BYZANTINE ARCHITECTURE

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L’ARCHITETTURA BIZANTINA

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Vojislav Korać, Marica Šuput

L’ARCHITETTURA BIZANTINA a cura di MAURO DELLA VALLE

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International Copyright © 1999-2016 by Editoriale Jaca Book SpA, Milano All rights reserved © Editoriale Jaca Book SpA, Milano settembre 2016

Il testo di Vojislav Korać e Marica Šuput è stato tradotto dal serbo da Isabella Meloncelli Referenze iconografiche Arbey Jean-Louis, Paris: tavv. 10, 11, 27, 29, 66, 67, 68, 69. Babic´ Božidar, Belgrado: tavv. 39, 74. Bibliothèque Nationale, Paris: tav. 9. Capuani Massimo: tavv. 72, 73. Džurova Aksinija, Sofia: tavv. 20, 31, 32, 50, 51, 52, 53. Franco Cosimo Panini Editore, Modena: tavv. 7, 8. G. Dagli Orti, Paris: tavv. 3, 4. Jaca Book/Iskusstvo, Mosca: tavv. 33, 34, 35, 36. Jaca Book/Carlo Meazza: tavv. 37, 43, 62. Jaca Book/Mauro Magliani: tav. 30. Kiprijanovski Vlado, Skopje: tavv. 57, 58. Korać Voijslav, Belgrado: tavv. 25, 28, 40, 41, 42, 47, 49, 56, 59, 60, 64, 65, 70, 71; b/n 11, 23, 26. Mozzati Luca, Milano: tavv. 16, 17. Perogalli Carlo, Milano: tavv. 12, 15, 18, 19, 21, 22, 23, 24, 26, 46, 48, 54, 55. Rodella Basilio, Montichiari: tavv. 13, 14. Stabin Angelo: tav. 76. Vannini Sandro: tav. 6. Zavod za Zaštitu spomenika Kulture Srbije, Belgrado: tavv. 38, 44, 45, 61, 63, 75.

Stampa e legatura Tiskarna Vek, Koper settembre 2016

Selezione delle mezzetinte, dei disegni e delle piante Break Point, Cosio Valtellino (Sondrio)

ISBN 978-88-16-60536-7

Per informazioni: Editoriale Jaca Book – Servizio Lettori via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48.56.15.20 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici anche su

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INDICE

Bisanzio, la sua civiltà, la nostra percezione Mauro della Valle 9 ARCHITETTURA E DECORAZIONE ARCHITETTONICA Vojislav Korać, Maria Šuput

CAPITOLO PRIMO

Le grandi opere del VI secolo: i fondamenti dell’architettura e dell’arte bizantina 17 CAPITOLO SECONDO

Il rinnovo dell’edilizia e dell’attività artistica dopo la grande crisi 53 CAPITOLO TERZO

L’età tardo-bizantina. Il ruolo dei paesi slavi nella creazione edilizia e artistica del mondo bizantino 147

BIBLIOGRAFIA E INDICE DEI NOMI Bibliografia 220 Indice dei luoghi e dei monumenti 222

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BISANZIO, LA SUA CIVILTÀ, LA NOSTRA PERCEZIONE Mauro della Valle

Oltre millecento anni separano l’11 maggio 330 quando, con una grandiosa cerimonia ancora di stampo tutto pagano che si tenne nell’Ippodromo, Costantino inaugura la sua nuova sede imperiale, rinominando Costantinopoli-Nuova Roma la piccola cittadina greca di Bisanzio, monumentalizzata al fine di poter ospitare la maestà dell’imperatore, dal 29 maggio – mese fatale dunque – 1453, quando, dopo un assedio durato due mesi, il poco più che ventenne sultano turco ottomano Maometto II, avuto ragione delle peraltro esigue difese bizantine, entra trionfalmente alla testa della sua immensa armata nella stessa città, ormai diruta dopo più di due secoli di assedi, lotte e guerre civili, ponendo fine all’antico impero e iniziandone uno nuovo che per altri cinque secoli (fino al 1923) dominerà sul Mediterraneo orientale. L’antica capitale, Costantinopoli-Constantiniye-Istanbul, rinnova così i suoi fasti imperando sul mondo islamico, visto che il suo sultano, ora Selim I, dopo la presa del Cairo nel 1517, si proclamerà anche Califfo, ombra di Allah sulla terra, commendatore dei credenti. In questo amplissimo plesso temporale si colloca quella civiltà che noi chiamiamo comunemente «bizantina», «Bisanzio» nel senso più ampio del termine, Impero bizantino, imperatori bizantini, architettura e storia dell’arte bizantina e così via. Il termine è entrato talmente nell’uso consuetudinario e suggerisce immediatamente qualcosa anche al più inesperto dei lettori e quindi lo continueremo a usare. È opportuno però puntualizzare che nella letteratura e nel mondo «bizantino» tale termine veniva usato, seppure non troppo spesso, per indicare gli abitanti di Costantinopoli, non certo per indicare la totalità dell’impero o dei suoi abitanti; essi si definirono sempre Romani, l’Impero dei Romani, e Romania il loro Stato, e talora Greci se in antitesi ai Latini, e così ancora fanno gli eredi di quelle civiltà che per molti secoli hanno combattuto con Bisanzio da Oriente, penso in particolare ad Arabi e Turchi che si riferiscono a Bisanzio con il termine «Rum» e cioè Roma. Dunque dovremmo anche noi chiamarlo Impero romano tout-court ovvero Impero romano d’Oriente, rispettando così la divisione avvenuta alla morte di Teodosio I il Grande nel 395. Ma ovviamente per gli occidentali l’Impero «romano» è un’altra cosa, negando essi di norma una continuità tra Cesare Augusto (23 a.C.-14 d.C.) e i suoi successori che regnarono da Costantinopoli, continuità che è invece impossibile negare. E la questione non è certamente recente visto che anche ai Romani

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d’Oriente era nota almeno dal X secolo, se non già dal secolo precedente, e ce lo testimonia il De Administrando Imperio di Costantino VII Porfirogenito, in cui si pone chiaramente la distinzione tra l’imperatore dei Romani a Costantinopoli e i reguli, i piccoli sovrani locali, che talora tentano di usurpare il titolo imperiale in Occidente, con riferimento ai tardi Carolingi, ovviamente (con i quali è però lecito imparentarsi). E la polemica si intrecciò poi con la polemica antipapale come testimoniato ad esempio in un bel passo di Giovanni Cinnamo, storico attivo tra i regni di Manuele I Comneno (1143-1180) e Andronico I Comneno (1180-1185), che nelle sue Storie rivendica la continuità tra Roma e Costantinopoli attraverso la scelta di Costantino e denuncia il falso imperatore occidentale, e il falso papa (in quel momento Alessandro III, 1159-1181) che gli attribuisce quel titolo senza averne la facoltà: «… nessuno ti ha dato questa prerogativa e così tu sei un falso pontefice e quello contamina la dignità di sovrano. … Infatti, se non ammetti che il trono di Bisanzio è il trono di Roma, da dove ti è stata data la dignità di papa? Uno solo ha stabilito queste cose, Costantino, il primo imperatore cristiano…». Non si può certo dire che i Bizantini, quando vogliono, non sappiano evitare i bizantinismi. Ma, tornando al centro della questione, è importantissimo, quando si parla di Bisanzio, avere chiara quale fosse la loro idea di se stessi pena la non comprensione di quella civiltà, come difatti è sistematicamente accaduto e accade: «Sono gli ultimi duchi di Bisanzio, sangue prezioso e malato mischiato a se stesso, membra febbrili fiacche alla spada ma rotte al pugnale, dediti ad ogni amplesso; gente meglio da perderla che trovarla». Così Teofilatto de’Leonzi (al secolo Gian Maria Volontè) descrive la sua propria famiglia, bizantina dell’Italia meridionale, nel celeberrimo «cult movie» L’Armata Brancaleone, regia di quel personaggio straordinario in tutti i sensi che fu Mario Monicelli, uscito nel 1967. Brancaleone (al secolo Vittorio Gassman) si interroga sugli strani personaggi che incontra nella magione avita di Teofilatto: «…discendente dall’imperatore Niceforo…» e così si sente rispondere dal suo interlocutore. E tutto questo sullo sfondo di una magnifica inquadratura ove, in un alto silenzio rotto solo dal paupulare dei pavoni, vediamo lentamente scorrere davanti ai nostri, schierati in posizione paratattica, uomini e donne, riccamente, ma curiosamente, abbigliati, fissi in pose ieratiche e immobili intorno a un trono vuoto, sul quale in seguito prenderà posto il padre di Teofilatto. Sullo sfondo un incredibile gruppo di monache in nero, ma dalle inquietanti sembianze maschili. Questa immagine dipende certamente dai più celebri ritratti della corte bizantina che a noi siano pervenuti e cioè quei mosaici che nel presbiterio di San Vitale a Ravenna ci consentono da quindici secoli di dialogare, in atteggiamento di riverenza, con Giustiniano, Teodora, il vescovo Massimiano e la loro corte. Certo, il giudizio di Teofilatto è impietoso ma è l’immagine che noi in fondo ancora abbiamo di Bisanzio; un giudizio nato nel Settecento, con l’Illuminismo, quando l’Impero romano d’Oriente, che fino a quel momento era ancora considerato il legittimo successore di Roma, almeno politicamente, divenne l’esempio del sommo mal governo e dell’estrema decadenza; monarchia assoluta e teocratica, fu lo strumento per criticare la Francia dell’ancien régime, monarchia teocratica e assoluta anch’essa. Scrisse Montesquieu nelle sue Considerazioni sulle cause della grandezza dei romani e della loro decadenza (1734): «La storia dell’impero greco,

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così chiameremo d’ora innanzi l’impero romano, non è più che un insieme di rivolte, di sedizioni e di perfidie. I sudditi non avevano nemmeno l’idea della fedeltà che si deve ai principi, e la successione degli imperatori fu così discontinua che il titolo di Porfirogenito, cioè nato nell’appartamento ove partorivano le imperatrici, fu un titolo distintivo che ben pochi principi delle famiglie imperiali poterono portare». Nonostante i grandi progressi della bizantinistica nelle sue varie specializzazioni (e per una visione d’insieme potremmo rimandare al piccolo volume di Averil Cameron, Byzantine Matters, del 2014), che gettano sempre maggior luce su questa grande tradizione culturale, non sembra che ci siano stati grandi passi avanti nel comune sentire. Ma cosa era dunque Bisanzio? Civiltà e identità romana, religione cristiana, cultura e lingua greca, questo teneva insieme un variegato mosaico di popoli con lingue e tradizioni radicalmente diverse (un’etnia o una popolazione «bizantina» non è infatti mai esistita e non è altrimenti riconoscibile), che nei millecento anni della sua storia ha popolato un’estensione territoriale, all’inizio pari a quella delle regioni orientali dell’Impero romano, la curva del Mediterraneo che va dall’Egitto alla Dalmazia, dal confine danubiano al limes siro-mesopotamico, per intendersi, alla fine, l’hinterland di Costantinopoli e poche regioni isolate dell’attuale Grecia. Ma non si trattò di un declino continuo e costante; a secoli di splendore si alternarono momenti di crisi. Dopo la morte di Giustiniano nel 565 sembrò quasi che l’impero dovesse sparire: prima schiacciato da Persiani e Àvari, poi da Arabi e Slavi, pure sopravvisse. Consolidatosi durante la lotta iconoclastica (730-843), con Basilio I (867-886) inizia di nuovo a espandersi, soprattutto verso i Balcani, raggiungendo la massima espansione sotto Basilio II (963-1025). Ma nel 1071 tutto sembra di nuovo crollare con le sconfitte a opera dei Turchi in Oriente e dei Normanni in Italia e in Occidente. Il 1453 però è ancora molto lontano e il XII secolo vedrà di nuovo un consolidamento seppure su dimensioni piuttosto ridotte. La IV Crociata del 1204 e la caduta di Costantinopoli in mano latina segnano senza dubbio un punto di non ritorno. Anche dopo la riconquista della città del 1265, quell’impero universale era ormai diventato uno stato regionale ma dalla storia tanto gloriosa da essere guardato ancora per secoli con rispetto e timore reverenziale da amici e nemici. In tutti questi secoli, sulla punta delle armi o attraverso missioni commerciali o culturali o attraverso matrimoni dinastici, Bisanzio portò la civiltà a molti suoi vicini, e questo fu fatto innanzitutto cristianizzando Slavi, Bulgari, Serbi e Russi. Ancor oggi nei Balcani è vivo il senso di riconoscenza dovuto a Cirillo e Metodio, i due fratelli tessalonicesi che nel IX secolo portarono il cristianesimo presso gli Slavi, creando una scrittura a chi ancora non la conosceva, così come viva è ancora in tutta questa area l’eredità culturale di Bisanzio (e basti pensare alla Russia di oggi, così di nuovo permeata della teocrazia e dell’universalismo dell’Impero bizantino del quale fu la principale erede dopo la caduta del 1453, forse solo un sogno ma non per questo meno gravido di conseguenze). Non è certo un caso che la storia dell’arte bizantina, modernamente intesa, sia nata proprio nella Russia imperiale di fine Ottocento grazie a Nikodim Kondakov e alla sua Histoire de l’art byzantin consideré principalement dans les miniatures (1876, in russo, e 1886, in francese) e che in Italia si sia invece dovuto aspettare un secolo per

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vedere la storia dell’arte bizantina separarsi definitivamente dalla storia dell’arte medievale, almeno al livello dell’insegnamento universitario. Una sorta di riflusso, e i numeri sempre più scarsi degli organici accademici stanno in questi anni, paradossalmente, favorendo un percorso opposto molto difficile da contrastare, ma questa è una storia che non può essere raccontata qui. Ancora Kondakov pubblica nel 1886 Vizantijniskija crkvi i panjatniki Konstantinopolija (Chiese bizantine e monumenti di Costantinopoli), che è, ragionevolmente, la prima storia dell’architettura bizantina vista essenzialmente attraverso i monumenti di Costantinopoli. L’attuale Istanbul è infatti, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ricchissima di monumenti e di tracce più o meno sparse dell’età bizantina, soprattutto chiese – di norma, ma non sempre, convertite in moschee tra Quattro e Cinquecento – ma anche le possenti mura di terra e, meno conservate, di mare, i resti di alcuni palazzi, le colonne onorarie che spesso segnano il posizionamento dei Fori imperiali della città tardoantica, una grande messe di materiali, normalmente erratici, provenienti da scavi di varia natura, sectilia pavimenta e mosaici parietali (soprattutto dell’età paleologa) che ornavano alcune ex chiese e che sono riemersi durante i grandi lavori di ricerca e di studio favoriti da Kemal Atatürk negli anni Venti-Trenta del Novecento, in un’ottica di marcata laicizzazione della nuova Repubblica di Turchia emersa dalla dissoluzione dell’Impero ottomano, in conseguenza della sconfitta nella Seconda Guerra mondiale, nel 1923. A partire da quel testo seminale si può ben dire che gli studi sull’architettura bizantina si siano notevolmente intensificati per quel che riguarda lo studio dei singoli monumenti e delle diverse scuole regionali dipendenti, in qualche maniera, dalle scelte artistiche di Costantinopoli, che fu sempre il centro propulsore di ogni novità, pur non sottovalutando il contributo delle aree periferiche o provinciali, ove spesso si conservano, grazie al permanere in quelle regioni della fede cristiana ortodossa negli oltre quattro secoli della turcocrazia, splendide testimonianze di questa civiltà architettonica e artistica, e penso alla Bulgaria, alla Serbia, alla ex Repubblica jugoslava di Macedonia, alla Grecia, alla Russia, per riferirci alle entità statali moderne, che comunque, almeno nei nomi, ricalcano le identità statali di epoca medievale (ma con gravi situazioni di crisi, si pensi al Kossovo, oggi stato indipendente ma all’epoca cuore stesso della civiltà serba, o all’Ucraina, oggi stato indipendente ma all’epoca regione in cui nacque la Russia cristiana, la Rus’ di Kiev, appunto). Per certi versi, anche la stessa Italia fu per secoli largamente permeata di cultura bizantina, e non solo in ambito architettonico e artistico. Così, il campo è diventato presto tanto vasto che, di contro, assai pochi sono i testi che tentano di esaminare il fenomeno a largo raggio e sul lungo periodo, anche escludendo dall’indagine, ed è il caso del presente volume, i primi due secoli dell’Impero d’Oriente, la cosiddetta Età Tardoantica (e qui avremmo dovuto considerare anche tutto il Medio Oriente e l’Egitto), e facendo partire la trattazione da Giustiniano e dal VI secolo. Ricordiamo lo studio di Krautheimer, ricordiamo il Mango e poco altro. È tanto più utile dunque che venga ripubblicato il testo di Vojislav Korać e Marica Šuput sull’architettura bizantina che da Giustiniano, appunto, all’architettura postbizantina dell’Europa orientale ripercorre questa straordinaria vicenda umana e artistica con dovizia di piante e illustrazioni che guidano

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i lettori anche non esperti attraverso la disamina soprattutto di chiese e monasteri (di quei secoli ci resta quasi soltanto l’architettura sacra), a una migliore e più corretta comprensione di quello che è stato il fenomeno Bisanzio nelle varie epoche e del peso che ha avuto e che ha nel processo di formazione di un’identità europea, ancora faticosamente in corso. Quella civiltà architettonica e artistica che il luogo comune vuole fatalmente immobile e che invece si declina in molteplici maniere a seconda delle necessità urbanistiche, liturgiche, funzionali, nazionali, regionali e quant’altro; rimangono certo dei punti fermi che la rendono sommamente riconoscibile, la bicromia bianco-rossa dovuto all’uso dei mattoni e dei conci di pietra chiara, il largo uso dei materiali, soprattutto marmi, spogliati dai più antichi monumenti in disuso (talora con chiare intenzioni ideologiche e non solo decorative), l’opzione verso la pianta centrale e l’uso estesissimo delle coperture a cupola – una, tre, cinque in uno stesso edificio e anche di più, in ambito russo, ad esempio –, il ridotto formato di questi, ma con significative eccezioni, la relativa austerità degli esterni e lo splendore degli interni, ricchissimi di marmi, mosaici e affreschi. Molto opportunamente lo studio si svolge attraverso una serrata dialettica centro-periferie, e cioè, nel nostro caso, ponendo al centro Costantinopoli e rapportando l’evoluzione della sua architettura ai diversi sviluppi regionali. D’altronde, solo attraverso la lente di Costantinopoli, e in parte di Salonicco, tali sviluppi possono essere correttamente seguiti e letti, visto che queste sono le uniche due città dell’Impero bizantino che presentino testimonianze architettoniche di quelle epoche senza soluzione di continuità e su scala monumentale: ad esempio, la Santa Sofia di Costantinopoli (VI secolo) e quella di Salonicco (VIII secolo); il Pantokrator costantinopolitano (XII secolo) e il Profeta Elia tessalonicese (XIV secolo), per segnalare solo alcune tra le costruzioni più imponenti dei vari periodi. Certo ci sono delle lacune, per cui non tutto è possibile spiegare con monumenti esistenti nell’una o nell’altra città, ma nondimeno una linea evolutiva può essere agevolmente seguita. Forse anche Atene presenta una simile diacronia ma con lacune maggiori e con edifici di assai modesto tenore vista la grave decadenza della città nelle epoche trattate. In conclusione, possiamo dunque affermare che nel volume scorre davanti ai nostri occhi quel mondo magico di arti di lusso, di architetture complesse ornate di pitture e mosaici sfolgoranti, quei nomi suggestivi ed evocatori, quei titoli aulici spesso privi di sostanza ma dalla meravigliosa apparenza. Insomma, l’Impero bizantino e la sua splendida capitale Costantinopoli, le ricche province, le aree periferiche, l’Italia bizantina, tutto di nuovo riaffiora alla mente grazie all’eccellente visione di insieme sapientemente organizzata dagli autori che pure, al tempo stesso, non mancano, in molti casi, di spingere assai in profondità la loro indagine sui singoli monumenti o contesti, ma senza mai perdere di vista il quadro complessivo cosicché l’epoca trattata, cioè da Giustiniano (VI secolo) all’età postbizantina (ci si spinge nel caso della Russia fino all’età moderna, XVI secolo), brilla ancora una volta in tutta la sua ricchezza e complessità.

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Vojislav Korać, Marica Šuput

ARCHITETTURA E DECORAZIONE ARCHITETTONICA Disegni di G. Tolić

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Capitolo primo

Le grandi opere del VI secolo: i fondamenti dell’architettura e dell’arte bizantina

Le grandi opere del VI secolo costituiscono la base dell’architettura e dell’arte bizantina. L’impero di Giustiniano I sta a indicare l’epoca, e la capitale dell’impero, Costantinopoli, il luogo delle opere massime. Nella produzione del VI secolo riconosciamo i fondamenti e gli inizi dell’architettura e dell’arte bizantina. È questa l’epoca della grande ascesa di Bisanzio. L’Impero romano d’Oriente non avrebbe mai più compreso una così vasta estensione di territori. La potenza dello Stato si riflette nelle sue grandi imprese edilizie. Nuovi edifici sorgono su tutto il suo territorio. Il lungo confine dell’Impero è contrassegnato dalle fortificazioni, vengono erette nuove città in località importanti, nelle province, mentre i centri preesistenti abbelliscono ed arricchiscono il proprio aspetto. I nuovi edifici hanno impieghi vari. Il cantiere fra tutti più grande, quello della capitale, fornisce un’immagine reale sulle proporzioni, la specie e il valore generale delle imprese edilizie. Uscita dalla tradizione tardoantica, l’architettura fa proprie nuove soluzioni. Tuttavia, nello spirito della tradizione, all’architettura monumentale si associano gli ornamenti, i capitelli, i rilievi in pietra e i pavimenti di mosaici. La capitale, Costantinopoli, città con una lunga storia, costituiva un complesso unico per posizione, proporzioni, struttura urbana ed edilizia. A lungo, nell’Europa medievale, rimarrà questo il solo abitato degno del nome di città. Le sue potenti mura e gli edifici pubblici risalgono all’epoca precedente l’Impero di Giustiniano. Le grandi imprese legate all’epoca giustinianea vanno intese come una fase di rinnovamento. La costruzione della cattedrale di Santa Sofia, mostra, simbolicamente, le proporzioni del rinnovamento di Costantinopoli. Il solo fatto che questa imponente costruzione sia stata edificata in soli cinque anni, ci offre un dato convincente sul potere del committente e sulle capacità dei costruttori. La grande attività edilizia sviluppata da Giustiniano a Costantinopoli costituì solo una parte dei lavori edilizi complessivi. Secondo Procopio, nella sua capitale, l’imperatore fece costruire trentadue chiese, fra le quali non

mancano quelle di grandi dimensioni, a cui vanno poi aggiunti parecchi edifici pubblici e palazzi. Il dato che Santa Sofia venisse costruita in soli cinque anni (53237), riconferma la sua importanza in questo contesto, considerato che la Grande chiesa fu soltanto una delle numerose imprese edilizie che a Costantinopoli si legano all’epoca giustinianea. Santa Sofia, o Grande chiesa, la cattedrale della capitale bizantina, e in un certo senso dell’intero Impero bizantino, costruita accanto al palazzo imperiale, nel luogo più eminente della città, fu collocata su una base rettangolare, molto vicina al quadrato, con misure interne di 74,60 x 69,70 metri. La prima chiesa dedicata a Santa Sofia, iniziata all’epoca di Costantino, era stata, probabilmente, portata a termine sotto Costanzo II, nel 360. Un incendio ne fece scempio nel 404. La seconda chiesa di Santa Sofia, consacrata nel 415, fu distrutta nel corso della nota sommossa di Nike del 532. Nello stesso anno fu dato inizio alla ricostruzione della cattedrale, che il 27 dicembre del 537 fu solennemente consacrata al culto. Venti anni dopo (558), in seguito ai terremoti che colpirono Costantinopoli nel 553 e nel 557, cadde la grande cupola. Causa di questo sinistro era stata la debolezza dei portanti laterali. Il gruppo di esperti, convocati e riuniti a consiglio, affidò la ricostruzione a Isidoro il Giovane, dato che gli architetti di Santa Sofia, Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto, non erano più in vita. Su consiglio della commissione, furono rialzati i contrafforti e ampliati gli archi settentrionale e meridionale sotto la cupola, così che lo spazio centrale acquistò dimensioni che lo avvicinano al cubo. In questo modo venne ad essere di poco ridotta la base della nuova cupola, che risultò essere più alta rispetto alla precedente. In sostanza si tratta della cupola che tuttora corona l’edificio. Successivamente alla sua costruzione, infatti, alcune sue parti, cadute, furono ricostruite. Nel 989 furono ricostruiti tredici costoloni che erano crollati, mentre nel 1346 lo stesso toccò a una parte della calotta. Nella sua struttura, però, la cupola è rimasta quella costruita da Isidoro il Giovane.

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1 e 2. Costantinopoli, Santa Sofia, veduta da oriente (sopra); ingresso nella parte meridionale del lato orientale (sotto). A fronte: 3 e 4. Costantinopoli, Santa Sofia, sezione longitudinale e pianta (secondo Schneider, Kähler, Van Nice).

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L’idea di spazio, nel senso funzionale, è stata realizzata in Santa Sofia secondo la prassi che definisce le parti essenziali del culto fondamentale e generale che di norma trovano luogo in una basilica. Il naos con tre navate, lo spazio dell’altare nella parte orientale e il nartece in quella occidentale, vanno indicati come determinazioni ideali della basilica a tre navate, che come tipo fondamentale di edificio per il culto generale è in uso dal tempo di Costantino il Grande fino a Giustiniano. Allo stesso modo, secondo la tradizione delle basiliche rappresentative precedenti, davanti a Santa Sofia si trovava un ampio atrio delimitato da logge. Al centro dell’atrio era collocata una fontana per le abluzioni, secondo un costume ben noto che risale alle basiliche paleocristiane. Sul lato settentrionale della chiesa fu costruita una galleria chiusa, che, per la sua posizione, corrisponderebbe all’esonartece nell’architettura bizantina posteriore. Il complesso architettonico è subordinato allo spazio interno e questo, vale a dire l’invaso, alla cupola. La parte centrale e maggiore dello spazio è coronata da una cupola di alta collocazione, impostata su quattro poderosi piedritti, e sostenuta da semicalotte sul lato orientale ed occidentale. Lo spazio sottostante la cupola è segnato sul lato settentrionale come su quello meridionale da colonnati che, al livello del piano terra, separano le navate laterali dallo spazio centrale, e all’altezza del primo piano, costituiscono le gallerie. I colonnati settentrionali e meridionali collegano i poderosi pilastri che sostengono la cupola e pertanto la parte di raccordo della costruzione sotto la cupola è nascosta dalle forme architettoniche. La parte centrale dello spazio è quasi impercettibilmente allungata mediante le semicalotte orientale e occidentale, mentre sui lati esso è delineato dalle file di colonne, dietro le quali lo spazio è scandito dalle gallerie del piano terra e del primo piano attraverso le quali penetra parte della ricca ed articolata illuminazione. La fonte maggiore della luminosità centrale di Santa Sofia sono le finestre della cupola, le doppie file sui lati della chiesa, al di sopra delle gallerie, oltre alle finestre collocate nelle semicalotte. L’elaborazione dello spazio interno della chiesa mostra le grandi ambizioni dei costruttori che hanno chiamato a raccolta tutte le migliori esperienze maturate dall’architettura dell’antichità. Preziosi i materiali impiegati, a cominciare dal pavi-

mento di marmo, per continuare con le colonne, i capitelli, le cornici, i parapetti e le superfici murarie fino ai mosaici della cupola. Le fonti antiche ci informano sui materiali impiegati. Per avere un’immagine completa dell’interno di Santa Sofia bisogna affidarsi alle descrizioni annotate dai contemporanei e dagli autori posteriori. Dalla descrizione entusiasta di Procopio si vede che, oltre alle pietre decorative, era stato impiegato un metallo nobile, l’argento in alcune parti, su elementi dell’interno di particolare rilevanza, come sull’ambone, il pluteo antistante il beme, nel ciborio. Quanto al marmo usato per rifinire gli interni, ne venne sfruttata attentamente la struttura naturale. L’elaborazione degli elementi secondari dell’architettura mostrano in modo convincente che la concezione adottata trattava gli interni come un complesso unitario. Per questo alcune superfici costituiscono un insieme coerente quasi come grandi quadri. Lo spazio interno, con la sua preziosa e raffinata elaborazione, era collegato assai strettamente con la particolare funzione della chiesa. L’impressione eccezionale che l’interno di Santa Sofia suscitava allora negli osservatori e tuttora colpisce il visitatore, nasce dalle forme e dalla elaborazione architettonica, ma va prevalentemente messa in rapporto con le straordinarie dimensioni dell’edificio, e specie della cupola, che ha un diametro di 31 metri. Ammirandola dall’interno, ci rendiamo immediatamente conto che l’intera costruzione è concepita in funzione della cupola. Nonostante questo possiamo constatare che lo spazio delimitato dall’edificio era tuttavia destinato a un complesso di funzioni. In altre parole la cupola, non costruita soltanto come puro elemento architettonico, acquista, nel programma costruttivo di cui fa parte, un’importanza decisiva. Si può dunque concludere, senza tema di dubbio, che la struttura dell’edificio, oggi potremmo dire in senso statico, fu ideata e adeguata completamente in funzione di una solida costruzione e della sicura durata della cupola. Questo è quanto conferma anche l’esame della struttura delle sezioni orizzontali e verticali caratteristiche dell’edificio. Del resto costituisce in proposito un argomento probante il fatto che il complesso si sia conservato fino ai nostri giorni. La prima caduta della cupola causò un intervento logico in senso statico: la riduzione del diametro e l’elevazione dell’altezza della base della cupola. I due danneggiamenti posteriori non hanno evidentemente compromesso la stabilità dell’insieme. La struttura del complesso mostra una grande esperienza edilizia conseguita nella prassi dell’antichità e del periodo che precede l’epoca giustinianea. Le semicalotte come appoggi sicuri dell’aggravio che si crea sotto la cupola come lungo la linea verticale e quella orizzontale, avevano trovato impiego in molte opere dell’epoca precedente. Tuttavia, quello che nel caso di Santa Sofia salta all’occhio è il sistema delle strutture laterali di sostegno che hanno pure un ruolo di «contrafforti», con il compito di proteggere le parti corrispondenti della cupola dall’effetto disgregatore delle pressioni laterali. Costruiti attraverso le navi laterali, i sostegni laterali in Santa Sofia sono, in sostanza, veri e propri contrafforti, come quelli che nell’architettura europea sarebbero stati realizzati solo alcuni secoli più tardi, nell’ambito di un

5. Costantinopoli, Santa Sofia, veduta d’insieme.

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sistema architettonico specifico e completo. I contrafforti di Santa Sofia sostengono e danno stabilità ai quattro pilastri principali in muratura, collocati agli angoli del quadrato in cui è iscritta la cupola. Così nella concezione statica ideale di Santa Sofia è stata attuata la soluzione migliore possibile, impiegando i tipi tradizionali di materiali, pietra, cotto e malta. L’audacia della soluzione nacque sia dalla grande ambizione del committente sia dalla sicura esperienza del consumato costruttore, e certamente anche dall’alto livello d’inventività che fu capace di esprimere Antemio, di cui è rimasto scritto che eccellesse per le sue conoscenze della matematica. La posizione che Santa Sofia aveva nell’Impero bizantino assegnava un posto eccezionale all’edificio nell’ambito delle cerimonie, che avevano una parte importante nella vita pubblica dell’imperatore, della sua famiglia e dell’ambiente di corte. Dalle fonti scritte apprendiamo, fra l’altro, che fra le cerimonie dell’ufficialità bizantina c’era quella dell’entrata solenne dell’imperatore in chiesa, la sua presenza ai riti e determinati movimenti al termine del rito. Il cerimoniale liturgico assumeva un tono particolare proprio perché vi entrava a far parte l’imperatore con il suo seguito e questo significa per sé, almeno in parte, l’inserimento nell’edificio religioso del cerimoniale di corte. Le cinque porte d’entrata nell’atrio occidentale chiuso e nel nartece, passando dall’atrio, e le nove porte d’entrata in chiesa dal nartece, con il portale principale, nella sua posizione centrale, eccezionalmente fastoso, costituivano indubbiamente parte integrante di un’architettura ecclesiastica improntata all’idea di solennità. Da queste posizioni partiva tutto quanto doveva svilupparsi come spettacolo di magnificenza nello spazio del tempio.

Le grandi dimensioni, l’arditezza della costruzione e la preziosità della lavorazione interna sono i caratteri precipui di Santa Sofia. Costruita come prodotto di una lunga esperienza di consumato mestiere e di creatività, offriva al suo tempo l’immagine di un cosmo idealmente concepito. Le colonne di marmo, i capitelli, le cornici, i mosaici rendevano la visione materializzata dello spazio insieme solenne e inafferrabile. Lo spazio di Santa Sofia, pur nella complessità del suo insieme, è chiaramente subordinato alla grande cupola. Tutto il resto, l’atrio, il nartece, le gallerie, si interpreta e si ricorda come preparazione o come introduzione a quell’insieme unitario e continuo della parte sostanziale dell’edificio. Poderosa e sviluppata, la costruzione inferiore, che poggia sulle pareti laterali, è chiusa nell’ombra, mentre le file di colonne, fra le quali penetra la luce, le finestre della cupola, la conca orientale e quella occidentale, pur con intrigante moderatezza, aprono lo spazio sottostante la cupola verso il mondo esterno. Pertanto la grande cupola sembra librarsi nello spazio. È questa la massima realizzazione del mondo bizantino, all’epoca della sua massima ascesa spirituale e artistica, tanto unitaria quanto semplice e chiara come costruzione organica, in un modo che riconosciamo anche in altre opere fra le più valide nella storia dell’architettura europea. Assunta per secoli a modulo e modello di un medesimo mondo spirituale – e insieme spunto imitatorio per altre culture – Santa Sofia è rimasta irraggiungibile per la concezione dello spazio, nelle misure e nella sua lavorazione artistica. L’innesto che con Santa Sofia si produce nell’architettura bizantina successiva è l’inserimento della cupola nel programma e nello spazio della chiesa. Nella sua forma complessa o in quella sem-

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10-11. Costantinopoli, Santa Sofia, due capitelli.

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plice, la cupola è rimasta parte obbligata della copertura in muratura. TAV. 9

colare è dato dalle chiese di modeste dimensioni in cui, a cominciare dall’VIII secolo, fino al X, in forma variata e ridotta, viene ripetuta l’idea della chiesa costantinopolitana dei Santi Apostoli (Peristerai, Skripou, forse le chiese dell’Italia meridionale, Canosa di Puglia, insieme a alcuni esempi sulla riva orientale dell’Adriatico). Possiamo interpretare tali repliche solo come risultato del desiderio di ripetere il grande modello di Costantinopoli con materiali e dimensioni modesti, vale a dire impiegando quello di cui si disponeva. In altre parole l’ordine di pensiero era il seguente: realizzare una concezione architettonica che somigliasse al modello costantinopolitano. La nuova soluzione veniva poi inevitabilmente adattata a un altro scopo, attraverso la trasformazione della struttura e delle forme. Ne sia un esempio la chiesa di Sant’Andrea a Peristerai. Nella concezione della pianta questa costruzione è coerentemente simmetrica, e qui il modello è seguito fedelmente, tuttavia, la chiesa di Peristerai non è un martyrium come i Santi Apostoli, ma evidentemente una chiesa adibita alle esigenze di un culto generale, ai lati della cui abside sono aggiunti il proskomidion e il diakonikon.

La chiesa costantinopolitana dei Santi Apostoli, costruita all’epoca di Giustiniano, è un’opera edilizia unica che, così come è stata concepita nella sua ricostruzione ideale, ha trovato la sua unica realizzazione in San Giovanni in Efeso. Anche questo tempio si pone fra imprese giustinianee più importanti e più cospicue, presentando le seguenti caratteristiche: nella forma di croce libera, con la sacra mensa e il reliquiario al centro, sotto la cupola centrale, e il synthronon in questa parte del lato orientale, ha evidentemente il significato di un martirium. In base alle ricostruzioni ricordate, lungo il suo lato orientale si trovava il mausoleo di Costantino il Grande, che, a giudicare dalle descrizioni, era una costruzione a pianta centrale, verosimilmente ottagonale. I quattro bracci della croce erano fra loro simili; nella struttura dello spazio erano edifici simili a tre navi con una cupola ciascuna. Dalle descrizioni posteriori si direbbe che le cupole sovrastanti i bracci non avessero le finestre. Da queste caratteristiche, sommariamente indicate, di questa chiesa, si vede in che cosa si distinguessero dai Santi Apostoli le chiese costruite sul suo modello. San Giovanni di Efeso aveva la base in forma di croce libera, ma aveva accentuata la parte principale, quella posta in direzione ovest-est. Sul lato occidentale si erge il nartece sviluppato, con un portico, mentre il braccio occidentale della croce ha una campata in più, sovrastato da una cupola, e al termine del braccio orientale sorge un’abside di adeguata forma e grandezza. Nel confronto con San Marco di Venezia è superfluo parlare di somiglianze immediate con il modello costantinopolitano, per il semplice motivo che intercorre un grande lasso di tempo fra il modello e la replica. Un tema parti-

Sant’Irene è una delle chiese più grandi e importanti, fra quelle dotate di cupola, costruite nella capitale all’epoca di Giustiniano. Posta nelle immediate vicinanze di Santa Sofia, insieme con essa apparteneva al complesso della Grande chiesa, affidato alle cure del medesimo clero. Probabilmente ha origine insieme con Santa Sofia, con la quale condivide la sorte nell’incendio del 532. Rinnovata da Giustiniano e poi nuovamente danneggiata per un nuovo incendio scoppiato nel 564, fu successivamente risanata. In seguito il terremoto del 740 creò nuovi danni alla costruzione. Nell’edificio tuttora esistente si sono conservate la

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12. Efeso, San Giovanni, la chiesa restaurata.

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13. Costantinopoli, Santi Apostoli, ricostruzione della pianta (secondo M. Sotiriou). 14. Efeso (Turchia), San Giovanni, pianta (secondo M. SotiriouKeil). 15. Peristerai (Grecia), Sant’Andrea, pianta (secondo Orlandos). 0

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A fronte: 16. Costantinopoli, Sant’Irene, pianta (secondo Ebersolt-Thiers).

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concezione originaria dello spazio e delle strutture nonostante i cambiamenti avvenuti in seguito ad alcuni rinnovi. La chiesa, una basilica a tre navate, con un’abside semicircolare interna a capo della navata centrale e il nartece sul lato occidentale, completamente voltata. Davanti allo spazio dell’altare, costituito dall’abside e da una campata, si erge la cupola a base circolare, con i pennacchi. Ampi e poderosi archi a tutto sesto, appoggiati su altrettanto possenti pilastri, sostengono la cupola. La campata orientale e le due occidentali sono coperte da volte allungate a semibotte. Sopra le navate laterali e sul nartece si trovano le gallerie (empore). La navata centrale, particolarmente spaziosa è subordinata alla cupola, che presenta un diametro proporzionatamente grande. Una cura particolare risulta impiegata nella costruzione del sistema preposto alla stabilità della cupola. Sull’area del palazzo imperiale, all’epoca di Giustiniano, furono gettate le fondamenta del Crisotriclino, completato sotto il suo successore. Secondo le esigenze della Corte bizantina, era questa un’aula che occupava un posto centrale rispetto ad altre costruzioni e alle superfici aperte destinate a funzioni particolari. È importante proprio la collocazione di questo edificio rispetto al complesso della residenza imperiale. Secondo le note descrizioni, il crisotriclino era un’aula per cerimonie, destinata ai rituali imperiali più importanti e solenni. Dalle descrizioni delle cerimonie si deduce che le nicchie di entrambe le parti dell’abside erano chiuse da tende e che dal Crisotriclino erano previsti spostamenti verso altri vani della residenza, mentre sul lato occidentale erano collocati l’entrata, il vestibolo e la loggia riservata ai personaggi che dovevano essere presentati all’imperatore. In queste fonti non c’è testimonianza che in quest’aula esistessero gallerie sul piano elevato, pertanto le concezioni architettoniche che includono questo elemento delle gallerie poggiano su esigenze legate a costruzioni d’altro impiego. TAV. 5

dei Santi Pietro e Paolo, che era una basilica. Assistiamo qui all’inserimento di nuove parti edilizie in un complesso preesistente su un’area conosciuta, con un terreno in pendenza, ai margini dell’area cittadina sopra il mar di Marmara. Sulla pianta, delimitata dai muri esterni che chiudono un rettangolo moderatamente deformato, si eleva una struttura a forma centralizzata coperta da una cupola. Sul lato orientale l’abside, all’interno, è semicircolare, trilatera all’esterno; su quello occidentale, davanti al naos, un basso nartece. La parte mediana dell’edificio, sovrastata dalla cupola, ha una forma ottagonale, sui cui angoli si ergono poderosi pilastri in muratura che portano l’alzato della costruzione. Fra i pilastri, tranne che sul lato orientale, davanti all’altare, sono collocate due colonne con capitelli, collegate, mediante archi, fra loro e con i pilastri. Sui quattro angoli base – nordorientale, sudorientale, nordoccidentale e sudoccidentale – si sviluppano le conche, sopra le quali la copertura dell’alzato poggia sulle semicalotte. Proprio tutti questi elementi costruttivi permettono di fare confronti con Santa Sofia. Sui lati settentrionale, occidentale e meridionale si svolge una galleria elevata all’altezza del primo piano, in cui si ripete la già descritta connessione di pilastri e colonne nel sistema del tribelon. La bassa cupola è costituita da un tamburo ottagonale su cui s’inserisce la calotta, che è rivestita da un numero doppio di spicchi. Fra gli edifici pubblici dell’epoca di Giustiniano, a Costantinopoli si ricordano anche due grandi cisterne conservatesi fino a oggi, la «Cisterna basilica» (Yerebatan) e la «Mille e una colonna» (Bin bir direk). Queste due grandi costruzioni sotterranee mostrano, con sicura evidenza, la grande abilità e le grandi possibilità esecutive dell’architettura nella fabbricazione degli alzati in muratura. La prima cisterna, con una pianta rettangolare di 138 x 65 metri, ha ventotto file di dodici colonne ciascuna. Esse reggono volte a croce costruite in mattoni. Queste ampie volte a croce sono un’ulteriore testimonianza che le grandi imprese edili, con le coperture

La chiesa dei Santi Sergio e Bacco fu costruita tra il 527 e il 536 nel palazzo di Hormisdas, accanto alla chiesa

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17-18. Costantinopoli, Sant’Irene, lato settentrionale sottostante la cupola e veduta dell’abside dall’interno.

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19-21. Costantinopoli, Santi Sergio e Bacco due dettagli dell’interno; pianta (secondo Ebersolt-Thiers).

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costruite in muratura, fra cui si distingue l’esempio di Santa Sofia, erano l’espressione di un’abilità sviluppata, assai affidabile per mestiere e consumata nell’esperienza. Quanto al numero di colonne con i rispettivi capitelli impiegati nella costruzione, questo dato ci permette di rilevare l’alto livello raggiunto nelle capacità organizzative dei lavori edili. Se ne ricava che Santa Sofia non rimane, in questo contesto, un esempio isolato, bensì una delle numerose grandi opere. La seconda cisterna, per quanto minore nelle dimensioni, 64 x 56 metri, dimostra nella sua costruzione un’arditezza ancor maggiore. Per conseguire una maggiore profondità, allo scopo di ampliare lo spazio riservato all’acqua, il costruttore colloca due serie di fusti di colonne, una sopra l’altra. Si consegue così l’impressionante profondità di quindici metri, che colpisce tutti gli studiosi della cultura bizantina. Entrambe le cisterne, sia per il ritmo regolare della costruzione, sia per il notevole numero delle colonne e dei capitelli impiegati, in quanto opere edilizie, possono essere messe a confronto con i palazzi di rappresentanza. È impossibile non notare due caratteri di queste imprese edili. Uno l’abbiamo già rilevato nella capacità dell’ambiente che le ha prodotte di organizzare la costruzione di tali opere, e il secondo, la raccolta di un gran numero di pezzi di spoglio della tarda antichità, specie di capitelli. È ben noto il largo impiego in molte opere dell’architettura tardoantica e del primo periodo bizantino di parti degli elementi costruttivi degli edifici di rappresentanza dell’epoca precedente. Questo fenomeno appare particolarmente evidente negli edifici basilicali destinati al nuovo culto, quello della religione cristiana. ll modo in cui nasce l’opera edilizia, dall’idea, al progetto fino all’esecuzione, è, comprensibilmente, oggetto d’attenzione di ogni tentativo di penetrare la natura dell’architettura che viene studiata. I dati modesti che, da questo punto di vista, riguardano l’architettura bizantina, ci impongono una ricostruzione, la cui credibilità è proporzionale ai dati reperibili. Le informazioni più consistenti riguardano l’epoca che si colloca fra il mondo antico e quello bizantino e si fanno più scarse per i secoli successivi. Di conseguenza, nelle rassegne generali dell’architettura bizantina su di esse vengono fondate le ricostruzioni della sostanza del rapporto committente-costruttore-opera, vale a dire: l’impiego previsto della costruzione, la concezione delle propor-

zioni e della modalità di esecuzione dell’edificio, l’autore dei progetti, nel senso moderno della parola e la partecipazione delle due parti alla realizzazione dell’insieme. Le circostanze in cui si costruiva subirono modifiche nel corso della lunga storia di Bisanzio e del mondo bizantino, tuttavia il rapporto tra l’ambiente e le imprese capitali in campo architettonico non potevano mostrare grandi cambiamenti. Il rinnovamento bizantino del IX secolo ci induce a credere a un rinnovo anche delle conoscenze concernenti l’architettura, il che, in sostanza, significa che si era mantenuta la continuità della prassi edilizia. Le nuove terre acquisite al mondo bizantino, i vicini cristianizzati della parte settentrionale e nordoccidentale di Bisanzio, entrano nella nuova civiltà a mezzo dei suoi veri rappresentanti e portatori. In modo diretto e indiretto sappiamo che le prime opere dell’architettura monumentale di Bulgaria, Serbia e Rus’ di Kiev sorgono ispirate dalle idee dell’architettura bizantina dell’epoca. È anzi quasi certo che siano stati costruttori bizantini a darne i progetti. L’alto valore artigianale e artistico delle opere prodotte nell’epoca di mezzo e tarda, a Bisanzio come presso i suoi vicini, confermano il presupposto della continuità. Contemporaneamente, alcuni dati dei periodi posteriori aiutano a comprendere meglio quanto era avvenuto nell’architettura del periodo paleobizantino. Sono pochi gli architetti di cui si è conservato il nome. Prima di ogni altro vanno menzionati Isidoro di Mileto e Antemio di Tralle, i famosi costruttori di Santa Sofia. Conosciamo anche Isidoro il Giovane, che rinnova la cupola di Santa Sofia, e poi Trdat, costruttore armeno, anche lui impegnato nel rinnovo di Santa Sofia. Altri nomi sono poi Crise di Alessandria, Ioannes di Byzántion e Rufino di Antiochia. Ai costruttori si associano nelle fonti due termini: architekton (arcitektwn) e mechanikos (mhcanikós). Il primo, architekton, riguarderebbe il costruttore esecutore dei lavori, il capo del cantiere, di tutte le maestranze. Il secondo termine concerne le singole maestranze, così che, evidentemente, il lavoro dell’architetto, nel senso moderno della parola, era nelle mani del mechanikos. A queste conclusioni sono arrivati gli storici dell’architettura bizantina. Comprensibilmente, la nostra curiosità è orientata soprattutto verso la parte più delicata dell’attività architettonica, quella dell’elaborazione dell’idea, o del progetto dell’opera da costruire. Nelle fonti scritte vengono menzionati termini geometrici che potevano riguardare i progetti architettonici. Non c’è dubbio che anche le costruzioni semplici, per la cui solida fabbricazione era sufficiente un’affidabile mestiere, dovevano avere i loro progetti. Complessi edilizi simmetrici, dai ritmi regolari, non si potevano certo erigere senza che ne esistessero i progetti. Per questa fase iniziale di elaborazione dell’idea attraverso il progetto, le conoscenze primarie richieste erano l’aritmetica e la geometria. Non è pertanto un caso che di Isidoro si parli come di un conoscitore della matematica. Proprio il bisogno di soddisfare esigenze pubbliche, settore di largo impiego dell’edilizia, mantennero fino all’ultimo la geometria e l’aritmetica fra le poche materie insegnate nelle scuole del mondo bizantino. Le verifiche analitiche, condotte sugli edifici conservatisi, hanno permesso di arrivare alla conclusione che la geometria e l’aritmetica furono appli-

22. Costantinopoli, Santi Sergio e Bacco, capitello.

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cate per il calcolo e l’attuazione di determinati rapporti nella pianta e nell’alzato. Sebbene attraverso la storia della scienza a Bisanzio si possano trovare fino agli ultimi tempi informazioni relative alla geometria e allo studio delle proporzioni, o ai tentativi di scoprire nelle composizioni della pianta o dell’alzato una rigorosa concezione geometrica, i ricercatori hanno trascurato di compulsare la nota raccolta degli Elementi di Euclide. Nel caso di Santa Sofia di Benevento, della metà dell’VIII secolo, che nei desideri del fondatore, il principe Arechi, avrebbe dovuto somigliare a Santa Sofia di Costantinopoli, si è cercato di trovare la chiave interpretativa, ricorrendo a Euclide. Se ne è pertanto concluso che dovrebbe essere riservata una maggiore attenzione alla geometria euclidea in queste indagini. Sarebbe appunto questa la via più diretta nella ricerca dei fondamenti geometrici di determinate soluzioni sistematiche e proporzioni in uso a Bisanzio. Il dettaglio architettonico, la composizione dell’insieme, l’idea di armoniosità e di bellezza, sono le proprietà dell’opera considerata, mediante le quali analizziamo la cultura degli esecutori e viceversa: il rapporto reciproco tra sapere e cultura dei costruttori e dell’opera realizzata ci devono introdurre nel sistema di valori dell’architettura studiata. Tuttavia la visione dell’opera e la valutazione dell’artista rimarrebbero incompiute se perdessimo di vista quanto definiamo costruzione dell’edificio, in senso lato e stretto, cioè la struttura, specie dell’alzato, la modalità della costruzione, i materiali. Per tutto il periodo che vede la formazione della cultura e della civiltà bizantina, gli architetti e i committenti potevano guardare alle opere di una lunga tradizione, che quasi non aveva conosciuto interruzioni, compresa nell’arco di sviluppo dell’architettura ellenistica e di quella romana. Altrettanto importante è il fatto che fosse quella un’epoca di numerose imprese edili, fra le quali si distinguevano anche egregi esempi di monumentalità, specie nel periodo dell’Impero di Giustiniano. Vennero attivate molte risorse di materiali edili, sulla scena fecero la loro comparsa molti architetti e maestranze edili, mentre ampia era la cerchia dei committenti. Le

novità che nell’edilizia vengono introdotte dalla nuova concezione dell’architettura cerimoniale costituivano uno stimolo per la sperimentazione. Grazie a questo enorme incremento di una vasta attività edilizia, dalle fortezze, cittadelle e città alle basiliche, l’architettura bizantina poté superare la catastrofe sopravvenuta nel VII secolo. Una parte della compagine sociale che conosceva l’arte del costruire poté continuare a lavorare, anche se a una portata notevolmente ridotta, in alcune delle città rimaste. La prassi corrente era quella di elevare edifici di lunga durata, in pietra o mattoni, oppure combinando questi due materiali fondamentali. Si conoscevano le norme per i muri che chiudono un determinato spazio, a un’altezza determinata, come pure le modalità di costruzione delle logge, e anche delle aperture. Allo stesso modo nella prassi corrente rientra la lavorazione preziosa delle superfici interne ed esterne dei muri e dei pavimenti. A questo vanno aggiunte le fortificazioni, fra cui per concezione, proporzioni ed elaborazione, sono rimaste insuperate le mura di Costantinopoli di Teodosio. Il sistema classico greco delle architravi era per lo più superato. La prassi ellenistica come quella romana usa, per le logge esterne e interne, serie di colonne che portano gli archi. I pilastri in muratura, in ritmi determinati, distribuiti fra le serie di colonne sono divenuti mezzo per rinforzare la costruzione. Per un certo tempo dovettero essere collocate strutture lignee per il tetto fra le serie di colonne. In proposito non siamo sufficientemente informati, anche se è certo che l’arte edilizia delle coperture era stata perfezionata, perché talvolta capitava che le superfici da coprire fossero notevoli. L’introduzione delle grandi volte diviene un’esigenza architettonica: i tipi impiegati sono a semibotte, a croce e in forma di calotta, geometricamente noto come sistema del cerchio che racchiude la base quadrata. Anche alla struttura inferiore della costruzione si applicarono nuove soluzioni in parallelo con la crescita delle proporzioni delle volte. Ben presto il compito centrale degli architetti e costruttori bizantini diviene la costruzione e l’impostazione della cupola su una base rettangolare. Dalla nota coordinazione romana, in cui la cupola si colloca su una

23. Costantinopoli, bastioni.

24. Costantinopoli, Santa Sofia, assonometria (secondo Choisy).

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base circolare o simmetricamente pluriconca, così che la stabilità dell’insieme veniva a essere garantita da un rafforzamento uguale e continuato, bisogna arrivare a una soluzione con quattro punti d’appoggio su cui scaricare tutto il peso della cupola, insieme con le pressioni laterali. In questa direzione, la soluzione è stata cercata mediante l’inserimento della cupola sulla navata centrale dello spazio basilicale. La cattedrale costantinopolitana, fatta costruire da Giustiniano, rappresenta il punto d’arrivo di questa ricerca. E si comprende, dunque, come Santa Sofia, in quanto massimo grado raggiunto nell’attuazione di questo sistema, per gli studiosi sia divenuta oggetto di ininterrotto interessamento fino ai tempi più recenti. Un’attenzione particolare è stata riservata allo studio delle specificità costruttive che hanno consentito la realizzazione di una struttura persistente, capace di comprendere in sé questa eccezionale concentrazione centralizzata dello spazio. La comprensione approfondita dell’intera costruzione viene perseguita nello studio dei testi antichi sulla meccanica, nelle verifiche statiche, nell’analisi della capacità di portata dei materiali e nell’origine degli elementi della struttura. L’elaborazione finale dei muri della costruzione sottintendeva lavori il cui carattere era insieme artigianale e artistico. Considerato che questi lavori costituivano parte della lavorazione architettonica dell’opera progettata, almeno la loro concezione fondamentale faceva parte del progetto. Secondo tutte le conoscenze finora acquisite, le costruzioni paleobizantine di alto rango architettonico, per non parlare di quelle del livello massimo, venivano rifinite all’interno con lavori ornamentali. I dettagli architettonici (elementi di second’ordine), le colonne, con le basi e i capitelli, le cornici, le fronti degli archi e le cornici delle aperture (porte e finestre) erano fatti con pietre decorative e per la loro fattura, anche dal punto di vista artigianale, sono fra le opere migliori del loro tempo; quanto ai rilievi – sui capitelli, più raramente sulle basi delle colonne, sulla fronte degli archi, sulle lastre dei parapetti, dei sarcofagi o con altri impieghi – rappresentano di fatto la scultura bizantina. La pietra usata per l’esecuzione delle parti menzionate proveniva da fonti

varie. Il porfido rosso, il marmo più raro e più costoso, si trovava soltanto in Egitto, quello verde in Tessaglia, l’onice in Frisia, e le cave più ricche di marmo erano situate sull’isola di Proconneso, sul mar di Marmara. Le colonne e i capitelli di spoglio venivano usati spesso, anche se, per gli edifici rappresentativi della nuova architettura, sorti nel V e nel VI secolo, determinate parti in marmo decorativo erano elaborate appositamente. Come esempio si ricorderanno le colonne di San Giovanni di Studio a Costantinopoli, o la Madre di Dio Acheiropoietos e San Demetrio a Tessalonica. Un grande numero di capitelli di Santa Sofia, come i capitelli dei semipilastri e delle colonne di San Polieucto, di poco posteriore, con i rilievi nelle incorniciature degli archi, costituiscono significative testimonianze della plastica decorativa della capitale. Dell’antico capitello corinzio e composito viene continuata una forma simile o più evoluta, oppure i medesimi volumi rifiniti dalle volute vengono coperti da superfici cesellate a giorno mediante un ornamento floreale nettamente inciso. Si costruiscono anche capitelli con superfici lisce, decorate con rilievi floreali. Un ricco ornamento a rilievo sbalzato o cesellato, nel caso dei capitelli, è caratteristico dell’architettura della capitale, la cui influenza, con tutta probabilità, si diffuse poi nelle province orientali. Nelle terre balcaniche si costituiscono botteghe locali. La decorazione architettonica, secondo la tradizione ereditata dall’antichità, era parte della lavorazione degli edifici di rappresentanza. Gli interni, nel loro insieme, richiedevano la lavorazione di ampie superfici, dei pavimenti, delle pareti e delle volte. Un segno della solennità dell’interno era dato dal pavimento di mosaici. Le superfici dei muri che chiudevano lo spazio costruito, erano coperte da pietre decorative, mentre le volte potevano avere anche una decorazione musiva. La scultura vera e propria era rara nell’ambito dell’architettura bizantina, dove i gruppi figurativi in rilievo, realizzati in pietra, sono una presenza sporadica, e costituiscono parte degli andamenti artistici che caratterizzano l’epoca in cui furono prodotti e i territori a cui appartennero. L’affresco murale, per secoli, elemento distintivo degli inter-

25. Efeso (Turchia), San Giovanni, frammenti di decorazioni architettoniche. 26. Filippi (Grecia), basilica B, dettaglio di un capitello.

