La Gazzetta di Itaca Settembre 2010

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La Gazzetta Mensile d’informazione delle Cooperative Itaca, L’Agorà e La Piazzetta - n°9 - Settembre 2010

A Sacile formazione gratuita per assistenti familiari Iscrizioni aperte per la Giornata dei Talenti Legacoopsociali Fvg in assemblea Speciale Centri estivi (2)


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IN PRIMO PIANO

Dopo 10 anni Itaca perde la gestione del Crgg di Sacile

Il valore aggiunto sottratto

Ovvero qualità dei servizi e burocrati ottusi Pordenone Nel lontano 2000 abbiamo iniziato a gestire a Sacile una nuova comunità. Si trattava del Padiglione San Camillo, ex succursale dell’Ospedale psichiatrico di Udine. All’interno vi erano ospitate una trentina di persone che comunemente venivano definite “residuo manicomiale”, cioè quelle persone che, dopo una vita di manicomio, in difetto di autonomia e di una rete familiare o comunitaria, erano destinate a continuare la propria esistenza nella stessa struttura in cui erano a suo tempo state recluse. La scommessa che avevamo condiviso con il Centro di Salute Mentale era quella di riuscire a trasformare quel luogo in una comunità aperta, rispettosa della dignità umana, che permettesse alle persone di poter esprimere e vedere soddisfatti i propri bisogni. Nel primo progetto di gestione, individuavamo così gli obiettivi primari e scrivevamo:

“ …i loro bisogni di base si ricollegano ai principi esposti in premessa, relativi alla riacquisizione del diritto di cittadinanza, sui tre piani del:

• diritto al riconoscimento quali persone • diritto ad una assistenza corretta ed adeguata • riappropriazione delle abilità residue, perse, e rafforzamento continuo di quelle presenti” Ci aggiudicammo quel servizio non solo per il progetto, ma anche per la grande esperienza e il curriculum di Itaca. Iniziò così un lavoro paziente e scrupoloso per l’individuazione di una equipe formata e motivata, condizione senza la quale qualsiasi progetto non avrebbe ‘gambe’. E i primi anni furono caratterizzati da una proficua co-gestione fra operatori pubblici e quelli della nostra Cooperativa. Negli anni quella struttura si è trasformata in maniera sostanziale. Alcuni ospiti sono stati trasferiti in Case per anziani e in “Case Famiglia”, altri ancora non ci sono più. I restanti, quelli più gravi, la abitano ancora: la tipologia di comunità è stata trasformata in C.R.G.G. (Centro Residenziale Gravi Gravissimi). Ne deriva nel 2007 una nuova gara d’appalto, che prevede una gestione completa della struttura da parte della cooperativa aggiudicataria. Vinciamo la gara d’appalto, gli ospiti, inizialmente 12, diventano 16 nel giro

SOMMARIO Imparare ad essere “caregiver” Interrompiamo il dialogo Messa a Sant’Osvaldo con don Ilario Appunti per un ruolo attivo della Cooperazione sociale Trent’anni fa la psichiatria perse Franco Basaglia

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Nuova proposta per riformare la 180

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Speciale Centri estivi (2)

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Casa Ricchieri: Majorana e Forza Venite Gente

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Sicurezza Itaca ai raggi ‘x’

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Gli Opg sono disumani

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IN PRIMO PIANO di qualche mese. L’equipe di lavoro è collaudata e ben coordinata dall’ottimo nostro socio Mauro Pivetta, psicologo e psicoterapeuta che, nei sette anni precedenti, ha lavorato con passione ed impegno sia verso gli ospiti che verso l’equipe di lavoro. E insieme a lui il suo ‘vice’ Daniele Franco, altro caposaldo della struttura e della sua equipe. Ne seguono tre anni di un agire quotidiano basato sull’interrogarsi sempre sul significato delle cose interne ed esterne al servizio, sulla flessibilità e disponibilità, sul basso turn over degli operatori, sulla CURA degli ospiti. Arriviamo ad oggi, 2010: di nuovo in gara d’appalto. Criterio di aggiudicazione 85 punti alla qualità del servizio offerto e 15 al prezzo, esattamente come prevede la normativa. Inaspettatamente per noi, vince una Cooperativa di Casale Monferrato, provincia di Alessandria - grossa Cooperativa sociale che opera in mezza Italia. Vince sulla qualità del progetto con uno scarto di 0,5 punti su di noi. Ma vediamo come è stato valutato il progetto. Nelle voci interventi assistenziali, educativi ed infermieristici si valutano la quantità delle ore offerte e nessuna qualità del servizio. La vincitrice ha offerto più ore infermieristiche e quindi ricevuto più punteggio. Servono? Non avevamo sempre condiviso che bisognava limitare al massimo la valenza sanitaria di quella struttura? Non importa se servono o se hanno un senso, la Coop piemontese ne ha offerte di più ed è stata premiata. Non importa se Mauro è da dieci anni che coordina ottimamente quel servizio. Un tizio, il cui nome compare sul curriculum e che oggi lavora chissà dove, ha genericamente più esperienza e professionalità di lui. Il curriculum del coordinatore da loro designato ha avuto più punteggio del nostro.

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meri non c’è scampo!

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La commissione giudicatrice è composta da persone che conoscono (o dovrebbero conoscere, a questo punto) il clima che si respira in quella struttura, i risultati raggiunti, la disponibilità del coordinatore, del vice e dell’equipe, il lavoro di rete frutto della partecipazione non formale ai tavoli tematici promossi dalla stessa Azienda sanitaria, il pulmino con gli aeroplani per rendere più leggero quel ‘gravi gravissimi’, ma dalla trappola dei nu-

Dovrebbero anche sapere (dovrebbero) che insieme a noi ha presentato l’offerta una piccola Cooperativa sociale pordenonese di inserimento lavorativo di nome L’Agorà (non quella di Arezzo che gestisce l’Rsa di Sacile e che, purtroppo, ho avuto modo di conoscere durante un ricovero di mia madre) che, nel gestire le pulizie del Centro Residenziale Gravi Gravissimi, fa anche inserimenti lavorativi di persone in stato di difficoltà e che senza quel lavoro sarebbero probabilmente a carico dei servizi sociali e che, attraverso quel lavoro invece, hanno fino ad oggi potuto godere di diritti reali di cittadinanza. A noi pareva un valore aggiunto! Pare che non se ne siano accorti! Arriverà una nuova Cooperativa che ha un coordinatore che è più bravo di te caro Mauro! O almeno sarà così sulla carta. Daranno più ore infermieristiche anche se non servono. Su quale sarà il tipo di approccio all’utenza non se ne fa menzione da nessuna parte nella griglia che ci è stata consegnata e con cui hanno valutato ed aggiudicato il servizio. Permettetemi un’amara ironia: forse hanno temuto che il valore aggiunto fosse una nuova imposta. Il presidente Leo TOMARCHIO

RICERCA INTERNA Ricerchiamo per Uffici Interni sede Itaca Pordenone

Un Addetta/o al centralino Si richiede: Diploma generico; attitudine alla relazione col pubblico e conoscenza e pratica nell’uso del PC (programmi microsoft office word, excel e internet); patente B; esperienza minima nel front office. Si offre: contratto a tempo indeterminato; part time; applicazione completa del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali, incentivi non contemplati nel contratto nazionale.


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Anziani e non autosufficienti accuditi a domicilio

Corsi di formazione gratuiti per assistenti familiari Patto tra Ambito 6.1, Comuni, Itaca e Irsses

Sacile Anziani e persone non autosufficienti accuditi a domicilio, arriva la formazione gratuita per le assistenti familiari. Lo prevede il patto sottoscritto tra Ambito Distrettuale 6.1 – Servizio sociale dei Comuni e le Amministrazioni di Aviano, Brugnera, Budoia, Caneva, Fontanafredda, Polcenigo e Sacile. Un progetto articolato in partenza dal 13 settembre – in prima linea il Comune di Sacile in qualità di ente gestore del Servizio Sociale dei Comuni dell’Ambito Distrettuale Ovest 6.1 - che gode del patrocinio della Provincia di Pordenone, del coinvolgimento degli Sportelli provinciali per assistenti familiari, nonché della collaborazione della Cooperativa sociale Itaca e dell’Istituto regionale per gli studi di Servizio sociale. E farà proprio capo ad Itaca l’organizzazione dei cinque corsi (gratuiti e finanziati dalla legge regionale 24/2004, “Progetti sperimentali ed interventi per la qualificazione del lavoro delle assistenti familiari”) da 20 ore l’uno previsti a Sacile (13 settembre – 25 ottobre), Brugnera (14 settembre – 26 ottobre), Aviano (15 settembre – 27 ottobre), Fontanafredda (16 settembre – 28 ottobre) e ancora Sacile (17 settembre – 29 ottobre) che prenderanno avvio il 13 settembre e dureranno sino alla fine di ottobre. In cattedra vi saranno relatori esperti e qualificati della stessa Coop pordenonese. L’iniziativa vuole contribuire a far conoscere e riconoscere il significato del lavoro dell’assistente familiare a domicilio. Partendo da una considerazione, ovvero dal fatto che la domanda di assistenza e cura domiciliare - rivolta in particolar modo alle persone anziane e non autosufficienti - sta aumentando sempre più negli ultimi anni, anche nei comuni della cintura pordenonese, mettendo a dura prova, in talune occasioni, le famiglie. Il programma degli incontri in partenza dal 13 settembre affronterà alcuni assi più generali: la rete dei Servizi sociali e socio-sanitari del territorio; la relazione e comunicazione con l’anziano e la famiglia; igiene della persona e primo soccorso; la demenza, aspetti assistenziali e

di cura, disturbi comportamentali; l’assistenza per la mobilità; Ccnl ed economia domestica; igiene degli ambienti e sicurezza in casa; alimentazione e preparazione dei cibi. Ma si prevede anzitutto una presentazione introduttiva dei Servizi territoriali nonché dello Sportello assistenti familiari. Tra gli approfondimenti il significato di cura e assistenza a domicilio, i valori, i bisogni dell’uomo e i principi etici, i concetti di privacy e di autonomia. Rispetto alle tecniche di assistenza, particolare attenzione alle pratiche che riguardano l’igiene della persona e l’assistenza all’allettato, le posture corrette e i trasferimenti posturali (attività che saranno eseguite con l’ausilio di attrezzatura specifica). Il tema alimentazione sarà affrontato con riferimento allo stato nutrizionale e ai principali disturbi della popolazione anziana, dando indicazioni su come aiutare la persona nell’assunzione degli alimenti, con consigli pratici circa l’acquisto, il trasporto, la gestione della dispensa e del frigorifero, la conservazione e la preparazione degli alimenti. Quanto alla sicurezza in casa le corsiste verranno rese edotte di quali sono i rischi ambientali e su come prevenire e affrontare gli incidenti domestici più frequenti (traumi, ferite, cadute, intossicazioni, avvelenamenti, ustioni). Altro aspetto fondamentale previsto dal percorso formativo sarà il fare chiarezza sulle immagini e credenze, che ogni singolo può avere, rispetto all’anziano sofferente di demenza, facendo riferimento alle implicazioni relazionali e pratiche nella cura a domicilio. Sarà altresì previsto un servizio di sostituzione e di trasporto dei partecipanti per alcuni casi vagliati dai Servizi sociali del Comune di riferimento. La partecipazione degli assistenti familiari è gratuita e al termine del corso sarà rilasciato un attestato di partecipazione. Info ed iscrizioni: Servizio sociale del Comune di riferimento oppure Ambito distrettuale 6.1 (0434 70483). Chiara PIZZATO Fabio DELLA PIETRA


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Sinergia tra Ambito 6.1, Sportelli Assistenti familiari e Itaca

Progetti sperimentali e interventi mirati Successo per le quattro serate organizzate a giugno e luglio

Organizzato dall’Ambito distrettuale 6.1 - Servizio sociale dei Comuni – con il coinvolgimento degli Sportelli Assistenti familiari e la collaborazione tecnica e progettuale dell’Ufficio Formazione e dell’Ufficio territoriale Anziani della Cooperativa sociale Itaca, il progetto presentato alla cittadinanza a Fontanafredda, Aviano, Sacile e Brugnera, ha riscosso apprezzamento e interesse. Finanziato dalla legge regionale 24/2004, “Progetti sperimentali ed interventi per la qualificazione del lavoro delle assistenti familiari”, il progetto prevede l’organizzazione di corsi di formazione gratuiti per badanti che si occupano di anziani o non autosufficienti a domicilio, e di tutta una serie di attività correlate, dai trasporti da e per il corso, alle sostituzioni del personale in formazione. Durante le serate sono stati presentati i servizi offerti dallo Sportello Assistenti familiari. La Regione, al fine di promuovere comportamenti virtuosi da parte delle famiglie - in riferimento all’emersione del lavoro di cura femminile -, ha definito un disciplinare per l’attuazione da parte delle Province degli interventi previsti nell’ambito del Progetto “Professionisti/e in famiglia”. Il documento dispone l’attivazione ed erogazione di incentivi, finanziati dal Ministero delle Pari opportunità, per l’emersione del lavoro sommerso svolto nel servizio di cura (incentivo pro-emersione alle famiglie virtuose), nonché la semplificazione e gestione burocratica dei contratti stipulati dalle famiglie. Oltre a ciò, il disciplinare subordina l’erogazione di incentivi a tutte le famiglie che favoriscono la frequenza a corsi di formazione delle assistenti familiari. Nel corso delle quattro serate di presentazione svoltesi

tra giugno e luglio, è stato sottolineato come il progetto rappresenti un concreto servizio anche per le famiglie che stanno cercando un’assistente familiare. Rispetto alla formazione, le partecipanti avranno l’occasione di affrontare argomenti, rivolgere domande a persone esperte, chiarire dubbi, imparare modalità di approccio alla persona anziana ed al suo ambiente. Ciò all’interno del processo di regolarizzazione dei rapporti di lavoro connessi alla cura ed assistenza di persone non autosufficienti per età o condizioni di salute. Già lo scorso anno la Cooperativa aveva organizzato corsi analoghi in vari Comuni del Veneto Orientale, momenti che si erano rivelati occasioni utili percepite da parte delle corsiste come attenzione e valorizzazione del loro lavoro quotidiano e come occasione di approfondimento e di conoscenza. Gli argomenti trattati erano stati vari, con approfondimenti sollecitati dalle richieste delle corsiste stesse. I docenti, a partire dalle tecniche per un corretto spostamento e cura dell’anziano, da esempi pratici di modalità corretta di alcune azioni quotidiane, passando alle attenzioni fondamentali per rendere sicura l’abitazione, avevano evidenziato l’importanza della conoscenza del contesto in cui si opera, della comunicazione (verbale e non verbale) nella relazione di cura, della predisposizione all’ascolto ed alla accoglienza delle richieste, del senso della realtà dell’anziano colpito da patologie, oltre a temi inerenti la regolamentazione del lavoro di assistenza familiare. Dubravka “Duda” BAJIC Chiara PIZZATO

I prodromi con PrendersiCura

Imparare ad essere “caregiver” Il successo dei corsi nel Veneto orientale

Portogruaro Anche quest’anno la Cooperativa Itaca è stata coinvolta nell’organizzazione del progetto PrendersiCura, finanziato dalla Conferenza dei Sindaci della Venezia Orientale, nell’ambito del programma di integrazione sociale e scolastica di cittadini comunitari Arcobaleno della cittadinanza. Con questo progetto, come per l’edizione curata nel 2009, si è voluto perseguire l’obiettivo di offrire alle assistenti familiari dei percorsi formativi nell’ambito dei quali potersi confrontare e poter acquisire conoscenze tecniche appropriate al lavoro di cura nel contesto domiciliare. Una presenza fissa 24 ore su 24 in casa comporta uno

stress fisico e mentale non indifferente, che dipende molto dalla relazione che si riesce ad istaurare con il “datore di lavoro”. In genere l’assistente non parla molto bene la lingua italiana e l’anziano tende ad esprimersi con termini dialettali: la difficoltà a capire i bisogni dell’uno e dell’altro non aiuta di certo il difficile percorso di reciproca conoscenza. Per linguaggio si intende non solo quello verbale, ma anche le abitudini e le usanze delle persone: quelle straniere hanno spesso alle spalle un bagaglio culturale e lavorativo differente, che impedisce un adeguamento immediato alle caratteristiche della cultura italiana. Itaca, da sempre sensibile ed attenta alla tematica, ha organizzato una serie di interventi formativi ponendo


