Metropolzine 25

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Metropolzine n. 25 Metropolzine è un periodico dell’Associazione Culturale “Italian Dreamers” Casella Postale 161 47838 Riccione Centro RN

DREAM THEATER 20TH ANNIVERSARY TOUR GRAND FINALE AT RADIO CITY MUSIC HALL IN NEW YORK CITY! Date storiche nella storia dei Dream Theater:

Tiratura: 1500 copie

23 aprile 1993 - The Marquee - London, England (Live at the Marquee CD) 31 gennaio 1995 - Ronnie Scott’s - London, England (“Uncovered” Fan Club show / A Change Of Seasons CD) 22 giugno 1998 - Nighttown - Rotterdam, Holland (“Unplugged” Fan Club show / 5 Years In A LIVEtime DVD) 25 giugno 1998 - Le Bataclan - Paris, France (Once In A LIVEtime CD) 30 agosto 2000 - Roseland Ballroom - New York City (Live Scenes From New York DVD & CD) 6 marzo 2004 - The Pantages - Los Angeles, CA (When Dream And Day Reunite DVD & CD) 26 aprile 2004 - Budokan - Tokyo, Japan (Live At Budokan DVD & CD)

Finito di Stampare: dicembre 2005 Italian Dreamers Staff: Simone Fabbri Marco Petrini Collaboratori: Ivan Iapichella Emiliano Maiello Stefano Tappari Antonio Vescio Marco Termine Francesco Zecchetto Web Master: Francesco Castaldo Alessandro Tramonti Sede Legale ed iscrizioni: Italian Dreamers Casella Postale 161 47838 Riccione Centro RN Internet Home Page: www.italiandreamers.net Forum: www.ytseitalia.net Photo Credits: Italian Dreamers Staff Mike Portnoy MP.com Jordan Rudess JR.com Darko Bohringer Scott Hansen Stampa: Studiostampa s.a. - RSM

28 maggio 1986 - Sundance - Bayshore, NY (primo vero concerto)

Aggiornate il vostro calendario perchè ora c’è una nuova data da segnare: Sabato 1 aprile 2006 “A VERY SPECIAL EVENING WITH DREAM THEATER” at RADIO CITY MUSIC HALL in NEW YORK CITY Ultimo concerto del 20th Anniversary Tour 2005/2006, questo “Grand Finale” sarà registrato e filmato per una prossima uscita in CD e DVD. Toto “Falling in Between” Prodotto e registrato in un periodo di circa 9 mesi presso i Phantom Studios di Los Angeles; esce il 10 febbraio il nuovo album dei Toto: “Falling in Between”. Il vero nucleo della band che si riunisce: Bobby Kimball (cantante), Steve Lukather (chitarre/voci), David Paich (tastiere), Mike Porcaro (basso), Simon Philips (batteria) e con la novità Greg Phillinganes (Stevie Wonder, Michael Jackson, Eric Clapton) alle tastiere e cori. Varie partecipazioni d’eccellenza tra cui Joseph Williams (primo cantante della band) che duetta con Steve Lukather ma, anche Ian Anderson (Jethro Tull), la sezione fiati dei Chicago, L. Shenkar (Peter Gabriel) e ancora Lenny Castro, Tom Scott, Roy Hargrove e tanti altri. Ma la vera novità è che questo nuovo album esce per una casa discografica tutta italiana, la Frontiers Records (www.frontiers.it). A seguire un tour che toccherà Europa e Giappone ed arriverà in Italia sabato 18 marzo al Mazda Palace di Milano. Per l’occasione Frontiers Records mette in palio 3 copie di questo “Falling in Between” a chi risponderà correttamente alla seguente domanda: “Quanti album hanno pubblicato i Toto?”.


Office Of Strategic Influence 2 (con Mike Portnoy) Jim Matheos, Kevin Moore and Mike Portnoy si sono incontrati al Carriage House Studios in Connecticut dal 18 al 20 novembre scorso per registrare la batteria del nuovo capitolo del progetto OSI. Successivamente Jim and Kevin hanno terminato le chitarre e la voce. L’album sarà mixato a gennaio 2006 e per l’uscita vi preghiamo di visitare il sito: www.osiband.com. Mike Portnoy’s “Amazing Journey” (A Tribute to The Who) (featuring Mike Portnoy, Paul Gilbert, Billy Sheehan and Gary Cherone). La quarta (e probabilmente ultima) cover band assemblata da Mike Portnoy suonerà tre concerti negli USA come tributo ad una delle più grandi live band nella storia del Rock & Roll. 27 maggio 2006 - Whittier, CA - The Center Theater Stage 30 maggio 2006 - Chicago, - IL Durty Nellie’s 31 maggio 2006 - New York City - BB King’s Blues Club The Hammer Of The Gods “Two Nights In North America” DVD e doppio CD (featuring Paul Gilbert, Daniel Gildenlow, Dave LaRue and Mike Portnoy). I concerti di New York e di Montreal in tributo ai Led Zeppelin sono disponibili in un unico DVD ed in un doppio CD direttamente sul sito di Mike Portnoy: www.mikeportnoy.com Dream Theater: SFAM & Made in Japan Sorpresa nelle date giapponesi di Tokyo del 13 gennaio e di Osaka del 15 gennaio 2006 quando, perseguendo la loro tradizione di cover album durante la seconda serata, i Dream Theater hanno eseguito tutto “Made in Japan” dei Deep Purple. Il 16 gennaio per la terza serata di Tokio hanno eseguito dall’inizio alla fine Octavarium. Nelle date sudamericane del 4 dicembre a Buenos Aires e dell’11 dicembre 2005 a San Paolo è stato eseguito tutto Scenes from a Memory. www.jordanrudess.com Novità sul sito di Jordan, è online il Rudess Download Store con musica, video e materiale raro. Scaricabili anche samples e programmi per sinth originali. Dall’online store è possibile acquistare anche il nuovo video didattico “Keyboard Madness: Mastering Live Performance”, un viaggio nella carriera di Jordan con i Dream Theater, bonus footage tratto da tre pezzi di “Rhythm of Time.” www.italiandreamers.net Gli account degli iscritti al nostro sito verranno disabilitati il 31 marzo 2006. Sia per i vecchi che per i nuovi iscritti, al ricevimento della nuova tessera, bisognerà eseguire nuovamente la procedura di registrazione per poter accedere ai contenuti speciali.

Mamma mia che freddo. Scaldiamoci i cuori e ripartiamo da ottobre ringraziando tutti voi per l’affetto e la stima che ci avete dimostrato. Volti noti e facce nuove che hanno vissuto i tre concerti italiani con la giusta intensità di chi sa di far parte di qualcosa di eccezionale. L’accoglienza nei confronti dei Dream Theater è stata toccante, l’aria che si respirava era elettrica e frizzante. Segno evidente che la voglia di Dream Theater è difficile da sopire. Vi volevamo ringraziare per la vostra educazione e cortesia sia per l’entrata anticipata che la tribuna riservata, tutto è filato liscio mentre gli altri guardavano con invidia il nostro striscione e le faccie dietro di esso. Ad incorniciare il tutto ci abbiamo pensato noi allegandovi l’ormai “famoso” regalo di Natale. Lo sappiamo che siamo un pelo in ritardo ma mettetevi comodi e gustatevi il DVD, per noi ne vale veramente la pena. Metropolzine 25 si presenta così, sappiamo che la prima cosa che farete sarà vedervi il filmato, anche per più volte, ma una volta che vi sarete ripresi, tornate a leggere anche la vostra amata fanzine. Vi raccontiamo come abbiamo vissuto noi questo anno fantastico, vi sveliamo i segreti di Jordan ed andiamo in profondità in tutte le teorie e le fantasie che hanno accompagnato l’uscita di Octavarium. Per quanto riguarda la band, in primavera saranno in Nord America per la parte finale del tour che si concluderà con la ciliegina sulla torta suonando nello storico “Radio City Music Hall” di New York il prossimo primo aprile (pesce?). Noi ci saremo per un resoconto totale sulla serata e sul tour del loro ventesiamo anniversario. Dopodichè i Dream Theater andranno in vacanza e passeranno l’estate 2006 a non fare assolutamente nulla, “La prima estate libera dal 1993” così dice Mike in una mail (ma sarà vero?). Leggetevi anche la pagina dedicata ai concorsi perché c’è una grossa ed importante novità legata alla cover band ufficiale italiana ed alla serata della finale. Noi , intanto, torniamo vicino al termosifone con un bicchiere di vin brulè in mano. Salute. Italian Dreamers Staff


Il volo verso Newark passa insolitamente veloce e tranquillo, penso di aver dormito per i tre quarti del viaggio mentre mia sorella non ha fatto altro che sfogliare riviste di moda. Dividerò questo viaggio con lei, i primi tre giorni nella grande mela ed i restanti quattro a Philadelphia, ospitati dalla Francy che vive li da due anni insieme a Marco, chimico di UPENN. Le nuove leggi sulla sicurezza degli States mi imbarazzano un po’, vorrei proprio vedere che faccia avevo nella fotografia che ti fanno appena sbarcato mentre l’omone in divisa ti “invita” a lasciare anche le tue impronte digitali nell’apposita macchinetta. Bus fino a Port Authority e taxi fino all’Holiday Inn sulla 57esima, ho seguito il consiglio di Mike ed ho prenotato nello stesso albergo in cui soggiorna la band visto che l’Hit Factory è solo a tre isolati di distanza. L’appuntamento con lui è per il giorno dopo e quindi decido di ammazzare il jet lag con un hot dog ed una birra inconsistente in piena Times Square. Piove nelle strade di New York City, ma fa nulla, torniamo in albergo zuppi e straniti dalle luci e dai grattaceli. Gli Holiday Inn di Manhattan sono ottimi ma, attenzione, perché qualsiasi tasto tu tocchi in camera ti verrà addebitato sul

conto, c’è un servizio nella televisione interattiva che ti permette di navigare su internet, ma esiste solo una tariffa, dieci dollari per 24 ore, avanti pure, crepi l’avarizia, ho necessità assoluta di leggere le mail ed ecco quello che cercavo. L’appuntamento per il giorno dopo in studio è slittato, Mike, che sta scrivendo da circa 300 metri di distanza, mi invita per le 14 di mercoledi 16 febbraio, niente di particolare tranne il fatto che proprio quel giorno ci saranno le sessioni di registrazione dell’orchestra, mi addormento con uno strano sorriso in faccia. La sensazione è intima, solo Petrus sapeva dove sarei andato quando mi sono imbarcato, ma nessuno dei due immaginava che l’ennesimo sogno si sarebbe materializzato. Imbraccio la mia D70, lo zoom 70-200 ed il grandangolare sono pronti e passata la porta d’ingresso mi dirigo verso l’ascensore indicatomi dalla segretaria. L’Hit Factory è come un grande condominio, ma mi da l’idea di essere un attimo in disuso, l’ascensore sale lentissimo, tutto in legno sembra più una piattaforma, sbuco in un corridoio che mi conduce in un’anticamera piena di tavoli, sedie e roba da mangiare e da bere. Ci siamo, di fronte a me le porte dello studio numero 1, apro, entro e nessuno si gira. Mike, John, Doug e tre assistenti sono tutti impegnati a guardare aldilà del vetro, la piccola orchestra formata da 16

elementi è al secondo “take” di quello che scoprirò più tardi essere la parte finale di “Sacrificed Sons”. Sbalordito e con il cuore a mille, ecco come mi sono sentito. Vero è che incontrare la band è ormai routine, ma essere li, in quel momento e in quel contesto mi ha, ancora una volta, trasformato in un bimbo felice che vede per la prima volta un Luna Park. Pausa, ci salutiamo mentre Doug entra in sala registrazioni per sistemare meglio il microfono del violoncello, arriva anche Jordan e Rich, un ragazzo inglese che sta scrivendo la biografia ufficia-

le del gruppo. Siamo affondati in quel sofà marrone da circa un’ora quando il Pro Tool sul Mac si pianta e deve essere riavviato, mi alzo per sgranchirmi ed ecco Mike, con un insolito paio di occhiali da vista che mi dice di seguirlo in sala, lui ha la sua solita telecamera digitale, io sfodero la Nikon ed incomincio a scattare. Le foto le avete viste su Metropolzine 23 e, per il risultato inaspettatamente ottimo, mi verranno richieste poco prima dell’autunno anche per essere immortalate nel Tourbook ufficiale che accompagna il merchandise della band in giro per il mondo. Ore 17.37, l’orchestra esce e rimane in sala solo il flauto; incredi-


bile, effettua solo una registrazione del solo che sentiamo all’inizio di Octavarium e Petrucci dichiara “buona la prima”. Terranno quella, senza una seconda versione, applauso generale e finalmente la tensione si stempera, Mike ordina “Burgee!!!”, sostanzialmente hamburger per tutti. Sinceramente, del nuovo album non ho capito nulla, ascoltando solo le parti dove sarà aggiunta l’orchestra faccio fatica a dare giudizi, ma non ero li per quello, avremo modo di sezionare ogni nota di Octavarium quando uscirà quindi seguo Mike giu per le scale senza domande particolari. “Le pareti di tutto lo studio due giorni fa erano piene di dischi d’oro, siamo in un luogo storico e spetta a noi chiudere la porta e spegnere le luci per sempre”. Sembra quasi contento del fatto che due giorni dopo tutto questo verrà smantellato. Lo studio 6 è si e no ¼ dello studio 1. “Ormai abbiamo portato via tutto, ma in questa sala erano stipate le mie due batterie, gli ampli e le tastiere di Jordan, vieni entriamo qua, James sta registrando i cori quindi fai poco casino”. Pat Thrall (proprietaria degli Avatar Studios, luogo di registrazioni di Falling…) è china sulla consolle mentre aldilà del vetro James indossa le cuffie ed una maglietta rosso fuoco. Non so neanche se mi abbia notato, ma è giunta l’ora di uscire. Ho portato un po’ di cose da lasciare a tutti, vino per John e James ed i cd del nuovo concorso per la cover band ufficiale italiana a Mike. Convenevoli e saluti per tutti tranne che per Jordan, io e lui infatti, ci incontreremo stasera per la cena a base di filetto e

Chianti a Tribeca. “Sai, molti mi stanno domandando del perché sono passato alla Korg ed è difficile per tutti accettare la semplice verità. Avevo semplicemente voglia di provare qualche macchina nuova e Korg è spuntata nel momento esatto. Tecnologicamente parlando, il mondo sta accelerando a velocità supersoniche ed a volte Bert (il suo assistente personale) si metteva a ridere quando doveva caricare i suoni sulla 2600 ancora da una porta SCSI. Tengo comunque tutte le porte aperte ed addirittura ho preparato suoni e sinth che ho venduto alla Roland.” Giornata da “circoletto rosso” sul calendario, come direbbe qualcuno, giornata infinita. Dopo il dessert torniamo all’Hit Factory in taxi e non vi nascondo che mi ha fatto un certo effetto vedere Jordan prendere la sua auto dal parcheggio e dirigersi a nord per andare a dormire a casa sua, insieme alla propria famiglia, come un impiegato comune. Devo riordinare le idee e non ho sonno, faccio due passi fino alla 53esima dove dopo due incroci ritrovo i murales di 6 anni prima, ancora intatti sui muri dellAvatar Studio, qualla era la mia prima volta a New York, da solo, un’esperienza scioccante. Giro l’angolo ed imbocco la via dell’hotel, quasi non lo noto, ma davanti a me c’è un signore che trascina dietro di se un trolley, si infila in una “deli” ed esce nel preciso istante in cui passo io, tiene in mano una Snapple color rosa: è bellissimo incontrare James così, per caso, nelle strade di New York. A passo lento arriviamo all’Holiday Inn, lo invito a prendere un te insieme, lui ci pensa su, ma dice di no, ha ancora un paio di pezzi da studiarsi per bene per l’indomani ed allora gli strappo la promessa per una cena durante il

tour italiano del suo disco solista, promessa mantenuta. “Ciao James, buonanotte”. Siamo in tre sulla Tigra in direzione Padova, io, Marco e la Daly, viaggio tranquillo ma con la radio ben accesa, “Abemus Papa!!!”. Eggià, nel giorno dell’insediamento di Benedetto XVI, noi stavamo andando al concerto di James al New Age, gran concerto, grande James e grande Marco Sfogli. Bissiamo al Transilvania di Milano due giorni dopo, dove, grazie alla promessa di James, scopriamo dei personaggi ineguagliabili: tale John “mozzarella” Macaluso (ne ha ingurgitate quattro di fila intere al ristorante) e tale Matt “ti prego riforma i Dali’s Dilemma” Guillory, letteralmente impazzito per le donne italiane e per le auto tuning. Dedichiamo Metropolzine 23 a tutto ciò, con aneddoti e situazioni che vanno oltre al mero, ma qualitativamente superlativo, concerto. A Milano riusciamo ad improvvisare anche un piccolo Aftershow con i soci del Fan Club presenti sul posto. “Sarà un album a metà fra Awake e Scenes…” le parole di James su Octavarium. Un piccolo segreto da mantenere per tutti. Senza fiato in questa calda primavera le date da segnarsi sono: 18 maggio semifinale YtseJamKr, 21 maggio semifinale Progeny, 7 giugno uscita Octavarium, 21,22 e 23 giugno Dream Theater in Italia. Il concorso per la cover band ufficiale è orgoglio per noi, crediamo talmente tanto in questo progetto e lo sentiamo talmen-


occhi chi ha toccato con mano questa realtà, non c’è posto per mercenari o gente qualsiasi.

te nostro che, a volte, ci toglie più energie di un concerto dei Dream Theater stessi. Le problematiche, le logistiche e le variabili sono infinite, quante volte ci siamo trovati a discutere, a ragionare e a litigare pur di prendere la decisione migliore per tutti. I Dream Theater stessi hanno deciso i gruppi semifinalisti, noi abbiamo portato la nostra testimonianza diretta ed ora, ancora i Dream Theater decideranno la finale. Mi guardo in giro ma non credo che ci siano altri progetti come questo, nel mondo della musica, che coinvolgano così direttamente il gruppo madre. Indipendentemente da chi vince o chi perde, l’orgoglio è lo spirito dei Dream Theater che chi va sul palco si porta con se grazie all’impegno di tutti. E’ una sensazione di altri tempi ma che si percepisce guardando negli