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27. Filippi, basilica B, pianta secondo Lemerle. 28. Iustiniana Prima (CaricĚŒin Grad, Serbia), basilica episcopale, pianta (secondo Hoddinott). A fronte: 29. Paro (Grecia), Katapoliani (Nostra Signora delle Cento Porte), pianta della basilica (secondo Jewell).

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ni bizantini, aveva un suo significato complesso. In casi eccezionali i suoi motivi si interscambiano con quelli del repertorio della decorazione architettonica. La grande chiesa costantinopolitana di Santa Sofia, con il suo interno, oltre che con le sue proporzioni e le sue soluzioni spaziali, mostra l’importanza della decorazione architettonica, nel cui ambito si pone il motivo fondamentale del suo permanere nell’arte bizantina. Ogni parte della decorazione interna è eleborata con accurata attenzione. Ai portali d’accesso viene dato rilievo mediante le plastiche dell’inquadratura di tradizione classica. La superficie del divisorio in pietra della galleria meridionale presenta una lavorazione che riproduce i motivi d’intaglio tipici delle porte celebrative lignee. Tutte le pareti sono ricoperte da lastre di pietra decorativa perfettamente rifinite. Questo lavoro venne eseguito mettendo in risalto la struttura naturale della pietra e ciascuna lastra è ornata da una cornice in rilievo e vengono così a essere definite grandi serie di veri e

propri quadri. Alcuni di questi rilievi si distinguono per i motivi decorativi a incrostazione. Nelle lastre dei parapetti che formano le balaustre delle gallerie dell’alzato sono inseriti i motivi geometrici, che caratterizzeranno a lungo l’architettura bizantina. Le colonne a due ordini sovrapposti, sui lati dello spazio sottostante la cupola, insieme con le loro basi, i capitelli e gli archi che esse sostengono, costituiscono il disegno fondamentale della composizione. L’immagine monumentale dell’insieme viene rilevata e insieme alleggerita dalle serie di colonne ornamentali, che conferivano una nota dominante all’interno delle basiliche della tarda antichità e del periodo paleobizantino. Sull’arredamento permanente in pietra di Santa Sofia abbiamo solo informazioni dalle fonti scritte. Gli amboni conservatisi, in frammenti o interamente, a Costantinopoli, nell’Asia Minore, in Grecia, o a Ravenna, portano in rilievo rappresentazioni figurative di motivi biblici. Le forme architettoniche degli amboni e delle loro parti forniscono le indicazioni programma-

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tiche nel cui ambito si sarebbero in seguito costruiti gli amboni e altre parti dell’arredamento in pietra. Nel periodo paleobizantino, le città ebbero un’importanza eccezionale per la vita culturale nel suo complesso. In esse si svolgeva l’attività edilizia in cui trovavano applicazioni le varie arti e vi risiedevano i committenti, le maestranze e gli artisti. I centri urbani preesistenti, sorti entro la tradizione ellenistica e tardoromana, mostrano il loro volto migliore nelle città del Vicino Oriente e dell’Asia Minore. In esse la vita si mantenne fino alle penetrazioni persiane e arabe nell’Asia Minore e fino agli assedi degli arabi a Costantinopoli. Nelle epoche successive, la città più importante che abbia conservato una sua continuità urbana rimane la capitale bizantina. Anche se su scala molto ridotta, nell’epoca di mezzo e tardobizantina, lo stesso vale per la seconda città dell’impero, Tessalonica. Nell’età media e tarda della storia di Bisanzio, sia sul territorio bizantino in senso stretto, sia nei paesi che appartengono all’area cristiano-slava, i nuovi centri cittadini, quelli che si sviluppano su antichi nuclei preesistenti, come quelli sorti da nuove fondazioni – nel qual caso sono di proporzioni più modeste – , riproducono i modelli della capitale, pur riducendone le dimensioni. Potremmo esemplificare le caratteristiche delle città del periodo alto, quello che precedette il rinnovamento giustinianeo, citando alcune note città. Quanto alle componenti fondamentali della struttura urbana, la concezione romana aveva inserito nella tradizione ellenistica un suo precipuo elemento base della comunicazione in forma adattata. Nella maggior parte dei casi si tratta del cardo o soltanto del decumano, incrociato ortogonalmente con un’altra via di comunicazione, in uno o più punti. In tutte queste città si conservano le altre parti dell’insieme urbano, la cui origine risale all’antichità greca o all’ellenismo: l’acropoli, luogo da cui si sviluppa il primo nucleo urbano e che, in seguito, di regola, si trasforma nella sede della massima sacralità dell’abitato cittadino; gli altri edifici pubblici e le ampie mura protettrici. Non troveremo una città che abbia una pianta quadrangolare, che potrebbe essere stata portata dalla tradizione romana, come gli spazi destinati ai grandi raduni pubblici non assomigliano ai fori romani. Non c’è dubbio, d’altra parte, che queste città passarono attraverso un lungo periodo di sviluppo, in cui gli edifici e gli spazi pubblici si andarono formando secondo quanto le condizioni oggettive imponevano. Per le loro propor-

zioni e la posizione che occupavano, i grandi edifici di culto hanno un’importanza cruciale. Un esempio particolare ci viene dato da Gerasa. Il suo tempio di Artemide, con il suo basamento occupava una grande superficie a base quadrangolare, nella parte più eminente della città. Lungo il suo lato meridionale fu elevata la chiesa cattedrale dei Santi Teodori, che a sua volta costituiva un grande complesso di sviluppo graduale. Risulta inoltre evidente che la sua posizione, come le sue proporzioni, divennero parte centrale e principale del complesso cittadino. Lo spazio indicato come foro si trovava nelle vicinanze della porta cittadina meridionale. La sua pianta ricorda un ovale irregolare e anche questo dato rivela un adattamento della funzione prevista per la piazza principale. La via cittadina principale, il cardo, è contrassegnato dal tetrapilon, elevato non lontano dal foro, all’incrocio simmetrico del cardo con la via di comunicazione che potrebbe essere assunta come decumano. La città siriana famosa per il martirio dei santi Sergio e Bacco, Rusafa (Sergiopoli), di modeste proporzioni, con la sua pianta quadrangolare, presenta un maggior adattamento alla concezione anticoromana delle città. Possiede alcuni edifici di culto cristiani, conseguenza di un ulteriore adeguamento alle novità spirituali e sociali. Una concezione abbastanza libera nella pianta è documentata dalla città di Zenobia. La pianta è, infatti, adeguata al terreno, l’acropoli ha una posizione eminente e vi è, inoltre, accentuata una linea di comunicazione, in direzione nord-sud, fra due porte cittadine ben fortificate. Il foro, situato nel centro della città, ha una pianta quasi quadrata, e sul proprio lato occidentale ha accolto una grande chiesa. In altre parole vediamo inserito nella parte antica dell’abitato un edificio del nuovo culto, senza che la struttura precedente ne venga direttamente intaccata. Esempi analoghi si possono trovare sul territorio dell’Asia Minore, come Side, Perge, Efeso o nei Balcani, con Tessalonica, Stobi, Filippi, e Tebe di Tessaglia e altre ancora. Diverso è il caso di Caričin Grad (Città dell’imperatrice), che viene ricordata come città eretta nel primo periodo bizantino, in assenza di una precedente tradizione antica. La sua identificazione con la Iustiniana Prima ne consente una datazione precisa. Ne deriva la conclusione che questa città avesse una sua funzione specifica. Adattata alla configurazione del terreno, Caričin Grad possiede un’acropoli, la città bassa, e le consuete mura fortificate. Tuttavia è stato da tempo rilevato che questa città,

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TAVOLE A COLORI TAV. 1. Costantinopoli, Santa Sofia, veduta dall’esterno.

TAV. 6. Ravenna, Sant’Apollinare in Classe, l’interno.

TAV. 2. Ibidem, la navata centrale e l’abside.

TAV. 7. Ravenna, San Vitale, veduta d’assieme.

TAV. 3. Ibidem, la cupola.

TAV. 8. Ibidem, l’abside.

TAV. 4. Ibidem, particolare di un capitello.

TAV. 9. La chiesa costantinopolitana dei Santi Apostoli raffigurata nella miniatura dell’Ascensione e Pentecoste del manoscritto Par. gr. 120, f. 3v. Parigi, Bibliothèque Nationale.

TAV. 5. Costantinopoli, Santi Sergio e Bacco, l’interno.

TAVV. 10-11. Costantinopoli, chiesa di Sant’Irene, veduta laterale e navata centrale. TAV. 12. Filippi (Grecia), basilica “B”. TAV. 13. Gerasa (Giordania), veduta d’insieme delle rovine della città. TAV. 14. Sergiopoli (Rusafa, Siria), i resti della basilica “A”.

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la cui superficie non era certo ampia, possedeva parecchi edifici ecclesiastici. La superficie maggiore dell’acropoli è riservata alla cattedrale. Da qui la conclusione che questa città doveva la sua importanza soprattutto al fatto di essere un centro amministrativo ecclesiastico, nel quale esistevano, inoltre, anche gli edifici destinati alle funzioni generali della città. Se confrontata con alcune città molto più grandi dell’epoca, che presentano una continuità con una fase antica precedente, Caričin Grad, nel suo insieme, assomiglia ai nuclei cristiani del periodo paleobizantino, inseriti nelle rovine preesistenti. Va qui aggiunto, infatti, che il suo centro, subito sotto l’acropoli, che ormai da tempo indicato i ricercatori fanno coincidere con il foro, presenta una pianta circolare, segnata dalle tracce del cardo e del decumano, che si incontrano perpendicolarmente. La maggiore città del mondo bizantino, la capita-

le Costantinopoli, conservò la continuità della sua vita cittadina e, in certa misura, perfino nei tempi che solitamente vengono definiti oscuri, vale a dire dal VII al IX secolo. Anche Tessalonica riuscì a conservarsi. Per quanto di proporzioni notevolmente minori rispetto a Costantinopoli e più modesta nelle sue opere edilizie di maggior valore, nell’età di mezzo come nell’ultimo periodo bizantino, conservò la posizione di seconda città dell’Impero, particolarmente importante per la costante influenza esercitata sull’area balcanica, sotto ogni aspetto, compreso quello urbanistico. Considerato il suo ruolo predominante di capitale, e la continuità della sua esistenza fino all’inizio del XIII secolo, Costantinopoli, non solo è rimasta senza confronti sull’area compresa nella civiltà bizantina, bensì nel suo millenario perdurare si è mantenuta esempio e modello da imitare, in senso simbolico e reale, per tutti i centri

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30. Ravenna, San Vitale, pianta (secondo Gerola).

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31. Konjuh, pianta della rotonda (secondo S. Radojčić).

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cittadini delle province bizantine e nei paesi compresi nel «Commonwealth bizantino». Eretta in una posizione eccezionale tra l’Europa e l’Asia, sulla penisola che si protende verso il mar di Marmara, abbracciata sul lato nord-occidentale dal Corno d’oro, la città si sviluppa seguendo la configurazione del terreno, il cui rilievo, non essendo particolarmente incidentato, era adatto ad accogliere le componenti dello schema classico antico della città: l’acropoli e l’abitato sottostante. Queste le origini di Byzántion (324-330) che, per decisione di Costantino il Grande, diviene capitale del grande impero, assumendo perfino il nome del suo fondatore. La città presenta una grande espansione progressiva, dapprima entro le mura di Costantino e poi fino a quelle di Teodosio II. E proprio il modo in cui si sviluppò e le sue proporzioni eccezionali, come il numero dei suoi abitanti, all’apice del suo sviluppo, ne hanno determinato il particolare aspetto urbanistico. In realtà Costantinopoli non fu edificata secondo un determinato schema urbanistico; la sua struttura urbana, così specifica, ha influenzato, in certa misura, il resto del mondo. Gli elementi essenziali dell’originario abitato antico, pur nelle loro trasformazioni, si sono conservati durante lo sviluppo della città, la cui ulteriore espansione li ha in qualche modo ripetuti, così che l’insieme ha assunto una fisionomia che si sottrae a qualsiasi parallelismo.

La direzione di espansione e sviluppo del complesso cittadino della nuova capitale dell’Impero è determinata mediante parti che sorgono all’epoca del governo del suo nuovo fondatore. Nel cuore del centro, conservatosi dall’epoca antica, sorgono le chiese di Santa Sofia e Sant’Irene. Qui trovano poi posto anche il senato, con il Tetrastoon e la basilica. Le terme di Zeuxippo, l’ippodromo, il palazzo residenziale e il foro a pianta circolare, gli edifici pubblici più importanti. Alcune costruzioni hanno un’origine greco-ellenistica, altre invece si ispirano alle novità portate dalla civiltà romana, l’ippodromo, il foro, la cui forma, però, richiama le consuetudini del mondo ellenistico. La basilica e il Tetrastoon sono opere che rispecchiano l’ampia prassi antica di origine mediterranea. Sull’area di allargamento della città, ottenuta con la costruzione delle mura di Costantino, si evidenzia la formazione di due direttrici di comunicazione, reciprocamente perpendicolari, con il tetrapilo collocato nel luogo d’intersezione, di modo che vi riconosciamo la corrispondenza col noto schema cardo-decumano. Segue poi una lunga via di comunicazione nella direzione dell’occidente, verso il rilievo, noto in seguito con la denominazione di Blacherne. La seconda direzione era rivolta verso sud, verso l’accesso principale alla città, dall’interno, dove in seguito sarebbe stata edificata la «Porta d’oro». Gli approdi vengono collocati nelle sponde allungate

32. Costantinopoli, pianta della città (secondo C. Mango). 1 Madre di Dio delle Blacherne; 2 Palazzo delle Blacherne; 3 Palazzo di Porfirogenito; 4 San Salvatore in Chora; 5 Porta Carisia; 6 Cisterna Karagürmük; 7 Cisterna di Ezio; 8 Madre di Dio Pammakaristos; 9 Cisterna di Aspar; 10 Porta di San Romano; 11 Cisterna di San Mocio; 12 Sant’Andrea in Crisi; 13 Madre di Dio Perivlepta; 14 Santi Carpos e Papylos; 15 San Giovanni di Studio; 16 Porta d’oro; 17 Monastero di Costantino Lips; 18 Foro di Arcadio; 19 Santi Apostoli; 20 Colonna di Marciano; 21 Forum Bovis; 22 Cristo Pantepopte; 23 Cristo Pantocratore; 24 Acquedotto di Valente; 25 San Polieucto; 26 San Teodoro; 27 Kalenderhane Cami (chiesa della Madre di Dio Kyriotissa?); 28 Philadelphion; 29 Myrelaion; 30 Tetrapylon; 31 Forum Tauri; 32 Arap Cami; 33 Foro di Costantino; 34 Santi Sergio e Bacco; 35 Cisterna Bin bir direk; 36 Sant’Eufemia; 37 Ippodromo; 38 Bucoleon; 39 Basilica; 40 Milion; 41 Madre di Dio Chalkoprateia; 42 Sant’Irene; 43 San Giorgio delle Mangane; 44 Santa Sofia; 45 Augustaion; 46 Senato; 47 Chalke; 48 Terme di Zeuxippo; 49 Gran palazzo; 50 Nea Ekklesia.

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della penisola, sul mar di Marmara e sul Corno d’oro. All’interno del suo complesso definitivo la città riceve ancora due fori, quello di Teodosio e quello di Arcadio, nuove cisterne, granai, terme e, con l’ampliamento della superficie urbana, cresce anche il numero degli edifici pubblici, a cui vanno aggiunte anche le chiese. All’epoca del suo massimo splendore, sotto Giustiniano, la città era una vera e propria metropoli per estensione urbana, numero degli abitanti, delle case, dei palazzi pubblici e privati, delle chiese e delle piazze. Questa enorme concentrazione urbana, per la sua posizione eccezionale, con i suoi porti e un grande movimento di persone e di beni vari, agli occhi e nella fantasia dei suoi contemporanei era un insediamento umano unico nel suo genere, una specie di centro del mondo. Per quali suoi caratteri la città di Costantino costituiva un modello per tutti quelli che desideravano costruire le loro città, capitali o metropoli? Dalle annotazioni di tutti coloro che ebbero occasione di visitare la capitale bizantina si deduce che essi venivano impressionati soprattutto dalle grandi dimensioni e dall’immensa ricchezza della città. Già alcune centinaia di migliaia di abitanti, senza necessariamente arrivare al milione, costituivano proporzioni fantasmagoriche per il mondo medievale. Analoga era l’influenza prodotta dalle immagini di ricchezza legate alla gente, alle merci per le strade, all’aspetto dei palazzi,

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delle chiese, nelle quali i fedeli cristiani ammiravano le innumerevoli reliquie conservate nel loro interno. Del tutto particolari erano le emozioni suscitate dagli immensi edifici della capitale bizantina. La chiesa di corte e la cattedrale dell’Impero bizantino, Santa Sofia, offriva al visitatore di ogni epoca posteriore la medesima immagine di forza dell’ingegno edilizio, artistico e spirituale che era stato descritto da Procopio, quando il tempio era stato appena completato. Ricorderemo che un’impressione analoga suscitò la grande chiesa di Giustiniano anche nel conquistatore di Costantinopoli, Maometto II Fatih. Non è un caso che le moschee maggiori e più rappresentative dell’architettura ottomana a Costantinopoli, nel senso costruttivo come in quello spaziale, sono repliche, mille anni più giovani, di Santa Sofia, con cui non possono misurarsi nel suo punto nevralgico, nel diametro della cupola. Il grande complesso della residenza imperiale, eretto sulla sponda del mar di Marmara, finché si mantenne intatto, con i suoi edifici di varie forme e ricchi ornamenti era di per sé una meraviglia. Possiamo immaginare l’ammirazione che nei visitatori suscitavano i quartieri della città e le loro vie con i palazzi e i giardini, poi le numerose chiese e i monasteri, le piazze e i monumenti pubblici. Del tutto specifico era l’effetto prodotto allora, e anche a tutt’oggi, dalle mura costantinopolitane, con la loro serie interminabile di cupole. Fino a tempi recen-

33. Iustiniana Prima (Caričin Grad, Serbia), pianta della città (secondo Mano-Zisi).

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ti – prima degli interventi degli urbanisti moderni di Costantinopoli – la cinta muraria di Teodosio, rivolta verso il continente, nella sua complessa articolazione, creava l’impressione di una grande opera dell’architettura monumentale della tarda antichità, con l’accento particolare conferitogli dalla famosa Porta d’oro. Nel mondo bizantino del periodo medio e tardo le città sorgevano sui resti delle città antiche oppure in località prive di precedenti fondazioni, per le esigenze della strategia politica, economica e militare, divenendo col tempo abitati dal profilo cittadino, d’importanza diversa. Sebbene i corsi di sviluppo delle città nelle province bizantine non coincidessero con quelli che ne caratterizzavano l’evoluzione nei paesi compresi nell’area culturale bizantina, le componenti essenziali erano per lo più analoghe. La struttura fisica delle città era quella che più o meno veniva tramandata dalla tradizione. Di norma, un’area limitata corrispondeva a una determinata configurazione del terreno: la parte elevata (l’acropoli di un tempo) e l’abitato sotto la sua protezione. Tuttavia, non troviamo mai trascurato il principio del significato strategico dell’area ristretta. L’invasione turca – che ebbe certamente caratteri catastrofici per il mondo bizanti-

no – troncò il possibile e probabile sviluppo delle città. È ben noto l’influsso generale che le città suscitano sul proprio territorio e sul proprio paese: trascurando il significato dei centri amministrativi di un qualsiasi tipo, ricorderemo le città sedi di commerci, mestieri, istituzioni culturali e spirituali. Sono questi i contenuti noti fin dal primo periodo dell’età bizantina. Il costume di guardare al modello fornito dalla capitale bizantina per la costruzione di città destinate a essere centri amministrativi e religiosi, aveva un suo contenuto simbolico. L’esempio più illustrativo è dato da Kiev, capitale della Russia cristianizzata. La chiesa centrale è dedicata a Santa Sofia e nel suo progetto originario doveva avere determinati elementi della cattedrale di Costantinopoli. La corte del principe, vale a dire il palazzo residenziale, si appoggiava alla chiesa cattedrale. La città era fortificata e alla sua strada principale si arrivava passando per la «Porta d’oro». Su questa traccia potremmo affrontare l’ampio tema del significato che nel Medioevo aveva l’uso dei grandi modelli. Si tratta, in sostanza, dell’effetto mediato, ideale e insieme ideologico esercitato dai centri che nella coscienza della gente occupavano un rango superiore.

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Capitolo secondo

Il rinnovo dell’edilizia e dell’attività artistica dopo la grande crisi

Di particolare interesse è la costruzione della chiesa di Santa Sofia a Tessalonica, giacché si tratta della massima impresa edilizia in un’epoca di generale ristagno nel mondo bizantino. Quest’opera occupa uno dei punti chiave nello sviluppo della cupola bizantina dei templi a pianta centrale. L’ideatore del progetto e l’architetto incorporarono gli elementi essenziali della Santa Sofia costantinopolitana, pur con le trasformazioni operate, e nella riduzione delle misure, rimanendo ancora nei termini delle grandi proporzioni. Eppure la pura comparazione diretta fra le due costruzioni non darebbe la vera immagine del rapporto in cui l’edificio più recente si pone nei confronti di quello più antico. Tuttavia, l’idea fondamentale applicata per la chiesa di Tessalonica contiene i parametri essenziali della cattedrale costantinopolitana. La grande cupola al centro dello spazio, appoggiata alla complessa articolazione della struttura inferiore, in cui si distin-

La provincia bizantina L’espansione bizantina nella II metà del IX secolo costituì uno stimolo poderoso per l’attività edilizia e artistica in generale. Molte sono le opere che vedono la luce nella capitale come nelle province bizantine. Fu questo l’inizio del cosiddetto periodo di mezzo dell’architettura e dell’arte bizantina. Una caratteristica particolare di questo periodo deriva dalla circostanza che nel mondo spirituale e artistico dell’epoca si inseriscono i popoli slavi cristianizzati, i bulgari, i serbi e i russi. Negli Stati slavi le basi dell’attività creativa erano bizantine. In tale cornice si svolgono i corsi edilizi e artistici dei popoli slavi, che assumono caratteri specifici in accordo con le circostanze particolari in ciascuno degli ambienti ricordati. Per numero, proporzioni e valori generali delle opere realizzate l’architettura del periodo medio-bizantino rispecchia un certo risveglio. Infatti il periodo precedente, durato più di due secoli, noto come epoca di crisi generale dello Stato bizantino, viene comunemente definito periodo «oscuro». Di esso rimane un piccolo numero di opere, che possono essere datate soltanto approssimativamente. Alle stesse si fa riferimento, nella storia dell’architettura bizantina, quando si vuole ricostruire la continuità di fondo nel programma, nella costruzione e nelle forme. L’architettura si mantiene fedele alla tradizione del grande periodo precedente, il VI secolo. I cambiamenti parzialmente intervenuti, specie nelle strutture, annunciano nuove soluzioni che diventeranno carattere precipuo del rinnovamento del IX secolo. Le opere di maggiore valore si distinguono nell’ambito dell’architettura sacra, costante, questa, che accompagna l’intera storia dell’edilizia bizantina. Per quest’epoca non abbiamo informazioni sull’architettura della capitale bizantina. L’architettura monumentale di Costantinopoli dei tempi «oscuri» non ha storia. Pertanto, volendo ricostruire nelle sue linee generali l’attività edilizia bizantina dell’epoca, dobbiamo fare riferimento esclusivamente alle opere sorte a Tessalonica, seconda città dell’Impero, e nelle province.

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34. Tessalonica, Santa Sofia, pianta (secondo Diehl, Le Tourneau, Saladin).

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guono, per i loro volumi accentuati, i due archi allargati, orientale e occidentale sotto la cupola, le navate laterali e il nartece al piano terra, e le gallerie collocate sulle navate laterali e sul nartece. La riduzione della pianta della Santa Sofia costantinopolitana alle dimensioni di quella tessalonicese, consente di cogliere molto bene la natura delle trasformazioni del modello. I due archi accresciuti, orientale e occidentale, della chiesa più recente hanno sostituito le due semicalotte presenti nelle medesime posizioni nel modello costantinopolitano, causando l’eliminazione delle nicchie, o esedre, laterali. Gli appoggi della cupola sulle pareti laterali presentano una trasformazione in cui i massicci appoggi del modello, combinati con gli altrettanto poderosi contrafforti delle navate laterali, sono stati sostituiti da una più libera struttura dei quattro pilastri angolari sottostanti la cupola, alleggerita dalle leggiadre aperture operate in entrambe le direzioni. Quanto agli spazi delle navate laterali, come del nartece e delle gallerie che li sovrastano, si potrebbe parlare soltanto dei dettagli della costruzione superio-

re. Va rilevato che la Santa Sofia tessalonicese s’impone all’attenzione come impresa edilizia straordinaria. Il diametro della sua cupola rimarrà insuperato nell’architettura bizantina dei secoli successivi. Eppure la chiesa fu costruita in epoca di modeste disponibilità sotto ogni punto di vista. La sua stessa esistenza dimostra che nei centri bizantini più importanti le tradizioni edilizie mantennero un alto livello di qualità anche in un periodo notevolmente posteriore alla splendida fase dell’arte paleobizantina. Santa Sofia, in tutti i suoi elementi essenziali, continua l’achitettura costantinopolitana. Lo spazio dell’altare articolato, il naos sotto la grande cupola, le gallerie che lo scandiscono, ripetono in proporzioni minori, ma pur sempre considerevoli, gli ambienti caratteristici della chiesa cattedrale costantinopolitana. Evidentemente questa era stata l’intenzione del committente. Santa Sofia è chiesa metropolitica. Il lavoro delle botteghe costantinopolitane si riconosce nei dettagli, quali sono, ad esempio, la costruzione dei muri con pietre squadrate

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alternate a file di mattoni. Se ne deduce che nella capitale bizantina, nonostante la crisi politica ed economica generale, si conservarono il mestiere e il sapere necessari per il compimento di cospicue imprese edili, come la progettazione e la costruzione della chiesa metropolitica di Tessalonica. La costruzione di questa cattedrale consente di passare in rassegna alcune altre chiese del territorio bizantino, che, pur esprimendone varianti, s’ispirano al modello della basilica con la cupola e appartengono alla medesima epoca. Potrebbero essere comprese nel tipo di Sant’Irene costantinopolitana. Pensiamo alle chiese dell’Asia Minore: San Clemente di Ankara, San Nicola di Myra, la chiesa di Dere Aǧzi e la chiesa della Dormizione della Madre di Dio di Nicea, Santa Sofia di Vize (Tracia), e San Tito a Gortina (Creta), anche se gli studiosi non sono concordi nel determinare l’epoca della loro costruzione. La distrutta chiesa di San Clemente di Ankara, nota da antiche testimonianze letterarie, era una costruzione di proporzioni ridotte, con una pianta quadrangolare, il nartece ben definito e lo spazio dell’altare tripartito, con una cupola nel mezzo e le gallerie sopra il nartece e sulle pareti laterali. La bassa cupola, senza tamburo, poggiava su quattro poderosi pilastri angolari. Era costruita in mattoni. Viene datata fra la fine del VI e l’inizio del VII secolo. La chiesa di San Nicola a Myra (Licia) rimase una famosa meta di pellegrinaggi anche all’epoca successiva al trasferimento delle reliquie del santo a Bari, nel 1087. Non si sa quando sia stata costruita, ma ha sicuramente subìto rifacimenti (nei secoli IX, XI, XII; è stata rinnovata nel 1862). Sebbene non ne conosciamo esattamente l’aspetto originario, è certo che fosse stata costruita come basilica a tre navate con una cupola centrale, con piedrit-

ti angolari di muratura e gallerie laterali sui pilastri. La grande abside, in corrispondenza della navata centrale, conservava il synthronon, sotto il quale c’era un passaggio semicircolare, e resti di un ambone. Alla chiesa furono successivamente annesse altre costruzioni. Potrebbe risalire alla fine del VI secolo. Sulla funzione e l’epoca di costruzione della chiesa di Dere Aǧzi (Licia) non abbiamo notizie. Fu costruita come basilica a tre navate, di grandi proporzioni con la cupola sopra la navata centrale. La cupola aveva un grande diametro (8 metri). Sopra le navate laterali e il nartece si svolgevano le gallerie a cui conducevano le scale delle due torri addossate ai muri laterali del nartece. Davanti al nartece, sembra esistesse un portico. Non è stata chiarita la funzione degli edifici annessi, a base poligonale, con absidi sul lato orientale. La chiesa fu costruita con materiali misti con strati livellanti, di alcune file di mattoni, nelle zone critiche della struttura. I resti rivelano che la chiesa possedeva ricchi ornamenti. Considerata la concezione dello spazio che esprime, potrebbe essere datata alla fase terminale della grande crisi dell’Impero. La chiesa della Dormizione della Madre di Dio di Nicea, anch’essa distrutta, e nota dalle fonti letterarie antiche, aveva una pianta rettangolare con lo spazio articolato del bema e il nartece. Al centro era sovrastata dalla cupola, al culmine di un alzato in cui si aprivano archi sostenuti da quattro forti pilastri. Come richiedeva questa struttura caratteristica, sul piano elevato delle pareti laterali si svolgevano le gallerie. Non abbiamo un’immagine precisa dell’aspetto originario della chiesa. Dopo il terremoto della metà dell’XI secolo venne restaurata. Sulla base delle conoscenze disponibili, la chiesa viene datata alla fine del VI secolo. Santa Sofia di Vize (Tracia) fu probabilmente eretta come chiesa cattedrale. Cronologicamente viene collocata nel IX secolo. È una basilica a tre navate con una cupola di sedici lati sovrastante la parte centrale del naos. Le gallerie ornano le pareti laterali e il nartece. Costruita in pietra la chiesa ha un aspetto rustico, eppure nella concezione dello spazio e nel modellamento delle superfici della facciata, come dalla soluzione semplificata, si riconoscono le concezioni dell’architettura della capitale. Le costruzioni precedentemente ricordate, hanno in comune alcuni elementi essenziali: la basilica, per la concezione fondamentale dello spazio, le gallerie delle navate settentrionale e meridionale e del nartece, l’alzato in muratura, sormontato dalla cupola centrale. Evidentemente furono costruite sul modello e con le esperienze acquisite attraverso le opere più importanti dell’architettura costantinopolitana dell’epoca giustinianea: Santa Sofia e Sant’Irene. Le misure modeste, se rapportate al modello di Santa Sofia, consentirono lo sviluppo della loro struttura inferiore. Così al posto dei forti contrafforti a due ordini della Santa Sofia di Costantinopoli, oppure delle ristrette navate laterali di Sant’Irene, vengono introdotti i forti piedritti a tutto volume ai quattro angoli della costruzione sottostante la cupola. Va però precisato che ciascuno di questi edifici corrisponde a una soluzione particolare e questo fa pensare che non dipendano da un’unica bottega edilizia e che anzi, con tutta probabilità, non siano da collocare nell’arco di tempo di un’unica generazione di costruttori. Per dimensioni vanno classificate fra le grandi chiese. L’articolazione del loro spazio interno, e

39. Myra (oggi Demre, Turchia), San Nicola, frammenti della decorazione architettonica. A fronte: 35. Ankara, San Clemente, assonometria (secondo G. De Jerphanion). 36 e 37. Nicea (Iznik), Dormizione della Madre di Dio, sezione trasversale e pianta (secondo Schmidt). 38. Dere Aǧzi (Turchia), pianta della chiesa (secondo Rott).

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la presenza delle gallerie, fa pensare a chiese a cui era associata una funzione pubblica. Questa circostanza potrebbe contribuire a spiegare il tema proposto all’inizio. Innanzitutto, la costruzione di chiese maggiori, sedi episcopali in territori bizantini, ha uno scopo pratico, in tempi di ristrettezze. Anche, o soprattutto in quelle situazioni, si rendeva necessario abilitare al pieno funzionamento determinati centri delle diocesi. In secondo luogo, la concezione analoga dello schema ideale di queste chiese si capisce se collegata alla funzione delle medesime. Queste componenti essenziali dipendono dai personaggi ai vertici della gerarchia ecclesiastica bizantina. E, va aggiunto, costantinopolitana. È da credere, dunque, che in questi edifici si intenda riprodurre la concezione spaziale espressa nella cattedrale in tutto il mondo bizantino. Potevano, pertanto, queste chiese, essere piccole Sante Sofie destinate ai centri episcopali. Tuttavia, della chiesa di Dere Aǧzi non è documentata tale funzione. È stata formulata l’ipotesi che fosse centro di qualche culto importante. D’altra parte, non possiamo neppure escludere che rientrasse negli schemi delineati. Per concludere, se l’idea, o in termini moderni, il progetto ideale, proveniva dai centri della gerarchia ecclesiastica bizantina, la capitale bizantina continua a svolgere un ruolo guida nell’architettura, i cui andamenti sono caratterizzati da opere modeste e limitate, che, d’altronde, perpetrano l’idea della chiesa basilicale con la cupola centrale, la quale si sviluppa in senso strutturale, per divenire saldo presupposto alla concezione che abbiamo definito del tipo completo della croce iscritta con la cupola. Costretti come siamo a cercare di descrivere quanto avvenisse in tempi dei quali ci sono pervenute poche e modeste informazioni, pensiamo sia opportuno concentrare la nostra attenzione su due edifici ben noti e precisamente datati, sul territorio della Grecia. Sorsero entrambi all’epoca del rinnovo bizantino, ma per il loro aspetto generale, sono opere che rispecchiano l’epoca del generale decadimento delle capacità materiali e arti-

gianali. Anzi, in base alle concezioni edilizie rispondono a un’epoca di evidenti ricerche di nuove soluzioni fra lo splendido periodo paleobizantino, con le sue opere, compiute sotto tutti gli aspetti, e gli andamenti e le opere edilizie caratteristiche del periodo di mezzo e del tardo periodo bizantino. Sebbene ormai l’Impero vada ricostituendo il proprio potere sulle province, che precedentemente erano state perdute, l’epoca del rinnovamento, come si può ben capire, non poté a lungo distinguersi da almeno i due secoli precedenti; le ristrettezze materiali erano condizioni imprescindibili. Il primo monumento a cui ci riferiamo è la chiesa di Sant’Andrea a Peristerai, nel territorio di Tessalonica. Fu costruita come chiesa monastica nell’870-71, per mano di sant’Eutimio il Nuovo, nato a Galazia in Asia Minore. Costruzione rozza, come si vede anche a prima vista, e probabilmente più volte restaurata, esprime un’idea architettonica assai chiara. Nella sua concezione fondamentale, osservata nella caratteristica proiezione orizzontale e nelle corrispondenti sezioni verticali, appare in tutta evidenza l’idea del committente e dell’architetto a cui venne affidata l’esecuzione del progetto. Se si trascurano il materiale e la tecnica edilizia, rimangono da considerare la piena simmetria e il ritmo regolare di tutte le parti. È chiaro che anche gli elementi di spoglio furono scelti accuratamente: i quattro steli di colonne e le parti che li completano sono in tutto identici. La prima questione che si pone è quella dell’origine dell’idea. L’evidente geometrismo, che ci potrebbe far pensare che in esso consista l’idea fondamentale, rimanda all’architettura armena, tuttavia propendiamo a vedere altro in questa chiesa di Peristerai. La concezione che esprime la croce libera, con una preminente parte mediana e le cupole che sovrastano ciascuno dei bracci, si può intendere come riproduzione sintetizzata dell’idea espressa negli Apostoli di Costantinopoli. Essendo uno dei rari monumenti di grandi dimensioni del suo tempo, la chiesa della Madre di Dio di Skripou vicino a Orchomenos è da tempo oggetto di una parti-

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40. Skripou (presso Orchomenos, Grecia), chiesa della Madre di Dio, pianta (secondo M. Sotiriou). A fronte: 41. Ibidem, chiesa della Madre di Dio, particolare dell’abside.

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colare attenzione nella storia dell’architettura. Costruita nell’873-74 come fondazione di Leone, alto funzionario dell’Impero, per la sua concezione generale si è trovata fra le soluzioni tipiche del primo periodo e di quello di mezzo. La sua caratterizzazione più semplice sarebbe: basilica voltata, a tre navate, con cupola nel mezzo. Va, inoltre, aggiunto che la chiesa ha il consueto spazio dell’altare tripartito e il nartece. Considerata nei suoi volumi, questa chiesa presenta la particolarità delle navate laterali notevolmente più elevate di quella centrale, mentre la navata trasversale è stata costruita in modo da sporgere rispetto alle pareti laterali del naos, così l’insieme ha la forma della croce libera, con una cupola al centro, inserita in una basilica a tre navate. E proprio queste caratteristiche edilizie ne contrassegnano la posizione nell’architettura bizantina delle province agli inizi dell’età di mezzo. In altre parole Skripou si trova tra la basilica e la chiesa a croce iscritta con la cupola. Costruita nella provincia lontana, prodotto di un mestiere modesto, tranne che per la decorazione a rilievo nella pietra, non può essere vista come opera che potesse occupare un posto chiave nello sviluppo dell’architettura bizantina, ma va tenuta in considerazione come realizzazione che testimonia dello sviluppo caratteristico dell’architettura bizantina, delle tappe di sviluppo dell’architettura bizantina. In parole più semplici, date le disponibilità dell’ambiente, a Costantinopoli era possibile seguire la via che comunemente denominiamo sperimentale, il che significa costruire nella forma artigianale più avanzata. Un’opera provinciale, dunque, come poteva essere Skripou, progettata con grosse ambizioni, riesce a coinvolgere uno spazio relativamente vasto, con una cupola nel mezzo, come elemento ormai scontato, per quanto arcaicizzante nella sua soluzione, pure indica chiaramente la direzione presa dall’architettura bizantina. Volendone indicare i caratteri salienti, potremmo elencare quanto segue: basilica, chiesa cruciforme, croce iscritta con la cupola, spazio normalmente sviluppato dell’edificio di culto, che contempla tutte le parti necessarie dello spazio. La descrizione di Skripou si colloca opportunamente nel contesto di valutazioni per linee generali dell’architettura bizantina. Ad essa si ricollegano

tutte le soluzioni analoghe. Nell’ambito di quest’ampia cerchia tipologica intessuta attorno a Skripou, ci prendiamo la libertà di mettere in particolare rilievo i complessi che possono essere ricondotti storicamente alla chiesa di Orchomenos. Quanto alla tipologia, ci pare particolarmente opportuno prendere in considerazione le opere architettoniche dalle quali, fino all’epoca dell’architettura dei Comneni, si può dedurre un medesimo pensiero, vale a dire la costruzione di edifici di grandi dimensioni, sormontati da una cupola nel mezzo, che rispondano al soddisfacimento di due esigenze: realizzare la cosiddetta soluzione cruciforme e cupolata in un edificio di culto, che per le sue dimensioni abbia i caratteri dell’architettura solenne, adatta alla celebrazione della liturgia in tutta la sua ampiezza e cerimonialità. Di Skripou si può ancora rilevare che il disegno architettonico è ben concepito ed eseguito con perizia. Anche questa costruzione si erge a confermare che in epoca di modeste possibilità materiali, e di imprese edilizie tutt’altro che sontuose, anche dal punto di vista artigianale, nei principali centri bizantini si esprimeva una solida conoscenza della geometria. Un’analoga idea dello spazio e della struttura è presente nella chiesa di San Giovanni di Mesembria. Con la chiesa della Madre di Dio di Orchomenos, San Giovanni ha in comune il naos a tre navate con i muri divisori tra la nave di mezzo e quelle laterali, intersecato al centro da una volta trasversale a semibotte per consentire la costruzione di una struttura adatta a collocarvi la cupola. La somiglianza fra le due costruzioni consiste anche nei massicci muri di pietra non lavorata. La differenza nella concezione spaziale è data dal fatto che in San Giovanni manca il nartece, almeno a giudicare dalla situazione attuale dell’edificio. Quanto alle forme, in San Giovanni non compaiono all’esterno i muri laterali della navata trasversale. Nell’alzato tutto coincide e sulle tre facciate le lesene stanno a indicare gli elementi principali della struttura interna. Un gruppo particolare di monumenti sorti all’epoca della crisi generale dell’Impero è dato da chiese di dimensioni modeste, con una pianta assai vicina al quadrato, con la cupola al centro, sostenuta da quattro colonne. Si tratta di edifici della Bitinia, nella parte occidentale dell’Asia Minore, in cui si riconosce immediatamente il ben noto tipo della «croce iscritta con la cupola» dell’epoca posteriore. Alcuni di questi monumenti si collocano alla fine dell’VIII secolo. Si tratta della moschea Fatah, Pelekete, Kurşunlu e altre. Le caratterizzano le quattro colonne collocate nel punto d’incrocio di due volte a semibotte, con la cupola nel mezzo. Sebbene sia comprensibile l’attenzione che nella letteratura più recente viene riservata alle chiese della Bitinia, non sembra credibile che il passo decisivo verso la formazione della croce iscritta con la cupola nel mezzo potesse essere compiuto nella modesta architettura della Bitinia. Più precisamente, se anche sono sorti qui i monumenti che rappresentavano un ulteriore passo nello sviluppo dell’architettura bizantina incentrata sulla cupola, è da escludere che possa essere accaduto senza la partecipazione e la conoscenza delle maestranze della capitale. Che quanto ci è dato di vedere in Bitinia dovesse essere collegato direttamente con le concezioni, o con le costruzioni realizzate a Costan-

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tinopoli, lo dice il fatto che le personalità di spicco del mondo monastico che si menzionano in relazione con la costruzione delle chiese della Bitinia, erano eminenti cittadini della capitale bizantina, che in Bitinia soggiornavano come esiliati da Costantinopoli. La novità nella struttura è data dalla comparsa delle colonne su cui poggia direttamente la costruzione della cupola. Gli esperti costruttori, probabilmente costantinopolitani, poterono operare in questo modo date le ridotte dimensioni degli edifici cupolati, con diametri modesti. Inoltre, in momenti di ristrettezze materiali era molto più semplice usare colonne in pietra, di spoglio, che si potevano trovare in buon numero.

che si discostano dagli andamenti in auge a Costantinopoli, volendo spiegare i corsi dell’architettura bizantina, il punto di partenza non può essere che la natura degli eventi in atto a Costantinopoli. I valori permanenti dell’architettura di Costantinopoli non consistono tanto nello stile quanto nelle idee su cui si basano le concezioni dello spazio, della costruzione, e in parte anche l’armonia delle forme. Queste idee o vengono da Costantinopoli o sono corsi culturali in atto, vivi e pulsanti o si basano sulla tradizione conservata nella città imperiale. In questa metropoli era raccolto quanto di meglio avesse creato l’architettura bizantina. Le opere di maggior valore erano le forme eccelse dell’intero mondo bizantino e, a lungo, lo furono anche per l’intero mondo culturale. Esse si imponevano all’attenzione perché avevano determinate funzioni nella vita pubblica, ecclesiastica e culturale. La cattedrale di Costantinopoli, Santa Sofia, è rimasta fino all’ultimo una delle opere più importanti del mondo cristiano in generale. Questo fatto è importante per comprendere i fenomeni periferici in cui sono evidenti le influenze bizantine. Se è comprensibile che le novità venissero accolte anche in altri ambienti, non deve stupire che conservassero intatta tutta la loro forza suggestiva anche opere di epoche precedenti, data l’importanza delle funzioni pubbliche, civili e religiose, loro affidate nella vita della metropoli. Pertanto gli schemi fondamentali di tali costruzioni conservano la loro «mo-

Costantinopoli: fonte delle idee e movimenti Il ruolo di Costantinopoli nello sviluppo dell’architettura monumentale rappresenta uno dei fenomeni di cui bisogna tener conto durante lo studio dell’edilizia bizantina, dall’inizio alla fine. Per le sue esperienze artistiche, come per quelle edilizie, Costantinopoli era la fonte delle idee o dei movimenti che segnavano nelle loro caratteristiche fondamentali anche l’architettura delle province bizantine e delle aree comprese nel mondo culturale bizantino. Sia per i periodi di uniformità stilistica come per quelli in cui la provincia si esprime in modi

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42. Prčanj, San Tommaso, pianta (secondo V. Korać). 43. Side (Turchia), pianta della chiesa EE (secondo Buchwald). 44. Ibidem, pianta della chiesa AA (secondo Buchwald). A fronte: 45-46. Costantinopoli, monastero di Costantino Lips (Fenari Isa Cami), pianta delle chiese (secondo Megaw); finestre del muro nord della chiesa settentrionale.