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IN PRIMO PIANO

particolare attenzione alla scelta degli argomenti da trattare ed affidandone l’illustrazione a docenti di provata esperienza nel campo dell’assistenza e della cura a domicilio o della formazione specifica. La Cooperativa pordenonese ha curato inoltre le sostituzioni delle assistenti familiari impegnate a frequentare il corso. Accanto ed in sinergia con i docenti, hanno operato dei mediatori culturali/tutor, figure individuate tra i soci lavoratori di Itaca, allo scopo di favorire una più puntuale e completa acquisizione dei concetti tecnici da parte dei partecipanti e l’integrazione del gruppo classe. Sul piano didattico, la progettazione degli interventi da parte dell’ufficio formazione è stata realizzata in collaborazione e secondo le linee guida dei Servizi sociali dei Comuni interessati. Sono state individuate sei sedi: Fossalta di Portogruaro, Portogruaro, Caorle, Annone Veneto, Jesolo e Musile di Piave. Le assistenti sociali di riferimento hanno curato la raccolta delle iscrizioni, i corsisti provenivano dai venti Comuni del Veneto Orientale. Tra loro diversi familiari ai quali sono stati forniti suggerimenti utili per vivere in maniera serena e consapevole il ruolo di caregiver. In alcuni casi, persone che avevano partecipato all’edizione 2009 si sono iscritte nuovamente esprimendo soddisfazione e gradimento circa l’organizzazione dei corsi. La presenza di persone dalle provenienze geografiche e culturali variegate all’interno dello stesso gruppo classe ha determinato da parte dei docenti l’adozione di un linguaggio e di una esposizione semplice e comprensibile, pur non eludendo quelle che sono le questioni di fondo del lavoro a domicilio, che presuppone la padronanza di concetti teorici e strumenti operativi specifici e in continua integrazione fra loro. Nel corso di ciascun intervento si è cercato di toccare i diversi aspetti rilevanti nel lavoro di cura ed assistenza: dopo una prima introduzione generale sul panorama ed il funzionamento della rete dei Servizi sociali, sistema questo all’interno del quale le assistenti familiari devono sapersi collocare come attori consapevoli del proprio ruolo, si è approfondita la dimensione della comunicazione come passo fondamentale per la rivalutazione del ruolo dell’assistente all’interno della famiglia ospitante. Nel corso di questo modulo è emersa con forza da parte di alcuni discenti la richiesta di suggerimenti per favorire l’accettazione e la valorizzazione del ruolo dell’assistente da parte dei familiari dell’utenza, un problema questo in cui giocano spesso un ruolo fondamentale le difficoltà linguistiche e le differenti sensibilità culturali da una parte, ed il carico emotivo dei familiari dall’altra. Uno specifico modulo è stato dedicato alla trattazione dei disturbi comportamentali dell’anziano con l’intenzione di dare un nome ai comportamenti “disturbati”, spiegando l’aspetto di evoluzione fisiologica che comporta l’invecchiamento, per imparare a comprendere l’assenza di volontarietà e di consapevolezza di alcuni comportamenti come, ad esempio, le reazioni eccessive e incontrollate, la rabbia, la perdita di contatto con la realtà, le fasi di depressione. Il docente ha facilitato il confronto sugli atteggiamenti intrapresi

nelle situazioni difficili lavorando sulle esperienze dirette, cercando di costruire un vademecum delle cose da fare e di quelle da evitare. Il tema dell’igiene e della sicurezza in casa ha fatto riflettere su come, al variare della capacità della persona anziana di utilizzare spazi e attrezzature, difficilmente corrisponde un processo di adeguamento dell’ambiente abitativo. Si deve ricordare che la casa, quando non è adeguata, finisce col condizionare fortemente l’autonomia di chi la abita, quando, invece, dovrebbe diventare più sicura e funzionale, consentendo alla persona in età avanzata di vivere nell’autonomia più ampia possibile e facilitando i compiti a tutti coloro che vi prestano assistenza. Con il sopraggiungere di difficoltà visive, uditive, motorie, cognitive legate all’invecchiamento è importante identificare i mutati bisogni e rendere l’abitazione adeguata. Occorre tenere presente l’accessibilità, cioè la possibilità di raggiungere uno spazio o un luogo senza incontrare ostacoli (gradini, dislivelli, porte non facilmente apribili, mobili e arredi difficilmente accessibili); gli spostamenti e l’abilità dell’anziano di muoversi in casa. Il modulo di assistenza alla mobilità ha permesso ai partecipanti di capire come la persona anziana vada sollecitata a “muoversi”, non sostituendosi a lei in tutto ma incoraggiando le attitudini individuali e l’utilizzo delle capacità residue, spronandola ad occuparsi della propria persona (cure igieniche) e, se possibile, coinvolgendola nelle attività domestiche. È importante per chi vive con una persona con capacità motorie ridotte, aiutarla a muoversi senza rischi, in modo corretto, evitando cattive abitudini. Diverso rispetto all’anno scorso il modulo sugli aspetti di cultura culinaria italiana, con la presentazione di un ricettario più completo, da cui trarre spunti e idee per un menù variegato. L’alimentazione è una delle basi fondamentali della nostra vita ed una sua più corretta conoscenza può aiutarci a vivere meglio. Il modulo è stato utile sia per l’acquisizione di informazioni circa la conservazione e la preparazione degli alimenti, sia per stimolare nei discenti una riflessione su come, anche attraverso il cibo e la gastronomia, sia possibile realizzare un intervento assistenziale efficace. Gli incontri si sono spesso svolti utilizzando la tecnica partecipativa ed interattiva, mettendo al centro le esperienze dei partecipanti, per favorire lo scambio e la risoluzione dei problemi che incontrano nel processo di assistenza. I partecipanti sono stati spesso invitati a descrivere le esperienze confrontandole con il Paese di appartenenza, soprattutto paragonando le loro abitudini e modi di fare con le aspettative del contesto in cui operano attualmente, in cui occorre coinvolgere la famiglia dell’assistito e tutta la rete sociale. Ulteriore compito dei docenti è stato indurre gli iscritti ad interrogarsi sulle motivazioni che hanno condotto a svolgere queste attività, mettendo a confronto i fattori di rischio fisici e psicologici in cui possono incorrere (depressione, irascibilità, burn-out, frustrazioni, dolori fisici, errata alimentazione, ecc.). È stata riportata più volte la necessità di avere più tempo a disposizione per potersi confrontare e riportare le proprie convinzioni o


IN PRIMO PIANO esperienze personali, soprattutto rispetto alla mobilizzazione e alle abilità comunicative e relazionali. In generale i corsisti hanno dimostrato soddisfazione per l’andamento del corso e quasi tutti hanno espresso interesse per l’approfondimento di una o più tematiche affrontate. Più in particolare uno specifico interesse è stato manifestato per le tematiche legate al primo soccorso, alla lingua e cultura italiana, alle

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tecniche di pulizia, all’orientamento nei servizi, agli elementi di dietologia, alle differenze fra le culture. Al termine del percorso molte assistenti familiari hanno espresso apprezzamento e soddisfazione, con la speranza che un’iniziativa come questa si possa ripetere nel futuro. Ufficio formazione

Badanti: 4 su 5 non hanno esperienza

Le assistenti familiari nel Veneto orientale Le svela un’indagine di Elabora

Portogruaro Nel 2009 lo Sportello Donne Immigrate del Comune di Portogruaro e la cooperativa sociale l’Arco, in collaborazione con l’Associazione Migranti della Venezia Orientale onlus, hanno promosso un’indagine sociologica campionaria nei comuni del Veneto Orientale con i seguenti obiettivi: • raccogliere elementi per aumentare la conoscenza sulle condizioni di vita e lavoro delle assistenti familiari presenti nel territorio; • alimentare un dibattito pubblico sul ruolo che le assistenti familiari stanno assumendo nel sistema di welfare locale; • favorire l’individuazione di strumenti per potenziare le loro capacità professionali e favorire l’integrazione sociale nel contesto locale. Tra luglio ed ottobre sono stati raccolti ed analizzati 153 questionari, somministrati direttamente ad assistenti familiari che gentilmente hanno risposto a domande relative alla loro provenienza, al loro stato anagrafico e civile, alla condizione lavorativa e sociale di badante. Di seguito sono esposti in modo sintetico i principali risultati emersi da questa indagine, rimandando ad un successivo e più esaustivo rapporto l’analisi completa. Chi sono le assistenti familiari? Secondo i dati raccolti, il lavoro dell’assistenza familiare nel portogruarese coinvolge quasi esclusivamente donne (98% del totale), con un’età compresa principalmente tra i 40 e i 59 anni (76%), principalmente coniugate (nel 53% dei casi), ma anche separate e divorziate (20%), nonché vedove (17%). Tre sono i principali Paesi di provenienza: Ucraina (50%), Romania (22%) e Moldavia (20%). L’80% di queste donne ha figli maggiorenni, mentre più della metà ha anche figli minorenni che, nella maggior parte dei casi, vivono nel paese d’origine. La maggioranza delle assistenti familiari di origine straniera è arrivata in Italia dopo il 2000 e per oltre la metà il primo luogo di residenza non è stato Portogruaro, ma altre città d’Italia (anche del Sud). Quasi tutte hanno lasciato il proprio Paese per motivi

economici. La maggior parte delle assistenti familiari qui occupate ha titoli di studio medio-alti: una su cinque possiede la laurea, oltre il 60% un titolo equivalente al nostro diploma di scuola media superiore. Le assistenti familiari extracomunitarie hanno attraversato la frontiera italiana prevalentemente con il permesso di soggiorno per motivi turistici. Solo una ogni sei dichiara si essere entrata senza documenti validi, in modo irregolare. L’80% delle assistenti familiari extracomunitarie attesta di essere, al momento dell’indagine, in possesso di un titolo di soggiorno valido per la permanenza in Italia. L’irregolarità è una caratteristica soprattutto delle assistenti arrivate da poco tempo. La maggior parte è iscritta all’anagrafe e ha la tessera sanitaria. Qual è il loro percorso lavorativo? Le assistenti familiari intervistate lavoravano anche prima di arrivare in Italia, pur facendo tutt’altro tipo di lavoro: impiegate, commesse, segretarie, operaie, insegnanti. Solo alcune di loro erano occupate nei settori sociali e sanitari. Sono venute a conoscenza dell’opportunità di fare la badante prima di arrivare in Italia, principalmente attraverso il passaparola di altre assistenti familiari. Il 60% fa la badante da meno di 5 anni. Quasi un terzo assiste contemporaneamente più di una persona. Nove su dieci ha cambiato perlomeno una volta la famiglia, sia per decesso dell’assistito, sia per decisione del datore di lavoro o della stessa badante. Sono solo un quarto quelle che hanno superato i tre anni di permanenza continuativa nella stessa famiglia. Le ore di lavoro settimanali sono ben oltre i termini massimi previsti dal contratto (54 ore) per il 62% delle assistenti. Le mansioni svolte non sono solo relative al lavoro di accudimento dell’assistito (includendovi anche piccole prestazioni infermieristiche), ma si allargano a comprendervi la pulizia della casa, il disbrigo delle diverse pratiche domestiche, la cura dell’orto e del giardino. Tre su quattro ha un regolare contratto di lavoro. Il lavoro nero è prerogativa soprattutto delle assistenti familiari arrivate da meno tempo. Quasi tutte inviano, pur con diversa frequenza, una parte del denaro percepito al proprio Paese d’origine.


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IN PRIMO PIANO

Chi assistono le badanti? Gli assistiti sono soprattutto donne (nel 70% dei casi), con più di 75 anni (88%), parzialmente o completamente non autosufficienti (in totale quasi il 90%), che vivono da sole (tre su quattro) e spesso senza rete familiare, parentale o di vicinato. Nell’85% dei casi l’assistente familiare vive in casa dell’assistito. In alcuni casi il servizio della badante è aggiuntivo rispetto ai servizi socio-sanitari pubblici, quali SAD (servizio di assistenza domiciliare), ADI (assistenza domiciliare infermieristica), AIMED (assistenza domiciliare medica integrata).

associative), oppure italiani. Ben più difficile è che le assistenti familiari abbiano rapporti con stranieri di altre nazionalità.

Quali competenze assistenziali e conoscenze possiedono? Quattro su cinque in precedenza non avevano mai fatto il lavoro di assistente familiare. Nonostante ciò si sentono piuttosto preparate per il lavoro che fanno, pur senza aver mai frequentato un corso di formazione. Una su tre frequenterebbe dei corsi di formazione. I tre quarti non possiede la patente di guida per l’automobile. Il servizio del territorio più conosciuto è il progetto Abramo seguito dai Servizi Sociali; poco noto risulta lo “sportello casa”. La “Guida dello sportello donne immigrate del Veneto orientale” è conosciuta da circa il 30% delle intervistate.

Sono contente di fare questo lavoro? La maggior parte delle assistenti familiari intervistate si dichiara soddisfatta del lavoro di badante, benché non manchino alcune critiche. Le più insoddisfatte sono o le più giovani o le più anziane, ovvero quelle che si trovano all’inizio e alla fine del percorso lavorativo. L’aspetto ritenuto la fonte di maggior soddisfazione è quello relativo ai rapporti umani; quello più insoddisfacente è l’aspetto professionale.

Come passano il tempo libero? Il poco tempo libero viene trascorso o guardando la televisione oppure leggendo libri. Molto comune è anche la frequentazione del parco, specie nella bella stagione. La quasi totalità usa ed è in possesso del cellulare, mentre la posta elettronica ed internet sono mezzi ancora poco conosciuti ed utilizzati. Fuori dal lavoro frequentano prevalentemente connazionali (con i quali condividono anche attività

Qual è il loro stato di salute? La metà delle intervistate afferma che il proprio stato di salute è buono. Tra i malesseri dichiarati emergono: stanchezza, sia fisica che psicologica (morale basso), mal di testa, dolori alla schiena. Quasi il 45% comunica di aver effettuato, negli ultimi sei mesi, una visita medica.

Che progetti hanno per il futuro? La maggior parte delle assistenti familiari intervistate, nel loro futuro, vorrebbero continuare a fare il lavoro di badante. Una su tre però vorrebbe cambiare lavoro, pur rimanendo in Italia. Oltre la metà delle intervistate conosce altre assistenti che sono già rientrare al paese d’origine. Il motivo non sembra però quello della crisi economica, ma piuttosto di ordine sanitario, familiare o di raggiungimento degli obiettivi del percorso migratorio. A cura di Paolo TOMASIN Elabora

Vuoi contribuire a La Gazzetta? Invia il tuo articolo, meglio se corredato da immagini in allegato jpg, a: f.dellapietra@itaca.coopsoc.it oppure al fax 0434 253266. Per informazioni chiama il 348 8721497. Il termine ultimo per il numero di ottobre è martedì 28 settembre alle ore 9. Ricordo a tutti/e che le immagini a corredo dei vostri articoli NON vanno impaginate all’interno del file word, ma devono essere inviate in allegato jpg (via mail) o consegnate a mano.


EDITORIALE

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Verso l’apprendimento della speranza

Interrompiamo il dialogo Per costruire azioni collettive

Pordenone, domenica 1 aprile 2035. È notizia di questi giorni: in un piccolo Comune, in un quartiere periferico i residenti abbiano deciso di chiudere alcuni luoghi comunitari. Lo hanno fatto contro la volontà delle istituzioni, ma con il favore della popolazione. Una scelta controcorrente, coraggiosa frutto di un lungo percorso semiclandestino, un faticoso lavoro di alcuni cittadini, che oserei chiamare illuminati. Una scelta che, come un fiume carsico, scompare e ricompare nel panorama italiano, un fiume la cui portata rivoluzionaria ancora non conosciamo. La situazione era diventata insostenibile da molto tempo, giovani e vecchi vivono gli stessi luoghi, gli stessi tempi senza distinzioni in un caotico e magmatico non luogo intergenerazionale. Questa è la critica teorica, la chiusura forzata è la pratica. É questa parola che da anni condiziona le scelte dei nostri amministratori in materia di lavoro sociale, di welfare, di comunità. Intergenerazionale è divenuto ormai il paradigma imprescindibile dell’agire quotidiano, nulla può essere fatto senza che questa diventi una condicio sine qua non. Ogni iniziativa ha l’obbligo, prima ancora che normativo, morale di includere in termini intergenerazionali tutti i cittadini. Il dialogo fra generazioni è ormai prassi consolidata da decenni, e nessuno pare oggi in grado di proporre alternative al modello vigente. É giusto? Cosa significa realmente intergenerazionale? Alcuni mesi fa ho visitato, accompagnato da un solerte amministratore, uno di questi luoghi e ne sono rimasto profondamente colpito. Il mio cicerone mi spiegò come giovani, bambini e anziani lì giocassero insieme, come le associazioni, con la sede nella struttura e nate per volontà di alcuni abitanti del quartiere, fossero rigorosamente senza distinzione

di età, e come queste ogni anno organizzassero feste, incontri, manifestazioni di solidarietà tutti insieme sempre. Nell’ampio locale un gruppetto di ragazzi giocava a calcetto con i propri nonni e alcune ragazze discutevano, costruendo delle strane palle di stoffa, con delle vetuste signore. Il calendario dello spazio comunitario prevedeva un’inquietante incontro dibattito dal tema “Nuovi Social network sono diventati classisti?”. Mi son fermato a parlare con Gina, così si chiamava una ragazza fra le più impegnate, sconvolta della proliferazione di gruppi chiusi di giovani e mi ha raccontato come sia sempre più facile trovare luoghi e situazione di vero e proprio apartheid generazionale. Ha usato questo vecchio termine che da anni non sentivo: apartheid. Ha continuato sempre più infervorata: i vecchi che si trovano fra di loro ed escludono i giovani e viceversa, lo scriva del pericolo che stiamo correndo! Raccontava di aver avuto un contatto con una piccola associazione informale di giovani e di aver cercato di coinvolgerli in un processo comunitario. La risposta era stata secca e violenta: noi con i vecchi non ci stiamo! Il sintomo di una profonda crisi del modello sociale che negli ultimi 20 anni ha portato a condividere spazi, fondere iniziative e desideri, ad omologare aspettative, a scambiarsi esperienze, a vivere le stesse emozioni, è sempre più evidente soprattutto nei luoghi informali della rete e lentamente ma inesorabilmente nei luoghi del vivere quotidiano. Gruppi di discussione, vilipesi e osteggiati dalle istituzioni, dagli educatori, dai politici, dagli intellettuali, propagandano, in modo sempre meno clandestino, la divisione, il ritorno agli scontri generazionali, ad un mondo in cui i vecchi erano vecchi e i giovani giovani. Quest’indiscussa mescolanza di età, l’approccio universalistico, intergenerazionale, omologante inizia oggi a


