorni dalla strage, miss Gillespie ritorna dalle vacanze e finalmente riesce ad esaminare il memo della Alec Station dal quale risulta che “due sauditi di San Diego ”sono in America da tempo. Subito scopre che: al-Hazmi è sempre lì, dove ha preso lezioni di volo; al-Mihdhar è rientrato il 4 luglio e non si è più mosso. “Mi si è accesa una lampadina”, ammetterà in seguito. Il giorno dopo la Gillespie riferisce l’esito delle sue ricerche a Wilshire. Che questa volta non può più mettere i bastoni tra le ruote. L’Fbi apre infine un’inchiesta, ma di routine, cioè ancora senza fretta. Nawaf e Khaled vengono messi sulla lista dei terroristi da fermare alle frontiere. Ma nessuno allerta le autorità aeree civili, le sole preposte alla sorveglianza dei voli interni. Il 23 agosto l’Fbi di New York, incaricata di localizzare i due sauditi, affida l’incombenza a un novellino appena uscito dalla Scuola di Quantico. Il quale viene investito del compito il 28 agosto, sempre come routine. Dal 4 settembre ci lavora. Ma lui di Bin Laden non sa nulla. E a nulla approderà. Cronaca di un disastro annunciato. I dubbi del capo della sicurezza Che cosa è successo? Perché la Cia non ha permesso all’Fbi di individuare i due sauditi negli Usa? La Cia avrebbe agito per proteggere un suo informatore all’interno di Al Qaeda? Il fatto che Khaled e Nawaf siano stati “curati” da al-Bayoumi, accrediterebbe la tesi di una manovra americano-saudita e giustificherebbe il silenzio della Cia. Una fonte dentro Al Qaeda poi farebbe capire perché all’“agenzia” l’aggressione agli Usa fosse prevista. Tutte le testimonianze concordano: se la Cia lo aveva “intuito”, ignorava però data e obiettivi dell’evento. Era forse stata vittima di un agente “triplo”? Non sarebbe la prima volta. Richard Clarke sovrintendeva tutte le iniziative antiterrorismo della Casa Bianca. Avrebbe dovuto essere avvisato sulle mosse di Khaled e Nawaf. Ha dichiarato ad Arte: “La Cia sapeva e non l’ha comunicato né a me né all’Fbi. Quando dopo l’11 settembre tutto questo è venuto fuori, ero indignato, pazzo di rabbia, ho cercato delle scuse”.


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Così mister Clarke ha condotto la sua personale indagine e oggi afferma: “Da più di un anno tutte le persone dell’antiterrorismo alla Cia erano al corrente, direttore in testa: 50 persone, che sono state zitte. È più di una coincidenza. Non amo le teorie cospirazioniste, ma voglio una spiegazione. La commissione d’inchiesta non l’ha trovata. Tra l’altro il direttore della Cia mi chiamava con regolarità per notizie banali”. Dopo l’11 settembre Clarke ha tentato di avere chiarimenti dal grande boss, Tenet, invano. Ha domandato a Dale Watson, capo dell’antiterrorismo Fbi, come avreb-

be reagito il bureau se avesse saputo dei due pericolosi sauditi in giro per gli Usa, sentendosi rispondere: “Avremmo piazzato le loro foto dappertutto, le avremmo messe su internet”. Ancora Clarke: “Ho chiesto a Dale: ‘Quante possibilità avreste avuto di arrestare quei due tipi?’ Mi ha detto: 100 per cento”. E il massacro dell’11 settembre non ci sarebbe mai stato. Fabrizio CALVI e Leo SISTI 30-08-2011 - Il Fatto Quotidiano

25 settembre: 50^ Marcia Perugia-Assisi

Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli Nonviolenza, giustizia, libertà, pace, diritti umani, responsabilità, speranza

La marcia delle città Domenica 25 settembre 2011 la Le città sono i luoghi dove la genMarcia Perugia-Assisi per la pace te vive e s’impegna a cercare le e la fratellanza dei popoli compirà risposte più concrete alle tan50 anni dalla prima Perugia-Assisi te crisi che si stanno vivendo. E’ organizzata, con lo stesso slogan, quindi da ciascuna città che deve da Aldo Capitini il 24 settembre prendere vita l’impegno per la 1961. La Marcia partirà dai Giarpace. Il 50° della Perugia-Assisi e dini del Frontone di Perugia alle la Marcia del 25 settembre 2011 9 e arriverà alla Rocca Maggiore sono l’occasione per ripensare e di Assisi alle 15 dove si svolgerà riprogettare l’impegno per la pace la manifestazione conclusiva (chi www.umbria-verde.net in ciascuna di esse. Due sono le non può percorrere l’intero itinedomande che debbono guidare la rario potrà unirsi al corteo parriflessione: cosa possiamo/dobbiamo fare per costruire tendo da Santa Maria degli Angeli o raggiungendo la pace nella nostra città? (la pace a casa nostra), cosa direttamente la Rocca di Assisi). Un anniversario impossiamo/dobbiamo fare nella nostra città per la pace? portante per un evento multiforme che unirà assieme (la pace nel mondo). giovani, scuole, città, ma soprattutto persone. Un compito speciale spetta ai Comuni, alle Province e alle Regioni che hanno la responsabilità di dare voce alla domanda di pace e di giustizia dei propri cittadiLa marcia dei giovani ni, di promuovere il rispetto dei diritti fondamentali di Protagonisti della Marcia saranno i giovani che stanciascuno e di proteggere le persone più deboli e vulneno cercando di costruire un futuro migliore. Il prorabili. La partecipazione alla Marcia dei gonfaloni, dei getto “1000 giovani per la pace” è uno strumento per sindaci, presidenti di Provincia e di Regione, assessori e consentire ai giovani di essere protagonisti di una consiglieri deve essere parte dell’impegno quotidiano a grande iniziativa di pace. Un’occasione unica per vicostruire le città della pace e dei diritti umani. vere un’esperienza straordinaria, per incontrare altri Il 50° anniversario della Marcia per la pace Perugiagiovani, per confrontarsi e per progettare insieme Assisi consentirà di promuovere una riflessione aperta nuovi percorsi di pace. sulla Marcia, sui suoi 50 anni di storia e sui suoi molteplici significati, ma anche promuovere la conoscenza di La marcia delle scuole Aldo Capitini, ideatore della Perugia-Assisi, e il dibattito La Marcia segnerà il culmine dell’Anno dei valori (avsulla nonviolenza posta al centro della prima Marcia. viato il 21 settembre 2010) e dei tanti percorsi eduInoltre sarà anche partecipare in modo originale alle cativi che si stanno realizzando nelle città. Un ruolo celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia con un conparticolarmente importante sarà svolto dagli studenti tributo di riflessioni sugli ultimi cinquant’anni, nonché e dagli insegnanti che hanno aderito al programma promuovere una riflessione sull’attualità e le prospetti“La mia scuola per la pace” e al progetto “Ogni scuola ve dell’impegno per la pace in Italia e nel mondo. un grande Laboratorio dei Valori”. Le scuole e le classi La Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli è propartecipanti ri-animeranno i sette valori costituzionamossa dalla Tavola della pace e dal Coordinamento Nali della nonviolenza, della giustizia, della libertà, delzionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani la pace, dei diritti umani, della responsabilità e della insieme a tutte le persone, i gruppi, le associazioni e gli speranza. I 24 chilometri del percorso da Perugia ad Enti Locali che ne condividono lo spirito e le finalità. Assisi prenderanno l’aspetto di una lunghissima aula didattica che ciascuno potrà percorrere, in tutto o in Info e contatti: www.perlapace.it - www.entilocalipace.it. parte, raccogliendo idee, proposte e riflessioni utili.


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Il mondo non può più attendere. Diamogli una mano a cambiare Domenica 25 settembre 2011 Marcia Perugia-Assisi Perugia ore 9.00 - Giardini del Frontone Assisi ore 15.00 - Rocca Maggiore Camminiamo insieme contro la morte per fame, la corruzione, l’illegalità, le mafie, le dittature, la censura, le guerre, il commercio delle armi, il terrorismo, la violenza, il razzismo, lo sfruttamento, l’indifferenza, l’individualismo, il consumismo… Camminiamo insieme a chi sta lottando per la libertà e la democrazia, la dignità e la giustizia in Siria e in ogni altra parte del mondo, a chi sta spendendo il suo tempo per gli altri e per il bene comune… Camminiamo insieme per rimettere al centro le persone, i popoli e i loro diritti sostituire l’io con il noi tagliare le spese militari e investire sulla sicurezza umana salvare la vita di chi sta morendo di fame e di sete disarmare la finanza

difendere e promuovere il diritto al lavoro difendere i beni comuni promuovere un’economia di giustizia promuovere uno sviluppo equo e sostenibile promuovere un’informazione libera e pluralista difendere i diritti umani riconoscere lo Stato di Palestina e costruire la pace in Medio Oriente mettere fine alla guerra in Libia, in Afghanistan, in Somalia, in Sudan… costruire una politica nuova fondata sui diritti umani salvare, rafforzare e democratizzare l’Onu costruire una nuova Europa solidale e nonviolenta costruire la Comunità del Mediterraneo difendere la democrazia riconoscere i diritti dei migranti promuovere il rispetto e il dialogo tra le culture cambiare il nostro modo di guardare agli altri e al mondo riscoprire il valore della solidarietà e della condivisione www.perlapace.it