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La parte principale dello spazio della chiesa di Costantino Lips consiste nel naos a pianta quadrata con la cupola nel mezzo, collocata su quattro colonne. Nell’alzato sono contenuti tutti gli elementi che si ritengono caratteristici dell’architettura della capitale. I bracci della croce iscritta sono posti in chiara evidenza. Uguali nelle misure, sono completati dalle volte a semibotte, collocate nel modo adeguato lungo i due assi del quadrato. Le colonne che portano la cupola e la struttura immediatamente sottostante sono collegate con le pareti mediante archi a tutto sesto, in sostanza con i pilastri in muratura disposti sul perimetro della pianta del naos. Negli angoli del naos sono state costruite le volte a croce a base quadrata. Bisogna rilevare immediatamente che nella concezione della pianta risulta rispettato un ordine rigorosamente geometrico: la base della cupola è un quadrato, collocato esattamente nel centro dello spazio, la pianta quadrata si ripete nelle campate angolari e il naos, nel suo insieme, è a sua volta un quadrato. La cupola è costruita sui pennacchi, mentre il tamburo, all’interno circolare, all’esterno ha forma ottagonale. La costruzione è voltata nel modo consueto con una semicalotta regolare. Lo spazio dell’altare ha una forma articolata, determinata da una campata completata da una volta a semibotte allungata davanti all’abside principale e ai vani separati del proscomidio e del diakonikon. Questi due spazi sono simmetrici. Entrambi si aprono con passaggi uguali sul naos come verso la parte mediana dell’altare. Ciascuno di questi spazi è sovrastato al centro da una volta a croce sempre a imposta quadrata ed è ampliato da una nicchia laterale semicircolare. Anche sul lato occidentale si sviluppano nicchie semicircolari, come su quello orientale, davanti alle absidi semicircolari. Le nicchie semicircolari nei vani del bema diventeranno una delle caratteristiche precipue dell’architettura di Costantinopoli. Tutte e tre le absidi della

dernità» tanto da influire sui corsi artistici dei paesi inclusi nella sfera culturale bizantina. D’altra parte, gli influssi della capitale non sono sempre visibili direttamente. Talvolta essi si trovano nelle complesse trasformazioni delle soluzioni spaziali e costruttive, che tendiamo a interpretare come varianti provinciali dell’architettura bizantina. Tali soluzioni si possono cercare e seguire anche nelle opere rappresentative, per quanto modeste, sorte fuori da Costantinopoli. Le incertezze attorno alla questione relative a come sia sorto il tipo caratteristico dell’epoca medio-bizantina della chiesa a croce iscritta con la cupola sui sostegni liberi, derivano dal fatto che, all’inizio del X secolo, compaiono nella capitale bizantina due ben note costruzioni in cui questa soluzione caratteristica viene realizzata nella forma, per così dire, completa, a tal punto chiaramente elaborata sotto il profilo dello spazio, della struttura e dei dettagli da potersi imporre come base dell’ulteriore sviluppo dell’architettura bizantina. La chiesa settentrionale del monastero di Costantino Lips (Fenari Isa Cami), del 907, e il Myrelaion (Bodrum Cami), del 920, esprimono appunto la fase conclusiva della croce iscritta con la cupola. Fra di loro si distinguono soltanto per lo schema dello spazio e per la struttura. Tuttavia, anche se si tratta di due costruzioni di proporzioni non grandi, sui singoli elementi della loro architettura si legge, in sostanza, l’esperienza consumata di una lunga tradizione edilizia. Molti particolari di entrambi gli edifici sono stati realizzati con perizia, con l’evidente impiego di un grande sapere e di buon mestiere sotto ogni punto di vista, dalla tecnica muraria fino ai dettagli costruttivi e alle forme delle aperture, delle superfici e dei volumi. Quello che si può rilevare dalla lettura di questi due grandi monumenti costantinopolitani è quasi il paradigma delle realizzazioni più valide nell’architettura bizantina.

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chiesa hanno, all’esterno della pianta, forma trilatera. Davanti al naos, sul lato occidentale, si trova il nartece, la cui lunghezza corrisponde all’incirca a un terzo del lato del quadrato del naos. Il nartece, nell’alzato, segue la concezione tripartita fondamentale dello spazio della costruzione; la copertura è data da tre volte a croce, separate al centro da lunghi archi a tutto sesto, mentre sulle pareti laterali si trovano nicchie a semicerchio. Anche le aperture dell’edificio sono parte della ben congegnata concezione dell’insieme. L’entrata nel nartece si trova al centro del muro occidentale. Le due porte laterali furono forse aperte durante l’aggiunta posteriore dell’esonartece. Fra il nartece e il naos si aprono tre portali disposti simmetricamente. La posizione delle finestre rispecchia la logica di tutto l’edificio. Per la loro costruzione e le dimensioni rispetto alle misure dell’edificio costituiscono una delle grandi novità dell’architettura bizantina. A questo proposito si distinguono le finestre principali, al centro delle pareti laterali del naos e nell’abside principale. Si tratta di grandi superfici in vetro che creano l’impressione di una soluzione trasparente delle facciate principali dell’edificio, con la mag-

gior percentuale possibile di superfici di vetro nell’ambito della struttura esistente. La galleria si è conservata soltanto sopra il nartece; agli angoli del primo piano erano collocate quattro cappelle che probabilmente avevano ciascuna un suo altare e forse sopra ciascuno di essi si elevava una cupola. L’accesso alla galleria del primo piano avveniva mediante la scala della torre che si erge sul lato meridionale del nartece. Poco tempo dopo la costruzione della chiesa della Madre di Dio di Costantino Lips venne eretta la chiesa monastica nota col nome di Myrelaion (Bodrum Cami). Fu costruita accanto al palazzo dell’ammiraglio Romano Lecapeno, che nel 920 divenne imperatore bizantino, mentre la chiesa con la residenza che era ad essa collegata venne trasformata in monastero. L’edificio ha due piani e fu costruito su una sottostruttura, la cui distribuzione fu adattata a quella ideata per il tempio. L’edificio a due piani risponde al desiderio di adeguarlo alla residenza del committente, eretta sopra i resti di un’antica rotonda. In base alla ricostruzione ideale dell’insieme, resa possibile dalle ricerche archeologiche, attorno alla chiesa era stata

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47-49. Costantinopoli, Myrelaion (Bodrum Cami), veduta dell’esterno da nord-ovest; interno della cupola e di parte della costruzione sottostante; pianta (secondo A. van Millingen). A fronte: 50. Tessalonica, Madre di Dio dei Calderai (Panagia ton Chalkeon), pianta.

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costruita una piattaforma al cui livello sorgeva la residenza. La descrizione esposta mostra che la chiesa in questione era sorta come chiesa palatina. Nella concezione dello spazio vediamo ripetuto lo schema della chiesa della Madre di Dio di Costantino Lips, con diversità in alcuni particolari. Il naos, come nel caso del modello, ha la pianta quadrata, con la cupola al centro, inizialmente collocata su quattro colonne. La parte superiore della costruzione fu eseguita in modo analogo: le colonne furono adeguatamente collegate con i muri mediante archi a tutto sesto e sopra le campate angolari, così definite, vennero protese le volte a crociera. La specificità architettonica del Myrelaion è data dalle poderose semicolonne presenti sui lati esterni di tutti i punti caratteristici della struttura. La chiesa è costruita interamente in cotto, con cui sono fatte anche le semicolonne ricordate. Proprio questi elementi hanno comprensibilmente attratto l’interesse degli storici dell’architettura. Nella comparsa di queste semicolonne si riconosce per lo più il ritorno alla tradizione antica. Vi si vede l’imitazione delle vere colonne, collocate in modo da assicurare la stabilità completa dell’intera struttura dell’edificio. Minore, per dimensioni, della Madre di Dio di Costantino Lips, il Myrelaion si avvale di una composizione armonica, manifesta soprattutto sui muri esterni. Risalta, per un verso, il ritmo convincente delle semicolonne di accentuata poderosità, e per l’altro, le cornici, eseguite su piani rigorosamente rispettati, rendono testimonianza della particolare cura costruttiva. Va rilevato pure che nella forma e distribuzione delle finestre sull’esterno dell’edificio si ripete la soluzione nota dall’architettura paleobizantina. Infatti, sui muri laterali della grande chiesa costantinopolitana le finestre sono disposte su file orizzontali, con una funzionalità quasi accademica. Su ciascun muro dei lati sottostanti la cupola, delimitato da un arco strutturale esterno, le finestre sono disposte nell’ordine ritmico delle forme ripetute. A questo modello si ispira evidentemente anche il Myrelaion. Un secolo più tardi, nel 1028, fu costruita a Tessalonica la Madre di Dio Chalkeon, chiesa che, per una serie di particolarità, costituisce un ulteriore grado di sviluppo

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del tipo edilizio di cui stiamo parlando. La pianta della chiesa è del tutto simile alle precedenti. Il naos ha una pianta quasi quadrata, con al centro la cupola su quattro colonne. Il bema è tripartito, con le absidi semicircolari sul lato orientale, con il diaconico e il proscomidio che si aprono verso il naos, davanti al quale si svolge il nartece, composto anche qui da tre campate. Tre passaggi portano dal naos al nartece. Rispetto alle chiese costantinopolitane si notano differenze nei particolari. Nei confronti del Myrelaion notiamo che sono diversi gli elementi dell’alzato. I bracci della croce iscritta, su cui poggia la cupola, sono adeguatamente rilevati dalle semicolonne. Sopra le zone angolari del naos si trovano le volte a cupola. Oltre che nella concezione dello spazio e della struttura, la chiesa di Tessalonica è vicina alle due chiese costantinopolitane per le tecniche murarie e il materiale usato e per la coerente organizzazione geometrica della struttura, espressa nelle cornici dell’esterno. Pur continuando, nella concezione dello spazio, nella struttura e nelle forme fondamentali, la tradizione della capitale, la Madre di Dio Chalkeon presenta innovazioni nella lavorazione dei particolari. Ne sono un’illustrazione immediata gli archi dei muri esterni. Mentre nella semplice costruzione tradizionale, questo arco, nel rapporto con la superficie interna della facciata, aggetta tanto quanto un comune semipilastro, nella Madre di Dio Chalkeon è un arco a due o tre rientri. Si distinguono, inoltre, le cornici del sottotetto costruite in cotti disposti a dente di sega. Specifici sono anche i dettagli rilevabili sulla grande cupola, con particolare riguardo per le colonnette di piccolo diametro, continuazione degli archi di completamento. I grandi monumenti che rispecchiano l’ascesa dell’architettura di Bisanzio, costruiti sul territorio della Grecia, si collocano fra il secondo e il quinto decennio dell’XI secolo. Si tratta di chiese con cupole dal grande diametro collocate su otto sostegni, di cui costituisce caratteristica precipua la presenza delle trombe angolari. Di norma mostrano chiaramente la loro funzione rappresentativa, con mosaici, rivestimento in marmo all’interno e decorazioni di pietra in rilievo. Sono queste la Hosios Lukas (San Luca) della Focide, la Madre di Dio Lykodimou di Atene, la chiesa del monastero Dafni

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51-52. Monastero Hosios Lukas (Focide, Grecia), pianta delle chiese (secondo Stikas); particolare del lato meridionale del katholikon. A fronte: 53-55. Chio (Grecia), Nea Moni, katholikon, pianta; veduta dell’esterno da nord est; particolare dell’interno, disegno e foto Bouras.

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(presso Atene), Christianou nel Peloponneso e, in seguito, la posteriore Santa Sofia di Monemvasia. In epoca molto più tarda, seguendo la medesima concezione, fu costruita anche la chiesa dei Santi Teodori a Mistrà. È opinione generalmente consolidata che Hosios Lukas sia da considerare l’opera architettonica assunta a modello per gli altri edifici del gruppo, qui ricordati. Pertanto dalla pianta e dalla struttura di Hosios Lukas possiamo indicare i caratteri salienti dell’intero gruppo. Le trombe angolari sotto la cupola sono parte di una determinata struttura dell’edificio. La costruzione sottostante la cupola ha influenzato, nel suo complesso, l’idea dell’edificio; per questo, proprio le trombe sono state assunte come carettere precipuo della costruzione. La

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cupola poggia su otto poderosi piedritti a sezione rettangolare, distribuiti sul perimetro della pianta quadrata, il cui lato è uguale al diametro della cupola. Mediante le trombe il quadrato della base è stato trasformato nell’ottagono, su cui è stata elevata la cupola. Una completa simmetria domina sullo spazio come sulle strutture. Nella chiesa di Hosios Lukas si sono conservati tutti i veri elementi di elaborazione tipici dell’architettura di rappresentanza: i mosaici delle volte, il rivestimento marmoreo sui muri interni, la decorazione in rilievo dei capitelli, delle cornici e sulle lastre dei parapetti, il pavimento marmoreo. Tutti questi elementi che concernono la concezione dello spazio, la struttura interna, la cupola, le volte, fu-

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rono realizzati anche negli altri monumenti ricordati, sia pure con l’aggiunta di elementi specifici. L’organismo originario della Panagia Lykodimou è stato mantenuto solo in parte; l’edificio è stato rinnovato nel secolo scorso. Meglio conservata è, invece, la chiesa di Dafni. In parte sono rimaste anche le decorazioni musive e i rilievi in pietra. Le facciate furono eseguite secondo il sistema cloisonné, vale a dire nella prassi attica locale, mentre l’esonartece è un’aggiunta posteriore. Vi si riconoscono elementi gotici. Nel complesso del monastero di Dafni meritano attenzione i resti delle vaste mura difensive e dell’ossario. Lo spazio e la struttura della chiesa di Christianou riproducono la soluzione architettonica qui descritta. Al gruppo delle chiese rappresentative di origine costantinopolitana dell’XI secolo si aggiunge il katholikon della Nea Moni di Chio. Anche qui ritroviamo la grande cupola su otto piedritti e le trombe angolari. Questa chiesa, con le altre di Chio costruite sul modello di questa, viene considerata la variante concisa dell’idea attuata nel katholikon di Hosios Lukas. Da tempo l’origine di questo tipo di chiese viene indicata nella tradizione architettonica armena, Tesi, questa, che si avvale anche dell’argomento storico della presenza a Bisanzio di imperatori di origine armena, oltre al costruttore armeno Trdat, a cui fu affidata la ricostruzione della parte rovinata di Santa Sofia. Le trombe come elemento caratterizzante la struttura sottostante la cupola non esistevano nella tradizione costantinopolitana come in quella bizantina delle province, ma non si trova un motivo convincente per escludere la possibilità che, nell’epoca di un’evidente grande espansione dell’architettura bizantina, specie nella capitale, venissero impiegate le esperienze edili degli armeni. In una luce analoga viene considerata la piccola chiesa Panagia Kamariotissa sull’isola di Chalki (Heybeli), per le trombe angolari sotto la cupola, datata all’XI secolo. Appare chiaro che questo piccolo edificio riconferma come analoghe soluzioni costruttive fossero note nella capitale bizantina, da cui si diffondevano sul territorio della Grecia. Perché si possa comprendere, nel suo insieme, l’architettura costantinopolitana dell’epoca, è necessario da-

re spazio alle descrizioni degli edifici sorti in quei decenni, ma che non si sono conservati a tutt’oggi. La chiesa della Madre di Dio Periblepta eretta da Romano III Argiro, venne descritta dall’ambasciatore spagnolo Ruy Gonzales de Clavio (1403). Attorno alla parte centrale si ergevano tre navate, e le quattro parti avevano un’unica copertura. Splendida era la chiesa del Cristo Redentore, costruita da Giovanni Zimisce dopo il 972. Fra i grandi monumenti architettonici si annoverava anche la chiesa dei Santi Cosma e Damiano in Cosmidion (periferia di Costantinopoli), ricostruita da Michele IV. Di particolare importanza era il monastero di San Giorgio delle Mangane, opera di Costantino IX. La sua chiesa, andata distrutta, nota dalle descrizioni posteriori, è stata portata parzialmente alla luce nel 1922-23. Era una chiesa grande anche per le proporzioni costantinopolitane. Nella parte anteriore si ergeva un atrio con al centro una fontana e il naos aveva la forma della croce iscritta con la cupola e quattro vani angolari. I pilastri agli angoli del quadrato, sopra il quale si elevava la cupola, fanno pensare che si trattasse di una costruzione realizzate con le trombe. La parte centrale presentava un diametro considerevole (10 metri). Le opere architettoniche della capitale bizantina sono documentate da alcuni edifici sorti tra gli anni sessanta dell’XI secolo e la metà del XII, i cui fondatori sono membri della dinastia dominante a Bisanzio. Grazie a ricerche recenti, la chiesa settentrionale della Madre di Dio Pammakaristos, opera di Giovanni Comneno, ci appare più comprensibile. Sulla pianta rettangolare la cupola centrale poggia su quattro pilastri, e sul lato settentrionale, occidentale e meridionale sorgono navate perimetrali più basse. La chiesa del Cristo Pantepopte (Eski Imaret Cami) fu fatta costruire da Anna Dalassena, madre di Alessio Comneno, prima della fine dell’XI secolo. Fu eretta secondo la concezione della croce iscritta, con la cupola poggiante su quattro piedritti liberi. In un primo tempo si era trattato di colonne, che all’epoca turca furono sostituite da pilastri ottogonali. Il bema ripropone lo schema costantinopolitano, la sua parte mediana occupa lo spazio di un’intera campata, mentre il proscomidio

TAVOLE A COLORI TAV. 15. Tessalonica, Santa Sofia, veduta esterna della parte absidale. TAV. 16. Myra (oggi Demre, Turchia), San Nicola, presbiterio. TAV. 17. Ibidem, navata con gallerie. TAV. 18. Peristerai (Grecia), Sant’Andrea. TAV. 19. Skripou (presso Orchomenos, Grecia), Madre di Dio (Panagia), veduta d’insieme dell’esterno. TAV. 20. Mesembria (Nessebar,

Bulgaria), San Giovanni, l’esterno. TAV. 21. Tessalonica, Madre di Dio dei Calderai (Panagia ton Chalkeon), l’interno con la cupola. TAV. 22. Monastero di Dafni (Grecia), katholikon, veduta dall’esterno. TAV. 23. Atene, Madre di Dio o Piccola Metropoli (Panagia Gorgoëpikoos). TAV. 24. Atene, Santi Apostoli, veduta dall’esterno.

TAV. 25. Costantinopoli, Cristo Pantocratore (Zeyrek Cami), veduta dell’esterno. TAV. 26. Monastero di Hosios Lukas (Focide, Grecia), cortile e facciata del katholikon. TAV. 27. Kiti (Cipro), Panagia Angeloktistos, veduta dell’esterno. TAV. 28. Kiti (Cipro) campestre. TAV. 29. Gortina (Creta), rovine della basilica di San Tito. TAV. 30. Venezia, basilica di San Marco, l’interno.

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e il diaconico sono vani distinti. Sopra il nartece si svolge una galleria che sul lato orientale, verso il naos si apre con un trivelon di rappresentanza. La cupola ha un tamburo dodecaedrico, colonnette agli angoli e dodici finestre, e una calotta rafforzata da costoloni a sezione rettangolare. Volte a semibotte sorreggono la cupola, mentre agli angoli sono collocate le volte a crociera, che coprono anche le tre campate del nartece. La sua struttura edilizia è perfetta. A giudicare dai resti visibili nell’abside, il pavimento era di marmo. Dei preziosi arredamenti interni rimangono le cornici, coperte da palmette in rilievo e le cornici delle porte del nartece di breccia rossa. Le facciate sono costruite da file orizzontali di cotti, alternandone una sporgente a una rientrante coperta di malta, secondo una caratteristica che si farà costante dell’architettura bizantina. Il monastero del Pantocratore (moschea Zeyrek kilise) è il monastero della dinastia dei Comneni. La parte che se ne è conservata costituisce un complesso di tre chiese. La chiesa meridionale, dedicata al Cristo Pantocratore, è opera dell’imperatrice Irina (1118-1124), mentre quelle settentrionale e centrale furono fatte costruire dall’imperatore Giovanni II (prima del 1136). La chiesa settentrionale è dedicata alla Madre di Dio di Eleusi e quella mediana a san Michele. Ed era questa che fungeva da mausoleo. Nel monastero del Pantocratore sono sepolte le figure di maggior spicco della dinastia dei Comneni, Giovanni II e Manuele I, imperatori della dinastia dei Paleologi che regnarono, rispettivamente nel XIV e nel XV secolo. Il monastero possedeva un vasto feudo. Accoglieva un gran numero di monaci e disponeva di un ospedale e di un asilo per gli anziani. Amministrativamente era sottoposto esclusivamente all’imperatore. La chiesa meridionale è una croce iscritta con una cupola su quattro piedritti liberi. Siccome la cupola aveva un grande diametro, i piedritti erano dati da poderose colonne di spoglio, sostituiti poi da pilastri all’epoca turca. Il bema riproduce lo schema costantinopolitano. Al centro si colloca una campata autonoma, e i vani del proscomidio e del diaconico sono distinti. Specifiche sono anche le nicchie semicircolari nei muri laterali del proscomidio e del diaconico. Lungo i lati settentrionale

e meridionale originariamente si svolgevano le gallerie. Quella settentrionale venne eliminata quando fu costruita la chiesa mediana. Il nartece fu costruito come avancorpo dell’intero complesso. Lo compongono cinque campate. Quella centrale, antistante l’entrata della chiesa meridionale, è la più ampia. Sopra di essa fu eretta in un secondo tempo, una cupola a scopo di illuminazione, quando al complesso venne aggiunto l’esonartece. La grande cupola ha un tamburo di sedici lati. Le facciate sono state costruite a strati alternati di alcune file di cotti e pietre squadrate, coronate da archi in cotto e da cornicioni seghettati. L’architettura delle facciate rispetta, secondo l’uso costantinopolitano, la struttura dell’edificio. L’abside, come nelle due chiese posteriori, quella mediana e quella settentrionale, presenta le file delle nicchie decorative. Quelle dell’ordine superiore hanno una pianta semicircolare. Del lussuoso arredamento dell’interno della chiesa rende testimonianza il pavimento di marmo, relativamente ben conservato, eseguito come opus sectile. La composizione, nella sua distribuzione simmetrica delle figure geometriche regolari, è adeguata alla pianta della chiesa. Alla sistemazione originaria dell’interno risalgono anche i frammenti di vetro disegnati e colorati (vitraux). La chiesa settentrionale del monastero del Pantocratore è simile a quella meridionale, ma con minori dimensioni. La cupola centrale è collocata su pilastri in muratura, mentre all’origine poggiava su colonne. Il bema e il nartece riproducono una soluzione analoga a quella della chiesa meridionale. Anche in questa chiesa sono stati trovati frammenti del pavimento di marmo e frammenti di vetri colorati e si è conservato il cornicione in pietra coperto da un rilievo. La chiesa di mezzo ha un’unica navata con un’abside e le entrate da due narteci. La copertura comprende due cupole: quella occidentale ha la base circolare e si erge sopra lo spazio maggiore, mentre quella orientale ha una base ellittica. Per la semplicità del suo invaso, questa chiesa mausoleo ricorda una cappella di proporzioni accresciute. Non è, pertanto, difficile concludere che fosse prevista soltanto per i riti riservati ai morti. Anche in questo tempio il pavimento era stato realizzato come

56-57. Costantinopoli, Cristo Pantepoptes (Eski Imaret Cami), veduta da sud-est; lato meridionale.

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opus sectile, analogo a quello della chiesa meridionale. Il complesso articolato della chiesa del San Salvatore in Chora (Kariye Cami) si compone di due parti. Il nucleo originario, del naos con la cupola, risale all’inizio del XII secolo. La cappella meridionale e altre aggiunte sorsero, invece, nel XIV secolo. Questa parte è nota per gli eccezionali mosaici, opera di Teodoro Metochita (v. cap. seguente). Caratterizza questa chiesa il naos a pianta quadrata sormontato completamente da una cupola con un diametro di 7 metri, grande per l’epoca della sua costruzione. La cupola è sostenuta da quattro ampi e poderosi archi impostati su semipilastri angolari. Questo tipo di soluzione strutturale è noto dall’epoca in cui la cupola compare in edifici a pianta quadrangolare. Tuttavia, si trattava, di norma, di una struttura che sottintendeva il sistema dei contrafforti laterali della costruzione

sottostante la cupola, sia che si trattasse di uno spazio a tre navate che di una soluzione analoga. Nello schema dello spazio della Chora è previsto soltanto il naos con una cupola e la sicura esperienza dell’architetto fu la base di attuazione di tale costruzione la cui arditezza è confermata dal grande diametro della cupola. Come tipo di invaso coronato da una sola cupola ha trovato le sue repliche nell’architettura successiva (v. sotto). Il tamburo dodecagono della cupola, con le colonnette agli angoli, le nicchie sull’abside, la forma delle finestre, la tecnica muraria, sono tutti elementi edilizi propri dell’architettura costantinopolitana dell’epoca. Al gruppo delle chiese di Costantinopoli si aggiunge la Madre di Dio Cosmosoteira di Vira (Ferai) sulla Marica. È una chiesa monastica, costruita nel 1152; ne è fondatore Isacco Comneno, sepolto poi nel tempio. È

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58-60. Costantinopoli, Cristo Pantocratore (Zeyrek Cami), pianta (secondo Megaw); facciata occidentale; lato orientale. A fronte: 61-62. Costantinopoli, Monastero di Cristo in Chora (Kariye Cami), veduta da est; pianta (secondo Underwood).

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di propoprzioni un po’ maggiori rispetto a quelle della chiesa meridionale del monastero del Pantocratore. Nelle sue forme esterne è simile alle chiese di Costantinopoli, ma nella concezione dello spazio e nella struttura appare adattata a possibilità più modeste. Con l’architettura costantinopolitana va messa in rapporto la chiesa di San Panteleimone di Nerezi, presso Skopje, eretta nel 1164. Il suo ktitor, Alessio Comneno, indirettamente, per parte di madre, si collega alla dinastia al potere. Famosa per gli affreschi di massima qualità, la chiesa di San Panteleimone è più modesta dei modelli della capitale, sia nelle proporzioni, sia per il modo in cui fu costruita. Il suo schema è quello della croce iscritta con una grande cupola al centro e quattro piccole agli angoli. Le opere architettoniche sorte a Costantinopoli nell’epoca di mezzo, che si sono conservate, per quanto il loro numero sia considerevolmente diminuito rispetto a quanto era stato costruito, ci consente di delineare la natura e gli andamenti dell’architettura della capitale. Oltre al ruolo comprensibile svolto dal contesto delle possibilità materiali e del bisogno sociale di nuovi edifici, nelle ricostruzioni ideali dell’insieme, va tenuto presente anche l’ambito spirituale e artistico della capitale bizantina. Le grandi opere del periodo precedente ne avevano dato i contenuti. Costantinopoli, oltre a possedere la sua famosa cattedrale, si fregiava di altri edifici religiosi e civili, destinati ai suoi cittadini. Bisogna, tuttavia, affrontare anche le nuove esigenze costruttive. I fondatori degli edifici rappresentativi, costruiti per durare a lungo, provenivano dalle sfere più alte della società, a cui appartenevano i sovrani e i personaggi a essi legati. Ogni generazione faceva in modo di lasciare tracce di sé nelle opere edilizie e artistiche. Anche se le diverse esigenze sociali richiedevano varie motivazioni di promozione delle imprese adeguate, il movente dominante per le ordinazioni di opere splendide e magnificenti rimaneva la questione del prestigio; legare il proprio nome alla memoria delle generazioni a venire. Nasce, così, e si stabilizza, una continuità duratura, di cui non conosciamo

molti anelli, che pure costituiscono la catena sottesa del loro sporadico manifestarsi. L’alto valore artigianale e artistico di quanto è stato conservato testimoniano della lunga persistenza parallela di colti committenti e di buoni maestri di tutte le arti. Per via indiretta, anche l’influenza esercitata sulla produzione architettonica delle aree periferiche del mondo bizantino, come nelle sue province, conferma l’importanza e la portata dell’architettura monumentale di Costantinopoli. Infatti, è ancora Costantinopoli la fonte dell’architettura monumentale russa. Le prime opere, che si collocano nella Russia il cui centro è Kiev, nascono nell’ambito della prassi corrente dei maestri costantinopolitani. L’architettura della Bulgaria di quell’epoca, in tutto l’arco della sua durata, comprendendo la fase dello Stato autonomo come quello della dominazione bizantina, è legata direttamente alla capitale bizantina, vale a dire al territorio, che in senso edilizio è incluso nelle concezioni architettoniche costantinopolitane. Nella Rascia (in Serbia), per lungo tempo le attività architettoniche si riconducono alla chiesa di San Nicola di Kuršumlija, opera prodotta direttamente da una bottega architettonica bizantina. La struttura della sua parte principale ripete la Chora di Bisanzio. Quanto alle altre opere, tutte hanno riferimenti all’architettura della capitale bizantina. La chiesa di Studenica, solenne e magnificente, non riproduce direttamente un modello costantinopolitano, ma le sue facciate, sbalzate come i dettagli dell’arredamento in pietra, insieme con i vetri dipinti delle finestre, s’ispirano ai preziosi interni della capitale bizantina. Un esempio classico della forte influenza costantinopolitana sull’area adriatica è dato dalla chiesa di San Marco di Venezia. Un tema più complesso sono, invece, le chiese dell’Italia meridionale con più cupole (per i riferimenti, v. sopra). Specifica è la questione che si pone attorno al senso che va attribuito allo sviluppo delle componenti essenziali dell’architettura monumentale di Costantinopoli. In proposito conviene partire dalla constatazione che nell’architettura della capitale si trovano le soluzioni

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63. Nerezi (Macedonia), San Panteleimone, veduta da sud-est. 64. Vira (Ferai, Grecia), Madre di Dio Cosmosoteira, veduta da sud-est, foto Bouras.

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pitale. L’uso, probabilmente antico, delle semicolonne appoggiate alle facciate si è mantenuto nel Myrelaion. Non sappiamo quanto a lungo sia rimasta operante l’idea sottesa. Nelle coperture, oltre alle volte a semibotte, si costruiscono anche le volte a croce e le cupole venivano completate da un insieme di segmenti in forma di spicchi o con calotte, rafforzate da nervature a sezione rettangolare. In senso geometrico sono irreprensibili sia le superfici che il disegno che caratterizza le parti. Le mura perimetrali degli edifici, costruite seguendo la struttura interna, sono ornate nelle absidi, da trifore e nicchie dalla sezione semicircolare; sui lati si aprono grandi finestre ereditate dall’architettura paleobizantina. Lo spazio interno, o invaso, ben illuminato, le cui proporzioni accentuano la spinta verticale, si inserisce nell’insieme molto armonioso della costruzione subordinandosi alla cupola che si erge lungo l’asse di simmetria dello spazio. Nell’elaborazione degli interni viene rispettata la regolarità dei dettagli e il ritmo coerente delle superfici. Le cornici in pietra, coperte da un rilievo di elementi decorativi stilizzati, segnano la divisione della struttura in tre fasce. Un elemento architettonico molto importante dell’interno è dato dalle colonne che portano la cupola. Di norma queste colonne erano di spoglio, anche quando sorreggevano un grande peso, come nel caso della chiesa del Pantocratore. I capitelli, anch’essi spesso di materiale di recupero, contribuivano alla costruzione di un interno da epoca paleobizantina, caratterizzato dall’intonazione solenne. La decorazione murale era arricchita dalle opere musive e dai rivestimenti in marmo, la cui estensione si ridusse seguendo, verso il basso, l’ampliarsi della parte riservata alle opere pittoriche. Dei rivestimenti marmorei del pavimento ci parla soprattutto quanto ne è rimasto nel Pantocratore. La tecnica di lavorazione è quella dell’opus sectile, che qui rappresenta un’alternanza regolare di quadrati e cerchi in marmi dai colori scuri, descritti da contorni a nastro, di colore chiaro, che fra due figure contigue si annodano in un piccolo cerchio di raccordo. Il medesimo disegno geometrico viene riprodotto nei rilievi delle lastre marmoree collocate sui plutei dell’altare o come parapetti alle finestre, oppure nelle altre parti dell’arredamento di marmo. Intere, o frammentarie, sono assai numerose le lastre di questo tipo che si sono conservate in molti lapidari, a Costantinopoli, Serres, Tessalonica, Atene, Mistrà e altrove. Le vicende storiche hanno lasciato un’impronta particolare nell’architettura delle regioni greche. Se la capitale bizantina era la depositaria della continuità della norma architettonica, un ruolo di rilievo fu svolto in questo senso anche dai centri cittadini che sopravvissero ai grandi sconvolgimenti del VII secolo: l’emigrazione dei popoli verso la parte europea dell’Impero (avari, slavi, bulgari), l’invasione araba subìta dal suo territorio asiatico. L’esempio migliore ci viene dato da Tessalonica in tutta la sua lunga storia. Per quanto nella sua tradizione si possano rinvenire elementi di specificità, la seconda città dell’impero presenta svolgimenti architettonici che innanzitutto seguono in parallelo quanto accadeva a Costantinopoli, adottando le novità che ne provenivano. Nel campo dell’architettura religiosa non appare affatto un caso che esempi di creatività dell’epo-

che, su vasta scala come per i dettagli, rispondono ai nuovi programmi. Oseremmo qui definire questi, che sono quasi tre secoli dell’architettura costantinipolitana, come epoca della sperimentazione. Le varie soluzioni, una volta adottate e ampliamente applicate, si mantengono, con varianti che, nel caso dell’uso dello spazio, consentano l’aggiunta di parti per i nuovi impieghi e nel caso dei dettagli della costruzione e delle forme, dove sia possibile, si sceglie la soluzione migliore. Nel contempo anche determinate forme vengono sviluppate e si crea così la base per le nuove soluzioni dell’architettura posteriore. Nell’età di mezzo le chiese di Costantinopoli sorgono prevalentemente all’interno di complessi monastici. Del resto, proprio il cenobitismo e i monasteri caratterizzano quest’epoca nella capitale come in tutto l’Impero. Esistono differenze nelle proporzioni di queste chiese; tutte, comunque, non superano misure determinate. La più grande di queste chiese non supererà, nelle dimensioni, una basilica di media grandezza. Decisivo, in materia, appare l’uso limitato dell’edificio; il katholikon era destinato alla sola comunità monastica. La chiesa settentrionale del monastero di Costantino Lips è un esempio di programma di spazi aggiunti alla concezione classica della croce iscritta con la cupola poggiante su quattro supporti liberi. Questi vani possono essere cappelle laterali, al piano sovrastante il nartece, con la torre per la scala o le cappelle collocate sopra gli angoli occidentali del naos e del proscomidio e del diaconico. Specifico, inoltre, è il suo schema di chiesa a cinque cupole, che in una più semplice soluzione spaziale e strutturale si presenterà nella chiesa della Madre di Dio Cosmosoteira. Le gallerie sovrastanti il nartece nelle chiese di Costantino Lips, del Pantepopte e nella chiesa meridionale del monastero del Pantocratore, inducono a concludere che non esisteva una regola ben definita sull’impiego di questi spazi. Le chiese costantinopolitane dell’epoca di mezzo ne rispettavano regolarmente la presenza. In tre monasteri imperiali l’uso della galleria doveva essere in accordo con le esigenze particolari degli illustri fondatori. Fuori della capitale, in Hosios Lukas della Focide troveremo tali spazi sistemati in modo particolare, nella soluzione più vicina allo schema idealmente previsto di spazio adibito allo svolgimento del cerimoniale coinvolgente i rappresentanti del potere supremo. Le chiese del monastero del Pantocratore sono un esempio precoce di raggruppamento di edifici attorno a costruzioni preesistenti, per soddisfare le esigenze di un programma ampliato, secondo un modello ripreso poi nella chiesa di Costantino Lips, nella Chora e in altre. Accanto a chiese antiche e venerate si formano, in tal modo, complessi articolati, la cui visione d’assieme offre un panorama delle forme architettoniche, delle aperture e delle colonne, sempre più simili ai panorami che venivano dipinti sui mosaici e sugli affreschi. Negli elementi della costruzione e nel modo di costruire si è conservato il solido mestiere ereditato dall’antichità classica. La costruzione in cotto, come nel caso del Myrelaion, più tardi a strati alternati di pietre e cotti, rimarrà caratteristico delle botteghe della ca85

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65. Verria (Grecia), pianta della basilica (secondo Mutsopoulos). 66. Kalambaka (Grecia), pianta della basilica (secondo Mutsopoulos). 67. Ocrida (Macedonia), Santa Sofia, pianta.

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ca media e tarda, nel tipo caratteristico della costruzione centrale con la cupola, vadano ricercati nella chiesa di San Clemente ad Ankara e in quella della Dormizione della Madre di Dio di Nicea, vale a dire in due centri cittadini. La chiesa di Santa Sofia di Tessalonica, solo nelle proporzioni, è, in grande, realizzazione dello stesso desiderio, che accomunava committenti e architetti, di trovare una soluzione secondo gli andamenti destinati a prevalere nell’architettura monumentale.

pianta come dell’elevato e nelle forme e nell’architettura delle facciate ripropone le caratteristiche dell’architettura costantinopolitana. Le absidi pentagonali con le nicchie a base semicircolare, costruite in due zone, la tecnica muraria vicina a quella della capitale, ne fanno ricondurre l’origine all’architettura costantinopolitana. Va aggiunto che anche l’interno era stato fatto oggetto di un’elaborazione accurata. Ne erano parte i plutei dell’altare in marmo, come le cornici dei portali e il pavimento di mosaici. Quale poteva essere stato il modello costantinopolitano di questa chiesa? Se consideriamo la concezione dello spazio e le dimensioni dell’edificio, potremmo pensare che la celebre chiesa costantinopolitana degli Apostoli rappresentasse il modello tanto eccelso da impressionare il fondatore al punto da indurlo a riprodurre in proporzioni ridotte la pianta a croce, caratterizzata dalle conche semicircolari su tutti e quattro i lati. Le ambizioni del fondatore vengono convincentemente dimostrate dall’elaborazione della facciata, d’intonazione rappresentativa, e dalla preziosità dell’interno, secondo i dettami costantinopolitani. La forma dei Santi Apostoli costantinopolitani trovò un’altra sua riproduzione, in formato ridotto, nella chiesa dei Santi Apostoli di Atene, costruita secondo la prassi architettonica locale (v. sotto). Nel corso del X secolo, sul territorio della Grecia, venne definitivamente adottato il tipo di costruzione che sarebbe divenuto caratteristico dell’architettura bizantina dell’epoca media e tarda: la croce iscritta con la cupola. Gli edifici ricordati degli ultimi decenni del IX secolo, con notevoli residui della concezione che chiamiamo della basilica con la cupola, considerati nella loro successione cronologica, segnano quell’andamento dell’architettura che era nato lontano da Costantinopoli, orientato verso la ricordata soluzione tipica della croce iscritta con la cupola. Alcune chiese del X secolo – abbiamo ricordato solo le più note – mostrano la tendenza che portava alla costituzione della variante definitiva della croce iscritta con la cupola. Gradualmente scompaiono i muri fra le navate laterali e quella centrale del naos, dapprima si aprono i passaggi nella campata orientale e in quella occidentale, per arrivare a delimita-

La Grecia continentale Sul territorio della parte continentale della Grecia, la ricostituita sovranità bizantina, sul finire del IX secolo, riapre la possibilità di continuare l’attività edilizia perseguita fino all’inizio del VII secolo. Era, questo, il ritorno a un’architettura monumentale, creata per durare a lungo. Tuttavia, la ripresa avveniva in provincia e in circostanze che, in principio, evidentemente, non offrivano ampie possibilità materiali e artigianali. Due fenomeni caratterizzano l’architettura dei territori balcanici di quei tempi. Il primo riguarda la Grecia: si tratta della costruzione di nuovi edifici, secondo concezioni che costituiscono un’originale incrocio fra il tradizionale e il nuovo. Un esempio tipico è dato dalla chiesa di Skripou, di cui si è già parlato (v. sopra). Il secondo è un fenomeno di più ampia portata: la basilica come edificio di culto, nella concezione dello spazio e della struttura analoga a quella delle basiliche della seconda metà del VI secolo. Proprio questa somiglianza ha fatto riconoscere la basilica del periodo paleobizantino in alcune basiliche che prima si credeva fossero state costruite sul finire del IX secolo o in epoca posteriore. Ci sembra che fra le opere ideate secondo i grandi modelli potrebbe trovare posto anche la chiesa della Madre di Dio Eleusa (della Misericordia), nota come Veljusa, costruita nel 1080. Quest’opera del vescovo Manuele, che proveniva dalla capitale bizantina, è un edificio rappresentativo di quest’epoca. Presenta un’ottima fattura, dovuta all’irreprensibile geometria della

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68. Isola di Hagios Ahilios (Piccolo lago di Prespa, Grecia), Sant’Achilleo, sezione trasversale (secondo Mutsopoulos). 69. Veljusa (presso Strumica, Macedonia), Madre di Dio, pianta (secondo P. Miljković-Pepek).

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re lo spazio del naos mediante la cupola impostata sulle colonne, come a realizzare una forma specifica del ben noto ciborio. Le colonne sono per lo più di spoglio, e se all’edificio nuovo viene riservata un’attenzione particolare, le colonne, come le loro basi e i capitelli, venivano scelti in modo da essere uguali o almeno simili nelle forme e nella decorazione. La presenza frequente di pilastri in muratura, che portano la cupola e le parti rispondenti dell’alzato, comunemente – e a ben vedere – viene interpretata come conseguenza della circostanza che nelle vicinanze del cantiere non si potevano trovare materiali di recupero. Ecco perché avviene che talune chiese con la croce iscritta e la cupola, in cui i piedritti sono dati dai pilastri in muratura, ricordino le soluzioni sorte nella fase di sviluppo dal tipo a basilica con la cupola a quello della croce iscritta con la cupola. Come esempio caratteristico delle costruzioni del secondo tipo, costruito in Grecia sullo scorcio del X secolo, ricorderemo la chiesa della Madre di Dio del monastero di Hosios Lukas. Si direbbe che il programma dello spazio di quest’edificio sia stato concepito da qualcuno che conosceva bene l’architettura di Costantinopoli come quella di Tessalonica. Fra i centri cittadini in cui vediamo dispiegarsi una considerevole attività edilizia dopo il rinnovo del potere bizantino, un posto importante è occupato da Atene, con il suo ampio territorio. Sulle vestigia delle note grandi opere dell’architettura antica, generazioni di committenti e costruttori adeguano, in parte, al culto cristiano alcune grandi costruzioni – il Partenone, l’Eretteo, l’Odeon, il Teseion e altri –, mentre le pietre delle antiche rovine vengono impiegate nella costruzione di un enorme numero di piccole chiese dalla fine del IX secolo all’inizio del XIII. Osservando le costruzioni medievali conservatesi, si può concludere che l’abbondanza delle pietre rimaste nelle antiche rovine ha costituito un fattore importante nella creazione della nuova architettura. Si può, pertanto, assumere come valida la valutazione che il rapporto diretto tra committenti e costruttori, rispet-

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to alle costruzioni antiche, influì sulla formazione delle componenti decisive dello stile di quest’architettura. I muri sono costruiti con pietre di spoglio. Per gli edifici di rappresentanza venivano scelti blocchi in pietra ben squadrati. Evidentemente perdurava il desiderio dei committenti come dei costruttori di far sì che le nuove costruzioni ricevessero un aspetto il più solenne possibile, almeno nelle facciate, confrontando continuamente il nuovo con le importanti vestigia del passato. Un esempio molto convincente e rappresentativo di quest’architettura è dato dalla ben nota Piccola Metropoli. La parte inferiore dell’edificio fu costruita con grossi blocchi di recupero, mentre nell’ordine superiore, a un’altezza che supera l’architrave del portale occidentale, troviamo inserita una fascia costituita da grossi pezzi di rilievi in pietra di varie età, dall’epoca antica all’alto Medioevo. Analogo il materiale inserito sui frontoni dei bracci della croce inserita. La Piccola Metropoli fu eretta alla fine del XII secolo, il che ci dice come fosse ininterrottamente curato un rapporto particolare con le facciate in pietra ateniesi. A questa concezione dello stile delle forme architettoniche posteriori conviene attribuire anche le cupole delle chiese ateniesi e attiche. Nei tamburi in pietra, sopra le finestre, venivano aperti archi in cotto, certamente il materiale più adatto per eseguire le strutture ad arco. Tutto il resto era in pietra. Una menzione particolare meritano le colonnette in pietra agli spigoli dei tamburi ottogonali, completate da capitelli e da doccioni zoomorfi in pietra, riproducenti teste di animali, e gli archi in pietra delle cornici che ornavano gli orli della copertura dell’edificio. Fra le caratteristiche tipiche dell’architettura ateniese, oltre alla pietra come materiale fondamentale lasciato in evidenza, rientrano anche le superfici lisce delle facciate e le terminazioni in forma di frontoni. Queste specificità rimandano a una concezione dell’architettura per la quale, fatte le dovute riserve, potremmo usare il concetto di classicismo. Tali caratteri precipui confe-

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70. Labovo, Dormizione della Madre di Dio, pianta (secondo Votokopoulos).

A fronte: 72. Atene, Madre di Dio o Piccola Metropoli, lato settentrionale (secondo Vlamis, Ioannou, Mautomatis, Traullos).

71. Atene, Santi Apostoli, pianta (secondo Frantz).

73. Atene, Kapnikarea, facciata settentrionale (secondo Sotirakis).

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riscono all’architettura ateniese come a quella greca, le connotazioni differenziali rispetto agli andamenti in cui la concezione dello spazio, della struttura e delle forme si mantengono sotto l’influenza della capitale. Da tempo, nella storia dell’architettura, viene usato in merito il termine di scuola greca, le cui manifestazioni, in senso lato, vengono definite come architettura provinciale. Le ben note circostanze storiche ci fanno capire meglio i due indirizzi, per non dire i due stili presenti nell’architettura bizantina del periodo di mezzo. In Grecia, l’architettura dell’XI e del XII secolo, insieme con alcuni esempi della fine del X secolo, presenta la caratteristica precipua dei rilievi decorativi in pietra sui plutei dell’altare e nelle cornici interne. I motivi raffigurati traggono ispirazione dai modelli classici e hanno funzione decorativa. Di regola sono eseguiti con correttezza artigianale. Non siamo, però, in grado di indicare la provenienza di questi maestri. È possibile che la loro fattura sia da ricollegare a quei medesimi edifici del patrimonio tradizionale antico o tardoantico, più o meno conservati, da cui dipende l’impiego del sistema dei blocchi lisci di pietra per i frontoni di coronamento. In ogni caso ci riferiamo qui all’arte dei lapicidi che era largamente diffusa e costituiva un elemento importante nell’elaborazione degli interni. La pietra, sia che si trattasse di antichi pezzi di spoglio che di nuovi blocchi squadrati, rimane il materiale dominante per la costruzione delle facciate sul territorio di Atene, nell’Attica e nel Peloponneso. Tuttavia, presto, sulle facciate compare anche il cotto. Non siamo in grado di seguire passo per passo l’avvento del sistema cloisonné. Con sicurezza sappiamo soltanto che esso è costantemente presente negli edifici dell’XI secolo. Come esempio si può citare la chiesa del monastero di Kaisariani. Il cotto vi è impiegato per la costruzione degli archi delle finestre che appartengono al tamburo della cupola come nell’esecuzione di tutte le cornici delle finestre, e delle finestre nell’ordine inferiore dell’edificio, dato, questo, che rivela un impiego intenzionale del cotto, a cui fa seguito anche il coerente ricorso alla tecnica cloisonné, in un’eccellente fattura artigianale. Esistono buone ragioni per ritenere che l’inserimento del cotto nella costruzione delle facciate su que-

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st’area provenga dal noto sistema antico che prevedeva l’alternanza di una fila di pietra e una di cotto, secondo i dettami dell’opus listatum. Conviene qui ricordare che nella capitale bizantina e nei territori da essa direttamente influenzati la prassi vigente era quella impostasi all’epoca della tarda antichità, e successivamente divenuta tradizionale e che alternava a più file di cotto strati di una o più file di pietre. A proposito di Atene e dell’area ad essa vicina ci dobbiamo chiedere se i primi strati di cotto, usati nell’architettura del X secolo, fossero costruiti con cotti di spoglio d’epoca tardoantica, oppure fosse già stata rinnovata la produzione dei mattoni. Le ricerche più recenti ci dicono che la produzione dei mattoni presupponeva un processo tecnologico complesso. Il ricorso al cotto come secondo materiale da costruzione, su questo territorio trovò impiego non soltanto per la costruzione degli archi sovrastanti le finestre e per la tecnica edilizia cloisonné per le superfici lisce delle facciate, ma anche per l’esecuzione del disegno seghettato ottenuto con l’allineamento ad angolo reciproco dei mattoni in una fila. Sebbene si tratti di uno strato sottile di ceramiche, l’effetto visivo che ne deriva è quello di un disegno ben evidenziato, considerato l’inevitabile effetto di ombreggiatura causato dai cotti arretrati rispetto alla superficie della facciata, con la quale sono disposte ad angolo. Le superfici delle facciate sono delimitate in alto dal motivo figurativo dei mattoni disposti a dente di sega e questa fila si chiama comunemente cimasa. Con la successione delle seghettature in cotto vengono incorniciati gli archi delle aperture sulle facciate e, nell’insieme, proprio questi disegni danno un’impronta rimarchevole all’esterno degli edifici. Nella collocazione di questi motivi decorativi si può riconoscere un sistema non privo di senso architettonico. Innanzitutto con la successione dei cotti angolati vengono collegate le basi delle cornici disegnate attorno agli archi sovrastanti le finestre e queste sono nel contempo anche le basi delle aperture oppure le basi dei completamenti ad arco delle aperture. Nella zona sovrastante il disegno descritto poteva comparire un altro motivo corrispondente alla base della delineatura dell’arco sopra la finestra, e ancora uno o due disegni orizzontali collocati in modo da separare gli strati di

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74. Apollonia, Madre di Dio, pianta (secondo Buschhausen).

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75. Atene, Madre di Dio (Piccola Metropoli), pianta (secondo Vlamis, Ioannou, Mautomatis, Traullos).