L’estate è la stagione più difficile da affrontare, lavoriamo tutti. Fucecchio ed Ascoli passano veloci mentre fissiamo il punto d’incontro ad Este. Arrivo a ¾ del concerto e c’è gente che giura di avermi visto in terza fila, tutto vero. Sono li più che altro per salutare tutti gli amici di vecchia data e mentre scorre Pull me Under ci ritroviamo sul palchetto per i disabili brindando a birra. L’Aftershow non è previsto dalla scaletta, ma fra Bert che allunga due pass ed una “supercazzola” alla sicurezza riusciamo a portare una decina di voi dietro al cancello, accanto ai famosissimi quindici Platinum Tickets che hanno sborsato poco meno di 200 euro per essere trattati come alle poste, mah! Al di la delle zanzare padovane, troviamo James e Petrucci in una forma smagliante, ci bastano veramente pochi secondi per carpire dal loro comportamento se tutto sta filando liscio, attenzione non parliamo mai del concerto, siamo più attenti alla psicologia del momento. Se la produzione è ok, se a casa va tutto bene, se in tour bus ed in albergo si dorme bene, se i loro progetti personali sono a buon punto, se la crew è affiatata, se il catering ha sfornato ottime pietanze e se a fine concerto c’è dell’Amarone ed un vassoio di cannoli ad aspettarti, va da se che la performance nella cornice di Villa Pisani sarà da ricordare. Per la cronaca, Jordan era fortemente convinto di aver suonato a

Firenze due sere prima (!!!), e mentre qualcuno gli ricorda che ce la siamo girati insieme solo un anno fa, riusciamo a consegnare a Mike i DVD dei Progeny e degli YtseJamKr. Considerare i Dream Theater dei fenomeni sarebbe troppo semplice, il fenomeno ha questo nome perché arriva, produce e scompare. Se fosse così il Fan Club avrebbe avuto vita breve. Ci siamo sempre battuti, invece, per andare aldilà dell’apparenza, abbiamo la testa talmente dura che non ci basta sentirli e vederli suonare e voi, che state leggendo queste righe, siete assolutamente sulla stessa lunghezza d’onda. E’ fin troppo facile iscriversi al Fan

Club a dicembre di ogni anno solo dopo che abbiamo annunciato il CD o il DVD di Natale. Chiedete a chi ha Metropolzine 2 cosa c’e’ scritto in un articolo che si intitola “Duri, Incazzati e Progressivi”, chiedete a chi ha Metropolzine 10 cosa ne pensavamo in “Tanaliberatutti”. Pura e semplice voglia di vita vera, dubbi, difficoltà e contraddizioni da affrontare a petto in fuori e con sguardo fiero. Dentro di noi abbiamo la forza di questa musica fantastica che ancora ci emoziona, che ci fa innamorare e che, qualche volta, ci fa anche piangere. Fuori, abbiamo conosciuto meglio questi protagonisti, professionisti e staka-


Esecuzione talmente perfetta che per i Dream Theater sembrerebbe quasi routine. “Se dovessi cantare così tutte le sere, potrei arrivare tranquillamente a 55 anni con le corde vocali intatte!” Così James nell’After Show riservato solo ai Fan Club europei in riunione straordinaria.

novisti del loro mestiere, alcuni eclettici e megalomani, altri di una semplicità disarmante. Un mix fantastico che ci fa sorridere quando qualcuno ci dice che lo fanno solo per soldi. Brutta bestia l’invidia! Petrus parte per Parigi dove unisce vecchi amici, Dream Theater e Iron Maiden. Intanto è annunciata la doppia data di Amsterdam, viene diramato il tour europeo autunnale e Mike ci conferma le nostre impressioni sulla finale delle cover band… che sarà a tre. Via al Gigantour, ci rintaniamo in spiaggia sotto l’ombrellone, nella speranza che smetta di piovere. L’Amsterdam Arena ci accoglie in tutta la sua maestosità, è uno stadio bellissimo anche da fuori, immaginatevi dentro con il tetto che piano piano si chiude, facciamo il giro del parcheggio e sbuchiamo in un lungo viale che sembra più un immenso centro commerciale. Siamo carichi per questo primo concerto e le ginocchia ci ringrazieranno per essere stati in piedi per più di due ore e mezza. Il nuovo palco è ottimo anche se preferivamo i vecchi schermi di TOT a questi proiettori dalla

luce flebile. Il concerto è buono anche se inconsciamente tutti sono già pronti per il giorno dopo. La capitale olandese è vivibilissima ed è a dir poco stupefacente nel sistema dei trasporti pubblici. Per essere metà ottobre non fa neanche troppo freddo e a tutti consigliamo i ristoranti di sushi, testati soprattutto a pranzo. A fine anno uscirà la notizia che per rapportarsi alle norme europee, i coffee shop potrebbero chiudere i battenti, davanti a questa premonizione ci siamo sentiti in dovere di fare un saluto in più ai simpatici e poliedrici gestori dei più o meno noti locali sparsi in città. Theresa Thomason è stata la vera sorpresa della seconda serata. Mike ha cercato di ingannare i presenti con una serie di finti “intro” di altri gruppi ma, quando l’incedere di “The Dark Side of the Moon” si è fatto realtà, tutti si sono chiesti chi avrebbe cantato i cori della voce femminile. A dire il vero Theresa si è inquartata un attimo, ma ragazzi, chi l’avrebbe mai detto di rivederla sul suo palchetto a destra in alto come fece al Roseland.

Quando diciamo che Jordan è un signore, non lo facciamo per partito preso. Poco prima di salire sul palco riceve una telefonata dall’America, questioni molto personali che potrebbero turbare chiunque. Bene, quella sera non solo è salito sul palco ugualmente, ma quando uscirà l’Official Bootleg di “Dark Side…” fate caso anche “come” ha suonato quest’uomo. Il tour sgancerà in Italia tre bombe: Forum, Palamalaguti e Palalottomatica, gli stessi tre del 2004. Raccogliamo la sfida e affiliamo le unghie, prima di tutto abbiamo l’entrata riservata per tutti i nostri soci per ognuna delle date, all’interno dei palazzetti avremo una tribuna tutta nostra e, ciliegina sulla torta, a Bologna ci sarà un Aftershow con nuovi soci e vecchi abbonati ai quali l’urlo si era strozzato in gola per due volte dal 2002 fino ad oggi. Con calma, pazienza e dedizione siamo riusciti a recuperare TUTTO!


buono, ottimo o memorabile.

L’appuntamento con Jordan è a mezzogiorno all’Hilton ma non facciamo tempo ad arrivare all’entrata che subito salta sul Galaxy. “Avevo paura di essere in ritardo, quelli del CPM non possono aspettare”. Sa già tutto tranne del ritardo di Franco Mussida, così, intanto, Roberto Gualdi fa da cicerone per i corridoi e le aule del Centro. Anche questo era un sogno che covavamo da un po’ e che si era materializzato una prima volta nell’estate del 2004 dove ad aprire i concerti estivi avevamo pensato bene di mettere in contatto PFM ed Elio. Saltò tutto poi, tranne la voglia di fare incontrare, un giorno queste persone. Il giorno è arrivato e, nonostante tutto, fa proprio un bell’effetto vedere Jordan tenere il tempo col testone mentre Franco passa il CD di “Dracula” nelle casse del piccolo studio di registrazione all’interno della scuola. Noi siamo solo di contorno a questa chiaccherata, spettatori felici e scanzonati che piombano nel silenzio quando, dopo abbondanti porzioni di spaghetti “Uè Uè” consumati al ristorante d’angolo, udiamo la frase: “Mah, un giorno prima o poi, noi due dovremo fare qualcosa insieme!” Alè, abbiamo fatto la frittata. Roma, per i Dream Theater sarà il quarto concerto di fila, vi facciamo notare questo perché ricordiate bene come ha cantato James in Italia. Sembrerà un paradosso ma è lui l’ago della bilancia, è lui il protagonista che fa in modo che un concerto sia

Se poi a tutto ciò viene aggiunto come “uomo del tour” un John Myung mai così bello, agile, vivo e presente sul palco, possiamo affermare, anche grazie alle vostre testimoniante che le tre date italiane siano state le migliori di questa parte del tour. Difficile eleggere il concerto migliore in quanto sono state performance differenti, sicuramente Bologna questa volta ha lasciato il segno e non è stata caratterizzata da nessun inconveniente, anzi Speak to Me e Octavarium hanno guadagnato molti punti. La capitale era pronta all’ultimo concerto prima di una lunga

pausa e noi eravamo pronti al nostro sforzo organizzativo più impegnativo. Oltre a tenere a bada la vostra esuberanza ai cancelli, all’interno del palazzetto stava succedendo qualcosa di magico. Con quattro telecamere ed un’intervista in corso sul palco, stavamo dando seguito ad un progetto nato a primavera inoltrata. Quest’anno il regalo di Natale del Fan Club sarebbe stato un DVD, un racconto, dal nostro punto di vista, del tour che ha fatto tappa negli stati dei cinque maggiori Fan Club europei. Un mix di immagini, canzoni, interviste e chiacchere che ora

potrete gustarvi spaparanzati in poltrona. A Roma toccava a noi riprendere in mezzo a tutto quel casino. Dopo tonnellate di telefonate e mail fra noi, Mike, Millo e i suoi cugini, dopo aver girato tutto il tour senza pass, dopo i cannon troppo corti per arrivare al mixer audio, dopo due black out nel bel mezzo di “Under a Glass Moon” e dopo averla messa in culo a Mr. Murphy e alla sua famosa legge ancora una volta, seguite qui sotto le curiosità del DVD che avete in mano. L’ennesima scommessa vinta! Tutti i protagonisti di questo progetto li trovate elencati nel booklet del DVD. Buona visione e…mi raccomando. The International Fan Clubs DVD 2005 “A Walk Beside The Band” Durata totale delle riprese: 2500 minuti Durata del DVD: 128 minuti Totale delle Persone coinvolte nel progetto: 25 Numero di telecamere totali usate: 16 Numero di mail scambiate fra i Fan Club: più di 600 Data della prima mail accennante all’idea del DVD: 28 maggio 2005 Numero di ore necessarie per il montaggio del DVD e la creazione dell’artwork: più di 110 Litri di caffè consumati durante il montaggio: 5 Litri di birra consumati durante il montaggio, l’artwork, i menù e l’authoring: dato confidenziale! Simone Fabbri


L’idea di scrivere questo articolo su Jordan è nata qualche giorno prima dei concerti di ottobre. Era un pomeriggio di ottobre e nell’angolino basso del mio desktop vedo che qualcuno mi sta cercando su Skype, era Jordan che voleva parlare con me. Il motivo di questa chiacchierata era soprattutto pianificare i tempi e le modalità per l’intervista che potete trovare nel DVD allegato a questa fanzine (ovviamente se vi siete iscritti per tempo!!!) ma le chiacchiere sono andate avanti anche verso altre direzioni. Qualche giorno prima al nostro amico Roberto Gualdi era venuta un’idea: “Perché non facciamo visitare il CPM a Jordan Rudess ?” La nostra macchina si era subito mossa in quella direzione soprattutto quando anche Franco Mussida aveva dato la disponibilità ad aprire la sua scuola alla visita di Jordan e a fare lui stesso da cicerone al tastierista dei Dream Theater. Visto che questo pomeriggio già è descritto nel precedente articolo di questa fanzine, torniamo alla telefonata con Jordan: i tempi e le modalità per l’intervista erano decisi ma sia a me che a Jordan ci sembrava mancasse qualcosa per completare l’opera. Ebbene si; durante l’intervista non avrebbe avuto il tempo di spiegare completamente la sua strumentazione per cui si pensò ad un articolo per integrare il tutto e qualche foto per i dettagli. Dal DVD si può perfettamente notare chi ha scattato le foto presenti in questo articolo; foto che sono state prontamente passate ad una persona che sicuramente sapeva cosa farsene. Chi meglio di un grande fan di Jordan e anche studente del CPM? Il nome di colui che ha messo le basi per questo articolo è Gilles Boscolo; il suo articolo è stato inglobato in queste pagine che riportano anche un’intervista fatta a Jordan durante il tour di giugno dai nostri colleghi francesi. Questo collage è un po’ il completamento naturale di tutto quanto visto nel DVD e vi servirà ad entrare ancora di più nel fantastico mondo di Jordan Rudess. La parola, quindi, passa a Gilles: Tutti sappiamo la storia di questo uomo, come è diventato uno dei migliori tastieristi esistenti, che scuole ha fatto e con chi ha suonato. Con questo intervento entrerò nel merito della strumentazione che Jordan ha usato in tutti questi anni. La prima apparizione di Jordan in Italia fu, per coincidenza, sullo stesso palco dei Dream Theater, in opening ai loro concerti nella primavera del 1998; unico concerto per l’Italia fu Pordenone ed appunto fu il duo Rudess e Morgenstein ad allietare il pre-concerto con una prestazione che lasciò parecchi

di stucco. Nonostante la partecipazione al Liquid Tension Experiment tutto iniziò nel 1999 con un video mandato da Mike Portnoy al Fan Club italiano durante le registrazioni di Metropolis 2, fu la presentazione ufficiale di Jordan in veste di membro dei Dream Theater; ed in quel video compariva una tastiera poco conosciuta a quel tempo. In quegli anni (ed ancora ora) nel mondo del prog e rock si utilizzava per la maggior parte tastiere e sintetizzatori di casa Korg. Da quel momento tutti i fan si informarono su chi era Jordan Rudess, cosa aveva fat-


to, la sua strumentazione, etc. un pò come una caccia all’uomo. Si scoprì che era endorser di casa Kurzweil, e collaborava attivamente con quest’azienda per lo sviluppo delle loro tastiere e già con i Liquid Tension Experiment aveva utilizzato i loro suoni molto belli, completi e vari. L’uscita di Scenes from a Memory fu un colpo grosso per coloro che erano abituati ai pochi suoni (seppur perfetti) dei precedenti tastieristi, mentre in questo nuovo album, ogni canzone, ogni minuto era una scoperta nuova. Ma ovviamente noi tastieristi siamo cocciuti e sappiamo che in studio di registrazione si può far miracoli e la domanda più ricorrente era: dal vivo come farà il signor Rudess a riproporre tutta sta varietà di suoni in così “poco” tempo? Facciamo un piccolo passo indietro. NAMM del 31-1-1999. Jordan Rudess si presenta con Rod Morgenstein in una performance semplicemente strabiliante (la stessa tenuta in quel di Pordenone qualche mese prima!!!). Riproponendo varie canzoni del loro album si presenta in palco con un’unica tastiera Kurzweil k2500.Morgenstein passa in secondo piano (anche se la sua esibizione è perfetta), tutti sono incantati dall’immagine di questo tastierista proiettata nello schermo dietro al palco. Riesce a fare cento cose nello stesso attimo, con suoni divisi a destra e a sinistra della tastiera che ogni tanto cambiano, utilizza il sequencer in modo assurdo, preme bottoni e succede sempre qualcosa di nuovo. Jordan sembra tutt’uno con la tastiera, e nella serata spiega molte cose sul suo modo di suonare: utilizza moltissime funzioni di questo strepito-

so sinth, riesce a dividere la tastiera in molte parti, sovrappone suoni, utilizza basi fatte in precedenza e le fa partire nel momento in cui preme una determinata nota. I “mille” suoni li cambia in un modo molto efficace, li mette in lista e con un semplice pedale li fa avanzare progressivamente. Va detto che tutte queste funzioni si possono trovare anche in altre tastiere, solo che molti o non le conoscevano o non le utilizzavano. Grazie a lui inizia una vera e propria moda, e Kurzweil incrementa le vendite delle sue tastiere. Ritorniamo a Metropolis 2, alla prova del nove del tour: cosa ci si può aspettare? Prime indiscrezioni affermano che utilizzerà molte tastiere per ovviare ai molti suoni e parti fatte sul cd, si parla di campionamenti e parte la paura del cosidetto playback: tutto assolutamente falso in quanto Jordan si presenta con un’unica tastiera anche in questo caso. Il modello è cambiato, Kurzweil k2600xs (x sta per 88 tasti e s per il sistema di campionamento). Semplicemente strepitosa, una tastiera potentissima, una marea di controlli real time, mille funzioni midi, un sistema di sintesi praticamente perfetto (v.a.s.t.), un sinth strepitoso per un altrettanto strepitoso tastierista. Alle sue spalle (Rudess suona di lato, rivolto a Portnoy) però si vede un rack composto da 2 expander Korg Triton, 2 Kurzweil k2600r (r sta per rack) e un’altra k2600xs sopra questo. Gli expander non son altro che

moduli sonori, avere un k2600r è come aver una tastiera k2600 senza però tasti, leve, levette ecc., stessa cosa per il Triton, per cui è come se Rudess utilizzasse in tutto 4 tastiere k2600 e 2 Triton. C’è da dire che non tutti sono utilizzati in pieno, in quanto un Triton e un k2600 sono “di riserva”, cioè se si rompe uno...è subito pronto l’altro, e gli altri Kurz servono uno per aumentare la polifonia della tastiera e l’altro settato solo sul kb3, cioè il sistema di riproduzione degli organi Hammond su Kurz. Rudess preferisce usare una potente tastiera come master e prendere i suoni da expander, il tutto collegato a un mixer che in questo caso è un Makie 1604VLZ Pro. Sempre in questo rack inserisce due hard disk, dai quali prendeva altri suoni e campioni, uno tra tutti il sitar di Home. Jordan manda avanti questa “baracca” con 2 semplici pedali, uno per il sustain e uno per il cambio suoni. Con questo pedale (in gergo “Data Inc” riesce a far tranquillamente tutto un concerto utilizzando una tastiera sola, ma sopratutto senza diventare matto a pigiare in continuazione altri tasti che non siano quelli bianchi e neri. Faccio l’esempio di una canzone in cui ci sia una sequenza del tipo: piano>violini>lead. Lui setta la tastiera per quella song con suono numero 1 piano, numero 2 violini e al numero 3 il lead, poi non deve far altro che pigiare sul pedale e zac … prima pianoforte ... poi preme e … violini e così via. Nel tour di Metropolis 2000 c’è un esempio emblematico in cui Rudess da sfogo alle sue capacità tecniche e di programmazione, con un assolo che resterà nel cuore di tutti i tastieristi, dove cambia suoni, usa gli slider per far “entrare” progressivamente effetti e suoni, fa partire basi, insomma fa di tutto. E così molti tastieristi iniziano ad amarlo e k2600 diventa la tastiera da sogno. Molti la comprano perchè vogliono esser come lui, pensando che chi ha una k2600 per forza di cose è un “mostro”. Ma piano piano si scopre che, si, la tastiera fa di tutto, ma bisogna saperla usare, bisogna saper metterci le mani, e non essendo tutti Rudess molti iniziano a stancarsi di programmarla e scervellarsi. Avviene così una divisione


