‘Sì, posso farcela’: immagini della Divina commedia nella contemporaneità Giorgio Bacci
Illustrazioni descrittive, interpretative, commenti figurati: tipologie diverse che nella lettura visiva contemporanea della Divina commedia hanno finito per sovrapporsi, valicando confini ermeneutici e barriere metodologiche. D’altra parte, se Lucia Battaglia Ricci ha recentemente sottolineato come tali categorie non vadano in ogni caso intese come sistemi valoriali, corrispondenti a un differente grado di intenzionalità artistica1, già Gianfranco Contini aveva intuito come non fosse un’ipotesi peregrina immaginarsi un illustratore in grado di prescindere dalla condizione narrativa del poema dantesco, unendo idealmente due termini per solito intesi come poli semantici oppositivi: illustrazione e astrazione2. Il secondo termine andrà inteso, per riallacciarsi all’arte contemporanea, non come ‘astrazione dalla natura’, ‘deformazione del reale’, ma come opera in sé astratta, espressione di un pensiero filosofico (o mitico) altrettanto astratto, come Barnett Newman aveva spiegato in The Plasmic Image3. Concetto che evidentemente può essere utile nel momento in cui un artista si trova a dar voce al Paradiso, senza dubbio la cantica più difficile da interpretare visivamente. A tal proposito, Monika Beisner (Amburgo, 1942) significativamente ricorda che «nel Paradiso non ci sono corpi; è tutto solo fiamme o corpi di luce», e dunque ha deciso «di giocare tutto sul cerchio, perché è la forma perfetta»4. L’attitudine filologica ha coerentemente condotto l’illustratrice a mutare approccio metodologico, passando dal realismo plasticamente inteso dell’Inferno alla sottile trasfigurazione simbolica del Paradiso. Eppure, anche quando le immagini sono dirette e ‘semplici’, non sono da intendersi come riduttiva resa mimetica della narrazione, ma come equivalente figurativo della capacità di Dante di cogliere lo ‘stato d’animo’ dei peccatori. Non è un particolare da poco, perché indica la sensibilità culturale e storica di Monika Beisner, che sviluppa un’accorta armonia visiva articolata sulle note di una tecnica classica utilizzata nei manoscritti medievali: la tempera a uovo su carta, funzionale non solo a rendere colori brillanti e luminosi, ma anche a filtrare riferimenti e citazioni colte, che spaziano da manoscritti trecenteschi a Giovanni di Paolo e il Vecchietta. Cfr. Battaglia Ricci 2018. Cfr. Contini 2001. 3 A tal proposito cfr. Roque 2004, in particolare pp. 172-177. 4 Cfr. intervista in catalogo. 1
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