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EDITORIALE

mostrare la corda. Gli anziani, così come i giovani, non sanno più riconoscersi in un modello di riferimento proprio, identitario. Io stesso che ho vissuto integralmente la mia vita lavorativa in questo contesto, ho oggi difficoltà a riconoscermi in una mia generazione. Si vive il tempo biologico senza soluzione di continuità, si è annullata in via definitiva l’età di mezzo, culturalmente indecente, una sorta di medioevo oscuro e indefinito stretto fra un’eterna giovinezza ed una giovanile maturità. La domanda da porsi ora è: dove sono finiti gli adulti? A forza di parlare e dialogare fra giovani e anziani, fra meno giovani e meno anziani abbiamo annullato ciò che Dante proponeva come nel mezzo del cammin di nostra vita. Siamo sempre e comunque giovani, almeno fino alla morte. Le classi di età tendono a sparire, rimangono come residuato concettuale arcaico, legato a riti di passaggio che la nostra società tende a rimuovere, o peggio, a slegare dal concetto di età. La formazione, la stessa educazione è ormai un concetto senza età, la scuola è infinita, l’apprendimento è continuo, lungo tutta la vita. Il lavoro è senza inizio e senza fine certa, il lunghissimo processo di deprecarizzazione, che fu avviato all’inizio della seconda decade del 2000, ha portato oggi a non essere più in grado di definire come e quando la nostra vita lavorativa si svolgerà. La famiglia, la procreazione, la cura dei figli è decontestualizzata, affidata a luoghi perfetti in cui il bambino impara il rapporto continuo e costruttivo con le altre età, in cui i conflitti generazionali sono appianati, risolti sul nascere, inibiti. Chi si discosta da questo, chi cerca un’identità mutevole con il tempo, un’identità che cambia con il cambiare delle stagioni della vita, è considerato eretico, malato, asociale, svantaggiato, disagiato a seconda di come e di chi questi giudizi li esprime. La nostra società non ha più da molti anni scontri sociali, non ha più violenza giovanile e intemperanze senili, la nostra società è placidamente votata al dialogo senza aver più nulla di cui discutere e nulla da trasmettere. Almeno fino ad oggi. Nel 2008 la rivista Ippogrifo con il sostegno della Provincia di Pordenone e in collaborazione con l’Ass 6 e il Comune di Pordenone, Coop. sociali Acli, Fai, Itaca; Liceo “Leopardi-Majorana, hanno organizzato i Seminari trasversali sul tema l”L realtà e le prospettive del lavoro in rete”, rivolti a chi opera nella scuola, nei campi della salute e dell’assistenza, nella progettazione e amministrazione pubblica, conclusosi poi con un convegno e la pubblicazione di un numero di questa rivista. Un seminario che ha avuto la particolarità di far lavorare assieme le persone che solitamente operano in servizi diversi (scuola, anziani, salute mentale, ecc.). In quell’occasione ci si è confrontati sulla questione della leadership e della crisi della leadership nelle istituzioni, sulla vaghezza del concetto di rete e la necessità di individuare dei dispositivi con cui calare nell’operatività

quotidiana le idee di fondo. Ci eravamo lasciati con la proposta di mettere in atto un dispositivo trasversale, a partire da una leadership più presente che responsabilizzasse, monitorandone poi gli sviluppi, alcuni gruppi di operatori chiamati ad avviare percorsi di lettura del bisogno e di risposta alla domanda, che abbiamo chiamato operatori “di collegamento”. Come siamo arrivati alla questione dell’inter-generazionalità? Ci siamo arrivati attraverso l’incontro di pensieri, attraverso il fatto che i Piani di Zona tacciono, focalizzando infine quell’area dove forse è più visibile la difficoltà dell’incontro e quindi del collegamento; quell’area che è il dialogo fra le generazioni. Sappiamo tutti che in realtà il discorso è molto più complesso … Viviamo in sistemi chiusi (servizi, generazioni, abitazioni, individui), sistemi che convivono numerosi e i cui codici non entrano mai in comunicazione e non si capiscono. Ma ci deve pur essere una strada verso il cambiamento, almeno un sentiero verso il tentativo di un cambiamento … E la riflessione si è approfondita nelle tre giornate di eventi, convegni, iniziative, film “Non è un paese per vecchi ? Il dialogo (interrotto) tra le generazioni” realizzate a Pordenone a gennaio 2010. Allora riprendendo le parole di Pier Giulio Branca, visto che non è un paese per vecchi, ma forse nemmeno per giovani né per nessuno … una strada possibile è il ripensare la comunità, non solo come il contesto per gli interventi individuali o collettivi, né solo come una risorsa, ma anche come il soggetto e l’oggetto dell’intervento. I soggetti cambiano le condizioni se sviluppano senso di responsabilità o senso di proprietà rispetto al problema, abilitano competenze partecipatorie, percepiscono di avere un potere, accrescono il senso di comunità. La logica di fondo di questo scenario è l’empowerment. Empowerment, inteso come incremento delle capacità delle persone di passare dalla cosiddetta situazione di «passività appresa» - del soggetto che ha sviluppato un sentimento di impotenza di fronte alle esperienze -, «all’apprendimento della speranza» derivata dal sentimento di aumentato controllo sugli eventi, tramite la partecipazione e l’impegno nella propria comunità. Empowerment si declina nello sviluppo di comunità e consiste nel processo per cui si supportano le persone nel miglioramento delle loro Comunità attraverso azioni collettive. Tale lavoro si fonda sul riconoscere che la presenza di comunità sane non soltanto migliora la qualità della vita di chi ne fa parte, ma facilita anche l’erogazione dei servizi che, in mancanza di un’adeguata organizzazione comunitaria, non risulterebbero altrettanto efficaci. Quindi l’incontro tra le generazioni, che poi è anche incontro tra le istituzioni e in fondo incontro tra persone, ci è parso il terreno su cui focalizzare la riflessione e le proposte operative di azioni di dialogo e attivazione della comunità. Andrea SATTA e Laura LIONETTI


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Dire, dare, fare … capacità in gioco

La Giornata dei talenti Iscrizioni ancora aperte

Barcis Come già anticipato nello scorso numero de La Gazzetta, sabato 9 ottobre alle 9, presso la Casa per ferie San Giovanni di Barcis, si svolgerà l’incontro dedicato ai talenti delle Socie e dei Soci di Itaca. L’iniziativa vuole essere un momento di conoscenza reciproca e di valorizzazione delle numerose capacità e delle risorse (non sempre espresse) delle persone che costituiscono la compagine della Cooperativa Itaca. Nella giornata “Dire, dare, fare … capacità in gioco”, i Soci che lo desiderano potranno presentare le conoscenze e le competenze che intendono mettere a disposizione di servizi e attività della cooperativa. La scelta della modalità di presentazione è libera (relazioni, progetti, book, presentazioni in powerpoint, dimostrazioni pratiche, simulazioni), l’unico vincolo è il tempo massimo di 15 minuti per ciascuna presentazione. Alla fine del percorso i partecipanti potranno avere una restituzione sulle possibili applicazione della competenza nei servizi e negli uffici di Itaca o in attività rivolte ai Soci, inoltre potranno aggiornare il proprio curriculum vitae. Si ritiene utile specificare che l’iniziativa non si configura come una selezione interna. Per facilitare il lavoro di chi presenterà la propria competenza e di chi ascolterà le presentazioni, i “talenti” sono stati suddivisi in due filoni: il primo è tecnico, il secondo è artistico. È possibile presentare la propria candidatura per una o più categorie.

Le categorie tecniche • Traduzioni

dal

__________

al

___________

• Scrittura progetti • Docenza per corsi di formazione, materie _______ ________________________________________

• Abilità afferenti la cura e il benessere della persona (pet therapy, arte terapia, musicoterapia, danza terapia, orto sinergico, istruttori sportivi … ) • Altro ________________________________

Le categorie artistiche • Danze popolari • Attività di animazione e giocoleria • Disegno, ceramica, • Cinema, foto e fumetto • Musica e musicanti (direttori di coro, strumentisti …) • Altro _________________________________ Compila il modulo che trovi di seguito e invia la tua candidatura con la descrizione della competenza che intendi presentare ed un curriculum vitae aggiornato a sportellosoci@itaca.coopsoc.it, oppure via fax allo 0434 253266, puoi anche consegnarlo a mano al centralino della sede di Pordenone. Per permettere l’organizzazione della giornata ti chiediamo di consegnare la tua candidatura entro il 30 settembre.


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Programma della giornata Dire, dare, fare … capacità in gioco 8.30 – 9.00 Caffè di benvenuto e registrazione dei partecipanti 9.00 – 10.00 Presentazione della giornata e breve presentazione di Itaca 10.00 – 13.00 Attività di presentazione delle competenze 13.00 Pastasciuttata Invia questo modulo a sportellosoci@itaca.coopsoc.it oppure via fax 0434 253266 “Dire, dare, fare … capacità in gioco” Allo Sportello Soci della Cooperativa Itaca Mi chiamo ____________________________ sono Socio della cooperativa Itaca dal _____________________ tel. _____________________ desidero partecipare alla giornata “Dire, dare, fare … capacità in gioco” che si svolgerà il giorno 9 ottobre presso la Casa per ferie di Barcis. La competenza che intendo presentare (barrare la casella scelta):

Le categorie tecniche Traduzioni dal ________________________ al__________________________ ȿȿ Scrittura progetti (FSE, Europei, …)____________________ ȿȿ Docenza per corsi di formazione, materie: _____________________ ȿȿ Abilità afferenti la cura e il benessere della persona (pet therapy, arte terapia, musicoterapia, danza terapia, orto sinergico, istruttori sportivi … ) ȿȿ Altro ________________________________

Le categorie artistiche ȿȿ ȿȿ ȿȿ ȿȿ ȿȿ ȿȿ

Danze popolari Attività di animazione e giocoleria Disegno, ceramica, Cinema, foto e fumetto Musica e musicanti (direttori di coro, strumentisti …) Altro _________________________________

Breve descrizione della competenza (esempio: disegno fumetti e illustro racconti)

La mia proposta di applicazione della competenza in un servizio o attività della cooperativa (esempio: mi metto a disposizione per scrivere e illustrare libricini e guide per i minori e per collaborare alla preparazione della Gazzetta)

Allego curriculum vitae aggiornato Data __________

Firma ________________


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Aquileia 23 settembre

Legacoopsociali Fvg in assemblea Riforma L. 381 e norme sull’impresa sociale

Udine L’assemblea regionale di Legacoopsociali è stata convocata per il prossimo 23 settembre ad Aquileia. Invitate tutte le Cooperative e i Consorzi sociali aderenti presso il Terra e Laguna Wine Restaurant in via Minut 1 (iniziativa delle Cooperative Famiglia Cooperativa di Aquileia, Almar di Marano Lagunare, Immaginaria di Latisana). Il programma prevede dalle 9.30 alle 13 una prima sessione aperta al pubblico che verterà sulla “Riforma della legge 381 ed attuazione delle norme sull’impresa sociale”. Invitati come relatori: Alberto Alberani, re-

sponsabile per le tematiche dell’impresa sociale della Presidenza nazionale di Legacoopsociali (confermato) ed il prof. Giulio Ecchia, preside della Facoltà di Economia dell’Università di Forlì. Seguirà la pausa buffet (13-14,30) terminata la quale i lavori riprenderanno con la seconda sessione dalle 14.30 alle 17 riservata alle Cooperative associate ed ai componenti della presidenza e della giunta esecutiva di Legacoop Fvg. Il tema in calendario riguarda “Il congresso regionale e nazionale di Legacoop”, verrà altresì presentato il documento elaborato dalla giunta esecutiva regionale di Legacopsociali Fvg.

Messa a Sant’Osvaldo con don Ilario «Lì ho avuto la vocazione» Udine Da tre anni gli infermieri dell’ex Ospedale psichiatrico si danno appuntamento nel parco di Sant’Osvaldo per mantenersi in contatto e per ricordare il difficile lavoro svolto in quella struttura. E quest’anno, più precisamente sabato prossimo (4 settembre, ndr), avranno un ospite speciale. Celebrerà infatti la messa alle 11, nella cappella all’interno del complesso, un sacerdote che, prima di iscriversi al seminario di Castellerio, ha lavorato alla comunità “Nove”, centro diurno per il reinserimento delle persone con disabilità psichica, situato sempre nel parco. Si tratta di don Ilario Virgili, 34 anni, ordinato sacerdote il 29 maggio scorso dall’arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato durante un rito in Duomo a Udine. Don Ilario cominciò a lavorare nella comunità “Nove” nel 1995 e vi rimase fino al 2003. Entrò nella comunità come obiettore di coscienza e subito si appassionò a quell’impegno. L’anno successivo venne assunto dalla cooperativa Itaca che gestiva(e gestisce tuttora, ndr) la struttura per conto dell’Ass 4. L’operatore Ilario aveva capito che proprio in quel luogo poteva aiutare le persone e che questo era quanto desiderava fare di più nella vita. «Quegli anni di lavoro furono per me un’esperienza straordinaria – spiega il sacerdote -, perché vi si condividevano percorsi di vita difficili, a volte drammatici. Cominciam-

mo con circa 5 ospiti, ma presto la comunità si allargò e quando me ne andai c’erano oltre 30 utenti». Il centro diurno “Nove” si batteva ogni giorno per aiutare persone spesso ai margini e che avevano gravi difficoltà anche nei rapporti sociali, a causa della malattia. «Organizzavamo molte attività, da quelle manuali a quelle sportive. Erano modi per migliorare la vita sociale delle persone. Abbiamo ottenuto, negli anni, anche ottimi risultati». Fu proprio in quel periodo che Ilario ebbe la vocazione. «Dopo aver riflettuto per molto tempo – racconta - capii che se fossi diventato sacerdote avrei potuto aiutare ancora di più le persone. Avrei potuto donare di più. Oltre all’aiuto, infatti, avrei potuto diffondere il Vangelo e la fede in Cristo. A quel punto mi licenziai, mi iscrissi al seminario e decisi di diventare prete». Anche gli anni trascorsi a Castellerio sono un’esperienza da ricordare per don Ilario, che ora, da un mese, è cappellano a Codroipo. «Eravamo 20 ragazzi con un percorso di vita simile, legati da un impegno profondo e intenso». Don Ilario sa che le vocazioni sono sempre più rare, ma lui crede «che soltanto lo Spirito Santo potrà indicarci la strada per invertire tale tendenza». E aggiunge: «Penso che il motivo per cui ci sono pochi ragazzi disposti a intraprendere questa scelta dipenda dal fatto che le nuove generazioni hanno paura di affrontare progetti a lungo termine. Sono spaventati, ma c’è anche chi ha ancora questo coraggio». Renato SCHINKO Fonte: Messaggero Veneto, Udine, 31-08-2010

Fasce deboli e persone disabili

L’Aci di Udine attiva lo “Sportello a domicilio” Rivolto anche a detenuti e lungodegenti

Udine L’Automobile Club d’Italia ha appena avviato a Udine

lo “Sportello a domicilio”, un nuovo servizio sociale e gratuito per le fasce più deboli della popolazione. “Sportello ACI a domicilio” sarà riservato alle persone


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diversamente abili non deambulanti, ai malati lungodegenti, ai detenuti presso istituti di pena, agli ospiti di comunità terapeutiche o di istituti di riabilitazione. Con il ricorso alla tecnologia telematica e in tempo reale l’Aci espleterà a casa del cittadino con gravi difficoltà fisiche a spostarsi o presso la struttura dove è ricoverato qualunque formalità legata alla vita del veicolo: dal trasferimento di proprietà alla radiazione del mezzo, dalla pratica per la successione ereditaria al rilascio del duplicato del Certificato di Proprietà. Le uniche spese sono relative ai costi previsti dalla normativa vigente per l’espletamento delle formalità. Per richiedere il servizio è sufficiente contattare l’Ufficio Provinciale Aci-Pra di Udine ai numeri 0432-626411-626420 oppure collegarsi all’indirizzo internet www.up.aci.it/udine. “Sportello ACI a domicilio” è uno dei progetti per migliorare la qualità dell’offerta dei servizi resi all’utenza. Il servizio è attivo anche a Trieste e verrà esteso alle altre Province del Friuli Venezia Giulia. Un giudizio immediato sui servizi ricevuti. Lo potranno esprimere tutti i cittadini che si recheranno presso l’Ufficio Provinciale Aci-Pra di Udine, dove i

touchpad posizionati nel salone serviranno a misurare il livello di soddisfazione del pubblico attraverso l’utilizzo di tre semplici “emoticons”, le faccine ormai familiari nella comunicazione web e via sms. L’iniziativa si chiama “Mettiamoci la faccia”. E porta la firma del ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta, che ha coinvolto in questo progetto sperimentale cinque amministrazioni pubbliche, tra le quali l’Automobile Club d’Italia. Il cittadino ha la possibilità di manifestare subito le proprie opinioni: alla “faccina” verde corrisponde un giudizio positivo, a quella gialla la sufficienza, mentre la rossa rappresenta una valutazione negativa. In questo ultimo caso l’utente avrà la possibilità di comunicare in modo più preciso i motivi della sua insoddisfazione. “Mettiamoci la faccia” è anche sul sito www.aci.it per i servizi di pagamento del bollo, i costi chilometrici e le visure Pra. Lusinghieri i risultati: dal 5 al 11 luglio è emerso che il 100% degli utenti ha espresso un giudizio positivo. Il servizio è attivo nelle altre Province del Friuli Venezia Giulia.