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due ordini di pietre ciascuno, come nei Santi Apostoli di Atene e sulla facciata occidentale dei Santi Teodori. Il sistema di disegni ottenuto sulle facciate mediante file di cotti a dente di sega è noto anche in altri territori della Grecia, a cominciare, all’incirca, dal X secolo fino alle chiese posteriori di Mistrà. Allo stesso modo furono costruite le facciate della nota chiesa dei Santi Apostoli nell’Agorà ateniese, edificio che merita un’attenzione particolare anche a causa della concezione dello spazio. La chiesa fu eretta come croce iscritta sviluppata, con la cupola al centro e quattro conche. Costruita in modo magistrale, applicando la tecnica cloisonné, presenta nella pianta la distribuzione simmetrica ideale del tetraconco con quattro colonne nel mezzo, su cui poggiano la cupola e le altre parti della copertura. Questo tetraconco, eccezionale nell’architettura della Grecia, e la dedicazione agli Apostoli fanno pensare che alla base della concezione potesse esserci l’intento di ripetere, in una forma concisa, l’architettura dei grandi Apostoli di Costantinopoli. Di un’idea analoga si è parlato nel testo che riguarda la chiesa di Sant’Andrea a Peristerai, che risale agli inizi del rinnovo di Basilio I. Oltre a esprimersi nella perfetta geometria della pianta e nella perizia dei maestri costruttori, l’accuratezza con cui questa chiesa venne costruita si manifesta anche nei lavori dell’interno, di cui fanno parte i plutei dell’altare e il pavimento composto con pietre decorative. Sul territorio attico-ateniese, nel periodo medio-bizantino, sorsero molte opere che, nel loro insieme, completano l’immagine della concezione edilizia e artistica legata al rinnovamento bizantino. Fra gli edifici più antichi di Atene va annoverata la chiesa del monastero Petraki. Sebbene ricostruita dalle fondamenta in tempi recenti, essa ha conservato la sua concezione originaria dello spazio e della struttura. Su una pianta quasi quadrata si ergeva la cupola sostenuta da quattro colonne con capitelli corinzi, e le tre absidi, collocate sul lato orientale, erano semicircolari all’esterno e all’interno. Nella chiesa si sono conservati i rilievi originari in pietra. La chiesa dei Santi Teodori della metà dell’XI secolo, con al centro la cupola, poggiante sui muri invece che sulle colonne, è di forme caratteristiche. Costruita secondo la tecnica cloisonné, ha i cotti disposti a denti di sega, con ornamenti cufici, frontoni a chiusura delle volte e la cupola ateniese col tamburo ottagonale. Di un’epoca cronologicamente molto vicina è la Kapnikarea. Il nucleo dell’edificio è dato dalla cupola su quattro colonne, inserita su una base rettangolare. Successivamente le furono aggiunte, sul lato settentrionale, una cappella a una navata e, su quello occidentale, una loggia aperta. L’esterno presenta tutte le caratteristiche dell’architettura ateniese. Al gruppo ateniese vanno ricollegate le chiese dell’Attica, da quelle di Imitos alla chiesa Omorfi, datata alla fine del XII secolo. Anche alcune opere conservate in Beozia e sulle isole di Andros, Egina e Salamina sono vicine all’architettura attico-ateniese. L’Epiro, provincia bizantina, che oggi è parzialmente compreso nel territorio dell’Albania, costituisce un ambiente particolare che conservò la propria continuità politica e spirituale all’epoca in cui altre parti dell’Impero erano in piena decadenza o sotto il dominio straniero. L’architettura di questa regione comprende opere degne

di attenzione, anche se non si tratta di esempi fra i più rappresentativi. L’edilizia epirota è saldamente impostata su una forte tradizione tardoantica e paleobizantina. Ricorderemo soltanto Nicopoli, con le sue grandi basiliche. Nei periodi medio e tardo, in Epiro si mantiene attiva la produzione creativa. Ad Arta, centro politico del Despotato d’Epiro, all’epoca della dominazione latina a Costantinopoli, l’attività edilizia ha per committenti le autorità statali e quelle cittadine della capitale. Sebbene le opere realizzate non possano essere commisurate con quanto prodotto a Costantinopoli nell’epoca precedente, esse presentano una loro continuità in determinate concezioni, la cui importanza verrà evidenziata dall’architettura posteriore. Le concezioni sviluppate in questo ambiente, diffondendosi a nord dell’Epiro, influenzarono i cantieri della Macedonia e delle terre serbe, divenendo componenti specifiche dell’architettura bizantina sul finire del XIII e nel XIV secolo. Le isole dell’Egeo e del Mediterraneo Per quanto sia varia la sorte riservata loro dalla storia, a cominciare dall’epoca in cui il grande e potente Impero bizantino aveva cominciato a perdere la sua compattezza, costituita nel VI secolo, le isole dell’Egeo, nella tradizione edilizia, conservarono, come loro precipuità, la propria appartenenza al mondo bizantino. Le opere sorte su questi territori separati sono varie per le loro caratteristiche come per i valori generali che esprimono. Inoltre, appartengono anche ad epoche diverse. Soltanto nella fase di massima espansione del periodo medio-bizantino furono erette opere degne di una qualche attenzione. Tuttavia la visione d’assieme, pur con tutte le variazioni inevitabili da un’isola all’altra, rispecchia tutto quanto caratterizza l’architettura bizantina. I complessi di più facile lettura e anche più ricchi di valori sono certamente quelli che risalgono al periodo medio-bizantino; invece il numero, le proporzioni e l’importanza delle opere del periodo tardo dipendono dalla situazione politica e culturale di ciascuna delle isole. Per le caratteristiche delle opere di maggiore portata, e in certa misura anche dell’architettura nel suo insieme, in un dato ambiente, determinante era la fonte. In questo caso faremo riferimento o alla capitale bizantina, con il territorio direttamente dipendente da essa, o al territorio bizantino delle regioni dell’Asia Minore e della Grecia. L’architettura insulana per il suo colorito d’assieme, dato dalle forme e dalla loro combinazione, dai materiali, dalle decorazioni, presenta al suo interno analogie tali che, da una certa prospettiva, si potrebbe parlare di un unico stile. Evidentemente in tale senso agirono in modo decisivo il terreno, la posizione geografica, la tradizione e il modo di vita. In questi termini va intesa la circostanza che gli influssi esterni estremi, quali quelli islamici, da est, o quelli generalmente derivanti dall’Occidente, all’opposto, nella sfera figurativa, risultano subordinati a quanto appartiene al mondo bizantino. I tratti comuni delle opere principali potrebbero essere così indicati: le piante tipiche per la loro chiara forma geometrica, le volte a semibotte nella copertura dell’edificio, i volumi espressi direttamente nelle forme esterne, i tamburi rotondi delle cupole, le absidi semicircolari e le superfici lisce delle facciate. 91

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Particolarmente attraente è la decorazione dei rilievi in pietra. Se la pianta presenta una croce iscritta sviluppata, l’alzato è portato dai pilastri in muratura, mentre in alcuni edifici i pilastri sottostanti la cupola sono collegati a mezzo di archi a pieno sesto con i semipilastri orientali e occidentali. In tal modo l’intera struttura dello spazio interno ricorda una basilica a tre navate voltate a semibotte, intersecata alla sua metà da volte trasversali a semibotte. Inoltre vanno tenuti presenti, come elementi caratteristici di questa tecnica edilizia, l’impiego, di regola, della pietra spezzata, l’uso della malta sui muri esterni e l’altezza proporzionatamente ridotta degli edifici. La manifestazione della struttura sulle facciate, come parte del completamento architettonico delle superfici delle stesse, oltre all’uso intenzionale dei cotti, rivelano che il modello architettonico va cercato nella capitale o stanno a indicare il collegamento di questa concezione architettonica con le soluzioni contemporanee realizzate sul territorio della Grecia. L’uso della pietra come materiale da costruzione e la fattura stereogeometrica delle forme potrebbero dipendere dall’architettura dell’Asia Minore e dall’architettura precedente del Vicino Oriente. Fra la miriade delle isole Egee, per grandezza e importanza, si distinguono Chio, Cipro, Rodi, Nasso e specialmente Creta. Queste località vanno ricordate perché conservano i monumenti di maggior spicco. TAVV. 27-28

scoperta si arriva prevalentemente attraverso lo studio delle opere del periodo successivo. Fra gli edifici più antichi va ricordata la grande basilica di Salamina. Alcune opere architettoniche, conservate completamente o in parte, vanno ritenute caratteristiche dell’architettura bizantina di Cipro. Le più importanti risalgono al periodo successivo al rinnovo del potere di Bisanzio. Due chiese di discrete dimensioni si distinguono per le loro soluzioni a cinque cupole. Si tratta della Peristerai di Morfou, dedicata ai santi Barnaba e Ilarione e di Ieros Kipos nelle vicinanze di Paphos. Sono, queste, basiliche a tre navate, voltate, con tre cupole sopra la navata di mezzo e una al centro di ciascuna delle navate laterali. La specifica copertura, con le cupole dotate di un tamburo circolare, due delle quali, quelle situate sulle navate laterali hanno dimensioni notevolmente minori, rappresenta, con tutta probabilità, l’interpretazione dei Santi Apostoli di Costantinopoli, armonizzata con la tradizione locale. Riconosciamo grandi influenze locali soprattutto nelle forme esterne, nell’uso della pietra come materiale da costruzione, come nelle forme dell’alzato e nella modesta elevazione dell’edificio. Direttamente o indirettamente si rifanno alla capitale le chiese di Sant’Ilarione e di San Giovanni Crisostomo, conservate soltanto in parte, come la chiesa di Cristo Antiphonitis, che si è mantenuta in gran parte fino ai nostri giorni nella sua forma originaria. Abbiamo qui un esempio del noto tipo di chiesa con una grande cupola collocata su otto supporti. Vi è evidente, nella parte superiore della costruzione, l’adattamento alla tradizione locale. Lo stesso si può dire del tamburo circolare della cupola, che pure ha dodici finestre, che ricordano un tamburo a dodici lati come elemento fondamentale della concezione dell’insieme. Si può presupporre che le medesime influenze abbiano agito durante la costruzione della

Cipro, a cui la natura e la posizione geografica avevano assicurato tutti i valori e i contrasti dell’ambiente mediterraneo, ebbe un’importanza particolare nel corso dell’intera storia bizantina. Data la grande vicinanza della Palestina, a Cipro sorsero località che la tradizione collega con personaggi biblici. È perciò comprensibile che un notevole strato dell’architettura paleocristiana e paleobizantina sia documentata sull’isola di Cipro. Alla

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76-78. Kalogrea (Cipro), Cristo Antiphonitis, veduta da est; sezione longitudinale e pianta (secondo Sotiriou).

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Madre di Dio di Trikomo. Invece dei semipilastri, sotto la cupola troviamo appoggiate ai muri delle semicolonne e la cupola ha dodici finestre. Come esempio eminente dell’epoca medio-bizantina del tipo, generalmente diffuso, della croce iscritta con la cupola al centro, va ricordato il monastero di San Filone a Karpasa. La chiesa si distingue per la concezione che esprime e per la correttezza artigianale dell’esecuzione, in cui gli archi esterni rimandano alla struttura interna dell’edificio. Un certo numero di chiese illustra la variante succinta della croce iscritta. Esse sono tutte simili fra di loro per la concezione della pianta, per l’alzato e nelle forme che le caratterizzano: il naos a una navata con tre campate, con la cupola al centro appoggiata sui lati agli archi addossati, il tamburo circolare della cupola e le facciate lisce, e infine l’elevazione modesta. Ricordiamo, inoltre, la cappella settentrionale della chiesa di San Giovanni Crisostomo, dei Santi Apostoli a Perachorio, di San Demetrio nelle vicinanze di Leukosia. Il tipo di croce iscritta articolata è rappresentato da San Nicola di Kakopetria, che possiede uno strato antico di affreschi dell’XI secolo, i quali ci permettono di situare cronologicamente la sua origine. Il naos ha forma rettangolare, con la cupola al centro, collocata su quattro pilastri in muratura, sul lato orientale sorge l’abside, semicircolare all’interno e con un profilo trilatero, all’esterno, mentre sul lato occidentale si apre il nartece sormontato, al centro, da una calotta. La costruzione è di rozza fattura, ma il sistema armonico delle misure appare evidente. TAV. 29

giunte va ricordato il bema del lato orientale, il nartece su quello occidentale e due vani laterali, tutto all’interno della pianta rettangolare. In un primo tempo la rotonda, sul lato occidentale, settentrionale e meridionale aveva una galleria. Fra le opere che presentano le vere forme del periodo medio-bizantino, insieme con quelle tradizionali, la più antica è la chiesa di Myriokefalia, costruita prima del 1200. L’edificio, a una navata con la cupola al centro, è cruciforme; gli archi laterali su cui è impostata la cupola vengono in contatto con una volta a semibotte, allungata. I muri che chiudono sui lati la costruzione sottostante la cupola hanno ricevuto la forma dei bracci laterali della croce. Insieme con l’abside, tradizionalmente semicircolare all’esterno, e al tamburo cilindrico della cupola, con la trifora composta da archi di uguale altezza, le nicchie cieche allungate sui muri esterni dei bracci laterali della croce sono espressione della penetrazione delle nuove concezioni bizantine. L’eminente monaco Ioannis Xenos, che aveva visitato la capitale bizantina, oltre alla chiesa di Myriokefalia, fece costruire anche altri templi nel territorio occidentale di Creta. Fra di essi si distingue, per la sua concezione complessiva, Hagios Kyr-Iannis, che sorse dopo il 1028. La pianta della chiesa presenta la forma della croce iscritta con la cupola al centro, su quattro piedritti. Gli accentuati bracci laterali della croce, aggettanti rispetto ai piani delle facciate laterali di tutto lo spessore del muro, fanno pensare a una chiesa del periodo di transizione. Nello spazio del naos non esiste una campata particolare per il bema, e questo significa che lo schema dello spazio dipende dalle consuetudini vigenti in Grecia. Tuttavia, su questo edificio di proporzioni ridotte e costruito in pietra, senza un particolare sistema, si riconoscono forme, la fonte delle quali va ricercata nell’architettura della capitale bizantina. Innanzitutto le arcate cieche sui muri laterali, che seguono coerentemente il ritmo delle campate, all’esterno l’abside pentagonale, con le nicchie decorative su due ordini orizzontali, con le colonnette addossate a sezione circolare, costruite in cotto, lungo gli spigoli dei lati dell’ordine inferiore, e probabilmente anche le volte a crociera sovrastanti gli spazi angolari del naos e le campate laterali del nartece, aggiunto un po’ più tardi.

Creta, grande isola dell’Egeo, per la sua posizione, le dimensioni e la propria conformazione naturale, ebbe sempre nelle vicende politiche, e con ciò stesso anche in quelle culturali, una grande importanza strategica. A differenza di Cipro, predestinata a una particolare ricettività nei confronti di quanto accadeva nella parte bizantina del mondo, Creta era direttamente alla portata di quando proveniva dall’occidente e da nord-ovest e tali manifestazioni si ebbero specialmente nel periodo tardobizantino e in quello a esso posteriore. Particolarmente notevole è il numero degli edifici che esemplificano l’arte bizantina e la fase a essa posteriore. In tutti questi edifici predominano le piccole dimensioni. Nel loro insieme, essi costituiscono una chiara testimonianza della vita spirituale, culturale ed edilizia di Creta, ma molti di essi non sono stati studiati a tutt’oggi. L’architettura monumentale cretese merita una particolare attenzione anche in quanto espressione delle concezioni bizantine provenienti dalla capitale e dalla provincia e come complesso tramite cui si possono seguire, in certa misura, anche gli andamenti delle concezioni edilizie bizantine, vale a dire dei maestri costruttori che arriveranno in Sicilia e nell’Italia meridionale. Quanto all’architettura bizantina, nel senso stretto della parola, sono degne di un’attenzione particolare le opere sorte fra il rinnovo bizantino (961) e l’avvento della dominazione veneziana (1204). La rotonda del territorio di Hania, nota con la denominazione di Episkopi Kisamu, è unica nell’architettura cretese. Presenta più stratificazioni, sia edili che pittoriche. Lo strato più antico è dato dalla rotonda del nucleo dell’edificio, sorta probabilmente già nel VI secolo. Le restaurazioni e le aggiunte più considerevoli erano già state compiute prima dell’arrivo degli arabi. Fra le ag-

79. Alkianos (Creta), Hagios Kyr-Jannis, pianta.

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Va qui ricordato che la chiesa di Alkianos è la prima opera dell’architettura cretese in cui compare il cotto, che è ancora un segno dell’inserimento del corrispondente mestiere edilizio nelle consuetudini del tempo, nella zona centrale dell’area bizantina. Al IX secolo risale anche la Madre di Dio Zerviotissa presso Stilos nella regione di Apochoron. La sua pianta è in forma di croce iscritta articolata, di variante più semplice, con la cupola su quattro pilastri in muratura. Con le sue piccole dimensioni e l’altrettanto piccola altezza, ha in sé gli elementi che la collegano all’architettura bizantina dell’epoca: le arcate cieche sulle pareti laterali esterne e sul muro occidentale, la cupola con il tamburo ottagonale, le cui finestre sono coronate da archi di cotto. Si può rilevare la costruzione del tamburo secondo il sistema dell’alternanza di una fila di pietre squadrate con uno strato di tre file di mattoni. Così sulle facciate del naos compaiono in ordine sparso file orizzontali di mattoni, come le cornici dentellate di cotto sulla facciata orientale. Fra le opere del periodo medio-bizantino vanno ricordate anche la chiesa di San Nicola a Kirakoselia, nel territorio di Hania, dell’XI secolo, successivamente rifatta nella parte superiore. Questa chiesa a una navata, con la cupola al centro, ha una spiccata struttura bizantina nel suo interno. La parte superiore della costruzione poggia sugli archi delle campate orientale e occidentale e sulla volta trasversale nella campata di mezzo, e nel suo insieme poggia su poderosi semipilastri. Alle forme bizantine pure appartengono anche le decorazioni esterne delle arcate a due rientri, sulle superfici adeguate, le cornici dentate in cotto e la forma a croce del tetto.

La chiesa della Dormizione della Madre di Dio di Skripou (in Beozia) mostra in qual modo fosse intesa ed elaborata la decorazione architettonica negli edifici costruiti dopo la grande e generale crisi dell’Impero bi-

zantino. In quest’opera architettonica, di cui colpisce la robustezza, nella cui costruzione sono inseriti molti pezzi antichi di spoglio, la decorazione in pietra dei rilievi copre le cornici interne, i capitelli della trifora orientale, due mensole esterne che sostenevano la copertura della loggia del portico, la meridiana e la fascia delle lastre in pietra sul lato esterno del muro dell’abside. Come modello veniva assunta la disposizione architettonica della decorazione in rilievo del VI secolo. Della medesima origine sono i motivi e il modo della composizione degli insiemi. Il rilievo è basso e, quando sia realizzato su due piani, nella superficie superiore il disegno viene inciso. I motivi sono le palmette, foglie stilizzate di altro tipo, uccelli, animali fantastici. Nella composizione dell’immagine viene impiegata la croce con i pavoni o le piante da entrambe le parti. Sulle cornici, in lunghe bande strette, il motivo ornamentale scelto si ripete con ritmo uguale. La scelta riguarda o un motivo vegetale autonomo, che viene disposto in successione oppure si usa il motivo del cerchio o del tralcio in forma di sinusoide. Sulle grandi lastre dell’abside le cornici fondamentali della decorazione sono grandi cerchi collegati fra loro da piccoli cerchi. All’interno dei cerchi sono rappresentati animali, con piante, gemme o rosette con motivi stilizzati di origine vegetale. Il procedimento era lo stesso impiegato nelle decorazioni delle lunghe bande delle cornici. I modelli paleobizantini del rilievo in pietra furono rinvenuti sui numerosi monumenti del V e del VI secolo, che i maestri lapicidi avevano davanti ai loro occhi. A confronto con gli originali, secondo criteri un po’ severi, il disegno è più libero, talvolta naïf nelle sue raffigurazioni. Solida ne è la costruzione geometrica. Un analogo rilievo decorativo presentano i resti del San Gregorio di Tebe, costruito a quel tempo. Con le lastre dei parapetti, che si trovano tra i frammenti rinvenuti a Tebe, venne completato il complesso che si conservava a Skripou. Si è così ricostruita l’immagine d’assieme su tutte le decorazioni dell’opera edilizia che aveva un preciso ruolo rappresentativo. Le composizioni

80. Skripou (presso Orchomenos, Grecia), meridiana su una parete della chiesa della Dormizione della Madre di Dio.

81. Costantinopoli, monastero di Costantino Lips (Fenari Isa Cami), capitello della chiesa settentrionale.

La decorazione architettonica TAV. 19

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decorative di Tebe hanno rigorose cornici geometriche, sia che la rappresentazione proponga i pavoni, esseri animali o motivi geometrici. Anche le lastre dei parapetti di Tebe riprendono la tradizione paleobizantina. La chiesa del monastero di Costantino Lips, del 908, opera di un prestigioso aristocratico, presenta la concezione, in auge nella capitale, della lavorazione architettonica secondaria che, a ragione, definiamo decorazione architettonica. Tutti gli elementi con cui sono delineati i contorni delle forme e delle strutture architettoniche vengono eseguiti in pietra decorativa e sono arricchiti dalle plastiche dei rilievi. Le cornici interne, che delimitano le fasce della struttura architettonica, le colonne, i capitelli nelle finestre e le mensole. La decorazione architettonica in pietra in edifici di minori proporzioni, se confrontati con le grandi basiliche paleobizantine, acquista un’accresciuta valenza artistica. È questo il caso della chiesa di Costantino Lips e della maggior parte delle opere dell’architettura bizantina dei periodi medio e tardo. Appare evidente che le colonne e i capitelli di questa chiesa mostrano la medesima cura nella rifinizione degli interni come dei muri esterni, il che accresce la portata e l’importanza complessiva della decorazione architettonica. In senso strettamente architettonico sono elementi della lavorazione il torus, il trochilus e il plinto, mentre il rilievo che copre la superficie decorata viene composto con foglie di acanto, con palmette e tralci. Sui capitelli si combinano le palmette con motivi d’intreccio. Alla base della grande cornice sotto la cupola si allineano le dentature e sopra di esso si svolge il fregio circolare tagliato in sei parti uguali, reciprocamente divise da una figura di aquila collocata frontalmente. La decorazione del fregio fra le aquile è data da serie di sette palmette. Il secondo fregio importante si trova nell’abside, alla base della semicalotta. Al centro vi è una croce simme-

trica contornata da una decorazione vegetale, mentre le superfici ai due lati, destro e sinistro, sono coperte da triangoli uguali, disposti a zig-zag; ciascuno dei triangoli è riempito da foglie ornamentali o palmette, anche alla base del fregio dell’abside si svolge la dentellatura decorata in rilievo. Sulle superfici delle colonnine a sezione quadrata, collocate nelle aperture dei grossi muri del naos, i rilievi sono disegnati con precisione geometrica, oppure, nel caso della decorazione di origine vegetale, nel ritmo regolare del bassorilievo di gracile costruzione. Analoga è la lavorazione che presentano i loro capitelli imposta. La superficie è coperta dal rilievo, la composizione simmetrica. Al centro si trova la croce e sui lati l’ornamento è dato da aquile o da motivi di origine vegetale. I modelli di queste plastiche vanno ricercati nella scultura architettonica bizantina, nelle opere del VI secolo. Alcune soluzioni hanno la loro fonte nella decorazione della chiesa di San Polieucto, i cui resti sono stati studiati dagli archeologici. La tematica, il disegno, la fattura pongono i rilievi della chiesa di Costantino Lips fra le realizzazioni di altissimo livello nel loro genere, e alcuni di essi, come il rilievo alla base della cupola, fra le opere di maggior valore nella storia dell’arte. Di particolare importanza è la constatazione che la base dei rilievi costantinopolitani dell’inizio del X secolo va ricercata nell’arte costantinopolitana del VI secolo. Questo ritorno alla grande arte del passato, dopo un lungo periodo di produzione rara e modesta, non fu che la via naturale del rinnovo. La ricerca di schemi e modelli nella classicità bizantina ha tutte le caratteristiche del rinascimento creativo, di un classicismo sui generis. Da questo punto di vista, di estrema importanza è la presenza di un artigianato di alto valore artistico all’epoca del rinnovo. Troviamo qui la testimonianza che, da parte dei committenti e dei maestri, si era conservata ininterrotta una

82. Costantinopoli, monastero di Costantino Lips (Fenari Isa Cami), decorazione architettonica della chiesa settentrionale.

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grande stima nei confronti delle grandi opere dell’epoca paleobizantina, a contatto delle quali si svolgeva la vita di chi sceglieva come di chi seguiva le committenze. Fra i resti materiali rinvenuti nella chiesa di Costantino Lips si trovano opere di un particolare genere artistico, che hanno consentito di interpretare meglio analoghe realizzazioni posteriori, di altre località. Uno di questi ritrovamenti riguarda le icone prodotte secondo il sistema dell’incrostazione. Su una base di marmo bianco venivano inseriti pezzi colorati, oppure su una base nera si collocavano pezzi di pietra bianca. Il secondo rinvenimento riguarda la ceramica levigata, la maiolica. La sua comparsa si deve ai contatti tra il mondo bizantino e quello islamico. Le due chiese del monastero di Hosios Lukas nella Focide ampliano considerevolmente la visione della natura e delle tematiche della decorazione architettonica rappresentativa del periodo medio-bizantino. La chiesa dedicata alla Madre di Dio, e costruita dopo la chiesa costantinopolitana di Costantino Lips, introduce novità nel campo della decorazione architettonica. Le finestre della cupola e del naos sono evidenziate, alla maniera ben nota, da cornici di pietra. La novità è data dalle lastre di marmo sul tamburo della cupola, che sono coperte da rilievi su due piani. Prima un ornamento viene inciso nel marmo bianco, poi i vuoti, secondo il sistema dei mosaici, vengono riempiti di mastice. Alle facciate della chiesa danno un tono particolare i fregi in pseudocufica di ceramica, affondata nella massa della malta. La sua origine islamica non è stata chiarita, anche se si mantenne a lungo nella decorazione dell’architettura greca. La decorazione in pietra della chiesa della Madre di Dio

è completata dai capitelli sotto la cupola, ricavati da capitelli corinzi, secondo una soluzione originale. Il katholikon di Hosios Lukas possiede uno degli interni più sontuosi dell’architettura medio-bizantina. Sull’esempio delle opere migliori dell’architettura paleobizantina, i muri sono ricoperti di lastre decorative in pietra, collocate in cornici rettangolari, che riflettono l’architettura della costruzione. Prodotto di alta perizia artigianale, la decorazione architettonica in pietra di questo katholikon mostra un ampio repertorio, in accordo con le grandi proporzioni e le complesse forme architettoniche della costruzione. Le finestre, monofore ugualmente sviluppate, oltre alle cornici architettoniche, hanno lastre in pietra per parapetti, su cui il disegno classico geometrico si presenta in più varianti. In entrambe le chiese gli elementi dell’iconostasi sono eseguiti all’insegna della migliore arte lapidaria. Sulle travi orizzonali vengono variati i motivi di foglie composti in rosette o in serie collegate da un ramo stilizzato in forma di sinusoide. I capitelli imposta, corinzi nella forma, sono coperti nella parte superiore da un doppio nastro intrecciato in rilievo, mentre le lastre dei parapetti portano la nota cornice geometrica. Alla lussuosa decorazione in pietra appartiene anche l’arco solenne che era parte del proskinitario della chiesa della Madre di Dio. Apparteneva all’iconostasi. La sua forma è quasi quella classica dell’architettura mediobizantina. Le duplici colonnette sorreggono una lastra rettangolare di marmo in cui è inciso l’arco come motivo fondamentale. All’esterno, l’arco è decorato da una cornice di foglie stilizzate. Negli angoli si trovano le rosette formate da un duplice nastro. L’arco solenne e i capitelli

83. Monastero di Hosios Lukas (Focide, Grecia), bifora decorata. A fronte: 84. Ibidem, katholikon, particolare della parete meridionale. Nelle pagine seguenti: 85. Ibidem, decorazione. 86. Ibidem, decorazione dell’architrave dell’entrata. 87. Tessalonica, Rotonda, particolare della decorazione dello pseudosarcofago (secondo Pazaras). 88-89. Monastero Hosios Meletios (Imetto, Grecia), decorazioni. 90-91. Ibidem, decorazione di sarcofago. 92. Turkika Lutra, pseudosarcofago (secondo Pazaras).

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che lo sorreggono sono decorati con le foglie di acanto e il timpano, traforato a giorno, ha una croce nel mezzo, incorniciata da rosette. Irreprensibile nella sua geometria, il rilievo fu eseguito con raffinata tecnica lapidaria. Sono numerose le opere del periodo medio-bizantino sul territorio della Grecia che contengono una decorazione architettonica ricca e degna di attenzione. Ricorderemo la Piccola Metropoli ateniese che si presenta con pezzi di spoglio e rilievi in pietra dell’XI e del XII secolo. Il katholikon di Hosios Meletios è una delle chiese in cui si sono conservati i portali e l’iconostasi riccamente lavorati. Il repertorio degli ornamenti è simile a quello delle chiese precedentemente illustrate. Le foglie stilizzate sono disposte in serie incorniciate da un triplice nastro. Lungo gli assi della composizione si trovano croci o figure di aquile. Nei monumenti dell’architettura dei Comneni, rimasti a Costantinopoli, date le grandi trasformazioni subite, la decorazione architettonica originale si ricostruisce dai dettagli. Il famoso monastero del Cristo Pantocratore, fondazione imperiale, scopre la sua ricca decorazione architettonica originaria in resti e tracce modeste. Nell’abside della chiesa meridionale si sono conservati i marmi del rivestimento, che copriva anche altre parti dell’interno. Questo è il caso anche del pavimento, rimasto a testimoniare la sontuosità dell’originale. La tecnica di esecuzione è quella dell’opus sectile. I quadrati e i cerchi sono la struttura geometrica fondamentale, adeguata allo spazio del tempio. In queste superfici sono elaborati i medaglioni, con rappresentazioni di animali e serie di ornamenti vegetali stilizzati. Il disegno e il colore sono del livello più elevato. In San Panteleimone di Nerezi, altra opera dell’arte dei Comneni, famosa per i suoi affreschi, una parte della decorazione si è conservata nell’iconostasi. Con una buona tecnica lapidaria sono rese anche le forme architettoniche dell’iconostasi e il repertorio delle decorazioni, caratteristiche dell’epoca in cui sorsero. Eccezionalmente interessante è il programma delle rappresentazioni in rilievo sulle due lastre del parapetto. Una presenta, in forma monumentale, una croce compresa in un medaglione collegato con una più ampia cornice del medesimo rilievo, collocato lungo il margine della lastra. Sull’altra è composto ed esposto in eguali campi rettangolari un vero e proprio repertorio di motivi ornamentali in uso nell’epoca. Si riconoscono uccelli, pavoni e aquile, altri animali, palme stilizzate, stelle e rosette. Il proskinitario di Nerezi costituisce una cornice solennne dell’icona in tecnica a fresco. Coppie di colonnette laterali, con i capitelli, portano una costruzione rettangolare in cui è praticata l’apertura ad arco per la figura del santo. L’intreccio, la decorazione floreale stilizzata e i due pavoni rivolti verso il centro della composizione sono sbalzati con minuziosità, così che il rilievo sembra separato dal suo fondo di pietra.

canale adeguato della comunicazione attraverso la quale i popoli nuovi arrivati entrano nello spirito della civiltà bizantina. È poi la cristianizzazione quel gran turbine che dà vita agli andamenti creativi nell’architettura di queste genti. Vediamo, così, uno Stato bulgaro ormai organizzato intento a costruire i propri centri, le proprie capitali, che nel senso moderno della parola potrebbero essere considerati i punti fondamentali dell’urbanizzazione di queste terre. La Bulgaria, che le ha assoggettate, è il primo Stato dei Balcani che Bisanzio si trova a dover affrontare. A quell’epoca la fusione fra l’etnia bulgara e quella slava era ormai avvenuta e si può, pertanto, parlare già di una presenza slava in tutti gli aspetti dell’attività culturale all’interno del primo Impero bulgaro. L’inventario delle opere architettoniche sorte nel primo periodo di quest’attività è noto solo in parte. Nessuno degli edifici costruiti si è conservato nella sua forma originaria. I resti archeologici, insieme con le modeste fonti storiche scritte disponibili, costituiscono la base su cui vengono impostate le considerazioni che riguardano l’architettura dell’epoca. Questi monumenti si trovano raggruppati attorno alle prime due capitali dello Stato bulgaro: Pliska e Preslav. Innanzitutto conviene tener presente che sul territorio della Bulgaria le tribù slave e poi i bulgari incontrarono sul loro cammino le città della tarda antichità e quelle bizantine e gli edifici o addirittura complessi architettonici destinati al culto. Interessanti e uniche per l’uso dello spazio e i caratteri architettonici, le soluzioni usate per le due famose capitali bulgare, Pliska e Preslav, nelle loro linee generali, si corrispondono. Pliska, posta nella parte settentrionale della Bulgaria, doveva la sua localizzazione, in senso stretto, alla sua grande e ben nota basilica, che la storiografia bulgara collega quasi esclusivamente con il principe Boris (852-889). Infatti, per tutti i suoi elementi, questa basilica è una tipica realizzazione dell’arte paleobizantina. Pertanto, su quest’area, che è sostanzialmente pianeggiante, la cinta di mura delimita una superficie abbastanza grande, nel cui ambito, e accanto alla basilica bizantina, sorge la parte centrale dell’insieme che, in sostanza, è un palazzo ben fortificato, con i necessari edifici annessi. La residenza,

La Bulgaria Nei territori centrali dei Balcani avvengono i contatti diretti, e assai vivaci, tra i bulgari e gli slavi da una parte e la civiltà bizantina dall’altra. Anche in quest’ambito l’architettura monumentale è l’espressione che funge da 97

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con la basilica accanto, va intesa come centro amministrativo dello Stato medievale. Tuttavia la località, che è ben fortificata, conferisce al palazzo un senso diverso. L’intero complesso è costruito in modo che, al suo interno, in caso di pericolo, possa trovare rifugio tutto il popolo. Si trattava in pratica del sistema che nell’alto Medioevo, ma anche in epoche posteriori, era noto come refugium. Dal punto di vista edilizio constatiamo l’impiego dell’esperienza della tradizione bizantina. Vi riconosciamo una pianificazione dettagliata: il profilo delle mura, la forma delle torri e delle porte, come la tecnica muraria s’ispirarono, indubbiamente, alla tradizione dell’architettura precedente. Il palazzo fu certamente costruito prendendo a modello qualcuno dei palazzi bizantini che esulavano dal complesso del palazzo imperiale costantinopolitano. La seconda capitale bulgara, Preslav, eretta nella parte meridionale del paese, quando lo Stato bulgaro aveva guadagnato in potenza politica e militare rispetto all’Impero bizantino, contiene gli elementi caratteristici di Pliska, ma anche le novità che costituiscono un considerevole passo avanti nell’adeguamento alla cultura bizantina. L’area compresa da questo complesso è analoga alla precedente. Anche qui gli edifici principali sono il palazzo residenziale e la grande chiesa. Tuttavia, in questo caso, non abbiamo una vecchia costruzione bizantina, ma un nuovo edificio di culto eretto per le esigenze della corte e dello Stato. Senza entrare nei particolari della sua concezione, va osservato che il suo ampio nartece e la parte architettonica, che lo sovrasta al primo piano dell’alzato, esprimono la concezione dello spazio adatta alla chiesa rappresentativa palatina. La plastica rinvenuta, come la ceramica dipinta, che proviene dalla chiesa rotonda, fanno pensare all’impiego di buoni maestri bizantini, che con tutta probabilità provenivano dalle botteghe costantinopolitane. Le due prime capitali bulgare esemplificano, in modo specifico, l’accettazione di quell’aspetto della civiltà bizantina che, nella sua determinazione più ampia, si

definisce come attività architettonica, ma nel senso stretto del termine, i complessi costruiti non possono essere considerati vere e proprie città. In altre parole si tratta di opere che rimangono tra una remota e tradizionale organizzazione della vita delle grandi orde e la realizzazione di centri urbani. I complessi edilizi successivi sorgono sul territorio della Macedonia, sull’area a cui si estende l’attività dei discepoli di Metodio. Infine, opere di un maggior valore videro la luce nelle due capitali di Samuele: Prespa e Ocrida. Una tale distribuzione e il numero consistente delle opere rispettava lo stato reale delle cose. Il processo di evangelizzazione tendeva ad accrescere la propria influenza sullo strato dominante della società, specie nell’ambito della corte e negli ambienti a essa vicini. La vita culturale, di cui erano parte anche le imprese architettoniche a fini di rappresentanza, erano e rimasero un privilegio dello strato sociale più potente. Si delinea in questa prospettiva la differenza sostanziale tra le vicende che caratterizzano quest’area rispetto a quelle che hanno per teatro la riva orientale dell’Adriatico. Qui, tra Prespa e Ocrida, le possibilità espresse dai centri statali erano incomparabilmente maggiori, e le opere edilizie sono più grandi e più ricche, mentre là il policentrismo faceva da sfondo a un’attività spirituale di estrema ampiezza, da cui sorse un gran numero di opere dell’architettura ecclesiastica che si sono conservate e sono rimaste accessibili a tutt’oggi. L’architettura dell’alto Medioevo nelle regioni centrali dei Balcani, e quindi anche in Bulgaria, nei suoi caratteri essenziali, è parte dell’architettura bizantina. Il programma, la concezione dello spazio e della struttura e le forme sono la risposta alle esigenze espresse dai nuovi fondatori, esponenti delle sfere del clero slavo, che, evidentemente, fanno propri i contenuti della mentalità bizantina del tempo, a prescindere dal ruolo assunto, in un dato momento, nei confronti dell’Impero, fosse quello di alleati o di nemici. Purtroppo non disponiamo di conoscenze tali da poter essere più precisi sull’origine delle

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93. Monastero di Hosios Meletios, decorazioni. 94. Atene, Museo Bizantino, decorazione. A fronte: 95. Pliska (Bulgaria), pianta della basilica (secondo Mijatev).

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singole opere o dei vari fenomeni. La concezione dello spazio ci porta di norma a indicare i contenuti funzionali, mentre la struttura dell’edificio può essere sempre ricostruita con sufficiente affidabilità. Entrambe queste componenti vengono impiegate nell’analisi di quanto si è conservato, su quest’area, dell’edilizia bizantina. Quanto alla tecnica muraria o altro elemento, i termini di confronto si troveranno soprattutto a Tessalonica o sull’ampio territorio che le gravita attorno, oppure sull’area ancora più vasta della Grecia, ovvero a Costantinopoli e sul territorio a essa più strettamente legato. La specificità di quest’architettura consisteva in una ripetizione insistente di una soluzione o di un determinato dettaglio. Molti dubbi e controversie hanno suscitato i problemi legati all’origine della basilica del periodo mediobizantino. Uno degli esempi in proposito è la grande basilica di Pliska. Sotto il profilo archeologico lo studio del monumento è stato completato. Tutti gli elementi di questo grande edificio corrispondono alla basilica di epoca giustinianea, che, dopo trecento anni, non poteva essere ripetuta con tanta fedeltà. Del resto né il culto né tutto quanto a esso faceva seguito potevano essere rimasti uguali, dopo tanto tempo, vuoi a Bisanzio, vuoi nei nuovi centri, che erano entrati nella sfera culturale bizantina. Va qui, tuttavia, ricordato che, nel rinnovo del IX secolo e ancora a lungo nell’epoca successiva, la basilica rimase il tipo di edificio di culto più diffuso sui territori centrali dei Balcani. Sul territorio della Bulgaria si è conservato un buon numero di basiliche. Alcune di esse potrebbero risalire all’età paleobizantina, ad esempio le basiliche n. 36, 5 e 8 a Pliska. Entrambi i gruppi di edifici, quello più antico come quello più recente, hanno in comune le piccole dimensioni, il naos a tre navate e uno stretto nartece. I piedritti fra la nave centrale e quelle laterali sono colonne o pilastri. Anche sul territorio di Preslav sono noti resti di basiliche paleobizantine. Vanno, inoltre ricordate la basilica «B» nella fortificazione di Šumen e la basilica n. 2 a Pernik. Come edificio basilicale è nota la Nuova Metropoli di Mesembria. È una tipica chiesa a tre navate. Sul lato orientale la chiesa ha tre absidi semicircolari all’interno come all’esterno, e la costruzione fra la navata centrale e quella laterale è data da due archi per parte, che nel mezzo si appoggiano su un colonna e ai lati finiscono su semipilastri. La chiesa dei Quaranta Martiri a Tirnovo ha oggi la forma di una basilica a tre navate. Nella solu-

zione originaria era una basilica a tre navate con la cupola nel mezzo, nel punto d’intersezione della volta sopra la nave principale con la volta trasversale, costruita nella forma di transetto nella copertura della costruzione. Va altresì ricordata un’altra grande basilica, relativamente ben conservata, la basilica di Sant’Achilleo a Prespa, costruita da Samuele, come chiesa patriarcale. Simili sono le basiliche che sorgono in questo territorio dopo il rinnovo dell’autorità bizantina. Gli edifici di riferimento diretto per la Rotonda di Preslav, di quest’opera esemplare e originale nella sua edilizia, non ci sono noti. In base alle ricerche archeologiche compiute negli ultimi tempi, la grande chiesa di Preslav va intesa come l’organismo d’arrivo di un costruzione realizzata in tre fasi. La più antica sarebbe quella in cui sorse la rotonda con la piscina al centro, eretta come grande battistero per ordine del principe Boris, all’epoca della conversione dei bulgari. In seguito, all’epoca di Simeone, le fu aggiunto il nartece, con l’alzato a un piano e le esedre lungo il lato interno dell’ampio muro. Subito dopo, ma forse nel corso della medesima fase, si procedette alla costruzione dell’atrio. Sebbene questa ricostruzione delle fasi costruttive della chiesa rotonda di Preslav abbia permesso di individuare una diversa origine e vari modelli ispirativi del suo complesso, l’architettura della capitale bizantina dovette costituire la base su cui la chiesa di Preslav venne portata a compimento come cattedrale dello Stato bulgaro dell’imperatore Simeone. Alla rotonda originaria furono allora aggiunte parti necessarie per quell’importante centro ecclesiastico. Oltre allo sviluppo tripartito del santuario, rientra fra questi atttributi indispensabili la galleria del primo piano sul lato occidentale. Le esedre, con le colonne decorative collocate sulla loro fronte, alludono a un significato simbolico e iconografico, che oggi non appare chiaro. È da tempo nota l’origine costantinopolitana della decorazione in pietra, delle piccole icone in ceramica e del pavimento in ceramica della rotonda di Preslav. Più complessa è la questione che si lega al triconco, alla sua origine, innanzitutto. Alcune costruzioni triconcali di piccole dimensioni, con la cupola al centro, rappresentano, con tutta probabilità, gli oratori dei discepoli di Metodio. È possibile, anzi, che rappresentino un tipo particolare di architettura monastica, la cui origine va ricercata in qualcuno dei grandi centri monastici. Una chiesa come questa, alla maniera di quella di Peristerai, presso Tessalonica, ci dice che, nel corso del rinnovamen-

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to del IX secolo, compaiono edifici analoghi nella pianta e di piccole dimensioni. Sull’esempio dei triconchi della Macedonia sorsero probabilmente anche quelli della Zeta all’epoca della conquista dell’imperatore Samuele. Nell’ambito dell’analisi tipologica delle chiese medievali della Bulgaria, le chiese del tipo conciso con la croce iscritta e la cupola costituiscono un gruppo distinto da quello che riunisce le chiese con la croce iscritta sviluppata e con la cupola. Nell’architettura medio-bizantina queste non sono che varianti di un’unica concezione – o di due concezioni molto affini – dello spazio, come testimonia la struttura delle costruzioni. Le rassegne dell’architettura bulgara, di regola, tengono distinte queste due concezioni. È evidente che nelle opere di entrambe le varianti vengono realizzate soluzioni che hanno i caratteri della specificità. Al primo gruppo si possono aggiungere, per la concezione dello spazio, le chiese voltate a una navata, senza cupola. Nell’ambito della variante dello spazio ridotto ci sono alcune chiese a due piani, che sogliono attirare un’attenzione particolare. Al centro della curiosità scientifica si è trovato l’ossario di Bačkovo, eretto come parte del monastero di Bačkovo. Questo monastero fu fatto costruire nel 1083, da Gregorio Pacurianos, detto il Georgiano, forse di origine armena, grande domestico dell’esercito occidentale bizantino di Alessio I Comneno. La costruzione ha una pianta rettangolare allungata con l’abside sul lato orientale, che all’interno è semicircolare e all’esterno pentagonale. La chiesa vera e propria si trova sopra la cripta. La chiesa come la cripta hanno, sul lato occidentale, pronai a pianta quadrata. L’ampia apertura libera del lato occidentale conduce alla cripta, mentre la parte superiore, il nartece della chiesa, ha anch’esso un’ampia apertura verso la parte occidentale. Una volta allungata a semibotte, rafforzata a ritmo regolare da archi trasversali, completava l’alzato della chiesa. L’architettura della facciata conferisce una nota specifica

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alla costruzione. I muri furono costruiti alternando strati di sei file ciascuno di mattoni e grossi blocchi di pietra, secondo la tecnica costantinopolitana. Sulle pareti laterali e sull’abside si svolge la teoria delle arcate cieche, al centro delle cui lesene sono addossate le semicolonne, la cui continuazione segue ininterrottamente i profili degli archi. Queste arcate decorative non corrispondono alla struttura interna della costruzione. Proprio l’architettura delle facciate induce a cercare il modello per la chiesa di Bačkovo nell’architettura georgiana, ovvero armena. La realizzazione fu affidata a maestri dell’area costantinopolitana o a maestranze locali che usavano la tecnica muraria costantinopolitana. Alla concezione dello spazio che abbiamo illustrato nell’ossario di Bačkovo si avvicina la chiesa di Asen, nella città di Asen, Asenovgrad, non lontano da Bačkovo. Questa costruzione a una navata, con un naos a pianta rettangolare allungata, si eleva su due piani. La differenza sostanziale proviene dalla circostanza che il piano terra della chiesa di Asen nacque dall’esigenza di adeguare la costruzione a un terreno accidentato e non dalla funzione di cripta. Anche in senso architettonico la differenza è considerevole. La chiesa di Asen possiede una cupola al centro, con un’adeguata struttura interna. Le facciate ricordano solo in parte quelle della chiesa di Bačkovo. Le arcate cieche decorative dei muri laterali non corrispondono alla struttura interna dell’edificio, pure nella loro concezione complessiva sono subordinate a tale struttura. Un particolare rilievo riceve l’arcata centrale per l’aggetto dei suoi semipilastri, che definiscono tutta l’altezza della costruzione. Tre coppie di archi decorativi, sulle facciate del piano superiore della chiesa, uguali nel loro ritmo, indicano le tre campate interne della chiesa. Fra le rovine della seconda capitale bulgara, Preslav, sono state rinvenute molte parti della decorazione architettonica originaria. Oltre ai rilievi in pietra destinati a coprire determinati elementi architettonici, facevano par-

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96. Preslav (Bulgaria), Rotonda, pianta (secondo Bojadžijev).

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98. Bačkovo (Bulgaria), Ossario, pianta del piano terra (b) e del primo piano (a).

97. Madre di Dio Petrička, pianta (secondo Mijatev).

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te della plastica le opere di ceramica smaltata, che veniva utilizzata per i pavimenti, i muri e le incrostazioni nella pietra. Le decorazioni architettoniche di Preslav si distinguono per l’alto valore artigianale e artistico. Per l’epoca e lo stile a cui appartengono, nel senso più ampio della parola, sono le più vicine ai monumenti artistici della capitale bizantina. Con i frammenti provenienti da Preslav si possono completare i ritrovamenti legati alla chiesa settentrionale del monastero di Costantino Lips. Fra i capitelli ce n’è uno che attira particolarmente l’attenzione: il suo volume è ricavato dalla forma di un capitello imposta, coperto da ricchi pampini, intrecciati agli spigoli con palmette stilizzate. Di ottima fattura è un altro capitello di forma analoga, con un’uguale lavorazione su tutti i lati. Della composizione del ben sbalzato rilievo fanno parte una croce, incorniciata nella parte superiore da un arco a tutto sesto, con foglie collocate simmetricamente nella parte inferione come in quella superiore, sopra l’arco. I tralci, in una composizione più libera, coprono anche le cornici, che avevano una loro collocazione adeguata nella struttura della costruzione. Sulle altre cornici, di cui il numero maggiore dei resti si trovano tra i frammenti delle vestigia della chiesa rotonda di Preslav, il rilievo fu eseguito mediante varie stilizzazioni di motivi tratti dal mondo vegetale o di motivi geometrici, disposti sempre in ritmo regolare. Si sono, inoltre, conservati anche cornici con un bassorilievo analogo a quello delle lastre dei parapetti, i cui motivi sono geometrici, con aggiunte di una decorazione floreale più o meno stilizzata. In entrambe le varianti il disegno è sicuro, il motivo prescelto ripetuto ritmicamente il lavoro ricorda i migliori monumenti bizantini. Nel gruppo dei capitelli è stata notata la presenza di alcuni esempi di piccole dimensioni, con rappresentazioni di animali, oltre che dell’ornamento floreale. La loro fattura ricorda il tipo di lavoro adatto alle mensole e ai capitelli dei plutei dell’altare. I resti della ceramica smaltata di Preslav, più di tutti gli analoghi ritrovamenti bizantini, illustrano il modo e la portata dell’uso di questo tipo di decorazione nell’architettura. La ceramica smaltata, a giudicare dai ritrova-

menti di Preslav, veniva impiegata per le incrostazioni, la decorazione dei muri e dei pavimenti, degli archi di piccolo diametro, per la lavorazione delle icone. I frammenti in pietra con le incrostazioni provengono dalle cornici e dai capitelli. Nella pietra venivano incise le forme tridimensionali dell’ornamento prescelto e in questi vuoti veniva inserita la ceramica colorata per lo più a tinte calde. Sulle lastre di ceramica, di superficie rettangolare, veniva dapprima disegnato il motivo prescelto, geometrico, vegetale o animale, e poi venivano smaltate. I motivi sono simili a quelli dei rilievi in pietra, ma il loro disegno è più libero. Le lastre del pavimento presentano un ornamento geometrico o geometrizzato di origine vegetale. Le icone sono eseguite su un’unica formella, se sono di piccole dimensioni. Le icone maggiori coprono la superficie di più quadrati uguali, collocati in successione ortogonale. Il disegno della figura ci appare più libero, scoprendo l’ampio tratto del pennello sulla ceramica. La decorazione architettonica di Preslav, nei resti della chiesa rotonda e in altre località, occupa un posto distinto nell’arte bizantina, sia per la portata artistica del lavoro che per la disciplina artistica che illustra. L’architettura medio-bizantina espresse i suoi alti valori anche attraverso gli influssi esercitati sugli inizi dell’architettura monumentale della Rus’ di Kiev, dove i costruttori bizantini – con tutta probabilità provenivano da Costantinopoli – eseguono le prime opere rappresentative della regione. D’altra parte, l’ambiente russo, accettando l’architettura bizantina, costruisce il proprio programma dello spazio, per poi arrivare a un più ampio programma edilizio, nel quale si manifestano le forme particolari della sua architettura. Come altrove, anche nella Rus’ nell’edilizia sacra si riconosce, nel modo più affidabile, la vera natura della creatività edilizia, nel suo complesso. Anche sull’esempio di quanto avvenne nella Rus’ di Kiev si può prendere in considerazione il ruolo svolto dalla tradizione culturale ed edilizia, nell’ambito degli andamenti che caratterizzarono il mondo bizantino nel suo insieme. Sulla riva orientale dell’Adriatico e nelle regioni centrali dei

99. Asenovgrad (Bulgaria), San Giovanni, veduta da sud.

100. Bojana (Bulgaria), Santi Nicola e Panteleimone, veduta da sud.

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In questa doppia pagina e nella pagina seguente: 101. Preslav, disegni di decorazioni architettoniche riprese dalle vestigia archeologiche: ornamenti vegetali, decorazioni zoomorfe, capitelli e fregi.

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Balcani, la tradizione cristiana tardoantica influì – per quanto i modi non siano sempre chiari – sul repertorio edilizio dell’architettura che si affermò negli ambienti slavi cristianizzati. In terra russa non esiste questa tradizione. Probabilmente per questo nella sua architettura sacra non esistono componenti che risalgano a quell’epoca dell’architettura bizantina.

luppata sui tre lati del primo piano. Costruzioni posteriori, in miglior stato di conservazione, mostrano di che tipo di edificio si trattasse. Si tratta, infatti, di opere che presentano analoghe concezioni dello spazio. Il tempio del San Salvatore di Černigov (1036) è una chiesa a cinque cupole con un nartece ben distinto e le gallerie al primo piano. La concezione originaria di questa, che fu anch’essa una fondazione principesca, ha fornito la base per un’analisi dettagliata dei singoli elementi nella struttura e nelle forme, con cui si è arrivati alla conclusione che la chiesa di Černigov va vista come monumento della tradizione costantinopolitana trasformato secondo le esigenze del nuovo ambiente. In esso non si trova una sola forma che non sia nota all’esperienza della capitale bizantina. La maggiore per le sue dimensioni, e famosa per la sua decorazione, è la cattedrale di Kiev, la chiesa di Santa Sofia (1037). Nella sua complessità, e grazie alla struttura e alle decorazioni che la caratterizzano, essa esprime nel modo migliore le aspirazioni e le possibilità del fondatore come il mestiere e l’arte dei suoi costruttori.

La Rus’ di Kiev Le grandi opere dell’architettura monumentale, con le quali la Rus’ di Kiev entra nel mondo della civiltà bizantina, sono rare e collegate con le residenze dei sovrani. Dall’una all’altra capitale e dall’una all’altra generazione di committenti, le concezioni iniziali si ripetono e si sviluppano fino ai livelli più alti. Il primo grande edificio, la chiesa della Madre di Dio di Kiev (989-96), a giudicare dalle ricerche archeologiche, era una chiesa di rappresentanza in forma di croce iscritta con la cupola, con sei colonne e una galleria, svi-

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102-104. Černigov (Ucraina), San Salvatore, veduta del lato nordoccidentale; interno; pianta (secondo Rapopport).

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105-107. Kiev, Santa Sofia, veduta del coro da nord-ovest; cupola e lato settentrionale del corpo centrale; pianta (secondo Rapopport).

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108-110. Novgorod, Santa Sofia, veduta dal coro in direzione nordovest; pianta (secondo Rapopport); veduta d’insieme dell’esterno.