in due gruppi, c’è chi compra la k2600 solo per “estetica” e chi inizia a “smontarla” per capire in tutto e per tutto cosa sia in grado di fare questo mostro. Tornando a Jordan, terminato il Metropolis Tour, i Dream si prendono una piccola pausa riflessiva prima di rientrare in studio per diversi mesi per registrare un album che segna una prima svolta stilistica per il loro genere. Six Degrees vede una successiva svolta anche in campo tastieristico in quanto la ricerca dei suoni progredisce con effetti e lead diversi da prima. Anche le sonorità sono diverse, in alcuni brani più aggressive, in altri più sperimentali. La conferma di questa svolta l’abbiamo nel relativo tour. Rudess cambia qualcosa nel suo rack, sempre posizionato alle sue spalle: la k2600 che aveva sopra viene sostituita da un altro expander k2600r, poi sempre i 2 rack Triton, il suo mixer, i suoi hard disk, ed in più fa da contorno una tastiera Korg Karma, dalla quale prende molti suoni. Torna a far parte del suo keyboard world il giovanissimo Bert Baldwin il quale, dopo aver dato una grossa mano a Jordan nella programmazione delle tastiere in studio lo segue anche in tour come tecnico di palco. Un’altra novità salta subito agli occhi… Rudess “gira”: la Kurzweil k2600xs viene montata sopra un tubo rotante, abbandonando il classico portatastiera a X. In questo modo Rudess può girare e guardare prima il palco, poi il pubblico, poi gli spalti, e viceversa dare l’occasione di farsi vedere a 360 gradi. La

cosa è più difficile di quanto sembri, oltre al problema di suonare girando c’è anche un problema logistico: come fare a cambiare i suoni e fare le parti con il sustain quando si è in una posizione diversa? I pedali così si moltiplicano. Jordan addotta due posizioni di comodo, una classica di fianco, guardando Portnoy, ed una rivolto al pubblico.Utilizza un pedale per il sustain, uno per il Data Inc, uno con funzione di Wha Wha per i lead ed uno per simulare l’effetto leslie degli organi, ovviamente moltiplicati per le 2 posizioni. In questo modo suonando sia di lato sia frontale sotto i suoi piedi ha i medesimi pedali. utto ciò è molto semplice da programmare visto la grande disponibilità di pedali che la Kurz può adottare. Le altre posizioni (tipo quando da le spalle a Portnoy) sono solo di passaggio, lì non ha pedali. Il 17 febbraio del 2002 (giorno successivo al concerto di Dream a Bologna) Jordan tiene una lezione/concerto a Monselice in provincia di Padova, una serata semplicemente stupenda. Utilizza solo una Kurzweil k2600x, eseguendo brani dall’album “Rudess-Morgenstein Project” e spiega le tecniche che utilizza in live e per esercitarsi. Termina l’esibizione con una “The Spirit Carries On” suonata con il piano Kurz e cantata praticamente da tutti i presenti. Durante questo tour nasce un piccolo problema per Jordan: le parti di tastiera, gli intro e i vari sample sono cosi tanti che la Kurzweil viene praticamente “tappezzata” di fogliettini che aiutano Jordan durante la serata. Infatti, durante il concerto “tributo” ai Metallica, Rudess deve utilizzare un leggio davanti alla tastiera, con il conseguente problema di non poter “girare” (sempre se lo vogliamo chiamare problema). E’ a questo punto della sua carriera che esce un nuovo lavoro solistico (tutti gli altri erano passati praticamente in sordina poiché avevano visto la luce prima del suo ingresso nei Dream Theater): “Feeding the Whell”, con sonorità diverse da quelle sentite nei lavori dei Dream, stessa cosa accaduta

successivamente con “Rithm of Time”; lavori dei quali risulta difficile parlare in quanto mai portati dal vivo, e per i quali non si è a conoscenza completa della strumentazione usata. Vale la pena ricordare che Rudess risulta endorser oltre che di Kurzweil anche di alcune case costruttrici di effetti, amplificazione, programmi per PC, per cui si presume che per i suoi lavori solistici in studio vada ad attingere un po’ dappertutto. Tornando ai Dream Theater, invece, Train of Thought segnala un’altra svolta, questa volta anche molto criticata. Si parla di mancanza totale della presenza delle tastiere all’interno dell’album, dello scarso apporto musicale da parte di Rudes e chi più ne ha più ne metta. Le parole di Jordan riguardo all’album parlano da sole: “Rispetto agli altri album Train Of Thought mi ha appagato in maniera diversa: anche se si sentono meno le mie tastiere, ci sono chiaramente molte parti di tastiera e se le togliessi, ti chiederesti: cosa succede, manca qualcosa! In Train Of Thought i miei suoni erano spesso là per sostenere la chitarra, per rendere l’insieme più “grungy”, più potente e durante gli assoli, in alcuni momenti, la gente poteva pensare che fossero di chitarra, e una volta arrivati al concerto si rendevano conto che erano di tastiera” Per il tour il “tubo rotante” viene cambiato con un traliccio ed in più Jordan monta davanti alla tastiera una specie di monitor. Si chiama Music Pad Pro, costruito dalla Freehand System. Su questo monitor Rudess può scriversi tutte le parti delle song, appunti, passaggi, assoli, insomma tutto ciò che non si ricorda durante l’esecuzione, e, comandato da un altro pedale messo sotto i suoi piedi nella posizione laterale, può averlo sotto gli occhi mentre gira con il suo portatastiera. Il suo rack si allarga e viene posizionato con la faccia rivolta verso il pubblico. Viene aggiunto anche un ulteriore Kurzweil k2600r montato sotto il mixer e non tutti lo notano. Leggende metropolitane dicono che serva ad effettare il Triton, ma molto più probabilmente serve per aver ancora più memoria per il tour. Così siamo arrivati quota 4 k2600r, 2 Triton


rack, 2 hard disk, un mixer e una Korg Karma, tutto pilotato dalla solita master k2600xs. Sul fianco sinistro della tastiera, sopra le 2 whell, viene posizionata una scatolina con la quale Jordan può regolare il volume generale di tutto il suo arsenale. In più si fa installare alle sue spalle un mixer Behringer Eurorack Pro rx 1602, con cui può gestire a suo piacimento i suoi “in ear” monitor. Questo tour risulta sfortunato dal punto di vista operativo sia per Jordan che per Bert i quali più volte hanno problemi alle tastiere. La prima volta che Mr. Murphy fa capolino è a Stoccarda quando la tastiera di Jordan si spegne alla fine del primo atto del concerto e per alcuni minuti non si riaccende. Il quarto d’ora di pausa si allunga di altri 20 minuti che servono per ricaricare i suoni per i brani mancanti. Un altro caso, e di maggior portata, capita al Palamalaguti di Bologna, dove nel bel mezzo di Stream of Consciousness la tastiera smette di suonare. Rudess alza le mani ed esce dal palco non potendo intervenire immediatamente sulla tastiera. La canzone continua e questo power-trio improvvisato entra nella storia. Le cause sono dovute ad un sovraccarico dei sistemi di protezione e alimentazione alternativa; in poche parole i gruppi di continuità del reparto tastiere non hanno retto al momento di un calo di tensione e tutto il rack di Jordan si è spento perdendo tutti i suoni e le impostazione già caricate. Ovviamente il concerto non poteva interrompersi per cui, dopo un breve consulto con Mike (che nel mentre stava suonando!!!) si è deciso di caricare i suoni per un ultimo brano che fu eseguito proprio dopo Stream of Consciousness.

Il 7 luglio 2004, dopo le 3 date one-off in Italia, Rudess è di nuovo ad Este; per la terza volta dopo il clinic del 2002 e la serie di clinic, concerto acustico e presenza alla festa del decennale Italian Dreamers nell’agosto 2003. Con grande sorpresa non si tratta di una semplice esibizione, ma di una vera e propria Master Class dedicata ad allievi scelti da lui stesso mediante provino. Sul palco vengono montate una Kurzweil k2600xs ed una Triton Extreme, l’ultima nata in casa Korg. Il concerto della stessa sera Rudess lo esegue con questa nuova tastiera, affiancata da una Karma, e con uno Steinway. Il pubblico rimane un pò spaesato, i suoni non sono quelli soliti, molte cose cambiano, non c’è feeling tra le sue mani e lo strumento ma, il concerto viene comunque svolto alla perfezione. Iniziano a circolare delle voci incontrollate circa la fine del legame professionale con la casa Kurzeil a favore della Korg. Jordan dichiara più volte che la Kurzweil non ha più interesse a lasciarlo sviluppare nuovi suoni, nuovi programmi per le tastiere e, visti anche i problemi avuti durante l’ultimo tour, Rudess fa l’occhiolino alla Korg che non perde l’occasione di lasciare la possibilità di utilizzare le nuove tastiere al Keywiz. Molti restano senza fiato (i più fanatici si sentono traditi!!!) mentre in internet iniziano a girare video e foto che ritraggono Jordan sempre in compagnia di una Triton Extreme. Compare anche nel video dimostrativo di un nuovo “giocattolo” chiamato Receptor della Muse, ed anche qua Jordan usa una Extreme. In un altro video lo si vede con un altro strumento, una specie di tastiera senza tasti che si chiama Continuum. Questa sfrutta la pressione delle dita per creare bending, vibrati, glissati su tutta la lunghezza della tastiera. Si potrebbe definire un’evoluzione del ribbon controller della

Kurzweil. I suoni del nuovo album risultano diversi, ma certe cose rimangono comunque made in Kurzweil Siamo al NAMM 2005, viene presentata la nuova nata in casa Korg: la Oasys, una tastiera computer con un vero sistema operativo interno gira per far andare avanti questo mostro con la stessa sintesi usata dal Karma. Siamo alle prime date del tour di Octavarium e Jordan rilascia questa dichiarazione: “Ho utilizzato tanto materiale per le registrazioni. E’ stata la festa delle tastiere. Volevo avere molta scelta su dove mettere le mani, e quindi ho portato più tastiere in studio: la mia Korg Triton Extreme, una Rolland V-Synth, la mia vecchia Kurzweil, un Grand Piano Yamaha, una Yamaha Motif, e ho anche sperimentato dei nuovi strumenti e anche programmi per sintetizzatori. Ad esempio i suoni di piano presenti sull’album provengono da un programma che si chiama Ivory. Adesso che siamo in tour, utilizzo una Korg Oasys. Ho ripreso tutto il mio vecchio impianto ed insieme a Bert abbiamo programmato la Korg Oasys per gestire tutto.” Sul palco, infatti, non compare solo la Oasys, ma a lato, in un al-


tro traliccio rotante, viene montato il Continuum e una Slide Guitar a testimoniare le varie sperimentazioni che Jordan ha fatto in studio. Ecco le sue parole a spiegare un po’ il tutto: “Per le registrazioni ho utilizzato un Lapsteel Fender ‘Vintage’. Non sapevo ancora dell’esistenza di questo strumento. Ho comprato un Fender poiché Steve Howe mi ha indirizzato a un Lapsteel, adoro le melodie del Lapsteel negli Yes. Avevo già utilizzato un suono del Lapsteel con i Dream Theater, come in “In the name of God”, per esempio… (Jordan spiega che ha suonato gli accordi con la mano sinistra e una melodia con la mano destra. Le due mani erano occupate e innescava il glissato caratteristico del suo Lapsteel con un pedale). Ma per questo disco mi sono detto che avrei imparato a suonare un Lapsteel. Quando siamo stati in tour con gli Yes l’anno scorso, ho passato del tempo con Steve, gli ho posto molte domande e lui mi ha mostrato qualche trucco. Al ritorno dalla tournée, sono andato a New York e mi sono regalato in bel Lapsteel Fender. Dopo ho cercato uno strumento per partire in tour e ho trovato questo strumento, chiamato “industrial guitar” creato da Chris Foulke. Ne ho comprato uno, non era così costoso e si è dimostrato un ottimo strumento. Adesso, sul palco, ho la mia Korg Oasys sulla base ruotante, come prima la mia Kurzweil, poi ho un’altra base ruotante dietro di me con il Lapsteel sotto e sopra il Continuum, un altro nuovo strumento nel mio mondo musicale. Il suono che senti nell’intro di Octavarium (al 0’37), simile ad una chitarra ma più “sci-

voloso” è il Continuum. Volevo una sorta di tastiera fretless, per poter suonare una nota e fare un glissato, un vibrato e ho trovato questo strumento fatto da Lippold Haken. Era esattamente quello che sognavo; è come un nastro tattile gigante, ma più spesso e più lungo, e si possono suonare più note allo stesso tempo. L’ho utilizzato molto per gli assoli, come in “Sacrificed Sons”; dal vivo, lo uso quando devo suonare “Just Let me Breathe”, ”Lie”. Ho dunque imparato a suonare questi due strumenti completamente nuovi per questo disco e per questo tour. Tutti nel gruppo continuano a dirmi che sono folle!” Posizionato dietro di lui il suo vecchio rack fa da sfondo, molto vuoto rispetto a prima, ma con alcune novità: prima su tutti i due expander V-sinth XT della Roland danno il suono al Continuum. Appena sotto ai Roland troviamo il Receptor della Muse, che carica al suo interno VST (strumenti virtuali per PC) e sotto a questo un gruppo di continuità APC 2200 gia adottato nel tour di Train ma a supporto dell’APC, dall’altra parte del rack, ci son due stabilizzatori di corrente Eta Systems PD9Leta per proteggere tutta la strumentazione da sbalzi e mancamenti di corrente. (Vi ricordo che i campioni caricati in qualsiasi tastiera vengono salvati in una memoria virtuale, se salta la corrente questa memoria si cancella.) Durante il tour però si “sentono” molti problemi: suoni diversi, effetti in ritardo, parti di tastiera che scompaiono. Le performance di Rudess iniziano a scadere, senza ombra di dubbio la tecnica è inequivocabile, ma la potenza della sua strumentazione di certo non lo aiuta. Forse il cambio è stato troppo repentino e frettoloso per poter affrontare un tour, e si cerca una smentita nel secondo tour di Octavarium. Anche qui ci sono altre novità riguardanti la strumentazione; a fianco del rack fa ingresso un imponente “armadio”, un modular sinthetyzer, una specie di ModularMoog (usato da Keith Emerson) dei nostri giorni. Con la strumentazione cambiano anche i suoi pedali e le posizioni sul traliccio passano da due a tre: nella posizione principale ha un wha, un data inc, uno sustain

e un cambio pagina per il music pad pro. In posizione centrale ha un cambio pagina, uno sustain e un data inc. In più aggiunge una posizione dando la schiena a Portnoy, e qui ha solo un data inc e uno sustain. Anche sotto il Continuum e la Slide ha altri pedali: 2 wha per i rispettivi strumenti, ed uno per gli effetti della Slide.

Non utilizza più una sola tastiera, ma anche quella del modular, e lo si può vedere molto bene durante l’esecuzione di Octavarium. Inoltre una piccola tastiera viene posizionata tra Rudess e Portnoy, ad usarla è LaBrie nell’intro di Octavarium, con i suoni generati dalla Oasys via midi (Da notare che vista la scarsa conoscenza delle note sulla tastiera di James, i tasti di questa tastiera vengono colorati e numerati e James deve solo premere l’esatta sequenza (i numeri) per ciascuno brano (definito dai colori). Nonostante i miglioramenti in fatto di potenza musicale i suoni rimangono pressochè invariati e non convincono gli intenditori: ad esempio trovo pessimo il suono di piano usato per Through My Word, quasi uno xilofono. Molti vorrebbero da Jordan un ritorno alle origini…..never enough !!! Tra i due tour di Octavarium accade un fatto strano: Jordan realizza dei video dimostrativi per Motu, ed utilizza una k2600x. Inoltre realizza un dvd dove spiega le sue tecniche, i suoi suoni e tutto ciò che riguarda le sue performance, ed indovinate con che tastiera? K2600. Ai posteri l’ardua sentenza….. Gilles Boscolo (e Petrus)


Era una notte buia e tempestosa quando il mio telefono squillò. “Scenda subito nel garage. Ho qualcosa che può interessarle”. Non so ancora perchè, ma obbedii. Mi vestii e mi inoltrai nell’enorme garage, ma feci pochi passi che gli abbaglianti di una macchina mi resero cieco. Intravidi una figura e capii subito che si trattava del padrone di quella voce. Fumava una sigaretta. Non disse nulla, posò un pacco per terra, risalì in macchina e scomparve nella notte. Di quell’uomo ricordo solo la targa della macchina: RI8585. Forse non avrei dovuto, ma ho deciso che il mondo deve sapere. L’umanità deve conoscere “I SEGRETI DEL CODICE OCTAVARIUM” In questo articolo sono riunite tutte le teorie, dalle più strampalate alle più verosimili, sul concept che si cela dietro all’ultimo

disco dei Dream Theater. Tutto è stato raccolti per voi da Mastro Petrus e il sottoscritto. Abbiamo scandagliato la rete, in particolare YtseItalia, fino a mettere faticosamente insieme tutto il materiale per questo articolo. Vi avvertiamo che nulla di ciò che leggerete è stato convalidato da alcun membro dei Dream Theater, ma è frutto della ricerca e del ragionamento dei Fan che hanno risposto alla grande all’appello del Buon Mike. Qualcuno si ricorderà le parole di Portnoy nell’intervista inclusa nella precedente Fanzine: “Octavarium possiede un concetto molto profondo[...] Non posso rivelare i dettagli, questa sfida che costituisce il raccogliere i pezzi di questo puzzle, fa parte della mia follia, è il tipo di cose che mi tiene sveglio la notte. Abbiamo

messo alla prova i nostri fans e siamo curiosi di vedere cosa ne verrà fuori da tutte le ricerche che anche voi farete” Beh, possiamo dire che i Fan hanno superato le aspettative di Mike, sviscerando nota per nota questo complicato album. Ora è tutto nelle vostre mani e sta a voi capire e scegliere quali teorie siano vere e quali siano una boiata atomica. Ma bando alle ciance, perchè la parola passa a...Voi! 1. IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA OCTAVARIUM 1.1 Octavarium è semplicemente un gioco di parola tra Octavus, “ottavo”, e l’aggettivo Varius, “Vario”. Più nello specifico, un suffisso -arium è rintracciabile in latino per indicare “una serie di cose, un insieme vario di una certa cosa”. Ad esempio “erbario”, “planetario”, e così via. Da ciò se ne deduce presumibilmente che la parola Octavarium voglia indicare “un disco fatto di canzoni che abbiano a che fare con il numero otto” 1.2 Ottavo album, otto tracce. Settimo album, sette tracce; sesto album, sei tracce. La loro passione per la numerologia è risaputa. “Octavarium”, ottavo album (08), è uscito il 7 giugno 2005, ossia il 07/06/05....08 07 06 05. 1.3 La parola “Octavarium” appare per la prima volta in un libro, edito dallo stato Vaticano, chiamato “Octavarium Romanum”. Esso racchiude la spiegazione di diverse festività cattoliche. Il libro è menzionato per la prima volta durante il pontificato di Sisto V (1585-1590) (Sisto il QUINTO, nato nell’1, 5, 8, 5) per cadere poi nel dimenticatoio fino al ponteficio di Clement VIII (1592-1605). 2. LA STRUTTURA DI OCTAVARIUM 2.1 A differenza degli ultimi albums, che iniziano dove finisce quello precedente, questo inizia e finisce su se stesso, con la stessa nota: “the story ends where it began”.

