MICHELANGELO IL MARMO E LA MENTE La tomba di Giulio ii e le sue statue
Christoph Luitpold Frommel con la collaborazione di Maria Forcellino
MICHELANGELO IL MARMO E LA MENTE La tomba di Giulio ii e le sue statue
contributi di Maria Forcellino Claudia Echinger-Maurach Antonio Forcellino revisione e redazione dell’edizione italiana di Roberto Cassanelli campagna fotografica di Andrea Jemolo
International copyright © 2014 by Editoriale Jaca Book SpA, Milano Verlag Schnell & Steiner GmbH, Regensburg All rights reserved © 2014 Editoriale Jaca Book SpA, Milano per l’edizione italiana Il volume è stato realizzato grazie al contributo del Gioco del Lotto – Lottomatica
Indice
6 Introduzione Ch.L. Frommel 9 La fortuna critica della tomba di Giulio ii dal Cinquecento a oggi M. Forcellino 19 La tomba di papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi Ch.L. Frommel 71 Disegni e Tavole
Prima edizione italiana ottobre 2014 La traduzione dal tedesco del testo di Ch.L. Frommel è di H.G. Frommel La traduzione dal tedesco del testo di C. Echinger-Maurach è di B. Argenton Revisione e redazione dell’edizione italiana di R. Cassanelli
279 Il monumento di Michelangelo per papa Giulio ii: arte e storia C. Echinger-Maurach 289 Le statue di Michelangelo per la tomba di Giulio ii in S. Pietro in Vincoli A. Forcellino
La campagna fotografica alla tomba dopo il restauro è di Andrea Jemolo con la collaborazione di Eliana Pallisco
296 Catalogo dei disegni di Michelangelo per il monumento sepolcrale di Giulio ii, con un’appendice di disegni e stampe tratti dalla tomba C. Echinger-Maurach
In copertina: Michelangelo, tomba di Giulio ii, particolare del Mosé. Chiesa di S. Pietro in Vincoli, Roma
301 Appendice al catalogo dei disegni M. Forcellino, Ch.L. Frommel
Sul retro: Particolare della testa di papa Giulio ii Copertina, grafica e impaginazione Break Point/Jaca Book Selezione delle immagini Pixel Studio, Milano Stampa e legatura Grafiche D’Auria, Ascoli Piceno settembre 2014 ISBN 978-88-16-60503-0 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book – Servizio Lettori, via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48.56.15.20; fax 02 48.19.33.61 e-mail: libreria@jacabook.it; internet: www.jacabook.it
302 Catalogo delle sculture M. Forcellino 305 Documenti C. Echinger-Maurach 353 Note 357 Bibliografia a cura di M. Forcellino 364 Indice dei nomi e dei luoghi a cura di R. Cassanelli
Introduzione Christoph Luitpold Frommel
Il progetto di questo libro risale al restauro della tomba di Giulio ii voluto dalla Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici di Roma nel 1998 nell’ambito delle iniziative per l’Anno Santo 2000. L’intervento venne realizzato sotto la direzione di Francesco Zurli, Andreina Draghi e Raffaele Maria Viola, in qualità di rappresentanti della Soprintendenza, e del compianto Michele Cordaro, allora direttore dell’Istituto Centrale del Restauro. Ne fu incaricato Antonio Forcellino, che ho avuto il privilegio di accompagnare come consulente sin dall’inizio del suo lavoro. È stato il restauro di gran lunga più importante di un’opera michelangiolesca dopo quello della Cappella Sistina, e non sarebbe stato possibile attuarlo senza il generoso finanziamento dell’European Relations and Public Affairs di Lottomatica e il sostegno della dirigente responsabile Enrica Ronchini. Sino a quel momento la tomba era stata pulita solo in modo sommario, e le statue erano ricoperte di polvere. La pulitura ha permesso di individuare, in modo ben più evidente di prima, la mano del maestro nelle tre statue dell’ordine inferiore, nel Mosè e nelle due allegorie della Vita attiva e di quella contemplativa, e il calo del livello avvertibile nella Madonna, nella Sibilla e nel Profeta, opere compiute dai collaboratori, benché anche in alcune zone di essi si avverta la presenza del maestro. Si è potuto comprendere quanto complesso sia stato il rapporto di collaborazione con gli aiuti in bottega, e quanto difficile possa alle volte essere la distinzione delle mani. Alla prima sbozzatura dei Prigioni dell’Accademia di Firenze nelle cave di Carrara deve esserne seguita una seconda, che il maestro affidò a scultori di talento che sorvegliava da vicino per alleggerire il proprio lavoro. L’occhio acuto di Antonio Forcellino ha individuato la mano di Michelangelo anche nella figura di Giulio ii, sinora negletta dalla critica, benché l’intervento del maestro nel volto sia testimoniato dalle fonti. I ponteggi hanno permesso di osservare anche i retri delle statue, e di constatare come il maestro avesse cominciato a scolpire non solo il Mosè, ma anche la Sibilla già prima del 1516, quando vennero destinati a una collocazione in nicchie, e non vi era dunque più ragione di elaborarne la parte posteriore, che ancora non è sviluppata nelle due Allegorie e nel Profeta. Vi sono indizi che per il Papa giacente, per le due Allegorie e per il Profeta Michelangelo si sia servito di blocchi originariamente destinati a figure di progetti precedenti della tomba. Le molte incongruenze tra il prospetto anteriore e quello posteriore del Mosè, tra la parte sinistra e quella destra, hanno consentito di capire come dal 1532 in poi Michelangelo lo abbia profondamente trasformato, non solo rendendolo protagonista della tomba con l’inserimento nella nicchia centrale del piano inferiore, ma anche interpretandolo in modo essenzialmente diverso. Ho tentato ad esempio di comprendere perché mai il suo sguardo sia indirizzato verso la buia navata laterale, e ho creduto inizialmente che ciò costituisse un esplicito atto di distacco rispetto all’altare maggiore (tav. 64). In una sua poesia Vittoria Colonna aveva evocato Cristo, facendo dire alla Samaritana che Dio abita nel cuore dei fedeli e non sui monti sacri e sugli altari, e verso il 1541-42 Michelangelo aveva illustrato per Vittoria la scena. Solo molto più tardi ho capito che egli deve aver ruotato la testa del Mosè nel 1532, quando la tomba era destinata al transetto sinistro, per farlo guardare direttamente verso l’altare maggiore che conteneva la reliquia delle catene. L’interpretazione è confermata dalla testimonianza di Tommaso Cavalieri, uno degli amici più fedeli e integri di Michelangelo, che fece la sua conoscenza proprio nel 1532. Tommaso racconta di essere stato proprio lui a raccomandare di girare la testa al Mosè. Con la consuete ironia, il maestro commentò poi a modo suo la posizione definitiva della testa. Non meno straordinari sono i risultati delle analisi del rapporto della tomba con la struttura architettonica del transetto, per i quali sono stati di grande aiuto i precisi rilievi realizzati da Giuseppe Papillo per incarico della Soprintenden-
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za. Evidentemente la decisione di Michelangelo, nel maggio 1533, di spostare la tomba nel transetto destro si spiega con l’intenzione di trasformarla in un organismo vivo, che risplende di una luce quasi magicamente riflessa e risuona con i canti e le preghiere di canonici invisibili, al cui effetto contribuisce in modo decisivo la grande lunetta. Nonostante la polemica di alcuni storici dell’arte, si è concordato con l’architetto Viola sull’opportunità di riaprirla. Viola ha scoperto sotto l’intonaco della parete posteriore del coro dei canonici disegni in sanguigna e matita nera risalenti probabilmente all’estate del 1533, quando si stava predisponendo per la tomba il transetto destro (tavv. 221-223). In questi Michelangelo cercava una soluzione per il grande arco di scarico del piano superiore della tomba e per la sua conclusione, pensando forse persino a un frontone spezzato. Un saggio nella finta finestra della parete occidentale del transetto destro ha messo in luce una finestra simile a quella della parete di fronte, chiusa solo alla fine del Cinquecento. Originariamente il volto di Mosè era quindi direttamente illuminato dal sole pomeridiano. Non vi è modo per ristabilire la sua posizione originaria. Al tempo di Canova fu avanzato di circa 50 cm rispetto alla nicchia e rialzato di 30 cm ca. su uno zoccolo più alto per trarne un calco in gesso. Era così meglio visibile, e poiché all’epoca l’interesse del pubblico era quasi esclusivamente concentrato su questa statua, non venne ricollocata nella posizione originaria, benché lo spostamento avesse distrutto il rapporto stretto e minutamente calcolato con il telaio architettonico. Già all’inizio del 1999, dopo i primi saggi di pulitura, ci rendemmo conto degli straordinari risultati raggiunti, e il 12 febbraio 1999 organizzai una giornata di studio alla Biblioteca Hertziana per presentarli ai maggiori esperti del campo e per discutere con loro i problemi e le possibili scelte. A Michele Cordaro, scomparso prematuramente nel marzo 2000, seguì a capo dell’Istituto Centrale del Restauro Almamaria Tantillo Mignosi, che rappresentò un aiuto indispensabile nei lavori, mentre a Francesco Zurli successe a capo della Soprintendenza Ruggero Martinez. Egli allargò la cerchia dei consulenti a un comitato scientifico di cui facevano parte Alberto Abbruzzese, Arnaldo Bruschi, Ivan Cloulas, Andreina Draghi, Claudia Echinger-Maurach, Marcello Fagiolo, Christoph Luitpold Frommel, Francesco Gandolfo, Paolo Marconi, Francesco Negri Arnoldi, Pier Nicola Pagliara, Elisabetta Pallottino, Raffaele Maria Viola, Christine Shaw, Claudio Strinati, Almamaria Tantillo Mignosi e Francesco Saverio Trincia. Il restauro si rivelò molto più complesso di quanto originariamente previsto, e si protrasse sino all’autunno del 2003. A fine settembre di quell’anno se ne discussero in un convegno interdisciplinare i risultati e le conseguenze per la ricerca. Il 25 ottobre, pochi giorni prima del cinquecentesimo anniversario dell’elezione di papa Giulio ii, la tomba fu solennemente inaugurata dal cardinale titolare di S. Pietro in Vincoli, con candele accese sui quattro candelieri del piano superiore e la musica corale di Palestrina intonata da un coro celato dietro la lunetta riaperta. L’anno successivo il rinnovato splendore del monumento ispirò al novantaduenne Michelangelo Antonioni il suo ultimo documentario, nel quale egli, non più in grado di parlare, dialogava solo a gesti con l’ugualmente muto Mosè. Sin da subito nacque l’idea di pubblicare non solo i risultati del restauro, ma anche di dedicare un libro generale a tutta la complessa, quarantennale storia della tomba, e fortunatamente Lottomatica si è resa disponibile a sostenerne i costi. Già durante i lavori una prima campagna fotografica venne affidata ad Aurelio Amendola, alla quale fece seguito quella ancora più completa di Andrea Jemolo che ha curato la campagna prima, durante e dopo il restauro. Antonio Forcellino avrebbe scritto del suo lavoro e Maria Forcellino si sarebbe occupata della storia della critica. Claudia Echinger-Maurach, che già nel 1991 aveva
pubblicato un’eccellente tesi di laurea sulla tomba, intendeva contribuire non solo con un saggio, ma anche con il catalogo dei disegni e la trascrizione di tutti i documenti cinquecenteschi riguardanti la tomba, strumento irrinunciabile per ogni futura ricerca. Dopo che nell’ottobre 2001 lasciai la direzione dell’Hertziana, nacquero però difficoltà di ogni genere, e il futuro del libro apparve sempre più incerto, in particolare dopo il 2009, quando C. Echinger-Maurach pubblicò una versione ampliata del suo primo libro, nella quale prendeva in considerazione anche i risultati del restauro. Ugualmente Antonio e Maria Forcellino ne avevano trattato in varie pubblicazioni, ma continuava sempre a mancare una narrazione onnicomprensiva, l’analisi dettagliata dei diversi progetti, della struttura architettonica e delle singole statue, e la valutazione delle conseguenze che ne discendevano per la storia della tomba. Solo all’inizio del 2012 mi sentii sufficientemente libero di riprendere il progetto. Fortunatamente i collaboratori di un tempo erano ancora interessati a una pubblicazione congiunta, e anche Lottomatica e la dirigente Enrica Ronchini, che condividono i diritti della maggior parte delle fotografie di A. Jemolo, erano favorevoli a un parziale finanziamento del libro. Per una felice coincidenza conobbi poco dopo Sante Bagnoli, Editore con Vera Minazzi di Jaca Book, e già nel corso della nostra prima serata comune arrivammo a un accordo sulla pubblicazione del libro nell’anno successivo al cinquecentesimo anniversario della morte di Giulio ii, e poche settimane dopo il quattrocentocinquantesimo anniversario della morte di Michelangelo. I collaboratori hanno aggiornato i loro contributi. Per mancanza di spazio, il catalogo dei disegni ha dovuto purtroppo essere drasticamente abbreviato. Enrica Ronchini di Lottomatica ha assicurato il finanziamento e concesso le fotografie di Jemolo, i cui diritti aveva acquisito. A Maria Forcellino si deve il breve catalogo delle statue, la bibliografia e l’assistenza paziente nella faticosa cura dei tanti contributi e a Marco Calafati e Giancarlo De Leo l’assistenza fotografica. Basandomi su queste esperienze, su collaboratori così esperti e su un materiale così ingente e prezioso, nell’estate del 2012 ho iniziato a stendere la mia parte, dedicata alla storia della tomba, dei diversi progetti e delle singole statue. Già in precedenti articoli avevo tentato di collegare i primi progetti per la tomba con l’assetto interno del nuovo S. Pietro, la basilica alla quale questa era destinata prima del 1532, e ad analizzare l’evoluzione di Michelangelo come architetto così come era rispecchiata nei disegni. Partendo dai mutamenti della sua calligrafia, avevo inoltre proposto una revisione della cronologia dei disegni precedenti il primo progetto per la tomba. Con l’aiuto indispensabile dell’architetto Carlo Benveduti sono giunto a una nuova ricostruzione di quasi tutti progetti non realizzati e del loro rapporto con S. Pietro in Vaticano prima e con S. Pietro in Vincoli poi. Non solo i documenti, ma anche l’analisi stilistica mi hanno condotto a risultati spesso divergenti da quelli della critica precedente, e a una valutazione alquanto diversa del suo rapporto non solo con Leonardo e Raffaello, ma anche con l’antico e il platonismo. Nei numerosi studi dedicati nell’ultimo ventennio alla tomba si tratta solo ra-
ramente dell’importanza che ebbe la formazione neoplatonica per il pensiero e l’opera di Michelangelo, benché già Ollendorf e Panofsky ne avessero presentato ampie prove. Di spirito neoplatonico sono pervase le lettere, le poesie e i disegni per Tommaso Cavalieri, Cecchino Bracci e Vittoria Colonna. La trasformazione del Mosè da profeta celato sotto l’ampia veste che mostra le Tavole, a principe e «capitano» (Condivi) classicheggiante, atletico, potente e quasi “teomorfico” si spiega infatti solo col suo ulteriore avvicinamento all’antico e a Platone dopo il soggiorno romano del 1523. Come Pico della Mirandola egli vede nel Platone del Timeo il “Mosè ateniese”, e nel Mosè della Genesi, nutrita dalla medesima saggezza divina, il Platone biblico; e come Gregorio di Nissa egli vede nella salita di Mosè sul monte un simbolo dell’ascesa dell’anima a Dio. Michelangelo conosce senza dubbio Machiavelli, un altro membro della cerchia neoplatonica, che distingue Mosè dalle altre guide illuminate perché è stato l’unico ad aver parlato con Dio. Una medaglia antica a lui senz’altro nota conferma la sua interpretazione di Terminus come dio dei confini locali e temporali, e quindi della morte e della risurrezione, e deve averlo indotto a porre il piano superiore sotto il dominio di questi dèi pagani del destino (fig. 47). In un periodo nel quale la vita, la salute e le proprietà, e quindi anche il futuro di una famiglia, erano continuamente minacciati, anche Michelangelo soffrì di un’angoscia quasi traumatica di perdere la propria fortuna, cosa che lo indusse talvolta perfino ad affermazioni scorrette. Egli viveva come un monaco, mangiava modestamente e dormiva poco, talvolta persino vestito, ma lasciò un patrimonio del valore attuale di alcuni milioni, più di qualsiasi altro artista rinascimentale, riuscendo così a rialzare la famiglia al suo presunto rango originario. Creò il mito dell’artista divino, di anima pura e piena di amore e fede, ma tragico, colpito da un destino predeterminato, tormentato da malattie, un burattino nelle mani di committenti prepotenti e arbitrari e vittima di rivali gelosi. Ogni tanto le sue fasi creative sono interrotte da lunghe pause non meno creative, benché in buona parte causate da mancati pagamenti da parte dei committenti – anni d’incubazione nei quali comincia a modificare il suo linguaggio, come nel 151011 o nel 1515-16, per rigettarsi poi con nuovo sfrenato dinamismo nel lavoro. Questa vita, che cade in uno dei periodi più turbolenti e innovativi dei tempi moderni, si rispecchia nella tomba e nei suoi innegabili difetti. Il contrasto tra il basamento con le tre statue autografe e l’astratto, strutturale piano superiore con le statue meno suggestive, è troppo grande per essere apprezzato come un’opera omogenea, benché solo pochi elementi risalgano agli anni precedenti il 1532. Nessun libro può aspirare a dire l’ultima parola su una tale opera. Ci auguriamo però che i risultati del restauro che qui si presentano, le fotografie, i rilievi e le proposte ricostruttive possano far rinascere la discussione su un piano più solido di prima. Questo pluriennale lavoro su un tale argomento è stato un raro privilegio, reso possibile solo grazie allo spirito di amicizia, entusiasmo e collaborazione che – nonostante i momenti critici e talvolta addirittura disperati – ci ha animato e assistito. Roma, San Silvestro 2013
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La fortuna critica della tomba di Giulio ii dal Cinquecento a oggi Maria Forcellino
La fortuna critica della tomba di Giulio ii e gli studi di cui è stata oggetto nei secoli riflettono tutta la complessità di una commissione durata quarant’anni e passata attraverso vicende storiche, politiche e personali molto varie fra loro. Lo testimoniano i circa cinque contratti – tranne il primo, tutti giunti sino a noi – oltre a un numero considerevole di allogazioni, epistole, cedole di pagamenti, memoriali. Tuttavia la gran messe di documenti e la molteplicità delle fonti – Vasari, Condivi e lo stesso Michelangelo – ha contribuito a rendere ancora più ingarbugliata la lettura di un’opera già complessa per essere stata ripensata dal suo artista più volte nel tempo. Tale complessità ha finito con l’incidere negativamente sulla ricezione critica del monumento, che appare subito segnata dalla storia della sua difficile e lunga realizzazione e dal ruolo svolto dagli aiuti in diverse fasi. Nelle pagine che seguono si ripercorrerà la fortuna critica del monumento dal Cinquecento al Settecento e la storia degli studi dall’Ottocento a oggi nelle loro fasi più significative. Fortuna critica del monumento nel Cinquecento Intorno alla prima metà del Cinquecento, contemporaneamente alla sistemazione della tomba tra 1544 e 1545, a Firenze si era già diffusa la convinzione che il monumento, con l’unica eccezione del Mosè, non fosse di mano di Michelangelo. In questo senso è orientata la testimonianza del codice dell’Anonimo Gaddiano (cod. Magliabechiano xvii,17), e più precisamente dei due memoriali aggiunti al testo dell’anonimo autore1. Il più antico dei due è un elenco di opere d’arte e oggetti di devozione esistenti fra Perugia, Assisi e Roma (cc. 107r-108r), compilato in occasione di un viaggio nel mese di marzo 1544 (st. fior. 1543), da una mano diversa da quella dell’Anonimo (doc. 421). Fonte fra le più antiche sul monumento, è stata totalmente ignorata dagli studi sulla tomba di Giulio ii fino al 20022. Essa fornisce la prima descrizione dettagliata della tomba, elencandone le statue con i nomi dei presunti collaboratori di Michelangelo impiegati per la loro totale o parziale realizzazione, un gruppo di artisti tutti toscani: Sandro di Giovanni Fancelli (1522-1586) detto Scherano da Settignano, Raffaello da Montelupo (1504-1566) e Giovan Angelo Montorsoli (1498/9-1563). In verità mette quasi in dubbio l’autografia michelangiolesca del monumento, con quel «dicesj di Mjchelagniolo», e fotografa il suo stato in fase di montaggio, a marzo del 1544, un momento prima della sua sistemazione definitiva. Le sculture elencate sono infatti solo quelle del secondo ordine, affidate da Michelangelo a febbraio del 1542 al completamento del Montelupo (docc. 376-377, 388-389, 393, 395-397, 399, 402), che le portò a termine con i suoi collaboratori (docc. 388, 427-430). Si tratta della Madonna col Bambino, qui attribuita allo Scherano, del Profeta, l’unica a essere indicata come la «figura di mano dj Rafaelo [da Montelupo]», e della Sibilla, «la dona di mano del frate de’ Seruj». L’ultima scultura elencata è quella del Papa, della quale è notata la sua particolarità, «che si posa chosi in su lato ritto», ossia sul fianco al di sopra della cassa. Quella del Papa, come recitano i documenti, fu la prima ad esservi sistemata, essendo descritta già in loco il 20 luglio del 1542 (docc. 388, 389)3. Nessun nome è ad essa associata, indizio eloquente a suggerire che all’epoca l’autografia michelangiolesca della statua non era ancora in discussione. Fino al Settecento infatti tale autografia non è messa in dubbio nella letteratura artistica sul monumento. L’autore dell’Aggiunta non elenca le
statue del primo ordine, quelle del cui completamento si era incaricato lo stesso Michelangelo, e cioè il Mosè, la Vita attiva e la Vita contemplativa (docc. 376, 388-389, 399, 410, 429-430). Sull’autore di questa Aggiunta all’Anonimo Magliabechiano non si conosce quasi nulla, se non il breve profilo tentato già da Fabriczy4. Fra gli elementi nuovi che introduce è la segnalazione della presenza del Montorsoli quale aiuto di Michelangelo nel monumento, accanto a quella dello Scherano e di Raffaello da Montelupo5. Se per questi ultimi due la critica ha già puntualizzato il ruolo svolto nella realizzazione del monumento, tutta ancora da chiarire resta invece la presenza del “frate de Servi”6. Una presenza che per non essere ulteriormente documentata fino a questo momento che dalla traccia fornita da Vasari (e dalla sua effettiva venuta a Roma, insieme con Michelangelo, nel 1532), è stata variamente valutata dalla critica (doc. 465)7. Pochi mesi dopo e un altro visitatore, forse lo stesso Anonimo Magliabechiano, può già godere della visione d’insieme del monumento, registrandovi la presenza del Mosè (doc. 426)8. Tuttavia anch’egli lascia trasparire la stessa incredulità del suo concittadino, che avvolge evidentemente il monumento a Firenze9. L’Anonimo, pur elogiando fra i primi la bellezza del monumento, induce anch’egli il dubbio sull’autografia michelangiolesca delle statue, ammirando la sola figura di Mosè, l’unica «di mano di Michele Agnolo». Di lì a poco Vasari, impegnato nelle Vite (1550) a costruire la sua idea di progresso dell’arte culminante nell’esempio del trivalente Michelangelo, affida ad altre realizzazioni del maestro la dimostrazione della sua grandezza, soffermandosi solo sinteticamente sulla commissione e sulla realizzazione della tomba di Giulio ii: «Era talmente la fama di Michele Agnolo [...] nota, che Giulio ii Pontefice deliberò fargli fare la sepoltura [...] la quale di bellezza, di superbia e d’invenzione passasse ogni antica imperiale sepoltura»10 (docc. 437-444). Una maniera tanto sintetica, che ebbe quale prima reazione le immediate precisazioni documentarie di Condivi11. Vasari, pur nella sua frammentarietà, coglie però già nella Torrentiniana, della tomba, dati originali (l’importanza degli ornati, l’interpretazione delle figure dei Prigioni come “provincie” soggiogate dal pontefice) che amplierà poi, anche sulla base delle precisazioni tacitamente accolte da Condivi, nella Giuntina. E sottolinea, primo fra i contemporanei, alcuni elementi che avranno una grande fortuna critica, come la “perfezzione” del Mosè e il “paragone con gli Antichi”12. La successiva testimonianza di Condivi sulla tomba appare tutta protesa a riassumere e chiarire i termini economici della commissione, e al tempo stesso a dimostrare che essa fosse, nonostante i progetti iniziali, la migliore possibile. «È vero che, così come ella è rattoppata e rifatta, è però la più degna che in Roma e forse altrove si trovi, se non per altro, al meno per le tre statue che vi sono di mano del maestro»13 (docc. 446-451). Condivi racconta in dettaglio le vicende della tomba rendendo noti anche i dati biografici e psicologici che ne accompagnarono la realizzazione, “la tragedia della sepoltura”, un elemento destinato a incidere profondamente negli studi e nella ricezione del monumento. L’incisione della tomba a opera di Salamanca nel 1554, solo nove anni dopo la sua esecuzione, ne testimonia l’interesse fra i contemporanei. Il foglio presenta una veduta frontale del monumento nel suo contesto architettonico14. Tale interesse è documentato anche dalle sue riproposizioni in raccolte successive, fra le altre quella di Lafréry, lo Speculum Romane Magnificentiae, del 157315. E dalle incisioni comparse ben presto anche delle singole statue del monumento, della
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Michelangelo. Il marmo e la mente
Madonna col Bambino del Montelupo come del Mosè e delle due statue della Vita attiva e della Vita contemplativa. L’attenzione per il monumento fra gli artisti in particolare è documentato poi in maniera precoce da una serie di disegni che lo ritraggono molto presto. Le sue parti architettoniche furono oggetto di studio e misurazione infatti ancor prima del completamento, come documentano i disegni dell’Anonimo Destailleur di Berlino (Kunstbibliothek, ms. HdZ 4151, c. 104v) e di Aristotile da Sangallo degli Uffizi (a 1741r, 1535 ca., dis. 47a-48a; tavv. 59-58), e quello di anonimo (dis. 49a), da poco ritrovato, che raffigura il basamento del monumento con la sola statua del Giulio ii16. Così come precoce fu la sua ripresa in altri contesti scultorei ancor prima che il monumento fosse finito, dalle erme alla cassa su cui è disteso il papa17. La fortuna critica del monumento è testimoniata già alla metà del Cinquecento, e cresce per tutta la seconda metà nelle voci indipendenti che ne hanno celebrato, senza riserve, la sua bellezza, messa quasi subito in competizione con gli antichi. Fra i primi a riprendere questo tratto è Fornari: «Fe la sepoltura di Papa Giulio che di bellezza, di superbia, e d’invenzione avanza qualunque imperiale sepoltura»18 (doc. 445). Sul solo Mosè insiste invece Palladio: «Vi è anchora un Mosè di marmo sotto la sepoltura di Giulio.2 scolpito con maraviglioso artificio dal diviniss. Michel Angelo»19 (doc. 454). Gli fa eco poco dopo l’accurata descrizione del medico bolognese Ulisse Aldroandi: «[in S. Pietro in Vincoli] [...] si vede una parte del sepolcro di Giulio ii Pontifice; dove è un Mosè maggiore del naturale con le corna in testa, con barba lunga. [...]. È opera di Michele Angelo, ma da star con qual si voglia de le antiche à fronte»20 (doc. 455). Nel passaggio alla seconda edizione delle Vite (1568) Vasari s’impegna in una più ampia descrizione, che tiene conto dell’opera realizzata con riferimenti anche ai progetti precedenti21 (docc. 462-479): «E nel vero che tutta questa opera è tornata benissimo, ma non già a gran pezzo come era ordinato nel primo disegno» (doc. 473). Il riferimento al mancato “primo disegno” e la ricostruzione fornita con Condivi incoraggerà la sua costante ricerca negli studi, compromettendo gravemente il giudizio sull’opera di S. Pietro in Vincoli, assunta dai due biografi in poi quasi da tutta la critica come una soluzione di ripiego. Nonostante ciò Borghini descrive la sepoltura poco dopo ancora come “la famosa sepoltura”22 (doc. 482). Borghini si mostra informato anche sulle statue non piu usate da Michelangelo per i primi progetti, i due Prigioni oggi al Louvre e la cosiddetta Vittoria di Firenze23. Il monumento viene annoverato anche fra le stationi dell’Ugonio (doc. 484), che lo descrive con ammirazione: «In questa chiesa è una bellissima memoria di Giulio Secondo, [...] per mano del famoso Michel Angelo Buonaroti [...], vi è una gran statua di Moisè che non cede alle opere antiche»24. Fra Sei e Settecento Fra Sei e Settecento la tomba si ritrova costantemente segnalata nelle più importanti Guide della città eterna e nelle prime memorie di viaggio, come un ‘topos’ artistico, e come tale le attraversa, con poche varianti, secondo i suoi dati ormai fissi: l’eccellenza del Mosè, la storia difficile della sua realizzazione25. Grazie anche all’impulso dato dall’opera di Cesare Ripa, in esse si segnala l’originalità dell’iconografia michelangiolesca nel rappresentare la Vita attiva e quella contemplativa26. La statua del pontefice invece (ad eccezione di La Lande e Hauchecorne) non è più menzionata fino all’Ottocento, quando sarà riconsiderata, ma per essere criticata per l’invenzione, la disposizione, l’esecuzione, non ascrivibile al ‘divino’ Michelangelo27. Nel Settecento si segnala la pubblicazione del disegno oggi agli Uffizi appartenente al collezionista e conoscitore francese Mariette (608er, 1513 ca., dis. 6; tav.
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La fortuna critica della tomba di Giulio ii dal Cinquecento a oggi
27) nell’edizione delle Vite di Vasari con note di Bottari28, una pubblicazione che segna l’inizio della fortuna critica vera e propria del monumento. La puntualizzazione di Bottari sulla destinazione del Mosè nel disegno («che andava in alto in isola») è assunta dalla critica come il primo tentativo di ripristinare criticamente la verità storica sulla tomba, tentata in parte, prima di lui, solo da Mariette e Gori nell’edizione della Vita di Condivi29. Le osservazioni di Mariette e Bottari furono accolte e seguite dalla trattatistica storico-artistica italiana rappresentata da Milizia e Della Valle, e dal francese Hauchecorne. Proprio nel Settecento però il giudizio severo sul Mosè del classicista Milizia fa registrare una delle poche stroncature della statua nei secoli: «[Mosè], capo d’opera di Michelangelo: [...] è un mastino orribile, vestito come un fornaro, mal situato, ozioso»30. Una stroncatura che non si allinea con il vivo apprezzamento della scultura di Michelangelo del più importante teorico del classicismo, Winckelmann, per il quale l’artista era un “moderno Fidia”31. L’abate Lanzi, alla fine del secolo, ne riconobbe invece la grandezza: «Non sa che sia scultura chi non conosce il suo Mosè»32. Il Mosè fu apprezzato parallelamente alla ripresa di interesse per Michelangelo della nuova sensibilità preromantica propria della seconda metà del secolo, e da Goethe, che nel suo viaggio in Italia ne acquistò anche una piccola copia in bronzo. La fortuna critica e gli studi sul monumento nell’Ottocento Decisive per le sorti del monumento si rivelarono alla metà dell’Ottocento le stroncature di due storici, Burckhardt e Gregorovius, destinate a condizionare pesantemente la nascente disciplina storico-artistica. Sorretti dal rinnovato vigore con cui gli storici portavano a conoscenza i nuovi dati emersi con lo spoglio dei documenti d’archivio, gli studi cominciarono a fare chiarezza sulle varie fasi attraverso le quali era passata la realizzazione del monumento33. E se la prima metà del secolo appare nella tradizione classicista (continuata da Seroux d’Agincourt e Cicognara) solo come un prolungamento di quanto già tramandato nel secolo precedente, è dalla seconda metà che si verificano fatti decisivi per il monumento. Sul solo Mosè si sofferma infatti Seroux d’Agincourt trattando della tomba di Giulio ii nella sua Storia dell’arte, illustrata con la ripubblicazione del disegno della collezione Mariette34. Si riferisce ancora allo stesso disegno, condividendo le osservazioni di Mariette (Gori) e Bottari (d’Agincourt), anche Cicognara, nel presentare le uniche statue che facevano parte del primo progetto: la Vittoria e il Mosè35. L’interesse per la sola scultura del Mosè che contraddistingue il monumento in questi anni trova riscontro nell’intervento che porta, sotto la direzione di Canova, alla realizzazione del piedistallo (1818) e del calco della statua da parte dello scultore francese Desprez nel 1834. La storia del ducato di Urbino di James Dennistoun alla metà dell’Ottocento ricostruisce, con molte inesattezze, anche le vicende della tomba di Giulio ii36. Prende corpo qui, per mano degli storici stranieri – Hauchecorne nel Settecento e Dennistoun nell’Ottocento – anche lo spostamento a Tommaso dal Bosco dell’attribuzione della statua di Giulio ii37. Poco dopo Burckhardt scrive il suo celebre Der Cicerone, serie di letture sull’arte italiana con cui avvia gli studi sul Rinascimento in area tedesca. Fra esse è inclusa anche quella del monumento a Giulio ii, ma se il giudizio sul progetto dell’opera soddisfa il suo senso possente della creatività della persona38, tutt’altro è invece quello sulla sua realizzazione: «Non è una costruzione libera ma è diventata piuttosto una struttura barocca a parete; le figure del piano superiore sono lavorate dagli allievi sui disegni del maestro, e molto infelici; nel povero papa, che deve allungarsi, per quanto possibile, fra due pilastri, anche la composizione è imperdonabile»39. Gli fa eco subito dopo lo storico protestante e liberale Gregorovius, che condi-
vide ed amplia le sue critiche al monumento40. Più tardi, nella Storia della città di Roma nel Medioevo con cui contribuì potentemente alla idealizzazione romantica dell’Italia, Gregorovius tornò di nuovo sul mausoleo, per lamentarne ancora l’incompiutezza «Solo Mosè, Lia e Rachele sono di mano di Michelangelo; il resto è opera dei suoi scolari».41. Nello stesso anno 1857 compare una delle prime biografie di Michelangelo, quella dell’inglese Harford che, basata soprattutto su Vasari e Condivi, comincia a riordinare la storia del monumento avvolta da contorni ancora imprecisi42. Fa la sua comparsa qui per la prima volta una cronologia, sia pure approssimativa, della storia della tomba. Il suo giudizio sull’opera è negativo, sistemata com’è in un luogo per il quale non era stata destinata, S. Pietro in Vincoli, attenuato solo dalla considerazione per la statua colossale del Mosè. Ancora più negativo quello sulla statua di Giulio ii di Maso del Bosco43. La biografia dello storico dell’arte tedesco Hermann Grimm, concepita romanticamente come esaltazione dell’artista eroe travolto dal fiume della storia, segna uno spartiacque rispetto a quanto scritto fino ad allora (cioè prima della conoscenza dei documenti, cosa che significò dar corpo e date ai diversi progetti della tomba, che per Grimm furono quattro, non essendo contemplato ancora quello del 1516) e ne celebra una parziale rivalutazione, facendo in parte giustizia del consueto rammarico per la sua incompiutezza44. Il monumento, sostenne, non è affatto privo di una sua grandiosità: «Se mai lo spirito di Giulio ii dovesse prendere cognizione ancora delle cose terrene, non riterrebbe per certo, che con quel monumento non si fosse resa onoranza bastante alla sua memoria»45. Tuttavia di lì a poco con Anton Springer, caposcuola della critica storico-filologica in Germania, nel momento stesso in cui si gettano le fondamenta della nuova disciplina storico-artistica, prende inizio il processo di svalutazione e ridimensionamento critico del monumento, inaugurando una tendenza negli studi di area tedesca destinata a pesare per secoli46. Springer fu il primo a condurre una disamina dei diversi progetti, a partire dagli ultimi documenti resi noti (incluse le Lettere pubblicate da Milanesi nel 1875), e a richiamare l’attenzione sul secondo progetto, quello del 1513, che lui ritenne centrale, un accrescimento del primo, dicendosi convinto che Michelangelo, nel corso del tempo, lo avesse ridimensionato, ma non se ne fosse mai discostato. Egli condivide con Grimm l’idea che la maggior parte delle statue del monumento fosse stata ultimata da Raffaello da Montelupo, e che Michelangelo avesse tenuto per sé la sola statua del Mosè47. Poco dopo espresse un giudizio durissimo sull’opera di S. Pietro in Vincoli: «Mai un progetto così grandioso, quasi esuberante e calcolato imponente ha prodotto un così povero risultato come il monumento di Giulio ii»48. Tale giudizio avrebbe condizionato inesorabilmente gli studi michelangioleschi successivi dentro e fuori la Germania. L’unica monografia italiana coeva su Michelangelo, quella del direttore delle Gallerie di Firenze Aurelio Gotti, non contiene alcuna ipotesi interpretativa nuova sulla tomba. L’autore, che scrisse tenendo conto dei documenti dell’archivio Buonarroti tralasciati dall’amico Milanesi, affidò la descrizione del monumento a Condivi49. Legata a questa biografia, ma più puntuale nell’analisi dei documenti, si rivela invece quella di Wilson, che s’interrogò anche sullo strano silenzio delle fonti documentarie che avvolge la statua del papa, richiamando per primo l’unico documento in cui è menzionata, l’allogazione dell’oratore del duca di Urbino a Raffaello da Montelupo e l’Urbino (doc. 396)50. Anche Perkins, nel suo manuale sulla scultura italiana, espresse un giudizio decisamente negativo sul monumento a Giulio ii e sulla sua statua: «Il monumento nella sua redazione finale difficilmente avrebbe soddisfatto l’ambizione di Giulio ii, la cui statua, reclinante sopra un sarcofago (lavoro di Maso del Bosco, uno scultore di terz’ordine) è una delle sue realizzazioni più insignificanti. È stato definito un monumento a Mosè, e tale
appare»51. A questa data l’interpretazione mediata dagli storici da Vasari – e cioè che la statua di Giulio ii fosse opera di Maso dal Bosco – appare già accolta e fatta propria anche dagli storici dell’arte. Non solo, ma Perkins, nonostante citi i documenti (docc. 428-429), non ritiene credibile neanche che la Vita contemplativa e quella attiva siano statue autografe di Michelangelo, e le ascrive piuttosto, con il Profeta e la Sibilla, a Raffaello da Montelupo52. Contemporaneamente Schmarsow apportava un contributo fondamentale alla storia della tomba con la presentazione del disegno della collezione Beckerath, oggi nel Kupferstichkabinett di Berlino (KdZ 15305r; dis. 7; tav. 22), che malgrado il cattivo stato di conservazione riconobbe come un autografo di Michelangelo53. Esso è ricondotto da Schmarsow correttamente al secondo progetto per la presenza della cappelletta al secondo piano, descritta dal contratto del 6 maggio 1513 appena pubblicato (docc. 52-56). Il ritrovamento del disegno e la divulgazione del secondo documento contrattuale ebbero come conseguenza uno spostamento di attenzione negli studi dal primo al secondo progetto. Sullo spazio della piattaforma con la cappelletta si concentrò anche la ricostruzione dello studioso. La lettura comparata del disegno con quello degli Uffizi, l’unica altra testimonianza grafica all’epoca conosciuta sul monumento, e fino a quel momento messo in relazione (Springer) con il primo progetto della tomba, quello del 1505, e le varianti con quello riscontrate, gli fecero ritenere che quest’ultimo fosse in realtà soltanto una copia del più antico originale appena rinvenuto. La discussione iniziata da Schmarsow circa l’autografia dei due disegni e il rapporto che intercorre fra loro, due originali appartenenti a due diversi progetti, del 1505 e del 1513, o l’uno copia dell’altro del secondo progetto, è continuata negli studi per i due secoli successivi. Anche Schmarsow criticò la realizzazione del monumento come povera cosa rispetto ai primi progetti «L’insieme risulta freddo, desolato e triste»54. La monografia di Justi su Michelangelo, espressione piena della sua idea della storia dell’arte come Kulturgeschichte, chiude un secolo di intensi studi michelangioleschi55. Egli fu il primo a fornire una complessa chiave interpretativa del monumento, basata sull’interesse di Michelangelo per la cultura classica e sui motivi psicologici che caratterizzarono l’attegiamento dell’artista nella storia complessa della realizzazione del monumento, «Die Tragödie des Grabmals [La tragedia della tomba]»56. La sua cronologia della tomba in relazione ai cinque contratti è diventata il punto di partenza per tutti gli studi successivi, così come la sua memorabile interpretazione del primo progetto come un «inno a Giulio ii, nelle sue caratteristiche di principe combattente, principe della pace e della Chiesa», per il quale ritenne centrale l’ispirazione dall’antico e il bisogno di distaccarsi dalla tradizione dei monumenti sepolcrali fiorentini. Un’interpretazione accolta e sviluppata poi da tutta la critica successiva. Justi si distinse non solo per l’originalità della sua lettura, ma anche per aver operato delle rettifiche fondamentali per la storia del monumento. Fu ad esempio fra i primi a sostenere, correttamente, che le statue di Lia e Rachele fossero state pensate per lo stadio finale del progetto, e che furono perciò anche l’ultimo lavoro in marmo di Michelangelo57, e a discutere l’informazione vasariana che la Madonna fosse opera di Scherano da Settignano58. E concesse una possibilità anche al Giulio ii, che «non fa onore né al papa né alla gloria del buon servo antico»59. Fra tutti Justi rimane infatti il critico che più si è sforzato di capire la statua, che gli sembrò espressione di una nuova creatività, sia pure conflittuale con la maniera precedente, e il suo purtroppo incomprensibile messaggio, vera causa della sua sfortuna critica60. Egli cercò di guardare oltre l’esecuzione materiale della statua, in relazione alla quale pure ammise l’intervento di Michelangelo, fino a quel momento negato da tutta la critica61. La sua apertura non fu però condivisa, con l’unica eccezione di Laux. Anche il suo giudizio sul monu-
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mento di S. Pietro in Vincoli fu però negativo: «Diese nova sepultura ist nichts als ein Arrangement der im Laufe eines Vierteljahrhunderts zufällig geförderten, daher natürlich ungleichartigen Stücke zu einem Ganzen» («Questa nova sepultura altro non è che la sistemazione in un insieme di pezzi finanziati in modo casuale nel corso di un quarto di secolo, e perciò ovviamente disparati»). Al solo Mosè dedicò un saggio memorabile, poco dopo, il fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, che da scienziato ne analizzò la complessità percettiva62. La fortuna critica del monumento nell’Ottocento testimonia che un’intera generazione di storici dell’arte in Germania, con poche eccezioni (e seguita a ruota per tutto il Novecento), ha disconosciuto la tomba così come realizzata in S. Pietro in Vincoli e le sue statue, considerate tutte, tranne il Mosè, frutto dell’opera degli aiuti, e questo nonostante i documenti finanziari attestassero il contrario. Una generazione, quella che parte da Springer e arriva a Justi, cresciuta e sviluppatasi nel credo della nuova scienza dei conoscitori, sull’esempio del suo centro propulsore ideale che l’aveva adottata, la Scuola di Vienna, quella che proprio intorno al rapporto con le opere aveva costruito, significativamente, i fondamenti della nuova storia dell’arte63. Gli studi sul monumento dal Novecento a oggi Gli studi sulla tomba nel Novecento, dopo l’attenzione iniziale ai primi progetti, cominciano a indagare progressivamente anche la sua fase intermedia e finale. Aspetti ancora inesplorati diventano nuovi oggetti d’indagine, quali lo studio del rapporto fra la tomba e il luogo al quale era inizialmente destinata, la basilica di S. Pietro in Vaticano, il ruolo svolto dalla committenza di Giulio ii, i problemi posti dalla ricostruzione dei progetti intermedi del 1516, 1525-26 e 1532, e dalla realizzazione finale fra 1532 e 1545. Benchè la conoscenza della problematica storica ed economica dell’opera progredisca di molto, di poco si accresce invece quella del monumento di S. Pietro in Vincoli, con pochissime eccezioni, così come invariata resta la sua negativa ricezione critica. Gli studi nel Novecento si aprono con l’opera monumentale di Henry Thode su Michelangelo. Il quarto volume, dedicato alla tomba, offre una ricostruzione sistematica della sua storia, condotta riunendo tutti i documenti noti fino ad allora e le interpretazioni critiche che l’avevano preceduta64. La storia difficile della sua realizzazione viene ripercorsa in quattro fasi, organizzate intorno ai contratti e ai documenti, dalla prima (1508-1512), quella del mausoleo libero iniziale noto dalle descrizioni di Vasari e Condivi; alla seconda (1513-1516), che vede la sua trasformazione secondo il contratto del 1513; alla terza (1516-1532), che lo ridimensiona con quello del 1516; alla quarta (1532-1545) che lo riduce ancora con il contratto del 1532 e ne vede l’innalzamento fra 1542 e 1545. Una ricostruzione ragionata condotta sull’analisi anche di tutti i disegni e delle sculture, incluse quelle non più utilizzate (i quattro Prigioni di Boboli, i due Schiavi del Louvre, la Vittoria di Firenze, il San Pietro o Papa, e il Mosè)65. L’attenzione di Thode si concentra essenzialmente sulla ricostruzione dei primi progetti, in particolare sui problemi posti dalla collocazione della cella col sarcofago nel primo, su cui le indicazioni di Vasari e Condivi differiscono66. Anche la sua interpretazione del monumento si concentra soprattutto sulla lettura dei primi progetti. Sua è la spiegazione degli Schiavi e delle Vittorie come Arti liberali e Virtù. Thode fu il primo a riconoscere sul retro dello Schiavo morente del Louvre la presenza nel piedistallo di una scimmia abbozzata, che sembrò corroborare la lettura di Condivi dei Prigioni quali Arti liberali e figurative67. La scimmia infatti, da iniziale simbolo nel Medioevo dell’avarizia e della pigrizia, era passata a designare in seguito la pittura, spesso definita ‘scimia della natura’, con riferimento alle sue
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capacità mimetiche nella rappresentazione della realtà naturale. Benchè questa interpretazione lasciasse aperte una serie di questioni, per esempio in merito al numero previsto (10, 16 o 12), e come questo si sarebbe adattato nel passaggio da un progetto all’altro, è rimasta un punto fermo nella storia dell’esegesi critica, a tutt’oggi non del tutto delucidata68. La lettura dei Prigioni come Arti liberali e figurative e delle Vittorie come trionfo della Virtù sul Vizio permette di ricondurre l’iconografia del monumento alla tradizione di origine medievale dell’associazione delle Arti liberali, o Arti e Scienze, con le Virtù, consueta nei monumenti funebri, per la quale Michelangelo avrebbe trovato illustri precedenti (fra gli altri, nella tomba di Sisto iv del Pollaiuolo). Thode concordò infatti con Burger nel ritenere il monumento una sintesi geniale di elementi pagani e cristiani insieme, di rinnovamento e tradizione69. Tuttavia anche il suo giudizio sull’opera realizzata fu negativo : «Spesso ci troviamo davanti ai resti di opere grandiose, che il tempo ha distrutto», «in una forma totalmente alterata»70. Il contributo coevo di Burger si segnala soprattutto per l’interpretazione iconografica del monumento e per l’attenzione dedicata al terzo progetto della tomba, quello del 151671. Burger considerò l’addossamento del monumento alla parete non più sul lato breve, ma su quello lungo, un passaggio fondamentale per l’abbandono definitivo del progetto del mausoleo libero e un compromesso fra quest’ultimo e quello a parete72. La sua ricostruzione del progetto si richiamò ai monumenti funebri del Sansovino, il cui prototipo andava ricercato nel monumento a Paolo ii di Mino da Fiesole. Un richiamo agli inizi delle tombe fiorentine e romane del Rinascimento maturo, a parete e con nicchie, al quale Michelangelo apportava però il contributo proprio della sua scultura, più libera e potente di quella del Quattrocento. Burger prese le distanze dall’interpretazione di Justi del monumento quale «apoteosi pagana di Giulio ii», per saldarlo invece alla tradizione dei monumenti funebri del primo e del maturo Rinascimento (fra gli altri, per l’impianto architettonico, il richiamo è a quello di Girolamo Basso della Rovere del Sansovino). Tuttavia anche il suo giudizio sul monumento è amaro; dalla grandiosità dei primi progetti Michelangelo era approdato in S. Pietro in Vincoli a un «klägliche Endresultat»: «L’ordine del piano superiore non si raccorda con quello inferiore. La minuscola figura orizzontale sulla tomba che si mostra quasi come una caricatura, risulta ridicola fra le potenti verticali»73. Gli studi successivi di Erwin Panofsky si concentrarono sui primi due progetti, del 1505 e del 1513, sui quali lo studioso tornò in diversi momenti della sua produzione critica74. Le sue analisi approdarono a conclusioni così innovative che sono state punto di partenza per ulteriori appofondimenti per gran parte degli studiosi del Novecento. Alcune delle questioni da lui poste sono ancora oggi aperte nel dibattito critico, come quella in merito al coronamento del monumento libero del 1505. Panofsky analizzò il primo progetto seguendo le due descrizioni, non sempre coincidenti, di Vasari e Condivi, con i documenti e i disegni ad esso relativi. A partire dall’informazione di Vasari (1568) sulla forma ovale della camera sepolcrale, lo studioso ipotizzò il primo progetto come un monumento libero di forma ovale e digradante come una piramide tronca, al centro della quale avrebbe trovato posto la figura seduta e benedicente del papa. A questa conclusione innovativa era pervenuto attraverso l’analisi semantica sull’uso in Condivi e Vasari dei due diversi termini di ‘arca’ e ‘bara’, un termine quest’ultimo che in italiano può designare anche una lettiga, una portantina o anche una ‘sedia gestatoria’, ossia un trono mobile in uso dai pontefici nel Rinascimento come testimoniato da un celebre affresco di Raffaello in Vaticano, La cacciata di Eliodoro dal tempio, che vi raffigura seduto sopra proprio Giulio ii75. Tale conclusione aveva il merito di risolvere un problema già segnalato negli studi e di difficile soluzione, quello della visibilità della statua papale sulla piattaforma, la cui posizione appariva difficile
da restituire nella tradizionale postura del gisant medievale, data l’altezza a cui sarebbe venuta a trovarsi. Un’ipotesi a sostegno della quale lo studioso poteva richiamare un documento del 1508 (doc. 33) e la segnalazione nell’inventario stilato alla morte di Michelangelo nel 1564 di una statua seduta «per uno San Pietro in abito di Papa» non finita, nello studio dell’artista. L’ipotesi di Panofsky si alimentò più tardi delle ricerche effettuate intorno alla statua seduta di un Papa, identificata in quella riutilizzata dallo scultore Cordier per un San Gregorio Magno76. La questione se la statua del papa a coronamento del primo progetto della tomba fosse stata pensata da Michelangelo seduta o distesa su un sarcofago è una delle più dibattute negli studi, ed è tuttora aperta77. L’interpretazione dei primi progetti della tomba come profondamente ispirati all’antico ricevette negli studi di Panofsky ulteriore fondamento. Sua fu la segnalazione di una nuova fonte iconografica, un sarcofago romano in Vaticano proveniente da villa Montalto-Negroni-Massimi, per spiegare la sequenza nel basamento delle figure nude dei Prigioni addossate alle erme78. Nuove e suggestive spiegazioni dei Prigioni seguirono anche nei successivi Studi di iconologia, delucidati a partire dal neoplatonismo dell’artista e della sua epoca. Tuttavia, nemmeno il giudizio di Panofsky sull’opera in S. Pietro in Vincoli fu entusiasta, anzi, «le impressioni dell’autore stesso del monumento così come eretto alla fine – dissentono in diversi aspetti»79. Poco dopo, il contributo di Karl Laux può essere letto come il primo tentativo di studio e riabilitazione del monumento. Per la prima volta questo viene considerato un insieme coerente nei suoi aspetti formali, stilistici e iconografici con la produzione coeva di Michelangelo80. Laux contribuì con un nuovo apporto alla storia della tomba formulando l’esistenza di un ulteriore progetto, non documentato, fra 1519 e 1525. Di dimensioni «titaniche», sarebbe stato espresso dai quattro Schiavi dell’Accademia, forse anche dal Mosè e certamente dal gruppo della Vittoria, un corrispettivo del quale sarebbe costituito dal modello in creta, il cosiddetto Ercole e Caco di Casa Buonarroti. Lo studioso approdò a questa ipotesi partendo da un problema già segnalato negli studi (Justi, Thode e Brinckmann), rappresentato dalle maggiori dimensioni degli Schiavi di Firenze rispetto a quelli del Louvre. Il progetto sarebbe stato abbandonato poi quasi subito per uno più semplice. Con questo il numero complessivo dei progetti supposti per il monumento saliva a sette, essendo già stato ricostruito anche quello a parete da Tolnay degli anni 1525-2681. L’apporto più significativo dello studio di Laux fu però l’aver conferito per la prima volta attenzione a tutti gli elementi del monumento, anche a quelli strutturali e decorativi, fra gli altri alle erme addossate ai pilastri del basamento. Esse furono interpretate come la personificazione dei quattro temperamenti (flemmatico, melanconico, collerico e sanguigno) associata ai quattro elementi (acqua, terra, fuoco e aria), secondo una teoria diffusa nell’ambiente neoplatonico fiorentino e negli scritti di Ficino (dialogo Sull’amore e trattato De vita triplici). Insieme alle due allegorie della Vita attiva e della Vita contemplativa il monumento veniva portato all’interno del mondo astrologico e magico del Rinascimento, un percorso lungo il quale Michelangelo avrebbe incontrato anche Dürer. Nuova fu anche la considerazione di Laux per il posto occupato dalla statua del Papa, non per la sua qualità formale: al centro del monumento, con la testa (luogo dello spirito e del pensiero) al di sopra dell’erma del temperamento malinconico e i piedi (organi visibili del movimento attivo operoso) al di sopra della rappresentazione del temperamento collerico, in bilico fra melanconico e collerico, una disposizione che sottendeva una chiara allusione al carattere dell’uomo che fu Giuliano della Rovere. Di lì a poco gli studi monumentali di Tolnay avrebbero gettato una luce nuova sulla storia del monumento, ponendo l’accento sulla sua complessità: «la sto-
ria della tomba di Giulio ii è una sinossi dello sviluppo artistico e spirituale di Michelangelo, dall’ideale eroico della sua giovinezza alla conversione religiosa dell’età avanzata»82. Forse per la prima volta la critica prendeva atto che il monumento di S. Pietro in Vincoli sottendeva un fondamentale cambio di poetica e di stile in Michelangelo, senza il quale non era possibile comprenderlo adeguatamente. «La versione finale della tomba è al tempo stesso il riflesso della perdita di una potente idea della sua giovinezza e la diretta espressione delle nuove aspirazioni spirituali della sua vecchiaia»83. Tuttavia anche per Tolnay «La versione finale della tomba di Giulio ii è l’ultimo capitolo di una battaglia»84. L’apporto di Tolnay alla conoscenza di Michelangelo e del monumento resta un punto fermo nell’esegesi michelangiolesca. Alla tomba lo studioso si dedicò fin dagli anni Trenta, quando ricostruì le nuove trattative fra 1525 e 1526 per una nuova versione del monumento, a parete, sul modello di quelle quattrocentesche di Paolo ii e Pio ii, certamente una delle sue aquisizioni più importanti85. Lo studioso si dedicò al monumento in forma monografica nel quarto dei suoi volumi su Michelangelo86. La complessiva ricostruzione della storia della tomba attraverso sei progetti (Tolnay non credette a quello “titanico” suggerito da Laux) è non solo esemplare per la ricchezza del materiale documentario raccolto, ma anche per l’originalità dell’interpretazione. La sua lettura del primo progetto del 1505 in particolare, pur tenendo conto delle precedenti che avevano sottolineato con forza l’ispirazione dall’antico (da Justi a Panofsky) tenne conto anche degli studi più recenti sulla pianta centrale, ricondotta all’antica tradizione religiosa dell’architettura del martyrium (da Wölfflin a Riegl, Reymond e Dvořák). Tolnay poteva interpretare in questo modo il monumento-mausoleo come la celebrazione della vittoria e della diffusione della fede cristiana in tre zone. Ma il monumento sarebbe stato più in generale grazie all’arte di Michelangelo un’immagine dell’universo, e della progressiva ascesa dello spirito umano dalla vita materiale a quella spirituale, simbolo della condizione dello spirito umano (ante legem, sub lege, sub gratia). Altri approfondimenti riguardano i Prigioni, dei quali cerca di seguire l’evoluzione in Michelangelo, dal loro primo concepimento nei disegni agli Schiavi di Boboli87. Ad essi attribuisce però una problematica datazione tarda, fra 1530 e 1534, per la base del progetto del 1532, ridimensionando da un lato il problema dimensionale alla loro condizione di «non finito» e ricollegandoli dall’altro alla forma gigante del Giudizio Universale88. Lo studio, condotto in contemporanea, della tomba costituì per Johannes Wilde un osservatorio per tracciare e seguire lo sviluppo artistico di Michelangelo nel lungo arco di tempo che ne caratterizzò la difficile realizzazione89. Essa potè essere così spiegata non più come la storia degli eventi che ne avevano condizionato la genesi, quanto come la storia di una creazione segnata da diverse fasi stilistiche ripercorribili al suo interno e nel confronto con la produzione coeva. Ne derivò una lettura molto suggestiva dal punto di vista stilistico, specialmente per quelle fasi sino ad allora meno considerate negli studi. Wilde assegnò infatti un posto importante al progetto del 1516, perché lo ritenne non solo un passaggio cruciale per il ridimensionamento dei primi progetti, ma anche il più innovativo dal punto di vista creativo, interpretandolo come una vera rottura con la tradizione dei monumenti funebri rinascimentali sul modello di quelli del Sansovino. La composizione addossata a uno dei due lati lunghi con l’elevazione di una nicchia laterale per i due brevi era una creazione che affidava infatti per la prima volta alla struttura architettonica stessa l’unità e la monumentalità dell’opera90. Attraverso l’adozione della profondità delle nicchie laterali la plasticità dell’intera struttura diventava misurabile e obbligava lo spettatore ad apprezzare la varietà di profondità della facciata da un unico punto di vista, quello frontale. Michelangelo nel 1516, sostenne Wilde, era essenzialmente interessato, e per la prima volta, ai problemi della composizione
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architettonica, un interesse che fu anche il fondamento per accettare la sfida della facciata di S. Lorenzo a Firenze. In effetti lo studioso segnala nei disegni dei due progetti analogie e similitudini che gli hanno consentito di stabilire un nesso molto forte tra le due opere e un giudizio su Michelangelo architetto: l’artista, come tutti gli architetti suoi contemporanei, iniziò come classicista, ma fortemente non classica fu la relazione che stabili fra i due ordini (tanto nella facciata di S. Lorenzo che nel progetto della tomba del 1516), mostrando tutto il suo spirito di indipendenza. La tensione e lo sforzo costruttivo imposto infatti all’ordine inferiore nel sostenere la gran massa superiore fu portata nei due progetti a livelli estremi. Nei progetti successivi, la Sagrestia Nuova e la Libreria, Michelangelo avrebbe spinto ancora oltre il suo anticlassicismo architettonico. Dopo il 1516 pertanto l’interesse per il monumento sarebbe venuto meno, avendo l’artista focalizzato altrove la sua attenzione e alla tomba sarebbe ritornato solo nei brevi intervalli fra una commissione e l’altra. Lo stesso disinteresse avrebbe caratterizzato anche la sua realizzazione, fra 1542 e 1545. Poca attenzione rivestì pertanto per Wilde la delucidazione del monumento di S. Pietro in Vincoli, ricorrendo per esso alle parole più negative del racconto di Condivi: la tomba era un «patchwork». E negativo fu indiscriminatamente non solo il giudizio sul monumento, ma anche su tutte le statue del piano superiore: Vergine, Profeta, Papa e Sibilla, definite uno «shock» per lo spettatore, e mai toccate da Michelangelo. Tale affermazione, contraddetta già dai documenti che raccontano una storia molto più complessa – che Wilde però non tenne in alcun conto – è smentita oggi dall’analisi delle opere rese possibili dal moderno restauro. L’attenzione dedicata da Weinberger alla tomba nel suo lavoro monografico su Michelangelo fu molto ampia, e illuminanti sono state le sue riflessioni soprattutto sulla fase intermedia della storia del monumento. Weinberger sostenne che i cambiamenti del contratto del 1516 dimostravano che gli elementi architettonici del monumento erano abbastanza flessibili da consentire, entro certi limiti, espansioni e contrazioni che lo studioso indicò nel passaggio da un progetto all’altro. Questo si rivelò fondamentale soprattutto per sciogliere alcune delle questioni relative al progetto del 1516 e alle statue di maggiori dimensioni realizzate a partire dal 1519. Egli sostenne che Michelangelo avesse realizzato effettivamente i quattro Schiavi di Boboli nell’estate del 1519, dopo la stesura del terzo contratto, per quanto questo non fosse dimostrabile fino in fondo attraverso le fonti documentarie (doc. 195). Essi avrebbero completato il progetto del 1516 con i quattro già esistenti a Roma. Ritenne infatti che alla partenza per Firenze Michelangelo non avesse lasciato solo tre statue sbozzate in uno stadio avanzato, gli Schiavi del Louvre e il Mosè, ma molte di più. Di altri due Prigioni dispersi ritrovava traccia in due documenti successivi alla morte di Michelangelo, e questo si rivelò decisivo per la sua ricostruzione del monumento negli anni 1516-1519. I nuovi Schiavi si sarebbero adattati senza cambiare la disposizione generale del monumento, ma solo una piccola parte di quelle architettoniche, in particolare i pilastri a cui andavano addossati. Era impensabile infatti che Michelangelo avesse creato le nuove statue senza avere anche un’idea di come sistemarle. Sui motivi che spinsero l’artista a creare figure di maggiori dimensioni l’autore diede diverse spiegazioni. L’architettura del progetto del 1516 era diventata nella sua parte superiore maggiore di quella inferiore, per cui modifiche anche nella sua parte inferiore, tanto nella scultura che nell’architettura, erano diventate necessarie. Nell’aumento di proporzioni poi, proprio come nella Sistina, si era di fronte a un continuo aumento di scala del «work in progress»91. Michelangelo non fu mai disturbato dalla differenza di scala fra vecchio e nuovo. Nel 1519 avrebbe risolto le differenze fra le statue inserendo uno zoccolo di marmo fra le vecchie statue e i plinti su cui poggiavano, come fece poi nel 1545 con le statue di Lia e Rachele, troppo piccole per le loro nicchie. Se poi i Prigioni più alti fossero
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La fortuna critica della tomba di Giulio ii dal Cinquecento a oggi
stati addossati alle nicchie laterali, la differenza di proporzioni sarebbe divenuta impercettibile92. Per quel programma poi, Weinberger escludeva l’uso del Mosè, «il custode dell’angolo retto del monumento», le cui dimensioni erano ormai troppo grandi per poterlo inserire nella nuova nicchia, e al suo posto ipotizzò una statua più piccola, come poi più tardi fu realizzata, di Profeta e Sibilla. La parte superiore sarebbe infatti rimasta inalterata93. Poco dopo, la pubblicazione della monografia di Frederick Hartt su Michelangelo alimentò il dibattito critico sulla tomba. Hartt sottolineava che, nonostante il monumento fosse uno tra i più documentati del Rinascimento, la sua fase finale non fosse in realtà affatto chiarita, e ciò nonostante le montagne di documenti superstiti94. Condivide con Wilde l’importanza del progetto del 1516, che a suo avviso pur essendo una riduzione dei precedenti, ne rappresenta un miglioramento dal punto di vista estetico95. Ed è tra i pochi a pensare che Michelangelo, alla partenza da Roma per Firenze nel 1516, abbia lasciato una serie di statue la cui datazione è generalmente posticipata. E tra queste la statua del Papa, assumendo come riferimento il documento del 1508; forse la Madonna col Bambino, e probabilmente il Profeta e la Sibilla, insieme a diverse parti architettoniche. Per la ricostruzione del progetto del 1532 Hartt assume con Tolnay che le sei statue menzionate dal contratto come statue autografe esistenti fra Roma e Firenze fossero costituite dai quattro Schiavi di Boboli, dalla Vittoria e dal Mosè. Tale ricostruzione elude però come quella il problema della settima statua, quella del Papa, che non poteva non essere prevista dal monumento. Anche Hartt non apprezza comunque «the final disastrous version of 1542». Il successivo apporto di Ch.L. Frommel alla storia della tomba si concentra ancora una volta sul primo progetto, il più indagato negli studi, analizzandone un aspetto rimasto quasi inesplorato: quello relativo alla committenza di Giulio ii96. Nuove sono perciò le acquisizioni sui motivi che spinsero il papa a sostenere fin dai primi anni del suo pontificato l’impresa e le conclusioni cui l’autore perviene attraverso l’esplorazione di un materiale sino a quel momento poco considerato: i documenti finanziari e le opere di uno dei più fidi teologi e consiglieri del papa, Egidio da Viterbo. Frommel analizza anche il rapporto fra il primo progetto per la tomba e il nuovo S. Pietro, una questione che, affacciatasi spesso negli studi – almeno da Burckhardt in poi e da poco riproposta97 –, non era mai stata affrontata in relazione al comune committente. Il nuovo punto di vista permette all’autore di rileggere diversamente anche documenti già pubblicati da Pastor alla luce di quelli da poco rinvenuti sulla fabbrica di S. Pietro98. Indagando i documenti finanziari, Frommel suggerisce che a indurre il committente ad accantonare temporaneamente il primo progetto della tomba sia stato l’ingente sforzo economico di fronte al quale venne a trovarsi nei primi anni del pontificato, avendo avviato molti e ambiziosi progetti contemporaneamente. La preminenza iniziale che il progetto della tomba ebbe rispetto al nuovo S. Pietro fu rovesciata sotto l’impellenza del dato economico. Al suo posto si pose l’insorgere della volontà di ricostruire la basilica, la cui prima pietra fu posta nell’aprile del 1506. Quanto alle motivazioni che avrebbero spinto Giulio ii ad accantonare il progetto della tomba per il nuovo S. Pietro, la scelta risiedeva in ragioni personali, familiari, religiose e culturali. Con il nuovo S. Pietro il papa voleva tener fede a una promessa, a un sacro vincolo lasciatogli in eredità dallo zio Sisto iv. Frommel suggerisce, analizzando le opere di Egidio da Viterbo, che il teologo abbia identificato Sisto iv con Davide, e come Dio aveva affidato a quest’ultimo il compito di iniziare la costruzione del tempio da lasciar completare ai suoi eredi (Salomone), così Sisto iv aveva lasciato la ricostruzione del nuovo S. Pietro ai suoi eredi. Tracce di questa «proiezione teologica retroattiva» fra Salomone
e Davide, Sisto iv e Giulio ii, si ritrovano in una predica del 1507 di Egidio, in cui Giulio ii è esplicitamente affiancato a Salomone, e nella bolla di fondazione della Capella Iulia (19 febbraio 1513). L’istituzione della cappella (la cui prima menzione risale al 1511, ma le cui finalità furono chiarite da Giulio ii solo poco prima della sua morte) iscriveva l’impresa di Giulio ii in S. Pietro nella tradizione del coro-mausoleo. La Capella Maxima, dedicata alla Vergine Maria, avrebbe trovato posto nel braccio del coro occidentale, e avrebbe ospitato anche il mausoleo di Michelangelo. Suggestivo è anche il richiamo di Frommel per la tipologia del primo progetto, la tomba isolata a sarcofago, al mausoleo di Alicarnasso, una delle sette meraviglie dell’Antichità, descritto da Plinio. L’edificio si era già imposto all’attenzione degli artisti del Rinascimento. Il prototipo di tutti i mausolei costituì con l’influsso delle tombe imperiali romane una sicura fonte di ispirazione per Michelangelo. La sua mancata realizzazione non ne aveva impedito la diffusione fra gli artisti contemporanei, come testimonia l’improvvisa comparsa di diversi progetti di monumenti funebri a forma di piramide a gradini a partire dal 1518. Quasi contemporaneamente allo studio di Frommel fa la sua comparsa negli studi un nuovo disegno della tomba (Rogers Fund, 62931r; dis. 3; tav. 1) riconosciuto come un originale di Michelangelo99. L’opera è considerata da Hirst inizialmente come uno studio per il secondo progetto, e perciò collocata intorno al 1513. Rappresenta infatti uno studio di tomba a parete, ma in una versione molto semplificata rispetto a quella descritta dal contratto del 1513, e per questo in seguito anticipata, dallo stesso Hirst, al 1505. Il disegno è assunto oggi dalla maggior parte della critica come uno dei primi «modelli» realizzati da Michelangelo per Giulio ii, uno dei tanti che sottopose al papa prima che la scelta si orientasse sul mausoleo libero100. Tale datazione, pur non essendo condivisa da tutti, sembra oggi la più accreditata101. Nell’ultimo decennio del Novecento il contributo di C. Echinger-Maurach, che sistemava e aggiornava sul piano critico tutto quanto prodotto sul monumento, contribuisce alla delucidazione di una parte fino a quel momento poco indagata dagli studi: l’innalzamento della tomba in S. Pietro in Vincoli a partire dagli anni Trenta del Cinquecento102. Rileggendo i documenti, la corrispondenza di Michelangelo con Sebastiano del Piombo, Giovan Maria della Porta, e frate Agostino, la studiosa ricostruisce l’inizio dell’innalzamento della tomba all’indomani della stesura del contratto del 1532 e i lavori di muratura che seguirono da maggio a ottobre 1533. I lavori prepararono la costruzione del piano inferiore del monumento nell’inverno 1533-34, momento in cui si addossò alla parete il lavoro di quadro del basamento pronto in alcune sue parti dal 1513-14, si completarono le parti decorative non ancora finite e furono iniziate forse anche già alcune parti del piano superiore. Probabilmente l’articolazione del piano superiore fu definita dal progetto e dagli interventi del 1532-33 in una forma che successivamente si sarebbe rivelata decisiva per la realizzazione finale. Una conclusione cui era arrivato anche Laux. L’architettura della tomba così eretta in S. Pietro in Vincoli sarebbe rimasta per oltre dieci anni visibile nella chiesa, fino al momento del suo completamento, quando il «quadro del piano superiore» fu dato in appalto da Michelangelo a Francesco d’Amadore. Quanto realizzato in questa fase sarebbe stato registrato dal disegno di Aristotile da Sangallo (dis. 47a; tav. 59), non datato, ma fino a quel momento assegnato dalla critica al 1532 per la presenza là registrata del nome della chiesa. Tale aquisizione ha trovato definitiva conferma in anni più recenti con il ritrovamento di un nuovo disegno, di Anonimo, che raffigura questa fase dell’innalzamento del monumento in uno stadio più avanzato, perché vi restituisce anche la scultura del Giulio ii, unica statua ad essere già sistemata in loco (dis. 49a)103. Il ritrovamento di un nuovo disegno di Michelangelo nel 1991 (dis. 1; tav. 2)
stilisticamente databile al 1505 ca., ha riaperto negli studi il dibattito sui primi pensieri di Michelangelo per la tomba nel 1505104. Il nuovo disegno del Louvre presenta infatti un monumento addossato alla parete su uno dei lati brevi e focalizza l’attenzione sul sarcofago del papa disposto in profondità in uno spazio che sembra già quello della cappelletta prevista dai contratti del 1513 e del 1516. L’attenzione di Michelangelo per un modello di tomba a parete documentata anche da questo disegno, e per soluzioni mantenute poi nel passaggio da un progetto all’altro, ha riaperto la discussione sulla tipologia del progetto del 1505. Se cioè Michelangelo nel 1505 avesse concepito effettivamente un monumento libero per il coro di S. Pietro, o piuttosto già uno a parete, una questione non secondaria per lo studio della scultura funeraria del Rinascimento105. Non v’è repertorio moderno infatti che non abbia trattato dei monumenti funebri rinascimentali senza confrontarsi non solo con il monumento di S. Pietro in Vincoli, ma soprattutto con i suoi mancati progetti, in particolare con il primo, il mausoleo libero106. Quest’ultimo, per essere documentato solo dalle fonti (Vasari e Condivi), è stato anche messo in discussione, e considerato da una parte della critica più il riflesso della tradizione storiografica rinascimentale che un progetto storicamente esistito107. Un contributo originale alla lettura dei primi progetti del monumento è quello di John Shearman108. Nuovo è il punto di vista adottato per spiegare la genesi del monumento: l’interazione intercorsa fra l’artista e il suo mecenate. Benchè non fossero mancati fino a quel momento studi sul ruolo del committente, Giulio ii, nuovo fu tuttavia il punto di vista di Shearman: che la creatività che prelude al concepimento dell’opera non fosse appannaggio solo dell’artista, ma anche del suo mecenate. Molto più dell’artista, fu la tesi di Shearman, il cardinale Giuliano della Rovere aveva avuto modo nei suoi soggiorni fuori d’Italia di fare la conoscenza di monumenti funebri e di luoghi che si sarebbero rivelati decisivi per la commissione del proprio. Analizzando la storia personale del cardinale, lo studioso individua almeno tre punti per i quali le sue idee sarebbero state importanti per la sua tomba, soprattutto per i suoi primi progetti. Per quello del 1505, una camera a volta o tempietto accessibile dal retro per permettere al visitatore di contemplare il sarcofago, il modello principale veniva individuato nella tomba santuario di san Bernardino all’Aquila, eseguita fra il 1500 e il 1505. Giuliano, di quel progetto, aveva visto la realizzazione della cassa, fra 1480 e 1481, mentre era legato in Francia e frequentava la corte. Essa fu infatti il prezioso dono di Luigi xi come adempimento di un voto durante una malattia. È probabile dunque che l’idea del monumento libero del 1505 fosse di Giulio ii più che di Michelangelo. Anche l’idea che il modello da seguire fosse la tomba di un santo viene ricondotta più alla volontà del committente che del suo artista. Per la sua mancata realizzazione Shearman invoca le mutate funzioni liturgiche del braccio orientale di S. Pietro, il luogo inizialmente deputato ad accogliere il monumento. A seguito della decisione presa dal papa di ricostruire il vecchio S. Pietro, forse già nel 1506, quello spazio sarebbe stato destinato alla Capella Papalis, informazione suggerita dalla bolla del febbraio 1507. Tuttavia un nuovo cambiamento intorno al 1509 avrebbe interessato ancora questo spazio, che sarebbe stato destinato poi alla Capella Julia o Maxima, dedicata alla Vergine, uno spazio volto ad accogliere un corpo di ventiquattro coristi e la propria tomba. Per questa cappella la bolla di fondazione del 19 febbraio 1513 richiama esplicitamente la Cappella del Coro di Sisto iv, la sua cappella funeraria, analogamente dedicata alla Vergine109. Per essa Shearman richiamava però un episodio ancora precedente della storia personale del cardinale della Rovere, la fondazione nella cattedrale di Nôtre-Dame-desDômes ad Avignone di un coro che doveva partecipare a una messa quotidiana in onore della Vergine e dopo la sua morte a una messa da requiem. Al 1509 ca. fa
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risalire Shearman il progetto raffigurato nel disegno di New York. Tale datazione si giustificava meglio con l’iconografia salvifica del grande rilievo centrale, che richiama lo stesso tema raffigurato nella volta della Sistina e lì affidato soprattutto agli Ignudi, ossia il vagheggiamento di una perduta età dell’oro, cui alludono gli eroi intenti a nutrirsi delle ghiande cadute dalla quercia dei Della Rovere. Le vicende storico-critiche del monumento fin qui ricostruite si presentano, attraverso le stroncature che l’hanno accolto nei suoi cinque secoli di vita come un caso esemplare di sfortuna critica di un monumento. Molto più ha interessato gli studi la ricostruzione dei mancati progetti che la sua realizzazione finale, con pochissime eccezioni. Il moderno restauro che ha interessato la tomba dal 1998 al 2003 e la ripresa degli studi che l’hanno accompagnato ha avuto il merito non solo di ripristinare l’opera il più vicino possibile a come l’aveva concepita il suo autore, ma di proporre anche dati nuovi provenienti da un lato dalla rilettura critica delle fonti e dall’altra dall’analisi della materialità dell’opera. Essi contribuiscono a restituire una lettura più equilibrata del monumento e rendono definitivamente superate interpretazioni critiche in disaccordo, quando non addirittura in contrasto, con i documenti. La rilettura documentaria, sfociata nell’individuazione di due nuovi documenti per la storia della tomba – la testimonianza contenuta in una delle due Aggiunte all’Anonimo Magliabechiano, quella del 30 marzo del 1544 (doc. 421) e una correzione contenuta nella supplica del 1542 (doc. 388) riguardante la statua del papa – ha portato a importanti precisazioni in merito alla fase finale, quella che interessa la sua messa in opera iniziata con il contratto del 1532 e conclusasi con la definitiva sistemazione, ai primi del 1545110. Lo studio della materialità dell’opera suggerisce invece una rivisitazione della cronologia delle statue. In particolare il Profeta e la Sibilla – ma nuove acquisizioni hanno interessato anche il Mosè – chiedono di essere assegnate a un momento cronologicamente diverso da quello fin qui considerato, rimettendo in discussione la loro tradizionale datazione111. L’abbondante tradizione documentaria sul monumento – qui riproposta in modo esaustivo – riconfermandosi quanto mai affidabile, ha finito col restituire una nuova centralità anche alle due statue della Vita attiva e della Vita contemplativa, sgombrando definitivamente ogni dubbio circa l’autografia michelangiolesca (docc. 399, 410, 429-430). La loro realizzazione, per essere il frutto della tarda creatività del maestro, ne riflette anche appieno la nuova e spiritualissima fase creativa di quegli anni.
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Una produzione che si comprende appieno adesso alla luce degli ultimi studi storici sul Beneficio di Cristo, che assegnano un ruolo significativo all’uomo Michelangelo, e che si riflette anche nella forma definitiva del monumento ripensato fra 1541 e 1542112. Fra i contributi più importanti del moderno restauro va segnalata indubbiamente la riscoperta della statua del papa, il Giulio ii, una scultura oggi ricongiunta all’autografia michelangiolesca (almeno per le sue parti principali)113. Segnalatasi fin dall’inizio del restauro per la qualità artistica delle sue parti principali, è stata oggetto di rinnovato interesse negli studi degli ultimi anni. Come ha chiarito infatti la ricostruzione della sua fortuna critica, essa per una tradizione storiografica corrotta che si può far risalire fino a Vasari, era stata impropriamente attribuita al lavoro di Maso dal Bosco, ed espunta perciò dal novero delle statue di Michelangelo. La vicenda critica del Giulio ii ha riproposto in verità con forza un problema di difficile soluzione presente nella tomba, quello del ruolo svolto dagli aiuti di Michelangelo nella realizzazione del monumento, e la difficoltà di risalire alla sua mano quando ad essa si sovrappone l’intervento degli aiuti. Una questione che si ripropone in misura diversa per tutte le statue del piano superiore: Madonna col Bambino, Sibilla, e Profeta, tutte sbozzate da Michelangelo e date da finire a Raffaello da Montelupo che le portò a termine con i suoi collaboratori. Un problema che impone una lettura dell’opera non solo stilistica, ma che tenga in maggiore considerazione anche l’analisi e lo studio, certamente più complessi, della sua materialità. La migliore conoscenza dei dati materiali e il ripristino di una più corretta lettura critica induce oggi a rivedere il mancato apprezzamento di un’opera cui Michelangelo, fino alla sua realizzazione, dedicò molte delle sue energie creative. Per secoli la tomba di Giulio ii, così come realizzata in S. Pietro in Vincoli, è apparsa solo come il modesto risultato di un grande progetto tradito, un’idea alimentata in parte dallo stesso Michelangelo, che ha finito col precludere la comprensione stessa dell’opera, alienandola, in tutto o in parte, dal suo artefice. La nuova consapevolezza – scaturita tanto dai dati documentari che dall’analisi materiale – che Michelangelo si assunse la responsabilità del suo completamento in prima persona induce oggi a rivederne la sua mancata considerazione.
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La tomba di papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi Christoph Luitpold Frommel A mia sorella Veronika
parte prima i primi nove progetti e le vicende sino al i. i progetti per
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Giulio ii e l’inizio dei lavori
Giulio ii e il coro-mausoleo di S. Pietro Alla morte di Alessandro vi, dopo il ritorno a Roma nell’agosto 1503 dal lungo esilio francese per partecipare al conclave, Giuliano della Rovere raggiunse – dopo il breve pontificato di Pio iii – la meta per la quale aveva lottato per decenni, e il primo novembre venne finalmente eletto papa (fig. 1)1. Uno dei suoi più intimi confidenti, il neoplatonico Egidio da Viterbo, generale degli Agostiniani, racconta che Giuliano si riteneva predestinato a ricoprire un tale ruolo e che già da cardinale aveva sognato di rinnovare la basilica di S. Pietro, la cui abside non era più in grado di rispondere alle molteplici funzioni di una basilica pontificia. L’impresa era stata avviata nel 1451 da papa Nicolò v Parentuccelli (1448-55), anch’egli ligure, il cui architetto Bernardo Rossellino aveva progettato di aggiungere al vecchio corpo longitudinale una nuova crociera, coperta da cupola e con tre ampi bracci. Con i successivi sette papi il progetto non andò però oltre l’inizio, e le strutture in rovina dovettero indurre Giulio ii a proseguirne la realizzazione. Lo zio Sisto iv della Rovere (1471-84) aveva aggiunto alla navata sinistra dell’antica basilica una propria cappella per il coro, senza bandire il Capitolo dalla navata centrale. Aveva anche deciso di farsi tumulare dietro l’altare della nuova cappella, consacrato alla Nascita della Vergine; alla sua morte Giuliano commissionò al Pollaiuolo la lastra tombale bronzea, poi collocata davanti all’altare. Da secoli i principi avevano scelto come luogo di sepoltura il coro di una cattedrale o di una importante chiesa abbaziale, dove avrebbero potuto beneficiare delle numerose messe funebri e delle preghiere del coro. Seguendo la stessa tradizione Giuliano fece erigere dietro l’altare maggiore della basilica dei SS. Apostoli, la chiesa del convento francescano adiacente alla propria residenza romana, un coro-mausoleo per collocarvi le tombe del cugino Pietro Riario e del padre Raffaele, che gli erano premorti, opere entrambe di Andrea Bregno. Inviato nel 1480 come legato pontificio ad Avignone, aveva fatto aggiungere alla chiesa di Nôtre Dame-des-Dômes il coro per farvi celebrare una messa quotidiana in onore della Vergine e, dopo la sua morte, una messa in suffragio della propria anima2. Nell’autunno 1505, salito al soglio pontificio, commissionò a Bramante e ad Andrea Sansovino il mausoleo del cardinale Ascanio Sforza per il coro dei monaci in S. Maria del Popolo, pensando di creare anche una nuova abside per il trono da cui intendeva assistere alle annuali messe papali. In questo momento aveva già deciso di rinnovare S. Pietro e fare del braccio occidentale del coro la propria cappella sepolcrale. Con il suo infallibile istinto per le qualità di un artista, Giulio ii aveva riconosciuto in Bramante l’architetto in grado di dare forma visibile alle sue utopie imperiali, e subito dopo l’elezione lo incaricò del rinnovamento del palazzo Vaticano. Probabilmente il grandioso progetto lo impressionò a tal punto da indurlo, all’inizio del 1505, alla decisione di ricostruire anche la basilica di S. Pietro. Poco dopo, primo papa a ispirarsi agli imperatori romani, progettò ancora in vita la propria tomba. Invitò a Roma il giovane Michelangelo, di cui aveva già potuto ammirare il multiforme talento nelle opere romane come il Bacco e la Pietà, e il 25 febbraio ordinò che gli venisse inviata, attraverso la banca fiorentina dei Salviati, la notevole
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somma di 100 ducati per le spese di viaggio e per il sostentamento durante le prime settimane del soggiorno romano (doc. 1)3. Poco dopo, giunto a Roma e già probabilmente impegnato nel progetto per la tomba in posizione isolata, Michelangelo il 27 marzo ne ricevette altri 60 (doc. 2)4. Secondo Ascanio Condivi «passarono molti mesi prima che Giulio Secondo si risolvesse in che cosa dovesse servirsene»; ma l’amico biografo racconta solo quanto Michelangelo riteneva opportuno per creare il proprio mito di protagonista tragico. Quando il papa gli chiese in quale luogo si sarebbe potuta collocare la tomba, scrive sempre Condivi, Michelangelo avrebbe proposto non solo di portare a termine il braccio del coro di Niccolò v per utilizzarlo come cappella funeraria, ma anche di rinnovare l’intero S. Pietro, dando così l’impulso decisivo per la sua ricostruzione (doc. 447)5. È ben più informato Vasari nella prima edizione delle Vite (1550) quando scrive che Giuliano da Sangallo avrebbe inizialmente consigliato al papa di aggiungere alla antica basilica una cappella sepolcrale, forse il mausoleo simile al Pantheon che Giuliano propone sui fogli 59v e 74 del Codice Barberiniano, che potrebbe essere stato realizzato accanto alle due tombe tardoantiche a sud della basilica (doc. 436)6. Nell’edizione del 1568 ripeterà invece la versione di Condivi, forse udita nel frattempo dallo stesso Michelangelo (doc. 466). Entrambi i biografi, come anche una lettera dello stesso Michelangelo del maggio 1506 (doc. 26), concordano comunque sul fatto che la tomba avrebbe dovuto essere eretta nei pressi o all’interno di S. Pietro. Poiché la cappella funeraria di Sisto iv era destinata a soccombere nella nuova costruzione, Giulio ii pensò di trasferirne l’intitolazione a Maria nascente all’altare della nuova cappella del coro, e certamente di spostarvi anche la lastra tombale del Pollaiuolo. Il progetto di New York per la tomba a parete (febbraio-marzo 1505) Il primo disegno conservato di Michelangelo per il monumento è senza dubbio quello di New York, che costituisce anche il suo primo progetto autografo tra-
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La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
4. Tomba di re Dagoberto, xiii secolo, Parigi, chiesa abbaziale di Saint-Denis.
Pagine precedenti: 1. Raffaello, Giulio ii, 1511, Londra, The National Gallery. 2. Bramante, primo progetto per S. Pietro, 1505, Firenze, Galleria degli Uffizi, gdsu 3ar. 3. Antonio Rossellino, Tomba del cardinale del Portogallo, 1460 ca., Firenze, S. Miniato al Monte.
mandato in pulito (dis. 3; tav. 1). In questo, come nel progetto per la tomba libera e in quello del 1516, l’artista sembra servirsi come misura del braccio fiorentino (b.f.) di 58,4-58,6 cm7. Se le statue, come nei successivi progetti del 1505, 1513 e 1516, fossero state alte 3 2/3 b.f. ca. (215 cm), i fusti dei pilastri sarebbero stati larghi ½ b.f. ca., o 1 piede romano (29,8 cm) (dis. 1; tav. 2). Il basamento avrebbe misurato in larghezza 480 cm ca., solo di poco più grande delle tombe di Andrea Sansovino in Santa Maria del Popolo8, e il piano superiore (senza le cornici) 400 cm ca., mentre l’altezza complessiva sarebbe stata il doppio della larghezza. Il disegno sembra contemporaneo al primo progetto per la basilica, nel quale Bramante si concentra sulla crociera e sul coro, cioè sull’area della futura cappella funeraria di Giulio ii (fig. 2)9. Bramante colloca l’altare maggiore sotto l’arco trionfale, e quello capitolare e gli stalli dei canonici nell’abside, dove si sarebbero celebrate le messe in suffragio dell’anima del pontefice. Le due nicchie praticate nella parete davanti all’abside, ampie all’incirca quanto il piano superiore del progetto di New York, sembrano destinate alle tombe di Giulio ii e Sisto iv (tav. 239). Queste, che avrebbero dovuto avere un’altezza simile a quella dei successivi progetti di Bramante, consentono di spiegare la dimensione inusualmente allungata del disegno di Michelangelo, che aveva probabilmente lavorato a stretto contatto con Bramante, ispirandosi per l’altezza del basamento, di 290 cm ca., ai piedistalli dell’ordine colossale bramantesco. I pentimenti appena percettibili nel disegno mostrano che in origine le nicchie del piano inferiore erano previste più in alto, e quindi che anche il basamento doveva essere ancora più alto. Articolato lateralmente da nicchie con statue, sarebbe sporto di 1,60 m ca. rispetto alla parete. Pur richiamando le opere contemporanee di Bramante, gli elementi architettonici del progetto non sono ancora collegati in modo simile, né disegnati perfettamente ortogonali. La terza dimensione è evocata solo con l’ombra e con evidenti concessioni alla prospettiva quattrocentesca. Le figure, magistralmente disegnate, consentono una datazione intorno al 1505, e tolgono ogni dubbio su un’attribuzione ad altra mano10. I capitelli, come il rapporto di circa 1:9 delle colonne, sono di ordine corinzio, rapporto che Vitruvio riteneva adatto a divinità «virginali»11. Le colonne proseguono negli aggetti della trabeazione tripartita e nell’archivolto, parzialmente tagliato, e sono collegate a pilastri che svolgono la funzione di diaframmi interposti rispetto alla parete12. Michelangelo parte dalla tipologia della tomba tardo-quattrocentesca a parete, così familiare che ancora intorno al 1525 proporrà i monumenti funerari di Paolo ii e Pio ii come modelli per una versione ridotta del progetto (docc. 270, 272, 275-276)13. Sostituendo con angeli i santi e le virtù dei precedenti monumenti funebri, segue il modello della tomba del cardinale del Portogallo in S. Miniato al Monte, di Antonio Rossellino, che secondo Vasari Michelangelo apprezzava in modo particolare (fig. 3)14. Due angeli, simili alle Vittorie che nei sarcofagi romani recavano in cielo le anime dei defunti, reggono un clipeo con la Madonna col Bambino; nonostante gli angeli siano di sesso maschile, l’analogia formale non può non presentare anche un significato simbolico. Quattro dei sei cherubini che attorniano la Madonna sono scolpiti a rilievo stiacciato donatelliano. Candelabri con le fiamme della vita eterna ornano le paraste di ordine corinzio su cui sono inginocchiati due angeli che incorniciano il sarcofago classicheggiante. Quello di sinistra regge in corrispondenza della testa del cardinale una corona, simbolo per Vasari della sua castità, mentre quello di destra tiene una palma, simbolo – sempre secondo Vasari – della vittoria sul mondo, entrambi simboli presumibilmente dell’immortalità della sua anima. Due angioletti tengono il prezioso drappo su cui giace. Sullo zoccolo del sarcofago due genietti alati con cornucopie fiancheggiano due unicorni, simbolo di castità, e due candelabri tra i quali è teso un festone con un
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teschio. Su uno dei lati brevi dello zoccolo l’anima alata, come nel Fedro di Platone, guida verso il cielo il carro con due cavalli; sull’altro un eroe nudo, nella posa del dio Mitra, sacrifica un toro, simbolo della natura animalesca. Due angeli dipinti scostano la cortina, rivelando la pala d’altare di Pollaiuolo con i santi patroni. Nella parete di fronte, sopra il vuoto seggio episcopale, l’angelo annuncia alla Vergine la nascita del Salvatore. Nei pennacchi sono dipinti dei Profeti e nelle lunette gli Evangelisti e i Padri della Chiesa. Nella volta quattro angeli con lo stemma cardinalizio e i simboli delle Virtù cardinali circondano lo Spirito Santo, che discende attraverso le gerarchie celesti, gli Evangelisti, i Padri della Chiesa e i Profeti alla Vergine, i santi patroni e gli angeli sino all’anima del cardinale. Includendo i cherubini, sono presenti ben ventidue angeli, più che in qualsiasi altra cappella funeraria del Quattrocento. Il loro ruolo predominante trova probabilmente spiegazione nel pensiero neoplatonico: liberi dalla prigione del corpo e senza la minaccia del peccato, dotati della più perfetta bellezza e invisibili sono gli esseri più vicini al Dio, di cui sono gli araldi, i protettori delle anime dei fedeli che, secondo Pico della Mirandola, dopo la morte divengono angeli.15 La costruzione della cappella del cardinale del Portogallo ebbe inizio nell’estate 1459 poco dopo la morte del prelato, quando il neoplatonismo aveva già pervaso Firenze, e influenzato forse anche il programma delle tombe di Leonardo Bruni e Carlo Marsuppini. Dagli inizi del xiv secolo grazie a Dante, Petrarca, Giotto e agli altri artisti toscani del Trecento la bellezza terrena, condannata da san Paolo e da coloro che vi si richiamavano, aveva riacquistato una priorità in precedenza goduta solo nella Grecia antica. Leonardo Bruni traduce gli scritti di Platone e
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gli umanisti vi si basano per giustificare il culto della bellezza. Nel 1462 Cosimo de’ Medici fonda un’accademia neoplatonica cui pone a capo Marsilio Ficino, figlio del suo medico16. Benché nella sua Religione platonica Ficino condivida la condanna della poesia e delle arti affermata da Platone nella Repubblica, perché queste, diversamente dalla natura, indirizzano l’uomo all’inganno e non alla verità, meta suprema della filosofia17, nella maggior parte degli altri scritti elogia il potere conoscitivo della poesia e persino delle Arti liberali e di quelle figurative che ne fanno parte18. Cristoforo Landino elogia Antonio Rossellino, lo scultore del monumento funebre, come uno dei protagonisti dell’arte fiorentina19, mentre Pollaiuolo, legato da amicizia a Ficino e ad Antonio Manetti Ciaccheri – probabile primo architetto della cappella – ha forse da poco realizzato la villa di Fiesole di Giovanni de’ Medici, uno dei luoghi d’incontro dell’accademia neoplatonica20. Nel progetto di New York Michelangelo va molto oltre il monumento del cardinale del Portogallo, creando nella profondità della nicchia uno spazio per l’azione sacra. La Vergine, di dimensioni molto maggiori delle altre figure, scende dal cielo in una mandorla, e indica la futura piaga su una mano del Bambino Salvatore, che con l’altra benedice il papa dormiente. La grazia e l’amore della Madonna ispirarono ancora nel 1512 Raffaello nel dipingere per Giulio ii la Madonna Sistina come ringraziamento per la liberazione dell’Italia settentrionale21, e Michelangelo stesso la ripropose nel progetto per la tomba del 1513 (dis. 7/copia 1; tav. 24). Due angeli liberano l’anima del papa dal carcere terreno del corpo – al quale prima del Giudizio Universale non è concesso l’ingresso in Paradiso – per trasportarla verso l’alto. Mentre uno degli angeli s’inclina verso il papa che, ringiovanito e senza barba, ancora indossa gli abiti pontificali e la tiara, altri due
privi di ali lo aspergono con l’acqua benedetta e lo consacrano con l’incenso; due angioletti, seduti sul sarcofago di forme classicheggianti, annunciano con fiaccole accese la salvezza della sua anima. L’anima del papa è a figura intera, a differenza dell’imperatrice Sabina raffogirata a mezzo busto nell’Apoteosi dei Musei Capitolini, o delle anime rimpicciolite come bambini della tomba di Dagoberto a Saint-Denis (fig. 4)22, o del vescovo Santarelli in S. Caterina a Pisa23. Sotto la protezione dei santi Dionigi, Maurizio e Martino il re capetingio deve attraversare il Purgatorio prima che gli angeli lo santifichino con incenso e acqua benedetta sottraendolo alle grinfie del diavolo. Nel disegno di Michelangelo gli angeli sono solo sei, e il loro significato è più evidente di quanto non sia nella cappella del cardinale di Portogallo. Tutte le figure sono orientate verso il papa che, anche grazie al sarcofago collocato nella profondità della nicchia, diviene così il fulcro compositivo dell’intera tomba. Un tale spazio di azione sacra ricorda il progetto del 1465 per l’altare maggiore di S. Lorenzo in Damaso a Roma, probabilmente di L.B. Alberti, nel quale due angeli, accedendo da porte laterali, reggono il tabernacolo del Sacramento al disopra del cardinale Scarampi inginocchiato, mentre i santi delle nicchie laterali rivolgono su di lui gli sguardi24. Ma è innanzitutto ispirato a dipinti come l’Adorazione dei Magi di Leonardo, dal quale già in precedenza Michelangelo aveva ricevuto suggerimenti cruciali. Leonardo si concentra qui sull’umanità ispirata da Dio, mentre nelle prime opere aveva attribuito un ruolo centrale agli angeli. Nel disegno di Michelangelo le due figure sedute ai lati del sarcofago non partecipano dello spazio sacro, anche se ne sono collegate in quanto le loro teste e quelle degli angeli con l’acqua benedetta e l’incenso si dispongono a formare un quadrato attorno alla testa del papa. Le corna tra le ciocche dei capelli identificano la figura di destra come Mosè, secondo Esodo 34 nella traduzione della Vulgata: «videbant faciem egredientis Moysi esse cornutam»25. Secondo il commento biblico di Rashi di Troyes e l’Historia Scholastica del xii secolo di Pietro Comestore, che vi si basa, l’etimo della parola ebraica può significare non solo “corna”, ma anche “raggi di luce”26. Artisti come Andrea da Firenze, intorno al 1360, nel Cappellone degli Spagnoli a Firenze, o Cosimo Rosselli, centoventi anni dopo nella Cappella Sistina, sostituirono infatti le corna sulla fronte di Mosè con raggi di luce (fig. 30). San Girolamo, che difficilmente ignorava il problema di traduzione, potrebbe aver scelto il termine più arcaico di “corna” per caratterizzare la divina forza primigenia di Mosè27. Nel 1524 Pietro Valeriano nei suoi Ieroglifici, il manuale delle sacre immagini riscoperte già da Ficino, interpreta le “corna” come simbolo di forza e di sacra dignità, per lui quasi un sinonimo di “corona”, e aggiunge che per questo motivo Mosè dovrebbe essere rappresentato con le corna28. Poiché Mosè ha le corna già in una statuetta del xiii secolo (fig. 29), in un intarsio del pavimento del duomo di Siena ed è così raffigurato anche da Mantegna, non è possibile considerare ciò come il risultato di un semplice errore di traduzione29. Anche Giulio ii non deve aver sentito contraddizione tra le due alternative se circa quattro anni dopo, nel 1509-09, consentirà che Raffaello caratterizzi con raggi di luce il Mosè della Disputa nella sua biblioteca privata. E anche i suoi esecutori testamentari e i successivi papi e cardinali coinvolti nelle vicende della tomba accettarono senza problemi le corna. Non a caso Condivi racconta che la Signoria fiorentina aveva voluto che lo stemma di Michelangelo fosse sormontato da un cimiero cornuto30, assecondando con ciò forse il desiderio di indicare non solo le sue origini nobili, ma anche la sua illuminazione paragonabile a quella di Mosè. I troni delle figure sedute, poggiano su grosse zampe leonine e sono decorati con le ghiande araldiche dei della Rovere. Mosè porta una barba piuttosto corta, e regge con la mano destra le Tavole della Legge che appoggia sulla coscia
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
5. Giuliano da Sangallo, progetto per la Loggia dei Tibicini papali, Firenze, Galleria degli Uffizi, gdsu 283r.
sinistra. Il gomito sinistro è sopra le Tavole, mentre l’indice della mano sfiora la tempia e indica verso l’alto. Pur guardando in avanti, ruota il capo verso il centro della composizione, come se avvertisse la presenza di Dio, senza vederlo, facendo in tal modo comprendere la fonte della sua saggezza. Mosè era considerato il primo dei profeti; aveva condotto il popolo eletto sino ai confini della Terra Promessa senza potervi entrare, ma salito sul Sinai aveva parlato con Dio, aveva visto la sua luce e ne risplendeva. Per il Padre della Chiesa Gregorio di Nissa e per Pico della Mirandola era come Platone31 illuminato dalla saggezza divina, e la sua salita al monte simboleggiava l’ascesa dell’anima. Tutto ciò è già contenuto nel disegno di New York. La figura probabilmente femminile con lunga veste seduta a sinistra si copre il volto col mantello, come Ulisse quando ascolta Demodoco cantare la guerra di Troia. Benché non regga né un libro né un rotolo, potrebbe essere una Sibilla, personaggi che i neoplatonici sulla base di Lattanzio ritenevano come i profeti illuminate da Dio32. Secondo sant’Agostino (De Civitate Dei, xviii, 23) la Sibilla Eritrea aveva previsto il Giudizio Universale e la risurrezione dei morti. Questa potrebbe quindi costituire il significativo contrappunto a Mosè, autore della storia della Creazione33, e la sua disperazione non sarebbe causata dalla morte di Giulio ii, ma dalla visione terrifica della fine del mondo. Nella nicchia a conchiglia sottostante è la Carità, la prima delle tre Virtù teologali, che con la mano sinistra protegge un bambino e con la destra indica il rilievo al centro del basamento, mentre la Fede, sotto il Mosè, indica con la destra il fuoco che scaturisce dal vaso che tiene nell’altra mano. Fede e Carità corrispondono alla Vita contemplativa e alla Vita attiva che per Gregorio Magno, Tommaso d’Aquino e pensatori neoplatonici come Cristoforo Landino costituiscono le due strade della salvezza dell’anima34. Non è chiaro se la figura, priva di attributo, che solleva la mano destra e il cui profilo si scorge sul lato sinistro del basamento accanto al personaggio femminile, sia un’altra Virtù o piuttosto una Sibilla35. L’analoga figura maschile di destra, con barba e capigliatura corte, che guarda verso la Fides, è ugualmente priva di attributo e deve comunque avere un significato corrispondente. La Carità e la Fede delimitano un bassorilievo (di 125 x 150 cm ca.) con la miracolosa refezione del popolo eletto36. La folla affamata tende le braccia alla quercia araldica di Sisto iv e Giulio ii, mentre dal cielo angeli fanno cadere ghiande anziché manna. Il bassorilievo sostituisce lo stemma e l’iscrizione ai quali Michelangelo rinuncerà anche nei progetti successivi per la tomba e nella Cappella Medicea. Probabilmente per desiderio esplicito del duca Guidubaldo di Urbino uno stemma verrà aggiunto alla tomba solo nel 154337. I due giovani ignudi distesi nel campo inferiore, forse dei geni come nella tomba del cardinale del Portogallo, si cibano delle ghiande raccolte in una coppa; i libri su cui si appoggia quello di destra potrebbero indicare che si tratta di cibo spirituale. La scena è confrontabile con i Trionfi progettati da Giuliano da Sangallo per la Loggia dei Tibicini papali: in quello di sinistra putti recano una quercia, mentre su quello di destra il salvatore della comunità, allusione diretta al papa, è incoronato con la corona civilis (fig. 5)38. Secondo Valeriano la quercia è l’albero di Giove, e come le corna costituisce un simbolo di forza, potere e nobiltà39. Egidio da Viterbo vi vede addirittura la promessa della riunificazione della Chiesa occidentale con quella orientale: «sub Iuliana Quercu occidentis ecclesia imperia rursus repetat orientis»40. Nel progetto di New York Michelangelo distribuisce le figure in profondità in circa sette diversi piani successivi che sarebbero stati illuminati dalla cupola e dalle grandi finestre delle volte della nuova basilica. La maggior parte delle statue si sarebbe vista già dalla crociera, ma il visitatore avrebbe percepito lo spazio sacro
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non se n’erano visti dall’Antichità, si sente vicino a Dio creatore e segue Plotino mentre libera la bellezza divina dalla materia informe43. Tornato a Firenze nel 1516, sarà uno dei primi membri dell’accademia neoplatonica risvegliata a nuova vita l’anno precedente da Leone x44, e rimarrà sempre fedele alle idee platoniche, come testimoniano le sue poesie, le lettere e i disegni e lo stesso Condivi45. Deve aver conosciuto l’interpretazione neoplatonica della Creazione dell’Heptaplus, terminato da Pico nel 1489 e dedicato a Lorenzo de’ Medici, la Oratio de hominis dignitate, nella quale Pico elogia l’uomo come essere perfetto, capace – grazie alla conoscenza – di farsi divino46, e il commento di Pico alla Canzona d’amore dedicatagli dal poeta neoplatonico Girolamo Benivieni (1453-1542), che tratta anche dell’amore platonico: «Nell’amor celeste… tutto tende e si drizza alla bellezza spirituale dell’animo, e dell’intelletto, la quale molto più perfetta si trova ne’ maschi, che nelle donne, come d’ogni altra perfezione si vede; però tutti coloro, che di questo Amore sono stati accesi, hanno la maggior parte amato qualche giovane d’indole generosa, la cui virtù è stata ad altri tanto più grata, quanto più quella è stata in un bel corpo, e non si son effeminati dietro a uno armento di meretrici». Il giovane Michelangelo è testimone della stretta amicizia di Pico con Benivieni, che si farà tumulare nel sepolcro di Pico in S. Marco a Firenze, aggiungendo all’iscrizione le parole «in vita coniunxit amor». In una poesia dedicata verso il 1532-33 a Tommaso de’ Cavalieri, Michelangelo riprenderà quasi alla lettera questo pensiero di Pico:
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col papa e la Madonna solo a distanza ravvicinata. In nessuna tomba precedente l’ascesa dell’anima dal mondo terreno a quello ultraterreno è stata raffigurata in modo comparabile. Con tutta probabilità la sepoltura di Sisto iv avrebbe dovuto essere inserita nella nicchia di fronte con un analogo programma iconografico. L’ascesa dell’anima attraverso tre livelli che dal mondo terrestre dei fedeli e delle loro virtù sale alla saggezza divina di Mosè e della Sibilla e da questi alla liberazione dalla prigione terrena, esprime un pensiero neoplatonico e non si ritrova in alcun precedente monumento funebre. La formazione stessa di Michelangelo fa propendere per un’interpretazione in chiave neoplatonica. Lorenzo il Magnifico, che aveva favorito il neoplatonismo in modo ancora più ampio di Cosimo il Vecchio, invitò il ragazzo quindicenne a vivere a Palazzo Medici, dove secondo Condivi e Vasari trascorse circa quattro anni41. Lì fu allievo del poeta neoplatonico Angelo Poliziano (1454-94) e incontrò i due capi del neoplatonismo fiorentino, Marsilio Ficino (1433-99) e Pico della Mirandola (1463-94), e il loro maestro Cristoforo Landino (1425-98), che sopravvissero solo pochi anni a Lorenzo. In questi anni decisivi per la sua vita futura, comprese che per un neoplatonico non vi sono contrasti radicali tra religione cristiana, filosofia di Platone e Aristotele e pensiero arabo-orientale. Dio ha plasmato Adamo a sua immagine come punto culminante della Creazione42, e ciò legittima l’appassionata predilezione di Michelangelo per il corpo umano. La bellezza risveglia nella sua anima l’Eros uranios, il ricordo della sua origine divina e la speranza di tornare a Dio, ed egli comprende che l’amore per un amico altro non è che la nostalgia di unirsi a un’anima fraterna, sebbene il suo corpo difficilmente potesse accontentarsene. Formando corpi così perfetti come
[...] Amore isveglia e desta e ‘mpenna l’ale Ne l’alto vol prescrive al van furore; Quel primo grado, e’ al suo creatore, Di quel non satia, l’alma ascende e sale. L’amor di quelch’i’ parlo in alto aspira, Donna, è disimil troppo; e mal conviensi Arder di quella al cor saggio e verile. L’un tira al cielo e l’altro in terra tira; Nell’alma l’un, l’altr’abita ne sensi. E l’arco tira a cose basse e vile.47 E anche in altri disegni e poesie dedicati a Tommaso tratta dell’ascesa dell’anima che, come Ganimede rapito da Giove, vola in alto al cospetto della bellezza. Dell’amore platonico tratterà ancora intorno al 1545 negli epitaffi per il giovane Cecchino Bracci morto precocemente, e nei colloqui di poco successivi con Condivi48. Riflessioni analoghe si ritrovano anche nei Sonetti di Shakespeare. Panofsky ha convincentemente definito Michelangelo «l’unico platonico genuino tra i molti artisti influenzati dal neoplatonismo»49. Anche Giuliano della Rovere era in contatto, pur non facendone parte, coi rappresentanti della cerchia neoplatonica. Come i Medici, sin da giovane cardinale aveva avuto rapporti diretti con le arti figurative, influenzando probabilmente la committenza dello zio Sisto iv, che nonostante il duro conflitto con Lorenzo chiamò soprattutto artisti fiorentini a decorare la Cappella Sistina e per altri progetti. Sisto ricevette una lunga lettera da Ficino, e riabilitò il Platina, allievo di Pomponio Leto, che nel 1457 aveva incontrato Pico e Ficino e sotto Paolo ii era stato accusato di aderire alle idee platoniche sull’immortalità dell’anima50. Nominò Platina bibliotecario della Vaticana, il quale testimoniò la sua gratitudine nell’affresco dipinto da Melozzo per la Biblioteca, mostrando anche il ruolo dominante del cardinale Giuliano della Rovere nella famiglia di Sisto iv. Il papa riabilitò anche Pomponio Leto che, accusato da Paolo ii di impudicizia, si difese con l’argomento di amare i giovani come Socrate in platonica castità51.