Testimoni ed operatori di solidarietà

Il miglior modo per dire è il fare Perché la mancanza di cultura non crei più povertà*

Pordenone

Amori boliviani, titolo e chiave di lettura del libro che Letterio Scopelliti ha pensato e creato con la sua penna consegnandoci un messaggio di amore per una terra ed un popolo e proponendoci attenzione e partecipazione. E’ un autore che ha concesso se stesso, attraverso l’impegno, la volontà, la ricerca e soprattutto l’umanità, per insegnare a noi tutti che il miglior modo per dire è il fare. Il suo progetto finalizzato al fare lo ha portato a coinvolgerci come persone e come associazione. Ci ha scritto e ci sta invitando a porci sempre più parte attiva nel ruolo di testimoni ed operatori di solidarietà. Il libro si legge in silenzio perché è lo stesso libro che parla. Ti racconta, si propone come materia di storia, di geografia, di sociologia e psicologia. Ti porta dove il cielo abbraccia la madre terra, dove la natura è vita e dove la vita figlia di questa natura in alcuni casi si trova ad essere l vittima. Questa è la pachamama, la madre terra che in alcuni casi si ribella soprattutto quando l’arroganza dell’uomo la vuole sua schiava, quando l’uomo non la rispetta e quando l’uomo altera l’equilibrio che altri hanno saputo creare con lei. Equilibrio e rispetto, abitudini e tradizioni che il nativo ha ben radicato nel suo io. Ecco che ancora il libro ci porta a pensare obbligandoci ad una riflessione ed aiutandoci ad avere una risposta.

Amori boliviani ci regala questo ed altro. Suddiviso in capitoli che ti prendono e trasportano durante la lettura, ci racconta la vita di persone e fatti. Antonio e Valeria una storia nella storia tutta da scoprire. Padre Longo, padre Corona, come altri missionari giunti in Bolivia con al collo una croce e le mani nude ormai nere e piene di calli, a differenza di quei primi missionari che 500 anni fa si recarono con la spada tra le mani. Tante altre figure vengono citate nel libro, tra queste l’associazione Braccia Aperte con il suo progetto Monteagudo, con il suo impegno di solidarietà ma soprattutto con il suo messaggio di fratellanza. L’ultimo capitolo racconta il Che Guevara, in un modo inedito, approfondendo nei dettagli i momenti successivi la sua morte. Un racconto nella storia e nella civiltà, la vita e la morte ma soprattutto l’uomo e la sua madre terra. Ribadisco però che il libro si racconta solo quando non sta chiuso in un cassetto, diventa messaggio e sostegno nel momento in cui, come questa sera, vi è un incontro di movimento e di pensiero. Quando il Comune di Pordenone, la Cooperativa Itaca, la Cooperativa Fai, Donando, Amici della Bolivia, circolo della stampa e l’associazione Braccia Aperte si uniscono creando sinergia. La partecipazione in questo caso diventa lo spirito che accompagna il dare ed il fare. Monteagudo, Bolivia, Italia, Pordenone, Treviso, Zero Branco, intrecci di realtà regionali ed internazionali che si


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parlano, raccontano con Amori boliviani e concretizzano con la realizzazione di una scuola per 900 ragazzi. Proprio questo è ciò che con fermezza e volontà vuole l’autore Letterio Scopelliti. Terminare la scuola e creare le condizioni che al più presto non si debba più dire: la mancanza di cultura crea povertà. Quale presidente dell’associazione Braccia Aperte vi chiedo di acquistare questo libro e di essere propositivi assieme a noi verso altre persone di questo invito. Questa serata è momento integrante di una manifestazione che per due settimane coinvolge materialmente

Pordenone e mediaticamente l’Italia ed il mondo. Una manifestazione unica che si realizza per volontà di chi in questo momento sa di essere tra di noi senza apparire. Sergio BONATO Presidente Braccia Aperte Onlus * Intervento presentato il 13 aprile nella sala convegni della Biblioteca di Pordenone in occasione della presentazione del libro di Letterio Scopelliti


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Il privato sociale oggi in Bolivia

Lavoro minorile, sfruttamento, abusi, narcotraffico… Spilimbergo La Bolivia è una tra le nazioni al mondo con il più elevato tasso di mortalità infantile ed è considerata di fatto Terzo Mondo. Indubbiamente la condizione minorile presenta elementi di criticità e drammaticità di esplicita evidenza, anche se con connotazioni differenti nella distinzione tra città e realtà di campagna. Chi vive, ad esempio, nei grossi centri urbani è più soggetto in condizioni di povertà ed abbandono a condurre vita di strada col rischio di cadere nella rete delinquenziale del narcotraffico. Nelle aree rurali infatti la povertà e l’estrema arretratezza delle condizioni di vita si coniugano spesso con scenari di mutuo aiuto tra nuclei familiari (nelle realtà di paese infatti tutti si conoscono) o con interventi della parrocchia in supporto a minori in condizioni di disagio o a donne con figli abbandonate dal marito. Questo di fatto riduce di molto il rischio di vagabondaggio e le forme delinquenziali di sopravvivenza. In ogni caso ci sono degli elementi di trasversalità che caratterizzano la difficile condizione minorile all’interno del Paese e che trovano la loro più drammatica espressione in particolare nelle periferie dei grossi nuclei urbani, come ad esempio Santa Cruz, considerata la capitale economica della Bolivia odierna. In uno degli anelli periferici della città ho avuto modo di visitare alcune strutture salesiane per l’accoglienza dei bambini e ragazzi di strada e le criticità perspicue riscontrate sono diverse. Persone che per lo Stato non esistono Molti dei ragazzi che accedono alle strutture di accoglienza risultano inesistenti per l’anagrafe per cui non si riesce nemmeno a definirne con certezza l’età; molti non hanno mai avuto alcun accesso scolastico per cui non sanno leggere né scrivere e come unico bagaglio “formativo” posseggono quello dettato dalle leggi della Strada. Alcuni arrivano in gravi condizioni di debilitazione fisica, legata alla denutrizione o malnutrizione e alle dure condizioni lavorative con evidente compromissione delle normali fasi della crescita e dello sviluppo psico-fisico. Sono persone queste che agli occhi dello Stato non hanno identità né diritti e che purtroppo a loro volta sono cresciuti con questa convinzione. Mancanza della diade genitoriale e di punti di riferimento affettivo Spesso il nucleo familiare che già vive in condizioni di grave precarietà, subisce il tracollo economico nel momento in cui la madre rimane sola a doversi occupare dei figli, perché rimasta vedova o perché abbandonata dal marito che, unico in famiglia, possedeva un lavoro retribuito. L’abbandono del nucleo familiare da parte dell’uomo è un fenomeno assai frequente in Bolivia, soprattutto tra gli strati culturalmente più poveri della popolazione nella parte meridionale del Paese. Tuttavia mentre nelle realtà di campagna si crea una rete amicale ed affettiva di mu-

tuo aiuto tra famiglie, per cui in qualche modo chi vive la condizione di disagio non si trova solo, nella periferia di Santa Cruz come di altre grandi realtà urbane (questo è un problema di tutte le banlieu del mondo), i rapporti interpersonali non sono spesso così sviluppati da divenire risorsa nei momenti di difficoltà, per cui molte donne si rivolgono alle missioni religiose affidando i figli più piccoli, altre cercano di sopravvivere come possono utilizzando anche la forza lavoro della prole. Condizione femminile Nella società attuale in Bolivia una donna inizia ad avere figli in media a tredici anni ed in base alla convinzione che tanta prole significa benedizione divina, i nuclei familiari sono spesso composti da almeno 10 figli. La donna, soprattutto nelle realtà di periferia e nelle vaste aree di campagna, viene riconosciuta quasi esclusivamente nel ruolo sociale di madre quindi, da un punto di vista antropologico, solo in funzione della procreazione e dell’occupazione domestica. Negli ultimi anni e nelle principali zone urbane del Paese le donne iniziano ad avere accesso agli studi superiori ed universitari cercando di farsi spazio anche all’interno di contesti lavorativi di monopolio maschile come la Pubblica Amministrazione, la Politica, il mondo accademico, il Commercio di qualità. Bisogna però sottolineare che di fatto, nelle realtà rurali e non solo, sono le donne a far muovere l’economia ovviamente con i mezzi e le risorse che sono loro accessibili: ovunque lungo le strade si trovano donne, spesso con bambini a seguito, che vendono i loro manufatti, dal pane ai prodotti agricoli, dai maglioni di lana grezza fatti a mano a mercanzie di uso domestico quotidiano. La donna costituisce la forza morale e materiale su cui si fondano le società rurali delle vaste zone di periferia e dell’Altopiano, là dove per contro è elevatissimo il tasso di alcolismo tra la popolazione maschile. Durante il mio viaggio tra Santa Cruz e La Paz era diventata una consuetudine vedere uomini anche giovani, senza lavoro, a qualsiasi ora del giorno ciondolare per strada da soli o in piccoli gruppi col bolo di foglie di coca all’interno della guancia e la bottiglia in mano, al pari della consuetudine di vedere donne cariche di mercanzie, con bimbi per mano o dentro all’awayo (pezzo di tessuto che la donna porta sulla schiena legato al collo e che funge da contenitore per il trasporto di oggetti e bambini), che nottetempo si posizionavano nei luoghi dei mercati di paese per vendere quello che esse stesse e le figlie producevano. Una delle immagini della Bolivia odierna che ho portato con me da questo viaggio è lo sguardo fiero di molte donne campesine che, nei loro abiti tradizionali e coi capelli neri corvini raccolti in lunghe trecce, orgogliosamente sostenevano un personale sacrificio per dare alle figlie la possibilità di studiare e scegliere per il proprio futuro contesti di maggiore emancipazione. Perché è meno frequente incontrare ragazze che conducono vita di strada?