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Questa cattedrale è la variante più complessa che si conosca di chiesa cruciforme cupolata. All’organismo della chiesa con cinque cupole e le gallerie interne del primo piano venne aggiunta una nave su ciascuno dei lati: settentrionale, meridionale e occidentale, accanto ai quali si svolgono, sull’esterno, tre gallerie aperte. Oltre alle cinque centrali, la chiesa aveva ancora otto cupole minori. Edifici con cui confrontare questa costruzione non se ne possono trovare, ma è evidente che fu opera di maestri bizantini, probabilmente provenienti da una bottega costantinopolitana. Due sono le componenti che possono spiegare l’organismo di Santa Sofia. La prima è lo schema ideale dello spazio, costruito in dipendenza dalla funzione a cui l’edificio veniva adibito. Da esso deriva l’idea concreta della costruzione. Il massimo tempio del principato, la cattedrale di Kiev, doveva essere il luogo sacro che consentisse la presenza solenne del principe e del metropolita nell’ambito delle cerimonie adeguatamente concepite. Questi riti avevano una determinata importanza per l’elaborazione dell’ideologia del sovrano del nuovo Stato, così che si preferiva ambientarli all’interno della chiesa principale. È chiara, qui, l’analogia con la capitale bizantina. La Santa Sofia di Kiev mirava ad assumere funzioni analoghe a quelle che svolgeva l’omonima chiesa costantinopolitana. Ecco perché la soluzione prescelta è quella della pianta centrale con la cupola, o meglio con le cupole al centro, e con le gallerie a segnare l’invaso e con il nartece. I primi segni di tale concezione si avvertono nella chiesa più antica di Kiev, la chiesa della Madre di Dio, i cui modelli vanno sicuramente cercati nell’architettura di Costantinopoli. Infatti, la croce iscritta a pianta allungata con la cupola e le gallerie al primo piano era già stata realizzata a Costantinopoli nel X secolo. Questo è proprio il tipo architettonico evocato dalla famosa Gül Cami. La Santa Sofia di Kiev supera la chiesa della Madre di Dio di Kiev moltiplicandone l’elemento fondamentale della struttura nelle direzioni di entrambi gli assi principali dell’edificio. Arriviamo così alla seconda delle due componenti che ci spiegano l’organismo della chiesa. Una grande conquista dell’architettura medio-bizantina, relativa alla costruzione della cupola, è data dal sistema che sostiene la struttura in muratura della parte superiore dell’edificio. Della massima impor-

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tanza è il suo elemento fondamentale: quattro piedritti, colonne o pilastri, che portano la volta a crociera, la calotta o la cupola. Le complesse strutture sono state realizzate disponendo questi elementi secondo i due assi reciprocamente ortogonali. Era, questa, una base per la costruzione di un sistema di impalcature, innanzitutto per alleggerire in modo consistente i muri portanti della costruzione. Già nella più antica chiesa conosciuta dell’inizio del X secolo, nella chiesa settentrionale del monastero di Costantino Lips, si era manifestato l’intento di ridurre le vaste superfici murarie anche costruendo grandi aperture. Questo tipo di sperimentazione portò i costruttori costantinopolitani alle soluzioni che, nel loro significato strutturale, precedono il gotico. Ma torniamo alla Santa Sofia di Kiev. La pianta di Santa Sofia, il diametro orizzontale della sua struttura impone, convincentemente, il pensiero della ripetizione ritmica dell’elemento fondamentale della struttura. In senso geometrico si tratta della ripetizione del modulo fondamentale: il quadrato. Detto questo, possiamo interpretare l’insieme dicendo che il quadrato maggiore, imposto dalla cupola, con la lunghezza delle campate a esso subordinate, è stato ottenuto raddoppiando l’elemento fondamentale; oppure, al contrario, che le campate d’angolo sono sorte dividendo il quadrato al di sopra del quale è stata costruita la cupola principale. Una volta ben appreso, questo tipo di struttura consentiva di mutare il programma edilizio tradizionale, vale a dire consentiva l’adattamento delle esigenze note a quelle specifiche. La Santa Sofia di Kiev doveva avere dimensioni grandiose. Siccome il diametro della cupola non poteva essere accresciuto oltre la misura che già aveva, il committente e il costruttore scelgono la soluzione descritta: la moltiplicazione dell’elemento fondamentale della struttura, vale a dire il diametro della cupola. Lo scopo che si vuole perseguire costruendo templi di grandi proporzioni è quello di eguagliare, o almeno emulare, la grandiosità della cattedrale di Costantinopoli. Le grandi dimensioni, oltre alla decorazione e all’uso di materiali preziosi, erano uno degli elementi essenziali che doveva essere previsto per il massimo tempio del principato. La cattedrale di Kiev rappresenta il vertice dell’arte monumentale russa dell’XI secolo, che, come conobbe

111-112. Polock, Santa Sofia, pianta (secondo Rapopport); esterno, parte risalente all’XI secolo.

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113. Kiev, San Salvatore a Berestovo, parete meridionale. 114. Perejaslavl’ (Russia), San Salvatore, veduta da sud-est. 115. Chiesa del Manto della Madre di Dio (Pokrov) sulla Nerl’ presso Vladimir (Russia), insieme da nord-est. 116. Vladimir, San Demetrio, insieme della chiesa da sud-est.

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una rapida ascesa, con altrettanta rapidità raggiunse grandi valori artistici. La sua architettura si trova al vertice stesso del mondo artistico bizantino ed europeo del tempo. Per meglio comprendere l’architettura russa di quel periodo bisogna tener presente il fatto che si tratta di una grande opera sorta nell’ambito dell’ampia e potente attività costruttriva sviluppata nel centro di Kiev. Una produzione così vasta, in un periodo concentrato, fece sì che a Kiev si formassero molti costruttori, capaci di continuare il lavoro senza dipendere dalla conduzione di estranei. In proposito conviene ripetere la conclusione, generalmente accettata, che le prime grandi opere dell’architettura monumentale, fra cui anche Santa Sofia a Kiev, vennero erette da maestri che provenivano da Bisanzio. Le abilità necessarie riguardano la produzione dei mattoni, la lavorazione della pietra, l’elaborazione della decorazione in pietra e altro, tutte arti sconosciute nell’ambiente russo dell’epoca. Nell’architettura dell’esterno, la facciata, vicina nelle concezioni e nella tecnica alla capitale bizantina – il rilievo e il disegno visti come espressione della struttura interna, la tecnica muraria in cotto con grossi strati di connessione che nascondono ogni seconda fila di mattoni – e nella preziosa lavorazione dell’interno, questa cattedrale rivela le ambizioni e il potere dei fondatori. L’interno doveva far colpo sui fedeli e sui visitatori con quella ricchezza che era tipica delle chiese della capitale bizantina. Mancavano soltanto le colonne di marmo. Queste, infatti, come in altre grandi chiese russe del tempo, vennero sostituite con pilastri in muratura, per motivi pratici, secondo una caratteristica, da tempo definita, dell’architettura russa. I mosaici alle pareti, il pavimento in opus sectile e le traverse di marmo, con decorazioni in rilievo, dei plutei e dei portali illustrano la natura e la tecnica di lavorazione dell’interno. Oltre a Santa Sofia, che, nella Kiev di quel tempo si distingueva per la sua grandezza, furono costruiti più edifici rappresentativi: il palazzo vescovile, la Porta d’oro, le chiese di Sant’Irene e di San Giorgio. La costruzione della Porta d’oro, accesso meridionale alla città, e di Sant’Irene, insieme con la dedica della chiesa cattedrale, rivelano il proposito del fondatore di riprodurre il modello della capitale bizantina. Naturalmente anche la popolazione locale prende parte a tutti questi lavori.

L’idea attuata nella Santa Sofia di Kiev, venne ripetuta, come sistema a cinque cupole, nelle due chiese sempre dedicate a santa Sofia, che sorsero in due altre città importanti della vecchia Russia: Novgorod e Polock. Abbiamo ricordato la cattedrale della Trasfigurazione (Spasopreobraženski Sabor) di Černigov. In termini analoghi potremmo parlare della chiesa principale del monastero Vidubickij, e poi del monastero di San Michele e di quello delle Grotte (Pečerski). La concezione fondamentale di tutte le costruzioni ricordate, e di altre di quel tempo, è la croce greca iscritta con la cupola al centro, nelle sue diverse varianti. La più semplice prevede la croce principale iscritta con una cupola, provvista di nartece, il cui chiaro inserimento è consentito dalla presenza di un naos allungato, dove l’alzato poggia su sei piedritti liberi, che di norma sono colonne. La variante più complessa prevedeva l’aggiunta delle navate sui lati settentrionale e meridionale e dell’esonartece, che collega queste navate, cui si accompagna l’aumento del numero delle cupole. La costruzione della chiesa cattedrale di Novgorod (1045-50), per ordine del principe Jaroslav, di suo figlio Vladimir e dell’arcivescovo Luca, anch’essa all’insegna della grandiosità, mostra contenuti coincidenti con quelli legati alla Santa Sofia di Kiev. La chiesa di Novgorod ha dimensioni di poco minori della precedente, eretta a Kiev. La concezione, però, rimane identica: cinque navate e cinque cupole, le gallerie col nartece. È inoltre simile alla cattedrale di Kiev, per le forme generali, come nella struttura, presentando archi e volte a tutto sesto, pilastri in muratura come sostegni liberi della costruzione superiore. Le facciate, originariamente senza malta, presentano la nota tecnica muraria, con le superfici lisce e le lesene che ne delineano la struttura interna. La terminazione delle superfici delle facciate indica la struttura della costruzione superiore, nella misura indicata sulle prime costruzioni monumentali della Rus’ di Kiev. Le absidi sono semicircolari nel profilo interno come in quello esterno, dove, però, il profilo pentagonale è indicato mediante le colonnette addossate. Le finestre sono costruite in cinque zone. Il terzo tempio di Santa Sofia, a Polock, della metà dell’XI secolo, è più modesto e di proporzioni minori. Analoga è, tuttavia, la concezione

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TAVOLE A COLORI TAV. 31. Preslav (Bulgaria), rovine della Chiesa Rotonda.

TAV. 36. Mosca, Cremlino, Dormizione della Madre di Dio.

TAV. 32. Mesembria (Nessebar, Bulgaria), resti della navata della chiesa metropolitana.

TAV. 37. Novi Pazar (Serbia), San Pietro, insieme dell’esterno.

TAV. 33. Novgorod, Santa Sofia. TAV. 34. Vladimir, Dormizione della Madre di Dio, veduta dal lato nord-orientale. TAV. 35. Zvenigorod (Russia), monastero di San Saba a Storoži, Natività della Madre di Dio.

TAV. 38. Novi Pazar (Serbia), chiesa detta delle Colonne di San Giorgio (Djurdjevi Stupovi), insieme dell’esterno. TAV. 39. Studenica (Serbia), il complesso monastico. TAV. 40. Ibidem, chiesa della Madre di Dio, la facciata.

TAV. 42. Ibidem, particolare della decorazione scultorea del portale meridionale. TAV. 43. Monastero di Sopoćani (Serbia), campanile e facciata della Santa Trinità. TAV. 44. Monastero di Mileševa (Serbia), chiesa dell’Ascensione, veduta del lato sud-orientale. TAV. 45. Monastero di Gradac (presso Brvenik, Serbia), Madre di Dio, l’esterno.

TAV. 41. Ibidem, la trifora dell’abside.

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117 e 118. Vladimir, Dormizione della Madre di Dio, veduta da sud-ovest; pianta (secondo Rapopport). 119. Bogoljubovo (Russia), torre del palazzo.

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dello spazio e delle struttura: il rapporto fra le sue misure corrisponde alle proporzioni delle due precedenti chiese cattedrali. È certo che le tre chiese di Santa Sofia avevano il loro modello fondamentale nella Santa Sofia di Costantinopoli. E questo vale per lo schema ideale dello spazio, ma, in sostanza, molto di più, per la vastità del suo invaso come per l’importanza della sua patrona, che aveva una dimensione cristiana universale. La produzione edilizia di altissima qualità, che comunemente chiamiamo architettura monumentale, iniziata a Kiev, continua in Russia anche dopo l’indebolimento e lo smembramento dello Stato di Kiev. Rimaniamo sempre nell’ambito dell’architettura sacra. Si è mantenuto il tipo fondamentale di edificio, costruito secondo il modello bizantino, la chiesa a croce iscritta con la cupola al centro e sei o quattro sostegni liberi della costruzione superiore. La grandiosità dell’insieme attuata nella Santa Sofia di Kiev non verrà più realizzata, al contrario troveranno applicazione sue varianti concise. Costante rimane, invece, lo sforzo di ottenere uno spazio interno di grande prestigio oltre all’adeguata rifinitura esterna dell’edificio. Le circostanze generali in cui si formano i nuovi cantieri contribuiscono alla creazione degli elementi specifici nei caratteri essenziali del senso e della funzione dell’edificio; nascono fenomeni e andamenti che solo entro certi limiti si potrebbero considerare come scuole locali. I templi voltati in muratura segnarono lo sviluppo dell’architettura di Kiev nella seconda metà dell’XI secolo. Uno dei maggiori è la chiesa di Boris e Gleb a Vyšgorod (1070), costruita nella concezione descritta, poi la chiesa di San Demetrio e la chiesa del monastero Klovski, a cui si attribuiscono le soluzioni spaziali che sono caratteristiche del tempio di Hosios Lukas in Focide. All’inizio del XII secolo sorge a Kiev la chiesa del Sal-

vatore a Berestovo, nella concezione della croce iscritta semplice con la cupola su pilastri, con tre absidi, il nartece, sovrastato da una galleria, e dettagli particolari nella parte superiore dell’alzato. Alla fine dell’XI secolo si sviluppa l’attività edilizia a Perejaslavl’. La chiesa di San Michele viene eretta come chiesa principale della città. All’epoca di Jurij Dolgorukij, attorno alla metà del XII secolo, risale la chiesa della Trasfigurazione, ispirata alla nota concezione, ma specifica nel suo insieme. Viene costruita in pietra, senza nartece, di eleganti proporzioni con archi decorativi sulle facciate. Il principe Andrej Bogoljubskij mira a fare della sua capitale, Vladimir, la prima città della Russia. Vladimir è sede metropolitica, sotto l’alta protezione della Madre di Dio, raffigurata da un’ icona miracolosa. In questo senso viene istituita anche la festa del Manto e, ancora in segno di venerazione della Madre di Dio, viene elevata la grande chiesa cattedrale della Dormizione della Madre di Dio (1158-1160), che successivamente subì mutazioni. Sono più chiare le dimostrazioni del tipo di architettura sviluppata a Vladimir, deducibili dagli edifici che si possono ricostruire nella forma originaria. Nelle vicinanze di Vladimir venne costruito il castello di Bogoljubovo, circondato dalle mura. In esso fu eretto un palazzo, annesso alla chiesa. Una parte si è conservata. L’esempio più significativo dell’architettura voluta dal knjaz (principe) è dato dalla nota chiesa del Manto della Madre di Dio sulla Nerl’ (1165). L’edificio ha perduto il loggiato sviluppato sui tre lati della costruzione, ma il suo organismo fondamentale è rimasto intatto. Eretto nella nota concezione, a pianta rettangolare, che è quasi un quadrato, con la cupola al centro e la galleria sopra la campata occidentale, si distingue per il volume chiuso della verticale accentuata. Le lesene sviluppate, che sulle facciate seguono la struttura interna, sono collegate da archi che completano la facciata quasi su un unico piano orizzontale. Nel mezzo, su un basamento non molto alto, si erge la cupola col tamburo circolare, decorato con eleganti arcatelle, ogni seconda delle quali incornicia una finestra. Le facciate in pietra del naos, oltre all’organizzazione strutturale verticale, presentano la composizione in due zone. Quella inferiore è completata dal fregio delle arcate sulle alte mensole. La cornice terminale del fregio fa da base alle finestre, e sulle superfici sovrastanti le finestre, negli archi, sono collocate le sculture, in distribuzione libera. Il tema è quello del Davide con i leoni. Le due zone non sono continuate sulle absidi, le cui superfici lisce si concludono anch’esse con il fregio delle arcate su alte colonnette. Nella loro parte architettonica sono romanici sia i portali che le finestre. Gli stipiti delle porte e delle finestre, con tre sguanci fino all’orlo dell’apertura, sono collegati da archi a tutto sesto dello stesso profilo. Sulla fronte dello stipite sono collocate le colonnette che portano capitelli e cornici su un piano, così che viene a formarsi un fregio orizzontale, come è d’uso nei portali romanici evoluti. Se l’arte della corte di Vladimir-Suzdal’ può essere presentata in poche parole, riferite alle opere descritte, tale descrizione potrebbe essere così formulata: sulla base della concezione bizantina dello spazio furono elevate forme in cui il materiale – la pietra – il dettaglio e l’ornamento e il rapporto delle misure fondamentali sono espressione di un forte orientamento verso uno stile romanico maturo. Un’accelerata

120. Ricostruzione della chiesa del Manto della Madre di Dio (Pokrov) sulla Nerl’ presso Vladimir.

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121. Kiev, rilievo dei santi guerrieri. 122. GalicĚŒ (Russia), rilievo in maiolica.

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123. Galič, San Panteleimon, dettaglio del portale occidentale. 124. Černigov, Santi Boris e Gleb, capitello.

126. Chiesa del Manto della Madre di Dio (Pokrov) sulla Nerl’ presso Vladimir, dettaglio del rilievo.

125. Vladimir, Dormizione della Madre di Dio, capitello.

127. Rjazan’ (Russia), rilievo in pietra del portale.

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maturazione del senso della decorazione e dell’addobbo lussuoso dell’interno si manifesta nella chiesa del palazzo di Vladimir, dedicata a san Demetrio ed eretta per ordine di Vsevolod III (1193-1197), Proporzionatamente piccola, per la concezione dello spazio, nelle forme e per l’architettura, la facciata simile a quella del Manto sulla Nerl’, ha le superfici della parte alta, tra il fregio delle arcatelle e i completamenti ad arco della facciata, coperte da un rilievo in pietra. È convincente l’opinione che si tratti di un’arte palatina, di cui si possono trovare analogie nel mosaico, nella decorazione in metallo, nelle stoffe o nei manoscritti. Per il suo rilievo in pietra è nota la chiesa di San Giorgio a Jurjev-Pol’skoj (1230-34). La sua pianta ha lo schema della croce iscritta con la cupola nel mezzo, con i vestiboli sui tre lati come Santa Sofia di Trebisonda. È particolare per il rilievo che copre tutte le superfici e anche i fusti delle colonnette. Oltre ai motivi floreali, esso contiene anche motivi biblici. La comparsa del rilievo sulle facciate, sia che si tratti di parti delle sue superfici che delle facciate nel loro complesso, si direbbe non abbia ricevuto una spiegazione adeguata. Una novità specifica nella concezione generale dell’architettura venne introdotta con la costruzione del volume collocato su una pianta quasi quadrata, a formare un insieme chiuso, di altezza accentuata, con una conclusione piramidale delle forme esterne della costruzione superiore – nelle volte a botte dei bracci della croce – e con l’alta cupola nel mezzo. La Pjatnica (Santa Parasceve) di Černigov sarebbe l’esemplificazione tipica di questo tipo, mentre soluzioni analoghe furono realizzate a Smol’ensk, Ovruč, Polock, Novgorod. La decorazione architettonica era parte delle opere architettoniche monumentali russe fin dai loro inizi. Le parti conservate delle decorazioni costituiscono la base per la ricostruzione dei complessi originari. I maestri che ese-

guono queste opere plastiche nel primo periodo dell’architettura monumentale russa sono di origine bizantina e con tutta probabilità provengono da Costantinopoli. I rilievi in pietra predominano nella plastica decorativa dell’architettura russa. Registriamo, inoltre, anche l’impiego delle piastrelle di maiolica e il mosaico per pavimenti, i cui resti sono eccezionali, come è il pavimento in frammenti della chiesa della Madre di Dio, così detta della Decima (986-96). I rilievi in pietra ornano le formelle dei plutei, delle balaustre collocate nelle gallerie interne delle chiese, sui sarcofagi e sui capitelli. Nella Santa Sofia di Kiev si è conservato il maggior numero di rilievi in pietra. Oltre a due capitelli minori si tratta di sarcofagi e lastre di parapetti. I sarcofagi di forma classica, nella tradizione paleobizantina, sono caratterizzati da croci, rosette, foglie di palme e altri motivi vegetali elaborati plasticamente. Un disegno accuratissimo e l’alto livello della tecnica lapidaria parlano della loro diretta origine costantinopolitana. Le formelle dei parapetti in Santa Sofia di Kiev sono di due tipi. Per le balaustre delle gallerie furono scolpite formelle che sulla superficie presentano un repertorio di decorazioni ampiamente diffuso nell’architettura media bizantina. Con l’intreccio della caratteristica fascia in rilievo sono delineate le cornici geometriche al cui interno si svolgono i motivi figurativi. Le cornici hanno forme di cerchi, rombi o rettangoli. Nel cerchio di mezzo di una formella vediamo raffigurata un’aquila, mentre su un’altra lastra riconosciamo pesci stilizzati in una rete di minuti rettangoli. Sulle altre formelle sono raffigurate croci, rosette, immagini del «sole in movimento». Di particolare interesse sono due formelle con la rappresentazione in rilievo dei santi guerrieri, come altre due che presentano rappresentazioni profane di motivi antichi. Una è dedicata a Dioniso nella sua marcia trionfale, sul carro trascinato da un leone e da una leonessa, mentre l’altra ci presenta Eracle nell’atto di vincere il leone. Anche nella cattedrale di Černigov si sono conservate le formelle delle balaustre della galleria al primo piano. I rilievi mostrano un lavoro artigianale molto corretto; nella composizione domina la struttura geometrica. I motivi sono rombi, cerchi, in cui si trovano le croci, il «sole in movimento» e il motivo stilizzato a sei foglie. Nell’architettura del XII secolo le facciate vengono decorate con piastrelle di maiolica. Ne è un esempio la chiesa dei Santi Boris e Gleb a Grodno. Le piastrelle sono raggruppate in una delle forme della croce. Insieme col disegno, il colore della maiolica introduce la componente pittorica sulla superficie della facciata. L’uso del rilievo in pietra sulle facciate costituisce il passo successivo nell’elaborazione di una particolare decorazione architettonica nell’ambito dell’architettura russa. Il grado artistico più elevato è stato conseguito nell’architettura della regione di Vladimir-Suzdal’. Il sistema delle facciate in pietra e delle forme dei portali e delle finestre è di origine romanica. E la medesima origine hanno anche i fregi delle arcate. Nasce, invece, da una soluzione originale la loro collocazione nella concezione dell’insieme. Essi, infatti, sono disposti nelle fasce centrali della facciata, in corrispondenza del primo strato strutturale dell’alzato, sull’esempio della tradizione bizantina. Anche la soluzione che troviamo sulle facciate di San Demetrio a Vladimir ci riconduce, per

128. Pokrov sulla Nerl’ presso Vladimir, rilievo dell’arco della volta centrale (sopra); rilievi delle colonne dell’interno (sotto).

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l’ispirazione, all’arte bizantina. Romaniche sono le mensole, che portano le colonnette, e uguale origine hanno anche i capitelli. Tuttavia, le sculture dei santi nelle arcate in successione ritmica troveranno il loro termine di confronto nella pittura bizantina. Un fenomeno assolutamente specifico è dato dalla completa copertura delle facciate mediante un rilievo a tematica vegetale e figurativa. Mentre in San Demetrio – sulle superfici alte delle facciate – vediamo applicato soprattutto il rilievo vegetale, in San Giorgio a Jurjev-Pol’skoj predominano le rappresentazioni antropomorfe e zoomorfe. Il rilievo figurativo mostra personalità e temi sacri. Oltre a questi sono state trovati anche temi secolari. Nelle rappresentazioni di molte figure di santi sono visibili le tradizioni dell’espressione monumentale bizantina. Ma non mancano neppure figure di altro tipo, la cui rappresentazione ha la forma del realismo naïf, il che ha fatto pensare ad una componente popolare di quest’arte. Nella tradizione artistica bizantina non si conoscono soluzioni che anticipino i rilievi descritti dell’architettura russa. Le figure rappresentate in rilievo sulle facciate di Aghtamar – ben nota chiesa armena sul lago di Van – difficilmente possono essere servite da modello alle opere russe del XII e del XIII secolo. È assai più probabile che sia stata la miniatura la disciplina pittorica a dare lo spunto alla costruzione dei rilievi russi sulle facciate. Nelle miniature troviamo infatti rappresentazioni complesse, un disegno e una decorazione concisi, che però si sviluppano ampiamente nella ripetizione di un medesimo motivo.

le di Novgorod e Pskov. Un nuovo, consistente sviluppo dell’architettura monumentale si realizza, invece, sul territorio del principato di Mosca. Ne sono rappresentanti la chiesa della Dormizione di Zvenigorod (1399) e quella del San Salvatore nel monastero Andronikov a Mosca (1410-1427). L’incontro degli architetti italiani, rappresentanti di una nuova scuola, quella rinascimentale, con l’architettura medievale russa, espresso nelle grandi opere costruite a Mosca, mette in luce la natura e le radici di due diverse concezioni dell’architettura. Alla cultura di Fioravanti, nello spirito di una concezione classica rinnovata dell’architettura, corrispondevano i solidi volumi chiusi e un disegno, rigorosamente ortogonale, delle forme sulle superfici delle facciate. Una tale concezione poteva trovare punti d’appoggio nell’architettura del principato di Vladimir-Suzdal’. Tuttavia, nella sua trasformazione ulteriore, la tradizione locale si è conservata soltanto nei dettagli. Non stupisce che tutti abbiano inteso la chiesa moscovita della Dormizione della Vergine come un palazzo rinascimentale, sul cui tetto si ergono, in posizione simmetrica, un gruppo di cupole. La chiesa di San Michele, opera di Aloisio da Milano (il Giovane), va interpretata come un nuovo tentativo di connessione tra la concezione del complesso edilizio tradizionale russo a cinque cupole e le forme rinascimentali. La nuova soluzione, pur rispettando la tradizione, nello spazio e nella struttura, sulle facciate presenta superfici rettangolari delimitate da cornici profilate, con capitelli compositi sotto la cornice, completate da conchiglie classiche. In realtà l’ambiente locale poté accogliere soltanto i dettagli. Infatti l’architettura russa, nel suo ulteriore sviluppo, ha conservato la sua idea tradizionale dello spazio concentrato, coperto dalla cupola. Su questa concezione continuano a essere costruite le forme esterne. L’accentuazione degli spazi centrali, coronati dalla cupola, porta progressivamente alla realizzazione di un particolare sistema di forme, costruito con gli elementi della struttura, che si fanno decorazione, completata dal colore. Questi elementi essenziali sono la pianta rettangolare, con la cupola al centro, su quattro pilastri, il solido volume, con una verticalità, da cui sporgono soltanto l’abside e l’alta cupola. Le lesene esterne descrivono le strutture architettoniche, gli archi che le collegano completano le facciate, a metà della cui superficie, invece della successione delle arcatelle tipiche del principato di Vladimir-Suzdal’, vediamo collocato un fregio eseguito come rilievo in pietra. Va, inoltre, ricordato anche il portale che ha una forma romanica caratteristica. Benché solenne e monumentale, nel suo semplice volume cubico, la prima architettura moscovita, per le dimensioni come per la sontuosità degli edifici, non fu sufficientemente rappresentativa del potere del nuovo forte Stato, divenuto centro delle terre russe e – dopo la caduta di Costantinopoli sotto i turchi – dell’intero mondo cristiano orientale. All’epoca dell’imperatore Ivan III si cominciarono a invitare in Russia gli architetti italiani, che in quell’epoca si erano conquistati grande fama nell’Europa occidentale. L’architetto bolognese Fioravanti fu chiamato a costruire la cattedrale moscovita della Dormizione della Madre di Dio, sul modello della chiesa della Dormizione di Vladimir. Ma la nuova cattedrale (1475-79) non fu costruita come pura copia di quella. La chiesa con cinque cupole, dal volume chiuso, rispetto

Il principato di Mosca e la Scuola italiana L’invasione dei tartari del 1230 arrestò lo sviluppo dell’architettura russa. Ne furono risparmiati soltanto i territori della Galizia e dell’estrema regione nordorienta-

130. Jurjev-Pol’skoj, San Giorgio particolare della facciata. A fronte: 129. Jurjev-Pol’skoj (Russia), San Giorgio ricostruzione della facciata; dettaglio della parte superiore del portale (sopra).

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alle misure fondamentali, vicine all’architettura tradizionale di Vladimir-Suzdal’, ha facciate dall’armonica composizione ritmica. Le lesene esterne corrispondono alla struttura interna e indicano le campate. Nella copertura gli archi sono collegati alla medesima altezza così che si ha l’impressione che le cinque cupole siano state collocate su un medesimo piano. Nella lavorazione delle superfici esterne è visibile l’influenza delle concezioni rinascimentali. Le superfici chiuse delle facciate, delimitate da eleganti lesene e dagli archi terminali, hanno soltanto due file di finestre strette e, all’altezza dell’ordine inferiore, un fregio di strette arcatelle, che solo come motivo ricordano i fregi corrispondenti di Vladimir, ma senza rilievo, sempre nello spirito delle concezioni rinascimentali. Nello spazio e nella struttura interna è ripetuta la concezione tradizionale con una campata centrale maggiore delle altre. Constatiamo, dunque, che nella nuova cattedrale moscovita si trovano collegate le soluzioni edilizie tradizionali russe e le forme ispirate al Rinascimento italiano. A Mosca, in seguito, lavorano anche altri architetti italiani. All’inizio del XVI secolo Aloisio, soprannominato il Giovane, erige la cattedrale di Sant’Arcangelo. Mentre è certamente tradizionale la concezione della croce iscritta con cinque cupole e i pilastri a sezione rettangolare, una ricca decorazione rinascimentale arricchisce le pareti esterne di questa chiesa. Ne sono elementi le lesene a sezione rettangolare completate da capitelli corinzi, le superfici rettangolari incorniciate, le conchiglie stilizzate alla maniera rinascimentale come decorazione delle superfici sottostanti gli archi. Per quanto più ricca di decorazioni della cattedrale di Fioravanti, la chiesa di Sant’Arcangelo non ha influito sulla successiva architettura moscovita. Sempre italiani sono gli architetti che hanno costruito un grande palazzo nel Cremlino moscovita, noto come Palazzo a faccette. Sullo scorcio del XV secolo, nell’architettura mosco-

vita fu realizzato il tipo conciso della chiesa cupolata di piccole dimensioni. Esso serviva a soddisfare i bisogni della moltiplicata popolazione cittadina, le cui possibilità erano più modeste di quelle di cui disponevano i fondatori che appartenevano al ceto nobiliare feudale. Furono costruite come chiese voltate a una navata senza sostegni liberi. Al centro, nella copertura si incrociano due volte a semibotte – secondo il sistema sviluppato delle chiese a croce iscritta. Sulla loro intersezione è collocata la piccola cupola. All’architettura russa appartengono opere sorte sulla riva settentrionale del Mar Nero nel territorio della Crimea. Si rende qui opportuno includere un breve cenno sulla lunga tradizione edilizia di questo territorio. La dominazione bizantina ha lasciato tracce anche nell’architettura di parti della riva settentrionale del Mar Nero. La storia irrequieta di questo territorio non ha consentito una continuità spirituale e culturale. Abbiamo resti architettonici che risalgono a tutte e tre le epoche della storia bizantina. Non sono numerosi, ma meritano attenzione perché testimoniano la grande creatività edilizia e artistica del mondo bizantino sul territorio della sua estrema periferia nordorientale, sul territorio della Crimea. Ci sono noti i resti di alcune città. Nelle parti conservatesi delle mura difensive e delle porte di un tempo si riconoscono gli strati tardoantichi e altomedievali. Una particolare attenzione è stata suscitata dagli edifici di culto. La grande basilica, di cui si pensa che precedentemente fosse stata il tempio principale del vecchio Cherson, viene datata al VI secolo. Successivamente venne rinnovata. L’edificio comprende uno spazio articolato: sul lato orientale del naos a tre navate si apre il santuario (o spazio dell’altare), su quello laterale un nartece ben delinato e un ampio atrio. Del complesso facevano parte ancora la galleria meridionale, addossata al naos, il batti-

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131-132. Mosca, Cremlino, cattedrale dell’Arcangelo, pianta e veduta d’insieme.

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stero e, a quanto pare, un edificio residenziale. In questa costruzione, denominata basilica Uvarovski, come in altri edifici sono visibili i resti di una lavorazione preziosa degli interni, dei pavimenti in mosaico, delle cornici delle aperture e delle parti dell’arredamento fisso, fabbricate in marmo del Proconneso. Al periodo medio e a quello tardo appartengono, in parti diverse, i resti conservati delle chiese caratteristiche a croce iscritta con la cupola su quattro sostegni liberi. Fra di essi occupa un posto di rilievo la chiesa, di recente rinnovata e studiata, dedicata a san Giovanni Precursore, che sorge a Kerč. Presenta una pianta rettangolare, simmetrica nelle sue parti, con quattro colonne libere al centro, su cui si erge la cupola e si distingue per le sue forme architettoniche esterne e la lavorazione accurata delle superfici delle facciate. Il tamburo dell’alta cupola ha sedici lati. È collocato sulle volte accentuate che coprono i bracci della croce iscritta. La tecnica muraria applicata è quella costantinopolitana, ampiamente dimostrata nelle chiese di Mesembria. Gli strati di blocchi di pietra ben squadrati, che possono essere tre nella zona più basa e quattro in quella più alta, si alternano con gli strati a quattro file di cotto con larghi strati connettori di malta. Gli archi della facciata sono di cotto. Le superfici delle facciate sono caratterizzate da un sistema di archi decorativi costruiti in modo unico. Sui lati frontali dei bracci laterali della croce riconosciamo cinque strati; nelle loro parti inferiori ci sono due finestre su ogni lato, ornate da archi, allineati sulle lunghe facciate dei bracci della croce iscritta, poi sulle facciate della campata orientale e occidentale del naos, sulle absidi laterali in due zone e sull’abside principale in tre zone. In considerazione dei suoi affreschi, la chiesa viene datata alla metà del XIV secolo, mentre per la sua elaborazione esterna potrebbe esserle accostata la chiesa di San Giovanni Aliturgitos di Mesembria.

L’architettura russa e il mondo bizantino È logico chiedersi quale sia il posto che occupa l’architettura russa nell’edilizia e nell’arte del mondo bizantino, specie nei riguardi dell’architettura bizantina nel senso stretto del termine. Nelle sue costruzioni che mostrano le concezioni, il mestiere e i materiali caratteristici dell’architettura del periodo medio-bizntino, nella sua linea dominante, l’arte russa segue coerentemente i princìpi che avevano costituito la base del programma delle prime opere. Si può osservare come sia difficile imporre un principio tipologico applicabile alle opere architettoniche dell’antica arte russa, dagli edifici più antichi a quelli del XVI secolo. In tutti i centri in cui si costituirono scuole architettoniche russe, il tipo di costruzione fondamentale e caratteristico era quello della chiesa a croce iscritta con la cupola nel mezzo. Eccezionali sono anche le chiese a cinque cupole. Il tipo di costruzione tipico e precipuo rimane quello della croce iscritta con una cupola nel mezzo, su quattro pilastri. È questo il tipo di chiesa più diffuso, che, quindi, può essere assunto come costante dell’architettura russa nel suo complesso. Le gallerie, collocate sui tre lati, al livello del primo piano, oppure solo sulla campata occidentale, sono presenti solo eccezionalmente e segnalano l’importanza della chiesa. Rari sono anche i portici aperti, che, di norma, coprono i tre lati dell’edificio. L’analisi approfondita dell’insieme mostra che i cambiamenti nello schema ideale dello spazio, qualora si trascuri la grandezza dell’edificio, sono d’importanza secondaria. È assolutamente certo che su di essi non si è basato lo sviluppo dell’architettura. Tutto quanto caratterizza la scuola russa dell’architettura rientrerebbe nell’ambito dello stile, nel senso più alto della parola. La tecnica muraria comincia con il cotto, a cui rimane legata per un tempo relativamente lungo, alla maniera costantinopolitana. I pilastri in muratura, a se-

133. Mosca, Cremlino, Palazzo a faccette.

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zione cruciforme o rettangolare, sostengono la parte alta della costruzione al posto delle colonne, che sono invece impiegate nell’architettura costantinopolitana. Motivi artigianali pratici probabilmente imposero la prassi di costruire volte a semibotte là dove, nell’architettura della capitale bizantina o di Tessalonica, si erigevano le volte a botte. Lo stesso si potrebbe ripetere per i dettagli dell’arte muraria. Col tempo ai mattoni si sostituisce la pietra, nella forma di blocchi ben squadrati e levigati con cui si compongono le superfici delle facciate. Sotto l’influsso dell’arte romanica, che si diffonde attraverso la Galizia, i portali solenni ricevono le forme romaniche classiche. A queste forme si adattano le finestre, mentre sulle facciate compaiono i fregi di arcate, eleganti nella forma, su colonnette alte e strette. Fra i cambiamenti stilistici vanno collocati sia l’osservazione che la lavorazione del volume complessivo dell’edificio, come la lavorazione delle superfici delle facciate. Col tempo viene abbandonata la concezione bizantina dell’armonia; i volumi diventano più chiusi, con un accentuato sviluppo verticale e la tendenza a chiudere le superfici delle facciate quasi con un unico piano orizzontale, propria già della prima architettura russa, si trasforma nello sforzo di realizzare il compimento piramidale della costruzione con un’alta cupola nel mezzo, caratteristica che diviene propria di un gruppo non piccolo di edifici, nella fase matura dell’architettura russa. Un esempio eccelso di adeguamento dell’architettura esterna è dato dalla chiesa cattedrale del Cremlino moscovita, a opera di Aristotele Fioravanti; le forme esterne e le superfici delle facciate, nella tipica concezione russa della chiesa con la croce iscritta, furono realizzate nello spirito del Rinascimento italiano. Quanto è stato esposto mostra chiaramente che nell’architettura russa non esistono soluzioni né basilicali né triconche e neppure edifici nei quali, nell’organismo edilizio a una navata, mediante elementi secondari, vengano sostituite le parti ritenute necessarie in un edificio di culto regolamentare. Fin dagli inizi dell’architettura monumentale o in pietra, come preferiscono dire gli storici russi, la chiesa, nella variante standardizzata come in quella evoluta della croce iscritta, viene edificata in un’unica concezione dello spazio. Essa si esprime nella realizzazione di un volume che ha approssimativamente una base quadrata coperta dalla cupola. È questa la soluzione, che, nella forma adeguata nell’architettura medio-bizantina, ricorda, fino quasi a rappresentarla, l’immagine ideale del cosmo, in cui la cupola riproduce le sfere celesti. La persistenza di tale genere di architettura monumentale nella Russia medievale testimonia la profonda fedeltà dell’alta cerchia dei committenti e dei fedeli, partecipanti alla vita della chiesa, all’antica idea del tempio. Potremmo definire tutta l’architettura russa, fino allo scadere del Medioevo, una specifica manifestazione di classicismo ininterrotto, nell’ambito delle idee del mondo edilizio e artistico bizantino.

tazioni sicure. Nel periodo più antico l’attività edilizia era più consistente sui territori serbi occidentali, lungo la costa adriatica orientale, giacché in quei territori avevano avuto sede i primi Stati serbi. Attorno alla metà del X secolo Costantino Porfirogenito scrive che nella Doclea si trovavano quattro città abitate, nella Zacumia cinque città, e nella Travunia e nel Conavle sempre cinque città. Fra di esse, sicura è l’identificazione di Ston (Stagno) e probabilmente anche di Lontodokla. In base alle modeste conoscenze archeologiche si può concludere che queste città erano costituite dal palazzo, dall’area fortificata per il refugium e l’abitato a ridosso delle fortificazioni. In parallelo, nella regione costiera continua la vita di alcune città sotto la dominazione bizantina. Si tratta di Ragusa (Dubrovnik), Cattaro (Kotor), Antivari (Bar) e Dulcigno (Ulcinj). Probabilmente l’architettura delle città costiere bizantine influì sull’attività edilizia della terra serba, sebbene in proposito non esistano dati affidabili, perché nelle città bizantine si sono conservati pochissimi resti edilizi dell’epoca. A giudicare dalle vestigia di Gradina, a Martinic´i (forse da identificare con Lontodokla), la chiesa cattedrale fu costruita sul modello delle grandi basiliche cristiane di uno dei grandi centri ecclesiastici. I rilievi decorativi in pietra e le iscrizioni latine fanno pensare alle fonti italiane, mentre le iscrizioni greche indicano che l’organizzazione ecclesiastica si trovava sotto la giurisdizione della sede metropolitica di Durazzo. Sui resti della vecchia Stagno, nelle vicinanze dell’attuale città di Ston, si è conservata la chiesa di San Michele, datata con sufficiente affidabilità alla fine dell’ottavo decennio o al nono decennio dell’XI secolo. Venne costruita, con tutta probabilità, come chiesa palatina del re Michele, che è rappresentato negli affreschi come fondatore, col modello della sua donazione in mano. Di proporzioni modeste, è un edificio a una nave, voltato, con l’abside sul lato orientale. La cupola corona la campata centrale delle tre che compongono la struttura della chiesa. Corretta nell’esecuzione geometrica, la chiesa fu costruita in pietra e intonacata all’interno come all’esterno. Le superfici interne sono coperte dagli affreschi. Nelle forme esterne la chiesa di San Michele presenta tutte le caratteristiche del primo periodo romanico o ravennate. Indubbia la doppia natura di San Michele, in quanto opera edilizia: l’idea dello spazio e della struttura manifestatamente bizantina, le forme e gli affreschi, occidentali, come del resto anche l’appartenenza confessionale del re donatore. Analoga a quella di San Michele è la chiesa di San Pietro di Omiš (Almissa), forse opera di qualche signore feudale del re Michele. La chiesa di Stagno venne ripetuta, come per vera e propria filiazione, in varie località delle isole dell’arcipelago raguseo e opere edilizie analoghe continuarono a essere realizzate a mano a mano che si scende verso le aree meridionali, fino al territorio della città di Antivari. Senza poter usufruire di dati affidabili sulle vie per le quali le soluzioni descritte siano arrivate alla terra serba – vuoi passando dall’Italia meridionale, vuoi mediante i contatti diretti col territorio greco – la chiesa bizantina a una navata, con la cupola nel mezzo, deve essere intesa come soluzione molto ben accetta in un determinato periodo, nell’ambito di un rinnovamento edilizio e artistico medievale di largo respiro. Sebbene sul territorio dello Stato

L’architettura monumentale in Serbia Gli inizi dell’architettura monumentale presso i serbi si collocano nel IX secolo, a cui risalgono pochi monumenti, conservati completamente o in parte e senza da-

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serbo o nell’Italia meridionale abbiamo già una situazione formalmente scismatica, è difficile che agli occhi dei donatori, dei monaci o del clero potesse essere chiara la delimitazione, a carattere ecclesiastico, fra il mondo che apparteneva a Costantinopoli e l’altro, quello legato a Roma. I maestri della decorazione in pietra trovano modelli e ispirazioni nelle località cittadine, i pittori, invece, nei centri in cui si opera alla «maniera greca». Il tipo di chiesa a una nave e con una cupola è presente nelle terre serbe fino alla fine del XII secolo in un analogo schema dello spazio e della struttura. Soltanto nelle forme dei dettagli l’elaborazione esterna dipende dalle concezioni locali. Nella variante monumentale questo tipo di costruzione sta alla base della Scuola della Rascia. Nell’interno della Serbia il monumento più prestigioso conservatosi a tutt’oggi è la chiesa di San Pietro presso Novi Pazar, costruita sul finire del IX secolo o nel X secolo. Era sede dell’episcopato della Rascia, sotto la giurisdizione della chiesa bizantina. L’idea costruttiva che essa esprime è del tutto particolare. Tetraconco per sua struttura interna, con la cupola al centro, questo tempio, nel suo sviluppo esterno, ha la forma di rotonda, con un’abside semicircolare sporgente sul lato orientale. Sopra la galleria, elemento aggiunto al nucleo iniziale dell’edificio, si alza un piano con grandi aperture verso la parte centrale dello spazio. Unico elemento decorativo sono le nicchie poco profonde, a profilo semicircolare sul tamburo della cupola ottagonale. Nella chiesa di San Pietro, in modo più libero, si ripete la concezione edilizia paleobizantina dello schema analogo dello spazio. Per le modalità di costruzione la chiesa di San Pietro appartiene alle opere architettoniche sorte nell’alto Medioevo sulle aree periferiche del mondo bizantino. Il grande periodo dell’architettura monumentale serba comincia con le opere di Stefano Nemanja (1166-96), gran župan dello Stato unitario serbo e capostipite della dinastia dei Nemanjidi. Fra le sue due prime fondazioni, del settimo decennio del XII secolo, la chiesa della Madre di Dio e quella di San Nicola presso Kuršumlija, a primeggiare è la seconda, per l’originalità che la distingue e la pone all’inizio della Scuola architettonica serba della Rascia. La chiesa a una navata con una cupola dal diametro proporzionatamente grande, con il santuario

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diviso in tre parti e il nartece, ha il suo modello e le sue fonti nell’architettura bizantina all’epoca predominante. La costruzione inferiore interna fu certamente costruita in accordo alla prassi dell’edilizia bizantina e all’esterno, sulle facciate costruite a file orizzonali di laterizio, con larghi strati connettivi di malta, è delineata la struttura interna secondo la tecnica costruttiva costantinopolitana. È assai probabile che la chiesa di San Nicola sia opera di maestri costantinopolitani. Nelle sue forme fondamentali, nelle sue facciate lisce, costruite in pietra e poi ricoperte di malta, con sottili lesene e serie terminali di archetti come elementi essenziali dell’ornamento, Djurdjevi Stupovi – le «Colonne di san Giorgio», a Ras, si presenta come opera edilizia di maestri provenienti dal territorio del romanico maturo. Come rivela l’iscrizione collocata sul portale occidentale, la costruzione fu portata a compimento nel 1171. Allo stile romanico appartengono sia le finestre che i portali. È possibile che dall’area artistica dell’Europa occidentale derivi anche la struttura, unica nella sua configurazione, delle arcate interne che poggiano sulle mensole, nel tamburo della cupola. Tuttavia, la concezione dello spazio e la struttura dell’edificio, armonizzata con la parte superiore dell’alzato, continua la visione architettonica attuata nella precedente fondazione di Stefano Nemanja, San Nicola presso Kuršumlija. In tema di concezione dello spazio, San Giorgio presenta la novità delle due alte torri campanarie, collocate ai lati della campata occidentale, che, probabilmente, aveva la funzione di nartece. Nuovi sono anche i vestiboli aperti al centro dei muri che chiudono lateralmente lo spazio sottostante la cupola. Le concezioni artistiche bizantine e la prassi artigianale di medesima origine si manifestano in San Nicola, come la prassi artigianale romanica e la concezione artistica prevalentemente romanica, già confluenti nelle «Colonne di san Giorgio», hanno trovato ulteriore e specifico luogo d’incontro nell’opera principale di Stefano Nemanja, a Studenica, vale a dire nella maestosa chiesa mausoleo dedicata alla Madre di Dio. La chiesa principale del complesso – unico nel suo genere – di monastero fortificato, di cui oggi ricostruiamo l’idea originaria in base alle parti conservate, fu costruita per le esigenze del rito ortodosso e proprio nel rispetto delle consuetudini dell’architettura bizantina. La chiesa a una navata, con la cupola, nella distribuzione ritmica dello spazio, con i vestiboli laterali, novità nella Rascia, nella sua struttura interna – nella cupola, nelle volte, nella costruzione sviluppata – presenta tutto quanto è proprio dell’architettura bizantina, comprese anche le parti interne dei muri in materiale misto, tufo e laterizio. L’esecuzione dell’esterno è in stile romanico. Le facciate, dalle superfici lisce, costruite con blocchi di marmo perfettamente squadrati e levigati, sono divise da caratteristici fregi di arcate. Queste opere possono reggere il confronto con le facciate, lussuose nell’elaborazione, degli edifici più famosi del romanico italiano. All’insieme dell’esterno di Studenica appartengono i portali monumentali e le finestre, monofore, bifore e trifore nell’abside. La parte centrale dell’edificio, completata dalla cupola, distingue Studenica dall’immagine consueta dei sontuosi complessi dell’architettura romanica. La cupola a dodici lati è completamente bizantina, all’interno e all’esterno. Lo spazio sottostante la cupola – volume solo apparen-

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134. Stagno (Croazia), San Michele, pianta (secondo I. Stevović).

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temente definito con rigidità geometrica – sulle pareti laterali è elaborato alla maniera bizantina. Sulle superfici della facciata è espressa la struttura interna dei due muri, coronati dall’arco che corrisponde all’arco sottostante la cupola. A quest’arco sono adeguate anche le finestre su entrambe le facciate. Così l’intrecciarsi di due concezioni artistiche produsse una costruzione unica, mai più ripetuta. I portali di Studenica sono opere del massimo valore, nel loro tipo artistico. Quello occidentale, che è il più sviluppato e il più solenne, per l’architettura e la decorazione in rilievo è il più vicino alla famiglia dei portali dell’Italia meridionale. La sua impostazione iconografica, con la Madre di Dio che tiene in grembo il Cristo e i due angeli al fianco, proviene dall’arte bizantina. Sui lati interni dell’apertura del portale sono raffigurati Cristo e gli apostoli come simboli della seconda venuta di Cristo: il Salvatore sull’architrave, gli apostoli sugli stipiti. Le figure sono in rilievo. Sui lati frontali degli stipiti che delineano l’apertura del portale sono scolpiti i tralci, nelle cui volute si svolgono i motivi floreali, mentre sulla fronte dell’architrave, nei medesimi tralci, sotto la lunetta, è disposta una serie di rappresentazioni figurative. L’uccello antropomorfo e l’aquila, collocati nella verticale sottostante la mano destra della Madre di Dio sono stati interpretati come simboli del Paradiso in terra. Accostando i due temi, della Madre di Dio con Cristo e del Cristo con gli apostoli, venne realizza-

to, con tutta probabilità, un nuovo significato simbolico. Nell’arte medievale si conoscono analoghe composizioni tematiche, per quanto siano rare. Ci sono esempi di tale combinazione in cui la Madre di Dio assume un posto centrale, il che parla dell’importanza del culto a lei tributato. D’altra parte, i temi accoppiati compaiono soltanto nell’arte bizantina e nel mondo artistico sottoposto alla sua influenza. Per questo motivo il portale principale di Studenica si distingue, per il suo programma, dai portali romanici a esso accostabili. La plastica dell’incorniciatura esterna del portale principale di Studenica fu costruita su temi d’altro tipo. Al culmine dell’archivolto esterno è rappresentata la testa di un mostro, incarnazione del diavolo. Dalle sue fauci si diparte su entrambi i lati una vite nelle cui volute sono intrecciati esseri fantastici in scene di caccia. Questo intreccio è completato dalla parte inferiore della cornice esterna del portale. Su ogni lato ciascun leone portava una colonnetta sostenuta da una mensola con grifone. I leoni sono qui rappresentati come esseri infernali che divorano le persone. A giudicare dalla solida organizzazione del rilievo il messaggio qui formulato è unico, anche se abbiamo uno schema iconografico già sviluppato, in cui vengono esposti, in parallelo, più contenuti. In sostanza, la cornice interna del portale annuncia che il fedele viene introdotto nella sacralità del tempio sotto la protezione delle massime potenze, che lo custodiscono dal mondo infernale delle tenebre.

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135. San Pietro presso Novi Pazar (Serbia), pianta. 136. San Nicola presso Kuršumlija (Serbia), pianta. 137. Colonne di San Giorgio (Djurdjevi Stupovi) presso Novi Pazar, pianta (secondo J. Nešković). A fronte: 138. Monastero di Studenica (Serbia), Madre di Dio, pianta secondo V. Korać.