Landino aveva dedicato nel 1472 le Disputationes Camaldulenses a Federico da Montefeltro, suocero di Giovanni della Rovere, fratello di Giuliano. Quest’ultimo deve aver conosciuto questi dialoghi, redatti secondo il modello platonico, stampati già nel 1480 e apparsi sino al 1508 in quattro successive edizioni52, e averne anche discusso col Platina. Nel primo libro Leon Battista Alberti – che i neoplatonici fiorentini consideravano uno dei loro53 – spiega al giovane Lorenzo de’ Medici e al fratello Giuliano l’importanza fondamentale della cognitio, la conoscenza, e della Vita contemplativa per la felicità dell’anima. Il futuro signore di Firenze lo prega di parlare anche della Vita attiva, cosa che Alberti fa basandosi su Gregorio Magno e Tommaso d’Aquino, pur senza menzionarli54. La Vita attiva e contemplativa costituiranno le figure centrali nei progetti per la tomba di Giulio ii55. Nelle commissioni del giovane Giuliano della Rovere lo spirito neoplatonico è però ancora poco presente. Affida al Pollaiuolo, amico di Ficino, la tomba di Sisto iv e quella di Innocenzo viii56, nelle quali i papi non sono circondati da santi e angeli, ma dalle Virtù, e per la prima volta, in quella di Sisto iv, dalle Arti Liberali, che comprendono anche Teologia, Filosofia e Prospettiva. Programmi che senza dubbio risalgono allo stesso Giuliano e nei quali manca ogni allusione alla salvezza dell’anima. Innocenzo viii troneggia con atteggiamento imperiale, ma la Madonna e gli angeli, che nella Cappella Sistina erano stati affrescati da Perugino nella pala d’altare, trovano posto solo nello stretto timpano. Nelle Storie di Mosè della Cappella Sistina manca il secondo incontro di Mosè con Dio sul monte Sinai, per i neoplatonici di gran lunga l’episodio più importante57. Quando nel 1496 Michelangelo giunge per la prima volta a Roma, il cardinale si è già pacificato con papa Borgia, ma deve attendere ancora nove anni ad Avignone prima di poter realizzare i propri grandiosi progetti. Appena eletto, Giulio ii sceglie come consulente personale il generale degli Agostiniani Egidio da Viterbo, un neoplatonico ammiratore di Ficino, e nomina Tommaso Inghirami, allievo di Pomponio Leto, a capo della Biblioteca Vaticana e di quella sua privata58. Entrambi potrebbero aver contribuito al programma iconografico della Stanza della Segnatura di Raffaello, in cui le quattro discipline dello spirito umano sono ugualmente illuminate dalla divina sapienza59. Nella Disputa questa scende dalla Trinità e dalle gerarchie angeliche ai personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento, e da questi ai santi e ai quattro Vangeli sino al SS. Sacramento, diffondendosi da lì ai Padri della Chiesa, ai maggiori teologi e ai rappresentanti della Chiesa. Nella Scuola d’Atene Platone tiene sotto il braccio il Timeo e indica il regno delle Idee. Insieme ad Aristotele, sostenitore di una filosofia orientata verso il mondo terreno, sta al vertice della piramide formata dai filosofi e dagli esponenti del Trivio. La sapienza divina ispira anche al livello inferiore i filosofi del Quadrivio delle Arti Liberali, che come per Landino comprendono le arti figurative, e attraverso di queste vengono rappresentati i principali artisti del pontificato di Giulio ii. L’ispirazione divina – “numine afflatur” – culmina in Apollo e nelle Muse del Parnaso e discende dai poeti epici, come Omero, Virgilio e Dante, dei quali lo stesso Raffaello fa parte, a quelli lirici e drammatici. Un analogo spirito neoplatonico traspare da una serie di opere-chiave di Raffaello realizzate durante il pontificato di Giulio ii. A differenza dell’affresco con l’Incoronazione di Maria, dipinto intorno al 1510-11 su commissione del papa da Pinturicchio nel coro di S. Maria del Popolo, poco dopo Raffaello nella Cappella Chigi in S. Maria della Pace, altra chiesa dei della Rovere, farà ispirare da angeli Sibille e Profeti, come già Filippino Lippi nella Cappella Carafa in S. Maria sopra Minerva. Raffaello tuttavia mette le Sibille nel registro inferiore, quello più vicino allo spettatore, a diretto contatto con gli angeli. A differenza di un’incisione di Mantegna, in una delle medaglie di bronzo che Raffaello disegna per
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
6. Antonio da Sangallo il Giovane, ricostruzione del Mausoleo d’Alicarnasso, 1527-46, Firenze, Galleria degli Uffizi, gdsu 1037.
7. Casa Santa (su disegno di Bramante), 1510 ca., Loreto, Santuario della Santa Casa.
la medesima cappella, degli angeli accompagnano Cristo anche nel Limbo. In tre dei quattro affreschi della Stanza di Eliodoro (1511-13) angeli corrono in aiuto dei predecessori del papa, mentre nei mosaici della Cappella Chigi in S. Maria del Popolo (1512) fanno ruotare lo zodiaco, guidano le divinità planetarie e determinano il destino di Chigi e della moglie60. A questi e oltre sarebbero ascese le loro anime, purificate dalle fiamme nella zona inferiore delle piramidi sepolcrali che come nel Timeo rappresentano frazioni della luce divina. Ancora ispirata da Platone è la lettera del 1514 di Raffaello sulla Galatea, forse redatta, ma difficilmente concepita, dall’amico Baldassarre Castiglione61. Lo spirito neoplatonico che traspare dalle opere d’arte realizzate per Giulio non è quindi da riferire solo a lui in persona quanto ai suoi principali consiglieri e artisti, e ciò vale anche per il progetto di New York, così radicalmente diverso dalle tombe di Sisto iv e Innocenzo viii. Prima idea per una tomba isolata: il progetto del Louvre Il papa e Bramante difficilmente si sarebbero rallegrati per un progetto così legato alla tradizione quattrocentesca fiorentina, e alle presumibili critiche, già prima dell’aprile 1505 il maestro rispose con lo schizzo di una nuova proposta (dis. 1; tav. 2). Nel disegno la metà destra si collega a formare un arco trionfale a quella di sinistra, tracciata a inchiostro. Il sarcofago, i pilastri di ordine corinzio e i piedistalli sembrano dipendere anche per dimensioni dal progetto di New York, ma i pilastri sono raddoppiati e più affusolati, nel rapporto di 1:10 ca., mentre i piedistalli si allineano con precisione al sarcofago. Benché sul verso si trovi uno schizzo per il Mosé (dis. 2; tav. 3), gli aggetti dei piedistalli e dello zoccolo non offrono spazio sufficiente per collocare delle statue, e neanche la stretta apertura dell’arcata per la Madonna in mandorla. Sopra il sarcofago sono abbozzati, stretti uno accanto all’altro, angeli in volo. La presenza del sarcofago impone che la tomba abbia una larghezza pari alla profondità; potrebbe perciò trattarsi di un arcus quadrifrons aperto come quello progettato da Michelangelo intorno al 1520 per la Cappella Medicea62. Forse il papa gli aveva anche parlato delle tombe francesi col sarcofago del defunto visibile da ogni lato. Come nella Cappella Sistina, e come nella di poco successiva tomba isolata, Michelangelo forse intendeva porre la Madonna sull’altare del coro, conferendo al sepolcro – come nel progetto di Raffaello per la tomba di Francesco Gonzaga del 1519-20 – una forma piramidale63. L’arcata sopra il sarcofago è molto più bassa e stretta delle nicchie del primo progetto di Bramante per S. Pietro (fig. 2), mentre l’impianto trionfale con colonne binate in aggetto su piedistalli è confrontabile direttamente con il “piano di pergamena” che Bramante aveva già predisposto nel marzo 1505, e che potrebbe avere influenzato il progetto di Parigi (tavv. 240, 243)64. Nelle campate antistanti l’abside si aprono cappelle la cui superficie (di 10 x 13,50 m ca.) pare in grado di ospitare una tomba libera a pianta quadrata di 4,10 m ca. di lato, e le nicchie sarebbero state ancora sufficienti ad accogliere la tomba a parete del progetto di New York. Il maggiore equilibrio dei rapporti, i particolari e il sistema di rappresentazione testimoniano una più stretta vicinanza a Bramante del progetto di Parigi rispetto a quello di New York. In modo molto meno corporeo anche Giuliano da Sangallo riprende nel quasi contemporaneo progetto per la Loggia dei Tibicini papali l’impianto trionfale che Bramante aveva privilegiato dall’interno del Tempietto in poi (fig. 5)65. La tomba di Sisto iv avrebbe potuto trovare posto nella stessa cappella o in quella di fronte. Benché sia solo uno schizzo incompiuto, il foglio di Parigi può essere considerato il missing link tra il progetto di New York e quello conservato per la tomba isolata, per la quale a
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tutta evidenza era stata preparata una ulteriore serie di disegni.
Il progetto per la tomba libera dell’aprile 1505 Fonti e ricostruzione Michelangelo ricevette l’incarico per la tomba libera già il 28 aprile 1505 (docc. 5-12, 26). Come consueto per i papi non si trattava di un vero contratto, ma piuttosto di un accordo scritto, oggi perduto. Michelangelo lo stipulò con Francesco Alidosi (1455-1511), il segretario personale di Giulio ii, discendente da nobile famiglia imolese66, che, nominato cardinale nel dicembre 1505, avrebbe gestito anche in seguito gli accordi con l’artista. Del costo complessivo, ammontante a 10.500 ducati, 7200 sarebbero stati pagati con rate mensili di 100 d. per sei anni (doc. 26)67, mentre 1000 erano destinati all’acquisto dei marmi e 2300 restavano per gli altri materiali, l’allestimento della bottega e i ponteggi. Per la sola realizzazione del fronte anteriore del piano terreno Michelangelo pagherà
nel 1513-14 450 d. (doc. 57). L’artista s’impegnava a completare in media ogni due mesi una delle quaranta statue circa previste, per il costo medio di 200 d. a statua, la stessa cifra che avrebbe richiesto per il Cristo risorto, delle medesime dimensioni dei Prigioni del Louvre (sc. 1-2; tavv. 65-83; fig. 28)68. Compresi nel prezzo erano i salari dei collaboratori, ai quali sarebbe stato affidato sotto la sua direzione il delicato compito del secondo sbozzo dei blocchi69. Non si sono conservati disegni, ma neppure descrizioni contemporanee, del momento della genesi del progetto della tomba libera70; gli alti costi, il termine concordato di sei anni per la conclusione dei lavori, la quantità dei marmi ordinati a fine anno e altre fonti confermano peraltro che doveva essere di dimensioni simili a quelle indicate nelle descrizioni di Condivi e Vasari (docc. 437, 447, 466). Secondo la Vita di Vasari del 1568 il piano inferiore avrebbe dovuto misurare 12 x 18 b.f. (7 x 10,50 m ca.), ed essere articolato come nei progetti del 1513, nei quali però sulla fronte anteriore la campata mediana, più ampia di 35 cm ca., era aperta sulla camera sepolcrale (dis. 6-7; tavv. 22-25, 27, 28). Se Michelangelo avesse seguito anche per l’altezza del piano terreno le proporzioni musicali indicate nel Timeo di Platone e da Alberti71, questo sarebbe stato alto 8 b.f. (4,69 m) come nel 1513 e nel 1516, secondo una proporzione di 4:6:9 (tavv. 241, 244). La tomba non poteva assolutamente erigersi sotto la cupola sulla tomba di Pietro, dove avrebbe impedito la vista sull’altare maggiore, ma piuttosto nel coro, come molte precedenti sepolture principesche. In origine avrebbe dovuto occupare probabilmente il centro della campata antistante l’abside prevista nel “piano di pergamena”, dove Michelangelo avrebbe goduto di una maggiore libertà che nelle cappelle adiacenti, e i canonici avrebbero potuto celebrare le messe in suffragio dell’anima del papa su un altare al centro dell’abside, dedicato a Maria Nascente come nella cappella di Sisto iv (tav. 243). Dall’aprile 1506 Bramante era stato però costretto a tornare nei progetti alla croce latina, a ridurre le dimensioni della basilica e a impostare i bracci della croce sulle fondazioni di Niccolò v (tav. 244)72. A questo punto la tomba avrebbe dovuto essere collocata al centro dell’unica campata antistante l’abside del coro, cioè ancora più vicina all’altare maggiore e alla luminosisima crociera, con l’altare capitolare addossato al muro semicircolare dell’abside. «Intorno di fuore [del piano terreno], scrive Condivi, erano nicchi, dove entravano statue, e tra nicchio e nicchio termini, ai quali, sopra certi dadi che, movendosi da terra, sporgevano in fuori, erano altre statue legate come prigioni le quali rappresentavano l’arti liberali, similmente Pittura, Scultura e Architettura, ogniuna colle sue note, sì che facilmente potesse esser conosciuta per quel che era, denotando per queste insieme con papa Giulio esser prigioni della morte tutte le virtù, come quelle che non fusser mai per trovare da chi cotanto fussero favorite e nutrite, quanto da lui» (doc. 447). Condivi parla di «[oltre] quaranta statue, senza le storie di mezzo rilievo fatte di bronzo, tutte a proposito di tal caso e dove si potevan vedere i fatti di tanto pontefice», e di «una stanzetta, a guisa d’un tempietto, in mezzo della quale era un cassone di marmo, dove si doveva seppellire il corpo del papa». Tra le figure sedute del livello intermedio, accenna al solo Mosè, che intendeva descrivere “al suo luogo”, cioè nel contesto dei primi anni Trenta (doc. 450)73. Nelle prima edizione del 1550 delle Vite, Vasari appare molto meno informato quando racconta che Michelangelo aveva realizzato già al tempo di Giulio ii un Mosè alto 5 b.f. (293 cm), nonché un quarto della decorazione architettonica, e iniziato anche «alcune Vittorie ignude, che hanno sotto prigioni et infinite provincie legate ad alcuni termini di marmo, i quali vi andavano per reggimento; e ne abbozzò una parte, figurando i Prigioni in varie attitudini a quelli legati» (doc. 437). All’inizio degli anni Cinquanta, durante la comune progettazione di
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Villa Giulia e della cappella Del Monte a S. Pietro in Montorio, Vasari entrò in più stretto contatto con Michelangelo, che nelle lettere lo chiama “amico”, e pare gli abbia anche indicato alcuni errori e lacune non solo nella Vita da lui scritta, ma anche in quella di Condivi. Ampie parti della descrizione, molto più precisa e dettagliata, che Vasari fa della tomba nella Vita del 1568 sono basate sulla descrizione dei Prigioni di Condivi, con un’interpretazione in chiave ancora più trionfale: «Questi Prigioni erano tutte le provincie soggiogate da questo Pontefice e fatte obedienti alla Chiesa Apostolica; et altre statue diverse, pur legate, erano tutte le Virtù et Arte ingegnose, che mostravano esser sottoposte alla morte non meno che si fussi quel Pontefice che sì onoratamente le adoperava» (doc. 466). Secondo Vasari la camera funeraria avrebbe dovuto avere pianta ovale, e sulla prima piattaforma, oltre al Mosè, dovevano trovare posto le statue di San Paolo, della Vita attiva e della Vita contemplativa. La tomba «ascendeva… sopra la cornice in gradi diminuendo con un fregio di storie di bronzo e con altre figure e putti et ornamenti a torno». Michelangelo deve aver progettato la tomba isolata solo nel momento in cui gli fu messa a disposizione una campata del braccio del coro, e Giulio non s’accontentò più di essere tumulato in un sarcofago, oppure – come molti altri prima di lui – in una tomba terragna, desiderando per sé una camera funeraria. Il papa deve aver saputo che imperatori come Augusto e Adriano, o re come Mausolo, erano stati sepolti in camere funerarie, e conosciuto la descrizione di Plinio il Vecchio del mausoleo di Alicarnasso, una delle sette Meraviglie del mondo, nel quale avevano operato insieme i maggiori scultori greci. Probabilmente Bramante, Giuliano da Sangallo e anche altri avevano tentato di ricostruirlo graficamente già prima di Antonio da Sangallo il Giovane (fig. 6)74. Le dimensioni della tomba, l’accessibilità dal piano inferiore, i pilastri angolari aggettanti incisi da nicchie e infine la decorazione classicheggiante richiamavano da vicino la Santa Casa di Loreto, al cui modello, portato a termine solo nel 1510, Bramante avrebbe però potuto forse lavorare già prima (fig. 7)75, prendendo così parte alla progettazione della tomba. Con i Prigioni, sottomessi alla morte, e le erme dei pilastri Michelangelo connota indubbiamente il piano inferiore come camera funeraria del papa, e Condivi parla infatti di «prigioni della morte» (doc. 447). Intorno al 1542, quando le erme sono bar-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
8. Sarcofago Montalto-Negroni, 1505, Musei Vaticani.
10. Vittoria, età romana, Firenze, Palazzo Pitti, Giardino di Boboli.
11. Sarcofago, età romana, Musei Vaticani, Cortile delle Statue.
9. Giuliano da Sangallo, ricostruzione della torre di Boezio a Pavia, 1492 ca., Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Barb. 4424, fol. 13r.
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bate e Michelangelo conosce già la medaglia e l’interpretazione di Erasmo, le definirà Termini (doc. 396), come Aldroandi (doc. 455) e Vasari, che li chiama Atlanti, «termini vestiti da mezzo in su che con la testa tenevano la prima cornice» (doc. 466)76. Le erme, simulacri di Hermes, dio greco delle strade e della fertilità, ma anche psicagogo – guida cioè delle anime dopo la morte –, erano state trasformate dai Romani nelle statue del dio Terminus, anch’egli venerato come dio dei limiti sia spaziali sia temporali, e in quanto tale della fine dell’anno e della morte, della primavera e del fiorire della nuova vita77. Nella tomba libera, e ancora nei progetti del 1513 e del 1516, si tratta di fatto di erme-cariatidi, fusti rastremati verso l’alto con basi attiche, culminanti nei busti abbigliati di giovani donne senza braccia. Anteponendo i Prigioni nudi alle più grandi erme femminili Michelangelo s’ispirava a rilievi romani come quelli del sarcofago Montalto-Negroni, le cui Vittorie conservano però le braccia e non sono condannate alla passività dei Termini della tomba (fig. 8)78. Michelangelo conosce anche il sarcofago con prigionieri incatenati a trofei che Giulio ii aveva fatto collocare, come vasca di fontana, nel Cortile delle Statue davanti alla Cleopatra (fig. 11)79, e forse un frammento di rilievo del Giardino di Boboli nel quale il prigioniero incatenato a un trofeo è addirittura affiancato da una Vittoria in armatura con in mano la palma (fig. 10)80. E conosce senz’altro anche il disegno di Giuliano da Sangallo degli Atlanti in terracotta, alti 6 braccia, della torre di Boezio a Pavia (fig. 9)81. Giuliano potrebbe aver visto la torre, forse di età augustea, distrutta alla fine del ’500 e anche altrimenti documentata, durante il viaggio in nord Italia del 1492. Forse Michelangelo conosceva anche templi come quello, circondato da Atlanti, di Zeus ad Agrigento. Nei disegni del 1513 la cornice delle nicchie è ancora simile a quella del disegno del Louvre, così come a quella della tomba libera, con le colonne dei disegni di New York e Parigi sostituite da lesene aggettanti (dis. 1, 3, 6-7; tavv. 1, 2, 22-25, 27, 28)82. Secondo Condivi i Prigioni rappresentano, oltre che le Province soggiogate¸ le Arti Liberali e le tre Figurative; secondo la Vita del 1568 di Vasari, le Virtù e le “arti ingeniose”, che comprendevano forse anche la Poesia. Michelangelo avrebbe quindi superato la distanza gerarchica tra Virtù e Arti del monumento sepolcrale di Sisto iv83, e avrebbe rappresentato le allegorie per la prima volta
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come atleti nudi. Verosimilmente non pensava però tanto ad allegorie atemporali, quanto piuttosto a loro rappresentanti in carne e ossa collegati al papa. Il Prigione morente, accompagnato da una scimmia semisbozzata, potrebbe così rappresentare la Pittura (sc. 1, tavv. 65-75)84. Negli schizzi per i Prigioni del 1511-12 la caratterizzazione è esclusivamente bellica, da riferire perciò alle provincie soggiogate (dis. 5; tav. 19). Vittorie e Prigioni costituivano elementi caratteristici degli antichi archi trionfali, come trionfale era la decorazione delle architetture progettate da Baccio Pontelli negli anni Ottanta per il cardinale Giuliano della Rovere a Ostia e Grottaferrata85. È comunque evidente che Michelangelo faccia di tutto per sostituire le allegorie femminili del disegno di New York con motivi classicheggianti come Prigioni, Termini e Vittorie; questo radicale cambio di paradigma nel giro di poche settimane è spiegabile non solo con il rinnovato studio dell’antico e l’influenza di Bramante e Giuliano da Sangallo, ma piuttosto con la predilezione di Michelangelo e del papa per il corpo maschile, senza la quale sarebbero stati inimmaginabili gli Ignudi della Cappella Sistina, che occorreva motivare anche iconograficamente. Per raggiungere il numero di quaranta statue citato da Vasari e nel contratto del 1513 (doc. 52)86 occorreva inserire nel piano inferiore della tomba sedici Prigioni e otto Vittorie. Le otto vittime delle Vittorie compaiono nei disegni del 1513 ancora come figure autonome; troppo grandi per essere scolpite in un unico blocco, come la Vittoria di Palazzo Vecchio, sono state con tutta probabilità conteggiate separatamente. Erano inoltre previste quattro figure per la prima piattaforma, tre per quella superiore, e come quarantesima statua quella del papa seduto destinata forse alla camera sepolcrale (sc. 3; tavv. 84-89)87. Condivi non è molto credibile quando parla della sequenza continua di nicchie e di più di quaranta statue. Come proposto nella maggior parte delle ricostruzioni, la disposizione di nicchie tutt’attorno avrebbe richiesto quarantasette statue, o addirittura cinquantacinque, se si aggiungono i vinti dalle Vittorie, e perciò un numero più vicino a cinquanta che a quaranta88. Una sequenza continua di nicchie non avrebbe consentito spazio sufficiente ai rilievi nel campo centrale dei lati lunghi, e avrebbe creato problemi nella continuità assiale tra i due piani. I lati lunghi si sarebbero probabilmente differenziati rispetto a quelli
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12. Michelangelo, progetto per il monumento equestre di Enrico ii, 1559, Amsterdam, Rijksprentenkabinet.
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brevi solo per la maggiore dimensione dei rilievi, simili a quelli del progetto per il monumento equestre di Enrico ii, commissionato da Caterina de’ Medici a Michelangelo nel 1559 (fig. 12)89. Sette Virtù Cardinali, sette Arti Liberali e tre Arti Figurative avrebbero superato il numero di sedici Prigioni, non lasciando neppure un posto alle Province sottomesse. È poco probabile che Michelangelo mescolasse in un progetto esecutivo gruppi così diversi di allegorie raffigurate in modo così indistinguibile come nei disegni del 1513. Già nel progetto di New York erano state scelte solo alcune Virtù, ed è poco probabile che Michelangelo volesse incatenare tre Virtù Spirituali ai simboli della morte. Forse ciascun lato del piano inferiore era riservato a uno specifico gruppo: al fronte anteriore le quattro Virtù Secolari, a quello posteriore le tre Arti Figurative e la Poesia, e le Arti Liberali, integrate dalla Prospettiva, sui lati lunghi. Nel caso i vinti delle Vittorie fossero stati raffigurati in origine come Provincie, Michelangelo avrebbe cambiato il programma in un senso pienamente trionfale al più tardi verso il 1511, con l’attribuzione ai Prigioni di caratteristiche militari, e ciò spiegherebbe perché non abbia portato a termine la scimmia del Morente. Né Condivi né Vasari, nella seconda edizione della Vita, parlano delle Vittorie, sebbene quest’ultimo nel 1550 le abbia descritte come ‘nude’. Evidentemente nessuno dei due al momento della descrizione aveva sotto gli occhi il progetto, cosa che li avrebbe aiutati ad evitare errori. Il livello superiore della tomba poggiava sulla volta della camera sepolcrale, culminando, come nel mausoleo d’Alicarnasso, nella figura del principe. «Così ascendendo, scrive Condivi, l’opera si finiva in un piano, sopra il quale erano due agnoli che sostenevano un’arca: uno d’essi faceva sembiante di ridere, come quello che si rallegrasse che l’anima del papa fusse tra li beati spiriti ricevuta, l’altro di piangere, come se si dolesse che ’l mondo fusse d’un tal uomo spogliato». Se due angeli – uno addolorato per la perdita e l’altro felice per la sua ascesa alla beatitudine – portavano il papa in una bara (l’arca), difficilmente Condivi poteva pensare a un papa trionfante su una sedia gestatoria. Nell’edizione del 1568 della Vita Vasari scrive che «il ciel… sosteneva in sulle palme una bara, insieme con Cibele», e che entrambi esprimevano sentimenti simili a quelli degli angeli descritti da Condivi. Sebbene Ficino consideri il Cielo e la Terra delle divinità90, la versione del Condivi, secondo cui gli angeli dovevano portare la bara, è più convincente in
un programma neoplatonico di questi anni, e ancora sui disegni del 1505, 1513 e 1516-17 gli angeli tengono il papa (tavv. 35, 36). Scompariranno solo nella Cappella Medicea, dove i duchi stanno in trono sulle antiche forze della natura e sullo scorrere del tempo, mentre al disotto dei loro sarcofagi sono le divinità fluviali, e le statue nude del Cielo e della Terra fiancheggiano Giuliano91. È possibile perciò che, discutendo retrospettivamente con Vasari, Michelangelo avesse descritto in una chiave classicheggiante il programma della tomba libera. Come nella cappella di Sisto iv e nel progetto del Louvre, l’immagine della Madonna avrebbe dovuto essere trasferita sull’altare capitolare. La statua del Papa seduto, ideato probabilmente già prima del 1508, è troppo piccola per la piattaforma superiore, mentre la sua base ovale sembra adattarsi meglio a una nicchia semicircolare della camera sepolcrale che a una sedia gestatoria (sc. 3; tavv. 84-89). Le imprese del papa (le “storie di mezzo” “con i fatti di tanto pontefice”) potrebbero essere state simili alla scena sul recto del disegno del Courtauld Institute, che stilisticamente risale allo stesso periodo (dis. 16; tav. 6). Come sul sarcofago del Cortile delle Statue, alcuni prigionieri sono portati al cospetto di un giudice (fig. 11)92. Il disegno non rappresenta un’impresa di Giulio ii, ma non è neppure certo che si tratti, come è stato ipotizzato, di un Cristo davanti a Pilato. Né il giudice sul suo seggio né i due accoliti sono abbigliati da romani, ma con la lunga veste senza maniche del Mosè dell’Antico Testamento (tav. 24). La figura stante davanti al giudice guarda verso un giovane imberbe elegantemente vestito che in atteggiamento fiero, costretto in ginocchio, con un braccio teso indica dei prigionieri dietro di sé. Anche se ha le braccia legate dietro la schiena e due sgherri lo conducono davanti al giudice, questi non è chiaramente identificabile come Cristo. Per quanto riguarda il prigioniero a sinistra sullo sfondo, verso il quale si rivolge il giudice, non può trattarsi di Barabba, tanto più che manca la folla che chiede il suo rilascio. Il giudice osserva la propria mano destra, che poggia su su un oggetto tondeggiante che assomiglia a una faretra. Accanto a lui, a un livello più basso, è seduto un altro personaggio autorevole, inginocchiato davanti a un supplicante barbato. Di tutto ciò non si parla nei Vangeli, e perciò il disegno dovrebbe illustrare un’altra scena, forse dell’Antico Testamento o della storia antica.
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13. Anonimo cinquecentesco, Tavola di Cebete, ii secolo. 14. Antonio Federighi, acquasantiera, 1558-67, Siena, duomo.
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Il significato neoplatonico Il disegno di New York anticipa alcuni importanti elementi della tomba libera: non solo l’ascesa dell’anima e la sua liberazione dal carcere terreno, ma anche il Mosè, e la Carità e la Fede che corrispondono alla Vita attiva e alla Vita contemplativa. Per uno dei tre bassorilievi principali Michelangelo intendeva forse riutilizzare la scena che celebrava Giulio come successore di Mosè e benefattore dei fedeli93. Nonostante gli errori, anche le descrizioni di Condivi e di Vasari nella Vita del 1568 individuano un significato neoplatonico nella tomba libera, che ricorda l’ascesa piramidale alla “tavola” attribuita a un certo Cebete, che nel Fedone di Platone discute con Socrate dell’immortalità dell’anima prima che questo beva la cicuta (fig. 13)94. Il testo, che diffuso in vari esemplari apparve nel 1497 in traduzione a Bologna, deve aver interessato Michelangelo e ancor più Giulio, che può averlo conosciuto nella traduzione latina di Lodovico Odasio (1455-1509), pedagogo del nipote Francesco Maria della Rovere e amico di Poliziano95. Come nella descrizione della “tavola”, il piano inferiore della tomba isolata è riservato all’effimera gloria terrena dei trionfi militari, alla fioritura delle Arti Liberali e di quelle Figurative, ingannevoli e transitorie, come affermato da Platone e ripetuto da Ficino96. Per rappresentare la transitorietà del tempo atleti in carne e ossa erano più adatti delle personificazioni allegoriche. Legando i Prigioni a giovani Termini di sesso femminile, Michelangelo potrebbe aver pensato addirittura al Convivio e al commento di Pico alla Canzona dell’amore di Benivieni, che distinguono rigorosamente tra l’eros pandemos riferito alla donna e utile alla procreazione, e il casto eros uranios tra amici maschi, che innalza l’anima verso l’alto97. I Prigioni sono ispirati agli ignudi incatenati dell’acquasantiera del duomo di Siena, opera del 1458-67 di Antonio Federighi, che Michelangelo aveva potuto
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studiare nel 1501 nel corso dei lavori all’altare Piccolomini (fig. 14)98. Alla metà del secolo il neoplatonismo aveva raggiunto anche Siena, come testimonia il pavimento del duomo, al quale collaborò lo stesso Federighi99, e dove in seguito saranno rappresentate le Sibille e l’Ermete Trismegisto, identificato da Ficino con Mosè. Nell’acquasantiera Federighi potrebbe aver già pensato all’uomo prigioniero del carcere terreno, sottoposto alla transitorietà della materia, anche se non si ribella ai Termini della morte. Benché di sesso femminile, le Vittorie ricordano gli angeli e si ricollegano, grazie alle vittime nude, all’arcangelo Michele che sconfigge il demonio, rappresentando forse una vittoria di carattere morale e spirituale. Ancora una volta è il sesso femminile a prevalere su quello maschile, e Michelangelo deve aver pensato al conflitto platonico dei sessi quando dal 1517 in poi nei progetti conferirà al sesso maschile un peso sempre maggiore. Nei tre grandi rilievi del piano terreno, la zona più estesa della tomba libera, doveva glorificare le grandiose imprese del papa. Evoca così nei Prigioni l’ambiguo concetto neoplatonico dell’anima tragica che vuole tornare alle proprie origini e la cui bellezza si rispecchia nel corpo fatto a somiglianza di Dio. Per Condivi e Vasari i Prigioni incarnano tra l’altro le Arti, e Ficino aveva riconosciuto agli artisti la facoltà di penetrare nei segreti divini. Sotto l’influenza di Alberti e di Michelangelo, i teorici dei decenni successivi perverranno alla convinzione che il ‘disegno’ del grande artista partecipa del regno delle Idee. Di conseguenza gli illustratori cinquecenteschi della Tavola di Cebete promuoveranno le arti a un livello più elevato. Il pensiero neoplatonico permea anche il Tondo Doni, che Michelangelo dipinse dopo la fuga dell’aprile 1506, traducendo nel linguaggio fortemente classicheggiante nel frattempo acquisito il gruppo della Sant’Anna di Leonardo (fig. 22)100. Maria, seduta su un prato, regge con entrambe le braccia il bambino, che dimo-
stra già un paio d’anni e le si aggrappa ai capelli, per passarlo a Giuseppe che le sta alle spalle. Come la Madonna della tomba, si assicura con la mano della sua virilità (sc. 10; tavv. 146-149), mentre lo allontana dalla protetta zona materna verso il mondo e il futuro sacrificio come profetizzato dal piccolo Battista sullo sfondo. A tutto ciò l’ha preparato l’Antico Testamento. Il tratto di prato, costituito da una superficie liscia color terra, si erge come un altare, circondato da un muretto semicircolare, scandito da una sorta di paraste, che ricorda vagamente l’abside di S. Pietro di Rossellino che Bramante proprio allora stava trasformando nel coro-mausoleo di Giulio ii dedicato a Maria. I giovani seduti sul muretto o che vi si appoggiano, e che ricordano il Prigione morente101, appaiono concentrati sull’unico compagno ancora abbigliato che abbraccia un ignudo che sta tra le sue gambe divaricate. Quest’ultimo lo indica, ma guarda verso i due ignudi sul margine sinistro, come per rispondere ai loro sguardi e gesti di rimprovero. Al personaggio vestito, protagonista della scena, il vicino di sinistra sta cercando di togliere il mantello, forse addirittura impedendone l’amplesso. A differenza dei Prigioni questi giovani potrebbero rappresentare anime che si stanno liberando dei piaceri dei sensi e da ogni decoro effimero in attesa della salvezza garantita dal sacrificio di Cristo. Sulla piattaforma della tomba libera accanto a Mosè avrebbe dovuto sedere san Paolo, entrambi testimoni della luce accecante di Dio (Cor., i, 15, 8). Nel suo Commento Pico parla del viso illuminato col quale «vidde Moyse, vidde Paolo, viddono molti altri la faccia d’Iddio; e questo è quello che e’ nostri teologi chiamano la cognizione intellettuale, cognizione intuitiva». Paolo, per il quale solo la fede conduce alla salvezza dell’anima, avrebbe trovato riscontro nella Vita contemplativa, e Mosè, fondatore, guida e benefattore del popolo eletto, in quella attiva. Come vicario di Cristo in terra Giulio ii si riconosce nella Vita contemplativa e come principe secolare in quella attiva, come il giovane Lorenzo delle Disputationes Camaldulenses. L’idea di una Vita contemplativa e di una attiva, che sostituiscono la Fede e la Carità del precedente progetto, risale ad Aristotele e a Platone, ed è stata ripresa da Gregorio Magno, Tommaso d’Aquino e Landino, che avevano considerato Rachele e Lia, come Maria e Marta, loro incarnazioni102. Sulla piattaforma superiore l’anima del papa sarebbe stata liberata dal carcere terreno. Nonostante la loro preferenza per gli angeli, per i neoplatonici il congedo dalla vita terrena avrebbe potuto essere rappresentato dalla rattristata Cibele descritta da Vasari in modo ancora più convincente dell’angelo di Condivi, che aveva ben poche ragioni per piangere. Privo degli angeli, il monumento sarebbe apparso come una tomba cristiana solo grazie alle statue di Mosè e san Paolo, e forse anche per come il defunto era vestito. Le prime consegne dei marmi Il 28 aprile 1505 Michelangelo ricevette 1000 ducati «per parte de pagamento de una sepulctura... et per posser dar principio a la compra de marmi per dicta sepulctura». In seguito rimarcherà che l’acconto era di fatto unicamente destinato all’acquisto di marmo (docc. 234-235)103. Né Giulio ii né Alidosi, e neppure i due successivi committenti della tomba, gli chiesero conteggi dettagliati delle notevoli somme affidategli sulle spese correnti. Poco dopo lo scultore tornò a Firenze, dove si trovava ancora a fine giugno e dove – per calcolare le misure dei blocchi necessari – deve aver disegnato nel dettaglio la cornice architettonica e almeno le prime statue104. Nel frattempo a Roma aveva fatto sistemare l’abitazione con annessa bottega per sé e i suoi collaboratori, ubicata nella strada che correva dietro l’abside della chiesa di S. Caterina delle Cavallerote, nelle immediate vicinanze del palazzo pontificio (docc. 407, 447, 466; fig. 15)105. Giulio ii la fece
15. Giovanni Antonio Dosio, Veduta della zona presso la chiesa di S. Caterina delle Cavallerote, 1535 ca, Firenze, gdsu 2580 a.
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collegare con una passerella di legno al “passetto”, il corridoio medievale che corre dal Vaticano a Castel Sant’Angelo, così da poter visitare Michelangelo a suo piacimento (docc. 38, 407, 447, 466). Il maestro vi abiterà fino alla morte del papa, e anche dopo il 1506 proseguì a lavorare per la tomba in questa bottega106. Nell’autunno trascorse insieme a due servitori – come già aveva fatto in precedenza – due o tre mesi nelle cave di Carrara alla ricerca di marmo di qualità superiore, e istruì anche scalpellini esperti nel primo sbozzo dei blocchi per alleggerirne il peso durante il trasporto e per assicurarsi che anche gli ordini successivi inviati per iscritto andassero a buon fine (doc. 15)107. Ordinò il marmo per il fronte anteriore dell’intelaiatura architettonica del basamento e per alcune figure di diverse dimensioni, ma non ancora per tutta la tomba, potendo fare esperienza senza dover stabilire in anticipo la posa di ciascuna delle quaranta statue. Il 12 novembre 1505 concordò con gli scalpellini un primo trasporto di 34 “carrate”, pari all’incirca a 27 tonnellate di marmo, che avrebbero dovuto consegnare il 10 dicembre (docc. 14-15)108; 19 carrate erano probabilmente destinate alle statue sedute, mentre le restanti 15, di blocchi più piccoli, ai Prigioni e alle Vittorie. L’arrivo del marmo al porto dell’Avenza, relativamente vicino a Carrara, era previsto per il 20 novembre; da lì il carico avrebbe proseguito per via d’acqua fino a Ripa Grande. Il primo dicembre Michelangelo incaricò gli scalpellini Matteo di Michele di Cuccharello e Guido d’Antonio di cavare altre 60 carrate di marmo, cioè più di 48 tonnellate, tra cui due blocchi da 8 c., forse destinati a figure sedute, due blocchi da 5 c. per i Prigioni, e altri blocchi da 2 c. o anche meno per i putti e l’architettura (doc. 15). Tra i blocchi attesi a Roma per il maggio 1506 avrebbero dovuto comunque esserci anche un blocco da 8 c. per una figura seduta e uno da 5 c. per un Prigione109, mentre i restanti sarebbero giunti a settembre. Per il trasporto di un blocco da 8 c. vengono calcolati 35 d., e 20 d. per quelli da 5, mentre per i blocchi da 2 c. o meno solo 2 d., crescendo il prezzo con l’aumento delle dimensioni. Il marmo ordinato nel novembre e nel dicembre 1505 sarebbe comunque bastato solo per una parte della tomba, e il suo trasporto non costò molto più di 300 d. Michelangelo passò verosimilmente il Natale a casa, e il 29 dicembre tornò a Roma110. Confidando nella puntualità dei successivi pagamenti da parte del papa, investì 600 d. in una proprietà a Pozzolatico, vicino Firenze111, il primo dei suoi innumerevoli investimenti immobiliari grazie ai quali riuscì a risollevare lo status sociale della propria famiglia che si era impoverita. Condivi racconta che il padre vantava la discendenza dei Buonarroti da Matilde di Canossa, e
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16. Anonimo del primo Cinquecento, schizzo della facciata di S. Petronio con la statua bronzea di Giulio ii, 1507-10, Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins, Collezione Rothschild, n. 1466.
che sperava che Michelangelo sarebbe riuscito a riportare la famiglia all’antico splendore, giungendo persino a picchiarlo, avendo appreso che il figlio intendeva dedicarsi alle poco remunerative arti figurative112. Solo dopo che Lorenzo de’ Medici ebbe accolto il quindicenne a Palazzo Medici e procurato al padre, da tempo senza lavoro, un impiego alla dogana, questi divenne “più amico al figliuolo”. Quando durante i suoi primi anni romani, dal 1496 al 1501, Michelangelo riuscì a guadagnare più di 1000 d. senza dirlo al padre113, questi lo considerò un tradimento e lo incolpò di essere un inetto negli affari114. Queste traumatiche esperienze, avvenute durante i primi anni di formazione, possono spiegare l’ossessione dell’artista per i pagamenti, non sempre gestiti da lui in modo corretto. Ricevuti dal papa, il 24 gennaio 1506, altri 500 d. (docc. 19-21), in una lettera del 31 gennaio racconta al padre dell’acquisto della proprietà e dell’arrivo dei primi blocchi di marmo – senza dubbio una parte delle 34 carrate ordinate a novembre (doc. 22). Il 20 febbraio paga un’altra consegna (doc. 23) e le pianifica in modo che tra maggio e settembre 1506 possano giungere nuovi blocchi. Il 3 aprile paga 50 d. probabilmente per il trasporto della prima metà dell’ordine effettuato nel dicembre 1505 (docc. 24-25). Nella lettera del 31 gennaio prega il padre di spedirgli in un sacco impermeabile i propri disegni, probabilmente quelli realizzati da aprile in poi tra Firenze e Carrara. Nelle lettere della primavera 1513 e dell’ottobre 1542 racconta: «hominciai a llavorare el quadro e le figure, di che c’è anchora degl’uomini che vi lavorono» (docc. 234, 407)115. Già allora aveva chiamato collaboratori fiorentini, ospitati nella casa dietro S. Caterina, e iniziato ai primi di febbraio a lavorare all’impianto architettonico e alle statue della tomba. Non aveva infatti tempo da perdere. Solo portando a termine sette o otto statue l’anno per i cinque anni rimanenti sarebbe riuscito a concludere la tomba puntualmente. Mai più, né prima né dopo, avrebbe dovuto affrontare un tale impegno di lavoro, che sin dall’inizio necessitava di numerosi collaboratori. Tra questi c’era anche lo scalpellino Michele di Piero di Pippo da Settignano, suo assistente già intorno al 1498 durante la ricerca del marmo per la Pietà, che nel 1513 sarebbe tornato ad essere suo collaboratore (docc. 58-59)116. La crisi dell’aprile 1506 I 1500 d. ricevuti da Michelangelo sino alla fine di gennaio coprivano dodici rate mensili, oltre a 300 d. per le prime consegne del marmo e il suo trasporto. Fidando negli ulteriori pagamenti, a gennaio 1506 ne aveva impegnati 600 in un investimento immobiliare, e a metà aprile dipendeva già dai successivi versamenti. Trascorso un anno, il papa, non vedendo nelle sue visite alla bottega alcuna statua conclusa, deve essersi accorto che le richieste finanziarie di Michelangelo erano più puntuali dei suoi adempimenti, anche se gli era stato forse spiegato quanto tempo fosse occorso per preparare il progetto, allestire la bottega, organizzare l’acquisto del marmo, e perché solo dagli inizi di febbraio si fosse potuto dare inizio all’opera. La crisi scoppiò alla fine di aprile, come Michelangelo riferì il 2 maggio 1506 all’amico Giuliano da Sangallo (doc. 26). Recandosi dal papa, il sabato di Pasqua, per chiedergli di mettere in pagamento le successive rate mensili, lo sentì dire a un gioielliere che gli aveva offerto “pietre piccole”, di non voler spendere altro denaro per l’acquisto di altre pietre, né piccole né grandi. Il papa gli avrebbe detto di tornare il lunedì di Pasquetta, ma non l’avrebbe ricevuto né quel giorno né i successivi, e il venerdì lo avrebbe addirittura fatto allontanare dal palazzo. Il sabato di Pasqua Giulio ii aveva posato la prima pietra della basilica di S. Pietro
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e concentrato tutte le sue risorse sul braccio di coro nel quale desiderava essere sepolto. Aveva certamente calcolato con precisione gli enormi costi di costruzione della basilica, del palazzo e degli altri progetti, e messo anche a repentaglio la costosa spedizione militare per la conquista di Bologna, che avrebbe iniziato in estate; si compende perciò che in quel momento non volesse sentire parlare di altre spese. Nella lettera del 1542 Michelangelo racconta come, profondamente offeso, già nella notte tra venerdì e sabato fosse fuggito in territorio fiorentino (doc. 407). Forse sulla base di un’informazione diretta di Michelangelo, Condivi e Vasari anticipano erroneamente la data dell’incidente al 3 aprile, lo stesso giorno in cui l’artista si era impegnato a saldare una consegna di marmo (doc. 25). Un’altra circostanza contribuì alla fuga, alla quale nella lettera del 2 maggio si accenna solo vagamente. Già nella settimana di Pasqua il pontefice aveva cercato di affidargli l’incarico degli affreschi della volta della Cappella Sistina (doc. 29)117. Si trattava evidentemente di un’impresa molto meno costosa e ben più rapida da realizzare della tomba, e anche più facilmente giustificabile agli occhi dei fedeli (docc. 51, 234)118. Giulio non intendeva rinunciare alla tomba, ma solo rinviarne il compimento. Presumibilmente Bramante gli aveva fatto notare che erigere il proprio mausoleo ancora in vita sarebbe stato visto come un segno di malaugurio (docc. 407, 468)119. Bramante e gli altri consiglieri devono aver comunque rafforzato l’intenzione del papa d’incaricare Michelangelo degli affreschi, che però rifiutò categoricamente. Nella lettera del 2 maggio 1506 prega anzi Giuliano da Sangallo di rassicurare il pontefice della sua intenzione di riprendere il lavori alla tomba non appena fossero pervenute le rate mensili, e che questa sarebbe stata realizzata in S. Pietro, dove fosse gradito al papa, nei successivi cinque anni. A causa dello scarso compenso concordato, ciò sarebbe stato però possibile solo a Firenze e non a Roma. Non fa peraltro riferimento a come i blocchi di marmo giunti a Roma e già parzialmente lavorati, avrebbero potuto essere trasportati a Firenze. Il 9 maggio il banchiere Giovanni Balducci, suo amico sin dai tempi del primo soggiorno romano e bene informato sullo stato dei lavori della tomba, gli scrive che il pontefice vuole «finire l’opera» e che garantisce per i pagamenti dovuti (doc. 28). Il 10 maggio l’architetto Pietro Rosselli gli comunica che Bramante ha convinto il papa che ha declinato l’incarico degli affreschi perché non in grado di scorciare illusionisticamente le figure della volta (docc. 29, 468). Già prima della fuga di Michelangelo è dunque noto che Giulio ha modificato i suoi piani. La versione di Condivi, suggerita da Michelangelo, che Bramante avesse voluto allontanarlo da Roma perché al corrente delle sue irregolarità finanziarie e delle sue irresponsabili scelte architettoniche, non appare convincente (doc. 447). Nella lettera dell’autunno 1542 Michelangelo imputerà la colpa del mutato atteggiamento del papa alla gelosia non solo di Bramante, ma anche di Raffaello, a quel momento neppure giunto a Roma (doc. 407). Come primo architetto e strettissmo consigliere artistico del papa, Bramante era tuttavia interessato al completamento della basilica vaticana e della cappella funeraria, e potrebbe aver calcolato per la conclusione del braccio del coro il medesimo arco di tempo di circa cinque anni fissato da Michelangelo per la tomba. Anche se le fonti non consentono margini di dubbio sul loro conflitto, il rapporto di Michelangelo con Bramante non era solo polemico. Gli doveva preziosi suggerimenti per il progetto del monumento e per i suoi inizi come architetto, e ancora pochi anni prima della pubblicazione della Vita di Condivi dichiarerà che «non si può negare che Bramante non fussi valente nella architectura quante ogni altro che sia stato dagli antichi in qua»120. Accanto a Lorenzo, all’ambizioso padre e all’autoritario pontefice, Bramante ha senz’altro rappresentato una delle principali figure per la sua formazione. Dalla fine di aprile 1506 Michelangelo vive a Firenze, dove riprende a lavorare
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al cartone della Battaglia di Anghiari e dipinge il Tondo Doni (fig. 22)121, ma riannoda anche i rapporti con le cave di marmo della vicina Carrara. Ordina così il 20 maggio due blocchi di marmo da consegnare a Firenze, difficilmente destinabili alla tomba, ma anche troppo grandi, essendo ciascuno di 8 c., per gli Apostoli del duomo fiorentino (doc. 39)122. Le controversie sul pagamento di questi blocchi si trascineranno sino al gennaio 1511. Non essendo risultata sufficiente la richiesta comunicata da Alidosi di far ritorno a Roma123, l’8 luglio il papa, che non voleva perdere l’artista in alcun modo, mandò un Breve al Gonfaloniere di Firenze Soderini, in cui lo rassicurava sul suo perdono (doc. 30). Condivi e Vasari raccontano che a seguito delle minacce del papa l’artista avrebbe anche pensato di rifugiarsi a Costantinopoli (docc. 447, 467). In agosto seguirono altre lettere di Alidosi124 e quando, tra fine agosto e fine novembre, Machiavelli, nella sua qualità di ambasciatore fiorentino, accompagnò il papa da Nepi a Cesena incontrando anche Alidosi, da lui conosciuto già da tempo, potrebbe aver contribuito a trovare con entrambi una soluzione di compromesso125. Il 21 novembre Alidosi informò Soderini della volontà del papa di incontrare Michelangelo a Bologna, la città appena conquistata dove risiedeva da qualche settimana126. Michelangelo chiese così perdono al papa, che lo incaricò immediatamente di realizzare un suo ritratto in bronzo dell’altezza di 6 b.f. (350 cm), dal costo massimo di 1000 d. (docc. 234-235)127. Michelangelo ne sorvegliò personalmente la fusione e la collocazione, il 21 febbraio 1508, sopra il portale maggiore di S. Petronio, prima di fare ritorno a Roma passando per Firenze (fig. 16).
Gli ultimi anni di Giulio ii (1508-13): la tomba e la volta della Sistina Solo dopo che il pontefice l’ebbe rassicurato sulla prosecuzione della tomba, Michelangelo accettò l’incarico di affrescare la volta della Sistina, facendo fiduciosamente ritorno a Roma per riprendere a lavorare. Il papa diede la precedenza assoluta agli affreschi e gli avrebbe garantito, come afferma Michelangelo stesso in una lettera del 1523, un compenso di 3000 d. (docc. 234-235). Ricevuti il 27 marzo 1508 i primi 500 (doc. 32), predispose i progetti e il 10 maggio iniziò l’affresco128. Respinta l’ipotesi di una decorazione avente per soggetto i dodici Apostoli, riuscì a persuadere il papa a trasformare in modo ben più impegnativo il programma, che ora coinvolgeva anche le vele e le lunette della volta. Dall’ingresso il ciclo si svolge in senso cronologicamente inverso, procedendo, come nella tomba libera, dal mondo effimero e peccaminoso del peccato originale e di Noè sino all’unità tra uomo e Dio – in corrispondenza dell’altare – e al superamento di ogni contrasto. Sin dal secondo giorno della Creazione Dio è accompagnato da angeli e si rispecchia nella bellezza di Adamo e in quella degli ignudi, distinti nei due disegni preparatori da ali come gli angeli129; come tali accompagnano a un livello ancora più alto dei Profeti e delle Sibille la Creazione e l’inizio della tragedia umana. Nelle medesime settimane della primavera 1508 Michelangelo annota di aver bisogno di 400 d. per pagare il marmo (doc. 31), indizio questo che non era compreso nelle rate mensili, e che l’artista dava per certo di poter riprendere presto a lavorare alla tomba. Il 24 giugno 1508 Matteo di Michele di Cuccharello lo informa di quattro invii fatti via mare di 21 carrate circa, dei quali era stato disposto il trasporto ma non ancora il pagamento (docc. 33-35)130. Si trattava probabilmente della consegna di un ordine dell’autunno 1505, che avrebbe dovuto giungere a Roma già a settembre 1506. I blocchi arrivarono in luglio, accompagnati da Francesco di Pelliccia, cognato di Matteo che rimarrà anche nel 1516 il primo fornitore di Michelangelo (doc. 118)131. Uno dei blocchi era per la «figura grosa ... de la Santitade del Nostro Signore», probabilmente da identificare col San Pietro in abito di papa menzionato nel lascito di Michelangelo, e forse previsto in origine per una nicchia dell’interno della camera sepolcrale (sc. 3; tavv. 84-89)132. Uno dei blocchi da 3 c. potrebbe essere stato destinato al Prigione ribelle (sc. 2; tavv. 76-83) e l’altro a una Vittoria133. Non avendo ricevuto ancora dal papa il saldo dei 440 d. mancanti per il marmo, il 22 luglio Michelangelo dovette pagare la somma di tasca propria (doc. 36), e ancora il 19 novembre pagò altri 7 d. per un trasporto di 37 c., composto quindi da un numero ancor maggiore di blocchi (doc. 37). Il 24 giugno 1509 Michelangelo ricevette la seconda rata di 500 d. per gli affreschi della volta; nell’estate del 1510 scrisse al fratello che la settimana successiva avrebbe ultimato, dopo circa due anni, “la mia pictura” e che, una volta scoperta, sperava di essere pagato134. Avendo ricevuto solo 1000 dei 3000 d. pattuiti, ne attendeva ancora 500 per la prima metà degli affreschi. Nell’agosto il papa lasciò Roma per la campagna in Italia settentrionale senza avergli versato la terza rata né lasciato i soldi necessari per il ponteggio della seconda metà della volta. Il traumatico ricordo dell’aprile 1506 indusse Michelangelo a interrompere l’esecuzione e a raggiungere a Bologna il papa, al quale il 26 ottobre chiese di essere pagato. Aveva già speso 447 d. per marmi senza essere stato rimborsato, chiese i soldi o per la tomba o per le lunette e le vele della prima metà della volta, o come anticipo per la seconda metà. Quando a dicembre ritornò dal papa, sempre a Bologna, senza che questo gli concedesse ulteriori somme, non riprese il lavoro alla volta, affermando nella lettera del 1523: «non feci niente, e perde’ tucto questo tempo finché [il papa] ritornò a Roma» (doc. 235)135. Nel febbraio 1511 pensò addirittura di tornare per una terza volta a Bologna136. Raccontò di aver
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
17. Michelangelo, San Matteo, 1505 ss., Firenze, Gallerie dell’Accademia.
20. Laocoonte, i secolo d.C.(?), copia di età romana, Musei Vaticani, particolare.
18. Leonardo da Vinci (copia da), Leda, 1504 ca., Roma, Galleria Borghese.
21. Raffaello, Scuola d’Atene, 1509-10, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura, particolare.
19. Narciso, età romana, Parigi, Musée du Louvre.
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dipinto «le teste e per le faccie actorno di decta capella» solo dopo il ritorno del papa il 26 giugno. Sono infatti eseguiti in gran fretta e probabilmente addirittura senza cartoni e spolvero. Pur non versandogli la quarta rata, il papa lo convinse a completare l’opera. A fine ottobre 1511 Michelangelo riprese il lavoro e lo concluse con incredibile rapidità in meno di un anno. Durante i tre anni precedenti, in particolare tra l’agosto 1510 e il giugno 1511, difficilmente Michelangelo si dedicò in modo esclusivo all’esecuzione della volta, e lavorò anche alle statue per la tomba. Approfittando della lunga pausa, trasformò anche il suo linguaggio formale. Le figure della seconda parte della volta divengono tutto a un tratto molto più audaci e complesse, mentre il maggiore dominio nella raffigurazione ad esempio delle mani presuppone rinnovati studi anatomici. Tra la fine del 1511 e gli inizi del 1512 accanto al disegno per la Sibilla Libica (dis. 5; tav. 19) schizza una serie di Prigioni ben più dinamici e tridimensionali di quelli dei disegni del 1513, probabilmente copiati dal progetto del 1505 (dis. 6, 7; tavv. 27, 28)137, cercando di utilizzare i medesimi blocchi ordinati per le statue pensate nel 1505 per forme più complesse. Lo schizzo del secondo Prigione si avvicina al Ribelle, al quale lavorerà nel 1513 (doc. 170), ma che potrebbe aver iniziato già nel 1511-12138. La cornice riccamente ornata schizzata sullo stesso foglio è invece difficilmente collegabile alla tomba. Dopo il completamento della volta, nell’ottobre 1512, attese invano gli ulteriori pagamenti dovuti per dedicarsi con tutte le energie alla tomba (doc. 41). Non avendo lavoro, già il 29 novembre prese probabilmente i primi accordi per il Cristo risorto della cappella Porcari in S. Maria sopra Minerva, ricevendo il 23 maggio 1513 un primo pagamento di 50 d.139. Il 21 gennaio 1513 il papa, mortalmente malato, gli versò 2000 d. certamente destinati alla tomba (docc. 45, 46)140, che tut-
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tavia Michelangelo considererà come compenso dei restanti 1500 d. per la seconda metà della volta, e rimborso per l’acquisto dei marmi nel 1508, come scriverà nella lettera del 1523 (docc. 234-235), nella quale racconta inoltre di aver dato 100 d. a Bernardo Dovizi da Bibbiena, allora segretario del cardinale Giovanni de’ Medici e attivo in missioni diplomatiche per il papa, e 50 a un certo Attalante per l’aiuto prestato per ottenere il pagamento, che non sarebbe dunque risultato da parte del papa proprio spontaneo. Il 19 febbraio 1513, tre giorni prima della morte, Giulio fondò ufficialmente la propria cappella funeraria in S. Pietro (doc. 47)141. La chiamò Capella Iulia e la dedicò alla Natività di Maria, facendo riferimento alle imperiture pitture e sculture e al mosaico pavimentale dell’ampio coro, e promettendo preziosi paramenti e la riforma del rito. Il 21 febbraio Marin Sanudo scrisse a Venezia che Giulio aveva lasciato nel testamento 30.000 d. «parte a li cantori di San Pietro, e parte per far la sua capella et sepulture», e dunque anche la somma necessaria per saldare il compenso stabilito nel 1505 di 10.500 d. (doc. 48). L’evoluzione stilistica del 1505-1512 I quarant’anni intercorsi tra i primi progetti e la conclusione della tomba si articolano in diverse fasi stilistiche, più o meno coerenti, che hanno lasciato la loro impronta nel monumento e che consentono di comprendere l’evoluzione di Michelangelo molto più nel dettaglio di qualsiasi sua altra opera. Nei tre anni che precedono l’inizio dei lavori l’artista si era lentamente avvicinato a Leonardo, cercando di mettere le figure in modo ancora più intenso in relazione reciproca e con lo spazio circostante, senza rinunciare per questo alla plasticità scultorea e alla compattezza formale. Il San Matteo, che secondo la testimonianza dell’artista
era stato iniziato prima della primavera 1505, e i disegni quasi contemporanei per un Apostolo e un Davide, sono concepiti come forme tridimensionali, con un dinamismo e un senso della profondità dello spazio superiori a quelli delle opere precedenti (fig. 17)142. Mentre le pose ricercate della Battaglia di Cascina non si uniscono ancora in uno spazio coerente e omogeneo, i poco più tardi Prigionieri davanti al giudice, analogamente alle figure della Battaglia di Anghiari di Leonardo, sono già più organicamente collegati da gesti e sguardi (dis. Ap. 2; tav. 6)143. Michelangelo s’ispira a un sarcofago del Cortile delle Statue (fig. 11), di cui scioglie l’intreccio delle figure e diminuisce il numero, che sovrappone variandone i gesti per creare una profondità spaziale ignota al prototipo antico. La figura seduta al verso del progetto del Louvre, che le corna appena accennate consentono di identificare in Mosè, e quella vista da dietro che ricorda alcune figure della Battaglia di Cascina, sembrano dello stesso periodo (dis. 2; tav. 3)144. Questi studi, come i Prigionieri davanti al giudice, sono simili per tecnica e stile, anche se lo schizzo per il terzo Prigione della tomba libera, una parafrasi del Narciso, è tracciato in modo meno plastico (dis. 14/copia 1; tav. 10). Intorno al 1504 Leonardo conferì alla sua Leda (fig. 18) una grazia sino a quel momento inedita, che poco dopo ispirò le Tre Grazie di Raffaello e la Madonna di Michelangelo nel disegno di New York, così radicalmente diversa dalla severa Madonna di Bruges. Difficilmente, senza il dialogo con Leonardo, Michelangelo avrebbe potuto profittare così rapidamente dell’Apollo del Belvedere o del Narciso del Louvre (fig. 19)145, e modellare i Prigioni così eleganti, morbidi e flessuosi che compaiono nei disegni del 1513, probabilmente ripresi dal progetto del 1505 per la tomba libera. In entrambi i disegni quattro Prigioni sono legati per le braccia, e due anche per i piedi, ai Termini, mentre il terzo, come il Narciso, tiene le gambe incrociate congiungendo le mani sopra la testa. I Prigioni dei fogli preparatori del Louvre e del Courtauld Institute, anch’essi databili probabilmente al 1505-06, 20 21 sollevano invece solo un braccio sopra la testa, mentre nel foglio di Casa Buonarroti un braccio del Prigione è legato al fianco e l’altro dietro la schiena (dis. 4, 16; poesia in stile petrarchesco, intorno al 1506-1508 (dis. Ap. 3-6; tavv. 9, 11-13)149. tavv. 5, 7). Negli stessi mesi Michelangelo potrebbe avere schizzato, in funzione Evidentemente anche a Roma Michelangelo aveva trovato il modo di dedicarsi dei Prigioni, anche le teste che guardano in diverse direzioni (dis. Ap. 3; tav. 9). agli studi anatomici. Un’insolita grazia distingue il Morente (sc. 1; tavv. 65-74), preceduto da un Nella Madonna del Tondo Doni, iniziato probabilmente nel maggio 1506, rapido schizzo e da un modello in terracotta (dis. 4; sc. 1; tavv. 7, 65-74) più braccia e gambe si distendono, audacemente scorciati, nello spazio come se Mipiatto della statua, che non sembra ancora portare il braccio destro al petto. Il chelangelo – che due anni più tardi, nella Delfica della Sistina, utilizzerà ancora modello dovrebbe risalire alle settimane dell’estate 1505 nelle quali Michelangeun simile linguaggio – dovesse difendersi dall’accusa di Bramante di non essere in grado di soddisfare le esigenze illusionistiche della Cappella (fig. 22)150. Come lo, tornato a Firenze, non era ancora partito per Carrara; difficilmente comunnei Prigioni e nei vinti della tomba libera – e come Raffaello nell’Apollo della que si troverebbe a Casa Buonarroti se fosse stato realizzato a Roma. Il Prigione Scuola d’Atene – con gli Angeli e l’Adamo della Sistina Michelangelo asseconda la è detto morente (o dormiente) perché ha gli occhi chiusi e la posa rilassata; ma predilezione del papa per gli atletici giovani androgini. L’Apollo del Belvedere, di nel contesto della tomba il suo significato dev’essere stato del tutto diverso. L’acui è proprietario, è la sua statua preferita e cerca di averla sempre vicina151. Non spetto sofferente e passivo indica la sua rassegnazione alla prigionia, e pare già s’invaghisce solo del dodicenne Federigo Gonzaga, ma si contorna anche – se si discendere dal figlio di sinistra del gruppo del Laocoonte, scoperto a Roma nel vuol dare credito alle voci del tempo – di giovani meno nobili, che Michelangelo gennaio 1506, poco dopo il ritorno di Michelangelo da Carrara e Firenze, e prima e Raffaello potrebbero aver utilizzati come modelli152. Difficilmente i papi succesprobabilmente dell’inizio del lavoro al Prigione (figg. 20, 35)146. A favore di una sivi avrebbero tollerato nelle loro chiese e tombe di essere circondati da giovani datazione della prima versione anteriore al 1513 depongono anche le analogie così seducenti, ed è solo per la grande lontananza dall’occhio che gli Ignudi non nella fisionomia e nell’acconciatura dei capelli con la statua di Apollo dipinta hanno condiviso il triste destino di essere sfigurati da braghe controriformistiche nella Scuola d’Atene, del 1509 (fig. 21)147. Nella superiore capacità di ruotare le come quelli del Giudizio. forme nello spazio e nel più agile contrapposto, Raffaello si presenta qui come un Tra gli inizi di febbraio e la fine di aprile 1506 Michelangelo iniziò a elaborare ancora più docile allievo di Leonardo. All’inizio del 1506 potrebbe risalire anche l’architettura della tomba. Probabilmente allargò i piedistalli dai 45 cm ca. indicati lo schizzo del Louvre col corpo di un giovane sofferente ancora più avvitato di nelle presunte copie del progetto del 1505 (tavv. 24, 27, 98, 196-200, 232) ai 55 quanto non sia il Morente (dis. Ap. 1; tav. 4)148. Sullo stesso foglio è anche una richiesti dalla base con la scimmia del Morente. Il piedistallo più a sinistra della testa barbata vista di fronte, pensata forse per il Mosè della tomba libera. Come tomba attuale, superiore agli altri tre non solo per invenzione formale, ma anche materiale preparatorio per il Morente potrebbero aver servito gli studi anatomici per esecuzione, potrebbe così risalire all’inizio del 1506 (tav. 199). Dal copridi braccia e gambe di un impiccato, databili, sulla base delle prime righe di una
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
Pagina a fronte: 24. Michelangelo, Storia di Haman, 1511-12, Musei Vaticani, Cappella Sistina.
22. Michelangelo, Tondo Doni, 1506, Firenze, Galleria degli Uffizi. 23. Raffaello, Gregorio ix approva le Decretali, 1511, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura, particolare.
25. Raffaello, Cacciata d’Eliodoro, 1511-12, Musei Vaticani, Stanza di Eliodoro. 26. Michelangelo, disegno per il Cristo Risorto, 1512-14, Monaco, mercato antiquario K. Bellinger.
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capo di una maschera posta frontalmente origina un candelabro con tavoletta anepigrafe, da cui nasce un secondo, al quale s’appoggiano simmetricamente due maschere di fauno, mentre agli angoli del campo uccelli incorporei con code attorcigliate si muovono sinuosamente. Elementi simili si ritrovano sui disegni del 1504-05 per la Battaglia di Cascina e per un apostolo, e alcuni compaiono nel 1506 nella cornice del Tondo Doni, ma non sugli altri tre piedistalli della tomba (dis. Ap. 7-8; tavv. 14, 15, 22). Nella sua elegante fantasia il piedistallo va molto oltre i capitelli di Giuliano da Sangallo nella sacrestia di S. Spirito o le grottesche di Luca Signorelli nella Cappella di S. Brizio del duomo di Orvieto153. Nell’estate 1508 giunge a Roma un blocco destinato alla statua di un pontefice, ordinato da Michelangelo probabilmente già nel 1505, ma che viene consegnato solo dopo l’accordo di Bologna con Giulio ii, ed è verosimilmente destinato all’incompiuto San Pietro in abito papale (sc. 3; tavv. 84-89)154 rimasto nell’eredità dell’artista, ricordando per la barba relativamente corta le raffigurazioni di san Pietro. Nel 1602 Nicolas Cordier trasformerà il blocco sbozzato in un San Gregorio, ma gliene servirà uno in più per il capo e la colomba dello Spirito Santo che lo ispira. In origine, come il Leone x di S. Maria in Aracœli155, scolpito intorno al 1514 da Domenico da Varignana sotto l’influenza manifesta di Michelangelo, teneva le chiavi tra il pollice e l’indice e non nel pugno come le precedenti raffigurazioni. Cordier trasformerà parte della chiave in un dito medio alquanto amorfo, non abbastanza distante dal pollice per aver tenuto la chiave. Michelangelo potrebbe aver iniziato la statua del Papa seduto già intorno al 1508 anche per convincere Giulio ii della continuazione della tomba, e aver lavorato alla testa nel 1511-12, quando Giulio si era lasciato crescere la barba (fig. 1). Con barba, in cattedra e in abiti pontificali è rappresentato da Raffaello come Gregorio ix nelle Decretali della Stanza della Segnatura, dipinte nell’estate del
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1511 (fig. 23)156. Nella postura frontale e nei gesti del Papa seduto di Michelangelo non emerge nulla ancora delle novità della seconda parte della volta Sistina, ma piuttosto una certa vicinanza alla statua bronzea, ancora esistente nel 1507, del Giulio ii di S. Petronio, nota solo grazie a uno schizzo sommario nel codice Rothschild (fig. 16) 157. Come le precedenti statue per nicchie di Michelangelo, il San Gregorio presenta una base ovale, e potrebbe essere stato previsto per l’interno della camera sepolcrale. Forse poiché dopo la morte di Giulio Michelangelo dovette abbandonare l’idea di una camera sepolcrale nella tomba, la custodì a Macel de’ Corvi158. La rilavorazione di Cordier ne rende difficile la collocazione nella produzione dell’artista, tuttavia le membra robuste, le mobili mani magistralmente articolate, le pieghe del panneggio dalle ombre profonde e la lieve rotazione ricordano le prime figure della volta Sistina, come la Delfica, e sono del tutto compatibili con gli anni intorno al 1508. Nel disegno preparatorio, il Prigione ribelle si muove in modo più complesso del Morente, ed è ancora più plastico della statua (dis. 12; tavv. 16, 76-83). Solleva la gamba destra e porta alla testa la mano sinistra con l’indice rivolto verso il basso, mentre il braccio destro è legato dietro la schiena. Il disegno è stato copiato da una mano vicinissima a quella di Michelangelo, e sullo stesso foglio si trovano copie da studi per la prima metà della volta della Sistina e quindi databili al 1508. (dis. 12/copia 1; tav. 17). Le figure femminili sedute disegnate accanto al Ribelle sembrano preparatorie per la Delfica, e così i piccoli nudi reggi-lancia forse per i tondi bronzei, e le figure nude sedute del verso per gli Ignudi. Allo stesso periodo sembrano risalire, sul verso del foglio, le tre figure e il sistema architettonico del basamento della tomba libera. Disegnati con maggior precisione del progetto del 1513, potrebbero essere stati copiati direttamente dal progetto di Michelangelo
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per la tomba libera (dis. 6/copia 1; tav. 18). Il copista è così superiore a tutti gli allievi e collaboratori di Michelangelo di quegli anni che potrebbe trattarsi di Pietro Urbano, che Vasari descrive come un grande talento, cui l’artista affidò nel 1520 la finitura dei piedi di Cristo, e che forse prese parte alla decorazione della Sistina (doc. 476)159. Nel disegno preparatorio per la Libica sono raffigurati tre Prigioni incatenati a Termini femminili e tre con una o entrambe le braccia legate sopra la testa (dis. 5; tav. 19). Sono più voluminosi, e si attorcono in modo più complesso in relazione con lo spazio circostante dei Prigioni copiati nel progetto del 1513 (dis. 6, 7; tav. 24, 27). Il secondo Prigione (da sinistra a destra) del disegno potrebbe essere stato concepito come figura d’angolo tra il fronte anteriore e quello laterale di sinistra, ed è simile al Ribelle, benché abbia la barba e dimostri una maggiore età. Dietro la gamba destra flessa e sotto il piede sono le armi che ha deposto. Alla gamba sinistra del Ribelle sembrano riferirsi gli studi sul verso del foglio (dis. 8; tav. 20). Come nello schizzo, le braccia della statua sono legate dietro la schiena e la gamba destra è flessa come quella del San Matteo (fig. 17); mancano però i trofei, ai quali era forse destinata parte del marmo grezzo sotto il piede destro e dietro la gamba sinistra (sc. 2; tavv. 76, 77)160. Visti di fronte, membra, torso e testa appaiono articolati in modo più tridimensionale del Morente e del disegno preparatorio (dis. 12; tav. 16), ma concepiti ancora come una successione di piani plastici, come nell’Adamo della volta. La vista laterale, ancora più tridimensionale, è invece simile all’Haman, una delle ultime scene della seconda parte della decorazione della volta Sistina (fig. 24; tav. 78). A questo nuovo linguaggio Michelangelo giunge solo intorno al 1512, con le ultime figure della seconda parte della volta Sistina. Ispirato forse da Giulio ii, che poco prima della morte si era più che mai occupato delle sue ultime
cose161, evoca ed esplora nelle prime tre giornate della Creazione le origini dell’universo e nel Dio creatore l’onnipotente prototipo della prima umanità (fig. 27). Conferisce alle figure dimensioni sempre più gigantesche, e per la prima volta si misura con gli audaci scorci e il dinamismo del gruppo di Euclide della Scuola d’Atene o della Galatea, opere nelle quali Raffaello era andato ben oltre Leonardo, o dell’ancora più recente Cacciata d’Eliodoro (fig. 25)162, e non è un caso che Condivi elogi gli scorci proprio di queste scene163. Solo ora nel pennacchio della Punizione di Haman collega in un’unica azione drammatica, in uno spazio continuo sviluppato in profondità, singole figure dinamicamente animate e audacemente scorciate. Il Ribelle appare giovane come il Morente e gli ignudi del Tondo Doni, ma è meno androgino, meno passivo e più rassegnato, perché nonostante i suoi sforzi atletici non è in grado di spezzare le catene. È tormentato come il Laocoonte, e così piegato in avanti da poter essere anteposto, ma difficilmente incatenato, al Termine della morte. Nella vista laterale ruota a spirale il busto e il capo verso l’alto. Una fascia, più stretta di quella del Morente, gli attraversa il petto, circonda il braccio sinistro e lo stringe da dietro. Tenta di raggiungere il nodo della fascia dietro la schiena per evitare che il mantello – che ricorda la clamide dei guerrieri romani e quella della Vittoria di Palazzo Vecchio (sc. 8; tavv. 115-120) – scivoli, trattenuto solo da un nastro, sino al pube e ancora più in basso. La fascia doveva probabilmente trattenere al corpo anche il braccio destro, che non finito ricade abbandonato. Michelangelo ricorrerà al motivo del panno di forme antiche che scivola verso il basso anche sulla schiena del Cristo risorto e nel Prigione barbuto (fig. 26; sc. 4; tavv. 90-99). ii. i progetti del
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Il contratto del maggio 1513
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
27. Michelangelo, Creazione delle stelle, 1512, Musei Vaticani, Cappella Sistina, particolare.
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Fino alla fine del febbraio 1513 Michelangelo fu soggetto alla volontà dal carismatico, ma anche autoritario, spesso arbitrario e collerico papa. Subito dopo la sua morte, la fama nel frattempo raggiunta lo indusse a prendere atteggiamenti contradditori. Giulio ii aveva scelto come esecutori testamentari il proprio datario Lorenzo Pucci e – a causa della minore età del duca di Urbino Francesco Maria della Rovere – il cardinale Leonardo Grosso della Rovere, affidando loro, tra le altre incombenze, quella di proseguire la realizzazione della tomba: «ordinò che gli fusse fatta finir quella sepoltura che già aveva principiata» (doc. 448). Nelle trattative preliminari Michelangelo asserì che la maggior parte dei 2000 d. ricevuti a gennaio fosse da considerarsi il saldo per gli affreschi; non potendolo però provare, nel contratto – questa volta notarile – del 6 maggio fu costretto ad ammettere di aver già ricevuto per la tomba 3500 d. (docc. 54-55). Giulio aveva lasciato nel testamento i 7000 d. restanti dei 10.500 concordati nel 1505, che il cardinale, certo per vincere le resistenze di Michelangelo, aumentò di tasca propria a 16.500 d. Il maestro s’impegnava a finire la tomba entro sette anni e a non assumere altri impegni. Per i primi due anni le rate mensili venivano elevate a 200 d., e per i restanti cinque a 136, sino al raggiungimento dei complessivi 13.000 ancora da pagare. In un documento integrativo del contratto Michelangelo descrisse il nuovo progetto, per il quale aveva predisposto anche un piccolo modello ligneo (doc. 52). Le dimensioni della tomba venivano ridotte, ma rimanevano le quaranta statue più grandi del naturale già previste nel 1505. A questa descrizione corrisponde il racconto di Condivi, secondo il quale gli esecutori testamentari «fecer fare nuovo disegno, parendo loro il primo impresa troppo grande» (doc. 448), mentre per Vasari era stato Giulio ii, prima della morte, a desiderare che «la sepoltura» fosse fatta «con minor spesa» (doc. 469). Nel 1523, e ancora nel 1542, Michelangelo giustificherà il notevole aumento del costo con la volontà del cardinale di «acresciere la sua sepultura, cioè far maggiore opera che il disegnio, che io avevo facto prima», riferendosi probabilmente al progetto dell’estate 1513 (docc. 235, 407)164. Non essendo più disponibile, con Leone x, per la tomba libera il braccio del coro di S. Pietro, come Giulio aveva sperato sino alla morte, Michelangelo dovette tornare all’idea di una tomba a parete. Avrebbe dovuto essere più bassa di 130 cm ca. rispetto al progetto di New York, col piano inferiore più basso di 30
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cm ca. di quello della tomba libera, i cui blocchi si pensava certamente di riutilizzare (tavv. 245, 246). Il piano inferiore avrebbe dovuto essere largo 445 cm, di ben 257 cm ridotto quindi rispetto alla tomba libera, e profondo 781 cm, con una diminuzione di 274 cm. Con queste dimensioni si sarebbe sovrapposta ai piedistalli di Bramante, rispettandone però l’altezza165. I quattro pilastri angolari si sarebbero articolati in un ordine di sostegni quadrangolari con trabeazione tripartita; per ridurre il piano terreno alle dimensioni di quello superiore Michelangelo avrebbe dovuto restringere le nicchie eliminandone la cornice. Sostituisce la porta della camera sepolcrale con il bassorilievo previsto per il lato posteriore della tomba libera, che, come i rilievi dei prospetti laterali, avrebbe dovuto essere di dimensioni più ridotte. Le statue del piano inferiore sarebbero state alte un palmo più del naturale, e cioè significativamente più basse dei due Prigioni del Louvre (tavv. 65-83). Per ogni nicchia erano previste due figure, una Vittoria col suo vinto, quest’ultimo da conteggiarsi separatamente come già nel 1505, e due altre figure laterali, evidentemente i Prigioni legati ai Termini. Come nel disegno di Berlino (tavv. 26-28), di poco più tardo, il sarcofago col Papa sarebbe stato collocato nel mezzo della piattaforma superiore, e «da chapo à a esere i[n] mezo di dua figure ch’el tengono sospeso, e da piè i[n] mezo di du’ altre». Il papa sarebbe stato dunque sorretto da quattro figure, verosimilmente angeli, a rappresentare in modo ancora più evidente di prima la liberazione dell’anima dal carcere terreno. Per raggiungere il numero di quaranta statue si aumentavano da quattro a sei le figure sedute, di grandezza doppia del naturale, probabilmente Profeti e Sibille, che solo posando i piedi sulla cornice in aggetto avrebbero potuto essere collocate in asse con le sei nicchie sottostanti. La ‘cappelletta’ raggiungeva la medesima altezza indicata nel disegno di Berlino, e le cinque figure per essa previste erano più grandi di quelle sedute a causa della maggiore distanza dall’occhio. Lo spazio sottostante la Madonna in mandorla, non più occupato dal sarcofago del papa e dagli angeli, avrebbe potuto essere riempito con altri angeli, ma la distanza del papa dalla Madonna non consentiva uno spazio per l’azione sacra come nel progetto di New York (dis. 3; tav. 1). Michelangelo dedicò ancora scarse energie al lavoro, e per questo forse tornò alla ‘cappelletta’ del progetto della tomba a parete del 1505. Evidentemente gli esecutori testamentari desideravano un progetto di carattere maggiormente cristiano. Leone x era intenzionato probabilmente a riservare alla sepoltura del suo ammirato predecessore una posizione privilegiata nel nuovo coro di S. Pietro, che nel 1513-14 Bramante stava voltando. Nel corpo longitudinale e nel transetto questa avrebbe però impedito le cerimonie e ostacolato la vista dei fedeli, e anche le cappelle laterali non sarebbero state di pari dignità. Come ancora oggi, l’abside del coro eretto da Bramante era costituita da un’unica campata chiusa su entrambi i lati, e poiché difficilmente la tomba a parete avrebbe potuto essere collocata tra le doppie paraste dell’abside non divise da nicchie, avrebbe potuto essere prevista per uno dei lati brevi dei piloni del coro a ovest che reggono la cupola. Come nel corpo longitudinale e nel transetto, i pilastri erano di ordine colossale con intercolumni di 334 cm, con nicchie ampie circa 200 cm166, e per una di queste sembra calcolata la ‘cappelletta’ del piano superiore del progetto del maggio 1513. La tomba avrebbe potuto quindi essere collocata tra la tomba dell’apostolo, l’altare maggiore a est e l’altare del Capitolo al centro dell’abside, sul quale avrebbero potuto essere celebrate le messe in suffragio dell’anima di Giulio, accompagnate dai cantori della Cappella Iulia. Come nel progetto per Giulio, la tomba avrebbe potuto essere bilanciata simmetricamente da una analoga destinata a Leone x. Entrambe avrebbero potuto fungere da recinzioni presbiteriali, lasciando un passaggio mediano ampio un terzo della luce del braccio del coro (cfr. tav. 247). Già dalla navata centrale i contorni del sarcofago, dei quattro angeli
e del papa si sarebbero stagliati con sullo sfondo l’abside piena di luce. Senza una tomba gemella il collage ancora incoerente, dal punto di vista formale e iconografico, dei due progetti del 1505 avrebbe fatto un effetto ancora più dissonante.
I due alzati del 1513 Il disegno di Berlino Tra il contratto di maggio e quello del 9 luglio 1513, quando s’inizia a scolpire la struttura architettonica del piano inferiore167, Michelangelo disegna gli alzati di Berlino e Firenze. Sono eseguiti per i committenti, con riga e compasso, e si avvicinano, con la rinuncia a ogni scorcio illusionistico, alla tecnica disegnativa dai forti contrasti d’ombre di Bramante, senza però la scala metrica. Il recto quasi illeggibile del foglio di Berlino si conosce grazie al ricalco di Schmarsow e alla precisa copia di Giacomo Rocchetti (Rocca), un allievo di Daniele da Volterra (dis. 7/copia 1-2; tavv. 22-25). Il fronte del piano inferiore ha dimensioni analoghe a quelle della tomba libera, con proporzione di 2:3 e non di 3:4 come nel progetto di maggio (dis. 1; tav. 2). Il rapporto tra gli ordini, le statue e il sarcofago consente ai pilastri un’ampiezza di circa 2 p.r., di circa 10 p.r. per la nicchia della ‘cappelletta’ e di 31 p.r. ca. per il basamento. La forma della base è probabilmente ispirata al tempio di Venus Genitrix168, mentre la dimensione delle nicchie, leggermente più ampie di quelle poi realizzate, e l’incorniciatura con voluta centrale richiamano il disegno del Louvre – un ulteriore argomento per datarlo a dopo quello di New York (tavv. 1, 2). L’aggetto della base e della trabeazione, con l’architrave ridotto ad un astragalo, trasformano le campate laterali in massicci pilastri angolari. Come nel progetto di maggio, un bassorilievo avrebbe sostituito la porta della camera sepolcrale prevista nella più stretta campata mediana della tomba libera, e probabilmente anche i prospetti laterali del piano inferiore si riducono a 35 palmi romani. Poiché in entrambi i disegni Michelangelo si concentra soprattutto sul nuovo impianto della tomba a parete, la maggior parte delle figure sembra copiata dal progetto per la tomba libera. I Prigioni sono ancora privi di attributi, e più piatti di quelli dello schizzo della Libica, o dei due Schiavi del Louvre, iniziati probabilmente già prima del 1513, le cui larghe basi difficilmente avrebbero potuto trovar posto sulle cornici superiori dei piedistalli del disegno di Berlino (tavv. 65-83, 232)169. Sebbene presenti le stesse dimensioni indicate nel contratto di maggio, la ‘cappelletta’ è poco organicamente collegata al piano inferiore. Poiché la sua distanza dallo spettatore non sarebbe stata inferiore ai 10 m, l’incongruenza tra i due piani non avrebbe dovuto comunque essere troppo avvertita dall’occhio. Come nel disegno di New York Michelangelo fa proseguire i pilastri di ordine corinzio oltre l’aggetto della triplice trabeazione nell’archivolto della ‘cappelletta’, sebbene, con un rapporto di circa 1:8¾ , siano un po’ ridotti (tav. 2). Poiché la nicchia si richiama a quella di S. Pietro, deve fare la Madonna più stretta rispetto al disegno di New York. Pone però ai lati della ‘cappelletta’ due campi ciechi, cosicché questa, con una larghezza complessiva di 22 p.r. ca., si sarebbe sovrapposta per circa 78 cm agli angoli dei pilastri di Bramante – esattamente come il piano inferiore ai piedistalli. Nei campi ciechi inferiori colloca probabilmente dei profeti – il più vecchio con barba e copricapo, il più giovane con calzoni, che guarda di lato –, posti in asse con le figure sedute. Come nel progetto del maggio 1513 il sarcofago è al centro della piattaforma, e come nel disegno di Parigi la sua parte alta è allineata ai piedistalli. Come nel disegno di New York due soli angeli sollevano il corpo del papa, mentre ai suoi piedi sono due putti con fiaccole. Già a maggio Michelangelo aveva portato a sei
il numero delle figure sedute più grandi del vero, disponendole verosimilmente sempre in asse sulle nicchie, così da fare sovrapporre una buona parte delle figure laterali. A destra in alto è Mosè in trono, con le corna, che regge le Tavole della Legge e il cartiglio del profeta; mentre a sinistra, in secondo piano, è un altro profeta di profilo, senza barba e in atteggiamento più ascetico, con le gambe nude accavallate. Anche la figura femminile seduta a sinistra tiene un rotolo, ed è quindi identificabile come una sibilla. Incrocia le braccia davanti al petto, rivolge lo sguardo verso l’alto e indica con la mano sinistra la ‘cappelletta’. La sibilla in secondo piano a destra indica invece Mosè. Sebbene non costituissero parte dell’iconografia funeraria tradizionale, Michelangelo sembra aver introdotto già nel progetto di New York una sibilla, forse l’Eritrea, che si riteneva avesse annunciato il Giorno del Giudizio170. Nel foglio degli Uffizi potrebbe aver aggiunto anche la Cumana, che aveva accompagnato Enea agli Inferi e al ritorno sulla terra. Già nella Cappella Sistina Michelangelo aveva dipinto profeti e sibille in una posizione eminente mai attribuita loro in precedenza da un artista, rivendicando ancora nel 1523 di aver proposto lui stesso al papa un tale programma (docc. 234-235). Già nella tarda antichità i filosofi neoplatonici avevano attribuito alle sibille un ruolo analogo a quello dei profeti171, e sebbene Pico avesse difeso il libero arbitrio172, Michelangelo deve essere stato convinto della validità delle loro profezie, dell’influenza che le stelle potevano esercitare sul destino dell’uomo173, e quindi della predestinazione. Conosceva bene i Vangeli, che avevano rappresentato la vita e la Passione di Cristo come adempimento delle profezie veterotestamentarie. Comunque i progetti del 1513 sono più orientati sulla Resurrezione che non sulla figura del papa, senza però che se ne perda il significato neoplatonico. I putti ai lati delle figure sedute potrebbero in origine essere stati pensati per la tomba libera, e collocati agli angoli del secondo livello a reggere una cornice (tav. 241). Il disegno degli Uffizi Il disegno autografo, di poco posteriore, conservato agli Uffizi di Firenze termina in corrispondenza della sommità del sarcofago (dis. 6; tav. 27), come in una precisa copia cinquecentesca, a conferma che fosse già così in origine (dis. 6/copia 1; tav. 28). La misura indicata nel campo centrale è illeggibile, ma i pilastri angolari del basamento sono di ½ p.r. ca. più ampi del progetto di Berlino, i Termini sono più distanti dalle nicchie e i piedistalli dei Prigioni sono ora ampi abbastanza per ospitare le basi di entrambi gli Schiavi del Louvre (tav. 2). Anche le modifiche apportate alla testa e alle gambe dei Prigioni della parte anteriore destra o la seconda figura seduta in alto a sinistra testimoniano la tendenza di Michelangelo a rafforzare la tridimensionalità. Le figure sedute sono più mosse, più espressive e meglio visibili grazie alla collocazione in diagonale. L’ordine della ‘cappelletta’ è ampliato a circa 2,5 b.f., di modo che le paraste – nel caso l’altezza fosse rimasta uguale a quella del foglio di Berlino – sarebbero state proporzionate ancora ca. 1:8. I campi ciechi ai lati sono senza figure, e sul sarcofago non giace più il papa sollevato dagli angeli e accompagnato da putti reggi-fiaccola, ma vi sono due sfere che sembrano proseguire, come nella Cappella Chigi, in una piramide, anche se è difficile immaginare una simile struttura sopra il sarcofago174. In ogni caso i neoplatonici vedevano nella piramide un simbolo dell’universo culminante nella perfetta unità del Demiurgo175. La figura sulla destra in alto, con la barba ma calva e priva di corna, che nella sinistra tiene al posto delle Tavole un libro, assomiglia a san Paolo e potrebbe essere tratta, come le figure del piano inferiore, dalla tomba libera. Oltre a Mosè e a un altro profeta, destinati forse a un terzo livello per controbilanciare le tre
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
28. Michelangelo, Cristo risorto, 1519, Roma, S. Maria sopra Minerva.
Sibille, potrebbe reggere il cartiglio del profeta176. L’ascetico Profeta in alto a sinistra è ora sostituito da una Sibilla gesticolante. Tuttavia né la disposizione asimmetrica dei sessi né la messa al bando del Mosè dal primo piano possono essere state definitive. Forse il blocco per un “profeta” menzionato a Ripa Grande nel 1532 (doc. 338) era destinato al Profeta calvo177. Gli esecutori testamentari, che in maggio avevano aumentato il prezzo di più del 50 per cento, potrebbero aver accettato a malincuore la riduzione da 40 a 36 statue del progetto di Berlino, e respinto l’ulteriore diminuzione a 31 del progetto degli Uffizi. In ogni caso il papa e i due angeli tornano ancora nei progetti del 1516 e 1517 (tavv. 250-251)178. Tutto ciò dimostra come Michelangelo avesse in ogni modo cercato di liberarsi al più presto dell’incarico pesante e insoddisfacente della tomba. La realizzazione del fronte anteriore del basamento nel 1513-14 Il 9 luglio Michelangelo incaricò lo scalpellino Antonio da Pontassieve, che nel 1508-1509 aveva lavorato con Bramante ai capitelli dell’ordine corinzio del coro di S. Pietro179, di mettere in opera «la faccia che viene dinanzi» del basamento, e di completarla entro un anno al prezzo di 450 d. (doc. 57). L’artista riprende evidentemente il lavoro iniziato nel 1506 e si serve dei blocchi sino a quel momento consegnati, e in parte già sbozzati, o addirittura già completati180. Il basamento doveva essere alto 17 p.r., 3 p.r. (67 cm ca.) meno dei precedenti progetti di Berlino e Firenze, e largo, 30 p.r., 1 p.r. (22 cm ca.) in meno. Nel dicembre 1517 Michelangelo invia Urbano dal papa per portargli il modello della facciata di S. Lorenzo, e nell’occasione disegnare quanto già realizzato dell’architettura della tomba (dis. 31-32; tav. 31). Urbano avrebbe dovuto consegnare i disegni a Leonardo Sellaio, un amico di Michelangelo, che a sua volta avrebbe dovuto inoltrarli al cardinale Grosso della Rovere, che evidentemente voleva essere tenuto al corrente dell’avanzamento dei lavori. Ma lo spesso inaffidabile Urbano li riporta con sé a Firenze, e quando Sellaio il 5 febbraio 1518 rinnova la richiesta, Michelangelo gli invia una copia di propria mano (docc. 155, 156). Secondo le sue annotazioni autografe, la “faccia”, ovvero il fronte del basamento, “messa insieme” a Macel de’ Corvi in una stanza attigua al cortile, era formata da 76 blocchi, delle dimensioni corrispondenti a quelle dell’accordo del luglio 1513181, evidentemente già montati. Michelangelo riduce probabilmente l’altezza del piano inferiore per adeguarlo ai piedistalli di S. Pietro, che Raffaello, successore di Bramante morto a marzo, potrebbe aver modificato182. Per fare ciò, Michelangelo rinuncia non solo alla base, ma sposta i Termini così in alto che le loro teste si antepongono al fregio rialzato della trabeazione aggettante e ridotta. I piedistalli e le loro cornici sono, come nel progetto degli Uffizi, abbastanza ampi per accogliere le basi dei Prigioni del Louvre. La distanza di 215 cm tra i piedistalli e la trabeazione corrisponde infatti esattamente all’altezza del Ribelle. Michelangelo prolunga fin sotto l’architrave ridotto le nicchie, che appaiono ora semplificate e tagliate in una muratura omogenea. Il campo cieco centrale è trasformato in un’ombrosa nicchia profonda 70 cm con piedistallo raddoppiato (tavv. 64, 233). Può così attribuire al piano inferiore un carattere ancora più tridimensionale e al suo centro un peso ancora maggiore. Per unificarlo, fa proseguire la cornice d’imposta sui pilastri e li decora, come i pennacchi ai lati delle semicalotte delle nicchie, con una ricca ornamentazione nello stile dell’allora ancora sconosciuta Ara Pacis. Michelangelo sviluppa ulteriormente questa tendenza a una sistematica unificazione nella fronte laterale della cappella di Leone x in Castel Sant’Angelo, progettata nel 1515183. Tra i blocchi disegnati da Urbano si trovano anche i rilievi ornamentali alti 11/10 b.f. (65 cm) e profondi 1 ¼ b.f. (73 cm) che ancora oggi decorano le parte superiore
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delle pareti laterali della nicchia centrale, mentre i rilievi dei Tritoni della parte inferiore saranno aggiunti probabilmente nel 1532-33 (tav. 201, 202)184. I quattro progetti documentati del 1513 trasmettono, ancor meglio di quelli del 1505, un’immagine precisa del metodo di lavoro del maestro. A maggio combina i due progetti del 1505 con il sistema parietale del S. Pietro di Bramante, e indirizza il programma iconografico in senso più religioso e meno centrato sulla glorificazione di Giulio ii; riduce il basamento alla larghezza della ‘cappelletta’, diminuendone anche la profondità, pur col mantenimento del numero complessivo di 40 statue. Dopo poco tempo attribuisce al basamento del disegno di Berlino le dimensioni della tomba libera, per poter ancor meglio impiegare i blocchi esistenti, ma diminuisce il numero delle statue e la coerenza tra i due piani. Subito dopo nel progetto degli Uffizi conferisce alle figure un maggiore spazio di azione, e tenta invano di ridurre ulteriormente il loro numero oltre che di sostituire con un’anonima piramide simbolica il papa e gli angeli. Già in luglio nel progetto per il fronte anteriore del piano terreno riesce a omogeneizzare ed equilibrare il sistema parietale, con un campo centrale dominante, anche se non è chiaro se intendesse intervenire con modifiche anche nel piano superiore. Come già nel 1505 in tutti questi progetti inizia dall’intelaiatura architettonica, alla quale sono subordinate le sculture. Ciononostante i committenti devono essere stati sempre meno contenti del progetto, e aver insistito per un ulteriore cambio di piani. Il periodo da maggio 1513 a luglio 1516, il ‘Cristo risorto’ della Minerva e la facciata di S. Lorenzo Nel maggio 1513 Michelangelo aveva assunto l’impegno di non accettare ulteriori incarichi per i successivi sette anni, sino al compimento della tomba. Tuttavia quando il 23 maggio ricevette da Metello Vari, rappresentante degli interessi degli eredi di Marta Porcari, un acconto di 50 d. per un Cristo commissionatogli probabilmente già nel novembre 1512185, deve essere stato certo del consenso degli esecutori testamentari186. Non si spiegherebbe altrimenti come già verso il 1514 potesse iniziare a lavorare alla statua, e dopo l’inconveniente della prima versione, realizzarne nel 1519-20 una seconda senza suscitare proteste (fig. 28)187. Per la consegna di marmi, ordinati all’inizio di agosto a Carrara, paga 100 d., troppo se il blocco fosse stato destinato al Cristo (docc. 60-61). Probabilmente lo ricavò da uno dei molti blocchi divenuti superflui dopo la riduzione del numero delle statue della tomba. Tra il luglio del 1513 e l’estate del 1514, mentre Michelangelo abitava già nella casa di Macel de’ Corvi presso la Colonna Traiana, Antonio da Pontassieve portò a termine l’architettura del fronte anteriore del piano inferiore. Nel maggio 1518 Michelangelo ricordò di aver lavorato nel 1513 al Ribelle – «una figura di marmo ricta, alta quattro braccia, che a le mani drieto [la schiena]» (doc. 170) – che infatti è alto quasi 4 b.f. (sc. 2; tavv. 76-83). Benché la statua fosse destinata all’angolo sinistro del fronte anteriore, stranamente lasciò incompiuti i due lati secondari e lo zoccolo. Intorno al 1513-14 lavora al Morente, e in particolare al braccio destro, sino a quel momento solo probabilmente sbozzato, come l’Atlante e lo Schiavo che si ridesta dell’Accademia (sc. 1, 6-7; tavv. 65-74, 105-110)188. Incompiute rimasero non solo la parte posteriore e la mano sinistra, destinate ad non essere viste, ma anche la scimmia accanto ai piedi – forse perché la statua non doveva più alludere alla Pittura. Sotto gli schizzi sul retro dei disegni del 1513 e sul foglio di Haarlem sono studi anatomici preparatori per il Mosè, per un’altra figura seduta e per il braccio destro del Morente, ma non per il suo corpo, allora forse in esecuzione già molto avanzata (dis. 6, 9, 10; tavv. 26, 29, 30)189. Prima del luglio
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1516 Michelangelo deve aver anche cominciato a lavorare alla Madonna in mandorla, che nel marzo 1520 verrà invano cercata nella casa romana (doc. 212)190. Già nel gennaio 1514 l’artista accenna all’intenzione di spostare la propria attività a Firenze, «chom’io ò finiti questi marmi che io ò qua» (doc. 64). Tra il 6 maggio 1513 e il 16 giugno 1514 riceve per la tomba 2000 d., 800 in meno delle quattordici rate mensili stabilite (doc. 56). Il 14 giugno 1514 conferma l’accordo per il Cristo di S. Maria sopra Minerva e comincia poco dopo a scolpirlo191. Quando, alla metà dell’agosto 1514, è già a Firenze, manca solo la cornice del fronte anteriore del basamento, che sarà completata da Bernardino, uno dei suoi collaboratori (doc. 67). Antonio da Pontassieve è già pronto per «rizare quella figura, che voi gl(i) facciate intendere», probabilmente il blocco per la prima versione del Cristo. Per quello della seconda versione Metello Vari paga a dicembre altri 88 d.192. Poco dopo aver cominciato a lavorarci, lo abbandona a causa di una vena nera nel volto193, cosa alla quale può aver contribuito anche la sua superstizione. A fine ottobre spera di «achonciar la chosa della chasa» di Macel de’ Corvi, che con i suoi «palchi, sale, chamere, terreni, orto, pozzi e sui altri habituri» è più comoda, spaziosa e signorile di quella dietro S. Caterina, che aveva dovuto lasciare dopo la morte di Giulio ii (docc. 68, 71-72, 100)194. Nel caso di un esito negativo delle trattative con i della Rovere, sarebbe stato costretto a cercare un’altra abitazione, e non si sarebbe sentito in grado di ricominciare a lavorare senza aver prima risolto il problema. Sebbene il contratto del 1513 non consideri l’alloggio, che gli verrà ceduto solo nel 1524, vede in ciò l’opportunità per sospendere il lavoro ed esercitare una pressione sugli eredi (docc. 243, 245, 247, 254, 268, 274, 276, 282, 289). Nel frattempo continua a investire ogni ducato che riceve in immobili in Toscana. Senza aver neppure ultimato il Ribelle, si lamenta di avere problemi finanziari e lavorare poco (doc. 69). Nell’attesa di ricevere ulteriori pagamenti e che gli sia assicurata la casa, si concede, come tra settembre 1510 e giugno 1511, una pausa di alcuni mesi195. Solo all’inizio di gennaio 1515, dopo aver ricevuto dagli eredi altri 600 d., desidera riprendere l’attività (doc. 70) e spera di potersi trasferire
a Firenze entro solo due mesi (doc. 73). Probabilmente si pone al lavoro dopo aver riscosso, il 25 marzo 1515, altri 1600 d. (docc. 74-76). Gli eredi gli devono quindi ancora 600 d. dei 4800 fissati, pari a 24 rate mensili, stabilite per il periodo da maggio 1513 ad aprile 1515. Nell’aprile 1515 è di nuovo a Firenze (doc. 77), e il 12 giugno trasferisce a Roma 393 d. dal suo conto fiorentino (doc. 79). Il 2 giugno ordina nuovi marmi a Carrara (doc. 80), e il 16 chiede al fratello Buonarroto di mandargli 1400 d. per acquistare i materiali, tra cui 20.000 libbre ca. (6600 kg) di rame, da destinare probabilmente ai tre grandi bassorilievi (docc. 81-87). Evidentemente paga con l’importo delle rate mensili anche i materiali, come previsto nel contratto del 1513. L’11 agosto scrive al fratello che dal suo ritorno da Firenze, ma anche da circa tre-quattro mesi, non sta lavorando, ma ha cominciato a “far modegli” e che intende finire la tomba nell’arco di due o tre anni (doc. 86). Probabilmente si tratta di “modelli” in cera o creta per i tre rilievi, e forse anche di modelli che servivano ai collaboratori per sbozzare i blocchi delle numerose figure ancora mancanti. Né questi né i relativi disegni preparatori si sono conservati, e lo stesso vale per gli altri modelli e la maggior parte dei disegni degli anni romani. Comunque tra l’estate 1514 e il giugno 1516 potrebbe aver continuato a lavorare di volta in volta a statue già abbozzate come il Mosè, ma non inizia, nonostante tutte le richieste di Metello Vari, neppure la seconda versione del Cristo. Nonostante le decine di marmi di tutte le dimensioni che giacciono a Ripa Grande, a fine luglio ne ordina degli altri, da destinare forse alle due figure sedute supplementari proposte nel 1513, ma non ha voglia di andare a Carrara (doc. 84). In settembre parla ancora della necessità di un’ulteriore consegna di marmo (doc. 89), e ai primi di ottobre apprende che a Carrara è stata trovata una vena di buona qualità (doc. 90). Il 21 aprile 1516 il cardinale chiede che le parti terminate della tomba vengano mostrate alla duchessa di Urbino, la moglie di suo cugino (doc. 95). Se la visita abbia o meno avuto luogo, non può che aver avuto un esito deludente, in quando erano terminati il solo fronte anteriore e un’unica statua. Benché Michelangelo non sia favorevole alle ambizioni fiorentine dei Medici, dal 1512 nuovamente signori della città, fa di tutto per assicurarsi l’incarico per la facciata della basilica di S. Lorenzo, la loro chiesa di famiglia. Nel giugno 1515 comunica al fratello di dover rapidamente portare a termine la tomba, poiché attende da un momento all’altro di entrare a servizio del papa (doc. 81). Dopo il trionfale ingresso a Firenze in novembre, Leone x chiede a Giuliano da Sangallo, a Raffaello e a Jacopo Sansovino di consegnargli progetti per la facciata di S. Lorenzo196. Michelangelo non si reca a Firenze, ed è più che mai sicuro di ottenere lui l’incarico, anche se le trattative si trascinano sino all’ottobre 1516. Finalmente ha l’occasione di lavorare per il giovane papa e di trionfare su Raffaello, acclamato successore di Bramante. Intendeva creare un monumento grandioso per la sua città natale, alla quale era ben più legato che non alla capitale papale. Secondo Condivi Leone l’avrebbe indotto a trasferirsi a Firenze per realizzare la facciata, assicurandogli di poter proseguire la tomba (doc. 448). In una lettera del 1542 Michelangelo racconterà invece che Leone non avrebbe voluto che finisse la tomba, e che avrebbe proposto il progetto della facciata per impedirgli di dedicarsi a quell’impegno. Per tale motivo avrebbe chiesto al cardinale Grosso della Rovere il permesso di trasferirsi a Firenze (doc. 407), e questo l’avrebbe lasciato andare con la speranza che lavorasse alla tomba. Nel 1547 Baccio Bandinelli ricorderà che il pontefice aveva permesso al maestro di limitare il suo lavoro alle “fighure principali”, della facciata così da potersi forse dedicare contemporaneamente a entrambi i progetti197. Il 21 giugno 1516 si sente che Michelangelo sarebbe tornato entro dieci giorni a Firenze con quattro ragazzi (doc. 96). Le molte notizie disponibili dànno un’idea sufficientemente approssimativa di
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
31. Nicola Pisano, Crocifissione, 1265-68, Siena, pulpito del duomo, particolare.
29. Mosè, xiii secolo, Oxford, Ashmolean Museum. 30. Andrea da Firenze, Mosè, 1365-67, Firenze, S. Maria Novella, Cappellone degli Spagnoli.