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La risposta a questa domanda è insita in quanto appena detto: è più difficile trovare bambine o ragazzine a condurre vita di strada perché là dove vengano allontanate dalla famiglia arrivano generalmente entro i 10 anni d’età agli hogar (strutture di accoglienza per bambini) e lì dimostrano maggiore capacità di adattamento rispetto ai coetanei maschi, più insofferenti alle regole, evidenziando maggiore propensione ad utilizzare proficuamente le risorse che il Servizio offre loro, accettando anche di proseguire gli studi all’interno di contesti strutturati e protetti come nel caso del Progetto Don Bosco (che include 8 differenti strutture educative). Ecco dunque che il margine di successo nel recupero del disagio minorile per la componente femminile risulta essere più elevato. Nella periferia di Santa Cruz molte ragazze che vivono in condizioni di miseria vengono tenute in casa perché impiegate come forza lavoro, come manovalanza adattabile a basso costo nella gestione di un’economia domestica di sopravvivenza. Nelle situazioni di maggiore depauperamento morale e sociale alle giovani donne viene imposta la prostituzione che è comunque fonte di guadagno per la famiglia. Concetto di famiglia In contesti di grave immiserimento culturale anche il concetto di famiglia viene ad essere alterato così come la sua struttura valoriale e la rete di relazioni all’interno della stessa. Ecco che figli nati da relazioni occasionali o da madri che per sopravvivere sono costrette a prostituirsi, vengono messi al mondo e lasciati a se stessi e anche là dove abbiano un tetto sotto cui vivere e dei genitori, o una figura parentale che li abbia accettati, i mezzi e le risorse sono così limitati da costringerli al precoce avviamento al lavoro. Là dove alla precarietà economica si somma il disagio socio-culturale i bambini crescono soffrendo privazioni materiali, affettive, valoriali ed educative e diventeranno a loro volta adulti che metteranno al modo figli senza poter offrire loro altro rispetto a quello che hanno ricevuto. Se il vuoto educativo ed il depauperamento morale ed affettivo non trovano risposte socialmente adeguate, la catena della miseria continuerà a perpetuarsi riproponendo nelle generazioni a venire le stesse dinamiche perverse. Lavoro minorile Percorrendo le strade di Santa Cruz ma anche nelle zone di campagna circostanti, impressiona il numero di bambini che lungo le strade sono appostati a cercar di vendere i prodotti più disparati; all’interno di piccole rivendite, ai distributori di carburante, nei mercati di quartiere e più in generale in ogni attività commerciale ufficiale o improvvisata è normalità trovare bambini e ragazzini che servono i clienti, trasportano a spalla merci. Una psicologa locale mi spiegava che nei cantieri edili, nelle officine meccaniche, nelle miniere e persino in molti stabilimenti industriali di Santa Cruz sono impiegati abusivamente un gran numero di bambini e ragazzini costretti a svolgere lavori pesanti per molte ore al giorno, senza alcuna forma di tutela per la sicurezza e con salari bassissimi. Alcuni di questi ragazzini dopo una giornata di 12 ore di lavoro accedono al Techo Pinardi (struttura salesiana per l’accoglienza notturna dei ragazzi di strada) per un pasto caldo e un letto sicuro;

la mattina dopo ricominciano meccanicamente lo stesso calvario ringraziando anche di avere un lavoro. Abusi e maltrattamenti Molti ragazzi hanno subìto ripetutamente sin dall’infanzia abusi sessuali già in famiglia da parte del padre o di un membro della cerchia parentale stretta, per cui una volta abbandonati sulla strada hanno continuato a mercificare il proprio corpo in cambio di pochi spiccioli o di cibo. La prostituzione minorile, soprattutto nelle città principali, è molto diffusa e costituisce una piaga per il Paese. Coloro che sin da bambini sono stati abusati all’interno della famiglia ed hanno visto anche i fratelli essere vittime di tali condotte, non hanno conosciuto forme sane di amore e di affetto genitoriale per cui sono cresciuti nell’accettazione passiva di uno status quo che per molti è divenuto “normalità” quotidiana o, per meglio dire, l’unico modo di avere una relazione con le figure genitoriali, seppur abusanti e di trovare considerazione all’interno della dimensione familiare. Nelle situazioni peggiori tale considerazione genitoriale si traduce anche nell’obbligo per il bambino/a di prostituirsi con conoscenti o estranei disposti a pagare. I bambini che hanno subito questo vivono il proprio corpo come un contenitore, un oggetto che a seconda del bisogno può divenire utile merce di scambio, corpo che non è stato nutrito da carezze, tenerezza né piacere. Per molti la strada è la madre, l’unica madre che li abbia accolti permettendo loro di sopravvivere. Narcotraffico La Strada insegna e ciò che da essa si può apprendere è molto più impressivo di qualsiasi altra agenzia educativa, perché è strettamente legato alla sopravvivenza. Per strada i broker del narcotraffico vanno ad assoldare bambini e ragazzini da impiegare nello spaccio in quanto corrieri insospettabili, agili, affidabili perché inconsapevoli dei pericoli e soprattutto “materiale umano” che nessuno reclamerebbe in caso di scomparsa. I bambini vengono impiegati molto anche nei laboratori clandestini di raffinazione della cocaina, numerosi nella periferia di Santa Cruz, perché con le mani piccole e le dita sottili riescono a raggiungere tutti i punti dei cestelli delle lavatrici utilizzate per accelerare il processo di essicazione delle foglie di coca. Come ricompensa per le prestazioni fornite i bambini ricevono pochi spiccioli e manciate di foglie di coca che poi consumano con l’alcol o masticano assieme ad additivi chimici, come il bicarbonato o la colla sintetica, che ne favoriscono l’effetto di alterazione senso-percettiva. Ecco che al Techo a volte si presentano giovani in condizioni di alterata percezione della realtà simile all’effetto stupefacente provocato della coca raffinata. Anche in questo caso il Techo risponde fornendo spazi idonei appartati rispetto al resto de gruppo e, nei limiti del possibile, assistenza medica. Cenni sul contesto socio-culturale della Bolivia odierna La presenza di numerose Organizzazioni Non Governative distribuite su tutto il territorio boliviano che da decenni operano, spesso solo col volontariato, a favore dei bam-


Amori boliviani bini e di coloro che vivono situazioni di disagio sociale è motivata dal fatto che l’instabilità politica dei Governi che si sono succeduti in Bolivia negli ultimi 50 anni non ha favorito condizioni di stabilità e sicurezza sociale e di conseguenza lo sviluppo di un solido apparato di infrastrutture e Servizi. Attualmente il Governo socialista del presidente Evo Morales, insediatosi pacificamente nel 2006 con l’appoggio politico ed il sostegno economico di Cuba e Venezuela, sta operando una lenta azione di ricognizione dei bisogni e delle priorità nella volontà però di preservare la Tradizione e di attuare una “decolonizzazione” (termine molto utilizzato nei giornali locali per definire la politica di Morales) rispetto all’influenza culturale europea (dei Conquistadores) e politico-economica statunitense. La volontà e lo spirito del cambiamento sono rappresentati da nuovi simboli come la Whipala, la nuova bandiera multicolore nazionale voluta da Morales (che racchiude e simboleggia la grande eterogeneità culturale ed ambientale della Nazione), dalla rivalutazione di carismatiche figure del passato come il Che Guevara e del suo ideale di guerriglia armata per la liberazione da ogni forma di capitalismo e colonialismo straniero, o più concretamente e socialmente contestualizzato da cartelli pubblicitari lungo le strade che dall’anno scorso promuovono l’utilizzo del preservativo per favorire il controllo delle nascite. A tal proposito però, se da un lato vi è la legittima volontà di affermare una propria identità nazionale, dall’altro bisogna anche rilevare a rigor di verità che manca un solido fondamento culturale ed ideologico attraverso il quale operare un reale cambiamento. I processi di trasformazione sociale passano anzitutto attraverso l’Università ed il mondo accademico che però è quasi esclusivamente appannaggio di Enti privati, nella maggior parte dei casi Confraternite religiose provenienti da altre Nazioni, che hanno provveduto a colmare le lacune statali con forti contaminazioni culturali. Attualmente l’istruzione pubblica, inclusa l’Università, è per tutti gratuita ma decisamente di scarso livello ed i titoli spesso non vengono riconosciuti nel mondo del lavoro perché considerati di “serie B” rispetto a quelli conseguiti presso Enti religiosi con maggiore prestigio e credibilità. A detta di chi lavora in ambito accademico pubblico, lo Stato non eroga fondi sufficienti per la formazione del personale docente e non investe su una formazione scolastica di qualità, quindi inneggiando allo slogan dell’“istruzione per tutti” in realtà si provvede per lo più a combattere la piaga dell’analfabetismo nelle realtà rurali. Paradossalmente nella Pubblica Amministrazione vengono scelti di preferenza titoli conseguiti presso la Salesiana o altri Enti privati, anziché quelli della Statale. Allo stesso modo per quel che riguarda la presenza di infrastrutture e servizi alla cittadinanza, solo di recente il Governo ha iniziato ad investire sulla creazione di servizi di assistenza e previdenza sociale che lavorino sulla prevenzione educativa delle forme di disagio sociale valorizzando anche figure professionali come l’educatore, il pedagogista e lo psicologo ed accettando di consentire alle Amministrazioni Comunali di stipulare convenzioni con Enti del Privato sociale che gestiscono servizi sul territorio. Si pensi che in una città come Santa Cruz di circa 1 milione

