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L’abissale differenza nell’alta ristorazione

di Alberto Lupini

Gestioni onerose da rivedere? Mancanza di personale? Proposte di cucina magari non condivise con la proprietà? Revisione del format del locale per renderlo più piccolo ed esclusivo?

Sono tante le ragioni che secondo i critici enogastronomici spiegherebbero le ragioni per cui Norbert Niederkofler potrebbe lasciare per sempre (ma l’interessato smentisce) la guida del St. Hubertus, il ristorante dell’Hotel Rosa Alpina (5 stelle lusso) di San Cassiano in Alta Badia, che con lui ha conquistate 3 stelle Michelin, ma che ora chiuderà per un anno e mezzo per la ristrutturazione di tutto lo stabile e che per questo verrà tolto (almeno temporaneamente) dalla guida Michelin.

Le diverse modalità di essere chef in cucina

Ammesso che siano tutte vere le interpretazioni finora date, ci permettiamo di aggiungere un tema che in troppi tendono a dimenticare: un conto è fare lo chef (con una proprietà alle spalle) e un conto è fare lo chef-patron (per cui il cuoco è anche imprenditore).

E questa è una realtà che sta alla base della crisi di molti modelli di alta cucina. In ballo ci sono libertà d’azione (che per un cuoco vuole creatività in cucina, anche a livello estremo) e convenienza economica. E questo, a maggior ragione, se il ristorante è ai primi posti in Italia in un po’ tutte le graduatorie delle guide.

Nel caso del St. Hubertus il rap porto creatività/economicità diventa emblematico perché parliamo di un ristorante con 3 stelle (con costi alti sia di gestione che di menu) e, inevi tabilmente, ci si può chiedere quale peso ha il “riconoscimento” della Mi chelin per chi fa grandi investimenti a livello internazionale e vuole ritorni economici certi.

Stando alle decisioni prese dal gruppo Aman, a cui fa capo oggi la gestione dell’hotel già della famiglia Pizzinini, sembrerebbe che il valore della targa Michelin sia abbastanza scarso. Come spiegare altrimenti la scelta di un progetto ambizioso di ristrutturazione per alzare il livello di

“lusso” dell’accoglienza incurante del fatto che le stelle della ristorazione saranno azzerate?

Per la multinazionale svizzera che gestisce una catena di una quarantina di hotel fra i più lussuosi al mondo (la maggior parte dei quali in Asia) l’alta ristorazione è certamente un punto importante della sua offerta, ma ciò che conta sono gli standard di accoglienza che si offrono ad una clientela ricca. E questi vengono certamente prima dell’avere al suo interno, o meno, un ristorante a 3 stelle. Se poi il St. Hubertis, a ristrutturazione finita, ottenesse ancora 3 stelle, tanto rante che dall’inizio del secolo ha accompagnato e stimolato (con importanti investimenti della famiglia Pizzinini) tutta la crescita di valore della proposta enogastronomica dell’Alta Badia non sarà più lo stesso. E al tempo stesso il Rosa Alpina si proporrà probabilmente come l’hotel più esclusivo per una clientela internazionale forse poco interessata al progetto «Cook the Mountain», ovvero l’alta cucina di Niederkofler a servizio della valorizzazione degli ingredienti e delle materie prime della montagna. A partire da quei “fermentati” che hanno creato una moda che potrebbe trebbe essere accantonato dall’hotel il progetto Care’s (gli chef etici) che pure è partito da lì.

Vale la qualità e non solo la stella

Tutta la vicenda di San Cassiano si inquadra peraltro in un complesso equilibrio fra cuochi, ristorazione ed hotel su cui ci sarebbe molto da scrivere. Non sono pochi gli chef che hanno ad esempio lasciato negli ultimi tempi ristoranti stellati in hotel a 5 stelle (da Apreda a Berton, da Brunel a Molica) per puntare su locali di proprietà. Per non parlare dei cuochi dipendenti che,

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