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questi tre anni decisivi per la storia della tomba. I circa 7900 d. ricevuti prima da Giulio ii e poi dai suoi eredi corrispondono solo alla metà del prezzo convenuto nel 1513, e di questi l’artista ne paga almeno 450 ad Antonio da Pontassieve, e una media di 3 a ciascuno dei quattro o più collaboratori ogni mese, oltre a spenderne prima 393 e poi 1400 per rame e altro materiale. Dei 4400 d. ricevuti dal maggio 1513 in poi, gliene rimangono almeno 2000 – cifra che già a gennaio 1514 consegnerà al padre con la preghiera di investirla in altri immobili in Toscana (doc. 64). Spende poco per sé, ma è ossessionato dal guadagno e dalla volontà di acquistare proprietà per innalzare lo status sociale della famiglia. In questo arco di tempo ha però finito solo la maggior parte del Morente e buona parte del Ribelle e lavorato al Mosè, alla Sibilla e alla Madonna in mandorla, mentre l’unica scultura nuova, il Cristo, è rimasta allo stato di abbozzo. L’11 ottobre 1516, quando Michelangelo si trova già a Carrara, Sellaio gli scrive che i due Prigioni del Louvre, per i quali si preoccupa particolarmente, sono murati nella casa di Macel de’ Corvi (doc. 116), mentre nel dicembre 1517 lo stesso Michelangelo menziona che vi si trovano “fugure [sic] bozate, che son quatro” (doc. 155). Si tratta probabilmente del Mosè, della Sibilla, del Papa seduto e della versione abbandonata del Cristo. Il masso del “profeta” ancora nel 1532 si troverà a Ripa Grande (doc. 338)198. Dal 1504 non ha ultimato veramente neppure una statua, e anche in seguito non riuscirà a portarne a termine più di una all’anno. Queste pause, forse dovute a fasi di riflessione creativa e paralizzante depressione, si ripeteranno nel corso di tutta la sua attività artistica. La sproporzione tra la parte compiuta e i denari ricevuti è così sempre più manifesta (doc. 92), anche se nella lontana Firenze ha meno timore di dover giustificare tali ritardi.
L’evoluzione stilistica negli anni 1513-16 Come in altre fasi creative della sua vita, anche nel 1513-14 Michelangelo sembra aver lavorato contemporaneamente a diverse statue, e non solo al Morente
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e al Ribelle, ma anche al Mosè, alla Sibilla e alla Madonna. I suoi studi anatomici testimoniano come in questo periodo di circa un anno si sia principalmente concentrato sui rapporti delle figure con lo spazio (dis. 6, 9, 10; tavv. 24, 29, 30). Concepisce statue non solo meno simmetriche, ma anche più dinamiche e anatomicamente corrette, in più incisiva comunicazione con lo spazio, secondo le tendenze già affermate nella seconda parte della volta Sistina. Sul verso del foglio degli Uffizi sono studi per la mano e il braccio destro del Morente, e probabilmente per le braccia del Mosè, mentre le gambe di una figura seduta possono essere piuttosto collegate al presunto Profeta. Sul verso del foglio di Berlino, accanto allo studio per una gamba sinistra, meno piegata di quella del Ribelle e forse destinata alla prima versione del Cristo, sono altri studi di gambe ancora più difficilmente identificabili. Il quasi contemporaneo disegno a penna del Cristo deve risalire al periodo tra il novembre 1512, quando Michelangelo prende i primi contatti con gli eredi Porcari, e la tarda estate del 1513, presumibile inizio del lavoro (fig. 26) 199. Il tratteggio è simile a quello dei disegni anatomici, e i contorni vigorosi come nello studio per la Sibilla Libica (dis. 5; tav. 19). Il braccio destro è più lontano dal petto del Cristo per diretta suggestione della Leda di Leonardo (fig. 18), qui ancora più evidente di quanto lo sia nel circa contemporaneo Ribelle, di cui ricorda soprattutto la lieve rotazione. Fino al capo il Morente presenta grosso modo la stessa altezza del Ribelle, ma il braccio sollevato avrebbe parzialmente coperto – a differenza dei Prigioni dei progetti del 1513 e del disegno per la Libica – la testa del Termine corrispondente. I lacci del braccio sinistro tradiscono che in origine ambedue le mani dovevano essere legate sopra la testa, e quindi tenute ancora più in alto del Narciso (fig. 20) e dei Prigioni schizzati nel 1511-1512. Al margine inferiore del verso del foglio degli Uffizi è infatti schizzato un braccio destro alzato, forse legato con larghe bende al collo di una testa reclinata. Ora Michelangelo lega il busto con fasce più larghe, che ripetutamente avvolge, senza togliere quelle ormai superflue del polso sinistro. Nessuno degli studi anatomici riguarda il braccio sinistro, probabilmente già scolpito. Il Morente tocca con l’indice della stanca mano destra il legaccio, come per cercarne il nodo. Il braccio destro piegato rispecchia ora quasi simmetricamente quello sinistro, e il forte accento orizzontale interrompe, ancora più energicamente che nella Leda di Leonardo, nella Galatea di Raffaello o nel figlio del Laoconte, il contorno fluido e lineare del corpo. Né la scimmia del Morente né i presunti trofei del Ribelle sono condotti a termine. Dopo la morte di Giulio ii i Prigioni sembrano aver perso il loro significato allegorico, prevalendo ora – come nelle sculture dell’Accademia – quello neoplatonico200. Il Mosè del progetto di Berlino è probabilmente lo stesso della tomba isolata, con la parte superiore della schiena ancora libera. Come il Mosè affrescato da Andrea da Firenze nel 1365-67 (fig. 30), è impostato frontalmente e regge le Tavole della Legge separate con entrambe le mani, mentre la lunga barba gli ricade sul petto con due lunghe ciocche perpendicolari. Le corna sono più pronunciate che nel disegno di New York, lievemente ricurve e simili ai fasci di luce dipinti da Andrea. È però meno simmetrico, reggendo una Tavola col braccio destro poggiato sul trono e l’altra, poggiata sulla coscia, con quello sinistro. La lunga veste cinta alla vita è già priva di maniche, mentre il cartiglio del profeta gli attraversa il grembo. Le ginocchia sporgono in avanti e i piedi sono accostati. Non è immerso nei pensieri, ma guarda avanti, fiero delle Tavole iscritte per la seconda volta, e nulla indica che sia tentato ancora di distruggerle. Michelangelo aveva certamente ordinato il blocco nel 1505 e iniziato a lavorarci probabilmente all’inizio del 1506, e questo spiega perché manchi ogni traccia di rotazione del corpo.
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La mano destra schizzata da Michelangelo nella parte bassa del verso del foglio degli Uffizi è più simile a quella del Mosè che a quella del Morente. È vista di lato e piegata ad angolo retto, con le quattro dita allineate senza spazi intermedi. Il Mosè finito ruota la mano più verso l’alto, afferrando tra il pollice e l’indice una delle ciocche della parte finale della barba, mentre ripiegate le due ultime dita, col terzo la sfiora (sc. 9; tavv. 122-145). La parte inferiore della barba è di fattura più asciutta e fragile di quella superiore, probabilmente realizzata intorno al 1532-33, a cui non si collega in modo pienamente organico201. Toccandosi la barba come gli ebrei nel rilievo della Crocifissione di Nicola Pisano (fig. 31)202, Mosè assume un’espressione più pensierosa, simile a quella del progetto di New York, e solo nel 1532 la afferrerà anche con l’altra mano. Dal 1505-06 era radicalmente mutata non solo la contingenza politica, ma anche la situazione personale di Michelangelo. Non dipendeva più dal papa, identificatosi in Mosè, e sembra che abbia anche voluto approfondire ulteriormente il testo biblico che descrive la seconda salita al monte. Prima di fare ciò, Mosè prega Dio di mostrargli il suo volto, ma Dio gli ordina di nascondersi in un crepaccio, cosicché quando gli fluttua sopra lo copre con la mano. Mosé segue le indicazioni e può solo percepire il dorso di Dio, che lo circonfonde col suo splendore facendogli spuntare le corna, o i raggi di luce. In seguito trascorrerà quaranta giorni in digiuno sul monte aspettando invano che Dio iscriva nuovamente le Tavole. Alla fine Dio gli detta il testo e quando ritorna gli ebrei sono a tal punto spaventati dal suo splendore, che lo pregano di coprirsi il volto. Michelangelo sembra aver colto Mosè nel momento in cui gli stanno spuntando le corna ma prima che Dio iscriva le Tavole, ancora lisce e chiuse203, assicurandosi, mentre le trattiene con le mani tra busto e gambe, di poterle aprire subito al suo volere. Anche le dita che afferrano la barba esprimono una tale calma rilassata. Michelangelo trasforma l’orgoglioso legislatore della tomba libera in un personaggio profondamente riflessivo e più affine al Giulio degli anni immedia-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
tamente precedenti la morte, che per il dolore provato per la sconfitta in Italia settentrionale e il fallimento della sua politica imperiale nel 1510-11 si era fatto crescere la barba e attendeva un segno di Dio per essere salvato dalla crisi politica e religiosa204. Mosè inizia a emergere come la figura principale della tomba, e lo stesso Michelangelo, che è altrettanto alla ricerca di Dio e fregia con corna il cimiero del suo stemma, comincia a identificarvisi. Leonardo, che giunge a Roma nel settembre 1514 e vi si trattiene fino all’agosto 1516, potrebbe aver discusso del Mosè con Michelangelo e schizzato anche una proposta alternativa per la sua testa (dis. 45a; tav. 63b)205. È meno probabile che, senza la statua di Michelangelo, l’avrebbe disegnato con le corna, il braccio destro davanti al petto e l’indice verso la barba. Leonardo ruota di lato la posizione di testa, braccio e mano, e si concentra sull’espressione del volto, di cui è maestro impareggiabile. Rende Mosè più vecchio e con i tratti fisiognomici più ebraici, e potrebbe già allora aver suggerito a Michelangelo di ruotargli la testa. Se allora la statua fosse stata collocata al disopra dell’angolo anteriore destro del basamento della tomba addossata al pilastro nord-ovest di S. Pietro, Mosè con la testa girata avrebbe guardato verso la crociera illuminata e l’altare maggiore206. Non è escluso che Michelangelo già verso il 1514 avesse pensato a un tale cambiamento, e avesse voluto forse modificare anche le altre figure sedute.
iii. i progetti del
1516-17 e gli anni fino al 1531
Il contratto del 1516 L’8 luglio 1516 Michelangelo e gli eredi ridefiniscono i punti significativi del contratto (docc. 97-102). Nella bozza stesa in italiano i termini di consegna vengono prorogati di nove anni, cioè dal 1513 al 1522. Nella redazione in latino, con un ulteriore prolungamento, la data del ricalcolo è fissata al maggio 1516, «saltim magni momenti, quo mediante impediatur fabrica prefata», o «propter infirmitatem et gravitatem operis et labores necessarias». Gli eredi avrebbero però cominciato a fare pressione su Michelangelo già nel 1523 (doc. 231). Neppure la versione latina tuttavia può essere considerata quella definitiva, poiché vi si menzionano i 3500 d. che Michelangelo aveva già ricevuto da Giulio ii, ma non gli ulteriori 4500 d. avuti dagli eredi, e sono fissate quasi le medesime rate mensili del 1513. Grosso della Rovere e Lorenzo Pucci, elevato nel frattempo da Leone x a cardinale, gli garantiscono l’usufrutto della casa di Macel de’ Corvi e gli consentono di realizzare il lavoro a Firenze, Pisa o Carrara. Probabilmente in considerazione dell’incarico per la facciata di S. Lorenzo, il passo in cui Michelangelo s’impegna a non accettare commissioni altrettanto impegnative mentre è impegnato nella conclusione della tomba, è formulato in modo meno restrittivo. Michelangelo predispose un nuovo modello, redigendo probabilmente anche la descrizione in italiano che costituisce parte del contratto, in modo ancora più dettagliato dell’aggiunta del 1513 (doc. 99). In previsione forse di un suo trasferimento a Firenze, impiegò il ‘braccio fiorentino’ invece del ‘palmo romano’. Riutilizza il fronte anteriore del piano terreno, realizzato nel 1513-14, con la nicchia centrale riservata a un bassorilievo bronzeo, e stima il basamento ½ b.f. più basso e 1/3 più stretto, riducendone la profondità a una sola campata. A differenza di quanto stabilito nel contratto del 1513, parla ora di quattro statue in nicchia, considerando i vinti delle Vittorie, come in quella di Palazzo Vecchio (sc. 8; tavv. 115-120) parti di un’unica statua – forse perché le nicchie del piano terreno realizzate nel 1513-14 erano troppo ridotte per i vinti raffigurati nei precedenti disegni. Nel piano superiore, la cui altezza corrisponde già a quella realizzata (tav. 250, pp. 264-265), le paraste del basamento proseguono in un
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La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
ordine di semi-colonne su piedistalli «co’ loro ornamento». Le nicchie dei campi laterali e dei lati sono destinate a statue di personaggi seduti alte 3 ½ b.f. (176 cm), e le pareti tra le nicchie sino alla trabeazione a rilievi bronzei istoriati. Nella “tribunetta” centrale larga 3 b.f. sarebbe stato Giulio ii con due statue «che la metono in mezo» e «una Nostra Donna pure di marmo alta braccia quatro simile». Più piccola dunque rispetto al progetto di Berlino, ma sempre ancora maggiore di quella realizzata (sc. 10; tavv. 146-149). Nonostante la riduzione del numero delle statue, dimezzato rispetto al maggio 1513, il compenso di 16.500 d. rimase lo stesso. Michelangelo non si faceva scrupolo di trarre vantaggio dalla sua crescente fama e dalla disponibilità finanziaria del papa. Significativamente nelle lettere del 1523 e del 1542 non menziona la drastica riduzione operata, e neppure ne parlano Condivi e Vasari (docc. 234, 407, 448, 469). L’acquisto dei marmi dal novembre 1516 all’estate 1517 Il 21 giugno 1516 i parenti fiorentini appresero che Michelangelo sarebbe arrivato a breve con quattro garzoni (doc. 96). Evidentemente viaggiava per mare, e il 15 luglio era già a Carrara, dove Argentina Malaspina lo raccomanda al marchese di Fosdinovo (doc. 103) e il 23 luglio riceve una lettera del padre (doc. 105). Intendeva ordinare il marmo e iniziare subito a lavorare, ma non ordina ancora nulla. Giunto il 28 luglio a Firenze, era così sprovvisto di vestiti che uscì di casa solo dopo aver «tagliato uno farseto (et) altre veste» (doc. 106). Intanto il suo corrispondente e amico romano Sellaio lo informava di aver fatto trasportare le statue dal giardino all’interno della casa di Roma, esortandolo a far murare la porta e a terminare il lavoro della tomba per mettere a tacere tutti i maliziosi pettegolezzi (doc. 108). Avrebbe dovuto ricevere già quattordici rate mensili per un ammontare complessivo di 130 d. quando il 18 luglio 1516 gli eredi gli versarono 300 d. (doc. 104). Dovendo giungere alla fine di agosto altre due rate, a questo punto gli aspettavano ancora 1780 d., che si ridussero a 280 quando il 28 e 29 agosto ne ricevette altri 1500 dal cardinale Grosso della Rovere (doc. 110). Aveva ricevuto dagli eredi un totale di 6600 d., che, sebbene dubitassero dell’avanzamento dei lavori, a febbraio 1518 gliene versarono altri 400, raggiunsendo la somma di 7000 d., che Michelangelo nel 1524 afferma di aver avuto e che corrisponde all’importo lasciato alla sua morte da Giulio ii (docc. 242, 245). Compresi i 3500 d. ricevuti da Giulio ii, la somma raggiungeva quindi i 10.500 d. stabiliti nel contratto del 1505, ma senza i 6000 aggiunti nel 1513, che evidentemente il cardinale Grosso della Rovere intendeva versare solo alla conclusione dei lavori. Alla morte del cardinale, gli eredi, influenzati dal più clemente Lorenzo Pucci, ammetteranno che, avendo Giulio pagato per la tomba solo 1500 d., gliene spettavano altri 8000 (doc. 268)207. Il 5 settembre Michelangelo è di nuovo a Carrara, dove prende subito contatto con i proprietari e gli operai delle cave di marmo (doc. 111). Verso la fine di settembre comunica al padre che vi rimarrà per due mesi, e che lavorerà alla sepoltura a Pisa o a Roma, come gli consentiva il contratto (doc. 115). Evidentemente sperava di evitare il costoso, laborioso trasporto dei blocchi da Carrara a Firenze e delle statue finite a Roma. Il 28 settembre e l’11 ottobre l’amico e collaboratore Michele di Piero Pippo gli scrive da Pietrasanta, paese che a differenza di Carrara era in terra fiorentina, di aver trovato marmo di qualità che avrebbe potuto interessarlo, e chiede le misure dei blocchi di cui necessita per poterli sbozzare (docc. 113, 115)208. Michelangelo preferisce però il marmo di Carrara, e il primo novembre ordina a Francesco di Pelliccia, che conosce dal 1508, quattro blocchi di 4 ½ x 2 2⁄3 x 2 2⁄3 b.f. (234 x 156 x 156 cm) al prezzo di
18 d. ciasuno (doc. 118). A queste misure corrisponde un solo blocco sul fol. 227v del Libro di Michelangelo (dis. 25-26; tav. 53b)209. Non sono sufficientemente alti per i Prigioni dell’Accademia o per la Vittoria di Palazzo Vecchio, ma abbastanza spessi per le figure sedute dei precedenti progetti210. Contemporaneamente ordina 5 blocchi alti 4 ½ b.f. (249 cm) per “figure” al prezzo di 8 d. ciascuno, di cui l’accordo non registra le altre misure. Questi ultimi – del prezzo ridotto di meno della metà degli altri – dovevano essere molto meno larghi, e potrebbero essere destinati ai sei Prigioni mancanti, al Papa giacente e ai due angeli, tutti delle medesime dimensioni di prima. L’artista paga un acconto di 100 d. sul costo complessivo di 192 d., forse addirittura meno di quanto sarebbe costato il trasporto a Firenze dei blocchi depositati a Roma. Ogni due mesi un blocco di grandi dimensioni e tre più piccoli, già sbozzati, avrebbero dovuto essere consegnati a pie’ di cava. Poco dopo però Michelangelo cancellò l’ordine, e il 7 aprile 1517 alla presenza del notaio gli furono rimborsati i 100 d. pagati in anticipo (doc. 118). Anche i tre blocchi acquistati il 18 novembre 1516 da Mancino, suo vecchio fornitore, avrebbero dovuto essere destinati alla tomba (doc. 119). Il prezzo di 15 d. è notevolmente più basso di quello pagato a Francesco di Pelliccia, e per tale motivo l’artista in seguito si rivolgerà soprattutto a lui. Il blocco di 5 x 2 ½ x 3 b.f. (293 x 147-176 x 147-176 cm) potrebbe essere stato destinato a un personaggio seduto211. Quello alto 8 b.f. (469 cm), poi spezzato in due parti, può essere destinato solo all’architettura del piano superiore, e lo stesso vale forse anche per i due blocchi di 4 x 3 x 1 b.f. (234 x 176 x 57 cm) e 3 x 3 x 3 ½ b.f. (176 x 176 x 205 cm). Se Michelangelo non avesse in seguito cambiato progetto, i tre ordinativi sarebbero stati quasi sufficienti a completare il progetto del 1516. Sellaio, da amico influente, gli riferisce regolarmente degli ammonimenti benevoli del cardinale Grosso della Rovere e della sua richiesta di maggiori informazioni. Certamente ancora via mare, il 5 dicembre 1516 Michelangelo va da Carrara a Roma per sottoporre al pontefice il primo progetto per la facciata di S. Lorenzo, al quale aveva presumibilmente lavorato durante il precedente soggiorno nelle Apuane (doc. 211)212. Il 3 novembre 1516 il papa gli aveva confermato di dover eseguire di persona solo le “fighure principali” della facciata213. Ora però riceve l’incarico di provvedere al marmo necessario per la facciata, e il 31 dicembre fa ritorno a Firenze. Il 2 gennaio 1517 Leone x gli manda 1500 d. per la facciata, e da ora in poi le consegne per i due cantieri non sono sempre facilmente distinguibili214. Michelangelo incarica lo scalpellino Domenico da Settignano detto ‘Topolino’, suo stretto collaboratore, dell’acquisto del marmo per la facciata, e riceve il 21 gennaio 1517 dal papa un altro pagamento di 1000 d.215. In seguito sosterrà di aver dovuto impiegare questi denari per l’acquisto di marmo per la tomba (doc. 407). Già il 3 gennaio 1517 Michelangelo chiede a Jacopo di Piero da Torano e Antonio di Iacopo da Puligo detto ‘Leone’ quattro “figure” di 4 ‘carrate’ alte 4 ½ b.f. (doc. 123). Entrambi non sanno scrivere, e così Topolino, per il quale lavorano, firma a loro nome. Poiché a febbraio i blocchi non sono ancora arrivati, Michelangelo prolunga la scadenza di due mesi, minacciando però di richiedere un indennizzo (doc. 124). Nessuno di questi blocchi era sufficiente per i Prigioni dell’Accademia o per la Vittoria di Palazzo Vecchio, e sembrano pertanto destinati piuttosto alla facciata. In ogni caso le fonti non consentono di distinguere i blocchi destinati alla tomba da quelli per la facciata. Il blocco dell’Atlante, sul quale si è conservato il marchio di cava dei tre cerchi intrecciati e l’iniziale “L” di Leone, che appare uguale a quello schizzato da Michelangelo sui foll. 223v e 230r del Libro, deve risalire a un altro acquisto non documentato (dis. 27, 28; tav. 52b, 55c)216.
Quando il 7 febbraio Mancino consegna i suoi tre blocchi, solo il primo corrisponde alle dimensioni concordate, il secondo in lunghezza e larghezza, ma non per lo spessore di appena 1 b.f., mentre il terzo misura 3 ½ x 3 ½ x 1 1/1-2 b.f. e quello di 8 b.f. è rotto in due pezzi (doc. 127). Nella stessa occasione Mancino vende a Michelangelo altri quattro blocchi già sbozzati: il primo di 6 x 2 ½ x 2 b.f., il secondo di poco meno di 5 x 2 x 2 b.f., il terzo di 4 x 3 x 1 ¼ b.f. e il quarto di 3 x 2 x 2 b.f. (doc. 126). I due più grandi sono alti abbastanza per i Prigioni dell’Accademia e quello già sgrossato – schizzato sul fol. 227v del Libro, potrebbe essere destinato al Prigione barbuto (sc. 4; tavv. 90-98; dis. 26; tav. 54b)217. Michelangelo sembra dunque aver ordinato solo a febbraio i marmi per i Prigioni dell’Accademia. Lo stesso 7 febbraio ordina a Leonardo di Andrea detto ‘il Cagione’, che come altri scalpellini lavora contemporaneamente alla tomba e alla facciata218, un blocco di 4-4 ½ b.f., del peso di 4 c., da consegnare da Carrara entro quindici giorni, forse destinato al Prigione giovane (doc. 127)(sc. 5, tavv. 101-103)219. Il blocco di 6 b.f. di altezza pagato il 12 febbraio deve essere stato invece ordinato per la facciata, per la quale Michelangelo a metà febbraio si reca ancora a Roma (doc. 129). Il 12 febbraio l’artista fonda insieme a Cagione una società per la fornitura dei marmi da destinare esclusivamente alla facciata, della quale si riserva la metà dei profitti (doc. 128). All’inizio di marzo è di ritorno, ma per espresso desiderio del papa deve ora ordinare il marmo per la facciata a Serravezza, che dista 12 km in linea d’aria da Carrara e si trova in territorio fiorentino (doc. 130). La laboriosa costruzione di nuove strade e la ricerca delle vene di marmo in cave a lui fino ad allora sconosciute, gli costeranno molto tempo sino al 1518220. Il 14 marzo ordina comunque altri blocchi per 100 c. complessive da Cagione a Carrara (doc. 131), e il 20 marzo torna a Firenze. Il 17 aprile fonda una nuova società, autenticata dal notaio carrarese Lombardello, che comprende oltre a Mancino e a Cagione, i due scalpellini probabilmente più capaci, anche Francesco di Jacopo detto ‘il Bello’ (doc. 133). I tre si impegnano a consegnare 20 c. entro novembre e altre 30 entro maggio 1518. Compreso il trasporto fino al porto, chiedono 2 d. per i blocchi da 1-2 c., 2 ½ per quelli da 3 c., 3 per quelli da 4-5 c., 5 per quelli da 5-6 c., 4 per i pezzi da 6-7 c., 4 ½ per quelli da 8-9 c. e 5 ½ per quelli da 10-12 c., la maggior parte dei quali deve essere stata destinata alla facciata. Tra il 25 aprile e il 14 agosto 1517 Urbano annota spese per un blocco alto 4 b.f. e lo sbozzamento di altri (doc. 135), tra cui uno di 4 x 4,4 b.f. che Michelangelo ha acquistato per 10 d. dallo scalpellino carrarese Lotto. Il 19 giugno paga tre collaboratori (doc. 142) e nella seconda metà di agosto salda tutti i conti in sospeso con i fornitori di Carrara, prendendo accordi per il trasporto dei blocchi al porto dell’Avenza (docc. 146-151). Il 5 dicembre Sellaio e il cardinale sono informati che tutti i blocchi necessari per la tomba sono alla marina dell’Avenza (doc. 154). Il cardinale promette a Michelangelo che a conclusione dei lavori riceverà un beneficio ecclesiastico e la casa di Roma. Il 19 gennaio 1518 è formalizzato ufficialmente il contratto per la facciata col papa per un compenso complessivo di 30.000 d. poi aumentato a 40.000221. Ancora una volta sarà Michelangelo ad amministrare il denaro. Mancino, Cagione e Bello si sono impegnati a effettuare l’ultima fornitura entro il maggio 1518, ma potrebbero anticiparla già all’inizio di aprile, quando l’artista si reca a Genova, Carrara e Pisa per prepararne il trasporto sino alla foce dell’Arno, e per incaricare una persona di sua fiducia dell’organizzazione generale (docc. 165-169)222. Il disegno dei blocchi Il 30 ottobre 1517 il marchese di Carrara, proprietario delle cave di marmo, propone all’artista di far compilare dal notaio Lombardello l’inventario com-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
32. Michelangelo, disegno per lo sbozzo di un dio fluviale per la Cappella Medici, 1524-27 ca., Monaco, Graphische Sammlung. 33. Lorenzo Maitani, Giudizio Universale, 1335 ca., Orvieto, facciata del duomo, particolare.
plessivo dei pezzi depositati al porto dell’Avenza (doc. 152), che effettivamente deve essere stato redatto poco dopo. Michelangelo, presumibilmente con Urbano, misura e disegna nel suo Libro i blocchi forniti da Antonio di Jacopo da Puligo, Mancino, Cagione, Bello e Lotto (dis. 19-28; dis. Ap. 17-19; tavv. 52a-57e). Sulla prima pagina del Libro lo stesso notaio di Carrara Giovanni Galvano di Ser Galvano che già aveva registrato la maggior parte dei contratti precedenti per la consegna del marmo, conferma la sua presenza e firma alcune delle pagine successive. Michelangelo contrassegna ogni blocco destinato alla tomba con tre cerchi intrecciati e l’iniziale dello scalpellino responsabile, spiegando sulla prima pagina che «L» sta per Leone, «M» per Mancino, da cui proviene la maggior parte delle consegne, «CH» per Cagione, «B» per Bello e «Lo» per Lotto. Una parte di questi è contrassegnata da una mezzaluna orizzontale e da una croce verticale al disopra degli anelli (foll. 223v, 224r-v, 225v, 227r, 230r; Coll. Lugt, Coll. Scharf; tavv. 52b, c, d, 53b, 54a, 55c, 57d, e); un’altra con il tridente di Nettuno (foll. 223r, 225r, 226r-v, 227r-v, 228r, 230r-v, 231r-v, 233r; tavv. 52a, 53a, c, d, 54c, 55c, d, 56b, c). I restanti marcati con una «S» (statue?) (foll. 227r-v, 230r-v, 231r-v, 233r) sono particolarmente grandi, e anche per la loro sbozzatura riconoscibili come blocchi destinati a statue. Benché le misure dell’Atlante, 4 ¾ x 1,9 x 1,1 b.f., non corrispondano a quelle di uno dei blocchi consegnati da Leone, sul blocco si sono conservati i tre anelli con la «L» (tav. 113)223. Su uno dei lati non lavorati è inoltre incisa una testina di profilo con sotto una croce – forse un ricordo per Leone, che potrebbe essere morto prima del 1524225. Michelangelo distingue con questi marchi di scalpellino i blocchi destinati alla tomba da quelli per la facciata e la Cappella Medicea225. Gli altri blocchi contrassegnati con gli anelli e la «L», troppo piccoli per le statue, potrebbero essere destinati solo all’architettura, e lo stesso vale per la maggior parte di quelli di Mancino, nei quali una mezzaluna con la croce accompagna la «M». Il blocco sbozzato con testa reclinata e ginocchio poco sporgente del fol. 115v del Libro era forse destinato al Barbuto, e Michelangelo potrebbe averlo iniziato col collaboratore già nel 1517 (sc. 4; tavv. 90-98)226. I blocchi raffigurati sul Libro contrassegnati dai tre anelli sarebbero bastati per gli otto Prigioni, la Vittoria di Palazzo Vecchio e le quattro statue con personaggi seduti del progetto del 1516, e anche per la seconda versione del Cristo risorto (fig. 28) . Nel Libro mancano i disegni dei due blocchi di 5 x 2 ½ x 2 ½ b.f. consegnati prima della fondazione della società, e forse giunti a Firenze prima che Mancino consegnasse il suo blocco e Cagione il suo, forse destinato al Prigione giovane227. Il fronte anteriore del basamento, completato già nel 1513-14, è composto da 66 blocchi228, e una quantità simile era necessaria anche per il piano superiore. Una buona parte dei 92 blocchi con i tre anelli potrebbe quindi essere stata destinata all’architettura dei prospetti laterali e del livello superiore. Come già nel 1505, nell’autunno 1516 Michelangelo trascorre più di tre mesi a Carrara, mentre nel 1542 sosterrà che si trattava di tredici (doc. 407). In questo lasso di tempo può assicurarsi marmi di prima qualità, ma ha a disposizione solo pochi blocchi su cui lavorare. Già alla fine di dicembre deve aver stornato la consegna di Pelliccia e pensato a nuovi Prigioni di più robusta struttura. Deve aver impiegato i mesi trascorsi a Carrara anche per fare studi di nudo e predisporre i modelli per le singole statue e i dettagli architettonici229. I disegni destinati al primo sbozzo dei blocchi potrebbero avvicinarsi ad alcuni del 1525-26 per una divinità fluviale della Cappella Medicea (fig. 32)230. Neppure i pochissimi blocchi sbozzati in modo più particolareggiato del Libro, gli avrebbero impedito ulteriori modifiche, e sembra che quelli dell’Atlante e dello Schiavo che si ridesta siano stati sbozzati solo a Firenze231.
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Ricostruzione del progetto del 1516 Nessuno tra i disegni conservati corrisponde al contratto del luglio 1516. Questo tuttavia prevede che il basamento rimanga inalterato, sebbene un po’ più basso e corto di quello concordato nel luglio 1513, con statue alte quanto i due Prigioni del Louvre. Le dimensioni del livello superiore restano simili a quelle dell’inferiore, con i prospetti laterali ridotti a un solo campo angolare, con una profondità diminuita da 7,82 a 2,70 m. Michelangelo prosegue l’ordine del basamento nel livello superiore, probabilmente dorico come nello schizzo del 1517 (dis. 18; tav. 34). I piedistalli e i semipilastri avrebbero dovuto assomigliare a quelli disegnati verso il 1535 da Aristotile da Sangallo (dis. 47a; tav. 59)232. Il piano superiore si sarebbe ancor più avvicinato all’architettura trionfale di Bramante che nei precedenti progetti. Ai bassorilievi bronzei, per cui era disponibile il rame acquistato nel 1514 che avrebbe dovuto essere fuso probabilmente a Roma233, si sarebbe attribuita una posizione simile a quella dello schizzo del 1517234. Pensato per una nicchia, il Mosè non poteva superare l’altezza delle altre figure sedute di 3 ½ b.f. (176 cm) (tav. 250). Come nel disegno di Berlino del 1513, sarebbe stato probabilmente accompagnato nelle tre altre nicchie da un Profeta e due Sibille. Se la nicchia mediana avesse eventualmente avuto la profondità dell’intera tomba, il sarcofago avrebbe potuto essere disposto per il lungo, ma il volto del papa e gli angeli sarebbero rimasti in ombra. Lo spazio al disopra del papa sarebbe stato sufficiente per ospitare la Madonna in mandorla, sebbene fosse probabilmente ancora prevista per la nicchia di Bramante in S. Pietro davanti a cui si sarebbe dovuta porre la tomba235. Come già nell’alzato del 1517 e poi nella tomba realizzata, Michelangelo potrebbe aver invece pensato di disporre il sarcofago parallelamente al fronte anteriore (tavv. 1, 251-253)236. Due schizzi presentano il papa, nudo, coronato solo dalla mitra, mentre si risveglia dalla morte, più umile e simile agli altri mortali di quanto Giulio avrebbe desiderato (dis. 10, 17; tavv. 35, 36). Nel primo schizzo un angelo lo solleva col lenzuolo funebre dal sarcofago aperto. L’angelo appare di dimensioni più ridotte rispetto ai progetti precedenti, mentre sullo sfondo sembra esserne accennato un altro. Nel secondo schizzo il papa solleva il coperchio con le braccia senza l’aiuto degli angeli, come nel Giudizio Universale di Lorenzo Maitani sulla facciata del duomo di Orvieto (fig. 33)237. Gli angeli, che nei precedenti progetti avevano svolto un ruolo fondamentale, scompaiono ora per sempre dal programma iconografico, e viene ulteriormente ridotto lo spazio per l’azione sacra. Lo scultore diminuisce ulteriormente il numero delle statue e potrebbe già allora aver sperato di eliminare i prospetti laterali238. Le modifiche del progetto del 1517 Accanto a uno dei primi schizzi per la facciata di S. Lorenzo, Michelangelo annota: «a cinque o a sei di gienaro ala i(n) Carrara». All’inizio del 1517 potrebbero quindi risalire anche gli altri schizzi del foglio (dis. Ap. 9; tav. 33)239, tra i quali è anche il probabile contorno di una figura seduta pensata per la tomba, che ricorda gli schizzi del Libro e quello delle divinità fluviali della Cappella Medicea, ed era forse destinata allo sbozzamento del blocco da parte agli scalpellini (fig. 32). Il capo leggermente reclinato, le braccia aderenti al corpo e la postura frontale ricordano il disegno col Profeta degli Uffizi (dis. 6; tav. 27)240. Sullo stesso foglio Michelangelo disegna anche un Termine, la cui testa è posta, come nell’alzato del dicembre 1517, all’altezza del fregio della trabeazione, sopra l’architrave ridotto (dis. 31-32; tav. 31). Il piedistallo del Prigione è eliminato,
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mentre il Termine femminile è completato sino ai piedi, ed è ampliato il campo cieco centrale al quale era destinato un bassorilievo. Dopo aver annullato il contratto con Pelliccia, lo scultore sostituisce gli slanciati Prigioni dell’altezza degli Schiavi del Louvre con quelli dell’Accademia, più alti di 40 cm ca., che avrebbero dovuto poggiare direttamente sul pavimento (tav. 251). I frettolosi schizzi di un muscoloso Prigione in posizione frontale, ma con testa di profilo e braccia legate dietro la schiena, e di due altre figure frontali – forse studi per il Papa giacente – risalgono invece al luglio 1517 (dis. 36; tav. 45)241. Su un altro foglio, datato 21 gennaio 1517, Michelangelo disegna con misurazioni precise uno dei campi laterali del piano superiore (dis. 18; tav. 34). Conserva le misure in larghezza e il ritmo trionfale del progetto del 1516, ma sostituisce le semicolonne in rapporto di circa 1:11 con più larghi semipilastri con proporzione 1:7,3 più adatti ai Prigioni dell’Accademia. L’allungamento dell’ordine gli consente di inserire la Madonna in mandorla tra il papa e la trabeazione. Come nella versione finale trasforma gli intercolumni in nicchie prive di cornice, delimitate in alto da una cornice d’imposta. I campi destinati a rilievi sopra le nicchie sono solo lievemente arretrati, come già nel progetto del 1516. Anche se l’imposta prosegue intorno agli angoli, i piedistalli suggeriscono la continuazione dell’ordine anche sui lati. Alla trabeazione fa seguito un attico articolato in campi ciechi ma interrotta nel mezzo, che innalza la struttura. Semplificando l’architettura e riducendo presumibilmente la decorazione, Michelangelo trae evidentemente profitto dalle esperienze maturate nella progettazione della facciata di S. Lorenzo. Il trasporto dei blocchi a Firenze e gli anni dal 1519 al 1523 I preparativi per il trasporto via mare dei blocchi dal porto dell’Avenza alla foce dell’Arno presso Pisa risalgono all’aprile 1518 (docc. 163-167, 169, 173), ma sembrano essere stati organizzati solo in ottobre (docc. 174, 178, 184, 194). Il 22 ottobre 1518 il cardinale Grosso della Rovere sta già aspettando «le doe figure al tempo che ne haveti promesso», probabilmente il Prigione barbuto e il Prigione giovane (doc. 176). In seguito attraverso Sellaio lascia intendere che una è già sufficiente per confutare ogni cattiva diceria sul completamento della tomba (docc. 177, 179-181, 183). Il 24 novembre Michelangelo affitta una casa con una grande bottega a Firenze, in via Mozza (attuale via di San Zanobi), i cui lavori di ristrutturazione si protraggono fino all’estate dell’anno successivo (doc. 182). A fine dicembre scrive a Sellaio che il blocco per la seconda versione del Cristo risorto è a Pisa e che sarà trasportato alla prima occasione al porto di Signa sull’Arno, pochi chilometri a ovest di Firenze, e insieme a questo probabilmente anche quelli per almeno due dei quattro Prigioni (doc. 189). A febbraio il cardinale Grosso della Rovere apprende con sua grande soddisfazione che
Michelangelo intende completare entro l’estate quattro statue (doc. 195), senza dubbio i quattro Prigioni dell’Accademia. Dopo l’arrivo di alcuni blocchi in bottega, il 20 aprile Michelangelo comunica a Urbano che inizierà a lavorarci dopo Pasqua (doc. 198). Infatti dal 17 al 21 maggio paga Topolino per «bozare certe figure» (doc. 201), probabilmente il Cristo e i quattro Prigioni 242. Topolino è in questo momento uno dei suoi più stretti collaboratori; gli è affezionato e i suoi esperimenti artistici lo divertono (doc. 478). Come già annunciato a dicembre, il sempre più diffidente cardinale a maggio 1519 invia il proprio ciambellano Francesco Pallavicini alla nuova bottega fiorentina di Michelangelo perché si accerti dello stato del lavoro (docc. 185, 188, 193-195, 199, 202). Nel 1542 Michelangelo ricorderà che Pallavicini rimase positivamente impressionato dalle «fighure bozzate per detta sepultura» (doc. 407). Il 12 settembre 1519 l’artista parla di carri tirati da buoi per trasportare a via Mozza sette blocchi. Affida ad altri scultori le statue della facciata di S. Lorenzo, che non godono di alcuna priorità, e rimane concentrato sulla tomba. Dopo la morte, nel maggio 1519, di Lorenzo de’ Medici, nipote di Leone x, capo della casata e duca di Urbino, il cugino del papa cardinale Giulio de’ Medici assume il Governatorato di Firenze. Già in giugno a nome del papa incarica Michelangelo della Cappella Medicea, nella quale sarebbero stati sepolti Lorenzo e Giuliano, duca di Nemours e fratello di Leone x, e i due Magnifici Lorenzo e Giuliano, padri dei due cugini. Il costo previsto era di 50.000 d., quindi 10.000 d. più della facciata243 e molte volte più della tomba di Giulio ii, implicando un tale prezzo un fastoso programma di statue da lui eseguite, di cui tuttavia solo una parte sarà realizzata sotto Clemente vii244. Leone x considerò anche il possibile riutilizzo nella cappella delle statue scolpite da Michelangelo a Firenze per la tomba (doc. 304), affermando però allo stesso tempo di non volerne impedirne i lavori, e ricordando, con gli occhi quasi pieni di lacrime, di essere stato “nutrito” insieme all’artista (doc. 215). Con l’incarico per la cappella, il lavoro alla facciata viene abbandonato, nonostante l’arrivo a Firenze già di gran parte dei costosi blocchi. Nel marzo 1520 Michelangelo venne completamente sollevato da questa, sulla quale per anni aveva concentrato le proprie forze. Comportatosi in maniera idiosincratica con gli eredi di Giulio ii e Marta Porcari, è ora lui stesso vittima di questo papa incostante. Il 27 settembre 1520 muore inaspettatamente il cardinale Grosso della Rovere, e il ruolo di esecutore testamentario è assunto dal fratello Bartolomeo, arcivescovo di Avignone (docc. 213, 242). Grazie all’aiuto del papa e del cardinale Giulio, Michelangelo può conservare la casa di Macel de’ Corvi (docc. 220-221). Nell’aprile 1521 si reca nuovamente a Carrara, questa volta per ordinare il marmo per la cappella (doc. 224). Poiché per i sarcofagi e l’incorniciatura architettonica avrebbe potuto certamente contare sui materiali per la facciata, i marmi erano
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34. Michelangelo, disegno del Cristo per la Flagellazione di Sebastiano del Piombo, 1516 ca., Londra, The British Museum.
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36. Boethos di Calcedone (?), Fanciullo con l’Oca, ii secolo, Roma, Musei Capitolini.
35. Agesandro, Atenodoro, Polidoro da Rodi, Laocoonte, dal colle Oppio, copia di età romana, i secolo d.C.(?), Musei Vaticani.
probabilmente destinati alla sua decorazione, di sicuro diversa da quella prevista in origine, alla quale già allora doveva dedicarsi se nel dicembre 1521 non fosse morto Leone245. I lavori della cappella subirono un rallentamento e non vi sono indizi che Michelangelo abbia iniziato una sola scultura prima del 1524. Può così dedicarsi a tempo pieno alla tomba: «... con certi marmi ch’egli avea, si pose in casa sua a seguitar la sepoltura» (doc. 448). Dopo aver contemporaneamente lavorato, dalla primavera del 1519, al Barbuto, al Giovane e al Cristo, completato all’inizio del 1521, nel 1522 e 1523 sembra concentrarsi sugli altri due Prigioni dell’Accademia e sulla Vittoria di Palazzo Vecchio, la cui fisionomia pare avvicinarsi a quella del duca Giuliano nella cappella (fig. 37). Il successore di Leone x, Adriano vi, col quale Michelangelo non ha alcun rapporto, il 27 marzo 1523 reinsedia Francesco Maria della Rovere nei suoi antichi diritti di duca di Urbino. Come feudatario del papa e generale dell’esercito veneziano, egli diviene un importante alleato della Curia, e con l’autorità del suo ruolo e l’aiuto dello zio Bartolomeo riprende nelle sue mani gli affari della tomba (doc. 232). Adriano vi, senza dubbio d’accordo con il duca, cerca con un motu proprio dell’aprile 1523 di costringere Michelangelo a restituire i soldi agli eredi (doc. 231). Facendosi le pressioni sempre più tormentose e minacciose, Michelangelo spera di essere sollevato dall’incarico della tomba con l’aiuto del cardinale Giulio de’ Medici, e nell’aprile 1523 scrive a Fattucci che il cardinale «vole ora di nuovo, chome voi mi dite, che io facci le sepulture di San Lorenzo, … non posso, se lui non mi libera da questa chosa di Roma246; e se lui mi libera, io gli promecto lavorare per lui senza premio nessuno tucto ’l tempo che io vivo … e se lui non mi vuole liberare, e che e’ voglia qualche chosa di mia mano in dette sepulture, io m’ingegnierò, mentre lavorerò la sepultura di Iulio, di pigliar tempo di far chosa che gli piaccia» (doc. 231). Detto da Sellaio ‘il prete’, Giovan Francesco Fattucci, canonico del duomo di Firenze, è il segretario di Giulio, e lo seguirà a Roma dopo l’elezione nel novembre 1523. Rappresenta gli interessi dell’amico Michelangelo a Roma in modo ancora più incisivo di Sellaio e di Iacopo Salviati, genero di Lorenzo il Magnifico e stretto confidente di Clemente vii. Il cardinale, che come governatore di Firenze è per Michelangelo un’autorità di primo piano, riprende il progetto della cappella poco prima di essere eletto papa. Si conoscono sin da giovani, mantengono stretti contatti e ancora nel aprile 1531 Clemente vii si ricorderà tanto bene delle singole statue che Michelangelo stava concludendo, da poter descrivere a Sebastiano del Piombo «che atitudine facevano quelle figure» (doc. 300). Durante i quasi cinque anni tra il maggio 1519 e la primavera del 1524 Michelangelo può concentrarsi sul lavoro in modo ben più intenso dei sei anni precedenti. Porta a termine il Cristo e la Vittoria, e quasi conclude due Prigioni iniziando gli altri due. Se la rielaborazione delle vecchie statue negli anni 1514-16 lo aveva apparentemente paralizzato, ora il nuovo linguaggio maturato nel 1517-18 libera in lui forze creative di un travolgente dinamismo, che si prolungherà nelle statue della Cappella Medicea e nella versione finale del Mosè. L’evoluzione stilistica degli anni 1517-23 Anche il Cristo appartiene a quella stirpe di eroici atleti verso i quali va Michelangelo dalla storia della Creazione e dal Ribelle in poi. Nella seconda versione la sua figura è più eretta e imponente sia rispetto alla precedente sia rispetto al Cristo ideato nel 1516 per la Flagellazione di Sebastiano del Piombo (figg. 26, 28, 34)247. La parte alta del corpo presenta una maggiore rotazione, il braccio sinistro è più distante dal petto e la mano ancora più espressiva. Non appare più chiuso nei suoi pensieri, ma si congeda dal mondo, prima di scendere dalla
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roccia del sepolcro, rivolgendogli un ultimo sguardo. Michelangelo conferisce ai Prigioni dell’Accademia un carattere ancora più primordiale di ogni precedente figura. Lo Schiavo barbuto, il più finito e probabilmente anche il primo dei quattro, è legato solo ai piedi e la sua torsione è ancora più marcata che nei due modelli preparatori e nei disegni (sc. 4; tavv. 90-100), che potrebbero forse risalire alla prima metà del 1517, quando Michelangelo calcolava le dimensioni dei blocchi e studiava con calma gli atletici operai di Carrara (dis. 38-41; dis. Ap. 11, 12, 14; tavv. 37-41, 43). Mai prima era riuscito a rappresentare con tale precisione un corpo atletico. La torsione si origina già dalla gamba sinistra arretrata e prosegue nella mano che trattiene il manto scivolato oltre il pube, come nel disegno di Bandinelli, che probabilmente risale a un modello dello stesso Michelangelo (dis. Ap. 20; tav. 44). Prosegue poi a «S» nel torso fino alla testa inclinata di lato e alla parte superiore del braccio, mentre come il Morente si afferra i capelli. Tra i Prigioni dell’Accademia il Barbuto è senza dubbio la figura più vicina al Laocoonte (fig. 35). Nonostante la sua posizione più frontale, allo Schiavo giovane è impressa una rotazione non meno organica e tridimensionale (sc. 5, tavv. 101-104). Flette la gamba sinistra come il Ribelle quella destra, coprendosi il volto col braccio sinistro, mentre l’altro è legato dietro la schiena. Il manto sembra cadergli dalla schiena, ma è trattenuto da un nastro che attraversa diagonalmente il petto. Il blocco dello Schiavo che si ridesta è più largo di 23 cm di quello del Giovane e addirittura di 31 cm di quello del Barbuto; la figura segue il modello del Laocoonte anche nel ginocchio e nel braccio che sporge di lato (sc. 6; tavv. 105110). Con la clamide scivolata fino al ginocchio sinistro, sembra appoggiarsi al suo Termine. La gamba destra accavallata, il braccio sinistro avanzato e la testa volta di lato ricordano ancora i Prigioni del Louvre. Nell’Atlante, sempre databile verso il 1522-23, Michelangelo va ancora oltre il Laocoonte, avvicinandosi al Giorno della Cappella Medicea (sc. 7; tavv. 112114). La torsione a «S», che appare ispirata a sculture ellenistiche come il Fanciullo con l’oca (fig. 36) o la Venere callipigia, inizia dalla gamba sinistra e prosegue nel braccio sinistro e nel torso ruotato, giungendo sino alla testa. Come nel quarto Prigione del disegno per la Libica (dis. 5; tav. 19), le braccia sono legate sopra la testa. Le gambe sembrano cedere sotto un peso enorme, limitato però al suo corpo massiccio, e al tormento della sua anima che si ribella a una forza invisibile. Un sottile laccio al disopra dell’ombelico è forse destinato a trattenere il manto che ricade. Il blocco dell’Atlante supera di 11 cm l’ampiezza di quello dello Schiavo che si ridesta; una volta terminato, sarebbe stato probabilmente contenuto nella vicina nicchia. Nella Vittoria – l’ultima, più matura statua del gruppo che Michelangelo probabilmente conclude poco prima di iniziare le statue della Cappella Medicea (sc. 8; tavv. 115-120) –, l’artista ritorna, come nei Duchi, al mondo degli adolescenti trionfanti. L’avvitamento della forma nello spazio raggiunge qui il suo culmine, anticipando la figura “serpentinata” di Giambologna. La corona di foglie di quercia contraddistingue il giovane come seguace del papa e come salvatore della patria, onorato della corona civilis. Lacci gli avvolgono ancora le gambe, ma se n’è appena liberato, avendo da poco ottenuto la vittoria, anche se in modo non così evidente come nelle Vittorie dei precedenti progetti. La mano sinistra preme sulla gamba e trattiene il manto scivolatogli durante la lotta, mentre la destra, con un gesto che ricorda quello del Davide di Piazza della Signoria, tende verso l’alto il laccio collegato al manto che gli attraversa diagonalmente la schiena (dis. Ap. 21, tav. 51). Sul retro, oltre il manto arricciato, sporge il nodo non finito del laccio. Come nel precedente Prigione Michelangelo utilizza il manto per giustificare complessi movimenti transitori non facilmente interpretabili dal
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punto di vista iconografico, nei quali si avverte la tensione tra nudità primordiale e cristiano pudore. La Vittoria tiene in scacco il vinto, ma volge di lato gli occhi, di cui solo il destro dotato di pupilla, come percependo un nuovo pericolo, forse verso il vicino Prigione. Come Mitra sul toro, preme la gamba destra sulla schiena del vinto, con le braccia legate dietro la schiena, unica figura della tomba a indossare non solo la clamide, ma anche l’armatura del guerriero romano. La parte superiore del corpo, seminuda, è così proiettata verso il basso che il ginocchio sinistro tocca il suolo e la spada caduta, mentre il ginocchio destro sollevato sfiora la barba. Guarda in avanti, e i suoi tratti regolari, con barba e capelli folti, non sono segnati dal dolore o dalla vecchiaia. Michelangelo aveva probabilmente ideato le tre statue
per i campi angolari del piano inferiore come un insieme coerente: l’Atlante e lo Schiavo giovane potrebbero aver affiancato la Vittoria di Palazzo Vecchio, mentre il Barbuto e lo Schiavo che si ridesta un’altra Vittoria nel fronte anteriore (tav. 251)248. Oramai Michelangelo distingue poco tra vincitori e vinti: un prigioniero può liberarsi e soggiogare a sua volta chi lo ha sconfitto. Non sono più collegati ad allegorie, ma piuttosto combattono, in modo ancora più suggestivo di prima, contro la prigionia terrena del corpo, e perciò contro sé stessi o contro figure luminose come la Vittoria, così consapevole della sua giovanile perfezione. Come già Donatello nel Golia del David e nell’Oloferne della Giuditta, Michelangelo potrebbe addirittura essersi identificato nel vinto barbuto. Il dettagliato disegno preparatorio conferma ancora una volta che queste statue
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La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
37. Michelangelo, Giuliano de’ Medici, 1525-33 ca., Firenze, S. Lorenzo, Cappelle Medicee.
devono essere osservate innanzitutto dalla parte anteriore (dis. 42; tav. 46). Il busto è rivolto maggiormente verso sinistra, e la testa più inclinata verso il basso; il braccio sinistro è più distante dal corpo, mentre quello destro vi aderisce. Il muscoloso modello è simile al Barbuto e appare più anziano della statua. Lo schizzo a contorno della Vittoria sta sul retro di un progetto per le tombe dei Magnifici nella Cappella Medicea che Michelangelo potrebbe aver presentato al papa nel dicembre 1523; si tratterebbe quindi non tanto di un progetto quanto di un tentativo di illustrare al papa la statua (dis. 40; tav. 47). Anche i due vasi schizzati sul verso dello stesso foglio sembrano destinati alla cappella; uno di questi ricompare sul disegno di Londra accanto a un nudo seduto la cui posizione ricorda quella della Sibilla dei progetti del 1513 (dis. 43; tav. 49). Il modello in creta di Casa Buonarroti, avvicinabile alla Vittoria non solo dal punto di vista del soggetto, ma anche nella rotazione del corpo, potrebbe essere preparatorio per un’altra Vittoria di dimensioni simili (tavv. 121, 251)249. Il gruppo peraltro avrebbe potuto trovare posto in una nicchia solo se il lato principale fosse stato quello minore, nel quale la gamba del vinto sporge di poco oltre la base. Questa Vittoria è priva della clava di Ercole e della pelle di leone, e il gruppo appare poco adatto compositivamente a fare da pendant al Davide, sebbene Michelangelo potrebbe averlo proposto di nuovo nel 1525 per l’Ercole di Piazza della Signoria. Nei sette anni insolitamente creativi che vanno dal gennaio 1517 al novembre 1523 Michelangelo ha trovato un nuovo linguaggio, portato a termine due statue, il Cristo e la Vittoria, quasi concluso due Prigioni e iniziato altri due. Quando tra la fine di novembre e il 20 dicembre 1523 è di nuovo a Roma, deve esser stato impressionato da come le ultime opere di Raffaello e della sua scuola si fossero avvicinate allo spirito all’arte antica, ma anche da come il giovane Giulio Romano cominciasse a ribellarsi con audacia innovativa alla norma classica. Nella struttura architettonica della Cappella Medicea e nella Biblioteca Laurenziana Michelangelo va oltre i ‘capricci’ di Giulio, avvicinandosi nel programma per le statue molto più che in precedenza all’antico. Eliminati gli angeli, per la Notte s’ispira a una Leda antica, e per il Giorno e il Crepuscolo ad antiche divinità fluviali, che pensa di porre anche sotto ai sarcofagi. Dagli eroi e dagli atleti primordiali degli anni precedenti approda alle forze della natura venerate nell’antichità. I corpi atletici dei duchi, sotto la leggera corazza di cuoio, sono vigorosi come il Costantino di Raffaello e i suoi prototipi antichi. Sono però seduti, con il paludamentum dei generali romani che ricade dalle spalle di Lorenzo e copre la coscia sinistra di Giuliano. Il braccio portato davanti al petto e le gambe incrociate di Lorenzo, come l’Aurora e il Crepuscolo sottostanti, ricordano i Prigioni dell’Accademia e la Vittoria. Nella tomba di Giuliano, completata solo nel 1533 con l’aiuto di Montorsoli, Michelangelo diminuisce il dinamismo e la tridimensionalità che poco alla volta aveva conquistato nei due decenni precedenti (fig. 37)250. Abbandona le tendenze protomanieriste della Vittoria per tornare a una concezione più compatta e più simile ai prototipi antichi. Prosegue col tema della tensione tra dominatori e soggiogati, che con gli inizi dell’assolutismo stava per divenire sempre più di attualità, rimanendo però fedele al suo atteggiamento neoplatonico e alla fede nella liberazione dell’anima dal carcere terreno. Spogliate da tutti i tratti individualistici e innalzate alla atemporalità, ma anche più esaltate che mai, le anime dei duchi troneggiano sui simboli del tempo e della transitorietà. Giuliano avrebbe dovuto essere fiancheggiato dalle statue nude del Cielo e della Terra, ancora una volta delle divinità pagane, come le descrive Vasari alla sommità della tomba libera251.
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Dall’elezione di Clemente vii al 1532 Appena dopo la sua elezione, il 19 novembre 1523, il nuovo papa richiamò Michelangelo a Roma incaricandolo della costruzione della Biblioteca Laurenziana e della decorazione della Cappella Medicea. Sino al 1532 l’artista si concentrerà quasi esclusivamente sulle due commissioni senza proseguire la tomba di Giulio, benché Clemente glielo avesse concesso (doc. 233). Poco dopo il suo ritorno a Firenze, Fattucci lo informa di una approfondita discussione avuta con Francesco Pallavicini a proposito dei suoi problemi finanziari, e del tentativo da lui fatto di giustificare il suo comportamento, pregandolo di fornirgli ulteriori dettagli e documenti (doc. 233). Michelangelo gli risponde pochi giorni dopo, inviandogli un resoconto dettagliato delle attività svolte per Giulio ii e i suoi eredi, e facendogli anche presente di essere stato definito ‘truffatore’ dal cardinale Grosso della Rovere, quando nella primavera 1513 aveva insistito di aver ricevuto da Giulio per la tomba solo 1500 d., e che nel contratto del maggio 1513 sarebbe stato costretto inevitabilmente ad ammettere di averne ricevuti altri 2000 nel gennaio dello stesso anno (docc. 234-235). A questo punto, desiderando anche Jacopo Salviati sapere esattamente quanto avesse ricevuto per la tomba dopo la morte di Giulio ii, Michelangelo invia a Roma il contratto (doc. 236). Fattucci crede alla ricostruzione dell’artista, e il 10 marzo 1524 lo informa che secondo i documenti del cardinale Pucci egli avrebbe ricevuto da Giulio per la tomba solo 1500 d. e altri 7000 dagli eredi dal maggio 1513, e che quindi avrebbe avuto diritto di pretenderne altri 8000 (doc. 242). Fattucci lo mette al corrente inoltre di un’altra conversazione avuta con Pucci, nella quale gli avrebbe ricordato del rifiuto categorico dell’artista di accettare l’incarico per la cappella se non fosse stato prima sollevato da quello per la sepoltura di Giulio ii, e della sua determinazione di rispettare gli obblighi assunti non appena gli eredi gli avessero versato gli 8000 d. (doc. 243). Pucci aveva risposto che si sarebbe adeguato ai desideri del nuovo papa, rassicurandolo inoltre sul possesso della casa romana, e dichiarandosi persino disposto a depositare gli 8000 d. contestati. Secondo Pucci Michelangelo avrebbe dovuto impegnarsi personalmente solo per la Madonna, ma non per le altre statue, per le quali avrebbe potuto incaricare Andrea Sansovino (doc. 245). Il 16 dicembre 1524 Fattucci consigliò Michelangelo di assumere un procuratore per proseguire le trattative con gli eredi, sperando anche il papa in una soluzione a favore dell’artista (docc. 251-252). Pucci lo pregava inoltre di mandargli un progetto per la facciata del suo palazzo, l’attuale Palazzo del Sant’Uffizio (doc. 258). L’artista ebbe però la sensazione di essere trattato ingiustamente (doc. 261), tanto più che il duca e Bartolomeo della Rovere seguivano una strategia molto più rigida di quella di Pucci (doc. 268), e non volendo più spendere nemmeno un “quattrino” per la tomba, fecero naufragare ogni speranza di Michelangelo riguardo gli 8000 d. Sebbene già un buon numero di statue di grandezza maggiore del naturale fosse stato cominciato, l’artista riteneva di essere troppo vecchio per completare l’opera, e di dovere perciò restituire il denaro, oppure ridurre il progetto alle dimensioni delle tombe di Pio ii e Paolo ii in S. Pietro (docc. 270, 272). È improbabile tuttavia che avesse pensato seriamente di vendere i suoi immobili per restituire il denaro. Il 14 ottobre 1525 il pontefice gli fece sapere che non avrebbe dovuto rimborsare il denaro, né completare personalmente la Madonna e il Papa, ma concludere la tomba a sua discrezione (doc. 271)252. Il 30 ottobre e il 10 novembre Fattucci lo pregava d’inviare il progetto ridimensionato al duca di Urbino e a Bartolomeo della Rovere (doc. 273), consigliandolo anche di sostituire il contratto del 1516 con uno nuovo, e informandolo che Clemente vii intendeva sollevarlo dagli impegni precedenti affinché si concentrasse sui suoi propri progetti. Il 29 novembre Fattucci progetta di mandargli i disegni delle sepolture di Pio
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e Paolo ii, ma dice anche che il papa avrebbe riso della proposta di Michelangelo di ridurre il progetto della tomba alle dimensioni di quella di Paolo ii, costata solo 800 d. (doc. 275). Il 10 marzo 1526 Sellaio gli riferisce che il papa la voleva vedere finita, e che occorreva trovare un compromesso col duca, che si sarebbe dovuto accontentare di quattro statue autografe, ma si sarebbe rallegrato con l’emissario dicendogli che di statue se ne sarebbero fatte «4 volte 4» (doc. 278)253. Il 16 ottobre Michelangelo inviò finalmente il nuovo progetto (doc. 282), nel quale intendeva probabilmente reintegrare il precedente fronte anteriore del basamento, privato però dei fronti laterali. Alle nicchie laterali avrebbe potuto già destinare i due Prigioni del Louvre, un bassorilievo a quella centrale, e al piano superiore il Papa disteso sul sarcofago nella medesima posizione dei disegni del 1516-17, la Madonna in mandorla, dei bassorilievi e forse due figure sedute eseguite da altro autore. Il 1 novembre 1526 scrive che ha timore, nel caso morisse Clemente vii, che gli eredi possano agire legalmente contro di lui (doc. 283). Fatii
tucci lo tranquillizza, dicendogli che avrebbe regolato tutto lui (docc. 284-286). Il papa desiderava vedere il nuovo progetto, ma non si stipulò alcun contratto; nei successivi quattro anni quando il Sacco di Roma e le sue conseguenze procurarono all’artista ben altre preoccupazioni. Il 16 maggio 1527, pochi giorni dopo la catastrofe, i repubblicani fiorentini convinsero pacificamente Alessandro e Ippolito de’ Medici – discendenti illegittimi che avevano governato insieme al cardinale Passerini loro zio e tutore –, a lasciare Firenze, ed elessero Gonfaloniere Niccolò Capponi254. Questi proteggeva il partito dei Medici, di cui era lontano parente, mantendendo attraverso Jacopo Salviati i rapporti col papa. Se avesse impedito a Michelangelo di occuparsi della cappella, il 2 marzo 1528 Clemente vii, che era ancora a Orvieto in condizioni deplorevoli, non avrebbe certo chiesto notizie sui lavori e trasferito 500 d. all’artista, promettendogli altri pagamenti futuri per alleviare le sue difficoltà finanziarie255. Michelangelo interrompe il lavoro solo nella primavera del 1529, quando è incaricato di fortificare la città contro le truppe papali e imperiali, e un nuovo più radicale Gonfaloniere sostituisce Capponi. Per timore di un assedio, ma anche dell’imposizione di una tassa di emergenza sulle proprietà più cospicue, il 21 settembre fugge a Venezia, e della cosa è subito informato il cardinale Pucci256. La preoccupazione che, ritenuto ribelle, gli fossero confiscati i beni, sembra abbia contribuito al suo ritorno già a fine anno. Dopo la resa della città, il 30 agosto 1530, si nasconde per timore di eventuali rappresaglie da parte dei partigiani del papa. A novembre il pontefice vuole concedergli la grazia, a condizione che riprenda il lavoro alla Libreria e alla Cappella, come effettivamente avviene dopo una pausa di oltre un anno. Nella speranza di ottenere protezione, Michelangelo accetta incarichi da parte di personaggi potenti, come l’Apollo per il governatore pontificio Baccio Valori, il Noli me tangere per Vittoria Colonna, cugina del comandante dell’esercito imperiale, e una Venere per il duca di Ferrara. Torna così ad affrontare i temi mitologici che dal 1505 non aveva più frequentato. Nel febbraio 1531 muore il padre settantottenne, uomo duro e sfiduciato, che aveva attentamente accompagnato la vita e l’attività del figlio e approfittato come nessun altro del suo aiuto e dell’ascesa sociale ed economica della famiglia257. In una poesia Michelangelo confessa il suo amore per il padre e ne lamenta la perdita, invidiandolo per essersi già liberato dell’esistenza terrena258. Il ricordo di due figure così significative per la sua vita come il padre e Giulio ii, potrebbe aver contribuito all’impulso di conferire poco dopo al patriarca Mosè una tale imponente autorità. Nei suoi scritti fa invece solo un breve accenno alla madre, che non l’aveva nutrito e che aveva perso all’età di sei anni. Il 24 febbraio 1531 Sebastiano del Piombo lo informa delle condizioni disastrose della casa romana, e in particolare della «stancia ... sfondata», ma non ritiene necessario che Michelangelo venga a Roma (doc. 289). Il 16 giugno gli riferisce che il fronte anteriore della tomba è «precipitato sotto terra» e si è gravemente danneggiato (doc. 292). Già alla fine di aprile 1531 l’aveva avvisato di un colloquio con Girolamo Genga, artista di corte dell’irascibile duca di Urbino, nel quale questo aveva detto che il duca era convinto che i 2000 d. pagati nel gennaio 1513 non fossero da considerare il compenso rimanente per gli affreschi della Cappella Sistina (doc. 291). Michelangelo avrebbe quindi già ricevuto tutti i 10.500 d. stabiliti per l’incarico nell’aprile 1505, senza rispettarne però le scadenze. E lo stesso Genga aveva mostrato d’indignarsi per la pretesa di altri 8000 d.259. Sebastiano lo consigliò di attendere pazientemente (doc. 292), ma Michelangelo, colto dal panico (doc. 295), decise di rinunciare a chiedere il pagamento dei 8000 d., offrendosi non solo di completare la tomba entro tre anni, ma anche di contribuire con 2000 d. alle spese. Propose anche di lasciare ai della Rovere
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Michelangelo. Il marmo e la mente
la casa di Macel de’ Corvi, del valore di 1000 d., regalatagli nel 1524 (doc. 245). L’offerta apparve troppo generosa al papa e allo stesso Sebastiano, che a questo punto s’impegnò nella difesa degli interessi di Michelangelo, facendo riferimento, nelle continue trattative con gli inviati del duca, anche al trasporto a Roma delle cinque statue scolpite a Firenze. Alla metà di agosto lo scultore s’impegnò a finire personalmente la tomba, sebbene ciò fosse difficilmente compatibile con i piani del pontefice, o a fornire disegni e modelli da far eseguire da più giovani collaboratori, confermando il contributo di 2000 d., 1000 dei quali subito disponibili (doc. 295). Il 19 agosto Sebastiano gli suggerì però di predisporre i calcoli in un modo così specioso che il duca difficilmente avrebbe accettato (doc. 296). Secondo questo calcolo, il valore delle statue sino ad allora completate – i due Prigioni del Louvre e la Vittoria – sarebbe ammontato a 4000 d., e quello del “quadro” architettonico ad altri 2000. Di conseguenza sarebbe stato sufficiente aggiungere un altro «par’ di figure», ciascuna del valore di circa 1000 d., per raggiungere il controvalore degli 8500 d. in precedenza ricevuti dall’artista. Evidentemente Sebastiano non dubitava che i 2000 d. pagati nel gennaio 1513 fossero destinati agli affreschi, e consigliò a Michelangelo, che godeva già della protezione del papa, di non essere precipitoso nel rinunciare all’importante somma da destinare alle statue mancanti. Michelangelo soffrì anche fisicamente per la situazione e si temette per la sua vita (doc. 297). Il 21 novembre Sebastiano lo informò che il duca aveva accettato una versione ridotta del progetto da realizzarsi con l’aiuto di collaboratori (doc. 300), lo consigliò di accettare il compromesso e di mandare una procura, in modo che si potesse stipulare il nuovo contratto. Con il contributo personale di 2000 d., che corrispondeva al valore della casa romana, Michelangelo non avrebbe dovuto pagare nulla, ma avrebbe dovuto contribuire con le statue eseguite a Firenze e a Roma. Al fine di tranquillizzare il duca, Sebastiano gli suggerì anche di inviare a Roma «qualcossa da Firenze per levarli questa fantasia del cervelo». La tomba sarebbe stata dunque assai meno ridotta di quanto proposto da Michelangelo nel 1525-26 e nell’agosto 1531. A differenza di Leone x, Clemente vii non sembrava interessato ad acquisire una delle statue. Con Breve del 21 novembre 1531 il papa, pena la scomunica, obbligava Michelangelo a occuparsi esclusivamente dei progetti papali, e lo proteggeva dalle accuse del duca (docc. 301-302). Il 5 dicembre Sebastiano gli comunicava che il papa era d’accordo che si limitasse a fare i modelli delle statue mancanti, insistendo però che fosse stipulato un nuovo accordo con il duca (doc. 305). Ancora una volta l’artista cercò di trasferire l’intera esecuzione ai collaboratori, e nell’atto notarile del 14 dicembre redatto a Pesaro, residenza del duca, dichiarò di aver ricevuto 8000 d. per la sepoltura, benché finora avesse parlato di 8500 d. e nel frattempo fosse divenuto proprietario della costosa casa romana (docc. 307, 322-323). Il papa e Sebastiano lo spinsero a tornare a Roma, e alla fine di dicembre Michelangelo annunciò che a breve sarebbe rientrato in città (docc. 308-311). Il 15 marzo 1532 Sebastiano gli riferì che il duca era disponibile a inviare un suo plenipotenziario, ma che insisteva sull’impiego di tutte le statue eseguite a Firenze e a Roma (doc. 314). Gli consigliò anche di non fare menzione nel contratto del proprio nome, ma di quello dello scultore incaricato dell’esecuzione, di limitarsi alle sculture conservate a Roma, e di inviare da Firenze solo «doi pezzi di pietra abbozzata», quindi difficilmente la Vittoria («… Loro non sanno quello è particolarmente...», scrisse, benché Bartolomeo della Rovere ne fosse informato da Francesco Pallavicini)260. Il 5 aprile Sebastiano lo informò delle conseguenze legali nel caso che non si fosse presentato a Roma personalmente (doc. 315).
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La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
parte seconda
il completamento della tomba negli anni iv. i progetti del
1532-1545
1532-33 e le modifiche fino al 1541
Il contratto del 29 aprile 1532 Il 14 aprile 1532 Michelangelo aveva già lasciato Firenze (doc. 320) e il 29 aprile un nuovo contratto con il duca di Urbino, solennemente stipulato in latino e italiano, annullava il precedente del 1516 (docc. 322-323). Erano presenti il papa, l’eminente giurista Antonio del Monte, elevato a cardinale da Giulio ii, il cardinale Ercole Gonzaga, cognato del duca, e sua cugina Felice della Rovere, figlia di Giulio ii. Sebastiano del Piombo e il canonico fiorentino Bernardo da Milano fungevano da testimoni. Con riferimento all’atto notarile del 14 dicembre 1531, si stabilì che l’artista aveva ricevuto per la tomba 8000 d. e che egli da parte sua s’impegnava a completarla entro tre anni, contribuendo ai costi con 2000 d. per i quali dava in garanzia la casa di Roma. Nonostante il dato non sia stato protocollato in considerazione della sua evidenza notarile, secondo il duca l’artista aveva ricevuto da Giulio ii 3500 d. e altri 7000 dagli eredi; la somma corrispondeva precisamente al salario di 10.500 d. stabilito nel 1505, ma era di 6000 d. inferiore a quanto stipulato nel 1513. Dovendo ora contribuire con i 2000 d. corrispondenti al valore della casa, Michelangelo doveva aver creduto che il suo compenso per la tomba fosse stato diminuito a 8500 d. Per sei sole statue invece delle quaranta previste tale cifra deve essere apparsa al duca pur sempre molto generosa. Michelangelo avrebbe presentato un «novum modellum seu designum dicti sepulchri ad sui libitum», con le sei statue di sua mano già iniziate, e tutto il resto, cioè la parte architettonica, mentre non si menziona più il bassorilievo del campo centrale del piano inferiore. Entro due mesi il contratto avrebbe dovuto essere ratificato dal duca, da Del Monte e dai testimoni, ed entro quattro mesi Michelangelo avrebbe dovuto decidere dove collocare la tomba. Nel caso in cui non avesse rispettato i termini, l’accordo sarebbe stato dichiarato nullo. Per il lavoro alla tomba gli vennero concessi annualmente solo «duos menses et plus vel minus, prout dicto Sanctissimo Domino Nostro placebit». Condivi, ripetendo quanto riferito da Michelangelo stesso, afferma che questi era determinato a completare la tomba, ma che era stato Clemente vii a obbligarlo a lavorare per quattro mesi l’anno alla Cappella Medicea (doc. 450). Per convincere il papa delle conseguenze legali nelle quali sarebbe incorso in caso di mancato adempimento dell’opera, l’ambasciatore di Urbino l’avrebbe indotto a dichiarare di aver ricevuto più denari di quanto effettivamente versato. Guardando retrospettivamente, Michelangelo pretende di essere stato circondato da intriganti, e sembra correggere, come in altre casi, la storia a favore del proprio mito. Già il 30 aprile Della Porta informa il duca del nuovo contratto, che Michelangelo deve aver percepito come un’amara disfatta. Non solo deve ora rinunciare a ulteriori pagamenti, ma contribuire con 2000 d. propri e consegnare sei statue autografe – il doppio di quanto aveva sperato di realizzare pochi anni prima a un prezzo quasi triplo. Circostanze cambiate gli consentiranno negli anni successivi di ridimensionare drasticamente questi obblighi. Il coro di S. Pietro non era più disponibile per la tomba261, e anche il coro e le condizioni di luce di S. Maria del Popolo, la frequentata chiesa dei della Rovere, apparivano a Michelangelo inadatti. Si optò così per il transetto di S. Pietro in Vincoli, chiesa di cui erano stati cardinali titolari sia Sisto iv sia Giulio ii (doc. 324). Il 10 maggio Della Porta inviò la proposta a Urbino, aggiungendo di non
poterla accompagnare con un progetto, poiché Michelangelo era già partito per ispezionare prima le statue conservate a Firenze e poi quelle nella casa romana, ancora coperte di fango (doc. 325). Se il duca gli avesse mandato qualche parola d’incoraggiamento, sarebbe andato tutto a meraviglia. Durante le più di due settimane del soggiorno romano, Michelangelo ebbe senza dubbio l’occasione di verificare lo stato dei marmi, avendo già a disposizione le misure di quelli fiorentini, ma cercava evidentemente un pretesto per ritardare il nuovo progetto. I progetti del 1532 e 1533 e il transetto di S. Pietro in Vincoli Inizialmente Michelangelo intendeva porre la tomba contro la parete terminale del braccio di sinistra del transetto, abbastanza larga e robusta per consentire l’inserzione del fronte anteriore del basamento (tavv. 224, 250, 252)262. Davanti alla parete il cardinale Nicola Cusano (1401-65), aveva collocato la propria sepoltura e l’altare “della catena”, la reliquia più venerata della chiesa. Negli anni Settanta il cardinale Giuliano della Rovere aveva eliminato le due ultime campate della navata mediana creando un largo transetto con volte a crociera. Aveva inoltre allungato il palazzo cardinalizio sino al muro ovest del braccio del transetto, cosicché questo era illuminato ora solo a est da una finestra bifora (tav. 226)263. Con la stessa radicalità adottata da Sisto iv in S. Pietro, e ancora nel 1505 da lui stesso in S. Maria del Popolo, Giuliano aveva trasferito il coro dei canonici Lateranensi dalla navata centrale a un nuovo spazio appositamente realizzato sopra l’antisacristia, facendo di quest’ala e del transetto un unico corpo edilizio (tav. 226)264. Nelle vedute del xvi secolo si nota ancora come la torre medievale che ospita la sacrestia sormonti il transetto265, mentre in pianta se ne percepisce l’andamento disassato rispetto a quest’ultimo (tav. 227-238). Il 19 giugno, poco dopo la ratifica dell’accordo (doc. 330), Della Porta comunicava al duca che il papa era favorevole a trasferire la reliquia della catena sull’altare maggiore per far posto alla tomba (doc. 335). Michelangelo pregava intanto Fattucci di chiarire a tutti coloro che dubitavano del completamento dell’opera entro tre anni, che «delle sei figure di cha fa mentione il contracto n’è facte quactro, come voi sapete, che l’avete vista nella casa mia a Roma» (doc. 336). Sembra dunque deciso a utilizzare solo le statue che si trovavano a Roma, riferendosi probabilmente ai due Prigioni del Louvre, al Mosè e alla Sibilla, anch’essa già iniziata266. Il 23 maggio 1533, oltre un anno dopo l’opzione a favore del transetto sinistro e quasi nove mesi dopo la ripresa dei lavori da parte di Michelangelo, il cardinale Del Monte informava il duca che l’artista intendeva trasferire il monumento nel transetto destro: una «cosa ancora più degna dell’obligo suo, e venendo più alta del dissegno ha bisognato rompere il choro de’ Frati» (doc. 348). Evidentemente l’artista voleva collegare in modo ancora più stretto la tomba al coro dei canonici e alle loro preghiere, ma desiderava anche una maggiore libertà nell’articolazione del piano superiore di quanto consentito nel transetto sinistro, nel quale avrebbe dovuto tagliare la profonda nicchia nel muro esterno est, relativamente sottile. Poiché nel contratto si era impegnato a sostenere i costi della tomba, ma non quelli delle opere murarie, il cardinale chiese al duca 200 d. per coprire le spese; pur non essendo titolare della chiesa, desiderava anche che vi fossero inserite le proprie insegne. Il contratto aveva stabilito che Michelangelo potesse procedere “ad sui libitum”, e così il duca, apparentemente fiducioso nell’esperienza artistica del cardinale, venne informato solo in un secondo momento del cambio di progetto. Il cardinale costrinse i canonici Lateranensi ad accettare la parziale distruzione del coro, ma morì già nel settembre 1533. I monaci, che non potevano più usare il loro coro, tornarono così per un lungo periodo, anche se
non per sempre, in chiesa. Il 27 maggio 1533 era già demolita la parte superiore della parete del transetto destro, dietro la quale è il coro dei canonici (doc. 349)267. Alla fine di giugno o ai primi di luglio, Michelangelo, che da settembre 1532 risiedeva a Roma e dirigeva i lavori, torna a Firenze268. Il 25 luglio Sebastiano gli scrive del «gran rumor a San Pietro in Vincola», dove il duca fa «lavorar a furia, de modo che ala tornata vostra trovarete facta la volta, el muro e cosse grande» (doc. 353). Probabilmente si stava costruendo il muro di rinforzo e il grande arcone di scarico, nella cui parte superiore verrà poi aperta la lunetta. Il 16 agosto 1533 all’artista si richiese di specificare nel dettaglio l’articolazione del «muro a presso la sepoltura» (doc. 356), che il 24 agosto era già pronto. Ancora una settimana necessiterà per «el volto», la nuova volta dell’antisacristia (doc. 356). I lavori di muratura occuparono così più di tre mesi. Michelangelo rafforza il basamento marmoreo della tomba con uno spesso muro la cui fondazione poggia nella cantina e che è motivato dalle profonde nicchie del piano superiore della tomba che indebolivano il muro del transetto. Il nuovo muro di sostegno rafforzò e al tempo stesso regolarizzò l’antisacristia, incuneata nella stretta striscia tra il transetto e la torre della sacrestia, mentre il coro monastico conserva tuttora la pianta trapezoidale e una parte del prezioso mosaico pavimentale di Giuliano della Rovere (tavv. 215, 216). La porta marmorea con l’iscrizione che si apre sul transetto, e che in origine stava probabilmente di fronte a quella della sacrestia, in posizione centrale, venne spostata sul lato ovest del monumento funebre. In una foto di fine Ottocento si vedono a sud dell’abside minore sia la robusta terminazione del lungo muro di sostegno, sia il tratto di muratura del transetto e l’imposta settentrionale dell’originaria volta quattrocentesca dell’antisacristia, e anche che la volta del coro dei canonici non è stata sostituita269. L’arco di scarico che regge la volta del coro monastico e sostituisce dal punto di vista statico il precedente muro del transetto, giunge fin sotto le mensole. Scarica sui pilastri quattrocenteschi del transetto e il suo centro è all’incirca 45 cm al disotto del pavimento del coro monastico. Incastrato in parte nel vecchio muro del transetto, se ne distacca solo nella parte alta, dove il muro vecchio sporge di circa 20 cm nel coro (tavv. 213-214, 217-218). Secondo Vasari, Michelangelo v’inserì «una finestra per comodità di que’ frati che ufiziano quella chiesa, avendovi fatto il coro dietro, che servono, dicendo il divino ufìzio, a mandare le voci in chiesa et a vedere celebrare» (doc. 468). Probabilmente sostituì quelle che prima del 1533 garantivano la comunicazione tra il coro dei canonici e l’altar maggiore. Precedettero i lavori alcuni disegni a sanguigna e carboncino rinvenuti sulla parete di fondo del coro dei canonici (tavv. 221-223)270. Poiché il centro dell’arco di sinistra, tracciato a sanguigna col compasso, è coperto dagli attacchi della volta dell’antisacristia, deve risalire alle prime settimane dell’estate 1533, quando la precedente volta era stata distrutta e non ancora sostituita dalla nuova, e Michelangelo si trovava ancora a Roma. Il suo diametro di circa 180 cm (8 p.r.) sta in un rapporto di circa 1:5 rispetto all’arco di scarico (40 p.r. ca.). Il segmento è tagliato da una linea tracciata con la riga, da interpretare probabilmente come il filo superiore della trabeazione quattrocentesca, che prosegue in quella della tomba. Poiché la presumibile trabeazione taglia l’arco a un livello molto più alto rispetto a quello poi effettivamente realizzato, il suo centro è più di 1 m sotto quello dell’arco attuale; in tal caso la lunetta soprastante sarebbe risultata molto più piccola. Sopra lo schema sono schizzate rapidamente a mano libera due varianti del segmento dell’arco, con centri leggermente più alti, entrambi tagliati dalla stessa linea della trabeazione. Il terzo segmento è più stretto, più basso e delineato con
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
38. Cellere (Viterbo), S. Egidio, abside, 1513.
linee più marcate, e sembra un frontone ricurvo che sporge nella lunetta dell’arco di scarico. Nel terzo schizzo, sempre a mano libera, ma a carboncino, la linea della trabeazione taglia la parte superiore di un ovale, evidentemente quello della Madonna in mandorla271. Allo stesso livello, poco sopra il pavimento del coro dei Canonici e sullo stesso strato d’intonaco, si trovano altri disegni architettonici a carboncino con centri cruciformi, e le cifre difficilmente interpretabili «100» e «75» di mano di un collaboratore. Due disegni presentano lo stato della tomba intorno al 1535, sebbene il loro autore, Aristotile da Sangallo, non sia documentato a Roma tra il 1532 e il 1541 (dis. 47a, 48a; tavv. 58, 59)272. L’alzato del basamento si distingue dal rilievo del 1517 per la maggiore altezza dello zoccolo e i Termini, che ora si concludono con busti maschili con teste barbate e non fanno più parte del fregio della trabeazione (tav. 188). Non solo i fusti decorati con festoni dei pilastri delle erme, ma anche le basi attiche, i capitelli e le cornici aggettanti sono ora meglio visibili, mentre i piedistalli non sostengono ancora alcuna colossale voluta. All’interno della nicchia mediana disegnata nell’alzato Aristotile scrive «storie», pensando al rilievo bronzeo previsto nei primi progetti. Allo stesso luogo, nel disegno della pianta, però osserva: «no(n) so se ce storie», indicando di non essere sicuro se Michelangelo intendesse o meno mantenere effettivamente il rilievo, e di essere al proposito scarsamente informato, nonostante conoscesse l’artista sin dai tempi della collaborazione alla Cappella Sistina. La cornice d’imposta delle nicchie laterali prosegue nella nicchia centrale, dividendola in un campo superiore cieco e in una zona inferiore in mattoni a vista, non più compatibili con il grande bassorilievo, del quale infatti il contratto dell’aprile 1532 non parla più. Evidentemente Michelangelo già qualche tempo prima del disegno di Aristotile aveva destinato il Mosè alla nicchia centrale, e avrebbe voluto già dal 1532 affiancarlo con i due Prigioni del Louvre, sostituendolo al piano superiore col Profeta. Del gruppo di sei figure per le quali si era impegnato nel 1532 avebbero fatto parte, oltre al Mosé e ai Prigioni del Louvre, il Profeta, la Sibilla, e probabilmente anche il grande rilievo con la Madonna in mandorla, ma non più il Papa, che anche nel Breve del 1536 e negli accordi del 1542 non è contata come statua (docc. 370, 377)273. Nell’alzato di Aristotile le misure e i profili dei piedistalli del livello superiore corrispondono già allo stato attuale, benché sia poco probabile che Michelangelo li intendesse così riccamente decorati come previsto nel 1516 (tav. 250)274. Da basi attiche, i cui plinti non raggiungono ancora l’altezza attuale, s’innalzano paraste interrotte poco sopra, e mancano anche il sarcofago, il papa e la nicchia della Madonna. Già nel 1533-34 Michelangelo aveva iniziato i quattro pilastri del piano superiore e a scavare in profondità tra gli intercolumni per collocarvi le statue con personaggi seduti. Sopra i piedistalli si dovevano allora ancora vedere frammenti del muro del transetto e inoltre la lunetta aperta dell’arco di scarico. Nello di poco più tardo schizzo di autore sconosciuto è già presente il papa sul sarcofago (dis. 49a; tav. 60)275, anche se alla tiara manca la parte finale e l’ordine superiore s’interrompe poco sopra i piedistalli. Poiché nello schizzo di dettaglio con la nicchia del papa, nella parte destra del foglio, i plinti della base sono alti già quanto nell’opera finita, il foglio dovrebbe risalire a un momento di cambio di progetto del piano superiore. All’estremità destra sembra che il disegnatore abbia copiato uno schizzo dello stesso Michelangelo per la conclusione del livello superiore della tomba, e la sua evidente fretta potrebbe spiegare il motivo per cui l’intercolunnio laterale appare troppo stretto per una figura seduta. Come l’ovale schizzato a carbone sulla parete del coro monastico (tavv. 221-222), la calotta della tribuna taglia la trabeazione come in un disegno di Michelangelo per una nicchia, o come nell’abside di S. Egidio in Cellere di A. da Sangallo il
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Giovane nel timpano di un frontone triangolare (fig. 38)276. Solo una “tribunetta” di questa altezza avrebbe potuto accogliere la Madonna in mandorla, già abbozzata, che Michelangelo, cercando per quanto possibile di ridurre i costi, intendeva probabilmente riutilizzare. Pochi anni dopo individuerà ancora con una mandorla il Cristo e la Vergine del Giudizio Universale. Intorno al 1533 la tomba era effettivamente certo “più degna”, ma non necessariamente “più alta”. I disegni di Aristotile e dell’anonimo, e quelli sulle pareti del piano superiore del coro monastico, consentono di ipotizzare che Michelangelo ancora intorno al 1533 avesse previsto per il piano superiore uno snello ordine dorico simile a quello del 1516 (tav. 250). Il cornicione tripartito avrebbe proseguito le imposte quattrocentesche e sarebbe stato probabilmente coronato da un frontone. Tuttavia fu evidentemente così poco soddisfatto di questa soluzione da non proseguire il piano superiore oltre lo stato in cui l’aveva disegnato da Aristotile.
Gli anni 1532-36 e i collaboratori Insistendo il papa sulle clausole del contratto, Michelangelo ha a disposizione per lavorare alla tomba solo sei mesi, nei quali deve completare quattro statue solo in parte abbozzate, ed è nuovamente costretto a ricorrere a numerosi collaboratori. Il 2 luglio 1532, due mesi dopo la sua partenza, lo scultore Pier Antonio Cecchini, alle prese con la “mia figura”, comunica a Michelangelo che il suo sollecito ritorno sarebbe «non mancho grato mi fia che a’ desiderosi patroni de la famosa e memorabile opra» (doc. 338). Cecchini lo rassicura dell’«inzatiabile voglia« di «soddisfare il suo destinato apitito, servendo voi». Ha accesso alla casa di Macel de’ Corvi e tratta dell’opera in sua assenza e a suo nome sia con l’ambasciatore del duca sia con Sebastiano del Piombo277. Quando scrive la lettera, non c’è a Roma un’altra più «famosa e memorabile opera» scultorea della tomba di Giulio, e la “figura” alla quale Cecchini più probabilmente lavora è il Mosè. Cecchini consegna a Tommaso Cavalieri disegni e lettere di Michelangelo, nelle quali l’artista lo definisce il “nostro amico”278, e vive nel palazzo del cardinale Ridolfi, legato alla famiglia Orsini e come tale allo stesso Tommaso. L’amicizia con Tommaso inaugura una nuova fase intellettuale ed emotiva nella vita dell’artista, che sembra riflettersi anche nel Mosè279. Il padre e i fratelli sono morti, e Firenze è divenuta capitale di uno Stato assolutistico il cui capo, Alessandro de’ Medici, lo spaventa280. Amato, compreso e protetto come pochi altri dal papa, già nel gennaio 1533 desidera trasferirsi a Roma, che ora ha acquistato una nuova forza attrattiva (docc. 345-347). Nella stessa lettera Cecchini lo informava che uno dei blocchi destinati alla tomba – che, danneggiato da un incendio, stava a Ripa Grande accanto a quello del Profeta281 –, era stato rubato dallo scalpellino carrarese Cagione e portato a Napoli. Già nel maggio 1535 Michelangelo trascinò in giudizio Cagione, che nel 1517 era stato suo fornitore (docc. 365-368), e si verificò che si trattava di un blocco del peso di 16 carrate (12,8 ton), uno dei pezzi di maggiori dimensioni tra quelli consegnati negli anni 1506-08, che forse poteva essere stato destinato al sarcofago originario. Il Profeta, ora menzionato per la prima volta, si trovava ancora a Ripa Grande e non faceva quindi parte delle quattro figure abbozzate custodite nella casa romana. Probabilmente solo grossolanamente sbozzato a Carrara, potrebbe essere stato destinato in origine al San Paolo della tomba libera. Cecchini appare così bene informato del materiale destinato alla tomba che non solo riconosce il Profeta, ma si accorge anche che il blocco accanto è scomparso. Probabilmente controllava per incarico di Michelangelo i blocchi disponibili per la tomba. Poco prima che Michelangelo all’inizio di maggio 1532 tornasse a Fi-
renze, sembra dunque aver previsto per la tomba un Profeta e destinato il Mosè alla nicchia centrale del piano inferiore, oltre che realizzato un nuovo modello per questo e incaricato Cecchini della seconda sbozzatura. Nel giugno 1532 il papa permise al venticinquenne Giovanni Angiolo Montorsoli (1507-63), che lavorava ancora a Firenze, di collaborare alla tomba282. Michelangelo lo portò con sé quando tornò a Roma agli inizi di settembre (doc. 340), e potrebbe averlo incaricato di lavorare al Profeta o alla Sibilla, che gli sarà attribuita nel 1544 (sc. 12; tavv. 163-166; doc. 421). Michelangelo farà ritorno a Firenze con Montorsoli già nel luglio 1533 per fare i modelli delle statue ancora mancanti della Cappella Medicea. Il papa gli aveva evidentemente concesso dieci mesi continuativi per lavorare alla tomba. Affida così a Montorsoli l’esecuzione di alcune parti del Giuliano, come rileva la mano destra, e la realizzazione del San Cosma (fig. 37; doc. 353, 442, 453)283. All’inizio dell’estate il papa si trattiene a Loreto e osserva i seguaci di Andrea Sansovino impegnati nei bassorilievi della Santa Casa. Il suo sguardo esperto riconosce il talento dei giovani collaboratori e li invita a mettersi a disposizione di Michelangelo (docc. 351, 353). Tra questi era anche Raffaello da Montelupo, coetaneo di Montorsoli e figlio dello scultore toscano Baccio, amico intimo di Michelangelo. Raffaello aveva studiato e lavorato col Lorenzetto, scultore e architetto della cerchia di Raffaello Sanzio284. Giunto poco dopo a Firenze, Michelangelo gli affidò il San Damiano della Cappella Medicea. Secondo Vasari, Michelangelo nel 1533 incaricò il Tribolo, ancora un fiorentino della medesima generazione che aveva collaborato alla Santa Casa di Loreto, di trarre da “dua modelli picholi” le statue nude del Cielo e della Terra, destinate alle nicchie ai lati del duca Giuliano, che ricordano nella descrizione di Vasari il gruppo superiore della tomba libera (docc. 361, 447)285. Ammalatosi di febbre terzana, Tribolo non sarà però in grado di realizzare le due statue. Avendo bisogno di ulteriori aiuti a Roma per completare la tomba, Michelangelo recluta tra gli altri Tommaso Boscoli, anche lui attivo a Loreto e invitato da Clemente vii286. Nato a Fiesole tra il 1501 e il 1503, fa parte della stessa generazione di giovani scultori toscani e muore nel 1574 a Firenze. Iniziata la sua carriera in Toscana, ha già collaborato in precedenza con Michelangelo nella Cappella Medicea. Nella lettera dell’11 agosto 1533 nella quale si propone parla infatti di un antica familiarità (doc. 355). La collaborazione inizia probabilmente solo in autunno, dopo il ritorno di Michelangelo a Roma. Forse fondandosi su una sua testimonianza diretta, Vasari attribuisce a Boscoli «la statua di papa Giulio a diacere» (doc. 473). La sua mano si conosce solo per il gruppo della Sant’Anna in S. Maria di Monserrato, ma ben poco si sa della sua carriera (fig. 52; doc. 46)287. Potrebbe aver preso parte alla realizzazione dei Termini barbuti e anche dei rilievi con i Tritoni nella nicchia del Mosè, troppo simili a quelli dello zoccolo della Santa Casa per essere un’invenzione di Michelangelo (fig. 40; tavv. 201, 202)288. Con maggiore consapevolezza che in precedenza, e con l’aiuto del papa, Michelangelo ricerca scultori promettenti ai quali affidare non solo la seconda sbozzatura, ma anche la realizzazione d’intere figure, come aveva pensato già prima del Sacco, ma mai attuato289. Per la prima volta dà vita a una vera scuola, di cui faranno parte anche Urbino, almeno intorno al 1537 Scherano290, Giacomo del Duca verso il 1542-45 e nei tardi anni Quaranta Tiberio Calcagni (1532-1565)291. Non accontentandosi dei lavori fiorentini di Michelangelo, il papa gli affidò anche l’incarico di dipingere nella Cappella Sistina il Giudizio Universale, opera che testimonia come nessun’altra lo spirito di questi anni di crisi. Il 17 luglio 1533, poco dopo la sua partenza da Roma, Sebastiano del Piombo informa Michelangelo che il papa vuol «farvi contrato de tal cossa che non ve lo sogniasti mai»292.
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Quando il 22 settembre il pontefice è di passaggio a San Miniato al Tedesco Michelangelo gli fa visita, e i due devono aver anche parlato del Giudizio293. Poco dopo l’artista torna a Roma per sorvegliare il montaggio del basamento della tomba. Scalpellini come Francesco d’Amadore da Casteldurante detto Urbino, il suo nuovo factotum294, dovevano adattarla alla parete del transetto meridionale, alzando lo zoccolo e modificando i Termini e la nicchia centrale, mentre scultori come Cecchini e Boscoli dovevano completare i busti dei Termini e i rilievi dei Tritoni. Come già nell’estate 1533, il papa permise anche in quella del 1534 a Michelangelo d’interrompere solo per pochi mesi il lavoro romano (doc. 361)295. Ma ora vuole che dipinga il Giudizio Universale, il cui ponteggio il 20 febbraio 1534 è già allestito (doc. 362). Allarmato per il nuovo progetto, il 26 marzo il duca di Urbino insiste sull’adempimento puntuale del contratto (doc. 363). Nel giugno 1534 Michelangelo conclude i lavori nella Cappella Medicea, chiude la casa di via Mozza e prepara il trasferimento definitivo a Roma, dove arriverà il 23 settembre, alla vigilia della morte di Clemente vii, per non fare mai più ritorno a Firenze (doc. 364)296. La visita di Paolo iii nel 1535 Il 13 ottobre Alessandro Farnese è eletto papa. Secondo Condivi avrebbe voluto strappare il contratto col duca per avere Michelangelo esclusivamente alle proprie dipendenze (doc. 450). Nominandolo 1 settembre 1535 suo pittore e architetto a vita, è il primo papa a legarlo a sé a tempo indeterminato (doc. 369), con uno stipendio annuo di 1200 d. – quattro volte maggiore di quello di Sangallo come primo architetto di S. Pietro – da finanziare con i proventi doganali di un porto sul Po vicino Piacenza. Sempre secondo Condivi, Michelangelo avrebbe “secretamente” lavorato alla tomba, prendendo in considerazione l’idea, per poterla continuare, di ritirarsi da Francesco Pallavicini nelle vicinanze di Carrara o a Urbino – ipotesi quest’ultima piuttosto improbabile, perché avrebbe richiesto il trasporto delle statue sbozzate alla residenza, così difficilmente raggiungibile, dell’irascibile duca. Condivi e Vasari riferiscono anche di una visita che Paolo iii avrebbe fatto a
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
40. Collaboratore di Andrea Sansovino, Tritoni, 1530 ca., Loreto, Santuario della Santa Casa.
Macel de’ Corvi per vedere non solo il cartone del Giudizio, ma anche le statue della tomba «e minutamente ogni cosa» (docc. 450, 473). La visita avrebbe avuto luogo prima che Michelangelo confermasse l’incarico per il Giudizio, e quindi prima del 1536. Il periodo dei tre anni accordati nell’aprile 1532 per il completamento della tomba stava allora per scadere senza che neppure una delle quattro nuove statue promesse fosse stata terminata. Tra i cardinali al seguito del papa si sarebbe trovato anche Ercole Gonzaga, cognato del duca e uno dei garanti per la puntuale esecuzione del contratto del 1532, che vedendo il Mosè, avrebbe esclamato: «Questa sola statua è bastante a far onore alla sepoltura di papa Giulio». Dopo la visita, Paolo iii avrebbe nuovamente assillato Michelangelo per avere da lui conferma dell’accettazione dell’incarico dell’affresco, dicendo all’artista esitante «che ’l duca di Urbino si contenterà di tre statue di tua mano, e che le altre tre che restano si dieno a fare ad altri», e che avrebbe convinto il duca a rivedere il contratto. Per quanto riguarda le opere autografe intendeva senz’altro il Mosè e i due Prigioni del Louvre, distinte dalle altre tre, la Madonna, la Sibilla e il Profeta. Tra l’aprile 1532 e l’inizio del Giudizio nella primavera 1536 Michelangelo aveva dedicato pochi mesi alle statue della Cappella Medicea, potendosi così concentrare su quelle della tomba e in particolare sul Mosè, che doveva essere ormai già molto avanzato. Tutto indica che la visita del papa sia effettivamente avvenuta, ed Ercole Gonzaga ne abbia subito informato il duca suo cognato. Senza avere probabilmente mai visto il Mosé, il figlio ed erede di Francesco Maria, Guidobaldo, già nel marzo 1542 lo considera il pezzo principale della tomba (doc. 377). Del Mosè non parla alcuna fonte precedente; non v’è quindi dubbio che la sua genesi sia strettamente connessa agli anni Trenta e al progetto del 1532-33.
39. Erma d’Ercole, età romana, Roma, Palazzo dei Conservatori.
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factotum, potrebbe aver scolpito il primo piuttosto schematico Termine, il solo composto da due blocchi, e il quarto, le cui braccia sono quasi irriconoscibili sotto la tunica, a dimostrazione di quanto poco fosse portato per la scultura298. Più classicheggiante e paganeggiante rispetto alla precedente decorazione, è il rilievo ai lati delle gambe del Mosè con coppie di tritoni e torce accese, visibile solo di scorcio299, un tema che già Andrea Sansovino nella Santa Casa di Loreto e altri prima di lui avevano ripreso dall’antico (fig. 40; tavv. 201-202). Il rilievo di destra potrebbe essere di Boscoli, mentre quello di sinistra ne costituisce una replica di mano più debole.