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e mezzo di abitanti, considerata la più ricca della Bolivia, esistono come statali solo un ospedale, una Casa di accoglienza per anziani ed una struttura psichiatrica, per altro con caratteristiche manicomiali in cui convergono persone affette sia da disagio psichico che da disabilità fisica ed intellettiva, e dove si provvede in via esclusiva all’assistenza in caso di malattia conclamata ed evidente. Solo nel 2003 lo Stato ha iniziato a stanziare fondi di previdenza a favore delle categorie socialmente più svantaggiate riconoscendo a tutti un livello minimo pensionistico (del tutto inadeguato alla sussistenza) ed una sorta di sussidio di disoccupazione (anch’esso irrisorio e temporaneo). In questo contesto si comprende come la rete di servizi creata dal Privato Sociale sia estremamente importante perché tende a colmare le lacune del Pubblico con un livello qualitativo erogato che si riferisce spesso agli standard dei Paesi di provenienza più sviluppati. In generale questi Servizi, in particolare quelli dell’Opera Salesiana nelle città di Santa Cruz e La Paz, col tempo sono divenuti dei punti di riferimento per le fasce di popolazione più povere che nel momento del bisogno cercano fisicamente accoglienza presso gli stessi. Ecco che in paesi periferici come Monteagudo, sempre nel comprensorio di Santa Cruz de la Sierra, molte donne e ragazze madri rimaste sole a dover provvedere ai figli si appoggiano al collegio gestito dalle suore mariane che provvedono a fornire loro un pasto al giorno e l’accoglienza dei bambini orfani. A completare questa parziale cornice all’interno della quale si colloca la Bolivia odierna e quindi anche l’Opera Salesiana, è doveroso fare riferimento agli aspetti relativi alla religione cristiana e alla sua convivenza con i riti della Tradizione pagana alla Madre Terra delle popolazioni indigene. Il 90% della popolazione in Bolivia è di culto cristiano cattolico tanto che nella cittadina di Copacabana al confine col Perù c’è uno dei santuari del culto mariano più importanti dell’America Latina. La religiosità viene vissuta dalla maggior parte della popolazione, in particolare dalla componente femminile, con grande devozione ed osservanza dei precetti e delle ritualità; parallelamente alla religione ufficiale portata a suo tempo dai Conquistadores, è a tutt’oggi presente e molto praticato il culto pagano alla Madre Terra (Pachamama) risalente ai tempi antichissimi delle civiltà pre-incaiche, con propri rituali che si perpetuano da millenni di generazione in generazione seguendo il calendario cosmico e i cicli lunari. Religione e Tradizione sembrano aver trovato nel tempo forme pacifiche di convivenza e di fatto permeano in maniera determinante la cultura popolare, soprattutto delle fasce più povere, con forme di devozione individuali e collettive che investono e ne condizionano tutta la quotidianità e la visione stessa del mondo. Federica DAL MAS Pedagogista Clinica * Testo dell’intervento in occasione della presentazione del libro Amori boliviani del 2 luglio al teatro Miotto di Spilimbergo in occasione di Folkest. Si ringrazia la dott.ssa Dal Mas per la disponibilità alla pubblicazione di un estratto dalla sua Tesi di dottorato.


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Settima edizione della festa d’estate

Sul “Molaro” soffia E’ Vento Nuovo All’interno del campo da gioco le diversità sono pari a zero

Udine Il Parco di Sant’Osvaldo ha ospitato anche quest’anno, dal 1° al 3 luglio, la Festa d’Estate, manifestazione che le associazioni È Vento Nuovo e organizzano in collaborazione e con il sostegno delle Cooperative sociali Itaca e 2001 Agenzia Sociale. Come da tradizione, negli stessi giorni si è svolto il Torneo di calcio a 7 “Giorgio Molaro”, giunto alla sua settima edizione, che ha visto incontrarsi sul campo otto squadre provenienti dal territorio regionale ed extra regionale. L’associazione polisportiva È Vento Nuovo, che promuove l’integrazione sociale attraverso lo sport (www.anpis.it), ha organizzato e ospitato l’evento accogliendo gruppi di diversa provenienza e origine: la polisportiva di Pontedera (Pi) e la polisportiva di Gorizia, amici ormai di vecchia data per la consolidata partecipazione al torneo, nate come È Vento Nuovo (che quest’anno si è aggiudicata il torneo, ndr) all’interno dei percorsi di promozione di salute mentale; la Afghanistan, ovvero un gruppo di giovanissimi afghani, arrivati a Udine negli ultimi dieci anni di nota storia, che attraverso il calcio hanno trovato il modo di mantenere uno stretto contatto tra loro, oltre che di farsi conoscere attivando nuove relazioni; il ntro Balducci di Zugliano, conosciutissima realtà di accoglienza per immigrati e rifugiati politici; un Scout di Udine; il collettivo Aperta, squadra nata pochi giorni prima dell’inizio del torneo per volontà di un gruppo di amici che hanno accettato la sfida calcistica dimostrando l’ottima capacità di mettersi in gioco con tutte le diversità presenti al torneo; infine il 105, gruppo appartamento che ha scelto di diventare anche squadra sportiva. Oltre al calcio, si sono misurate sull’erba anche tre squadre di pallavolo, per un triangolare di green volley che ha visto l’incontro tra due formazioni di È Vento Nuovo (dallo scorso anno impegnata anche nella nuova avventura del campionato provinciale amatoriale di pallavolo) e una di Martignacco. L’agone sportiva, seppur autentica, è mezzo, più che fine. La percezione è che quest’anno tutte le squadre lo abbiano compreso e insegnato alle altre. Il tempo è stato scandito dal misurarsi sul campo e nei momenti conviviali, e tutti hanno dimostrato, in entrambi, generosità e altissimo livello tecnico. Il ripetersi di questo evento fa sì che l’organizzazione sia meno complessa, per certi aspetti abitudinaria. Risulta più semplice anche potersi concentrare sul senso

di una simile manifestazione, dedicarsi all’ospitalità, incontrarsi attraverso lo scontro alla pari, riscoprire il valore e il tempo del gioco, azzerare le assurde diversità etichettate dalla provenienza o dallo stato di salute. Per tutti, indistintamente. Davide CICUTTIN


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Palloncini colorati come l’arcobaleno

La “Festa d’estate” della Comunità Alloggio Cisi Da Begliano un messaggio di unione, libertà, comprensione e collaborazione

San Canzian d’Isonzo 25 agosto 2011, in una calda giornata d’estate nella piccola frazione di Begliano, la Comunità alloggio Cisi gestita dalla Cooperativa Itaca, ha aperto le porte ai compaesani creando un pomeriggio di divertimento, musica, condivisione e reciproca conoscenza chiamato appunto “Festa d’estate”. Tutto è iniziato alle 18 con l’arrivo del primo bambino beglianese che si è accomodato assieme agli ospiti della Comunità nella “Tavola rotonda” creata apposta per i bambini dove io, Suna, animatrice della Comunità, e Erica Gasparinic (educatrice Cisi) li abbiamo intrattenuti con i palloncini animati e il trucca bimbi. Da qui il nostro cuore e quello degli ospiti si è riempito di gioia nel vedere la grande partecipazione del paese a questo avvenimento, il giardino ad un certo punto si è riempito di famiglie e di bambini che giocavano spensierati. Nel frattempo, come da programma, sono arrivati i componenti del mitico gruppo tradizionale Costumi Bisiachi che ha coinvolto i partecipanti in canzoni e balli tradizionali della nostra cara Bisiacheria. Alla fine del concerto il vice sindaco e assessore a Assistenza, sanità e associazionismo di San Canzian d’Ison-

zo, Cristina Benes, il direttore del Cisi, Annamaria Orlando, la responsabile di Servizio per il Basso Isontino del Cisi, Mariagrazia Zotti e il parroco hanno tenuto un discorso nel quale hanno ringraziato tutti coloro che hanno reso possibile l’apertura di questa Comunità. Ringraziamenti anche per chi ha reso possibile questa festa e per tutti i partecipanti, inoltre la nostra Rap Caterina Boria ha portato i saluti del presidente di Itaca, Leo Tomarchio, e ha inserito nei ringraziamenti un apostrofo arcobaleno riguardante la meravigliosa e numerosa partecipazione dei bambini. All’evento ha partecipato anche il giovanissimo consigliere provinciale nonché vice sindaco del Comune di Turriaco con deleghe ai Servizi educativi e alla pubblica istruzione, Enrico Bullian. Alla fine dei discorsi delle autorità, Erica ha richiamato i bambini per la più bella sorpresa della giornata cioè il volo dei palloncini… Abbiamo consegnato loro dei palloncini colorati da liberare nell’aria come messaggio di unione, libertà, comprensione e collaborazione tra noi e la Comunità che ci circonda, è stato un momento davvero emozionante. Alla fine il momento conviviale con rinfresco e un po’ di chiacchiere per arrivare all’ultimo momento, etnico, della serata pieno di energia e vibrazioni positive