L’Alzheimer a Pordenonelegge.it

L’altro Kant – la malattia, l’uomo, il filosofo Venerdì 17 settembre ore 16.30

Pordenone Sfiorando l’ottantesimo anno di età, dopo un lungo periodo di penosa malattia, nel 1804 si spense Immanuel Kant, uno degli esponenti più significativi della filosofia moderna. La malattia in questione è identificabile con la demenza di Alzheimer. Tale esperienza come fu vissuta dal grande pensatore? Influì sulla sua produzione filosofica? Cosa significò per lui e per le persone devote che gli restarono accanto sino alla fine? E, ancora, cosa generò l’interesse per la medicina che Kant manifestò sin dagli anni giovanili? Come si tradusse nelle sue opere? Tramite contributi inediti, il libro L’altro Kant tenta di rispondere a questi interrogativi. Il risultato di oltre 10 anni di ricerca per conoscere e capire meglio l’uomo e il filosofo. L’incontro è ad ingresso libero fino ad esaurimento posti ed è previsto venerdì 17 settembre alle 16.30 nella sala convegni del Palazzo della Camera di commercio. Di Renato Fellin, Federica Sgarbi e Stefano Caracciolo (Piccin Editore), L’altro Kant – la malattia, l’uomo, il filosofo nasce sulla base dell’ipotesi pubblicata dalla prestigiosa rivista The Lancet (Fellin R., Blé A., The disease of Immanuel Kant, The Lancet, Volume 350, Issue 9093, 13 December 1997, P. 1771-1773), secondo cui Kant era, forse, affetto, negli ultimi anni della sua vita, da una forma di demenza. L’appuntamento è, curato dall’associazione familiari Alzheimer di Pordenone, ha l’obiettivo di far conoscere ancor meglio alla popolazione la realtà di chi soffre di Alzheimer. Introdurrà gli autori, a suggello della pluriennale collaborazione tra la Libera Università dell’au-

tobiografia di Anghiari e Afap onlus, Mario Vio, che dal 2009 collabora in modo stabile con l’Associazione, organizzando un corso annuale di scrittura autobiografica clinica dedicato ai familiari che convivono quotidianamente con questo terribile morbo. L’opera L’altro Kant ha visto la collaborazione pluriennale di tre studiosi universitari – Fellin, Sgarbi e Caracciolo – impegnati in aree di ricerca differenti – medicina, filosofia e psicologia, psichiatria – che hanno unito le loro competenze per comprendere, in modo più approfondito, la dimensione umana di uno dei più grandi pensatori moderni. «L’altro Kant considerato in queste pagine – evidenzia Federica Sgarbi – è quello dell’indagine filosofica condotta anche in relazione alla vita dell’autore, con particolare riferimento al suo rapporto con la malattia». Il filosofo, nato nel 1724, ebbe un’attenzione così esasperata per la propria salute da poter essere definita ipocondria. Per la prima volta, nel libro L’altro Kant, questo aspetto viene analizzato nel dettaglio, da diversi punti di vista, indagando il peso ch’esso ebbe sulla produzione filosofica dell’autore. Nella Parte Prima (Breve biografia), nella Seconda (Il profilo psicologico) e nella Quarta (Kant e la malattia: l’uomo e il filosofo), gli Autori esplorano vita e opere del Maestro e propongono numerose e affascinanti correlazioni, con particolare attenzione a tre eventi: la precoce scomparsa della madre, la vista dell’antica torre di Loebenicht, la malattia dementigena. Nella Parte Terza (La storia clinica), Renato Fellin riporta i numerosi segni e sintomi che testimoniano il decadimento cognitivo progressivo del filosofo negli ultimi


attualità anni e confronta, in modo pragmatico, il quadro clinico descritto con quello della malattia di Alzheimer. Nella Parte Quarta (Kant e la malattia: l’uomo e il filosofo), Federica Sgarbi cura il difficile e complesso rapporto di Kant con il tema della malattia: passando in rassegna numerose opere kantiane, l’autrice evidenzia brani e considerazioni del grande pensatore, analizzan-

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done le correlazioni e le implicazioni. Mentre nella Parte intitolata La filosofia degli ultimi anni: influenze della malattia? Sgarbi indaga, in modo assolutamente inedito, la possibile influenza del morbo sulla produzione filosofica kantiana degli ultimi anni. La Parte Sesta, La lezione di Kant, è, infine, un omaggio degli autori al grande filosofo.

Serge Latouche a Pordenonelegge.it

L’invenzione dell’economia e la decrescita Sabato 18 settembre ore 16

Pordenone Dall’autore del Breve trattato sulla decrescita serena, ecco un saggio di interrogazione radicale sul terreno di una delle “invenzioni” cruciali della modernità. Come si è formato il nostro “immaginario economico”, la nostra visione economica del mondo? Perché oggi vediamo il mondo attraverso i prismi dell’utilità, del lavoro, della concorrenza, della crescita illimitata? Che cosa ha portato l’Occidente a inventare il valore produttività, il valore denaro, il valore competizione, e a costruire un mondo in cui nulla ha più valore, e tutto ha un prezzo? Serge Latouche ritorna qui alle origini di questa economia che i primi economisti definivano la “scienza sinistra”, e articolando la sua argomentazione in prospettiva storico-filosofica, mostra come si è plasmata

la nostra ossessione utilitarista e quantitativa, e ci permette così non solo di gettare uno sguardo nuovo sul nostro mondo, ma soprattutto di affrontarne la sfida sul piano di valori davvero fondamentali come libertà, giustizia, equità. L’incontro è ad ingresso libero fino ad esaurimento posti e si terrà sabato 18 settembre alle 16 al Palaprovincia di Largo San Giorgio. Serge Latouche (Vannes 1940), professor emeritus di economia all’Università di Paris Sud-Orsay, si dichiara da tempo un obiettore di crescita. Ed è proprio sul concetto di decrescita che basa la sua riflessione sui modi per uscire dal devastante sviluppismo imposto dall’Occidente a se stesso e al resto del mondo. In Italia sono stati pubblicati molti dei suoi scritti, tra cui Il pianeta dei naufraghi, La megamacchina, L’economia svelata, Giustizia senza limiti, La scommessa della decrescita, Economia e decrescita, L’invenzione dell’economia.

La scommessa sul valore aggiunto

Appunti per un ruolo attivo della Cooperazione sociale A margine del convegno “Impazzire si può”

Trieste La cooperazione sociale a Trieste ha una storia senza dubbio più antica di ogni altro luogo. Anzi, la parola “sociale”, dietro Cooperativa è relativamente giovane, perché ha dappertutto vent’anni, qui ha solo vent’anni. Non è luogo, né forse ormai tempo, di ricostruire ancora una volta la storia, il senso, il valore e il futuro dell’impresa sociale in un’ulteriore simposio, ma ha qui importanza ricordare velocemente alcuni oggetti importanti che stanno dentro a quelle scatole (molte ancora chiuse) che sono le cooperative di lavoro e di servizi a Trieste. Se quelle scatole avessimo imparato per tempo a gestirle aperte (lavoro difficile, ma forse non impossibile) gli oggetti, assieme ai normali soggetti che ci stanno dentro, risulterebbero in modo naturale visibili e dunque non avremmo speso così tante energie, così tanto tempo (che ancora dura) a spiegare, a mostrare, addirittura a giustificare i nostri contenuti. Ancora ieri è stato impossibile non suscitare incredulità, meraviglia, a raccontare esclusivamente dei numeri: centinaia di oggetti, diverse migliaia di soggetti. Non solo ai giornalisti, ma addirittu-

ra agli amministratori che con noi sembrerebbero avere rapporti quasi quotidiani. Figuriamoci dei progetti, ambizioni, eccellenze, innovazione… Sul perché le nostre scatole, il nostro lavoro dentro e fuori l’impresa sociale, sono rimaste per tanto tempo chiuse, e ancora oggi è così difficile socchiuderle, è bene forse spendere due righe. Che si tratti di dar da lavorare o che si tratti di curarsi di qualcuno, è estremamente importante che quel qualcuno vada, prima di tutto, protetto. Non è certo una questione di privacy, è una seria e centrale questione di fruibilità dei famosissimi, e ovunque (a parole) condivisi DIRITTI DI CITTADINANZA. La faticosa riacquisizione di normalità non può svolgersi sotto i riflettori di un palcoscenico sociale, dove chi soffre di qualsiasi dolore, di qualsiasi necessità è continuamente osservato, valutato, responsabilizzato; nel bene e nel male strumentalizzato per dimostrare la validità di una qualche tesi socio-politica. Forse è stato importante, se non fondamentale, confondersi; lavorare alla normalità stando tra i normali. Nei posti di fatica, di studio, di formazione, di traffico, di routine quotidiana; luoghi indispensabili a tutti noi, ma che non fanno notizia, che non


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attualità

suscitano interessi mediatici (se non marginali). Luoghi concreti. Ecco, allora, che questa breve riflessione sulla presenza di uno spesso coperchio che tutt’ora sta, forse ormai un po’ scostato, sopra le nostre scatole cooperative ci ha suggerito il primo oggetto: la pratica dei luoghi concreti. Ma se, improvvisamente, quei coperchi “storici”, forse funzionali al nostro lavoro, venissero sollevati, cosa potremmo vedere, cosa potremmo mostrare, finalmente, con orgoglio? Piccole, piccolissime “stanze dei bottoni” con pochi, pochissimi, dirigenti con le ginocchia piegate sotto le scrivanie e molti, moltissimi cantieri aperti, dove si trasportano merci, si potano alberi, si cambiano bambini, si fa da mangiare, si studia con i ragazzi, si puliscono vetri, si montano video, si servono caffè, si rifanno i letti, si piallano tavole, si modellano crete, si stampano carte e stoffe… Tutti con le ginocchia ben diritte, ovunque. Solo nella mia impresa sociale (che non si occupa di trasporti), si percorrono ogni mese più chilometri della misura dell’intera circonferenza terrestre! Tale proporzione (quella tra chi comanda e chi esegue), nelle Cooperative sociali, è un dato infinitamente diverso che in ogni altra organizzazione, tenendo conto del fatto che personalmente non conosco nessuna Cooperativa (ci saranno, ma sono pochissime) che riesce ad applicare i contratti dei dirigenti: pertanto, anche chi comanda non potrebbe essere definito dirigente, ma è un semplice operaio ad un livello contrattuale più alto. Attenzione: non è virtù, non è “economia ideologica” si tratta di pura necessità. Siccome è impossibile che alcune centinaia di capi riescano a mandare avanti efficacemente un esercito di quasi diecimila persone, allora riluce, attraverso l’evidente sproporzione del comando, un altro importante oggetto, una volta aperte (in sezione, come negli studi entomologici dei formicai) le nostre scatole: la responsabile democrazia operativa delle ginocchia. Abbiamo citato di fretta, più sopra, un tema assolutamente centrale, che da solo potrebbe reggere tutto il peso dell’esistenza stessa in vita delle nostre scatole, delle nostre imprese dentro i luoghi concreti, con le ginocchia diritte. Un tema esplorato e rivoltato all’infinito, che dunque non ci azzardiamo di approfondire, almeno non dentro una serie di semplici e sintetici spunti. E non mi riferisco ai notissimi diritti di cittadinanza, i quali sembrano essere automaticamente condivisi da tutto il mondo che ha diritto di parola, sia parlata che scritta, bensì alla Fruibilità dei diritti di cittadinanza. Cioè alla costruzione delle possibilità pratiche attraverso le quali i famosi diritti possono concretamente venire riacquisiti da chi li abbia persi. E’ questa parola la sintesi estrema di tutto il nostro lavoro? E’ possibile. Ma non senza considerare che, inevitabilmente, fruibilità dei diritti, è un campo d’azione che confina, immediatamente, in quello del potere. Riacquisizione di denaro proprio (per quanto poco) attraverso il lavoro, di casa propria (attraverso il denaro guadagnato), di affetti e amici propri (attraverso la salute) è forse riacquisizione (per quanto marginale) di potere? Oppure, se tutto rimane nel confine della marginalità di uno stipendio bassissimo, di una casa minima e malsana, di

pochi e più malati amici e parenti, a che fruibilità abbiamo lavorato, che emancipazione abbiamo raggiunto con infiniti e costosi sforzi? Dunque, l’impresa sociale potrebbe potenzialmente rappresentare un veicolo molto economico (una giornata di lavoro di un cooperatore sociale costa meno di un terzo di una “accoglienza” individuale in carcere e più o meno un quinto di un ricovero ospedaliero) di presa in carico ed emancipazione sociale, ma contemporaneamente opera con risorse talmente minime da rimanere intrappolata in un circuito complessivo di marginalità dal quale sembra impossibile uscire, del quale è difficile non sospettare. Allora un altro oggetto, molto meno brillante del precedente, o meglio, rilucente solo per metà, a sua volta appare: il diritto all’acquisizione, ovvero il dovere alla costruzione di un’economia opzionale. E’ oggi dunque così difficile comunicare in modo semplice e trasparente che non solo la comunità allargata possiede l’impresa sociale, ma che addirittura sembra che (sempre di più) non possa farne a meno? Ci vengono incontro, in tal senso, diverse esperienze, forse nella direzione di quell’economia opzionale. Diverse Cooperative sociali, negli ultimi anni, tra le infinite difficoltà quotidiane alle quali sono soggiogate, sono riuscite anche a chiedersi quale tipo di contributo potessero lasciare sul campo nei territori dove lavorano. Non è un optional. La legge 381 stessa che istituisce quel tipo di organizzazioni, come molti sanno, prevede che la qualità complessiva di salute territoriale (detta in parole più moderne di vent’anni fa) sia oggetto di preoccupazione, progetti, opere e azioni delle cooperative sociali che lavorano in quei territori. Non solo per i cittadini affidati direttamente alle attenzioni delle nostre imprese sociali, ma per tutti; sta scritto nei nostri statuti, nemmeno molto tra le righe. Nonostante tutto, siamo riusciti anche in questo. Più i progetti che si sono realizzati in favore di tutti i cittadini sembrano lontani dai nostri “core business”, dai nostri campi di azione abituali, più quelle azioni hanno avuto significato e successo (di quelle che non l’hanno avuto è meglio non parlare). Cosa c’entra con le nostre Cooperative, ad esempio, restituire alla città di Trieste uno stabilimento balneare storico e apprezzatissimo dalla classe media, dismesso ormai da molti anni? E l’organizzazione di eventi ed installazioni di arte moderna, favorendo artisti emergenti? E il recupero di un caffè secolare, di un teatro lirico? O la gestione di rassegne cinematografiche? La bonifica di siti inquinati? Scusate, ho tralasciato molte di queste eclatanti operazioni, ma non volevo annoiare con puri elenchi. Dunque riuscire, nonostante tutto, a fare in modo che le risorse e le energie investite a dare risposte a chi è più in difficoltà, vengano in qualche modo restituite e riciclate in favore di tutti, e che questo sia prodotto non da geni laureati alla Bocconi, ma umili cooperatori sociali, autentici ingranaggi di motori diesel che consumano pochissimo e portano molto lontano, senza inquinare, rappresenta forse l’ultimo oggetto dentro/fuori alle nostre scatole, ormai non più così chiuse: la scommessa sul valore aggiunto. Sergio SERRA Duemilauno agenzia sociale


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Trent’anni fa la psichiatria perse Franco Basaglia Trieste In questi trent’anni che ci separano dall’estate in cui Franco Basaglia è morto, a cinquantasei anni, dopo una malattia breve e in un momento cruciale della sua vita e del suo mondo (aveva lasciato Trieste per la Regione Lazio, le leggi psichiatrica e sanitaria erano state approvate da appena due anni) si può ben dire che si sia aperto e chiuso un ciclo. Le strutture dell’epoca sono state profondamente cambiate da queste due riforme, e questo è vero soprattutto per la psichiatria, che nel 1980 era centrata sugli oltre sessantamila posti letto dei manicomi, oggi chiusi. Il cambiamento organizzativo che si è compiuto nelle strutture non è stato però accompagnato – lo si è detto molto in questi anni – dalla trasformazione in senso democratico della loro funzione e delle culture degli operatori; o perlomeno questa trasformazione è stata insufficiente, concentrata in alcuni luoghi, bloccata sulla scala locale e fondata sull’impegno quasi militante di dirigenti e operatori. Tuttavia, tra il si può dimostrato da queste esperienze locali, il si Foto di Claudio Erné deve della riforma in piedi da più di trent’anni, e il mondo dei cittadini utenti si è creata una sorta di circolo virtuoso, che ha generato aspettative di diritti e speranze sempre più riferite alla figura di Franco Basaglia: gli ascolti record raggiunti lo scorso febbraio dal film girato per la televisione C’era una volta la città dei matti, basato sulla sua vita e la sua impresa, testimoniano di questa popolarità, oltre che della qualità del film e del fascino della vicenda di Trieste. Sono tanti i modi in cui si esprime questa domanda di diritti e di speranze, rovesciando i punti di vista precedenti al lavoro di Basaglia, e si traducono in associazioni e cooperative di familiari, utenti, operatori che fanno imprese sociali, abitazioni assistite, iniziative

di cultura, sport, viaggi che spesso trovano spazio nei media e mettono in scena una follia ben lontana da quella «assenza d’opera» di cui scriveva Michel Foucault seguendo la nascita del manicomio. Inoltre, non poca importanza hanno avuto le denunce degli abusi tutt’ora commessi nei servizi psichiatrici pubblici e privati: l’uso del trattamento obbligatorio come misura di sicurezza, la segregazione, la privazione degli oggetti personali e la restrizione nelle comunicazioni, fino alla contenzione fisica protratta tanto da causare la morte. Sono noti gli ultimi due casi oggetto di inchieste giudiziarie ancora in corso: quello di Giuseppe Casu, morto il 22 giugno del 2006 nel servizio psichiatrico del Ss. Trinità di Cagliari dopo sette giorni di contenzione ininterrotta, e quello di Francesco Mastrogiovanni, morto il 31 luglio 2009 nel servizio psichiatrico di Vallo della Lucania dopo tre giorni di contenzione documentata dalle telecamere poste a paradossale sicurezza dei ricoverati. Entrambe queste vicende sono venute alla luce perché i familiari, sostenuti da una parte degli operatori, si sono rifiutati di subire le morti dei loro congiunti come esito infausto della malattia, convinti che sia «possibile assistere la persona folle in un altro modo», come diceva Basaglia in una conferenza del 1979. Il personaggio chiave di queste vicende non è più il malato «non collaborativo», come ora la psichiatria usa dire, ma il medico che non sa o non vuole accostarsi a lui con competenza e rispetto, diventando così una figura pericolosa per coloro che hanno la sventura di trovarsi in suo potere. Forse il pensiero e la prassi di Basaglia hanno fatto scuola più tra i cittadini che tra gli operatori: ricomincino loro, dunque, dal suo esempio. Maria Grazia GIANNICHEDDA Fonte: Il manifesto del 29.08.2010

