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NOTTI MAGICHE… NOTTI TRAGICHE

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ANDATECI PIANO

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Nel 1990 l’euforia di queste parole e il suono delle loro note accompagnarono per mesi gli italiani. Era l’inno composto da Giorgio Moroder per i Mondiali: nella versione internazionale aveva come titolo To be The Number One, nella versione nostrana (interpretato da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato) il titolo ufficiale era Un’estate italiana, ma tutti lo chiamarono e lo chiamano ancora “Notti magiche”. Perché magiche erano le notti che ci si aspettava, notti di un tempo ricco di aspetta- tive, di una stagione che ci avrebbe visti protagonisti e vincenti. “…E negli occhi tuoi / Voglia di vincere / Un’estate / Un’avventura in più”. L’avventura sarebbe stata appunto quella dei Mondiali di Italia ’90, previsti dall’8 giugno al 9 luglio in 12 stadi lungo tutto lo Stivale. L’assegnazione del campionato era arrivata nel 1984 e due anni dopo avevano preso il via i preparativi. Al presidente del Comitato Organizzatore, Luca Cordero di Montezemolo, e al presidente del CONI, Franco Carraro, spettava un compito complesso: realizzare o rinnovare le strutture ospitanti le 52 partite, ma anche attrezzare al meglio le città dove si sarebbero giocate. il mancato rispetto delle normative di sicurezza.

I Mondiali erano un gioco, sì, e a questo pensavano gli italiani, un gioco che si sarebbe potuto vincere (anche se non andò così). Ma in gioco c’era ben altro, soprattutto per la classe politica e dirigente. In palio c’era la possibilità di esporre i progressi italiani in campo gestionale, tecnologico, turistico e manageriale. Nel 1987 furono stanziati circa 48 miliardi di lire per le strutture delle città ospitanti, ma i costi lievitarono in modo vertiginoso (e spesso misterioso). Negli anni successivi i risultati di questi investimenti si rivelarono spesso sprecati: stadi nuovi e subito abbandonati o ridotti a vere e proprie cattedrali nel deserto, per non parlare delle connesse opere pubbliche. Lo stadio Olimpico, stadio principale dei Mondiali, fu per tre anni soggetto a interventi di ristrutturazione radicali: l’impianto fu quasi interamente demolito e ricostruito in cemento armato, le gradinate alzate, le curve avvicinate al campo, e tutti i settori ricoperti con una speciale tensostruttura bianca in fibra di vetro.

Il risultato fu indubbiamente imponente, affascinante, ma non si tenne conto dell’impatto sull’ambiente circostante, né, soprattutto, del budget, considerato che i costi inizialmente previsti aumentarono del 181%.

L’Air Terminal Ostiense, poi, fu un insuccesso ancor più clamoroso: progettato dall’architetto spagnolo

Sempre a Roma, emblematici furono anche i casi delle stazioni appositamente realizzate lungo la cintura ferroviaria nord, come la stazione Farneto e quella di Vigna Clara, chiuse al termine dei Mondiali e poi sottoposte a indagini e controlli per sante anche sul fronte degli infortuni sul lavoro, fra incidenti all’interno dei cantieri degli stadi e delle opere connesse. A Roma, in piazza Santi Apostoli, il 24 marzo 1990 fu approntato un palco con 11 pupazzi della mascotte di Italia ’90, Ciao, a incorniciare una lapide sulla quale campeggiavano 16 nomi, sovrastati dalla scritta: QUESTA SQUADRA NON PARTECIPERÀ AI MONDIALI.

Era il palco della manifestazione indetta dalla sezione laziale del sindacato dell’edilizia, e i nomi erano quelli dei morti nei cantieri in regione da novembre a marzo: prima delle notti magiche, i giorni tragici.

Julio Lafuente e completato nell’arco di soli dodici mesi per collegare la città all’aeroporto di Fiumicino, era un bellissimo esempio di architettura postmodernista, con imponenti strutture di ferro e vetro, il tetto con volta a botte, enormi finestre rotonde incorniciate da cemento bianco, come gli oblò di una nave. Bellissimo ma inutile, fondamentalmente perché troppo isolato rispetto al resto del sistema dei trasporti. E infatti, nel giro di poco fu abbandonato a se stesso, e per lungo tempo ha fatto da rifugio ai senzatetto. Tempio dello spreco e del degrado per oltre un decennio, nel 2012 l’Air Terminal si è trasformato nel tempio dell’enogastronomia italiana, e oggi lo conosciamo tutti come la sede romana di Eataly. Quella di Italia ’90 rappresentò dunque una delle ultime grandi speculazioni economiche prima dello scandalo di Mani Pulite e Tangentopoli. Il costo che pagò il Paese fu pe-

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