La rielaborazione del Mosè e dei Termini nel 1532-35 I Termini del pianterreno Quando nell’aprile 1532 Michelangelo s’impegnò a concludere la tomba nell’arco di tre anni, nella casa di Roma – oltre ai Prigioni del Louvre e alle quattro statue abbozzate – si trovavano anche i fusti dei quattro Termini del basamento, scolpiti nel 1513-14 da Antonio da Pontassieve (tavv. 205-208). Michelangelo sostituì i busti femminili, probabilmente ancora incompiuti, con busti maschili, più simili ai prototipi antichi, con lo sguardo strabico come quello del Mosè, che ancora più direttamente allude al dio Terminus. Sotto la tunica, simile a quella del Bruto, spunta la clamide ripiegata, con gli avambracci delineati come nell’erma d’Ercole (fig. 39)297. Nell’antica Roma la festa di Terminus, i Terminalia, si celebrava il 23 febbraio a conclusione dell’anno trascorso e all’inizio di quello nuovo. In quel giorno le erme del dio venivano decorate con corone di fiori che alludevano alla primavera. Quando, il 21 febbraio 1513, Giulio ii morì, gli eruditi avrebbero potuto ricordarsi della simbolica vicinanza delle due date. Nel 1532, quando il monumento sepolcrale aveva ormai perduto il suo carattere trionfale, i Termini del piano inferiore non dovevano più – come nel caso della tomba libera – circondare la camera funeraria, ma affiancare i Prigioni del Louvre previsti per le nicchie laterali, unici rappresentanti rimasti della transitorietà terrena. Quando verso il 1537 anche questi ultimi vennero esclusi dalla tomba, i Termini perdettero il loro significato, e ciò può aver indotto a riproporli in dimensioni maggiori anche nel piano superiore, subordinando così l’intera tomba ai rappresentanti pagani della morte e della rinascita. I Termini sono opera di diversi collaboratori. Il secondo e il terzo, probabilmente i più vicini alla concezione michelangiolesca, potrebbero essere di Montorsoli, il più dotato tra questi. Sulla base del modello, Urbino, l’ancora poco esperto
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Il Mosè. L’adattamento alla nicchia centrale e la rotazione della testa Michelangelo aveva studiato con esattezza il Mosè in relazione alla nicchia centrale del piano inferiore, ma la stretta connessione andò perduta nel 1816, quando fu avanzato di 50 cm ca. rispetto alla nicchia e lo zoccolo venne rialzato di 22 cm (dis. 58a, 59a, 60a; tavv. 61-63; docc. 487-493)300. Il busto sporgeva di pochissimo dalla nicchia, così come la gamba destra appena dal piedistallo. Essendo la base irregolare leggermente ruotata rispetto allo zoccolo, la statua appariva ancora meno simmetrica, mentre il lato con le Tavole era più in evidenza dell’altro con la più debole gamba sinistra; il gomito destro poggiava quasi sul piedistallo, mentre il ginocchio destro arrivava alla cornice; la testa era all’altezza della cornice d’imposta della nicchia e il piede sinistro, di poco sollevato, aderiva quasi alla parete. Quando Michelangelo, presumibilmente nell’aprile 1532, pose mano al suo completamento, il marmo restante era sufficiente per consentirne l’adattamento alle dimensioni della nicchia e per una reinterpretazione in chiave più classicheggiante (sc. 9; tavv. 122-145). Fece così eliminare, forse da Cecchini, i tre lati aggettanti del trono, di cui restano ancora le tracce sul retro; presso la coscia destra, che pare affondare nel trono – e che, come le ora poco convincenti pieghe dello stesso lato, potrebbe risalire al 1513-15 – manca una parte del manto che lo ricopriva. Da questo lato il seggio è di 10 cm ca. più alto rispetto alla parte opposta sotto la gamba sinistra. Se si osserva la statua di fronte il difetto è mascherato dal grande sbuffo sul ginocchio. Sembra che Michelangelo abbia rielaborato anche la gamba sinistra, dove il marmo non bastava né per un ginocchio delle medesime dimensioni di quello di destra né per il polpaccio. Se la statua fosse stata collocata in alto, come previsto nei precedenti progetti, il difetto sarebbe stato
immediatamente percepibile. Michelangelo trasformò probabilmente una parte della gamba sinistra nel lembo del manto, il quale ricadendo tra le gambe finisce accanto al piede destro in ciò che rimane del piede originario. La statua, già iniziata forse nel 1506, non consentiva più la torsione assiale del corpo che caratterizza le forme michelangiolesche dal 1511 in poi. La frontalità, la posizione eretta e un po’ rigida del busto, insieme all’angolo formato da coscia e ventre risalgono probabilmente ai primi anni del lavoro e contribuiscono a conferirgli una maestà arcaica e patriarcale. L’Isaia di Raffaello, spesso ritenuto una derivazione dal Mosè, si articola in modo differente, e il suo corpo, celato sotto le vesti, richiama piuttosto i Profeti della Cappella Sistina301. Nel 1532 Michelangelo aveva ancora molto marmo disponibile per ruotarne la testa, come si ricava da una lettera, di cui si conservano solo alcuni frammenti, scritta nel marzo 1564 da Tommaso Cavalieri a Vasari, che stava raccogliendo ricordi degli amici dell’artista per la seconda edizione delle Vite (figg. 41-42; doc. 459)302. Tra le informazioni sulla Pietà di S. Pietro, sulla ‘linea’ di Apelle e sugli intrighi della fabbrica di S. Pietro sotto Pio iv, Tommaso racconta anche di come Michelangelo avesse «fatto drizzare in piede in casa sua la statua del Moise, quale era bozzata a bon termine in sino al tempo di papa Julio Secondo». Tommaso avrebbe osservato: «se questa figura stesse con la testa volta in qua, chredo che forse facesse meglio». Due giorni dopo, tornato in bottega, Michelangelo avrebbe «svoltata la testa et sopra la punta del naso gli haveva lasciato un poco della gota con la pelle vecchia, che certo fu cosa mirabile ne chredo quasi che a me stesso considerando la cosa quasi impossibile». In tono scherzoso l’artista avrebbe osservato: «Non sapete che Mosè ci intese parlare l’altro giorno et per intenderci meglio se è volto». Tommaso non svela il motivo del suo consiglio, ma è possibile che nella rotazione della testa Michelangelo riprenda il suggerimento di Leonardo del 1514-16, che mirava ad attribuire maggiore espressività al volto (dis. 45a)303. Vi è però un motivo ancora più concreto. Dall’aprile 1532 al maggio 1533, quando già lavorava al Mosè, si prevedeva che la tomba fosse collocata nel transetto sinistro della chiesa. Qui il sole del mattino avrebbe illuminato la testa del Mosè che guiardava verso l’altare maggiore, dove il pane e il vino si tramutano nella carne e nel sangue del Salvatore, e sono custodite le catene di Pietro, suo successore come guida del popolo eletto, che Giulio ii aveva venerato al tempo in cui era cardinale titolare della chiesa304. Se Michelangelo avesse ripreso a lavorare al Mosè nell’autunno 1532, avrebbe potuto ruotargli la testa proprio allora. La familiarità che promana dalle due lettere del gennaio 1533, le prime conservatesi di quelle indirizzate a Tommaso, induce a credere che la conoscenza risalisse a qualche tempo prima305; in tal modo le visite avrebbero potuto aver luogo già all’inizio dell’autunno 1532. Benché Vasari nella seconda edizione della Vita non utilizzi il racconto sul Mosè di Tommaso, non è per questo meno veritiero, né può esservi dubbio che nella fase più intensa del loro rapporto il ragazzo, allora sedicenne, potesse aver avuto un influsso immediato sulla forma della statua. Da fine maggio 1533, dopo il trasferimento della tomba nel transetto destro, Mosè ha guardato verso la buia navata laterale. In origine non riceveva luce, come oggi, solo da est, ma anche da una finestra del muro occidentale del transetto, già tamponata alla fine del Cinquecento dagli ambienti aggiunti al disopra della navata destra, e per qualche tempo una piccola apertura ha consentito che un raggio di luce ne illuminasse il volto. È stata riscoperta negli ultimi restauri e opportunamente segnalata (tav. 214). Michelangelo terminò il Mosè solo verso il 1544306, potendo probabilmente adattare alla mutata collocazione l’espressione del volto. Gli occhi non fissano infatti un punto concreto, come l’altare maggiore o le catene di san Pietro, ma
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sono lievemente strabici, come se cercassero un segno divino, e lo stesso vale per le corna, appena cresciute e orientate in diverse direzioni come le antenne di una chiocciola. Michelangelo riutilizza il marmo ancora grezzo e quello della testa precedentemente modellata per realizzare una barba inusualmente folta (tav. 137). Due lunghe ciocche ricadono ai lati del labbro superiore, e altre due dal mento, dal cui centro spunta un ricciolo. La ciocca più folta, che si diparte dalla guancia sinistra e, seguendo il movimento della testa, si sovrappone in basso diagonalmente alle altre, sembra bloccata dall’indice destro nella posizione in cui era prima della rotazione del capo. Sotto l’indice la barba non è altrettanto folta, ma ricade perpendicolarmente in modo secco in due ciocche relativamente rade e sottili, che potrebbero risalire al 1513-14. Il nuovo significato del Mosè Dal 1532 la statua è molto più simile al Giuliano della Cappella Medicea (fig. 37), e non solo per la testa ruotata, le mani, le braccia e le gambe, ma anche per la sottile tunica di cuoio che ne lascia intravvedere la corporatura atletica. Condivi infatti lo descrive «togato e calzato e colle braccia ignude e ogni altra cosa all’antica», sottolineando «che sotto così belli panni di che è coperto, appar tutto lo igniudo, non togliendo il vestito l’aspetto della bellezza del corpo» (doc. 450). Immediatamente confrontabili col Giuliano sono anche le pieghe del manto, i riccioli profondamente avvolti a spirale e i tratti fisionomici, soprattutto se visti di profilo, come gli occhi, il naso, la bocca, molto più realistici che in statue pre-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
41. Lettera di Tommaso Cavalieri a Vasari, marzo 1564, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, particolare. 42. Lettera di Tommaso Cavalieri a Michelangelo, 1560, Firenze, Archivio Buonarroti, particolare.
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cedenti come il Cristo e la Vittoria (fig. 28, 37; tavv. 115-120). La barba, più folta che in tutte le precedenti raffigurazioni, lo fa assomigliare a divinità fluviali come il Nilo, dal quale era stato ripescato (fig. 43), facendolo apparire ancora più potente e arcaico e distinguendolo dal vecchio papa disteso sopra di lui. Le corna e la barba ricordavano già a un visitatore della seconda metà del xviii secolo Pan, il dio dei pastori che semina il “timor panico”. Nell’antichità era la più anziana divinità dell’Olimpo e il maestro di Apollo nell’arte della profezia, derivando il suo nome dalla parola greca Phanes, “colui che porta la luce”307. Non è da escludere che Michelangelo avesse saputo che il nome Mosè derivasse dalla radice ebraica che significa “estrarre”, e l’avesse quindi interpretato come “chi dopo la nascita è estratto dall’acqua”, oppure “chi fa uscire gli ebrei dall’acqua”, riferendosi sia a quando venne esposto nel cesto sul Nilo, sia all’attraversamento del Mar Rosso. All’acqua alludono comunque i due rilievi con coppie di tritoni, figli di Nettuno e Anfitrite e araldi del mare, che ai lati di Mosè evocano demoni pagani (tavv. 201, 202). Mosè, il più vicino a Dio tra gli uomini e l’unico ad avergli parlato, somiglia ora al Dio Padre della Cappella Sistina, che Michelangelo aveva dipinto sotto l’impressione del carismatico e barbuto Giulio ii. Come il Dio della Creazione delle stelle (fig. 27) Mosè è teso e concentrato, ma non irato, come neppure una volta lo descrivono i due biografi di Michelangelo. Verso il 1536-37 lo dipinge nel Giudizio con il naso leggermente aquilino, la fronte ampia, gli occhi incavati, il petto muscoloso, le braccia e le gambe nude, con un accenno di corna tra i capelli, e la tunica color cuoio che arriva solo fino alle ginocchia (fig. 44). I capelli ricciuti di colore castano sono solo leggermente imbiancati, e indicano un’età che difficilmente può superare i sessant’anni, ed è quindi grosso modo coetaneo di
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Michelangelo. Appare comunque molto più giovane del San Pietro che in parte lo copre. La testa di una giovane donna immediatamente alle sue spalle potrebbe appartenere a una figura femminile del Vecchio Testamento, forse Lia, sua ava. Le mani esprimono lo stupore e la meraviglia di essere finalmente riunito a Dio, e di poter vedere da vicino nello splendore divino il Cristo risorto che gli rivolge il viso, ma non lo sguardo. Non è più accecato dalla luce divina come il San Paolo della Cappella Paolina – una figura direttamente confrontabile con Mosè, a cui già Ficino e Pico l’accostavano, destinata nel progetto per la tomba libera a un ruolo complementare (fig. 45)308. Caratterizzando Mosè «in atto pensoso e savio… sostenendosi il mento, come persona stanca e piena di cure», Condivi sembra descrivere il suo stato prima del 1532 piuttosto che quello definitivo, benché lo debba aver visto già finito (doc. 450). Nel passo seguente lo evoca però in modo appropriato come «duce e capitano degli Hebrei», e «principe» con la «faccia piena di vivacità e spirito, e accomodata ad indurre amore insieme e terrore, quale forse fu il vero». Dice anche che tiene «sotto il braccio destro [ha] le tavole della legge» e che «certe lunghe liste di barba» fuoriescono tra le dita della mano sinistra. Mosè non è più ora solo un profeta, ma un principe potente e la guida del popolo eletto. Anche Niccolò Machiavelli (1469-1527) vede in lui non solo il fondatore di uno Stato e l’autore di un nuovo Patto, ma anche il buon governante saggio e potente, costretto a volte ad essere crudele, e lo pone al disopra dei principi perché unico ad aver parlato con Dio309. Insieme a Jacopo da Diacceto, che rifonderà nel 1515 per incarico di Leone x l’accademia neoplatonica, a Trissino e Luigi Almanni, Machiavelli apparteneva al circolo neoplatonico che dopo la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492 si riuniva nel giardino di Bernardo Ru-
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cellai. Quando nel 1513 portò a termine il Principe, desiderava dedicarlo a Giuliano de’ Medici, che però morì nel 1516, e lo dedicò infine al duca Lorenzo de’ Medici – gli stessi che Michelangelo rappresentò nella Cappella Medicea come esemplari incarnazioni del principe. Il Principe e i Discorsi, redatti subito dopo, saranno pubblicati solo dopo la sua morte nel 1531-32, ma potrebbero essere stati noti a Michelangelo già prima e aver così contribuito all’assimilazione della posa e del corpo classicheggiante del Mosè a quello del Giuliano. La rotazione dinamica della testa, il volto illuminato e le mani che toccano la lunga barba folta ricordano la medaglia quattrocentesca con l’imperatore bizantino Eraclio dopo la vittoria sul re persiano Cosroe e il recupero della parte orientale dell’impero (fig. 46)310. Mosè non guarda però nella luce, le sue mani sono più sciolte e non afferrano l’intera barba, e Eraclio non è neanche confrontabile con Giulio ii, che si fece crescere la barba solo dopo il fallimento del tentativo di recuperare le provincie settentrionali della Chiesa, e la cui barba non fu mai così folta e lunga (fig. 1). Già probabilmente intorno al 1513-14 Michelangelo capovolse le Tavole, ancora chiuse, della Legge che Mosè bilancia in equilibrio instabile su un angolo del trono con la mano destra – forse per indicare che già da tempo attendeva che Dio le iscrivesse di nuovo. Solo nel 1532 gli ruotò la testa e gli fece toccare la barba anche con la mano sinistra, conferendo tensione al braccio e alla gamba come se fossero pronti a obbedire a un comando di Dio. Ancora più che nei progetti precedenti, Michelangelo tentò di superare il contrasto tra mondo pagano e mondo cristiano e di seguire la filosofia neoplatonica. Mentre nella tomba libera Mosè doveva rappresentare la Vita attiva e nel progetto di Berlino era solo un profeta tra gli altri, ora riunisce in sé entrambe le strade che conducono alla vita eterna e di conseguenza dal 1542 sarà affiancato nella tomba dalla Vita attiva e dalla Vita contemplativa. Michelangelo aveva appreso da Pico che Platone nel Timeo si era nutrito come Mosè, l’autore della Genesi e il «vero profeta di tutte le cose future», della medesima saggezza divina e fosse perciò detto il “Mosè
43. Nilo, Musei Vaticani, particolare. 44. Michelangelo, Giudizio Universale, 1536, Musei Vaticani, Cappella Sistina, particolare. 45. Michelangelo, Conversione di San Paolo, 1542-45, Musei Vaticani, Cappella Paolina, particolare.
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ateniese”311. Pico potrebbe essere stato ispirato anche dalla vita di Mosè scritta da Gregorio di Nissa, neoplatonico Padre della Chiesa del iv secolo, apparsa nel 1521 a Basilea, e che anche Michelangelo potrebbe aver conosciuto312. Gregorio vedeva nella salita di Mosè al monte Sinai un simbolo dell’ascesa dell’anima a Dio, e riconosceva nel crepaccio della roccia persino una prefigurazione di Cristo In un verso di una poesia dell’inizio degli anni Quaranta dedicata a Vittoria Colonna, Michelangelo confessa: «tardi ama il cor quel che l’occhio non vede»313. Mosè è riuscito a vedere Dio almeno di spalle, ma Dio si rispecchia e manifesta nell’uomo; perciò Michelangelo, che lo cerca ma non riesce a vederlo, lo scopre soprattutto nelle persone amate e venerate. Nella visione neoplatonica Dio è invisibile, e perciò egli non lo rappresenta più dopo gli affreschi della Sistina commissionatigli da Giulio ii. Sino alla metà degli anni Quaranta lo mostra come nuovo Adamo nella bellezza del figlio di madre mortale. Solo nelle ultime opere Cristo diverrà la vittima sofferente dell’autosacrificio314. Questa sofferenza cristiana, che si distingue fondamentalmente dalla bellezza classicheggiante delle figure precedenti e dalla sovrumana potenza del Mosè, emerge nella Vita contemplativa, probabilmente l’ultima figura completata della tomba nel 1543-44, nel San Paolo della Cappella Paolina e nei disegni degli anni dell’intensa amicizia con Vittoria Colonna (fig. 45; tavv. 181-184). Il concetto neoplatonico e agostiniano di Michelangelo di un Mosè bello fisicamente e simile a Dio caratterizza anche la descrizione di Vasari del 1568: «… et inoltre alla bellezza della faccia, che ha certo aria di vero, santo e terribilissimo principe, pare che mentre lo guardi abbia voglia di chiedergli il velo per coprirgli la faccia, tanto splendida e tanto lucida appare altrui. Et ha [Michelangelo] sì bene ritratto nel marmo la divinità che Dio aveva messo nel santissimo volto di quello, oltre che vi sono i panni straforati e finiti con bellissimo girar di lembi, e le braccia di muscoli e le mane di ossature e nervi sono a tanta bellezza e perfezzione condotte, e le gambe appresso e le ginocchia, et i piedi sotto di sì fatti calzari accomodati, et è finito talmente ogni lavoro suo, che Moisè può più
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Michelangelo. Il marmo e la mente
La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
46. Medaglia di Eraclio, metà xv secolo, Washington, The National Gallery of Art.
48. Sigmund Freud, ricostruzione delle presunte tappe dei movimenti del Mosè (da S. Freud, Der Moses des Michelangelo, 1914).
47. Medaglia di epoca romana raffigurante il dio Terminus.
oggi che mai chiamarsi amico di Dio, poi che tanto innanzi agli altri ha voluto mettere insieme e preparargli il corpo per la sua ressurrezione per le mani di Michelagnolo. E séguitino gli Ebrei di andare, come fanno ogni sabato, a schiera, e maschi e femine, come gli storni a visitarlo et adorarlo, ché non cosa umana ma divina adoreranno» (doc. 466). Vasari combina il concetto neoplatonico di sant’Agostino della resurrezione del corpo perfetto e ringiovanito con l’idea di Ficino e dello stesso Michelangelo che Dio può conferire bellezza divina anche alla raffigurazione di un corpo per mano di un grande artista, e va ancora oltre, asserendo che una tale opera può preparare o persino quasi anticipare la resurrezione315. Il devoto Vasari, vicino all’intollerante papa domenicano Pio v, tentò dunque nel corso della Controriforma di armonizzare la celebrazione della bellezza corporea con l’idea della resurrezione. Dal primo David di marmo e dal Dio Padre della Cappella Sistina fino al Mosè e al Cristo del Giudizio le figure di Michelangelo divengono sempre più eroiche, arcaiche e possenti. Non a caso, negli anni tra il Giuliano e il Giudizio reinterpreta così anche il Mosè. Benché possa aver tratto spunto da figure prestigiose come il padre e Lorenzo de’ Medici duca di Urbino, o dai numerosi papi e cardinali per i quali ha lavorato, in nessuno di questi aveva percepito in modo così netto una carismatica potenza così incisivamente incarnata come in Giulio ii. Non a caso Michelangelo concepì il nuovo Mosè per la tomba del papa – audace e al massimo grado volubile, temibile e collerico, ma anche profondamente religioso, e consapevole del proprio mandato come nessun altro prima e pochi dopo di lui – al tempo stesso “legista” e “ubidente”, come Dante descrive Mosè nel Limbo316. Mosè compare già nel primo progetto per la tomba, per fondersi con Giulio ii nella scena dove il popolo eletto viene nutrito con i frutti della quercia araldica invece che con la manna. Durante il carnevale del 1513, poco prima della sua morte, Giulio ii venne paragonato a Mosè col serpente di bronzo che salva il popolo eletto dal male317. Da Mosè come prototipo più significativo del papa s’innalza l’asse verticale della tomba sino al Papa che si risveglia e alla Madonna che lo guarda. Chi separa Mosè dal papa rischia di entrare in un vicolo cieco, anche perché non vi è un’altra figura nella quale lo stesso Michelangelo s’identifichi in modo così diretto. Anch’egli si è allontanato dalla massa, si sente isolato, incompreso e in pericolo; sa di essere illuminato da Dio, e non solo come artista creatore, ma anche come uomo che ama e che ha vissuto il divino nelle sue amicizie, e attende un ulteriore segno dall’alto. Il «Mosè» di Sigmund Freud Da quando nel 1901 il quaranticinquenne psicologo ammirò per la prima volta la statua, la visitò e studiò ogni anno, sino a pubblicare nel 1914 la sua interpretazione epocale318. Era cresciuto in una famiglia ebraica ortodossa della provincia boema, con il padre che leggeva il Vecchio Testamento ancora in lingua originale. Da giovane si era formato nell’ambiente positivista della facoltà di Medicina dell’Università di Vienna, e per tutto il resto della vita si considererà agnostico. Nel suo saggio non s’interessa né di religione né di neoplatonismo, e neppure tenta di immedesimarsi nella psiche di Michelangelo319, sebbene poco dopo giunga a vedere in Dio la trasposizione arcaica di un potente padre di famiglia320. Mentre nel 1914 vede ancora Mosè come archetipo del proprio popolo, ventisei anni dopo seguirà l’ipotesi che si tratti di un egizio convertito all’ebraismo che sarebbe stato in seguito ucciso e la cui eredità sarebbe stata assunta da un secondo, questa volta autentico ebreo321. Nel saggio del 1914 Freud tratta la statua di Mosè come un paziente, svilup-
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pando il metodo di Giovanni Morelli che, medico come lui, aveva fondato la sua nuova concezione della connoisseurship sull’osservazione analitica dei particolari fisiognomici, sullo stato emozionale e sull’effetto di questo sulla motorietà delle figure rappresentate: «All’inizio, quando la figura [Mosè] sedeva tranquilla, teneva le Tavole perpendicolari sotto il braccio destro. La mano destra ne afferrava in basso i bordi trovando appoggio nella voluta aggettante. Trattandosi del modo più semplice di reggere le Tavole, ciò spiega senz’altro perché fossero tenute capovolte. Poi venne il momento in cui la pace fu scossa dal tumulto. Mosè vi rivolge il capo, e osservata la scena, il piede si prepara al balzo, la mano allenta la presa sulle Tavole e risale sulla sinistra, afferrando la barba, quasi esercitando sul proprio corpo la sua irruenza. A questo punto le Tavole sono affidate alla pressione del braccio, che dovrebbe premerle contro il torace. Non bastando questo modo di trattenerle, incominciano a scivolare in avanti e verso il basso, il bordo superiore – in precedenza tenuto orizzontalmente – si dirige in avanti e all’ingiù; il bordo inferiore, privo di sostegno, si accosta con lo spigolo anteriore al seggio. Ancora un attimo e le Tavole avrebbero dovuto ruotare sul nuovo punto d’appoggio, toccare il suolo col bordo che già stava in alto, e rompersi. Per evitare che ciò accada, la mano destra arretra abbandonando la barba, una parte della quale è involontariamente trascinata nella stessa direzione; la mano riesce poi a raggiungere il bordo delle Tavole e le sostiene vicino all’angolo posteriore, che ora è quello più in alto di tutti» (fig. 48)322. Nella resistenza di Mosè alla tentazione di distruggere per la seconda volta le Tavole, Freud vede la «più alta impresa psichica possibile per un uomo: soggiogare le proprie passioni a vantaggio e in nome di una causa alla quale si è votati»323. Freud riconosce in questa resistenza il proprio atteggiamento, quando si sente tradito dai propri seguaci, ai quali ha aperto una terra benedetta324. Dieci anni dopo avrebbe sicuramente parlato del grande “ego” di Mosè, del “superego” che controlla gli impulsi irrazionali del suo “es”325. Freud studia diligentemente la letteratura storico-artistica sul Mosè, e la segue nella convinzione che Michelangelo l’avrebbe creato così com’è intorno al 1512-16 per la piattaforma superiore della tomba. Interpreta quindi i suoi gesti, la rotazione della testa, la particolare posizione delle Tavole e il rapporto della mano destra con la barba come aspetti di un progetto omogeneo, espressione di un unico sguardo drammatico nella vita di Mosè. Non è però d’accordo con i critici che considerano la posizione della mano tranquilla e relativamente stabile. Di come Michelangelo rappresenti lo sforzo di Mosè di controllare la rabbia, è testimonianza la statuetta sullo scrittoio di Maria nell’Annunciazione che disegna verso la fine degli anni Quaranta (fig. 49)326. Ha le corna e, come nell’affresco di Cosimo Rosselli nella Cappella Sistina, solleva le Tavole con entrambe le mani
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per distruggerle per la seconda volta e per sfogare la sua rabbia contro l’umanità peccatrice, che sarà salvata solo dal Figlio di Maria che viene annunciato. In uno schizzo del 1546-47 Michelangelo torna al Mosè pensieroso del 1513-14, anche se è senza le Tavole e non si tocca la barba, ma sostiene la tempia con la mano avvicinandosi così alla descrizione di Condivi327, che avrebbe potuto confondere il Mosè dello schizzo con quello della tomba (doc. 450).
v. il progetto del
1537-41
Significato e sviluppo stilistico delle statue La Madonna col Bambino Con Breve del 17 novembre 1536, Paolo iii obbligò l’artista a concentrarsi esclusivamente sul Giudizio Universale, consentendogli però di completare «sex statuas marmoreas inceptas et nondum perfectas, sed sua mano perficiendas ac alia quecumque ad sepulturam predictam parata», secondo il «novum modellum seu designum dicti sepulchri ad suum libitum» (doc. 370). Poiché nel Breve non si fa cenno alle sculture di Firenze e non si prevede una nuova data per la conclusione dei lavori, Michelangelo avrebbe potuto evidentemente completare la tomba dopo l’affresco. Il duca tentò tuttavia di fargli ultimare ancora tre figure di sua mano, probabilmente la Madonna, la Sibilla e il Profeta. Michelangelo impiegherà 449 giorni lavorativi per l’esecuzione del Giudizio, meno di un quarto dei duemila trascorsi tra l’inizio e il compimento del lavoro nell’ottobre 1541328. In questi cinque anni e mezzo l’artista deve aver lavorato anche alla tomba, e non solo con matita, cera e creta, ma anche con lo scalpello. Nel dicembre 1537 Urbino pagò a Scherano da Settignano (ante 1510?-post 1565) 5 d. per l’abbozzo della Madonna (sc. 10; tavv. 146-149; doc. 371)329. Essendo Scherano uno scultore, si trattava probabilmente della seconda, più fine, abbozzatura, che andava molto oltre la sgrossatura in cava330. Come già Cecchini, Montorsoli e Boscoli, dovette probabilmente realizzarla sotto gli occhi di Michelangelo a Macel de’ Corvi. Altrimenti Scherano si sarebbe difficilmente
vantato di essere il vero autore della Madonna, e l’Anonimo Magliabechiano non gliel’avrebbe attribuita (doc. 421). Anche se venne completata da Raffaello da Montelupo nel 1542, Vasari racconta che Scherano l’aveva eseguita sulla base del modello michelangiolesco (doc. 473)331. Invece di 290 è alta solo 210 cm ca., è cioè di 30 cm più piccola della Madonna prevista nel 1516332, e potrebbe quindi essere stata scolpita utilizzando uno dei blocchi originariamente destinati alle Vittorie. Per sostituire la Madonna in mandorla e introdurre altri incisivi cambiamenti, Michelangelo aveva probabilmente interrotto già prima del 1537 la costruzione del piano superiore. Nel disegno del 1535 ca. di Aristotile non v’è traccia alcuna della nicchia della Madonna, e il campo centrale del piano inferiore prosegue senza interruzione con la medesima ampiezza in quello superiore (tav. 59). Poiché lo spazio alle spalle del sarcofago e del papa non era sufficientemente profondo per consentire la collocazione di una statua, Michelangelo fu costretto ad aggiungere la nicchia a conchiglia, la cui parte superiore sporge nel coro dei canonici (tavv. 213, 214, 234, 236). Nel 1532-33 la statua non era dunque ancora prevista, mentre nel febbraio 1542, quando Michelangelo incaricò Raffaello da Montelupo del suo completamento (doc. 376), è già in uno stadio così avanzato che nell’agosto sarà «già in tutto ... finita» (doc. 393), e nel marzo 1544 è in S. Pietro in Vincoli (doc. 421). La Madonna occupa interamente la nicchia fino al limite superiore; non più sospesa né benedicente come nei precedenti progetti, è arretrata e quasi imprigionata nella penombra. Lo spazio d’azione sacra è così sostituito dal motivo classicheggiante della figura in nicchia. Maria guarda il papa disteso ai suoi piedi e cinge con la mano sinistra la coscia del Bambino, tenendo, come già nel Tondo Doni (fig. 22), le dita tra le sue gambe, come per accertarsi della sua virilità. Il Bambino non guarda più il papa né lo benedice, ma gioca con il passerotto, simbolo della sua futura Passione, che spiega le ali a forma di croce. Nella posa, nell’abito e nell’acconciatura la Vergine è ispirata ad antiche statue panneggiate come la Giunone Cesi (fig. 50)333. Da quando è ritornato stabilmente a Roma, Michelangelo vede la scultura antica con occhi ancora più attenti, ed è in grado di sfruttare questa esperienza in modo ancora più immediato della Madonna del Pantheon del Lorenzetto, al punto da sacrificare alla vicinanza con l’antico il calore materno della Madonna334. Nella fattura della veste la statua si differenzia marcatamente dalle due successive Allegorie (sc. 14, 15; tavv. 175184) e ricorda il Papa, probabilmente perché anche questo iniziato solo alla fine degli anni Trenta (sc. 11; tavv. 150-162). Mentre la testa, le mani e il Bambino tradiscono intervento di finitura di Raffaello da Montelupo, i piedi sono sorprendentemente vicini alla mano del maestro. Il Papa giacente Assegnando il Papa giacente a Tommaso Boscoli, Vasari sembra essersi fidato di una sua testimonianza diretta (doc. 473). Come nel caso della Madonna, e come per quasi tutte le precedenti sculture di Michelangelo, potrebbe trattarsi però solo della seconda abbozzatura. La collaborazione di Boscoli con Michelangelo risale agli anni che precedono il Sacco, ma potrebbe essersi protratta sino alla fine degli anni Trenta, quando viveva ancora a Roma335. Se Michelangelo si fosse servito di un nuovo blocco, il pezzo non avrebbe uno spessore così ridotto e non si assottiglierebbe verso basso (sc. 11; tavv. 150-162), e sul retro abbozzato non proseguirebbe solo la parte superiore del corpo, ma l’intera figura. Potrebbe anche aver utilizzato una parte del piatto blocco della Madonna in mandorla, più adatto allo spazio ristretto, la cui parte superiore è simile sebbene molto più grande (tavv. 1, 24). Come i defunti dei precedenti monumenti sepolcrali, il Pa-
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La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
49. Michelangelo, Annunciazione, 1546-50, Firenze, gdsu 229f, particolare. 50. Pierre Jacques, Giunone Cesi, Parigi, Bibliothèque nationale, Cabinet des Estampes. 51. Anonimo della metà del ’500, ricostruzione di un tempietto vicino a Tivoli, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage. 52. Tommaso Boscoli, Sant’Anna e la Vergine, 1544, Roma, S. Maria in Monserrato.
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pa si appoggia al braccio destro; il suo busto è scorciato e scompare nell’ombra, e il corto braccio sinistro è ancor meno convincente. La testa, sproporzionatamente grande, si collega in modo poco organico al busto, e la gamba sinistra si sovrappone a quella destra così che l’atrofizzato piede sinistro rimane nascosto. Il blocco non bastava per la tiara, la cui parte superiore combacia così malamente con quella inferiore che non può essersi spezzata, come ipotizzato da alcuni critici, durante il trasporto, e sembra piuttosto scolpita da altra mano e aggiunta solo dopo il disegno dell’Anonimo – probabilmente dopo l’agosto 1542, quando Urbino promise che Michelangelo «ritoccherà la faccia della statua di papa Iulio che è in su l’opera» (doc. 396)336. Si sarebbe tentati di attribuire tutte queste incongruenze a Boscoli, che peraltro lavorava seguendo il modello di Michelangelo e sotto i suoi occhi. Ma le tracce dello scalpello sul volto, sulla veste e sulle mani, la serica materialità dell’alba accuratamente ripiegata e il prismatico panneggio riccamente elaborato del pesante pallio sono di gran lunga superiori all’unica opera sicura di Boscoli, il gruppo della Sant’Anna in S. Maria di Monserrato, e anche alle sculture autonome di Raffaello da Montelupo (figg. 51, 55)337. Tuttavia, se la statua fosse tutta di Boscoli, la sua superficie sarebbe stata resa liscia come i Termini o le statue completate da Raffaello da Montelupo (sc. 10, 12-13; tavv. 146-149, 163-174, 205-208, 212)338. Le incongruenze troverebbero una spiegazione se si ipotizzasse che Michelangelo ha riutilizzato una parte della precedente Madonna in mandorla. I progetti del 1532-33 per le sculture della nicchia centrale del piano superiore devono quindi essere stati ancora molto diversi (tavv. 252, 253). Giulio è incoronato col triregno e indossa abiti pontificali, come nei progetti del 1505 e del 1513, come il Sisto iv di Pollaiuolo339 e come era di norma nei funerali dei papi ai quali l’artista aveva potuto personalmente assistere. Il volto, l’unico ritratto in marmo di Michelangelo, testimonia ancora una volta la sua inconsueta venerazione per questo papa. Nell’espressione dei tratti marcati della vecchiaia – in particolare le labbra sottili e serrate, il naso piccolo leggermente sporgente e ingrossato sulla punta, gli occhi infossati, la larga fronte solcata dalle rughe e la barba relativamente corta – non sembra essersi affidato unicamente alla pro-
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pria memoria, ma anche al ritratto ufficiale di Raffaello dell’autunno 1511, allora conservato in Santa Maria del Popolo (fig. 1)340. Nei progetti precedenti il 1511 Giulio non ha ancora la barba, mentre la testa, probabilmente barbata, del Papa seduto risaliva forse agli anni 1511-12 (sc. 3; tavv. 84-89)341. I defunti dei monumenti funebri di Andrea Sansovino in S. Maria del Popolo dormono, così come dormono quelli delle tombe di Baldassarre Peruzzi e Giovanni Mangone in S. Maria dell’Anima e di Guglielmo Della Porta in S. Cecilia, che data al 1538, ma non è ancora influenzata dalla tomba di Michelangelo342. In questa Giulio si sta risvegliando nel Giorno del Giudizio dal sonno della morte, come già negli schizzi del 1517 (tavv. 35, 36). Gli occhi sono ancora chiusi, mentre le mani non sono più congiunte come nei progetti del 1505 e del 1513, ma come sciolte nel momento del risveglio. Solleva a fatica il busto e la testa con la pesante tiara, confidando nel suffragio della Madonna in attesa dell’imminente giudizio e dell’illuminazione della Grazia divina, come Mosè nel crepaccio e come lo stesso Giulio nel progetto di Raffaello del 1512 per una scena apocalittica nella Stanza di Eliodoro343.
Il piano superiore La struttura architettonica Verso la fine del 1537, oltre a sostituire nella tomba il rilievo della Madonna in mandorla con una statua, Michelangelo deve aver progettato altre modifiche. Nel disegno dell’Anonimo non sono ancora indicate le massicce volute sui piedistalli del piano terreno, così mal collegate dal punto di vista strutturale alle basi dei Termini inferiori che è difficile riferirle ai progetti del 1532-33 ma piusttosto agli anni poco documentati che precedono il 1542 (tavv. 60, 194-197)344. Non è chiaro neppure sino a quando Michelangelo prevedesse ancora di coronare con un frontone il piano superiore, e se intendesse aprire la lunetta sul coro dei canonici, collocando dei candelieri al colmo della trabeazione. Per evitare i poco felici angoli della lunetta, in origine questa avrebbe dovuto forse essere larga quanto la tomba (tav. 253).
Il disegno di Aristotile e i rilievi architettonici indicano che già intorno al 153233 Michelangelo cominciò a realizzare i quattro massicci pilastri marmorei e a tagliare, incidendoli in profondità, i tre intercolumni della parete del transetto e il retrostante muro di sostegno per disporvi le statue con figure sedute. Al sarcofago e alla statua del papa riservò solo un modesto spazio tra i piedistalli. Allo stesso tempo sostituì gli snelli pilastri del 1532-33, disegnati ancora da Aristotile (dis. 47a; tav. 59), con i Termini. Questi potrebbero essere ispirati alla cella di un tempietto presso Tivoli conosciuto solo grazie a una ricostruzione del xvi secolo (fig. 51)345. Predispose per gli affusolati fusti dei Termini basi con alti plinti che 52 già appaiono nel disegno dell’Anonimo. I mascheroni antropomorfi stavano così freddo, con gli strati e le forze verticali della parete, con il contrasto tra struttura a cuore a Michelangelo che ancora nel luglio 1542 desiderava finirli personalportante e membrana connettiva, tra luce e ombra. mente al prezzo di 100 d. (docc. 378, 388). I fusti dei Termini superiori hanno una forma più allungata di quelli del basamento, e solo nella parte alta si fondono coi lievi piani parietali ai quali sono I Termini superiori collegati. I Termini fanno parte dei pilastri, e così proseguono negli aggetti della Diversamente da quanto previsto per la tomba libera e dalla soluzione adottatrabeazione, e stanno isolati tra gli intercolumni come le colonne delle sale terta nel basamento, le teste dei Termini superiori non si originano dai fusti; i loro mali davanti alle pareti. L’architrave è più basso delle vicine basi d’imposta quatbusti atrofizzati tagliati sotto le spalle stanno infatti isolati come erme sopra i trocentesche, e prosegue il trattamento puramente decorativo della trabeazione. pilastri, evidentemente ispirati all’antica medaglia del dio Terminus che MiTra l’architrave e la cornice d’imposta della nicchia della Madonna, che prosechelangelo ovviamente conosceva (fig. 47). Le teste sostengono come atlanti la gue lungo tutta la tomba, sono inserite le due finestrelle interne, mentre quelle cornice aggettante, e decorano il fregio rialzato come nei Termini del progetto esterne sono prive di cornice e tagliate nello spesso muro vecchio del transetto. del 1513. L’iscrizione della medaglia gira attorno all’imberbe testa giovanile con Crescendo verso l’alto in larghezza e spessore, i pilastri del piano superiolunghi capelli e dio dei confini e delle maree. Le parole cedo nulli si riferiscono re assumono un ruolo ben maggiore di quello che svolgono nell’inferiore, e lo all’ostinazione con cui il dio Terminus si era rifiutato di cedere il sito a lui sacro trasformano in un ‘piano nobile’ come le colonne nel vestibolo della Biblioteca al nuovo tempio di Giove Capitolino. In una lettera del 1528 Erasmo da RotterLaurenziana e nei palazzi contemporanei e come conveniva a un papa del rango dam, che possedeva dal 1509 la medaglia e che ne aveva scelto l’immagine come di Giulio ii. Essi continuano allo stesso tempo le grandi volute del basamento, e motto, riferì invece tale insuperabilità alla morte346. Incoronandoli con corone questo dinamismo verticale, insieme alla ripetizione dei Termini, contribuisce a di lauro, Michelangelo deve però aver pensato anche all’inizio della vita eterna. unire ancora più strettamente i dei due piani. Ciononostante essi appartengono Michelangelo replica in entrambi i piani i Termini, e conferisce alle teste del lia modi diversi. Il ricco decoro del piano inferiore e le nicchie scavate nello spesvello superiore una dimensione maggiore di quella delle statue. Allo stesso tempo sore del muro testimoniano ancora le radici quattrocentesche di Michelangelo, riduce il ruolo della Madonna e del Papa, attribuendo un peso ancora superiore mentre il piano superiore si dissolve nella struttura dei pilastri e negli ombroai demoni della morte e risurrezione. E ciò avviene non certo casualmente negli si intercolunni. Il vecchio Michelangelo, che sta divenendo il primo architetto stessi anni in cui dipinge il Giudice supremo che decide sulla vita e sulla morte d’Europa, gioca in modo più virtuosistico e innovativo, ma anche più razionale e
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La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
delle anime. Michelangelo potrebbe aver anche riflettuto sul significato della bilancia, con cui l’arcangelo Michele, nelle numerose precedenti raffigurazioni del Giudizio, pesa le anime e lo Zeus omerico la sorte degli eroi, strumento sottratto all’influsso del singolo e guidato dall’insondabile destino. Credeva nel potere degli dèi planetari, alle profezie dei Profeti e delle Sibille e anche alla predestinazione, e quindi potrebbe non aver sentito estranea l’antica concezione del violento potere del dio Terminus. Forse vi avvertiva quelle forze elementari che invano aveva cercato nella storia della salvazione della Bibbia. Ornando i Termini con barba e capigliatura arricciata e corone di fiori, e caratterizzandoli come atlanti, li avvicina a quelli del piano inferiore. Sottolinea ora in modo ancora più incisivo la coincidenza dei Terminalia con la morte di Giulio ii347, e inoltre il doppio significato di Terminus come dio non solo della fine, ma anche dell’inizio, della morte e della risurrezione, e a questa rimandano anche i candelabri nei quali i Termini proseguono e che li rendono ‘luciferi’, portatori di luce. Li lascia privi di vesti attribuendo loro una ferocia pagana del tutto inconsueta in una tomba papale. Non esiste probabilmente un’altra opera d’arte del Rinascimento di tale livello, nella quale le concezioni del Vecchio e del Nuovo Testamento si intreccino in modo comparabile con quelle dell’antichità pagana della sepoltura di Giulio ii.
vi. il completamento della tomba nel
1542-45
Il nuovo contratto Morto il 22 ottobre 1538 Francesco Maria della Rovere, nell’aprile 1539 il figlio ed erede Guidobaldo ii (1514-74), dopo aver rinunciato a favore dei Farnese alla dote della moglie, il ducato di Camerino, venne confermato da Paolo iii duca di Urbino348. Senza scendere in particolari, Guidobaldo – che forse non era mai stato a S. Pietro in Vincoli né nella bottega di Macel de’ Corvi – già il 7 settembre 1539 esorta Michelangelo affinché, una volta completato il Giudizio Universale, si dedichi al monumento funebre (doc. 372). L’affresco è svelato il 31 ottobre 1541, e già il 19 novembre Ercole Gonzaga, zio di Guidobaldo, è informato che il papa desiderava incaricare l’artista degli affreschi della Cappella Paolina, da poco costruita (doc. 374). In una lettera confidenziale al duca del 23 novembre, anche il cardinale Parisani confermava la notizia, osservando però che Michelangelo sarebbe stato troppo anziano per completare di persona le sei sculture dopo i tre o quattro anni, il tempo cioè necessario per gli affreschi della Paolina, e lo consigliava d’intervenire con ogni mezzo per non trovarsi in futuro senza né tomba né denaro (doc. 375). Come desiderava il papa, le statue avrebbero potuto essere completate da altri artisti secondo i modelli di Michelangelo e sotto la sua supervisione. Forse sarebbe stato persino possibile ottenere una scultura sbozzata dalla mano del maestro, e potrebbe aver pensato a tale proposito al Mosè. È comunque certo che il papa era intenzionato a utilizzare le figure disponibili. C’era il rischio poi che, nel caso il maestro non fosse stato in grado di terminare subito il monumento, si tornasse ai vecchi contratti (del 1513 e 1516), e questi pretendesse il pagamento di ulteriori 8000 d., insistesse sulla collocazione della tomba all’interno della basilica di S. Pietro, non ancora ultimata, e quindi trovasse pretesti per rimandarne a tempo indeterminato il completamento. Il 6 marzo 1542 il duca informò Michelangelo che, tenendo conto dell’impegno per la Cappella Paolina, avrebbe dovuto realizzare di persona solo tre sculture, menzionando il solo Mosè, della cui straordinaria bellezza era stato evidentemente informato. Non è chiaro però se le altre due fossero già le Allegorie, o più probabilmente i Prigioni del Louvre. Le tre altre statue – la Madonna, la Sibilla e il
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Profeta – avrebbero potuto essere completate sotto la sua supervisione da altri scultori. Se non fosse già stato informato prima di un tale compromesso, difficilmente Michelangelo avrebbe incaricato il 27 febbraio 1542 Raffaello da Montelupo del loro completamento nell’arco di diciotto mesi, e non gli avrebbe dato un acconto di 25 d. (doc. 376)349. Michelangelo non poteva ancora aver visto finito il San Damiano, scolpito da Raffaello nel 1532 sulla base del suo modello per la Sagrestia Nuova, ma conosceva il poco entusiasmante Leone x nel coro di S. Maria sopra Minerva350. Il notevole prezzo di 400 d. per le tre figure, «quali erano molto inanzi» (doc. 388), testimonia di quanto fosse difficile trovare uno scultore all’altezza dell’impegno. Il 16 maggio Michelangelo incaricò Urbino e Giovannni di Marchesi del completamento dell’architettura del piano superiore, da portare a termine entro otto mesi (docc. 378-387). Il prezzo di 700 d. comprendeva anche il marmo, ma non l’esecuzione dell’«ornamento che va sopra l’ultimo cornicione», che voleva «far fare a sue spese». Già il 1 giugno tra Giovanni e Urbino scoppiò una lite, e quando i tentativi di mediazione dell’amico Donato Giannotti fallirono, Michelangelo fu costretto ad affidare l’incarico al solo Urbino. Secondo il giudizio di un perito, fino a questa data i due avevano realizzato un settimo del lavoro, mentre secondo lo scettico Michelangelo si sarebbe trattato solo di un decimo, che in ogni caso comprendeva l’inizio dei Termini (doc. 386). In un abbozzo di lettera del 20 luglio, Michelangelo spiegò al papa con motivi, più estetici che religiosi o iconografici, perchè aveva eliminato dal programma della tomba i Prigioni del Louvre, «perché furno fatti quando l’opera si era disegniata che fussi molto maggiore, dove andavano assai più figure, la quale poi nel sopra detto contratto fu risecata et ristretta, per il che non convenghono in questo disegnio, né a modo alcuno ci possono stare bene» (doc. 388). Come già nel 1532, non esitò a investire soldi e tempo per realizzare un concetto che gli stava più a cuore. Se non fosse stato certo della protezione del pontefice, difficilmente avrebbe formulato una tale proposta prima di chiedere la preliminare approvazione del duca. Nella seconda versione della lettera specificava che la statua «di papa Julio a diacere, che vi è messa» non faceva parte delle sei figure (doc. 389), come già doveva essere nel contratto del 1532351; cancellò poi il passo perché giuridicamente non rilevante. Nella stessa lettera scriveva inoltre che dei 700 d. previsti per l’impianto architettonico ne erano già stati spesi 500, e che intendeva realizzare personalmente l’«ultimo frontespitio», e quindi almeno la trabeazione del piano superiore con i busti dei Termini, per i quali calcolava un compenso di 100 d. (tavv. 209-212)352. Dichiarava inoltre che l’impegno richiestogli per gli affreschi della Cappella Paolina e l’età avanzata non gli consentivano di completare le statue, già iniziate, della Vita attiva e della Vita contemplativa, e che avrebbe voluto affidarle a Raffaello da Montelupo o ad altro maestro al prezzo complessivo di 200 d. (docc. 388-389). Il 3 agosto aggiunse che le due Allegorie erano «tutte bozate e quasi fornite di mano di detto Michelagnolo» (doc. 393). Probabilmente si era servito di blocchi già abbozzati destinati in origine alle Vittorie353. Come rappresentante del papa, il cardinale Alessandro Farnese pregò il duca di accettare il compromesso (doc. 390), e questi il 3 agosto ordinò al suo ambasciatore di mettere a disposizione la somma depositata da Michelangelo per la tomba (doc. 392). Il 20 agosto, alla presenza del papa, nel salone di Palazzo Venezia, residenza estiva pontificia, l’ambasciatore abbozzò il testo di un nuovo contratto, in gran parte corrispondente alle proposte formulate poco prima dallo stesso Michelangelo (doc. 395). Nel
1532 aveva depositato 1400 d., dei quali 550 destinati a Raffaello da Montelupo per il completamentoo delle cinque statue, 800 a Urbino per l’architettura, che includeva ora anche il frontespizio, e 50 per il trasporto dei materiali. Di questi ne aveva già pagati 300 per l’architettura e 105 a Raffaello da Montelupo. Negli anni 1532-41 Michelangelo sembra quindi aver speso solo 600 dei 2000 d. accordati nel 1532 per i collaboratori, gli scalpellini e il proprio lavoro alla sepoltura. Il 21 agosto l’ambasciatore incaricò ufficialmente Urbino del completamento del “quadro architettonico”, da realizzare al prezzo di 800 d. entro dieci mesi «con tutto il frontespitio e candellieri», e dunque già probabilmente simile a quanto effettivamente realizzato (doc. 396). Il compenso per l’intero piano superiore, compreso il marmo, è quasi raddoppiato rispetto ai 450 d. pagati nel 1513-14 ad Antonio da Pontassieve per il piano terreno, della medesima ampiezza, ma più riccamente decorato354. Raffaello, che aveva già terminato la Madonna, venne incaricato di completare entro venti mesi la Sibilla, il Profeta e le due Allegorie. Le statue erano già nella bottega romana, dove Raffaello lavorava sotto gli occhi del maestro, che avrebbe invece completato il Mosè e ritoccato «la faccia della statua di papa Iulio che è in su l’opera, et quella de’ termini» che gli stavano particolarmente a cuore. Il 5 ottobre Urbino pagò 10 d. del proprio salario a Raffaello da Montelupo per la realizzazione delle teste dei Termini che quest’ultimo aveva lasciato al suo garzone Giacomo, probabilmente Giacomo del Duca (15201604)(doc. 405)355. Nonostante la qualità piuttosto modesta dell’esecuzione, la presenza di Michelangelo si avverte nell’irregolarità dei plastici nasi. A questo lavoro si riferisce probabilmente il racconto di Vasari sul metodo didattico del maestro (doc. 479). Urbino completò dunque l’architettura entro i dieci mesi stabiliti a partire dal 21 agosto. Evidentemente il contratto fu stipulato sotto la pressione del papa, ma il duca, che non era presente alla cerimonia, non accontentandosi dell’esecuzione autografa del solo Mosè, cercò di posticiparne la ratifica. Per evitare ogni problema, Michelangelo subito dopo si decise ad eseguire di persona anche le due Allegorie, diminuendo di conseguenza di 150 d. il compenso di Raffaello (doc. 399). Con i 2000 d. depositati nel 1532 pagò quindi anche il proprio lavoro. Il 12 ottobre il cardinale Farnese dovette nuovamente pregare Guidobaldo di confermare il contratto (doc. 403), e ancora il 24 ottobre Michelangelo si lamentava con l’amico Luigi del Riccio che i 1400 d. che aveva depositato per la sepoltura sarebbero stati sufficienti a coprire le spese di sette anni di lavoro e di due tombe (doc. 406). Poco dopo scriveva ancora a del Riccio che, finché il duca non avesse approvato il contratto, sarebbe rimasto a casa «a finire le tre figure come son d’achordo col Duca», e che non avrebbe iniziato il lavoro alla Cappella Paolina – una tattica efficace per aumentare la pressione del papa sul duca (doc. 410). In una lettera a un amico prelato all’incirca contemporanea riassume la vicenda, lamentandosi per il tempo e il denaro sacrificati per la tomba (doc. 407). Giulio ii non l’aveva adeguatamente remunerato per gli affreschi della Sistina, e nel 1517 aveva dovuto pagare il marmo per la tomba con i 2000 d. destinati alla facciata di S. Lorenzo. Gli eredi gli dovevano ancora 5000 d., mentre lo trattavano come un imbroglione che aveva lucrato sugli interessi dei soldi ricevuti, e senza gli incarichi del papa sarebbe già alla fame. Benché fosse stabilito che tre statue sarebbero state di sua mano, il cardinale Farnese ancora il 6 novembre ricordava nuovamente al duca che l’artista si era obbligato a finire di persona il solo Mosè: «l’altre due [le Allegorie], come può havere veduto il suo amb(asciado) re, sono tanto innanzi di mano di esso Michelagnolo che vi manca pochissimo a finirle» (doc. 411). Come già aveva fatto il padre undici anni prima, il duca inviò a metà novembre Girolamo Genga, artista di corte, che convinse definitivamente Michelangelo a completare di persona anche le due Allegorie (doc. 414).
Solo nel febbraio 1543 Urbino incaricò lo scalpellino Battista di Donato Benti da Pietrasanta, figlio di un vecchio collaboratore di Michelangelo, di scolpire, per la cospicua somma di 36 d., lo stemma (doc. 417)356. Resta da chiedersi se l’idea risalisse veramente a Michelangelo, oppure se non si trattasse piuttosto di un desiderio esplicito del duca. Il 19 gennaio 1543 il contratto venne finalmente ratificato (doc. 416), e poco dopo Michelangelo iniziò a dipingere la Conversione di san Paolo. Ci si dedicò per sole 85 giornate357, concludendo l’affresco soltanto nel giugno 1545, probabilmente a causa della malattia e dell’impegno per la tomba (docc. 429-430). Ancora il 20 ottobre 1543 il duca comunicava al suo ambasciatore che Michelangelo si era impegnato a portare a termine le tre statue (doc. 419). Il 30 marzo 1544 l’Anonimo Magliabechiano vide in S. Pietro in Vincoli, oltre al Papa, le tre statue completate da Raffaello da Montelupo, ma attribuisce a questo il solo Profeta, mentre assegna la Madonna a Scherano e la Sibilla a Montorsoli, il “frate de’ Servi” (doc. 421). Oltre al Mosè, mancavano ancora le due Allegorie, che secondo Vasari Michelangelo finì «in meno di un anno» (doc. 473). Ancor prima di terminare le dita della mano destra, aveva fatto trasportare il Mosè in chiesa, dove nell’ottobre lo vide l’Anonimo Magliabechiano elogiandolo come unica figura autografa dell’opera (doc. 426). Nel 1544, uno degli anni più critici nella sua vita, Michelangelo lavorò contemporaneamente alla Cappella Paolina e alle tre statue della tomba, sorvegliando l’esecuzione delle altre. A gennaio morì l’amato Cecchino Bracci, mentre a giugno cadde gravemente malato e a novembre ebbe una ricaduta (doc. 425)358. Il duca vide la tomba, probabilmente completata anche con le Allegorie, solo nel corso della sua visita a Roma nell’ottobre dell’anno successivo359. Il 25 gennaio 1545 Michelangelo detrasse 120 d. dai 170 ancora dovuti a Raffaello da Montelupo perché quest’ultimo, impedito da un malanno, aveva delegato ad altri il compimento delle tre statue (doc. 427); poco dopo però fu costretto a pagargliene altri 140 (docc. 428-429). Durante la malattia Raffaello avrebbe potuto essersi fatto assistere dal suo collaboratore Giacomo del Duca anche in zone delicate come la testa del Profeta. Vasari riferisce quanto Michelangelo fosse stato scontento dell’opera di Raffaello, mentre Condivi non dedica neppure una parola alla sua partecipazione alla tomba (docc. 463, 473-474). Non è facile calcolare il profitto finanziario che alla fine Michelangelo trasse dalla tomba. Dai 6500 d. rimastigli bisogna detrarre i controversi 2000 del gennaio 1513 e i 2000 depositati nel 1532. Egli deve averne spesi molte migliaia non solo per i marmi, il trasporto e i salari dei collaboratori, ma anche per la gestione della casa durante i quindici anni di attivo lavoro alla tomba; gliene saranno rimasti perciò solo poche migliaia. Gli ultimi due contratti prevedevano solo sei figure, e dopo la sua morte gli eredi non ebbero alcun diritto da far valere sui Prigioni del Louvre, sui quattro dell’Accademia, sulla Vittoria, sul Papa seduto e sui numerosi blocchi già in parte abbozzati. Michelangelo non vendette alcuna delle statue fiorentine, e regalò i Prigioni del Louvre a Roberto Strozzi, proprietario del palazzo abitato da Luigi del Riccio dove aveva trascorso molte settimane durante la malattia.
Significato e sviluppo stilistico delle quattro statue completate nel 1542-45 La Sibilla Già prima del 1513 Michelangelo aveva iniziato a lavorare con tutta probabilità non solo al Mosè e ai due Prigioni del Louvre, ma anche alla Sibilla (sc. 12; tavv. 163-166)360. Faceva evidentemente parte delle figure abbozzate dal 1516, custodite a Macel de’ Corvi e destinate a una nicchia del piano superiore della tomba. Come nel caso del Mosè, già nel 1532-33 Michelangelo potrebbe aver
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53. Statua dell’imperatore Tiberio deificato, età romana, Roma, Musei Capitolini. 54. Lorenzetto da Raffaello, Giona, 1516 ca., Roma, S. Maria del Popolo, Cappella Chigi.
incaricato della seconda abbozzatura un collaboratore, come Cecchini o Montorsoli, al quale nel 1544 verrà attribuita. Con l’eliminazione dei fianchi del trono e di alcune parti della gamba destra, del braccio sinistro e della schiena si doveva rimpicciolirla per poterla inserire nella nicchia e farla corrispondere al nuovo modello di Michelangelo361. Nei documenti si parla di una Sibilla solo nel 1542, quando Raffaello da Montelupo è al lavoro sulla base del modello di Michelangelo. In ogni caso il trattamento della schiena testimonia che prima del 1516 doveva essere visibile da tutti i lati. Nel braccio destro levato e in quello sinistro abbandonato, nelle gambe leggermente divaricate, nel piede destro avanzato e nella veste ricorda ancora la Sibilla del progetto di New York del 1505 (dis. 3; tav. 1). Come nella Delfica del 1508 della Cappella Sistina, porta un braccio davanti al petto, e le gambe s’intravvedono al disotto del manto. Persino la leggera torsione del busto e il modo di rendere le pieghe sono stilisticamente più vicini alla Delfica che alle altre figure della tomba, ed è perciò possibile che il maestro avesse iniziato a lavorarci già prima del 1510. Potrebbe trattarsi, come nel progetto di New York, della Sibilla Eritrea, elogiata da sant’Agostino (De civ. Dei xviii, 23) perché avrebbe profetizzato non solo il terrore apocalittico del Giudizio Universale, ma anche la nascita di Cristo e la risurrezione della carne362. Era ritenuta la Sibilla più vicina a Dio, e Michelangelo potrebbe averne conosciuto l’elogio, basato su sant’Agostino, che ne fa Boccaccio nel De claris mulieribus363. L’identificazione con l’Eritrea spiegherebbe la sua rassegnata docilità: inclina la testa portando la mano destra al cuore, mentre l’espressione melanconica del viso e gli occhi socchiusi ricordano da vicino l’impaurita Maria a lato del Cristo giudice nel Giudizio. I capelli, spartiti come quelli della Madonna, ricadono girando intorno al collo simili quasi a un fiume di lacrime (sc. 10; tavv. 146-149). I seni, più pieni di quelli delle precedenti statue femminili di Michelangelo, alludono forse alla saggezza di Diana Efesia. Singolarmente le pieghe della tunica dalle corte maniche, stretta da una cintura sul busto, s’interrompono all’altezza del grembo, come se un collaboratore avesse commesso un errore. Il pollice destro tocca un capo del velo della testa, mentre insieme alle altre dita, che puntano in direzione della Madonna e del Bambino, afferra l’altro capo e l’arricciata ciocca destra; solo la mano destra del Mosè è così contemporaneamente impegnata in tante azioni. L’orlo del velo spunta sul braccio superiore tra la corta manica della tunica e il largo nastro da profetessa, che le gira intorno alle spalle e i cui capi s’incrociano sulla schiena. La mano di Raffaello è evidente soprattutto nel volto, nei capelli e nel busto, mentre il tenero incarnato del braccio, la morbida mano e il piede delicato, osservati da vicino, rinviano alla maestria dello stesso Michelangelo. Il Profeta Sembra scolpito dal blocco identificato da Cecchini nel 1532 come “profeta” (doc. 338)(sc. 13; tavv. 167-174)364. Poiché non faceva parte delle quattro statue già abbozzate e custodite nel 1516 a Macel de’ Corvi, doveva essere in uno stadio di lavorazione molto meno avanzato della Sibilla, e così nel 1532 poté essere più facilmente adattato alle dimensioni di una nicchia del piano superiore. Un collaboratore come Cecchini o Montorsoli potrebbe averlo ridotto in ampiezza e profondità, seguendo il modello di Michelangelo, per farlo simmetricamente corrispondere, con simile impostazione del braccio e della gamba, alla Sibilla. Per sottolineare ancor meglio tali corrispondenze, Michelangelo ne fece forse ruotare leggermente la base verso destra e tagliare un tratto della schiena, indizio anche questo che si trattava di un blocco già precedentemente abbozzato per una diversa figura. Le correzioni non spiegano però perché sia di 20 cm ca.
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più stretto della Sibilla e raggiunga la medesima altezza solo grazie a uno strato di mattoni sotto la base. Se questo intervento fosse successivo, Michelangelo avrebbe realizzato volutamente la statua di dimensioni minori; se fosse invece da attribuirsi a lui, si sarebbe accorto troppo tardi di essersi accontentato di un blocco troppo piccolo. Nel febbraio 1542 Raffaello da Montelupo s’impegnò a finire le tre statue assegnategli entro diciotto mesi (doc. 376), ma già nel contratto del 21 agosto la scadenza venne prorogata alla fine d’aprile 1544 (doc. 396). Già nelle miniature e nei mosaici tardoantichi i Profeti erano rappresentati in abiti romani, e negli affreschi delle catacombe. Quello della sepoltura deriva da un prototipo di età imperiale, e non solo per la sua postura e il rotolo che regge, ma anche per la tunica, il mantello fermato sulla spalla, e i calzari (fig. 53). Al Giuliano della Cappella Medicea rimandano la posa rilassata e la leggera torsione del corpo, più giovane e meno muscoloso (fig. 37), che traspare sotto la stoffa sottile attraversata da due fini pieghe orizzontali. Il braccio destro assomiglia a quello del San Damiano di Raffaello da Montelupo – argomento questo a vantaggio di una datazione all’inizio degli anni Trenta del modello michelangiolesco. L’esecuzione del torso, della mano sinistra e delle gambe è superiore al goffo collo e al viso alquanto stereotipato e inespressivo, che visto di profilo somiglia vagamente alla Vittoria, al Giuliano, alla Vita attiva (sc. 9, 14; tavv. 115-120, 175-180). Gli occhi, privi di pupille, non guardano verso il Papa e la Madonna, ma in avanti. Non regge solo il rotolo, ma anche un libro, un’invenzione tardoantica, apparendo così ancora più colto degli anziani Profeti della Cappella Sistina. Questi attributi dell’antica erudizione e la faccia poco espressiva lo distinguono dall’emotività psichica della Sibilla. Conferendogli un’età fanciullesca, Michelangelo sembra essersi ricordato del profeta Giona della Cappella Chigi che Raffaello aveva rappresentato nella figura e nella giovinezza di un ragazzo (fig. 54)365. Benché più erculeo, anche l’imberbe Giona di Michelangelo era stato uno dei profeti più giovani della Cappella Sistina. Giona, che s’era fatto inghiottire dal pistrice per salvare la nave, ne uscì dopo tre giorni con l’aiuto di Dio (Giona 1-2). Nella lettera a Deogratias sant’Agostino aveva interpretato “il miracolo del profeta Giona” come il più diretto prototipo veterotestamentario del sacrificio e risurrezione di Cristo che salva la nave della Chiesa (vi, nn. 30-38). Raffaello lo fa assomigliare ad Antinoo, l’amante di Adriano che dopo essere annegato nel Nilo era stato reso immortale. Il Profeta della tomba non evoca né la Passione né la risurrezione di Cristo, né la protesta contro Dio. Anche se più classicheggiante, la sua testa ricorda il busto-ritratto della tomba di Cecchino Bracci (1528-44) in S. Maria in Aracœli, che Raffaello da Montelupo aveva realizzato nel 1545 sulla base di un disegno di Michelangelo (fig. 55)366. Nato nel 1528, dopo la morte prematura dei genitori, un patrizio fiorentino e Contessa Castellani, Cecchino era stato allevato dallo zio, Luigi del Riccio, allora il più intimo confidente di Michelangelo. Già nel maggio 1542, quattordicenne, figura come testimone in uno dei contratti per la tomba (doc. 378). Cinque mesi più tardi è così preparato giuridicamente che può correggere l’abbozzo del contratto di Michelangelo col duca (doc. 404). Dopo la sua morte, il 6 gennaio 1544, Michelangelo gli dedicò una serie di epitaffi imbevuti di spirito neoplatonico. La bellezza della sua anima lo avrebbe innalzato al cielo permettendogli di ammirare Dio, ed essendo stato il più bello sulla terra, lo sarebbe stato anche in Paradiso367. Se Michelangelo avesse effettivamente pensato a Cecchino per il Profeta, si spiegherebbe meglio perché abbia conferito alla zona del ventre, alla cui elaborazione potrebbe aver partecipato di persona, una tale erotica sensualità. Il Profeta è da identificare con la “figura di mano dj Rafaelo da monttalupo”
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che il 31 marzo 1544, tre settimane almeno prima della scadenza, è già in chiesa (doc. 421), e al tempo della morte di Cecchino si trovava in lavorazione. Benché abbozzato probabilmente già prima del 1542, necessitò di un ben maggiore lasso di tempo, e Raffaello potrebbe averlo realizzato come ultima delle sue tre statue, quindi nel periodo più intenso dell’amicizia tra i due. Michelangelo potrebbe essersi ispirato a Cecchino per il Profeta già prima della sua morte, ma proprio questo evento, accaduto all’inizio del 1544, potrebbe averlo indotto a fare alcuni ritocchi di sua mano e ad attribuire un significato ancora più profondo all’identificazione del Profeta con Giona che risorge. La Vita attiva Entrambe le Allegorie erano già previste nel progetto per la tomba libera, dove la Vita attiva corrispondeva a Mosè e la Vita contemplativa a san Paolo (sc. 14-15; tavv. 175-184)368. Sotto l’influenza di Vittoria Colonna, Michelangelo già prima del 1542 potrebbe aver eliminato dal programma iconografico della tomba i due Prigioni del Louvre, ben poco cristiani, che infatti mancano significativamente nel disegno dell’Anonimo (dis. 49a; tav. 60)369, sebbene fosse suo interesse far trasportare al più presto ogni statua finita in chiesa. Nel marzo 1542 Guidobaldo menziona solo il Mosè tra le tre statue autografe, e non parla ancora di un cambiamento di programma (doc. 372); solo a luglio Michelangelo spiegherà al papa di aver sostituito i Prigioni perché «furno fatti quando l’opera siera disegniata che fussi molto maggiore» (doc. 388). Secondo Vasari l’artista scolpì le due Allegorie in meno di un anno (doc. 473). Sembra però che si sia servito dei blocchi già sbozzati per le Vittorie, e averne iniziato già prima del 1542 il lavoro alla Vita attiva370. Da quando il Mosè è divenuto l’indubitabile centro della tomba e rappresenta, come guida del popolo eletto e simbolo dell’anima del credente, entrambe le
55. Raffaello da Montelupo, busto-ritratto di Cecchino Bracci, dalla tomba, 1545-46, Roma, S. Maria in Aracœli.
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potenze, era una naturale conseguenza affiancarlo con allegorie rappresentanti la Fede e le Buone opere, senza far perdere il loro contenuto neoplatonico371. Pur seguendo san Paolo, Lutero, Juan Valdés, Bernardo Ochino e altri riformatori ribelli che ritenevano che la fede fosse l’unica via per la salvezza dell’anima e mettevano in dubbio il valore delle buone opere372, Vittoria e Michelangelo, benché sembrassero essere stati dello stesso parere, non avevano il minimo interesse a provocare conflitti con la Chiesa e il papa, che proprio nel 1542 stava rinnovando l’Inquisizione373. Vittoria Colonna aveva vissuto soprattutto lontano da Roma, e si era avvicinata a Valdés e Ochino, entrambi sostenitori della giustificazione attraverso la sola fede374. Forse prima ancora di conoscerla personalmente, Michelangelo nel 1531 disegnò per lei un Noli me tangere375. Quando tra il dicembre 1535 e l’ottobre 1536 si trattenne per maggior tempo a Roma, Vittoria deve essere entrata in più stretto contatto con l’artista. Nel 1539-40 è di nuovo a Roma, dove si lega a Reginald Pole, nominato cardinale nel dicembre 1536. Nel convento di S. Silvestro al Quirinale Vittoria conversa con menti a lei affini, tra cui Michelangelo, su questioni religiose e artistiche. Nei colloqui tramandati da Francisco de Hollanda entrambi evitano di criticare il magistero della Chiesa, o di menzionare scritti sospetti come il molto discusso Benefizio di Cristo376. In una sua poesia Vittoria fa però dire a Cristo, incontrando la Samaritana al pozzo, che il vero tempio è il cuore del credente e che la salvezza dell’anima dipende in primo luogo dalla sola fede377. È probabile che solo dopo i colloqui degli anni 1540-42 Michelangelo raffiguri per lei la scena (fig. 56), e pochi anni prima della sua morte, nel 1547, le disegni la Pietà378. Sulla croce che vi compare, incide il lamento di Beatrice nel Paradiso di Dante, che molto sangue avrebbe dovuto ancora essere versato prima che il seme della Sacra Scrittura fosse accolto dall’Umanità. Le difficoltà che il fratello aveva avuto col papa avevano persuaso Vittoria
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La tomba di Papa Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
56. Nicolas Béatrizet da Michelangelo, La Samaritana, incisione, 1541-42 ca., Vienna, Graphische Sammlung Albertina.
a trasferirsi nel marzo 1541 a Orvieto e poi a Viterbo, dove Pole radunava attorno a sé gli spirituali e dove Michelangelo le rese visita nell’agosto 1543. Il loro rapporto s’intensificò ulteriormente, ed egli probabilmente non conobbe mai un’altra persona così profondamente immersa in una riflessione mistica del messaggio cristiano. Grazie a lei, donne di fede come la Maddalena, la Samaritana, la Maria del Compianto o Rachele, Lia e la Matilde di Dante guadagnarono ai suoi occhi crescente importanza. Quando il 20 giugno 1544 Vittoria fece ritorno a Roma, il loro rapporto si approfondì ancora di più. Il carattere riflessivo di un’allegoria era in fondo estraneo a Michelangelo, che non a caso già nella tomba libera aveva sostituito le Virtù del progetto di New York con le meno astratte Vittorie e Prigioni, e nei progetti del 1513 la Vita attiva e contemplativa con le Sibille. Nel 1517 liberò definitivamente i Prigioni da ogni attributo allegorico, conferendo alla Vittoria, divenuta ormai maschile, un carattere più personale rispetto alle precedenti. Nella sua sintetica e non del tutto comprensibile descrizione della Vita attiva, Condivi riporta probabilmente un’interpretazione dello stesso Michelangelo: «Nel che Michelagnolo ha seguitato Dante, del qual è sempre stato studioso, che nel suo Purgatorio finge aver trovata la contessa Matilda, qual egli piglia per la Vita attiva, in un prato di fiori». Condivi si riferisce al canto xxviii del Purgatorio, nel quale Dante incontra Matilde di Canossa, sua futura guida nel Paradiso terrestre, bella come Proserpina e Venere, intenta a cogliere fiori. Condivi non menziona però che Dante, nel canto precedente, aveva sognato la bella Lia, che pure passeggiando in un prato e raccogliendo fiori per farne una corona con la quale adornarsi prima di guardarsi allo specchio, vede con compassione la sorella Rachele assorta nell’auto-riflessione. Nessuna fonte prima del 1568 indica per nome le due statue, e anche il colto Vasari le menziona solo nella seconda edizione della Vita come Lia e Rachele, basandosi non solo sulle informazioni fornite da Condivi e Michelangelo, ma anche sulla sua vasta conoscenza del mondo dell’allegoria: «… le Vittorie, in cambio delle quali in una messe Lia, figliuola di Laban, per la Vita attiva, con uno specchio in mano per la considerazione si deve avere per le azzioni nostre, e nell’altra una grillanda di fiori per le virtù che ornano la vita nostra in vita e dopo la morte la fanno gloriosa» (doc. 473). Nella Bibbia la sciocca Lia passa il tempo a gingillarsi, ed è più brutta dell’avvenente Rachele, che le è superiore in tutto (Esodo i, 29). Lia è però la madre delle dieci tribù di Israele, e perciò l’antenata diretta di Mosè, Maria e Gesù (Esodo ii, 2), che discendono dalle tribù di Levi e Giuda (Paolo, Rom. i,3). Basandosi su Tommaso d’Aquino, Landino nelle Disputationes Camaldulenses collega Lia e Marta in forma ancor più incisiva alla Vita attiva e Maria e Rachele alla Vita contemplativa, ricordando che nella Bibbia Lia viene chiamata “cisposa”, ma incarna anche la donna attiva e feconda379. Disperdendosi tra le tante occupazioni sarebbe stata meno consapevole di sé di Rachele, ma benemerita per le tante persone a lei unite come figli. Senza la conoscenza del testo di Landino, difficilmente Michelangelo avrebbe attribuito alla Vita attiva e alla Vita contemplativa un posto così eminente nella sepoltura, equiparandole a Lia e Rachele, anche se la Vita attiva non è più quella dell’uomo politico descritta nelle Disputationes di Landino da Leon Battista Alberti al giovane Lorenzo de’ Medici380. Nella Vita attiva Michelangelo raffigura non solo l’antenata di Mosè, Maria e Gesù381, ma anche la Matilde di Dante, cioè la propria presunta antenata, cui conferisce la venusiana bellezza della Lia di Dante. È abbigliata come la Samaritana che nel 1540 disegna per Vittoria (fig. 56)382. I riccioli sul bordo dello scollo, che tornano nella veste di Maria nella Pietà realizzata nel 1545 per Vittoria Colonna, sono considerati una caratteristica dell’a-
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bito ebraico. Il lungo mantello che indossa sull’abito a maniche corte, stretto da una doppia fascia, e la pesante collana le conferiscono però un aspetto molto più elegante. Sempre seguendo Dante, Condivi descrive la Vita attiva «con uno specchio nella destra mano, nel quale attentamente si contempla, significando per questo le nostre azioni dover esser fatte consideratamente, e nella sinistra con una ghirlanda di fiori». L’oggetto che tiene nella mano destra è infatti cavo nella parte inferiore, chiuso in quella superiore, liscio e decorato con perle, e ornato con una maschera di satiro tipica dell’oreficeria di quegli anni. Nel caso si trattasse di un diadema, sarebbe aperto su entrambi i lati, mentre se fosse una lampada a olio necessiterebbe di una forma diversa e di un aspetto materiale più simile alla terracotta383. Come nel ritratto femminile di Giulio Romano degli anni Venti oggi a Mosca, dove lo specchio poggia su un prezioso sostegno, è senza manico384. Come attributo della Prudentia nello specchio si riflettono le proprie azioni, e ciò avvicina la Vita attiva alla Rachele dantesca. Nessuno dei due biografi si accorge però che la ghirlanda non è intrecciata di fiori, ma di alloro, cosa che rende l’interpretazione di Vasari ancora più convincente, trattandosi del premio delle «virtù che ornano la vita nostra in vita e dopo la morte la fanno gloriosa». Per andare incontro alla dottrina della Chiesa Michelangelo unisce alla nobile bellezza di Matilde e all’affettuosa e materna femminilità dell’ebrea Lia lo specchio della saggezza e l’alloro della fama immortale. Gli occhi privi di pupille, la bocca sensibile e al tempo stesso sensuale, il labbro superiore più grosso e sporgente, le fossette laterali e il mento corto ed energico rendono la sua fisionomia ancora più classicheggiante di qualsiasi altra opera autografa di Michelangelo. In particolare, la metà inferiore del viso è molto più animata di quella della Madonna. I capelli, spartiti nel mezzo e leggermente ondulati, rivelano nel trattamento schematico la mano di un collaboratore, presente anche in altre zone della statua. Sono trattenuti da una fascia, e le trecce che si dipartono dalle tempie collegandosi sul capo la cingono come un diadema. Le trecce s’ingrossano salendo sopra le orecchie e la parte posteriore del capo, da dove ricadono sulla spalla e poi dietro lo specchio fino alla mano destra. In nessun’altra opera di Michelangelo si ritrovano acconciature così classicheggianti e raffinate, e neppure nella Loggia di Amore e Psiche della Farnesina di Raffaello. Le gambe e le braccia muscolose di Lia appaiono ancora più mascoline, mentre i seni pieni, come nella Rachele, le conferiscono una femminilità ancora maggiore di quella delle altre figure muliebri della tomba. Sembra che Michelangelo l’abbia voluta caratterizzare come la Madre per antonomasia del Vecchio Testamento. Le pieghe s’infittiscono in corrispondenza del grembo a sottolineare la sua femminilità, mentre le gambe del pesante corpo stanno ben salde a terra, con la sinistra solo di poco sollevata. In un dialogo sempre più intenso con Leonardo, Raffaello e l’Antico, Michelangelo aveva conquistato passo dopo passo la torsione e il dinamismo del movimento delle figure in uno spazio sempre più ampio, dallo Schiavo morente alla Cappella Sistina sino ai Prigioni dell’Accademia e alla Vittoria385. Nel Giuliano della Sagrestia Nuova torna poi a una concezione più compatta della forma, simile a quella delle prime opere. Questa tendenza s’intensifica dal 1532, dal Mosè e dal Giudizio fino alla Pietà per Vittoria Colonna e alla Crocifissione di san Pietro. Le membra della Vita attiva stanno quasi sullo stesso piano della testa, e la mano destra sporge solo leggermente dal corpo386. La cintura inferiore, invisibile come nelle statue antiche, la divide in due parti quasi uguali, e i due assi s’incontrano nello sbuffo della veste. Michelangelo alleggerisce solo di poco questa rinnovata passione per la simmetria e per le linee orizzontali e verticali, spesso parallele,
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con l’inclinazione del capo e con il braccio sollevato e flesso. La Vita attiva è fin nelle pieghe simile alla Samaritana, e pertanto parrebbe che Michelangelo prima del 1542 si sia concentrato sulla sua realizzazione piuttosto che su quella della Vita contemplativa. La Vita contemplativa Anche per la Vita contemplativa Michelangelo s’ispira a Dante, che appare in uno stato di permanente autoriflessione non solo nel sogno del Purgatorio (sc. 15; tavv. 181-184). Nell’Inferno (ii, 102; iv, 60) narra di come Cristo abbia liberato dal Limbo Rachele e non Lia, e nel Paradiso (xxii, 8) di come solo lei sieda accanto a Beatrice nella rosa celeste. Sulla base di Landino, i conoscitori della lingua ebraica interpretavano il significato del nome Rachele come “principio della visione”387. Condivi elogia la maestria con cui Michelangelo è riuscito a trasformare blocchi già parzialmente scolpiti da altra mano non solo nel caso del David di Piazza della Signoria, ma anche della Vita contemplativa della tomba di Giulio ii (doc. 446), confermando quindi il sospetto che si sia servito di blocchi in parte già abbozzati per altre figure della tomba. Lo sgabelletto potrebbe essere stato ad esempio ricavato nel marmo originariamente destinato alla gamba di una Vittoria. Sotto il mantello la parte superiore della gamba sinistra è anatomicamente poco chiara e la sua metà inferiore è forzatamente ripiegata sulla schiena. È in ginocchio con le mani giunte, e prega cristianamente, ricordando nella veste l’abbigliamento di una monaca, che assomiglia a quello della Delfica, di
alcune anime salvate del Giudizio Universale388, e della Tiburtina di Raffaello in S. Maria della Pace. Un velo morbido le avvolge la testa e le spalle, ricadendo dalla schiena fin sotto al ginocchio della slanciata figura. La leggera veste lunga sino ai piedi è priva di cinta, e a differenza della Vita attiva un pesante manto le copre il petto, il grembo e il ginocchio sinistro ripiegato. Questo si apre però poco sotto le mani, rivelando la gamba destra muscolosa, che non disturbata da pieghe, con anatomica precisione e sensuale pienezza emerge come la solida base del suo rapimento metafisico. Un bordo del manto ricade verticalmente, l’altro diagonalmente, ed entrambi si uniscono a forma di croce all’altezza delle braccia congiunte e delle pieghe orizzontali del velo. Sembra essersi appena immersa nella preghiera inginocchiata sullo sgabello, congiungendo le morbide mani e volgendo la piccola testa al cielo. Gli occhi privi dell’iride, le sopracciglia deformate dalla dolorosa concentrazione e le palpebre ridotte sotto le sopracciglia appaiono meno classicheggianti delle caratteristiche fisiognomiche della Madonna o della Vita attiva, e la rendono a prima vista difficilmente identificabile come la figlia di Laban. La posa e la veste testimoniano piuttosto una graziosa nobildonna, e il viso affilato, la piccola bocca saldamente chiusa e il lungo naso sottile ricordano i ritratti della matura Vittoria Colonna (fig. 57). Già Michelangelo deve aver scherzato sulla coincidenza delle prime quattro lettere del suo nome con quelle della Vi(ta) co(ntemplativa). Con soddisfazione Vittoria deve aver osservato come nella Vita contemplativa si fosse allontanato da quel classicismo che aveva caratterizzato le sue opere, dalla Sagrestia Nuova sino alla Madonna e alla Vita attiva, e come invece si orientasse verso un linguaggio più spirituale ed espressivo che aveva utilizzato già in alcune figure del Giudizio, e che sarà poi dominante in opere del 1545-46 come il Martirio di san Pietro389. La Vita contemplativa è dunque con tutta probabilità l’ultima statua della tomba e soprattutto l’ultima che abbia portato a termine. Durante il lavoro al Mosè e al Giudizio Michelangelo modifica il progetto del 1532-33, che già nella tomba libera e ancora nel 1513 e 1516 aveva in gran parte ripreso dal precedente. Ne perfeziona la coerenza formale e iconografica, ma attenua il peso della Madonna e del Papa, forse sotto l’influenza dei riformatori. Gioca anche con la diversa scala delle sculture, creando un ritmo raffinato ed equilibrato, disturbato solo dalla sopraelevazione ottocentesca del Mosè su uno zoccolo più alto390. Condizionato dai blocchi esistenti e dalle misure del piano superiore, attribuisce al Profeta e alla Sibilla dimensioni maggiori di quelle della Madonna, ma non può ingrandire le figure principali secondo la loro importanza, come nel Giudizio o negli affreschi della Paolina. Come unica figura non ancora confermata nella storia della salvezza, il Papa è la più piccola, benché costituisca il centro geometrico e iconografico del monumento, e crei un ponte, benchè architettonicamente poco soddisfacente se visto dal basso (tavv. 151, 152), tra il Profeta e la Sibilla, tra Mosè suo predecessore e la Vergine col figlio, uniche figure inequivocabilmente cristiane della tomba. Anche i rapporti verticali nei campi laterali tra la Vita contemplativa e la Sibilla a sinistra e tra la Vita attiva e il Profeta a destra vanno oltre le semplici analogie formali.
Epilogo Come in nessun’altra opera di Michelangelo si riflettono nella tomba di Giulio i vari piani e aspetti della sua vita e delle sue creazioni. La vicenda inizia nel febbraio 1505, quando papa Giulio invita l’artista a progettarla per il coro del nuovo S. Pietro, e questo propone una tomba a parete di tradizione fiorentina con un programma iconografico d’ispirazione neoplatonica. Il Bambino Gesù benedicente e gli angeli liberano l’anima del papa dal carcere terreno; Mosè e la ii
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57. Anonimo, ritratto di Vittoria Colonna, 1540-45 ca.
Sibilla Eritrea simboleggiano la speranza nella risurrezione; la Carità e la Fede e i frutti dell’albero araldico dei della Rovere rappresentano la vita attiva e quella contemplativa del papa. Incoraggiato dal papa e dei suoi consulenti, nel corso di poche settimane sostituisce la tomba a parete con un trionfale mausoleo classicheggiante di dimensioni inaudite, i cui tre livelli evocano in modo ancora più suggestivo l’ascesa dell’anima. Evidentemente il papa desiderava che venissero inserite nel programma le arti, già presenti nella lastra tombale di Sisto iv, e sembrava d’accordo col maestro nel trasformare le allegorie in nudi atletici incatenati ai messaggeri della morte. È abituato alla rapidità esecutiva di Bramante, e diviene impaziente quando dopo un anno Michelangelo non ha finito neppure una statua, ma chiede ancora soldi, e lo costringe ad affrescare la volta della Cappella Sistina. Se l’avesse lasciato lavorare esclusivamente alla tomba, come contemporaneamente faceva Raffaello nelle Stanze, prima della sua morte, nel 1513, Michelangelo e i suoi numerosi collaboratori sarebbero forse riusciti a finirne una buona parte. Gli eredi del papa non possedevano la medesima autorità, e Michelangelo riprese il lavoro con poco entusiasmo. Dovette tornare al progetto di una tomba a parete, compatibile con il sistema interno di S. Pietro. Nel programma iconografico si orientò più sulla risurrezione che sulla gloria di Giulio ii, e provò a sostituirlo persino con una piramide. Già nel 1513 deve aver sperato di ricevere dal nuovo papa Leone x una commissione altrettanto impegnativa, ma i Medici sono ancora irritati per il suo precedente atteggiamento repubblicano. Quando nell’estate 1516 sembra finalmente sicuro di ricevere l’incarico per la facciata di S. Lorenzo, riduce la tomba a meno della metà, lascia Roma e va a Carrara per ordinare nuovi marmi. Tra le cave di marmo e gli atletici scalpellini il suo linguaggio si fa nel giro di pochi mesi più grandioso, dinamico e sofferente. Sostituisce le snelle figure del piano terreno con atleti più vigorosi e massicci. In una battaglia ancora più disperata di prima, questi si ribellano alla prigionia del carcere terreno e alla transitorietà del corpo. Il papa ha una posizione meno privilegiata di prima, e deve anch’egli sperare nella risurrezione. Dopo la morte del nipote Lorenzo, nella primavera del 1519, il cardinale Giulio de’ Medici gli succede come governatore di Firenze. Anch’egli si è formato nella cerchia neoplatonica di Lorenzo il Magnifico, ma è più attento a trattare con Michelangelo dello spesso arbitrario Leone e più versato nelle arti figurative. In nome del papa Giulio lo incarica della cappella funeraria di famiglia, per la quale abbandona il lavoro la facciata di S. Lorenzo, ma non gli impedisce di continuare di lavorare alla tomba. Appena eletto papa, lo fa venire a Roma e gli affida la decorazione della Cappella e della Biblioteca Laurenziana. Grazie anche alla conoscenza delle ultime opere di Raffaello, Michelangelo vede l’antico con occhio ancora più acuto, e trova già nelle statue della Cappella un linguaggio più classicheggiante e meno legato al primo Manierismo fiorentino. Nella primavera del 1532 il duca di Urbino, che ora rappresenta gli interessi degli eredi, lo costringe a stipulare un nuovo contratto e a riprendere il lavoro alla tomba. Michelangelo ne decide il trasferimento in S. Pietro in Vincoli, dove adatta, come già nel 1513, gli elementi precedentemente realizzati alla nuova situazione. Fa del Mosè la figura principale, che incarna la parte contemplativa del papa, e lo trasforma in un principe antico come il Giuliano della Sagrestia Nuova, facendone al tempo stesso un uomo primordiale che si nutre delle forze demoniache della natura. Con nessuna delle sue precedenti opere si è identificato in modo simile. Più chiaramente di prima il piano superiore è dedicato alla risurrezione dell’anima, che poco più tardi sarà il tema del Giudizio Universale. Nei circa quindici anni di amichevole contatto con Giulio de’ Medici crea più statue che in precedenza e in futuro, concepisce il Giudizio Universale. Conosce
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Tommaso Cavalieri, approfondisce il neoplatonismo e scrive alcune delle sue poesie più belle. Questa fase creativa termina con la morte di Clemente vii, benchè il successore Paolo iii sia senz’altro più simile a Giulio ii e desideroso di rapidi risultati. Prima della sua elezione aveva fatto costruire palazzi e chiese funzionali alla sua politica dinastica, ma non aveva stabilito un rapporto stretto con Michelangelo e non possedeva neppure una sua opera. Cercò di limitare il lavoro dell’artista alla tomba, e quando questo esitò nell’eseguire il Giudizio Universale, lo nominò suo artista a vita con un alto salario. Al compimento del Giudizio lo incaricò degli affreschi della Cappella Paolina, e subito dopo lo nominò successore di Sangallo come architetto di S. Pietro e di Palazzo Farnese, avviando una nuova fase della storia dell’architettura, la sua vera passione. L’amicizia con Vittoria Colonna, che potrebbe risalire già al 1535-36, influirà profondamente sul suo pensiero religioso e perciò anche sul programma iconografico della tomba. Affianca a Mosè la Vita contemplativa e la Vita attiva, che rappresentano i due aspetti della vita di Giulio ii. La Vita attiva è associata a Lia, la madre delle dieci tribù di Israele, e attraverso di questa allude all’allegoria della prudenza e a Matilde, sua presunta antenata, personaggi che come altre figure della sepoltura appaiono legati alla sua vita personale. Realizzando di sua mano solo la triade del Vecchio Testamento, sposta il punto di gravità della tomba verso l’arcaica e umana ricerca di Dio, la contemplazione, la fede e le buone opere, allontanandosi sempre più dalla tradizione dei monumenti funerari precedenti. La piccola Madonna è ora isolata come una statua antica nella sua nicchia ombrosa, mentre il papa, ridotto quasi a un rilievo, si risveglia dal sonno della morte e attende il giudizio
dell’ultimo giorno. Michelangelo replica i Termini nel piano superiore. Seguono il modello di un’antica moneta del dio Terminus e, dominando l’intera tomba, sconfiggono le forze pagane del destino e assumono un peso ancora maggiore di prima. Probabilmente sotto l’influsso crescente di Vittoria Colonna, Michelangelo opta nella Vita contemplativa, la sua ultima statua per la tomba, per un linguaggio più spirituale ed espressivo, che anticipa già in alcune figure del Giudizio. Dedica alla tomba più idee, forze e tempo di qualsiasi altra sua opera, e difficilmente l’avrebbe portata a termine senza la determinazione di entrambi i duchi di Urbino. Questi insistettero per avere sei statue autografe, sino a quando nel 1542 Guidobaldo dovette cedere alle pressioni del papa e accettare che tre di queste fossero ultimate da Raffaello da Montelupo. Nessun’altra sua opera è stata collegata in modo così stretto ai suoi interessi finanziari e alle sue ambizioni sociali. Ai 3500 d. ricevuti da Giulio ii e ai 7000 avuti dagli eredi, occorre aggiungere il valore di 2000 d. della casa romana e i 500 annui che i papi Medici gli pagarono fino al 1534 per i due grandi progetti fiorentini. I pagamenti per il Cristo, l’Apollo e i disegni per Vittoria Colonna, il duca di Ferrara e altri sono meno alti, ma dal 1535 in poi Paolo iii gli concederà un salario di 1200 d. annui che lo libererà una volta per tutte da ogni preoccupazione finanziaria. Investendone la maggior parte in immobili a Firenze e nei dintorni riesce a integrare la sua famiglia nella ricca borghesia patrizia fiorentina. Le lettere testimoniano come la paura traumatica di perdere la fortuna non lo lasci mai, e in ciò probabilmente non si differenzia da altri artisti benestanti che in un periodo di malattie, guerre, ribellioni e arbitrarie prepotenze dei committenti dovevano temere da un giorno all’altro la rovina. Nel 1532 accettò una soluzione di compromesso per la tomba non da ultimo perché temeva di dover vendere gli immobili, restituire una parte dei soldi ricevuti e sacrificare la casa romana. Alla sua morte lasciò una fortuna del controvalore di molti milioni di euro, sicuramente più di ogni altro artista precedente391. Quando si tratta di soldi non agisce sempre in modo corretto, ma per ottenere i suoi capolavori i suoi contemporanei sono disposti a perdonare il genio, e se la sua responsabilità artistica lo richiede, come nel 1532 e nel 1542, è capace di aggiungere una o due statue a proprie spese senza esserne costretto. Queste ambiguità caratteriali emergono dalla storia della tomba di Giulio con maggiore evidenza che in altri momenti della sua vita. Più risplende la sua divinità, più oscure divengono le sue ombre. Un animo più controllato e del tutto indifferente a tali impulsi e paure difficilmente sarebbe riuscito a creare una figura come il Mosè. Non sarebbe costato molto più tempo a Michelangelo realizzare le tre statue del piano superiore di quell’unico anno in cui si vantò di aver realizzato le due Allegorie, ma non lo aveva a disposizione, era stanco e dal 1545 preferiva allo scalpello il pennello e la matita. Voleva togliersi dalle spalle, una volta per sempre, i rischi giuridici e le minacce degli eredi. Le tre statue non costituiscono neppure l’unica ragione per la quale l’insieme della tomba è meno riuscito e omogeneo della Cappella Medicea o degli affreschi della Cappella Sistina. La tomba non si presenterebbe come un organismo omogeneo neppure se Michelangelo avesse realizzato personalmente tutte le statue del piano superiore. La sua architettura nuda, astratta e disadorna, rigorosamente strutturale, si distingue troppo dal piano terreno, scultoreo e riccamente ornato, e il contrasto non è nemmeno attenuato dalla ripetizione dei Termini e dallo slancio verticale che li raccorda. Il piano superiore costituisce un corpo troppo autonomo, il cui carattere scenografico anticipa gli elementi di un castrum doloris392. I candelabri, che dovevano
proseguire con vere candele, si distaccano dal fondo luminoso del coro dei canonici, idea che come il grandioso stemma risale forse solo al 1542; attraverso le numerose aperture penetra un’enigmatica luce indiretta, e in origine anche il canto degli invisibili canonici. Forse Michelangelo contrapponeva consciamente alla corposità terrestre del piano inferiore la trasparenza smaterializzata, luminosa e sonora della sfera metafisica. L’unità complessiva dell’opera d’arte gli importava meno dell’innovazione dei singoli elementi. Nella Sagrestia Nuova aveva già combinato la tradizionale architettura in pietra serena con quella innovativa, anzi rivoluzionaria in marmo; nel cortile di Palazzo Farnese aveva continuato i due ordini classicheggianti di Sangallo nei capricci del terzo piano, e non v’è dubbio che anche nella volta della Sistina l’unità formale sarebbe ancor più carente se il crescente dinamismo non fosse stato frenato dal prestabilito sistema decorativo. Benché tutte le statue siano riferibili a Dio, la tomba non dà un’impressione di profonda religiosità. Statue antiche hanno influenzato la posa, il corpo e le vesti del Mosè, della Madonna, del Profeta e della Vita attiva. La Sibilla è forse l’Eritrea; le corna del Mosè ricordano Pan e la sua barba le divinità fluviali che in forma di Tritoni compaiono anche ai lati, e uno spirito arcaico e pagano traspare dalla bellezza venusiana della Vita attiva. Michelangelo cerca le radici della vita, l’uomo primordiale nello stato creato da Dio. Non esistendo un’arte ebraica che potesse ispirarlo nella raffigurazione dei personaggi del Vecchio Testamento, scopre nell’arte antica e nel mito esseri della medesima forza e bellezza. Per lui non c’è contraddizione tra Profeta ebreo e Sibilla africana, tra Davide ed Ercole o Apollo, e neppure tra Dio e Giove, disegnati in forma quasi identica nei fogli per Tommaso Cavalieri e nel Giudizio Universale393. Durante il pontificato di Clemente vii si occupa ancora più intensamente di prima del mito antico, al quale era stato introdotto dai suoi maestri neoplatonici e dalla lettura di Dante, Boccaccio, Petrarca e Landino. Negli anni del suo più stretto contatto con Vittoria Colonna e con la cerchia dei riformatori non esita a far dominare la tomba di un papa da Termini della fine e della rinascita della vita. L’unica figura profondamente cristiana della tomba è la Vita contemplativa, che rispecchia l’influsso diretto di Vittoria Colonna. Neppure uno dei moltissimi documenti conservati testimonia l’influenza dei committenti sul programma e la forma della tomba, e non a caso Michelangelo nel 1523 si vantò di aver convinto Giulio ii delle proprie idee sul programma della Cappella Sistina. La sua fama e il desiderio di tanti principi di farlo lavorare per loro gli consentono un’inaudita, sempre crescente autonomia formale e spirituale. Fu testimone e spesso vittima delle tante crisi politiche e religiose, ma anche ai tempi del Concilio di Trento e alla vigilia della Controriforma rimase fedele alla sua formazione neoplatonica, la filosofia più affine al Cristianesimo. Non c’è infatti altro artista che come lui sia stato in grado di farsi strumento di questo pensiero, e che liberando la bellezza divina dalla materia inerte abbia tentato di seguire l’esempio degli angeli che liberano l’anima dal carcere terreno.
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Disegni
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Progetto per la tomba parietale del 1505 (dis. 1), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
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4 Progetto per la tomba parietale del 1505 (dis. 3), New York, The Metropolitan Museum of Art.
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Studi di nudo e per testa di Mosè (?) (dis. Ap. 1), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
Studio di nudo (dis. 2 [parte destra], verso del dis. 1).
5 Schizzo per Prigione con braccio alzato, versi, altri schizzi (dis. 16, verso del dis. Ap. 2), Londra, Courtauld Institute.
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7 Schizzi per un Prigione, nudo, putti e testa con cappello (dis. 4), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
Schizzo di composizione per scena biblica (Cristo davanti a Pilato?) (dis. Ap. 2, verso del dis. 16), Londra, Courtauld Institute.
10 Studio per un prigione con le braccia alzate (dis. 14), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
Studi anatomici per gambe e inizio di poesia (dis. Ap. 4), Haarlem, Teylers Museum.
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8 12 Schizzi per Prigioni e gamba (dis. 15), Firenze, Casa Buonarroti.
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Studi di teste (dis. 44, dis. Ap. 3), Firenze, Casa Buonarroti.
Studi anatomici per gamba e braccio (dis. Ap. 5), Haarlem, Teylers Museum.
Studi anatomici per gambe e braccia da giustiziato (dis. Ap. 6), Haarlem, Teylers Museum.
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18 Copista da Michelangelo (?), Studi per ornamento, apostolo e nudi (dis. Ap. 7), Firenze, gdsu.
16 Studio per un Prigione (dis. 12), Parigi, École des Beaux-Arts.
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Studi per capitelli e ornamenti (?) (dis. Ap. 8), Londra, The British Museum.
17 Anonimo (da Michelangelo), Studio per un Prigione, piccoli schizzi (dis. 12/copia 1), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
Anonimo (da Michelangelo), Copia parziale del disegno fiorentino per la tomba di Giulio ii (tav. 27), schizzi di figure e gambe (dis. 6/copia 1, verso di tav. 17), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
20 Studi per gambe (dis. 8, verso del dis. 5), Oxford, Ashmolean Museum.
19 Studi per la Sibilla Libica, schizzi per sei Prigioni, e cornice (dis. 5), Oxford, Ashmolean Museum.
21 Studio per gamba e tre coppie di lottatori (dis. 13), Parigi, École des Beaux-Arts.
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22 Progetto per la tomba parietale del 1513 (dis. 7), Berlino, Staatliche Museen, Preußischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett.
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A. Schmarsow, copia del dis. 7.
Studi di gambe (dis. 9, verso di tav. 22), Berlino, Staatliche Museen, Preußischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett.
Progetto per la tomba parietale del 1513 (dis. 6), Firenze, gdsu.
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24 J. Rocchetti, copia del progetto per la tomba parietale del 1513 (dis. 7/copia 1), Berlino, Staatliche Museen, Preußischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett.
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25 Artistotile da Sangallo (?), Copia parziale del disegno fiorentino per il monumento di Giulio ii (dis. 6/copia 2), Firenze, gdsu.
Anonimo (xviii sec.), copia del progetto per la tomba parietale del 1513 (dis. 6/copia 4), Roma, Biblioteca Corsiniana.
Studi per il braccio destro del Prigione dormiente e per le braccia del Mosè (?) (dis. 11, verso del dis. 6), Firenze, gdsu.
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Studi per braccia e mani (dis. 10), Haarlem, Teylers Museum.
Rilievo dell’architettura del pianterreno e dei suoi blocchi nel 1517 (dis. 31-32), Londra, The British Museum.
Schema per l’architettura del progetto del 1517 per la tomba parietale (dis. 18), Firenze, Casa Buonarroti.
Schizzo per il Papa con due angeli del progetto del 1517 per la tomba parietale (dis. 17), Firenze, Casa Buonarroti.
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32 Rilievo dell’architettura del pianterreno e dei suoi blocchi nel 1517 (dis. 33-34, verso del dis. 31-32), Londra, The British Museum.
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36 Schizzi per la campata centrale del pianterreno del progetto del 1517, figura seduta e facciata di S. Lorenzo (dis. Ap. 9), Firenze, Casa Buonarroti.
Secondo schizzo per il Papa del progetto parietale del 1517 (dis. Ap. 10), Firenze, Casa Buonarroti.
37 Studi per il Prigione barbuto (dis. 38), Oxford, Ashmolean Museum.
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38 Studio per il Prigione barbuto (dis. 39), Oxford, Ashmolean Museum.
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Due studi di un torso virile di profilo (dis. 41), Londra, The British Museum.
Schizzo per Prigione (dis. Ap. 13), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
Studio per il Prigione barbuto (dis. Ap. 14), Londra, The British Museum.
40
41 Studio per il Prigione barbuto (dis. Ap. 1), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
82
Nudo di uomo stante (Prigione barbuto ?)(dis. 37), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
44 Baccio Bandinelli, Prigione barbuto da modello o disegno di Michelangelo (dis. Ap. 20), Firenze, gdsu.
45 Schizzo di un giovane nudo con braccia legate, disegni di armature (dis. 36), Firenze, Casa Buonarroti.
83
Michelangelo. Il marmo e la mente
Disegni
50 46 Studi per la Vittoria (dis. 42), Haarlem, Teylers Museum.
48
Studi per la Vittoria (?) (dis. Ap. 15), Firenze, Archivio Buonarroti.
84
51
47 Schizzo per la Vittoria e per due vasi, abbozzo di poesia (dis. 40), Londra, The British Museum.
Schizzi per una Vittoria (?) (dis. Ap. 16), Firenze, gdsu.
Rosso Fiorentino (?), la Vittoria di Palazzo Vecchio dal lato (dis. Ap. 21).
49
Schizzi di nudo seduto, testa, vaso e frammenti di poesia (dis. 43), Londra, The British Museum.
85
Michelangelo. Il marmo e la mente
Disegni
Blocchi
52a Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 19-20), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 223r.
52c Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 21-22), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 224r.
86
52b Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 19-20), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 223v.
52d Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 21-22), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 224v.
53a Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 23-24), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 225r.
53c Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 19-20), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 226r.
53b Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 23-24), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 225v.
53d Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 19-20), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 226v.
87
Michelangelo. Il marmo e la mente
54a Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 25-26), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 227r.
Disegni
54b
55a
Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 25-26), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 227v.
Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 19-20), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 229r.
55b Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 19-20), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 229v.
55c
54c Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 19-20), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 228r.
88
54d Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 19-20), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 228v.
55d Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 27-28), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 230r.
Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 27-28), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 230v.
89
Michelangelo. Il marmo e la mente
56a Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 29-30), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 231r.
Disegni
57a
56b Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. 29-30), Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 231v.
57b
Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. Ap. 17), Firenze, Archivio Buonarroti.
Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. Ap. 17), Firenze, Archivio Buonarroti.
57d
57e
57c
56c Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba, Firenze, Archivio Buonarroti, vol. 1, fol. 233r.
90
Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. Ap. 19), Londra, Coll. Scharf, già Coll. S. Zweig.