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Il portale collocato tra il nartece e il naos reca nella lunetta l’immagine della Madre di Dio, senza altre decorazioni. La ricca trifora aperta nell’abside principale, per le componenti della sua decorazione, è vicina al portale principale. La sua incorniciatura è percorsa dalle volute di un tralcio, in cui, sul lato settentrionale sono inseriti motivi floreali, e sul lato meridionale animali fantastici. Oltre che dai tralci, la lunetta è caratterizzata da un drago alato che inghiotte una figura umana e da un basilisco. Le due mensole che fiancheggiano la parte inferiore della trifora sono danneggiate a tal punto che le figure rappresentate sono irriconoscibili. Quella settentrionale tiene aperto un libro ed è incoronata da un nimbo. Forse si tratta delle rappresentazioni del giusto e del peccatore. Il portale settentrionale riceve un’impronta particolare dal frontone, con cui si completa la parte architettonicamente molto sviluppata sopra la lunetta. Il portale meridionale, di poco più ridimensionato rispetto a quello principale, si distingue per la sua ricca decorazione floreale che copre le due lesene centrali. Nelle interpretazioni più recenti i motivi floreali di questo portale avrebbero anch’essi un significato simbolico. I motivi della plastica di Studenica hanno il loro termine di confronto nell’ampia cerchia dell’arte romanica e bizantina. Il mondo di esseri fantastici e dei motivi floreali che si esprime a Studenica si collega particolarmente al romanico. Le composizioni dei singoli temi e le strutture architettoniche in cui furono realizzati i complessi iconografici presentano caratteri analogici soprattutto con il romanico della Puglia. Come riferimento per la scultura della lunetta del portale principale di Studenica ricordiamo, ad esempio, la composizione della Madre di Dio con Cristo in braccio e i due angeli di lato nella lunetta del portale di Santa Maria Maggiore sul monte Sant’Angelo. La soluzione più affine al tralcio con intrecciate le rappresentazioni figurative fan-

tastiche è presente nel portale settentrionale di San Leonardo presso Siponto. Il baldacchino sopra il portale, poggiante sui leoni era presente in alcune grandi cattedrali romaniche. I portali, come capitolo particolare del complesso di Studenica, fanno pensare particolarmente al romanico pugliese, come area artistica più vicina. Tuttavia la plastica di Studenica, per quanto vada collocata nell’ambito delle concezioni architettoniche romaniche, non può essere considerata romanica in senso assoluto. Le rappresentazioni figurative sono più vicine all’espressione figurativa bizantina. L’aspirazione alla bellezza delle forme e a una precisa elaborazione delle diverse parti del corpo, il graficismo nella rappresentazione della stoffa, la ricchezza dei dettagli, sono le caratteristiche che collegano la scultura di Studenica ai modelli bizantini. Il rapporto nei confronti delle proporzioni è diseguale. Nelle figure degli apostoli in rilievo sugli stipiti, le misure delle parti del corpo presentano la tipica sproporzione romanica. Infatti, a un piccolo corpo corrispondono teste, braccia e gambe di accentuata grandezza. Le proporzioni delle figure della Madre di Dio e degli angeli sono più nobili, più vicine alla concezione classica della figura umana. Queste figure, collocate nella lunetta del portale occidentale, sono le più vicine ai modelli artistici bizantini. Ricordiamo le figure dell’arte monumentale bizantina della seconda metà del XII secolo. A differenza di quanto avviene con la figura romanica, per lo più schematizzata, qui si mirava alla bellezza del volto e al movimento accentuato, accompagnato dal drappeggio della veste. In queste figure si sente nel modo più diretto l’influenza della pittura bizantina del tempo. Sebbene questa scultura raggiunga quasi la sua pienezza plastica, essa presenta un’elaborazione pittorica, come è dato a vedere dalle teste. Queste parti, infatti, sono forgiate come volumi con due facce. Le parti frontali come quelle laterali presentano un disegno morbido e dettagli plastici, ma ciascuna per sé. La plasticità dell’insieme è realizzata ammorbidendo gli spigoli d’incontro

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dei due piani ortogonali delle due facce di ogni figura. Anche nell’uso del colore e delle dorature questa plastica si collega strettamente con la pittura. Il portale principale e la trifora di Studenica, dalla collocazione, dall’architettura e dal rilievo decorativo acquistano in valore e significato, offrendosi come unità simboliche della chiesa, di cui esemplificano nel modo migliore la decorazione architettonica e plastica. La loro armonia complessiva, il rapporto fra le misure fondamentali, la distribuzione degli ornamenti e il ritmo, accuratamente pensato, degli elementi architettonici poterono trarre origine soltanto da un gusto sviluppato sui criteri più elevati espressi dall’arte comnena. Con tutta probabilità si può ipotizzare la provenienza dall’Italia meridionale per le maestranze chiamate a costruire questa chiesa, considerato che su quest’area preesistono più città, le quali, progredendo sotto ogni aspetto, mantengono particolarmente viva la propria produzione artistica. Nell’impatto tra la tradizione bizantina e l’azione di influenze bizantine dirette e di un romanico ormai avanzato nacquero opere uniche. Tuttavia, nel caso specifico del complesso di Studenica, col suo portale, le finestre e gli altri ornamenti in rilievo, determinante fu il ruolo del committente. Dobbiamo ricordare che questa cerchia di personaggi seppe scegliere con uguale infallibilità i pittori migliori per affrescare i muri interni di Studenica. L’alta preparazione artigianale degli scalpellini di Studenica è testimoniata dai disegni usati per elaborare i dettagli dei portali: sono stati eseguiti a grandezza naturale in alcuni punti delle facciate marmoree. Studenica lasciò un’impronta indelebile nell’architettura posteriore della Serbia. Due sono i motivi che si possono addurre. Il primo ha carattere ideologico: Studenica era la chiesa mausoleo del fondatore della dinastia, che, dopo la morte, fu ben presto canonizzato. Il secondo motivo va ricercato nella stessa opera architettonica, nel suo complesso, in cui si distinguevano le facciate, i portali, le finestre e il lussuoso arredamento interno, che, purtroppo, conosciamo soltanto in parte. L’architettura serba del XIII secolo si esplica nella costruzione di grandi monasteri, progettati sull’esempio di quelli bizantini. Gli edifici monastici, noti per i modesti resti materiali e le ricostruzioni studiate, meritano attenzione, nel loro complesso, tuttavia i loro katholikon, le chiese principali, meglio conservate sono anche le opere di maggior valore, vere e proprie depositarie dell’andamento architettonico dominante. L’architettura della Rascia, sorta sull’area d’incontro fra due mondi edilizi e artistici, si conquistò un suo spazio specifico nella storia dell’architettura bizantina ed europea. Le complesse concezioni edilizie, come i dettagli, nelle loro caratterizzazioni stilistiche, originarie di un’area o dell’altra, furono accolti e interpretati in modi diversi. Entrambe le influenze sono visibili sui monumenti della Rascia. Le modalità edilizie e costrut-

140-142. Ibidem, veduta da sud-est; trifora absidale; portale meridionale. A fronte: 139. Monastero di Studenica, Madre di Dio, portale occidentale (secondo D. Todorović).

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tive indicano che in Serbia, in un’epoca che, del resto, coincide con la dominazione latina a Costantinopoli, non operano costruttori provenienti dal territorio bizantino o almeno non si tratta di maestri formati e orientati nell’ambito delle arti edilizie bizantine. Se ne deduce, pertanto, che nei cantieri della Rascia operano maestranze provenienti dalle città costiere in cui si mantenevano vitali i mestieri adeguati. Gli architetti – protomajstori – provenivano anch’essi dai centri cittadini dell’Occidente: Cattaro, Antivari, Ragusa e forse da qualcuna delle città della riva opposta dell’Adriatico. La perizia mostrata dagli architetti formati nelle botteghe dell’Europa occidentale, nello svolgimento del progetto ideale proposto dai donatori di estrazione culturale bizantina, dimostra il duplice o forse anche il triplice intrecciarsi tra mondo bizantino e occidentale. Tutte queste opere manifestano alla loro base il programma che denominiamo della Rascia. A Žiča (1207-19), di cui furono fondatori il re Stefano e suo fratello Sava, primo arcivescovo della chiesa autocefala serba, il programma dello spazio si delinea con elementi essenziali. Žiča presenta una variante particolarmente articolata – adatta a una sede arcivescovile – in seguito, però, utilizzata solo in casi eccezionali. Di questo ampliamento fa parte il grande nartece esterno con la torre campanaria sul lato occidentale. Mileševa (1220 circa) esemplifica un programma ben determinato, di difficile realizzazione. Esso prevedeva un edificio a una navata con un santuario tripartito, una cupola e i vani laterali al centro dei lati del naos e il nartece, con vaste superfici lisce interne, predisposte allo scopo di accogliere affreschi di concezione monumentale. L’architetto non era esperto degli alzati della Rascia, vale a dire d’ispirazione bizantina, così che fece ricorso all’adeguamento strutturale dell’articolazione interna della

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costruzione. Tuttavia, le facciate hanno avuto un’elaborazione libera, su grandi superfici lisce, intonacate, sul modello delle costruzioni romaniche del tempo. A Morača (1251-52) il programma della Rascia, parzialmente limitato, fu eseguito con leggerezza e direttamente, con tutta probabilità come opera di un costruttore formatosi nell’ambiente romanico di Cattaro. Vi è evidente il rapporto diretto fra il programma spaziale e la forma dei volumi della costruzione. Nell’assetto esteriore generale di Morača è facile leggere la distribuzione dello spazio interno. A Sopoc´ani (attorno al 1265) vediamo che è coerentemente rispettato lo schema dello spazio tipicamente rasciano. Il naos, insieme con la cupola, all’interno si presenta come un vero e proprio spazio bizantino, chiuso da muri, lisci anche all’esterno, sui quali, d’altra parte, sono evidenti gli elementi del romanico. A Sopoc´ani si esprime in modo manifesto il rapporto fra due concezioni architettoniche diverse: lo spazio interno della concezione bizantina, determinato non soltanto da una funzione diretta, ma anche dalla raffigurazione murale come componente indispensabile dell’insieme, è collocato nelle forme caratteristiche imposte dal romanico dell’Europa occidentale. Analoghe sono le considerazioni che si possono fare in merito alla chiesa della Madre di Dio di Hvosno, oggi in rovina, e degli Apostoli di Pec´, questa seconda parzialmente mutata in occasione di aggiunte e riparazioni posteriori. A Gradac (attorno al 1275), nella parte superiore dell’alzato, sono presenti elementi della struttura gotica, mentre ad Arilje (1296), sulle superfici delle facciate romanico-gotiche, nelle forme, il rivestimento di malta è distribuito in modo da imitare la maniera bizantina della tecnica costruttiva in pietra e laterizio, come a indicare, senza lasciare ombra di dubbio, il completo orientamento dell’architettura serba verso le fonti bizantine.

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A fronte: 143. Monastero di Mileševa (Serbia), chiesa dell’Ascensione, pianta.

147. Arilje (Serbia), Sant’Achilleo, veduta da sud.

144. Monastero di Studenica di Hvosno, (Serbia), Madre di Dio, pianta e ricostruzione (secondo V. Korać).

148. Monastero di Sopoćani (Serbia), Santa Trinità, visione d’insieme con la ricostruzione ideale dell’esonartece.

145. Monastero di Gradac (Serbia), Madre di Dio, pianta.

149. Monastero di Studenica di Hvosno, Madre di Dio, ricostruzione del lato meridionale.

146. Monastero di Žiča (Serbia), chiesa dell’Ascensione, pianta.

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Capitolo terzo

L’età tardo-bizantina. Il ruolo dei paesi slavi nella creazione edilizia e artistica del mondo bizantino

della parte perimetrale aggiunta, sul lato meridionale e occidentale. Lo spazio è concepito nello schema consueto: sul lato orientale si trova una grande abside centrale e due piccole laterali, al centro il naos con la cupola, sul lato occidentale, ben distinto, lo spazio riservato al nartece sopra il quale si erge la cupola, che non si colloca sull’asse dell’edificio a causa dell’adeguamento alla chiesa preesistente. Dal punto di vista strutturale, specifica è l’idea dello spazio sottostante la cupola. La base è data da quattro poderosi pilastri congiunti da archi raddoppiati, che fungono da supporti diretti della cupola insieme con i pennacchi. Proprio questa struttura portante autonoma della cupola ha consentito che le parti laterali del naos venissero coperte da leggere volte a croce, collocate più in basso degli archi sottostanti la cupola. Le parti laterali della chiesa sono reciprocamente collegate, sul lato occidentale, da spazi analoghi, che corrispondono al nartece, quanto alla funzione, mentre lo spazio sottostante la cupola si apre in triplici aperture coronate da archi verso il suo deambulatorio tripartito. Il nuovo complesso delle due chiese è connesso dall’esonartece, che sul lato meridionale si apre su uno spazio di ampiezza analoga, aggiunto alla chiesa dell’imperatrice Teodora. Una serie di arcosoli sul muro esterno di questo spazio ne rivela la funzione. La costruzione sottostante la cupola, qui descritta, costituita dai doppi archi imposti su quattro poderosi piedritti, era stata sviluppata nell’architettura della capitale e realizzata molto prima a Nicea (Dormizione) e ad Ankara (San Clemente). In modo analogo furono costruite la parte mediana della Chora e della chiesa principale Pammakaristos. Le parti visibili delle facciate mettono in mostra forme caratteristiche. Innanzitutto vanno ricordate le solenni trifore sulle absidi, di tradizione costantinopolitana. Le colonne e i pilastri in pietra, completati, le une e gli altri, dai capitelli, portano archi di laterizio. Anche l’abside mediana continua nelle forme la tradizione della capitale. Sui suoi sette lati sono state costruite nicchie cieche, distribuite in due zone. Quella inferiore si svolge all’altezza della trifora, mentre

Costantinopoli: sviluppo architettonico e nuove concezioni Il ripristino del potere bizantino a Costantinopoli (1261) segna, simbolicamente, l’inizio del terzo periodo di sviluppo della cultura bizantina, nel cui ambito, naturalmente, si colloca anche l’attività architettonica. Sebbene l’Impero sia ridotto nella sua estensione e in determinati periodi alcune sue parti conoscano una grande autonomia e nella sua storia alquanto movimentata sia esposto a continue provocazioni, seguite da guerre frequenti, la ricostituzione dell’autorità bizantina rese nuovamente possibili comunicazioni più facili e operative da una parte all’altra del suo territorio. La vecchia capitale bizantina non tornò a essere la sede principale di grandi e lunghe attività edilizie. Tuttavia, rinnovata come centro della vita politica e spirituale, esercitò una duplice influenza sui corsi dell’attività architettonica. In realtà, essa si aprì come un tesoro di grandi e numerosi beni edilizi e artistici creati nei secoli, che per sé agirono come modello o stimolo ai nuovi committenti. E lo veniamo scoprendo in modo indiretto nelle varie parti del mondo bizantino, cui si leghino attività edilizie, fino alla caduta di Costantinopoli sotto i turchi. D’altra parte, nella capitale, negli ultimi decenni del XIII e nei primi decenni del XIV secolo, sebbene in proporzioni ridotte, continua a svilupparsi l’attività architettonica, nelle nuove concezioni. La chiesa meridionale del monastero di Costantino Lips, opera dell’imperatrice Teodora, moglie di Michele Paleologo, è fra le opere più valide conservate del periodo tardo. Fu costruita nel nono decennio del XIII secolo. La fondatrice fa erigere la donazione per la propria anima aggiungendo una nuova chiesa a quella esistente, donata da Costantino Lips (v. capitolo precedente). L’imperatrice desidera che questo tempio adempia alla funzione di mausoleo dei Paleologi, sull’esempio del Pantocratore, previsto come mausoleo della dinastia dei Comneni. L’intento è palesato dagli arcosoli costruiti sia nei muri dell’edificio ecclesiastico per sé, sia nei muri 147

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la zona superiore copre la parte centrale della superficie superiore dell’abside. Caratteristica è anche la presenza delle fasce orizzontali della decorazione in ceramica. L’abside di mezzo presenta due fasce di vari motivi decorativi. Quella inferiore divide due teorie di arcate cieche, quella superiore si svolge al di sopra della prima serie di arcate cieche, e su di essa poggia direttamente il fregio di arcate sottostante il tetto. Sull’abside meridionale, invece, viene messa in atto una combinazione più libera. Sopra la fascia di meandri si susseguono le arcatelle cieche, sormontate da una fascia su cui i cotti sono disposti con un andamento a zig-zag verticale. Oltre alla decorazione in rilievo di laterizi, è caratteristica la presenza del fregio delle arcate in cui gli archi hanno forma acuminata. Proprio in questa forma andrebbe ricercato l’influsso dell’arte islamica. La cappella meridionale della Madre di Dio Pammakaristos, della fine del primo decennio del XIV secolo, è anch’essa una costruzione aggiunta alla chiesa esistente, come fondazione di Maria, vedova di Michele Tarchaniotes. È quanto si legge nella lunga iscrizione collocata sulla facciata meridionale della chiesa. Quanto alla concezione, la chiesa ha la forma classica della croce iscritta con la cupola al centro, poggiante su colonne. Lo spazio del naos è stato costruito secondo il ritmo e i princìpi di simmetria classici. Lo spazio tripartito dell’altare (il santuario) è caratteristico per la presenza di una campata in corrispondenza dell’abside centrale. Nel complesso l’edificio è stato costruito in modo irreprensibile. Le volte sono a croce, la cupola poggia sui pennacchi. Elemento specifico della cappella è il piano sovrastante

il nartece. Le due cupole sovrastanti le campate laterali danno un’impronta specifica alla parte superiore dell’alzato. L’architettura delle facciate ha caratteristiche che si ritengono specifiche dell’edilizia dei Paleologi. La facciata meridionale presenta una composizione in tre zone orizzontali. Sul bordo della prima zona, in cui non sono state praticate aperture, è stata collocata una cornice in pietra con decorazioni in rilievo. Alcune mensole che si sono conservate sembrano alludere a una divisione fra la seconda e la terza zona, mentre la facciata è orlata da una duplice cornice a dente di sega, in cotto. Una cornice uguale rifiniva i tamburi delle cupole. Opera eminente, espressione delle nuove concezioni delle forme architettoniche, rappresenta quanto è stato realizzato nella Chora di Costantinopoli. La ricostruzione del monastero di Salvatore in Chora si deve a un grande dignitario costantinopolitano: Teodoro Metochita. Tuttavia, fino ai nostri giorni, si sono conservate soltanto le opere compiute nella chiesa. È degna di rilievo la circostanza che anche questo illustre fondatore, proveniente dalla sommità stessa della scala sociale bizantina, si fa promotore della ricostruzione di un’opera preesistente e della costruzione di un edificio annesso destinato al ruolo di mausoleo del donatore. Nell’ambito di questi lavori venne ricostruita la cupola sovrastante il naos, elevata secondo il sistema della costruzione concisa, della quale sono essenziali i poderosi pilastri angolari. La cappella del Metochita, aggiunta al lato meridionale della chiesa, è parte del complesso spaziale a cui appartiene il portico chiuso della parte occidentale della chiesa, l’esonartece, considerandone la posizione

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150-151. Costantinopoli, monastero di Costantino Lips (Fenari Isa Cami), chiesa meridionale, pianta (secondo Megaw); particolare dell’abside.

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152-154. Costantinopoli, chiesa della Madre di Dio Pammakaristos (Fethiye Cami), cappella meridionale; veduta da sud; abside; particolare della trifora dell’abside dell’altare. Nella pagina seguente: 155. Costantinopoli, San Teodoro (Kilise Cami), alzato (secondo Van Milligen).

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rispetto all’insieme. Le due cupole collocate sopra l’esonartece e quella sovrastante la cappella furono incluse nel nuovo complesso, senza però rispettare il principio di simmetria. Appare, inoltre, evidente che la cappella del Metochita ha due entrate solenni, una sull’estremo meridionale dell’esonartece, mentre l’altra è racchiusa dal pronao della cappella. L’esonartece della cosiddetta Kilise Cami merita un’attenzione particolare come esempio di forme architettoniche caratteristiche dell’epoca dei Paleologi. Come nel caso della costruzione precedente, si tratta di una costruzione sorta mediante un’aggiunta alla costruzione esistente. Tuttavia, il nostro interesse si concentra ora sulle facciate. La struttura dell’edificio è simmetrica. La parte superiore dell’alzato è data da tre cupole che sovrastano la campata centale e quelle laterali delle complessive cinque campate. Questa struttura si manifesta sulla facciata occidentale, nella sua parte alta, separata da quella inferiore, come era consuetudine, da una cornice. Cinque archi rientrati su due livelli, corrispondenti alla costruzione superiore interna, incorniciano le finestre. La zona inferiore comprende l’accesso solenne, al centro, e le parti laterali di uguale fattura. La costruzione a tre archi, con due colonne al centro, è incorniciata da poderosi pilastri in muratura, su cui, all’esterno, sono inserite nicchie semicircolari. Questa parte della facciata costituisce una composizione dal massimo valore armonico. Gli eleganti tribelon hanno ricevuto i necessari rafforzamenti laterali, in sostanza si tratta di contrafforti, mentre le nicchie delle loro facciate sono inserite nel ritmo simmetrico della serie di arcate come base della composizione. Il complesso della facciata occidentale della Kilise Cami annuncia un’altra novità. Nell’ambito di una su-

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perficie composta con cura, le due zone sono separate da una cornice. Ciascuna presenta una propria composizione. Evidentemente si tratta di una determinata concezione della forma architettonica. Le forme nel dettaglio, lo sforzo di comporre le nuove parti della costruzione in un unico insieme, che per la sua articolazione ricorda i panorami dell’architettura decorata con affreschi, parlano del buon mestiere degli esecutori e di una sicura cultura edilizia. Le nuove concezioni dell’architettura, propria dell’epoca dei Paleologi, contrassegnarono anche l’unico palazzo di rappresentanza di Costantinopoli costruito nell’epoca tardo-bizantina. Si tratta del cosiddetto Tekfur Saray, noto anche con la denominazione di palazzo di Costantino Porfirogenito. Questo edificio fu probabilmente costruito sul finire del XIII secolo, e forse per volontà di Costantino Porfirogenito, terzo figlio di Michele VIII. Eretto sulla parte più alta della città, accanto al bastione continentale, per misure, posizione e collocazione cittadina parla delle vicende dell’epoca nella capitale bizantina. Ben costruito, secondo la buona regola artigianale e con un’adeguata concezione architettonica, successe al palazzo imperiale, durato per secoli e che costituiva l’insieme più variegato dell’architettura bizantina. La funzione pratica del grande palazzo era soltanto una parte di una concezione a lungo sviluppata ed estremamente complessa, costruita per gli usi cerimoniali della corte bizantina. In sintesi, il cosiddetto palazzo di Costantino Porfirogenito non era che un palazzo e rende l’immagine delle residenze dei sovrani dell’epoca tarda, almeno nella misura in cui tali residenze ci sono note grazie alle ricerche archeologiche. Il palazzo di Costantino Porfirogenito è una costru-

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zione con una base rettangolare allungata, simile, nella concezione, allo spazio del Ninfeo, palazzo della dinastia dei Lascaridi, come dei palazzi posteriori di Mistrà. L’edificio è a tre piani, di cui quello inferiore voltato, mentre quelli superiori avevano la struttura intermedia in legno. La copertura della costruzione era data da un basso tetto a due spioventi. Quanto ne rimane non ci permettere di ricostruire la distribuzione interna del palazzo. Con tutta probabilità lo spazio era diviso da vani a base rettangolare, ottenuti con i muri divisori collocati trasversalmente rispetto ai lati più lunghi, rispettando il ritmo delle aperture delle facciate. È comprensibile che il palazzo meriti un’attenzione particolare per l’architettura delle facciate, su cui si riconosce quanto era caratteristico dell’architettura ecclesiastica del tempo. Le due facciate più lunghe, quella settentrionale e quella meridionale, furono oggetto di una particolare elaborazione. La tecnica edilizia è quella costantinopolitana: si alternano gli strati costituiti da file di pietre squadrate levigate con altri di laterizi disposti orizzontalmente. Con particolare senso decorativo fu elaborata la zona del secondo e del terzo piano della facciata settentrionale e al piano delle aperture della facciata meridionale, all’altezza degli archi delle aperture. Gli archi furono costruiti alternando pietre e laterizi, e la superficie triangolare fra gli archi è coperta dalla nota decorazione in ceramica, in un ritmo segnato da campi quadrati con ornamenti geometrici, da superfici a scacchiera e simili. L’architettura della facciata principale – si tratta del lato settentrionale – evidentemente era adeguata alla funzione cerimoniale, nella sua maestosità. Nell’ordine inferiore si allineano gli archi aperti, che coprono tutto il muro, così da dare l’impressione che si trattasse di un portico solenne. Le finestre dei piani superiori, con coronamento semicircolare, con un diametro minore di quello delle finestre degli ordini inferiori, sono incorniciate da archi decorativi, poggianti su lesene. La fascia tra il primo e il secondo piano presenta una lavorazione particolare. Rifinite con cura ed evidente intonazione solenne, le facciate di tutti e tre i piani sono fra loro simili soltanto per il ritmo simmetrico delle aperture che vi sono praticate. Interamente costruito all’insegna della migliore tradizione dell’architettura

della capitale, questo palazzo, specie nella sua facciata principale, è opera rappresentativa, in cui il rapporto tra il dettaglio e l’insieme supera il valore di un severo ritmo accademico di simmetrie. Anche in questo si manifesta la mentalità o la concezione del bello dei costruttori costantinopolitani dell’epoca. Specificità dell’architettura bulgara Nell’architettura bulgara dell’epoca tarda continua la costruzione delle chiese con la cupola nella variante sincretica come in quella evoluta. Si sono tuttavia conservate, in parte o in toto, alcune chiese a pianta centrale, nella forma di rettangolo vicina a quella del quadrato, con una cupola, l’abside e un piccolo pronao. Evidentemente si tratta di esempi del tipo sincretico, con una funzione particolare. D’altra parte, con tutta probabilità, a questi edifici di culto non può essere attribuito un medesimo significato. Dallo schema dello spazio si può dedurre che questi edifici seguano l’idea rinnovata della rappresentazione ideale della chiesa. Sarebbe questa la stessa visione del classicismo nell’architettura bizantina ispiratrice della «Chiesa del Re» di Studenica. A tale tipo apparterrebbero la Spasovica presso Cüstendil, oltre a San Nicola a Sapareva banja e la chiesa di San Teodoro Tirone a Boboševo, che hanno una datazione incerta, ma, per il loro aspetto complessivo, sono vere e proprie opere dell’architettura monumentale. La chiesa di San Giorgio a Koluša è uno degli esempi della soluzione articolata della croce iscritta con la cupola. Viene datata all’inizio del XIV secolo, prima del 1330. La disposizione simmetrica dello spazio rivela la variante costantinopolitana della croce iscritta. Pilastri in muratura reggono, al centro, la parte alta della costruzione, che si compone di volte decorate a semibotte e delle cupole col tamburo a otto lati, con le colonnette agli angoli. Una campata particolare è riservata al santuario. La struttura dell’edificio si disegna con geometria sicura sulle facciate. Archi rientrati a più sguanci seguono il ritmo dell’interno. Ancora più semplice è la concezione della chiesa del monastero Zemenski. La pianta si avvicina a un quadrato. Pilastri in muratura

156-157. Costantinopoli, palazzo di Costantino Porfirogenito (Tekfur Saray), dettaglio e facciata settentrionale.

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reggono la cupola; le volte della costruzione superiore sono a semibotte, mentre le tre absidi, semicircolari all’interno e all’esterno, continuano direttamente lo spazio del naos. Data la rigorosa corrispondenza fra l’interno e le facciate, con tutta probabilità anche i tetti, in un primo tempo, presentavano l’adeguata forma crociata. Analoga è la concezione di San Demetrio a Patalenica, che si distingue per un’articolazione arcaica della costruzione sottostante la cupola. La chiesa Jana, nelle vicinanze di Sofia, sebbene rustica nella costruzione, ha conservato la configurazione caratteristica dell’insieme spaziale: lo schema particolare dell’alzato e l’impostazione geometrica della struttura interna della tipica chiesa a croce iscritta con la cupola nella variante sviluppata. Conviene concludere che in Bulgaria, analogamente a quanto avviene nei paesi vicini, in Serbia e in Grecia, il periodo tardo è caratterizzato, nell’architettura monumentale, da andamenti analoghi, in cui lo schema sviluppato dell’edificio cupolato è la componente predominante. L’architettura di Mesembria, legata direttamente all’edilizia di Costantinopoli, merita un’attenzione particolare. Da tempo, infatti, le è stata attribuita una parte importante e significativa nell’ambito dell’architettura medievale, sul territorio della Bulgaria, per la rappresentatività nelle forme, oltre all’irreprensibilità nei modi costruttivi e strutturali. Mesembria, centro urbano collocato sulla riva del mar Nero, tra il territoro bulgaro e quello di Bisanzio, per un tempo relativamente breve subì il potere bulgaro. Nelle opere famose dell’architettura monumentale reca i caratteri propri della capitale bizantina. Mesembria costituiva il punto obbligato di diffusione della caratteristica concezione costantinopolitana verso i cantieri più importanti della Bulgaria nel periodo tardo. In breve, la tecnica muraria in strati di pietre e di laterizi in tre o più file, due zone indipendenti sulle facciate, come la ben nota pianta costantinopolitana con il santuario ben sviluppato, sono gli elementi che si possono riconoscere nelle opere principali dell’attività architettonica bulgara che sorge nell’ambito del tardo periodo bizantino. Santa Parasceve, parzialmente conservata, è una co-

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159. Patalenica (Bulgaria), San Demetrio, pianta secondo Čaneva-Dečevska. 160. Mesembria (Bulgaria), Cristo Pantocratore, pianta (secondo Rašenov). 161. Mesembria, San Giovanni Aliturgitos, pianta (secondo Rašenov). 162. Mesembria, Santi Arcangeli Michele e Gabriele, pianta (secondo Rašenov). A fronte: 163. Patalenica (Bulgaria), San Demetrio, veduta da nord-est.

158. Zemen (Bulgaria), San Giovanni, veduta da sud-est.

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struzione a una sola navata, con un’abside semicircolare di grandezza adeguata e con le nicchie per il proscomidio (protesi) e il diaconico. È probabile che, primariamente, una cupola coronasse lo spazio centrale del naos. Inoltre sopra il nartece voltato, secondo la ricostruzione, dobbiamo collocare un piano destinato ai catecumeni, e forse anche il campanile. Di particolare interesse è l’elaborazione architettonica delle facciate. Il muro è costruito a strati di pietre e laterizi e il motivo architettonico dominante è dato dalle lesene collocate in ritmo regolare e collegate da archi all’incirca alla metà dell’altezza della facciata. Il medesimo motivo si ripete nelle metà superiori delle facciate. Ma il numero delle arcate cieche vi è stato raddoppiato. San Teodoro è una chiesa a una nave con l’abside sul lato orientale e il nartece su quello occidentale, voltata a semibotte. L’elaborazione della facciata ricorda quella di Santa Parasceve: nella tecnica muraria che alterna alle pietre il laterizio, fregiandosi del motivo delle arcate cieche. Il Pantocratore presenta la concezione della chiesa iscritta evoluta, con la cupola al centro poggiante su quattro colonne, con la divisione tripartita del santuario e le tre absidi, semicircolari all’interno e all’estermo, e col nartece separato mediante un muro dal naos. Sopra il nartece si svolge un piano superiore, probabilmente con funzione di campanile. La tecnica muraria a strati di laterizi e pietre, le teorie delle arcate decorative sulle facciate, in ritmo regolare, in due zone indipendenti, e altri partcolari della pianta e della struttura – come, ad esempio, le nicchie nel muro orientale del nartece – fanno pensare a una fonte costantinopolitana dell’epoca tardobizantina. San Giovanni Aliturgitos, nella concezione dello spazio e della parte superiore dell’alzato, come nella tecnica muraria e nell’elaborazione architettonica delle facciate simile a quella del Pantocratore, è singolare per il sistema delle arcate decorative sulle facciate. Anche

sulle larghe lesene, su cui poggiano due archi consecutivi, sono riportate arcate più strette. Sulle facciate spicca una ricca decorazione di ceramica plastica. La chiesa dei Santi Michele e Gabriele, simile nella struttura alle due chiese precedenti, ha fondamentalmente la forma della croce concisa iscritta. Il nartece è separato e possiede un primo piano, probabilmente con funzione di campanile. Le specificità riguardano elementi particolari, nel numero e nelle proporzioni delle arcate decorative. Le proprietà essenziali delle chiese di Mesembria, sopra ricordate, specie dell’architettura delle facciate, non presentano analogie dirette, ma è fuori di dubbio che la fonte delle soluzioni di cui abbiamo parlato va cercata nelle concezioni e nella prassi delle botteghe artistiche del periodo tardocostantinopolitano. Se ne deduce che conviene considerarle come opere che appartengono all’architettura della capitale bizantina.

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La Tessalonica dei Paleologi Le opere edilizie sorte a Tessalonica all’epoca dei Paleologi presentano tutti i valori delle migliori realizzazioni dell’architettura bizantina. Di norma va tenuto presente il gruppo dei grandi monumenti sorti dalla fine del XIII secolo al terzo decennio del XIV secolo, all’epoca della grande espansione edilizia della seconda città dell’Impero. Tre sono i complessi su cui si basa la valutazione dell’architettura tessalonicese: San Panteleimone, i Santi Apostoli e Santa Caterina. A prescindere dalle differenze nei particolari, esiste l’analogia della concezione spaziale. In tutte e tre le soluzioni la croce iscritta, con la cupola su quattro colonne, costituisce la parte centrale dell’edificio. Il santuario tripartito ha una campata in più. Va poi aggiunto il nartece, la cui elaborazione architettonica è ogni volta particolare. Caratteristico di tutte

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164. Mesembria, Cristo Pantocratore, dettaglio della parte sud-orientale. 165. Mesembria, San Giovanni Aliturgitos, dettaglio del lato orientale. 166. Mesembria, Santi Arcangeli Michele e Gabriele, dettaglio del lato meridionale.

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e tre le chiese è lo spazio perimetrale sui lati settentrionale, occidentale e meridionale. Le volte a crociera, collocate sopra gli spazi adeguati, caratterizzano la parte superiore della costruzione. Le rimanenti differenze riguardano le concezioni dello spazio d’insieme. Nel caso di Panteleimone, lo spazio perimetrale racchiude un edificio completamente ecclesiastico. Su ciascuno dei due lati, settentrionale e meridionale, trovano posto due porticati tripartiti, che nell’architettura ricordano da vicino quelli della Kilise Cami, secondo la ricostruzione della forma originaria. È palese la somiglianza delle nicchie decorative delle facciate laterali e dell’abside con quelle costantinopolitane. Al medesimo repertorio fanno pure riferimento le trifore dell’abside dell’altare e i frontoni dello spazio sottostante la cupola. Va, infine, ricordato che i tamburi ottogonali delle cupole con le colonnette di sezione semicircolare agli angoli, appartengono a una delle varianti bizantine, e quindi anche all’architettura costantinopolitana. Particolarmente degna di attenzione è l’idea dell’insieme espressa nell’architettura di Tessalonica, alla fine del XIII e nei primi decenni del XIV secolo, in cui la parte centrale dell’edificio, coperta dalla cupola, si distingue su una superficie relativamente grande della pianta, mentre nello spazio circostante viene messa in risalto dalle parti più basse dell’edificio, disposte su tre lati a formare un deambulatorio. Il tipo di costruzione di cui si parla porta in sé un particolare significato strutturale dello spazio e una specifica determinazione funzionale e simbolica. Sono queste le particolarità che distinguono la Santa Sofia tessalonicese, costruita attorno alla metà del VII secolo. Il suo influsso, come quello che promana dalla città nel suo in-

sieme, sembra comprensibile sull’ampio territorio della Macedonia e dell’Epiro, dove vennero eretti più edifici secondo la concezione indicata. In proposito si potrebbe parlare di due strati cronologici di tali edifici: uno antico e uno più recente. Quello più antico apparterrebbe all’età medio-bizantina. Sono queste la Santa Sofia a Drama, la Kunturiotissa, Pidna, Labovo, Drenovo e Stara Pavlica. All’epoca tarda apparterrebbero, invece, le chiese tessalonicesi quali sono la ricostruita Parigoritissa e l’Olimpiotissa a Elasson. La chiesa metropolitica tessalonicese dovette ispirare la costruzione del maggior gruppo delle costruzioni del tipo qui trattato, in Macedonia e nell’Epiro. A questa conclusione inducono la sua importanza e le dimensioni. A prescindere dal tempo in cui Santa Sofia ricevette la galleria del primo piano sul lato occidentale e, a quanto pare, sui lati, l’insieme era ben determinato dalla parte centrale con la cupola e da due navi laterali, collegate dal nartece. Un altro elemento di somiglianza con il gruppo delle costruzioni sopra ricordate è dato dal santuario, dove, sebbene con un certo spostamento, la protesi e il diaconico si collegano con le navate laterali. La struttura sottostante la cupola di Santa Sofia, inevitabilmente evoluta a causa del grande diametro della cupola, ha una sua continuazione nelle filiazioni di Drama e di Drenovo, concise e ridotte nelle proporzioni. Lo stesso vale per la Kunturiotissa, in cui questa struttura appare gracile in rapporto con le costruzioni precedentemente ricordate. La chiesa della Dormizione a Labovo rappresenta, a quanto pare, un esempio specifico. La concezione dell’insieme è subordinata all’intento di elaborare una cupola, la maggiore possibile, che abbia un posto realmente dominante nell’insieme dello spazio. La Stara Pavlica, per lo schema funzionale del-

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167. Stara Pavlica presso Raška (Serbia), Presentazione di Maria al Tempio, pianta (secondo A. Deroko). 168. Drenovo presso Kavadarci (Macedonia), Madre di Dio, pianta (secondo S. Pejić). 0

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169. Dar Pazari, pianta (secondo Gough).

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lo spazio, in cui si distinguono chiaramente il naos, che è completo, il santuario e il grande nartece, proviene dalla concezione delle soluzioni caratteristiche dell’architettura dei Comneni, sebbene il suo naos appartenga al gruppo di cui si parla qui. I monumenti tessalonicesi posteriori, San Panteleimone, i Santi Apostoli e Santa Caterina, in senso tipologico, appartengono sempre a questo gruppo, ma in una forma evoluta. Pensiamo che, per realizzare tale soluzione, decisiva sia stata l’introduzione nel naos delle colonne, come sostegni liberi della cupola. Vediamo qui confermata la prassi generale dei periodi medio e tardobizantino. Il naos di San Panteleimone o dei Santi Apostoli troveranno numerosi paralleli nell’architettura bizantina. Nell’insieme sono inclusi anche tutto il santuario e il nartece. Le navate semiaperte o semichiuse sul bordo dei tre lati continuano la tradizione tipologica del gruppo precedente di costruzioni, tuttavia il loro impiego riceve un’interpretazione più libera. La navata occidentale poteva servire come esonartece – in San Panteleimone e nei Santi Apostoli – e ai terminali orientali delle navate laterali sembra sia stata aggiunta la funzione di cappella. Di particolare importanza, anche per l’architettura tessalonicese come per quella serba posteriore, fu l’impiego di quattro cupole angolari, nell’ambito di uno schema a cinque cupole, su tre ampie navate. Non ci sono noti i veri motivi di un tale procedimento architettonico. Esso significa, in ogni caso, la moltiplicazione delle unità di culto, all’interno di un unico edificio ecclesiastico, propria dell’architettura tardobizantina. I Santi Apostoli di Tessalonica, a differenza di San Panteleimone, hanno un nartece in forma di portico interno, aperto anche verso quello occidentale e verso i bracci laterali della navata perimetrale. In questo consiste la differenza sostanziale nei confronti della soluzione di San Panteleimone. Si ha l’impressione che nei Santi Apostoli il deambulatorio non comprenda tutta la chiesa. Le quattro cupole angolari costituiscono un elemento importante degli Apostoli. È evidente che le due cupole occidentali non sono collocate agli angoli dell’edificio, come ci si potrebbe aspettare dal punto di vista strutturale. La loro posizione, sulle campate del lato settentrionale e meridionale del deambulatorio, nell’asse più lungo del nartece, fa pensare al collegamento diretto delle quattro cupole piccole con il nucleo della chiesa. Questo farebbe riferimento al significato simbolico e funzionale di tali cupole. Santa Caterina rappresenta la variante concisa della medesima idea dello spazio. Il naos, nelle sue proporzioni ridotte, ricorda la concezione di San Panteleimone, con la differenza che la parte occidentale del deambulatorio ha sostituito il nartece. Con questa concezione dello spazio le due cupole occidentali hanno assunto la posizione che avevano negli Apostoli, anzi, non essendo previsto l’esonartece, nella composizione dell’insieme ripetono la soluzione dei Santi Apostoli. Nell’architettura esterna risalta la composizione della facciata occidentale. La sua parte centrale aperta su tre archi, le due laterali a due archi, come i pilastri che fanno da cornice alla composizione, in senso architettonico ripetono le precedenti soluzioni tessalonicesi e costantinopolitane. Inoltre, sulle facciate di Santa Caterina rileviamo le nicchie con la base a sezione d’arco, concluse a semicerchio.

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170. Tessalonica, Santi Apostoli, pianta. 171-172. Tessalonica, San Panteleimone, pianta attuale (sopra); ricostruzione (sotto).

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173. Tessalonica, Santa Caterina, lato occidentale. 174. Tessalonica, Sant’Elia, lato meridionale. 175-176. Tessalonica, Santi Apostoli, capitello della facciata occidentale; particolare del lato orientale. 177. Tessalonica, Santa Caterina, veduta da sud-ovest.

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Mettendo generalmente a confronto le chiese tessalonicesi con il gruppo costantinopolitano dei monumenti sarebbe difficile poter parlare di tendenze fra loro differenti, o addirittura di complessi stilisticamente diversi. La concezione che rende conciso lo spazio sotto la cupola, collocata su quattro sostegni liberi e con un deambulatorio su tre lati, costituisce un tema a sé. A Salonicco e nei territori sotto la sua influenza diretta esso ebbe una sua particolare diffusione. Le tre chiese di Tessalonica, con i loro deambulatori, per lo schema sviluppato dello spazio, sono vicine alle soluzioni della capitale, sorte con l’aggiunta dell’annesso. Anche sull’esempio dei monumenti tessalonicesi si può concludere che essi illustrano tempi in cui il soddisfacimento di ulteriori esigenze stimolò la costruzione di annessi al corpo preesistente della chiesa. A tutt’oggi non è stato chiarito il senso della costruzione di annessi simmetrici. Tuttavia, l’evidente analogia nelle forme fra l’architettura costantinopolitana e quella tessalonicese supera l’importanza delle differenze. Alcuni dettagli sono di carattere più generale, riguardano l’architettura bizantina, nel senso lato del termine. Tale è, ad esempio, la forma del tamburo della cupola. A questi elementi si potrebbero aggiungere anche la costruzione del tamburo, prevalentemente in laterizio, le cornici a dente di sega in cotto, le forme delle finestre e dei portali, le cornici in pietra nei piani divisori della struttura edilizia. Nella sfera di una somiglianza particolare e diretta rientrano particolari come il fregio delle arcade sull’abside principale degli Apostoli, del tutto simile al fregio della chiesa meridionale di Costantino Lips, oppure del katholikon di Chilandari. Inoltre, in un medesimo rapporto di analogia vanno considerate le colonnette, di sezione circolare, sulle facciate, poi l’uso della decorazione in cotto nelle fasce, in forma di meandri, di superfici romboidali e altro. Un elemento importante, nell’architettura delle facciate, è dato dagli archi decorativi ciechi. Sugli edifici di Tessalonica non presentano le proporzioni che hanno nell’architettura della capitale. Eppure costituiscono un elemento importante nella lavorazione delle facciate. Nella chiesa dei Santi Apostoli, la parte absidale si limita a una zona di bassi archi decorativi, tuttavia la lavorazione delle facciate per zone venne eseguita nei limiti consentiti dall’altezza, proporzionatamente piccola, degli ampi muri. Un buon esempio è dato dalla facciata occidentale e da quelle laterali di Santa Caterina. La cornice di pietra, che separa due zone all’altezza dei capitelli delle colonne, costituisce la linea orizzontale che divide queste due zone. Vi costituiscono l’elemento fondamentale della lavorazione architettonica gli archi effettivi e quelli decorativi. Si nota che nelle botteghe architettoniche di Tessalonica non risulta coerentemente applicata, nel suo ritmo, la tecnica muraria a strati di pietre e laterizi, anche se nella costruzione sono impiegati proprio questi due tipi di materiali. Si direbbe che i costruttori tessalonicesi, che dispongono di superfici lisce relativamente piccole, rimanevano prevalentemente legati alla prassi di inserimento del laterizio nelle parti strutturali delle facciate e alle fasce destinate agli effetti decorativi. Se ne potrebbe, dunque, concludere che le botteghe costantinopolitane o salonicesi continuano la loro attività. Il movimento dei personaggi che dettavano legge in merito alle

soluzioni architettoniche doveva seguire una sua traccia consolidata, mentre le differenze che si manifestano nei dettagli si possono interpretare nel modo più facile con gli interventi delle botteghe locali, legate a una loro tradizione consuetudinaria. L’opera più cospicua e di maggior valenza rappresentativa dell’architettura tardobizantina, la chiesa di Sant’Elia, nella concezione dello spazio, nella struttura, nelle forme, come nel materiale, contiene tutto quanto si collega alla specificità dell’edilizia della seconda città bizantina. Una visione accurata della concezione dell’insieme porta a pensare che nel grande programma dello spazio e delle forme della chiesa di Sant’Elia si sia raccolta tutta l’esperienza edilizia della Tessalonica del XIV secolo. Si aggiungano qui determinate soluzioni, caratteristiche dell’architettura della capitale, di cui si è già avuto occasione di parlare, come quella del naos triconcale e del grande nartece, le cui fonti, con tutta probabilità vanno ricercate nelle grandi chiese monastiche dell’Athos. Elementi essenziali della chiesa sono le conche laterali, le cui misure ripetono quelle dell’abside della chiesa, poi il nartece con nove campate, la cui struttura superiore è portata da quattro colonne, come i portici aperti lungo i lati settentrionale, occidentale e meridionale del nartece. Sono numerosi i particolari che valgono a distinguere Sant’Elia dalle soluzioni correnti dell’architettura bizantina del XIV secolo. Le quattro piccole cupole coprono lo spazio completamente distinto di quattro cappelle. Indipendenti dallo spazio del naos della chiesa, con le loro absidi, probabilmente furono costruite per essere utilizzate come chiese autonome. La loro restaurazione, effettuata durante i lavori di rinnovo della chiesa, si è ispirata all’ipotesi sulla sua soluzione originaria. Dal punto di vista architettonico è particolarmente importante la cappella nordorientale. Nella sua pianta essa ripete la chiesa salonicese del Salvatore. È quanto avviene anche nelle altre tre cappelle, per quanto con modalità diverse.

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Il caso dell’Epiro e della Macedonia L’architettura dell’Epiro rappresenta uno svolgimento specifico nell’ambito dell’edilizia bizantina, per il fatto che su quest’area l’autorità bizantina non subì interruzioni all’epoca della dominazione latina a Costantinopoli. È possibile che proprio alla luce di questo dato di fatto si debba ricercare la spiegazione di un comportamento specifico nei confronti di un determinato aspetto della tradizione edilizia. Nel XIII secolo, caratterizzato in Epiro dall’imponente attività culturale ed edilizia di Arta, non era stata abbandonata la tradizione della costruzione basilicale dello spazio del tempio. La dimostrazione può essere cercata nella concezione di Santa Teodora, sorta attorno alla metà del XIII secolo, che è una basilica a tre navate con un tetto costruito in legno, ma con una particolare struttura del naos. La chiesa del monastero delle Blacherne, costruita come croce iscritta sovrastata al centro dalla cupola, porterebbe in sé due fasi edilizie: la basilica voltata a tre navate dell’inizio del XIII secolo e la croce iscritta con la cupola della metà del medesimo secolo. I muri sono costruiti a strati orizzontali di pietre, con inserita la 158

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fila di laterizi. Su determinate superfici, come nelle cornici delle finestre, è inserita la decorazione in ceramica. Inoltre, la chiesa si fregia anche di ricchi rilievi decorativi in pietra. Anche la Panagia Brioni è una costruzione la cui concezione originaria non è completamente chiara; nella struttura è una basilica e la seconda campata davanti all’altare porta la cupola. Le incertezze riguardanti l’aspetto originario delle costruzioni descritte sorgono a seguito delle riparazioni consentite dalla continuità che la vita politica ebbe su quest’area. San Nicola Rodias ha il naos nella forma della croce iscritta con la cupola, ma si direbbe che anche qui, nella struttura, sia rimasto il ricordo della basilica: sul lato occidentale la cupola è portata da due colonne, mentre su quello orientale i piedritti sono pilastri come parte dei muri compresi fra la parte mediana e quelli laterali dell’altare. Specifica è la concezione della Kato Panagia, che viene ritenuta opera di Michele II Angelo (1230-63). Nella struttura si tratta di una basilica voltata, a tre navate, nella quale, nella parte occidentale, gli appoggi liberi sono dati da colonne, mentre le tre parti del santuario sono fra loro separate da muri. Fra la parte orientale e la struttura delle colonne si erge trasversalmente una volta a semibotte, che, nelle forme della parte superiore della costruzione, appare come transetto. Da tempo si è concluso che questa volta trasversale sostituisce la cupola, così che avremmo qui una variante della croce iscritta con la cupola. Del tutto simile è la Porta Panagia nel territorio di Trikkala, costruita sul finire del XIII scolo. Questa concezione architettonica fu ripetuta in più di un monumento della Grecia e, in un’epoca di molto posteriore, anche a Ocrida. Oltre alla Kato Panagia, Michele II fondò un altro

monastero nelle vicinanze di Arta, a Filippi. Di esso si sono conservati solo i resti della chiesa dedicata alla Madre di Dio Pantanassa. Questo tempio viene ricostruito come chiesa a croce iscritta con la cupola poggiante su quattro colonne, con il santuario articolato e il nartece. Inoltre, si sono conservati anche i frammenti del portale e della plastica in pietra, di alto valore artistico. Simbolo di Arta, centro della regione era la Madre di Dio Parigoritissa, fondazione dei membri della famiglia Comneno-Dukas, sovrani dell’Epiro. Si tratta di una chiesa di grandi proporzioni, unica nella concezione dello spazio e delle forme dell’edificio nel suo insieme. In questa grande chiesa, costruita con cura, con un ricco arredo interno, bisognava presentare il depositario del potere del despotato, che pretendeva di continuare il ruolo che era stato degli imperatori bizantini. Come deduciamo dalle ricerche più recenti, l’edificio conserva due fasi: la prima del 1250 e la seconda del nono decennio del XIII secolo. Nello spazio e nella struttura si distingue la parte mediana, sopra la quale si trova la cupola. Lungo i suoi lati settentrionale, occidentale e meridionale si aprono due navate laterali e il nartece – sul lato occidentale – , al di sopra dei quali, al livello del primo piano, si ergono le gallerie. La chiesa è particolare per la sua parte mediana, la cui struttura ricorda il tipo della chiesa greca con otto sostegni che portano la cupola. Nella letteratura in materia viene generalmente usato in proposito il termine di tipo insulare ottogonale. Alla prima fase apparterrebbe la parte centrale dell’edificio, con il santuario e il portico aperto su tre lati. L’edificio rinnovato sarebbe stato rialzato e al posto del portico aperto sarebbero stati costruiti vani chiusi, sopra i quali l’edificio sarebbe stato rialzato di un piano e nella co-

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Nella pagina seguente: 180. Arta, Santa Teodora, veduta da occidente.