2.2 La prima canzone è nella tonalità di FA La seconda in SOL La terza in LA La quarta in SI La quinta in DO La sesta in RE La settima in MI L’ottava in FA Otto note = un’ottava = Octavarium 2.3 Solo tra alcune canzoni ci sono delle mini-tracce, rumori, intro, ecc... Guarda caso questi mini-intro sono solo dove ci sono i “diesis” sulla scala. Invece tra si e do, ossia “I Walk Beside You” e “Panick Attack”, e tra mi e fa, “Sacrificed Sons” e “Octavarium”, non c’è nulla. Se guardate la lunghezza delle canzoni scritte nel retro e mettete il cd nel lettore, non tutte le lunghezze corrispondono. Appunto, sono gli intro. 2.4 Si può dire che quest’album sia una specie di concept, che senza farsi troppe domande racconta delle vicissitudini di noi piccoli “evil”, che in una immensa danza cerchiamo il significato delle nostre vite, a volte sbagliando, a volte avvicinandoci ad esso. Una danza infinita, da cui l’uomo non sarà mai capace di uscire, nella sua perpetua ricerca di un perchè. E’ per questo che Octavarium è un album “ciclico”. 2.5 Su questo album i Dream Theater ragionano sulla ciclicità degli eventi, sull’impossibilità, ormai, di creare qualcosa che sia al di fuori di ciò che è stato creato negli ultimi anni. Una specie di autocritica. Inoltre “The root of all evil” è direttamente collegata con “Octavarium”. L’ultima nota di piano si abbandona con un tappeto d’archi che è lo stesso dell’intro di Octavarium. Questi due pezzi (anche da soli) rappresentano la ciclicità. Perchè allora sono solo 7 le parti, e non 8? “Octavarium” I. Someone like him II. Medicate (Awakening) III. Full Circle IV. Intervals V. Razor’s edge


“The root of all evil” VI. Ready VII. Remove Proprio come le “note” (senza alterazioni). Fa Sol La Si Do Re Mi -> (Fa) e si ricomincia. 3. IL BOOKLET DI OCTAVARIUM 3.1 All’interno del booklet, nella foto dove ci sono le tessere del domino, compaiono 3 corvi. I corvi sono gli uccelli che portano le anime dei morti, di coloro che non ci sono più. E chi è che non c’è più, nei Dream Theater? Kevin Moore, Charlie Dominici, Derek Sherinian. Tre persone. Inoltre il retro della confezione raffigura esattamente un’ottava di pianoforte, con i tasti neri (guarda a caso 5) raffiguranti la band. Sempre sul retrocopertina Portnoy sta sul Do diesis. Do diesis = C# (pronuncia See Sharp). See sharp = “vedere chiaro”. Portnoy è l’unico con gli occhiali scuri. 3.2 Aprite il booklet, guardatelo aperto per esteso. Le 8 palle sono gli otto tasti bianchi (partendo da fa), gli uccelli sono 5 e sono presenti solo dove ci sarebbero tasti neri, i diesis. Questo rapporto 8:5, presente in tutto il disco, è la cosiddetta Sezione Aurea: “La sezione aurea fu studiata dai Pitagorici, i quali scoprirono che il lato del decagono regolare inscritto in una circonferenza di raggio r, è la sezione aurea del raggio. Costruirono anche il pentagono regolare intrecciato o stellato, o stella a 5 punte che i Pitagorici chiamarono pentagramma e lo considerarono simbolo dell’armonia e lo assunsero come loro segno di ricoscimento, ottenuto dal decagono regolare, congiungendo un vertice si e uno no. A questa figura è stata attribuita per millenni un’importanza misteriosa, probabilmente per la sua proprietà di generare la sezione aurea, da cui è nata.” “Il matematico pisano Leonardo Fibonacci fu ricordato soprattutto per via della sua sequenza divenuta ormai celeberrima. L’uso della sequenza di Fibonacci risale all’anno 1202. Essa si compone di una serie di numeri (0,1,1,2,3,5,8,13,21.). Tra i numeri di questa successione esiste una relazione per cui ogni

termine successivo è uguale alla somma dei due immediatamente precedenti. Più importante dal nostro punto di vista è il fatto che il rapporto tra due termini successivi si avvicini molto rapidamente a 0,61. 1:2=0,500 2:3=0,667 3:5=0,600 5:8=0,625

8:13=0,615 13:21=0,619 21:34=0,618 34:55=0,618

Sappiamo infatti che 0,618 è il rapporto della sezione aurea.” Ok, ora provate a sommare la lunghezza di tutte le canzoni prima di “Octavarium”, in secondi, e a metterla in proporzione con quell’ultima, e scoprite che numero ottenete. 3.3 Se in quell’aggeggio a otto palle alzate le due estreme (come nel disegno) e le fate ricadere insieme, come sembra, in assenza di attrito le due palle ripartono esattamente verso l’alto, ecco perché non ci sono indicatori di movimento, le palle potrebbero

star scendendo o salendo, “the story ends where it began”. 3.4 Pare che nella chiesa di Rennes-Le-Chateau, in Francia, ci sia un collegamento con pagina 8 del booklet di Octavarium (ed è ovvio che fosse a pagina 8). Ciò conferma le eccezionali doti di preveggente dell’abate Sauniere che oltre 2 secoli fa aveva già previsto che dei musicisti stranieri avrebbero inserito dei codici cifrati per decodificare il mistero dell’Abbazia stessa. 3.5 La donna in copertina rappresenta un barlume di speranza. L’uomo può

fare qualcosa contro il destino ineluttabile. Non può fermare la sfera, ma può evitarla. Infatti nelle nostre vite, le nostre decisioni saranno sempre influenzate dalla casualità degli eventi, dalla nostra relativa piccolezza. Tuttavia abbiamo le capacità per adattarci, per ottenere comunque qualcosa. Non potremo mai raggiungere l’apice, ma una via di mezzo sì. Ne abbiamo la dimostrazione ogni giorno. 3.6 Il ciclo (Full Circle) della vita (la donna in copertina) e delle esperienze dell’ Anima sulla terra, è vissuto nell’unico modo che i Dream Theater conoscono: volando e sognando verso nuovi orizzonti (da qui gli uccelli in copertina) che migrano in terre lontane e poi ritornano. 3.7 In copertina è singolare che le due sfere esterne siano in movimento. Quell’aggeggio infatti, funziona in modo che la “prima” da il colpo e l’ultima un contraccolpo. Invece qui sono tutte e due in movimento. In teoria, escludendo le vibrazioni delle corde, le due palle in movimento, quando si scontrano con quelle ferme nello stesso momento con forza di uguale intensità, dovrebbero fermarsi per sovrapposizione degli effetti. Quindi il ciclo si ferma! Questo è in contrapposizione con l’ipotetico significato dell’album, ovvero quello di un ciclo continuo. Il fatto delle palle estreme che sono contemporaneamente in movimento potrebbero simboleggiare la fine del ciclo e quindi la morte. Ma allora siamo sicuri che il personaggio in coma da 30 anni nell’ultima canzone parli ancora da vivo? 3.8 I 5 uccelli sono “intrappolati” nelle 8 sfere. Il primo tassello del domino ha 5 pallini, mentre il secondo 8. La stella a 5 vertici ma è intrappolata nell’ottagono ecc. Il messaggio musicale trasmesso potrebbe essere questo: il numero 5 sono i Dream Theater intrappolati nella loro


passione più grande, ovvero la musica o meglio, l’ottava musicale. Tutto quello che loro hanno composto in questi anni, per quanti miliardi di note possano essere, sono sempre frutto di una combinazione delle famose 8 note racchiuse nell’ottava. 4. OCTAVARIUM E LA STORIA 4.1 La song “Octavarium” (traccia numero 8) è divisa in 5 parti. La scala completa sarebbe, fa sol la si do re mi fa, che corrisponde alla scala Lidia. Cos’era la Lidia? “La Lidia era un’antica regione dell’Asia Minore occidentale. Situata tra la Frigia, la Caria e la Misia. La capitale della regione era Sardi, altre città importanti Colofone e Clazomene. Secondo la tradizione storiografica greca, riportata da Erodoto di Alicarnasso nelle sue “Storie”, la Lidia è la patria di provenienza degli Etruschi. Da qui infatti una parte dei Lidi emigrarono in seguito ad una terribile carestia in cerca di una nuova terra ed approdarono, guidati dal principe Tirreno, sulle coste occidentali dell’Italia, dando vita ad una nuova civiltà cui i Greci si riferirono col nome di Tirreni (da cui anche il nome del mare che essi dominarono)”. La scala Lidia è anche detta Modo Lidio, ma Lidio può essere visto come il diminutivo di Illidio. “Illidio fu il quarto vescovo di Clermont. Nel 370 l’usurpatore dell’Impero, Massimo, lo chiamò a corte affinché gli liberasse la figlia malata o, come si credeva, indemoniata. Il santo la guarì e, come ricompensa, ottenne dall’Imperatore che nell’Alvernia la tassa sul vino e sul grano, che si pagava in natura, si pagasse in contanti. Morì probabilmente nel 384, poiché al concilio di

Clermont dell’anno seguente prese parte il suo successore, Nepoziano. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria ad Sanctos, detta in seguito basilica Sancti Illidii. Secondo la testimonianza di S. Gregorio di Tours, sulla sua tomba si verificarono molti miracoli, come egli stesso sperimentò, per cui volle dedicare a Illidio un oratorio nella sua città. I Normanni nell’865 bruciarono la Basilica del Santo che però fu riedificata nel sec. X dai Benedettini. Nel 1311 ci fu una traslazione delle reliquie (ed anche delle ossa della figlia di Massimo, sepolta presso il suo benefattore) ad opera del vescovo Auberto. Durante la rivoluzione del 1789 la Basilica fu demolita. Nella diocesi di Clermont, Illidio è festeggiato il 5 giugno, mentre il Martirologio Romano lo ricorda il 7 luglio.” Bene, ora prendete tutti i testi di Octavarium (non sappiamo se la canzone o l’inero disco, scopritelo voi), una volta sommate 8 ad ogni lettera e un’altra moltiplicatele per 5. Quello che otterrete saranno due brevi trattati in “kobaiano” (la lingua inventata dai Magma) che parlano dell’invasione della Lidia da parte di Alessandro Magno e della vita di San Illidio. 4.2 Come fatto notare in precedenza, ai 5 tasti neri del pianoforte corrispondono 5 Uccelli: Nero->Black Uccello-> Bird Blackbird è il nome comune dell’SR-71 (7+1=8), l’aereo che una decina di anni fa l’esercito americano utilizzava per missioni di ricognizione. L’SR-71 fu il sostituto dell’A-12, mentre l’A-12 a sua volta fu il sostituto di quale altro aereo? Dell’U-2. Il primo volo ufficiale del Blackbird è avvenuto nel 1967; in che anno sono nati i tre membri ufficiali dei DT? Nel ‘67. Inoltre il

progetto SR-71 si concluse ufficialmente nel 1989. In che anno è uscito il primo disco dei DT? Proprio nel 1989! 5. FULL CIRCLE 5.1 Nella terza parte della canzone Octavarium, chiamata “Full Circe”, sono molte le citazioni che il buon Mike ha nascosto tra le righe. Molte sono state spiegate dai megaschermi durante le ultime date italiane. Ecco per voi un piccolo riassunto: Sailing on the = “Sailing on the seas of Cheese” (album dei Primus del 1991). Sailing on the Seven Seas = Canzone degli OMD (“Orchestral Manoeuvers in the Dark”) tratta dall’album “Sugar Tax” del 1991. Seven Seize = Seven Seas of Rhye (Canzone dei Queen dall’album ononimo del 1973). Seize the Day = Citazione da “A Change of Seasons” e da “L’attimo fuggente”. Day Tripper = Canzone dei Beatles (dall’album “Yesterday and Today” del 1966). Diem = Carpe Diem. Jack the Ripper = Canzone di Morrissey (dall’album “Beethoven was Deaf” del 1993). The Ripper = Canzone dei Judas Priest (dall’album “Sad Wings of Destiny” del 1976). Ripper Owens = Cantante degli Iced Earth, ed ex Judas Priest. Owen Wilson = Attore Americano (Insieme a Ben Stiller in “Starsky e Hutch” e nel cult “Zoolander”). Wilson Phillips = Trio vocale femminile fondato dalla moglie di Brian Wilson dei Beach Boys. Supper’s Ready = Canzone dei Genesis (dall’album Supper’s Ready del 1972). Lucy in the Sky with Diamonds = Canzone dei Beatles (dall’album “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” del 1967). Diamond Dave = Album di David Lee Roth del 2003. Dave’s not Here = Pezzo teatrale di Cheech & Chong. Here I Come to Save the Day = Famosa frase presa dal cartone animato “Mighty Mouse”. Day For Night = Album degli Spock’s Beard del 1999. Nightmare Cinema = Nome che


si davano I Dream Theter nel 1995 quando eseguivano “Perfect Strangers” dei Deep Purple scambiandosi gli strumenti. Alla chitarra Nicky Lemon! Cinema Show = Canzone dei Genesis (dall’album “Selling England by the Pound” del 1973). Show Me the Way = Canzone degli Styx (dall’album “Age of the Century” del 1990). Get Back = Canzone dei Beatles (Album singolo del 1970). Back Home Again = Album di John Denver del 1974. Flying off the Handle = Frase idiomatica americana che vuol dire pressappoco “Andare fuori dai gangheri”. Handle with Care = Canzone dei Travelling Wilburys (dall’album ononimo del 1988). Sono stati membri del gruppo anche Gorge Harrison, Tom Petty e Bob Dylan. Careful with that Axe Eugene = Canzone dei Pink Floyd (dall’album “Ummagamma” del 1969). Gene, Gene the Dance Machine = Personaggio del Gong Show (show televisivo da cui è stata tratta anche la nostra Corrida). Machine Messiah = Canzone degli Yes (dall’album “Drama” del 1980). Light my Fire = Canzone dei Doors (dall’album “The Doors” del 1967). Gabba Gabba Hey Hey = Celeberrimo inno dei Ramones. Hey Hey, My My = Canzone di Neil Young (dall’album “Rust Never Sleeps” del 1979). Nel testo c’è la famosa frase: “it’s better to burn out than to fade away”, che Cobain citò nella sua lettera d’addio. My Generation = Canzone degli Who (dall’album “The Who sings My Generation” del 1966). Home Again = Citazione dalle canzoni “Breathe Reprise” e “Time” di Dark Side of the Moon. Home Again = Canzone popolare Irlandese, ripresa anche da Ritchie Blackmore. 5.2 Tra le tante citazioni di “Full Circle”, merita attenzione una in particolare: “Supper’s Ready” There’s an angel standing in the sun, and he’s crying with a loud voice,“This is the supper of the mighty one”. Lord of Lords, King of Kings, Has returned to lead his children home,To take them to the New Jerusalem. (Genesis, Supper’s Ready, 1972) Questo brano è citato in tutti gli scritti sulla sezione aurea come

esempio di sezione aurea in musica, le parti della canzone e la lunghezza dei versi seguono la sequenza di Fibonacci. 5.3 Full Circle è stata composta con la tecnica cosiddetta “Stream of Consciousness”. In più il concept dei circoli che ritornano, la danza infinta, fa tornare in mente un opera di James Joice (il più grande maestro di questa tecnica) che si chiamava Finnegan’s Wake, che iniziava con la fine del periodo con cui finiva l’ultima pagina. 6. OCTAVARIUM E LA STORIA DEI DREAM THEATER 6.1 In una recente intervista a Portnoy e Petrucci, fu chiesto perché mettere un lento alla seconda traccia, scelta un po’ inusuale. Petrucci ha risposto “Ce lo ha richiesto il concept segreto che c’è dentro il disco, quella canzone doveva essere messa lì, come tutte le altre”. Questo perché la prima song si lega alla prima canzone del primo disco (“A Fortune In Lies” ), e così via... The root of all evil -> A fortune in lies The answer lies within -> Another day

ultimo album. Più semplicemente aspettavano con ansia di chiudere il contratto con Atlantic, cosa che si realizza con questo ottavo disco. Dal prossimo, i Dream Theater saranno svincolati, inizia un nuovo ciclo. C’erano già, da molto tempo, delle indicazioni. Sulla copertina di “Six Degrees Of Inner Turbulence” tra i vari graffiti, c’è un cerchio diviso in 8 settori, di cui 6 sono riempiti. Ne mancano solo due, ovvero “Train of Thought” (settimo album) e “Octavarium” (l’ottavo). Per quanto riguarda le canzoni, anche qui abbondano i riferimenti. Ogni brano di “Octavarium” ha una parte, seppur minuscola, che è identica alla relativa canzone del passato. 6.2 Sempre nel booklet c’è un’immagine di cinque pesciolini (i componenti del gruppo) che fuggono da una piovra (Octopus, otto tentacoli, otto dischi). Ovviamente la scena è ambientata in acqua... mare... Oceano... Atlantic, la loro etichetta. E come si chiama la divisiona dell’Atlantic per la quale lavoravano i Dream Theater? ATCO, che letta al contrario fa OCTA. In quell’immagine inoltre è presente un cartello di Stop con all’interno il simbolo dei Majesty (il primo nome dei Dream Theater), il simbolo sostituisce la parola STOP: Six degrees of inner turbulence Train of thought Octavarium P...