Ciccioli e la controriforma della L. 180

L’assenza di figure di sostegno svela gli intenti segregativi Il superamento della privacy è anticostituzionale

Trieste “La proposta di legge Ciccioli è, in una parola sola, anacronistica”. È il parere di Paolo Cendon, professore ordinario di Istituzioni di diritto privato all’Universi-

tà di Trieste, a cui abbiamo chiesto di illustrarci quali sono i punti più critici dell’iniziativa del deputato del Pdl alla luce della sua lunga esperienza di giurista. È ampia infatti la lista degli argomenti di ricerca di cui si è occupato il prof. Cendon negli anni. La sua


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attività ha spaziato dai temi della famiglia al danno esistenziale, dalla cattiveria umana agli animali. Si è anche occupato di suicidio e disagio psichico. Cosa intende più precisamente quando dice che la proposta Ciccioli è fuori dal tempo? Nel testo si parla di un accordo terapeutico noto come “contratto di Ulisse”, per cui il paziente, inizialmente d’accordo, è obbligato a essere ospedalizzato oppure trattato con terapie specifiche, anche se in seguito, in una fase diversa della malattia, ha cambiato idea. È giusto far capo all’autodeterminazione dell’interessato. Ma se c’è qualche pentimento o smarrimento successivo non si può dirgli punitivamente: “Eri d’accordo. Sei tu che l’hai voluto. Ora si va fino in fondo”. Bisogna puntare sempre sulla persuasione, lo scambio, il negoziato, il dialogo. Non considerare questi aspetti è fuori dal tempo. Che valore ha allora l’accordo iniziale tra medico e paziente? La disponibilità formale dell’interessato ha il suo peso, ma parlare di “contratto” è un po’ esagerato. Viene in mente il famoso Comma 22 di Joseph Heller: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalla missione, ma chi chiede di essere esentato dalla missione non è pazzo”. Se un sofferente sta molto male e dice un sì iniziale fa certamente un affermazione impegnativa che ha un valore, ma in forma soprattutto programmatica, di principio, di propensione nel tempo. Non si può considerare questo patto come un contratto civilistico, dove davvero non si può mai recedere (di regola), bensì come un piano inclinato prospettico, dove ogni pentimento e ricaduta andranno presi sul serio, discussi, messi al centro di un protocollo di ascolto, di interpello, di consultazione. Come si possono attuare in concreto questi principi? Ad esempio con la previsione di un angelo custode forte, come l’amministratore di sostegno, di cui nella proposta Ciccioli non si tiene praticamente conto. Disciplinato minutamente tale figura è il simbolo di una cultura di accompagnamento, persuasione, riscontro. Questa mancanza è un altro segno di anacronismo. Oltre tutto l’amministratore di sostegno ha compe-

tenze potenziali su aspetti anche patrimoniali, familiari, sanitari extra-psichiatrici. Sono tutti momenti che incidono fortemente nella vita delle persone, anche nei casi di trattamento sanitario obbligatorio. È inverosimile non prenderlo in considerazione. Come si spiega queste “disattenzioni”? Ho l’impressione che Ciccioli e colleghi non sanno neanche a cosa serva l’amministratore di sostegno, preoccupati come sono di forgiare i loro catenacci sferraglianti senza farsi scoprire. Come si fa in effetti a immaginare una macchina antropologica-psichiatrica-giuridica dove non ci sia la garanzia che, per ogni decisione e contro-decisione, fatalmente implicanti tanti risvolti della persona, ci sarà sempre l’usbergo di un Lancillotto istituzionale, civile, metropolitano, funzionale a trecentossessanta gradi, dalla parte del sofferente, come l’amministratore di sostegno, sotto la guida di un giudice tutelare? Nella proposta si fa anche riferimento alla necessità di protrarre i ricoveri, a seguire un approccio più vicino al modello medico, a colmare alcuni aspetti non ben tutelati dalla 180. Come giudica questi passaggi? Si tratta di pronunciamenti vaghi, amatoriali, generici e minacciosi. Si ha il senso di una forte ipocrisia, di qualcuno che circonda di formule vuote e promettenti un progetto segregativo e autoritario. Alcune parti poi, come quella sul “riconoscimento dell’uomo come qualsivoglia azione di disciplina e di governo”, sono un esempio di linguaggio vecchio e pomposo, enfatico e retorico. Qual è un punto che considera invece più pericoloso di tutti? Quello in cui si fa riferimento al diritto dei familiari di conoscere lo stato di salute mentale del proprio congiunto superando le restrizioni imposte dalla legge sulla privacy. È un passaggio probabilmente incostituzionale. Bisognerebbe immaginare che qualsiasi deroga alle regole della privacy su dati sensibili – anche per i familiari – venisse disposta dal giudice tutelare. Nico PITRELLI Fonte: www.news-forumsalutementale.it

Ancora sulla controriforma della 180

L’ultima pdl presentata dalla Lega Nord Giudizio critico su ministro e ministero

Milano La proposta n. 3421 Polledri e altri (Lega Nord) Modifiche all’articolo 34 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, in materia di accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori per malattia mentale, e altre

disposizioni concernenti l’organizzazione dei servizi per la tutela della salute mentale, presentata alla XII Commissione Affari sociali della Camera dei deputati il 22 aprile 2010, afferma di voler perseguire le finalità di tutelare la dignità della persona ammalata, garantire l’effettuazione di un percorso clinico scien-


giù le mani dalla 180 tificamente corretto e garantire la sicurezza dell’ammalato e della società. Gli assunti di partenza sono che: - la società non ha colpa della malattia del paziente psichiatrico; - centrale sono la competenza e la responsabilità del medico («La cura delle malattie mentali è primariamente una competenza medica»); - l’ospedale più che la comunità deve essere il luogo della cura; - l’accertamento sanitario obbligatorio ospedaliero è indicato come strumento molto efficace per affrontare gli stati di intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti o psicotrope; - il trattamento sanitario obbligatorio extraospedaliero è indicato come il mezzo più idoneo al trattamento quotidiano dei pazienti sottoposti a limitazione della libertà con sistemi indiretti e non formali per ottenere l’adesione al trattamento; - il trattamento volontario, modalità di scelta per il trattamento delle patologie depressive, dovrebbe praticarsi in strutture ambulatoriali ospedaliere integrate con il pronto soccorso degli ospedali generali; - si propone il finanziamento differenziato delle strutture dipartimentali per evitare che categorie diverse di pazienti con problematiche enormemente dissimili dal punto di vista medico e sociale siano messe in competizione per l’accesso alle risorse e per dare chiarezza ai bilanci; - quando il Tso supera il 7° giorno o il Tso extraospedaliero supera il 60° giorno, il medico psichiatra deve informare il sindaco delle ragioni e della durata del progetto di trattamento terapeutico. I servizi si avvalgono obbligatoriamente della consulenza esterna del giudice tutelare; - in assenza di indicatori di risultato affidabili, non è stata sinora adottata la valutazione del rapporto

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costi-benefici degli interventi; pertanto si propone l’istituzione di un comitato tecnico permanente di coordinamento in materia di salute mentale presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, cui sono deputate funzioni istruttorie e preparatorie in ordine alla trattazione delle tematiche in materia di tutela della salute mentale, nonché funzioni di raccordo tecnico tra l’amministrazione dello Stato e quelle delle regioni; - i servizi dipartimentali di psichiatria (?) sono titolari dell’integrazione con la neuropsichiatria infantile, la psicogeriatria e il settore delle dipendenze patologiche; - presso i servizi dipartimentali è istituito uno sportello unico dedicato alla presa in carico del paziente affetto da disturbi mentali, all’informazione e alla documentazione a favore della famiglia circa il percorso diagnostico-terapeutico dell’assistito. Considerazioni L’impianto della proposta della Lega Nord si inserisce nel filo del ragionamento della proposta Ciccioli, anche se assai meno preoccupato di normare ex-novo Aso e Tso, in particolare per la centralità dell’approccio biomedico e dell’opzione ospedaliera. È interessante il riconoscimento dell’insufficienza dell’attuale “cabina di regia” delle politiche nazionali dell’assistenza psichiatrica da cui nasce la proposta di spostarne il baricentro presso la Conferenza StatoRegioni. Questo, nel momento in cui lascia intendere un giudizio critico nei confronti del Ministero (e del ministro), indebolisce il valore della proposta di emendare la legge in vigore, proprio perché ammette che di questi temi la politica e le istituzioni ne sanno poco. Luigi BENEVELLI Forum Salute Mentale Lombardia

Il 17 agosto è nato Ivan 3730 grammi di meraviglia! Congratulazioni a mamma Erica e papà Mihai da tutta l’equipe della Comunità San Gjal di Ragogna e a nonna Ardea da tutti noi! Il 27 agosto, alle 10 e 15, è arrivata Linda, un pò in anticipo, ma aveva tanta fretta di arrivare tra di noi! Congratulazioni alla mamma Novi ed al papà Gerald, ed un abbraccio a Linda.


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SPECIALE CENTRI ESTIVI Scisculas di luna

Progettazione e realizzazione dei Centri estivi I percorsi in Carnia

Ovaro Lo scorso 6 agosto all’interno della manifestazione “Scisciulas di luna” - suoni, visioni, culture, futuro (e per futuro si intendono i bambini) - si è tenuto il convegno di presentazione alla popolazione e agli amministratori comunali del percorso di progettazione e realizzazione dei Centri Estivi che si sono attivati nei Comuni carnici di Comeglians, Forni Avoltri, Ovaro e Prato Carnico. Il convegno era anche motivo per presentare quanto realizzato nei laboratori dei Punti verdi e la rassegna fotografica “Vôj” i cui soggetti sono proprio i bambini della Carnia. Perché parlare dei Centri estivi? Perché in quest’area geografica sono frutto di una co-progettazione tra Comuni, Azienda sanitaria n.3 Alto Friuli, Cooperativa Itaca e associazioni di volontariato. La co-progettazione nasce da quelli che vengono chiamati tavoli di Sito (per sito si intende un gruppo di Comuni facenti parte di una stessa vallata) e che sono il luogo in cui vengono analizzate le richieste e le esigenze del territorio, come pure le risorse e le competenze. Tutto questo nel lavoro di comunità che è la cornice e l’orientamento di tutti i servizi che la Cooperativa ha nel territorio ma, soprattutto, legati a tutti i progetti dei servizi “Area Benessere”. Le riflessioni su queste attività normalmente iniziano nei primi mesi dell’anno e permettono di inserire i Centri estivi in un percorso che coinvolge tutta la comunità, ma anche che va ad utilizzare e mette a frutto tutti quei percorsi di cammino verso la comunità consapevole che si svolgono durante l’arco dell’anno. Da un percorso che è stato iniziato con l’assegnazione dell’appalto (aprile 2010) il gruppo di educatori che lavoravano ai Centri estivi era formato da soci della zona della Cooperativa, da volontari che assieme ai nostri educatori avevano fatto un percorso di avvicinamento all’animazione, dalle associazioni che durante l’anno collaborano alla realizzazione dei progetti di gruppo scolastici e territoriali. Al convegno sono intervenuti l’assessore alle politiche

sociali del comune di Ovaro, Mara Beorchia, a nome degli altri amministratori della vallata, la referente dell’Ufficio funzionale socio educativo Ass3, Paola Dario, la responsabile del Centro estivo del Comune di Comeglians, Teresa Bidoli, e la vice-presidente di Itaca, Enrichetta Zamò. Durante le relazioni-intervista, curate dal moderatore e giornalista Francesco Brollo, ogni relatore ha descritto l’apporto della realtà da cui proveniva per la realizzazione dei Centri e il senso che il lavoro di rete può avere in realtà che necessitano di progetti molto “dal basso” per rispondere ad esigenze di realtà montane. L’assessore Beorchia ha descritto il percorso che il Comune compie annualmente per raccogliere le esigenze delle famiglie e poter progettare un Centro estivo che risponda sempre più ai bisogni dei cittadini. Oltre a descrivere come più Amministrazioni decidano, anche scegliendo diverse modalità di gestione dei Punti verdi, di condividerne alcuni momenti o attività al fine di aggregare i bambini-ragazzi di paesi diversi. La referente aziendale ha illustrato i progetti dell’Ass3 che si sviluppano per il benessere della comunità e come l’unico centro focale non sia esclusivamente il disagio. L’azienda Alto Friuli ha infatti scelto di investire anche sul benessere, al fine di prevenire le situazioni che potrebbero causare difficoltà per le persone. La coordinatrice del Centro estivo di Comeglians ha illustrato il percorso formativo seguito da tutti gli operatori sul senso dei Punti verdi, sul comportamento sia degli educatori che dei bambini, sull’importanza di una programmazione ragionata e sull’attenzione all’intera comunità in cui il Centro è inserito. Per quanto riguarda la Cooperativa Itaca, abbiamo ritenuto importante evidenziare come la nostra sia una realtà molto radicata nel territorio, un valore aggiunto, nonché come i nostri soci siano residenti negli stessi Comuni con i quali collaboriamo e di come loro stessi, per scelta lavorativa, abbiano deciso di credere nelle comunità in cui vivono. Enrichetta ZAMÒ

I Centri estivi di Latisana e Pertegada: vi racconto! Latisana Quando mi è stato proposto in modo “ingannevole” (grazie Barbara!) di scrivere un articolo sul Centro estivo 2010 di Latisana e Pertegada, sono ritornata con la memoria all’ultimo giorno di Punto verde del 2009. Per noi coordinatori di Centri estivi, l’ultimo giorno è

un giorno da: ragionieri (cataloga il materiale rimasto); facchini (inscatola il materiale rimasto e portalo in magazzino); postini (porta le chiavi della sede ospitante alle Assistenti sociali e/o alla Scuola); scrittori (compila la relazione finale per il Comune e per la Cooperativa); “persone educate” (saluta il personale della sede ospitante); controllori


SPECIALE CENTRI ESTIVI (controllo della sede ospitante), eccetera, eccetera. Inoltre, quando l’anno scorso ho terminato tutto ciò, mi sono fermata a pensare “E l’anno prossimo dove sarò? A Latisana? In quale sede? Con chi lavorerò? Sarò coordinatore o animatore?...”. Questo pensiero a noi colleghi “itachesi” di Latisana e dintorni ci perseguita ogni anno, considerato la gara d’appalto per i Centri estivi annuale. Quindi, quando il 5 luglio ho iniziato, mi sono detta “l’avventura abbia inizio!”. E che avventura!? Parole più proficue non potevo dirmi! Vi elenco solo alcune cosette accadute a me ed ai miei colleghi nella prima settimana che hanno reso più originale il nostro lavoro: dopo alcune ore, ho un infortunio lieve di un bimbo e due danni ad occhiali, scopro che la settimana dopo non sarei potuta entrare in sede dato che l’allarme della stessa non mi era pervenuto e quindi avrei fatto arrivare carabinieri e quant’altro; una sanguisuga ha attaccato i pantaloni di un bambino mentre giocava; un piccolo di civetta con il temporale notturno si era incastrato tra due tubi nel giardino della sede; un animatore, mentre usciva a fine giornata, ha rotto la maniglia del cancelletto d’ingresso della sede ospitante (penso che la forza fisica sia stata esaustiva del suo stato d’animo in quel momento!). Ma la cosa divertente, sono i ragazzi iscritti. Uno spasso: chi a merenda porta tranci di pizza che bastano per 5 persone; chi dimentica le scarpe in piscina e sta andando a casa scalzo; chi perde la maglietta in spiaggia; chi utilizza la borraccia dell’acqua come arma letale contro chi passa davanti; chi mangia a merenda il panino con un centimetro (e non esagero) di nutella e pensate un po’ voi al pranzo.