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181. Arta, Blacherne, lato orientale. 10

182-183. Trikkala (Grecia), Porta Panagia, veduta da sud-ovest; pluteo dell’altare.

178. Arta (Grecia), Madre di Dio Parigoritissa, assonometria (secondo Orlandos).

184. Arta, Madre di Dio Parigoritissa, particolare dell’interno. 185. Arta, Kato Panagia, veduta da sud-est.

179. Arta, Kato Panagia, pianta (secondo Orlandos).

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pertura sarebbero state incluse quattro cupole angolari. Bisogna qui aggiungere un baldacchino aperto sovrastante la metà del lato occidentale, che aveva la funzione di campanile. La struttura portante della cupola è unica per la connessione delle due concezioni. Nella zona più alta, su una struttura di otto supporti, fu costruito un sistema basato sul tipo della cupola imposta su quattro sostegni. Sopra gli archi che collegano i supporti inferiori sono stati inseriti i pennacchi, su cui poggia la cupola. È specifico della Parigoritissa l’aspetto esterno, nel suo insieme. Le facciate sono lisce e in esse si distingue il piano terra, per la sua rozza tecnica muraria e i due piani sovrastanti, ritmati dalle bifore uguali. Dalle superfici piatte che racchiudono le facciate all’esterno emergono i volumi delle cupole. La partecipazione di maestranze dell’Europa occidentale alla costruzione della Parigoritissa è un dato da tempo acquisito. La loro presenza ad Arta viene spiegata con i legami politici e familiari della dinastia. Nascono da qui la concezione dell’esterno della Parigoritissa e la plastica romanico-gotica dell’interno. Va, inoltre, detto che per la costruzione delle strutture interne furono usate antiche colonne di spoglio. L’elaborazione delle facciate della Parigoritissa ha una particolare importanza per la visione d’insieme dell’architettura epirota. Proprio in questa che si pone come la chiesa più grande ed eminente della regione e la cui seconda fase costruttiva coincide con l’epoca terminale della gloria statale dell’Epiro, vediamo realizzarsi quanto era caratteristico di una specifica concezione architettonica. Tralasceremo l’immagine complessiva, che ricorda il palazzo dell’Europa occidentale, che del resto non influì sulle forme delle finestre e delle cupole di questa chiesa. Va piuttosto rilevato che l’architettura di Arta, dell’Epiro e della vicina Tessaglia reca, nelle forme, dalle prime costruzioni alla Parigoritissa, le proprietà edilizie tipiche della Grecia meridionale, di Atene, dell’Attica, del Peloponneso. In breve, ne sono componenti essenziali le facciate lisce e l’uso della pietra come mate-

riale da costruzione che ben presto consente l’applicazione della tecnica cloisonné o a smalto tramezzato. Raro è il caso che una tale distribuzione dei laterizi venga impiegata per la composizione di lettere, fenomeno questo che è, invece, proprio dell’architettura della Grecia meridionale e della Macedonia. Presenza dominante è, invece, la costruzione di archi sopra le aperture e di cornici in cotto attorno alle finestre, e anche dei cornicioni sottostanti il tetto come delle incorniciature degli archi delle finestre, mediante il sistema delle fasce a dente di sega. Inoltre, vengono pure impiegati, su ampie fasce, i cotti disposti a formare rombi (opus reticolatum). Queste fasce percorrono l’intera lunghezza delle superfici delle facciate. Si possono vedere al primo piano della Parigoritissa, all’altezza della base delle aperture, delle finestre. Tuttavia, l’uso dei laterizi disposti a formare rombi sulle facciate è documentato molto prima della costruzione della Parigoritissa nelle cupole e non solo nelle chiese epirote. La combinazione degli elementi decorativi descritti con la concezione delle superfici rettangolari, con piani di uguale altezza, caratteristica dell’architettura dei palazzi dell’Europa occidentale, altera, nella Parigoritissa, quell’armonia che, invece, vediamo realizzata in altri edifici, di minori dimensioni, espressioni di un’architettura eminentemente decorativa come quella del meridione greco e dell’Epiro. L’architettura epirota delle facciate riflette le esperienze sviluppate nella Grecia meridionale, prevalentemente sul territorio attico-ateniese – la cui specificità risiede nelle forme, che si ritengono ispirate dalla classicità, – e , per parte sua, ha influito in modo decisivo su alcuni dei monumenti chiave sorti nell’area settentrionale, precisamente nella Macedonia della fine del XIII secolo. Ammesso si possa parlare di una «Scuola epirota», essa sarebbe contraddistinta da un insieme di elementi caratteristici, fra i quali spiccano particolarmente le facciate descritte, il cui influsso si può ben riconoscere su un certo numero di edifici. Ci sembra che gli spostamen-

186-187. Arta, Blacherne, portale e particolare della facciata.

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nea delle facciate si manifesta nella cappella meridionale della Madre di Dio Pammakaristos. La sua facciata libera, quella meridionale, parla espressamente di una nuova concezione architettonica. La concezione tradizionale si esprime nelle trifore, nelle arcate cieche e nel cornicione a dente di sega, come la costruzione a strati di pietra e cotto, anche se in un ritmo, in certo modo, particolare. Tuttavia, l’organizzazione del ritmo verticale e orizzontale della superficie delle facciate costituisce la vera immagine delle nuove concezioni architettoniche. La superficie complessiva è divisa in tre zone orizzontali, che ricondurrebbero alla tradizione costantinopolitana; ma queste sono elaborate liberamente. Parzialmente si rileva un accordo nel ritmo fra la prima e la seconda zona, mentre la terza, quella superiore, presenta una costruzione libera. L’architettura della superficie della facciata non si basa sull’organizzazione dello spazio interno, che si può soltanto intuire dalla parziale concordanza verticale del disegno. Lo sviluppo della decorazione e l’ampliamento del suo repertorio sono documentati dalle rosette, dalla decorazione a basso rilievo sulla cornice sopra la prima zona della facciata meridionale e dal motivo della scacchiera nella zona più alta della facciata occidentale. L’arco ogivale sull’arcata cieca della facciata meridionale è anch’esso un nuovo elemento stilistico. La cappella del Metochita nella Chora di Costantinopoli è un’opera eminente delle nuove concezioni delle forme architettoniche. Nella lavorazione delle forme è il dettaglio che si pone in primo piano. La prassi costantinopolitana si è conservata nella tecnica muraria e negli altri elementi essenziali. Gli archi esterni a due rientri caratterizzano la struttura interna dell’edificio e la cornice orizzontale si trova sul piano di appoggio di questi archi. La novità è data dalla struttura asimmetrica degli archi decorativi del lato meridionale, la forma delle fine-

ti di determinate concezioni, e quindi delle maestranze portatrici delle stesse, segua un tracciato del tutto ammissibile, dalla Parigoritissa al San Clemente di Ocrida (Madre di Dio Periblepta). La mano dei maestri esecutori si riconoscerebbe dal modo dell’elaborazione delle superfici delle facciate e dai dettagli nelle forme. Su questo itinerario si colloca anche la Panagia Vellas di Vulzarelli, meglio nota come Chiesa Rossa (Kokkina ekklesia). Fra questa chiesa e la Madre di Dio Perivlepta di Ocrida si rileva un’eccezionale analogia nella concezione dello spazio, nella struttura complessiva, e non soltanto sulle superfici delle facciate. La concezione dell’insieme, qui descritta, venne ripetuta in San Giovanni Caneo di Ocrida, e, in una forma parzialmente mutata, anche nel monastero Zaum, assai posteriore. In San Giovanni Caneo, edificio oggi libero, senza annessi, sono evidenti alcuni dettagli caratteristici: l’impiego della tecnica muraria cloisonné, le cornici a dente di sega come tipo specifico di disegno di una determinata superficie architettonica; le bifore, le terminazioni dei tetti come frontoni, come la fascia dei meandri e dei quadrati inseriti in posizione romboidale secondo il sistema degli scacchi, per quanto solo sull’abside. Nel complesso, anche nel caso di San Giovanni, l’elemento più caratteristico è dato dal volume, geometricamente ben definito, chiuso, delle superfici lisce delle facciate. È stato rilevato che i dettagli nell’elaborazione architettonica delle chiese di Ocrida trovarono una loro via fino a Prilep e alla Madre di Dio di Ljeviša. Nei dettagli l’influsso si può cogliere sulle parti del piano superiore del nartece interno di Santa Sofia a Ocrida, datato al 1300, come nella tecnica edilizia dell’esonartece. Dal punto di vista dello stile, anche la Omorfi ekklesia presso Castoria (Kostur), appartiene alle medesime concezioni. La fine del XIII secolo Il generale rinnovamento nel mondo bizantino, negli ultimi decenni del XIII secolo si espresse anche negli indirizzi fondamentali in cui si sviluppava l’architettura. Il vecchio organismo edilizio bizantino ricevette nuovi stimoli. Nello spazio, nella struttura e nei dettagli si manifestano nuove soluzioni, evidenti soprattutto nelle forme. E proprio l’aspetto esteriore degli edifici rappresentativi bizantini fa sì che si possa parlare di una nuova immagine dell’architettura bizantina nei decenni di passaggio dal XIII al XIV secolo. Essenziale, in materia, è il ruolo svolto dalla vecchia capitale bizantina. Oltre che a Costantinopoli, le nuove concezioni edilizie appaiono a Tessalonica e a Mesembria. L’opera più rilevante dell’età del rinnovo giunta fino a noi è la chiesa meridionale del monastero di Costantino Lips. Nella struttura dei suoi muri esterni furono praticate le tradizionali aperture a tre archi, ma la lavorazione delle superfici murarie ha compiuto un passo ulteriore. Viene raddoppiata la zona delle arcate cieche sull’abside principale, mentre la ceramica decorativa diviene parte della lavorazione delle facciate. Gli archi a sesto acuto costituiscono un motivo particolare che si ripete sulle facciate dei Santi Apostoli di Tessalonica e del katholikon del monastero di Chilandari. Un passo ulteriore nella costruzione della nuova li-

In questa pagina e a fronte: 188-189. Ocrida (Macedonia), Madre di Dio Periblepta (San Clemente), particolare del lato orientale; veduta da sud.

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stre sul medesimo lato, la modalità di lavorazione delle lesene, come l’arco ogivale dell’arcata cieca orientale, con cui viene continuata la forma attuata nella cappella meridionale della Pammakaristos. A tutte queste novità del lato meridionale va aggiunto anche il modo in cui le lesene sono state elaborate e poi incluse nell’insieme. Al centro della lesena raddoppiata è stata aggiunta una colonetta di sezione semicircolare. Nella forma applicata nella Chora, l’origine di questo elemento va ricercato nelle colonnette collocate agli angoli del tamburo della cupola. Tuttavia, insolita è la soluzione in cui le lesene mediane sulla facciata della cappella, insieme con le colonnette, vengono intersecate dalla cornice così da essere trascurato il senso originario non solo delle colonette ma anche delle lesene. Contemporaneamente, però, nelle absidi, la lesena ben sviluppata, con la sua colonnetta semicircolare, è rimasta parte dell’elaborazione delle superfici delle facciate secondo un principio strutturale. Alcune particolarità inerenti le concezioni dello spazio, e soprattutto nella lavorazione delle superfici della facciata, parlano di due grandi opere dell’architettura monumentale costruite nei decenni di passaggio dal XIII al XIV secolo, uscite dalle mani di costruttori della capitale, o di maestri della seconda città dell’Impero, Tessalonica, che operano secondo le concezioni e lo spirito dell’architettura costantinopolitana. Le opere di riferimento sono il katholikon di Chilandari e i Santi Apostoli sempre di Salonicco. Chilandari, opera di un ricco committente, eseguita irreprensibilmente, nei suoi dettagli, rimanda alla capitale bizantina. Fra questi dettagli viene individuato particolarmente il caratteristico fregio di arcate sottostante il tetto. Anche i Santi Apostoli di Tessalonica sono un’opera del massimo valore edilizio e artistico. L’insieme, nelle sue forme esterne, è stato realizzato con

un’elevata armonicità di ritmi e simmetrie. Nel rispetto dei princìpi compositivi tradizionali – e anche questa è una forma specifica di classicismo – la decorazione delle facciate acquista un suo rilievo particolare. Essa si evidenzia sul lato orientale dell’edificio. Spicca particolarmente sull’abside principale ed è inserita sulle facciate delle absidi laterali e parzialmente anche sui muri orientali dei due vani orientali sottostanti la cupola delle navate laterali. Sotto il cornicione terminale, a dente di sega, si svolge il fregio ad angolo acuto. Sotto di esso si alternano ritmicamente le fasce di file di laterizi orizzontali con le fasce degli intrecci geometrici di cotti disposti in file oblique. Le arcate decorative rifiniscono i campi dell’abside a sette lati. Su questi campi è inserita la decorazione in cotto. Analoga è la decorazione delle superfici appartenenti alle facciate laterali. La specificità della lavorazione architettonica degli esterni dei Santi Apostoli consiste nell’inserimento della decorazione delle facciate nelle forme architettoniche che continuano la tradizione dell’architettura medio-bizantina. Questo procedimento esemplifica una particolare sintesi tra la nuova decorazione e il sistema bizantino tradizionale della composizione armonica. Se, invece, passiamo a considerare gli edifici più ragguardevoli di Mesembria, noteremo che nella lavorazione delle superfici delle facciate è stata trascurata la struttura interna. L’elemento fondamentale è dato dalle serie ritmiche delle arcate decorative, che ornano anche le lesene. Nei campi delle arcate principali si trovano quei tipi di decorazione che sono noti nell’architettura della capitale bizantina, le rosette, il motivo della scacchiera e altro. Il colorito dei due tipi fondamentali di materiali, la pietra e il cotto, copre le superfici delle facciate fino al tetto, sotto il quale si svolge il fregio delle arcate. È caratteristico il fatto che, ad esempio nei Santi Arcangeli,

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190. Mesopotam (Albania), San Nicola, capitello. 191-192. Atene, Museo bizantino, due particolari di architrave del pluteo dell’altare. 193-194. Arta, Madre di Dio Parigoritissa, due particolari della decorazione del portale. 195. Trikkala (Grecia), Porta Panagia, architrave del pluteo dell’altare.

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si trascurino completamente il numero e il ritmo delle campate, e questo indica che il principio strutturalistico è stato abbandonato completamente nella lavorazione delle superfici delle facciate. La nuova concezione architettonica, che caratterizza il rinnovo dei Paleologi, trova la sua vera espressione nella lavorazione delle superfici delle facciate. Mentre nell’architettura dei Comneni l’immagine d’insieme della costruzione è delineata dal volume e dai portali e dalle finestre in pietra, decorati in rilievo, negli ultimi decenni del XIII secolo si vuole arrivare a un’espressione più ricca dell’insieme. Si ricorre, pertanto, alla decorazione geometrica o geometrizzata delle superfici delle facciate, avendo cura che i suoi ritmi si adeguino alle forme architettoniche. Nello spirito delle mutate concezioni artistiche, manifestate soprattutto nella pittura murale, si creano nuovi temi figurativi per le facciate. La grande superficie murale, di cui si trascura quasi completamente il senso architettonico originario, sembra essere assimilata alla tela su cui rappresentare i vari motivi decorativi. L’esempio migliore è dato dalla facciata meridionale della cappella meridionale della Pammakaristos. I colori del materiale principale, del laterizio, della malta e della pietra, sulle superfici lisce e mediante motivi elaborati stereometricamente, insieme con il rilievo in pietra, compongono l’immagine pittoresca dell’insieme. Ne sono buoni esempi illustrativi i monumenti conservati a Mesembria. Tuttavia, l’architettura torna rapidamente alla concezione classica della forma. Nelle serie delle decorazioni della medesima forma si rispetta il ritmo regolare, nella configurazione delle parti fondamentali, la simmetria assiale e l’insieme risulta da una consonanza prodotta dalla costante attenzione per i valori armonici. Ne sono un esempio i Santi Apostoli di Tessalonica. Ne consegue che l’atto finale nel movimento che definiamo Rinascimento dei Paleologi può essere inteso come nuovo classicismo.

ne di Scuola serbo-bizantina, coniata da Millet. La sua prima qualifica riguarda la tradizione evoluta dell’architettura serba e la seconda riflette l’adozione dei caratteri essenziali dell’architettura bizantina, nella concezione degli spazi, nella struttura, nelle forme e nella tecnica muraria. Due componenti di quest’architettura hanno dato all’insieme i suoi caratteri specifici, innanzitutto nell’interpretazione dell’armonia fondamentale delle ripartizioni degli spazi e nelle forme. Nel corso del XIV secolo, specie sui territori serbi meridionali, che precedentemente erano stati bizantini, si sviluppò un’ampia attività edilizia. I committenti sono il sovrano e l’alta aristocrazia. Il benessere economico metteva a disposizione larghi mezzi per le attività edilizie e le altre forme di lavoro artistico. Nei cantieri importanti delle terre serbe, evidentemente, si incontrano maestranze di buona qualità, provenienti dai principali centri edilizi bizantini. Questa produzione architettonica, proporzionatamente consistente, non poteva non includere nelle forme più elevate delle imprese edilizie entrambi i corsi caratteristici presenti sull’area bizantina: quello legato alla capitale come quello cosiddetto provinciale. Il riferimento ai modelli della capitale nella costruzione delle concezioni e dei progetti dei monumenti più importanti caratterizza, in tutto il suo arco produttivo, l’architettura sviluppata sotto il regno di Milutin, e successivamente anche le opere più significative dell’Impero serbo. Fra i modelli riferiti alla capitale vanno annoverate anche le opere cruciali dell’architettura di Tessalonica, vale a dire le opere architettoniche costruite in base alle concezioni e alla prassi delle botteghe edilizie tessalonicesi. Per gli architetti pincipali del re Milutin, nella fase matura, il modello decisivo è costituito dai monumenti tessalonicesi, quali sono Santa Caterina e i Santi Apostoli. Nel secondo corso, sopra accennato, in parallelo con le realizzazioni basate sulle concezioni dei due più importanti e più grossi centri cittadini bizantini, nell’architettura della Serbia rientrano anche le concezioni dello spazio e le forme le cui fonti si trovano in Epiro, e, in seguito, anche nella parte occidentale della Macedonia. In particolare, la decorazione in ceramica, derivata – almeno sulla base di quanto si è finora appreso – dall’architettura epirota, sarebbe divenuta componen-

La Scuola serbo-bizantina Il periodo dell’architettura serba iniziatosi con le opere del re Milutin, nell’ultimo decennio del XIII secolo, da tempo è noto fra gli storici con la denominazio-

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196-197. Monte Athos, monastero di Chilandari, katholikon, pianta (secondo Dj. Bošković); lato settentrionale.

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198. Monte Athos, monastero di Chilandari, chiesa del re Milutin: (a) dettaglio del portale centrale; (b) dettaglio del portale dell’ingresso occidentale; (c) dettaglio dell’architrave tra il nartece e il naos; (d) particolare della decorazione del capitellino della trifora orientale; (e) composizione del mosaico pavimentale del naos. (Secondo S. Nenadović e Dj. Bošković).

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te importante nelle opere edilizie della Serbia, sorte nei primi decenni del XV secolo. Nell’ultimo decennio del XIII secolo la Serbia guarda direttamente a Bisanzio. Il re Milutin, la sua corte e tutti coloro che erano legati alla corte trovano nella rinnovata Bisanzio dei Paleologi quella forza spirituale e culturale che all’incirca un secolo prima aveva attratto il fondatore della dinastia, Stefano Nemanja. A mano a mano che i suoi eserciti avanzano verso sud, conquistando i territori bizantini, il re Milutin e i suoi feudatari cercano nel mondo bizantino rinnovato le fonti primarie di tutto il lavoro creativo. Come prima di lui avevano fatto Nemanja e Sava, e ispirandosi certamente al loro esempio, la prima importante impresa donatoria fu il grande rinnovo del monastero di Chilandari. Nelle sue proporzioni questa restaurazione aveva la portata della costruzione di un nuovo monastero. L’elenco degli edifici compresi da questo rinnovo, che richiese l’ingaggio degli architetti e dei maestri migliori, segnala: il nuovo katholikon, il refettorio, il sopralzo della torre di San Sava, probabilmente anche i vani destinati all’abitazione dei monaci, la chiesa del cimitero e due altre torri ancora. Le proporzioni, l’alto livello artigianale e i preziosi arredamenti, là dove erano necessari, sono le caratteristiche delle opere con le quali Milutin inizia la propria attività donatoria, eccezionalmente ricca, che, nel suo insieme, conferisce un carattere nuovo e particolare all’architettura monumentale serba, mentre nell’edilizia bizantina, nel senso ampio della parola, introduce opere di importanza antologica. La vasta attività edilizia promossa dal re Milutin, che oggi si può vedere soltanto in una parte minore dei monumenti conservati, si colloca al vertice creativo del mondo culturale bizantino. E questo vale per le altre sfere artistiche, soprattutto per la pittura. L’impressione è che nei cantieri che sorgono secondo il desiderio e la volontà del re Uroš II si raccolgano i migliori maestri di questo periodo. La realizzazione di tali imprese richiede la partecipazione dei produttori di laterizi, dei tagliapietre e dei lapicidi che squadrano e lavorano i blocchi da usare nell’edilizia, degli scalpellini, che producono le più

raffinate decorazioni in rilievo o i mosaici per i pavimenti, degli abili ed esperti costruttori delle volte e di altre maestranze ancora. La chiesa di San Niceta nella Skopska Crna Gora, costruita nel 1307, contiene soluzioni che richiamano fonti di due tipi: il primo potrebbe essere definito costantinopolitano e il secondo greco-provinciale. Lo spazio della chiesa è concepito nella semplice variante della croce iscritta con la cupola al centro. Alla base del rettangolo quattro pilastri a sezione quadrata portano, approssimativamente in corrispondenza della parte centrale, una cupola collocata sulle volte a semibotte. L’abside semicircolare è continuazione diretta del braccio orientale della croce, mentre in luogo della protesi e del diaconico vediamo due nicchie aperte nel medesimo muro, così che la campata orientale, delle tre della chiesa, aveva assunto la funzione del santuario. È possibile che, lungo il lato occidentale di San Niceta, l’edificio adibito a nartece venisse eretto in una fase successiva. Le triplici arcate decorative, sulle facciate occidentale e laterali, hanno la forma consueta per il tipo della croce iscritta semplificata, provvista di cupola; per la precisione sulle facciate laterali le arcate hanno un triplice rientro e l’abside pentagonale, all’esterno, sia nella la forma della pianta che per le arcate che ne decorano i lati, è vicina alle soluzioni tessalonicesi. Fra le opere conservate, volute e finanziate dal re Milutin, occupano un posto particolare le seguenti tre chiese a cinque cupole: la Madre di Dio di Ljeviša a Prizren, San Giorgio a Staro Nagoričino e Gračanica nel Cossovo. In queste tre opere abbiamo soluzioni differenti del tipo di chiesa a cinque cupole. Nelle forme e nei dettagli della lavorazione si riconoscono le soluzioni che hanno la loro origine nelle fonti di entrambi le provenienze. Nelle concezioni delle parti più rilevanti e in certo modo anche dell’insieme, a ragione, si può parlare di una particolare ricezione dell’architettura bizantina, propria della tradizione edilizia e artistica serba. Già a quell’epoca nell’architettura monumentale vengono elaborate le soluzioni sulla base delle quali si può fondatamente affermare che le realizzazioni della maggior parte del XIV

199. Monte Athos, monastero di Chilandari, mosaico pavimentale.

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secolo possono ben essere riunite sotto la definizione di Scuola serbo-bizantina. La chiesa a cinque cupole di Prizren fu inserita completamente nella navata centrale dell’edificio basilicale preesistente. Importante caratteristica della chiesa di Prizren del re Milutin è data dal portico del lato occidentale con l’alta torre e il campanile al centro. Il piano terra di questa struttura ha le caratteristiche dell’esonartece. La seconda grande chiesa con cinque cupole, donazione del re Milutin, è San Giorgio a Staro Nagoričino e sorse anch’essa su un edificio preesistente il cui aspetto originario non ci è chiaro, come del resto l’epoca della costruzione. La nuova chiesa fu edificata sui muri preesistenti, già piuttosto alti, costituiti da file orizzontali di grossi blocchi di trachite, usando materiale identico o analogo. La tecnica muraria impiegata è un esempio del sistema tramezzato (cloisonné), in quanto i blocchi di pietra sono incorniciati da laterizi; gli archi decorativi delle facciate sono costruiti alternativamente in pietra e cotto. Il sistema di lavorazione delle superfici delle facciate presenta a Staro Nagoričino la continuazione dell’uso sistematico del laterizio, sull’esempio delle soluzioni attuate nella Madre di Dio di Ljeviša e specialmente per l’impiego degli elementi decorativi in ceramica. A Gračanica, nel 1315, venne edificata una chiesa a cinque cupole che, per l’originalità della soluzione, per l’eccezionale armoniosità di volumi e forme, è un’ope-

ra eccellente dell’architettura serba e bizantina del suo tempo. Le sue forme, le superfici delle facciate, l’aspetto complessivo della costruzione ne qualificherebbero la presenza in uno dei pochi centri più importanti del mondo bizantino di quell’epoca. Pure, nello stesso tempo, le sue caratteristiche specifiche, l’originalità di soluzione dello spazio e la concezione del rapporto tra le parti e il tutto, collocano Gračanica in una posizione ben precisa all’interno dell’architettura serba. La concezione dello spazio e della struttura sono state definite secondo l’esperienza delle due precedenti chiese a cinque cupole. Fondata su una pianta il cui rettangolo ha un allungamento poco accentuato, l’edificio presenta al centro la cupola maggiore e agli angoli le quattro minori. Mancano le gallerie esterne sui tre lati, probabilmente per motivi climatici; in sostanza esse sono state inserite all’interno dell’edificio, e le loro parti orientali sono state sviluppate come cappelle. In proposito si può parlare di adeguamento o di cambiamenti per i quali le gallerie laterali accolgono le cappelle, che fino a quell’epoca, nell’architettura serba, avevano già una tradizione ormai lunga quasi un secolo. Inoltre, nella concezione dello spazio, evidente dalla pianta, sono state inserite anche le cantorie rasciane, collocate lateralmente rispetto alla cupola, con la consueta pianta rettangolare, come chiaramente rilevato dall’iconografia degli affreschi nelle zone e nelle bordure che delimitano que-

TAVOLE A COLORI TAV. 46. Costantinopoli, Santa Teodosia (Gül Cami), veduta esterno dell’abside. TAV. 47. Costantinopoli, monastero di Cristo in Chora (Kariye Cami), particolare dell’esterno con l’abside. TAV. 48. Ibidem, l’interno del parekklesion, intitolato alla Dormizione (Koimesis). TAV. 49. Costantinopoli, chiesa della Madre di Dio Pammakaristos (Fetiyeh Cami), particolare dell’esterno. TAV. 50. Mesembria (Nessebar, Bulgaria), San Giovanni Aliturgitos, veduta dell’insieme dall’esterno. TAV. 51. Mesembria, Cristo Pantocratore, veduta da sud-est. TAV. 52. Mesembria, Santi Arcangeli Michele e Gabriele, veduta da sud-est. TAV. 53. Mesembria, Santa Parasceve, veduta dell’insieme dall’esterno. TAV. 54. Tessalonica, Santa Caterina, l’esterno.

TAV. 55. Arta (Epiro, Grecia), Madre di Dio Parigoritissa, l’esterno.

Grecia), chiesa della Santa Sofia e palazzo dei Despoti.

TAV. 56. Arta, San Nicola Rodias, l‘esterno.

TAV. 67. Mistrà, San Nicola, l’esterno.

TAV. 57. Ocrida (Macedonia), San Giovanni Caneo, l’esterno.

TAV. 68. Mistrà, Evanghelistria, insieme dell’esterno.

TAV. 58. Ibidem, la chiesa e il lago di Ocrida.

TAV. 69. Mistrà, monastero della Pantanassa, particolare dell’esterno con loggia.

TAV. 59. Ocrida, Santa Sofia, facciata. TAV. 60. Staro Nagoričino (Macedonia), San Giorgio, veduta d’assieme dell’esterno. TAV. 61. Monastero di Gračanica (Serbia), chiesa dell’Annunciazione, veduta dal lato nord-occidentale. TAV. 62. Ibidem, l’interno della chiesa. TAV. 63. Monastero di Dečani (Serbia), Cristo Pantocratore, insieme dell’esterno. TAVV. 64-65. Patriarcato di Pec´ (Serbia), due vedute dall’esterno del complesso delle chiese. TAV. 66. Mistrà (Peloponneso,

TAVV. 70-71. Mistrà, monastero del Brontochion, chiesa dell’Afendiko e palazzo dei Despoti. TAV. 72. Monte Athos, monastero di Chilandari, il katholikon. TAV. 73. Monte Athos, monastero di Vatopedi, il katholikon e la corte. TAV. 74. Kruševac (Serbia), chiesa di Santo Stefano detta “Lazarica”, l’esterno. TAV. 75. Monastero di Ravanica (Serbia), chiesa dell’Ascensione, veduta dell’abside dall’esterno. TAV. 76. Monastero di Kalenić (Serbia), chiesa della Presentazione di Maria al Tempio, l’esterno.

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200-201. Monastero di Gračanica, chiesa dell’Annunciazione, lato orientale; assonometria (secondo V. Korać). 202-203. Prizren, Madre di Dio di Ljeviša, nartece; torre dal lato meridionale; assonometria.

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204. Monastero di Studenica, Chiesa del Re, prospettiva. 205. Banjska (Serbia), Santo Stefano, ricostruzione assonometrica (secondo V. Korać e G. Tolić). 206. Dečani, Cristo Pantocratore, assonometria (secondo V. Korać).

A fronte: 208. Monastero di Gračanica (Serbia), chiesa dell’Annunciazione, pianta (secondo S. Nenadović).

207. Prizren, Monastero dei Santi Arcangeli, ricostruzione del lato occidentale (secondo S. Nenadović).

209. Monastero di Mateič (presso Kumanovo, Macedonia), Madre di Dio, pianta.

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sta parte della decorazione pittorica. Pertanto, le gallerie laterali hanno accolto le cappelle e le cantorie tradizionali della Rascia, mentre la galleria occidentale è divenuta nartece, allungato e poco profondo, ma certamente nartece, per la sua posizione rispetto al naos. Una preziosa specificità di Gračanica è data dalle forme del suo alzato, la sua «quinta facciata». Le piccole cupole agli angoli, su basamenti cubici, anch’essi appartenenti alla tradizione della Rascia, si collocano sulle parti angolari dell’edificio, il cui disegno fa di ciascuna un insieme a sé. La caratteristica precipua e l’alto valore dell’architettura di Gračanica consiste nell’eccezionale rapporto espresso nei confronti di tutte le forme dell’insieme complesso. Appunto questo è quanto si rileva nelle parti superiori di Gračanica, nella già ricordata sua «quinta facciata». Insolita e audace fu l’idea che nello schema della chiesa a cinque cupole si desse rilievo a tutte e cinque le cupole, con i propri organismi portanti, e alle forme della parte centrale della costruzione superiore, per coprire quello che nella pianta non sono che i bracci di due croci. Tutte le parti dell’insieme, ciascuna delle facciate, le cupole, l’imposta delle cupole, e le fronti dei bracci delle croci iscritte sono state realizzate con estrema meticolosità, anche se le distanze reciproche fra i volumi di cui parliamo sono assolutamente piccole. L’architetto, nei confronti della costruzione e della lavorazione delle superfici esterne delle parti superiori di Gračanica, si è posto come il pittore che riproduca con la massima cura l’incarnato e le parti del corpo e degli abiti, come lo sfondo del quadro, anche nella cupola o in qualche altra parte dell’alzato, che in sostanza rimane inaccessibile all’occhio dell’osservatore. Da questo suo atteggiamento traspare l’aspirazione per l’espressione perfetta della forma architettonica, verso la bellezza compiuta, destinata a una sfera spirituale superiore, al cielo, fosse o non fosse, tale parte, accessibile alla vista dell’osservatore. È, questa, la dimensione trascendentale dell’opera creativa, del lavoro investito nella bellezza per se stessa. Oltre ai grandi monumenti a base sviluppata e di struttura complessa, nell’architettura serba, sotto l’influsso del movimento che va sotto la denominazione di Rinascimento dei Paleologi, sorge, donata dal re Milutin, un’opera edilizia di piccole dimensioni, ma d’importanza eccezionale per la comprensione delle idee specifiche e conseguentemente delle concezioni architettoniche costruite su di esse. Accanto alla venerata chiesa sepolcrale di Stefano Nemanja, nell’ambito del monastero di Studenica, il re Milutin costruì un piccolo tempio, quasi

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una cappella dedicata ai Santi Gioacchino e Anna, noto anche come «Chiesa del Re». In quest’opera di proporzioni non grandi, con le facciate intonacate, collocata nelle immediate vicinanze della chiesa della Madre di Dio, che è invece sontuosa, nella sua elaborazione, negli affreschi come nelle forme architettoniche si può riconoscere una forma specifica di ritorno alla tradizione classica, tanto che nel caso della cappella maggiore di Studenica si può veramente parlare di classicismo, riferito all’edificio nel suo insieme. All’esterno, nelle forme, è segnalata la struttura interna, in modo tale che la parte inferiore della costruzione è elaborata su superfici interamente lisce, quasi a fare da basamento alla parte superiore dell’alzato, completato dalla forma degli archi, sotto ciascuno dei quali si ripete lo sguancio di un arco minore. È facile concludere che abbiamo qui la concezione dell’edificio ecclesiastico pensato come rappresentazione del cosmo inteso in senso ideale. La chiesa mausoleo del re Milutin, Banjska, è uno degli esempi dell’architettura serba monumentale, sorta come sintesi particolare che dipende sia dagli elementi occidentali che dall’architettura bizantina. Costruita tra il 1312 e il 1316, nel desiderio del suo donatore, doveva riproporre il programma di Studenica come chiesa sepolcrale del fondatore della dinastia, Stefano Nemanja. La pianta di Studenica, modello tipico della Scuola della Rascia del XIII secolo, a Banjska è adeguata in modo che tutto il complesso esprima accentuatamente la forma della basilica a tre navate con l’alto transetto sotto la cupola. La novità, rispetto al modello, è data dalle due alte torri campanarie sul lato occidentale. Le superfici lisce delle facciate sono state ottenute mediante la magnificente costruzione con pietre squadrate, in tre colori diversi, distribuite in un ritmo regolare. Costruita nell’insieme per ottenere un effetto sfarzoso, Banjska si rifà ai motivi ispiratori espressi in una serie di dettagli di Studenica: il portale principale, l’abside dell’altare e altri. Nell’architettura serba del XIV secolo troviamo altre tre chiese sepolcrali dei seguenti sovrani: il re Stefano Dečanski, e gli imperatori Dušan e Uroš. Questi templi presentano concezioni specifiche dello spazio e dello stile. Come forte motivo di influenza sulla concezione di questi templi, si ripropone l’intento dei committenti di prendere a modello la chiesa mausoleo del fondatore della dinastia, Studenica. La chiesa del monastero di Dečani (1327-35), nel suo aspetto esterno, ricorda molto le chiese rappresentative romanico-gotiche a tre navate, costruite a quell’epoca in Italia e sulla sponda orientale dell’Adriatico. Questo

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edificio complesso si lascia interpretare come insieme di tre basiliche a tre navate, ciascuna delle quali è continuazione della precedente, in modo tale che la chiesa di mezzo appare più larga e più alta di quelle orientale e occidentale. Nella visione d’assieme si distinguono le facciate costruite con pietre decorative in due colori, alternate in strati orizzontali. Valore rappresentativo hanno i portali e le finestre concepiti sull’esempio di Studenica, nell’architettura come per la tematica. La struttura interna di questo grande edificio, che si potrebbe commisurare con le grandi cattedrali del tempo, sorte nelle città dell’Adriatico e dell’Italia meridionale, presenta la soluzione a tre navate nella parte orientale e occidentale, e a cinque navate in quella centrale, nel naos. Tuttavia, a prescindere dall’aspetto esterno del romanico-gotico e dalla struttura interna a più navate, la chiesa di Dečani sorge su una vera e propria pianta della Rascia, basata sulla concezione bizantina, come testimonia direttamente anche la cupola collocata al centro del naos. Una connessione eccezionale tra la caratteristica concezione bizantina dello spazio e la lavorazione stilistica nella tradizione dello stile della Rascia e di quello romanico-gotico esalta la fondazione sepolcrale dell’imperatore Dušan, la chiesa dei Santi Arcangeli presso Prizren (metà del XIV secolo). Gravemente danneggiata sotto la dominazione turca, può essere ricostruita idealmente, come chiesa dalla croce iscritta con cinque cupole e il portico aperto sul lato occidentale, ispirata al modello della chiesa meridionale del monastero costantinopolitano del Pantocratore. I portali e le finestre, fra cui trovava posto anche una rosetta, erano scolpiti nella pietra decorativa, nella tradizione ricordata. Il potente donatore voleva evidentemente comporre, in quel momento e in terra serba, il programma generalmente accettato della chiesa iscritta con la cupola, con l’elaborazione stilistica che si esprimeva come omaggio dovuto a Studenica. La chiesa mausoleo dell’imperatrice Jelena e dell’imperatore Uroš (conclusa dopo il 1355) per la concezione dello spazio e della parte superiore dell’alzato, ripeteva l’idea dei Santi Arcangeli dell’imperatore Dušan. Un piccolo cambiamento venne compiuto includendo nell’edificio il portico della chiesa dei Santi Arcangeli a Mateič, in modo che questo, nello schema della pianta, assunse la funzione del nartece. Questa chiesa a cinque cupole è essenzialmente diversa dai mausolei dei sovrani, precedentemente ricordati, per essere stata costruita alla maniera bizantina, come le altre costruzioni della Scuola serbo-bizantina del XIV secolo. Ritornando all’architettura del re Milutin, dobbiamo menzionare le sue donazioni fuori della Serbia, di cui si è conservata soltanto la piccola chiesa di San Nicola Orfano di Tessalonica, mentre delle altre abbiamo notizie dalle fonti scritte. Fra le opere di cui oggi non esiste alcun dato vanno ricordate le sue residenze a Nerodimlje, nel sud del Cossovo e a Skopje. Della sontuosità che li caratterizzava testimoniano le descrizioni di Teodoro Metochite. La concezione dello spazio e della struttura interna, come le forme fondamentali accettate nell’architettura serba all’epoca del re Milutin, divengono la base su cui viene continuata l’edilizia nella Serbia medievale. Un esempio di grande complesso che ha conseguito un valore armonico, sebbene composto da più edifici

sorti in epoche diverse, è il Patriarcato di Peć. Si tratta di un particolare panorama di volumi e forme in cui emergono le cupole di tre chiese e l’esonartece nella forma del portico dall’apertura monumentale. Possiamo considerare quest’opera come espressione di quel movimento edilizio e artistico dell’arte tardo-bizantina in cui era componente importante il programma accresciuto dello spazio. Negli anni venti del XIV secolo, l’arcivescovo Nikodim fece erigere, a ridosso del lato settentrionale della chiesa dei Santi Apostoli, una costruzione a una navata con la cupola nel mezzo, dedicata a san Demetrio. Il complesso del katholikon del monastero di Pec´ fu completato sul finire del terzo decennio del XIV secolo. Grazie all’impegno dell’emerito arcivescovo Danilo II, lungo il lato meridionale della chiesa episcopale esistente dei Santi Apostoli, costruita nel quarto decennio del XIII secolo, secondo l’idea caratteristica dell’architettura della Rascia, viene elevato il tempio dedicato alla Madre di Dio, in uno schema perfettamente simmetrico dello spazio della croce iscritta con la cupola nel mezzo. Inoltre, grazie a un abile progetto architettonico, il nuovo complesso delle tre chiese viene collegato da un grande porticato sul lato occidentale. Per le proporzioni e la lavorazione architettonica, questa costruzione è una delle opere più valide, nel suo genere, nell’ambito dell’architettura tardo-bizantina. Ha l’aspetto del portico doppio aperto. Sull’asse della chiesa mediana e principale, sopra il nartece, fu elevato il campanile. I duplici archi monumentali, in ritmo regolare, caratterizzano il lato occidentale come quelli laterali del nartece, mentre la

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211. Monastero di Marko (presso Skopje, Macedonia), San Demetrio, assonometria.

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212. Monastero di Lesnovo (Macedonia), San Michele Arcangelo, assonometria.

A fronte: 210. Prizren, Monastero dei Santi Arcangeli, ricostruzioni dai frammenti del fregio dell’archivolto del portale e della cornice (secondo S. NenadovicĚ ).

213-214. Patriarcato di PecĚ (Serbia), pianta delle chiese; veduta dell’insieme da sud-est.

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copertura è data dalle volte a croce poggianti su pilastri e colonne. Al lato meridionale del nartece fu aggiunta anche la loggia aperta, per motivi pratici: essa collega il nartece con la cappella di San Nicola. Della coesistenza articolata di forme messe in mostra da questo complesso architettonico non si trova un termine di confronto adeguato, ma questa manifestazione edilizia costituisce uno dei fenomeni precipui dell’architettura tardo-bizantina, specie nelle strutture dei grandi monasteri o dei principali katholikon dell’Athos. In senso spaziale porta la nota caratteristica dell’architettura sacrale bizantina dell’epoca tarda, indicata anche dalle singole unità cupolate più volte ripetute. Ciascuna delle tre chiese innalza la cupola sopra la propria parte mediana. La concezione tradizionale e particolare bizantina dello spazio come immagine ideale del cosmo è rimasta in questa successione di forme una componente imprescindibile dell’insieme destinato a necessità di culto, divenute molteplici. L’architettura, come gli affreschi, ci dicono che al mondo bizantino di quell’epoca la componente escatologica del mondo spirituale non stabiliva confini rigorosi dello spazio. Per quanto siamo ormai lontani dai grandi monumenti paleobizantini, le cupole che coronano l’invaso concentrato in volume rettangolare scoprono la concezione unitaria dello spazio, tipicamente bizantina, con una simbologia, insieme semplice e complessa, in forza della quale l’architettura non organizza lo spazio esclusivamente per il suo impiego prammatico, come avveniva nel mondo islamico e in quello dell’Europa occidentale. Sull’esempio del katholikon del Patriarcato si può parlare della concezione del bello e dell’armonioso in architettura. Allo scopo di realizzare un complesso di più edifici di epoche diverse, come fu fatto in questa sede, era necessario possedere cognizioni assai solide sui valori architettonici, che però non ci è dato di dedurre dalle rare e scarne descrizioni conservatesi nei testi medievali. La connessione di più edifici in un unico insieme costituiva un’impresa analoga alla composizione dei grandi affreschi. ll complesso del Patriarcato ne è una delle rare testimonianze conservate. Nuove esigenze avevano provocato la costruzione di questo nuovo complesso. Una determinata concezione di armonia presiede alla concertazione dei volumi compresi nell’insieme. Le forme caratteristiche si alternano ritmicamente e le misure dei rapporti di spazio non consentivano accentuazioni esagerate che alterassero l’equilibrio dell’insieme. L’asse della composizione simmetrica del katholikon è orientato nella direzione dell’accesso principale, ma i ritmi dei volumi sono concepiti in modo che l’insieme conservi la sua armonicità, da qualsiasi punto di vista esso si osservi. Nello spazio si susseguono le forme della cupola, delle logge, le cornici delle facciate, i dettagli. All’entrata principale accoglie il visitatore il solenne portico del nartece con l’elegante campanile aperto sull’asse della composizione. Un movimento laterale scopre le cupole nello spazio. Il motivo seguente è nuovamente in orizzontale, dietro di esso una cupola, poi un volume. I panorami delle chiese di Peć ricordano l’architettura dipinta degli affreschi del tempo. Analoga è la successione di alternanza delle forme. Interpretando il programma, il pittore ha cercato di conservare ogni dettaglio importante per l’osservatore. In modo analogo risulta costituito il rapporto architettonico fra lo schema della funzione

e quello della composizione delle forme. L’armonia presente sugli affreschi e quella che pervade la composizione edilizia hanno i medesimi valori. Anche questa è una delle proprietà intrinseche dell’architettura bizantina, che si riconferma nel katholikon del Patriarcato. Le opere rappresentative dell’architettura monumentale del XIII secolo sorsero soltanto per volontà e come donazione dei membri delle dinastie regnanti. L’espansione dell’attività edilizia che si manifesta all’epoca del re Milutin, nei primi decenni del XIV secolo, era evidentemente consentita dalla crescente prosperità materiale di quella società. A partire dal terzo decennio del XIV secolo anche le famiglie feudali compaiono come committenti di opere rappresentative. Le dimensioni degli edifici riflettono la condizione del donatore. Per la feudataria Danica e i suoi figli fu costruita, nell’anno 1336-37, la chiesa di San Nicola, nel villaggio di Ljuboten. Nella pianta riconosciamo il tipo della croce iscritta con la cupola al centro, mentre l’alzato rivela una disposizione asimmetrica. La cupola, completata dai pennacchi, poggia su quattro pilastri, che sostengono volte incrociate a semibotte. L’idea dell’invaso e della struttura si discosta dalla tradizionale disposizione simmetrica in quanto la campata occidentale è più lunga di quella orientale. Questo è quanto ci rivelano gli archi decorativi delle facciate laterali. Si ha l’impressione che il costruttore avesse preso a modello un grande tempio, la cui soluzione ci riporterebbe alle fonti costantinopolitane o tessalonicesi. La chiesa di San Michele Arcangelo a Štip (Istip – prima del 1334), con la nota pianta della croce iscritta, cupolata al centro e poggiante su quattro pilastri come nell’alzato coronato dalle volte a semibotte, e per l’architettura delle facciate, cioè per la tecnica muraria, a strati di pietre e laterizi, e le sue arcate cieche raddoppiate, sembra indicare l’origine tessalonicese dei costruttori. L’ordine inferiore delle arcate rappresenta probabilmente un riflesso della soluzione architettonica che prevede lo sviluppo di portici aperti su tre lati della costruzione. Un particolare intrecciarsi dei corsi basilari dell’architettura della prima metà del XIV secolo e la costruzione di soluzioni nuove e particolari si può rilevare nella chiesa del Salvatore (o della Madre di Dio), nel villaggio di Kučevište, nella Skopska Crna Gora. Donazione di feudatari locali, costruita attorno al 1330, presenta la soluzione della croce iscritta con la cupola in mezzo. La parte superiore dell’alzato è sostenuta da quattro pilastri in muratura. L’abside, che all’interno è semicircolare, all’esterno presenta, su ogni lato, profonde nicchie semicircolari. Costruita in pietra e laterizio, in un sistema che ricorda il classico cloisonné, sopra le nicchie sull’abside ha superfici elaborate con ceramoplastica che ricordano i tessuti ornati. Nella pianta e nella struttura è caratteristica dell’architettura serba dell’epoca. A giudicare dall’abside, nella chiesa della Madre di Dio di Kučevište sono presenti le forme che derivano da due grandi centri. Mentre le nicchie a base semicircolare hanno origine costantinopolitana, la tecnica muraria delle superfici delle facciate ha origine epirota. La chiesa del San Michele Arcangelo di Lesnovo, del 1341, ma con un nartece aggiunto nel 1349, è uno dei monumenti dell’architettura serba del XIV secolo i cui committenti, che provengono dalle alte file della nobil206

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215. Štip (Istip), San Michele Arcangelo, veduta da occidente. 216. Monastero di Lesnovo, San Michele Arcangelo, abside. 217. Andreaš (Serbia), Sant’Andrea, veduta da sud. 218. Monastero di Marko (presso Skopje, Macedonia), San Demetrio, veduta da sud-ovest. 219

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219. Ljuboten (Serbia), San Nicola, pianta.

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tà feudale, con le loro fondazioni, riflettono la potente ascesa dello Stato serbo sotto Dušan. Il despota Jovan Oliver è uno dei feudatari più potenti. Pertanto anche la sua donazione rientra fra le opere più rappresentative dell’architettura del tempo e, considerati i particolari caratteristici della lavorazione delle facciate, si può concludere che il suo architetto sia uno dei migliori a cui si potesse arrivare. Le sue fonti di informazioni, con tutta probabilità, erano a Costantinopoli e a Tessalonica. Nell’idea centrale dello spazio e della struttura – la croce iscritta con la cupola sui pilastri – viene continuata la soluzione che è ormai tradizionale nell’architettura serba del XIV secolo. Tuttavia, l’architettura delle facciate e del nartece aggiunto successivamente e sovrastato dalla cupola al centro, riporta alle fonti tessalonicesi e costantinopolitane. Con le sue doppie aperture, il nartece sembrerebbe piuttosto corrispondere con le soluzioni costantinopolitane, mentre chiaramente tessalonicese appare l’origine dell’abside, ottogonale all’esterno. Anche le colonnette addossate alle facciate riconducono a modelli della capitale bizantina. Gli archi decorativi dell’ordine inferiore, a Lesnovo, sono stati collocati sul lato orientale come su quelli laterali, fino alla medesima altezza. A buon ragione, si può dunque presupporre si trattasse di una soluzione architettonica il cui modello andrebbe cercato fra le costruzioni in cui la chiesa si presenta circondata sui tre lati da portici. L’altezza dell’ordine inferiore delle arcate corrisponderebbe approssimatamente all’altezza dei portici. Continuando, nelle proporzioni e nella struttura complessiva, le soluzioni delle opere precedenti del XIV secolo, la chiesa di Lesnovo si propone come opera che si distingue per una lavorazione architettonica consumata e raffinata delle superfici esterne e dalle nobili proporzioni, proprie di tutta l’architettura serba del periodo classico.

atteggiamento non può che confermare la continuità nell’impiego degli elementi architettonici fondamentali. Ad esempio, la chiesa di San Nicola a Psača, del knez (principe) Paskač, concessa a Chilandari nel 1355, per la concezione dello spazio, chiaramente visibile nella pianta, ripete la chiesa del San Michele Arcangelo di Lesnovo, sebbene in proporzioni di poco minori. Su una concezione dello spazio analoga a quella di Psača venne costruita la chiesa di San Demetrio del Monastero di Marko (Markov manastir). La sua edificazione fu iniziata dal re Vukašin e completata dal figlio Marco, dopo il 1371. Nella concezione ricordata il rapporto spaziale tra il naos e il nartece si avvicina al rapporto corrispondente realizzato a Lesnovo. L’architettura delle facciate è stata eseguita nella migliore tradizione delle soluzioni prodotte dall’epoca mediobizantina, a tal punto che esse potrebbero essere definite esempio di soluzione accademica. Le lesene corrispondono esattamente alla struttura interna dell’edificio, sia per il naos, che per il nartece; gli archi che li ricongiungono sono simmetrici e corrispondono alla struttura interna e, per l’esecuzione, sono geometricamente irreprensibili . Nella tradizione dell’architettura epirota, che a Ocrida aveva già dato i suoi frutti in San Giovanni Caneo e nella Madre di Dio Periblepta, per il cesare (kesar) Grgur, fratello di Vuk Branković, fu costruita nel 1361, a Zaum, sulla riva del lago di Ocrida, una chiesa dedicata alla Madre di Dio. Come edifici a una cupola e a pianta concisa furono erette sulle rive del fiume Treska, come donazioni di signori feudali, la chiesa del monastero Matka, attorno al 1371, la chiesa di Sant’Andrea per Andreaš, figlio del re Vukašin, nel 1389, e la chiesa di San Nicola a Nira. Caratteristico, in tutte e tre le costruzioni è il naos a una nave, la cui campata mediana è più grande di quelle orientale e occidentale. Sopra di essa si erge la cupola. La chiesa di Sant’Andrea si distingue dalle altre costruzioni per le conche laterali e le facciate. Nella lavorazione dell’esterno si distinguono le due fasce di nicchie cieche, disposte ritmicamente. Caratteristica specifica delle sue facciate è anche la stretta fascia mediana, intonacata, su cui è iscritto il diploma di donazione. La pianta triconca e la presenza di due zone di lavorazione della facciata ci indicano che la donazione di Andrea fu costruita nell’ambito di quelle concezioni architettoniche su cui si fonda lo stile della Morava.