La dott.ssa Annamaria Orlando con l’educatrice C.I.S.I Erica Gasparinic

Il vice sindaco Cristina Benes

La Rap di Itaca Caterina Boria

Il parroco di Begliano


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date dall’associazione Ritmi Urbani (di Lucio Cosentino e Oussmane) che con le loro musiche africane hanno fatto scatenare il pubblico in frenetiche danze. Per quanto ci riguarda (operatori e ospiti) la giornata è stata meravigliosa, piena di gioia e serenitĂ , speriamo vivamente che queste occasioni possano ripetersi numerose. Io personalmente volevo ringraziare tutti i nostri operatori che hanno fatto in modo di rendere questo evento perfetto senza nessuna sbavatura e la nostra coordinatrice Stefania Cavallari che, oltre a dirigere in maniera egregia tutti i preparativi, ha dovuto gestire le nostre paure e tensioni al pensiero che le cose non andassero bene, grazie di cuore. Suna LEGHISSA


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Dal Nido di Cervignano si parte

Per mari aperti

Pronti ora alla terza traversata Cervignano del Friuli Eccomi qua! Sono AnnaMaria, la coordinatrice-educatrice del nido di Cervignano, una coordinatrice come ce ne sono tante: appassionate e curiose. La mia avventura con Itaca è iniziata nell’agosto 2009, ricordo ancora, il piacere e l’entusiasmo per avviare la nuova “nave”, partendo con un bagaglio di tante “domande”, e ancor di più di “dubbi”. Una cosa era assolutamente certa: lavorare stanca! Stanca mantenere sempre alto il senso di sé professionale, lo stare dentro le cose, decidere se agire o non agire, se dire o non dire o come dire o come agire. Stanca che per entrare nel mondo dell’altro sia bambino che adulto, occorre un lavoro di presa di coscienza e consapevolezza sul proprio essere e sulle proprie idee e azioni. Ma ora che la nave per il secondo anno è approdata al porto, mi trovo a raccogliere le meraviglie trovate lungo il percorso. Come il viaggiatore sceglie che cosa vedere, che cosa raccontare del suo viaggio, mi è venuta voglia di raccontarvi come io e il mio equipaggiamento ab-

biamo vissuto questa traversata. Innanzi tutto, il capitano prima di salpare ha riunito l’equipaggio che insieme ha deciso la rotta, stabilito quali tappe raggiungere, su quali isole fermarsi verificando i vari strumenti, che devono essere sufficienti e sufficientemente flessibili per affrontare le possibili tempeste, onde anomale o eventi critici. Senza dover navigare con il pilota automatico dell’abitudine, ma consultando la nostra capitana “riccioli d’oro ” Laura, che con i suoi saperi ci ha sostenuto e facilitato a navigare per i mari aperti della professionalità educativa, la quale ci ha incoraggiate a “sporcarci le mani” e lasciarci prendere dalle passioni. La nave ha fatto ancora una volta rientro al porto, l’equipaggio ha visto scendere i suoi passeggeri che cercheranno nuove meraviglie, nuovi percorsi, incontreranno nuovi equipaggi, ma sicuramente resterà nei nostri cuori il ricordo con tenerezza dei loro capricci, le scoperte e le loro vittorie! Tutto l’equipaggio di Cervignano


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Lignano

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Vasco Rossi a Lignano con Cjase Nestre

La prima settimana di luglio gli ospiti di Cjase Nestre sono andati in soggiorno a Lignano Riviera presso l’Albergo Old River. Molto apprezzata la cucina casalinga a cui sono seguiti piacevoli momenti di svago e relax in piscina, mentre le passeggiate rilassanti e l’attività di acquagym hanno avuto luogo in riva al mare. La sera non potevano mancare i divertimenti della movida lignanese, al Luna Park tutti si sono scatenati sugli autoscontri e sulle altre giostre, mentre Flavia si è esibita cantando Piccola Ketty al Karaoke di Lignano City. L’ultima sera al rientro da uno spettacolo di ballo e musica in spiaggia, passando in piazza Fontana hanno cantato Pavarotti, Celentano, Liza Minelli e Vasco Rossi. Naturalmente si trattava della serata dei sosia, ma non

si poteva perdere l’occasione di fare una foto con personaggi così famosi e simpatici. Al rientro in albergo tutti stanchi continuavano a cantare anche se con un velo di malinconia per la fine della vacanza. Manuela FONTANINI

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Ciacole de casa de riposo Quando la “casa” diventa famiglia

Muggia L’ingresso di un anziano in una casa di riposo è uno degli eventi più delicati e difficili dell’intera vita, sia per le ripercussioni sull’equilibrio psicofisico della persona, chi ricorre a questa soluzione per fronteggiare una situazione di bisogno spesso non lo fa per una scelta personale, e sia perché rappresenta un cambiamento radicale di vita che interviene a modificare completamente tutte le principali coordinate di spazio, di tempo e di abitudini a cui ciascuno fa riferimento nella quotidianità. Quello che vogliamo brevemente affrontare è invece il quadro delle conseguenze psico-fisiche di tale evento, conseguenze che in qualche modo diventano il “terreno di lavoro” di tutti i vari interventi tesi al miglioramento della qualità di vita della persona che è entrata a fare parte della casa di riposo. Occorre precisare subito però che tali conseguenze non sono solo di carattere negativo, come troppo spesso viene immaginato da chi è al di fuori del-

la situazione: qualora ci siano condizioni favorevoli, sia da parte della persona anziana che da parte dell’ambiente che la accoglie, è piuttosto facile verificare tanti aspetti positivi soprattutto a medio e lungo termine. In questa casa di riposo si e creato l’ambiente ideale che ha portato gli ospiti a definirla “casa”, poiché l’anziano viene considerato nella sua unicità ed’individualità, consentendogli di riscoprire e potenziare le proprie capacità residue, condizione che non sempre è possibile sviluppare nel proprio ambiente domestico quando gli eventi fisici sconvolgono la vita, tanto da costringere ad un isolamento forzato. Il nostro obiettivo è continuare a lavorare per il benessere dei nostri anziani prendendoci cura di tutti gli aspetti (fisici, psichici, religiosi e relazionali) nel loro contesto di vita, curando i rapporti con il territorio e la rete sociale e affettiva. Tonino


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Il Laboratorio di cucina Muggia I progetti proposti alla Casa di riposo di Muggia sono elaborati in base alla storia vissuta, alle attitudini, interessi e capacità degli anziani e sono volti a stimolare le aree cognitiva, funzionale, fisica, sensoriale e sociale. Ciò avviene attraverso attività di vita quotidiana, di cura del sé e attraverso dei veri e propri “laboratori” che prevedono attività di cucina, cartapesta, taglio e cucito, pittura, giardinaggio, animazione teatrale-musicale e partecipazione attiva alla creazione del giornalino “Ciacole de casa de riposo”. Cercando assieme al personale l’appoggio di parenti e volontari, utilizzando ausili e supporti che permettano di manipolare facilmente gli strumenti di lavoro. Le ricette possono essere le più varie; è molto importante creare un’atmosfera di festa e coinvolgere anche chi non può collaborare attivamente. Gli ospiti sono guidati a realizzare dei dolci, un antipasto, la pasta fatta in casa, le focacce, il pesce marinato, le marmellate, le grappe e i liquori. Rispettando per quanto possibile le tradizioni culinarie dei luoghi di provenienza, delle varietà di stagione e delle feste tradizionali. In questo modo si è creato un clima di piacevole armonia dove

è possibile anche stimolare le persone a livello cognitivo attraverso la rievocazione di ricordi e la formulazione di correlazioni con le tradizioni familiari e il confronto con gli altri. Sono stati introdotti, come strumenti di lavoro, oggetti ed ingredienti che permettono una stimolazione significativa grazie al riconoscimento e alla stimolazione sensoriale dal punto di vista tattile, visivo, olfattivo e gustativo. Nel mese di maggio, in occasione della Festa della Mamma, nel laboratorio di cucina abbiamo fatto dei biscotti e delle crostate a forma di cuore, ed è proprio in questo laboratorio che anche le persone con disturbi cognitivi esprimono grande interesse e voglia di partecipazione. Infatti la signora Lidia, all’inizio ostile e aggressiva, diventava collaborativa incominciando a tagliare il burro a pezzetti e poi con la stampino fare i biscotti, tanto da ricevere i complimenti dalle altre anziane che partecipavano al laboratorio. Durante il mese di maggio ci sono stati 5 incontri in cucina dove sono state preparate, oltre alla torta di amaretti e pomi, anche tanti vasetti di squisita marmellata di ciliegie, albicocche e fragole e ciliegie che saranno offerte nel mese di novembre in occasione della Festa dell’agricoltura. Tonino


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eventi Muggia (3)