Blocco cavato nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. Ap. 18), Parigi, Coll. F. Lugt. Blocco cavato nel 1517 a Carrara per la tomba (dis. Ap. 19), Londra, Coll. Scharf, già Coll. S. Zweig.
91
Michelangelo. Il marmo e la mente
Disegni
Disegni e stampe dalla tomba
58
62
59 Aristotile da Sangallo, pianta del pianterreno della tomba nel 1535 ca. (dis. 48a), Firenze, gdsu.
Aristotile da Sangallo, alzato del pianterreno della tomba nel 1535 ca. (dis. 47a), Firenze, gdsu.
N. Béatrizet, Mosè, xvi sec. (dis. 59a), Vienna, Graphische Sammlung Albertina.
63 E. Bouchardon, Mosè, 1725 ca. (dis. 60a), Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.
60
63b 61 Anonimo, schizzi dalla tomba ante 1542 (dis. 49a), Collezione privata.
92
Anonimo per Antonio Salamanca, alzato della tomba nel 1554 (dis. 58a), Roma, Biblioteca Hertziana.
Leonardo da Vinci, testa di uomo con barba (Mosè?), 1515 ca. (dis. 45a), Amsterdam, Historisch Museum, inv. a 11020.
93
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
94
95
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
Lista delle tavole 64. La tomba allo stato attuale. I Prigioni (o Schiavi) del Louvre (sc. 1-2) 65. Prigione morente (o dormiente), visione frontale. 66. Il lato sinistro. 67. Parte superiore frontale. 68. Parte superiore dal lato destro. 69. Visione dal retro. 70. Dettaglio del retro. 71. Dettaglio della parte inferiore del retro. 72. Il lato sinistro con il dettaglio della testa di scimmia. 73. Visione frontale, dettaglio della testa. 74. Dettaglio della mano destra. 75. Modello (Firenze, Casa Buonarroti). 76. Prigione ribelle, visione della posizione originale voluta da Michelangelo, in una fotografia storica. 77. Il lato destro. 78. Visione dal lato destro. 79. Dettaglio del lato destro. 80. Corpo e testa visti da sinistra. 81. Testa vista da destra. 82. Dettaglio del torace. 83. Dettaglio della gamba destra. Giulio ii seduto (San Gregorio) (sc. 3) 84. Michelangelo e Nicolas Cordier, statua di Giulio ii trasformata in San Gregorio Magno (Roma, San Gregorio al Celio, cappella), visione frontale. 85. Il lato destro. 86. Le gambe viste dal lato sinistro. 87. La gamba da destra. 88. Dettaglio della mano sinistra. 89. Dettaglio della mano sinistra. I Prigioni (o Schiavi) dell’Accademia di Firenze (sc. 4-7) 90. Prigione barbuto, visione della posizione originale voluta da Michelangelo, in una fotografia storica. 91. Il lato destro. 92. Visione dal lato destro. 93. Parte superiore vista da sinistra. 94. Dettaglio della parte superiore vista da sinistra. 95. Dettaglio del ginocchio. 96. Dettaglio del torace. 97. Dettaglio della testa vista da sinistra. 98. Dettaglio frontale della testa. 99. Prigione, modello (Firenze, Casa Buonarroti). 100. Prigione barbuto, modello (Londra, The British Museum). 101. Prigione giovane, modello (Londra, Victoria and Albert Museum). 102. Visione frontale e di parte del lato destro. 103. Visione del retro e del lato destro. 104. Visione dal lato sinistro.
96
105. Schiavo che si ridesta, modello (Londra, The British Museum, in prestito presso il Victoria and Albert Museum). 106. Visione frontale. 107. Dettaglio della testa. 108. Dettaglio del torace. 109. Dettaglio della gamba destra. 110. Dettaglio della parte superiore vista da destra. 111. Schiavo Atlante, visione frontale. 112. Dettaglio della parte inferiore. 113. Dettaglio della parte superiore e particolare dei tre anelli con la lettera «L». 114. Dettaglio della parte centrale. La Vittoria di Palazzo Vecchio (sc. 8) 115. Vittoria, visione della posizione originale voluta da Michelangelo, in una fotografia storica. 116. Vittoria (Firenze, Palazzo Vecchio), visione frontale. 117. Il lato sinistro. 118. Il lato destro. 119. Il lato sinistro con la parte inferiore e la testa della vittima. 120. Dettaglio della testa della vittima. 121. Modello di terracotta per due figure in lotta (Firenze, Casa Buonarroti). Il Mosè (sc. 9) 122. Mosè, visione frontale. 123. Il lato sinistro. 124. Il lato destro. 125. Parte superiore. 126. Dettaglio della barba, della mano e delle tavole da destra. 127. Dettaglio frontale della barba, della mano e delle tavole. 128. Dettaglio frontale della barba, della mano e delle tavole. 129. Dettaglio della gamba destra vista dal lato. 130. Dettaglio della mano destra. 131. Dettaglio della mano sinistra. 132. Il busto visto da destra. 133. La testa vista dal retro. 134. La parte superiore del busto vista dal retro. 135. La parte inferiore del busto vista dal retro. 136. Il volto visto da destra. 137. Dettaglio della barba da sinistra. 138. Dettaglio dell’occhio destro. 139. Dettaglio degli occhi. 140. Le gambe in visione frontale. 141. Le gambe viste da sinistra. 142. Dettaglio del piede sinistro. 143. Dettaglio del piede destro. 144. Dettaglio del piede destro visto di lato. 145. Dettaglio del piede destro. La Madonna col Bambino (sc. 10) 1 46. L’insieme della Madonna con il papa giacente sottostante. 147. La Madonna col Bambino. 148. La Madonna, dettaglio del volto.
149. Il Bambino, dettaglio. Il Papa giacente (sc. 11) 150. Il Papa giacente, sarcofago visto dall’alto. 151. Il sarcofago visto dal basso. 152. Il sarcofago visto dal basso. nel suo insieme. 153. Intero. 154. Dettaglio della testa. 155. Dettaglio del volto visto dal lato sinistro. 156. Il lato sinistro. 157. Il busto e le mani. 158. Dettaglio del volto. 159. Dettaglio delle mani. 160. Dettaglio del busto visto dal retro. 161. Dettaglio della parte inferiore delle gambe. 162. Dettaglio della parte superiore delle gambe. La Sibilla (sc. 12) 163. La Sibilla, visione frontale. 164. Dettaglio della testa. 165. Dettaglio del piede e dello zoccolo. 166. La testa e il busto visti dal retro. Il Profeta (sc. 13) 1 67. Il Profeta, visione frontale. 168. Dettaglio della parte centrale del corpo. 169. Dettaglio delle gambe e dello zoccolo. 170. Dettaglio del piede e dello zoccolo. 171. Dettaglio della testa vista da sinistra. 172. Visione frontale della testa. 173. Dettaglio della testa e del busto visti dal retro. 174. Dettaglio della testa vista da sinistra.
1 92. La nicchia della Vita attiva. 193. Basamento e dettaglio della nicchia. 194. Voluta e parasta. 195. Dettaglio della voluta. 196. L’insieme dei quattro piedistalli. 197. Primo e secondo piedistallo con i rilievi. 198. Terzo e quarto piedistallo con i rilievi. 199. Dettaglio del rilievo del primo piedistallo. 200. Dettaglio del rilievo del secondo piedistallo. 201. Rilievo con tritoni in basso a destra nella nicchia grande. 202. Rilievo con tritoni in basso a sinistra nella nicchia grande. 203. Ornamento in basso a sinistra nella nicchia grande. 204. Chiave con maschera nella nicchia della Vita attiva. 205. Pianterreno, primo Termine. 206. Pianterreno, secondo Termine. 207. Pianterreno, terzo Termine. 208. Pianterreno, quarto Termine. 209. Piano superiore prima del restauro. 210. Piano superiore, stemma e candelieri prima del restauro. 211. Piano superiore dopo il restauro, veduta d’insieme. 212. Piano superiore, i quattro Termini.
La Vita contemplativa (sc. 15) 1 81. Vita contemplativa, l’insieme nella nicchia. 182. Dettaglio della testa da destra. 183. Dettaglio della testa da sinistra. 184. La parte superiore.
Contesto, rilievi e ricostruzioni 213. Coro dei frati, interno. 214. Coro dei frati, lunetta. 215. Antisacristia. 216. Antisacristia, pavimento. 217. Antisacristia, la finta finestra e l’apertura originale. 218. Antisacristia, sguardo attraverso i due finestrini. 219. Sguardo sullo stemma. 220. Sguardo sul lato della tomba. 221. Disegni sulla parete posteriore del coro, insieme. 222. Disegni sulla parete posteriore del coro, dettaglio degli archi in sanguigna. 223. Disegni sulla parete posteriore del coro, dettaglio del disegno di costruzione in carbone. 224. Pianta della chiesa di S. Pietro in Vincoli (da Krautheimer). 225. L. Rossini, l’interno della chiesa di S. Pietro in Vincoli nel 1843. 226. Vedutista del 1550 ca., la chiesa da nord (collocazione ignota).
La tomba: l’insieme e i dettagli 185. La navata centrale della chiesa di S. Pietro in Vincoli. 186. L’insieme della tomba nel transetto destro. 187. La tomba vista dal lato del transetto. 188. L’insieme del pianterreno. 189. L’insieme della parte centrale terrena e superiore. 190. L’insieme del pianterreno dal lato sinistro con lo sguardo di Mosè. 191. Dettaglio dei Termini della parte inferiore.
ilievi R 227. Pianta del piano seminterrato alla quota -2,10 m, del piano terra alla quota +1,70 m e del piano primo alla quota +7,60 m. 228. Pianta del piano seminterrato alla quota -2,10 m e del piano terra alla quota +1,70 m. 229. Pianta del piano primo alle quote +7,60 m e +10,40 m. 230. Sezione longitudinale del transetto, dell’antisacristia e del Coro dei frati. 231. Sezioni verticali del transetto, dell’antisacristia e del Coro
La Vita attiva (sc. 14) 1 75. Vita attiva, l’insieme nella nicchia. 176. La testa vista da sinistra. 177. La testa in visione frontale. 178. Dettaglio della mano destra. 179. Il lato destro. 180. Dettaglio della mano sinistra con la ghirlanda.
dei frati sull’asse delle statue della Vita attiva e del Mosè. 232. Prospetto della “sepoltura”. 233. Sezione orizzontale della tomba e dell’antisacristia alla quota +3,10 m. 234. Sezione orizzontale della tomba alle quote +10,40 m e +6,90 m. 235. Sezione verticale della tomba, dell’antisacristia e del Coro dei frati sull’asse delle porte di accesso. 236. Sezione verticale della tomba, dell’antisacristia e del Coro dei frati sull’asse della statua del Mosè. 237. Sezione verticale della tomba, dell’antisacristia e del Coro dei frati sull’asse delle statue della Vita attiva e contemplativa. 238. Sezione longitudinale dell’antisacristia e del Coro dei frati. Ricostruzioni 239. Progetto di New York all’interno del progetto gdsu 3a di Bramante per S. Pietro (disegno P. Föllbach). 240. Progetto del Louvre e tomba libera all’interno del progetto gdsu 1 a di Bramante per S. Pietro (disegno C. Benveduti). 241. Tomba libera, piante, alzato del fronte anteriore, sezione trasversale (disegno C. Benveduti). 242. Tomba libera, alzato del fronte longitudinale anteriore, sezione trasversale (disegno C. Benveduti). 243. Tomba libera all’interno del progetto gdsu 1a di Bramante per S. Pietro (disegno P. Föllbach). 244. Tomba libera all’interno del progetto esecutivo del 1506 per S. Pietro (disegno C. Benveduti). 245. Tomba parietale del maggio 1513, pianta e alzato (disegno C. Benveduti). 246. Tomba parietale del maggio 1513, sezione (disegno C. Benveduti). 247. Tomba parietale del 1513 e analoga tomba papale all’interno del coro di Bramante (disegno C. Benveduti). 248. Pianta della piattaforma del progetto della prima estate del 1513 (disegno C. Benveduti). 249. Tomba parietale dell’estate 1513 all’interno del coro di Bramante (disegno H. Schlimme, K. Thiesch). 250. Tomba parietale del 1516 (disegno C. Benveduti). 251. Tomba parietale del 1517 (disegno C. Benveduti). 252. Tomba parietale del 1532 (disegno C. Benveduti). 253. Tomba parietale del 1533 (disegno C. Benveduti). pp. 264-265. Tabella delle misure.
64
97
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
I Prigioni (o Schiavi) del Louvre. Prigione morente (o dormiente)
65
98
66
99
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
67
100
68
101
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
69
102
70
103
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
71
104
72
105
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
73
106
74
107
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
Prigione ribelle
76
75
108
77
109
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
78
110
79
111
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
80
112
81
113
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
82
114
83
115
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
Giulio ii seduto (San Gregorio)
84
116
85
117
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
86
118
87
119
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
88
120
89
121
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
I Prigioni (o Schiavi) dell’Accademia di Firenze. Prigione barbuto
90
91
122
92
123
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
93
124
94
125
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
95
126
96
127
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
97
128
98
129
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
99
130
100
131
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
Prigione giovane
101
132
102
133
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
103
134
104
135
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
Schiavo che si ridesta
105
136
106
137
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
107
138
108
139
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
109
140
110
141
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
Schiavo Atlante
111
142
112
143
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
113
144
114
145
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
La Vittoria di Palazzo Vecchio
115
116
146
117
147
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
118
148
119
149
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
120
150
121
151
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
Il Mosè
122
152
123
153
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
124
154
125
155
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
126
156
127
157
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
128
158
129
159
Michelangelo. Il marmo e la mente
160
Michelangelo
161
Michelangelo. Il marmo e la mente
162
Michelangelo
163
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
132
164
133
165
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
134
166
135
167
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
136
168
137
169
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
138
170
139
171
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
140
172
141
173
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
142
174
143
175
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
144
176
145
177
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
La Madonna col Bambino
146
178
147
179
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
148
180
149
181
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
Il Papa giacente
150
151
182
152
183
Michelangelo. Il marmo e la mente
184
Michelangelo
185
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
154
186
155
187
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
156
188
157
189
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
158
190
159
191
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
161
160
192
162
193
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
La Sibilla
163
194
164
195
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
165
196
166
197
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
Il Profeta
167
198
168
199
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
169
200
170
201
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
171
202
172
203
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
173
204
174
205
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
La Vita attiva
175
206
176
207
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
177
208
178
209
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
179
210
180
211
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
La Vita contemplativa
181
212
182
213
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
183
214
184
215
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
La tomba: l’insieme e i dettagli
185
186
216
187
217
Michelangelo. Il marmo e la mente
218
Michelangelo
219
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
189
220
190
221
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
191
222
223
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
192
224
193
225
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
194
226
195
227
Michelangelo. Il marmo e la mente
228
Michelangelo
229
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
197
230
231
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
198
232
233
Michelangelo. Il marmo e la mente
199
234
200
235
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
201
236
202
237
Michelangelo. Il marmo e la mente
Michelangelo
203
238
204
239
Michelangelo. Il marmo e la mente
205
Tavole
206
240
207
208
241
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tavole
209
242
210
243
Michelangelo. Il marmo e la mente
244
Michelangelo
245
Michelangelo. Il marmo e la mente
Contesto, Rilievi e Ricostruzioni
212
246
Michelangelo. Il marmo e la mente
Contesto
214
213
219
215
220
216 221
217
218
248
222
223
249
Michelangelo. Il marmo e la mente
Contesto
225
224
250
226
251
Michelangelo. Il marmo e la mente
Rilievi
del piano terra
-2.39
+0.11
P005 +0.23
+0.00
TD001
TD002
piano ammezzato piano secondo porta finestra porta finestra scala ballatoio nicchia codice ambiente e/o apertura
Porta
P–1–03
Ambiente n.
Piano primo
Porta n.
proiezione delle coperture proiezione contorni piano terra limite area rilevata pavimento ambiente TD001 antistante il monumento contorni del pavimento ambiente 003
con la proiezione dei contorni
pavimento ambiente K001
del piano terra
-2.39
P8 97.41 -0.02
-2.59
Pianta ambiente seminterrato (24-24) alla quota -2.10
-2.39 P17 97.62 PK03
NK01
PK04 K001 PK01
-3.68
-2.59 GIARDINO
P18 97.69
+0.23
alla
P8 P8 97.41
P6
alla
-0.02
F104 P5 106.19
-2.59
alla P16 F105
+6.49
F103
1001
P4 06.47 F102
F101
alla
P14
P12 108.20
alla
P15 -2.39
P17 97.62
+4.12
P13 105.80
P11 104.12
252
piano primo
P2 99.98
P3
P113
227. Pianta del piano seminterrato alla quota -2,10 m, del piano terra alla quota +1,70 m e del piano primo alla quota +7,60 m.
transetto destro
F001
GIARDINO
F002
PF007
alla
+0.00
P9 99.98
P10 106.46
Rilievi estesi al cosiddetto “Nodo della sepoltura”, 2001, a cura di Giuseppe Papillo.
piano terra
Scala 1:50
+0.11
Pianta piano primo (21-21) alla quota + 7.60 Scala 1:100
cantina
TD–0–02
N001
proiezione delle coperture proiezione contorni piano terra limite area rilevata
PALMI ROMANI
LEGENDA
P1 100.00
- - - - - - - - - ––––––––– — - — - —
+0.11
LEGENDA
K 0 TD 1 M 2 P F PF S B N 05
Piano terra
TD002
Porta n.
+0.01 004 P15 P13 100.00 105.80
Piano primo
P008
P–1–03
Ambiente n.
005 P11 104.12
TD–0–02 Piano terra
P009
Porta
+0.11
Transetto destro
P18 97.69
F001
codice ambiente e/o apertura
+0.04
P010 P12 106.20
nicchia
METRI 20
LEGENDA CODICI AMBIENTI
- - - - - - - - - ––––––––– — - — - —
P6 PF006 100.01
ballatoio
003 P3 99.99
P14 102.12
scala
S001
porta finestra
P5 106.49 P16 98.32
finestra
P7 P4 100.00 106.47
P10 106.46
porta
+0.23 P005
piano secondo
P2 99.90
piano ammezzato
P004
P9 99.96
piano primo
TD001
transetto destro
+0.00
piano terra
4 10
Transetto destro
LEGENDA CODICI AMBIENTI cantina
2
5
P010 F002
P17 97.62
P004
P15
P1 100.00
Pianta piano terra (20-20) alla quota +1.70 Scala 1:100
1
0
S001
-2.59
alla
stazione
003
P6
PK04
Poligonali principali
P8 97.41
alla
POLIGONALI SECONDARIE
P009
GIARDINO
PK01
K001
stazione
-3.68
Poligonali secondarie
POLIGONALI PRINCIPALI
P16 96.32
STAZIONI
PK03
LEGENDA POLIGONALI
K 0 TD 1 M 2 P F PF S B N 05
005
0
METRI PALMI ROMANI
+0.04
20
-0.02
4
PF006
2 10
-2.59
1 5
GIARDINO
0 0
+0.11
P18 97.69
P008
Scala 1:100
004
-2.39
con la proiezione dei contorni
PF007
Pianta piano terra (20-20) alla quota + 1.70 Scala 1:50
Pianta ambiente seminterrato (24-24) alla quota -2.10
+0.11
+0.11
Rilievi
227
228
228. Pianta del piano seminterrato alla quota -2,10 m e del piano terra alla quota +1,70 m.
253
Michelangelo. Il marmo e la mente
Rilievi
Pianta piano primo (21-21) alla quota + 7.60 Scala 1:50
Sezione longitudinale (13-13) verso sud-est
Sezione longitudinale (14-14) verso nord-ovest
parallela al piano di giacitura del monumento
parallela al piano di giacitura del monumento
Scala 1:50
Scala 1:50 +13.08
0
1
0
2
5
4 10
METRI 20
PALMI ROMANI +9.28
+0.23
+0.00
LEGENDA CODICI AMBIENTI
+9.28 F107
cantina
F105
piano terra
F105
P113
transetto destro
F101
+6.47
piano primo
F102
+6.47
F103
F104
piano ammezzato piano secondo porta F104
F102
porta finestra
F103
finestra
F101
P011
F002
scala
Porta
Piano terra
P–1–03
Ambiente n.
Piano primo
Porta n.
P009
+1.32
P004
P010 +0.01
-0.04
PK03
PK01
PK01 -2.60 PK04
LEGENDA proiezione delle coperture proiezione contorni piano terra limite area rilevata
contorni del pavimento ambiente 003
-2.39
pavimento ambiente TD001 antistante il monumento
-2.60
NK01
-3.66
+4.12
- - - - - - - - - ––––––––– — - — - —
PF006
P005
P113
TD–0–02
PF006 -2.59
Transetto destro
F105
codice ambiente e/o apertura
+6.49
nicchia
-0.02
ballatoio
1001
K 0 TD 1 M 2 P F PF S B N 05
+13.08
0
1
0
5
2
4 10
-3.69
METRI 20 PALMI ROMANI
0
1
0
5
Pianta piano primo (22-22) alla quota + 10.40 Scala 1:50
2
4 10
METRI 20 PALMI ROMANI
LEGENDA CODICI AMBIENTI
pavimento ambiente 1001
Piano terra
Piano Schola Cantorum
cantina piano terra transetto destro piano primo piano ammezzato piano secondo porta finestra porta finestra scala ballatoio nicchia codice ambiente e/o apertura
Transetto destro
F003
+0.23
+0.00
Piano seminterrato
K 0 TD 1 M 2 P F PF S B N 05
Porta
TD–0–02 Piano terra
P–1–03
Ambiente n.
Piano primo
Porta n.
LEGENDA F107 +6.49
1001
- - - - - - - - — - — - —
proiezione del contorno della parete di fondo limite area rilevata
-2.59
-0.02
B1001
buche pontaie
canna fumaria individuata +6.49
229. Pianta del piano primo alle quote +7,60 m e +10,40 m.
254
229
230
230. Sezione longitudinale del transetto, dell’antisacristia e del Coro dei frati.
255
Michelangelo. Il marmo e la mente
Rilievi
Sezione (15-15) verso nord-est, eseguita sull’asse della statua di Rachele
Sezione (16-16) verso sud-ovest eseguita sull’asse della statua del Mosè
perpendicolarmente al piano di giacitura del monumento
perpendicolarmente al piano di giacitura del monumento
Scala 1:50
Scala 1:50
F003
F107
+9.28
F004
+9.28
F105 P113
F103 +6.47
+6.47 +5.08
P011
P009
PF006
+0.23
F003
P010
P005
-0.01
0.00
F004
0.00
-0.01
0.00 PK01 PK04 -3.69
-3.67
0
1
0
5
2
4 10
METRI 20 PALMI ROMANI
0
1
0
5
2
4 10
METRI 20 PALMI ROMANI
LEGENDA CODICI AMBIENTI K 0 TD 1 M 2 P F PF S B N 05
cantina piano terra transetto destro piano primo piano ammezzato piano secondo porta finestra porta finestra scala ballatoio nicchia codice ambiente e/o apertura
Transetto destro
Porta
TD–0–02 Piano terra
P–1–03
Ambiente n.
Piano primo
Porta n.
LEGENDA - - - - - - - - — - — - —
proiezione del contorno della parete di fondo limite area rilevata
0.00
LEGENDA CODICI AMBIENTI
0
1
2
4 METRI
K 0 TD 1 M
231. Sezioni verticali del transetto, dell’antisacristia e del Coro dei frati sull’asse delle statue della Vita attiva e del Mosè.
256
cantina piano terra transetto destro piano primo piano ammezzato
Transetto destro
232
Piano terra
piano secondo porta finestra porta finestra
B N 05
ballatoio nicchia codice ambiente
0
5
10
20 PALMI ROMANI
e/o apertura
scala
Porta
TD–0–02
231
2 P F PF S
Ambiente n.
P–1–03 Piano primo
Porta n.
232. Prospetto della “sepoltura”.
257
Michelangelo. Il marmo e la mente
Rilievi
Pianta sezione orizzontale (6-6) alla quota +3.10 Scala 1:20
Pianta sezione orizzontale (4-4) alla quota +10.40 Scala 1:20
Pianta sezione orizzontale (5-5) alla quota +6.90 Scala 1:20
0
1
2
4
LEGENDA CODICI AMBIENTI
METRI 0
5
10
20 PALMI ROMANI
K 0 TD 1 M 2 P F PF S B N 05
- - - - - - - - -
cantina piano terra
proiezione delle coperture
0
contorni del pavimento ambiente 003
porta finestra porta finestra scala ballatoio nicchia codice ambiente e/o apertura
Porta
TD–0–02 Piano terra
Ambiente n.
4
LEGENDA CODICI AMBIENTI
5
10
20
K 0 TD 1 M 2 P F PF S B N 05
piano terra piano primo piano ammezzato
234
pavimento ambiente 1001
piano secondo porta finestra porta finestra scala ballatoio nicchia codice ambiente e/o apertura
Piano terra
233. Sezione orizzontale della tomba e dell’antisacristia alla quota +3,10 m. 233
limite area rilevata pavimento ambiente TD001 antistante il monumento
transetto destro
Porta
TD–0–02
Porta n.
LEGENDA — - — - —
cantina
Transetto destro
P–1–03 Piano primo
2
PALMI ROMANI
piano ammezzato piano secondo
1
METRI
pavimento ambiente TD001 antistante il monumento
transetto destro piano primo
Transetto destro
258
0
LEGENDA
Ambiente n.
P–1–03 Piano primo
Porta n.
234. Sezione orizzontale della tomba alle quote +10,40 m e +6,90 m.
259
Michelangelo. Il marmo e la mente
Rilievi
Area non rilevata
Area non rilevata
Sezione verticale (7-7) verso sud-ovest,
Sezione verticale (9-9) verso nord-est,
Sezione verticale (2-2) verso nord-est,
Sezione verticale (8-8) verso sud-ovest,
Scala 1:20
Scala 1:20
Scala 1:20
Scala 1:20
eseguita sull’asse della porta d’accesso di sinistra all’antisacristia
LEGENDA CODICI AMBIENTI
eseguita sull’asse della porta d’accesso di destra all’antisacristia
0
1
eseguita sull’asse della statua del
2
Mosè
eseguita sull’asse della statua del
LEGENDA CODICI AMBIENTI
4
0
1
Mosè
2
4
METRI
K 0 TD 1 M
cantina piano terra transetto destro piano primo piano ammezzato
Transetto destro
260
piano secondo porta finestra porta finestra scala
Porta
TD–0–02 Piano terra
2 P F PF S
Ambiente n.
P–1–03 Piano primo
Porta n.
B N 05
METRI
K 0 TD 1 M
ballatoio nicchia codice ambiente
0
5
10
20 PALMI ROMANI
e/o apertura
235. Sezione verticale della tomba, dell’antisacristia e del Coro dei frati sull’asse delle porte di accesso.
cantina piano terra transetto destro piano primo piano ammezzato
Transetto destro
236
Piano terra
piano secondo porta finestra porta finestra
Ambiente n.
B N 05
ballatoio nicchia codice ambiente
0
5
10
20 PALMI ROMANI
e/o apertura
scala
Porta
TD–0–02
235
2 P F PF S
P–1–03 Piano primo
Porta n.
236. Sezione verticale della tomba, dell’antisacristia e del Coro dei frati sull’asse della statua del Mosè.
261
Michelangelo. Il marmo e la mente
Rilievi
Contorno non rilevabile
Contorno non rilevabile
Area non rilevata
Area non rilevata
Contorno non rilevabile
Contorno non rilevabile
Sezione verticale (1-1) verso nord-est,
Sezione verticale (3-3) verso nord-est,
Scala 1:20
Scala 1:20
eseguita sull’asse della statua di
Rachele
eseguita sull’asse della statua di
LEGENDA CODICI AMBIENTI
0
Lia
1
2
LEGENDA CODICI AMBIENTI
4
0
1
2
4
METRI
K 0 TD 1 M
cantina piano terra transetto destro piano primo piano ammezzato
Transetto destro
262
piano secondo porta finestra porta finestra
Ambiente n.
B N 05
METRI
K 0 TD 1 M
ballatoio nicchia codice ambiente
0
5
10
20 PALMI ROMANI
e/o apertura
scala
Porta
TD–0–02 Piano terra
2 P F PF S
P–1–03 Piano primo
Porta n.
237. Sezione verticale della tomba, dell’antisacristia e del Coro dei frati sull’asse delle statue della Vita attiva e contemplativa.
cantina piano terra transetto destro piano primo piano ammezzato
Transetto destro
238
Piano terra
piano secondo porta finestra porta finestra
B N 05
ballatoio nicchia codice ambiente
0
5
10
20 PALMI ROMANI
e/o apertura
scala
Porta
TD–0–02
237
2 P F PF S
Ambiente n.
P–1–03 Piano primo
Porta n.
238. Sezione longitudinale dell’antisacristia e del Coro dei frati.
263
Michelangelo. Il marmo e la mente
Tabella delle misure
Tabella delle misure
New York
Parigi
Altezza totale
16b, 42p, 938cm
12b, 31,4p, 703cm
Basamento, altezza
5b, 13p, 293cm
2b, 5,2p, 117cm
Basamento, larghezza
8b, 21p, 469cm
Basamento, profondità
maggio 1513
Berlino
Firenze
1516
1517
1532
tomba nel 1545
18,7b, 49p, 1095cm
22,2b, 58p, 1300cm
22,2b, 58p, 1300cm
14b, 45p, 820cm
16,4b, 43p, 960cm
14b, 37p, 827cm
14b, 37p, 827cm
8b, 20p, 469cm
5,33b, 14p, 313cm
7,6b, 20p, 447cm
7,6b, 20p, 447cm
6,5b, 17p, 380cm
6b, 15,7p, 352cm
6,5b, 17p, 380cm
6,5b, 17p, 380cm
6,5b, 17p, 380cm
7,25b, 19p, 425cm
12b, 31,5p, 703cm
7,6b, 20p, 447cm
11,8b, 31p, 693cm
11,8b, 31p, 693cm
11,4b, 30p, 670cm
11b, 29p, 648cm
11,4b, 30p, 670cm
11,4b, 30p, 670cm
11,4b, 30p, 670cm
2,5b, 6,6p, 147cm
7,25b, 19p, 425cm
18b, 47,2p, 1055cm
13,3b, 35p, 782cm
13,3b, 35p, 782cm
13,3b, 35p, 782cm
13,3b, 35p, 782cm
4,6b, 12p, 268cm
4,6b, 12p, 670cm
0,25b, 0,67p, 15cm
0,25b, 0,67p, 15cm
Basamento, pilastri, profondità
2,5b, 6,6p, 147cm
2,5b, 6,6p, 147cm
4,6b, 12p, 268cm
2,67b, 7p, 156cm
4,6b, 12p, 268cm
4,8b, 12,5p, 279cm
4,6b, 12p, 268cm
4,6b, 12p, 268cm
4,6b, 12p, 268cm
4,6b, 12p, 268cm
4,6b, 12p, 268cm
Basamento, nicchie, profondità
1 1/4b, 3,3p, 73cm
1,57b, 4,13p, 92cm
1,26b, 3p, 67cm
1,57b, 4,13p, 92cm
1,57b, 4,13p, 92cm
1,5b, 4p, 89cm
1,5b, 4p, 89cm
1,5b, 4p, 89cm
1,5b, 4p, 89cm
1,5b, 4p, 89cm
Figure in piedi, altezza
3,5b, 9,2p, 205cm
3,8b, 10p, 223cm
3,33b, 8,7p, 195cm
3,8b, 10p, 223cm
3,8b, 10p, 223cm
3,8b, 10p, 223cm
3,8b, 10p, 223cm
3,8b, 10p, 223cm
3,8b, 10p, 97cm
3,4b, 9p, 200cm
Basamento, intercolunnio centrale
3b, 7,9p, 176cm
2,5b, 6,6p, 147cm
2b, 5,5p, 223cm
2,7b, 7p,1 56cm
2,3b, 6p, 134cm
2,3b, 6p, 134cm
2,5b
2,3b, 6p, 134cm
Piano superiore, altezza
11b, 29p, 645cm
10b, 26p, 586cm
13,3b, 35p, 782cm
14,5b, 38p, 849cm
14,5b, 38p, 849cm
8b, 21p, 469cm
9,9b, 26p, 580cm
Piano superiore, larghezza
6,5b, 17p, 381cm
7,5b, 19,7p, 440cm
7,6b, 20p, 447cm
8b, 21p, 469cm
8,4b, 22p, 491cm
11b, 29p, 648cm
11,4b, 30p, 670cm
7,6b, 20p, 469cm
11,4b, 30p, 670cm
Piano superiore, colonne
0,5b, 1,3p, 29cm
0,5b, 1,3p, 29cm
0,76b, 2p, 45cm
1b, 2,5p, 56cm
0,46b, 1,2p, 27 cm
0,75b, 2p, 44cm
9,9b, 26p
0,46b, 1,2p, 27cm
Piano superiore, rapporto fusti
1:09
1:11
1:09
01:07.2
1:11
01:07.5
Piano superiore, nicchia centrale, altezza
10,5b, 27,5p, 615cm
7,5b, 19,7p, 440cm
13b, 34p, 750cm
13b, 34p, 750cm
Piano superiore, nicchia centrale, larghezza
4b, 13,75p, 307cm
2,25b, 5,9p, 132cm
3,8b, 10p, 223cm
3,4b, 9b, 201cm
Piano superiore, nicchia laterale, larghezza
1,75b, 4,6p, 103cm
3,8b, 10p, 223cm
3,4b, 9p, 200cm
Sarcofago, larghezza
2b, 5,2p, 117cm
2,67b, 7p, 156cm
2,67b, 7p, 156cm
Madonna, altezza
4,5b, 11,8p, 264cm
4,6b, 12p, 260cm
Figure sedute, altezza
2,5b, 6,6p, 147cm
3,8b, 10p, 223cm
Mosè, altezza
2b, 5,2p, 117cm
tomba libera
12,5b, 33p, 737cm
3,8b, 10p, 223cm
luglio 1513
3,8b, 10p, 223cm
2,3b, 6p, 134cm
1:10
7,24b, 19p, 424cm
0,46b, 1,2p, 27cm
3,8b, 10p, 223cm
1:10
2,5b, 6,6p,1 47cm
2,3b, 6p, 134cm 1,7b, 4,5p, 101cm
2,3b, 6p, 134cm
3,4b, 9p, 200cm
4,6b, 12p, 260cm
3,4b, 9p, 200cm
1,7b, 4,5p, 101cm
1,7b, 4,5p, 101cm
3,8b, 10p, 223cm
3,8b, 10p, 223cm
3,4b, 9p, 200cm
3,4b, 9p, 200cm
4,6b, 12p, 260cm
3,4b, 9p, 200cm
legenda
b = braccio fiorentino (58,4-58,6 cm) p = palmo romano (22, 4 cm)
264
265
Michelangelo. Il marmo e la mente
Ricostruzioni
10 metri 0
0
10
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Il monumento di Michelangelo per papa Giulio ii: arte e storia Claudia Echinger-Maurach
Surge, surge, Jerusalem, excutere te pulvere; solve vincola colli tui, quia gloria Domini orta est, et regnat super te Salvator mundi.
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Nell’avvicinarsi al monumento di papa Giulio ii della Rovere in S. Pietro in Vincoli si è guidati da idee così disparate che a tutt’oggi si è ancora lontani dal poter formulare un giudizio conclusivo su quest’opera d’arte1. Quali passi hanno portato a un tale risultato? In quale rapporto è questo con i suoi precedenti, e quali prospettive ha aperto per il futuro? Da un lato i progetti conservati, che presentano solo tombe a parete (dis. 1, 3, 6-7), dall’altro le testimonianze letterarie, che come Condivi magnificano un progetto impareggiabile di tomba isolata (doc. 447), non consentono di tracciare un’evoluzione coerente degli intenti iniziali. Vengono in mente a questo proposito i primi progetti per la Cappella Medicea, nei quali Michelangelo ha continuamente oscillato, con numerose varianti, tra il sepolcro libero e la tomba a parete, come se solo da questa estrema tensione, mantenuta sino alla fine, potesse scaturire il progetto convincente, veramente nuovo (fig. 2)2 . Nel caso della tomba di Giulio ii non si è sinora tenuto forse abbastanza conto del bisogno dell’artista di non assecondare se non funzionalmente un desiderio del committente3 e creare invece qualcosa di esemplare. L’intenzione di Michelangelo di fare, della facciata di S. Lorenzo a Firenze, uno «specchio di tucta Italia»4 vale anche per il monumento di Giulio ii, quando nel 1506 promette: «non à la par cosa tucto il mondo» (doc. 26). Se si prescinde dallo schizzo di una tomba a forma di arco trionfale conservato in due parti al Louvre (dis. 1; tav. 2), il precoce disegno di presentazione di New York (dis. 3; tav. 1) rivela lo sforzo di Michelangelo di attribuire, attraverso le figure, grandiosità e intensità emotiva al sepolcro papale, di appellarsi cioè meno alla pacata contemplazione piuttosto che ai sentimenti. Nella Sibilla e nel Profeta della tomba in S. Pietro in Vincoli si sarebbe dovuta percepire ancora un’eco di questa prima concezione, ma purtroppo Raffaello da Montelupo non è stato in grado di cavare dalla pietra figure colme in modo analogo di visibile lamento interiore e pianto (sc. 12, 13; tavv. 163, 167)5 . Nel disegno di New York tutte le figure, anche quelle del rilievo, sono animate da profondo trasporto e unite in un “concerto” di gesti e sguardi che si lascia nettamente alle spalle tutte le tombe del Quattrocento. Nonostante ciò, l’invenzione e la rappresentazione della piuttosto semplice articolazione architettonica non possono peraltro ancora competere. Radicalmente diversa è invece la situazione nel secondo disegno di presentazione, conservato nel Kupferstichkabinett di Berlino insieme alla ben leggibile copia realizzata da Giacomo Rocca (dis. 7, 7/copia 1; tavv. 22, 24). Senza questo disegno non si avrebbe alcuna idea di quanto ancora più ardita fosse la seconda concezione. Chi come Michelangelo intendeva creare col monumento qualcosa che “non ha pari”, non poteva fermarsi a un’iconografia che sotto alcuni aspetti appariva ancora tradizionale: nel disegno di New York le Virtù selezionate occupano ancora il piano inferiore, come se dal tempo della tomba Coscia di Donatello e Michelozzo nel Battistero di Firenze non si fosse imparato più nulla. Artisticamente irrisolto resta anche l’affollato gruppo isolato di figure con al centro il papa defunto, verso il quale discende dolcemente il Bambino benedicente in braccio alla Madonna, chinata amorevolmente verso di lui. Per creare
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delle analogie era necessario mutare radicalmente la forma del piano inferiore e annunciare in forma più semplice questo climax architettonico e figurativo. Ciò significava anche progettare nel basamento gruppi di più figure concepite – sul piano del contenuto – con analoga ricchezza di contrasti. In un tour de force senza pari l’artista riuscì, riunendo visivamente le Vittorie dei plinti delle colonne dell’arco di Costantino con gli incatenati dell’attico6, a ideare per il monumento di Giulio ii un insieme di Prigioni e geni della Vittoria che nel forte contrasto di incatenamento e vittorioso levarsi possono essere intesi come allusione alla resurrezione che attende il pontefice, mostrato in alto nella sua caducità. L’artista modella, in piccolo, le nicchie inferiori con le loro cornici esattamente come la gigantesca nicchia centinata del piano superiore. Anche il sarcofago si integra con le sue nuove dimensioni nell’architettura complessiva, che è ora meglio proporzionata, e articolata in modo più differenziato. I gruppi sono collegati da basi poderose, mentre le decorazioni architettoniche figurate del piano inferiore, i Termini, si prolungano a lato dei troni negli acroteri coi putti. Il piano inferiore si conclude così in questa zona intermedia, nella quale trovano posto le figure maggiori per il loro spirito, creando un polo di quiete nel fluttuare di un insieme mosso e contrastato. Nella sua Vita di Michelangelo del 1553 (doc. 447) Condivi descrive il pro-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
Pagine precedenti: 1. Un particolare archiettonico della tomba con una delle volute. 2. Michelangelo, Disegni per monumenti sepolcrali, 1520, Londra, The British Museum, inv. 1859-6-25-545.
Il monumento di Michelangelo per papa Giulio ii: arte e storia
5. Antonio da Sangallo, Baccio Bandinelli e Raffaello da Montelupo, Monumento di papa Leone x, 1536-41, Roma, S. Maria sopra Minerva.
3. Antonio del Pollaiuolo, tomba di Sisto iv, 1484-93, Roma, S. Pietro, Tesoro. 4. Baldassarre Peruzzi, Tomba di Adriano vi, 1523-33, Roma, S. Maria dell’Anima.
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getto di un sepolcro isolato di contenuto simile: il fascino che il monumento, tramandato solo nella letteratura, è tutt’oggi in grado di esercitare, è un esempio evidente della forza persuasiva della pura idea. La composizione traboccante di figure della volta Sistina, così vicina nel suo coordinarsi di figura e architettura al disegno di presentazione per la tomba di Giulio ii, prova che era proprio Michelangelo l’artista in grado di dare realtà a questa concezione, peraltro più facilmente realizzabile in pittura che nel marmo. A ragione C.L. Frommel (1977) ha osservato che ci si potrebbe immaginare la tomba isolata nella nuova Capella Julia che Bramante stava realizzando. Chiari sono i riferimenti alla tomba bronzea che Giuliano della Rovere aveva devotamente commissionato per lo zio Sisto iv per la sua Cappella in S. Pietro (fig. 3)7; essi ricordano la bella tradizione secondo la quale i rapporti di parentela – come nel caso dei due pontefici Pio ii e Pio iii (figg. 8-9)8 − potevano essere presentati senza spendere troppe parole, creando monumenti di analoga forma. Ma in questo caso tutto ciò era destinato a restare un semplice auspicio (ammesso che sia mai stato realmente espresso), per i tempi non prevedibili che, com’era chiaro a tutti gli interessati, avrebbe richiesto l’erezione del monumento in una basilica come S. Pietro, ancora da edificare9. Tenendo conto di questa situazione si comprende meglio perché l’incarico nei decenni successivi sia stato continuamente differito, se non tirato in lungo. L’artista ebbe la possibilità di realizzare l’idea del sepolcro solo nel 1513, dopo la morte del papa nel febbraio di quell’anno (doc. 48) e l’approvazione del nuovo progetto da parte degli esecutori testamentari (docc. 52-55). Leonardo
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Grosso della Rovere continuò generosamente la tradizione dei ‘nepoti’ che si davano premura della sepoltura dei loro familiari, e accrebbe la somma lasciata dal pontefice per la tomba, 10500 ducati, di altri 6000 (doc. 52-55): un importo di regale munificenza, del tutto confacente allo stile di vita e al modo di pensare di Giulio ii. Enorme come il compenso prospettato era anche il monumento, dettagliatamente descritto nel contratto del maggio 1513 (doc. 52). Peraltro per la sua realizzazione Michelangelo aveva a disposizione solo una piccola parte del marmo necessario – poco più della fronte del piano inferiore eretta in S. Pietro in Vincoli −, nonché alcuni blocchi per statue dai quali trasse i due Schiavi oggi al Louvre, il Mosè e, a partire dal 1514, la prima versione del Cristo risorto di S. Maria sopra Minerva10 . Dopo aver completato entro il 1514 con un nutrito gruppo di collaboratori l’architettura del piano inferiore (docc. 57, 67-68)11, nello stesso anno Michelangelo parlava già di tornare in famiglia a Firenze e proseguire da lì i lavori (doc. 64). Chi già nel 1514 aveva accettato un’ulteriore commissione da un privato come Metello Vari, si sarebbe ovviamente messo in cerca di nuovi e più importanti incarichi: l’occasione si offrì per Michelangelo con la facciata della basilica di S. Lorenzo nella sua città natale (fig. 6). Tra la fine del 1515 e l’inizio dell’anno successivo ha inizio la movimentata vicenda della progettazione della facciata, che viene sempre più ad intrecciarsi con i lavori per la tomba di Giulio ii12. Poiché mancava ancora materiale per il “quadro” dell’architettura e per le sculture (docc. 84, 88), dalla fine di aprile 1515 si limitò a creare piccoli modelli per le statue del sepolcro (docc. 78, 86; tav. 99)13. All’inizio del luglio
1516, in un nuovo contratto, riuscì non solo a ottenere un considerevole ridimensionamento del progetto, ma anche la possibilità di lavorare in luoghi di propria scelta (docc. 97-102). Ciò gli consentì mano libera per altri lavori a Firenze, che d’ora in avanti intendeva condurre in contemporanea14. Nel nuovo contratto dell’8 luglio 1516 si può cogliere la struttura del monumento di Giulio ii nella forma in gestazione già dal 1513 (docc. 100-101). La fronte già ultimata del piano inferiore parla un’altra lingua rispetto a quella del disegno di presentazione di Berlino, quella cioè del “quadro” di marmo sul quale si elevano ora con maggiore vigore e ampiezza i pilastri portanti (dis. 31-34). Le misure, modificate rispetto al progetto, sono state attentamente aumentate in relazione alle dimensioni delle sculture, di poco superiori al naturale, che dovevano essere poste davanti ai Termini (sc. 1, 2; tavv. 65, 76). Nelle nicchie, relativamente strette, potevano essere ormai collocati solo i gruppi delle Vittorie a forte sviluppo verticale: ciò spiega la nuova forma allungata della più tarda Vittoria di Palazzo Vecchio (sc. 8; tav. 115). Il piano superiore rielaborato non può sottrarsi al ritmo appesantito degli elementi così infittiti di quello inferiore. Il corpo superiore, con una sfuggente struttura a cassa che si vede nel disegno di Casa Buonarroti 69a (dis. 18; tav. 34), completa l’alzato nella forma di una facciata con fianchi, in cui difficilmente si immagina una tomba. Qui ha inizio la rinnovata problematica della ideazione, perché ora le figure del piano superiore dovrebbero essere ospitate in nicchie, in particolare il gruppo del pontefice con gli angeli che lo accompagnano (dis. 17; tav. 35), e ancora più all’interno la statua della Madonna col Bambino nella prevista tribunetta (doc. 100). A confronto con i gruppi vivacemente animati e dagli ampi movimenti dei precedenti disegni, questi vengono ora ridotti a gruppi compressi, a causa della massiccia architettura che essenzialmente s’ispira all’articolazione del Cortile del Belvedere progettato da Bramante. Benché l’architettura del piano superiore sia nel contratto chiaramente fissata, a ben considerare anche qui dovrebbe trattarsi più di una visione che di una realtà seriamente progettata: la prova è nel fatto che dal 1519 Michelangelo lavora a Firenze solo alle figure del piano inferiore (sc. 4-7; tavv. 90-114), come se sul piano superiore si potesse dire qualcosa solo dopo averne stabilita la collocazione. Anche solo un rapido sguardo alle tombe papali romane del terzo e quarto decennio del secolo consente di verificare la preponderanza dell’incorniciatura architettonica sulle figure: il tentativo di Michelangelo di proporre sculture di grandezza superiore al naturale mise gli artisti successivi nella necessità, per così dire, di reagire. Se nel monumento, di classica bellezza, di papa Adriano vi Baldassarre Peruzzi ridusse le dimensioni delle leggiadre personificazioni delle Virtù, nell’articolazione architettonica si attenne invece a un criterio di elegante grandiosità (fig. 4)15. L’inedito marmo colorato delle colonne toglie all’alzato ogni pesantezza. I sensibili scultori conferirono alle Virtù una grazia incantevole, non solo raffigurandole in pose rilassate, ma anche grazie a un’iconografia piena d’inventiva. Meno accattivanti al confronto sono i due successivi monumenti a Leone x e Clemente vii: troppo invasivo è il contrasto tra l’architettura ad arco trionfale progettata secondo tutte le regole dell’arte e le figure di Bandinelli nelle nicchie laterali, che in confronto fanno l’effetto di essere quasi troppo vive (fig. 5)16. Le tombe cardinalizie di Andrea Sansovino in S. Maria del Popolo, col loro ricco decoro, oppure la Cappella Chigi di Raffaello, con la sua decorazione multicolore, avrebbero potuto fornire l’esempio di un complesso plastico riuscito. Proprio questa unità plastica è in pericolo nel progetto di Michelangelo, a causa del massiccio corpo superiore; soprattutto i rilievi al di sopra delle nicchie laterali con le figure erano elementi che avrebbero chiuso, e non aperto la struttura17. La forma dell’arco trionfale deve essere profondamente trasformata
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per potersi fondere con le figure in un’unità persuasiva. Altrimenti architettura e figure risultano giustapposte senza realmente legarsi – un problema che in S. Pietro in Vincoli Michelangelo può solo in parte risolvere. Sotto questa prospettiva appaiono in una nuova luce gli Schiavi del Louvre e quelli dell’Accademia di Firenze, che nel 1519 Michelangelo comincia a scolpire per la tomba di Giulio ii (doc. 201). Collocati su un piedistallo, con il loro linguaggio gestuale del tutto nuovo si sarebbero mossi davanti all’architettura, non al suo interno. Con gli stati d’animo e gli sforzi, completamente diversi, con i quali reagiscono all’incatenamento dànno vita a un dialogo reciproco pieno di tensione, la cui potenza conflittuale sarebbe stata ulteriormente accresciuta dalle Vittorie poste tra loro (dis. 40-44; tavv. 9, 46-47, 49). In un altro modo Michelangelo continuò a lavorare lungo questa linea nella Sagrestia Nuova quando rinunciò alle tradizionali figure su piedistallo e spostò il sarcofago – che nelle tombe costituisce sempre un problema fondamentale – davanti all’architettura del sepolcro, collocandovi al disopra le figure che, come personificazioni del tempo, gli sono concettualmente legate. Così, ancor più risolutamente che nella sepoltura di Giulio ii, quasi tutte le figure significative dal punto di vista iconografico vengono messe fuori dall’architettura. Perfino le statue dei duchi, con l’ampiezza dei loro gesti, escono dalle loro piatte nicchie. L’articolazione architettonica sopra lo zoccolo, sviluppata sul modello dell’arco trionfale, s’infittisce di piatte e strette nicchie, accompagnate da pilastri doppi finemente scannellati. Guardando al contenuto, la decorazione raggiunge il suo culmine nei bizzarri
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6. Michelangelo, Modello della facciata di S. Lorenzo, 1518, Firenze, Casa Buonarroti.
Il monumento di Michelangelo per papa Giulio ii: arte e storia
8. Tiberio Alfarano, Pianta della Basilica di S. Pietro, incisione di Natale Bonifazio, 1590, Fabbrica di S. Pietro in Vaticano.
7. Michelangelo, Schizzi per tombe del 1526, Oxford, Ashmolean Museum, Parker 308r.
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capitelli. Michelangelo impiega la componente demoniaca – come il buio rispetto alla luce – come necessaria controparte alla bellezza delle sculture. In forme altrettanto bizzarre scolpirà i busti e le teste dei Termini nei due piani della tomba di Giulio ii in S. Pietro in Vincoli18. Come i Prigioni riuniti a coppie con la Vittoria che spicca al centro preparano poco dopo, nella facciata di S. Lorenzo, l’unità di base di una coppia di colonne e di una figura disposta nel mezzo (fig. 6); l’idea di Michelangelo per le tombe di Leone x e Clemente vii s’intreccia così, oltre un decennio dopo, con la sua fantasia architettonica per il Ricetto della Biblioteca Laurenziana: in entrambi i casi vi sono tratti di parete fiancheggiati da colonne e si riscontra la tendenza a porre le statue sedute davanti a sezioni parietali aggettanti, piuttosto che arretrarle entro nicchie (fig. 7, cfr. fig. 10)19. In un certo senso a questo punto si è ansiosi di capire se negli anni immediata-
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mente seguenti Michelangelo riuscirà, nella collocazione definitiva del sepolcro, a riallacciarsi a questa concezione di portata epocale. A impedire che il grande progetto in gestazione dal luglio 1513, e avviato nel 1516, effettivamente si realizzasse fu nel 1520 la morte del cardinale Leonardo Grosso della Rovere (docc. 213-215). Scomparso il principale finanziatore del monumento, gli eredi si rifiutarono di ottemperare all’impegno assunto (doc. 268), provocando un radicale cambio di programma. Non deve quindi meravigliare che alla metà degli anni Venti (docc. 268, 270, 272) si cercasse un accordo per realizzare un progetto “risecato”20, che Michelangelo fissava nel 1526 in un disegno (docc. 281-282, 284), e che diverrà in certo senso realtà a partire dal 1532. Il 29 aprile 1532, dopo laboriose trattative (docc. 291-317, 321) e sotto la supervisione di Clemente vii, si arrivò infatti alla formulazione di un nuovo contratto, le cui principali clausole erano l’annullamento definitivo del progetto del 1516; l’impegno a erigere un monumento conforme alla somma già ricevuta di 8000 ducati, con sei sculture autografe di Michelangelo e le restanti affidate ad aiuti, e l’obbligo infine di terminare l’opera entro tre anni, ossia nell’agosto 1535 (docc. 322, 323). Come già in precedenza, Michelangelo si dedica al nuovo progetto solo dopo la sottoscrizione dell’atto (doc. 325). Una volta esclusa la possibilità di collocare il monumento in S. Pietro in Vaticano, già nell’aprile 1532 Michelangelo opta per S. Pietro in Vincoli, luogo che offriva condizioni di spazio e illuminazione assai più vantaggiose dell’altra chiesa roveresca per eccellenza, S. Maria del Popolo, sicuramente più frequentata e più amata dalla famiglia (docc. 324, 335). Un abbozzo di lettera del 1532 attesta come Michelangelo avesse pensato in un primo momento di erigere il monumento sulla solida parete nord del transetto, dove si trovava, davanti alla tomba di Niccolò Cusano, l’altare con il tabernacolo delle “sacre cathene”21, che avrebbe dovuto dunque essere rimosso. Clemente vii aveva peraltro provveduto a emanare una dispensa per il trasferimento delle reliquie, destinandole probabilmente all’altare maggiore (doc. 335)22. Durante il soggiorno a Roma, dall’ottobre 1532 al giugno 1533, Michelangelo deve aver optato per la soluzione molto più audace di lasciare al suo posto l’altare delle catene e porre la tomba sulla parete di fronte, attigua al convento, la cui costruzione era stata iniziata nel 1498 da Giulio ii in qualità di cardinale del titolo di S. Pietro in Vincoli (tav. 224)23. Nella scelta della collocazione Michelangelo dà prova di due fondamentali fatti. In primo luogo l’attenzione con la quale aveva osservato nell’antica basilica di S. Pietro come alcuni monumenti papali fossero in relazione alle reliquie donate dai pontefici. I due monumenti di Pio ii e Pio iii nella navata laterale meridionale erano orientati verso l’altare di san Gregorio col ciborio con la testa di sant’Andrea24 , mentre il sepolcro bronzeo di Innocenzo viii guardava verso il ciborio con la Santa Lancia sull’altare della Madonna (fig. 8)25. In questa prospettiva acquistano nuova luce le intense premure di Clemente vii per erigere un ciborio nella basilica di S. Lorenzo, nel quale presentare, in una elegante custodia e nello stesso tempo al sicuro, le reliquie di proprietà dei Medici: a tale scopo Michelangelo aveva preparato diversi progetti, tra l’altro di un altare con ciborio su quattro colonne all’ingresso del coro26. Non è escluso, benché poi nulla sia stato realizzato, che Michelangelo si fosse anche immaginato le tombe dei papi nel coro dietro il ciborio27. In S. Pietro in Vincoli, per potere orientare il monumento di Giulio ii oltre il transetto verso l’altare con le catene di san Pietro – il cui tabernacolo Giuliano della Rovere aveva già fatto assicurare con porte28 –, Michelangelo si assunse un certo rischio, in quanto fu necessario rinforzare notevolmente la parete per reggere il peso delle statue. Con tale scelta egli raggiunse un secondo obbiettivo, quello cioè di collegare il monumento con gli ambienti conventuali dei canonici della congregazione lateranense sul lato sud della chiesa, donati da
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9. Anonimo (Domenico Tasselli?), Frammento della parete meridionale della navata meridionale esterna del vecchio S. Pietro, xvii sec., Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 2733, foll. 128v-128r.
10. Michelangelo, Studio per tomba parietale del 1526, Firenze, Casa Buonarroti, inv. 128ar.
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Giuliano della Rovere, mettendo in comunicazione con l’apertura di finestre e di una porta l’alzato del sepolcro e gli ambienti retrostanti29, l’antisacristia e la cantoria al piano superiore (doc. 473; tavv. 228-231). Quali elementi hanno determinato il nuovo progetto? L’ampiezza del monumento era in sostanza stabilita dal “quadro” architettonico, realizzato nel 151314 nella bottega romana di Michelangelo (dis. 31, 34; tavv. 31, 32). Nel progetto d’insieme occorreva però includere anche i pilastri del transetto e le porzioni di parete che racchiudevano a destra e sinistra la tomba, nonché la lunetta soprastante (tavv. 64, 232). Per la sua apertura – e il particolare è rimasto sinora inosservato − Michelangelo s’ispirò al lunettone della tomba di Pio iii nel vecchio S. Pietro in Vaticano. Eretta al di sotto di una finestra ad arco a pieno centro, non ne toccava il margine inferiore, anche se il disegnatore vi pose all’interno la tiara dello stemma pontificio (fig. 9; cfr. docc. 270, 272)30. Il raggio dell’arco del lunettone di S. Pietro in Vincoli è determinato dal bordo inferiore delle semplici mensole dei capitelli che reggono la volta del coro dei canonici, mentre l’altezza della struttura è fissata dall’altezza dei pilastri del transetto (tavv. 230, 232). Ma da che cosa dipende l’altezza del piano inferiore, che l’artista colloca su due nuovi zoccoli in marmo di diverso colore (tav. 187)? Con queste due nuove zone le nicchie laterali del piano inferiore sono spinte così in alto e rese così piatte da non consentire più la collocazione della Vittoria, già quasi ultimata a Firenze. Michelangelo si decise perciò già nel 1532 a rinunciare alle cinque sculture fiorentine. Solo le sezioni trasversali della tomba, realizzate da Giuseppe Papillo durante il restauro, hanno per la prima volta permesso di dare una risposta convincente all’interrogativo: l’altezza del piano inferiore ultimato dipende dal punto di attacco della nicchia della Madonna (tavv. 231, 236). Michelangelo avrebbe potuto scavarla solo se ci fosse stato spessore sufficiente, prevedendo dei soste-
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gni dal basso. Come mostrano le sezioni, l’artista fece rientrare la metà inferiore della nicchia nello spazio sopra la volta dell’antisacristia, mentre ne avvolse con un muro la porzione superiore che sporgeva nella cantoria (tavv. 234, 238). Alla sommità della nicchia collocò infine il grande stemma (tav. 236)31. Va sottolineato perciò come l’alzato della tomba dipenda, entro una certa misura, dagli ambienti retrostanti della chiesa e del convento, conformati da Michelangelo alle proprie esigenze. Per reggere il peso delle statue del piano superiore, soprattutto della Madonna e dello stemma, il maestro rafforzò la parte retrostante del corpo inferiore del monumento, nella forma sopra illustrata, non solo nell’antisacristia, ma anche nella sottostante cantina, dove le pietre grezze consentono di individuare facilmente l’opera muraria inserita ex novo (tav. 231). Il consolidamento murario è visibile anche in una fotografia scattata al momento della demolizione del muro esterno di questo tratto e pubblicata da Krautheimer32. La figura mostra come lo spesso muro posteriore della tomba abbia richiesto una correzione, ricordata nei documenti, della volta nell’antisacristia (docc. 353, 356, 358). Concludendo si può dunque così riassumere: nel maggio 1533 si praticò l’apertura nel coro dei canonici, cioè il grande lunettone finestrato che giunge sin quasi ai davanzali delle finestre rettangolari dei muri trasversali (docc. 348-349, 353). Entro l’agosto-settembre 1533 vennero probabilmente edificati il muro di rinforzo in cantina e quello cui addossare il piano inferiore del monumento. Al tempo stesso si ridusse la volta dell’antisacristia (docc. 353, 356, 358; tav. 231). Il nuovo muro inglobava ora anche il portale quattrocentesco del transetto, collocato forse in origine di fronte all’ingresso della sacrestia. Al suo posto venne aperta, a sinistra della tomba, una nuova porta senza incorniciatura, chiusa da un battente di legno con uno stemma non identificato. Il passaggio dal transetto all’antisacristia si apre a forma di trapezio, ed è ornato da una cornice di portale
risalente al cardinalato di Giuliano della Rovere (tavv. 215, 238). Il passaggio più piccolo, a destra del monumento, è di epoca recente. Quando Sebastiano del Piombo, il 16 agosto 1533 chiese a Michelangelo come configurare il muro sopra la tomba, sembra sollecitare un alzato dettagliato del piano superiore del monumento ancora mancante, che consentisse ai capomastri di proseguire nei lavori (doc. 356)33. Michelangelo, tornato a Roma nell’ottobre 1533, fece probabilmente sistemare almeno le parti finite del cenotafio. Ma che forma aveva assunto a questo punto il progetto architettonico della tomba? Nella nuova versione sembra dominare una poderosa struttura che, caratterizzata nel piano superiore da un raffinato disegno, culmina in una lunetta ed è connessa in modo originale con porte e finestre ai retrostanti ambienti. Michelangelo è davvero mosso dal desiderio «di fare cosa ancora più degna dell’obligo suo» (doc. 348), e l’accento non è più posto solo sulle statue, il cui numero viene sensibilmente ridotto, con l’eliminazione del contrasto, insito nel progetto del 1513-16, tra gruppi scultorei del tutto diversi nel piano inferiore e in quello superiore. A conferire unità al nuovo progetto è il principio della simmetria, che impone di conferire la medesima forma a elementi che si ripetono. Il nuovo alzato è dotato di tre vani rettangolari e tre nicchie semicircolari che, alternandosi, collegano i due piani fra loro. Nei vani rettangolari l’artista intendeva porre statue sedute, nelle tre nicchie semicircolari figure stanti, in quella superiore la Madonna. Le sei sculture avrebbero attorniato il pontefice al centro della tomba, disteso sul sarcofago proiettato in avanti. Grazie a tale disposizione la tomba acquistava un marcato centro figurativo tanto nel piano superiore quanto in quello inferiore, mentre nell’asse centrale si avvicendavano con elegante alternanza una figura seduta, una distesa e una stante (tav. 64). Alla realizzazione del nuovo programma figurativo non si interponevano troppe difficoltà, dopo la rinuncia di Michelangelo a servirsi delle sculture fiorentine. Nel contratto del 1532 si era imposto all’artista l’obbligo mortificante di eseguire di propria mano almeno sei statue e di affidare il resto a bravi maestri e aiutanti sotto la sua supervisione, ma l’accorgimento da lui usato fu di far sì che il numero complessivo delle sculture coincidesse quasi con le sei da realizzare di sua mano (docc. 322-324). In una lettera a Giovan Francesco Fattucci probabilmente del 1533, afferma perfino che delle statue richieste già quattro erano terminate (doc. 336). Queste non possono che essere il Mosè e i due Schiavi oggi al Louvre (sc. 9, 1-2); sulla quarta non si è finora stabilito nulla di certo34. Ho proposto di identificarla con quella del pontefice che, come attestano i documenti (docc. 388-389, 396), era stata non solo scolpita, ma anche collocata nella tomba prima del 1542, come dimostra anche il nuovo disegno (sc. 11; dis. 48a; tavv. 60, 150-162). Dato che la gigantesca scultura del Mosè era troppo grande35 per le nuove aperture progettate per il piano superiore, non poteva che trovare spazio nel vano centrale del corpo inferiore. In quello superiore statue di dimensioni minori, cioè una Sibilla e un Profeta (sc. 12, 13), avrebbero fiancheggiato il pontefice e la Madonna stante col Bambino (sc. 10; tavv. 146-149). La lettera a Fattucci induce a pensare che le nicchie ai lati del Mosè dovessero essere in un primo momento occupate dai due Schiavi romani. Che per l’artista l’idea fosse solo però un semplice diversivo nei confronti dei committenti e di sé stesso, è dimostrato dalla decisione nel 1542 di sostituire alle due sculture quelle della Vita attiva e della Vita contemplativa (docc. 388-389; sc. 14, 15; tavv. 175-184)36. Se nel 1533 Michelangelo parte dall’idea, per lui tranquillizzante, che delle sei statue di sua mano previste dal contratto, di cui quattro delle quali già quasi finite, ne consegue che, oltre alla Madonna, mancavano solo il Profeta e la Sibilla, facilmente eseguibili (doc. 336)37. Per poter mettere in opera il primo livello occorreva scolpire i busti dei Termini
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(tavv. 205-208). Prima di procedere al montaggio del “quadro” ultimato, si acquistò nuovo marmo grigio chiaro, col quale Michelangelo realizzò il doppio zoccolo sotto i piedistalli e un basso battiscopa di rifinitura. Il grande basamento, di uguale altezza, sotto il Mosè non appartiene a questa fase, ma risale al 1818 (docc. 487-495; tav. 64). Una volta terminata la zona dello zoccolo si collocarono i piedistalli, in gran parte decorati dal Pontassieve, per porvi ai lati i “membreti” di sostegno. Le pareti laterali della nicchia del Mosè sono costituite da grandi lastre con sulla fronte una stretta decorazione a candelabri, comune a tutti i “membreti”, e sui lati lunghi un rilievo celato dalla parte inferiore della statua. Il campo quadrato alle spalle del Mosè si compone di più lastre di diversa grandezza, dato che sarebbe stato comunque occultato dall’imponente statua38. Ai piedistalli fanno seguito le “gambe” dei Termini, rastremate verso il basso e appoggiate con scarso risalto su segmenti rettilinei di pilastro. Leggiadre corone di fiori e un anello di elegante forma sono fissati al margine inferiore del profilo che chiude questa zona centrale. Le volute non compaiono nei disegni della tomba semifinita; vennero perciò aggiunte probabilmente dopo il 154239. Al di sopra delle pareti delle nicchie, costituite da due lastre, si succedono le conchiglie, i busti dei Termini, i “membreti” laterali, le tabulæ ansatæ del fregio e infine una cornice a conclusione del piano inferiore (tav. 188). Si passò probabilmente a erigere la fascia dei piedistalli del nuovo piano superiore, come inducono a supporre i disegni di Aristotile (dis. 47a; tav. 59) e dell’Anonimo (dis. 48a; tav. 60). Questa nuova porzione giungeva fino al punto
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Michelangelo. Il marmo e la mente
Il monumento di Michelangelo per papa Giulio ii: arte e storia
11. Michelangelo, Ricetto, 1524-34, Biblioteca Laurenziana, Firenze.
di sutura, chiaramente visibile, all’altezza del profilo della base dei Termini del piano superiore (tav. 193)40. Nella nuova zona si avverte già non solo un diverso linguaggio formale, ma anche un nuovo rapporto della struttura architettonica con la parete. Al posto di un rilievo parietale scandito per piani poco marcati, al quale si conformano le fini grottesche, la parete è qui tutta percorsa da un potente movimento (tav. 209). Essa si protende in avanti, come nel Ricetto della Biblioteca Laurenziana, con blocchi di pilastri, mentre nella parte posteriore digrada progressivamente verso il centro, così da lasciare spazio al sarcofago del papa (tav. 187). Questa graduazione dei pilastri verso il centro, non osservata in precedenza, presenta affinità soprattutto col progetto di Michelangelo per una tomba papale (per il coro di S. Lorenzo), del 1526 ca., che, pur orchestrata in modo ancora più ricco rispetto al monumento di Giulio ii, mostra un sarcofago tra blocchi in vario aggetto rispetto alla parete (fig. 10). Nel piano superiore i pilastri presentano anteriormente forti risalti per ospitare i Termini nitidamente intagliati. Se in questo elemento decorativo, poco pronunciato e tutto risolto in superficie, prosegue il tenue rilievo del piano inferiore, il corpo superiore non ha nulla in comune con la struttura squadrata di quello sottostante, di sapore ancora quattrocentesco, con i fronti anteriori dei pilastri tutti allineati, cosa che non avviene superiormente (tranne che nei Termini). Proprio la continua alternanza di aggetti e rientranze produce l’impressione che nel corpo superiore il gioco di forze includa anche i pilastri del transetto. È dunque del tutto logico che Michelangelo abbia in seguito deciso di allargare lateralmente le strette finestre della cantoria verso i pilastri del transetto. Non si è finora prestata attenzione a questo piano finestrato, ma è significativo il fatto che tali aperture siano poste su vari piani (tavv. 217-218, 238). Quelle alle estremità, prive di cornice, avanzano rispetto a quelle centrali dotate di cornice. A un livello ancora più arretrato è la nicchia della Madonna. Nel momento in cui ha ideato e fatto eseguire la fascia di piedistalli del piano superiore, Michelangelo aveva perciò già stabilito la graduale riduzione dello spessore dei pilastri verso il sarcofago e la nicchia della Madonna, e deciso dunque, in tutto e per tutto, l’aspetto del corpo superiore, per quanto terminato solo nel 1542-43 (docc. 395-396, 405, 417, 418). La classica articolazione a semicolonne, come prevista dalla maggior parte delle ricostruzioni del progetto del 1532, non si presta a essere inserita in una tale architettura articolata su più piani41. L’analisi dei singoli elementi rivela come Michelangelo abbia modificato nella prima fascia del livello superiore non solo forma e profili, ma anche il ritmo delle membrature. Ha ideato piedistalli più alti e slanciati e allargato alquanto i “membreti” laterali. Ha risolto in modo del tutto nuovo il problema della forma del piedistallo: nei blocchi corrispondenti del piano inferiore compaiono le solite superfici incorniciate e decorate. Cornici ricurve allargano in alto e in basso i piedistalli, le cui forme non hanno niente a che vedere con quelli dei Termini sovrastanti (tavv. 197-200). Per il livello superiore Michelangelo adotta invece come piedistalli blocchi rettangolari tagliati agli angoli. Ottiene così un pannello anteriore perfettamente levigato che sopra si congiunge al semplice profilo in due parti del piedistallo, e sotto aderisce, con un proprio profilo tripartito, al plinto liscio (tavv. 209, 211). Questo pannello prepara formalmente il Termine sovrastante dal rilievo poco marcato; anche per tale ragione sono improponibili delle semicolonne. I piedistalli e i pilastri con i Termini parlano ora per la prima volta la stessa lingua, un’impresa impensabile senza la fondamentale ricreazione del vocabolario formale e sintattico nella Biblioteca Laurenziana42. Intenzionato a conferire autonomia al suo linguaggio formale, Michelangelo non può fare altro che rinunciare a ogni ulteriore decorazione. Anche il sarcofago del pontefice doveva conformarsi a questa riformulazione
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ti” laterali. Questi segmenti di pilastri arrivano, in un primo tratto, all’altezza dell’imposta della nicchia della Madonna, fiancheggiata da paraste con cornice poco aggettante. Come nel piano inferiore, dove funge da conclusione di un primo ordine più piccolo, il profilo di imposta di questa nicchia corre, in forma di stretto architrave a due fasce, dietro i Termini, collegando al piano della parete la struttura architettonica, animata da forti sporgenze e rientranze. Se si confronta il profilo di imposta che corre nel piano inferiore sotto i busti dei Termini con il primo architrave interrotto del piano superiore che stringe in modo elastico il ritmo aggettante e rientrante di nicchie e pilastri, è possibile cogliere qui, nella stessa opera, sulle orme di Ackerman, la differenza tra “stile di rilievo” giovanile e “stile cinetico” che caratterizza l’architettura michelangiolesca tarda (tav. 64)44. Un po’ sopra il primo architrave va probabilmente immaginato il bordo inferiore del lunettone realizzato nel 1533. Tutti i blocchi di marmo al di là di questa cesura conferiscono al piano superiore la sua forma definitiva. Diversamente dal corpo sottostante, i Termini non presentano, tranne che nella testa, aspetto umano; anche per tali forme astratte Michelangelo si ricollega qui alle edicole del Ricetto della Biblioteca Laurenziana (fig. 11). La parte alta della tomba è coronata da un cornicione dal forte risalto che, formalmente affine agli altri profili del piano superiore, conclude tutti gli aggetti e le rientranze architettoniche. Condivi ha evidenziato a ragione quanto fosse felice questa parte del monumento: «Il tutto della sepoltura non è se non bello, e principalmente il legar delle parti sue insieme per mezzo del corniciame, al qual non si può apporre» (doc. 450). Una delle principali finalità è stata qui di cercare di documentare come, nel nuovo vocabolario formale e sintattico utilizzato da Michelangelo nel sepolcro di S. Pietro in Vincoli rientri a pieno titolo il peculiare modo di trattare la luce, incanalata attraverso il lunettone finestrato e le quattro aperture che sfondano la parete e bucano il monumento, secondo una sperimentazione già avviata fin dai tempi della Sagrestia Nuova (tav. 186)45. La singolare penombra, che nell’arco della giornata ridisegna i profili della partitura sepolcrale e avvolge le statue di icastica espressività, va probabilmente annoverata tra gli esiti più significativi della tarda attività di Michelangelo. Guardando nuovamente il monumento, si può osservare come la parete di fondo su cui si appoggiano i pilastri appaia ridotta fin quasi a divenire una membrana fortemente tesa dagli elementi del telaio architettonico, similmente all’analogo effetto visibile nell’ultimo piano del cortile di palazzo Farnese e nel secondo livello della facciata del palazzo dei Conservatori.
Nel febbraio 1543 Urbino consegna a Battista di Donato di Battista Benti lo stemma affinché venga ultimato (doc. 417; tav. 210)46 . La forma inusuale dello scudo rivela l’esistenza di un preciso disegno di Michelangelo. Di certo è stato scolpito, come tutte le altre parti del “quadro” e le sculture della tomba, sotto gli occhi del maestro nella bottega di Macel de’ Corvi. Da lontano non si ha un’idea effettiva delle dimensioni del gigantesco blocco che, poggiato in posizione arretrata sopra la nicchia della Madonna, assume solo sullo stretto fronte anteriore la forma di uno scudo (tav. 214). La collocazione dello stemma sulla nicchia della Madonna è databile al marzo 1543 (doc. 417). Nulla contrasta dunque con la tesi che l’architettura della tomba sia stata probabilmente ultimata diversi mesi prima della scadenza pattuita del giugno 1543. Si era convenuto come termine di consegna delle statue l’aprile 154447. È noto che nel codice Magliabechiano un anonimo menziona la tomba di Giulio ii e il Mosè, ma si è sorprendentemente trascurato di notare che questa indicazione risale all’ottobre 1544 (doc. 426)48. Grazie al recente rinvenimento si può però per la prima volta affermare che tutte le statue della tomba di Giulio ii erano visibili in S. Pietro in Vincoli già prima dell’ottobre 1544, e non già a partire dal gennaio-febbraio 1545 (docc. 427-430). È anzi probabile che Michelangelo abbia rispettato il termine di consegna del 21 aprile 1544 (doc. 396). La comprensione del monumento nel suo complesso resterà comunque poco chiara finché il Mosè, con il nuovo zoccolo, eccessivamente alto e largo, disegnato da Canova nel 1818 (docc. 487-495), e che forse ingloba ancora il vecchio, molto più piccolo, visibile in numerosi disegni e stampe (dis. 50a, 58a-61a)49, continuerà incongruamente a sporgere dal vano che lo racchiude, come fosse un elemento avulso dal contesto; anche e soprattutto a causa della particolare illuminazione, che lo presenta come un pezzo a sé, alla stregua di un’opera da museo. Se invece si procedesse a ricollocare la statua all’interno dello spazio appositamente concepito, si noterebbe come il fulcro del monumento resti il sarcofago con la figura distesa del pontefice, che grazie all’ultimo restauro si può osservare con uno spirito rinnovato, assai più aderente alle intenzioni originarie di Michelangelo, che ha creato il monumento come parte integrante del transetto della basilica di S. Pietro in Vincoli, ricostruito sotto Sisto iv dal cardinale Giuliano della Rovere, il futuro Giulio ii.
architettonica. Michelangelo ha spinto la cassa in avanti rispetto ai piedistalli – come il timpano sopra la porta del Ricetto della Laurenziana (fig. 11) –, dando però al fronte del sarcofago la forma di una parete sottile quanto i pannelli dei basamenti laterali (tavv. 189, 190). Dato che la statua del pontefice doveva trovar posto sotto la Madonna, era assolutamente necessario che il sarcofago avesse un’altezza limitata43. La sua raffinatissima posizione sulla cornice non ha confronti (cfr. doc. 473; sc. 11; tav. 151). La statua del pontefice è stata probabilmente realizzata nell’autunno 1533-34, dopo il ritorno di Michelangelo a Roma alla fine dell’ottobre 1533. Con la sua collocazione in opera si chiude temporaneamente la prima fase, del 1533-34, di costruzione della tomba a S. Pietro in Vincoli. Quale forma specifica diede Michelangelo al piano superiore, completato nel 1542-43 dal suo collaboratore Francesco d’Amadore da Urbino, per un certo tempo insieme a un compagno, Giovanni de’ Marchesi, che cavava anche i marmi per questa parte nei pressi del Campidoglio (docc. 378-387, 396)? La zona già costruita del piedistallo raggiungeva esattamente la linea di attacco della nicchia della Madonna (tav. 146) , occupando rispetto al transetto la porzione di parete attigua alla volta dell’antisacristia. Sopra gli slanciati piedistalli e gli alti zoccoli dalle semplici basi attiche si ergono ora i Termini con i loro risalti e “membre-
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Le statue di Michelangelo per la tomba di Giulio ii in S. Pietro in Vincoli Antonio Forcellino
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Secondo quanto si legge in una lettera di Michelangelo del giugno 1532, a quella data esistevano quattro statue già quasi finite per la tomba di Giulio ii (doc. 336). Quali erano le quattro statue a cui Michelangelo faceva riferimento nella lettera? Due sono facilmente identificabili, in via documentaria, nei Prigioni oggi al Louvre (sc. 1, 2). Le altre due, Il Mosè e la Sibilla, sono identificabili perché la loro parte posteriore (resa invisibile oggi per la collocazione nelle nicchie) è scolpita accuratamente (sc. 9, 12), e questo vuol dire che furono iniziate prima della partenza di Michelangelo da Roma nel 1516 per essere collocate nell’ordine superiore della tomba ed essere visibili anche dal retro (doc. 52). Sicuramente in corso di lavorazione nel 1513 (doc. 170), i due Prigioni nascono dalla stessa suggestione da cui nascono i giovani “nudi” dipinti nella volta Sistina tra il 1508 e il 1512. I putti reggifestoni si trasformano nella volta Sistina in adolescenti che esibiscono la bellezza del proprio corpo posando “in scorcio”. Nel passaggio dalla rappresentazione pittorica alla rappresentazione scultorea, l’accento si sposta sulla materia, sulla capacità dello scultore di piegare il marmo per restituire la bellezza e l’espressività del corpo umano forzando i limiti posti dalla pietra. Michelangelo vuole superare la perfezione tecnica della statuaria antica, che si era sviluppata lungo un piano simbolico di rappresentazione più che su un piano naturalistico. Con un vantaggio però rispetto agli scultori antichi. La scultura antica procedeva dallo studio della scultura stessa, ogni artista si formava studiando le opere della generazione precedente, e in questo studio assumeva automaticamente quella idea di ‘canone’ codificato che limitava tanto la proporzione delle membra che la gestualità. Michelangelo aveva invece studiato a fondo l’anatomia e in più era capace anche di una rappresentazione pittorica del corpo umano, capace quindi di una maggiore libertà espressiva del gesto, conquistata con la pratica del disegno. Per motivi di formazione e indole propria, Michelangelo aveva strumenti maggiori a disposizione, che maturarono nei due Prigioni per la tomba di Giulio ii, manifestando un nuovo modo di concepire la scultura. È molto significativa la circostanza che Michelangelo concepisce i Prigioni della tomba negli stessi anni e negli stessi mesi nei quali concepisce e rappresenta gli ignudi più belli della volta Sistina. I due ignudi dipinti nell’ultima scena della volta, dunque nel 1512, sono la perfetta prefigurazione del cosiddetto Prigione morente al quale Michelangelo lavora intorno al 1513 o forse già dal 1506 (sc. 1; fig. 1; tavv. 65-75). La mano portata al petto e abbandonata a una carezza dal forte sapore autoerotico dell’ignudo con la fascia bianca tra i capelli, viene replicata nella statua dove diventa ancora più affascinante per la levità che Michelangelo imprime a quel gesto, facendo appena sfiorare il petto dalle dita abbandonate. Un effetto che se in pittura poteva essere difficile, in scultura diventa addirittura straordinario. La testa riversa all’indietro dell’altro ignudo che porta alla nuca il braccio sinistro è ugualmente ripresa nella statua del Prigione morente. Questo atteggiamento di abbandono richiama a mio avviso più un risveglio o un deliquio che una morte, e grazie anche all’eco che se ne trova nella versione dipinta nella volta, sembra legittima la interpretazione di questa scultura come la rappresentazione di uno schiavo “sognante” piuttosto che di uno schiavo morente. Ma il confronto tra gli ignudi dipinti e i Prigioni scolpiti, la loro “identità” formale e iconografica mette in luce un elemento molto più importante per capire la scultura di Michelangelo nella tomba e anche più in generale: l’indifferenza dell’artista per il vincolo iconografico e la fortissima suggestione che insegue nella
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rappresentazione della gestualità corporea. L’obiettivo di Michelangelo è rappresentare l’emozione che il corpo maschile è capace di comunicare solo attraverso la posa e il gesto, oltre naturalmente alla bellezza di ogni sua parte. Come si vede chiaramente anche nei primi schizzi nei quali Michelangelo ferma l’immagine dei futuri Prigioni (dis. 5; tav. 19) è il gesto del corpo che insegue, la sua perfetta rappresentazione e la sua capacità di esprimere uno stato dell’anima. Che sia un angelo Ignudo o un Prigione incatenato, è lo stato psicologico che l’artista punta ad esprimere. Questo sembra essere il tratto caratteristico della ricerca michelangiolesca, che lo spinge ad andare oltre l’universo formale della statuaria antica. Il successo di questa ricerca è dovuto alla straordinaria capacità tecnica di Michelangelo, che va analizzata sotto due aspetti differenti, uno di carattere intellettuale e uno di carattere meramente esecutivo.
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Le Statue di Michelangelo per la tomba di Giulio ii in S. Pietro in Vincoli
5. Michelangelo, Bruto, Firenze, Museo Nazionale del Bargello, particolare.
Pagine precedenti: 1 e 2. Michelangelo, Ignudi, 1511, Musei Vaticani, Cappella Sistina.
6. Michelangelo, Bacco, 1497, Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
In queste pagine: 3. Abbozzo di statua arcaica, v secolo a.C., Atene, Museo Nazionale. 4. Abbozzo di statua arcaica.
Michelangelo usa gli scalpelli fino alla superficie del marmo saltando quasi del tutto il ricorso alla raspa, che imponeva nella pratica scultorea di definire lo strato più superficiale della statua attraverso il prudente logoramento degli ultimi millimetri di materia. Lo scalpello si fermava qualche millimetro prima della pelle finale della statua perché sarebbe stato pericoloso nell’ultima finitura oltrepassare con un colpo più forte e meno calibrato il suo limite (fig. 6). La raspa consumava con più prudenza quel limite, senza rischio, ma imponeva un irrigidimento dei dettagli perché può essere usata solo parallelamente alla superficie. La capacità di Michelangelo, grazie all’uso della gradina e del dente di cane (calcagnuolo in Baldinucci, uno scalpello corto con una tacca in mezzo che toglie più marmo in larghezza che in profondità) di inseguire la variazione tridimensionale del marmo, gli permette di raggiungere risultati ben più convincenti. Il dente di cane può essere inclinato in ogni direzione sul marmo e assecondare meglio le flessioni della materia, i passaggi più tenui tra concavità e convessità di cui è fatta l’anatomia umana. La gradina e lo scalpello non devono essere paralleli al marmo come la raspa, e questa possibilità di orientare il ferro in ogni direzione e di utilizzarlo nella fase finale della scultura, quando si lavora sugli ultimi millimetri, permette di rendere vivo e non rigido l’ultimo strato di pietra. (fig. 5) Mentre gli altri scultori arrivavano a definizioni più rigide dei volumi, rendendoli inevitabilmente più semplificati e più geometrici, Michelangelo continuava dove loro fermavano gli scalpelli e modellava dettagli inaccessibili agli altri. La straordinaria conoscenza che Michelangelo aveva acquisito attraverso l’anatomia si sposa alla capacità di rendere tecnicamente la complessità del corpo umano e fa sì che nel trattamento del singolo dettaglio (un braccio o una gamba, o la schiena o le fasce addominali) l’artista veda perfettamente al di sotto della superficie la costruzione muscolare e la faccia riaffiorare dal marmo con sapienti rigonfiamenti e flessioni. Ogni volta che scolpisce, Michelangelo mette sotto i suoi ferri un corpo vero, perché ha nella mente un corpo vero e non un disegno o un modello astratto. Questa capacità di vedere nel blocco di marmo il corpo umano, limita gli effetti della mediazione del disegno e del modello in scala, che solitamente guidavano lo scultore nella realizzazione del proprio lavoro. La speciale abilità visiva è una dote che va ascritta alla tecnica, ma si origina in una dote e in un processo interamente “mentale”: la capacità straordinaria di valutare il blocco in relazione alle sue possibilità espressive. Mentre altri scultori definivano progressivamente la forma della statua sbozzando prudentemente il blocco da ogni lato, avvicinandosi cautamente alla tridimensionalità della figura, (una pratica vecchia come la scultura stessa, fig. 3), Michelangelo procede in modo opposto. Già dal primo approccio al blocco egli estrae i dettagli perfettamente definiti e compiuti, facendo emergere per esempio un braccio ben modellato da un blocco nel quale il resto del corpo è ancora interamente prigioniero della pietra1. Questo processo è reso comprensibile nei quattro Prigioni rimasti a Firenze, e che l’artista aveva scolpito per la tomba durante il suo soggiorno fiorentino tra il 1519 e 1523, quando pensava di avvantaggiarsi nel lavoro romano scolpendo gli altri Prigioni per l’ordine inferiore della tomba. In queste statue alcuni elementi sono già perfettamente definiti, mentre il resto è ancora nel blocco così come estratto dalla cava (sc. 4-7; tavv. 90-98, 102-114). Per capire l’eccezionalità di questo processo bisogna tenere presente che in scultura non si può correggere l’immagine come in pittura, e che la congruità di ogni parte anatomica trova conferma nella relazione con il resto del corpo. Per tale ragione questa congruità veniva ricercata definendo progressivamente tutta l’immagine, avvicinandosi lentamente alla figura rimuovendone la scorza da ogni lato. Se si definisce il piede sinistro prima dell’anca destra si rischia di collocare il piede destro in un punto sbagliato dello spazio. È una incongruità che avvilisce gran parte della statuaria rinascimentale. Questo procedimento di definizione gra-
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duale della spazialità del blocco è uno strumento di controllo fondamentale per lo scultore, che potrebbe altrimenti ‘sforare’ il blocco nel caso scolpisse un braccio e, procedendo poi nel blocco, scoprisse che in relazione all’aggetto di quel braccio non vi è più spazio sufficiente per la schiena in una congrua relazione plastica. Michelangelo lavora come se il blocco di marmo fosse di cristallo ed egli potesse vedere perfettamente in ogni momento dove si trova ogni dettaglio di tutto il corpo. Con queste premesse la lettura dei due Prigioni del Louvre appare più semplice. Nel Prigione morente, che non appare veramente legato se non dal proprio sogno poichè ha mani e piedi liberi, per la prima volta nella storia il corpo umano è rappresentato in una posa mai tentata prima. Nella scultura del Bacco l’impostazione tradizionale classica, che poggiava il peso su una sola gamba flettendo leggermente il busto per bilanciare il sollevamento dell’altra gamba, era stata resa più dinamica, ma non si era allontanata troppo dai modelli antichi (fig. 6). Proprio come in un sogno il corpo del Prigione morente perde la gravità e si abbandona liberando i muscoli da ogni compressione di energia e di forza. La posa è resa coerente dal trattamento della muscolatura, che appare morbida e mai tesa se non nella gamba destra sulla quale si concentra tutto il peso. L’azione delle braccia e l’inclinazione della testa assecondano l’idea di un deliquio. Il superamento dell’iconografia classicista avviene grazie alla rappresentazione anatomica di un corpo che ha perso la rigidità del corpo astratto, ma non cade nel verismo eccessivo di alcune sculture ellenistiche come il Laocoonte. Michelangelo trova una nuova misura nella mediazione tra la mimesi realistica dell’anatomia e la sua astrazione geometrica. Forte della sua conoscenza anatomica mette in scena un corpo che suggerisce la concretezza della carne, senza però sottomettersi ai suoi limiti, come si vede benissimo nell’allungamento del braccio sinistro del Prigione. Per dare enfasi e coinvolgimento psicologico a quel gesto, Michelangelo allunga in modo innaturale il gomito. Nessun gomito potrebbe essere così lungo in natura, ma con il sapiente trattamento della muscolatura Michelangelo riesce a rendere convincente quella forzatura e sottomettere la natura alle esigenze di una rappresentazione emozionale. È questo il tratto caratteristico della scultura michelangiolesca, un uso convincente dell’anatomia e nello stesso tempo un superamento del limite naturalistico per una immagine più toccante emotivamente. Più semplice l’allusione psicologica dell’altro Prigione, ma più complessa la sua realizzazione spaziale. Il giovane è legato
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secondo quanto si vede dal nastro sul braccio destro, ma sembra anche lui legato più che altro dal gesto che compie portando questo braccio attraverso la schiena. Anche in questo caso il gesto è innaturale, ma diventa la perfetta espressione di un estremo sforzo di ribellione. Con queste due sculture si compie una rivoluzione epocale, perché si passa dalla comunicazione simbolica, legata agli attributi stabiliti dalla tradizione, alla comunicazione psicologica legata all’espressione del sentimento. Con queste due sculture Michelangelo apre la porta all’arte moderna. Il sentimento di ribellione a cui si piega il corpo del Prigione è reso convincente dalla perfetta conoscenza dell’anatomia, dalla cura di ogni dettaglio anatomico, dall’affiorare sul marmo di ogni piccolo rigonfiamento muscolare come si vede nella straordinaria resa della scapola sinistra, contratta innaturalmente quasi fino alla deformità, ma capace di comunicare la sensazione di uno sforzo eroico. Tutto questo viene messo al servizio della drammaticità del gesto di ribellione, che sembra impegnare il giovane al quale è convenzionalmente dato il nome di Schiavo ribelle. Le statue scolpite a Firenze (1519-1523) Nelle quattro statue rimaste incompiute dell’Accademia di Firenze si riconosce anche il contributo degli assistenti di Michelangelo, che riportano all’interno del blocco i piani principali che intersecano a varie profondità la figura immaginata dal maestro, per la quale egli ha dovuto certamente fare un modello in scala (sc. 4-7; tavv. 90-98, 102-114). Osservando i blocchi, si può notare sulle parti non asportate del marmo intorno alla figura il profilo originariamente trasportato all’interno del blocco con un pantografo a trapano, che permette di segnare all’interno del blocco un piano prestabilito misurato in profondità grazie alla lunghezza della punta. Su tre dei quattro Prigioni, quelli meno rifiniti – l’Atlante, il Prigione giovane e il Prigione che si ridesta – si può osservare che il piano sul quale si individuano i segni del trapano utilizzato per trasportare le dimensioni dal modello in scala coincidono con il piano che interseca a metà la figura. Sembrerebbe quindi di poter sostenere che Michelangelo si fa liberare dagli aiuti la metà anteriore del blocco, arrivando a un piano che interseca a metà la figura. Che questo piano fosse individuato attraverso un modello ‘sezionato’ idealmente, o forse anche praticamente, da un piano a esso trasversale, sembra provato dal profilo del piede destro del Prigione che si ridesta (sc. 6; tav. 109). La linea individuata dai buchi del trapano non coincide col profilo della gamba, ma col profilo di un piano che seziona la gamba all’altezza dello stinco. Questi profili segnavano la profondità nel blocco delle figure immaginate da Michelangelo, e i suoi collaboratori procedevano a rimuovere con la piccozzetta e la subbia il marmo fino alla profondità e al profilo segnato dalla sequenza di fori. Un sistema di riporto delle profondità noto fin dall’antichità, come dimostrano molte statue greche lasciate incompiute. Michelangelo in questa fase si serve di molti collaboratori, e organizza il lavoro in maniera da avere il pieno controllo della statua, poiché una volta arrivati a definire i piani che ‘contengono’ la figura è lui stesso a procedere con strumenti veloci che arrivano direttamente alla pelle delle statue. I quattro Prigioni non finiti rendono paradossalmente più visibile e comprensibile la visione del tormento a cui gli uomini sono sottoposti dalle proprie passioni, quel teatro delle emozioni nel quale Michelangelo fa recitare solo il corpo. Nei Prigioni dell’Accademia le posture prendono maggiore significato espressivo dal fatto che la materia è ancora incombente sui corpi e intorno ai corpi, sicché la lotta interna che anima il movimento fisico diventa lotta contro la materia esterna in una felicissima quanto casuale messa in scena. Rispetto ai Prigioni del periodo romano la novità di quelli fiorentini è nelle figure dell’Atlante, del Barbuto e del Prigione che si ridesta, che presentano una muscolatura più robusta, tesa a mostrare una idea di potenza virile portata all’estremo, mitica ed eroica. L’agilità degli adolescenti
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romani torna nella statua della Vittoria di Palazzo Vecchio, pensata per le nicchie dell’ordine inferiore della tomba. La necessità di svolgere la narrazione in uno spazio ristretto suggerisce a Michelangelo una felicissima tensione fisica, che lo spinge oltre le contrazioni muscolari dei Prigioni. Il genio della Vittoria si avvita su sé stesso per entrare di sbieco nella nicchia, ma nello stesso tempo svolge una torsione flessuosa che parte dal ginocchio sinistro ripiegato sull’uomo sottomesso e si arresta solo nella mano destra. Un corpo avvitato con grandissima fluidità, che utilizza al meglio le fattezze adolescenziali del ragazzo e le gambe e le braccia sottili non ancora irrobustite dalla fatica della vita. Il corpo slanciato e sottile fa perno sullo schiavo accucciato
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Michelangelo. Il marmo e la mente
ai suoi piedi, contratto per motivi di spazio in un unico esplosivo ammasso di muscoli, la cui energia trattenuta risulta in contrappunto materiale e psicologico con la danza del giovane che lo ha sottomesso. Il movimento è sottolineato dal drappo che si agita nella velocità dell’azione. Nella definizione del drappo e nel suo punto di contatto con la schiena del ragazzo si notano trapanature poco congrue con il resto della scultura e in generale con la tecnica di Michelangelo (sc. 8; tavv. 115-120). Anche il braccio ripiegato risente di una debolezza plastica che fa supporre l’intervento di aiuti nella realizzazione della statua. La posizione della testa dell’uomo sottomesso non sembra perfettamente congrua perché troppo frontale rispetto al busto piegato. La scultura, nonostante queste debolezze, rappresenta una immagine potentissima, un racconto psicologico molto complesso, perché la sottomissione fisica perde ogni tratto di trionfalismo o di brutalità per diventare una resa, un destino dal quale i volti distaccati dei due protagonisti prendono le distanze. L’estrema bellezza del giovane spinge a traslare l’evento da un combattimento fisico a una sopraffazione psicologica. In questa scultura l’abilità tecnica di Michelangelo si concentra nello svuotamento del blocco e nella spazialità verticale, che riesce a creare con l’avvitamento aereo del Genio della Vittoria e la contrazione violenta dell’uomo incastrato tra le sue gambe, un contrappunto dinamico senza precedenti in scultura. Le statue dell’ordine superiore Una diversa genesi ebbero le altre due statue a cui allude la lettera del 1532, la statua del Mosè e quella della Sibilla (sc. 9, 12; tavv. 122-145, 163-166). Le due statue erano state progettate per essere messe al secondo ordine della tomba, come risulta dal contratto del 1513 (doc. 53), nel quale compaiono sei statue sedute. Le figure di una Sibilla e di un Mosè compaiono anche nel disegno degli Staatliche Museen di Berlino, testimonianza grafica riconducibile al progetto del 1513 (dis. 7, 7/copia 1, tavv. 22, 24). Nella realizzazione però la posa diventa più originale e insegue quella torsione dinamica che era stata agevole in pittura (al punto da spingere indietro il Giona fino al limite del credibile e torcere la Sibilla Delfica), ma che in scultura aveva bisogno di un lavoro prodigioso di scalpello. Durante il restauro sono emersi particolari significativi nella statua della Sibilla che confermano quanto Michelangelo sottoscriveva nel contratto del 1542 con Raffaello da Montelupo circa lo stadio molto avanzato a cui aveva lui stesso portato la statua. La Sibilla, che nei disegni menzionati era collocata in altro a sinistra, ha rivelato sulla schiena una lavorazione molto accurata, che può essere stata eseguita solo quando la statua era pensata per essere vista parzialmente anche dal retro. Una lunga stola ben modellata le attraversa le spalle, e una cintura annodata con un vistoso fiocco sono poi resi invisibili dalla definitiva collocazione frontale della statua. Segni della primitiva lavorazione a opera di Michelangelo sono anche nelle floride ciocche di capelli che ricadono dalla spalla destra (sc. 12, tav. 166). Al continuatore della statua vanno ascritte le trapanature che rovinano le ciocche sul lato sinistro della fronte. Altri significativi dettagli da considerare nella lettura della statua sono le mutilazioni che essa ha subito nel manto che copre la gamba destra per poter essere incastrata nella nicchia, e che confermano che la statua dimensionata sul primitivo progetto deve subire un ridimensionamento brutale per essere sistemata nell’ordine superiore pensato da Michelangelo dopo il 1532. Nel contratto del 1513 Michelangelo dava una definizione dimensionale generica delle figure a sedere «quasi per due volte el naturale» (doc. 52), e ciò spiega anche la leggera differenza che c’è tra il blocco della Sibilla e quello del Mosè, più alto di circa 30 cm. Una differenza congrua con la maggiore statura dell’uomo rispetto alla donna. Va anche tenuto conto che Michelangelo sceglieva i blocchi a secon-
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Le Statue di Michelangelo per la tomba di Giulio ii in S. Pietro in Vincoli
da della disponibilità della cava, e una leggera differenza è dovuta alla possibilità di reperire blocchi di quelle notevoli dimensioni. Nella redazione finale dovuta a Raffaello da Montelupo e ad altri, poiché Raffaello si ammala e non può finire da solo il lavoro (doc. 427), il panneggio diventa indifferente e pesante sulle gambe, invisibili sotto la spessa stoffa spianata dalla raspa. La statua offre una buona occasione per valutare ciò che accadeva alle sculture di Michelangelo quando questi le abbandonava per farle ultimare ad altri scultori, benché ciò avvenisse nel suo studio sotto i suoi occhi. Michelangelo pensava probabilmente di collocare la statua del Mosè nell’ordine superiore quando firmò il contratto del 1532, e la incluse tra le quattro lasciate a Roma. Del resto Michelangelo fino alla collocazione in opera del primo ordine (dopo il 1534) mantiene esattamente le misure del monumento descritto nel contratto del 1516, nel quale nella nicchia centrale del piano inferiore (larga due braccia e mezzo ovvero 145 cm, come fu effettivamente realizzata) era previsto un bassorilievo nella parete di fondo e quattro bassorilievi piccoli nelle pareti laterali, che furono effettivamente collocati in situ. Con la definizione più dettagliata dei volumi architettonici e con il progredire dei lavori iniziati nel maggio 1533 (trascorso un anno dalla stipula del contratto), Michelangelo si accorse che la statua del Mosè non poteva entrare nelle nicchie del piano superiore se non a prezzo di eccessive mutilazioni. La leggera differenza dal blocco della Sibilla diventava proibitiva per lo spazio esiguo determinatosi nell’ordine superiore. Quando Michelangelo si rese conto di questo, dopo che furono ultimati i lavori murari ed ebbe scelto l’assetto puntuale del piano superiore, decise di portare avanti un altro Profeta che aveva solo sbozzato (una di quelle sei statue a sedere di cui si parla nel contratto del 1513), e che era rimasto per anni abbandonato nel porto di Ripa Grande (doc. 338). Michelangelo progettava un primo abbozzo già al momento dell’acquisto dei blocchi, e sapeva già di che misure necessitava e ne delineava i contorni chiedendo agli scalpellini di Carrara di fornirgli non dei blocchi squadrati, ma delle sagome che avevano misure variabili a seconda della disponibilità della cava. Una di queste sagome viene adattata con un espediente molto semplice alla nicchia di S. Pietro in Vincoli. La statua deve essere più stretta per entrare bene nella nicchia, ma per non perdere il rapporto proporzionale con la Sibilla dall’altro lato, Michelangelo fa poggiare la statua su un rialzo di 20 cm ricavato dal blocco (sc. 13; tavv. 167174). In questo modo la statua del Profeta raggiunge la stessa altezza della Sibilla e il rialzo sotto i piedi non si nota dal basso per essere coperto dalla cornice aggettante. Nel retro di questa statua si vede chiaramente il taglio netto operato sul blocco prima della sua lavorazione per diminuirne la profondità e alloggiarlo con più agio nella nicchia. La statua in questo modo non risulta mutilata, e ciò garantisce che fu certamente lavorata solo dopo il 1534. È questa la statua nella quale si legge meno il lavoro di Michelangelo e più quello dei collaboratori. Michelangelo dopo averla sbozzata, l’affida a Raffaello da Montelupo, ma lo scultore si ammala; riuscirà a completare solo la statua della Madonna, di qualità decisamente superiore, mentre il Profeta e la Sibilla saranno finiti da altri con conseguenze vistose sulla loro qualità e Michelangelo non ne sarà contento. La differenza della statua del Profeta tanto con le statue completamente autografe di Michelangelo che con quelle da lui portate molto avanti è enorme. La posa del Profeta richiama quella dei duchi Medici, Lorenzo e Giuliano, ma per il resto la statua di S. Pietro in Vincoli non potrebbe essere più lontana. L’addome del Profeta non lascia neppure sospettare l’esistenza di una muscolatura sottostante, e sul ginocchio sinistro una bolla incongrua prende il posto delle rotule benissimo definite nelle ginocchia dei duchi Medici. In questa statua è difficile dire quanto del maestro, escluso una generale sbozzatura e l’impostazione spaziale del corpo, potesse esserci al momento in cui fu passata a Raffaello da Montelupo e poi a un altro scultore che la ultimò.