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Insomma, sembra un Centro estivo di ‘nerds’ ma, vi assicuro, è stata un’avventura che ha abbassato di molto il livello mio personale di ansia iniziale. Il problema è il 6 agosto, quando la routine del coordinatore ritornerà e lo stress dell’operatore riprenderà fino a maggio 2011 (uscita della gara d’appalto). Penso, comunque, che tra i ricordi più belli ci siano le risate, a volte disperate con i miei colleghi che qui elenco per aumentare il loro livello di prestazione per l’anno prossimo (scherzo, ovviamente!): Mauro, Sandra, Silvia e Veronica per la Coop Itaca; e Davide, Giulio, Giorgia, Matteo e Irina per la Coop Arteventi (ottima collaborazione!). Anna Rita COLAVITTI


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SPECIALE CENTRI ESTIVI

Non solo fiabe alle materne di Ruda Ruda Il Centro estivo si è svolto nella sede della Scuola dell’infanzia di Ruda dal 19 al 30 luglio, dal lunedì al venerdì con orario 8.30-12.30. E’ stata garantita una preaccoglienza dalle 7.30 alle 8.30 e una post-accoglienza dalle 12.30 alle 13.00. Complessivamente i bambini iscritti sono stati 19, provenienti da Ruda e dai Comuni limitrofi; inoltre c’è stata la presenza di 5 bambini che frequenteranno la scuola materna il prossimo anno scolastico, accompagnati da un adulto di riferimento. Il tema proposto quest’anno era ambientato nel mondo delle fiabe della tradizione che i bambini dovevano raccontare, nonché di originali e simpatici personaggi, “i Gnognosaurs”, buffi dinosauri nati dalla penna del fumettista udinese Andrea Venier. Il tema del Centro estivo ha permesso ai bambini di apprezzare e conoscere le

fiabe, non solamente quelle presentate, ma anche altre. Inoltre, ha fornito moltissimi spunti semplici e divertenti per le attività artistico-manuali. In più la strutturazione tematica per settimane ha permesso di iniziare e concludere ogni percorso, permettendo la realizzazione e la riuscita delle attività anche a quei bambini che hanno frequentato solo una settimana. Le attività sono state svolte come da programma e i bambini hanno interagito in modo molto positivo. Purtroppo il maltempo ci ha penalizzato nella seconda settimana per quanto riguarda la piscina e i giochi d’acqua. I laboratori artistico-manuali sono stati pensati e proposti in base alle capacità dei bambini e sono stati scelti in modo da non essere troppo elaborati per lasciar maggior spazio ai momenti di gioco. Chiara FIRMAN

Un pezzetto di universo su cui regnare Ruda Il Centro estivo di Ruda per i bambini delle scuole elementari si è svolto nell’area verde comunale di Perteole dal 21 luglio al 2 agosto, dalle 8.30 alle 12.30, con preaccoglienza dalle 7.45 e servizio mensa alle 13 che permetteva ai bambini di restare al Centro fino alle 14. Il tema presentato quest’anno è stato “Un pezzetto di universo su cui regnare”, che prevedeva tutta una serie di laboratori e giochi a misura di bambino, facilmente modificabili in base alle necessità e al luogo di destinazione. I partecipanti dovevano ricreare un proprio spazio personale dove poter giocare liberamente, divertendosi in sicurezza. Il primo giorno i bambini sono stati

divisi in quattro gruppi contrassegnati da un colore (azzurro, rosso, verde e giallo) che rappresentava il proprio pianeta di appartenenza, poi sono state realizzate le magliette con il simbolo della squadra (il diamante, il fuoco, l’albero e il geco). In seguito ogni bambino ha realizzato uno spazio esagonale che è stato agganciato insieme agli altri, come un puzzle, costituendo una volta celeste di grande impatto. Poi abbiamo realizzato un originale sistema solare dei nuovi pianeti. Nei giorni seguenti ogni bambino doveva costruire un esagono di cartone che rappresentava la propria zolla, il pezzettino di universo da arricchire con la flora e la fauna del proprio pianeta di appartenenza (il pianeta azzurro dell’acqua, il pianeta


SPECIALE CENTRI ESTIVI rosso vulcanico, il pianeta verde della natura vegetale e il pianeta giallo del deserto). È stato sorprendente assistere alla libertà creativa messa in atto dai bimbi che hanno capito e vissuto il Centro estivo con gioia e impegno, divertendosi moltissimo. I moduli esagonali, una volta completati, sono stati uniti rivelando un grande plastico dei quattro pianeti, popolati da vegetazione e animalazzi fantastici. Come ogni anno ci sono state le gare sportive di calcio, volley, dodgeball e roverino; immancabili i giochi senza frontiere e i grandi giochi di gruppo e di conoscenza. Previste anche due uscite sul territorio che i bambini hanno gradito particolarmente: abbiamo effettuato una gita a Cervignano, per frequentare un rapido corso di canoa sul fiume Ausa e una gita a Palmanova per visitare le fortificazioni e i misteriosi passaggi sotterranei della città stellata. Abbiamo anche invitato e coinvolto volontari e associazioni che operano sul territorio per far conoscere ai bambini sport inconsueti: il karate (con il maestro Jerry della scuola Shotokan di Gradisca) e il tiro con l’arco (con la Compagnia degli arcieri Isonzo di Gorizia). I bambini erano incuriositi e hanno partecipato tutti alle attività proposte. Il rapporto con i genitori e il Comune di Ruda è stato splendido, si respira fiducia e cordialità, visto che sono anni che ci conosciamo e collaboriamo insieme. Durante la festa finale abbiamo presentato ai genitori e a tutti gli invitati la mostra dei laboratori e un piccolo spettacolo di canzoni in tema con il Centro estivo. Il menestrello G!AN vi saluta con questa filastrocca di sua composizione,

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scritta e musicata in occasione della festa finale:

Restate Bambini Questo mondo va tutto al contrario Giran le lancette in senso antiorario Io vorrei che fosse tutto diverso Inventiamo un altro universo Tutto l’anno dovete studiare Non c’è tempo mai di giocare Ora non c’è fretta di andare via Liberate la vostra energia E restate bambini Almeno fin che potete Un pezzo di universo costruirete

insieme

Ipnotizzati dalla televisione Chiusi in casa senza neanche un pallone Soggiogati dalla pubblicità Riprendetevi la libertà E restate bambini Almeno fin che potete Un pezzo di universo insieme voi regnerete Gianluca BRUNO


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SPECIALE CENTRI ESTIVI

Luglio con Itaca a Precenicco Precenicco

Immagini dei Centri estivi di Latisana

Il Centro estivo di Precenicco si è svolto dal 5 luglio per quattro settimane seguendo un progetto della Cooperativa Itaca.Ma cosa hanno fatto i ragazzi in queste quattro settimane? Tutti i lunedì, mercoledì, venerdì hanno fatto delle attività manuali nella sede delle scuole elementari e giocato a pallavolo, calcio, giochi da tavolo, giochi di società, grandi giochi tutti insieme, ecc. I martedì e i giovedì ci sono state le uscite alla Ge.Tur di Lignano Sabbiadoro, la piscina e gli scivoli dell’Aqua Giò. Il 15 luglio siamo andati all’Arena Beach di Lignano dove abbiamo provato gli sport su sabbia come beach volley, beach tennis, beach soccer, fatto gare di castelli di sabbia e tante altre cose divertenti. La gita che ha entusiasmato di più è stata a Gardaland il 22 luglio. Fantastica! La festa finale si è svolta il 30 luglio dalle 20 fino a mezzanotte con un rinfresco cui hanno partecipato i genitori, l’amministrazione comunale. La recita finale, la musica e il ballo hanno coronato i saluti finali! L’inviato Daniele

Giochi all’aperto e laboratori Ronchis di Latisana Cinque luglio, ore 8.15, Centro estivo di Ronchis, si parte: 69 bambini dai 6 ai 12 anni, 5 operatori pronti ad inventarsi ogni cosa per farli divertire. La settimana era strutturata in tre mezze giornate a scuola, dalle 8.15 alle 12.45 e due giornate lunghe in cui si effettuavano le uscite: il mercoledì presso la Ge.Tur di Lignano e il venerdì in altre zone, quali il Parco delle Risorgive di Codroipo, l’isola della Cona e la super graditissima Acquafollie di Caorle. Tra giochi all’aperto e laboratori manuali organizzati sapientemente, le quattro settimane sono volate, sebbene anche la sfortuna ci abbia messo decisamente del suo quest’anno tra infortuni e danni... ma questi, si sa, sono i rischi del mestiere! Gli animatori di Ronchis

Immagini dei Centri estivi di Latisana


EVENTI

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In sintonia con Franco Basaglia

Casa Ricchieri accoglie il Liceo Majorana L’importanza della cura nelle relazioni umane

Pordenone Nei mesi di maggio e giugno, Casa Ricchieri ha vissuto un’esperienza interessante e particolare ospitando alcune classi del Liceo Majorana di Pordenone. La proposta di questa esperienza ha inizialmente impegnato l’equipe in alcune riflessioni: in primo luogo, coscienti dell’elevato numero di ragazzi che sarebbero approdati in Casa Ricchieri, come poter gestire il tempo della visita nel migliore dei modi, considerando la normale routine della giornata; in secondo luogo come approcciare gli ospiti a questo tipo di nuova esperienza senza creare tensioni; in terzo luogo come riuscire a far interagire residenti e studenti durante la visita. Tali riflessioni hanno portato a gestire la giornata in questa maniera: accoglienza nella sala da pranzo durante uno dei momenti più importanti della Casa, che è quello del caffè delle 10 tutti insieme; poi la visita dell’intera residenza a piccoli gruppi ed infine, nella stanza “benessere”, il racconto della storia della comunità e di come si svolge la vita al suo interno. Gli ospiti hanno reagito bene a questa allegra “invasione” e più di qualcuno, durante il caffè, ha interagito con i ragazzi con curiosità e domande; e questo è servito a mettere a proprio agio un po’ tutti, ospiti, studenti e operatori. Una esperienza nuova, quella dell’incontro in Casa con gli allievi del Majorana, che è piaciuta a tutti: è stato un momento di arricchimento intellettuale e di giovamento dell’energia, curiosità e positività portata dai ragazzi all’interno di questa Casa e, a testimonianza di ciò, riportiamo alcuni passaggi delle relazioni scritte dai ragazzi sulla visita e che i docenti ci hanno gentilmente regalato:

“Sebbene non fosse molto lontano da casa mia e ci passassi molto spesso davanti, non ho mai saputo di cosa si trattasse veramente, fino al giorno in cui l’ho vissuta con la mia classe. Per farvi un idea: per me non

era Casa Ricchieri, bensì “la casa con l’ascensore con le rondini”. Casa Ricchieri, dunque, vista dall’esterno è una normale casa con un ascensore esterno ed un giardino. Ma allora cosa ha di speciale questa casa? E’ speciale perché ci vivono persone speciali. Ci hanno accolto in maniera stupenda, e dato che era l’ora della pausa caffè ne abbiamo approfittato e lo abbiamo bevuto tutti insieme”. “…la stanza più bella che ho visto è quella del relax, colorata di un chiaro azzurrino, con poltroncine piccole ma comode, con sottofondo di calore emanato dalle candele e dalle musiche scelte dagli ospiti. Hanno delle idee veramente speciali: la maggior parte degli individui credono che bisogna tenersi lontani dai pazzi o folli… I pazzi sono quelli che non li accettano, quelli che se li vedono per strada si allontanano. Chi si può realmente considerare “normale” in questo modo?”. “…mi ha sorpreso l’energia trasmessa da voi operatori. Ho colto proprio la passione e la dedizione con cui affrontate il lavoro, non sempre facile, e con cui vi relazionate ai vostri ospiti… il messaggio che mi è arrivato rispecchia perfettamente l’ideologia di Basaglia, che sosteneva l’importanza della cura nelle relazioni umane in contrasto all’approccio della psichiatria tradizionale…”. “...i residenti sono definiti tali e non pazienti in quanto la casa appartiene a loro…”. “…dopo aver saputo che avremmo visitato Casa Ricchieri, ho subito immaginato un edificio simile a quello delle case di riposo, fatto di muri bianchi, di lunghi corridoi spogli e soprattutto di pochi spazi in cui i pazienti avrebbero potuto trascorrere qualche tempo insieme. Sono rimasta perciò molto sorpresa quando, una volta entrati, mi sono trovata davanti una vera e propria casa ricavata da un vecchio condominio, in cui gli ospiti vivono a stretto contatto sia tra di loro che con gli operatori, che li seguono in un ambiente colorato e familiare… sembra davvero una comunissima abitazione piuttosto che il luogo di riabilitazione e cura per alcune delle persone dismesse dai manicomi…”.


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“…l’accoglienza da parte degli ospiti e degli operatori è stata allegra e ospitale, ci hanno accolto offrendoci del caffè, dunque trattandoci come dei veri e propri ospiti, quindi facendo ciò ci hanno voluto sottolineare che Casa Ricchieri non è una casa fuori dal comune o diversa dalle nostre case, ma è anch’essa una casa cosiddetta “normale”, l’unica differenza sta nel fatto che è abitata da dieci persone, dunque un numero superiore alla media…”. “…l’ospite viene ascoltato e il suo benessere sia fisico che mentale diventa la centralità del lavoro dell’equipe...”. “…lo spirito all’interno di questa casa è molto armonioso e gli ospiti non vivono divisi tra maschi e femmine… questa struttura lavora in rete con il resto del territorio e degli altri servizi, ciò ha permesso agli ospiti di poter partecipare ad eventi culturali, di essere protagonisti di spettacoli teatrali, feste concerti…”.

“…durante la visita abbiamo potuto conoscere alcuni abitanti di tale casa e abbiamo anche potuto assaporare il profumino che proveniva dalla cucina, anche se, su questo versante, non sono stati così ospitali come con il caffè!!! ...ma li perdoniamo perché la mattinata è stata molto bella!!!!...”.

Il musical della compagnia “Circolo delle Idee”

Forza Venite Gente Sul palco anche Casa Ricchieri

Pordenone Il “Circolo delle Idee” nel 2008/09 ha attivato un laboratorio di musica intitolato “Ma che musica, maestro!” in collaborazione con un operatore della Cooperativa Itaca, Maurizio Perrotta, che ha visto la partecipazione di una 20ina di ospiti provenienti da diverse strutture del Pordenonese e da abitazioni private e seguiti dal Dsm di Pordenone. Il progetto si basava sull’ascolto di alcune canzoni di musica leggera, prendendo in esame i vari Festival di Sanremo dalla sua nascita negli anni ’50 ad oggi, analizzandone la struttura musicale, il testo ed il contesto storico e culturale. Il progetto è proseguito anche nel 2009/10 con l’aggiunta dell’ascolto di una forma particolare di musica e teatro ovvero il “musical”: da qui l’idea, a poco a poco, di provare a essere protagonisti di un musical. Sono nati così la Compagnia teatrale amatoriale “Circolo delle Idee” ed il progetto “Forza Venite Gente”. Le prove, della durata di due ore, sono cominciate a fine dicembre 2009 e sono proseguite fino a giugno 2010 con cadenza settimanale. I ruoli sono stati scelti in base alle inclinazioni e alle possibilità delle persone che li ricoprivano, gli ospiti stessi hanno scelto secondo i propri gusti e la propria personalità. La difficoltà maggiore è stata quella di dover ballare e cantare contemporaneamente, di conseguenza, non essendo professionisti, si è scelto di registrare, ognuno con la propria voce, le canzoni e di proporle in playback sul palco. L’aspetto scenografico è stato deciso insieme ed an-

che il luogo dove sarebbe avvenuto lo spettacolo, il sagrato della chiesa della parrocchia del Cristo Re, considerato da tutti come la cornice migliore per rappresentare la vita di frate Francesco, essendo anche lo stesso improntato come palcoscenico naturale; le scenografie sono state realizzate dalla “Bottega del Legno” della Coop Acli ed i costumi ci sono stati prestati da alcune associazioni del pordenonese. Importante anche l’apporto di alcune atlete della Polisportiva Villanova sezione ritmica, di molte persone del quartiere di Villanova che hanno dato una mano in diverse fasi della lavorazione del musical, e il supporto tecnico sia dell’Amministrazione comunale di Pordenone che del comitato della Festa in Piassa. Il percorso fatto per arrivare alla realizzazione dello spettacolo finale è stato ricco ed intenso, colmo di emozioni e spunti artistico-creativi da parte degli ospiti. Non sono di certo mancate le difficoltà ed i momenti di crisi dovuti alla complessità di quanto messo in scena, ma ogni complessità è stata discussa e risolta nella maniera più naturale e consona al tipo di attività scelta: non sono stati fatti “sconti” o facilitazioni particolari, piuttosto si è provato e riprovato lavorando con fatica ed energia per ottenere il miglior risultato possibile. Anche dal punto di vista delle relazioni tra gli ospiti e gli operatori il progetto ha registrato dati molto positivi: doversi “appoggiare” e “fidare” del compagno di scena sul palcoscenico ha migliorato sicuramente i rapporti fuori dalla scena ed ha portato ad unire insieme le proprie energie e risorse per ottenere un risultato colletti-


EVENTI vo, rispettando le diverse individualità, riconoscendone anche i limiti o le doti. Insomma, il gruppo ne ha beneficiato in unione e convivenza reciproca. Quindi l’investimento di energie e di risorse in questo progetto, da parte di tutti, è stato importante ed anche il momento della rappresentazione davanti al pubblico è stato molto intenso, accompagnato dall’immancabile sensazione di “paura” ed emozione che caratterizzano una “prima teatrale”, ma che lasciano posto poi alla gratificazione di aver ottenuto il risultato prefisso e che sia piaciuto al pubblico. Il successo della serata - due ore di spettacolo, quindici canzoni ed altrettante coreografie, 30 costumi diversi, luci e audio professionali - è stato travolgente: un numeroso pubblico non ha lesinato applausi a scena aperta e complimenti vivissimi a tutti gli attori, e tutto questo ha invogliato ancora di più gli ospiti a proseguire l’attività teatrale. Peraltro, le proposte pervenute per varie repliche dello spettacolo hanno rafforzato questa

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volontà, tanto da far già pensare ad un nuovo spettacolo da provare e realizzare. Credo che questa sia la migliore conclusione di questo articolo, la convinzione di un’attività proposta riuscita in tutti i suoi aspetti.