These walls -> Innocence Faded I walk beside you -> Hollow Years Panic Attack -> Fatal Tragedy Never Enough -> SDOIT Sacrificed Sons -> In the name of God Octavarium -> Octavarium Questo è un album autocelebrativo di tutta la loro carriera. Ciò potrebbe far pensare addirittura che sia il loro

A quale pittore si rifacevano i disegni sul’Ibanez di Petrucci? Chi è quel pittore che disse: “I bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano”? Chi è quel pittore che ha disegnato quel quadro che rivela la posizione del Santo Graal? Rispondete a una qualsiasi di queste domande e avrete il titolo del prossimo disco. 6.3 La canzone Octavarium è una parafrasi della carriera dei Dream Theater. La loro storia è rappresentata dalle vicissitudini


del protagonista della canzone All’inizio volevano essere originali, non volevano essere come questo “qualcuno” citato nel titolo. Questo potrebbe essere l’intera categoria dei padri della musica progressive. Andando avanti però si sono accorti di essere dei “derivati”, ma non per questo si sono lamentati. Il secondo passo è stato quello di diventare “famosi” proprio come i loro “padri”. 6.4 Guardate la copertina di TOT, quanti uccelli ci sono? Bene sommateci quello del retro-copertina (quello vicino la scala per intenderci) In totale avremo 5 uccelli, guarda caso gli stessi di Octavarium. Il messaggio tra le righe sembra essere: “stiamo uscendo dal tunnel (TOT) con l’occhio della casa discografica incombente. Ora invece siamo liberi (con l’uscita di Octavarium) 7. OCTAVARIUM, LA CANZONE 7.1 Avete presente la trama del film “risvegli”, con Robin Williams e Robert De Niro? Una parte della storia sembra ispirata proprio a quel film. Nella prima strofa di Octavarium il protagonista dice che non sarebbe mai voluto diventare come qualcuno (il padre?), un qualcuno che vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, senza fare progetti futuri, una vita molto pragmatica insomma. Nella seconda strofa pare che il protagonista, dopo lungo tempo, sia diventato proprio come quel “qualcuno” che non sarebbe mai voluto essere, e sembra anche soddisfatto di ciò (“Content to live each day like it’s my last” - Soddisfatto di vivere ogni giorno come se fosse il mio ultimo). Tuttavia dice anche “Still i swear that i’m missing out this time” - Giuro ancora che sto perdendo il mio tempo. Nella terza strofa poi “But still ask myself could this be everything” - Ma mi

chiedo ancora se questo possa essere tutto. Insomma, nonostante il testo sia davvero uno “stream of consciusness”, sembra chiaro che il protagonista sia deluso da come è diventato. Nella seconda parte, “Medicate”, si risveglia dopo un lungo sonno. Evidentemente ha avuto un incidente ed è stato in coma per 30 anni (a catatonic sleep). Ecco la somiglianza con “risvegli”. Il medico in qualche modo è riuscito a fargli riacquisire coscienza, tuttavia questo beneficio è solo momentaneo, e lentamente comincia a regredire fino a tornare allo stato catatonico precedente. Le altre due parti a mio parere non sono altro che una riflessione,sempre molto onirica, che partendo da questa storia abbraccia una tematica più generale, quella dell’uomo e del suo destino (i Dream ne hanno già parlato in “Take The Time” e “Pull Me Under”). I tre versi finali sono emblematici sotto quest’aspetto: “Step after step we try controlling our fate,when we finally start living it has become too late” - Passo dopo passo cerchiamo di controllare il nostro destino,ma quando incominciamo a vivere è già troppo tardi. Le 7 precedenti canzoni di Octavarium narrano con semplicità disperazioni (The root of all evil, These walls ,Sacrificed Sons) e speranze (“The answer lies within”, “I walk beside you”) della vita, ed Octavarium non è altro che una riflessione su tutto ciò. Octavarium non è altro che una trappola (Trapped inside this octavarium), la trappola del destino umano e della sua ciclicità. 7.2 Nella quarta parte, “Intervals”. In cuffia sentirete Mike che scandisce le varie strofe, dalla prima all’ottava, così: [Root] Our deadly sins feel his mortal wrath, remove all obstacles from our path [Second] Asking questions Search for clues The answer’s been right in front of you

[Third] We try to break through Long to connect Fall on deaf ears with failed muted breath [Fourth] Loyalty, trust, faith and desire Carries love through each darkest fire [Fifth] Tortured insanity A smothering hell Try to escape but to no avail [Sixth] The calls of admirers Who claim they adore Drain all your lifeblood while begging for more [Seventh] Innocent victims for merciless crimes Fall prey to some madman’s for impulsive designs [Octave] Step after step We try controlling our fate When we finally start living it’s become to late Alla prima Mike dice Root (radice, inizio) e non First proprio per dare un indizio. Ogni mini strofa corrisponde ad una canzone del disco. In sottofondo viene fatta sentire pianissimo una parte di ogni rispettiva canzone, guarda caso una parte di ognuna di esse che è perfettamente in FA, come Octavarium! 7.3 The Root of All Evil: La canzone è riferita ai problemi con l’alcool di Mike Portnoy The Answer Lies Within: Il testo dice di vivere la vita senza farsi troppi problemi These Walls: Difficoltà di comunicazione (Tear down these walls for me, stop me from going under) I Walk Beside You: Questa è una dichiarazione di amore eterno Panic Attack: Il testo è incentrato sulla depressione e sugli attacchi di panico Never Enough: Mike Portnoy si sfoga contro i fan che vogliono sempre di più Sacrificed Sons: Canzone sul


terrorismo e l’11 settembre in particolare Octavarium: Un uomo, un musicista, non vuole diventare come qualcuno, un qualcuno che vive ogni giorno come fosse l’ultimo, senza progetti futuri. Questo musicista, infine, diventa proprio come quel qualcuno che non sarebbe mai dovuto essere, sembra soddisfatto (“Content to live each day like it’s my last”) ma si chiede se è davvero questo quello che voleva e se sta perdendo il suo tempo (Someone Like Him). Cade in coma per 30 anni, e un medico riesce a svegliarlo aumentando le dosi dei medicinali, ma lui ricade nel coma (Medicate). Full Circe è la parte più ambigua di tutto il testo, è uno Stream of Conciousness, quindi scritto senza grammatica né sintassi e si può interpretare come il ritorno allo stato comatoso del protagonista. Intervals racchiude in se tutto il significato del disco: [Root] è riferito a The Root of All Evil. Rimuovere i peccati dal nostro cammino. [Second] è riferito a The Answer Lies Within. Non pensare alle domande, vivi la vita. [Third] è riferito a These Walls. Difficoltà a comunicare, tentare di andare oltre le “mura”. [Fourth] è riferito a I Walk Beside You. L’amore. [Fifth] è riferito a Panic Attack. Depressione, difficoltà a uscire dai momenti difficili. [Sixth] è riferito a Never Enough. L’irriconoscenza, lo sfogo. [Seventh] è riferito a Sacrificed Sons. Il sacrificio di persone innocenti in nome di qualcosa. [Octave] è riferito alle prime parti di Octavarium. Passo dopo passo cerchiamo di controllare il nostro destino, quando finalmente riusciamo a vivere è diventato troppo tardi. Razor’s Edge racchiude il significato di quanto detto finora: ci muoviamo in cerchi (il destino), in equilibrio sulla rama di un rasoio. Una sfera perfetta collima con il nostro fato, questa storia finisce dove è iniziata. Ed infatti Octavarium finisce esattamente

dove inizia, tutto ricomincia, tutto è ciclico, come una sfera perfetta. Il destino dell’uomo è sempre lo stesso. Come nel caso dell’umanità, la ciclicità consiste nel fatto che si nasce e si muore e si ricomincia sempre così per generazioni e generazioni, anche se i punti nel mezzo (cioè ogni singola vita) sono diversi ogni volta. Una sfera perfetta, che può essere associata all’infinito, una cosa astratta, perfetta nella sua teoria e quindi, irraggiungibile, che collide con il proprio destino. Essendo noi esseri umani, e quindi per definizione non-perfetti, siamo come “sovrastati” dalla perfezione che cerchiamo di raggiungere. Ci avviciniamo a lei passo dopo passo, ma comunque manca sempre qualcosa. Inoltre il mostro modus-operandi per avvicinarsi ad essa ci fa ottenere il risultato contrario (il fato che risulta imprevedibile, e quindi, lontano da qualsiasi canone di perfezione). L’ultima frase indica appunto, che come creazione e distruzione, tutto ricomincia e tutto finisce, come la sfera. Ma sembra esserci una via di fuga. Sul retro del booklet c’è una figura che schiva le sfere (ovvero il destino), non si capisce se è un uomo o una donna, ma riesce comunque a schivare il destino, a compiere alcune scelte. L’uomo non riesce a plasmare il proprio destino, ma può cambiarne alcuni punti, che sarebbero le scelte che ci sono proposte dalla vita. Scelte che portano sempre alla fine, e all’inizio. 8. CURIOSITA’ Questa sezione non serve proprio a nulla. Esiste soltanto per suddividere l’articolo in 8 parti e non 7. ;-). Per riempirlo vi riveliamo altre piccole curiosità su quest’album. 8.01 Il primo accordo di chitarra in “The Root of all evil” è lo stesso dell’intro usato durante il tour di When Dream and Day Unite nel 1989. Può essere anche ascoltato nel menù di When Dream and Day Reunite. 8.02 All’inizio di The answer lies within, le campa-

ne suonano 8 volte la medesima nota della campana di The glass Prison. 8.03 Il cuore all’inizio di These Walls batte a 58 bpm 8.04 L’orologio all’inizio di I walk beside you, richiama da vicino Scenes From a Memory. 8.05 Il riff finale di Panic Attack risuona 5 volte in ogni speaker. 8.06 Pare che il motivo dal minuto 7:02 a 7:32 di Panic Attack, sia uguale a “Teddy Bear’s Picnic”, una filastrocca per bambini.

8.07 Il piano al minuto 6:33 di Octavarium è identico al tema di Bohemien Rhapsody dei Queen. 8.08 Al minuto 9:00 sotto il groove di basso, l’arpeggio di chitarra è uguale al tema vocale di Anna Lee 8.09 Al minuto 17:47 viene suonato Jingle Bells 8.10 Al minuto 14:03 potete ascoltare in sottofondo le parole: “This is where we came in”. Questa frase è un bellissimo omaggio a The Wall dei Pink Floyd. Nel capolavoro targato Waters, negli ultimi istanti del disco potete ascoltare le parole “So this is where...”, mentre l’album inizia con la frase “...we came in.” Anche The Wall, come Octavarium ha una struttura circolare. Finisce dove inizia 8.11 Se moltiplicate tutte le lettere di questo articolo per 8 e le suddividete per 5 otterrete…un numero che non vuol dire nulla. Marco “Gonzo X-Files” Termine


When Dream and Day Reunite DVD (NTSC, Region Free) & CD (Live Series) Ytsejam DVD001 Ytsejam 009 Il Concerto E’ il 6 marzo 2004: da pochissimi giorni è iniziata sulla West Coast la Leg americana del Train of Thought Tour, che quel giorno fa tappa a Los Angeles. Nei giorni precedenti, sulla rete si era parlato dell’imminente anniversario, ma dalla band non era trapelato praticamente nulla, se non la volontà di festeggiare l’avvenimento in qualche modo. C’era perciò un reale clima di attesa, anche perché, come si sa, ad un compleanno che si rispetti non devono mancare le sorprese… Il concerto parte con la “consueta” scaletta e il primo set termina dopo quasi due ore: la prestazione della band è notevole ma il bello deve ancora venire. Già durante l’intervallo, i più attenti notano i cameraman prendere posto all’interno del Pantages Theater, mentre la regia predispone gli ultimi dettagli. Le luci si spengono nuovamente ed ecco riapparire Mike dentro al fascio luminoso di uno spot: è da questo punto in avanti che il DVD in questione documenta la serata. Questo video è fino ad

ora il gioiello più prezioso dell’intera Official Bootlegs Series e si può considerare uno dei migliori momenti dell’intera videografia della band, nonostante sia un prodotto commercialmente di seconda linea, destinato ad un di pubblico di nicchia. Dopo l’emozionata introduzione (che ho tradotto all’inizio di questo articolo) inizia la festa. E’ovviamente il maestoso intro di A Fortune in Lies che apre le danze: anche se siamo di fronte ad un esperienza principalmente visuale, ci salta subito “alle orecchie” la qualità audio, così lontana dalle ruvidezze analogiche del disco a cui eravamo abituati. Il mix audio è gradevole, pulito e ben bilanciato: possiamo finalmente apprezzare al meglio e quasi riscoprire un album che, pur tra qualche ingenuità e prolissità tipiche degli esordi, conserva ancora alcune autentiche gemme. Tra l’altro viene finalmente resa “giustizia sonora” al grande lavoro di Myung, che per l’occasione ci propone una versione “ripulita” del suo celebre sound potente e ricco di armonici degli esordi. Il suono di Portnoy è ovviamente anni luce più definito, brillante e ricco di quello dell’89, ma i suoi arrangiamenti rimangono molto fedeli all’originale. Lo stesso vale per Petrucci, che però, come vedremo, proporrà interessanti variazioni rispetto alle partiture originali. Labrie (molto buona l’interpretazione di A Fortune in Lies) viene fortunatamente valorizzato dal mix, mentre di Rudess ci accorgiamo davvero solo all’inizio del pezzo successivo, Status Seeker (che non veniva eseguito da 11 anni!!), introdotto proprio da un bel riff di tastiera. Se dal punto di vista esecutivo non c’era alcun dubbio (anche se eseguiva per la prima volta dal vivo ben 5 brani su 10), Rudess supera anche il test di credibilità nei suoni impiegati. Sempre su Status Seeker possiamo apprezzare in modo particolare le potenti pulsazioni del 6 corde di Myung:

anche meglio del Budokan! Da notare il finale del brano, che differisce dalla album version: è solo la prima di numerose variazioni che arricchiranno la serata. La concentrazione della band è altissima e non lascia spazio ad errori neanche su un pezzo difficile come Ytse Jam (assente dalle scalette della band da 10 anni, anche se una piccola parte era stato riproposta all’interno dell’Instrumedley). Il brano però scorre via in maniera abbastanza anonima : forse la ricerca della “perfezione” formale prevale sull’istinto. Rudess “personalizza” le note e il sound del suo assolo, mentre Petrucci e Myung sono senz’altro meno “estremi” e sicuramente più puliti dei rispettivi “originali”. Peccato che il bel solo di Myung non venga inquadrato! Un inedito arpeggio di tastiere accompagna le note semi acustiche della chitarra di John: ecco iniziare l’epica The Killing Hand, forse il miglior brano del disco, sicuramente uno dei più amati dai fan. Era da tempo immemorabile che l’intro originale del brano non veniva eseguito dal vivo. Anche se la canzone era stata ampiamente eseguita fino al 2002, ci eravamo quasi dimenticati che questo era il suo vero inizio, abituati com’eravamo (già dai tempi di I&W) ad ascoltarlo introdotto dalla strumentale “Another Hand”, composta proprio per unire Another Day a The Killing Hand. Nonostante questo recupero dalla versione originale, The Killing Hand risulta il brano più differente rispetto alla album. Innanzitutto Rudess inserisce anche questa volta il breve stacchetto “a la Carmina Burana”; oltre a questo, la sezione finale del brano viene anticipata dalla citazione del “Carol of the Bells” (citazione ormai così consolidata da essere riproposta anche in questa particolare occasione) e per finire Petrucci estende il suo assolo prima delle ultime strofe. Tutto ciò causa una “sforatura” di ben 4 minuti rispetto all’originale, mentre tutti gli altri brani rispettano più o meno le durate del disco.


Senza sbavature l’ottima interpretazione di James, che però avrebbe potuto osare di più in certi break e, sul finale, non arriva certo a rinverdire i fasti del Live at the Marquee: il basso di Myung prova a farci dimenticare il suo avariato acuto finale.

sono rimasto un tantino deluso nell’ascoltare solo un brevissimo accenno di tuono (per altro seguito da quasi 20 secondi di lights off e silenzio) e niente più…

Siamo alla metà del disco ed è tempo di qualche considerazione circa la qualità delle immagini, il montaggio e le riprese. La definizione dell’immagine non presenta particolari problemi e le luci non disturbano quasi mai le riprese: un mix di fasci caldi e atmosfere di fondo più dark e fredde, tendono a contrastare e far emergere ottimamente i contorni delle figure. Petrucci e Portnoy hanno più spazio nel montaggio, ma in definitiva ci perdiamo poco dei momenti topici degli altri tre (in particolare qualche assolo di Myung, come in The Killing Hand). Le riprese d’insieme sono effettuate “lato Petrucci” e in generale non possiamo lamentarci della fotografia, anche se raramente la regia va sul dettaglio. Quello che manca veramente è una inquadratura frontale ravvicinata sulle mani di Petrucci (quella che abbiamo è troppo distante e la maggior parte degli assoli vengono purtroppo ripresi “di sbieco”). Inoltre sono poco usate le immagini della camera applicata sulla Kurzweil di Jordan (impiegate soltanto durante il bis) mentre dal “retro” della batteria di Mike (intorno alla quale c’è un po’ troppo “traffico” di personaggi..) abbiamo solo brevissime e poco stabili inquadrature.

A differenza degli altri, questo brano era già stato riproposto 7 volte durante il tour di Train of Thought, dopo un oblio che durava dal tour di Awake. Se però consideriamo che Derek Sherinian non imparò mai la sua partitura (preferendo andare a farsi un drink nel backstage quando il brano veniva eseguito!), per una versione completa di tastiere di questo brano bisogna risalire addirittura al tour di WDAU, cioè al 1989! Il brano è eseguito molto bene, con l’esatta miscela di perizia tecnica e feeling. Il satrianesco e fumoso assolo di Petrucci (scandito dagli armonici di Myung) si svolge purtroppo sotto delle luci inappropriate (cosa sottolineata anche da Mike nel commento) e introduce uno dei brani più complessi del disco d’esordio. Labrie si muove agilmente tra le originali linee melodiche vocali e finalmente osa anche di più; Myung ricama abbellimenti e il suo suono corposo emerge alla grande. Il solo di Petrucci si muove fluido tra gli incastri molto difficili del brano e Portnoy è assolutamente perfetto. Infine Rudess si dimostra più diligente dello “scapestrato” Derek e riesce anche a personalizzare in parte il brano.