Le altre due statue con le quali Michelangelo doveva finire il lavoro dopo il contratto del 1532 erano una Madonna col Bambino e naturalmente il Papa (sc. 10, 11). Nel progetto del 1513 non era prevista una Madonna a tuttotondo, e pertanto non poteva esserci una figura abbozzata a quella data. Il nuovo disegno col quale Michelangelo adatta puntualmente al transetto di S. Pietro in Vincoli la parte frontale dell’opera di quadro, che aveva già fatto scolpire ad Antonio da Pontassieve, permette di inserire la Madonna in una nicchia centrale al secondo ordine. Michelangelo progetta la statua per la nicchia e la fa sbozzare a Scherano nel dicembre del 1537 (doc. 371). Il ruolo avuto da Scherano nella scultura non è diverso da quello avuto dagli scalpellini di Carrara in tutte le sculture di Michelangelo di cui delineavano le sagome già in cava. Michelangelo inizia a scolpire la statua solo dopo il lavoro di Scherano, tra il 1537 e il 1542, quando la alloga a Raffaello da Montelupo per farla ultimare. I documenti economici e il compenso contenuto che paga a Montelupo testimoniano che Michelangelo portò effettivamente molto avanti la statua della Madonna (doc. 376). Raffaello chiede 400 scudi per finire le tre statue, 133 scudi l’una. Il costo medio di una scultura di un buon maestro a quella data a Roma è variabile tra i 200 e 400 scudi (quelle di Michelangelo nella tomba erano state valutate 1000 scudi l’una), quindi il lavoro da fare effettivamente non è tantissimo. La torsione del bambino, che ha la struttura muscolare di un piccolo Ercole, suggerisce che in questo punto Michelangelo entrò molto dentro il blocco, arrivando a definire congruamente ogni passaggio anatomico. Le incongruenze si leggono invece subito nella figura di Maria, e principalmente nella sua mano destra, che sembra entrare nella carne del bambino perché non le è stato ricavato un congruo spazio. Quella capacità di Michelangelo di percepire anche lo spazio interno alla figura viene qui a mancare completamente. Più risolto è il viso, e la leggera inclinazione malinconica del volto della Madonna, che richiama da vicino il viso della Vita attiva a cui Michelangelo stava lavorando negli stessi mesi. Le spalle sono sovradimensionate e la camicia con lo scollo quadrato è rigida e inespressiva, nemmeno confrontabile ai guizzi serici della camicia che spunta dalla tunica del Papa ai suoi piedi. Una leggera incongruenza si avverte anche nella gamba destra, che affiora dal manto con una muscolatura poco convincente e comunque priva di forza. Nel valutare l’opera di Montelupo, va però considerato che lavorò in casa di Michelangelo e sotto il suo controllo diretto, poichè le statue non lasciarono mai la casa di Macel de’ Corvi se non al momento del trasporto. Le richieste di Michelangelo a Raffaello sono comunque molto precise per quanto riguarda la finitura superficiale. La Madonna come il Profeta e la Sibilla sono tutte e tre portate a levigatura, lisciate cioè con la raspa e poi con la pomice. Quella libertà che Michelangelo riserva a sé stesso in tutte le sculture autografe viene negata ai collaboratori. Tutte le sculture che Michelangelo porta personalmente a compimento sono in vario modo non finite, con porzioni di marmo lasciate a un diverso grado di finitura, mentre le sculture affidate sotto il suo controllo ai collaboratori vengono portate al grado di finitura standard nel cantiere rinascimentale, una moderata lustratura a pomice. I documenti certificano che l’autografia di Michelangelo era strettamente sorvegliata da Girolamo Tiranno, ambasciatore del duca di Urbino (doc. 411), e che mai egli avrebbe potuto affidare fasi significative della lavorazione ad altri senza il suo consenso. Questa diversa condizione in cui si trovano le sculture finite da Michelangelo e quelle finite da altri scultori, sembrerebbe provare che l’artista era cosciente del fatto che anche il minimo intervento dei collaboratori sulle sue sculture avrebbe prodotto conseguenze nefaste, e pertanto preferisse lasciare incompiute le sue statue piuttosto che farle rifinire dai collaboratori. Nello stesso momento questa circostanza conferma che Michelangelo non aspirava al non finito come condizione espressiva ideale. Pur avendo a disposizione Raffaello da
Montelupo nello studio di Macel de’ Corvi, egli si guarda bene dal fargli portare a compimento quelle parti che lascia incompiute nelle sue sculture, e in particolare gli impedisce di portare a compimento quelle parti non finite della statua del Papa, che si era impegnato a ultimare, “ritoccare”, con gli eredi dopo la sua collocazione in situ (doc. 396). Nell’agosto 1542 Michelangelo, probabilmente spinto dall’insoddisfazione dell’ambasciatore del duca di Urbino, s’impegna a ritornare su una scultura che aveva già messo in opera ed era pertanto uscita dalla trattativa, era cioè stata già computata tra il lavoro che si era impegnato a fornire secondo i patti del 1532. Neppure nel momento più favorevole a Michelangelo gli eredi di Giulio ii derogano alla richiesta di eseguire direttamente il lavoro sulle sculture garantite come autografe da Michelangelo nei contratti notarili. Neppure il potente cardinale Farnese riesce a convincere il duca di Urbino a soprassedere all’ultimazione autografa delle statue della Vita attiva e della Vita contemplativa (doc. 411). Il Papa Lo spazio disponibile per l’immagine del Papa nella tomba addossata alla parete è di dimensioni ridottissime (sc. 11; tav. 150). Nell’uso di questo spazio Michelangelo mostra di saper sfruttare il blocco di marmo come nessun altro al mondo prima e dopo di lui. Non intende rinunziare alla monumentalità dell’effigie papale, e sceglie di rappresentarlo in atto di sollevarsi in modo da poter sfruttare al meglio tanto lo spazio verticale che orizzontale. Michelangelo aveva progettato già dal 1513 di porre al secondo ordine delle statue “quasi doppio del naturale”, e con mille espedienti ci poteva ancora riuscire, ma lo spazio disponibile per il Papa era solo di 176 cm. di lunghezza, ovvero la dimensione naturale di un uomo disteso. Per superare questo limite lo scolpisce nell’atto di rialzarsi, con il torace dritto e le gambe flesse. In questo modo la figura diventa più grande di una figura al naturale, ma pur sempre inferiore a quelle adiacenti. La statua sembra ritagliata sull’invaso architettonico perché asseconda la morfologia delle cornici superandole come un getto di lava incontenibile; divora tutto il blocco nella scultura e tutto lo spazio disponibile. Il piede destro di Giulio ii si allunga oltre il dado e la spalla su cui si erge segue con il profilo del bicipite l’aggetto della cornice. Il vestito del Papa, la funicella che sporge dalla base ‘mangiano’ il blocco consumando la stessa base di appoggio, ridotta a pochi millimetri. Ogni millimetro dello spazio e del marmo disponibile è consumato dallo scalpello di Michelangelo. È una delle prove più difficili affrontate e risolte dall’artista. Il blocco, largo 45 cm, è scavato quasi interamente all’interno, e per creare l’impressione di una maggiore spazialità Michelangelo scava il fianco sinistro del Papa fino al limite posteriore del blocco, lasciando un diaframma di pochi millimetri. Il movimento complesso immaginato da Michelangelo contribuisce a dare l’impressione di una monumentalità miracolosa per i vincoli cui è sottoposta dalla materia. Lo spazio tra le gambe aperte è percepito attraverso la stoffa del manto, un virtuosismo tecnico di cui solo Michelangelo era capace e che si apprezza nonostante il manto non sia finito ma soltanto spianato (forse) dallo scalpello di un collaboratore. La spalla destra spinta in avanti dallo sforzo, si gonfia come quella di un atleta nella lotta mentre quella sinistra si abbandona lasciando cadere il braccio inerte. L’idea di forza vitale è resa dal torso che fuoriesce dalla tunica per troppa esuberanza, quasi che la pesante stoffa non riuscisse a contenere il gonfiarsi delle spalle sotto lo sforzo del sollevamento. Le mani sono perfettamente rilevate dalla forte ombra retrostante, un dettaglio questo che misura la distanza tra Michelangelo e Raffaello da Montelupo che non aveva saputo risolvere la spazialità interna alla mano di Maria finendo per incastrarla nell’addome del bambino. La posa delle mani è una invenzione straordinaria sul piano formale, abbandonate quasi del tut-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
Le Statue di Michelangelo per la tomba di Giulio ii in S. Pietro in Vincoli
7. Michelangelo, San Paolo, 1503-05, Siena, Duomo, Altare Piccolomini.
to ma forti e concrete con le vene e i tendini bene in evidenza, la piegatura delle dita sottolineata dalle nocche piatte e segnate al centro, tipiche di tutta la statuaria michelangiolesca. Il viso ha la stessa struttura ossea del Mosè con gli zigomi larghi e molto rilevati, l’arco sopracciliare dolcemente incurvato dalla malinconia. Con rapidi colpi sicuri, Michelangelo sfuma le sopracciglia, come avviene nel Mosè dove però la lavorazione si spinge molto più avanti. Rapidi colpi di scalpello segnano i guizzi taglienti della tunica di cotone sulle spalle e il bordo appena sgrossato intorno al collo appare identico a quello lasciato dietro le spalle del Mosè (sc. 11; tav. 160). La barba fluida ed energicamente ritorta in ciocche è lasciata allo stato di abbozzo nella parte superiore dove si attacca all’orecchio. Era forse questo abbozzo che non piaceva all’ambasciatore del duca di Urbino, che chiede a Michelangelo di rifinirlo nei patti del 27 agosto 1542. In questa porzione della barba e sulle mani sono molto visibili i segni del dente di cane e della gradina, a testimonianza della furia con la quale l’artista volle ultimare la prima e più importante effigie della sepoltura. Le pieghe della stoffa scavate nel marmo diventano molto morbide nella curva sullo sterno per rendere verosimile lo scivolare del tessuto pesante sul torace, mentre su tutto il resto del corpo il manto è lasciato a uno stadio più arretrato. Michelangelo approfitta della collocazione in alto della statua per lasciarla a questo stadio non finito, e la scultura è la prima ad essere collocata sul monumento, «che di sei statue che vanno in detta sepoltura [segue, cancellato: oltre a quella di papa Julio a diacere, che vi è messa] detto messer Michelagnolo ne potessi allogare tre a buono et lodato maestro» (doc. 388). La testimonianza dei documenti è chiara, ma ancora più inappellabile è la statua stessa, che seppur non recasse visibili i segni dello scalpello di Michelangelo fin sulla pelle, come solo nelle sue sculture autografe avviene, reca visibilissima un’innovazione iconografica, una forza espressiva e una tecnica esecutiva che solo da lui poteva discendere. La plasticità dell’effigie del papa produce dal basso una fortissima vibrazione chiaroscurale che si esalta dal confronto con le sculture cominciate da Michelangelo e finite da altri poste ai lati. Il ritorno del Mosè nel progetto In cambio del permesso di far finire a un altro scultore tre delle sei statue previste dal progetto del 1532, Michelangelo viene obbligato a fornire una settima statua da lui stesso portata a compimento, il Mosè. Le tre statue erano state valutate dal duca circa 1000 ducati l’una contro i 300 di una statua di altro artista (secondo la stima di Sebastiano del Piombo, che nel 1529 stima 4000 ducati le quattro statue che sono a casa di Michelangelo quasi pronte per la tomba) (doc. 296)2. Nel consegnare ad altro scultore le tre statue per farle finire, Michelangelo sottraeva al duca almeno 700 ducati a statua per un totale di 2100 ducati. Questa cifra doveva essere almeno in parte risarcita con la collocazione di una statua in più rispetto alle sei previste dal contrato del 1532 e ancora richieste nel novembre del 1541 (doc. 375). Michelangelo pensa alla statua del Mosè che, uscita dal monumento quando aveva realizzato che non sarebbe mai entrata nelle nuove nicchie dell’ordine superiore, non entra nella trattativa fino al 1542, quando Michelangelo avanza la richiesta di far finire al Montelupo le tre statue della Madonna del Profeta e della Sibilla. Ciò si desume credibilmente dalla lettura del nuovo accordo cui acconsente il duca di Urbino con la lettera del 6 marzo 1542 (doc. 377), e provoca conseguentemente una nuova variazione del progetto. La collocazione della statua del Mosè al centro della tomba rende incongrua la presenza dei due Prigioni ai suoi lati, e l’artista di sua spontanea volontà riformula un nuovo programma del primo ordine. Il nuovo progetto iconografico prevede di collocare accanto al Mosè due statue, una Vita attiva e una Vita contemplativa (sc. 14, 15; tavv. 175-180, 181-184), la cui presenza permetterà di leggere il pianoterra come una significativa riflessione sul tema della
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salvezza, di cui proprio in quei mesi Michelangelo discuteva con Vittoria Colonna e un gruppo di altre personalità sensibili alla riforma religiosa, tra i quali la duchessa di Urbino Eleonora Gonzaga, che certo ebbe una parte importante nella formulazione del nuovo programma iconografico, interessandosi delle statue già dal 1534 (doc. 363). Tra il marzo e il luglio 1542 Michelangelo porta molto avanti le sculture della Vita attiva e della Vita contemplativa tanto da proporre nel luglio dello stesso anno di affidarne l’ultimazione al Montelupo per un prezzo molto contenuto, appena 150 scudi. Le due sculture, per essere iniziate ex novo, manifestano meglio il mutamento della poetica michelangiolesca, meno interessata ora all’energia e alla forza muscolare e anatomica, ma molto più attenta alle sfumature psicologiche che il marmo è capace di esprimere. È una nuova frontiera oltrepassata da Michelangelo nei giorni della sua vecchiezza, quando gli osservatori, come il cardinale Alessandro Farnese, lo vedevano ormai esausto e mettevano in dubbio la sua capacità di portare a termine alcuno dei suoi lavori di pittura e scultura. Michelangelo sorprende tutti ancora una volta imponendo al marmo di assecondare l’inclinazione riflessiva della propria anima inquieta. Non insegue più la forza muscolare, ma il moto dell’anima, come in pittura stava facendo sulle pareti della Cappella Paolina. La tecnica prodigiosa che gli permise di lasciare guizzare i muscoli sotto pelle e addirittura sotto le loriche militari dei duchi Lorenzo e Giuliano, lo asseconda ormai per far trasparire il fremito emozionale della preghiera nella Vita contemplativa, un’allegoria della Fede Viva avvolta essa stessa come una fiamma protesa al cielo per sentirsi più vicina a Dio. Fuggendo i facili richiami del simbolismo iconografico, Michelangelo esprime la sua profonda devozione mettendo in scena il corpo consumato dal fervore religioso, come lo era quello della sua amica Vittoria Colonna, le cui penitenze impensierivano gli amici per gli effetti devastanti sulla sua salute fisica. Il marmo non guizza e non esplode sotto la spinta di muscoli e di gesti ribelli, ma diventa molle come cera e segue docile le increspature della stoffa e della carne. Lo scalpello di Michelangelo cerca in queste sculture un’ombra morbida, e la luce soffusa fatta arrivare dal coro retrostante contribuisce a rivelarne il sentimento. L’altra figura, la Vita attiva, allegoria della Carità, ha invece un corpo solido e materno, come una antica e fertile Dea dei raccolti. Porta nella mano destra una piccola lucerna il cui fuoco è alimentato dai suoi stessi capelli, allegoria dei buoni pensieri secondo la tradizione medievale rielaborata da Michelangelo fino al limite del comprensibile, come sempre accadeva quando doveva ricorrere ai simboli della tradizione iconografica corrente. Nella mano sinistra ha una corona di alloro, simbolo dell’incessante operare della Carità secondo san Paolo. I piedi nudi sono solleciti ad andare per il mondo, sempre secondo l’immagine che ne offrì il santo, così controverso nel dibattito di quegli anni. Accanto al Mosè e al lato opposto della Vita Contemplativa l’immagine della Carità o delle Opere è rappresentata con raffinata allusione alle Opere di cui parlavano gli spirituali amici di Michelangelo, secondo i quali le Opere non salvano perché non si può comprare la Grazia di Dio che è puro dono, ma testimoniano agli occhi di Dio e degli uomini la veridicità della fede. Illuminano la fede viva come quegli stessi amici avevano scritto nel piccolo libretto eretico del Beneficio di Cristo negli stessi mesi nei quali Michelangelo scolpiva le due statue. In questa scultura ancora più che nell’altra si apprezza il nuovo stile e la nuova poetica di Michelangelo. Il marmo si piega a fingere seta trasparente sulla gamba, e lana ruvida nello scialle. Michelangelo si impegna di più a sfumare con calma ogni dettaglio facendolo addirittura finire nel niente, come la stoffa sulla gamba destra appena rilevata in qualche punto e poi sfumata sulla pelle. Le braccia sono forti perché per operare nel mondo c’è bisogno del corpo florido e pieno come un frutto maturo. La sua spaventosa abilità tecnica lascia affiorare dalla figura una vitalità e un sentimento di umiltà che basterebbero da
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soli a identificare la statua come una allegoria della Carità, anche se non portasse in mano la ghirlanda di lauro e la lucerna alimentata dai suoi lunghissimi capelli (sc. 14; tavv. 175-176). Il Mosè La statua del Mosè era molto avanti nella lavorazione quando Michelangelo lasciò Roma nel 1516. Per valutare quanto fosse avanzata la sua lavorazione a quella data basta osservare il retro della scultura, rifinita quasi del tutto, segno che anche quella anteriore doveva essere almeno allo stesso punto di completamento, se non più avanti. Dalla visione posteriore si valuta molto bene anche il cambiamento della torsione del viso, eseguita da Michelangelo quando la statua era già molto avanti (doc. 459). La statua compare nella trattativa della tomba solo dopo il marzo 1542, quando viene destinata alla nicchia centrale del primo ordine, l’unico vano dov’era possibile alloggiarla, sacrificando i due bassorilievi già montati ai lati della nicchia che la statua rende invisibili. Inizialmente la figura di Mosè non era destinata ad avere particolare rilievo nel programma iconografico. Non più di quanto ne avesse la Sibilla, ma la sua eccezionalità estetica, dichiarata secondo Condivi da Ercole Gonzaga durante una visita del 1535 (ma Gonzaga l’aveva vista certamente all’atto della stipula del contratto del 1532, di cui fu garante per la sorella Eleonora, duchessa di Urbino), la impone nella sepoltura per risarcire con la sua bellezza gli eredi di Giulio ii3. A rendere unica la statua è la sfida che Michelangelo impegna col blocco, creando al suo interno una spazialità nuova, una tridimensionalità mai prima raggiunta. La gestualità della guida degli Ebrei concorre al suo fascino enigmatico. Sappiamo che alla statua fu girato il volto verso sinistra quando era molto avanti,
e i segni di questo passaggio sono tutti leggibili nella diversa plasticità della barba sui due lati del torso, soprattutto nell’attaccatura del collo alla spalla sinistra, risolta grossolanamente con una piega rigida dei muscoli. La gamba sinistra tirata vistosamente indietro ebbe una ragione tecnica in questo mutamento perché per spostare indietro la gamba non c’era più molto spazio nel blocco, e Michelangelo fu costretto ad allungare la gamba fino a ritrovare sotto il vecchio trono lo spazio molto risicato per quel magnifico piede, del quale ogni dito è un capolavoro di forma e tecnica. Il gesto in tal modo diventa ambiguo e perciò affascinate, ed aumenta il dinamismo della figura che, ricordiamo, era stata collocata da Michelangelo ventidue centimetri più in basso e più indietro nella nicchia in modo da rendere ancora meno visibili le debolezze prodotte da questa lavorazione. Il modellato superficiale ha la stessa morbidezza delle due sculture della Vita attiva e Vita contemplativa e persino il modo di cadere della stoffa è identico. La muscolatura perfetta del braccio e delle mani, del collo e del viso e perfino la stupefacente barba che scende inquieta e fluida come un fiume sono contenuti da questa nuova morbidezza che placa i contrasti e le ombre. La luce sembra promanare da Mosè stesso grazie ad una teatrale messinscena ottenuta lustrando vistosamente il braccio sinistro e il volto, sui quali batteva al tramonto la luce del sole abbagliando il profeta. La parte destra della statua destinata alla penombra (tranne che al primo mattino) è lasciata in molti punti allo stadio della gradina. L’effetto della maggiore levigatura del marmo in corrispondenza dei punti colpiti dalla luce diretta è un’altra prova dell’attenzione dedicata da Michelangelo ad ogni aspetto della creazione artistica. Rileva come uno scultore e illumina come un pittore. La fisionomia della statua è stata da sempre oggetto di fantasie e riflessione di studiosi ed ammiratori, con la scelta ambigua di Michelangelo di rendere i raggi dell’illuminazione come corni d’osso che richiamano il dio Pan al quale Mosè può essere avvicinato nella sua funzione di “conduttore di greggi”. La vigorosa energia che sprigiona dalla barba e dai ricci rilevati uno per uno della splendida testa hanno catturato sempre l’emozione di chi lo guarda. Ci si chiede dove avesse originato quella forza che consente a Michelangelo di personificare così appropriatamente l’immagine dell’autorità regia. Non si può dare una risposta precisa a questo interrogativo ma si può certamente sottolineare che questa immagine fu sempre presente nella mente di Michelangelo dal momento che poco dopo il 1500 l’artista scolpì per l’altare Piccolomini di Siena una immagine di San Paolo (fig. 7) che è, mutata la scala, del tutto identica a quella del Mosè, tranne della variazione della barba resa superlativa nel secondo (sc. 9, tavv. 125-126). Questa indiscutibile identità fisionomica, che arriva a imporre ad entrambi gli sguardi un leggero strabismo, si spiega solo con un profondo coinvolgimento psicologico dell’artista nella rappresentazione dell’autorità. In questa rappresentazione dell’autorità Michelangelo può aver elaborato la fisionomia del padre, figura ossessivamente amata e combattuta per tutta la vita, oppure può aver elaborato una proiezione di se stesso, un sé interno e ideale nel quale ricostruire quella espressione di forza che lo tormentò tutta la vita portandolo da un lato ad accostarsi unicamente a figure fortemente autoritarie quali furono Giulio ii, Clemente vii e Paolo iii, e dall’altro a entrarvi inevitabilmente in conflitto, come dimostra la sua continua ribellione ai Medici e il suo continuo ritornare sotto il loro dominio. Tranne che nei suoi ultimi anni, gli anni del Mosè nei quali decise serenamente di ribellarsi per sempre ai Medici rifiutando l’invito a tornare in patria di Cosimo i. Certo è che la filiazione del Mosè dal San Paolo è troppo evidente, e non può liquidarsi con una coincidenza. Il Mosè ambiguo e sfuggente, accostato all’immagine di San Paolo scolpita quarant’anni prima, testimonia che le due sculture ebbero un legame privilegiato con l’inconscio inquieto dell’artista.
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Michelangelo. Il marmo e la mente
Catalogo dei disegni di Michelangelo
Catalogo dei disegni di Michelangelo per il monumento sepolcrale di Giulio ii con un’appendice di disegni e stampe tratti dalla tomba Claudia Echinger-Maurach disegni di Michelangelo per la tomba
Art, Rogers Fund, 1962, n. 62.93.1
Maurach 2009a, p. 43.
Dis. 1 (tav. 2) Michelangelo Buonarroti Disegno per un monumento sepolcrale Penna e bistro bruno su carboncino, parzialmente tracciato con la riga; parte sinistra (due paraste su basamento), tagliata in alto, mis. max. 239 x 81 mm; parte destra (nicchia ad arco a tutto sesto con figure e sarcofago fiancheggiato da due paraste su basamento), tagliata in alto e a destra, mis. max. 207 x 114 mm 1505 ca. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 8026v (parte sinistra) e 722v (parte destra). Per i nn. inv. 8026r e 722r cfr. dis. 2
Bibliografia: Annual Report 1963, p. 63; Tolnay 1975-80, i, ripr. a p. 63, iv, cat. n. 489; Hirst 1976; Joannides 1981, p. 680; Bean, Turcic 1982, cat. n. 132; Hartt 1982, p. 282; Pope-Hennessy 1986, p. 453; Wallace 1987, p. 253; Hirst 1988a, pp. 3, 82, 91-92, 94; Hirst 1988b, cat. n. 9; Hirst 1989, cat. n. 9; Roberts 1988, p. 17; Wallace 1989, p. 70 n. 2 (data il supporto, sulla base della filigrana, agli anni 1515-16); Argan, Contardi 1990, pp. 52, 67; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 290-292, n. 289; Joannides 1991, pp. 34-42; Cordellier 1991, pp. 44, 47; Saalman 1992, pp. 89, 91; Poeschke 1992, p. 90; Motzkin 1992, p. 227 n. 27; Bissell 1993, pp. 145-148, 152; Frommel 1994, p. 402 e cat. n. 279; Griswold, Wolk-Simon 1994, cat. n. 18; Echinger-Maurach 1998b, pp. 294-296; Bredekamp 1999, p. 259, n. 4 (con riserve); Giovinezza di Michelangelo 1999, cat. n. 11 (C. Echinger-Maurach); Myssok 1999, pp. 216-218; Kempers 2000, pp. 40-41; Echinger-Maurach 2002; Maurer 2004, pp. 47, 109; Brothers 2008, pp. 87-93; Echinger-Maurach 2009a, pp. 1318, 163, 165; Echinger-Maurach 2009b, pp. 102, 112; Forcellino M. 2009, pp. 165-166; Gnann 2010, cat. n. 45 (dopo la Madonna Sistina di Raffaello); Satzinger 2011, p. 176; Frommel 2012a, pp. 121-123; Poeschke 2013, pp. 44-49; Gnann 2013, pp. 213-224.
Dis. 5 (tav. 19) Michelangelo Buonarroti Studi per la Sibilla libica, schizzi di sei Prigioni, disegno di un cornicione Sanguigna, penna e bistro bruno; 288 x 194 mm 1511-13 ca. Oxford, Ashmolean Museum, Parker 297r. Per il verso cfr. dis. 8.
Bibliografia: Joannides 1991, pp. 32-42; Cordellier 1991, pp. 43-45; Bissell 1993, pp. 143-145; Griswold, Wolk-Simon 1994, p. 23; Frommel 1994a, pp. 402, 598, cat. n. 278; Lanfranc de Panthou, Perronet 1995, cat. n. 38; Joannides 2003, cat. nn. 14-15; Chapman 2005, p. 100; Brothers 2008, p. 224 n. 20; Echinger-Maurach 2009a, pp. 12-13, 18; Echinger-Maurach 2009b, p. 102; Satzinger 2011, p. 175; Maurer 2012, p. 33; Zanchettin 2012, p. 102; Frommel 2012a, pp. 123-124; Poeschke 2013, pp. 46, 49. Dis. 2 (tav. 3) Michelangelo Buonarroti Schizzi di nudo maschile seduto e stante Penna e carboncino; parte sinistra (nudo in piedi di schiena): mis. max. 239 x 81 mm; parte destra (uomo con baffi seduto): mis. max. 207 x 114 mm 1505 ca. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 8026r (parte sinistra) e 722r (parte destra). Per inv. 8026v e 722v cfr. dis. 1 Bibliografia: Morelli 1891-92, col. 291; Berenson 1903, cat. n. 1596; Thode 190813, iii, cat. n. 489; Berenson 1938, i, p. 198, ii, cat. n. 1596; Delacre 1938, p. 269; Goldscheider 1951, fig. 181; Dussler 1959, cat. n. 666; Berenson 1961, i, p. 291, ii, cat. n. 1596; Goldscheider 1966, p. 207, tav. ix,b; Hartt 1970, p. 392; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 30r; Hartt 1976, cat. n. 5b; Perrig 1977, p. 169, n. 362 (n. 8); Joannides 1991, pp. 32-42; Cordellier 1991, pp. 43-45; Griswold, WolkSimon 1994, p. 23; Frommel 1994a, p. 402, cat. n. 278; Lanfranc de Panthou, Perronet 1995, cat. n. 38; Joannides 2003, cat. nn. 14-15; Echinger-Maurach 2009a, pp. 13-14. Dis. 3 (tav. 1) Michelangelo Buonarroti Disegno di presentazione della tomba di Giulio ii Carboncino, penna e bistro bruno, acquerellato in bruno chiaro su carta, ritagliato seguendo il contorno dell’alzato, incollato, già piegato in senso orizzontale, 510 x 319 mm 1505 ca. New York, The Metropolitan Museum of
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Dis. 4 (tav. 7) Michelangelo Buonarroti Calco della figura di Mercurio (recto), volto di uomo barbato con cappello, schizzo di un Prigione; profilo, torso, studio di gamba; testina di angelo alato; trascrizione del sonetto ccxxx di Petrarca Carboncino, penna e bistro grigio-verdastro e bruno; 399 x 210 mm 1505 ca. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 688v Bibliografia: Chennevières 1882-83, cat. n. 8; Morelli 1891-92, coll. 290-291; Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1588; Thode 1908-13, i, pp. 63, 153, iii, cat. n. 477; Frey 1909-11, cat. n. 87; Panofsky 1921-22, col. 23; Demonts 1921, cat. n. 5; Tolnay 1928a, p. 81; Baumgart 1937, pp. 225-226; Delacre 1938, pp. 327-328, 450; Tolnay 1943, cat. n. 34; Gradmann 1943, p. 19; Weinberger 1945, pp. 71-72; Goldscheider 1951, cat. n. 24; Wilde 1953a, p. 25; Tolnay 1954, p. 35; Brugnoli 1955, p. 136; Dussler 1959, cat. n. 209; Berti 1965, fig. 13 e n. 12; Goldscheider 1966, cat. n. 30; Weinberger 1967, i, pp. 121, 167; Hartt 1970, cat. n. 47; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 20v; Bacou, Viatte 1975, cat. n. xiv; Perrig 1976, p. 24; Perrig 1977, p. 126, n. 176; Prater 1977, pp. 302 ss.; Joannides 1982, p. 3; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 232, 239-240, 432; Poeschke 1992, p. 98; Echinger-Maurach 1998a, pp. 326-331; Giovinezza di Michelangelo 1999, cat. n. 60 (C. Echinger-Maurach); Myssok 1999, p. 218; Joannides 2003, cat. n. 13; Echinger-
Bibliografia: Robinson 1870, cat. n. 23; Gotti 1875, ii, p. 230; Morelli 1891-92, col. 544; Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1562; Steinmann 1905, ii, p. 601, n. 44; Jacobsen 1907, p. 492; Colvin 1907, i, cat. n. 6; Thode 1908-13, i, pp. 151-152, iii, cat. n. 407; Frey 1909-11, cat. n. 3; Brinckmann 1925, cat. n. 33; Tolnay 1928a, pp. 78 ss.; Wilde 1928, p. 216 n. 27; Popham 1931, cat. n. 213; Delacre 1938, pp. 328-329; Laux 1943, pp. 43, 73-74, 77, 80, 415 n. 43; Tolnay 1945, pp. 61-62 e cat. n. 47; Goldscheider 1951, cat. n. 32; Janson 1952, pp. 296 ss.; Tolnay 1954, p. 34; Wilde 1954, p. 10; Brugnoli 1955, pp. 136 ss.; Parker 1956, cat. n. 297; Dussler 1959, cat. n. 194; Brugnoli 1964, cat. n. 25; Goldscheider 1966, cat. n. 40; Weinberger 1967, i, pp. 145, 166-170, 185, 188, 212; Hartt 1970, cat. n. 54; Gere 1975, cat. n. 19; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 157r; Hibbard 1979, p. 148; Preiss 1976, cat. n. 21; Joannides 1982, p. 3; Balas 1983, p. 668; PopeHennessy 1986, p. 31; Hirst 1988a, pp. 25, 37-38; Whistler 1990, cat. n. 13; EchingerMaurach 1991, i, pp. 29, 78-79, 198-199, 201, 204-207, 211, 216, 232, 239-246, 250, 255, 264, 267-270, 284, 339, 432-433; Perrig 1991, pp. 21-24, 26, 29-30, 50-52, 58-59; Poeschke 1992, p. 96; Motzkin 1992, p. 212; Joannides 1994b, pp. 16-18; Myssok 1999, pp. 218, 223; Chapman 2005, pp. 135-137 e cat. n. 28; Echinger-Maurach 2005, pp. 129-131; Joannides 2007, cat. n. 18; Brothers 2008, pp. 16, 36-38; Brothers 2009, p. 82; Echinger-Maurach 2009a, pp. 22, 38, 42. Dis. 5/copia 1 Biagio Pupini,
da
Michelangelo Buo-
narroti
Copie dagli studi di Michelangelo per la Sibilla libica e altri studi di figure Penna, lumeggiatura bianca, pastello giallo, 20,2 x 29 cm Le copie dal foglio di Oxford si limitano alla riproduzione del putto e della mano sinistra della Sibilla. In base allo stile di tutti i disegni Paul Joannides ritiene che forse non risalgano direttamente al foglio di Oxford 1530 ca. Windsor Castle, rl 5435v Bibliografia: Joannides 1996, cat. n. 30; Joannides 2007, p. 124. Dis. 5/copia 2 Primaticcio sembra aver conosciuto la posa del Prigione n. 6, poiché la utilizza nel progetto per un Atlante vestito (Parigi, Musée du Louvre, rf53029, gessetto rosso e bianco,
240 x 110 cm). Importante a questo proposito è l’indicazione che Antonio Mini potrebbe aver portato questo foglio con sé in Francia. Bibliografia: Joannides 2007, p. 124. Dis. 6 (tav. 27) Michelangelo Buonarroti Disegno per il monumento di papa Giulio ii (frammento) Penna e bistro bruno su disegno preparatorio a carboncino, acquerellato in bruno chiaro su carta; grandezza massima del foglio originale 275 x 365 mm, strisce applicate di 16-19 mm di largh.; mis. compl. 292 x 363 mm 1513 ca. Firenze, gdsu, 608er (per il verso cfr. dis. 11) Bibliografia: Condivi 1746, pp. 70-71 (P.J. Mariette); Vasari[-Bottari] 1760, iii, pp. 211-212, n. 3; Burckhardt 1855, p. 633; Gotti 1875, ii, p. 171; Guillaume 1876, p. 71; Springer 1883, ii, p. 15; Schmarsow 1884, pp. 64 ss.; Portheim 1889, p. 149; Ferri 1890, p. 39; Ferri 1903, pp. 11-14; Berenson 1903, i, pp. 206 ss., ii, cat. n. 1632; Jacobsen 1904, p. 414; Thode 1908-13, i, pp. 147-148, iii, cat. n. 209; Wilde 1928, pp. 213-218; Panofsky 1937, pp. 565 ss.; Berenson 1938 [1961], i, pp. 206 ss., 351-352, ii, cat. n. 1632; Delacre 1938, pp. 321-326; Laux 1943, pp. 110-149; Wilde 1953a, p. 3; Tolnay 1954, pp. 10-11 e cat. n. 124; Degenhart 1955, pp. 282-283; Dussler 1959, cat. n. 497; Barocchi 1962, i, cat. n. 244; Barbieri, Puppi 1964, p. 817; Weinberger 1967, p. 160; Hartt 1970, cat. n. 45 A; Joannides 1971, p. 149, n. 5; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 56r; Hirst 1976, p. 380; Joannides 1981, p. 681; Hibbard 1979, p. 87; PopeHennessy 1986, p. 27; Hirst 1988a, pp. 8283; Hirst 1988b, cat. n. 20; Hirst 1989, cat. n. 20; Argan, Contardi 1990, pp. 52, 67; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 16-18, 22, 26, 28-30, 55-56, 90-91, 107, 170-171, 220221, 247-280, 284-293, 392-398, 402-403, 408 ss., 414, 418, 424-425; Joannides 1991, pp. 35-42; Cordellier 1991, pp. 43-45; Poeschke 1992, pp. 93-94; Genius of the sculptor 1992, p. 214 (A. Cecchi); Frommel 1994a, p. 416 e cat. n. 304; Petrioli Tofani 1986, cat. n. 608e; Myssok 1999, pp. 217-218; Pope-Hennessy 20004, p. 282; Chapman 2005, p. 135; Echinger-Maurach 2005, pp. 132-133; Echinger-Maurach 2009a, pp. 18-22; Frommel 2012a, pp. 125-129. Dis. 6/copia 1 (tav. 18) Allievo di Michelangelo (Pietro Urbano?) Copia parziale del disegno fiorentino per la tomba di Giulio ii; schizzi di figure e gambe sanguigna e carboncino, tagliato su ogni lato; 350 x 150 mm post 1516 Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 844v (per il recto cfr. dis. 12/copia 1) Bibliografia: Berenson 1903 [1938, 1961],
cat. n. 1743a; Thode 1908-13, i, p. 145, iii, cat. n. 505; Delacre 1938, p. 284; Tolnay 1954, pp. 10-11 e cat. n. 35a; Dussler 1959, cat. n. 678; Tolnay 1975-80, i, p. 68; Brugerolles 1981-82, cat. n. 25; Joannides 1991, pp. 41-42; Joannides 1996, p. 116; Joannides 2003, cat. n. 50. Dis. 6/copia 2 Aristotile da Sangallo (?) Copia parziale del disegno fiorentino per il monumento di papa Giulio ii penna e bistro bruno, acquerellato in grigiobruno chiaro; 192 x 103 mm Firenze, gdsu, inv. 14750f. Bibliografia: Ferri 1903, pp. 12-13; Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1649; Thode 1908-13, i, p. 149; Delacre 1938, pp. 106, 325-326; Tolnay 1954, cat. n. 34a; EchingerMaurach 1991, i, p. 249 n. 248. Dis. 6/copia 3 Aristotile da Sangallo (?) Copia parziale del disegno fiorentino per il monumento di papa Giulio ii penna e bistro; misure ignote Firenze, gdsu, perduto Bibliografia: Ferri 1903, p. 13; Thode 190813, i, p. 149; Tolnay 1954, cat. n. 32a; Echinger-Maurach 1991, i, p. 249 n. 248. Dis. 6/copia 4 (tav. 28) Anonimo (per incarico di P.-J. Mariette) Copia in scala ridotta del disegno di Firenze penna e bistro bruno, acquerellato in grigio-bruno, su carta del xviii secolo; 224 x 278 mm ante 16 aprile 1760 Roma, Biblioteca Corsiniana, f.c. 124297 (92), scatola 8 Bibliografia: Vasari[-Bottari] 1759-60, iii, pp. 211 ss.; Vasari[-Bottari] 1760, pp. 25-26; Tolnay 1954, p. 138; Tolnay 1975-80, i, ripr. a p. 64; Prosperi Valenti Rodinò 1978, pp. 44 ss.; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 17, 393. Dis. 7 (tav. 22) Michelangelo Buonarroti Disegno di presentazione per il monumento di papa Giulio ii Penna e bistro bruno, acquerellato su carta, con tracce di stilo; già piegato in due; foglio gravemente danneggiato ai quattro angoli e al di sotto della piega centrale sul lato destro e sul lato sinistro; dim. max. 587 x 409 mm 1513 ca. Berlino, Staatliche Museen, Preußischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett, KdZ 15305r (per il verso cfr. dis. 9) Bibliografia: Schmarsow 1884, pp. 63-77; Portheim 1889, p. 149; Berenson 1903 [1938, 1961], i, pp. 205-212, 351-352, ii, cat. n. 1623; Burger 1904, pp. 322, 341; Beckerath 1905, p. 111; Thode 1908-13, i, pp. 146-148, 173, iii, cat. n. 5; Panofsky 192122, col. 13; Wilde 1928, pp. 215-216 e n. 25; Panofsky 1937, pp. 565-579; Delacre 1938, pp. 321-327; Laux 1943, pp. 110-149; Goldscheider 1951, cat. n. 33; Wilde 1953a, pp. 19, 28, 40, 42; Tolnay 1954, pp. 32-36 e cat. n. 123; Dussler 1959, cat. n. 374; Barbieri, Puppi 1964, p. 817-818; De Angelis D’Ossat 1965, p. 279; Weinberger 1967, i, pp. 160 ss.; Hartt 1970, cat. n. 45; Joannides 1971, pp. 149-150; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 55r; Hirst 1976, pp. 375 ss.; Hibbard 1979,
p. 151; Balas 1983, p. 668; Pope-Hennessy 1986, p. 27; Hirst 1988a, pp. 81-82, 94; Argan, Contardi 1990, pp. 52, 67; EchingerMaurach 1991, i, pp. 29 -30, 55-56, 63-66, 70, 90-96, 101-109, 201, 204, 216, 218, 220221, 225-226, 230-232, 247, 252, 255-304, 311-312, 316, 320, 326-327, 329-330, 335336, 399-404, 408-410, 414, 418-419, 424438, 448-449, 452; Joannides 1991, p. 35; Saalman 1992, p. 89; Motzkin 1992, p. 215; Bissell 1993, pp. 148-153; Frommel 1994a, pp. 416, 418 (fig. 18), e cat. n. 304; Griswold, Wolk-Simon 1994, p. 23; Bredekamp 1999, p. 261; Hochrenaissance im Vatikan 1998-99, cat. n. 334 (J. Röll); Myssok 1999, pp. 217218; Kempers 2000, pp. 40-41; EchingerMaurach 2005, pp. 129-135; Sickel 2006, pp. 196-197; Brothers 2008, pp. 102-106; Echinger-Maurach 2009a, pp. 22-25; Forcellino M. 2009, pp. 163-166; EchingerMaurach 2009b, pp. 102-104; Gnann 2010, cat. n. 46; Satzinger 2011, p. 177; Frommel 2012a, pp. 125-129. Dis. 7/copia 1 (tav. 24) Giacomo Rocca (Jacomo Rocchetti) Copia del disegno di presentazione di Berlino penna e bistro bruno sopra tracce di matita nera, acquerellato in bruno su carta; due pieghe orizzontali; 573 x 387 mm ante 1559 (?) Berlino, Staatliche Museen, Preußischer Kulturbesitz, Kupferstickabinett, KdZ 15306 Bibliografia: cfr. dis. 6; Sickel 2006, pp. 196197; Echinger-Maurach 2009a, p. 22-24; Sickel 2013, p. 76. Dis. 7/copia 2 (tav. 25) Carl Cronstedt (?) Copia della riproduzione di Jacomo Rocchetti (dis. 7/copia 1) del disegno di Michelangelo (dis. 7) penna e acquerello; 557 x 358 xviii sec. (?) Stoccolma, Cronstedt Collection, inv. 2655 Bibliografia: Tolnay 1954, p. 138; Tolnay 1975-80, i, ripr. a p. 63. Dis. 8 (tav. 20) Michelangelo Buonarroti Schizzi di un ginocchio e di una gamba con ginocchio carboncino, penna; 288 x 194 mm 1513 ca. Oxford, Ashmolean Museum, Parker 297v (per il recto v. dis. 5) Bibliografia: Robinson 1870, cat. n. 23; Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1562; Jacobsen 1907, p. 492; Thode 1908-13, iii, p. 184; Frey 1909-11, cat. n. 156; Brugnoli 1955, pp. 136 ss.; Parker 1956, cat. n. 297; Dussler 1959, cat. n. 194; Hartt 1970, cat. n. 89; Gere, Turner 1975, cat. n. 19; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 157v; Perrig 1991, p. 58; Chapman 2005, cat. n. 28; Joannides 2007, cat. n. 18; Echinger-Maurach 2009a, p. 43. Dis. 9 (tav. 26) Michelangelo Buonarroti Vari studi di gambe Penna e bistro bruno, stilo; 587 x 409 mm 1513 ca. Berlino, Staatliche Museen, Preußischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett, KdZ 15305v (per il recto v. dis. 7)
Bibliografia: cfr. dis. 7. Dis. 10 (tav. 30) Michelangelo Buonarroti Studi di mani e braccia Penna e sanguigna; 285 x 207 mm 1513 ca. Haarlem, Teylers Museum, inv. a28r
cat. n. 1743a; Thode 1908-13, i, p. 145, iii, cat. n. 505; Delacre 1938, pp. 283-286; Tolnay 1954, cat. n. 37a; Dussler 1959, cat. n. 678; Tolnay 1975-80, i, p. 68; Brugerolles 1981-82, cat. n. 25; Hirst 1989, cat. n. 20; Joannides 1991, p. 41; Joannides 1996, p. 116; Joannides 2003, pp. 196-198, cat. n. 50.
Bibliografia: Wilde 1953a, p. 3; Dussler 1959, cat. n. 531; Regteren Altena 1964, p. 174; Hartt 1970, cat. n. 51; Tolnay 197580, i, cat. n. 108r; Joannides 1982, p. 8, n. 21; Joannides 1996, p. 100; van Tuyll van Serooskerken 2000, cat. n. 51; Chapman 2005, pp. 143-144 e cat. n. 31 (1514 ca.); Echinger-Maurach 2009a, p. 43; Gnann 2010, cat. n. 47.
Dis. 14 (tav. 10) Michelangelo Buonarroti Studio di un giovane con le braccia alzate (recto) Sanguigna; 129 x 107 mm 1516 ca. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 8676r
Dis. 11 (tav. 29) Michelangelo Buonarroti Studi di mani e braccia Sanguigna; 292 x 361 mm 1513 ca. Firenze, gdsu, 608ev (per il recto cfr. dis. 6) Bibliografia: Condivi 1746, pp. 70-71 (P.-J. Mariette); Gotti 1875, ii, p. 171; Springer 1883, ii, p. 15; Schmarsow 1884, pp. 64 ss.; Berenson 1903 [1938, 1961], i, p. 351, ii, cat. n. 1632; Thode 1908-13, i, p. 147, iii, cat. n. 209; Delacre 1938, pp. 248, 324; Wilde 1953a, p. 3; Tolnay 1954, pp. 10 ss. e cat. n. 51a; Dussler 1959, cat. n. 497; Barocchi 1962, i, cat. n. 244; Hartt 1970, cat. n. 52 (R.J. Betts); Tolnay 1975-80, i, cat. n. 56v; Joannides 1982, p. 8 n. 21; Hirst 1988a, pp. 82 ss.; Hirst 1989, cat. n. 20; Echinger-Maurach 1991, I, pp. 247 ss.; Joannides 1991, pp. 35-42; Cordellier 1991, pp. 43-45; Frommel 1994a, cat. n. 304; Chapman 2005, p. 144; Echinger-Maurach 2009a, p. 43. Dis. 12-13 (tavv. 16, 21) Michelangelo Buonarroti Studio per un Prigione (recto); studio di una gamba; tre coppie di lottatori (verso) Sanguigna su preparazione parziale a stilo (recto); carboncino (verso); 327 x 200 mm 1513 ca. Parigi, École Nationale Supérieure des Beaux-Arts, inv. 197r-v Bibliografia: Chennevières 1879, p. 520; Portheim 1889, p. 148; Morelli 1891-92, col. 488; Berenson 1903 [1938, 1961], i, p. 202, ii, cat. n. 1746; Thode 1908-13, i, p. 154, iii, cat. n. 513; Lavallé 1917, pp. 265 ss.; Venturi 1921, p. 226; Wilde 1928, p. 218, n. 32; Panofsky 1932, p. 161; Delacre 1938, pp. 283-286; Tolnay 1954, cat. n. 36a; Wilde 1954, p. 10; Dussler 1959, cat. n. 641; Weinberger 1967, pp. 167, 185; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 62; Hirst 1988a, pp. 3, 18; Hirst 1989, cat. n. 20bis; Argan, Contardi 1990, p. 67; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 67, 352 n. 357; Joannides 1991, p. 41; Joannides 1996, p. 116; EchingerMaurach 2009a, p. 42; Gnann 2010, p. 171. Dis. 12/copia 1 (tav. 17) Allievo di Michelangelo (Pietro Urbano?) Studio per un Prigione, piccoli schizzi Sanguigna, tagliata su tutti i lati; 350 x 150 mm post 1516 Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 844r (per il verso cfr. dis. 6/copia 1). Bibliografia: Berenson 1903 [1938, 1961],
Bibliografia: Joannides 1994a, pp. 15-25; Villard 1998, pp. 16-17, 23; Joannides 2003, pp. 123, cat. n. 20; Joannides 2006, p. 372; Joannides 2011. Dis. 14/copia 1 Nel 2006 Paul Joannides ha pubblicato una copia del dis. 14 in collezione privata, che mostra la figura intera Bibliografia: Joannides 2006, p. 372. Dis. 15 (tav. 8) Michelangelo Buonarroti Studio di gamba, profilo, due studi di nudo, diverse scale di misura Penna, in parte acquerellato; margine superiore strappato a dente; mis. max. 169 x 172 mm 1516 ca. Firenze, Casa Buonarroti, inv. 29f Bibliografia: Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1404; Thode 1908-13, i, pp. 150, 155, iii, cat. n. 29; Frey 1909-11, cat. n. 231; Tolnay 1928a, p. 84 n. 17; Baumgart 1937, pp. 250-251; Tolnay 1954, cat. n. 130; Dussler 1959, cat. n. 51; Barocchi 1962, i, cat. n. 240; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 60r; Berti 1985, p. 64 (Cecchi-Natali). Dis. 16 (tav. 5) Michelangelo Buonarroti Schizzo per un Prigione; versi, altri schizzi (una testa, una gamba sinistra e due torsi) Sanguigna, penna e bistro bruno; 210 x 282 mm 1505 ca. (Frommel), 1516 ca. (EchingerMaurach) Londra, Courtauld Institute Galleries, inv. d.1978.pg.422v Bibliografia: Venturi 1928, p. 155; Tolnay 1928a, pp. 70 ss.; Venturi 1935, p. 265; Baumgart 1937, pp. 249 ss.; Berenson 1938[1961], cat. n. 1543a (verso), 1696A (recto); Tolnay 1948, cat. n. 104; Wilde 1953b, cat. n. 40; Tolnay 1954, pp. 35, 118, cat. n. 26; Dussler 1959, cat. n. 216; Hartt 1970, cat. n. 130; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 101v; Gere 1975, cat. n. 77; Joannides 1981, p. 681; 100 Masterpieces... 1987, pp. 130-131 (M. Hirst); Echinger-Maurach 1991, i, pp. 80, 355 n. 361; Myssok 1999, p. 218; Frommel 2013. Dis. 17 (tav. 35) Michelangelo Buonarroti Il papa defunto sorretto sul sarcofago da due figure Penna e bistro bruno, sanguigna; 212 x 144 mm 1516-17 (ante marzo 1517) Firenze, Casa Buonarroti, inv. 43av
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Michelangelo. Il marmo e la mente
Bibliografia: Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1456; Thode 1908-13, i, pp. 161-162, iii, cat. n. 174; Frey 1909-11, cat. n. 211b; Bertini 1945, p. 23; Laux 1943, pp. 151152; Tolnay 1954, pp. 47, 127, cat. n. 136; Dussler 1959, cat. n. 279; Barocchi 1962, i, cat. n. 45v; Berti 1965, fig. 129 e n. 114; Weinberger 1967, i, p. 195; Hartt 1970, cat. n. 290; Gere 1975, cat. n. 99; Tolnay 197580, i, ripr. a p. 66; iv, cat. n. 501v; Berti 1985, p. 16, 73 (Cecchi-Natali); Hirst 1988a, p. 3; Argan, Contardi 1990, p. 14; EchingerMaurach 1991, i, pp. 226, 263, 322, 443, 445; Echinger-Maurach 2009a, pp. 31-32; Echinger-Maurach 2009b, pp. 106, 262, cat. n. 19; Frommel 2012a, p. 130. Dis. 18 (tav. 34) Michelangelo Buonarroti Ricordo del 21 gennaio 1517, alzato del piano superiore della tomba di Giulio ii Penna; 200 x 315 mm 1517 Firenze, Casa Buonarroti, inv. 69ar Bibliografia: Fabbrichesi 18753, p. 11; Gotti 1875, ii, p. 180; Milanesi 1875, p. 567; Thode 1902-13, i, p. 365; Geymüller 1904, p. 8; Frey 1909-11, p. 198; Thode 1908-13, ii, pp. 93, 95, iii, cat. n. 120; Wilde 1928, pp. 213 ss.; Tolnay 1934, pp. 32-33, n. 1; Laux 1943, pp. 154 ss.; Tolnay 1954, pp. 47, 139, cat. n. 126; Wilde 1954, pp. 6-10; Dussler 1959, cat. n. 105; Fortuna 1960, p. 148; Barocchi 1962, i, cat. n. 51; Barbieri, Puppi 1964, pp. 66, 74, 818; Hartt 1970, cat. n. 288; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 58r; Berti 1985, p. 60 (Cecchi-Natali); Argan, Contardi 1990, p. 72; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 64-65, 101-102, 322-328, 441-442, 448; The Genius of the sculptor 1992, p. 454 (P. Marani); Vita di Michelangelo 2001, p. 56, cat. n. 30 (M. Marongiu); Echinger-Maurach 2009a, pp. 26-32; Echinger-Maurach 2009b, pp. 106, 263, cat. n. 20; Satzinger 2011, pp. 177-178. Dis. 19-20 (tavv. 52a-52b) Michelangelo Buonarroti Schizzi di blocchi di marmo Penna, tracce di sanguigna, parte del foglio con rinforzi ai margini; 314 x ca. 218 mm Oltre alle indicazioni di misure e ai segni sui blocchi, si leggono le seguenti scritte: sul recto a sinistra in alto:«] mio segn[io] sono [di quegli] ch(e) io ò avuti / [d]a lLeone; quegli ch(e) aranno u(n) em(m)e nel mio seg/nio sono de quegli ch(e) io ò avuti dal Ma(n)cino; / quegli ch(e) ara[nn]o u(n) Cha sono di quegli ch(e) i’ò / [a]vuti da Chagione; quegli ch(e) arranno un b / sono di quegli ch(e) i’ò avuti dal Bello; / uno pezo ch(e) arà nel segnio l’O ò avuto da l`Otte»; sul recto in basso: «Io Galvano di S(er) Nic(ol)ò da Carra[ra] / fo fede come in questo libro di faccie / venti si contengano tutti li pezi di / marmi ch(e) m(aestr)o Mich(e)langiolo hae hauto / da diverse p(er)sone disse (disse canc.) come di sopra / si co(n)tiene inella memoria scripta p(er) ma/no di ditto m(aestr)o Michelangiolo ch(e) come(n)c[ia]/ così ‘Nota tutti e’ pezi’ N(otari) us. Et di volu(n)tà di ditto m(aestr)o Michelangiolo, / Mancino et Cagione s(oprascrit)ti ho / scripto il nome mio i(n) ciascuna faccia»; sul verso sotto in basso: «Io Galvano di S(er) Nic(ol)ò N(otari)us». 1. Firenze, ab i, 82, fol. 226r-v (= Barocchi 1964, cat. n. 320r-v): dei sette blocchi disegnati sul recto e sul verso, forniti da Manci-
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Catalogo dei disegni di Michelangelo
no (morto il 23.10.1518), solo uno sul verso raggiunge l’altezza di 3 braccia, tutti gli altri restano al di sotto di tale misura. Ne consegue che non possono essere messi in rapporto con le misure stabilite nei contratti per le statue della facciata di San Lorenzo o per quelle della tomba di Giulio ii. 2. Firenze, ab i, 82, fol. 228r-v (= Barocchi 1964, cat. n. 322r-v): dei dieci blocchi disegnati sul recto e sul verso del foglio, forniti anch’essi da Mancino, nessun blocco raggiunge l’altezza di 3 braccia. 3. Firenze, ab i, 82, fol. 229r-v (= Barocchi 1964, cat. n. 323r-v): anche questi undici blocchi, forniti da Cagione, restano tutti sotto l’altezza di 3 braccia. 4. Firenze, ab i, 82, fol. 233r (= Barocchi 1964, cat. n. 326r): Il blocco alto solo 3 braccia e ¼, fornito dallo scalpellino Bello, è troppo piccolo per essere attribuito ai progetti per la tomba di Giulio ii. 5. Firenze, ab i, 127, foll. 240v e 241r (= Barocchi 1964, cat. nn. 327-328): I blocchi schizzati in questi due fogli si differenziano dagli altri non solo per l’esecuzione a sanguigna, ma anche per l’indicazione del peso in libbre. L. Bardeschi Ciulich ha fatto presente che tali peculiarità si riscontrano sui marmi forniti da Pietrasanta all’Opera del Duomo di Firenze (Bardeschi Ciulich 1994b, p. 100). Ciò potrebbe forse consentire di attribuire tali blocchi preferibilmente alla facciata di S. Lorenzo piuttosto che alla tomba di Giulio ii. Tra essi se ne trovano comunque alcuni con misure da 3 e 2/3 a 5 braccia che consentono di ipotizzarne l’utilizzazione per le statue della tomba di Giulio II (cfr. Barocchi 1964, cat. n. 327: a, b, c, f, h; cat. n. 328: m, n, o). Tutti i blocchi sono stati tagliati da Mancino. 6. Firenze, ab i, 153, fol. 272 (= Barocchi 1964, cat. n. 329): i blocchi disegnati, forniti entrambi da Mancino, sono troppo piccoli per essere destinati a statue. ab i,
82, fol. 223r: il recto presenta tre blocchi di marmo per il diritto e uno per il lungo. Nella scritta frammentaria sopra a sinistra Michelangelo spiega quale significato hanno i monogrammi segnati sui blocchi e iscritti nella sua sigla, costituita da tre corone intrecciate una nell’altra: “L” sta a indicare lo scalpellino Antonio di Jacopo da Puliga, detto Leone, “M” Bartolommeo di Giampaolo di Cagione di Torano, detto il Mancino, “Ch” Leonardo d’Andrea di Cagione, detto Chagione, “B” Francesco, detto Bello, di Torano, e “O” Otte. Nella scritta a destra in basso è certificato dal notaio Galvano di ser Niccolò Parlontiotto da Carrara il ricevimento di tutti i blocchi disegnati nel quaderno. Il blocco al margine sinistro è stato tagliato da Chagione ed è “lungo 4 braccia e1/2, largo 1 braccio e 3/4, grosso 1 braccio e 1/3”. Il blocco al centro, anch’esso tagliato da Mancino, è “lungo 4 braccia e 1/2, alto 1 braccio e 2/3, grosso 1 braccio e 1/3”. Il blocco al margine destro, tagliato da Leone, è “lungo 4 braccia e 7/8 in un canto, 4 braccia e 1/3 a l’altro canto, alto 1 braccio e 3/4, grosso 1 braccio e 1/3”. Il blocco del margine inferiore, tagliato da Mancino, è “lungo 4 braccia e 1/4, alto 1 braccio e 1/3, largo 1 braccio e 1/3 overo 1/4”. ab i, 82, fol. 223v: sul verso si vedono quattro
blocchi di marmo per il lungo e sotto la firma del notaio Galvano di ser Niccolò. Tutti e
quattro i blocchi sono stati tagliati da Leone. Il blocco schizzato in cima al foglio è “lungo 4 braccia e 2/3, largo 1 braccio e 1/2, grosso 1 braccio e ¼”. Il blocco sottostante è “lungo 4 braccia e 1/4, largo 7/8 d’un braccio, grosso mancho d’un 1/2 braccio dua dita”. Il piccolo blocco sottostante è “lungo 1 braccio e 2/3, grosso ¾ di braccio, largo 7/8 d’un braccio. Il blocco del margine inferiore è “lungo 5 braccia scarse, largo 1 braccio, grosso 1/2 braccio”. 1517-18 Firenze, ab i, 82, fol. 223r-v Bibliografia: Tolnay 1928b, p. 462, n. 15; Tolnay 1948, p. 159, n. 4; Tolnay 1954, pp. 155-156; Dussler 1959, cat. n. 16; Barocchi 1964, cat. n. 317r-v; Hartt 1971, p. 377; Tolnay 1975-80, cat. n. 467r-v; Hirst 1988a, p. 75; Wallace 1992, pp. 127-131; Bardeschi Ciulich 1994b, pp. 102-103. Dis. 21-22 (tavv. 52c-52d) Michelangelo Buonarroti Schizzi di blocchi di marmo Penna, tracce di sanguigna; 314 x 218 mm ca. Cfr. dis. 19-20. Dei sei blocchi schizzati sul recto e sul verso del foglio e forniti da Mancino, solo quello sul margine inferiore del recto presenta misure conciliabili con una statua. È lungo 3 braccia e 3/4, largo 1 braccio e 2/3, spesso 1 braccio e 1/4. Michelangelo lo avrebbe potuto utilizzare per scolpire uno schiavo alto quanto lo Schiavo morente del Louvre (lungo ca. 3 braccia e 3/4, largo 1 braccio e 1/8, spesso 7/8 di braccio); ma il prigione, come è tipico anche dei Prigioni di Boboli, avrebbe potuto estendersi di più in larghezza e soprattutto in profondità, dato che si aveva a disposizione una maggiore massa di marmo. 1517-18 Firenze, ab i, 82, fol. 224r-v Bibliografia: Tolnay 1928b, p. 462, n. 15; Tolnay 1948, p. 159, n. 4; Tolnay 1954, pp. 155-156; Dussler 1959, cat. n. 16; Barocchi 1964, cat. n. 318r-v; Hartt 1971, p. 377; Tolnay 1975-80, cat. n. 468r-v; Wallace 1992, pp. 127-131; Bardeschi Ciulich 1994b, pp. 102-103; Vita di Michelangelo 2001, p. 66, cat. n. 38 (L. Bardeschi Ciulich); Rapetti 2001, p. 45 e fig. 4. Dis. 23-24 (tavv. 53a-53b) Michelangelo Buonarroti Schizzi di blocchi di marmo Penna, sanguigna; 314 x ca. 218 mm Cfr. dis. 19-20. Dei sette blocchi schizzati sul recto e sul verso del foglio, forniti anch’essi da Mancino, solo quelli del recto presentano misure conciliabili con statue. Il blocco arrotondato, schizzato in cima al foglio, alto 5 braccia e 1/6 avrebbe potuto essere impiegato da Michelangelo per una delle statue del piano inferiore o superiore della facciata di S. Lorenzo, per la quale erano previste rispettivamente grandezze di 5 braccia e 5 braccia e 1/2 (cfr. Milanesi 1875, pp. 671672; Bardeschi Ciulich 2005, n. l). I due blocchi di marmo, disegnati sotto, di cui uno “lungo 3 braccia e 3/4, largo 1 braccio e 1/4, grosso nel manco 1 braccio” e l’altro
“lungo 3 braccia e 7/8, largo 1 braccio e 1/3, grosso 1 braccio e 1/8”, avrebbero potuto servire per realizzare schiavi di altezza analoga a quelli del Louvre. 1517-18 Firenze, ab i, 82, fol. 225r-v Bibliografia: Tolnay 1928b, p. 462, n. 15; Tolnay 1948, p. 159, n. 4; Tolnay 1954, pp. 155-156; Dussler 1959, cat. n. 16; Barocchi 1964, cat. n. 319r-v; Hartt 1971, p. 377; Tolnay 1975-80, cat. n. 469r-v; Wallace 1992, pp. 127-131; Bardeschi Ciulich 1994b, pp. 102-103; Wallace 1994, pp. 41-43; Rapetti 2001, fig. 5. Dis. 25-26 (tavv. 54a-54b) Michelangelo Buonarroti Schizzi di blocchi di marmo Penna e sanguigna; 314 x ca. 218 mm 1517-18 Firenze, ab i, 82, fol. 227r-v Cfr. dis. 19-20. Dei quattro disegni del foglio, quello più in basso sul recto con le sue 4 braccia e 2/3 di lunghezza si presenta molto alto, ma lo spessore di 3/4 di braccio lo rende molto meno profondo dei Prigioni di Boboli. Gli altri due blocchi sono troppo corti e non vanno presi in esame. Il blocco più interessante è quello sbozzato del verso, lungo 4 braccia e 2/3, spesso 1 braccio e 2/3 e largo altrettanto, misure che corrispondono all’incirca a quelle dello Schiavo che si ridesta e dell’Atlante. Nel 1954 Charles de Tolnay ha confrontato la forma di questo blocco con gli schizzi per gli dèi fluviali giacenti della Cappella Medici (cfr. Barocchi 1964, cat. n. 341v) e nel Corpus dei disegni di Michelangelo ha sottolineato le somiglianze con le Allegorie ugualmente adagiate degli stessi sepolcri. I parallelismi sono in entrambi i casi insostenibili per la semplice ragione che il blocco, come gli altri tre, è stato tagliato da Mancino, e risale dunque a un’epoca in cui la Sagrestia Nuova era ancora di là da venire. A un più attento esame del blocco va inoltre osservato quanto poco la figura avrebbe potuto sollevarsi con il busto, elemento inconciliabile sia con gli schizzi sommari per i blocchi delle figure distese sui sarcofagi della Cappella Medicea (Tolnay 1975-1980, iii, cat. n. 477v), sia con il modello di un dio fluviale di Casa Buonarroti. Gli dèi fluviali, progettati per ultimi da Michelangelo, dovevano avere una posa più serrata, dato che sotto i sarcofagi restava poco spazio (cfr. Tolnay 1975-1980, ii, cat. n. 227). Il blocco non si adatta neppure per forma e proporzioni a una delle Allegorie della Cappella Medicea, dato che la superficie per le gambe è alta e massiccia, quella per la testa piccola. Se si parte dal fatto che le tre corone di Michelangelo sono sempre apposte sulla base di appoggio del blocco, si può benissimo pensare che sia servito per uno Schiavo, a mio parere per quello Giovane. Questa identificazione completa i due blocchi identificati da C. Rapetti con lo Schiavo Barbuto e l’Atlante (cfr. dis. 27) Bibliografia: Tolnay 1928b, p. 462, n. 15; Tolnay 1948, p. 159, n. 4; Tolnay 1954, pp. 155156; Dussler 1959, cat. n. 16; Barocchi 1964, cat. n. 321r-v; Hartt 1971, p. 377; Tolnay 1975-80, cat. n. 471r-v; Wallace 1992, pp. 127-131; Bardeschi Ciulich 1994b, pp. 102103; Wallace 1994, pp. 40-42; Rapetti 2001, fig. 6; Echinger-Maurach 2009a, pp. 46, 53. Dis. 27-28 (tavv. 55c-55d) Michelangelo Buonarroti
Schizzi di blocchi di marmo Penna, sanguigna; 314 x ca. 218 mm Cfr. dis. 19-20. Dei quattro disegni del recto interessano i primi tre. Il blocco in cima al foglio, tagliato da Leone, è “lungo 4 braccia e 7/8 o 4 e 1/3, alto 1 braccio e 7/8, grosso 1 braccio e 1/3”. Confrontando misure e segni con quelli degli Schiavi di Boboli, C. Rapetti ha identificato nel blocco quello da cui Michelangelo avrebbe scolpito l’Atlante. Il blocco sottostante, tagliato da Cagione, è “lungo 4 braccia e 1/3 o 4 e 1/2, largo 1 braccio e 3/4 o 1 e 1/2, grosso 1 braccio e 1/4”. C. Rapetti ha dimostrato convincentemente che Michelangelo ha utilizzato questo blocco per la scultura del cosiddetto Schiavo barbuto. Il terzo blocco successivo, tagliato da Mancino, è “lungo 4 braccia, largo 1 braccio e 2/3 o 1 e 1/3, grosso 1 braccio e 1/8”. Michelangelo a utilizzato questo blocco per la statua della Notte nella Cappella Medicea. Sul verso interessano i primi due blocchi. Il blocco in alto, fornito da Cagione, è “lungo 4 braccia e 1/2, largo 2 braccia, grosso nel più 1 braccio e 1/3”. Il blocco arrotondato, fornito da Bello, è “lungo 4 braccia e 2/3, largo 1 braccio e 1/3, grosso 1 braccio e 1/3”. Dei blocchi illustrati, i più grandi avrebbero potuto servire anche per le statue del piano inferiore della facciata di S. Lorenzo: soprattutto il blocco al centro del verso presenta forme riconducibili alla figura stante di un santo (si confronti il San Matteo di Michelangelo). Da blocchi con tali misure l’artista potrebbe però aver anche ricavato nella bottega di via Mozza i suoi Prigioni di Boboli o la Vittoria (“lunga 4 braccia e 1/2, larga 1 braccio e 1/4, grossa 1 braccio e ½”). 1517-18 Firenze, ab i, 82, fol. 230r-v Bibliografia: Tolnay 1928b, p. 462 n. 15; Tolnay 1948, p. 159 n. 4; Tolnay 1954, pp. 155-156; Dussler 1959, cat. n. 16; Barocchi 1964, cat. n. 324r-v; Hartt 1971, p. 377; Tolnay 1975-80, cat. n. 474r-v; Wallace 1992, pp. 127-131; Bardeschi Ciulich 1994b, pp. 102-103; Wallace 1994, pp. 51-52; EchingerMaurach 2009a, pp. 47, 53. Dis. 29-30 (tavv. 56a-56b) Michelangelo Buonarroti Schizzi di blocchi di marmo Penna e sanguigna; 314 x ca. 218 mm Cfr. dis. 19-20. Dei quattro blocchi, forniti da Bello, Leone e Otte, nessuno presenta misure conciliabili con le sculture della tomba di Giulio ii. Il più grande è lungo 5 braccia e 1/8, ma profondo solo 7/8 di braccio; avrebbe potuto piuttosto essere utilizzato per le statue della facciata di S. Lorenzo. Dei cinque blocchi del verso, quattro dei quali forniti da Cagione, solo quello tagliato da Mancino presenta con le sue forme già sbozzate misure interessanti per il nostro argomento: è “lungo 4 braccia e 2/3, grosso 1 braccio e 3/4, grosso 1 braccio e 1/3”. Un blocco di queste misure avrebbe potuto servire per lo Schiavo che si ridesta 1517-18 Firenze, ab i, 82, fol. 231r-v Bibliografia: Tolnay 1928b, p. 462, n. 15; Tolnay 1948, p. 159, n. 4; Tolnay 1954, pp. 155-156; Dussler 1959, cat. n. 16; Barocchi
1964, cat. n. 325r-v; Hartt 1971, p. 377; Tolnay 1975-80, cat. n. 475r-v; Wallace 1992, pp. 127-131; Bardeschi Ciulich 1994b, pp. 102-103; Wallace 1994, pp. 51-52; Rapetti 2001, pp. 49-51 e figg. 8-9a-c. Dis. 31-32, 33-34 (tavv. 31, 32) Michelangelo Buonarroti Copie di disegni di Pietro Urbano: Alzato del piano inferiore del monumento di papa Giulio ii e schizzi di blocchi di marmo tagliati e decorati Penna; misure complessive: 260 x 238 mm, risultanti da 146 x 233 mm (metà superiore del foglio) e 113 x 129 mm (quarto inferiore destro) Iscrizione sul recto: «questo schizo e una parte della faccia dina[n]zi della sepultura el quale e tucto / finito di quadro e dintagli la qual parte e alta dalla terra alla prima corni/ce braccia sei e dallu[n] canto allaltro di largeza braccia u[n]dici e de di pezi / sessa[n]ta secte cho[n] que pezi segniati ch[e] ue su elnumero · e de messo i[n]/sieme inuna sta[n]za che e in casa i[n] sul cortile nella quale / sta[n]za e dua ruote du[n] carro ch[e] io feci fare e lasso elresto / e in un altra sta[n]za terrena i[n] casa i[n] roma» (cfr. Wilde 1953a, cat. n. 23r; Ricordi 1970, n. lii). «[...] a innanzi alla porta della stanza dove silavora di [...]», che si riferisce ad altri pezzi (?). Sul verso si trovano da sinistra a destra e dall’alto in basso i seguenti pezzi: 1. Un pezzo rettangolare, probabilmente più alto, in cui sono schizzati dettagli. Ha un’altezza di “un braccio e qua[rto]” (ca. 75 cm) ed è “grosso un mezo braccio” (ca. 30 cm). 2. Accanto è “un pezo di cornicione bozato”, alto “tre quarti” di un braccio (ca. 45 cm) e spesso “un mezo bracio” (ca. 30 cm). 3. Segue un blocco quadrato molto profondo, ma sul davanti piccolo, la cui ornamentazione rivela come fosse destinato a essere collocato ai lati delle teste dei termini sopra uno dei “membreti”. Reca la scritta: «questo pezo e / nelle decte / stanze / e e nel numero / di quegli che fanno / la facia dina[n]zi / della sepultura / dalla prima corni/ce in giu che e finit[a] e e messa quasi tuct[a] / i[n] sieme in casa». 4. Al margine sinistro segue il fusto di un termine con accanto a sinistra un “membreto”. Il termine è largo nella parte superiore “un braccio” (ca. 60 cm), alto “dua braccia e un terzo” (ca. 140 cm), “un t[er]zo grosso” (ca. 20 cm). Nel fusto del termine si trova scritto: “questi sono mezi / termini del numero / delle pietre della / faccia finita / e son quatro pezi / nelle decte stanze”. Nel “membreto” collocato a sinistra si legge: “a un pezo di questi sei termini è apichato / u[n] membreto come si vede qui”. 5. Segue a destra in alto un “membreto” posto di traverso con la scritta: “questo menbreto è squadrato“. E’ alto “dua braccia e otavo” (ca. 126,5 cm), un “terzo grosso” (ca. 20 cm), “un terzo” largo (ca. 20 cm). 6. Segue sotto a sinistra un elemento frontale con ornamenti su cui si legge: «questi pezi sono dua e del numero / uno finito del tucto, l’altro squadrato». Questi blocchi sono alti “un brace [braccio] e un decimo“ (ca. 66 cm) e larghi “un bracio e quarto” (75 cm ca.). Le misure non sono conciliabili né con il fronte dei piedistalli del piano inferiore né con le lastre ornate ai lati della nicchia di Mosè. 7. A destra accanto alla lastra ornata segue un “membreto” quadrato sul davanti e con
decorazione (e probabilmente misure) analoghe a quelle del pezzo illustrato al n. 3. La scritta recita: «questo e finito / del numero / di detta faccia / finita». 8. Accanto al n. 7 segue sul margine destro un blocco tagliato con scritto: «quest’ e del numero / finito di squadrare». Il blocco è largo “un terzo” (ca. 20 cm). Della misura dell’altezza si leggono solo le parole finali: “[...] co[...] e mezo”, e di quella dello spessore le due ultime lettere: “zo”. 9. A sinistra segue sotto il fusto del termine un blocco rettangolare con le indicazioni: «un braccio e mezo (ca. 90 cm) / del deto numero / squadrate e (t)tagliate». Il pezzo è alto o largo “tre quarti” (ca. 45 cm) e “un terzo grosso” (ca. 20 cm). 10. Segue a destra per dritto un “membreto” ornato, come si legge anche nella scritta: “questi sono dua menbretti, finiti e (t)tagliati, del numero decto”. Il pezzo è alto “dua braccia e mezo”, largo “un terzo” e spesso “dua terzi”. 11. Sotto a sinistra segue un altro “membreto” con faccia quadrata ornata. E’ lungo “un bracio” (ca. 60 cm) e largo “un terzo” (20 cm). L’espressione “del numero” allude probabilmente ai pezzi menzionati ai nn. 3 e 7. 1518 Londra, The British Museum, inv. 1859-514-824r-v; inv. 1947-1-17-1r-v (fino al 1947: The British Museum, Department of Manuscripts, Add. 21520, fol. 16) Bibliografia: Fagan 1883, pp. 47-49; Berenson 1903 [1938, 1961], i, p. 203, ii, cat. n. 1501; Thode 1908-13, i, pp. 149-150, iii, cat. n. 320; Frey 1909-11, cat. n. 10a, b; Steinmann, Wittkower 1927, p. 454; Wilde 1928, pp. 214-218; Tolnay 1930, p. 522; Maurenbrecher 1938, pp. 10 ss.; Laux 1943, pp. 116, 173-174; Wilde 1953a, cat. n. 23r-v; Wilde 1953b, cat. n. 138; Tolnay 1954, cat. nn. 127, 128, p. 169, n. 3; Dussler 1959, cat. n. 152; Barbieri, Puppi 1964, p. 819; Berti 1965, fig. 112 e n. 89; Weinberger 1967, i, pp. 130, 186, 193 n. 10, 196-197, 217 n. 52; Hartt 1970, cat. nn. 126, 127; Tolnay 197580, i, cat. n. 57r-v; Balas 1983, p. 668; Argan, Contardi 1990, pp. 71-72; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 29, 55-56, 95, 105, 149-150, 313-316, 374, 409, 434, 444, 446, 449; The Genius of the sculptor 1992, p. 454 (P. Marani); Chapman 2005, pp. 159-160 e cat. n. 38; Brothers 2008, p. 138; Echinger-Maurach 2009a, pp. 26-28; Echinger-Maurach 2009b, pp. 105-106; Zanchettin 2012, p. 103. Dis. 35 Michelangelo Buonarroti Due schizzi di figure: a sinistra una figura di profilo, a destra una di spalle; righe di scrittura Penna e bistro bruno; 290 x 210 mm 1519 ca. Firenze, ab i, 25, fol. 62 Bibliografia: Tolnay 1928, p. 459, n. 2; Tolnay 1954, cat. n. 134; Dussler 1959, cat. n. 396; Barocchi 1964, cat. n. 363; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 64r; Joannides 1981, p. 681; Echinger-Maurach 2009a, pp. 45, 53. Dis. 36 (tav. 45) Michelangelo Buonarroti Schizzo di un giovane nudo con braccia legate, disegni di armature Penna e bistro bruno; 199 x 114 mm Sul verso ricordo: «Topolino a di diciocto di giugno / a giornate ventiquatro [parola
indecifrabile] grossi sessanta dua». 1519 ca. (?) Firenze, Casa Buonarroti, inv. 42fr Bibliografia: Thode 1908-13, iii, p. 81; Delacre 1938, p. 529; Tolnay 1954, pp. 35, 118, cat. n. 133; Dussler 1959, cat. n. 264; Barocchi 1962, i, cat. n. 241; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 59r; Berti 1985, p. 48 (Cecchi-Natali). Dis. 37 (tav. 41) Michelangelo Buonarroti e allievo (?) Nudo di un uomo stante Carboncino e sanguigna; 382 x 235 mm 1519 ca. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 686r Bibliografia: Reiset 1878, cat. n. 111; Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1729; Thode 1908-13, iii, cat. n. 462; Frey 1909-11, cat. n. 89; Demonts 1921, cat. n. 14; Panofsky 1921-22, col. 23; Popp 1922, p. 131, nota 21; Panofsky 1927-28, p. 241; Wilde 1928, pp. 209 ss.; Delacre 1938, pp. 331, 334, 339; Frey 1951, pp. 66 ss., 91 n. 137; Wilde 1953a, p. 57; Tolnay 1954, p. 116 e cat. n. 46a; Wilde 1954, p. 15; Degenhart 1955, p. 283 n. 409; Dussler 1959, cat. n. 645; Weinberger 1967, i, p. 262 n. 27; Tolnay 1967, p. 198; Hartt 1970, p. 392; Bacou, Viatte 1975, cat. n. xixr; Tolnay 1975-80, ii, cat. n. 193r; Hartt 1976, cat. n. 295a; Wilde 1978, p. 107; Hirst 1989, p. 176, cat. n. vi; Santi 1989, p. 44; Joannides 1994a, pp. 20 ss.; Myssok 1999, p. 278 e cat. n. 12; Joannides 2003, cat. n. 24; Gnann 2010, cat. n. 56. Dis. 38-39 (tavv. 37, 38) Michelangelo Buonarroti Studi di una gamba e di un torso di profilo (recto); busto maschile (verso) Sanguigna; 220 x 170 mm 1519-23 ca. Oxford, Ashmolean Museum, Parker 314r-v Bibliografia: Robinson 1870, cat. n. 8; Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1550; Thode 1908-13, iii, cat. n. 392; Frey 1909-11, cat. nn. 193, 194; Delacre 1938, p. 269; Wilde 1953b, cat. n. 121; Wilde 1954, p. 15; Parker 1956, cat. n. 314; Dussler 1959, cat. n. 340; Hartt 1970, cat. nn. 294, 295; Gere 1975, cat. n. 35 (recto); Tolnay 1975-80, ii, cat. n. 295r-v; Joannides 2007, cat. n. 20; EchingerMaurach 2009a, p. 53. Dis. 40 (tav. 47) Michelangelo Buonarroti Annotazioni di Michelangelo; due vasi; nudo di figura virile Carboncino; 297 x 210 mm 1519-24 ca. Londra, The British Museum, inv. 18595-14-823v Bibliografia: Frey 1897-1964, nn. xix-xxi; Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1497; Thode 1908-11, i, p. 160, iii, cat. n. 319; Frey 1909-11, cat. n. 56; Popp 1922, p. 127 n. 6, pp. 133-134 n. 26, p. 138 n. 10; Panofsky 1939, pp. 200-201; Gradmann 1943, p. 22; Tolnay 1948, cat. n. 100; Wilde 1953a, cat. n. 27; Dussler 1959, cat. n. 151; Hartt 1970, cat. n. 291; Tolnay 1975-80, ii, cat. n. 185v; Echinger-Maurach 1991, i, p. 355 n. 361; Chapman 2005, p. 165 e cat. n. 41v; Echinger-Maurach 2009a, p. 53. Dis. 41 (tav. 39) Michelangelo Buonarroti
299
Michelangelo. Il marmo e la mente
Due studi di un torso virile di profilo Carboncino; 225 x 162 mm 1519-24 ca. Londra, The British Museum, inv. 18596-25-563r Bibliografia: Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1478; Thode 1908-13, iii, cat. n. 306; Tolnay 1945, cat. n. 3a; Wilde 1953a, cat. n. 47; Wilde 1954, p. 17; Dussler 1959, cat. n. 317; Barocchi 1962, i, p. 171; Berti 1965, fig. 80 e n. 59; Weinberger 1967, i, p. 261 n.27; Hartt 1970, cat. n. 292; Tolnay 197580, i, cat. n. 67r; Argan, Contardi 1990, p. 73; Echinger-Maurach 2009a, p. 53. Dis. 42 (tav. 46) Michelangelo Buonarroti Tronco virile con gamba sinistra alzata; tre studi distinti della gamba sinistra Stilo, carboncino; 404 x 260 mm 1519-24 ca. Haarlem, Teylers Museum, inv. a19v Bibliografia: Marcuard 1901, cat. n. iv; Wölfflin 1901, p. 319; Haendke 1901, p. 387; Beckerath 1901b, p. 422; Berenson 1903 [1938, 1961], cat. n. 1464; Thode 1908-13, i, pp. 102-103, ii, p. 492, iii, cat. n. 254; Frey, Knapp 1925, pp. 303-304; Panofsky 1927, pp. 28 ss.; Cat. Amsterdam, 1934, cat. n. 588; Wilde 1953a, p. 82; Wilde 1954, pp. 1617; Dussler 1959, cat. n. 525; van Regteren Altena 1962, cat. n. 78; Hartt 1970, cat. n. 384; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 50v; Joannides 1981, p. 681; Hirst 1988a, p. 21; van Tuyll van Serooskerken 2000, cat. n. 47; Chapman 2005, pp. 165-166 e cat. n. 10v; EchingerMaurach 2009a, p. 53; Gnann 2010, cat. n. 26; Romani 2013, p. 324. Dis. 43 (tav. 49) Michelangelo Buonarroti Testa virile, un vaso, nudo di uomo seduto; frammenti di versi di mano di Michelangelo Carboncino e penna; 297 x 210 mm 1519-24 ca. Londra, The British Museum, inv. 18596-25-554v Bibliografia: Tolnay 1948, cat. n. 79a; Wilde 1953a, cat. n. 30; Wilde 1953b, cat. n. 112; Dussler 1959, cat. n. 312; Barocchi 1962, i, p. 226; Berti 1965, fig. 148 e n. 126; Hartt 1970, cat. n. 301; Gere 1975, cat. n. 58; Tolnay 1975-80, ii, cat. n. 198; Giovinezza di Michelangelo 1999, cat. n. 62 (P. Joannides); Echinger-Maurach 2009a, p. 53. Dis. 44 (tav. 9) Michelangelo Buonarroti Quattro studi di testa per la Vittoria (?) Carboncino; foglio incollato; 205 x 248 mm 1519-24 ca. Firenze, Casa Buonarroti, inv. 15f
Appendice al catalogo dei disegni
Bibliografia: Gotti 1875, ii, p. 188; Thode 1908-13, iii, cat. n. 25; Delacre 1938, p. 527; Wilde 1953a, pp. 62, 82; Wilde 1954, p. 17; Dussler 1959, cat. n. 417; Barocchi 1962, i, cat. n. 179; Hartt 1970, p. 382; Tolnay 1975, cat. n. 95; Tolnay 1975-80, ii, cat. n. 326r; Berti 1985, p. 237 (Cecchi-Natali). Appendice disegni e stampe dalla tomba Dis. 45a (tav. 63b) Leonardo da Vinci Testa di uomo con barba (Mosè?) Penna, 100 x 94 mm 1515 ca. Amsterdam, Historisch Museum, inv. a11020 Bibliografia: Venturi 1927, p. 59; Valentiner 1949, p. 343; Goldscheider 1951, fig. 161; Tolnay 1954, p. 104; Clark, Pedretti 1968, i, pp. 82, 113; Koevoets [et. al.] 1976, i, p. 38, cat. n. 28; Keele, Pedretti 1978-80, p. 885; Haverkamp-Begemann, Logan 1988, pp. 29-31 (A. Butterfield); Genius of the sculptor 1992, pp. 110-112 (P. Marani); Forcellino 2002, p. 43; Echinger-Maurach 2009a, p. 112. Dis. 46a Allievo di Michelangelo (Pietro Urbano?) Cinque studi di figure Penna; 220 x 165 mm Per il recto cfr. doc. 155 1518 ca. Cambridge, Mass., Harvard University, Houghton Library (già Coll. E. Wauters, Parigi) Bibliografia: Thode 1908-13, iii, cat. n. 513b; Frey 1909-11, cat. n. 249a; Lees 1913, p. 26 n. 1, pp. 27-28 e n. 1; Popp 1925b, p. 27; Dessins anciens 1926, cat. n. 119; Berenson 1938 [1961], cat. n. 1622 B; Tolnay 1954, fig. 263; Dussler 1959, cat. n. 366; Carteggio 1965-83, ii, p. 175; Joannides 2002, pp. 10-11; Elam 2006, p. 69 n. 21. Dis. 47a-48a (tavv. 59, 58) Bastiano da Sangallo, detto Aristotile Alzato della tomba di Giulio ii in S. Pietro in Vincoli (recto); pianta del pianterreno della tomba all’altezza delle nicchie della tomba e dell’adiacente campata destra della parete meridionale del transetto (verso) Penna e bistro bruno chiaro acquerellato; 285 x 208-212 mm Iscrizioni: “da qui misurato insino alla chornice”, “da qui in su a ochio”, “no(n) so quello si vadia da qui in su”; sul verso “pianta di detta sepultura cho(n) quello palmo grande”, “e questa e la mità”. 1535 ca. (ante 1542) Firenze, gdsu, 1741r-v Bibliografia: Ferri 1885, p. 175; Thode 190813, i, pp. 162-163, iii, cat. n. 246a; Tolnay
1927, pp. 165-168; Wilde 1928, p. 217; Kriegbaum 1940, p. 34; Laux 1943, p. 174; Tolnay 1954, p. 58 e cat. n. 29a; Degenhart 1955, p. 281; Weinberger 1967, i, p. 194 n. 12, 273-274; Tolnay 1975-80, i, p. 65; Forcellino 1986, p. 89; Ghisetti Giavarina 1990, p. 70, cat. n. 19, 20 (attr. a Tommaso Boscoli); Echinger-Maurach 1991, i, pp. 72, 114, 149, 247, 249-255, 299, 377-378, 380, 456-458; Echinger-Maurach 2009a, pp. 64, 85-88; Echinger-Maurach 2009b, p. 107. Dis. 49a (tav. 60) Anonimo Veduta dell’acquedotto di Via Labicana, della chiesa di S, Giovanni in Laterano, schizzo del registro inferiore del monumento di Giulio ii in costruzione, due dettagli architettonici e uno schizzo di ornato Carboncino, penna e inchiostro; 230 x 341 ante 1542 Collezione privata Bibliografia: Bellinger 1992, cat. n. 7v; Biscontin 1998, p. 27 e fig. 16; Echinger-Maurach 2003, pp. 338-339; Echinger-Maurach 2009a, pp. 64, 85-88; Echinger-Maurach 2009b, p. 107, 264, cat. n. 21. Dis. 50a Cristoforo Gherardi, detto Doceno (attr. a) Metà sinistra del monumento di Giulio ii a San Pietro in Vincoli Penna e acquerello in grigio-bruno; 420 x 213 mm 1545 ca. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, inv. 835
112; Echinger-Maurach 1991, i, figg. 70, 7475, 80, 89-90. Dis. 58a (tav. 61) Anonimo; Antonio Salamanca ed. La tomba di Giulio ii a San Pietro in Vincoli Incisione; 319 x 274 mm (lastra) Iscrizione: sul pavimento davanti al monumento: sepulchri · marmorei · ivlio·ii · pont · max · divina · mich ·angeli· / bonaroti · florentini · manv · romae · in · basilica · s. petri / ad · vincvla · fabrefacti · graphica · deformatio / ant · salmanca · exc ·/ romae · m · d · l iiii. 1554 Roma, Biblioteca Hertziana Bibliografia: Tolnay 1954, pp. 69, 71; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 125, 384, 454, 465466; Satzinger 2001, pp. 181-182, n. 25; Vita di Michelangelo 2001, p. 121, cat. n. 86 (St. Corsi); Echinger-Maurach 2009a, p. 101. Dis. 59a (tav. 62) Nicolas Béatrizet Mosè Incisione; 440 x 305 Iscrizioni: sullo zoccolo del Mosè: moysis ingens ex marmore simulacrum, in Julij secundi/ Pontificis Maximi ad petri in Esquilijs vincula sepulcro,/ praestanti Michaelis Angeli Buonarotae manu, fictum; in basso a destra: Romae. xvi sec. Vienna, Graphische Sammlung Albertina, inv. 211
Bibliografia: Thode 1908-13, iii, p. 231; Rosenberg 2000, p. 227, nz 213; Joannides 2003, p. 271, cat. n. 138; Echinger-Maurach 2009a, pp. 94-95.
Bibliografia: Heinecken 1788, ii, p. 281; Huber, Rost 1799, iii, p. 126; Thode 1908-13, i, p. 160; Tolnay 1954, p. 102; Bianchi 1981, pp. 126-127; Satzinger 2001, p. 186; Echinger-Maurach 2009a, p. 101.
Dis. 51a Cristoforo Gherardi, detto Doceno Rachele Penna, acquerello grigio-bruno, biacca, su carta di tonalità azzurrina; 325 x 177 mm 1545 ca. Firenze, gdsu, 579F r
Dis. 60a (tav. 63) Edme Bouchardon Mosè Sanguigna; 565 x 420 mm 1723-1733 (1725 ca.) Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, inv. 23920
Bibliografia: Ferri 1890, p. 79; Petrioli Tofani 1991, cat. n. 579f r; Rosenberg 2000, p. 226, nz 212; Echinger-Maurach 2009a, pp. 123-124.
Bibliografia: Guiffrey, Marcel 1907-21, i, p. 91, cat. n. 516; Rosenberg 2000, p. 210, nz 55; Joannides 2003, pp. 272-273, cat. n. 141; Echinger-Maurach 2009a, p. 108.
Dis. 52a -57a Giovanni Colonna da Tivoli Pianta di San Pietro in Vincoli, ornamenti del monumento di Giulio ii Penna, carboncino nero; 282-286 x 204206 mm 1554 Città del Vaticano, bav, Cod. Vat. Lat. 7721, fol. 20v, 71v, 72r-v, 73r-v
Dis. 61a Charles Joseph Natoire Mosè Sanguigna; 505 x 292 mm 1723-1730 (1725 ca.) Francia, Collezione privata
Bibliografia: Krautheimer, Korbett, Frankl 1967, p. 179; Micheli 1982, pp. 77-78, 110-
Bibliografia: Catalogo asta Sotheby’s, Monaco, 15.6.1990, lotto 46; Catalogo asta Old Master Drawings, W. M. Brady & Co. Inc., New York, 25.10.-14.11.1990, n. 16; Rosenberg 2000, p. 241, nz 354; Stein 2000, p. 167.
appendice al catalogo dei disegni Maria Forcellino, Christoph L. Frommel
Ap. 1 (tav. 4) Michelangelo Buonarroti Nudo maschile (braccio destro probabilmente per il San Matteo e testa barbuta forse per il Mosè) Parte sinistra nudo maschile in posa contorta, a penna, con incisioni tirate con lo stilo; a destra un braccio destro, a penna, disegnato in senso inverso e testa di figura barbuta, seduta (?) a penna. Penna e inchiostro bruno, ritoccato a lavis e stilo; 337 x 162 mm Iscrizione a penna in alto al centro: “Laur”; dalla parte opposta al centro a penna: “Rachoglietel a pié”, e più in basso, sempre a penna: “(?) omo dio tu ss (e) (tu sei?) / In pensier / in omo dio qui (?)”. 1504-05 ca. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. rf1068v Bibliografia: Gotti 1875, ii, p. 197; Ephrussi, Dreyfus 1879, cat. n. 73; Berenson 1903, i, p. 88; ii cat. n. 1590; Steinmann 1905, ii, p. 596; Thode 1907, p. 77; Thode 1908, i, p. 258; Frey 1909, cat. n. 64; Demonts 1922, cat. n. 4; Tolnay 1928b, p. 455; Berenson 1938, cat. n. 1590; Tolnay 1943, cat. n. 35; Wilde 1953a, p. 24; Tolnay 1954, fig. 109; Dussler 1959, cat. n. 214; Girardi 1960, p. 474; Barocchi 1964, iii, cat. n. 10; Brugnoli 1964, cat. n. 16; Bacou 1968, cat. n. 20; Weinberger 1968, p. 238, 240; Hartt 1971, cat. n. 50; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 21v.; Joannides 2003, cat. n. 11v. Ap. 2 (tav. 6) Michelangelo Buonarroti Schizzo di gamba sinistra e di composizione per Prigioni davanti a giudice (Cristo davanti a Pilato?) Sanguigna e penna d’oca con inchiostro bruno; 210 x 282 mm 1505-06 ca. Londra, Courtauld Institute, inv. (recto del dis. 16, cfr.) Bibliografia: Tolnay 1948, cat. n. 104r; Tolnay 1954, p. 188 e fig. 114; Dussler 1959, cat. n. 216; Hartt 1971, cat. n. 131; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 101r. Ap. 3 (tav. 9) Michelangelo Buonarroti (?) Quattro studi di teste per i Prigioni (?) Carboncino nero su carta macchiata e controfondata; 206 x 248 mm 1505-1513 ca. Firenze, Casa Buonarroti, inv. 15fr Bibliografia: Gotti 1875, ii, p. 188; Thode 1908-13, iii, cat. n. 25; Delacre 1938, p. 527; Wilde 1953a, p. 62, 82; Wilde 1954, p. 17; Dussler 1959, cat. n. 417; Barocchi 1962, i, cat. n. 179; Hartt 1971, p. 382; Tolnay 197580, ii, cat. n. 326r. Ap. 4 (tav. 11) Michelangelo Buonarroti Studi anatomici di gambe e inizio di poesia Sanguigna ripassata con penna e inchiostro
300
bruno; 263 x 202 mm 1505-06 ca. Haarlem, Teylers Museum, inv. a39v
1504-05 ca. Londra, The British Museum, inv. 18959-15-496v
Bibliografia: Frey 1964, pp. 137; 418-419; Frey 1907, p. 148 n. 1; Frey, Knapp 1925, cat. n. 335; Panofsky 1927, p. 57; Wilde 1954, p. 16; Dussler 1959, cat. n. 536; Hartt 1971, cat. n. 132d; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 111v; Rosand 1981, p. 404; Hirst 1988, p. 14 fig. 23; Saslow 1991, p. 275 n. 1; van Tuyll van Serooskerken 2000, cat. n. 53v.
Bibliografia: Tolnay 1943 cat. n. 20; Wilde 1953a, cat. n. 3v; Tolnay 1954, cat n. 103; Dussler 1959, cat. n. 170; Hartt 1971, cat. n. 3; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 36v.
Ap. 5 (tav. 12) Michelangelo Buonarroti Studi anatomici di braccia e spalle Sanguigna, parzialmente ritoccata a penna e inchiostro marrone su carta chiara, tracce di matita lungo i lati destro e sinistro; 263 x 202 mm 1505-06 ca. Haarlem, Teylers Museum, inv. a39r. Bibliografia: Frey 1907, p. 148 n. 1; Frey, Knapp 1927, cat. n. 334; Panofsky 1927, p. 57; Wilde 1954, p. 16; Dussler 1959, cat. n. 536; Hartt 1971, cat. n. 132c ; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 111r; Rosand 1981, p. 404, fig. 63; Hirst 1988, p. 14, fig. 23; Saslow 1991, p. 275 n. 1; van Tuyll van Serooskerken 2000, cat. n. 53r. Ap. 6 (tav. 14) Michelangelo Buonarroti Studi anatomici di gambe e braccia Sanguigna su carta leggermente colorata e tracce di matita; parte superiore tagliata, angolo destro inferiore danneggiato, taglio in alto a sinistra (riparato), scolorito agli angoli; 271 x 419 mm 1505-06 ca. Haarlem, Teylers Museum, inv. a37r Bibliografia: Hartt 1971, cat. n. 132a; Tolnay 1975-80, i, cat. n. 109r; van Tuyll van Serooskerken 2000, cat. n. 54. Ap. 7 (tav. 14) Michelangelo Buonarroti Studi per un apostolo e un capitello Schizzo a lapis nero e penna con inchiostro bruno, su carta danneggiata e restaurata a destra in basso; 272 x 262 mm 1504-05 ca. Firenze, gdsu, inv. 233fr Bibliografia: Ferri 1890, p. 40; Berenson 1903, p. 195; Thode 1908-1913, i, pp. 93, 102, 247, ii, p. 112, iii, cat. n. 215; Berenson 1938, cat. n. 1645a; Delacre 1938, p. 389, 439; Tolnay 1943, p. 185 e fig. 104; Wilde 1953a, p. 5, 8, 12, 16, 20, 104; Dussler 1959, cat. n. 488; Barocchi 1962, i, cat. n. 1r; Hartt 1971, cat. n. 24; Tolnay 1975-80, ii, cat. n. 37r; Hirst 1988, pp. 32, 43 e fig. 32. Ap. 8 (tav. 15) Michelangelo Buonarroti Studi per un capitello, un ornamento con maschera di profilo e frammenti di poesie Penna e inchiostro bruno; 186 x 183 mm
Ap. 9 (tav. 33) Michelangelo Buonarroti Schizzi per il campo centrale del piano terreno della tomba, figura seduta e facciata di San Lorenzo Sanguigna e lapis nero, su carta ritagliata e macchiata; 140 (a s.) - 138 (a d.) x 182 mm gennaio 1517 Firenze, Casa Buonarroti, inv. 47ar Bibliografia: Tolnay 1954, n. 125 e fig. 99; Dussler 1959, cat. n. 89; Barocchi 1962, i, cat. n. 44; Hartt 1971, cat. n. 148; Satzinger 2008. Ap. 10 (tav. 36) Michelangelo Buonarroti Secondo schizzo per il Papa del progetto del 1517 per la tomba a parete Penna e inchiostro bruno su carta ritagliata e controfondata; 157 x 115 mm (il foglio originale misura a sin, 133) 1517 ca. Firenze, Casa Buonarroti, inv. 21fr Bibliografia: Gotti 1875, ii, p. 189; Berenson 1903, ii, cat. n.1658; Thode 1908-13, iii, p. 81; Delacre 1938, p. 402, fig. 246; Tolnay 1954, p. 143, cat. n. 137; Dussler 1959, cat. n. 258; Barocchi 1962, i, cat. n. 124; Berti 1965, n. 130; Hartt 1971, cat. n. 159; Tolnay 1975-80, ii, cat. n. 293r, Berti 1985, p. 111. Ap. 11 Michelangelo Buonarroti Studio per il prigione Barbuto Stilo con punta di piombo e carboncino nero; 285 x 255 mm 1517-20 ca. Londra, The British Museum, inv. 18595-14-821v Bibliografia: Berenson 1938, cat. n. 1477; Frey 1909-11, cat. nn. 192-191; Thode 190813, iip, cat. n. 317; Wilde 1953a, cat. n. 45v; Dussler 1959, cat. n. 305; Hartt 1971, cat. n. 128; Tolnay 1975-80, ii, cat. n. 222v. Ap. 12 Michelangelo Buonarroti o allievo Schizzo per il prigione Barbuto Sanguigna, sul verso lettera di Michelangelo; 170 x 205 mm 1517-19 ca. Firenze, Casa Buonarroti, v, fol. 195v
Schizzo per Prigione Matita nera su traccia di sanguigna, traccia d’incisione con stilo; 382 x 235 mm 1517-19 ca. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 686v Bibliografia: Reiset 1866 [1878] cat. n. 111r; Robinson 1870, p. 332; Gotti 1875, ii, p. 198; Berenson 1903, i, p. 198, 254; Thode 1908, I, p. 153; Frey 1909, cat n. 89; Demonts 1922, cat. n. 14; Popp 1922, p. 131, cat. n. 21; Panofsky 1927-28, p. 241; Wilde 1928, p. 209; Delacre 1938, pp. 90-91 e 331; Wilde 1953a, pp. 57-58; Wilde 1954, p. 15; Tolnay 1954, cat. n. 46a; Dussler 1959, cat. n. 645; Bacou, Viatte 1975/2, cat. n. xix; Hartt 1975, cat. n. 295a; Tolnay 1975-80, i, p. 40, ii, cat. n. 193v; Wilde 1978, p. 107; Echinger-Maurach 1991, p. 355; Joannides 2003, cat. n. 24v; Gnann 2010, cat. n. 56v. Ap. 14 (tav. 43) Michelangelo Buonarroti (?) e allievo Figura maschile nuda vista di tre quarti, studio per Prigione (?) Sanguigna, ripassato nel profilo a destra con carboncino nero; 282 x 262 mm 1517-19 ca. Londra, The British Museum, inv. 18967-10-1v Bibliografia: Colvin 1907, cat. n. 37; D’Achiardi 1908, p. 312, 318; Thode 1908-13, iii, cat. n. 339; Panofsky 1927a, p. 161; Berenson 1938, iii, cat. n. 2486; Dussler 1942, p. 191, cat. n. 217; Pallucchini 1944, p 82, 171 e fig. 100h; Wilde 1953a, cat. n. 64v (Michelangelo e allievo); Hartt 1971, p. 388 (allievo di Michelangelo); Dussler 1959, cat. n. 578v(allievo di Michelangelo); Tolnay 197580, ii, cat. n. 270v; Chapman 2005, cat. n. 90v (allievo di Michelangelo). Ap. 15 (tav. 48) Michelangelo Buonarroti Studi per figura seduta e figura in piedi (la Vittoria?) Sanguigna e matita nera, penna; 292 x 195 mm 1522-25 ca. Firenze, ab i, 77, fol. 211r Bibliografia: Tolnay 1928b, p. 380, 433, 462; Wilde 1955, p. 65; Dussler 1959, cat. nn. 1112; Barocchi 1964, iii, cat. n. 312r; Tolnay 1975-80, ii, cat. 179r.
Bibliografia: Tolnay 19754-80, pp. 122-123; Dussler, pp. 210-211, n. 398; Carteggio 196583, ii, p. 133.
Ap. 16 (tav. 50) Michelangelo Buonarroti Schizzi per una Vittoria (?) Lapis nero; 190 x1 20 mm Poiché la calligrafia sul verso risale ai primi anni del secolo, è difficilmente collegabile con il progetto per la tomba del 1517. Firenze, gdsu inv. 18736f
Ap. 13 (tav. 42) Michelangelo Buonarroti
Bibliografia: Dussler 1959, cat. n. 516; Barocchi 1962, i, cat. n. 132; Hartt 1971, n. 95.
301
Michelangelo. Il marmo e la mente
Ap. 17 (tavv. 57a-57b) Michelangelo Buonarroti Blocchi cavati per la tomba a Carrara nel 1517 Sanguigna; 67 x 136 mm Firenze, ab, vol. 1, fol. 153r Bibliografia: Tolnay 1954, nay 1975-80.
iv,
Catalogo delle sculture Maria Forcellino
fig. 170; Tol-
Ap. 18 (tav. 57d) Michelangelo Buonarroti Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba Sanguigna; 67 x 136 mm Il foglio è piegato in due ed è così rilegato nel codice 1517 Institut Néerlandais, Paris, Collection Frits Lugt – Fondation Custodia Bibliografia: Tolnay 1954, iv , fig. 183; Dussler 1959, cat. n. 215; Tolnay 1975-80, iii, cat. 481. Ap. 19 (tavv. 57c-57e) Michelangelo Buonarroti Blocchi cavati nel 1517 a Carrara per la tomba Sanguigna; 240 x 630 mm Il foglio è piegato in due ed è così rilegato nel codice 1517 Collezione A. Scharf, Londra; già coll. S. Zweig Bibliografia: Tolnay 1954, Dussler 1959, cat. n. 183.
Catalogo delle sculture
iv ,
fig. 185;
Ap. 20 (tav. 44) Baccio Bandinelli (già attr. a Rosso Fiorentino) Prigione Barbuto, da modello o disegno di Michelangelo 1525-29 ca. Firenze, gdsu, inv. 6960f Bibliografia: Tolnay 1954, iv, p. 195, fig. 265; Carroll 1964, pp. 475-476; Rosenberg 2000, p. 208, nz 42 con bibl.; Echinger-Maurach 2009a, p. 188 n. 551. Ap. 21 (tav. 51) Cherubino Alberti (da un disegno o modello di Michelangelo?) La Vittoria di Palazzo Vecchio vista dal lato 1525-29 ca. Bibliografia: Rosenberg 2000, p. 104, n. nz 3; Hermann-Fiore 1983, p. 215 n. 141.