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EVENTI

Quante esperienze alla Sarcinelli Cervignano del Friuli Qui alla Casa anziani Sarcinelli di Cervignano si cerca di mantenere una costante relazione con il mondo esterno ed il territorio, per stimolare gli interessi degli anziani ospiti e per renderli attivi. Sono un vero toccasana il contatto con la vita quotidiana e le uscite

in generale. Sempre gran divertimento e svago. Ogni settimana ci sono degli appuntamenti fissi come l’anguria, il gelato ed il mercato del paese. Ogni mese ci sono delle gite in località diverse. Poi l’ultimo venerdì di ogni mese c’è la festa dei compleanni con dolci ed un piccolo gruppo musicale di volontari. Non ci si annoia mai! (Elena Di Giusto)

In gita a Strassoldo per visitare “Villa Vitas”

Al ritiro dell’Udinese calcio ad Arta Terme, incontro con i giocatori dopo l’allenamento: grande emozione con lacrime di gioia! In ordine da sinistra i calciatori: Isla Mauricio, Inler Gokhan, Abdi Almen, Cristian Zapata, Andrea Coda

Si mangia l’anguria ad Aquileia

Il concerto della Banda di Cervignano nel giardino della Casa

Visita alla caserma dei carabinieri di Cervignano, vicina alla Casa

La collaborazione con il Centro estivo “Arci estate” nel giardino della Casa


FOCUS SICUREZZA

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Sicurezza in Itaca ai raggi ‘x’ Pordenone Quali sono state le attività svolte dall’Ufficio Sicurezza nel 2009, quali gli obiettivi raggiunti e quali invece quelli proposti nell’anno in corso? Lo scopriamo spulciando la documentazione ufficiale dell’ufficio succitato, facendo finta di essere degli efficienti topi d’archivio, seppur non alle prese con impolverati faldoni seicenteschi compilati rigorosamente a mano. Testi che ho saccheggiato senza vergogna ma che ci aiutano e ci guidano in una corretta conoscenza che in molti ancora non abbiamo. Veniamo così a scoprire che Nadia Lorenzon e Chiara Stabile nelle loro quotidiane incombenze si occupano di un sistema di gestione per la sicurezza che ha preso forma sistematica grazie all’intenso lavoro di tutti i colleghi, dall’ufficio sicurezza alle singole coordinatrici/ori dei servizi, e grazie alla creazione delle procedure gestionali e all’implementazione della modulistica. Sono stati realizzati i documenti valutazione rischi (Dvr) dei servizi territoriali per mansione, tra i quali anche il modello per i servizi territoriali dei minori. Inoltre, è stato creato uno spazio Intranet dedicato a fornire le dovute informazioni ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) che contiene i principali documenti condivisi. A disposizione anche il modello del Piano di gestione delle emergenze (Pge), mentre la realizzazione dei Piani specifici dei servizi in area 1 è uno degli obiettivi del 2010. Ecco, il 2010, i risultati previsti sono diversi, e ci aiutano ad avere un’idea un po’ più chiara di quanto sia complesso ed articolato il lavoro dell’ufficio sicurezza. Si parte dall’aggiornamento del Dvr con l’analisi dei nuovi rischi - stress e rischi verso terzi - e l’introduzione della valutazione dei rischi per le lavoratrici madri. Ecco, uno stimolo che potremmo offrire alle due colleghe, riguarda l’approfondimento dei rischi alla sicurezza e delle conseguenze per la salute dovute allo stress fisico e psicologico nei luoghi di lavoro. Ma torniamo a noi. Gli obiettivi dell’anno in corso prevedono l’approfondimento delle procedure da seguire durante l’avvio dei servizi per la gestione dei cosiddetti rischi interferenziali (ovvero legati a riunioni di coordinamento con la committenza, costi per la sicurezza, rapporto con i partners nelle Ati),

la creazione dei Pge per i servizi in area 1 con la collaborazione dei coordinatori per calare il piano nella realtà del servizio. Senza dimenticare la simulazione delle prove di evacuazione nelle strutture di area 1. A tal proposito l’intendimento è quello di formare un gruppo ristretto di Rls sulla realizzazione di una prova di evacuazione, tramite la partecipazione ad alcune prove messe in atto dal committente o da esperti, affinché si possa verificare la fattibilità delle procedure di gestione delle emergenze, anche autonomamente, nei servizi. Spazio adeguato poi all’attività di informazione a tutti i lavoratori di Itaca – questo articolo, ad esempio, ha proprio questa finalità - e di formazione dei coordinatori, elemento soprattutto quest’ultimo che ha permesso l’instaurarsi di un rapporto diretto con le/i coordinatrici/ ori di quasi tutti i servizi e a cui le colleghe tengono particolarmente in quanto i coordinatori, come preposti, sono coloro che hanno il rapporto diretto con i lavoratori e fanno applicare nel concreto la sicurezza nell’attività quotidiana. Ciò per diffondere la cultura della sicurezza anche nei settori meno “sensibili” e mantenere viva l’attenzione in tutte le aree produttive. Poiché le palanche (oggi gli euro) non piovono dal cielo, il piano formativo per il 2010 ha dovuto subire dei tagli rispetto al passato, dovuti alla scarsità di finanziamenti per la formazione ed alla necessità per la Cooperativa Itaca di approfondire la formazione in altri settori. Restano tuttavia in programma i corsi obbligatori per legge come pure l’intenzione di puntare sull’addestramento del personale in servizio e sull’utilizzo di momenti già strutturati di incontro, quali le periodiche riunioni di servizio/ambito/area. Da non dimenticare poi tutto il lavoro legato alla sensibilizzazione rispetto alla raccolta e registrazione sull’apposito modulo dei mancati infortuni, ritenuti importanti campanelli di allarme per un’attività preventiva rispetto al mantenimento e miglioramento delle condizioni della sicurezza sul posto di lavoro. La necessità di questa attività emerge particolarmente in considerazione del fatto che, dai moduli ricevuti nel 2009, la tipologia di mancati infortuni maggiormente presente rispecchia una tipologia di infortuni particolarmente numerosa: le aggressioni (a questo proposito le colleghe sollecitano


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caldamente la consegna dei moduli, l’analisi dei quali è finalizzata all’individuazione di eventuali interventi di miglioramento). Oltre all’importanza del mantenimento di un rapporto collaborativo con i medici competenti, per quanto concerne sia la sorveglianza sanitaria e i sopralluoghi, sia l’analisi e la valutazione dei rischi, resta prioritario da perseguire un confronto maggiore tra le varie aree produttive di Itaca sulla gestione della sicurezza nei servizi, in particolare tra l’area anziani e le aree disabilità e salute mentale che condividono tipologie di rischi molto simili (aggressioni, sforzo, biologico). Anche i servizi territoriali e di trasporto, peraltro, pur appartenendo a diversi aree (minori, anziani e disabilità) condividono alcune problematiche quali l’utilizzo frequente degli automezzi e, quindi, la

necessità di prestare maggiore attenzione ai nuovi rischi legati alla guida, nonché ai pericoli classici relativi alla gestione di utenti non autosufficienti, rischio, sforzo e cadute. Va evidenziato che tutto tale encomiabile lavoro risponde ad obblighi di legge, mentre il valore aggiunto sta nell’implementazione del “Sistema Sicurezza” (politica, procedure, strumenti, obiettivi) nella direzione dell’ottimizzazione e della qualità di quanto Itaca svolge relativamente alla sicurezza, impegnando a tal fine consistenti risorse. Opportuno sottolineare infine che tale sistema è stato voluto e fortemente portato avanti, alla stregua del sistema qualità, in condivisione con la direzione, dalla coordinatrice dell’ufficio sicurezza. (fdp)

Gli infortuni nel 2009 Pordenone Nel 2009 gli infortuni sono diminuiti di una unità rispetto al 2008, il numero medio dei lavoratori è diminuito di sole 14 unità, quello dei giorni di infortunio è diminuito di 82 giorni, mentre le ore di infortunio sono aumentate. Dati questi risultati, la percentuale di incidenza degli infortuni sul numero medio dei lavoratori è rimasta invariata rispetto al 2008 con il 6%, mentre l’incidenza delle ore di infortunio sulle ore lavorate è aumentata di soli 0.05 punti. Di conseguenza si può dire che i dati sono rimasti pressoché invariati. Nel 2009 sono aumentati notevolmente gli infortuni per scivolamento, nella classificazione è stato introdotto anche l’infortunio meccanico, mentre sono diminuiti sensibilmente quelli per caduta e schiacciamento. Gli infortuni per aggressione sono i più frequenti (13), insieme a quelli per scivolamento (13) e sono rimasti invariati rispetto al 2008; seguono incidente stradale (12), sforzo (11) e caduta (10). Gli infortuni sono aumentati di 6 unità nell’area della disabilità e diminuiti di 7 unità nell’area anziani, mentre nelle altre aree la variazione rispetto al 2008 è di 3 unità. Si ritiene opportuno sensibilizzare maggiormente alla prevenzione degli infortuni le aree della disabilità e degli anziani, che seguono la tipologia di utenza meno autosufficiente e quindi più gravosa dal punto di vista assistenziale. Particolarmente nell’attenzione verso la scarsa autonomia nella deambulazione degli utenti, in quanto molti infortuni sono avvenuti nel tentativo di sorreggere l’utente che aveva perso l’equilibrio. L’area che ha totalizzato il numero più alto di infortuni nel 2009 è stata quella dei servizi residenziali agli anziani (20), dato che conferma l’esito dell’anno precedente, mentre sono aumentati anche quelli dell’area disabilità (18), rispettivamente il 29% e il 26% sul totale degli infortuni. L’ammontare di giorni di assenza più numeroso

riguarda la tipologia di infortuni per scivolamento (38% del totale), mentre l’ammontare dei giorni di assenza degli infortuni per aggressione, al secondo posto per numero di infortuni, è solo dell’11%. Segue l’infortunio per sforzo, con il 18% dei giorni di infortunio totali e quindi quello per incidente stradale, con una percentuale del 16%. Gli indici di gravità e la durata media sono in diminuzione rispetto agli anni precedenti, mentre sono in aumento rispetto al 2008 gli indici di frequenza e di rischio, seppure per decimi di punto. Si è aggiunto il dato inerente la causa degli infortuni, rilevabile grazie alla registrazione delle informazioni mediante un modulo dedicato, con l’individuazione più precisa della dinamica e quindi della causa. La percentuale più alta di infortuni è dovuta alla disattenzione (20%), seguita da utente in crisi (19%), accidentale (14%) e causa terzi (13%). Quali sono gli interventi che si intende effettuare a seguito dei dati sopra citati? Anzitutto approfondire l’analisi dei mancati infortuni in modo da individuare la presenza o meno di analogie con i dati sugli incidenti, portando quindi ad una conferma dei fattori di rischio più gravi su cui intervenire o, viceversa, una discrepanza che indurrebbe la necessità di un ulteriore approfondimento. Predisporre in tempi maggiormente adeguati alla predisposizione della relazione sugli infortuni i dati inerenti il personale di Itaca, in modo da poter effettuare un confronto più preciso tra questi e l’analisi della composizione del personale della Cooperativa nella sua totalità. E poi confrontare i dati degli infortuni per singolo servizio in base alla numerosità del personale che vi lavora e confrontare la tipologia di incidenti per area con i dati degli anni precedenti. Con un occhio particolare alla implementazione nella registrazione dell’addestramento del personale nuovo assunto o che cambia servizio/mansione. Chiara STABILE


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Precise Parole di Giovanni Gustinelli

Capitolo terzo

Quattro figlie ebbe e ciascuna regina Il gradino era un gradino Brügna, o, per esser più esatti, era stato riprogettato « in sede di migliorìa», cioè valorizzazione e potenziamento di palazzo Condulmari, dal Grand’Ufficial Dottor Ingegnere Odoardo Forlina, del nòster Politèknik, e locato ai nobili de’ Marpioni con regolare contratto di affitto, insieme a tutti gli altri gradini dell’appartamento. La tombola periodica della Giovanna costituiva dunque una mancanza di riguardo, se ci riflettete, a così provvidenziale dislivello: e in conseguenza al Politecnico, al senator Colombo,12 e alla «bontà e generosità» delle nobili famiglie Condulmari di Asnàgo, ex-proprietari, Forlina locante, e de’ Marpioni, affittante. Che da trentatre anni, quest’ultima, teneva al proprio servizio la Giovanna stessa. L’animo squisitamente sensitivo di donna Giulia non poteva non avvertire tutto ciò. Ella si rifiutò poi per più anni in modo assoluto, comunque, tra il 47° e il 50° di sua età - rifiutò d’ammettere che quell’intoppo improvviso si opponeva con estrema perfidia e frequenza anche alle due impareggiabili cavalle sue figlie, cioè la Lola e la Maria Filiberta, nonché alla piccola, ogniqualvolta fossero necessitate di trasferire «la loro giovinezza esuberante» da una provincia all’altra dell’esagitato reame: allorché, per esempio, giulive, festosamente garrule, irrompevano come ciclone in sala da pranzo, o anche solo nella tromba di Eustachio, a scopo di repentino festeggiamento del loro caro paparino, il Nobilis Homo in persona, col rischio di acciaccargli un piede, lui che calzava solo scarpe di capretto, morbidissime: diceva anzi «chevreau», come pure il suo calzolaio. Di capretto: «perché ha dei piedi delicatissimi», commentava orgogliosa donna Giulia, «d’una sensibilità straordinaria». Di pasta di marrons glacés, potremmo credere, dal momento che siamo in sul francese. «Filiberta, Filiber ta! Mapeppa! venite! correte, che c'è il paparino! Come stai paparino? bravo paparino che sei tornato presto! Un bacio anche a me, paparino! Viva il paparino! Paparino, paparino! » E issofatto gli combinavano tutt'all'ingiro un girotondo infernale, gridavano e saltabeccavano in cerchio, sparando su dalle matto-

Onda lieve.blogspot.com C.E.Gadda alpino

nelle come altrettanti razzi, ricadendo poi con le gambe nude e mutandine rosa alle viste sui sandali acciabattati, a sfragellarsi le trombe di Fallopio, (dotti ovàrici); mentre la gonnellina pareva fungere da paracadute, elata (ndr sollevata, all’insù) ad umbrello. Erano quelli i momenti che gli inquilini di sotto, al piano nobile, si sentivano piovere in testa una farinetta leggera leggera, come se il soffitto del piano nobile fosse tutto un barattolo di borotalco; per quanto né il boro né il talco venissero ancora usati, a Milano, in quell’epoca, per infarinarsi la testa. Gli «inquilini di sotto» (guai a dire, in presenza di donna Giulia, i signori del piano nobile) erano un discreto paio di marito e moglie, e di ottima estrazione sociale, che avevano smarrito in una gran pena lo scontrino felice del multiplicàmini. «Eh! comincen, comincen! ho bel e capii, mi, che hin drée a comincià.... quii demòni de quii tosànn kì de sora.... », principiava a sospirare il marito, levando gli occhi al disopra degli occhiali come a scrutar le idee della moglie, ch’era già pallida, d’un pallore pieno di bellezza e di còllera: e già sul procinto di inviperire. Gli occhiali, poveraccio, e una cadaverosa poltrona (sacro ricordo del su’ nonno) gli permettevano di assaporare in tutta quiete le ricorrenti giostre e finezze dell’impareggiabile foglio umorifero ch’era, in quegli anni, il «Guerino Meschino»: e di gustarne appieno e di appropriarsi, col massimo rendimento, il più recondito e solferinesco lepore.13


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PRECISE PAROLE

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Ndr GUERIN MESCHINO Domenica 12 febbraio 1882 nasce a Milano il primo numero (n.2) del settimanale. La prima edizione del n°1 dato per "esaurito" non esiste; uscirà una seconda edizione del fantomatico n°1 solo più tardi: all'uscita di questa, l’allora procuratore del re, cav. Marghiffone, citerà i redattori del giornale per la mancata presentazione della prima, stentando ad accettare l'affermazione che questa non fosse mai esistita.

lfb.it guerin meschino

A un unico mal passo egli ricusava nobilmente di volersi concedere, cioè a quello scivolo piuttosto lubrico, se pure soltanto ebdomadario (ndr periodico, di solito un settimanale), della Nice e del marito fellòn: una anacreontica e alquanto sciocca per giunta, oh!, una strofetta di nulla: «ona cilapada che var nanca la péna de légela». Giudichi infatti il lettore, e, prima ancora di lui, la stupenda lettrice (ndr da notare la proverbiale galanteria gaddiana). NON C E RADIO SENZA ANTENNA Anacreontica14

«Quest’antenna è pur, mia Nice, Vanto e merto al caro armadio Donde abbiam sì dolce il suon». Mi sogguarda irata e dice: «Sarà l’arme della radio, Non la tua, però, fellon».