Labrie è seguito abbastanza bene dalle camere, mentre sono rari gli zoom su Myung (d’altronde, dato che questa volta il mix audio lo premia, possiamo anche accontentarci!). Indirettamente possiamo anche usufruire delle immagini dei tre maxischermi presenti sul palco, mentre ci sorprendiamo per l’ennesima volta nel vedere il pubblico americano in piedi (ma con comode poltrone da teatro disponibili), a pochissima distanza dal palco senza alcuna barriera o transenna… Un roadie stringe un piatto a Mike e Light Fuse and Get Away può anche iniziare…Dopo ben 11 anni, inaspettatamente, questo brano risulta uno dei più trascinanti e meglio eseguiti della serata. Labrie si inerpica sulle metricamente impossibili strofe, mentre Portnoy appare più motivato e “pesta” più del solito, Rudess miscela suoni azzeccatissimi e Petrucci finalmente alza lo

sguardo alla platea e in scioltezza trascina il tutto verso la parte strumentale. Dopo il break di Myung pressoché identico al disco, Rudess imposta la sua parte in maniera molto più solistica rispetto alle “atmosfere”originali di Moore e dilata questa scelta profondendo scale veloci, sia pulite che distorte. Petrucci accompagna la tastiera ma non la rincorre per poi superarla come sul disco (peccato!) e la sua sezione inizia più come in un passaggio di testimone da Jordan, che con un sorpasso da Formula 1. Il suo assolo, molto bello e ricco di feeling, è più aderente al disco rispetto a quanto fatto da Rudess, ma più che la partitura conserva solo il sapore di quello originale. A voler cercare il pelo nell’uovo, si sono purtroppo “perse per strada” due stupende coppie di triplette di doppia cassa e basso proprio all’inizio del solo di chitarra. Ma siamo presto ripagati: Labrie canta le ultime strofe e il magnifico outro viene allungato con la tastiera che “doppia” la chitarra in uno splendido unisono. La band ha veramente saputo interpretare un brano difficile e non orecchiabile, arricchendolo e sfruttando le sue potenzialità inaspettate grazie ad un mix audio finalmente degno di questo nome. E’ la volta di Afterlife, ennesimo battesimo live per Jordan. Uno dei migliori pezzi di WDADU, anch’esso mai eseguito dalla band negli ultimi 11 anni, ma con una potenziale live molto forte. Certo, a confronto con le recenti performance di questo brano che la band (specie James ) ci ha regalato, a questa versione sembra mancare un po’ di intensità, ma il brano è comunque ben eseguito e fila liscio sino alla fine, con uno stupendo unisono chitarra/tastiera. Alzi la mano chi si ricordava i tuoni e la pioggia all’inizio di The Ones Who Help To Set The Sun…bhe io me li ricordavo e

Una buona Only a Matter of Time (uno dei brani più rari, con un finale molto tirato,) “chiude” il disco ma non il concerto…. Infatti nel finale ci attendono delle sorprese molto ghiotte. To Live Forever (nella versione originale senza la strofa finale aggiunta nel’94) è scelta come primo bis: un brano dalle dinamiche gradevoli, riconducibile allo stesso periodo di WDADU, già proposto in tre occasioni durante il Tour di TOT ma che non era eseguito da 6 anni. Subito dopo la prima (deliziosa) strofa, Labrie sorprende tutti e lascia il palco introducendo Charlie Dominici, primo cantante della band e voce di WDADU! L’emozione per Charlie è forte e si sente..15 anni sono passati dall’ultimo concerto insieme: i riccioloni neri non ci sono più ma il timbro è sempre quello. Charlie scorazza sul palco e gioca con gli ex compagni, amici da sempre. Larghi sorrisi e il brano


si conclude in maniera soddisfacente.. Pochi istanti e l’inconfondibile intro di Metropolis Pt. 1 invade il Pantages Theater: anche questo mitico brano festeggia i suoi primi 15 anni! Mike incita il pubblico a tenere il tempo e il brano parte mentre le luci si accendono svelando un nuovo ospite a sorpresa: Derek Sherinian! Ai ben informati a questo punto torna tutto: sia Derek che Charlie risiedono infatti nel sud della California (rispettivamente a Hollywood e San Diego) e la scelta di suonare a Los Angeles il 6 marzo appare adesso molto chiara. Certo qualcuno in platea si sarà chiesto perché non ci fosse Kevin Moore sul palco, domanda lecita. Già dai tempi del concerto al Roseland del 2000, quando declinò l’invito di Mike a partecipare ad una versione a 2 tastiere di Learning to Live (che sarebbe dovuta finire sul dvd di SFAM), Kevin fece intendere che questo tipo di eventi non facevano per lui: coerentemente Kevin ha rifiutato anche questa volta. Il pubblico è in delirio.. sul palco c’è aria di rimpatriata: Petrucci e Sherinian si abbracciano mentre Dominici e Labrie si alternano le strofe di Metropolis. Anche se il divario tra i due è incolmabile, dopo qualche iniziale difficoltà, Charlie prende più coraggio e riesce ad interpretare in maniera originale le sue parti e ad eseguire degli ottimi controcanti. Ma quando Labrie tira fuori la voce non ce n’è per nessuno! La sezione centrale del brano viene quindi trasformata in una sorta di “sfida” a tre tra Rudess, Sherinian e Petrucci. Derek fa sfoggio del suo inconfondibile sound e il risultato è un incredibile climax strumentale che rappresenta l’apice della celebrazione. Così Labrie e Dominici ritornano sul palco e chiudono in bellezza (Charlie un po’ meno…) le ultime meravigliose strofe. Baci, abbracci e ringraziamenti e lo show si chiude con Mike rivolto al pubblico: “Dream Theater history tonight and you were here..”. Nei titoli di coda possiamo ascoltare una versione per solo piano di Ytse Jam, realizzata da Peter “Mr. Bungle” Rajkal a metà degli anni ’90 e molto popolare tra gli iscritti alla Ytsejam Mailing List. Notiamo anche il nome di Scott Sill, autore della regia e del montaggio (ovviamente sotto la supervisione di Mike). L’audio è stato registrato da Rich Mouser (che ha già lavorato con gli Spock’s Beard e Neal Morse) e mixato da Bryan Russel agli Hit Factory Studios (gli stessi di Octavarium).

Commento Alla fine del concerto e della parte principale del DVD, tiriamo le somme. Senz’altro abbiamo trovato moltissimi punti positivi lungo tutta la performance e la grande qualità audio riesce nello scopo di farci apprezzare al meglio il primo lavoro della band. Come ho detto all’inizio, questa produzione rimane una delle cose migliori della videografia dreamtheateriana, anche per tutto l’insieme di extra che andremo ad esaminare più avanti. Uno sforzo musicale e produttivo che sicuramente non è stato colto da chi ha sostenuto che la band “ha iniziato a raschiare il fondo del barile riproponendo materiale vecchio di 15 anni”. Chi conosce realmente la storia dei Dream Theater sa che questo non è stata solo una semplice celebrazione, ma il compimento di qualcosa che era nell’aria da anni: dare al primo disco della band una nuova occasione di essere apprezzato senza l’handicap di una produzione approssimativa. Inoltre chi conosce veramente il progetto Official Bootlegs, sa che si rivolge ad una nicchia, in un ambito commerciale di seconda linea. E tutto sommato non mi dispiacerebbe che la band tornasse a “raschiare il fondo del barile” se ciò volesse significare il ritorno ad un certo sound che l’ha resa famosa… La percezione di chi ha avuto la fortuna di essere a Los Angeles quel giorno, deve essere stata assolutamente straordinaria sotto ogni aspetto. Ma noi abbiamo davanti un prodotto frutto di un lavoro di editing audio e video, che possiamo vedere e rivedere, con più lucidità, a freddo e con la possibilità di mettere a fuoco il dettaglio. Perciò, analizzando a fondo il filmato, sembra che fino a The Killing Hand venga privilegiato l’aspetto esecutivo, tendendo a “raffreddare” quello emotivo e tutta la dinamica live che in fondo dovrebbe fare la differenza. Ne risulta una performance sicuramente perfetta e anche arricchita dal punto di vista esecutivo, ma questo a scapito dell’intensità dinamica ed è così che i primi brani appaiono abbastanza “statici”. Senza portare agli estremi questa mia considerazione, credo che nella prima parte ci troviamo davanti ad una prestazione meno trascinante rispetto agli standard sicuramente più pirotecnici della band. In particolare Petrucci non riesce a trainare la band come dovrebbe. Questa frase può forse far sorridere qualcuno: infatti la sua esecuzione è tecnicamente quasi perfetta. Ma

quel suo continuo guardarsi le mani è segno di una profonda concentrazione che non riesce però a liberarsi e sciogliersi in feeling e dinamica live. Proviamo a confrontare l’esecuzione dei primi 3 pezzi con il bis: qui, finalmente, non solo Petrucci ma tutta la band si ”scioglie” del tutto e da il meglio di se… Una considerazione va fatta anche su Labrie: senza voler tornare a sottolineare lo stato di grazia crescente in cui il canadese è entrato ormai dall’estate del 2003 (e dal quale spero non esca mai più!), vorrei segnalare come la performance di Los Angeles sia, a mio parere, abbastanza “bugiarda”, ovvero, pur essendo priva di errori gravi e sicuramente di buon livello, non rispecchia appieno il vero potenziale del Labrie di quel periodo (adesso ulteriormente aumentato, basti citare le recenti versioni di Afterlife e A Fortune in Lies, con variazioni melodiche sorprendenti e affondi vocali ammirevoli). A Portland, solo pochi giorni prima, James era stato protagonista di una serata straordinaria, sopra le righe, e il prosieguo del tour fu tutto un susseguirsi di grandi exploit vocali che trascinarono tutta la band. Ma a Los Angeles il “vero” Labrie esce fuori solo a sprazzi, forse temendo troppo di sbagliare. E infatti nel finale, quando l’atmosfera si fa più rilassata, anche James tira fuori il meglio di se. Resta in ogni caso il fatto che si stavano eseguendo pezzi suonati di rado o comunque non eseguiti dai tempi di Images & Words e perciò già l’assenza di errori esecutivi sarebbe motivo di ammirazione. Ma si sa che per il fan ”everything is never enough” ;) Il DVD Una volta avviato il DVD nel nostro lettore veniamo accolti dal menu principale che è per metà statico e per metà animato con immagini prese dal concerto. In sottofondo possiamo ascoltare “Distant Echoes” una sorta di collage di varie parti di canzoni di WDADU mixate insieme a dei sample parlati. Questa intro venne impiegata nelle poche date del When Dream and Tour Unite e possiamo ascoltarla anche su qualche bootleg dell’epoca. Il menu principale ci offre tre possibilità di scelta: possiamo vedere il concerto dall’inizio (“Play”), scegliere i brani (“Song Selection”) oppure passare direttamente al “Bonus Material”. Scegliendo la seconda opzione arriviamo in un sottomenu statico (con un bel loop di The Killing Hand live in sottofondo) dal qua-


le possiamo scegliere tra tutti i 10 brani presenti. La sorpresa però arriva dopo aver cliccato sui titoli: infatti, per ciascun brano, è possibile scegliere tra la versione live del concerto del 2004 oppure la sezione del documentario “I Can Remember When” (di cui parlerò dopo) dedicata al brano scelto. Ne risulta che, per ogni brano, è possibile vedere la versione live 2004 oppure quella del 1989, grazie ai numerosi estratti video dell’epoca, usciti direttamente dai “Portnoy Archives”. Nel sottomenu “Song Selection” è nascosta l’unica “easter egg” del DVD, che si attiva cliccando sulla cassa destra della batteria di Mike: si tratta di un breve video in cui, evidentemente dopo numerose birre, Charlie Dominici sfodera le sue doti di cabarettista…(occhio alla reazione di Kevin!). Passiamo ora ad analizzare il sottomenu del “Bonus Material”. “I Can Remember When” “I Can Remember When” (frase non a caso tratta da A Fortune in Lies) è un documentario di ben 70 minuti di filmati inediti direttamente dagli archivi di Mike. Si tratta sia di “auto-interviste” della band in “studio” (leggasi nella cantina di Mike...) sia di riprese dal vivo (più o meno amatoriali) risalenti appunto al periodo 1988/89. L’inizio del documentario, in tono auto ironico, ci spiega che già nel 1989 (!) Mike aveva iniziato a selezionare questi filmati per farne un video da regalare ai fan, ma il progetto fu presto abbandonato per essere poi ripreso e completato solo 15 anni dopo, appunto in questa occasione: meglio tardi che mai! Da non sottovalutare l’interesse di questi filmati per i patiti della storia delle strumentazioni dei singoli componenti della band (specie per quanto riguarda Portnoy e Petrucci), che possono carpire i segreti dei set live dei primordi grazie a queste immagini prima inedite. Il video è inoltre costellato di una serie di gag e battute che lo rendono ancora più gradevole oltre che informativo su molti argomenti. Chiudono il documentario le profetiche parole di Charlie: “Quando vedrete questo video probabilmente sarò stato buttato fuori dalla band e ci sarà un nuovo cantante: ma anche se questo dovesse un giorno accadere io rimarrò sempre un amico, io rimarrò sempre un amico di questi ragazzi..” Audio Commentary La successiva opzione del Menu

del “Bonus Material” ci permette di selezionare o meno l’ascolto del commento durante la visione del concerto. Non esistono altre opzioni audio particolari: l’unica traccia audio disponibile è in Dolby Digital 2.0 a 192 kbps. Il commento è stato registrato dalla band il 1 dicembre 2004 agli Hit Factory Studios di New York, mentre stavano lavorando ad Octavarium. L’intento di un commento audio di un concerto è quello di fornire informazioni aggiuntive a chi guarda il DVD, tirando fuori ricordi, aneddoti e storielle varie e magari anche svelando qualche piccolo segreto: questo commento riflette tutte queste caratteristiche. Ovviamente ci è impossibile riportare tutto ciò che viene raccontato durante il commento, ma vale sicuramente la pena dedicare un ascolto sforzandosi di capire ciò che viene detto. Audio Commentary - Behind the Scenes Un’altra opzione presente nel menu (“Audio Commentary - Behind the Scenes”) ci permette anche di poter vedere un esilarante filmato di 7 minuti con estratti video registrati durante la realizzazione del commento. Possiamo così vedere Petrucci che ci parla del sushi preparato da Charlie e Myung che ricorda il periodo in cui la band si trasferì in Pennsylvania per incidere WDADU, con le registrazioni che iniziavano alle 6 del mattino! Labrie ci racconta invece di quando finse di voler acquistare un enorme impianto stereo (di marca Majestic!) in un centro commerciale, “testandolo” con il singolo di Status Seeker che la band gli aveva spedito in Canada, dato che il suo lettore cd si era rotto! Fu così che James ascoltò per la prima volta i Dream Theater!! Divertente anche il racconto di Jordan, che non avendo idea di chi fosse, scambiò Charlie per un tassista quando lo incontrò per la prima volta! Mike fa poi notare come la posizione di Derek vicino a Petrucci , ricalcasse l’originaria posizione dei Majesty sul palco, quando John era vicino a Moore. Nel finale, dopo aver ricordato il divertimento di quella serata speciale, la band saluta e ringrazia tutti. Ma non è finita…assistiamo infatti ad un momento inedito (non presente sul commento vero e proprio):

credendo di essere “fuori onda”, tra sbadigli e stiracchiamenti vari, Petrucci dice “Ogni volta che registriamo questi commenti, mi rendo conto di quanto parliamo poco tra di noi..”. Le risate scattano immediate: ma quanto c’è di vero in questa battuta? WDADU Rehearsal & Soundcheck L’ultima opzione disponibile del Menu del “Bonus Material” è il filmato delle prove e del soundcheck del concerto, “WDADU Rehearsal & Soundcheck”. Questo filmato, di circa un quarto d’ora, è molto interessante in quanto ci propone parte delle prove del concerto. Dopo i saluti iniziali da parte di Mike, ci troviamo subito davanti ad una delle scene più belle dell’intero DVD: James che “insegna” a Charlie come affrontare un difficile passaggio di Metropolis. Poter vedere la faccia di Charlie mentre James gli “spara” in faccia un acuto spaventoso con una facilità disarmante, non ha prezzo. Il video prosegue con estratti del soundcheck di To Live Forever, durante il quale sia Mike che James danno numerosi consigli a Charlie. La seconda metà del filmato ci propone il soundcheck di Metropolis, con Derek Sherinian dopo sei anni di nuovo sul palco insieme alla band. Derek sembra molto più sciolto rispetto a Charlie, che però dimostra di cavarsela molto bene con i testi. Nei minuti finali troviamo alcune riprese realizzate nel backstage da Dominici, subito dopo la fine del concerto. L’Artwork Nel consueto sfondo viola della Live Series, Scott Hansen ha ironicamente rielaborato la copertina originale di Amy Guip: anziché venire marchiato con il logo Majesty, al ragazzo (che indossa un cappellino da party) viene invece offerta una torta con tanto di candelina per festeggiare il suo quindicesimo “compleanno”. Antonio Vescio ...again and again


Correva l’anno 1995, quando ad un certo Joe Satriani , venne in mente una grande idea: organizzare uno show dedicato a sua maestà la chitarra. Una festosa celebrazione della sei corde, dedicata a tutti coloro che amano questo strumento e la musica in generale. Come primo compagno di viaggio, Satriani pensò subito ad un certo Steve Vai. Il buon vecchio Joe non si era scordato di questo promettente ragazzino che ogni settimana veniva a prendere lezioni di chitarra a casa sua. Intanto nel tempo libero, il giovane Steve era entrato già sedicenne nel gruppo di Frank Zappa, aveva inciso diversi dischi solisti e aveva esplorato e sperimentato praticamente ogni angolo più recondito delle sei corde, diventando (volenti o nolenti) il chitarrista più famoso al mondo. Il progetto prese subito il nome di G3, ovvero Guitar 3, e non Great 3 come molti hanno pensato erroneamente. La dicitura più esatta per descrivere questo show sarebbe però stata G2+1, in modo da chiarire a tutti come il progetto ruoti intorno alla figura di Joe Satriani e Steve Vai, due artisti eccezionali e così stilisticamente lontani fra loro. Non sto qui ad elencare le qualità di questi due mostri sacri, né a spiegare come siano stati la principale influenza di una moltitudine di chitarristi professionisti e non (in primis quello là che suona la chitarra nei Drim