Rosina 100 anni dedicati alla coltivazione della terra Muggia Il 31 luglio Rosina Zecchin ha compiuto 100 anni. Terza di 12 figli, 8 femmine e 4 maschi, a tutt’oggi sono vivi, oltre a lei, Emma, Pierina, Erminia e Mario. Il marito, anche lui di Pieve di Sacco, proviene da una famiglia contadina e numerosa, pensate erano 16 figli. Rosina proviene da una famiglia di contadini, fin da bambina ha sempre lavorato la terra, e pensate che per un periodo, quand’era ragazza, da Pieve di Sacco nel padovano si è trasferita fino a Maccarese nelle campagne romane. A Pieve di Sacco si sposa e mette alla luce due splendidi gemelli. La sera, finito il duro lavoro nei campi, si dedicava all’arte del ricamo facendo anche delle tovaglie per la chiesa, ricamava lenzuola e copriletti di cui faceva lei il disegno sviluppandolo poi su telai di 4-5 metri, facendosi aiutare dai due gemelli che cosi stavano buoni. Nascono poi altri due figli un maschio e una femmina. Il marito emigra per lavoro in Francia, dove subisce anche un grave infortunio. Ritornato in Italia si stabilisce a Muggia dove viene raggiunto dalla famiglia nel maggio

1953. Lavorano insieme come coloni nell’appezzamento di terreno della famiglia Milo, dove ora sorge il campeggio San Bartolomeo di Lazzaretto. Un aneddoto che ci racconta il figlio: Rosina nel 1949 si è ammalata e ha dovuto affidare i figli ai parenti, lei aveva dei capelli lunghi fino alla schiena e per grazia ricevuta dalla Madonna Pellegrina se li è tagliati corti corti. Nel febbraio del 2005 all’età di 94 anni viene in casa di riposo dove partecipa attivamente alle uscite, al progetto di erbe aromatiche e alle semine orticole e floreali. Domenica 31 luglio è stata festeggiata attorniata dai suoi cari nella “cusina de Eta” in casa di riposo, lunedì 1° agosto gli operatori della casa di riposo hanno voluto festeggiarla organizzando una festa in suo onore. L’Amministrazione comunale le ha consegnato per mano dell’assessore Valentina Parapat un mazzo di fiori e una targa ricordo. La Cooperativa Itaca le ha offerto una magnifica torta, gustata in compagnia con gli altri anziani della struttura. Tonino


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In cerca di fresco Ragogna Che fare quando la canicola ci opprime? Noi a Cjase San Gjal abbiamo optato per una fuga nel verde dei boschi, un’occasione per conoscere il nostro territorio e trovare un po’ di refrigerio. La prima uscita è stata organizzata al bellissimo Bosco Romagno, un parco naturale nel cividalese, dove tra un sentiero e l’altro abbiamo condiviso un fantastico paesaggio e un allegro pic-nic (qualcuno si è pure dedicato ai giochi in sabbionaia…). E’ stata poi la volta delle grotte di Pradis dove, dopo aver visitato la Grotta Verde, siamo stato attenti osservatori del Museo della Preistoria. Alla fine un breve rinfresco nel locale “Tra Ombre”. Per chi non ci fosse già stato: fateci un pensierino!

Musica e solidarietà

Music Aid for Emergency

Buon cibo e riflessione. Divertimento e impegno Merano Musica e solidarietà. Buon cibo e riflessione. Divertimento e impegno. E’ da nove anni che Merano, grazie al lavoro di un gruppo di volontari che ogni anno mettono in moto una macchina organizzativa ben rodata, diventa una piccola Woodstock. Scopo, raccogliere fondi da destinare all’organizzazione di Gino Strada e ad altre associazioni umanitarie. Il festival si è tenuto per cinque giorni a cavallo di ferragosto, nell’area del campo sportivo “Foro Boario” e ha definitivamente conquistato gli amanti della musica. Il luogo si è rivelato ideale, grazie ai suoi ampi spazi, per un grande evento di spettacoli e gastronomia sotto

la bandiera della solidarietà e dell’inclusione. E la città ha risposto alla grande a quello che è uno degli eventi più attesi dell’estate, almeno mille persone ogni sera hanno cenato in compagnia assaggiando anche diverse specialità etniche. In molti hanno ballato davanti al grande palco sul quale si sono alternate più di venti band, che hanno suonato, come da tradizione, senza compenso. Una passerella ambita per i più noti gruppi del panorama altoatesino ma anche per le novità da lontano: il rock balcanico da Belgrado, lo ska-reggae da Venezia e un viaggio nella musica folk con un gruppo di Parma. Il pubblico ha visitato l’affollato mercatino di prodotti artigianali e gli stand informativi delle Ong e i bimbi si sono


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divertiti negli spazi a loro dedicati. Nell’ambito della cinque giorni c’è stato anche il tempo per l’approfondimento e l’indignazione: Giulio Cristofanini, co-fondatore di Emergency, ha descritto al pubblico presente l’attività della Ong che offre cure medicochirurgiche gratuite alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà. Ha ricordato le difficoltà ad operare nelle zone di guerra e di grande povertà spronando i presenti a diffondere, nello spirito di Emergency, la cultura della pace, della solidarietà e del rispetto dei diritti dell’uomo. Ma ha anche denunciato come il nostro paese e le organizzazione internazionali non operino a garanzia dell’eguaglianza di tutti davanti al diritto di cure mediche di elevata qualità, come il nostro governo non contribuisca a demolire un sistema di privilegi e di discriminazione ma invece costruisca barriere nei confronti di chi è venuto in Italia per sopravvivere. Emergency considera, infatti, veramente democratico un sistema politico che privilegia, nel proprio agire, i bisogni dei più deboli

e che ne migliora le condizioni di vita. Molti i sostenitori esterni, singoli cittadini e ditte, all’organizzazione del festival meranese, fra questi anche la Cooperativa Itaca che, a Merano, collabora da anni con l’Azienda sanitaria nell’area dei servizi per la salute mentale di “Casa Basaglia”. Nelle prossime settimane il Comitato organizzatore si riunirà per fare il bilancio definitivo del festival e per devolvere l’intero ricavato del Music Aid a favore dell’ospedale cardiochirurgico “Salam” in Sudan, alle iniziative a sostegno dei bambini di strada dell’associazione Los Quinchos e a Casa Romagna che cura bambini in Etiopia. Se un mondo migliore è davvero possibile, un piccolo contributo viene anche dall’impegno di questi ragazzi di Merano. Stefano DAL FARRA

Giulio Cristofanini co-fondatore di Emergency

COMITATO ORGANIZZATORE EVENTI PRO EMERGENCY Via O. Huber, 54 – 39012 Merano - Cod. Fisc. 91038530217

Oggetto: sponsorizzazione/donazione

Merano, 20 agosto 2010 Spett.le Coop. Sociale Onlus Itaca Vicolo R. Selvatico 16 33170 Pordenone

Il Comitato organizzatore eventi pro Emergency ti ringrazia per la tua sponsorizzazione dell’evento “Music Aid for Emergency e Los Quinchos”. Ci hai dato, in questo modo, un importante aiuto per sostenere il fine benefico delle nostre iniziative. Come noto, il ricavato delle nostre attività viene devoluto in beneficenza ad Emergency - in particolare all’ospedale cardiochirurgico “Salam” in Sudan - ed inoltre ai progetti umanitari delle associazioni LosQuinchos e Casa Romagna. Un grazie di cuore per la tua generosità!

A nome del COMITATO ORGANIZZATORE EVENTI PRO EMERGENCY Stefano Dal Farra


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Precise Parole

E’ l’ora dell’addio

E’ l’ora dell’addio sorella e’ l’ora di partir, il canto si fa triste, perche partir è un po’ morir. Ma noi ci rivediamo, ancor ci rivedremo un dì, arrivederci a lor sorelle arrivederci un dì. Facciamo una catena con le mani nelle mani, stringiamoci l’un l’altro prima di tornar lontan. Ma poi ci rivedremo qui il 5 di settembre riunite come sempre noi ci vogliamo tanto ben. Arrivederci con le nostre amate assistenti Arrivederci a tutti qui il 5 di settembre.

EVVIVA IL CENTRO ANZIANI BATTUTA DI MANI

Maria GIUSTI Centro Anziani di Cordovado

La chiusura di chel benedet centro Encia par chist’an, a malincor, a le rivat chel brut moment indesiderat, al centro i stevin cusin ben in compagnia, mentre la chiusura a ni lasarà tanta malinconia. Encia se no sarà lungia la vacanza sempri i sintarin la manciansa. Il centro, par nu, a le come la seconda famea, come quant chi erin in tanciu e i mangiavin la polenta ribaltada sul tauler di brea. Una consolasion sola a ni resterà: che a settembre a si tornarà a scuminsià. La buna volontat a no ni mancia, e la voia di tornà a è simpri tanta. Se ca fasin par nu del centro, tantis bravis personis, i vin soltant di savè apprezà e mai dismintiasi di ringrazià.

Un grasis di cor a duciu! Bunis vacansis e mandi da Rina Sedran! Rina SEDRAN Centro Anziani di San Martino al Tagliamento

A Cetona la 4^ edizione

Premio Cetonaverde Poesia 2011 A Piero Simon Ostan il “Certame” Poesia Giovani

Cetona (Siena) Lo scorso 16 luglio si è concluso il Cetonaverde Poesia. L’appuntamento si è svolto nella splendida cornice della piazzetta della Collegiata. L’emozione, palpabile, si è vissuta con la poesia “giovane”. Il tema assegnato il giorno prima dal presidente Maurizio Cucchi era “autoritratto”. Nella notte i dieci giovani poeti hanno cercato

qualcosa che li descrivesse, pennellando con la parola il loro di “autoritratto”. Vincitore è stato proclamato Piero Simon Ostan (classe 1979), giovane poeta di Portogruaro, che ha raffigurato con delicatezza e intensità il ritratto di suo padre e, ritrovandosi nelle sue abitudini, ha tratteggiato un “sé” nuovo, maturo, amato e fortemente consapevole delle sue radici.