Sc. 1 (tavv. 65-74) Michelangelo Prigione (o Schiavo) morente (detto anche dormiente) marmo; 229 x 68 x 54 cm 1506-14 ca. Parigi, Musée du Louvre Figura maschile a tuttotondo, nuda, ricoperta solo da una fascia sul petto. Presenta parti non rifinite sul retro, nelle dita della mano sinistra, nella testa e lungo il collo, le spalle, la schiena, nella fascia; appena accennata è la scimmia, la cui testa abbozzata compare dietro la gamba sinistra. Storia: Tutti i progetti della tomba, tranne l’ultimo del 1542, prevedevano Prigioni addossati a Termini affiancati alle nicchie del basamento. Lo Schiavo morente appartiene al primo gruppo di opere realizzate da Michelangelo insieme allo Schiavo ribelle e al Mosè. Nel 1532 fu probabilmente destinato a essere collocato, insieme allo Schiavo ribelle, all’interno di una delle due nicchie del monumento in S. Pietro in Vincoli, destinazione inizialmente mantenuta ancora nel 1542, quando invece Michelangelo lo escluse dal programma iconografico. I due Schiavi, sostituiti da due nuove statue, la Vita attiva e la Vita contemplativa, furono donati dall’artista nel 1546 a Roberto Strozzi per ringraziarlo dell’ospitalità ricevuta in occasione delle sue due malattie del 1544 e 1545. Quest’ultimo le regalò a re Francesco i di Francia, e attraverso vari passaggi pervennero alla fine del Settecento al Louvre, dove ancora oggi si trovano. Fonti documentarie: docc. 52-55, 95, 99-101, 108, 155, 159, 170, 388-389, 447, 451, 461. Fonti iconografiche: dis. 4, 6, 7, 7/copia 1, 7/ copia 2, 10, 11. Bibliografia: Tolnay 1954, pp. 37-38, 97-100, tavv. 4-11; Vasari[-Barocchi] 1962, ii, pp. 309-317, nn. 251-253 (con bibl. prec.); PopeHennessy 1963, ii, pp. 23-24; Panofsky 1964, p. 99; Baldini 1965, pp. 110-115; Weinberger 1967, i, pp. 169-175, ii, tavv. 52.2, 54.1; Hartt 1969, pp. 123-126, cat. n. 14, pp. 144-154; Baldini 1973, pp. 95-98, tavv. xix-xx; Einem 1973a, pp. 80-83; Wilde 1978 p. 98; Argan, Contardi 1990, pp. 67-77; Schiavo 1990, i, p. 92; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 339-347; Poeschke 1992, pp. 89-98; Armour 1994, pp. 56-60; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 433, tavv. 80-81; Kempers 2004, pp. 51-53; Acidini Luchinat 2005, pp. 118-126; 303; Forcellino 2005, pp. 169-170; Zöllner 2008, p. 420, cat. s15a; Echinger-Maurach 2009a, p. 43; Wallace 2009, p. 86; Hirst 2011, p. 140. Sc. 2 (tavv. 76-83) Michelangelo Prigione (o Schiavo) ribelle marmo; 215 x 74 x 42 cm 1511-14 ca. Parigi, Musée du Louvre Figura maschile a tuttotondo, non rifinita nel retro, in parte della schiena e nelle mani. La gamba destra poggia su un blocco di marmo di forma indefinita.
302
Storia: Previsto, come lo Schiavo morente (sc. 1), fin dai primi progetti per la tomba, fu lavorato da Michelangelo con certezza nel 1513, come precisa un ricordo dell’artista del 1518. La sua destinazione nel secondo progetto del 1513 era probabilmente prevista addossata a un Termine, all’angolo tra il fronte anteriore e quello di sinistra, dove avrebbe trovato posto ancora nel 1516. Nel progetto del 1532 fu probabilmente destinato, insieme allo Schiavo morente, all’interno di una delle due nicchie del basamento del monumento di S. Pietro in Vincoli, dove fu previsto fino al momento in cui Michelangelo lo escluse definitivamente dal nuovo programma iconografico. Donato a Roberto Strozzi pervenne al Louvre attraverso le stesse vicende dello Schiavo morente (cfr. scheda 1). Fonti documentarie: docc. 52-55, 95, 99-101, 108, 155, 159, 170, 388-389, 447, 451, 461. Fonti iconografiche: dis. 5, 6, 7, 7/copia 1, 7/ copia 2; 12-13. Bibliografia: Tolnay 1954, pp. 38-39, 100102, tavv. 12-17; Vasari[-Barocchi] 1962, ii, pp. 309-317, nn. 251-253 (con bibl. prec.); Pope-Hennessy 1963, ii, pp. 23-24; Panofsky 1964, p. 99; Baldini 1965, pp. 110-115; Weinberger 1967, i, pp. 169-175, ii, tavv. 52.1, 56.2, 57.1; Hartt 1969, pp. 123-126; cat. n. 14, pp. 144-154; Baldini 1973, pp. 95-98, tav. xviii; Einem 1973a, pp. 80-83; Wilde 1978 p. 98; Argan, Contardi 1990, pp. 67-77; Schiavo 1990, i, p. 92; EchingerMaurach 1991, i, pp. 339-347; Poeschke 1992, pp. 89-98; Armour 1994, pp. 56-60; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 433, tav. 79; Kempers 2004, pp. 51-53; Acidini Luchinat 2005, pp. 118-126, 303; Forcellino 2005, pp. 169-171; Zöllner 2008, p. 420, cat. s15b; Echinger-Maurach 2009a, pp. 32-42; Wallace 2009, p. 86; Hirst 2011, p. 120, 140. Sc. 3 (tavv. 84-89) Michelangelo (abbozzo) e Nicolas Cordier San Gregorio marmo; 199 cm (?) 1508 ca.-1602 Roma, Basilica di S. Gregorio al Celio, oratorio di Santa Barbara Scultura a tuttotondo, scolpita da un blocco proveniente dalla casa romana di Michelangelo a Macel de’ Corvi. Storia: La statua deve essere stata scolpita dal blocco consegnato nel 1508 per la “figura de la Santitade del Nostro Signore” e probabilmente destinato all’interno della camera sepolcrale. L’inventario dei beni di Michelangelo stilato alla sua morte segnalava fra le tre sculture rimaste nella bottega romana una statua di «santo Pietro sbozzata et non finito», probabilmente il blocco del 1508 non più utilizzato. La statua abbozzata da Michelangelo vi è documentata ancora nel 1572. Le vicende attraverso le quali il blocco entrò in possesso dello scultore Cordier, che nel 1602 lo utilizzò per scolpire il suo San Gregorio, sono solo parzialmente delucidate, così come non è chiarito lo stato in cui la statua, indicata anche come “sasso”,
gli sia pervenuta. L’impostazione austera, riconoscibile attraverso la statua di Cordier, fa propendere per una sua ideazione intorno al 1508, compatibile con la Delfica della Cappella Sistina. Fonti documentarie: docc. 33, 458, 460 Bibliografia: Totti 1638, p. 247; Baglione 1642; Steinmann, Pogatscher 1906, p. 409; Frey 1930, p. 54; Panofsky 1937, p. 564; Hess 1943; Tolnay 1954, pp. 15-16, tav. 286; Vasari[-Barocchi] 1962, iv, p. 1846 n. 700, 1852-1853 (con bibl. prec.); Pope-Hennessy 1963, ii; Panofsky 1964, p. 98; Corbo 1965, p. 106, 128-129, 147; Weinberger 1967, i, pp. 135-136, n. 11, ii, tav. 29.3; Apollonj Ghetti 1968, pp. 13-26; Benedetti 1972, p. 447; Pressouyre 1975, p. 67; Pressouyre 1984, i, pp. 166-174; ii, p. 242, 368-372; Carteggio indiretto 1988-95, ii, p. 237, 239, 241, 246, 271, 361; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 412-414; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-85, tav. 75; Echinger-Maurach 2007. Sc. 4-7 (tavv. 90-98, 101-114) Michelangelo Prigioni (o Schiavi) di Boboli marmo; Schiavo barbuto, 263 x 64 x 70 cm (n. 4); Schiavo giovane, 256 x 68 x 72-75 cm (n. 5); Schiavo che si ridesta, 267 x 63 x 69 cm (n. 6); Schiavo Atlante, 277 x 75 x 58 cm (n. 7) 1517-23 ca. Firenze, Galleria dell’Accademia Le quattro figure maschili, nude, sono tutte incomplete, e fuoriescono in maniera diversa dal blocco di marmo in cui sono variamente abbozzate. Storia: I quattro Prigioni sono, con la Vittoria, le sculture realizzate da Michelangelo a Firenze e rinvenute alla morte dell’artista nella bottega di via Mozza. Non esistono documenti che si riferiscano ad essi in maniera esplicita, e la loro datazione oscilla fra il 1517, momento in cui Michelangerlo stava ordinando i blocchi, e un riferimento documentario del 1519, che testimonia la volontà di Michelangelo di scolpire in quell’anno quattro statue. Alla partenza definitiva da Firenze furono lasciati incompleti. Secondo Frommel, fra il 1524 e il 1531 Michelangelo non se ne sarebbe più occupato. Come quelli del Louvre, i Prigioni di Boboli erano destinati ad essere sistemati nel basamento del progetto del 1517. Sempre secondo la ricostruzione di Frommel, il Giovane e il Barbuto, i più completi dei quattro, sono di 41-48 cm più alti dei due compagni del Louvre, e tutti e quattro avrebbero richiesto l’eliminazione dei piedistalli realizzati prima. Probabilmente già nel progetto del 1532 la loro utilizzazione non era più prevista. Ritrovati alla morte di Michelangelo nella bottega fiorentina, il nipote Leonardo li donò, insieme alla Vittoria, al granduca Cosimo i. I Prigioni furono collocati ai quattro angoli della Grotta del Buontalenti nel giardino di Boboli (da cui il nome), alle spalle di Palazzo Pitti, e vi rimasero fino al 1908, quando furono trasferiti nell’attuale sede della Galleria dell’Accademia.
Fonti documentarie: docc. 195, 202, 300, 407, 466, 475 Fonti iconografiche: dis. 6, 7, 7/copia 1; 7/copia 2, 25-26 (?), 27-28, 29-30(?), 38-39 Bibliografia: Tolnay 1954, pp. 60-63, 113118, tavv. 35-46; Vasari[-Barocchi] 1962, ii, pp. 317-323, n. 254 (con bibl. prec.); Pope-Hennessy 1963, ii, pp. 24-25; Baldini 1965, pp. 134-135; Weinberger 1967, i, pp. 209-219; ii, tavv. 60.1, 61.2, 62.1, 61.1, 62.2; Hartt 1969, p. 142, 254-261, cat. n. 30; Baldini 1973, pp. 106-107, tavv. lii, liii, liv, lv; Einem 1973a, pp. 123-126; Hibbard 1975, pp. 169-175; Wilde 1978 pp. 107-109; Balas 1983; Hibbard 1984; Argan, Contardi 1990, pp. 72-73; Schiavo 1990, i, p. 92; EchingerMaurach 1991, i, pp. 347-360; Poeschke 1992, pp. 104-106; Armour 1994, pp. 63-69; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 434, tavv. 83-86; Acidini Luchinat 2005, pp. 214229; 305; Forcellino 2005, pp. 206-210; Zöllner 2008, pp. 422-23, cat. s15d-g; EchingerMaurach 2009a, pp. 45-53; Wallace 2009, p. 96; Hirst 2011, pp. 203-204, 258. Sc. 8 (tavv. 115-120) Michelangelo Vittoria marmo; 261 x ca. 95 x ca. 87 cm 1519-1523 ca. Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento Giovane nudo, scolpito a tuttotondo, con la gamba sinistra poggiata su un blocco di marmo solo parzialmente lavorato nella parte frontale. È inginocchiato su un guerriero barbuto con le braccia piegate dietro la schiena. Storia: Il gruppo della Vittoria fa parte, con i quattro Prigioni di Boboli, delle sculture realizzate da Michelangelo a Firenze e rinvenute alla sua morte nella sua bottega. Anche per il gruppo della Vittoria non ci sono documenti che si riferiscano in maniera esplicita alla sua realizzazione, su base stilistica, oscilla fra il 1519 e il 1525 per la vicinanza con le sculture della Cappella Medicea. Fin dai primi progetti Michelangelo aveva previsto nelle nicchie del basamento gruppi di due figure, descritte nel contratto del 1513 e raffigurate come figure femminili nei disegni degli anni 1513-17. Dopo il 1516 Michelangelo cambiò le Vittorie in figure maschili. Nei progetti del 1532 e 1542 la loro utilizzazione non era più prevista. Alla morte di Michelangelo il nipote Leonardo insieme a Daniele da Volterra aveva pensato di adornarne la tomba dell’artista in S. Croce, ma fu sconsigliato da Vasari, che gli suggerì invece di farne omaggio al granduca Cosimo i (lettera di Vasari del 22.3.1564). La Vittoria entrò così dal 1565 a far parte delle collezioni granducali. Fonti documentarie: docc. 300, 407, 466, 475 Fonti iconografiche: dis. 6, 7, 7/copia 1, 7/ copia 2, 40-43 Bibliografia: Tolnay 1954, pp. 59-60, 110113, tavv. 28-34; Vasari-Barocchi 1962, ii, pp. 323-332, nn. 255-256 (con bibl. prec.); PopeHennessy 1963, ii, p. 24; Panofsky 1964, p. 90; Baldini 1965, pp. 131-134; Weinberger 1967, i, pp. 261-269, ii, tav. 74; Hartt 1969, p. 142, cat. n. 31 pp. 262-267; Baldini 1973, p. 107, tav. li; Einem 1973a, pp. 126-127; Hibbard 1975, pp. 202-207; Wilde 1978, pp. 108-109; Hibbard 1984; Balas 1989; Argan, Contardi 1990, p. 73; Schiavo 1990, i, pp. 9092; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 354-360;
Poeschke 1992, pp. 102-104; Armour 1994, pp. 61-63; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 433-434, tav. 87; Kempers 2000, p. 45; Balas 2004, pp. 1-49; Acidini-Luchinat, 2005, pp. 229-234; Echinger-Maurach 2005, pp. 133-135; Forcellino 2005, pp. 209-210; Zöllner 2008, pp. 423, cat. s15h; EchingerMaurach 2009, p. 53; Wallace 2009, p. 119. Sc. 9 (tavv. 122-145) Michelangelo Mosè marmo, 247 (con i corni) x 87,5 x 102 cm 1506-44 Roma, S. Pietro in Vincoli Scultura a tuttotondo di Mosè, seduto su un trono di marmo, in parte scolpito anche nel retro. Storia: Quasi tutti i progetti della tomba prevedevano una statua di Mosè. Benché non vi siano documenti certi sulla sua lavorazione, è generalmente datata fra 1513 e 1515 ca, e annoverata fra le prime statue realizzate da Michelangelo insieme ai due Schiavi del Louvre, ma le fonti e lo stile sono in favore di un completamento collocabile solo dopo 1532. Nel progetto del mausoleo libero Mosè era una delle quattro grandi statue sedute ai quattro lati della piattaforma, l’unica menzionata da Condivi; Vasari (1568) aggiunge che vi stava insieme a San Paolo e la Vita attiva e contemplativa. Nel progetto di Berlino del 1513 la statua conserva la posizione in alto sulla piattaforma, ma ora è accompagnato da cinque figure sedute, forse tre Sibille e due altri Profeti. Mosè è probabilmente previsto anche nel successivo progetto del 1516, all’interno di una delle nicchie del piano superiore, mentre discussa è la sua presenza nel progetto del 1532, riproposta da Frommel. Secondo lo studioso già nel 1532 fu destinato alla nicchia centrale del basamento, luogo deputato nel 1505-12 ad accogliere una porta, e dal 1513 in poi un grande bassorilievo di bronzo. In quella posizione sarebbe stato prima affiancato dai due Prigioni del Louvre e successivamente dalla Vita attiva e contemplativa. Fonti documentarie: docc. 52-55, 95, 99-101, 155, 159, 377, 388-389, 393, 395, 410-411, 425-426, 447, 450, 454-455, 459, 461, 466 Fonti iconografiche: dis. 6, 7, 7/copia 1, 7/copia 2, 45a, 58a, 59a, 60a, 61a Bibliografia: Tolnay 1954, pp. 39-43, 102105, tavv. 18-27; Vasari[-Barocchi] 1962, ii, pp. 332-370, nn. 257-268 (con bibl. prec.); Pope-Hennessy 1963, ii, p. 23; Panofsky 1964, p. 90; Baldini 1965, i, pp. 115-118; Weinberger 1967, i, pp. 172-175, ii, tavv. 55, 57.2; Hartt 1969, pp. 140-143; cat. n. 15, pp. 156-163; Baldini 1973, p. 98, tavv. xxii-xxii; Einem 1973a, pp. 81-83; Hibbard 1975, pp. 157-160, 270; Wilde 1978, pp. 96-101, 109110, 113; Argan, Contardi 1990, pp. 67-77; Schiavo 1990, i, p. 87; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 329-338; Poeschke 1992, p. 99; 174; Armour 1994, pp. 56-60; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 432-433, tavv. 77-78; Verspohl 1996; Trincia 2000; Frommel 2001; Satzinger 2001, pp. 217-221; Forcellino 2002, p. 99, 110, 165-172, 205- 213; Forcellino M. 2002b, p. 56; Frommel 2002; Forcellino 2003; Kempers 2004, p. 54; Verspohl 2004; Acidini-Luchinat, 2005, pp. 126-133, 303; Forcellino 2005, pp. 168-169, 296-299, 307-313; Forcellino M. 2005, p. 32; Zöllner 2008, p. 421, cat. s15c; Bredekamp
2009; Echinger-Maurach 2009a, pp. 101113; Wallace 2009, p. 81; Hirst 2011, p. 140. Sc. 10 (tavv. 146-149) Michelangelo, in coll. con Scherano da Settignano (Sandro di Giovanni Fancelli) e Raffaello da Montelupo Madonna col Bambino marmo; 198 x 64 cm 1537-44 Roma, S. Pietro in Vincoli Scultura stante a tutto tondo della Vergine con il Bambino in braccio. Storia: Il primo progetto di Michelangelo per la tomba, rappresentato nel disegno di New York, era parietale e prevedeva un bassorilievo della Madonna in mandorla, mentre il progetto per il mausoleo libero contemplava, come suggerito da Frommel, probabilmente, una pala della Madonna sul vicino altare capitolare della Capella Iulia. Quando Michelangelo dopo la morte di Giulio ii nel 1513 dovette tornare a un tomba parietale, riprese la “cappelletta” con la Madonna in mandorla, e la riprese ancora nei progetti del 1516-17 e del 1532. Benchè i Della Rovere richiedessero a Michelangelo già nel 1524-25 di fare una scultura della Vergine, si ritrova nel 1537 un pagamento a Scherano da Settignano, uno scultore toscano della cerchia dei collaboratori dell’artista, per la sgrossatura della Madonna della tomba.Nel 1542 Michelangelo l’affidò allo scultore Raffaello da Montelupo, che la completò nel giro di pochi mesi, come si evince da tutti i documenti finanziari dell’ultima fase. Risulta in S. Pietro in Vincoli nel marzo del 1544, quando la sua presenza sul monumento è registrata dall’autore di una delle due Aggiunte all’Anonimo Magliabechiano. Fonti documentarie: docc. 99-101, 245, 271, 371, 376, 388-389, 393, 395-396, 411, 421, 427-430 Fonti iconografiche: dis. 7, 7/copia 1; 7/copia 2; 58a Bibliografia: Tolnay 1954, p. 63 e ss.; 124125, tav. 59; Vasari[-Barocchi] 1962, iii, pp. 1236-1237, n. 555 (con bibl. prec.); PopeHennessy 1963, ii, p. 25; Panofsky 1964, p. 90; Weinberger 1967, i, p. 271, ii, tav. 81.2; Hartt 1969, cat. n. 32 pp. 268-271; Einem 1973a, p. 169 e ss.; Hibbard 1975, p. 268 e ss.; Wilde 1978, pp. 110-113; Verellen 1981, pp. 59-64, n. 10b; Schiavo 1990, i, p. 87 e ss.; Echinger-Maurach 1991, i, p. 110; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 435; Gatteschi 1998, p. 68, 70; Satzinger 2001, p. 215 e ss.; Forcellino 2002, p. 110, 205-213; Forcellino M. 2002a, pp. 242-243, 251-253, 264-267; Forcellino 2003; Forcellino 2005, p. 293, 306; Forcellino M. 2005, pp. 15-16; 2930; Echinger-Maurach 2009a, pp. 144-150.
Storia: La scultura figura in tutti i programmi iconografici del monumento, ma nel passaggio da un progetto all’altro Michelangelo ne cambiò la disposizione. Nel progetto parietale del 1505 doveva essere parzialmente inserita nella nicchia della Madonna, e nel mausoleo libero del 1505 era prevista a coronamento della piattaforma superiore della tomba, probabilmente distesa su una bara. Nel 1513 avrebbe dovuto essere collocata al centro della piattaforma, distesa sul sarcofago, ma sollevata nella parte superiore da due angeli, come nel progetto di New York. Si sono conservati due schizzi autografi per la sua disposizione al disopra del sarcofago, nel 1516 forse già allineato alla parete. Nelle trattative per la tomba a parete del 1525 è menzionata accanto alla Madonna come una delle statue che i Della Rovere avrebbero voluto di mano di Michelangelo. Nel 1532 fu prevista probabilmente già nella posizione che divenne definitiva nel programma del 1542. La statua, che una tradizione critica fondata su Vasari ha impropriamente attribuito a Tommaso dal Bosco, fu la prima ad essere posta sul monumento. Descritta in situ già nel 1542, e pertanto fuori dagli accordi contrattuali tranne che per l’impegno di Michelangelo a ritoccarne la faccia, risulta effettivamente in S. Pietro in Vincoli a marzo del 1544. Fonti documentarie: docc. 52-55, 99-101, 271, 388-389, 396, 421 Fonti iconografiche: dis. 1, 3, 6, 7, 7/copia 1, 7/copia 2, 17, 49a, 58a Bibliografia: Tolnay 1954, p. 71 e ss., 126127, tav. 56;Vasari[-Barocchi] 1962, iii, pp. 1233-1236, n. 554 (con bibl. prec.); PopeHennessy 1963, ii, p. 25; Panofsky 1964, p. 89 (“a pupil of Sansovino, Tommaso di Pietro Boscoli”); Weinberger 1967, i, p. 275-276, ii, tav. 81.2; Hartt 1969, cat. n. 32 p. 119, 270; Einem 1973a, p. 169 e ss., 171 (Maso di Boscolo, un allievo di A. Sansovino); Hibbard 1975, p. 269; Wilde 1978 pp. 110-113; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 126128, n. 398 p. 381 (sbozzata da Michelangelo con l’aiuto di Montorsoli?); Poeschke 1992, p. 119; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 435; Forcellino 2001 (Michelangelo e aiuti?); Satzinger 2001, p. 215 e ss., 220221 (Michelangelo e Maso dal Bosco); Guidoni 2003 (Tommaso Boscoli); Forcellino 2002, pp. 74, 100-110; Forcellino M. 2002b, pp. 44-49 (Michelangelo e aiuti); EchingerMaurach 2003 (Michelangelo e Boscoli); Forcellino 2003; Acidini-Luchinat, 2005, pp. 256-258, 306 (Michelangelo e collaboratori); Forcellino 2005; Forcellino M. 2005, pp. 15-16; 29-30; Echinger-Maurach 2009a, pp. 133-143; Forcellino M. 2009, pp. 159-233.
Sc. 11 (tavv. 150-162) Michelangelo Statua di papa Giulio ii marmo; 66 x 176 x 36-40 cm 1533 ca.-ante luglio 1542 Roma, S. Pietro in Vincoli
Sc. 12 (tavv. 163-166) Michelangelo, con la coll. di Raffaello da Montelupo Sibilla marmo; 203 x 94-86 x 86-90 cm (incluso il piede) 1513/14-1544 Roma, S. Pietro in Vincoli
La figura del papa è realizzata in un blocco di marmo di 43 cm, scolpito fino alle spalle e sbozzato nel rimanente. Il papa è disteso sul sarcofago con le gambe ripiegate e la parte superiore del corpo sollevata sull’avambraccio destro. Presenta parti non rifinite nella barba e nell’abito pontificale.
Figura seduta, a tutto tondo, scolpita anche in alcune parti del retro. Michelangelo menziona la statua solo nei documenti degli anni 1542-1545. Storia: La Sibilla, con il Profeta e il Mosè, è quanto resta nel monumento della serie delle grandi figure sedute sulla piattaforma previ-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
ste fin dal primo progetto del mausoleo (cfr. scheda 9). La scultura è documentata con certezza dal 1542, quando è fra quelle che Michelangelo affida sbozzata al completamento del Montelupo, insieme al Profeta e alla Madonna, ma discussa è la data d’inizio della lavorazione. Le sue dimensioni e la constatazione, resa possibile dal restauro, che è scolpita anche sul retro, fanno ritenere oggi probabile una datazione attorno al 1513-14. Solo una sua destinazione in alto a vista sulla piattaforma per il secondo contratto giustifica infatti la sua accurata lavorazione sul retro. Dai documenti di pagamento superstiti si ricava che la Sibilla fu portata a termine da Montelupo e dai suoi aiuti entro i venti mesi previsti dal contratto di allogazione, e appare già in loco in S. Pietro in Vincoli a marzo del 1544, quando l’autore di una delle due Aggiunte all’Anonimo Magliabechiano l’attribuisce a Montorsoli. Fonti documentarie: docc. 376, 388-389, 393, 395-396, 411, 421, 427-430 Fonti iconografiche: dis. 3 (?), 6, 7, 7/copia 1, 7/copia 2, 58a Bibliografia: Tolnay 1954, p. 63, 126, tav. 57; Vasari[-Barocchi] 1962, iii, pp. 1237-1239, n. 556 (con bibl. prec.); Pope-Hennessy 1963, ii, p. 25; Panofsky 1964, p. 90; Weinberger 1967, i, p. 271, ii, tav. 81.2; Hartt 1969, cat. n. 32 pp. 268-271; Einem 1973a, p. 169 e ss.; Hibbard 1975, pp. 268-270; Wilde 1978, pp. 110-113; Verellen 1981, pp. 59-64, cat. n. 11a; Echinger-Maurach 1991, i, p. 381 n. 398; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 435; Gatteschi 1998, p. 68, 70; Forcellino 2001, p. 731; Satzinger 2001, p. 215 e ss.; Forcellino 2002, pp. 74-76; Forcellino 2003, pp. 146-148; Forcellino M. 2005, pp. 17 e ss., 2730; Echinger-Maurach 2009a, pp. 151-160. Sc. 13 (tavv. 167-174) Michelangelo Buonarroti, Raffaello da Montelupo e aiuti Profeta marmo; 204 x 74 x 88 cm (incluso il piede) 1532 ca.-1544 Roma, S. Pietro in Vincoli Scultura di Profeta seduto a tutto tondo.
Documenti
Storia: Un blocco con un Profeta, già menzionato nella primavera 1533, faceva probabilmente parte delle sei sculture autografe previste nel progetto del 1532. Ne fa poi ancora parte anche negli accordi del 1542, quando è sbozzato e Michelangelo affida il suo completamento a Raffaello da Montelupo. Dai pagamenti si ricava che fu effettivamente portato a termine da Montelupo entro i termini contrattuali previsti dal contratto di allogazione, e appare già in S. Pietro in Vincoli a marzo del 1544. Le debolezze nella testa e nel collo sono forse dovute alla collaborazione di un aiuto durante la malattia di Raffaello da Montelupo. Fonti documentarie: docc. 338, 376, 388-389, 393, 395-396, 411, 421, 427-430 Fonti iconografiche: dis. 6; 7; 7/copia 1; 7/ copia 2; 58a Bibliografia: Tolnay 1954, pp. 63, 125126, tav. 58; Vasari[-Barocchi] 1962, iii, pp. 1237-1239, nota 556 (con bibl. prec.); Pope-Hennessy 1963, ii, p. 25; Panofsky 1964, p. 90; Weinberger 1967, i, p. 271; ii, tav. 81.2; Hartt 1969, pp. 268-271, cat. n. 32; Einem 1973a, p. 169 e ss.; Hibbard 1975, pp. 268-270; Wilde 1978 pp. 110113; Verellen 1981, pp. 59-64, cat. n. 11a; Echinger-Maurach 1991, i, p. 381 n. 398; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 435; Gatteschi 1998, p. 68, 70; Forcellino 2001; Satzinger 2001, p. 215 e ss.; Forcellino 2002, pp. 74-76; Forcellino 2003, pp. 146148; Forcellino M. 2005, pp. 17 e ss.; 2730; Echinger-Maurach 2009a, pp. 151-160. Sc. 14 (tavv. 175-180) Michelangelo Buonarroti Vita attiva marmo; 209 x 58 x 40 cm 1542-44 Roma, S. Pietro in Vincoli Figura femminile stante, a tuttotondo, con veste e pettinatura all’antica. Storia: Secondo Vasari (1568) le figure sedute della Vita attiva e contemplativa erano previste per il mausoleo libero del 1505,
accanto a Mosè e San Paolo, ma sembrano nei progetti del 1513 già trasformate in Sibille. La Vita attiva di S. Pietro in Vincoli è documentata con certezza soltanto nel 1542, quando Michelangelo attesta di aver sbozzato due nuove statue da collocarsi dentro le nicchie del basamento al fianco del Mosè. Le due statue furono destinate al luogo che nel 1542 avrebbe dovuto essere dei due Schiavi del Louvre, ma che Michelangelo non ritenne più adatti al nuovo programma del monumento. Le sculture descritte come molto avanzate nella lavorazione, furono affidate nei contratti dell’agosto 1542 a Montelupo insieme alle statue della Madonna, del Profeta e della Sibilla affinchè le completasse. Già poco dopo Michelangelo si riservava la possibilità di portarle a termine personalmente, e le completò probabilmente entro l’ottobre 1544. Fonti documentarie: docc. 388-389, 393, 395-396, 399, 410-411, 429-430, 466 Fonti iconografiche: dis. 6, 7, 7/copia 1; 7/ copia 2, 58a Bibliografia: Tolnay 1954, pp. 71-73, 122124, tavv. 48 e 51-52; Vasari[-Barocchi] 1962, iii, pp. 1204-1219, 1222-1228, nn. 548 e 551 (con bibl. prec.); Pope-Hennessy 1963, ii, p. 25; Panofsky 1964, p. 90; Baldini 1965, pp. 135-136; Weinberger 1967, i, pp. 276-280, ii, tav. 79; Hartt 1969, p. 143, cat. n. 33, pp. 268-271; Baldini 1973, pp. 107108; Einem 1973a, p. 169, 171-175; Hibbard 1975, p. 268, 271 e ss.; Wilde 1978, pp. 110113; Verellen 1981, pp. 59-64, cat. n. 12a, pp. 65-67; Schiavo 1990, i, pp. 80 ss.; EchingerMaurach 1991, i, p. 10, 57, 63, 121; Poeschke 1992, p. 119; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 434, tav. 90; Joannides 1996, p. 24; Armour 1997; Satzinger 2001, pp. 213-215, 220; Forcellino 2002 pp. 64-70; 160-165; Guidoni 2002; Acidini Luchinat 2005, pp. 251-256, 306; Forcellino M. 2007; Zöllner 2008, pp. 424, cat. s15i; Echinger-Maurach 2009a, pp. 114-123; Forcellino M. 2009, pp. 192-215; Wallace 2009, p. 99. Sc. 15 (tavv. 181-184) Michelangelo
Vita contemplativa marmo; 197 x 58 x ca. 38 cm 1542-44 Roma, S. Pietro in Vincoli Figura a tuttotondo, in abito monacale, con le mani raccolte in preghiera e lo sguardo rivolto verso l’alto in atto di contemplazione. Secondo Vasari nel progetto per il mausoleo libero del 1505 era prevista, assieme alle statue sedute di Mosè, San Paolo e della Vita attiva, anche quella della Vita contemplativa, così indicata nei documenti degli anni 1542-45. La Vita attiva e la Vita contemplativa sono pertanto le uniche nuove statue volute da Michelangelo per il programma iconografico del 1542, e anche le ultime create per il monumento. Insieme al Mosè, la Vita attiva e la Vita contemplativa furono collocate nell’attuale posizione entro l’ottobre 1544. Fonti documentarie: docc. 388-389, 393, 395-396, 399, 410-411, 429-430, 466. Fonti iconografiche: dis. 6, 7, 7/copia 1; 7/ copia 2, 51a, 58a. Bibliografia: Tolnay 1954, pp. 71-73, 121122, tavv. 47 e 49-50; Vasari[-Barocchi] 1962, iii, pp. 1204-1219, 1222-1228, nn. 548, 551 (con bibl. prec.); Pope-Hennessy 1963, ii, p. 25; Panofsky 1964, p. 90; Baldini 1965, pp. 135-136; Weinberger 1967, i, pp. 276-280, ii, tav. 78; Hartt 1969, p. 143, cat. n. 33, pp. 268-271; Baldini 1973, p. 108; Einem 1973a, pp. 169, 171-175; Hibbard 1975, p. 268, 271 e ss.; Wilde 1978, pp. 110-113; Verellen 1981, pp. 59-64, cat. n. 12b, pp. 65-67; Echinger-Maurach 1991, i, p. 57, 63, 119-121, 126, 129 e ss.; Poeschke 1992, p. 119; Pope-Hennessy 1996, iii, pp. 81-104, 434, tav. 89; Armour 1997; Satzinger 2001, pp. 213-215, 220; Forcellino 2002, pp. 153-172; Guidoni 2002; Acidini Luchinat 2005, pp. 251-256, 306; Forcellino M. 2007; Zöllner 2008, pp. 424, cat. s15j; Echinger-Maurach 2009a, pp. 123132; Forcellino M. 2009, pp. 192-215; Wallace 2009, p. 99.
Documenti a cura di Claudia Echinger-Maurach*
Abbreviazioni: ab = Archivio Buonarroti, Firenze asc = Archivio di Stato, Carrara asf = Archivio di Stato, Firenze asf, elb, n. 24 = Archivio di Stato di Firenze, Eredità Lemmo Balducci, n. 24 (Quadernuccio di Cassa Rosso “e”, 1513-14) asf, elb, n. 31 = asf, elb, n. 31 (Bastardello Pagonazzo “f”, 1505-07) asf, elb, n. 42 = asf, elb, n. 42 (Entrata e uscita Balducci e Galli Pagonazzo “a”, 1504-06) asf, elb, n. 43 = asf, elb, n. 43 (Ricordi e Cambi “d”, 1504-07) asf, elb, n. 44 = asf, elb, n. 44 (Quaderno di Cassa Pagonazzo “a”, 1504-06) asf, elb, n. 72 = asf, elb, n. 72 ([Debitori e Creditori] 1512-14 [fr.]) asf, elb, n. 75 = asf, elb, n. 75 (Libro Bianco “a”, 1508-09) asf, elb, n. 82 = asf, elb, n. 82 (LibroVerde “d”, 1512-13) asf, elb, n. 83 = asf, elb, n. 83 (Libro Giallo “e”, 1513-15) asf, elb, n. 84 = asf, elb, n. 84 (Debitori e Creditori “a”, 1515-16) asm = Archivio di Stato, Massa asr = Archivio di Stato, Roma asv = Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano bav = Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano bl = The British Library, Londra bm = The British Museum, Londra bmf = Biblioteca Moreniana, Firenze bnf = Biblioteca Nazionale, Firenze bnf, Magl. = Biblioteca Nazionale di Firenze, Magliabechiana elb = Eredità Lemmo Balducci (cfr. asf, elb) sns = Scuola Normale Superiore, Pisa
1505 Doc. 1 25 febbraio 1505 Michelangelo riceve cento ducati da Alamanno Salviati Antonio Chapponi da Genova habita a Roma de’ dare E adì XXV di febraio [1504 st.f. = 1505 st.c.] fiorini cento d’oro per lui a Michelagnolo di Lodovico Buonarroti schultore, portò chontanti, come scrisse per sua lettera de dì 21 di questo al nostro Alamanno, quali dixe fargli pagare per chonto della sanctità di nostro signore; messigli a uscita, [a c.] 179; alla chassa in questo [a c.] 48 .[...] ducati 100, soldi -, denari sns,
Archivio Salviati, Libri di commercio, registro n. 380, s. i, f. 40 sinistra (Hirst 1991, p. 765, Appendix A, n. 1). Doc. 2 27 marzo 1505 Versamento da parte di Michelangelo di sessanta ducati Michelagnolo di Lodovicho Buonaroti schultore de’avere a dì XXVIJ di marzo [1505] ducati sesanta d’oro in oro larghi, rechò lui chontanti, disse auti da Jacopo Rucellai per ordine di nostro signore; a entrata, a c. 8 [...] duc 60 larghi asf, elb,
n. 44, f. 49 destra (Mancusi-Ungaro 1971, p. 166; Hirst 1991, p. 765, Appendix A, n. 2; Hatfield 2002, pp. 17-18, 371, R 86); cfr. inoltre asf, elb, n. 42, f. 8r.
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Doc. 3 28 aprile 1505 Michelangelo riceve una cambiale per 50 ducati dalla banca Balducci, da pagarsi a Firenze da parte della Banca Fazi. Chopia a Firenze a’ Fazzi adì 28 d’aprile 1505. Questa per dirvi che della presente sarà aportatore Michelagnolo di Lodovicho Bonaroti schultore al quale paghate a suo piacere e senz’altra di chambio ducati 50 d’oro larghi et sono per la valuta qui dal detto et ponete a nostro chonto [...] duc 54 asf, elb,
n. 43, f. 17r (Mancusi-Ungaro 1971, p. 176; Hirst 1991, p. 765, Appendix A, n. 3; Hatfield 2002, p. 409, R 87). Doc. 4 28 aprile 1505 Prelievo da parte di Michelangelo di 60 ducati Michelagnolo Bonaroti di chontro de’dare adì 28 d’aprile [1505] ducati sesanta d’oro in oro larghi, portò chontanti; a uscita, a c.101 [...] duc. 60. asf, elb, n. 44, f. 49 sinistra (Mancusi-Ungaro 1971, p. 166; Hirst 1991, p. 765, Appendix A, n. 4; Hatfield 2002, p. 370, R 88); cfr. asf, elb, n. 42, f. 101r.
Doc. 5 28 aprile 1505 Francesco Alidosi in Roma emette una lettera di cambio del valore di mille ducati inviandola ad Alamanno Salviati in Firenze a beneficio di Michelangelo Buonarroti per l’acquisto dei marmi per la realizzazione della tomba di papa Giulio ii Sul retro: «Nobili domino Alamanno Salviato mercatori Florentino: tamquam fratri amatissimo» e a lato: «1505 da Roma al 4 di maggio de dì 28 de aprile» e «R(egistrata)» Nobilis tamquam frater amantissime, salutem. Ve se manda una lettera de cambio de mille ducati, come vederete, quali pagarete ad maestro Michelangilo ad nome de la santità de nostro signore, per parte de pagamento de una sepulctura, quale se è obligato de fare per sua Beatitudine, et per posser dar principio a la compara de marmi per dicta sepulctura. Quali mille ducati volenteri se sono rimessi ad voi, essendosi inteso per diverse lettere vostre scripte ad messer Antonio Caponi, mio maestro di casa, de le conditioni del dicto Michelangilo, facendone intendere lui essere homo che se li possa credere magiur summa, et per questo respecto non se è cercato haver da lui altra sicurtà. Pigliarete da lui quietanza de dicta summa, pregandove provediate a la indemnità de nostro sSignore quale, per el testimonio havete dato del dicto Michelangilo, resta contento e riposato. Bene valete. Romae ex Palatio Apostolico, die xxviij aprilis mdv. Vester Franciscus episcopus Militensis sanctissimi domini nostri thesaurarius. sns, Archivio Salviati, Miscellanea, Buste, serie i, 5, fasc. 22, lettera 8 (Hirst 1991, p. 763; cfr. Carte Poggi, ii serie, fasc. 23).
Doc. 6 7 maggio 1505 [Alamanno di Averardo Salviati proprio. Per suo conto corrente de’ dare] E a dì VIJ di maggio [1505] fiorini novecento settanta uno soldi VIIJ denari VJ d’oro, per lui a Michele Agnolo di Lodovico Buonarroti; portò contanti e ne fece quitanza, quali gli paga per conmessione d’Antonio Capponi di Genova datagli da Roma de dì 26 del passato per certa conventione fatta detto Michele Agnolo colla Santità del papa; messogli a uscita, a c. 183; alla cassa ave-
re in questo [a c.] 53 [...] ducati DCCCCLXXJ, soldi VIIJ, denari VJ. sns,
Archivio Salviati, Libri di commercio, registro n. 380, serie i, f. 57 sinistra (Hirst 1991, p. 765, Appendix A, n. 5).
Doc. 7 7 maggio 1505 Antonio Capponi Genovese habita a Roma, de’ dare adì VII di maggio [1505] fiorini novecento settanta uno soldi VIIJ denari VJ d’oro, pagati per lui a Micheleagnolo di Lodovico Buonarroti scultore, come mi scrisse per sua del 26 del passato, quali dixe paghargli per certa conventione fatta la Sanctità di nostro signore con detto Michele Agnolo, di che gli mandai quitanza e prima gli pagano e Salviati; aver in questo, [a c.] 119 [...] ducati 971.8.6, fiorini MCLV, soldi XVIIIJ denari VIIIJ. sns,
Archivio Salviati, Libri di commercio, registro n. 27, serie ii, f. 123 sinistra (Hirst 1991, p. 765, Appendix A, n. 6). Doc. 8 7 maggio 1505 [Alamanno e Jacopo Salviati e compagni di contro deono havere] Et a dì VII di maggio [1505] fiorini novecento settanta uno, soldi VIIJ, denari VJ d’oro paga per me a Michel Agnolo di Ludovico Buonarroti scultore, quali paga per conmessione datomi Antonio Chapponi da Genova; fattolo debitore, [a c.] 123[...] ducati 971.8.6, fiorini MCLV, soldi XVIIIJ, denari VIIJ. sns,
Archivio Salviati, Libri di commercio, registro n. 27, serie ii, f. 119 sinistra (Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 7). Doc. 9 17 maggio 1505 Alamanno da Averardo Salviati proprio de havere adì XVIJ di maggio [1505] fiorini novecento settanta cinque larghi d’oro per valuta di ducati M d’oro di chamera rimessigli da Roma Antonio Capponi per lettera di Nicholo et Piero del Bene del 26 d’aprile per uso qui da Tommaxo del Bene et Bartolommeo Ginori et chompagni et per loro da Giovanni di Cimba et chompagni; debitori al quaderno de 16 avenza 17 alla 53 [...] duc DCCCCLXXV, soldi -, denari -. sns,
Archivio Salviati, Libri di commercio, registro n. 380, serie i, f. 57 destra (Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 8). Doc. 10 17 maggio 1505 [Alamanno di Jacopo Salviati e compagni di contro deono dare] Et a dì XVIJ di maggio [1505] fiorini novecento settanta cinque d’oro, per me da Tommaxo del Bene et Bartolomeo Ginori e compagni, quali mi paga per una lettera di chambio di ducati M d’oro di chamera, rimessomi da Roma Antonio Capponi, creditore, [a c.] 123 [...] ducati 975, fiorini MCLX, soldi V, denarisns,
Archivio Salviati, Libri di commercio, registro n. 27, serie ii, f. 119 sinistra (Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 9). Doc. 11 17 maggio 1505 Antonio Capponi da Genova, di controscritto, de’havere a dì XVIJ di maggio [1505] fiorini novecento settanta cinque d’oro per valuta di ducati
M d’oro e di chamera rimessomi da Roma detto Antonio per lettera di Nicholò et Piero del Bene del dì 26 del passato, per uso qui da Tommaxo del Bene et Bartolomeo Ginori et chompagni, et per me gli paga a Alamanno di Jacopo Salviati et chompagni; debitori [a c.] 119 [...] ducati 975, fiorini MCLX, soldi V, denari -. sns,
Archivio Salviati, Libri di commercio, registro n. 27, serie ii, f. 123 destra (Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 10). Doc. 12 30 giugno 1505 Versamento di seicento fiorini E adì 30 di giungnjo 1505 fiorini secento d’oro larghi jn oro. Rechò e’ detto contantj, come dj sopra [...] f 600 larghi in oro asf,
Ospedale di Santa Maria Nuova, 5639 [Libro Nero de’ Depositi 1500-10], f. 176 destra (Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 11; Hatfield 2002, p. 431, F2, e p. 39; Carteggio 1965-83, i, pp. 360, 362). Doc. 13 1 luglio 1505 (?) [...] per l’opera facta in Santa Caterina dove si feceva la sepoltura di Papa Julio con certe spese in palco [...]. Frey 1911, Beiheft, p. 11; Frommel 1976, p. 93; Hirst 1991, p. 766. Cfr. infra Doc. 38. Doc. 14 12 novembre 1505, Carrara Patti tra Michelangelo e alcuni proprietari di barche di Lavagna per condurre marmi (per 34 carrate) dal porto dell’Avenza a Roma /24v/ In nomine Domini amen. Anno eiusdem a Nativitate millesimo quingentesimo quinto indictione octava die XII mensis novembris. Pateat per hoc publicum instrumentum, qualiter Dominicus Pargoli et Johannes Antonius de Merlo ambo de Lavagna, habentes et quilibet eorum habet unam barcam suam et quilibet eorum est patronus sue barce, constituti coram me notario et testibus infrascriptis, convenerunt per pactum expresse cum magistro Michaelle Angelo Ludovici florentino sculptore marmorum, quod ipsi patroni promittunt et promittunt eidem magistro Michaelli Angelo portare Romam triginta quatuor carratas marmorum, inter quas sunt due figure que sunt 15 carrate, in hunc modum: videlicet quod dicti Domincus et Johannes Antonius promiserunt et promittunt a presenti die usque ad vigesimum diem presentis mensis venire ad littus maris Aventie et super eorum et utriusque eorum barcis onerare dictam quantitatem marmorum et deinde navigare expensis ipsius magistri Michaellis Angeli, et deinde dictam quantitatem marmorum vehere et portare Roman expensis ipsorum prenominatorum, exceptis gabellis, si que fuerint, quas ipse Michael Angelus teneantur solvere, et deinde eam quantitatem marmorum exonerare ad Ripam ubi marmora exonerantur; et si in illo loco, ubi ipsa marmora exonerantur, /25r/ non possent ipsi patroni ipsam exonerare propter periculum frangendi suas barcas, quod exonerare teneantur in loco comodiori, ubi non immineat damnum frangendi dictas ex premissis ipsorum proprias barcas. Et ibi in exonerando dicta marmora ipse magister Michael promisit prestare omne auxilium lignaminum grossiorum secundum consuetudinem et morem boni et nobilis viri; cum hoc pacto, quod ipsi patroni, postquam oneraverint ipsa marmora in ipso littore Aventie, non possint navigare nec aliud facere aut inceptum capere nisi ire Romam quam celerius poterint, salvo in omni-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
bus suprascriptis premissis iusto impedimento; et quando dicti patroni ad dictum vigesimum diem non venissent ad ipsum littus Aventie sua culpa et non alio iusto impedimento, quod cadant in penam omnium damnorum et interesse ipsius magistri Michaellis Angeli. Et ex altera parte ipse Michael Angelus promisit morem nauti dare et solvere eisdem patronis ambobus, postquam exoneraverunt ipsa marmora in supracriptsis locis de Ripa Rome, intervallo duorum dierum tunc proxime futurorum ducatos sexaginta duos auri in auro latos et iusti ponderis. Et si casu aliquo, quod deus avertat, una suprascriptarum barcarum non appelleret aut perveniret Romam, quod promissis illius barce, que perveniret, debeat satisfieri et solvi ab ipso magistro Michaelle Angelo iuxta rationem/25v/ in ea positorum marmorum. Que omnia et singula suprascripta promiserunt dicti patroni et quilibet eorum in solidum et ipse magister Michael Angelus promisit attendere, observare et adimplere et non contra facere vel venire de iure vel de facto et omni exceptione remota. Sub pena ducatorum centum applicandorum presenti observanti stipulatione promissa, que soluta vel non predicta omnia et singula firme perducerent Pro quibus omnibus etc. obligavit unusquisque etc.. Renuntiantes etc. et exceptione divi Adriani etc.. Actum Carrarie in domo mei notarii, presentibus Melchiore olim Jacobi Barotarii et Joanne Dominico olim Pedroni Vanelli testibus etc.. asm,
Notarile di Carrara, busta n. 4, anni 15031508, cc. 24v-25v, Libro delle imbreviature del notaio della Lunigiana Pandolo Ghirlanda (= Contratti 2005, pp. 35-36, n. xv; cfr. Frediani 1837 [ed. 1976], pp. 47-48, n. i; Milanesi 1875, p. 630, n. viii). Doc. 15 10 dicembre 1505, Carrara Convenzione di Michelangelo con alcuni scalpellini di Carrara per cavare marmi /1r/ Sia noto e manifesto a qualunche persona leggierà la prexente scricta, com’io Michelagniolo di Lodivicho Buonarroti, scultore fiorentino, alluogo e achoctimo oggi, questo dì dieci di dicembre nel mille cinque cento cinque, a Guido d’Antonio di Biagio e a∙mMacteo di Chucherello da Charrara carrate sessanta di marmi all’uxo di Charrara, cioè dumila cinque cento libre la carrata. E infra i decti marmi s’intenda essere quatro pietre grosse, dua d’octo carrate l’una e dua di cinque: e delle dua pietre d’octo carrate l’una, restiamo d’achordo che io deba dare trenta cinque ducati d’oro larg[h]i dell’una, e delle dua pietre di cinque carrate l’una siamo d’achordo io debba dare venti ducati simili dell’una. E el resto delle carrate, per insino al numero soprascricto, debbono essere tucti pezi di dua carrate e da dua in giù, e di queste simil carrate el prezo abbia a essere ducati dua d’oro larg[h]i la carrata, che così siamo d’achordo. E∙lle pietre grosse con tucte l’altre carrate sopraschricte ancora restiamo d’achordo, pel decto prezo, mi debbin dare in barcha a ogni loro spese. E∙ctucta la soprascricta quantità di marmi, e massimamente le pietre grosse, s’intenda essere necte di peli e di veni e bianche sopratucto, e che non sieno niente peggio che quelle che io ò facte nel sopradecto milleximo personalmente in Carrara. Ancora debbino essere e’ soprascricti marmi vivi e forti e non cocti, e chavati al Polvaccio o in altro luogo, che sieno vivi, simili a quegli quando sono bianchi, necti e begli. Ancora restiamo d’achordo che per tucto el mese di maggio prossimo a venire i soprascricti, cioè Guido e Macteo, mi debbino dare in barcha carrate trenta delle soprascricte, in fralle quale carrate debba essere dua de [le] grosse, una d’octo carrate e∙ll’altra di cinque, e poi per tucto sectembre el resto per insino al numero dicto. E∙ctucti e’ sopradicti marmi debbino bozare sechondo le mixure che io darò loro. E perché el sopradecto Macteo resta di venire a Fiorenza infra u[n] mese da oggi, restiamo d’achordo, io in questo tempo gli debba dare in Fiorenza le mixure de’ decti marmi o∙llasciare gli sieno date /1v/.
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Documenti
Anchora se obrigano i soprascricti darmi buona sichurtà de’ mia danari in Lucha o dov’io gli farò loro pagare: cioè in questa forma che, non osservando loro quanto in questa si contene, la decta sicurtà sia per restituire e’ mia danari, e io Michelagniolo soprascricto debba infra dua mesi da ogi fare pagare a Macteo e a Guido soprascricto ducati cinquanta colla decta sicurtà. E∙ctucto ciò che in questa si contiene, s’intenda osservare l’uno all’altro, vivendo la Santità del Nostro Signiore, papa Iulio, perché io Michelagniolo sopradicto ctucti e’ sopradecti marmi fo per Sua Santità. Anchora, seben vivessi e non seguitassi l’opera per la quale i’ò bixognio de’ sopradicti marmi, s’intenda non esser valida la scricta, e a quel tempo che∙ll’opera per ogni rispecto non seguiti più, io debba pigliare, e i soprascricti mi debbino dare, marmi begli e necti, come è decto, pe’ danari avessino ricievuti. E per fede della verità e’ sopradicti, cioè Macteo e Guido si soctoscriverranno di lor propia mano. E io Michelangelo ò facto oggi, questo dì soprascricto in Carrara la presente scricta, presente Ba[ccio] di Giovanni scultore fiorentino e Sandro di Nicholò di Bartolo scarpellino fiorentino. E il decto Baccio e Sandro per testimoni della verità si soctoscriveranno di lor propia mano. Io Guido d’Antonio di Blaxio di Carara sono contento a tuto a quanto di sopra si contiene, a dì et anno is(critti). Io Mateo di Chucarelo soprascritto afermo quanto di sopra si contiene, a dì e ano soprascrito in Carara. Io Bacc[i]o di Giovanni fiorentino sono testimone a quanto di sopra si contiene. Io Sandro di Nicholò di Bartolo sopradetto sono testimone a quanto di sopra si contiene, per fede di ciò mi sono soschritto di mia mano. Anchora di nuovo, perché il decto Guido e Macteo non vogliono avere a trovare le barche pe e’ decti marmi, sieno tenuti avisarmi a∙rRoma, o dov’io sarà, tanto inanzi che io le possa avere proviste al tempo che loro me gli ànno a dare in barcha. ab, ii-iii, n. 7 (= Contratti 2005, pp. 37-39, n. xvi; Milanesi 1875, pp. 631-632, n. ix).
Doc. 16 29 dicembre 1505 Versamento da parte di Michelangelo di settantatre ducati Da Michelagnolo Bonaroti ducati 73 larghi chontanti [...] ducati 73. asf, elb, n. 31, f. 154v (Mancusi-Ungaro 1971, pp. 170, 172; Hatfield 2002, p. 409, R 89).
1506 Doc. 17 12 gennaio 1506 Versamento da parte di Michelangelo di quaranta ducati E adì 12 di gennaio [1506] ducati 40 larghi, recho chontanti [...] ducati 40. asf, elb,
n. 31, fol. 154v, cfr. fol. 162v (Mancusi-Ungaro 1971, pp. 170, 172; Hatfield 2002, p. 409, R 90).
Doc. 18 21 [ma 29] gennaio 1506 Prelievo da parte di Michelangelo per pagare un carico di marmo via nave [Da Michelagnolo Bonaroti] anne auto adì 21 di jennaio [1506] ducati 21 larghi, pagati per nolo di ja barchata di marmi [...] d 21. Auti chontanti. asf, elb,
n. 31, f. 154v (Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 12; Hatfield 2002, p. 409, R 91); cfr. asf, elb, n. 31, f. 162v (Mancusi-Ungaro 1971, pp. 170, 172; Hatfield 2002, p. 410, R 91). Doc. 19 24 gennaio 1506 Versamento da parte di Michelangelo di cinquecento ducati
E adì 24 di jennaio [1506] duchati 486 1/2 d’oro larghi, rechò Michelagnolo per duchati 500 di chamera, ebbe dal papa [...] duc 486 soldi 10. asf, elb, n. 31, f. 162v (Mancusi-Ungaro 1971, p. 170; Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 14; Hatfield 2002, p. 410, R 92).
Doc. 20 26 gennaio 1506 Prelievo da parte di Michelangelo di settantasette ducati e ½ E adì detto [26 di gennaio] duchati settanta sette 1/2 di oro in oro larghi, portò chontanti, disse per spese di chasa et altre [sic] [...] duc 77.50 asf, elb, n. 31, f. 162v (Mancusi-Ungaro 1971, p. 172; Hatfield 2002, p. 410, R 95).
Doc. 21 28 gennaio 1506 Michelagnolo di Lodovicho Buonaroti de’ avere adì 28 di giennaio [1506] ducati quatrocientootto d’oro in oro larghi quali sono per saldo d’achordo sino a questo dì e sono per suo piacere; a entrata, a c. 15 [...] duc. 408 asf, elb, n. 44, f. 85 destra (Mancusi-Ungaro 1971,
p. 168; Hatfield 2002, p. 371, R 96); cfr. asf, elb, n. 42, f. 15r (Mancusi-Ungaro 1971, p. 162; Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 15; Hatfield 2002, p. 411, R 96).
Doc. 22 31 gennaio 1506, sabato Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze [...] De’ chasi mia di qua io ne farei bene, se e’ mia marmi venissino; ma in questa parte mi pare avere grandissima disgratia, che mai, poi che io ci sono, sia stato dua dì di buon tempo. S’abacté a venirne più giorni fa una barcha che ebe grandissima ventura a non chapitar male, perché era contratempo; e poi che io gli ebbi scarichi, subito venne el fiume grosso e ricopersegli i’ modo che anchora non ò potuto cominciare a far niente; o pure do parole al Papa e·ctengolo im bu[o]na speranza, perché e’ non si crucci meco, sperando che ’l tempo s’achonci ch’io cominci presto a·llavorare, che Dio il voglia. Pregovi che voi pigliate tucti quegli disegni, cioè tucte quelle carte che io messi in quel sacho che io vi dissi, e che voi ne facciate un fardellecto e mandatemelo per uno vecturale. Ma vedete d’achonciarlo bene per amor dell’aqua, e abiate cura, quando l’achonciate, che e’ no’ ne vadi male una minima carta, e·rrachomandatela al vecturale, perché v’è cierte cose che importano assai; e scrivetemi per chi voi me le mandate, e quello che io gli ò a dare. Di Michele, io gli scrissi che mectessi quella cassa in luogo sicuro, al coperto, e poi subito venissi qua a·rRoma, e che non manchassi per chosa nessuna. [...] Io vi scrissi che voi domandassi Bonifatio a chi e’ faceva pagare a·lLucha quegli cinquanta ducati che io mando a Charrara a Macteo di Chucherello, e che voi iscrivessi el nome di cholui che gli à a pagare in sulla lectera che io vi mandai aperta, e che voi la mandassi a Charrara al decto Macteo, acciò che e’ sapessi a chi egli aveva a andare in Lucha pe’ e’ decti danari. Chredo l’arete facto; prego lo scriviate ancora a me a chi Bonifatio gli fa pagare in Lucha, acciò che io sappia el nome e possa scrivere a·mMacteo a Charrara a chi egli à a ’ndare in Lucha pe’ e’ decti danari. [...] bm, Add. Ms. 23140, c. 2 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 11-12, n. vii; cfr. anche pp. 359-364).
Doc. 23 20 febbraio 1506, venerdì Prelievo da parte di Michelangelo di cinquantotto ducati per pagare carichi navali di marmo Michelagnolo Buonaroti de’ dare adì XX di febraio ducati cinqantotto d’oro in oro larghi. Portò lui contanti, disse per paghare noli; a uscita, a c. 110 [...] d 58. asf, elb, n. 44, f. 85 sinistra (Mancusi-Ungaro
1971, p. 166; Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 16; Hatfield 2002, p. 370, R 98); cfr. asf, elb, n. 12, Entrata e Uscita Balducci e Galli, 1504-1506, f. 42v (Mancusi-Ungaro 1971, p. 164); cfr. asf, elb, n. 42, fol. 110v (Mancusi-Ungaro 1971, p. 162).
che la decta [opera] non è possibile la possa per questo prezo fare a·rRoma; la qual co[sa po]trò fare qua per molte comodità che ci sono, le quale non sono c[ostà], e ancora farò meglio e chon più amore, perché non arò a pensare a tante cose. [...]
Doc. 24 2 marzo 1506, lunedì Prelievo da parte di Michelangelo di cinquanta ducati A Michelagnolo Bonaroti ducati 50 d’oro in oro larghi, porto porto [sic] chontanti, disse per spese; al quaderno, a c. 85 [...] duc 51 bolognini 5.
ab, v,
asf, elb,
n. 42, f. 111r (Mancusi-Ungaro 1971, p. 164); cfr. asf, elb, n. 44, f. 85 sinistra (Mancusi-Ungaro 1971, p. 166; Hatfield 2002, p. 370, R 100).
Doc. 25 3 aprile 1506, venerdì Bonifico a favore di Matteo di Cuccarello di Carrara a Lucca tramite Bonifazio Fazi a Firenze E adì 3 d’aprile [1506] ducati 50 d’oro in oro larghi per altretanti n’abiamo fatti creditori e’ Fazzi di Firenze a nostro [conto] che per nostro hordine et stanza del detto Michelagnolo ne feciono paghare a Lucha a Matteo di Chucharello da Charara per marmi; a uscita, a c. 112 [...] duc. 50 asf, elb, n. 44, f. 85 sinistra (cfr. Mancusi-Ungaro 1971, pp. 166 s.; Hirst 1991, p. 766, Appendix A, n. 17; Hatfield 2002, pp. 370, 372, R 101); cfr. asf, elb, n. 42, f. 112r (Mancusi-Ungaro 1971, p. 164); cfr. Carteggio 1965-83, i, p. 364, n. 6.
Doc. 26 2 maggio 1506, sabato Michelangelo in Firenze a Giuliano da Sangallo in Roma G[i]uliano, io ò inteso per una vostra chome ’l Papa à ’vuto a·mmale la mia partita, e chome sua Santità è per dipoxitare e fare quanto fumo d’achordo; e che io torni e non dubiti di cosa nessuna. Della partita mia, egli è vero che io udi’ dire el Sabato Santo al Papa, parlando chon uno g[i]oelliere, a·ctavola, e chol maestro delle cerimonie, che non voleva spendere più uno baiocho né in pietre pichole né in grosse: ond’io ne presi amiratione assai; pure, inanzi che io mi partissi, gli domandai parte del bixognio mio per seguire l’opera. La sua Santità mi rispose che io tornassi lunedì: et vi tornai lunedì e martedì e mercholedì e giovedì, chome quella vide. All’ultimo, el venerdì mactina io fui mandato fuora, cioè cacciato via; e quel tale che me ne mandò, disse che mi chonoscieva ma che aveva tal chomm[i]ssione. Ond’io, avendo udito il decto sabato le decte parole, e veggiendo poi l’efecto, ne venni in gran disperatione. Ma questo solo non fu cagione interamente della mia partita, ma fu pure altra cosa, la quale non voglio scrivere; basta ch’ella mi fe’ pensare, s’i’ stavo a·rRoma, che fussi facta prima la sepultura mia che quella del Papa. E questa fu chagione della mia partita sùbita. Ora voi mi scrivete da parte del Papa, e così al Papa legierete questa: e intenda la sua Santità com’io sono disposto più che io fussi mai a·sseguire l’opera; e se quella vole fare la sepultura a ogni modo, non gli debbe dare noia dov’io me la facci, pur che in capo de’ cinque anni che noi siàno d’achordo la sia murata in Santo Pietro, dove a quella piacerà, e sia cosa bella chom’io ò promesso: che·sson cierto, se·ssi fa, non à la par cosa tucto el mondo. Ora, se vuole la sua Santità seguitare, mectami il decto dipoxito qua in Fiorenza, dov’io gli scriverrò, e io ò a ordine a Charrara molti marmi, e’ quali farò venire qui, e chosì farò venire cotes[t]i che io ò chostà. Benché mi fussi danno assai, non me ne curerei, per fare tale opera qua; e manderei di mano in mano le cose facte, i’ modo che sua Santità ne piglierebe piacere come se io stessi a·rRoma, o più, perché vedrebbe le cose facte sanza averne altro fastidio. E de’ decti danari e della decta opera m’obri[ghe]rrò come sua Santità vole e darogli quella sicurtà che dom[ande]rà qua in Fiorenza; sia che si vole, che io l’assicurerò a ogni modo [in] tucto Fiorenze. Basta. Anchora v’ò a dire questo:
viii,
n. 1 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 13-14, n. cfr. pp. 364-366).
Doc. 27 7 maggio 1506, giovedì Michelangelo trasferisce duecentoquaranta ducati a Firenze e preleva dieci ducati per recarvisi A Michelagnolo Bonaroti ducati 240 d’oro larghi per altrettant[i] li faciemo pagare a Firenze a Bonifazio Fazzi e compagni; debitore al quaderno, a c. 85 [...] duc 246 Al detto ducati X d’oro larghi per andare a Firenze; chontanti al quaderno, a c. 85 [...] duc 10 5 asf, elb, n. 42, f. 113v (Mancusi-Ungaro 1971, p. 164; Hatfield 2002, p. 411, R 103, R 104); cfr. asf, elb, n. 44, f. 85 sinistra (Mancusi-Ungaro 1971, p. 168; Hatfield 2002, p. 372, R 103, R 104); cfr. asf, elb, n. 31, f. 207r (Mancusi-Ungaro 1971, p. 174).
Doc. 28 9 maggio 1506, sabato Giovanni Balducci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Charo Michelagnolo, io ho la vostra, la quale m’è suta gratissima. Intesi la vostra giunta a salvamento, che·nn’ò auto assai piaciere. Vegho chome di già avete chominciato a lavorare, ch’è segno che avete in animo di tornare presto, finito che di chostà avete quanto avete dato principio; e, sechondo vostro scrivere al Sanghallo, la tornata vostra non sarà chosì presta chome la partita. Iddio sia quello che ’l megl[i]o vi dimostri, che per mia fe’ non so se mai ebbi el magiore dispiacere che la vostra partita. Tutto per lo megl[i]o. Voi siate prudente e ’l bisogno chonosciete. El Sanghallo, sechondo dicie, mostra che ’l Papa abia disiderio torniate a ogni modo a finire l’opera; e quando sua Santità v’oservi quanto v’à promesso, a ogni modo vi chonforterei al tornare; e massime che questa è chosa che vi risulta utile e onore. Tutta volta voi megl[i]o di me giudichate el bisogno vostro; e prima tutto chonsultate bene, ché non disidero altro per voi se non quanto per me propio. [...] ab, vi,
n. 45 (= Carteggio 1965-83, i, p. 15, n. ix).
Doc. 29 10 maggio 1506, domenica Piero Rosselli in Roma a Michelangelo in Firenze Charisimo in luogo di fratelo, dopo le salute e racoma[n]dazione avisoti chome sabato sera, ciena[n]do e’ Papa, most[r]a’li cie[r]ti dise[g]ni avemo a cime[n]tarli Brama[n]te e io. Cenato che ebe e’ Papa, io li avevo most[r]i; lui ma[n]dò per Brama[n]te e diseli: ‘E’ Sa[n]galo va domatina a Fire[n]ze e rimenerà i[n] sue Mic[h]ela[g]nolo’. Rispose Brama[n]te a’ Papa e dise: ‘Sa[n]to Padre, e’ no’ ne sarà nula, perché io òne praticho Mic[h]ela[g]nolo asai e àmi deto p[i]ue e p[i]ue vote none volere ate[n]dere a la capela, e che voi li volevi dare cotesto caricho’; e che per ta[n]to voi no’ volevi ate[n]dere se none a la sipultura e none a la pitura. E dise: ‘Pad[r]e Sa[n]to, io credo che lui no’ li basti el animo, perché lui non à fato tropo di figure, e masimo le figure sono a[l]te e in i[s]co[r]cio ed ène atra cosa che a dipi[g]nere i[n] tera’. Alora rispose e’ Papa e dise: ‘Se lui no’ viene, e’ mi fa to[r]to; per che io credo to[r]nerà a og[n]i modo’. Alota io mi iscope[r]si e disili una vilania gra[n]dissima, prese[n]te de’ Papa, e disili quelo credo aresti deto voi per me; e per ta[n]to non sepe quelo si rispo[n]de[re] e pa[r] veli avere ma[l] deto. E disi p[i]ue o[l]tre: ‘Sa[n] to Pad[r]e, lui non pa[r]lò mai a Mic[h]ela[g] nolo, e di quelo v’àne deto da ora, se li è vero volio mi moziate e’ capo: ché lui no’ li pa[r]lò mai a Mic[h]ela[g]nolo; e c[r]edo che lui to[r]nerà a og[n]i modo, qua[n]do la vostra Sa[n]tità vorà’. E qui finì le cose. Atro no’ v’ò a dire. Idio di male vi gua[r]di. Se io posso fare nula, datemi aviso, lo farò vole[n]tieri. Racoma[n]datemi a Simone de’ Polaiuolo. [...]
bav, Cod. Vat. Lat. 14153 (già coll. Steinmann), c.
43 (= Carteggio 1965-83, i, p. 16, n. x).
[20 maggio 1506: costituzione di una società formata da Giampaolo detto il Mancino, proprietario della cava del Polvaccio, e altri quattro soci, Guido di Antonio di Biagio, Matteo Cuccarello e Pietro di Matteo di Casone e Jacopo di Antonio detto il Caldana, sciolta il 23.1.1511, cfr. doc. 39 (Rapetti 2001, pp. 19-20 e n. 9; Milanesi 1875, n. x, dal 23.1.1511, cfr. doc. del 17.8.1506; Bardeschi Ciulich 1992, p. 172)] Doc. 30 8 luglio 1506 Breve di papa Giulio ii Dilectis filiis prioribus libertatis et vexillifero justicie populi Florentini. Dilecti filii salutem et apostolicam benedictionem. Michaelangelus scultor, qui a nobis leviter et inconsulte discessit, redire ut accepimus ad nos timet; cui nos non subcensemus, novimus huiusmodi hominum ingenia. Ut tamen omnem suspitionem deponat, devotionem vestram hortamur, velit ei nomine nostro promittere quod, si ad nos redieret, illesus inviolatusque erit, et in ea gratia apostolica no[s] habitur[os], qua habebatur anta discessum. [...] asv, Arm. xxxix, tom. 24 (Julii ii. Brev. t. iii), f. 293 (Bottari 1759, pp. 320-321, n. 195; Steinmann 1905, ii, pp. 695-696, n. 6).
1508 Doc. 31 [aprile, ma più verosimilmente marzo] 1508 Per chonto della sepultura mi bisognia duchati quatro ciento ora, e dipoi cento duchati el mese pel medesimo chonto, chome sono i nostri primi pacti. [...] ab, i,
n. i (= Ricordi 1970, p. 1, n. i).
Doc. 32 27 marzo 1508 Versamento da parte di Michelangelo di quattrocentosettantotto fiorini e dieci soldi ricevuti dal papa Michelagnolo di Lodovicho Bonarotj schultore de’ avere adì xxvij di marzo ducati quatrocientoottanta d’oro di Chamera, tra’ qualj ne fu d 74 scharsj. Pegio d1o1/2 di Camera. Qualj disse avere autj dal papa. A Entrata a 47. A Cassa, c. 158. [...] f 478 s. 10 asf, elb, n. 75, f. 159 destra (Hatfield 2002, p. 373, R 105); cfr. asf, elb, n. 64, f. 47r.
Doc. 33 24 giugno 1508, sabato Matteo di Michele [de Cucharello] in Carrara a Michelangelo in Roma Honorando tanquam pater etc., questo serà per dirvi come per la barcha de Menino de Lavagna ve mando caratta vinti una de marmi, conputando quatro caratta de le vostre del vostro segno, che sone pezi quatro; e’ resto pag[h]erette a Francesco de Peliza, al prèso segondo la scritta. E’ diti marmi vi si mandeno per avere visto lore beleza e bontade, e anchora vedendo non podere esere servitto de’ denari pagati tanto tenpo per voi; e questi serano casone esere sodisfato de tuto, ho in parta almancho. La figura grosa non mancherà, perché è in su la marina la dita figura e la barcha che l’à a levare. Credo che voi l’arete de curtto a Roma, come da Francesco e da Menino intenderete. Circa a’ fato de’ nolli, vi prego che siate contento de spedire lo ditto Menino; el conpagno suo serà Vichoroso de Montoverdo, patrone de l’altra barcha, per caratta undice de marmi. Al ditto Menino pagate duchati disotto per pezi tre, cioè dui fugure de tre caratta l’una, e de la figura de la Santitade del Nostro Signore e de’ resto li pagarete carlini sedice per caratta: e questi soni per soi nolli. Vi prego quanto pregare vi posse che dito Menino ve sia rechomandato, che invero nonn·ò trovatto homo che abi voluto servire in questi tenpi,
se non lui; e libralmenta è stato tiratto interato in tera a la piaza de l’Avensa quindice zorni o più. Sì che fate che uno paro de duchati non guaste el fato vostro per lo avenire. E se non fuse lui, non trovave nesune che volese venire. E’ diti duchati disotto fate siano d’oro larg[h]i, come feste l’altra volta. E più verà Francesco de Peliza da Carara, mio cugnato, a Roma, pi[a]cendo a Dio, con questi marmi. Io ve lo arichomande asai, bene che io crede che non bisogne arecomandarvello. Lui à lo modo de servirvi de marmi in tuta b[o]ntade e beleza, come lui ve dirà a voi in persona. E io Mateo sono parato qua a Carara a servireve de tutto quello che voi me darete aviso. [...] Vi prego che, podendo voi scanpare la dovana a’ diti patroni, perché lore sone poveri omini, fate che lore ve siano arecomantati. [...] ab, ix, n. 519 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 68-69, n. xlviii).
Doc. 34 7 luglio 1508 Pagamento a Francesco di Pelicia per una carico di marmo via mare E adì vij di luglo ducati liiijo d’oro jn oro larghj. Paghamo a Francesco di Pelicia per ja barchata di marmj. A Uscita a 83. A Cassa, c. 192 [...] fiorini 55·7. asf, elb, n. 75, f. 159 sinistra (Hatfield 2002, p. 374, R 124); cfr. asf, elb, n. 71, 83r (6 luglio 1508).
Doc. 35 7 luglio 1508 Pagamento per tre carichi di marmo via mare E adì vij detto ducati lxxvij d’oro larghi. Paghamo per nolito di tre barchate di marmj. A Uscita a 83. A Cassa, c. 192 [...] fiorini 79 asf, elb, n. 75, f. 159 sinistra (Hatfield 2002, p. 374, R 125); cfr. asf, elb, n. 71, 83r.
Doc. 36 [22 luglio 1508, sabato] Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze [...] Io scrissi più giorni fa a·lLodovicho come io avevo marmi qua per quatrociento ducati larg[h]i, e chom’io ci ò debito su ciento quaranta duchati larg[h]i, e chom’io non ò un qu[a]trino; e chosì lo scrivo a·tte, perché tu vega che per adesso non vi posso aiutare, perché i’ ò a pagare questo debito e anchora mi bixognia vivere, e oltr’a questo pagare la pigione. Sì che i’ ò delle fatiche assai: ma spero d’uscirne presto e potervi aiutare. [...] ab, iv,
n. 19 (= Carteggio 1965-83, i, p. 74, n. lii).
Doc. 37 19 novembre 1508 Pagamento per il trasporto di 37 carrate di marmo E adì xviiij.o detto [novembre 1508] ducati vij giulj 4 d’oro di Camera. Portò chontantj, disse per vettura di 37 charate di marmj. A Uscita a 90. A Cassa, c. 234 [] f 7· 8 asf, elb, n. 75, f. 159 sinistra (Hatfield 2002, p. 378, R 135); cfr. asf, elb, n. 71, f. 90v.
1510 Doc. 38 4 dicembre 1510 Io Alexandro [...] canonico di Santo Piero per la presente dichiaro Michelagniolo Simoni schultore del tempo è stato ne la chiesa su la piazza di san Piero, non ostante io più tempo fa la pigliassi dal chapitolo in aloghazione, non ho averé nè debo domandare fitto nè pigione alchuna, perché la detta chasa per servire nostro signore papa Julio, l’ebbe da esso papa e lui lo mese(?) in posisione, e per la presente lo quito elibero di tutto li potessi domandare, e per fede de la verità ho fatto fare la presente schritta, quale sarà sotto schritta di mia propria mano questo dì 4 di dicembre 1510 in Roma Ita est Alexander Salicetus manu propria subscripsi.
ab, ii-iii,
n. 8 (Carte Poggi, ii serie, fasc. 23; Hirst 1991, p. 766, Appendix B). 1511
Doc. 39 23 gennaio 1511, Carrara Lodo dato nella controversia tra alcuni scalpellini per cagione della loro compagnia nel cavar marmi per Michelangelo In nom(ine) etc. Die XXIII ianauarii 1511 Nos Michael ol(im) Andree Jacobi Guidi et Nicodemus ol(im) Cecchini Corselli ambo de Torano, arbitri arbitratores et amicabiles compositores et boni viri ellecti et assumpti communiter et concorditer inter … et Guidonem Antonii … ex alia super litibus et differentiis vertentibus et versis inter ipsos, de quibus apparet in compromisso in Nos fact(o) per dict(as) partes, rogat(o) et script(o) manu not(arii) infr(ascripti) sub suo datali; viso in primis dict(o) compromisso, et visa bailia et potestate nobis attributa et data per ipsas partes virtut(e) dict(i) compromiss(i); viso et lecto et diligenter considerato et excusso quodam consilio super dictis differentiis per nos habito de voluntate et mutuo consensu dictarum partium ab eximio leg(um) doct(ore) D. Lazario Arnolfino Lucen(si) civ(e), quod consilium ego quoque not(arius) infr(ascriptus) vidi legi et perlegi coram test(ibus) infr(ascriptis), cuius consilii tenor talis est sic in lingua materna editus et scriptus, videlicet: Invocato ect. Visto uno scripto de compagnia facto a dì 20 di magio 1506 infra Guido di Antonio di Biagio et Matheo di Cucarello per una quarta parte, et Pedro di Matheo di Cason per un altra quarta parte, et Jacopo di Antonio dicto il Caldana per un’altra quarta parte, et Zanpaulo el Mancino per un altra quarta parte in cavare et lavorar marmi in la cava de dicto Zanpaulo, in lo quale etiam si chiarisse che il lavoro dato per M.o Michelangiolo fiorentino a dicti Guido et Matheo venghi in dicta compagnia; visto etiam un altro scripto come li dicti Pedro et Jacopo et Mancino si obligano come compagni dare in su la marina a Pierino da Lavagna carrate 16 di marmo, le quali si dicono essere quelli marmi di M.o M(ichele) A(ngelo), et per lo quale scripto dicto Guido promette alli dicti due compagni di servirli e pagar per loro li carratori et lavoranti che li serviranno appresso la pietra grossa dalle otto carrate; visto ancora un altro scripto facto a dì 17 agosto 1506, per lo quale el dicto Guido promette a’ dicti Caldana, Mancino et Pedro servirli di ugni quantità di denari farà loro bisogno per lo lavoro de Firenze, loro aveano a compagnia, cioè di ducati uno per carrata o più bisognando, et per lo quale li predicti prometteno al dicto Guido per suo premio darli soldi 15 per carrata, et che allo ritratto de’marmi dovesse Guido havere il suo intero pagamento con il suo premio; visto etiam li acti della lite etc.; visto etiam il compromesso facto a dì 14 agosto 1510 tra dicti etc. etc., presertim per rispecto delli marmi di M.o M(ichele) A(ngelo) et delli marmi di Firenze in Michele e Nicodemo di Torano, giudico le parti di detti arbitri essere in giudicare sopra dicte differentie come appresso, cioè: ec. ec. Et visis etc. omnibus computis dictar(rum) partium tam ratione laborerii dicti M.ri M(ichelis) A(ngeli) quam etiam ratione laborerii de Florentia, et visis etc. Christi ac etc. nominibus invocatis etc., pronuntiamus etc. Quia primo dicimus et decl(aramus), Nos reperisse in dictis computis dictar(arum) partium, dictos Iac(obum), Petr(um) et Mancinum habuisse et recepisse ducat. 50 a dict(o). Guidone pro dictis marmor(ibus) faciend(is) dict(o) M.o M(ichaeli) A(angelo) in una partita, et in una alia etiam habuisse mutuo a dicto Guidone ducatos 32 pro vehendis et conducendis ad marinam dictis marmor(oribus), deinde Nos etiam invenisse in dictis computis dictos Iac(obum), Petr(um) et Manc(inum) satisfecisse dicto Guidoni sive M.o M(ichaeli) A(ngelo) de dictis duc. 50 in tot marmoribus posit(is) ad marinam etc … Et dicimus etc. Laudamus omni meliori modo etc. … Lat(um) etc. Carrarie in domo mei Not(ari) etc.
307
Michelangelo. Il marmo e la mente
Contratti 2005, pp. 311-313, n. cxxxviii (cfr. Frediani 1837 [ed. 1976], pp. 50-54; Milanesi 1875, pp. 633-634, n. 6; Rapetti 2001, p. 19, n. 9: asm, b. 4, prot. 1510-1517, f. 58). Doc. 40 23 luglio 1511 Papa Giulio ii trasmette la donazione di Bruni alla Capella Iulia [...] Accepimus siquidem quod olim bonae memoriae Henricus archiepiscopus tarentitinus thesaurarius generalis, praelatus noster domesticus, dum in humanis ageret, condens in ejus ultima voluntate testamentum, cupiens particeps fieri indularghientiarum concessarum porrigentibus manus adjutrices fabricae basilicae principis apostolorum de Urbe, pro incertis et male ablatis, unam sexdecim ducatorum auri largorum per Fontanam sive ejus fratres occasione certarum domorum et adjacentium prope portam Turionis consistentium, ac alias responsiones annuas decem et octo ducatorum monete veteris [...]. Nos igitur qui fabricam ipsam per nos inceptam, opere conveniente principi apostolorum, cuius vicem gerimus, et sub cujus invocatione basilica ipsa constructa fuit, ad finem optatum perducere speramus, et pro illius ornamento unam capellam in qua divina officia quotidie per certos cantores numero convenienti celebrentur, construi facimus eorundem cantorum uberiori sustentatione providere volentes, motu proprio [...] annuas responsiones praedictas, eidem capellae [...] applicamus, et appropriamus, ac illas per dilectum filium Bartholomaeum Ferratinum procuratorem proventuum dictae capellae, et super hoc commissarium nostrum, ex nunc tam pro praeterito, a die obitus dicti testatoris, quam futuro libere exigi posse eadem auctoritate volumus atque decernimus [...]. Collectio bullarum 1750, pp. 344-345. 1512 Doc. 41 [inizi ottobre 1512] Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze [...] Io ò finita la chapella che io dipignievo: el Papa resta assai ben sodisfato, e·ll’altre cose non mi riescono a me chome stimavo; incholpone e’ tempi, che sono molto chontrari all’arte nostra. Io non verrò chostà questo Ogni Santi, perché non ò quello che bisognia a far quello che voglio fare, e anchora non è tempo da·cciò. [...] bm, i,
Add. Ms. 23140, c. 37 (= Carteggio 1965-83, p. 137, n. civ).
Doc. 42 [Ottobre-novembre 1512] Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze [...] Io non fo ancora niente, e aspecto che el Papa mi dicha quello che io abbia a fare. [...] bm, i,
Add. Ms. 23140, c. 13 (= Carteggio 1965-83, p. 139, n. cvi).
Doc. 43 [Ottobre-novembre 1512] Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze [...] Actendete a vivere; e se voi non potete avere degli onori della terra come gli altri cictadini, bastivi avere del pane e vivete ben chon Cristo e poveramente, chome fo io qua, che vivo meschinamente e non curo né della vita né dello onore, cioè del mondo, e vivo chon grandissime fatiche e chon mille sospecti. E già sono stato così circha di quindici anni, che mai ebbi un’ora di bene, e·ctucto ò facto per aiutarvi, né mai l’avete chonosciuto né creduto. Iddio ci perdoni a·ctucti. Io sono parato di fare anchora il simile i’ mentre che io vivo, pur che io possa. [...] bm, i,
Add. Ms. 23140, c. 15 (= Carteggio 1965-83, pp. 140-141, n. cvii).
1513-1514 Doc. 44 6 gennaio 1513
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Atto di donazione della Capella Julia [...] Cum sit quod alias reverendus in Christo pater et dominus... Gaspar Torrella dei et apostolice sedis gratia episcopus Sancte Juste habuerit et sibi in efectum concessum fuerit a camera apostolica in perpetuum sub annuo censu unius carleni, quoddam solum sive terrenum situm in burgo Sancti Petri de urbe in via que dicitur sancta eius confinia sunt hec versus castrum sancti Angeli quedam domus sancti Spiritus versus meridiem via sancta versus ecclesiam sancti Petri quedam parva domus sancti Spiritus in qua de presenti inhabitat quedam mulier nominata Magdalena ac quodam furno et cum domo Francisci Cibo ex parte septentrionalis cum orto domus regine Cipri que tunc possidetur ab heredibus quondam Ferdinandi sellarij et cum alia domus magna dicti domini episcopi sancte Juste que sit in via recta tendens a porta palatij usque ad castrum sancti Angeli quem dictus episcopus super huiusmodi solo edificaverat seu edificari fecerat de suis proprijs pecunijs a fundamento usque ad summum et unam domum copertam et soleratam cum omnibus singulis edificijs et habitationibus que et super dicto solo reperiuntur hìnc est quod in mei notarij publici testiumque infrascriptorum presentia personaliter constitutus prefatus reverendus Gaspar episcopus animadvertens ut asseruit bona huiusmodi temporalia esse et momentanea et habita rationem condicionem humane vite volens ut catolicum docet antistitem dum in hac miserabili vita constitutus existit anime sue saluti providere necnon terrena et transitoria in eterna felici commercio (?) comutare Id circa sponte et ex sua certa scientia et non per errorem aliquem seductus aut aliquo modo circumventus sed matura deliberatione de super ut asseruit prehabita pro se suisque heredibus et successoribus ad laudem omnipotentis dei et gloriose virginis Marie et totius curie celesti revocando primitie(?) et ante omnia anulando et cassando prout tenorem presentem publici instrumenti revocat cassat et annulat atque revocatum et anulatum habuere vult etintendit quascumque alias donationes et jurium cessiones de dicta domo per eum hactenus quolibet factas melioribus modo via et forma quibus melius etefficatius potuit et debuit atque posset ea donatione quae dicitur pura mera et inrevocabili inter vivos in perpetuum dedit donavit et concessit... venerabili capelle construende et fiende per dominum nostrum dominum Julium divina providentia papam in capite et capud basilice principis apostolorum de urbe ad quem singolarem gerit devotionem videlicet dictam domum... Item similiter dedit et concessit inrevocabiliter inter vivos donavit eidem capelle ac in eam transtulit et transfere de presenti omnia et singula iura (etc.) ... super quibus (?) dictus reverendus dominus episcopus donator eidem capelle et agentibus eiusdem per prefatum sanctissimum dominum nostrum Julium ... ad hoc ordinatis(?) dedit et dat potestatem auctoritatem et facultatem per se vel alium seu alios propria auctoritate... quam donationem et concessionem et translationem fecit et facere dixit dictus reverendus dominus donator eidem capelle ob singularem devotionem quam ad ipsam capellam semper habuit et habet ac etiam ut particeps effici valeat divinorum officiorum in dicta capella celebrandorum et indularghientiarum illius benefactoribus concessarum et concedendarum ac ad efectum ut in ibi divinus cultus comodus manuteneri possit et quia sic sibi bene facere placuit et placet promittens reverendus dominus episcopus donator (etc.) Ferdinando de Ambles e Pietro Galar sono testimoni. Paulus Beer notaio. asc, sez. lx vi, Istrumenti, vol. 19, fol.180v-182v (cfr. Lanciani 1923, p. 236). Doc. 45 21 gennaio 1513 Michelangelo riceve duemila ducati dai Fugger E adì xxjo di giennaio [1513] d Mdccc di julj x per ducato. Avemo per luj da’ Fucherj in somma di d ijm, che d cc ne portò chontantj. A Uscita a c. – anzj, a Entrata – a c. 34. C. 163 [...] f MDccc ¯ 2653∙18∙6 asf, elb, n. 82, f. 122 destra (Hatfield 2002, pp. 30,
387, R 159); cfr. asf, elb, n. 60, f. 34 r (18 gennaio); asf, elb, n. 25, f. 143v (18 gennaio). Doc. 46 12 febbraio 1513 Michelangelo trasferisce duemila ducati a Firenze Michelagnolo di Lodovicho Buonarotj di contro de’dare adì 21 di febraio [1513] ducati dumila d’oro jn oro per tantj li faciemo lettera per Firenze a paghare a a Bonifazio Fazzj e C. in Lodovicho suo padre. Posto «avere» j detti Fazzj in questo, c. 158 [...] fiorini ijm ljo · v · v – asf, elb,
n. 82, f. 122 sinistra (Hatfield 2002, pp. 30, 384, R 160); cfr. asf, elb, n. 47 e n. 61, f. 65v (12 febbraio). Doc. 47 19 febbraio 1513 Bolla di Costituzione della Capella Julia [...] Ad supremum tamen apostolatus apicem evecti, tanto id diligentius, ac liberalius praestitimus, quod instituta a nobis opera ad domus Dei decorem dignissime retinendum, perabunde declarant, quanto major nobis Christiani gregis cura fuit injuncta, ampliorque benigne faciendi facultas tradita; sapientissimum illum Hebraeorum regem im lege veteri, qui licet in summa Christianae lucis caligine versaretur, deo tamen cui humillime supplicabat, templum petrinis sculturis caelaturisque ornatissimum, nulla sumptus parsimonia aedificavit, et praedecessorum nostrorum nonnullos, per novam legem Christianae lucis radis illustratos, et praesertim felicis recordationis Sixtum papam IV. nobis secundum carnem patruum, sedulo imitantes, qui nihil antiquius, ac sanctius, nihil romanae ecclesie regimini salubrius arbitratus, quam omnipotentis dei cultum, et locorum dignitate, et venustate, et hominum pietate, ac sanctimonia praesentibus posterisque accuratissime celebrandum praebere, cum alia per urbem plurima sacella, templa et monasteria instauravit, erexit, atque annuo censu, ad divinum in his cultum honestissime servandum, locupletavit; tum vero in ipsa principis apostolorum aede sacellum, in quo eius corpus, cum ei ab humanis, disponente domino, cedere contigisset, ad perpetuam posteritatis memoriam servaretur, non minimo sumptu aedificavit, idque divinis laudibus ibi quotidie celebrandis, plurimisque indularghientijs decoravit, proptereaque beneficiatorum, et clericorum ordinibus certos alios benificiatos, et clericos nuncupatos motu proprio aggregavit. Nos igitur, ne minorem illis Deo nostro gratitudinem ostenderemus, cernentes ipsam principis apostolorum basilicam, et situ incultam, et vetustate collabentem, ac dignissimam tanto templo aedificationem mentem nostram applicantes, ut cuius nomen numenque in terris foret, ejus quoque domus reliquis omnibus dignitate ac venustate praestaret, jampridem maximam eiusdem basilicae mirae latitudinis, et altitudinis capellam testudineo opere fundavimus, fundatamque ad perfectum opus perduci summo studio quotidie procuramus. Et quoniam vel tanti operis magnitudini, vel nostrae posteritati parum contulisse videremur, nisi ecclesiam omnem perditis moribus deformatam, quantum in nobis esset, reformaremus, generale concilium in Lateranensi basilica celebrantes, locorum ac personarum omnium reformationem constituimus, ut ipsi apostolorum principi, cuius vicariatus curam gerimus, non minus ministrantium religione, ac sanctimonia, quam capellae ipsius dignitate, et elegantia ministraretur. Ipsi autem capellae, praeter solidos et marmoreos muros, praeter altissimum ac latissimum fornicem, praeter plurimos diuturnosque pictorum, et sculptorum labores, praeter pavimentum vermiculatis lapidibus sternendum, praeter preciosissimos sacerdotum ornatus, ut divinae laudes honestius, et suavius celebrentur, providere volentes, motu simili, non ad dilectorum filiorum archipresbyteri, et capituli dictae basilicae, vel cujusvis alterius nobis super hoc oblatae petitionis instantiam, sed de mera nostra liberalitate, et ex certa nostra scientia, ut de cetero perpetuis futuris temporibus in dicta capella sub invocatione Nativitatis Beatae Mariae, quae Julia nuncupatur, et in qua corpus nostrum,
nobis vita functis, sepeliri volumus, duodecim sint cantores, et totidem scholares, ac duo magistri, unus musicae, et alter grammaticae, ut ex hujusmodi cantorum collegio, capellae nostrae palatii, ad quam consueverunt cantores ex Galliarum et Hispaniarum partibus accersiri, cum nulli fere in urbe ad id apti educentur, cum opus fuerit, subveniri possit, qui inibi singulis diebus horas canonicas decantare teneantur, auctoritate apostolica tenore praesentium statuimus, et ordinamus. Et ut cantores, scholares, et magistri praescripti, ad eorum vitae sustentationem necessaria habere valeant, prioratum S. Pauli extra muros Albanen(sis) ordinis S. Hieronymi sub regula S. Augustini, ac ecclesiam S. Jacobi in Septignano regionis Transtiberin(ae) sub Janiculo [... ] perpetuam capellaniam ad altare Ss. Petri et Pauli in ecclesia S. Mariae in Campitello de urbe regionis Campitelli ac prioratum S. Joannis Novelli de Spinellis extra portam viridariam urbis ordinis S. Augustini [...] eidem capellae, cujus fructus nulli sunt, sine praejudicio unionum alias de illis eidem capellae per nos factarum, auctoritate apostolica praedicta perpetuo unimus, annectimus et incorporamus, ac quasdam cum vinea, et hortis prope portam Turrionis ab haeredibus bon(ae) me(moriae) Joannis Antonii Episcopi Sabinensis, ac alias cum horto in Burgo veteri, ac reliquas in monte S. Spiritus consistentes a venerabili fratre nostro Francisco episcopo prenestino per nos emptas, a reliquas domos, et apothecas, quas juxta parietes ecclesiae S. Celsi in Strata Pontis, ac plateae dictae ecclesiae versus Castrum S. Angeli, et Tiberim fabricari fecimus, nec non certas annuas responsiones, quas bonae memoriae Henricus episcopus Tarentinus fabricae dictae basilicae reliquit, videlicet unam sexdecim ducatorum auri largorum, per dilectum filium Fontanam, seu ejus fratres occasione locationis certarum domorum, et adjacentium prope dictam portam Turrionis consistentium, ac aliam decem et octo ducatorum monetae veteris, per haeredes quondam Paschalis de Carravagio, occasione locationis soli sive situs, in quo dictus Paschalis fornacem, et alias domos extra dictam portam Turrionis aedificavit, ac responsionem annuam quadrigentorum ducatorum auri de camera super domo seu palatio Cancelleriae apostolicae, tam per dilectum filium nostrum Sixtum tituli S. Petri ad Vincula presbyterum cardinalem Sancte Romane Ecclesiae vicecancellarium, qui ad praesens palatium seu domum Cancellariae hujusmodi inhabitat, et ejus successores, illud, seu illam pro tempore inhabitantes, annis singulis persolvendam, ac domos in area sive solo olim aedificii publici Metae nuncupati in Burgo S. Petri sumptibus dictae capellae aedificandas, pro sustentatione eorundem cantorum, scholarium, et magistrorum [...]. Collectio bullarum 1750, pp. 348-350; Anonimo sec., Giulio ii e Bramante nella Basilica Vaticana. Disquisizione Storica, ms, bav, Arch. Capit. S. Pietro in Vat., 11, pp. 65-66. xix
Doc. 48 21 febbraio 1513 Morte di papa Giulio ii [...] Come, questo zorno, a hore 11, morite papa Julio con fama de pontefice excellentissimo; et ne la morte sempre hebbe frati apresso, et morì constantissimamente. Disse moriria quel zorno morì papa Martino, e cussi morite. Volse farsi li habiti, ante mortem, tutti novi, dicendo suo barba papa Sisto fo sepulto con habiti vechi da Papa. A ordinato ducato 30 milia, parte a li cantori di San Piero, e parte per far la sua capella et sepultura [...]. Sanudo 1879-1902, xvi, pp. 12-13. Doc. 49 24 febbraio 1513 Funerali di papa Giulio ii [...] La sera, a hore una de notte, fu sepulto in la capella de papa Sixto, suo barba, driedo l’altar [...]. Sanudo 1879-1902, xvi, p. 14. Doc. 50 24 febbraio 1513
Funerali di papa Giulio ii Giulio ii viene sepolto «in capsa et sepulchro subterraneo sub tribuna dicte cappellae [di Sisto iv], inter altare, et parietem tribunae, et murum...» (P. De Grassis, fol. 488 vs.); «... castrum (doloris) per innumeros operarios vicinum portae mediae basilicae in duabus cannis, quoniam ipsa basilica erat quasi media versus altare diruta, ipsius longitudo fuit cannis quinque a columna ad columnam...» (De Grassis, fol. 490). Doc. 51 9 marzo 1513 Ricordo di Michelangelo /1r/ [...] Fassi fede per me Lionardo Buonafé, spedalingho di Santa Maria Nuova, chome ogi, questo dì VIIII di marzo 1512, abiamo ricievuto da Michelangniolo di Lodovicho Buonarotti d. dumilla d’oro in oro avuti per lui da Bonifazio Fazi e chonpagni banchieri, come apare al nostro libro de’ dipositti di fiorini a 151 [...] d. 2000 d’oro in oro /2v/ Fede fa m.r Lionardo Buonafé, spedalingho di Santa Maria Nuova, a Michelagniolo di Lodovicho Simoni. ab, xix, n. I (= Ricordi 1970, p. 3, n. iv; Hatfield 2002, p. 437, F 26). Per un abbozzo di lettera di Michelangelo, datato prima del 6 maggio 1513, in Contratti 2005, pp. 41-42, n. xviii, cfr. doc. 234 [C.L. Frommel].
Doc. 52 [ante 6 maggio] 1513 /1r/ Sia noto a qualunche persona com’io Michelagniolo, schultore fiorentino, tolgo a fare la sepultura di papa Iulio di marmo da el Chardinale d’Aginensis e dal Datario, e’ quali sono restati dopo la morte sua seguitori di tale opera, per sedici migliaia di ducati d’oro di camera e cinquecento pur simili. E la chompositione della decta sepultura à essere in questa forma, ciòè un quadro che si vede da tre facce, e la quarta faccia s’apicha al muro e non si può vedere. La faccia dinanzi, cioè la testa di questo quadro, à essere per larg[h]eza palmi venti e alto quactordici, e l’altre dua faccie, che vanno verso el muro dove s’apicha il decto quadro, ànno a essere palmi trenta cinque lung[h]e e alte pur quactordici, e in ognuna di queste tre faccie va dua tabernacoli, e’ quali posano in sur uno i(n) basamento che ricignie actorno el decto quadro, e chon loro adornamenti di pilastri, d’architrave, fregio e chornicione, chome s’è visto per un modello picholo di legnio. In ognuno de’ decti sei tabernacoli va dua figure magiore circha un palmo del naturale, che sono dodici figure; e inanzi a ognio pilastro, di quegli che mectono in mezo e’ tabernacoli, va una figura di simile grandeza, che sono dodici pilastri, vengono a essere dodici figure. E in sul piano di sopra del sopradecto quadro viene un chassone con quatro piedi, come si vede pel modello, in sul quale à a esere il decto papa Iulio; e da chapo à a esere i[n] mezo di dua figure ch’el tengono sospeso, e da piè i[n] mezo di du’ altre, che vengono a essere cinque figure in sul chassone: tucte a∙ccinque magiore che’l naturale, quasi per dua volte el naturale. Intorno al decto cassone viene sei dadi, in su’ quali viene sei figure di simile grandeza, tucte a sei a∙ssedere. Poi in su questo medesimo piano, dove sono queste sei figure, sopra quella faccia della sepultura che s’apicha al muro, nasce una chapellecta, la quale va alta circha trenta cinque palmi, nella quale va cinque figure maggiore che tucte l’altre per essere più lontane dall’ochio. Anchora ci va tre storie o di marmo o di bronzo, chome piacerà a’ sopradecti seguitori, in ciascuna faccia della decta sepultura fra l’un tabernacholo e l’altro, come nel modello si vede. E la decta sepultura m’obrigo a dar finita tucta a mie spese col sopradecto pagamento, faccendomelo in quel modo che pel contracto aparirà, in secte anni; e manchando, finito i secte anni, qualche parte della decta sepultura che non sia finita, mi debba esser dato da’ sopradecti seguitori tanto tempo quante sia possibile a fare quello che restassi, no possendo fare altra cosa.
/1v/ 1000 d’oro largi per la chassa d. 769 l. 3 10 d’oro per d. 10 2 per el contratto d. 2 _______________ 781 l. 3 Geigy-Hagenbach 1925, n. 2455 (= Contratti 2005, pp. 43-44, n. xix; cfr. Milanesi 1875, pp. 635-637, n. xi) Doc. 53 6 maggio 1513, Roma Contratto per la sepoltura di papa Giulio ii fra Michelangelo e gli esecutori testamentari del papa /1r/ Cum sit quod alias felicis recordationis Iulius papa secundus in eius testamento suos executores fecerit R.um d.um, d.um Leonardum S. R. E. presbiterum, Cardinalem Agienensem vulgariter nuncupatum, et R.um d.um Laurentium Puchium, prothonotarium apostolicum, Camere apostolice clericum et presidentem nec non ipsius domini Iulii pape secundi datarium, et inter cetera eis commiserit ut sue sepulture constructionem procurarent, dicti R.mus d.us Cardinalis et R.dus d. Laurentius, volentes testamentum et piam voluntatem ipsius domini Iulii pape in hac parte totis pro viribus exequi, hinc est quod prefati R.us d.us Cardinalis et d.us Laurentius Puchius, ut executores predicti ac eorum nominibus propriis ex una et honorabilis vir magister Michaelangelus florentinus scultor partibus ex altera, super scultura et fabricatione sepulture ipsius felicis recordationis Iulii pape, insimul et ad invicem convenerunt in modum et formam sequentes. In primis convenerunt et ita promisit prefatus magister Michael Angelus non capere aliud opus ad fabricandum saltim importantie et per quod impediri posset fabrica et labor dicte sepolture, quin imo continue attendere in fabrica et labore dicte sepulture. Quam sepulturam promisit facere, finire et integre perficere infra septem annos proxime futuros ab hodie incohandos et, ut sequitur, finiendos secundum unum designum, modellum seu figuram dicte sepulture vel circa, et iuxta tale designum sive modellum, quantum ipse magister Michael Angelus poterit pro maiori honorificentia et pulchritudine dicte sepulture. Item convenerunt dicte partes, dictis nominibus, quod prefatus Michael Angelus habeat habere pro eius mercede et salario dicte sepulture et pro omnibus expensis in fabricatione dicte sepulture fiendis, quas omnes teneatur et facere debeat dictus Michael Angelus, habere debeat ducatos sexdecim mille quingentos auri de camera solvendos eidem modis et formis, temporibus et terminis infrascriptis; et quod super valore, extimatione et perfectione figurarum dicte sepulture iudicio et conscientie dicti Michaelis Angeli, pro quanto honorem et famam suam extimat, stetur et stari debeat. Item prefatus Michael Angelus fuit confessus habuisse et recepisse de dictis ducatis sexdecim millibus quingentis ducatos tres mille quingentos auri similes a prefato felicis recordationis Iulio Secundo: mille quingentos per manus eiusdem d.ni Iulii secundi et duo mille per manus Bernardi /1v/ Bini civis et mercatoris florentini, Curiam romanam sequentis; de quibus se bene contentum vocavit et pagatum et propterea eundem et eius successores quietavit etc.. Item convenerunt insimul super solutione tredecim millium ducatorum restantium de dictis ducatis sexdecim millibus quingentis, quod prefatus Michael Angelus debeat habere singulo mense ducatos ducentos auri similes, hinc ad duos annos proxime futuros et deinde in aliis quinque annis restantibus ducatos centum triginta sex similes, singulis mensibus, usque ad complementum integre solutionis dicte summe sexdecim millium quingentorum ducatorum auri similium. Item convenerunt quod in casum et eventum in quem prefatus Michael Angelus dictam sepulturam finiret ante dictos septem annos et quandocumque ante dictum tempus secundum designum et modellum, ut supra, quod tunc eidem Michaeli Angelo fieri debeat integra solutio usque ad complementum dicte summe sexdecim millium quingentorum ducatorum.
Item convenerunt quod casu quo dicta sepultura propter aliquem casum fortuitum aut propter difficultatem operis, gravis infirmitatis ipsius Michaelis Angeli aut aliquem alium casum infra dictos septem annos finiri non posset, quod nichilominus ipse Michael Angelus in ea continuare debeat et cum omnibus modis et viis possibilibus perficere et finire. Et de tempore in quo eam, dicto casu veniente, finire debeat, stare voluit idem Michael Angelus declarationi prefati domini Bernardi Bini et domini Bartholomei de Auria infrascripti. Item promisit prefatus R. d.us Laurentius solvere dicto Michaeli Angelo singulis primis mensibus, ut supra, usque ad summam ducatorum septem millium ducatorum auri similium, qui sunt restantes de summa decem millium quingentorum, quos prefatus felicis recordationis Iulius secundus pro constructione dicte sue sepulture dimiserat. Ipse vero R.mus d.us Cardinalis promisit eidem Michaeli Angelo de suis propriis pecuniis solvere et exbursare ducatos sex mille auri similes singulis mensibus proportionaliter, ut prefertur, post solutionem dictorum septem millium ducatorum singulis mensibus per prefatum d.um Laurentium eidem Michaeli Angelo fiendam. Et ad preces, instantiam et requisitionem dicti R.mi d.ni Cardinalis prefatus d.us Bartholomeus de Auria civis et mercator januensis romanam Curiam sequens, nec non d.us Bernardus Bini, civis florentinus prefatus pro et ad instantiam dicti R. d. Laurentii Puchii, et quilibet ipsorum /2r/ respective, ipse Bartholomeus pro R.mo d.no Cardinali et ipse Bernardus pro ipso R. d. Laurentio, promiserunt et quilibet ipsorum promisit dicto Michaeli Angelo dictam summam solvere et exbursare, ut premissum est, et per prefatum R.um d.um Cardinalem et R. d. Laurentium, ut premissum est; quos Bartholomeum et Laurentium dictum R.mus d. Cardinalis et R. d. Laurentius respective promiserunt indemnes conservare. Franciscus Vigorosi Curie causarum Camere Apostolice notarius subscripsit ab, ii-iii, n. 9 (= Contratti 2005, pp. 45-48, n. xx; cfr. Milanesi 1875, pp. 635-636, n. xi).