Tiater). Nella prima versione del progetto i due axe man stupirono tutti chiamando alla loro corte un chitarrista semi sconosciuto al grande pubblico, ma adorato da una nicchia di veri intenditori: Eric Johnson. Gli show del G3 riscuoterono subito un grande successo di pubblico, Satriani e Vai stupivano le platee con le loro esibizioni funamboliche, mentre Johnson le incantava con uno stile unico e di gran classe. Il chitarrista era accompagnato da musicisti straordinari e sconosciuti al pubblico: Stephen Barber alle tastiere, Roscoe Beck al basso e Brannen Temple alla batteria. La struttura dello show era sempre la stessa: un set di circa tre quarti d’ora per ogni chitarrista insieme al proprio gruppo (in ordine Satriani, Johnson, Vai) più una jam finale con tutti e tre i chitarristi sul palco accompagnati dalla band di Satriani. Dalla data del 2 novembre 1996, al Northrop Auditorium di Minneapolis, furono tratti un album e una videocassetta (poi riproposta in Dvd) intitolati “G3 Live in Concert” che vendettero uno sfacelo di copie in tutto il mondo, diventando subito dei classici della chitarra elettrica. Nella jam finale vennero proposte “Going down” uno standard blues di Don Nix, “My guitar wants to kill your mama” di Frank Zappa e “Red House” di Jimi Hendrix. Successivamente il G3 fu riproposto con diversi chitarristi fa-

mosi. Al fianco di Vai e Satriani si alternarono nomi come Kenny Wayne Shepherd, Michael Schenker, Uli John Roth e Robert Fripp. Da segnalare il rifiuto da parte del tanto grande quanto folle Paul Gilbert che a quanto pare respinse l’invito di Satriani, rilasciando diverse dichiarazioni in cui spiegava di sentirsi principalmente un cantante e non un chitarrista! Per registrare un nuovo album Vai e Satriani decisero di invitare il chitarrista che per molti era il naturale completamento del G3: Yngwie Malmsteen. Nacque così “G3 Live in Denver” (Cd e Dvd) registrato al Fillmore Auditorium, il 20 ottobre 2003. Questa volta per la jam finale furono scelte “Little Wing” e “Voodoo Child” del nume tutelare Jimi Hendrix e la stupenda “Rockin’ in the free world” di Neil Young. A differenza del primo però, il secondo capitolo del G3 non convinse più di una persona. Le critiche più aspre erano naturalmente rivolte alla presenza di Yngwie Malmsteen. L’esibizione dello svedese apparve ai più, una pura e semplice “masturbazione chitarristica”. Del resto Malmsteen è un artista da “prendere o lasciare”. Alcuni (pochi) pensano che sia un genio, altri (molti) non riescono a capire come faccia ad avere un tale successo chi ha passato l’intera carriera a copiare spudoratamente partiture di musica classica, senza aver inventato


assolutamente nulla. Una cosa che non si può assolutamente negare ad Yngwie però, è una grande presenza scenica e un’energia live veramente straripante. Vai e Satriani invece, pur rimanendo su livelli marziani, appaiono leggermente sotto tono, forse anche per una scelta dei brani mirata anche a supportare i rispettivi nuovi dischi. Per la prima volta però, Vai presenta la sua nuova e inarrivabile band: i “The Breed”. Sotto questo nome sono riuniti nientepocodimenoche: il giovanissimo, bravissimo e tatuatissimo Jeremy Colson alla batteria, un grande fantasista come Dave Weiner alla chitarra, Tony Macalpine a chitarra e tastiere (uno che da solo potrebbe essere invitato tranquillamente al G3, provate ad ascoltare qualsiasi suo progetto solista...), e un certo Billy Sheehan al basso. Il gruppo di Vai esibisce tutta la propria maestria con una esibizione al limite delle capacità umane, che fa impallidire qualsiasi altra all star band. Il buon Satriani invece, rimane legato (e fa bene) a Jeff Campitelli alla batteria, mentre Matt Bissonette prende il posto di Stuart Hamm al basso. Ai tre si aggiunge Galen Henson alla chitarra. Dopo la parentesi con Malmsteen, il G3 cambia completamente faccia in vista di un imminente tour europeo. Dopo lo straripante ed eccentrico Malmsteen, arriva il minimalismo del geniale Robert Fripp. Insieme al leader degli immensi King Crimson, il G3 approdò anche in Italia nel luglio del 2004 per quattro concerti a Milano, Roma, Stra e Pistoia. Nella data di Roma (a cui assistetti personalmente) durante la Jam finale, i tre chitarristi furono raggiunti sul palco anche da Steff Burns, chitarrista per diversi anni della band di Vasco Rossi. Fu uno show veramente unico che lasciò a bocca aperta tutto il Foro Italico e che mi fece capire quanto il G3 sia uno spettacolo prettamente live, il cui coinvolgimento e la bellezza visiva e sonora non potranno mai essere catturate da nessun supporto audio o video. Robert Fripp, con la sua chitarra “spaziale” (il cui suono veniva

elaborato da due armadi di varie diavolerie elettroniche), fu un elemento di rottura nella tradizione del G3. Il venerato chitarrista apriva gli show con un set molto delicato e personale, a volte psichedelico, suonato con una infinita umiltà, seduto su di uno sgabello posizionato ad un angolo del palco. Nessun suono “tradizionale” (distorto o pulito) della chitarra poteva essere percepito durante il set di Fripp, che non veniva supportato da nessuna band. Addirittura Fripp toccava poche volte il suo strumento, dedicando più tempo ad una moltitudine di complicatissimi effetti elettronici riuniti in differenti rack. In definitiva quello di Fripp era uno spettacolo molto raffinato, ma così personale e anticonvenzionale da risultare di difficilissima comprensione per il pubblico. Da segnalare durante la jam finale, l’esecuzione (oltre all’inno “Rockin in the free world” e un abituale pezzo di Hendrix) del classico dei King Crimson “Red”. Dopo questo escursus storico, arriviamo finalmente al G3 insieme a John Petrucci. Il buon John fu invitato al G3 per la prima volta nell’estate del 2001 per un breve tour americano. I Dream Theater erano proprio nel mezzo della composizione e registrazione di “Six Degrees”, ma John non volle farsi scappare questa prestigiosa opportunità e scattò sull’attenti alla convocazione del commissario tecnico Satriani. John presentò alcune canzoni che dopo una lunga gestazione e continui rifacimenti, sarebbero diventate la colonna portante di “Suspended Animation”. All’interno di queste canzoni John rendeva spesso omaggio alla sua band madre, inserendo alcuni stralci di canzoni targate Dream Theater (un piccolo estratto di Erotomania veniva sempre inserito). Vai e Satriani elogiarono ripetutamente il lavoro di Petrucci sia nei Dream Theater che nelle sue numerose collaborazioni. I due maestri erano soprattutto impressionati dalla precisione di John, della sua grande pulizia e della sua strumentazione tecnologica all’avanguardia. Anche a livello umano Satriani e Vai parlarono di Petrucci come

di un vero tesoro, una persona umile e divertente con cui andare in tour era un vero piacere. Naturalmente nessuno deve offendersi se consideriamo che la chiamata di John Petrucci nel G3 fu anche un’abile mossa commerciale, visto il numero e l’affettuosità dei fan dei Dream Theater. Anche per questo Satriani organizzò subito la registrazione di una serata e per l’occasione venne scelta la data di Los Angeles. L’album però, per diverse e non specificate ragioni, non venne mai alla luce. Dopo circa quattro anni di silenzio, nel maggio del 2005 John si riunì a Satriani e Vai per una breve tournee in Giappone. Nel frattempo John era riuscito a pubblicare il suo album solista proprio con la Favored Nation, l’etichetta fondata da Steve Vai. Il tour si presentava come un’occasione straordinaria per promuoverlo insieme a “Real Illusions: Reflections”, il nuovo disco di Vai. La data scelta per la registrazione del nuovo album del G3 fu quella dell’otto maggio allo splendido Tokio Forum. I fan di tutto il mondo però avrebbero dovuto aspettare altri sette mesi prima di avere finalmente fra le mani il nuovo Guitar 3 con John Petrucci, rilasciato in tutto il mondo alla fine di novembre. Rispetto ai due predecessori, la nuova uscita discografica del G3 è caratterizzata da una maggiore cura del prodotto. Sopratutto il dvd presenta dei menù belli e particolari, e una qualità video e sonora veramente molto alta. E’ un dato di fatto che quasi tutti gli album e dvd registrati nel sol levante, sono caratterizzati da una qualità sopraffina. La regia è veramente ispirata e le telecamere inseguono i tre chitarristi offrendoci inquadrature molto particolari. La spettacolarità delle scelte registiche non va però ad ostacolare la chiarezza (fondamentale per un prodotto come il G3) necessaria ad esaltare le doti tecniche di Satriani e soci. A differenza di altri prodotti Europei e Americani, “G3 live in Tokio” da l’idea di essere stato ripreso da persone competenti nel proprio lavoro, ma anche appassionate di musica. Petrucci apre le danze con due canzoni tratte da “Suspended


animation”: “Glasgow Kiss” e “Damage Control”. Rispetto a Vai e Satriani, il set di Petrucci è formato da una canzone in meno, per un totale di 18 minuti e 33 secondi. 3 minuti e 10 secondi in meno di Vai e 3 minuti e mezzo in meno di Satriani. Ad accompagnarlo c’è il fido Mike Portnoy e un eccezionale Dave LaRue al basso. Per chi non lo conoscesse, LaRue è stato il bassista dei Dixie Dregs e dei Planet X e ha girato il mondo insieme a tipini come Vinnie Moore, Alan Holdsworth e Bruce Hornsby. John imbraccia naturalmente il suo modello personale Music Man, Mike invece deve “accontentarsi” di un set molto ridotto rispetto al suo Siamese Monster, con soltanto una cassa. Il buon Dave LaRue invece, sfoggia uno splendido Music Man a 5 corde modello Bongo, arancione fiammante. Cosa dire dell’esibizione di Petrucci? Le canzoni tratte dal suo album solista sono davvero molto belle. Il lunghissimo lavoro compositivo di “Suspended Animation” ci ha regalato delle canzoni molto aggressive ed elaborate. Forse si sente un pò la mancanza di alcuni fraseggi più melodici e orecchiabili, necessari per non annoiare il pubblico durante un’esibizione strumentale. Durante il suo spot, John inonda il pubblico con un sound molto cattivo e veloce, la sua ormai famosa plettrata alternata domina stilisticamente i due pezzi. “Glasgow Kiss” risulta però più varia di “Damage Control” anche grazie al lavoro sopraffino di Portnoy e LaRue. John appare concentratissimo, la sua esibizione è ineccepibile e anche i passaggi di una difficoltà spaventosa sono suonati con una leggerezza sorprendente. In definitiva il “nostro” chitarrista suona bene, dannatamente bene. Come al solito. Questa volta però ci lascia un pò di amaro in bocca. In quasi

venti minuti John alzerà la faccia della chitarra solo un paio di volte, la sua esibizione è perfetta, ma fredda come il ghiaccio. Anche nei Dream Theater, Petrucci non è certamente Angus Young, ma la sua progressiva “imbalsamazione” è parzialmente compensata dalla presenza di LaBrie, dalla personalità dei suoi compagni e dalla loro bravura tecnica. Quì invece, tutti i riflettori sono puntati solo su di lui, sul palco non c’è il gruppo prog più famoso al mondo, ma soltanto John Petrucci. Per questo è quasi imbarazzante vedere il buon Mike coinvolgere il pubblico più di John. Questa sensazione viene ancora più alla luce quando sul palco sale Steve Vai. Il palazzetto s’infiamma con uno show raffinato e pirotecnico. L’esibizione del suo gruppo è veramente da brividi. L’intesa con Sheehan è perfetta, Colson mena come un fabbro, mentre Macalpine suona divinamente chitarra e tastiere. Intanto Steve Vai sparge magia su tutto il pubblico. La sua esibizione stavolta è incentrata leggermente di meno sulla tecnica pura, a vantaggio di una esasperata ricerca sonora. Steve plettra, percuote, accarezza, violenta la sua chitarra ricavandone sfumature uniche. Questo grande artista può piacere o no, ma nessuno al mondo suona come lui. Potete trovare qualcuno che tecnicamente sia addirittura più bravo di Vai, ma è impossibile trovare un suo clone. L’esibizione del gruppo di Steve Vai mette in ombra anche quella del maestro Joe Satriani. Alcuni problemi tecnici e una scaletta

non troppo felicissima ne penalizzano leggermente la qualità. Vedere suonare Satriani però, rimane una gioia per gli occhi. Mai una nota in più del necessario ed una precisione eguagliata solo da un’espressività che rende unica ogni sua esibizione. La sua setlist si chiude con un classico come “War” che scalda il cuore del pubblico e fa capire a tutti che gli anni purtroppo passano inesorabili, ma la classe, quando è innata, non scompare mai. “Foxy Lady”, cantata da Satriani, con Portnoy alla batteria e Bissonette al basso, apre alla grande la Jam finale. Satriani non eccede certamente nel canto e si sente, ma la canzone viene interpretata in modo superlativo dai tre chitarristi. La canzone in se stessa è un gioiello e la band rimane all’altezza delle aspettative con una versione aggressiva e di gran classe. Portnoy spicca con un’esibizione perfetta e fantasiosa, anche se non può permettersi eccessivi protagonismi. Già dalle prime battute si nota la perfetta intesa fra Satriani e Vai, nata grazie ai moltissimi concerti insieme. Petrucci rimane un poco in disparte suonando però in modo superlativo. A volte può sembrare che Vai e Satriani “snobbino” un poco John, ma questa sensazione è dovuta soprattutto al fatto che tutta la band è concentrata su Satriani che ricopre in qualche modo il ruolo di “direttore di orchestra”, guidando il gruppo durante le variazioni della struttura e i numerosi stacchi improvvisati. La jam prosegue con “La Grange” degli ZZ Top, con Campitelli alla batteria e Billy Sheehan a basso e voce. L’album si chiude con i fuochi d’artificio di “Smoke on the Water”. Al gruppo si unisce anche Bissonette nella veste di secondo bassista e cantante. La canzone non è certamente delle più facili da interpretare, ma Bissonette non sfigura assolutamente, aiutato anche dai cori di Sheehan. Per tutta la Jam Pe-


trucci suona davvero bene, ma in alcuni passaggi, soprattutto a livello di fantasia ed espressività, Satriani e soprattutto Vai sono semplicemente inarrivabili. Due veri mostri sacri. Il dvd è completato da pochi, ma molto interessanti contenuti speciali. Si può assistere infatti, ad un lungo estratto del soundcheck per la jam finale. Possiamo vedere tre alieni mettersi d’accordo come dei comuni mortali dividendosi le parti da suonare. Possiamo ascoltare Vai e Satriani parlare di effetti e calli alle dita, i musicisti scherzare fra loro e vedere come durante una foto di gruppo, Vai riesce a suonare anche un pollo di gomma. Il soundcheck può anche essere ascoltato con il commento separato dei tre chitarristi. Molto belli i racconti di Satriani sui passati G3 e gli aneddoti divertenti di Vai. I due poi non risparmiano i complimenti a tutti i musicisti incontrati nelle varie evoluzioni del G3, ribadendo inoltre come questo tipo di show sia un’esperienza unica ed estremamente divertente, in cui si ha l’opportunità di suonare con musicisti fantastici di cui si possono apprezzare e “rubare” le tecniche più personali. Il commento di Petrucci è invece praticamente inutile. Assolutamente noioso e ancora una volta fuori luogo rispetto al clima festoso del G3. Nessun aneddoto divertente o particolare, soltanto parole di circostanza che lasciano il tempo che trovano. In definitiva il nuovo “G3 Live in Tokio” è un prodotto assolutamente di alto livello. Possiamo stare quì a parlare ancora di piccoli particolari, ma quando in una uscita discografica sono racchiusi insieme nomi come Petrucci, LaRue, Portnoy, Satriani, Bissonette, Campitelli, Vai, Sheehan e Macalpine; il risultato non può essere che ottimo, anche se personalmente penso che non si raggiungono i livelli del primo G3. Una cosa però ha lasciato perplesse molte persone. Perchè, visti i grandi nomi in ballo, comprimere questa magica serata in un misero Dvd? Il concerto dell’otto maggio non si limitava assolutamente alle

canzoni inserite nell’album. La vera scaletta dell’evento (più di 4 ore!!!) era invece questa: Set One – JOHN PETRUCCI JAWS OF LIFE GLASGOW KISS LOST WITHOUT YOU CURVE WISHFUL THINKING DAMAGE CONTROL Set Two – STEVE VAI THE AUDIENCE IS LISTENING BUILDING THE CHURCH K’M-PEE-DU-WEE THE CRYING MACHINE Billy Sheehan Bass Solo LOTUS FEET GET THE HELL OUT OF HERE Set Three – JOE SATRIANI UP IN FLAMES SUMMER SONG HORDES OF LOCUSTS ALWAYS WITH ME, ALWAYS WITH YOU SEARCHING IS THERE LOVE IN SPACE? WAR FLYING IN A BLUE DREAM Encore - G3 JAM 1.FOXY LADY (JIMI HENDRIX) 2.LA GRANGE (ZZ TOP) 3.SMOKE ON THE WATER (DEEP PURPLE)

4.GOING DOWN (DON NIX) In definitiva si è persa l’occasione per un’uscita discografica che poteva essere una mastodontica celebrazione della sei corde. Si sarebbe potuto produrre un doppio dvd e un triplo cd con più di 4 ore di splendida musica suonata da musicisti incredibili. La decisione di amputare la serata risulta inspiegabile anche a livello commerciale. Il G3 infatti, è un prodotto riservato esclusivamente ai musicisti (soprattutto chitarristi naturalmente) e a veri appassionati di musica. Il perfetto ritratto di un soggetto capace anche di vendersi un rene pur di avere un concerto completo con quella incredibile scaletta. Anche perchè quasi tutte le canzoni suonate non si possono trovare in nessun precedente live dei tre chitarristi. E poi mio cuggino mi ha detto che il nuovo chitarrista di questo G3, suona con un gruppo chiamato Drim Tiater che sono abbastanza bravi e hanno un sacco di fan che hanno comprato questo dvd a scatola chiusa solo per avere qualsiasicosaincuisuonaunodeidreamtheater!!! Marco “Gonzo” Termine


Dunque, prima di tutto un po’ di storia. OCTAVARIUM viene registrato dal solito e fedele Doug in formato SDII, ossia il protocollo Sound Designer utilizzato da Pro Tools. I files vengono portati al Quad Studio di NY per il mix. Il Quad Studio è uno studio di medie dimensioni fornito, nella sala principale, di un banco SSL9000J a 80 canali. SSL è l’acronimo (ormai usato come nome ufficiale) di Solid State Logic, una azienda Inglese vicino ad Oxford che produce SOLO banchi di altissimo livello (e costo) per studi di registrazione, nessun banco per concerti. Tanto per fare un esempio, la nuova serie 9000K, successiva alla 9000J, nel formato simile di 80 canali costa 300.000 Sterline (circa 900.000.000 delle vecchie lire). Recentemente, notizia di Luglio 2005, la SSL ha avuto qualche problemino economico ed è stata,quindi, acquistata da due amici : David Engelke e.... udite, udite.... Peter Gabriel. Speriamo che i nuovi proprietari, sappiano risolvere i problemi di questa casa che ha fornito i propri banchi al 90% degli studi di alto livello. Torniamo ai dati tecnici, il 9000J (come anche il nuovo 9000K) è un banco ANALOGICO... proprio così... nell’era del digitale, dei plug-in e degli strumenti “virtuali” i migliori fonici del mondo preferiscono usare banchi analogici. La scelta non è affatto da ritenersi strana : i vantaggi del digitale, come l’editing, il copiaincolla e l’automazione dei parametri, possono essere usati tranquillamente, poi il segnale passa alla console analogica che “scalda” il risultato finale, da sola o con l’ausilio di altri outboard analogici (ad esempio degli ottimi compressori valvolari esterni).