Al gruppo delle fondazioni dovute a nobili feudatari appartiene la chiesa di San Giorgio a Pološko, presso Kavadar in Macedonia. Costruita come mausoleo del despota Jovan Dragušin, fratellastro del re Dušan, fu eretta attorno alla metà del XIV secolo. L’insieme è specifico. Questa costruzione a una navata e con una cupola, e a pianta allungata, presenta un’adeguata struttura articolata nella parte centrale, sopra la quale si erge la cupola. L’insieme architettonico trova qui una particolare accentuazione, nella parte le cui forme forniscono le strutture d’appoggio della cupola. La facciata mostra le caratteristiche dell’architettura tardobizantina della capitale. La tecnica muraria, a strati di pietre e cotti, non rispetta un ritmo rigoroso, tuttavia gli archi decorativi sono eseguiti accuratamente. La parte centrale delle facciate laterali è determinata dallo spazio sottostante la cupola, mentre le parti orientale e occidentale delle medesime portano ciascuna due diverse fasce di archi decorativi. Adeguata è la lavorazione delle superfici dei muri esterni dell’abside trilatere e del tamburo ottagonale della cupola. Quanto allo stile, ricorderemo le originali colonnette di sezione circolare appoggiate alle facciate, le cornici a dente di sega, come il motivo dell’oculo, incorniciato da raggi di cotto, o della rosetta, di analoga fattura. Nelle opere donate dai feudatari più prestigiosi continuano a essere impiegate, nelle loro concezioni fondamentali, le soluzioni dei loro predecessori. Già questo

L’ultima stagione: Mistrà e la Scuola morava Con la caduta sotto il dominio turco di Bisanzio e dei due Stati slavi confinanti, la Bulgaria e la Serbia, viene troncata l’attività architettonica caratteristica del mondo bizantino nel senso più stretto del termine. L’ultimo capitolo di questa lunga tradizione edilizia e artistica, fino all’epoca dell’invasione turca, conferma la forza del vecchio organismo creativo. Lo caratterizza uno specifico rinnovamento, o rinascimento nel pieno senso della parola, da cui emergono stimoli che si concretizzano in nuove soluzioni artistiche. Due sono le regioni portatrici che esprimono la pienezza creativa del periodo tardo: Mistrà e la Serbia della Morava. Questi due ambienti sono simili nello slancio creativo che contiene 208

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MistrĂ (Peloponnesio, Grecia): 220. Madre di Dio Peribleptos; 221. Santi Teodori; 222. Madre di Dio Evanghelistria; 223. Madre di Dio Pantanassa; 224. Santa Sofia; 225. Metropoli di San Demetrio.

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MistrĂ : 226-227. Santa Sofia, pianta e sezione (secondo G. Millet); 228. Metropoli di San Demetrio, pianta (secondo G. Millet); 229. Madre di Dio Pantanassa, pianta del piano superiore; 230. Madre di Dio Periblepta, pianta (secondo G. Millet); 231. palazzo dei Despoti, pianta (secondo Orlandos).

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se poi un complesso edilizio composto da un atrio e da un edificio di uso pratico. Grazie allo zelo profuso da un monaco venerabile e influente, di nome Pacomio, furono costruite le chiese del monastero di Brontochion, che sono, per concezione e attuazione, opere del massimo valore: la chiesa dei Santi Teodori, eretta tra il 1290 e il 1295 e la chiesa della Madre di Dio Odighitria, conosciuta con la denominazione di Afendiko, attorno al 1310. Sono diverse per concezione. I Santi Teodori si ispirano alle chiese con le trombe angolari, mentre l’Odighitria presenta la sua particolare combinazione della soluzione a tre navate, nella zona inferiore, e della chiesa a croce iscritta con cinque cupole, nella zona superiore. Minore, nelle dimensioni, rispetto ai suoi modelli, la chiesa dei Santi Teodori ripete la nota struttura, in una variante sincretica. Considerata nel suo insieme, la facciata orientale dei Santi Teodori merita una particolare attenzione come una delle espressioni caratteristiche della concezione tardobizantina dell’architettura. Tralasciando le finestre come parti funzionali e accanto a esse anche due nicchie sull’abside principale come elementi aggiunti nella consueta lavorazione delle superfici delle absidi, l’insieme della facciata sembra intesa come un grande disegno. Le cornici di cotto, dentate, sono l’elemento base del disegno, mentre le finestre e le nicchie e due diversi modi di disporre gli strati nella costruzione delle facciate sembrano produrre soltanto superfici a due dimensioni nell’insieme inteso pittoricamente. Risulta, pertanto, evidente che la tecnica strutturale di costruzione delle facciate è stata dimenticata. Nei dettagli e nelle forme, come per la concezione dello spazio, Afendiko è vicina all’architettura della capitale bizantina. L’abside principale della chiesa si fa notare per il suo aspetto esterno. Il suo perimetro di sette lati, che al centro si apre con una trifora e sui lati presenta nicchie decorative all’altezza della finestra, cui si aggiungono una seconda fila di finestre e un fregio di nicchie decorative di piccole proporzioni a rifinire la facciata, l’insieme di tutti questi elementi mostra come l’origine della sua concezione vada cercata a Costantinopoli. I muri esterni non furono oggetto di una particolare cura, ma si può notare che esistono strati orizzontali di due o più file di laterizi, fra le quali le superfici maggiori sono di pietra rozzamente lavorata. Il tamburo della cupola principale ha una forma analoga a quella del tamburo dei Santi Teodori, soltanto che le nicchie tra le finestre sono più basse delle aperture per le finestre e presentano una lavorazione più modesta. Anche la concezione spaziale dell’Odighitria trae ispirazione nell’architettura della capitale. Ricorda l’architettura costantinopolitana per gli strati di cotto nella massa del muro di pietra rozzamente lavorata sulle facciate laterali e con le lesene che indicano la struttura interna dell’edificio. Conviene qui ricordare che su analoghi riferimenti desunti dall’architettura di Costantinopoli sorse il noto tipo di chiesa monumentale a cinque cupole, con le gallerie ai piani, della Rus’ di Kiev. Sull’esempio dell’Afendiko fu costruita anche la chiesa della Madre di Dio Pantanassa, prima del 1428. Nell’insieme viene ripetuta la concezione dell’Afendiko: al piano terra è una basilica a tre navate, nella sua forma evoluta, al primo piano, la croce iscritta con cinque cu-

novità, mentre le differenze concernono la natura delle soluzioni definitive, determinate dalla tradizione di corsi artistici diversi. Il rinnovo nella prima regione rimase concentrato nella città di Mistrà, che assume i caratteri propri della capitale bizantina. Il rinnovo “moravo”, cui si riferisce il termine scientifico di Scuola della Morava dell’architettura e dell’arte comprende numerosi centri cittadini, vecchi e nuovi e nuovi monasteri. Entrambi i movimenti, in modo analogo, chiudono la missione creativa dell’Impero romano d’Oriente, durata un migliaio di anni. In tale contesto bisogna, però, rilevare che la Scuola della Morava inserisce nell’arte bizantina la sua esperienza particolare della cultura slava. Mistrà è uno dei centri bizantini in cui, nell’ultimo periodo dell’indipendenza, anche dopo la caduta di Costantinopoli sotto i turchi, continuò a svilupparsi l’attività edilizia e artistica. Anzi, qui, in questo periodo, vennero costruite più opere edilizie che in un qualsiasi altro centro. È questa l’unica città bizantina che, nella prima metà del XV secolo, riesce a costruire una chiesa rappresentativa. Come abitato cittadino Mistrà si forma attorno alla fortezza eretta da Villehardouin nel 1262, e come tale si sviluppa dopo che i franchi ne erano stati cacciati, fino a divenire il centro bizantino più importante del Peloponneso. La costruzione e l’abbellimento di quanto non poteva non costituire parte della capitale politica e statale si protrasse in quell’epoca a Mistrà come espressione delle ambizioni volte a dare alla città, in un lasso di tempo adeguato, quanto le competeva. Considerato che negli ultimi decenni del XIV secolo e nella prima metà del XV secolo a Bisanzio esistono possibilità del tutto limitate di realizzare nuove imprese costruttive, grazie agli edifici allora realizzati, Mistrà ha acquisito un posto particolare nella storia dell’architettura bizantina. È certamente fondato parlare – come spesso accade – del rinnovo di Mistrà o del rinascimento di Mistrà, considerato che in un periodo di ristrettezze del mondo bizantino, questo centro viene rifornito di tutte le componenti che, secondo la lunga tradizione dell’Impero d’Oriente, caratterizzano un centro cittadino. In pratica assistiamo alla costituzione delle forme della vita urbana, in cui, oltre alle istituzioni comunali necessarie, alle fortificazioni, alle strade, all’acquedotto e alle fognature, insieme con gli edifici abitativi, vengono costruiti monasteri e chiese, per le esigenze della vita spirituale e, quindi, anche della creazione culturale. A Mistrà questo conferisce davvero un posto particolare nel mondo bizantino del suo tempo e le opere architettoniche portano caratteri risultanti dall’appartenenza del centro a un determinato crocevia storico, mostrando che il lungo durare dell’edilizia bizantina conservava forze sufficienti per indicare, sulle basi delle tradizioni, un indirizzo che non comportava la semplice ripetizione di quanto era già stato realizzato. La Metropoli è la prima chiesa importante costruita a Mistrà (1291-92). Fu edificata come basilica a tre navate, con un nartece e tre absidi sul lato orientale. Nel XV secolo la chiesa fu ricostruita in maniera da ricevere la pianta che avevano la Madre di Dio Odighitria (Afendiko) e la Pantanassa. Nell’alzato furono inserite le gallerie, sopra il nartece e le navate laterali, e la copertura venne realizzata con strutture murarie nella concezione della chiesa a cinque cupole. Attorno alla Metropoli sor-

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pole che sovrastano il naos e la cupola collocata al centro della galleria occidentale, al di sopra del nartece. Nella forma della croce iscritta con la cupola al centro, imposta su due colonne, sul lato occidentale e due pilastri, a oriente, col nartece e il santuario tripartito, furono costruite Santa Sofia, la Periblepta e l’Evanghelistria. Più modesta nella costruzione e nelle dimensioni è l’Evanghelistria, che, a quanto sembra, era una chiesa cimiteriale. Nel caso della Periblepta, come in Santa Sofia, si distinguono le facciate, costruite col sistema tramezzato. L’alzato e la sua copertura sono tradizionali: la cupola con i pennacchi, le volte a semibotte. La chiesa di Santa Sofia fu, inoltre, costruita come chiesa palatina del palazzo di Mistrà. Così si spiega la scelta del patrono, fatta in modo che la parte amministrativa della città ricordasse, nell’insieme, la stessa Costantinopoli. Oltre alle chiese più grandi e più importanti, sopra ricordate, a Mistrà furono costruite anche alcune cappelle autonome. Nel panorama di Mistrà si possono individuare i campanili eretti accanto a tutte le grandi chiese. Per le loro forme, sono bizantini nel vero senso della parola: li alleggeriscono eleganti trifore terminate a semicerchio, e soltanto il campanile della Pantanassa ha terminali gotici. Dalla tecnica muraria ai particolari, quali sono i pilastri o le colonne, oppure le cornici, si può trovare tutto nell’architettura delle chiese bizantine o dei palazzi del tempo. La presenza a Mistrà di numerosi campanili ci dice che questo tipo architettonico era generalmene accettato nell’architettura tardobizantina. Considerata la ripidezza del terreno sotto il castro e lo sviluppo spontaneo dell’abitato, si può comprendere come Mistrà non fosse stata costruita secondo una concezione urbanistica predeterminata. Esiste una strada principale che conduce dalla porta principale verso l’a-

rea su cui sorge il palazzo e verso la fortezza, in sostanza verso l’acropoli. Nell’abitato cittadino la superficie maggiore è occupata dal palazzo, che inoltre si distingue per l’importanza della posizione su cui sorge. L’insieme è composto da un palazzo costruito nel XIII secolo, nella parte nordoccidentale. I vani aggiunti sono quelli della cucina e della cisterna. L’ala nordoccidentale venne costruita all’epoca dei Paleologi. Nelle forme si riconoscono, accentuati, gli elementi del tardo gotico. Caratteristiche sono le concezioni e la struttura del palazzo. Sulla lunga pianta rettangolare, delimitata da grossi muri, fu costruito un palazzo di rappresentanza a tre piani. La struttura interna era data da pilastri in muratura, su cui poggiavano archi a sesto pieno. Sul lato nordoccidentale, verso lo spazio libero, da interpretare come una piazza, si ergeva un loggiato aperto, su due piani. Il palazzo comprendeva anche vani d’abitazione e il piano più alto accoglieva la sala di rappresentanza col trono. L’una e l’altra ala del palazzo di Mistrà meritano di essere esaminate con attenzione perché è assai limitato, nel mondo bizantino, il numero di edifici analoghi, conservati a tal punto da poterne fare la ricostruzione ideale. Le dimensioni dell’edificio testimoniano le grandi possibilità finanziarie dei personaggi detentori del potere a Mistrà. In base alla concezione complessiva e alle forme tardogotiche, il palazzo di Mistrà presenta affinità con il palazzo parzialmente conservato della città fortificata di Smederevo sul Danubio. Oltre che del Tekfur Saray, le riflessioni sui palazzi tardobizantini devono tener conto anche del palazzo degli imperatori di Tribisonda. Nelle vicinanze del palazzo furono costruiti gli edifici per abitazione, i più solidi e eleganti della città. Vi risiedeva l’aristocrazia cittadina. I loro resti si sono così ben conservati che è stato possibile elaborare la ricostruzione ideale dei complessi originari.

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232. Mistrà, veduta d’insieme della città con il palazzo dei Despoti. A fronte: 233. Ricostruzione ideale del monastero di Ravanica (Serbia) con le mura difensive.

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Nel caso di palazzi spaziosi e di maggiori dimensioni come per gli edifici modesti e semplici nella concezione dello spazio, queste costruzioni rispettano il principio della simmetria, applicando la regolarità ritmica delle aperture e la composizione armoniosa dell’insieme. Se tanto ci consentono di affermare le ricostruzioni ideali, a ragione potremmo concludere che in questo campo dell’architettura si conservasse una mentalità tradizionale, in qualche modo classica. Ecco perché è stato anche osservato che i palazzi di Mistrà assomigliano agli edifici del primo Rinascimento italiano. Un particolare valore che si lega ai resti del palazzo dei despoti di Mistrà e degli altri edifici residenziali risiede nella constatazione che sulla pur vasta area bizantina, solo raramente si sono conservate testimonianze di questi tipi edilizi.

Serbia, l’architettura “morava” ne prolunga le soluzioni spaziali nelle varianti della croce sviluppata e concisa con la cupola. A questa concezione, sotto l’influsso dell’architettura atonita, si aggiungono solo le conche laterali che, quanto alla funzione e alle forme, accolgono la prassi atonita generale di costruzione del triconco. Nella parte alta dell’alzato e nella sua struttura portante l’architettura “morava” continua anche il sistema che era stato consueto nell’architettura della Serbia del XIV secolo. Le forme esterne, al modo noto, seguono la struttura interna dell’edificio; anche le cupole con il basamento cubico rientrano nella tradizione architettonica serba. Prodotta sull’esperienza costruttiva, artigianale e artistica del mondo bizantino, la Scuola della Morava ha realizzato nuovi complessi con nuove forme; e queste costruzioni si distinguono per l’originalità che le caratteristiche precipue hanno nell’indicare al vecchio organismo artistico la via verso l’ulteriore durata creativa. Ne sono tratti distintivi: il ritmo regolare della disposizione spaziale fondamentale, una sicura struttura costruttiva, l’armonia cercata nelle forme e nelle concezioni dei volumi e nell’architettura delle superfici e delle aperture, nel rispetto delle concezioni originarie dell’architettura mediobizantina. Il rilievo e il colore sulle superfici delle faccaite sono valori nuovi. La composizione dei volumi e le architetture delle facciate meritano la massima attenzione. La copertura dell’edificio – la sua «quinta facciata» – scopre in modo diretto la struttura spaziale e costruttiva, proprio secondo i princìpi dell’architettura mediobizantina, e le fronti delle volte e degli archi come le superfici loro sottostanti vengono elaborate quali parti rappresentative dell’architettura. Le facciate, che seguono il ritmo delle superfici interne, secondo la verticale, sono pensate in tre zone. Le due delimitazioni mediane delle zone sono segnate

L’ultimo gruppo stilistico, che nell’architettura della Serbia medievale è noto come Scuola della Morava, si sviluppa negli ultimi tre decenni del XIV secolo e nella prima metà del XV. Pertanto questa Scuola si sviluppa nel periodo terminale di quell’arte plurisecolare che, nel senso più ampio del termine, definiamo bizantina. Come movimento artistico, la produzione legata a questo nuovo modo di costruire viene interrotta con la caduta di Smederevo (1459), una delle ultime città libere della civiltà bizantina. I caratteri essenziali che la caratterizzano rispetto alle esperienze precedenti dell’architettura serba, come di quella bizantina, sono la visione d’assieme degli edifici, la loro armonia interna, l’architettura delle facciate e la lavorazione delle loro superfici. Quanto detto ci permette già di affermare che l’architettura della Scuola della Morava rappresenta un vero proprio rinnovamento – anche se l’ultimo – nel mondo artistico bizantino. Ereditando le precedenti esperienze edilizie della

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234-235. Monastero di Ravanica, chiesa dell’Ascensione, trifora della parete occidentale; rosetta della facciata occidentale. 236. Naupara, (Serbia), Natività della Vergine, rosetta minore della facciata occidentale (secondo V. Ristić). 237. Monastero di Ravanica, chiesa dell’Ascensione, medaglione della parete occidentale del nartece. 238. Ibidem, modello del monastero nelle mani del fondatore.

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239-242. Kruševac (Serbia), Santo Stefano detto “Lazarica”, dettaglio della facciata meridionale del nartece; assonometria; ricostruzione dello stato originario della finestra della facciata meridionale (secondo V. Ristić); veduta da sud-ovest.

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da cornici in rilievo. Le colonnette, che intersecano i tre strati orizzontali sulle facciate del naos, o appaiono ininterrotte nella lunghezza sulle absidi, portano archi decorativi. Le facciate sono elaborate come insiemi ben concepiti, simmetricamente e nel ritmo regolare delle parti. La tecnica muraria, specie nelle due zone inferiori, esprime rigorosamente il ritmo composto da una fila di pietre sullo strato di tre file di laterizi. Sui muri del naos gli archi decorativi seguono gli archi interni, mentre quelli disposti sulle conche hanno esclusivamente funzione decorativa: fra di loro uguali, essi coprono lati identici. Questi campi, così concepiti, passano attraverso tutte, e tre le zone orizzontali, che hanno una posizione precisamente determinata nella composizione dell’insieme. La cornice alla base della zona mediana porta il primo ordine delle finestre e quella collocata lungo il profilo superiore di questa zona forma la base della terza fascia o zona, le cui superfici sono coperte dal medesimo ornamento che s’ispira al motivo della scacchiera. Vi trovano posto rosette in funzione di finestre, negli assi dei campi, nei punti dettati dalla logica della struttura dello spazio; una per ciascuna campata e una nel campo mediano di ciascuna conca. Il rilievo in pietra copre tutte le cornici delle finestre e i portali, le rosette, le fronti degli archi, i capitelli e le colonnette. I motivi ornamentali dei rilievi sono prevalentemente geometrici. Forse una simbologia particolare va ricercata nelle serie di gigli e palmette stilizzati. La decorazione in rilievo è importante non soltanto per la sua ricchezza, ma anche per l’influenza esercitata sulla forma degli elementi architettonici classici. Essa copre le fronti degli archi e nelle incorniciature delle finestre arriva a trasformarne gli stipiti in serie di bifore decorative, o in qualche altra forma, mentre ai capitelli sostituisce un fiore stilizzato, oppure un intreccio geometrico. Nel gruppo dei monumenti dello stile maturo – Lju-

bostinja, Veluc´e, Rudenica, Kalenic´ – si sono sviluppate molte varianti delle forme sostituite dalla decorazione in rilievo. Le finestre, monofore e bifore, hanno conservato la forma tradizionale, accanto a qualche arco di origine tardogotica. I portali sono un connubio particolare di bizantino e romanico, più precisamente si ispirano alle forme comparse per la prima volta a Studenica. Sopra l’apertura architravata è collocata una lunetta avvolta in un ampio arco e su tutte queste superfici s’inserisce il rilievo. Tuttavia, è essenziale il fatto che la decorazione sia dovunque subordinata alla cornice architettonica, anche quando il rilievo stesso muta la forma del dettaglio. Fino a che punto il rilievo sia considerato elemento dell’architettura lo dimostra il fatto che non esiste una sola parte dell’edificio che ne sia priva, sempre che la concezione d’insieme ne preveda la presenza. Considerando uno qualsiasi di questi complessi architettonici, appare evidente che l’enorme quantità di lavoro profusa in queste opere ne escluda la riduzione al livello di aggiunta secondaria all’architettura essenziale. Le due caratteristiche fondamentali dell’architettura morava, la sua decorazione architettonica e la simmetria rigorosa nella concezione dell’insieme, dovrebbero contrapporsi l’una all’altra. La crescente partecipazione del colore e della decorazione all’architettura, a cominciare dal Rinascimento dei Paleologi, si muove in parallelo con un’altra e nuova architettura delle superfici delle facciate, in cui il dettaglio non riceve rigorosamente un posto definito secondo il principio dell’armonia classica. In tale contesto le zone orizzontali delimitate vengono lavorate a parte; non esiste corrispondenza sia nelle parti che nei ritmi delle parti. Nell’architettura della Scuola della Morava, invece, accanto alla nuova decorazione, costituiscono una novità essenziale le forme immerse nel ritmo classico e regolate dal principio di simmetria. Nel rinnovamento, che andrebbe inteso come un

243-244. Monastero di Ljubostinja (Serbia), Dormizione della Madre di Dio, facciata meridionale; assonometria.

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Monastero di KalenicĚ , Presentazione di Maria al Tempio: 245. rosetta della parete meridionale; 246. rosetta della parete meridionale del nartece; 247. bifora della parete meridionale del nartece; 248. decorazione architettonica del coro sud-orientale; 249. pianta.

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precipuo classicismo bizantino, il ruolo accentuato riservato alla decorazione, colorata e in rilievo, ha un effetto determinato, e si potrebbe dire che l’architettura andrebbe intesa integralmente, nell’aspirazione del costruttore, a creare valori uguali nello spazio interno come in quello esterno. Le nuove concezioni artistiche sono presenti già nei più antichi monumenti “moravi”. Innanzitutto vanno qui ricordate due importanti donazioni del principe (knez) Lazzaro, Ravanica (1377-81) costruita come chiesa sepolcrale del donatore e Lazarica come chiesa palatina del principe a Kruševac (1377-1380). Ravanica, le cui dimensioni già la presentano come donazione del sovrano, ha la forma della croce iscritta sviluppata con cinque cupole e un nartece distinto, costruito anch’esso secondo lo schema della croce iscritta con la cupola al centro. L’architettura delle sue facciate mostra tutti i caratteri specifici: le lesene collegate dagli archi, la struttura architettonica evidenziata, la tecnica muraria a strati di laterizi e di pietre, le tre zone sulle facciate e il rilievo decorativo in pietra sulle cornici delle aperture, come sulle superfici degli archi decorativi e nelle rosette. Anche la chiesa palatina di Kruševac, nel suo aspetto complessivo, evidenzia gli elementi del nuovo stile, essendo costruita nella variante concisa della chiesa con una cupola. Il disegno architettonico delle facciate e la decorazione in rilievo, e il colorismo dell’insieme, realizzato con i colori dei materiali usati e col colore del rilievo, insieme con le forme esterne dell’alzato, contraddistinguono in modo convincente un’architettura in cui si è realizzata una nuova interpretazione delle concezioni artistiche bizantine. Alla Scuola della Morava appartengono ancora due donazioni di sovrani e alcune di signori feudatari nella variante sviluppata come in quella concisa. Per le dimensioni maggiori si distinguono Ljubostinja, opera della principessa Milica e Resava (Manasija), donazione del despota Stefan Lazarevic´. Di norma le caratterizza la specifica concezione architettonica delle facciate e la

decorazione in rilievo, che soltanto in taluni punti è sostituita dalla decorazione pittorica dei medesimi motivi. Nella serie dei monumenti “moravi” un rilievo particolare va dato agli edifici di valore rappresentativo e ben conservati di Naupara, Veluće, Rudenica e Kalenic´, che, come complessi eseguiti coerentemente e irreprensibilmente, esemplificano nel modo migliore la fase matura dello stile “moravo”. Nella variante concisa hanno un ruolo dominante le forme dell’insieme. Sulle facciate di Kalenic´ si leggono facilmente la forma dello spazio interno, la struttura dell’edificio, insieme con la sua costruzione superiore, la concezione della Scuola della Morava delle superfici e il ricco rilievo decorativo in pietra. Un posto particolare, nell’ambito di questa scuola architettonica, è occupato dalla chiesa del monastero di Resava (1407-18). Di grandi dimensioni, questa chiesa a cinque cupole, nella soluzione dello spazio è simile a Ravanica. Con le sue facciate in pietra, il fregio delle arcatelle sotto il tetto e la forma delle bifore ricorda le soluzioni delle chiese della Rascia. È possibile che il donatore avesse presente la tradizione accettata dai sovrani della dinastia dei Nemanjidi nei confronti di Studenica, chiesa mausoleo del capostipite della dinastia. L’architettura di Resava ebbe un determinato riflesso nella Vrac´evšnica del donatore Radič Postupovic´, grande dignitario del despota. Di quest’epoca ancora fiorente dell’architettura serba si sono conservate anche alcune fortezze. Due furono costruite a difesa dei monasteri di Ravanica e di Manasija, e la terza è la grande fortezza di Smederevo, in cui sono visibili i resti del palazzo del despota, Giorgio Brankovic´. Questi resti derivano da un complesso architettonico che si rivela analogo, nella concezione fondamentale, alla parte più recente del palazzo dei despoti di Mistrà. Lo sviluppo trascinante dell’architettura della Scuola della Morava, che in sé portava la forza artistica sorta sulla lunga tradizione bizantina, non poteva rimanere senza riflessi. Se ne farà depositario un ambiente limitrofo del mondo cristiano orientale, che allora non era ancora caduto sotto il potere turco. È la Valacchia.

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250. Monastero di Manasija (o Resava, Serbia), Santa Trinità, cupole.

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BIBLIOGRAFIA

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Indice dei Luoghi e dei monumenti

Adriatico, 23, 100, 103, 144, 203-204 Aghtamar, Chiesa della Croce di (Armenia), 135 Albania, 91 Alkianos (Creta): Hagios Kyr-Iannis, 79, 93-94 Almissa (Omiš, Croazia): San Pietro, 138 Andreaš (S. Andrea) sulla Treska v. Treska Andros (Grecia), isola di, 91 Ankara: S. Clemente, 55, 35, 87, 147 Antivari (Bar, Montenegro), 138, 144 Apochoron (Creta), 94 Apollonia (Marsa Susa, Cirenaica, Libia), chiesa della Madre di Dio, 74 Arilje (Serbia), 144: S. Achilleo, 117 Arkaži (Mjačino, Russia) v. Novgorod Arta (Epiro, Grecia): Kato Panagia, 158, 179, 185 Monastero delle Blacherne, 158, 181, 186-187 Panagia Brioni, 159 Panagia Parigoritissa, 155, 178, 184, 159, 161, 193-194 S. Nicola Rodias, 159, tav. 56 S. Teodora, 158, 180 Asenovgrad (Bulgaria): S. Giovanni (la chiesa di Asen), 102, 99 Asia, 50 Asia Minore, 31-32, 55-57, 91 Atene (Grecia), 63, 85, 88, 90, 161: Chiesa della Madre di Dio Gorgoëpikoos (Piccola Metropoli), 8788, 72, 75, 97 Chiesa della Madre di Dio Lykodimou, 61, 64 Eretteo, 88 Kaphikarea, 73, 91 Museo Bizantino, 94, 191-192 Odeon, 88 Partenone, 88 Petraki, monastero di, chiesa, 91 SS. Apostoli, 87, 71, 91 SS. Apostoli nell’Agorà, 91 SS. Teodori, 91 Teseion, 88 Athos v. Monte Athos Attica, 90-91, 161 Bačkovo, monastero di (Bulgaria), 102: Chiesa-ossario, 68, 102 Balcani, 32, 97, 107 Banjska (Serbia): S. Stefano (mausoleo del re Milutin), 203, 205 Bar v. Antivari Bari (Italia), 55 Benevento: S. Sofia, 28 Beozia (Grecia), 91, 94 Berestovo v. Kiev Bisanzio, 17, 27-28, 32, 61, 64, 83, 92, 101, 152, 167, 211 Bitinia, 57 Boboševo (Bulgaria): S. Teodoro Tirone, 151 Bodrum Cami (Myrelaion) v. Costantinopoli Bogoljubovo (Russia), 118 Bojana (Bulgaria): SS. Nicola e Panteleimone, 100 Brontochion, monastero di (Mistrà), 211: Chiesa della Madre di Dio Odighitria «Afendiko», tav. 70, 211 Brvenik (Serbia) v. Gradac Bulgaria, 27, 83, 97-103, 152, 158-166, 208 Byzántion v. Costantinopoli Canosa (Puglia), 23 Caričin Grad (Iustiniana Prima, Serbia), 32, 49, 33 Castoria (Kostur, Attica): Omorfi ekklesia, 91, 162 Cattaro (Kotor, Montenegro), 138, 144 Černigov (Russia): Cattedrale della Trasfigurazione (Spasopreobraženski Sabor), 112, 133

San Salvatore, 107, 102-104 SS. Boris e Gleb, 124 S. Parasceve (Pjatnica), 133 Chalki (Heybeli), isola di v. Costantinopoli Cherson, 136: basilica Uvarovski, 137 Chilandari, monastero v. Monte Athos Chio (Grecia): Nea Moni, 53-55, 64 Cipro, 93: monastero di S. Giovanni Crisostomo, 92-93 S. Ilarione, 92 Vedi anche Kiti, Lythrankomi Colonne di san Giorgio (Serbia) v. Djurdjevi Stupovi Conavle, 138 Corno d’Oro v. Costantinopoli Cossovo (Serbia), 204 Costantinopoli (Byzántion), 17, 23, 23, 29, 31, tav. 5, tavv. 10-11, 49-53, 57-59, 83, 85, 87-88, 91, 97, 101, 103, 109, 133, 135, 138-139, 144, 147, 152, 158, 162, 211-212 Chalki, isola di (Heybeli): Panagia Kamariotissa 64 Chiesa della Madre di Dio delle Blacherne, 32 Chiesa della Madre di Dio Kyriotissa, 32 Chiesa della Madre di Dio (Theotokos) Pammakaristos (Fetiyeh Cami), 32, 64, 147-148, 152-154, 162-163, 165, tav. 49 Chiesa della Madre di Dio Periblepta, 32, 64 Chiesa di Cristo Pantepopte (Eski Imaret Cami), 32, 64, 55-57, 85 “Cisterna Basilica” (Yerebatan), 25 Cisterna Bin bir direk, 32 Cisterna di Aspar, 32 Cisterna di Ezio, 32 Cisterna di Karagürmük, 32 Cisterna di S. Moccio, 32 Colonna di Marciano, 32 Corno d’oro, quartiere, 51 Crisotriclino, 25 Foro di Arcadio, 32 Foro di Costantino, 32, 50 Forum Bovis, 32 Forum Tauri, 32 Grande Palazzo (imperiale), 32 Ippodromo, 32 Milion, 32 Monastero del Cristo Pantocratore (Zeyrek Cami), 32, tav. 25, 81, 5860, 83, 97, 204; Chiesa del Cristo Pantocratore, 81, 85; Chiesa della Madre di Dio di Eleusi, 81; S. Michele, 81 Monastero di Costantino Lips (Fenari Cami), 32, 45, 85; chiesa meridionale, 147, 150-151, 158, 162; chiesa settentrionale, 46, 59-61, 85, 95-96, 81-82 Monastero di Cristo in Chora, «San Salvatore» (Kariye Cami), 32, 59, 61-62, 82, 85, tavv. 47-48; cappella del Metochita, 148, 150, 162 Monastero: S. Giovanni di Studio, 32 Myrelaion, 32, 59-61, 85, 47-49 Nea Ekklesia, 32 Palazzo delle Blacherne, 50, 32 Palazzo di Costantino Porfirogenito (Tekfur Saray), 32, 150, 156-159, 212 Palazzo di Kathisma, 50 Palazzo Hormisdas, 25 Palazzo Lecapeno, 60 Philadelphion, 32 Pianta della città, 32 Porta Carisia, 32 Porta di San Romano, 32 Porta d’Oro, 50, 32, 52 S. Andrea in Crisi, 32 S. Eufemia, 32 S. Giorgio delle Mangane, convento, 32 S. Irene, 23, 16-18, tavv. 10-11, 80, 32, 55 S. Polieucto, 29, 32, 95 S. Sofia (Grande chiesa), 17, 1-11,

20, 22-23, 25, 27-28, 24, 31-32, tavv. 1-4, 50-51, 55, 58, 64, 32, 130 S. Teodoro (Kilise Cami), 32, 155, 150, 155 S. Teodosia (Gül Cami), tav. 46 SS. Apostoli (chiese costantiniana e quella giustinianea), 23, 13, tav. 9, 32, 56, 87, 92 SS. Carpos e Papylos, 32 SS. Cosma e Damiano in Cosmidion, 64 SS. Pietro e Paolo, 25 SS. Sergio e Bacco, 25, 19-22, tav. 5, 32 Senato, 32 Terme di Zeuxippo, 32, 50 Tetrapylon (basilica di Tetrastoon), 50, 32 Creta, 93 Crimea, 136 Cüstendil (Turchia): Spasovica (presso C.), 151 Dafni (presso Atene, Gracia), 61: Chiesa della Dormizione della Madre di Dio, 64, tav. 22 Danubio, 212 Dar Pazari, 169 Dečani, monastero di (Serbia), 203-204: Cristo Pantocratore, tav. 63, 206 Demre (Turchia) v. Myra Dere Aǧzi (Turchia), 55-56, 38 Djurdjevi Stupovi (Colonne di san Giorgio, Serbia), 139, 137 Doclea (Duklja), 138 Drama: S. Sofia, 155 Drenovo (presso Kavadarci, Macedonia): Chiesa della Madre di Dio, 155, 168 Dubrovnik v. Ragusa Dulcigno (Ulcinj, Montenegro), 138 Durazzo v. Dyrrachium Dyrrachium (Durazzo), 138 Efeso (Turchia), 32: S. Giovanni, 23, 12, 14, 25 Egina (Grecia), 91 Egitto, 29 Elasson: Chiesa della Madre di Dio Olimpiotissa, 155 Epiro, 91 Epiro, 155, 158, 161, 165 Eski Imaret Cami (Cristo Pantepopte) v. Costantinopoli Europa, 50, 135, 139, 144 Fatah, moschea, 57 Fenari Isa Cami (Monastero di Costantino Lips) v. Costantinopoli Ferai (Vira, Grecia): Chiesa della Madre di Dio Cosmosoteira, 82, 64, 85 Fetiyeh Cami (Theotokos Pammakaristos) v. Costantinopoli Filippi (Grecia), 32: Basilica “B”, 26-27, tav. 12 Madre di Dio Pantanassa, 159 Focide v. Hosios Lukas (S. Luca) Frisia, 29 Galazia (Asia Minore), 56 Galič (Russia): S. Panteleimon 122-123 Galizia (Russia), 135, 138 Gerosa (Giordania), tav. 13: SS. Teodori, 32 Tempio di Artemide, 32 Gortina isola di (Creta): S. Tito, 55, tav. 29 Gračanica, monastero di (Serbia), 167168, 203 Chiesa dell’Annunciazione, tavv. 61-62, 200-201, 208 Gradac (presso Brvenik), monastero di (Serbia), 144: Chiesa della Madre di Dio, tav. 45, 145 Gradina, 138 Grecia, 31, 56, 61, 64, 87, 90-91, 93, 97, 101, 152, 161 Grodno (Russia): SS. Boris e Gleb, 133

Gül Cami v. Costantinopoli: S. Teodosia Hagios Ahilios (Grecia) v. Prespa: S. Achilleo Hania (Grecia), Episkopi Kisamu, la rotonda, 93 Vedi anche Kirakoselia Heybeli (Chalki), isola di v. Costantinopoli Hosios Lukas (S. Luca, Focide, Grecia), 61, 51-52, 63-64, tav. 26, 85, 88, 83, 130: Chiesa della Madre di Dio, 96 il katholikon, 96, 84-85 Hosios Meletios, monastero (Imetto, Grecia), 88-91, 97, 93 Hvosno, Studenica di (Serbia): chiesa della Madre di Dio 144, 144, 119 Imitos (Grecia), chiese di, 91 Istip (Štip): S. Michele Arcangelo, 206, 215 Italia, 23, 93, 204 Iustiniana Prima v. Caričin Grad Iviron v. Monte Athos Jurjev-Pol’skoj (Russia): San Giorgio, 133, 135, 129-130 Kaisariani (Imetto, Grecia), monastero di, chiesa, 90 Kakopetria (Cipro): S. Nicola del tetto, 93 Kalambara (Grecia), basilica 66 Kalenderhane Cami v. Costantinopoli: Chiesa della Madre di Dio Kyriotissa Kalenić, monastero di (Serbia), 216, 218 Chiesa della Presentazione di Maria al Tempio, tav. 76, 245-249 Kalogrea (Cirpo): Cristo Antifonitis, 76-78 Kariye Cami v. Costantinopoli Karpassa (Cipro): S. Filone, 93 Karyes v. Monte Athos Katapoliani v. Paro Kerč: S. Giovanni Precursore, 137 Kiev, 52, 83, 109, 130, 121: Chiesa della Madre di Dio (della Decima), 107, 109, 133 Monastero delle Grotte (Pečerski), 112 Monastero di S. Michele, 112 Monastero Klovski, 130 Monastero Vidubickij, 112 Porta d’oro, 112 S. Demetrio, 130 S. Giorgio, 112 S. Irene, 112 S. Salvatore a Berestovo, 113, 130 S. Sofia, 52, 107, 105-107, 109, 112, 130, 133 Kilise Cami (S. Teodoro) v. Costantinopoli Kirakoselia (Hania, Creta), S. Nicola, 94 Kiti (Cipro), tav. 29 Chiesa della Madre di Dio Angeloktistos, tav. 28 Kokina ekklesia v. Vulzarelli Koluša (Bulgaria): S. Giorgio, 151 Kostur v. Castoria Kotor v. Cattaro Kruševac (Serbia): S. Stefano (“Lazarica”) tav. 74, 239242, 248 Kučevište (nella Skopska Crna Gora): Chiesa del Salvatore (o della Madre di Dio), 206 Kumanovo (Macedonia): Mateič: chiesa della Madre di Dio, 209 SS. Arcangeli, 204 Kunturiotissa, chiesa di, 155 Kuršumlija (Serbia): S. Nicola, 83, 139, 136 Kurşunlu, chiesa (Bitinia, Turchia), 57 Labovo: Chiesa della Dormizione della Madre di Dio, 155, 70 «Lazarica» v. Kruševac

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Lesnovo (Macedonia): S. Michele Arcangelo, 212, 206, 216 Leucasia (Cipro): S. Demetrio (presso L.), 93 Ljeviša (Serbia) v. Prizren Ljubostinja, monastero di (Serbia): Chiesa della Dormizione della Madre di Dio, 243-244, 216, 218 Ljuboten (Serbia): S. Nicola, 206, 219 Lontodokla (Martinic´i?), 138 Macedonia: 91, 100, 102, 155, 161, 165 Manasija, monastero di v. Resava Mar di Marmara, 29, 50-51 Mar Egeo, 91, 93 Mar Nero, 136, 152 Marica, fiume, 82 Martinići (Lontodokla?), 138 Mateič v. Kumanovo Mediterraneo, 91 Mesembria (Nessebar, Bulgaria), 137, 152-153, 162-163, 165: Chiesa metropolitana (resti) tav. 32 Cristo Pantocratore, 160, 153, 164, tav. 51 Nuova Metropoli, 101 S. Giovanni Aliturgitos, 57, tav. 20, 137, 161, 153, 165, tav. 50 S. Parasceve, 152-153; tav. 53 S. Teodoro, 153 SS. Michele e Gabriele, 162, 153, 166, 163, tav. 52 Mesopotam (Albania): S. Nicola, 160 Mileševa, monastero di (Serbia), tav. 44, 144 Chiesa dell’Ascensione, 143 «Mille e una colonna», cisterna v. Costantinopoli: Bin bir direk Miroža, fiume v. Pskov Mistrà, 85, 91, 151, 208-213, 232: Castro, il 212 Chiesa della Madre di Dio Evanghelistria, tav. 68, 222, 212 Chiesa della Madre di Dio Odighitria «Afendiko» v. Brontochion Chiesa della Madre di Dio Pantanassa, tav. 69, 223, 229, 211-212 Chiesa della Madre di Dio Periblepta, 220, 230, 212 Metropoli di S. Demetrio, 225, 228, 211 Palazzo dei Despoti tav. 66, tav. 71, 231-232, 212, 218 S. Nicola tav. 67 S. Sofia, tav. 66, 224, 226-227, 212 SS. Teodori, 63, 221, 211 Mjačino (Russia) v. Novgorod Monastero del Salvatore sulla Miroža v. Pskov Monastero delle Grotte (Pečerski) v. Kiev Monastero di Marko (Markov Monastir, presso Skopje, Macedonia): S. Demetrio, 211, 218, 208 Monemvasia (Grecia): S. Sofia, 63 Monte Athos, 158, 199, 206: Chilandari, 167; chiesa del re Milutin, 198; chiesa della Madre di Dio, 158, 162-163, 196-197, tav. 72; Torre di San Sava, 167 Vatopedi, tav. 73 Morača, monastero (Montenegro), 144: Morava: Scuola (e stile) della M. 208, 507, 213, 216, 218 Mosca (Russia), 136: Cremlino: Cattedrale dell’Annunciazione, 138 Chiesa dell’Arcangelo, 136, 131132 Chiesa della Dormizione della Madre di Dio tav. 36, 135 Palazzo a faccette, 136, 133 Monastero Andronikov: S. Salvatore, 135 Principato di M., 135 S. Michele, 135

Myra (oggi Demre, Turchia) S. Nicola, 55, 39, tavv. 16-17 Myriokefalia (Creta), chiesa di, 93 Naupara (Serbia), 218: Chiesa della Natività della Madre di Dio, 206 Nerezi: S. Panteleimone, 83, 63, 97 Ner’l, fiume (Russia) v. Vladimir Nerodimlje (Serbia): residenza del re Milutin, 204 Nessebar (Bulgaria) v. Mesembria Nicea: Chiesa della Dormizione della Madre di Dio, 55, 36-37, 87, 147 Nicopoli, 91 Nira (Macedonia): S. Nicola, 208 Nova Pavlica (Serbia), 301, 307 Novgorod, 133, 135: Monastero di S. Antonio: S. Sofia (cattedrale), 108-110, 112, tav. 33, 112 Novi Pazar (Serbia): S. Pietro 139, 135 Ocrida (Macedonia), 100: Chiesa della Madre di Dio Periblepta (oggi S. Clemente), 162, 188-189 S. Giovanni Caneo, 162, tavv. 57-58 S. Sofia, 67, 162, tav. 59 Omiš v. Almissa Orchomenos v. Skripou Ovruč (Russia), 133 Palestina, 92 Paphos (Cipro): Ieros Kipos (presso P.), 92 Paro (Grecia): Katapoliani (Nostra Signora delle Cento Porte), 29 Patalenica (Bulgaria): S. Demetrio, 152, 159, 163 Pec´ (Serbia), 204, 213-214, 206: Chiesa della Madre di Dio Odighitria, 204, 206; cappella di S. Nicola, 206 S. Demetrio, 204 SS. Apostoli, 144, tavv. 64-65, 204 Pelekete (Bitinia), 57 Peloponneso, 90, 161: Chiesa di Christianou, 63 Perachorio (Cipro): SS. Apostoli, 93 Perejaslavl’ (Russia), 130: S. Michele, 130 San Salvatore, 14 Perge (Turchia), 32 Peristerai, (presso Tessalonica, Grecia): S. Andrea 23, 15, 56, tav. 18, 91 Peristerai di Morfou (Cipro): SS. Barnaba e Ilarione, 92 Pernik (Bulgaria), basilica n. 2, 101 Petrička, chiesa della Madre di Dio (Bulgaria), 97 Pidna, 155 Pliska, basilica (Bulgaria), 97, 101, 95 Pokrov, Chiesa di v. Vladimir (Russia) Polock (Russia), S. Sofia 111-112, 112, 133 Prčanj (Montenegro): S. Tomaso, 42 Preslav (Bulgaria), 97, 100-103, 96, 101: Chiesa Rotonda (resti), 103, tav. 31 Prespa, città e lago di (Macedonia), 100: S. Achilleo, 68, 101 Prilep (Macedonia), 162: Prizren (Serbia), 168: Chiesa del re Milutin, 168 Chiesa della Madre di Dio Ljeviška (di Ljeviša), 162, 167-168, 202-203 Monastero dei SS. Arcangeli, 207, 204, 210 Proconneso, isola di 29, 137 Pskov (Russia), 135: Puglia, 23, 141 Ragusa (Croazia), 138, 144

Ras (Rascia), 139 Vedi anche Djurdjevi Stupovi Rascia v. Raška Raška (Serbia), 83, 139, 144, 203-204, 218 Scuola architettonica della R., 139, 143, 203-204 Ravanica (Serbia), 233, 218 Chiesa dell’Ascensione, tav. 75, 234235, 237-238 Fortezza, 218 Ravenna, 31 S. Apollinare in C., tav. 6 S. Vitale, tavv. 7-8, 30 Resava (o Manasija, Serbia), 218: Fortezza 218 Rjazan (Russia), 127 Roma, 139: S. Maria Maggiore, 141 Rudenica (Serbia), 216, 218 Rus’ di Kiev v. Russia Rusafa v. Sergiopoli Russia, 27, 53, 83, 103, 107, 112, 130, 135, 138, 211 Salamina, 91: Grande basilica, 92 Salonicco v. Tessalonica Santa Montagna v. Monte Athos Sapareva banja (Bulgaria): S. Nicola, 151 Serbia, 27, 33, 138-139, 143-144, 152, 165, 167, 204, 208, 213: Vedi anche Raška (Rascia) Serdica v. Sofia Serenissima v. Venezia Sergiopoli (Rusafa), 32: Basilica “A”, tav. 14 Serres (Grecia), 85 Sicilia, 93 Side (Turchia), 32: Chiesa AA, 44 Chiesa EE, 43 Siponto: S. Leonardo (presso S.), 141 Skopje (Macedonia), 204 Skopska Crna Gora (Macedonia), 206 S. Niceta, 167 Vedi anche Kučevište Skripou (presso Orchomenos, Beozia), 94: Chiesa della Dormizione della Madre di Dio, 94, 50 Chiesa della Madre di Dio di Orchomenos, 23, 40-41, 56-56, tav. 19, 87 Smederevo (Serbia), 212, 218 Fortezza: palazzo del despota, 218 Smol’ensk (Russia), 133 Sofia (Serdica): La chiesa Jana (presso S.), 152 Sopoćani, monastero di, 144: Chiesa della S. Trinità, tav. 43, 148 Stagno (Ston), 138: S. Michele, 138, 134 Stara Pavlica (presso Raška, Serbia): Chiesa della Presentazione della Vergine al Tempio, 167, 155 Staro Nagoričino: S. Giorgio, 167-168, tav. 60 Stilos (Apochoron, Creta), Madre di Dio Zerviotissa presso, 94 Štip v. Istip Stobi, 32 Ston v. Stagno Storoži (Russia) v. Zvenigorod Studenica, monastero (Serbia) tav. 39, 139-143, 203-204, 216, 218: Chiesa dell madre di Dio, 83, tavv. 40-42, 139, 138, 143, 139-142, 203 SS. Gioacchino e Anna o «Chiesa del Re», 151, 204 Studenica di Hvosno v. Hvosno Tebe (Tessaglia), 32: San Gregorio, 94-95 Tekfur Saray v. Costantinopoli: Palazzo di Costantino Porfirogenito Tessaglia, 29, 32, 161

Tessalonica (Salonicco), 32, 49, 53, 55-56, 61, 85, 101, 138, 155, 158, 162, 165: Chiesa della Madre di Dio Acheiropoietos, 29 Chiesa della Madre di Dio dei Calderai (Panagia ton Chalkeon), 50, 61, tav. 21 Hosios David, monastero: Chiesa del Salvatore delle Grotte, 158 S. Caterina, 153, 156, 173, 177, 158, 165, tav. 54 S. Demetrio, 29 S. Elia, 174, 158 S. Giorgio (Rotonda), 87 S. Nicola Orfano, 204 S. Panteleimone, 153, 155-156, 171172 S. Sofia, 29, 53-54, 34, tav. 15, 87-88, 155 SS. Apostoli, 153, 156, 170, 175-176, 158, 162-163, 165 Tirnovo (Bulgaria): Chiesa dei Quaranta Martiri, 101 Travunia, 138 Trebisonda, 212: S. Sofia, 133 Treska, fiume (Macedonia), 208: monastero Matka, 208 S. Andrea sulla T. (detta Andreaš), 217, 208 S. Nicola a Nira, 208 Trikkala (Grecia): Porta Panagia, 182-183, 159, 195 Chiesa della Madre di Dio (Panagia Theotokos), 92 Turkika Lutra, 92 Ulcini v. Dulcigno Van, lago di (Armenia), 135 Vatopedi v. Monte Athos Veljusa (Macedonia), chiesa della Madre di Dio Eleusa, 87, 69 Velucé (Serbia), 216, 218 Venezia: S. Marco, 23, tav. 30, 83 Verria (Grecia), 65 Vicino Oriente, 32 Vidubickij, monastero (Russia) v. Kiev Vize (Tracia): S. Sofia, 55 Vladimir (Russia), 130: Chiesa del Manto della Madre di Dio (Pokrov) sulla Nerl’ (presso V.), 115, 130, 126, 128, 133 Chiesa della Dormizione della Madre di Dio (cattedrale) tav. 34, 117, 119, 130, 125, 135 S. Demetrio, 116, 133, 135 Vladimir – Suzdal’ (Russia), 130, 133, 135-136 Vrac´evšnica (Serbia), 218 Vulzarelli, villaggio (Grecia): Panagia Vellas detta Kokkina ekklesia, 162 Vyšgorod (Russia): Chiesa di Boris e Gleb, 130 Zacumia (Zahumlje), 138 Zaum, monastero (lago di Ocrida, Macedonia), 162 Zemen (Bulgaria), monastero di: S. Giovanni Teologo, 151, 158 Zenobia (Siria), 32 Zeta, regione, 102 Zeyrek Cami (Monastero del Cristo Pantocratore) v. Costantinopoli Žiča monastero di (Serbia), 144: Chiesa del Salvatore (dell’Ascensione), 146 Zvenigorod (Russia): Cattedrale della Dormizione (detta di Gorodok, 135 Monastero di S. Sava a Storoži: chiesa della Natività della Madre di Dio, tav. 35

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