A Nice

Ed ora le diavolesse! e le cugine delle diavolesse! La moglie, che sedeva in lavori d’uncino e sosteneva d’esse re cardiopatica (ma era una idea), si lasciava cogliere, ogni volta, da un nuovo esemplare di insulto cardiaco. «Mi faranno morire! morire, mi faranno! ». Tolto su il gomitolone, d’una lana color lucertola, e tutti gli uncinetti d’osso che l’avevano aiutata, durante alcune ore, a percepire l’esistenza del proprio cervello, via come la coda della folgore! Dispariva a testa alta, gli occhi sfavillanti di collera, col fare di una Noailles o di una Montmorency (ndr due storici marescialli di Francia) a cui l’ottantanove avesse mancato di riguardo. L’uscio, dietro lei, sbatteva indignato. Le tre ragazze, di sopra, cioè sopra alle travi tarlate, al piancito, alla marognetta, e alle bilicanti piastrelle della migliorìa, seguitavano per dei quarti d’ora interi a ballare, a saltare e a giostrare come demoniesse intorno al loro caro paparino, o ad altro eventuale pupazzo che

ne facesse momentaneamente le veci.15 Il papà: preda automatica e totale dell’entusiasmo che ogni padre sa ingenerare nelle proprie figlie! Specie in via Spiga: e tanto più quanto è più paonazzo in faccia, corto a quattrini, nobile d’animo e di legnaggio: e di piedi dolci. L’erede maschio, del resto, dopo il trasloco16 allargatore del 1920, poi!, era sempre il buon chiodo del N.H. Cipriano: e anche di donna Giulia, d’altronde; che in tema di prole da destinare alla patria si uniformava abbastanza docilmente alle vedute e alle direttive del marito. Era questa, anzi, la sua unica docilità. Donna Giulia de’ Marpioni nata Pertegati, e cugina dei Bor ella di Villapizzone, se ben ricordo, che devono essere parenti dei Cavallazzi, e dei Ghezzi di Barlassina, quelli che stanno «lì»17 in via Cusani, al nümer vott, e anche dei Novati, che sono anche miei lontani parenti, dopo tutto, dato che «la» mia bisnonna era una Novati, mentre per parte di madre era legata ai Cavallazzi.... ma tutto questo non c’entra.... be’, la contessa Giulia, dicevo, era donna di elevato sentire, stando alla enunciazione più frequente, e talora, invece, eletta gentildonna lombarda di squisito sentire: mentreché vi farò grazia delle n (n-1) (n-2) (n-3) (n-4) -------------------------------- - 2 5! varianti che il calcolo combinatorio ci attesta realizzabili dopo le suddette, dalla permuta di n parole senza senso prese a cin que a cinque. L’elevato sentire, beninteso, non le impediva di ridurre mensilmente alla disperazione i commessi delle Seterie e Passamanerie Milanesi Carugati & Bondanza S.A., il primo negozio del genere in tutta Milano, dicono, quando gli capitava in negozio dieci minuti prima della chiusura di mezzogiorno; con un campioncino, un filuzzo, d’una matassina di seta color pisello, secondo lei: o un ritaglio color beige: (nel pronunziare la qual parola il suo volto si accendeva di bagliori tintoretteschi). Una volta lì, col pretesto del pisello e del beige e sul fondamento della sua propria sincrètica certezza, «ne sono sicura, assolutamente sicura!», data anche la spettacolosa circonferenza e l’enormità della massa, era vana cosa, mi assicuravano quei giovanotti, sperare di potersela levar dai minchioni un minuto prima del tocco. Perché il nuovo pisello esibitole era sì un pisello, ma non il pisello della sua ex-matassina, di ,cui quel superstite filuzzo testimoniava anche troppo validamente la oggimai consumata rarità: e il beige.... sì, era un beige, ma non il beige che cercava lei.... come quello che le avevano venduto tre anni prima.... proprio la vigilia di San Bàbila.... «San Bàbila?» Ma sì! quando c’era ancora il cavalier Bernasconi.... «Il cavalier Bernasconi?» «Ma sì!.... cioè no.... volevo dire el cavalier.... me se ciama.... speta.... el cavalier Bartesaghi!» Quell’ideogramma va leva da repentino sperone, la vis emulativa si sprigionava a un tratto dai bulbi: tale Carlo III a sentir nominare Carlo II. Lo stimolo emulativo agiva come toccare l’elettrico. In un battibaleno, non ostante l’impendere (ndr essere imminente) del mezzogiorno, tutta la sciagurata novecenteria dell’architetto Basletta - cristalli, e cassetti di


PRECISE PAROLE ràdica, e maniglie e pomi anticorodàl18 - andava per la centesima volta a soqquadro. Altro che vigilia di San Bàbila! Una babilonia di scatole, di matasse, di matassine, di trecce, un’insalata di pezze sciorinate sui bancali in tutte le sfumature dell’iride; quali solo si possono concepire a carico di oneste e servizievoli Seterie e Passamanerie Milanesi Carugati & Bondanza S.A. aventi a controparte una gentildonna di elevato sentire, milanese o no, dopo uno stormo di altre clienti altrettanto volitive, con disoccupata mattina a disposizione. Pezze su pezze, scatole su scatole, si montonavano19 sul banco: o ne tomborlavano20 fuora, e giù dal banco e dalle scatole, rocchetti, gomitoletti, gomitoloni di più tinte, tubetti e telaietti in cartoncino, a cariche multicolori, come piccoli aspi (ndr piccoli gomitoli), gli aspi infiniti della servizievole possibilità. Compatte o scarmigliate matassine, in tutta la gamma del campionario, campioni d’ogni tipo e d’ogni risma, venivano pasticciosamente dislocati, a quell’ora, da una scatola nell’altra, in un’angoscia e in un arruffìo da non dire: poi ricercate nervosamente, poi ritrovate, poi riperdute. Dal registratore della cassa, con un tintinno come di campanello a ogni battuta, dal militante e trionfante ingranaggio, si sgranava ancora in un gaBrennos.org San Bàbila Milano loppo filato la balda meccanica deglutitrice dell’incasso, coi soli arresti e coi tristi e disperati imbarazzi pel resto e le code di frazione, «per caso non ha moneta, signora?», tra il frustume delle lire marce e la nichelaglia o ramaglia o acmonitaglia (ndr acciaio monetario è una delle leghe usate in Italia ) per la coniazione delle monete dei soldarelli, nichelini, decini gobbi e sbilenchi soldini, e qualcuno anche del Papa e della Repubblica di San Marino, volto e rivolto e scrutato e analizzato per ogni verso nei diffidenti riscontri, con l’occhio velenoso del dispetto, nell’adunco livore della taccagneria. E guardate lunghe, soavi guardate da una rosea facciona di tettameo (ndr stupidotto, bischero), del direttore di vendita, ai banchi e alle uscite: e rapidi e nervosi strali de’ commessi alle mani annoiate delle belle, sul banco: mani che paiono assaporare al tatto quei lussi e le sciorinate dovizie, assaporare e ripudiare, desiderare e respingere, volere e nolere. Ma le manine, le manone, le borsette, le borsone, i precedenti pacchi e pacchetti, nel pandemonio meridiano del bazar! All’uso volgare si dice, con tutto questo, si dice tener d’occhio. Tra belle mani, le mani del biondo angelo sgraffignone, e il suo scaltro marsupio, sono sempre potenzialmente presenti. E adesso nella urgenza dell’ora, col rotolare dei tram, fuori, che si rincorrevano rotolando stipati verso il risotto: sotto lo sguardo imperativo della gentildonna committente: a cui una bava sàdica, nel frattempo, doveva di certo fluitarle giù per il gargarozzo fin giù nelle trombe e nei fondali dell’anima. La cera dei disgraziati giovanotti, dei descuidados che avevano avuto l’imprudenza di salutarla e ossequiarla al primo entrare, ilari

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e pieni di omaggi, col bocchino intirizzito a cul di pollo, magari, e una rispettosa e volonterosa fregatina di mani: «Signora, buongiorno. Buongiorno signora. La signora desidera?», adesso, poverini, se ne accorgevano! la cera gli si allungava a vista d’occhio, la deperiva di minuto in minuto, emaciando e scolorando in una specie di tubercolosi al galoppo. Grosse gocciole di sudore gli imperlavano la fronte, belli miei; brillantina liquefatta, dai capelli unti, gli si sdilinquiva giù per il collo, dietro gli orecchi, in una scolatura oleosa. Il panciutello direttore di vendita, non più Bartesaghi oggimai, Carlo II cioè, sibbene Consonni cavalier Amilcare, ossia Carlo III, aveva un bel dondolare la gamba, nervoso lui! col suo cravattino di direttore di vendita, nervosetto! sì, stai fino! un bel fulminare occhiate da primo console a quei poveri polli di commessi: all’atto pratico neanche lui non osava rifiatare. Lustrati da vincolo di parentela coi Bondanza, con gli azionisti e padroni, accesi in un fiammeggiante corruccio, i due occhi di donna Giulia si puntavano sull’Amilcare come di vipera sul terrorizzato passerotto: ne recidevano i deferenti e gli impulsi ribelli, lo inchiodavano al silenzio. Lo paralizzavano in un repentino sorriso d’automa, che poi gli si ghiacciava sulla faccia come il rictus cadaverico sulla faccia di chi ha ultimato di fungere.

NOTE 12. II senator Colombo: cioè Giuseppe Colombo ingegnere, Sena tore del Regno, Gran Cordone di non rammento quale Ordine, docente di tecnologie meccaniche al e direttore del Politecnico. Fu uomo d’alta statura e d’alto intelletto, di signorili portamenti. Il su’ nome è immortalato dal Manuale Colombo: (Ulrico Hoepli, Milano, 345 a edizione). 13. «Solferinesco lepore». La redazione e la stamperia del citato ebdomadario avevano stanza in Via Solferino. 14. Anacreontica, a Nice. Questa che si esibisce nel testo è d’in venzione dello scrivente, ma di stretta osservanza gueriniana. Il «però» all’ultimo verso, (nell’accezione odierna e volgare di ma), e la chiusura in fellòn erano obbligativi. 15. «Ne facesse.... le veci». «I genitori o chi ne fa le veci» è frase di rito (burocratico) a proposito della tutela o curatela di minori. 16. «Trasloco», voce volgare: per «trasferimento del proprio mobilio e delle masserizie domestiche in altro alloggio». 17. «Star lì» = abitare, star di casa. «Esser lì» = esser presente. 18. Anticorodàl è una lega leggiera (base alluminio) adibita pure al manigliame, in sede autarchica e novecentesca. 19. «Montonavano» (da monte) è lomb. per ammucchiavano. 20. «Tomborlavano » è lomb. e onomatopeico per tombolavano: e dicesi altresì delle cose, e non soltanto delle persone.


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speciale opg

Assenti le attività di recupero, pessime le condizioni

Opg disumani come i “vecchi” manicomi Sopralluoghi della Commissione parlamentare negli Opg

Roma

Da anni enti ed associazioni che si occupano di salute mentale chiedono – Itaca compresa – la cancellazione degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Qui di seguito pubblichiamo i testi delle relazioni successive ai sopralluoghi da parte della delegazione della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale. (fdp) Relazione sui sopralluoghi effettuati in data 11 giugno 2010 presso gli ospedali psichiatrici giudiziari di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) e Aversa (Ce) Una delegazione della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, composta dal Presidente Sen. Ignazio R. Marino, dalla Sen. Donatella Poretti, dal Sen. Michele Saccomanno e dal Sen. Daniele Bosone, assistita dal consigliere parlamentare Dott. Silvio Biancolatte, dal coadiutore parlamentare Sig. Giampiero Bistoncini, dal consulente Dott. Lorenzo Sommella e dai componenti il nucleo di polizia giudiziaria della Commissione Marescialli Capo Claudio Vuolo e Massimo Tolomeo, in data 11 giugno 2010, alla presenza di personale dei N.A.S. Carabinieri di Catania e Caserta, ha effettuato un sopralluogo presso gli OPG (ospedali psichiatrici giudiziari) di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) e Aversa (Ce), nel corso del quale ha constatato quanto segue. OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO (ME) L’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), ha sede in via Vittorio Madia n. 31, all’interno di una struttura la cui costruzione è terminata nell’anno 1914, ed ospita persone di sesso maschile sottoposte a misure di sicurezza. Il direttore dell’ospedale, contemporaneamente, ricopre la carica di direttore di istituto penitenziario, non essendosi ancora verificato, nella regione Sicilia, il passaggio delle competenze sanitarie al Servizio Sanitario Nazionale, così come previsto dalla normativa vigente. L’ospedale consta di 8 sezioni, vari portici antistanti i reparti, diversi viali, una cappella e circa 145 celle di degenza. All’atto del sopralluogo il direttore non era presente e la delegazione parlamentare, pertanto, veniva coadiuvata dal vice-direttore della polizia penitenziaria, che asseriva che, in quel momento, all’interno della struttura, erano presenti: 329 degenti; circa 45 appartenenti alla polizia penitenziaria, su un organico disponibile di 120 agenti e sottufficiali; un medico; due infermieri professionali; un educatore. In merito, si rileva l’assenza di un responsabile medico, nonché l’assenza di figure sanitarie corrispondenti a psichiatri e psicologi. Il sopralluogo aveva inizio nel II reparto, nel quale erano ricoverate 54 persone, caratterizzate da peculiare pericolosità sociale. Le stanze/celle di degenza, tutte munite di grate alle finestre ed alle porte di ingresso, spioncini, bagno, etc., contavano ben 9 posti letto. In tutti gli ambienti emergeva una situazione di degrado derivante

dalle pessime condizioni strutturali ed igienico-sanitarie, dovute a: pareti e soffitti con intonaci sporchi e cadenti; porte e finestre con vari vetri incrinati, tali da costituire pericolo per gli ospiti; evidenti macchie di umidità e muffe; presenza di sporcizia dovunque; presenza di letti metallici con spigoli vivi, vernice scrostata e ruggine; pavimenti danneggiati in vari punti, sì da costituire ricettacolo di polveri e batteri; coperte e lenzuola strappate, sporche ed insufficienti. Ovunque si avvertiva un lezzo nauseabondo per la presumibile presenza di urine sia sul pavimento che sugli effetti letterecci. Gli armadietti apparivano talvolta divelti ed arrugginiti. L’unico servizio igienico, di circa 1 mq, risultava privo di impianto doccia. All’interno della stanza contraddistinta dal n. 4, munita di letti particolari che presentavano un foro in corrispondenza del bacino, veniva rinvenuto il sig. C.S. Questi era nudo; coperto da un lenzuolo; in regime di contenzione attuata mediante costrizione a letto con una stretta legatura con garza, sia alle mani che ai piedi, che gli impediva qualsiasi movimento. L’internato presentava, altresì, un vistoso ematoma alla zona cranica parietale. In merito, si prendeva visione del registro dei trattamenti di contenzione dal quale emergeva che questi non era indicato (veniva acquisita copia del diario clinico del paziente e del registro dei trattamenti). L’ispezione si estendeva ad altri reparti, in particolare al III, di recente ristrutturazione, che presentava pavimenti, rivestimenti, intonaci, etc. in buone condizioni, anche se si notava qualche vetro incrinato ed un impianto antincendio di dubbia funzionalità. Il IV reparto risultava in disuso e quindi non erano presenti degenti, mentre veniva rilevata l’esistenza di un’infermeria il cui accesso era impedito da una porta chiusa a chiave; di detta infermeria, all’interno della quale vi era un vetusto apparecchio radiografico, nessuno è risultato avere la gestione. Da una simulazione eseguita sul posto, emergeva che non era possibile effettuare un elettrocardiogramma d’urgenza e, al riguardo, gli astanti riferivano che gli ospiti in preda a crisi cardio-respiratorie venivano inviati al pronto soccorso del vicino ospedale civile di Barcellona Pozzo di Gotto. Nel V reparto, verosimilmente ristrutturato, trovavano sede anche 2 ambulatori. Nell’VIII reparto, in condizioni generali leggermente migliori, vi era la mensa. Il servizio delle pulizie, apparso manchevole nel corso dell’intero sopralluogo, sarebbe demandato agli stessi ospiti; il cambio delle lenzuola sarebbe settimanale ed il vitto assicurato da una ditta esterna. Per quanto attiene alla sicurezza degli ambienti di lavoro, ad eccezione del terzo reparto di recente ristrutturazione, la stessa è da ritenersi assolutamente carente e precaria. In generale, durante il sopralluogo emergeva il sovraffollamento degli ambienti, l’assenza di cure specifiche, l’inesistenza di qualsiasi attività educativa o ricreativa e la sensazione di completo e disumano abbandono del quale gli stessi degenti si lamentavano. I degenti, nella assoluta indifferenza, oltre ad indossare abiti vecchi e sudici, loro malgrado, si presentavano sporchi e maleodoranti. (Segue nel prossimo numero)


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RICERCA PERSONALE

AREA SALUTE MENTALE

AREA disabilità

Ricerchiamo per Comunità Psichiatrica Merano (BZ)

Ricerchiamo per Comunità Handicap Udine

Coordinatrice/ore Infermieristica/o • Si richiede: Diploma o Laurea Infermiere Professionale, iscrizione IPASVI; esperienza nei servizi di coordinamento; possesso di patente B, auto propria. • Si offre: contratto a tempo indeterminato; full time; applicazione completa del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali, incentivi non contemplati nel contratto nazionale.

AREA RESIDENZIALE ANZIANI Ricerchiamo per Casa di Riposo Sacile (PN) Infermiere/i Professionali • Si richiede: Diploma o Laurea Infermiere Professionale, iscrizione IPASVI; esperienza minima; possesso di patente B, auto propria. • Si offre: contratto a tempo indeterminato; part time ; applicazione completa del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali, incentivi non contemplati nel contratto nazionale.

Ricerchiamo per Casa di Riposo Sacile (PN) Fisioterapista • Si richiede: Laurea Fisioterapia, iscrizione all’albo; esperienza minima; possesso di patente B, auto propria. • Si offre: contratto a tempo indeterminato; part time; applicazione completa del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali, incentivi non contemplati nel contratto nazionale.

AREA DOMICILIARE ANZIANI Ricerchiamo per Servizio di Assistenza Domiciliare Sacile (PN) Addetta/o alla Pedicure • Si richiede: Diploma estetista; esperienza minima; possesso di patente B, auto propria. • Si offre: contratto a tempo indeterminato; part time; applicazione completa del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali, incentivi non contemplati nel Contratto Nazionale.

Addette/i all’Assistenza • Si richiede: Qualifica Operatore Socio Sanitario; esperienza minima; possesso di patente B, auto propria. • Si offre: contratto a tempo determinato; part time su turni; applicazione completa del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali.

AREA minori Ricerchiamo per Servizi Educativi zona Pordenone Educatore • Si richiede: Laurea in scienze dell’educazione o esperienza nei servizi educativi territoriali con minori; possesso di patente B, auto propria. • Si offre: contratto a tempo determinato; part time; applicazione completa del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali.

Le domande di lavoro vanno inviate ad uno dei seguenti recapiti: Cooperativa Itaca - Ufficio Personale 1. Vicolo Selvatico n. 16 - 33170 Pordenone 2. e-mail: ricerca.personale@itaca.coopsoc.it 3. Telefono: 0434-366064; Fax: 0434253266

Redazione: Fabio Della Pietra - Cooperativa sociale Itaca Foto di copertina: Centro estivo di Villa d’Arco - Cordenons Impaginazione / Grafica: La Piazzetta Cooperativa Sociale - Trieste Stampa: Rosso Grafica&Stampa - Gemona del Friuli (Ud) Numero chiuso il 7 settembre alle ore 15.30 e stampato in 1250 copie


Centri estivi 2010


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