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precise parole

In attesa del suo primo figlio, si è calato quindi nel doppio ruolo di figlio e di padre, in un emozionante gioco di specchi. Ma tutti e dieci i giovanissimi poeti che hanno vissuto la notte tra il 15 e il 16 luglio scrivendo, hanno saputo donare un iofragile, forse tipico dei poeti, ma allo stesso tempo adulto e consapevole, sia dei propri limiti sia delle proprie capacità. Si è completata così la 4^ edizione del Premio Cetonaverde Poesia, con i prestigiosi riconoscimenti assegnati a Corrado Calabrò (Premio in memoria di Luigi e Tere Cerutti), Milo De Angelis (Premio poesia edita), Micael Kruger (Premio alla carriera). Nel Comitato d’Onore nomi come Allegra Agnelli, Tommaso Addario, Fabio Di Meo, Giancarlo Cerutti, Davide Croff, Ferruccio De Bortoli, Gian Arturo Ferrari, Ernesto Ferrero, Federico Forquet, Gianluigi Gabetti, Fiorella Kostoris, Ezio Mauro, Roberto Napoletano, Gianni Riotta, Marcello Sorgi, Rosario Villari. Piero Simon Ostan vive a Portogruaro, dove lavora come docente di Lettere. Ha pubblicato Il salto del salvavita (Campanotto, 2006) e Pieghevole per pendolare precario (Le Voci della Luna, 2011, con prefazione di Gian Mario Villalta). Opera altresì nel settore culturale collaborando a diversi eventi come Pordenonelegge.it e il Festival Notturni Di_Versi ed è consigliere dell’associazione culturale Porto dei Benandanti di Portogruaro.

A seguire la sua poesia che si è aggiudicata il Cetona.

Autoritratto È il taglio degli occhi di mio padre non il suo colore l’attaccatura bassa dei capelli quasi piatti i piedi e lo stesso stampo delle mani o forse è lo stare scorretto della schiena ma più che altro è la stessa la mandibola che balla quando la cena sa di poco e la camicia non stirata l’apprensione dei giorni che fa lo stomaco compresso con la tensione continua dei nervi raccolta nelle giunture è la sua sintassi quando dico le frasi che non vengono preciso il lampo nello sguardo che ricuce le cose rifà buono il tempo la solitudine lui dei boschi io delle parole Sarà poi un giorno mio figlio e il figlio di mio figlio sarà l’aggirarsi nell’identico buio delle strade ad aspettare che venga il vento giusto.

Il 29 agosto 1980 si spegneva Franco Basaglia

Marta che aspetta l’alba

La storia di un’alba che arriva quando sembra ormai perduta Trieste, 15 agosto 2011 Marta, un manicomio e uno psichiatra illuminato: la felicità può arrivare quando non l’aspetti più. Franco Basaglia, il riformatore dell’approccio alla psichiatria, moriva il 29 agosto 1980. Ma il suo essere un medico diverso, decidere di curare lo spirito e non i sintomi, ha reso giustizia - forse tardiva - ai soprusi degli internati. Il prossimo 29 agosto saranno trascorsi 31 anni da quando morì Franco Basaglia, l’anima della legge 180 con cui si riformava la psichiatria in Italia e si chiudevano i manicomi. Ci sono due storie che possono rievocarla in termini efficaci, la figura del riformatore dell’approccio e della cura della “pazzia”. Sono le storie di una paziente e di un’infermiera, raccontate nel libro appena uscito per Piemme Marta che aspetta l’alba, scritto dal saggista e divulgatore Massimo Polidoro. Si inizia nel 1967, 15 luglio per la precisione, a Trieste, dove Marta sta per festeggiare il suo diploma di maturità e fantastica del futuro – rimpiangendolo quasi in anticipo – con la sorella maggiore, Giuliana. Sarà l’ultimo scorcio di felicità per la ragazza perché, appena partita per la Gran Bretagna alla ricerca della libertà e della vita adulta, torna a casa a causa di un incidente in cui muoiono entrambi i genitori. E la sorella, neosposa

di un buon partito del posto, non potrà fare nulla per salvarla dall’alcolismo e poi dall’internamento al San Giovanni, il manicomio di Trieste, dove Marta sprofonderà nel girone dei “sommersi”, come li intendeva Primo Levi, e poi nella lobotomia. La seconda storia, invece, è quella di Mariuccia Giacomini, andata in moglie a 19 anni all’uomo che pensava quello giusto, e che poi sfida i preconcetti pre-legge sul divorzio lasciandolo e seguendo il suo istinto vitale. Però deve trovarsi un modo per mantenere se stessa e la sua bambina. Lo trova cominciando a fare l’infermiera proprio al San Giovanni. Un lavoro che significa a lungo sgrassare pavimenti, lavare i pazienti, passare i vetri. Fare la sguattera, insomma. Fino a quando, in anticipo sulla sua nomina a direttore, non iniziano a entrare anche qui le idee di Franco Basaglia, che intanto era a Gorizia e poi a Colorno, provincia di Parma. Sono idee che abbattono prima inferiate e reti di contenimento, poi le porte con le chiavi inserite nelle toppe. Sono idee che raccomandano di parlare con i pazienti, da non considerare più dei folli, ma dei malati nello spirito. Gli anni Settanta, in questo libro, non accennano mai al travaglio degli anni di piombo, ma declinano una libertà crescente. Ospedaliera come personale. Una crescita degli adulti che diventano adulti più consapevoli e più


precise parole aperti. E di persone che si consideravano perse in una via senza ritorno e che invece, più o meno lentamente, tornano alla quasi normalità, fatta di lavoro, uscite dall’ospedale, case costruite con fatica e con orgoglio. Gli anni Ottanta, con il loro riflusso, travolgeranno il dopo Basaglia, ucciso da un tumore al cervello. Ma la strada sarà stata comunque segnalata. E quando Marta e Mariuccia si incontreranno, ormai anziane – la prima che poco ha recuperato, ma è quanto basta per riprendere un minimo controllo del suo corpo e della

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sua quotidianità, la seconda che continua a costruire alternative a ciò che la società vorrebbe imporre –, avranno comunque il fiato per dirsi che la felicità esiste. Nonostante le umiliazioni, l’alienazione, la prigionia, l’obnubilamento dei farmaci e delle terapie, esiste. E per comprenderlo, tutto quello che è stato vissuto in precedenza è valso la pena attraversarlo. Antonella BECCARIA Fonte: Domani http://domani.arcoiris.tv

Visto da vicino nessuno è normale Trentuno anni ieri se ne andava un eroe moderno, un uomo che è stato in grado di restituire dignità di persone a chi “persone” non erano più considerate: i matti. Si tratta di Franco Basaglia, veneziano nato nel 1924 ed è sua la frase che dà il titolo a questo post. Convinto già da studente che la malattia mentale non fosse curabile solo con la farmacologia, ma fosse importante instaurare un rapporto con il paziente psichiatrico, Basaglia si rese presto conto che le sue idee non erano ben viste in ambito accademico. Quando vinse una cattedra di psichiatria all’Università di Padova, preferì rinunciare alla carriera universitaria per dirigere l’ospedale psichiatrico di Gorizia. Fu qui e poi a Trieste che diede l’avvio a una riflessione sociopolitica sulla trasformazione dell’ospedale psichiatrico. Scrisse libri di successo e aprì i cancelli dei manicomi per aiutare i cittadini a comprendere che i malati mentali non sono “pazzi” irrecuperabili, come si riteneva generalmente, ma esseri umani, persone in crisi che possono essere aiutate. Nonostante ostilità diffuse e pregiudizi, riuscì a fare introdurre in Italia una legge, la 180/78, chiamata anche “legge Basaglia” (purtroppo

mai applicata fino in fondo), che portò alla chiusura dei manicomi e promosse la trasformazione del trattamento psichiatrico sul territorio. Alla vicenda di Basaglia ho dedicato il mio ultimo libro, Marta che aspetta l’alba, dove lo straordinario cambiamento da lui ideato e promosso a Trieste è visto attraverso gli occhi di una infermiera, Mariuccia Giacomini, e di una paziente, Marta. Nella foto qui sotto Mariuccia (a destra) è seduta oggi al tavolo de “Il posto delle fragole” (il bar-ristorante che si trova a San Giovanni, all’interno del Dipartimento di salute mentale) con una paziente che potrebbe benissimo essere Marta.

http://www.massimopolidoro.com

Marta che aspetta l’alba di Massimo Polidoro

La scheda Sola e con una figlia, Mariuccia accetta di fare domanda come infermiera all’ospedale psichiatrico di Trieste. È magliaia, non sa nulla di malati psichiatrici, decide comunque di provarci. Quello è un lavoro sicuro, e Mariuccia ha una disperata necessità di mantenersi. Ma il mondo che le si spalanca di fronte è completamente diverso da ciò che immaginava. Gli infermieri sono secondini, devono pensare a spazzare, non a prendersi cura dei pazienti. A loro si dedica la signora Pasin, la terribile caposala dagli occhi gelidi, mentre il medico è una presenza invisibile e distante.