Altre dotazioni del Quad Studio in sala A sono vari compressori, gates ed equalizzatori come: -Pultec EQP-1, EQP-1A, MEQ-5 e EQH-2 -Universal Audio LA-2A e 1175 -Dbx 902 e 160 -Drawmer DUAL GATE e DYNAMITE -Api 550 E processori di segnale come: -Yamaha SPX90 e REV7 -Lexicon 480L, 224XL, PCM-70, -PCM42, DIM-D e PAN SCAN -Eventide H3500 -Roland STEREO FLANGER Ma uno studio ben fornito e con un ottimo trattamento acustico, non basta a realizzare un buon prodotto, ci vuole un buon fonico. Michael Brauer inizia la sua attività nel 1976 presso gli studi Media Sound di NY, e, con l’iniziale ruolo di assistente, lavora con alcuni tra i migliori fonici Newyorkesi dell’epoca (B. Clearmountain, R. St. Germain e G. Diamond, tra i tanti). Il primo incarico da fonico “senior” arriva con la registrazione ed il missaggio di due brani di Luther Vandross, brani che fanno parte di un album dal titolo “Change”. Vandross rimane così soddisfatto da chiedergli di registrare e missare il suo album solista successivo (che diventerà poi disco d’oro), da questo punto in poi Michael continua il suo sodalizio con Luther, che oltre ad essere un artista è anche produttore, lavorando alle sue musiche per i successivi 4 anni, che includono anche due album di Aretha Franklin. Nel 1984 il mercato Inglese sta “tirando” di più, così Michael si trasferisce a Londra, dove lavora per le più grandi etichette Inglesi, ma nel 1990, passata l’ondata british, decide di tornare a New York.

Nel frattempo si è costruito un’ottima fama come “mixatore”, grazie alla quale lavora con artisti del calibro degli Stones, i New Radicals, Simon and Garfunkel, Tony Bennet (l’album “Unplugged” vince il Grammy), i Coldplay (altro Grammy per “Parachutes”), Bob Dylan, Eric Clapton e Billy Joel. Nel 1982 mixa “Traslocando” della nostra Loredana Bertè. Alcune tra le tante recenti collaborazioni includono Paul Mc Cartney, Anouk, Phil Collins ed ancora l’ultimo lavoro dei Coldplay. Se pensiamo agli artisti citati si evince che Michael ha una notevole esperienza ed un gusto particolare per i suoni acustici molto morbidi. Il Quad Studio è uno degli studi preferiti di Michael, quasi una seconda casa, anche per motivi logistici. Non ha un suo vero è proprio studio, ma ha impiegato molti anni e molti soldi a realizzare quelle che ha chiamato le “Sound Towers” :si tratta di 4 “frigoriferi” a rack pieni di outboard (nel vero senso della parola, dato che ne hanno anche nella parte posteriore). Molti apparecchi sono veramente vintage, non sarà stato facile trovarli e nemmeno risistemarli, dato che appaiono come nuovi e funzionano senza nessun problema. Le Sound Towers seguono Michael ovunque, anche nei trasferimenti in studi oltre-oceano, per questo sono equipaggiate ciascuna con un misuratore di forza G, ovvero un apparecchietto che misura e memorizza una variazione di G troppo repentina, che può solo essere causata da una caduta o da un colpo molto violento. In questo modo si è sempre in grado di scoprire se un trasportatore (camionista, addetto al carico di una linea aerea, etc.) ha maltrattato uno degli oggetti, e si può quin-


di aver diritto ad un rimborso in caso di danni. La presenza del misuratore G è ben segnalata da un adesivo su ciascun rack, generalmete tutti i trasportatori conoscono quell’apparecchio e quindi prestano particolare attenzione agli spostamenti, onde evitare grane. I rack sono stati assemblati e cablati da Vince Guttman della MARC Systems di Woodstock, che si occupa anche della manutenzione di tutti gli apparecchi. Sono dotati di una patch-bay di tipo TT, collegata con cavi Mogami, dotati di ventole di raffreddamento molto silenziose e stabilizzatori di tensione Furman. Per i dettagli sulle dotazioni dei rack, visitate www.mbrauer.com/ soundtowers, troverete anche alcuni gingilli di antica fabbricazione italiana, come un vecchio eco Meazzi. OCTAVARIUM ha richiesto 10 giorni per il missaggio, vale a dire: -un giorno per ciascun brano -due giorni per OCTAVARIUM dato che è un brano lungo -un giorno per alcune modifiche finali Michael non ha un “approccio standard” al mix, è piuttosto un creativo del suono, più artista e meno Ingegnere. Pensa a quello che vuole fare solo quando ha in mano le tracce e le ascolta la prima volta. Nel caso di OCTAVARIUM si è limitato a cercare di dare risalto alle qualità sonore degli strumenti e della voce, senza “forzare” con eccessivi effetti. Infatti mi informa che alcune voci distorte sono arrivate già così effettate sulla traccia, come anche i reverberi e gli echi delle tastiere. Il processo di mix è stato estremamente rilassato, senza fretta, ed è stato seguito solo da Mike e John P. I suoni su questo album non si accavallano molto ed è stato facile farli risaltare tutti senza sconvolgerli, anche perchè sono stati molto ben registrati in partenza. Del resto le registrazioni sono state fatte presso gli HIT FACTORY di NY, lo studio più

famoso della Grande Mela, che ha chiuso i battenti appena finito il lavoro con i DT, i coniugi Thrall (proprietari, Pat è anche molto conosciuto come chitarrista per via delle ottime trascrizioni di parti difficili di Satriani, Vai, Malmsteen, etc.) hanno dichiarato che la chiusura dello studio è legata ad un accordo di “inglobamento” alla catena CRITERIA STUDIOS di Miami ed al conseguente spostamento in Florida. L’approccio al mix è stato molto musicale, ma Michael è riuscito anche a mantenere il punch tipico degli album rock e metal di oggi. Spenderemo poche parole su tastiere, chitarre e basso, perchè non sono state molto trattate in fase di mix. Come appena scritto, le tastiere non hanno richiesto alcun tipo di effetto (a parte quelli programmati da Jordan direttamente sulle macchine). Anche le chitarre elettriche di John sono arrivate già effettate sulla registrazione, quindi niente del re-amping che oggi sembra andare molto di moda, solo le acustiche hanno richiesto un po’ di reverbero di ambiente ed una compressione, stessa cosa per gli archi. Un po’ di compressione sul basso, già ben compresso ed effettato in registrazione. La voce di James è stata trattata con due differenti processori di dinamica a seconda del tipo di brano, un AWA Limiting Compressor ed un ELECTRODYNE CA-700, la distorsione è stata messa già in registrazione, ma Michael avrebbe usato il SANSAMP per ottenere lo stesso risultato. Poco reverbero, appena un po’ di plate dal SONY DRE777 che è un processore a campionamento, vale a dire che può caricare campioni di algoritmi di altre macchine o direttamente da ambienti naturali. Gli echi usati sulla voce sono stati il WEM COPICAT, il FULLTONE TUBE ECHO e in qualche caso il BINSON ECHOREC 2. Generalmente regolati a 1/8 o a 1/4 dei bpm della song. La batteria di Mike ha maggior-

mente beneficiato della tecnica di compressione “multibuss” di cui Michael è portabandiera (diverse riviste tecniche del settore lo hanno intervistato per avere dettagli), in pratica: -si assegnano le tracce a differenti busses -ciascun buss ha una sua compressione -si lasciano comunque anche i segnali non compressi arrivare al master (ma si tengono a volume zero) -si crea il mix dei vari busses -se una traccia risulta troppo poco presente, la si enfatizza alzando il segnale dry sul master La parte “bottom” della cassa è sui 60 Hz, mentre la punta è sui 2KHz. I compressori utilizzati sulla batteria sono tutti quelli onboard del banco. In alcuni casi Brauer ha aggiunto dei campioni di cassa e di rullante, appartenenti alla sua libreria personale, come sfondo al suono originale per dare maggior botta. Per il corretto ascolto del missaggio, per ogni song, è stato usato il seguente procedimento: -usati monitors ProAc per l’ascolto principale durante la fase di Eqing e compressione -usato un radioregistratore stereo Sony (cosa che molti fonici della vecchia guardia fanno) posto dietro il fonico (messo sopra una delle Sound Towers) come riferimento “a basso volume” per verificare il corretto bilanciamento dei volumi. Questi i dettagli relativi al missaggio di OCTAVARIUM, per quel che concerne le tecniche di mix “generali” che usa Michael in ogni lavorazione, vi consiglio di visitare www.mbrauer.com ed andare a leggere le FAQ e le interviste riprese dalle riviste originali. Grazie a Michael Brauer per le info ed a Francesco Tappari - neoassistente alle produzioni dello studio Capt. WOOFER e “youngest DT fan” - per il supporto e le correzioni. Ci vediamo ai concerti (se la prossima volta riesco a venire). Stefano


Ciao a tutti, ci pare doveroso iniziare questo spazio dedicato ai concorsi con la news appena pubblicata sul sito ufficiale degli Astra. “Visto il regolamento del contest per la tribute band ufficiale italiana dei Dream Theater, il quale prevedeva come partecipanti band emergenti e quindi senza contratto, gli Astra abbandonano il contest in virtù del deal recentemente firmato con la Burning Star. Questo però non vuol dire che smetteremo di suonare le cover dei Dream Theater. Anzi, abbiamo già date nuove durante le quali non è escluso che proporremo anche brani nostri. Nel frattempo, un in bocca al lupo ai Progeny e agli Ytse Jam KR e un saluto all’Italian Dreamers col quale abbiamo collaborato in questi anni.” Astra Leggiamo la notizia con due sentimenti contrapposti, la firma del contratto ci nega la possibilità di organizzare la serata finale con i tre gruppi partecipanti come l’avevamo pensata noi ed i Dream Theater, dall’altra parte però abbiamo la soddisfazione di aver fatto emergere un gruppo sostanzialmente sconosciuto (il primo concorso vinto dagli Astra risale all’inizio 2001) che, oltre alle proprie indubbie capacità e, grazie anche al fatto di essere la cover band ufficiale per l’Italia dei Dream Theater, ora suona musica propria con un contratto per il primo disco. Questo è stato lo scopo principale del concorso e non possiamo fare altro che ringraziare gli

Astra per la collaborazione e per l’amicizia che ci ha unito in questi anni augurando loro il più grosso in bocca al lupo per la loro carriera. Il titolo di “Cover Band Ufficiale” ora è vacante ma non preoccupatevi, la serata finale con i Progeny e con gli YtseJamKr si terrà ugualmente, stiamo riassestando i nostri piani dopo la news degli Astra e stiamo individuando il luogo ed il periodo più adatto per avere, durante la serata, la presenza di almeno un membro dei Dream Theater con noi. Qualsiasi news al riguardo sarà pubblicata sul sito e vi verrà spedita una newsletter a casa. Passando ai concorsi della scorsa fanzine, 1 copia del DVD di Yellow Matter Custard va a: Mustic Nedad 4865, che ha spiegato per filo e per segno la nascita di questa cover band dei Beatles formata da Mike Portnoy, Neal Morse, Paul Gilbert e Matt Bissonette. Il nome proviene dalle parole inserite nel noto brano “I am the Walrus”, il concerto finito sul DVD è del 18 maggio 2003 al BB King’s di New York.

Le tre copie di Octavarium autografato vanno a: Ebuli Alessandro 4777 Paolone Claudio 3215 Angela Crivello 5081 L’album è stato mixato presso i Quad Studio di New York da Michael Brauer. Le 2 copie del DVD Drumavarium, vanno a: Mariano Sardo 5147 Mauro Mazzocchi 4682 Gli unici due ad aver indovinato. Il DVD contiene le riprese effettuate con la drum-cam di Mike Portnoy durante le sessioni di registrazione dell’album, gli extra contengono 3 minuti di folli Studio Outtakes e l’editing è stato affidato a Mike Brown che cura normalmente tutti i video dei “Portnoy Archives”. Nuovo concorso con i seguenti premi in palio: 1 Official Bootleg “The Majesty Demos” a chi ci dice qual’è stata la primissima canzone che scrissero insieme Portnoy, Petrucci e Myung. 1 Official Bootleg “The Making of Scenes from a Memory” a chi ci dice quali sono i 4 concept album citati nel booklet che hanno influenzato i DT nella decisione di scrivere SFAM. 1 Official Bootleg “When Dream and Day Unite Demos 1987-1989” a chi ci dice qul’è il primo “vero” brano strumentale scritto dai Majesty. Inviare le risposte esclusivamente in busta chiusa a: Italian Dreamers C.P. 161 47838 Riccione Centro RN


Iscriversi per il 2006 al Fan Club può avvenire in due modi seguendo queste istruzioni: 1 - ISCRIZIONE BASE VECCHIO SOCIO: all’interno del pacco trovate un bollettino postale prestampato da compilare con tutti i vostri dati comprensivi del vostro numero di tessera. Il bollettino va intestato a: Italian Dreamers - Casella Postale 161 - 47838 Riccione Centro RN C/c n. 37076098 - il costo del rinnovo e’ di € 20.00 SOCIO EX NOVO: se volete iscrivervi al Fan Club per la PRIMA VOLTA, dovrete inviare un vaglia postale di € 20.00 al seguente indirizzo: Italian Dreamers - Casella Postale 161 - 47838 Riccione Centro RN L’iscrizione base comprende: Tessera Personalizzata - 3 numeri di Metropolzine - Regalo di Natale 2006. 2 - ISCRIZIONE BASE + MERCHANDISE PROMOZIONE 2006: LE SPESE DI SPEDIZIONE LE PAGHIAMO NOI!!! Questo il Merchandise ancora a disposizione: Cod. A - Iscrizione 2000 (Metropolzine 7-8-9 + Fan Club CD 2000) € 20.00 Cod. C - Iscrizione 2003 (Metropolzine 17 digitale, 18-19 + Fan Club CD 2003) € 20.00 Cod. D - Iscrizione 2004 (Metropolzine 20-21-22 + Fan Club CD 2004 + S.O.C. CD) € 20.00 Cod. P - Iscrizione 2005 (Metropolzine 23-24-25) € 20.00 Cod. I - Maglietta Decennale 1985-2005 Nero-Grigio (taglie M-L-XL-XXL) € 15.00 Cod. L - Maglietta Decennale 1985-2005 Blu-Azzurro (taglie M-L-XL-XXL) € 15.00 Cod. M - Maglietta Decennale 1985-2005 Donna Nero (taglie S-M) € 15.00 Cod. N - Zaino Fan Club Italian Dreamers € 12.00 Cod. O - Marsupio Fan Club Italian Dreamers € 10.00 Per esempio, volete iscrivervi per il 2006 ed ordinare anche una maglietta? L’importo totale è di € 35.00 Maggiori informazioni sul merchandise sono disponibili sul nostro sito internet ed anche su Metropolzine 24.Quando compilate il bollettino o il vaglia, inserite semplicemente i codici del merchandise che volete ordinare, il numero dei pezzi e le eventuali taglie, nel caso ordiniate le magliette. Una volta effettuato il pagamento vi preghiamo di scrivere una mail con il riepilogo del vostro ordine a: merchandise@italiandreamers.net. Questa operazione è importantissima perché ci darà modo di controllare direttamente la spedizione, o di risolvere velocemente eventuali controversie su ordini errati e taglie non corrette. L’iscrizione ha validita’ nell’anno solare e scadrà il 31/12/2006 anche per chi si iscrive negli ultimi mesi dell’anno che, comunque, ricevera’ TUTTO il materiale pubblicato durante il 2006, salvo esaurimento scorte. ATTENZIONE, NON ACCETTIAMO PAGAMENTI IN CONTANTI, NON SPEDITE BUSTE CON I SOLDI DENTRO. RICORDATEVI di inserire nel bollettino e nel vaglia SEMPRE il vostro Nome, Cognome e Indirizzo completo di Via, Numero Civico, CAP, Citta’ e Provincia. Per qualsiasi dubbio visitate il nostro sito: www.italiandreamers.net.


Dream Theater & Octavarium Italian Fall Tour 2005 crew. Altri ringraziamenti vanno a: Gianni Andreotti & Elena Zermiani@Warner Italia, Mariela, Andrea, Simone@Live, Muzio e tutta la crew della produzione (grazie per il nastro), Elena, Marzia, Cristina & Aldo@Barley Arts, Claudia@Rock FM (dopo quanto tempo! Carramba che sorpresa!), Byron Smith@Ernieball USA, tutti@Inside Out, tutti@Audioglobe, Elio Bordi@ Fontiers records, Clear Channel. Un ringraziamento a Kim, Sebel, a tutto il DVD Team e agli altri DT Fan Clubs sparsi nel mondo: Seb, Bertrand & Stephane@Your Majesty Francia, Steffen, Margret, Michael & Darko@ The Mirror Germania, Masa e Famiglia@Carpe Diem Giappone, Savvas@Infinite Dreams Grecia, Andreas@SDTS Svezia, Michael@Mikeportnoy.com, Dave H@Damentiaradio, Tom & Kerry@Voices Inghilterra. Special thanks to: Loredana, Franco Mussida e tutto lo Staff del CPM a Milano per l’accoglienza riservataci, Roberto Gualdi perchè è sempre in mezzo come il giovedì, la cameriera del ristorante La Piccola Napoli a Milano soprannominata “Euforia Zeman”, il Burghy di Bologna, lo Sheraton Hotel di Firenze, i suoi bagni in marmo e la sontuosa colazione a scrocco, il cugino di Millo e relativo amico per le riprese a Roma, il Ford Galaxy per averci scarrozzato per tutto il tour, tutte le crew della sicurezza di Milano, Bologna e Roma per aver creduto che le nostre felpe valessero come “pass”. Also thanks to: Marco, Martina, Liso e Fernando quali security improvvisati a Roma nella tribuna Italian Dreamers, i puntualissimi tram di Amsterdam ed il Japan Zushi Restaurant. Very very special thanks to: i tre tipi che si sono messi a giocare a pallavolo con un goldone gonfiato proprio mentre stavamo riprendendo la tribuna Italian Dreamers a Roma; ora tutti sanno chi siete! Special No thanks to: il barbone che ci ha fatto perdere metà concerto degli Iron, le impiegate mestruate dell’ufficio Hertz di Rimini, le autostrade italiane e relativi autovelox connessi! Un saluto speciale a tutto lo staff di Qui Studio a Voi Stadio ed in particolare a Tiziano Crudeli per le emozioni che ci regala ad ogni partita del Milan!


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