A Mariuccia si presenta una quotidianità fatta di trattamenti inumani, camicie di forza, bagni gelati, elettroshock, stanzini d’isolamento, e guai a chi fiata. Tutto le appare assurdo, anche se giorno dopo giorno vi si adatta come fosse normale: dopotutto è solo un’infermiera, e deve obbedire agli ordini. C’è anche una ragazza tra quei muri. Una ragazzina senza nome e senza diritti, come tutti lì dentro. Mariuccia scoprirà solo dopo alcuni anni che si chiama Marta. Marta è entrata all’ospedale dei matti per un’ubriacatura, una semplice sbronza, i ge-


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PRECISE PAROLE

nitori benestanti sono morti in un incidente e il cognato ha fatto di tutto per farla internare. Lo shock per la perdita dei genitori l’ha resa instabile, dice l’uomo, può essere pericolosa per sé e per gli altri. Ma la verità che traspare è del tutto diversa. Una realtà sordida. Fatta di interesse. Di cupidigia. Di brama di denaro. Quando un giovane e coraggioso medico che si chiama Franco Basaglia inizia a denunciare con forza i trattamenti a cui sono sottoposti i pazienti psichiatrici e a

lottare caparbiamente per una nuova realtà, Mariuccia entra in crisi. Riuscirà a crescere, a diventare una donna consapevole, a guadagnare la propria indipendenza combattendo per l’indipendenza e la dignità dei suoi pazienti. Anche se non tutti ce la fanno. Anche se per qualcuno l’alba di una nuova era è sorta troppo tardi. www.massimopolidoro.com

La storia di Mariuccia che attraversò l’inferno negli anni di Basaglia Trieste

tutti i fenomeni apparentemente inspiegabili. Che in Di lavoro faceva la magliaia. realtà, quasi sempre, naDi psichiatria, malattie menscondono truffe, imbrogli». tali, di quelli che allora veniDocente per alcuni anni di vano chiamati matti, lei non Metodo scientifico e psicolosapeva proprio niente. Poi un gia dell’insolito all’Università giorno, spinta dal bisogno di di Milano-Bicocca, Polidoro lavorare, Mariuccia Giacomiha iniziato pian piano ad avni si è trovata faccia a faccia vicinarsi ad altri temi. «Ho con uno degli inferni legalizscritto un libro sulla banda zati del Ventesimo secolo: il Vallanzasca. Ma ho recupemanicomio di San Giovanni, a rato dalla memoria dimenTrieste. E lì, in mezzo a creticata anche la storia di un ature senza più diritti umani, Trieste 2003, La maglieria - laboratorio Visibilia, il gruppo - in fondo istituto per bambini che, in la magliaia Mariuccia Giacomini. isolate come se il loro malstarealtà, era una sorta di laFonte Dsm Trieste re fosse contagioso, irrecuger. Nel libro “Eravamo solo perabile, chiuse dentro le camicie di forza, sottoposte bambini”, infatti ho recuperato dal silenzio le vicende a pratiche barbare come l’elettroshock e la lobotomia, raggelanti dell’Istituto Santa Rita di Grottaferrata guiha iniziato ad aprire gli occhi. A capire il mondo e se dato da un ex suora, Maria Diletta Pagliuca. Ripetute stessa. violenze, ragazzini legati con le catene. Ecco, il libro Mariuccia Giacomini è stata, per anni, testimone di una l’ho scritto quando stavo già raccogliendo materiale per delle grandi utopie del secolo breve. Quella che ha por“Marta che aspetta l’alba”». tato Franco Basaglia e il suo staff, prima a Gorizia ma Dopo la storia dell’inferno di Grottaferrata, Polidoro ha soprattutto a Trieste, a spezzare le catene che tenevano voluto concentrarsi sulla piccola grande rivoluzione che imprigionati i matti. Che ha spinto un medico fino ad alha spazzato via dalla faccia dell’Italia altri lager: i manilora semisconosciuto a sfidare la società, a costringerla comi. «Da tempo - dice - cercavo un modo per racconad accettare di nuovo dentro di sé persone che fino tare quel cambiamento epocale che Franco Basaglia ha ad allora erano esorcizzate come fossero dei mostri. portato all’interno del manicomio di Trieste. E non solo Che ha convinto la giunta provinciale triestina, guidata lì, ovviamente. Perché, poi, tutto il mondo in qualche dal democristiano Michele Zanetti, ad appoggiare senmaniera è stato influenzato da quell’esperienza. Però za tentennamenti quel cambiamento epocale che molti non volevo scrivere l’ennesima biografia. Cercavo la notabili del Pci guardavano con diffidenza estrema. storia di una persona che avesse vissuto sulla propria A questa donna, al suo coraggio di vivere senza farsi pelle la rivoluzione basagliana. Che fosse entrata in condizionare da nessuno, alla rivoluzione senza armi contatto con le idee dello psichiatra da profana, senza e senza violenza che Franco Basaglia portò nel maniconoscerlo prima». comio di San Giovanni, è dedicato un libro che sta a Quell’idea è arrivata da “Muri”, lo spettacolo di Renato metà tra la testimonianza narrativa e il romanzo bioSarti passato anche sul palcoscenico del Mittelfest a grafico. Si intitola “Marta che aspetta l’alba”, l’ha scritto Cividale. Un testo in cui l’autore, attore e regista triestiMassimo Polidoro, lo pubblica la casa editrice Piemme no ha voluto raccontare il manicomio di Trieste “Prima (pagg. 187, euro 14.50). Una grande passione per la e dopo Basaglia”, come recita il sottotitolo, attraverso scrittura, fin da quando era bambino, Massimo Polidoro gli occhi di una donna. «Ecco, proprio in quella pièce ha esordito nell’editoria negli anni Novanta. «Allora mi dice Massimo Polidoro - ho scoperto per la prima volta interessavo soprattutto del mondo del mistero - spiega la figura di Mariuccia Giacomini. Ed è stato immediato -. Di quello che viene chiamato paranormale. Con Piero il desiderio di conoscerla, di parlarle. Di ascoltare dalla Angela, altri scienziati, giornalisti e divulgatori, avevasua voce il racconto di una vita difficile e straordinaria. mo creato il Cicap che si proponeva di smascherare Ecco, proprio questo mi serviva per il libro che avevo


La Gazzetta | Settembre 2011 in testa». Non si può raccontare una storia vera se non si rispettano fino in fondo i suoi punti cardinali. E Massimo Polidoro, per non tradire Mariuccia Giacomini, s’è fatto ripetere più volte le tappe salienti della sua vita. «Ci siamo incontrati spesso. Abbiamo dialogato anche al telefono. E ogni volta cercavo di approfondire un aspetto piuttosto di un altro, questo o quel dettaglio che mi poteva servire durante la fase della scrittura del libro. Poi, ovviamente, nel corso della stesura si sono aggiunti tutti quei dettagli che ho raccolto da tante letture e testimonianze sugli anni di Basaglia. Ma anche su com’era prima il manicomio di Trieste. Quando ancora era inimmaginabile che i cancelli di San Giovanni potessero rimanere aperti. Che ai matti venisse data la possibilità di uscire nel parco e dal parco». Ma come ha reagito Mariuccia Giacomini all’idea di vedere la propria vita trasformarsi in un racconto, seppure molto circostanziato? In un libro messo assieme dalla fantasia di uno scrittore? «Credo che fosse preparata ammette Massimo Polidoro -, In fondo era già stata al centro dello spettacolo di Sarti. La gente lo aveva visto, ne aveva parlato. Certo, una pièce teatrale è qualcosa che trasmette emozioni immediate. Mentre un libro filtra pur sempre la storia attraverso la mente di un altro,

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di chi la scrive. Però Mariuccia era entusiasta del progetto. Ha partecipato subito, ha letto il testo. Insomma, mi è stata di grande aiuto». Per mettere a fuoco l’immagine nitida di com’era il manicomio prima e dopo Basaglia, Polidoro si è servito di tante testimonianze. «Mi hanno aiutato medici e infermieri, gente che ci aveva lavorato dentro a lungo. Ma anche sul sito del Dipartimento di salute mentale c’è tanto materiale prezioso. Non solo testimonianze scritte, ma anche immagini, filmati in cui si vedono le persone, si sentono le voci. Solo così mi è stato possibile raccontare l’ospedale psichiatrico come se io, in quegli anni, fossi stato davvero presente». Una sola storia è inventata. «Quella di Marta, la ragazza internata in manicomio senza essere matta - confessa Polidoro -. In realtà, inventato è solo il personaggio di Marta Alberti, che non esiste ma assomma in sé tante vicende che ho sentito raccontare. Da persone realmente rinchiuse nell’ospedale psichiatrico di San Giovanni». Alessandro MEZZENA LONA Il Piccolo, Trieste 28 luglio 2011

Il 27 luglio è nato Emil, il bimbo del nostro socio Enrico Feruglio (lavora al Gau di Udine). Il 25 agosto è nata Emma, la bimba della nostra socia Federica Serafino (lavora agli appartamenti di via Garibaldi a San Daniele). Benvenuti a Emil e a Emma!

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Redazione: Fabio Della Pietra - Cooperativa sociale Itaca In copertina: Calicantus, foto di Francesca Schiavon Impaginazione / Grafica: La Piazzetta Cooperativa Sociale - Trieste Stampa: Rosso Grafica&Stampa - Gemona del Friuli (Ud) Numero chiuso il 9 settembre alle ore 12.30 e stampato in 1250 copie


Il Nido di Cervignano naviga “per mari aperti�


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