Doc. 54 6 maggio 1513, Roma Contratto per la sepoltura di papa Giulio ii fra Michelangelo e gli esecutori testamentari del papa Cum sit quod alias felicis recordationis Julius papa Secundus in eius testamento suos executores fecerit Reverendissimum dominum dominum Leonardum sacro sancte Romane ecclesie presbyterum Cardinalem agienensem vularghiariter nuncupatum et Reverendum dominum Laurentium puchium prothonotarium apostolicum camere apostolice clericum et presidentem necnon ipsius domini Julij pape secundj datarium et inter cetera eis commiserit ut sue sepulture constructionem procurarent; dicti reverendissimus dominus Cardinalis et Reverendus Laurentius volentes testamentum et piam voluntatem ipsius domini Julij pape in hac parte totis pro viribus exequi; hinc est quod prefati Reverendissimus dominus Cardinalis et dominus Laurentius puchius ut executores predicti ac eorum nominibus propriis ex una et honorabilis vir magister michelangelus Horentinus sculptor partibus ex altera super sculptura et fabricatione sepulture ipsius felicis recordationis Julij pape insimul et ad invicem convenerunt in modum et formam sequentes: In primis convenerunt, et ita promisit prefatus magister Michelangelus non capere aliud opus in fabricandum saltem importantie et per quod impediri posset fabrica et labor dicte sepulture; quin ymo continue attendere in fabrica et labore dicte sepulture; quam sepulturam promisit facere finire et integre perficere infra septem annos proxime futuros ab hodie incohandos et ut sequitur finiendos secundum unum designum modellum seu figuram dicte sepulture vel circa et iuxta tale designum seu modellum quantum ipse magister Michelangelus poterit pro maiori honorificentia vel pulchritudine dicte sepulture. Item conveniunt dicte partes dictis nominibus quod prefatus Michelangelus habeat habere pro eius mercede et salario dicte sepulture et pro omnibus expensis in fabricatione dicte sepultu-
re fiendis, quas omnes teneatur et facere debeat dictus Michelangelus, habere debeat ducatos sexdecim mille quingentos auri de camera solvendos eidem modis et formis temporibus et terminis infrascriptis. Et quod super valore extimatione et perfectione figurarum dicte sepulture iudicio et conscientie dicti Michaelis angeli pro quanto honorem et famam suam existimat stetur et stari debeat. Item prefatus michael angelus fuit confessus habuisse et recepisse de dictis ducatis sexdecim millibus quingentis, ducatos tres mille quingentos auri similes a prefato felicis recordationis Julio secundo mille quingentos per manus eiusdem domini Julij secundi et duo mille per manus bernardi bini civis et mercatoris florentini Romanam curiam sequentis. De quibus se bene contentum vocavit et pagatum et propterea eundem et eius successores et alios ad id obligatos quietavit. Item convenerunt insimul super solutione tredecim millium ducatorum restantium de dictis ducatis sexdecim millibus quingentis, quod prefatus Michaelangellus debeat habere singulo mense ducatos ducentos auri similes, hinc ad duos annos proxime futuros; et deinde in alijs quinque annis restantibus, ducatos centum triginta. sex similes, singulis mensibus, usque ad complementum integre solutionis dicte summe sexdecim millium quingentorum ducatorum auri similium. Item convenerunt quod in casum et eventum in quem prefatus michael angelus dictam sepulturam finiret ante dictos septem annos et quandocumque ante dictum tempus secundum designum et modellum ut supra, quod tunc eidem michaeli angello fieri debeat integra solutio usque ad complementum dicte summe sexdecim millium quingentorum ducatorum. Item convenerunt quod casu quo dicta sepultura propter aliquem casum fortuitum aut propter difficultatem operis gravis infirmitatis ipsius michaelis angeli aut aliquem alium casum infra dictos septem annos finiri non posset quod nihilominus ipse michael angellus in ea continuare debeat et cum omnibus modis et viis possibilibus perficere et finire. Et de tempore in quo eam dicto casu veniente finire debeat, stare voluit idem michae1 angelus declarationi prefati domini bernardi bini et domini Bartholomei de Auria infrascripti. Item promisit prefatus Reverendus dominus Laurentius solvere dicto michaeli angelo singulis primis mensibus ut supra usque ad summam ducatorum septem millium ducatorum auri similium qui sunt restantes de summa decem millium quingentorum quos prefatus felicis recordationis Julius secundus pro constructione dicte sue sepulture dimiserat. Ipse vero Reverendissimus dominus Cardinalis promisit eidem Michaeli angello de suis propriis pecuniis solvere et exbursare ducatos sex mille auri similis proportionaliter ut prefertur, singulis mensibus post solutionem dictorum septem millium ducatorum, singulis mensibus per prefatum dominum Laurentium eidem michaeli angelo fiendam. Et ad preces instantiam et requisitionem dicti Reverendissimi domini Cardinalis, prefatus dominus Bartholomeus de Auria civis et mercator ianuensis Curiam sequens necnon dominus Bernardus Bini civis florentinus prefatus pro et ad instantiam dicti Reverendi Laurentij puchij et quilibet ipsorum respective, ipse Bartholomeus pro Reverendissimo domino Cardinali et ipse Bernardus pro ipso Reverendo Laurentio promiserunt et quilibet ipsorum promisit dicto michaeli angelo dictam summam solvere et exbursare ut premissum est et per prefatum Reverendissimum dominum Cardinalem et reverendum dominum Laurentium ut premissum est. Quos Bartholomeum et Bernardum dictus Reverendissimus dominus Cardinalis et Reverendus dominus Laurentius respective promiserunt indennes conservare. Ita et taliter quod propter promissionem hanc nullum unquam damnum patientur neque substinebunt. Que omnia et singula et respective promiserunt attendere et observare et contra ea non facere et pro quibus obligarunt se respective et quilibet ipsorum in solidum et respective sub penis et in forum Camere apostolice in iuramento et aliis clausulis consuetis. Acta Rome in palatio apostolico in Camera ipsius Reverendissimi Cardinalis presentibus dominis
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Michelangelo. Il marmo e la mente
Galeatio boscheto prothonotario apostolico et domino Petro de Serris de Cortona presbitero ipsius Reverendissimi domini Cardinalis testibus. Franciscus Vigorosi Curie Causarum Camere Apostolice Notarius. New York, coll. John F. Fleming (cfr. Prete 1963, pp. 19-22; Contratti 2005, p. 47; Londra, asta Christie’s 3 dicembre 1997). Doc. 55 6 maggio 1513, Roma Volgarizzamento del precedente contratto per la sepoltura di papa Giulio ii (cfr. doc. 54) […] Con ciò sia che alias la felicie memoria di papa Iulio Secondo in suo testamento habbia fatto sui executori lo R.mo sig.re Leonardo Car.le de Agenna et lo R.do m.s Laurentio Puccio, prothonotario apostolico et cherico di Camera, suo datario, et cum altre cose loro havessi commesso prochurassino fare la sua sepoltura, volendo li prefati R.mo Cardinale et il R.do m. Lorenzo datario esso testamento et pia voluntà de esso sig. re Iulio, papa secondo, in questa parte per tutta la loro possanza exeguire, hinc est che a questo presente dì soprascripto prefati R.mo Cardinale et il R.do Lorenzo, come executori sopradicti et alli loro nomi proprii da una parte e honorabile homo mastro Michelagniolo fiorentino, sculptore, dalla altra parte, sopra la scultura et la fabricatione della sepultura della decta santa memoria di papa Iulio insieme sono convenuti in modo et forma infrascripta. In prima sonno convenuti, et così promette il prefato maestro Michelangniolo non pigliare altro lavoro a fabricare certe et inportante, per il quale si potessi inpedire la fabrica et il lavoro d’essa sepultura, ma di continuo attendere in la fabrica et lavoro d’essa. La quale sepoltura promette di f[are] et finirla integramente infra sette anni prossimi futuri, da ogi incominciando et come seguita finirsi, secondo el disegno et modello hovero figura de essa sepultura, vel incircha, et secondo il tale desegno et modello, quanto esso poterà per magiore honorificentia et belleza di deta sepultura. Item sonno conventi dette parte a detti nomi, che il prefato Michelagniolo habbia havere per la sua merzede et salario di decta sepultura et per tutte le expese che sonno da fare in detta fabricatione, alle quale sia tenuto esso Michelagniolo, d. sedicimilia cinquecento d’oro di camera per pagarli a tempi, modi et termini infrascripti; et che sopra il valore, extimatione et perfectione delle figure di detta sepultura se ne habbia a stare a giuditio et conscientia de esso Michelagniolo, per quanto esso extima suo honore et sua fama. Item il prefato Michelagniolo si confessa havere hauto et receputo di detta somma di d.i. sedicimila cinquecento d’oro simili, d.i tre milia cinquecento dalla prefata felicie memoria Iulio secondo: cioè mille cinquecento simili per le mani de Essa Felicie Memoria et dumilia per le mani de Bernardo Bini merchante fiorentino; delli quali tremila cinquecento si domanda bene contento et pagato, et preterea esso et li sua successori et tutti altri ha quello obligati quita, libera et absolve, etc. /1v/. Item sonno convenuti insieme sopra il pagamento de’ d.i tredicimilia, restanti de’ d.i sedicimilia cinquecento d’oro simili, habbia ad havere d.i dugento d’oro simili per infine a dua anni prossimi futuri et de poi, li altri cinque anni restanti, ducati cento trentasei simili per ciascheduno mese, fino allo integro pagamento de detta somma di d. sedicimila cinquecento simili. Item sonno convenuti che in caso che esso Michelagniolo finissi detta sepultura innanzi detti sette anni et quandocunque innanzi l’avessi finita secondo il desegnio et modello sopradetto, che allora a esso Michelagniolo si faccia lo integro pagamento della soprascripta somma. Item sonno convenuti che in chaso che detta sepultura per alcuno caso fortuito, hovero per dificultà dell’opera ho grave infirmità d’esso Michelagniolo ho altro caso, non si potessi finire infra detti setti anni, niente di meno esso Michelagniolo habbia ad continuare et detta sepultura per tutti li modi et vie possibile finirla, et che del tempo, in caso sopradetto, in nello quale l’abbia ad finire, ne vole stare alla declaratione di Bartholomeo
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Documenti
Doria infrascripti. Item promette il prefato m.s Lorenzo Puccio pagare a detto Michelagniolo in ciascheduno de’ dicti primi mesi, come di sopra, per infino alla somma di d. sette milia d’oro simili, quali sonno restanti di detta somma di d. diecimilia cinque cento, quali la prefata felicie memoria di papa Iulio secondo havea lassati per detta sua sepultura. E esso R.mo Cardinale promette a m.o Michelagniolo de’ sua propii danari pagare et sborsare d. semilia d’oro simili proporzionabiliter ogni ciascheduno mese, da poi che sarà fatto il pagamento di d. settemilia per il prefato m.s Lorenzo Puccio datario, come di sopra è detto. E ad instantia et requisitione di detto R.mo Cardinale, m. Bartholomeo Doria mercante genovese, et per il R.do m. Lorenzo Puccio sopradetto, Bernardo Bini promettano in respectivamente, cioè esso Bartholomeo per il prefato R.mo Cardinale et Bernardo per il R.o. m. Lorenzo datario, pagare et sborsar a detto Michelagniolo la sopradetta somma di d. tredicimila, come di sopra si contiene. Quali Bartholomeo et Bernardo, li prefati R.mo Cardinale et il R.do m. Lorenzo Puccio inch inde et respective promettano di relevare in danno, ita et taliter che per la presente promessa non patiranno danno alcuno. Quale tutte cose le sopradecte parte promettano inch inde respective attendere et observare etc. e non contrafare né contra[vve]nire etc., obligandosi ciascheduno di lo[ro] in solido sotto le pene della Camera /2r/ apostolica, con il giuramento et altre clausole consuete e solite. Dato in Roma in nel palatio apostolico e in la Camera del prefato R.mo Cardinale, presente m.s Ghaleazo Boschetto, prothonotario apostolico, et m.s Pietro d[e] Seris da Cortona, prete del prefato R.mo Cardinale, testimoni etc. Francesco Vigorosi notario dello Auditore della Camera. Franciscus Vigorosi Curie causarum Camere apostolice notarius subscripsit. ab, ii-iii, n. 10 (= Contratti 2005, pp. 49-51, n. xxi; Milanesi 1875, pp. 638-639, n. xii).
Doc. 56 6 maggio 1513-14 giugno 1514 Ricordi di mano ignota 1513 Nota de’ danari che à ’uti Michelagniolo schultore per chonto della sepultura a papa Iulio: addì VI di maggio d. 200 d’oro di chamera d. 200 addì XIIII di giugnio d 200 d’oro di chamera d. 200 addì XXIII [sic] di luglio d. 200 d’oro di chamera d. 200 addì XXVII d’aghosto d. 200 d’oro di chamera d. 200 addì XV d’ottobre d. 200 d’oro di chamera d. 200 addì XII di dicienbre d. 200 d’oro di chamera d. 200 addì XX di febbraro d. 200 d’oro di chamera d. 200 1514 – addì XIIII di giugno d. 600 d’oro di chamera d. 600 2000 ab,
I, n. 2 (= Ricordi 1970, pp. 3-4, n. v; Hatfield 2002, R 162, R 165, R 167, R 171, R 172, R 178, R 182, R 184).
Doc. 57 9 luglio 1513 − 27 agosto 1514 Convenzione tra Michelangelo e Antonio da Pontassieve, e ricordi degli pagamenti ad Antonio del Pontassieve dal 9 luglio 1513 al 27 agosto 1514 /1v/ Sia noto a ciascuna persona chome maestro Antonio dal Ponte a·sSieve e io Michelagniolo scultore ci siàno chonvenuti insieme d’una cierta parte della sepultura che io fo di papa Iulio, la quale parte il decto maestro Antonio s’obriga darmi facta o finita di quadro e d’intaglio, per ducati quatro ciento cinquanta di carlini, a charlini dieci per ducato di moneta vechia, cioè ducati 450 decti di sopra, dandogli io tucti e’ marmi che bisogniano a decta opera, la quale opera è la faccia che vie-
ne dinanzi, cioè una facciata larga palmi trenta, circha diciassecte alta sechondo che sta il disegnio. Il decto maestro Antonio s’obriga a squadrare e intagliare la decta opera pel decto prezo nominato, bene quanto si può a giudicio d’ogni maestro. E per fede del vero io Michelagniolo ò facta la sopra decta scricta, presente maestro Piero Rosello e Silvio che sta mecho; e ’l sopra decto maestro Antonio si socto scriverrà per fede di sua mano e ’l sopra decto maestro Piero e Silvio ogi, questo dì nove di luglio mille cinquecento tredici – 1513. Io Antonio da Pontasive aceto tanto quanto inn questa si contine e al fede del vero mi sono sotocritto di mia propia mano questo dì sopra deto 1513. Io Piero Roselli sono istato prese[n]te a la sopra deta isc[r]ita e per fede de vero mi sono soto iscrito di mia propria mano questo dì sopra deto 1513. Io Silvio Falconi sono stato presente al sopradeta scrita, per fede del vero mi sono socto scrito de mia propria mano questo dì sopra decto. Io Antonio dal Ponte Sive ò riceuto insino a questo dì 9 di luglio 1513 ducati quaranta di carlini in dua partite per parte de la sopradita opra, c[i]oè ducati [...] d.40 A dì 30 di luglio ò riceuto da Mic[h]elagniolo ducati venti per sopradito lavoro [...] d. 20 A dì 27 d’agosto ò riceuto dal sopradito Mic[h] ele Angniolo ducati trenta di carlini [...] d. 30 A dì 17 di sete[m]bre ò riceuto dal sopra dito Mic[h]elagnio [sic] ducati tredici di carlini [...] d. 13 A dì 23 del deto mese ò riceuto dal sopra dito Mic[h]ele Agniolo ducati dic[i]asete di carlini [...] d. 17 A dì 8 d’otobre ò riceuto da Mic[h]elagniolo ducati qu[in]dici di carlini per conto sopradito [...] d. 15 A dì 15 d’otobre ò riceputo da sopradito Mic[h]elagniolo ducati qu[i]ndici di carlini per dito conto [...] d. 15 /2r/ A dì 26 d’otobre ò riceputo da Mic[h]ele Agniolo ducati qu[in]dici di carlini per sopra dito conto [...] d. 15 A dì 4 di nove[m]bre ò riceuto da Mic[h]ele Agniolo ducati qu[in]dici di carlini per sopra dito conto [...] d. 15 A dì 13 di nove[m]bre ebi da sopradito Mic[h]elagnio ducati dodici di carlini [...] d. 12 A dì 20 di nove[m]bre ebi dal sopradito Mic[h]elagniolo ducati dodici di carlini [...] d. 12 A dì 27 di nove[m]bre ebi da sopradito Mic[h]elagniolo ducati dieci di carlini, dico ducati dieci [...] d. 10 A dì 4 dice[m]bre ebi da sopradito Mic[h]elagniolo ducati dieci di carlini [...] d. 10 A dì 18 dice[m]bre ebi da sopradito Mic[h]elagniolo ducati sedici di carlini [...] d. 16 A dì 27 dice[m]bre ebi da sopradito ducati dieci di carlini [...] d. 10 A dì 7 di genaio ebi dal sopradito Mic[h]elagniolo ducati oto di carlini [...] d. 8 /2v/ A dì 15 di genaio ebi da Mic[h]elagniolo ducati sei di carlini [...] d. 6 A dì 22 di genaio ò riceuto ducati ci[n]que di carlini dal sopradito [...] d. 5 A dì 29 di genaio ebi da sopradito ducati ci[n]que di carlini [...] d. 5 A dì 11 di febr[ar]o ebi dal sopradito Mic[h]elagniolo ducati oto di carlini [...] d. 8 A dì 19 di febraro ebi da sopradito ducati quatro di carlini [...] d. 4 A dì 26 di febraro ebi dal sopradito ducati quatro di carlini [...] d. 4 A dì 12 di marzo ebi dal sopradito ducati oto di carlini [...] d. 8 A dì 19 di marzo ebi da sopradito ducati sei di carlini [...] d. 6 A dì 29 di marzo ebi da sopradito ducati sei di carlini [...] d. 6 A dì 2 di aprile ebi da sopradito ducati sete di carlini [...] d. 7 A dì 9 di aprile ebi da sopradito ducati dieci di ca[r]lini [...] d. 10 A dì 15 di aprile ebi da sopra dito ducati sete di carlini [...] d. 7 A dì 25 di aprile ebi da sopradito per mano di Cipio du[c]ati ci[n]que di carlini [...] d. 5
/3r/ 1514 A dì 1 di mag[i]o ebi da Mic[h]ele Agniolo ducati ci[n]que di carlini [...] d. 5 A dì 7 di mag[i]o ebi da sopradito ducati ci[n]que di carlini per mano Cipio [...] d. 5 Io Antonio dal Ponte a Sive ò auto per mano di Cipio ducati ci[n]que di carlini a dì 14 di mag[i]o, simile come di sop[r]a apare [...] d. 5 A dì 21 di mag[i]o ebi da sopradito per mano Silvio per conto di Mic[h]elagniolo ducati ci[n]que di carlini [...] d. 5 A dì 1 di luglio ebi da sopra dito ducati sei per mano Silvio, c[i]oè di carlini [...] d. 6 A dì 12 di luglio ebi da Mic[h]elagniolo ducati sei di carlini [...] d. 6 A dì 18 di luglio ebi dal sopra dito ducati sei di carlini [...] d. 6 A dì 30 di luglio ebi da Mic[h]elagniolo ducati nove di carlini [...] d. 9 A dì 7 d’agosto ebi per mano di Silvio ducati sei di carlini [...] d. 6 A dì 13 d’agosto ebi per mano di Silvio ducati sei di carlini [...] d. 6 A dì 27 d’agosto ebi per mano di Silvio ducati sei di carlini [...] d. 6 ab, ii-iii,
n. 11 (= Ricordi 1970, pp. 5-7, n. vi).
Doc. 58 30 luglio 1513, sabato Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, Michele scharpellino è venuto qua a star mecho e àmmi richiesto di cierti danari per le sue giente costà, e’ quali io te gli mando. Però subito va’ a Bonifatio, e·llui ti darà ducati quatro larg[h]i, e dàgli a·mMeo di Chimenti scarpellino, che lavora nell’Opera, e dàgli la lectera che fia con questa, che va a·llui, e facti fare una fede di sua mano, chome e’ gli à ricievuti da me per Michele, e mandamela. [...] Io t’aviso com’io non credo poter venire questo setembre costà, perché sono sollecitato i’ modo che io non posso aver tempo da mangiare. Idio voglia che io possa reggiere. Però io’ voglio, com’io posso, fare la prochura a·lLodovicho, com’io scrissi, che io non l’ò mai dimentichato, e vogliovi mectere i’ mano mile duchati d’oro larg[h]i, com’io v’ò promesso, a ciò che, cogli altri che voi avete, voi cominciate a fare da voi. Io non voglio niente di vostri guadagni, ma io voglio esser sicuro che in chapo di dieci anni voi, vivendo io, mi consegniate in robe o in danari questi mille ducati, quand’io gli rivolessi; che non credo che questo abia a venire, ma quando mi venissi el bisognio, io gli possa riavere, come è decto. [...] ab, iv, n. 26 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 142143, n. cviii).
Doc. 59 11 agosto 1513 Il fratello di Michelangelo, Buonarroto, paga Meo di Chimenti a Firenze Ò ricevuto questo xj d’aghosto [1513] da Bonifazio Fazi e Comp.i f 4 d’oro in oro larghi per ordine di Michelagniolo, che gli à paghatti a Giovannj Balducj di Roma perché io li paghj qui a Meo di Chimenti scharpelino per conto di Michele di Pipo scharpelino sta a Roma chon Michelagniolo, che ne lo serve. Òli paghatti a detto Meo questo dì 12 d’aghosto. ab,
27 a (Quadernuccio del fratello di Michelangelo, Buonarroto, 1508-14), f. 82r (Hatfield 2002, p. 417, R 168). Doc. 60 20 agosto 1513 Bonifico di cento ducati a Baldassare di Chagione il 9 agosto 1513 Giovanni di Balduccj e C. di Roma deono dare... E adì 9 d’aghosto [1513] ducatj ciento d’oro jn oro larghj, paghatj per suo ordine a Baldassare di Chagione da Charrara a ’stanza di Michelagnolo Buonarrotj per marmj l’à [a] cchondurre a Roma detto Baldassare [...] ducati 100
asf, elb, n. 72, f. 6v (Hatfield 2002, p. 417, R 169; cfr. p. 388, R 169).
Doc. 61 [Dopo il 20 agosto, forse settembre, 1513] Michelangelo in Roma a Baldassarre di Cagione in Carrara Baldassarre, io mi maraviglio molto di voi, perché, avendomi scricto già tanto tempo fa avere a ordine tanti marmi e avendo avuto tanti mesi di tempo mirabile e buono per navichare, avendo avuto da·mme cento ducati d’oro, non vi manchando di cosa nessuna, non so da che si venga che voi non mi servite. Io vi prego che voi subito charichiate quegli marmi che voi mi dite avere a ordine, e vegniate, quante più presto, meglio. Io v’aspecterò tucto questo mese; dipoi procedereno per quelle vie che noi sareno consigliati da chi à più cura di queste cose di me. [...] ab, v,
n. 3 (= Carteggio 1965-83, i, p. 144, n. cix).
Doc. 62 5 novembre [1513], sabato Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze [...] Anchora arei charo che voi intendessi se chostà fussi qualche fanciullo, figliolo di buone persone e povero, che fussi uso agli stenti, che fussi per venire a star qua mecho per fare tucte le cose di casa, cioè comperare e andare actorno dove bisognia; el tempo gli avanzasi, potrebbe imparare. Quando trovassi, avisatemi, perché qua non si trova se non tristi, e ònne gran bisognio. Non altro. Io sto bene, gratia di Dio, e·llavoro. [...] bm, i,
Add. Ms. 23140, c. 9 (= Carteggio 1965-83, p. 145, n. cx).
1514 Doc. 63 25 gennaio 1514 Ritrasferimento di mille ‘fiorini larghi’ da Firenze a Roma E addì xv [xxv] di gennaro [1514] ducati mille d’oro larghi per tanti ne rischosse Bonifazzio Fazzj di Firenze dalo spedalingho di Santa Maria Nuova in più somma. Posto «dare» detto Bonifazzio, c. 128 [...] f M xxv·xii·vjo asf, elb, n. 83, f. 36 destra (Hatfield 2002, p. 397, R 181; cfr. anche p. 436, F 27, 28)
Doc. 64 [Gennaio 1514] Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze Charissimo padre, i’ ò inteso per l’ultima vostra come le cose vanno bene di costà e chome la prochura che io vi mandai stecte bene. Tucto mi piace. Ora io arei charo che voi intendessi dallo spedalingo di Santa Maria Nuova se e’ volessi vendere qualche possessione buona, di prezo di dumila ducati larg[h]i, perché io ò questi danari qua in sul bancho di Balduccio e non mi fanno fructo nessuno. Sono stato in fantasia di spendergli qua per farmi una entrata che m’aiuti a far questa opera; dipoi ò disposto, chom’io ò finiti questi marmi che io ò qua, venire a fare il resto chostà. Però mi pare da chomperare chostà. [...] bm,
Add. Ms. 23140, c. 17 (= Carteggio 1965-83, p. 148, n. cxii). Doc. 65 7 agosto 1514 Prelievo di sessantacinque fiorini «per andare a Firenze» A Michelagniolo Bonarotj ducati sessantacinque d’oro di Camera. Portò chontantj per andare a Firenze. d 40 jn oro e 25 jn moneta [...] f 65 A Uscita a c. 187. i,
in oro larghi per tanti gnene facemo lettera per Firenze per pagharsi a Lodovicho Buonaroti e Buonarota su[o] figluolo da Bonifazzio Fazzi. Posto «avere» detti Fazzi, c. 250 [...] fiorini ijm ljo · v · vjo asf, elb,
n. 83, f. 57 sinistra (Hatfield 2002, p. 396, R 186). Doc. 67 19 agosto 1514, sabato Silvio Falcone in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Domenicha passata, che fumo a’ tredici d’agosto, ebe maestro Antonio sei ducati de carlini e non dise altro se non che, quando voi volete rizare quella figura, che voi gl[i]ene facciate intendere e che menarà de’ garzoni e rizaralla in un tratto. Ancora disse che aspettava Ber[n]ardino presto e che farebe fare quella cimasa che ci manca. Lui di questa sittimana à lavorato poco, ma mastro Bernardo e Rinieri e quello lombardo àno lavorato continovamente. Cecho non lavora perché non ci è da fare altro di quadro. Maestro Antonio non me à chiesto ogi denari. [...] ab, viii, n. 231 (= Carteggio 1965-83, i, p. 149, n. cxiii).
Doc. 68 [21 ottobre 1514, sabato] Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze Charissimo padre, io vi risposi, de’ chasi di Bernardino, com’io volevo prima achonciar la cosa della chasa che voi sapete; e chosì vi rispondo adesso. Io mandai prima per lui, perché mi fu promesso infra pochi dì che la sa s’achoncierebe, e che io cominciassi a·llavorare. Dipoi ò visto che la sarà chosa lunga, e cercho in questo mezo se io ne truovo un’altra al proposito per uscirmene, e non voglio far lavorare niente, se prima non sono achoncio. Però raguagliatelo chome sta la chosa. Del fanciullo che venne, quel rulbaldo del mulactiere mi g[i]untò d’un duchato: [...]. Manchavami faccienda oltra quella che i’ ò avuta poi che io tornai! che ò avuto el mio garzone [i. e. Silvio Falconi], che io lasciai qua, amalato dal dì che io tornai per insino adesso. Vero è che adesso sta meglio, ma è stato in transito, sfidato da’ medici, circha un mese, che mai sono intrato in lecto; sanza molte altre noie. [...] bm, Add. Ms. 23140, c. 10 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 151-152, n. cxv; cfr. anche p. 387).
Doc. 69 [28 ottobre 1514, sabato] Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze Charissimo padre, io vi mando cento duchati d’oro larg[h]i, chon questo, che gli diate a Bu[o]narroto e agli altri e facciatemene far creditore alla boctega; e se gli actenderanno a far bene, io gl’aiuterò di mano in mano quanto potrò. [...] Delle mie cose di qua farò el meglio che io potrò; Idio m’aiuterà. Schrissivi del fanciullo, che ’l padre si rimandassi per esso e che io non gli dare’ più danari, e chosì vi rafermo; el vecturale è pagato ancora per rimenarlo in chostà. [...] Io non ò danari. Questi che io vi mando, me gli cavo del cuore; e anche no’ mi par lecito domandarne, perché io non fo lavorare e io solo lavoro pocho. Come ò achoncio questa mia facenda della casa, spero cominciare a·llavorare forte. [...] bm, Add. Ms. 23140, c. 11 (= Carteggio 1965-83, i, p. 153, n. cxvi). 1515 Doc. 70 5 gennaio 1515 Ricordi di Michelangelo E a dì cinque di giennaio ò ricievuto da Bernardo Bini ducati cinque ciento d’oro di camera. El decto dì, cinque di giennaio, ebi ancora dal decto Bernardo ducati ciento d’oro di camera.
asf, elb, n. 24, f. 87r (Hatfield 2002, p. 419, R 185; cfr. anche p. 396, R 185)
ab, i,
n. 2 (= Ricordi 1970, p. 4, n. v, cfr. anche p. 397; Hatfield 2002, p. 401, R 194).
Doc. 66 8 agosto 1514 Ritrasferimento di duecento ducati a Firenze E addì detto [8 agosto 1514] ducati dumila d’oro
Doc. 71 5 gennaio [1515], venerdì Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze [...] De’ casi della casa m’è dato buone parole.
Non è cosa che importi, perché io so che e’ non me ne va altro che la pigione del tempo che io ci starò. Non bisognia averne passione altrimenti. Buonarroto mi scrive del tor donna; io vi scrivo la mia fantasia come è, e questa è che io fo disegnio infra cinque mesi o sei liberarvi tucti e donarvi ciò che voi avete di mio insino a questo dì, e poi che voi facciate tucti quello che vi pare; e di quello che io potrò, sempre v’aiuterò a ogni modo tucti quanti. [...] Pur scrivemi Buonarroto che Bernardino di Pier Basso à desiderio di venir qua a star meco. Se vol venire, venga adesso, inanzi che io tolga altri, perché voglio cominciare a far qualcosa. El salario, gli darò quello mi scrivesti, cioè tre ducati el mese e le spese. Vero è che io vivo semplicemente in casa e così voglio stare. [...] bm, i,
Add. Ms. 23140, c. 34 (= Carteggio 1965-83, p. 154, n. cxvii).
Doc. 72 [gennaio?, 1515] Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze [...] De’ facti della chasa credo achonciarla in buona forma, che la sarà mia e arò buona sicurtà. [...] bm, i,
Add. Ms. 23140, c. 26 (= Carteggio 1965-83, p. 156, n. cxviii)
Doc. 73 [Gennaio-febbraio, 1515] Michelangelo in Roma al padre Lodovico in Firenze [...] Io stimo aver finito qua infra dua mesi, poi verrò e tornerò costà. [...] bm, Add. Ms. 23140, c. 22 (= Carteggio 1965-83, i, p. 158, n. cxx; cfr. anche pp. 389-390).
Doc. 74 24 marzo 1515 Ricordo di Michelangelo Io Michelagniolo ò ricievuto oggi, questo dì venti quatro di marzo, da Bernardo Bini una lectera di ducati mille secento d’oro larg[h]i, e’ quali m’ànno a pagare e’ Lanfredini in Firenze; e quando gli arò ricievuti, anderanno al sopra decto conto. ab, i,
n. 2 (= Ricordi 1970, p. 4, n. v; cfr. p. 397).
Doc. 75 24 marzo 1515, sabato Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, mandoti in questa una lectera di chambio di Bernardo Bini e chompagni, di ducati mille secento d’oro in oro larg[h]i, li quali mi debe pagare a·mme o a·cte Lanfredino Lanfredini, la metà a mezo aprile prossimo, el resto per tucto il decto mese. All’avuta d’essa la presenterai al decto Lanfredino, e vedi d’averne promessa e, al tempo, li danari; e fanne quitanza se io non sono al tempo chostì, che credo partire di qua infra dieci dì. E pigliandogli, tiengli apresso di te insino alla mia venuta. [...] Raccolta Richards, Firenze (= Carteggio 196583, i, p. 160, n. cxxii; Hatfield 2002, p. 441, F 35, 24 marzo 1515; p. 452, F 35, 19 aprile 1515). Doc. 76 31 marzo 1515, sabato Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, in questa sarà una lectera di chambio di ducati nove cento d’oro larg[h]i, e’ quali m’ànno a pagare i Benintendi, cioè Lorenzo Benintendi. [...] credo partirmi domactina. [...] ab, iv,
n. 28 (= Carteggio 1965-83, i, p. 161, n. Hatfield 2002, p. 400, R 197, 17 aprile 1515; p. 452, F 33, 18 aprile 1515). cxxiii;
Doc. 77 14 aprile 1515 Giovanni Gellesi a Roma a Michelangelo in Firenze Michele Agnolo carissimo, da la vostra partita m’è parso quasi rimanere orphano in questa grande Babilonia [..]. [...]
ab, viii,
n. 347 (= Carteggio 1965-83, i, p. 162, n. cxxiv).
Doc. 78 28 aprile [1515], sabato Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, io son g[i]unto adesso in Roma a·ssalvamento, gratia di Dio. [...] bm, i,
Add. Ms. 23141, c. 45 (= Carteggio 1965-83, p. 163, n. cxxv).
Doc. 79 12 maggio 1515 Ricordo di Buonarroto Questo dì 12 di magio 1515 si mandò per ordine delo spedalingo di Sancta Maria Nuova a Michelagniolo nostro a Roma f 393 d’oro per ja di Lorenzo Benintendi a’ Ghadj di Roma [...] f 393. ab, n. 27 a, (Quadernuccio di Buonarroto, 150814), f. 37v (Hatfield 2002, pp. 51, 450-451, F 37; cfr. Carteggio 1965-83, i, p. 391).
Doc. 80 2 giugno 1515, sabato: Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, i’ ò ricievuti e’ danari da’ Gadi, cioè trecento novanta tre ducati larg[h]i. Tu mi scrivi che vorresti che io t’aiutassi qua di quella chosa che tu mi parlasti chostà quando v’ero. A me non basta l’animo aiutarti di simil cosa, perché non ci ò mezo; che se io l’avessi, m’aiuterei delle cose mia, che importono molto più. [...] In questa sarà una che va a Charrara. Pregoti che tu vega di mandarla segretamente, che e’ non lo sappi né Michele né nessuno dell’Opera né altri. Vedi se Luigi G[h]erardini avessi modo da mandarla bene; e rachomandami a·llui e digli che io lo ristorerò. Non altro. [...] bm, i,
Add. Ms. 23141, c. 49 (= Carteggio 1965-83, p. 165, n. cxxvii).
Doc. 81 16 giugno 1515, sabato: Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze [...] Io vorrei che tu trovassi lo spedalingo di Santa Maria Nuova e che tu mi facessi pagar qua mille quatro cento ducati di quegli che gli à di mio, perché qua mi bisognia fare sforzo grande, questa state, di finire presto questo lavoro, perché stimo poi avere a essere a’ serviti[i] del Papa. E per questo ò chomperato forse venti migliaia di rame per gictar cierte figure. [...] bm, i,
Add. Ms. 23141, c. 51 (= Carteggio 1965-83, p. 166, n. cxxviii).
Doc. 82 6 luglio 1515 Ritrasferimento di millequattrocento fiorini a Roma. E adì vj di lulglo fiorinj millequatrocemto larghi d’oro jm oro, avutj da lluj chontantj, et ànne cedola di nostra mano. A Entrata, c. 46 [...] fiorini Mccccxxxv s. xvij·vjo 2358∙18∙ ∙10∙ asf, elb, n. 84, f. 11 destra (Hatfield 2002, pp. 5152, 403, R 199; cfr. p. 451, F 38).
Doc. 83 7 luglio 1515, sabato: Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, i’ ò ricievuto e’ danari da’ Borg[h]erini e ànnomi servito bene. Ora io vorrei che tu piglliassi e’ libro e·lle carte del resto de’ danari che gli à, e che tu me lo mandassi per tenerlo apresso di me, benché io gli vo’ chavar di mano presto ciò che gli à di mio, per buon rispecto; e basta. Intesi per la tua ultima come la lectera che io ti mandai stava bene e chome la potrebbe giovare ne’ chasi dell’albitrio. Dio il voglia! Manda’ti pel
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Michelangelo. Il marmo e la mente
passato, in una tua, una di Michele; vorrei mi facessi rispondere, acciò che io possa pigliare altro partito. Benché e’ non sia da fondar cosa nessuna sopra Michele, pure questa chosa che io gli domando credo che la sappi, cioè se io son per avere marmi questa state da Pietrasanta; perché qua m’à decto Domenicho Boninsegni che intende che la strada è presso e facta. Però di’ a Michele che mi risponda. [...] bm, i,
Add. Ms. 23141, c. 55 (= Carteggio 1965-83, p. 168, n. cxxx).
Doc. 84 28 luglio 1515, sabato Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, io ò visto per la tua ultima chome stanno e’ danari, e’ libro e le charte. Ò[l]l’avuto caro, benché ò fantasia di levarnegli presto, chome t’ò scricto; e quando sarà tempo t’aviserò. In questa sarà una che va a Michele; fa’ di dargniene. Io non gli scrivo perché io non sappi che gli è pazo, ma perché io ò di bisognio d’una certa quantità di marmi e non so chome mi fare. A Charrara non voglio andare io, perché non posso, e non posso mandar nessuno che sia el bisognio, perché se e’ non son pazi, e’ son traditori e tristi, chome quel ribaldo di Bernardino che mi peggiorò cento duchati in quel che gli stecte qua, sanza l’essere ito cichalando e dolendosi di me per tucto Roma; che l’ò saputo poi che io son qua. [...] bm, i,
Add. Ms. 23141, c. 59 (= Carteggio 1965-83, p. 170, n. cxxxii).
Doc.85 4 agosto 1515, sabato Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, perché i’ ò inteso qua cierte cose dello spedalingo che non mi piacc[i]ono, tu che se’ costà più apresso debbi veder overo intender meglio la cosa che non fo io; però, quando ti paressi che e’ mia danari corressin pericholo nessuno, famegli pagare qua. Va’ a Pier Francescho Borg[h]erini, e lui me gli farà pagare qua: e se e’ ti par da farlo, fa’ presto, subito visto la presente, e non aver rispecto nessuno; se non, rispondimi quello che ti pare. Arei charo anchora che tu intendessi un pocho se quella strada de’ marmi si fa da Michele o da altri, e che tu m’avisassi. [...] bm, i,
Add. Ms. 23141, c. 61 (= Carteggio 1965-83, p. 171, n. cxxxiii).
Doc. 86 11 agosto 1515, sabato Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, per l’ultima tua intendo chome lo spedalingo ti disse che non avea finiti di rischuotere anchora e’ mie danari. Questo mi pare u’ mal segnio: dubito non avere a chombacter secho. Io, poi che tornai di chostà, non ò mai lavorato: solo ò acteso a far modegli e a mectere a ordine e’ lavoro, i’ modo che io possa fare uno sforzo grande e finirlo in dua o tre anni per forza d’uomini. E chosì ò promesso, e sono entrato in grande ispese, solo sopra ’l fondamento di chotesti danari che io ò chostà, stimando avergli a mia posta, come vole la ragione e chome si fa de’ dipositi. E che adesso e’ mi manchassino, io stare’ fre[s]cho! [...] Rispondimi quello segue, e io t’aviserò quello arai a fare; e fa’ intendere allo spedalingo che io ò ordinato inanzi che passi quatro mesi fargli dipositar nelle sua mane semila duchati d’oro. Non altro. De’ marmi che mi scrivi, non è cosa da·cte; io farò ben tanto, o in un modo o in un altro, che io sarò servito. Intendo chome costà non si fa niente. [...] [Poscritto:] In questa sarà una che va a Charrara al Zara. [...]
Documenti
E adì xxii d’aghosto fiorinj mille quattrocemto [sic] d’oro jm oro larghi. Portò luj detto chontanti, e riavemo lo schritto nostro. A Uscita, c. 214 [...] f Mccccxxxv s. xvij·vj 2358∙18∙ ∙10∙ asf, elb, n. 84, f. 11 sinistra (Hatfield 2002, p. 400, R 200; cfr. p. 54; p. 452, F 39, 1000 fiorini da Firenze a Roma il 17 agosto 1515; F 40, 500 fiorini da Firenze a Roma il 18 agosto 1515).
Doc. 88 1 settembre 1515, sabato Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarro[to], io ebbi le lectere e porta’le a’ Borg[h]erini, e lascia’vi e’ danari in diposito. Ogi o lunedì anderò per essi. Un’altra volta non levare da Santa Maria Nova e’ danari, se·ctu non sai prima di potermegli far pagar qua; e no’ ne levare se non quante tu me ne fai pagare; però el resto, se·ctu non me gli ài mandati, rimectigli subito in Santa Maria Nuova, e fa’ d’avere e’ libro e le charte e mandamelo, e fa’ presto quante puoi e non lasciare e’ mia danari i’ man d’altri: ché io non chonosco uomo che viva. Tu·cti duoli mecho de’ chasi della boctega. Abbi patientia: per tucto è delle passione più che tu non credi e non sai. Questi tempi io gli ò aspectati già più anni sono, e òvene sempre avisati che e’ non era tempo da entrare in simil chosa. Pure ingiegniati mantenere el chapitale e actendete all’anima, perché le chose potrebbono ire più là che tu non credi. Rispondi al padre di Becto da·rRovezano che io non ò marmi da·llavorare: ché io l’arei accectato volentieri; e non gli dare altra speranza. Chon questa sarà una che va a messere Antonio, chancelliere del marchese di Charrara. Fanne buon servigio e avisa. ab, iv,
n. 30 (= Carteggio 1965-83, i, p. 176, n. cxxxvii). Doc. 89 8 settembre 1515 Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze [...] Io ò avuto chon la tua lectera che viene da Charra[ra] dal Zara, e mostra aver disiderio di servirmi. Io non gli scrivo niente, perché io ò scricto a messere Antonio da Massa, chancelliere del marchese di Carra[ra], per l’ultima che io ti mandai [...], e non v’o dare altra chommesisone a altri se prima non ò risposta da·llui. [...] ab, iv, c. 31 (= Carteggio 1965-83, i, p. 177-178, n. cxxxviii).
Doc. 90 3 ottobre 1515, mercoledì Domenico di Sandro in Carrara a Michelangelo in Roma Amico charissimo, ne’ dì pasatti òne autto tre lettere le quali chontenevono uno medesimo tinore, e a le dette òne fatto resposta sechondo a me si intende. Sapiate chome a ora se n’è trovatto certti begli marmi di tuta beleza, ma no’ so se ve n’è vostre misure, perché no’ so el bisognio vostro. Ma mandatte pure la persona che voi volette, che si farà chavare, quando no’ fusino chavatti. [...] ab, vii, n. 219 (= Carteggio 1965-83, i, p. 180, n. cxl).
ab, iv, n. 29 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 172-173, n. cxxxiv).
Doc. 91 26 ottobre 1515 Ultimo ritrasferimento di cinquecento fiorini da Firenze a Roma. Questo dì 26 d’ottobre si trase per conto di Michelagniolo da lo spedalingho di Sancta Maria Nuova f 500 d’oro larghi per jo suo resto. E quali si paghorno qui a Zanobj Girolamj e Pierfrancesco Borgherinj e Comp.i perché gli rimetesino a Michelagniolo a Roma. Portògli Pagholo di Ser Girolamo Mei, chasiere de’ dettj Girolamj, chontantj [...] f 500.
Doc. 87 22 agosto 1515
ab, n. 27 (1), (Quadernuccio di Buonarroto, 151417), f. 48r (Hatfield 2002, p. 452, F 41).
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Doc.92 3 novembre 1515, sabato: Michelangelo in Roma al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, i’ ò avuto la letera del chambio del resto de’ danari. Non son ito anchora al bancho de’ Borg[h]erini; v’anderò di quest’altra sectimana. Credo mi se[r]viranno bene, chom’ànno facto l’altre volte. [...] Tu mi richiedi di danari e di’ che ora le cose sono achoncie e che e’ si chomincia a·rriscuotere e a·llavorare. Io mi rido del facto tuo e maravigliomi di certe cose che tu mi scrivi. Ora io non sono per riplicare altro: de’ danari io non posso, perché a me bisognia lavorare du’ anni inanzi che io sia del pari chon chostoro, tanti danari ò avuti. [...] bm, i,
Add. Ms. 23141, c. 71 (= Carteggio 1965-83, p. 183, n. cxliii).
Doc. 93 28 novembre 1515 Ricordo di Michelangelo /1r/ Io Michelagniolo Buonarroti ò avuto da Pier Francescho Borg[h]erini ducati cinquecento d’oro larg[h]i, e’ quali mi pagano per una lectera de’ Girolami e Borg[h]erini di Firenze de dì venti sei passato per tanti n’ebono per me da messer Lionardo Buona Fé, spedalingo di Santa Maria Nova; e per fede ò facto la presente in Roma questo dì venti octo di novenbre 1515. /1v [di mano ignota]/ 1515 – q(uietanza) di d. 500 d’oro la(rghi) p(agati) a Michelagniolo Bonaroti pe’ nostri di Firenze. ab, i,
n. 3 (= Ricordi 1970, p. 12, n. x).
Doc. 94 29 novembre 1515 Ricordo di Michelangelo Io Michelagniolo ò ricievuto oggi, questo dì venti nove di novenbre, da Bernardo Bini ducati quatro cento d’oro di chamera. ab, i,
n. 2 (= Ricordi 1970, p. 4, n. v; cfr. p. 397).
1516 Doc. 95 21 aprile 1516, lunedì Il cardinale Leonardo Grosso Della Rovere in Roma a Michelangelo in Roma Michele Angelo, perché la Ex(cellenti)a de Madama Duchessa d’Urbino desidra grandemente vedere la opera vostra ne la sepultura di la bona memoria di papa Iulio, et voi sapeti quello che la è con noi et noi cum la Ex(cellenti)a sua, per questo ni fareti piacere singularissimo ad lassare vedere la dicta opera ad la prefata illustrissima Madama. Et vi preghiamo ad non la lassare partire di Roma con questo scontento di non vedere questa cosa vostra, che sapiamo li serria grandissimo. [...] bm, Egerton Ms. 1977, c. 5 (= Carteggio 1965-83, i,
p. 186, n. cxlv). Doc. 96 21 giugno [1516] Antonio da Pratovecchio in Firenze a Giansimone Buonarroti [in Settignano] [...] Stamani, essendo io in botegha di Fra[n] c(esc)o spetiale, vi venne Buonaroto et disse come haveva ricevuta una lettera [segue tratto cancellato: di Ro[ma]?] da Michelangnolo facta de’ xiij dì del p(rese)nte, et per quella gli faceva intendere che infra x dì si partiva da Roma alla volta di Firenze con quatro garzoni, per istanza (et) per lavorare a Firenze, et non voleva star più a Roma, et che facesi in modo che lui potessi stare in casa. [...] ab, xxviii, n. 50 (= Carteggio indiretto 1988, i, pp.
49-50, n. 32).
Doc. 97 Ante 8 luglio 1516 Bozza del contratto con gli eredi di Giulio ii, di mano non conosciuta /1r/ Cum sit quod alias feliciis recordationis Iulius
papa II in eius ultimo testamento suos executores fecerit et ordinaverit R.mum d.um Leonardum, sancte romane ecclesie presbiterum, Cardinalem Agenensem vulgariter nuncupatum, et R.um dominum Lauruentium Pucium protonotarium apostolicum et tunc ipsius d.ni Iulii datarium et nunc tituli Sanctorum Quatuor presbiterum cardinalem et inter cetera eis commisserit ut sue sepulture constructionem procurarent, dicti R.mus d. Cardinalis et R.dus d. Laurentius volentes testamentum et piam voluntatem ipsius d.ni Iulii in hac parte totis viribus exequi ut tenebantur, dictus R.mus Cardinalis et Laurentius Pucius ut executores predicti ac eorum nominibus propriis ex una et honorabilis vir magister Michaelangelus florentinus scultore partibus ex altera super scultura et fabricatione sepulture ipsius felicis recordationis Iulii pape, ut supra, insimul et ad invicem tunc convenerunt cum certis pactis, modis et formis et penis prout in instrumento desuper confecto manu spectabilis viri Francisci Vigorosi notarii auditoris Camere sub die VI maii 1513 vel alio veriori die, ad quod et contenta in eo relatio habeatur. Et volentes dicti R.mi Cardinales, ut supra, ex una et dictus Michelangelus ex alia super premissis transigere et de novo convenire, salvis infrascriptis, dictum instrumentum et omnia in ea contenta primo et ante omnia annullaverunt, cassaverunt et omnem et quamcumque penam conventionalem unus alteri et e converso propter inobservantiam, si qua esset, omni meliori modo remiserunt et de novo convenerunt ut infra. In primis convenerunt et ita dictus Michaelangelus promisit non capere aliud opus ad fabricandum saltim inportantie et per quod possit inpediri fabrica prefata, quin imo illi attendere; et quam sepulturam promisit facere et finire infra novem annos proxime futuros inceptos die VI maii 1513 et, ut sequitur, finiendos secundum novum modellum, designum vel figuram, factum per dictum Michaelangelum, dicte sepulture; vel circa et iuxta tale designum seu novum modellum promisit perficere, quantum ipse poterit, pro maiori honorificentia et pulcritudine dicte sepulture secundum eius conscientiam. Item convenerunt dicte partes, dictis nominibus, quod prefatus Michelangelus habeat habere pro eius mercede et salario dicte sepulture et edificii et pro omnibus expensis in fabricatione dicte sepulture fiendis, quas omnes teneatur /1v/ et debeat ipse facere et debeat habere ducatos sexdecim mille quingentos auri de camera, solvendos eidem modis et formis, temporibus et terminis infrascriptis, et quod super valore, extimatione et perfectione figurarum dicte sepulture stetur et stari debeant conscientie tantum dicti Michelangeli. Item quia prefatus Michelangelus in dicto primo contractu manu Francisci Vigorosi confessus fuit alias se habuisse, de dictis sexdecim milibus quingentis ducatorum, tres mille quingentos a prefato recordationis felicis Iulio II: videlicet mille quingentos per manus eiusdem d.ni Iulii et duo milia per manus Bernardi Bini mercatoris florentini, de quibus quidemmet hodie vocavit se bene pagatum tacitum et contentum a prefato S.mo papa Iulio et propterea ipsius et eius sucessores de predictis quietavit et liberavit. Item convenerunt quod in casum et eventum quod dictus Michelangelus dictam sepulturam finiret ante tempus suprascriptum et quandocumque ante dictum tempus secundum novum modelum, ut prefertur, quod tunc eidem Michelangelo fieri debeat integra solutio usque ad complementum dicte summe sexdecim milium quingentorum ducatorum, ut supra. Item convenerunt pro maiori comoditate dicti Michelangeli et ut facilius laborare possit, dicti R.mi Cardinales eidem Michelangelo, presenti et stipulanti, promiserunt infra dictum tempus et per tempora suprascripta concesserunt ad habitandum gratis et sine aliqua mercede vel pensione unam domum cum palchis, salis, chameris, tereno, orto, puteo et aliis suis habituris, positam in urbe in regione Trei, ut a p(rim)o in qua dictus Michelangelus habuit et habet multas figuras, maseritias et saxa marmorea et ubi per multos menses laboravit pro perfectione dicte sepulture. Et promiserunt dictum Michelangelum in dicta domo per dictum tempus manutenere; et
propterea de omni et toto eo quod eidem ocaxione predicta petere possent, quietaverunt, dimiserunt et relaxaverunt et licet omni meliori modo. Item quia dictus Michelangelus egrotavit et de presenti non bene convaluit, convenerunt, ut facilius dictus Michelangelus laborare possit, quod dictus Michelangelus possit laborare pro perficiendo dictam sepulturam, et ocaxione premissa, Florentie, Pisis, Chararie et ubi sibi placuerit, /2r/ dumodo exerceat in dicta et predicta sepultura conficienda et hoc pro maiori comoditate dicti Michelangeli. Item convenerunt quod, casu quo dicta sepultura propter aliquem casum fortuitum aut propter dificultatem operis, infirmitatis aut aliquem alium casum infra dictum tempus finiri non posset, nichilominus ipse Michelangelus in ea debeat continuare et cum omnibus modis et viribus suis perficere; et de tempore in quo eam, dicto casu veniente, finire debeat, stare voluit declarationi R.mi d. Cardinalis Agenensis. Item convenerunt insimul super solutionibus fiendis de ducatis tredecim milium ducatorum, restantium de summa sexdecim milium quingentorum: dictus Michelangelus habeat habere singulo mense ducatos ducentos auri per duos annos, inceptos de mense maii 1513, et deinde singulo quoque mense ducatos centum et triginta similes usque ad complementum integre solutionis dicte summe sexdecim milium quingentorum auri similium. Item promisit prefatus R.mus cardinalis d. Laurentius Pucius dicto Michelangelo, presenti et stipulanti, solvere eidem singulis primis mensibus, inceptis ut supra, usque ad sumam ducatorum se[p]tem milium auri de camera, qui sunt restantes de summa decem milium quingentorum quos prefatus felicis recordationis Iulius II pro constructione dicte sue sepulture dimiserat, sub penis omnibus renumptionis instrumenti. Item dictus R.mus d. Leonardus cardinalis prefatur promisit eidem Michelangelo, presenti et stipulanti, de suis propriis pecuniis solvere et exbursare d. sex mille auri similes singulis mensibus proportionabiliter, ut prefertur, post solutionem dictorum septem milium ducatorum singulis mensibus per prefatum d. R.mum cardinalem Laurentium Pucium eidem Michelangelo fiendam. /2/ Et ad preces et instantiam et requisitionem dicti R.mi Cardinales prefatus d. Bartholomeus de Aura, civis et mercator ianuaensis romanam Curiam sequens, nec non dominus Bernardus Bini, civis florentinus pro dicto R.mo cardinale de Pucis, et ipse Bartholomeus pro R.mo Cardinale Agenensi, promiserunt eidem Michelangelo, et quilibet ipsorum promisit respective, dictam summam, ut supra, solvere ut promissum est; et obligaverunt se in pleniori forma Chamere etiam tamquam principales. Et dicti R(everendissi)mi promiserunt ipsos indemnem conservare. [...] ab, ii-iii, xxiv).
n. 13 (= Contratti 2005, pp. 56-60, n.
Doc. 98 Ante 8 luglio 1516 /1r/ Chon ciò sia cosa che maestro Michelagniolo schultore avesse facto un chontracto chol reverendissimo chardinale Aginensis e chon messer Lorenzo Pucci, oggi cardinale reverendissimo di Santi Quatro, esechutori della buona memoria di papa Iulio, e nel decto contracto si chontiene chome lui s’obrigò e prese a fare la sepultura de[l] sopradecto pontefice con que’ pacti e modi che nel decto contracto si chontiene, e ora per aver facto Michelagniolo nuovo disegno e modello, e’ sopradecti Reverendissimi chol sopradecto Michelagniolo son chontenti anullare el sopradecto contracto – salvo gli in(frascrit)te cose –, e che non sia valido in luogo nessuno e che nessuno se ne possa servire. E fanno nuova chonventione in questo modo e forma. Cioè ch’el sopradecto Michelagniolo debe fare la sopradecta opera secondo questo ultimo modello e ag[i]ugniere e mutare sechondo la choscienza e parer suo, sanza altra solenità observare, infra il tempo che nel primo contrato si contiene. Item che di questo lavoro, chome è decto, di que-
sto ultimo modello el decto Michelagniolo ne debbe avere el medesimo pregio in quel modo e forma che si chonteneva nel primo chontracto: cioè duchati sedicimila cinquecento d’oro di chamera ne debe avere. Item ch’el decto Michelagniolo possa fare el sopradecto lavoro dove a∙llui pare sua chomodità. E’ modi del pagamento chome è decto nel primo contracto. Item per fare e finire el sopradecto lavoro el reverendissimo cardinale Aginensis s’obriga e promecte dar la casa al decto Michelagniolo, dove è chominciato decto lavoro, libera e francha, sansa pigione per insino che sia finito la sopradecta opera. Item … ab, ii-iii, xxv).
n. 12 (= Contratti 2005, pp. 61-62, n.
Doc. 99 Ante 8 luglio 1516 Descrizione del modello della sepoltura di Giulio ii, di mano di Michelangelo /6r/ El modella è largo nella faccia dinanzi braccia undici fiorentine vel circha, nella quale larg[h]eza si muove in sul piano della terra uno imbasamento chon quatro zocholi, overo quatro dadi chon la loro cimasa che ricignie per tucto, in su’ quali vanno quatro figure tonde di marmo di tre braccia et mezo l’una. E drieto alle decte figure in sun ogni dado viene el suo pilastro, che vanno alti insino alla prima cornice, la quale va alta dal piano dove posa l’imbasamento in su braccia sei; e dua pilastri cho lor zocholi da uno de’ lati mecto[n] i[n] mezo un tabernacholo, el quale è alto il vano braccia quatro e mezo, e similmente dall’altra banda mectono i[n] mezo un altro tabernacholo simile, che vengono a essere dua tabernacholi nella faccia dinanzi dalla prima cornicie in giù, ne’ quali in ognuno viene una figura simile alle sopradecte. Dipoi fra∙ll’uno tabernacholo e l’altro resta un vano di braccia dua e mezo alto per insino alla prima cornice, nel quale va una storia di bronzo. E la decta opera va murata tanto dischosto al muro quant’é la larg[h]eza d’uno de’ tabernacholi decti che sono nella faccia dinanzi; e nelle rivolte della decta faccia, che vanno al muro, cioè nelle teste, vanno dua tabernacholi, simili a que’ dinanzi, cho’ loro zocholi e chon le loro figure di simile grandeza, che vengono a essere figure dodici e una storia, com’è decto, dalla prima chornice in g[i]ù. E dalla prima cornice in su, sopra e’ pilastri che mectono i[n] mezo e’ tabernacholi di socto, viene altri dadi con loro adornamenti, suvi meze chollonne che vanno insino all’ultima cornice, cioè vanno alte braccia octo dalla prima alla sechonda chornice, che è suo finimento. E da una delle bande, i[n] mezo delle dua colonne, viene un certo vano, nel quale va una figura a∙ssedere, alta a∙ssedere braccia tre e mezo fiorentine, el simine viene fra l’altre dua cholonne dall’altra banda. E fra ‘l capo delle decte figure e l’ultima chornice resta un vano di circha tre braccia, simile per ogni verso, nel quale va una storia per vano di bronzo, che vengono ad essere tre storie nella faccia dinanzi. E fra l’una figura a∙ssedere e l’altra dinanzi resta uno vano, che viene sopra el vano della storia del mezo di socto, nel quale viene una certa trebunecta, ne la quale viene la figura del morto, cioè di papa Iulio, chon du’ altre figure che la mectono i[n] mezo, e una Nostra Dona pure di marmo alta braccia quatro simile. E sopra e’ tabernacholi delle teste, overo delle rivolte della parte di socto, viene le rivolte della parte di sopra, nelle quali in ognuna delle dua viene una figura a∙ssedere i[n] mezo di dua meze cholonne chon una storia di sopra simile a quelle dinanzi. bl,
Add. Mss. 23208, f. 6 (= Contratti 2005, pp. 63-64, n. xxvi).
Doc. 100 Ante 8 luglio 1516, Roma Riassunto in italiano del contratto con gli eredi di Giulio ii (cfr. doc. 102) /1r/ Chon ciò sia cosa che altra volta la Santità di papa G[i]ulio nell’ultimo suo testamento abbi ordinato e facto sua essecutori el R.mo m. Leonardo
cardinale Agenn(ensi)s e ‘l R.o allora m.s Lorenzo Pucci protonotario apostolico, e allora Datario e ora cardinale di Santi Quatro vulgarmente chiamato, et infr[a] altre cose a ∙ lloro abbi commesso che essi chostituire faccino la sua sepultura, unde decti R.mo cardinale Agenna e monsigniore R.mo de’ Pucci, chome executori prefati, volendo el testamento et ultima volontà di decto papa Iulio, chome executori, exequire et adempiere chome sono obligati, decti R.mi Cardinali de Santi Quatro e ‘l cardinale Agenna, chome executori e in nome loro proprio da una parte e lo honorabile homo, maestro Michelangelo fiorentino, schultore, in suo nome proprio dall’altra parte, sopra la schultura e fabrichatione della sepultura di papa G[i]ulio, chome di sopra, insieme si chonvengono chon certi pacti e modi e forma et pena, chome nello instrumento di sopra ciò facto si chontiene per mano di Francesco Vigorosi, notaio dello Auditore della Chamera, socto dì sei di maggio 1513, o altro più vero tempo, al quale et le cose che si contengono in quello si referischono. E volendo decti R.mi Cardinali, chome executori prefati, transigere e fare nuova conventione e novatione e di nuovo chonvenire sopra le cose premisse et ciascheduna di quelle, salvo le cose infrascricte, dicto istrumento et c[i]ò che si contiene in quello, prima et inanzi ad ogni cosa anullono e chassano e vogliono che per tempo a venire nessuno lo possa usare in iudicio o fuora, ma ∙ ssia chome se /1v/ facto non fusse, salvo le infrascricte chose. Et di più ogni e qualunche pena chonventionale l’uno a l’altro, et converso, remisseno, e di nuovo chonvennono chome di socto, cioèImprima si chonvennono et così l’uno all’altro et presertim dicto Michelangelo promisse non pigliare alcuna opera di grande importanza, per la quale si possa impedire la fabricha prefata, anzi promisse a quella dare opera ferventemente. E la quale sepultura promisse fare e finire infra nove anni prossimi futuri, chominciati più tempo fa, cioè a dì sei di maggio 1513, e chosì finire, chome segue, sechondo uno nuovo modello, figura e disegno facto per decto Michelagniolo a decta sepultura. Et sechondo tale disegnio e nuovo modello promisse a decti R(everendissi)mi fare quanto lui potrà per maggiore belleza e magnificentia di decta sepultura, sechondo la sua conscientia. Del quale nuovo modello el tenore si è questo cioèEl modello è largo nella faccia dinanzi braccia undici fiorentine vel circha; nella quale larg[h] eza si muove in sul piano della terra uno inbasamento chon quatro zocholi, overo quatro dadi cho la loro cimasa che recignie per tucto, in su’ quali vanno quatro figure tonde di marmo di tre braccia e mezo l’una; e drieto alle decte figure in su ogni dado va el suo pilastro, alti insino alla prima chornice, la quale va alta dal piano, dove posa l’inbasamento, in su braccia sei. E dua pilastri dall’uno de’ lati cho’ loro zocholi, mectono in mezo un tabernacholo, el quale è alto, el vano, braccia quatro e mezo; e similmente dall’altra banda e’ dua altri pilastri mecto[n] in mezo uno altro tabernacholo simile, che vengono a essere dua tabernacholi nella faccia dinanzi dalla prima chornicie in giù, ne’ quali in ognuno viene una figura simile alle sopra decte. Dipoi fra l’un tabernacholo e l’altro resta un vano di braccia dua e mezo alto per insino alla prima chornicie, nel quale va una storia di bronzo. E la decta opera va murata tanto dischosto al muro, quant’è la larg[h]eza d’uno de’ tabernacholi decti, che sono nella faccia dinanzi; e nelle rivolte della decta faccia che vanno al muro, cioè nelle teste, vanno dua tabernacholi simili a q[u]elli dinanzi cho lor zocholi e chon le lor figure di simile grandeza, che vengono a essere figure dodici dalla prima cornice in giù e una storia, come è decto. /2r/ E dalla prima chornicie in su, sopra e’ pilastri che mecto[n] i[n] mezo e’ tabernacholi di socto, viene altri dadi chon loro adornamento suvi meze cholonne che vanno insino all’ultima chornice, cioè vanno alte braccia octo simile dalla prima alla sechonda cornice, che è suo finimento. E da una delle bande in mezo delle dua colonne viene un cierto vano, nel quale va una figura a ∙ ssedere, alta a ∙ ssedere braccia tre e mezo fiorentine: el simile va fra l’altre dua cholonne da l’altra banda. E fra ‘l chapo delle decte figure e l’ultima corni-
cie resta un vano di circha a braccia tre per ogni verso, nel quale va una storia per vano di bronzo, che vengono a essere tre storie nella faccia dinanzi: E fra l’una figura a ∙ ssedere e l’altra dinanzi resta un vano che viene sopra el vano della storia del mezo di socto, nel quale viene una certa trebunecta, nella quale va la figura del morto, cioè di papa Iulio, chon dua altre figure ch’el mectono in mezo, e una Nostra Donna di sopra di marmo, alta braccia quatro simile. E sopra e’ tabernaculi delle teste, overo delle rivolte della parte di socto, viene le rivolte della parte di sopra, nelle quale, in ognuna delle dua, va una figura a sedere i[n] mezo di dua cholonne, chon una storia di sopra simile a quelle dinanzi. Item si chonvennono dicte parte in decti modi e∙nnomi, che il prefato Michelagniolo habi havere per sua merciede et salario di decta sepultura et edifitio e per ogni spesa da farsi in decta fabricha, le quali in deta s’abino a fare per decto Michelangelo, e debba avere per rechompensa d’essa e per sua faticha ducati sedicimila cinquecento d’oro di chamera, da pagarsi pe’ decti a decto Michelagniolo ne’ modi e forma, tempi et termini infraschricti: com pacto che sopra alla stima et perfetione di decta sepultura et figure se ne [s]tia e habi a stare al parere et conscientia di decto Michelagniolo solamente. /2v/ Anchora, perché decto Michelangielo nel decto primo chontracto per mano di Francesco Vigorosi, chome di sopra, ha chonfessato havere avuto e ricevuto, de’ decti sedicimila cinque cento ducati, tremila cinquecento da papa G[i]ulio: cioè mille cinque cento per le mani di decto papa e duo mila per le mani di Bernardo Bini, merchatante fiorentino, de’ quali medesimamente oggi si chiama contento e pagato. Anchora si convennono de’ pagamenti da farsi de’ ducati tredicimila, restanti della somma de’ sedici mila cinque cento, che decto Michelangelo habbi havere et habbi ogni mese ducati dugento d’oro simili, chominciati del mese di maggio 1513 per dua anni. E finiti decti dua anni, cominciati ut supra, habbi avere ogni mese dipoi duchati cento e trenta simili insino al compimento et perfectione e resto del pagamento di decta somma de’ sedici mila cinquecento d’oro, come di sopra. Ancora si convennono che, in caso che decto Michelangelo decta sepultura finissi inanzi al soprascricto tempo, che ogni volta che l’arà finita sechondo el nuovo modello, chome di sopra, allora et in tale caso a decto Michele Angelo si debba fare lo intero pagamento di decta somma chome di sopra, nonostante le cose promisse. Anchora si convennono per maggiore comodità di decto Michelangielo et acciò che più facilmente possa lavorare chosì in Roma chome fuora. Decti R.mi Cardinali promissono a decto Michelangelo, presente, infra il tempo degli anni nove soscritti, cominciati a dì sei di maggio nel 1513, e per tempi concessono et dessino ad habitare, chome oggi danno e choncedono per habitare solamente, o per sé o altri per lui o di sua commissione, gratis et amore e senza alcuna mercede o pigione, durante il tempo soscricto, a decto Michelangielo presente: Una chasa con palchi, sale, chamere, terreni, orto, pozzi e sui altri habituri, posta in Roma inella regione di Treio a presso alle cose di Ieronimo Petrucci da Velletri, a presso alle cose di Pietro de’ Rossi, dinanzi la via publicha, ad presso a Santa Maria del Loreto; confini dirieto app[r]esso le cose delli figlioli di messer Carlo Crispo, a presso le cose di messer Pietro Paluzzi e la via publica dirieto responde a la piaza di San Marcho. Et nella quale decto Michelangielo à più figure avute et à e’ marmi et lavori, et ha lavorato per molti mesi per decta sepultura. E pertanto decto R.mo monsignore Laurentio de’ Pucci cardinale fece fine a decto Michelangelo d’ogni e qualunche pensione potessi adomandargli per conto di decta casa. Et ancora dicto m. R.mo cardinale Agenna promisse infra et per il tempo che resta da fare decta sepultura, dare et concedere, come oggi dà e concede, ad abitare a dicto Michelangelo dicta sosc[r]icta casa /3r/ per lavorìo sopra scricto. E promisse a sua spese condure dicta casa a sua propia pigione, et a dicto Michelangelo darla per habitare gratis et amore, chome oggi dà e consegnia, e promecte che
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Michelangelo. Il marmo e la mente
nessuno non gli domanderà mai pigione, et in caso di molestia mantenervelo et conservarlo sanza danno, socto pena e spese et interessi; et lavorando fuor di Roma o in Roma abi l’uso della casa. Ancora, perché decto Michelangielo è stato e di presente non si sente troppo bene, si chonvennono che decto Michelangielo possi a suo piacere lavorare per finire decta opera a Firenze, a Pisa, a Charrara e dove parrà a ∙ llui, pure che il lavoro che farà, servi a decta sepultura. Ancora si convennono che, in caso che per caso fortuito o per difficultà dell’opera o per infirmità o alcuno altro caso infra dicto tempo dicto Michelangielo finir non possi, nientedimeno dicto Michelangielo abbi a chontinuare e finire decta opera nel tempo che chiarirà el R.mo cardinale Agenna. Item promisse il R.mo cardinale de’ Pucci al decto Michelangelo, presente et stipulante, ogni mese dare e pagare per primi dua anni, chominciati chome di sopra, ducati dugento il mese, insino che a lui tochi il pagamento insino alla somma de’ ducati secte milia di chamera, e’ quali gli restorno della somma de’ ducati diecimila cinque cento, e’ quali il prefato S.mo nostro papa G[i]ulio lasciò per fare decta sepultura. Anchora el R.mo cardinale Agen(na) promisse a decto Michelangelo, presente, di sua propri danari pagargli duchati semila d’oro di camera, ogni mese per rata, doppo il pagamento factogli per il R.mo cardinale de’ Pucci. Item ad preg[h]iera, requisitione et instantia di decti R.mi Cardinali, R.do m.s Bartolomeo Doria, merchatante genovese, per il decto R.mo cardinale Agen(na), e Bernardo Bini per il R.mo cardinale de’ Pucci, respective, promissono a decto Michelangelo decta somma, come di sopra da pagarsi, obligandosi come principali in forma Chamera, con g[i]uramento e altre clausole consuete. E decti promessono a’ decti merchatanti chonservargli senza danno. [...] ab, ii-iii, xxvii;
n. 16 (= Contratti 2005, pp. 65-69, n. cfr. Milanesi 1875, pp. 649-651, n. xvii).
Doc. 101 4, 8, 10, 11 luglio 1516, Roma Contratto per la sepoltura di papa Giulio ii /1r/ In Dei nomine amen. Anno a Nativitate Domini millesimo quingentesimo sexto decimo indictione quarta die vero quarta mensis iulii, pontificatus Sanctissimi in Chirsto patris et domini nostri d.ni Leonis divina providentia pape decimi, anno quarto. In mei notarii infrascripti et testium infrascriptorum presentia personaliter constitutus R.mus in Christo pater et dominus d.us Laurentius de Puciis florentinus, tituli Sanctorum Quatuor Coronatorum, nunc presbiter cardinalis, asserens se et R.mum cardinalem Agenensem, tunc executores testamenti seu sepulture pape Julii, cum quodam Michaele Angelo sculptore florentino certo modo contraxisse, prout in instrumento desuper confecto dicitur contineri manu spectabilis viri Francisci Vigorosi notarii Auditoris Camere apostolice sub die sexta mensis maii millesimo quingentesimo tertio decimo, vel alio tempore veriori, ad quod et que dictus R.mus d.us Cardinalis se retulit et refert; et quia dicte partes intendunt super premissis certo modo transigere seu de novo contrahere et convenire, hinc est quod hodie, hac presenti /1v/ suprascripta die, dictus R.mus d.us Cardinalis, omni meliori modo etc. non revocando etc., fecit etc. procuratorem etc. dictum R.mum d.um Leonardum cardinalem Agennensem, licet absentem, ad transigendum cum dicto Michaele Angelo et quamcumque conventionem et pacta et obligationes facendum etc. et in sua facta annullandum et de novo facendum et modum solutionis fiende apponendum. Item ad obbligandum ad observationem premissorum dictum Constituentem etiam in plena forma Camere cum iuramento, constitutione procuratorum et aliis clausulis consuetis et ad prestandum fideiussorem ad libitum dicti Cardinalis et ad promittendum dictis fideiussoribus conservationem indemnitatis. Item pro interesse dicti Constituentis quamcumque domum sitam Rome, ubi forsan habitavit dictus
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Documenti
Michael Angelus occasione dicte sepulture conficende, quoad pensionem forsan dicto Cardinali debendam disponendum tantum quoad Michaelem Angelum et dictum Michaelem Angelum de pensione decursa quoad interesse dicti R.mi d.ni Cardinalis de Puciis finiendum, quietandum et liberandum, etc./2r/ Item quatenus expediat ad substituendum et generaliter etc., dans etc., promittens etc.. Super quibus etc. rogatus fui quatenus de predictis conficerem instrumentum vel instrumenta, unum seu plura. Actum Rome in palacio apostolico anno, mense, die et ponficatu quibus supra, presentibus ibidem venerabilibus viris dominis Hieronimo de Ianderonibus de Senis et Ferdinando Marzano conchiensis diocesis et Petro de Ferraro Monte et aliis familiaribus dicti R.mi d.ni Cardinalis, testibus ad premissa vocatis, habitis specialiter atque rogatis. Et quia ego Albizius Francisci de Seralbizis notarius florentinus de predictis rogatus scripsi. /3r/ In Dei nomine amen. Anno a Nativitate Domini millesimo quingentesimo sexto decimo, indictione quarta, die vero octava nensis iulii, pontificatus Sanctissimi in Christo patris et domini nostri d.ni Leonis divina providentia pape decimi anno quarto. Cunctis pateat evidenter et sit notum, qualiter in presentia mei notarii et testium infrascriptorum specialiter vocatorum etc. R.mus d.us d.us Leonardus, Cardinalis Agennensis vulgariter nuncupatus, suo nomine proprio ac pro et vice et nomine R.mi d.ni d.ni Laurentii de Puciis tituli Sanctorum Quatuor Coronatorum et nomine procuratorio, et casu quo mandatum non sufficeret, promisit de rato etc., et dictis modis et nominibus et quolibet dictorum modorum et nominum tam in solidum quam de per se dicit et asseruit quod, cum alias sanctissimus tunc papa Iulius in suo testamento ordinasset et sue future sepulture conficiende et illius /3v/ executores dictos d.um Laurentium Pucium tunc Datarium et nunc R.um d.um Cardinalem prefatum instituisset, unde dicti executores cupientes voluntati defuncti consulere et ut executores exequi et adimplere, ut tenebantur, ac nominibus propriis tunc ex una et honorabilis vir magister Michaelangelus sculptor florentinus etiam suo nomine proprio ex parte alia de et super sculptura et fabrica dicte sepulture insimul certo modo ac cum certis pactis, modis et formis et penis convenerunt, prout in instrumento desuper confecto manu Francisci Vigorosi notarii auditoris Camere sub die sexta maii millesimo quingentesimo decimo tertio, vel alio tempore veriori, dicitur contineri. Cui et quibus dicte partes intendunt hodie hac presenti suprascripta die transigere et facere novam conventionem et de novo contrahere de et super premissis et quolibet eorum, salvis nihilominus infrascriptis. Dictus R.mus d.us Cardinalis Agenensis tam nomine proprio quam procuratorio nomine dicti R.mi d.ni cardinalis de Puciis, prout de eius /4r/ mandato constat manu mei notarii infrascripti sub suo tempore et data, et dictis modis et nominibus et quolibet dictorum modorum et nominum, tam in solidum quam de per se et, casu quo mandatum non sufficeret, promisit de rato in forma iuris valida, ex parte una et dictus Michael Angelus suo nomine proprio ex parte alia devenerunt ad infrasciptam [sic] transactionem videlicet. Imprimis dictus R.mus d.us Leonardus cardinalis Agenensis, etiam nominibus quibus supra, et dictus Michael Angelus dictum instrumentum manu Francisci Vigorosi et de quo supra fit mentio et omnia in eo contenta primitus et ante omnia cassarunt, annullarunt, decernentes quod nullus vel alter ipsorum in futurum possit uti dictis instrumentis in iudicio vel extra, sed exnunc sit ac si nunquam celebratum esset et sic nullius roboris et efficacie vel effectus; et remiserunt hinc inde omnem et quamcumque penam conventionalem unus alter et e converso, sed de novo convenerunt, salvis infrascriptis, videlicet. /4v/ Item convenerunt dicte partes hinc inde ex eo quia dictus Michael Angelus promisit aliquod opus non capere saltim magni momenti, quo mediante impediatur fabrica prefata, sed prius sepulturam prefatam facere et finire infra hunc certum
tempus, et quia dictus Michaelangelus, quantum in eo fuit, pacta servavit et adimplevit et dicte sepulture pro viribus continue operam dedit, sed propter infirmitatem et gravitatem operis et labores necessarios voluit et convenerunt, quod dictus Michael Angelus teneatur perficere dictam sepulturam infra tempus et terminum novem annorum inceptorum die sexta mensis maii, millesimo quingentesimo sexto decimo, ut supra, et, ut sequitur, finiendorum, ita quod teneatur infra dictum tempus opus perficere prout infra, videlicet. Item convenerunt dicte partes hinc inde et nominibus quibus supra, quod dictus Michael Angelus perficiat opus prefatum secundum novum modellum, figuras et desingnum ultime factum per dictum /5r/ Michaelem Angelum dicte sepulture conficiende. Et secundum tale designum et novum modellum dictus Michael Angelus promisit tunc dicto R.mo cardinali Agenensi, etiam presenti, et perficere cum magna pulchritudine et magnificentia iuxta eius conscientiam. Cuius novi modelli tenor est talis, videlicet: El modello è largo ne la faza dinanzi brachia undeci fiorentine vel circa, ne la qualle largueza si move in sul piano de la terra uno inbasamento cum quatro zocholi, overo quatro dadi colla loro cimasa che recigne per tuto, e in su’ quali vanno quatro figure tonde di marmo di tre bracia et mezo l’una. E drieto alle dete figure in su ‘n ogni dado viene il suo pilastro, che vano alti insino alla prima cornice, la quale va alta dal piano, dove possa l’inbasamento, in su braccia sei. Et dua pilastri cho lor zocholi, da uno de’ lati, metto[n] in mezo uno tabernaculo, el quale è alto, il vano, brac[i]a quatro et mezo, et similmente da l’altra banda metto[n] in mezo un altro tabernaculo simile, che vengono ad essere duo tabernaculi ne la facia dinanzi da la prima cornice in g[i]ù, ne’ quali in ogniuno viene una figura simile a le supraditte. Dipoi fra l’uno tabernaculo/5v/ e l’altro resta uno vano di bracia duo et mezo alto per infino alla prima cornice, nel quale va una historia di bronzo. Et la dicta opera va murata tanto discosto al muro quanto la larg[h]eza d’uno de’ tabernaculi che sono nella facia dinanci; et nelle rivolte de la dicta facia che vano al muro, cioè nelle teste, vano duo tabernaculi simili a queli dinanzi co’ loro zocholi et colle loro figure di simile grandessa, che vengono a essere figure dodeci et una storia, come decto, dalla prima chornice in giù. Et dalla prima cornice in su, sopra e’ pilastri che mettono in mezo el tabernaculo di socto, viene altri dadi co loro adornamento suvi meze cholone che vano insino a l’ultima cornice, c[i]oè vano alte bracia octo dalla prima a la seconda cornice, ch’è suo finimento. Et da una delle bande in mezo de le duo colonne viene uno certo vano, nel quale va una figura a sedere, alta a sedere bracia tre et mezo fiorentine: el simile viene fra l’altre dua colone da l’altra banda. Et fra il capo de le dicte figure e l’ultima cornice resta uno vano di circa a tre bracia simile per ogni verso, nel quale va una storia per vano di bronzo: che vengono /6r/ ad essere tre storie ne la facia dinante. Et fra l’una figura a sedere et l’altra dinante resta uno vano, che viene sopra il vano de la storia del mezo di socto, nel quale viene una certa tribuneta, ne la quale viene la figura del morto, c[i]oè di papa Iulio, con dua altre figure che la metono in mezo, et una Nostra Dona pure di marmor alta brac[i]a quatro simili. Et supra e’ tabernaculi de le teste, overo delle rivolte de la parte di socto, viene le rivolte de la parte di sopra, ne le quali in ogniuna de le dua viene una figura a sedere in mezo de dua meze colone con una storia di supra [simile] a quelle dinanti. Item convenerunt dicte partes hinc inde dictis nominibus, quod prefatus d.us Michael Angelus habeat habere pro sua mercede de salario dicte sepulture vel edificii et pro omnibus expensis in dicta fabrica perficiendis, que sunt faciende sumptibus dicti Michelis Angeli, et debeat habere, ut supra, ducatos sexdecim milliaria et quingentos auri de camera, solvendos per predictos duos Cardinales modis et formis, temporibus et terminis infrascriptis, cum pacto et conditione quod perfectioni dicte sepulture et figurarum stari debeat /6v/ et stetur iudicio et conscientia tantum dicti
Michaelis Angelis. Item quia alias in primo contractu manu Francisci Vigorosi, ut prefatur, dictus Michael Angelus confessus fuit de dicta summa duc. tria milia et quingentos a S.mo papa Iulio, videlicet mille et quingentos per manus tunc Pontificis et duo milia per manus Bernardi de Bignis mercatoris florentini, quam confessionem affirmavit et confirmavit omni meliori modo et de predictis vocavit se bene pagatum etc. Item convenerunt de solutionibus fiendis de ducatis XIII milium restantibus de summa prefata, quod dictus Michael Angelus habeat habere et habiturus sit singulo quoque mense ducatos ducentos similes, inceptos iamdudum de mense maii millesimo quingentesimo tertio decimo per duo annos, et de quibus habuit partem a Bernardo de Binis, mercatore florentino, prout apparet per quandam scriptam manu dicti Michaelis Angeli penes Bernardum de Binis prefatum existentem. Et casu quo dictus Michael Angelus a die, videlicet a mense maii millesimo quingentesimo tertio decimo, ut supra, /7r/ a dicto Bernardo per duos annos inceptos, ut supra, summam ad rationem ducentorum ducatorum non exegerit, volunt et convenerunt, quod dictus Michael Angelus dictum residuum ad rationem prefatam, in quibus risultavit creditor a dicto Bernardo, ad eius libitum exigere posse[t] et, finitis dictis duobus annis inceptis ut supra, dictus Michael Angelus habeat habere et habiturus sit deinde singulo quoque mense ducatos centum et triginta similes usque ad perfectionem et residuum solutionis fiende de dicta summa ducatorum sexdecim milium et quingentorum, ut supra. Item convenerunt quod, premissis non obstantibus, dictus Michael Angelus dictam sepulturam ante tempus si perficeret secundum novum modellum, ut prefertur, tunc et in tali casu, dicto Michaeli Angelo debeat fieri integra solutio dicte summe per dictos R.mos d.os Cardinales. Item convenerunt pro maiori comoditate dicti Michaelis Angeli et ut facilius dictus Michael Angelus laborare possit, quod dictus Michael Angelus possit laborare tam in Urbe, quam extra, Florentie, Pisis, Carrarie et aliis, dummodo figure /7v/ et opus serviat fabrice prefate. Item dictus R.mus d.us Cardinalis Agenensis tam nomine proprio, quam procuratorio, ut prefertur, promisit dicto Michaeli Angelo presenti et infra tempus novem annorum, inceptum de mense maii millesimo quingentesimo tertio decimo, dedisse et concessisse gratis et amore et pro faciliori commoditate dicti operis, dicto Michaeli Angelo ad habitandum solummodo aut per se aut per alium, prout hodie concessit per tempora predicta gratis et amore et sine mercede aut pensione, durante tempore suprascripto novem annorum, infrascriptam domum, videlicet. Unam domum cum parchis, sallis, cameris, puteo, horto et aliis suis habituris, positam Rome in regione Trevi, cui a primo via publica a secundo Hieronimi Petroci a tertio Petri de Rossis a quarto magistri Petri Palucii, infra suos confines, etc.; et in qua domo dictus Michael Angelus habuit et habet saxa marmorea et laboravit per multos menses pro perfectione dicte sepulture. Et propterea, ultra premissa, dictus R.mus Cardinalis nomine suo et procuratorio quietavit et finivit etc. dicto Michaeli Angelo presenti etc. de omni et quacumque pensione /8r/ dicte domus etc. tam presentis quam future, et promisit per tempora prefata manutenere dictum Michaelem Angelum in dicta domo: etiam laborando extra Romam, dictus Michael Angelus habeat totum dominium utile dicte domus; et promisit, etc. dicto Michaeli Angelo presenti etc. defensionem, etc. in forma iuris valida sub, pena damnorum, expensarum et interesse. Item convenerunt quod in casu et eventu fortuito infirmitatis aut propter difficultatem operis dictus Michael Angelus infra dictum tempus opus perficere non valeret, nichilominus habeat perficere dictum opus, declaratione temporis prorogandi R.mi d.ni Cardinalis Agenensis. Item dictus R.mus Cardinalis pro maiori observatione premissorum, nomine procuratorio R.mi d.ni Cardinalis de Pucciis promisit etc. dicto Michaeli Angelo etc. dare et solvere eidem etc. per
duos annos, inceptos ut supra, salario quovis mense ducatos ducantos et deinde singulo mense ducatos centum et triginta usque ad summam sexdecim milium ducatorum de ducatis solutis quos, ut dicitur, remanserunt dari eidem de summa duc. decem milium, quos sanctissimus tunc papa Iulius dimisit pro sepultura conficienda./8v/ Item dictus R.mus Cardinalis Agenensis nomine proprio promisit etc. eidem Michaeli Angelo presenti etc., de suis propriis pecuniis eidem solvere pro opera prefata, ut supra, ducatos sex milia de camera, singulo quoque mense pro rata, post perfectionem solutionis fiende per dictum R.mum Cardinalem de Pucciis. Item dictus R.mus Cardinalis suo nomine proprio pro observatione premissorum, quoad illum ad eius ratam, promisit dare, etc. fideiussorem Bartholomeum Doriam licet absentem et promisit hea michi notario etc. ut publice persone, illum conservare indemnem, etc. Et similiter procuratorio nomine R.mus d.us Cardinalis de Pucciis promisit dare Bernardum de Binis in fideiussorem Cardinalis de Puciis et servare indemnem, etc.. Super quibus, etc. obligavit in forma Camere cum iuramento constitutionis predicte et aliis clausulis consuetis. Actum Rome in palatio dicti reverendissimi d.ni Cardinalis, presentibus dominis Gentile, auditore dicti R.mi d.ni Cardinalis, et Petro de Cesis, et Francisco de Placentio et aliis testibus etc.. Et quia ego Albizus Francisci de Seralbizis, notarius florentinus, de predictis rogatus scripsi etc. /9r/ Die X mensis Iulii 1516 Nobilis vir Bartholomeus Doria mercator Ianuensis, sciens se non teneri ad requisitionem R.mi d.ni Cardinalis Agenensis promisit, etc. dicto Michaeli Angelo presenti, etc. quod dictus R.mus Cardinalis observabit solutionem per eum promissam occasione sepulture conficiende s.mi d.ni pape Iulii premortui, alias de suo proprio, etc. et in effectu obligavit se, iuxta aliam obligationem per eum factam manu Francisci Vigorosi, millesimo quingentesimo tertio decimo, vel alio tempore veriori, unica solutione sufficiente; et obligavit se in forma Camere et iuramento constitutionis: procuratorum et aliis clausulis consuetis, super quibus etc.. Actum in Regione Pontis et in bancho dicti d.ni Bartholomei de Oria, presentibus ibidem Iohanne Iacobo Spinola mercatore Ianuensi, et Leonardo Francisci sellario florentino, et aliis testibus ad premissa vocatis, habitis specialiter atque rogatis. Et quia ego Albizius Francisci de Seralbizis, notarius florentinus de predictis rogatus scripsi etc.. /9v/ Die undecima mensis Iulii 1516 Dominus Bernardus de Binis mercator florentinus sciens non teneri etc., habens notitiam de quadam transactione inter Michaelem Angelum florentinum ex una et R.um d.um Cardinalem Agenensem, tam proprio nomine quam procuratorio R.mi d. Cardinalis de Pucciis ex parte alia, manu mei notarii infrascripti et propterea pro dicto d. cardinali de Pucciis se obligavit iuxta suprascriptam transactionem etiam in forma Camere dicto Michaeli Angelo presenti etc. alias iuxta obligationem alias per eum factam manu Francisci Vigorosi sub die sexta maii 1513, unica solutione sufficiente. Actum Rome in domo dicti Bernardi, in regione Pontis, presentibus Raphaele Auricellario et Bernardo de Paulis et aliis testibus et domino Mateo can(onico) Pontificis. Et quia ego Albizus Francisci de Seralbizis, notarius florentinus et in Archivio Romano matriculatus scripsi. ab, ii-iii, xxviii;
n. 14 (= Contratti 2005, pp. 70-78, n. cfr. Milanesi 1875, pp. 644-648, n. xvi).
Doc. 102 8 luglio 1516: /1r/ De anno Domini a Nativitate MDXVI et die octava mensis Julii pontificatus Sanc.mi D.ni Leonis pape X, anno quarto constituti in presentia infrascripti notarii et testium: R.mus D.nus D.Leonardus Cardinalis Agenen-
sis, nomine proprio et ut procurator R.mi D.ni D. Laurentii de Pucciis Sanctorum Quatuor Coronatorum, executores testamenti felicis recordationis D.ni Julii pape secundi, instituti pro sua futura sepultura conficienda etiam nominibus propriis ex una et Magister Michaelangelus sculptor florentinus ex parte alia de et super sculptura et fabrica dicte sepulture cum infrascriptis pactis et penis devenerunt ad infrascriptam transactionem, videlicet: Imprimis cassarunt quoddam instrumentum convenctionis alias inter dictas partes factum super dicta fabrica, rogatum manu Francisci Vigorosi notarii etc. sub die sexta maii MDXIII, et de novo convenerunt ut infra. Item convenerunt dicte partes quod dictus Michaelangelus teneatur perficere dictam sepulturam infra tempus et terminum novem annorum inceptorum die sexta mensis maii MDXVI. Item convenerunt quod dictus Michaelangelus perficiat opus prefatum infra dictum tempus, secundum novum modellum, figuras et designum ultimo factum per dictum Michaelangelum, cuius novi modelli in dicto instrumento tenor est insertus. Item convenerunt quod dictus Michaelangelus habeat pro sua mercede de salario dicte sepulture et pro omnibus expensis in dicta fabrica conficendis, que sunt facende sumptibus dicti Michaelangeli, ducatos sexdecim milliaria et quingentos auri de camera, solvendos per dictos duos Cardinales certis modo et forma in dicto instrumento expressis. Item dictus Michaelangelus confessus fuit se habuisse et recepisse de dicta summa ducatos tria millia et quingentos. Item dictus R.mus d.us cardinalis Agennensis dictis nominibus promisit concedere gratis et amore dicto Michaeli Angelo unam domum, in dicto instrumento expressam et confirmatam, ad habitandum sine aliqua mercede vel pensione/1v/. Item convenerunt quod, in casu[m] et eventum fortuitum infirmitatis aut propter difficultatem operis, dictus Michaelangelus infra dictum tempus opus perficere non valeret, nihilominus habeat perficere dictum opus declaratione temporis prorogandi R.mi D.ni Cardinalis Agenensis. Item dictus R.mus Cardinalis Agenensis, nomine procuratorio R.mi D.ni Cardinalis de Pucciis, promisit dicto Michaeli Angelo solvere summam septe milium ducatorum, deductis solutis, qui, ut dicitur, remanserunt eidem de summa ducatorum decem millium quos sanctissimus tunc papa Jiulius dimisit pro sepultura conficenda. Item dictus R.mus Cardinalis Agenensis nomine proprio promisit eidem Michaelangelo de suis propriis pecunis eidem solvere pro opere prefato, ut supra, ducatos sex milia de camera, solvendos certis modis et forma in dicto instrumento expressis. Et pro premissis observandis dedit in fideiussore Bartholomeum Dorium et pro R.mo Cardinale de Puciis stetit fideiussor D.us Bernardus de Binis. Pro quibus observandis dicte partes se obligaverunt in ampliori forma Camere cum iuramento, constitutione procuratorum et alis clausulis consuetis, de quibus rogatus fuit Ser Albizus Francisci notarius florentinus. /2v/ Summario della convenctione et obligo facti intra li executori del testamento di papa Julio et M.o Michelagniolo sculptore sopra la fabrica della sepultura del prefato papa Julio. ab, ii-iii, xxix).
n. 15 (= Contratti 2005, pp. 79-80, n.
Doc. 103 15 luglio 1516 Argentina Malaspina Soderini in Roma a Lorenzo Malaspina marchese di Fosdinovo [in Fosdinovo] [...] La causa di questa è che maestro Michelangelo, scultore e molto amato dal mag(nifi)co mio consorte, et è persona tanto da bene, costumato et gentile et tale che non crediamo che sia hogi in Europa homo simile a lui, è venuto a Carrara per lavorare certa quantità di marmi. Desideramo assai che la S. V. el facci visitare, et per parte nostra li offerite tucto quel potite a beneficio suo; et havendo bisogno, lo recommandiate al marchese Albericho. [...]
ab, xii,
n. 2 (= Carteggio indiretto 1988, i, p. 51, n. 33; cfr. Carteggio 1965-83, i, p. 188, n. cxlvii).
Doc. 104 18 luglio 1516 Bonifico di trecento ducati a Firenze E adì xviij di luglo ducati trecento d’oro jn oro larghj per tantj li facemo lettera per Firenze a Zanobi del Bianco et Bartolomeo da Enpolj e C., postj «avere» jn questo, c. 17. [...] f ccc vij s. xiij∙vjo asf, elb,
n. 74, f. 29 sinistra (Hatfield 2002, p. 406, R 207). Doc. 105 23 luglio 1516, mercoledì Lodovico Buonarroti in Firenze al figlio Michelangelo in Carrara [...] Io rischossi e’ chontratti, e non te gli ò mandati perché schrivesti non te gli mandassi. [...] ab, xxiii, n. 4 (= Carteggio 1965-83, i, p. 187, n. cxlvi).
Doc. 106 29 luglio 1516 Antonio da Pratovecchio in Firenze a Giansimone Buonarroti [in Settignano] [...] Non ho facto prima risposta a dua tua lettere perché aspectavo di farti intendere la venuta di Michelangnolo, che di dì in dì s’aspectava. Hora lui è venuto, et giu[n]se a dì 28 del p(rese)nte, et per anchora non è uscito di casa per non havere panni, s(eco)ndo che oggi ho inteso da Buonarroto. Oggi mi dice che s’è tagliato uno farseto (et) altre veste. Io non ho potuto ritrare nulla come le cose vanno, [...]. ab, xxviii,
52, n. 34).
n. 51 (= Carteggio indiretto 1988, i, p.
Doc. 107 7 agosto 1516, giovedì Pier Soderini in Roma a Michelangelo in Firenze Michelangnolo carissimo, in questa [v]i si ma[nda] le lectere, e areno piacere asai vi faccino il servitio disiderate. Se altra cosa possiamo fare che vi piaccia, la fareno sempre volentieri, per l’amore delle virtù vostre e bontà. [...] ab, xi,
n. 701 (= Carteggio 1965-83 i, p. 188, n.
cxlvii).
[Alla lettera era allegata quella riportata in Doc. 103] Doc. 108 9 agosto 1516, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] E vi priegho istiate nella buona fantasia che voi sete di finire questa opera per fare bug[i]ardi quegli che dichono che voi ve ne siate andato e che non si finirà. E fate buono animo, ché Dio aiuta chi s’aiuta, e non dubitate di nulla. Chavai le fighure dell’orto sane e messile drento, e ò fatto murare la porta, e ogni chosa sta bene; e di qua non ne abiate pensiero nesuno. [...] ab, ix,
n. 385 (= Carteggio 1965-83, i, p. 190, n.
cxlviii).
Doc. 109 26 agosto 1516, martedì Iacopo d’Antonino di Maffiolo, detto Caldana, in Carrara a Michelangelo in Firenze Maestro Michelangelo mio honorando, ho inteso che da Roma sietivi transferito a Firenza, ch’io ne ho habuto et ho summa iubilatione. Bisognandovi cosa alcuna di qua, né marmi né altro ch’io possi, comandatimi, ch’io sono et mi offero servirvi di core. E bisognando, venerò là a trovarvi, perché ho di cavato di belle prete, sino a la misura di quindeci braccie. [...] ab, ix, cliii).
n. 377 (= Carteggio 1965-83, i, p. 195, n.
Doc. 110 29 agosto 1516
Ricordo di Michelangelo Io Michelagniolo ò ricievuto oggi, questo dì penultimo d’agosto nel mille cinque cento sedici, da Lanfredini di Firenze ducati cinque cento larg[h] i, e oggi octo dì n’ebbi mille, che sono in tucto mille cinque cento larg[h]i, e’ quali m’à facto pagar qua Bernardo Bini pel sopra decto conto, cioè ducati mille cinque cento larg[h]i. Fini’ riscuotere il penultimo dì d’agosto nel mille cinque cento sedici pe sopra decto conto. ab, i,
n. 2 (= Ricordi 1970, p. 4, n. v).
Doc. 111 5-15 settembre 1516 Ricordi di Michelangelo /1r/ Richordo come oggi, questo dì cinque di sectenbre, g[i]unsi in Carrara nel mille cinque sedici. E a dì secte del decto mese tolsi a·ppigione una casa di Franc(esc)o di Pelliccia. E a dì quatordici del decto prestai al decto Franc(esc)o di Pelliccia ducati venti larg[h]i, come appariscie per una sua scricta. E a dì quindici del decto prestai al Mancino, figliolo di G[i]ampagolo di Chag[i]one, e a Becto di Nardo suo chompagnio ducati tre larg[h]i in sulla porat della chiesa di Charrara, presente Macteo di Chucherello, chon chonditione che, chavando loro marmi al mio proposito, io ne pigliassi, e andassino in quel chonto e, nol faccendo, me gli avessino a rendere. ab, i,
n. 4 (= Ricordi 1970, pp. 12-13, n. xi).
Doc. 112 22 settembre 1516, lunedì Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Carrara [...] Messer Francesco à viste tutte le vostre lettere e referito al Chardinale, e sta di bonissima vogl[i]a e vi si rachomanda [...]. [...] ab, ix, clvii).
n. 389 (= Carteggio 1965-83, i, p. 199, n.
Doc. 113 28 settembre [1516?], domenica Michele di Piero in Pietrasanta a Michelangelo in Carrara [...] So’mi abatuto a una chosa buona pre bo[n] tà di marmo: ò chomi[n]c[i]ato a fare dua tagl[i] ate in ulna lu[n]g[h]eza di venti bracia e groseza d’uno brac[i]o e mezo; e la larg[h]eza mi bisogna tagl[i]àla a la mia misura, preché e’ l’e[n]tra soto l’atri marmi e no’ poso vedere el fine de la sua larg[h]eza. E questa mi pare n(o)nula a le chose gra[n]de che si vegono, chosì di gra[n]deza chome di beleza. Pre quelo che io ci chonoscho, voi vi potresti servire cho presteza, [c]icrecha del vostro bisogno del marmo, solo in questo maso dove io chavo questo Apostolo. [...] ab, ix,
clviii).
n. 528 (= Carteggio 1965-83, i, p. 200, n.
Doc. 114 [Fine settembre 1516] Michelangelo in Carrara al padre Lodovico in Firenze [...] Delle chose mia di qua per anchora non ò facto niente. Ò messo a chavare in molti luog[h]i e spero, se sta buon tempo, infra dua mesi avere a ordine tucti e’ mia marmi. Dipoi piglierò partito di lavorargli o qua o a Pisa, o io me n’anderò a·rRoma. Qua sarei stato volentieri a·llavorargli, ma mi c’è stato facto qualche dispiacere; i’ modo che io ci sto con sospecto. [...] bm, i,
Add. Ms. 23140, c. 39 (= Carteggio 1965-83, p. 201, n. clix).
Doc. 115 11 ottobre [1516?], sabato Michele di Piero in Pietrasanta a Michelangelo in Carrara [...] Io truovo di grandi pezi di marmi b[i]a[n]chi e begli, e no’ s’areb[o]no se none abozare a le vostre misure. [...]
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Michelangelo. Il marmo e la mente
ab, ix, clx).
n. 529 (= Carteggio 1965-83, i, p. 202, n.
Doc. 116 11 ottobre 1516, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Carrara [...] El Chardinale è fuora chol Papa: chome ci sarà, farò l’opera, bene che lui n’è sichurisimo. Non bisogna mi richordiate la chasa; e stane di buona vogl[i]a, ché, chome per altre mia v’ò detto, le dua fighure stanno bene, che sono murate e in chasa non viene nesuno, e qualchuno che me n’à dimandato, e de’ più stretti, ò detto voi le soterasti e murasti [...]. ab, ix, clxi).
n. 390 (= Carteggio 1965-83, i, p. 203, n.
Doc. 117 17 ottobre 1516, venerdì Baccio da Montelupo in Firenze a Michelangelo in Carrara Carisimo e magiore mio, solo per avisarvi come io ebi una vostra la quale m’avisava come Cucarelo sì si duole di me e di voi. Io v’aviso che, se vi ricorda bene, che voi facesti una iscritta t[r]a lui e me, ed èvi malevadore Guido e u’ coiaio come io gli lasai u’ numero di ducati e lasa’gli u’ numero di misure di marmi m’aveva a fare per tanto tempo; e che voi m’avesi a dare qua sù certe figure avate voi di suo, per questo conto. [...] ab, ix,
clxiii).
n. 558 (= Carteggio 1965-83, i, p. 206, n.
Doc. 118 1 novembre 1516 e 7 aprile 1517, Carrara Francesco Pelliccia rilascia una quietanza per cento scudi ricevuti da Michelangelo per cavare quattro figure /1r/ In nomine Domini Amen. Anno Nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo decimosexto indictione IIII die prima novembris. Francesco che fu di Giovan Andrea di Pellicia da Bidizano, existente et personalmente constituito dinanci a me notario infrascripto, non per forza, inganno o paura overo per alcuna altra machinatione circumvenuto, ma di sua spontanea voluntà et certa scientia d’animo et non per alcuno errrore [sic] di ragione o di facto, per questo presente publico instrumento et con ogni altro migliore modo, via, ragione et forma, con li quali lui meglio ha potuto et può, per sé et suoi heredi, ha confessato et publicamente ha dichiarato lui havere hauto et riceuto realmente et intieramente dallo excellente homo m.o Michelangiolo, figliolo di Ludovico Buonarota, sculptore et citadino fiorentino, presente et stipulante per sé et suoi heredi, ducati cento d’oro in oro larghi di buono et iusto peso. Delli quali dicto Francesco ne hebbe ducati venti d’oro inanci alla celebratione del presente instrumento, sì come el si dice constarne per una scripta privata, scripta per mano di Sanctino, figliolo di dicto Francesco, la quale il prefato m.o Michelangiolo rese et restituì al dicto Francesco lì, de presente, ita che da qui inanci sia cassa et cancellata. Et il resto et compimento di dicti ducati cento, videlicet ducati octanta, il prefato m.o Michelangiolo diè, paghò, numerò et exbursò in tanto oro in questo medesimo loco, presenti et vedenti me notario et testimonii infrascripti; delli quali ducati cento pagati in quel modo et forma che di sopra, dicto Francesco si chiamò ben pagato tacito et contento, renuntiando lui alla exceptione di non havere hauto et riceuto dal prefato m.o Michelangiolo dicti ducati cento in quel modo et forma che di sopra. Li quali ducati cento sono per principio et parte di pagamento di figure quatro di marmoro di alteza per ciascheduna braccia quatro e mezo, et per ogni verso della sua largheza bracia due et uno terzo, così etiandio per ogni verso della sua grosseza braccia due et uno terzo, equalmente abozando dicto Francesco col picone dicte figure quanto si conviene in quella parte che a dicto m.o Michelangiolo parerà: apreciata ciascheduna de dicte figure fra esse parte, di commune con-
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Documenti
cordia, ducati diciotto d’oro in oro larghi; item et di figure quindici di alteza /1v/ per ciascheduna braccia quatro et un quarto, et largha et grossa secondo richiedono le loro proportione: apreciata ciascheduna di dicte figure fra esse parte, di comune concordia, ducati octo d’oro in oro larghi. Le quale figure quatro et le quindici, come di sopra, dicto Francesco ha promisso per sé et suoi heredi al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, remosso ogni exceptione di ragione et di facto, di farle del più bello et del più bianco marmoro della sua cava, che sia vivo, bianco et necto di vene et di peli et senza macula nessuna, simile al saggio lui portò al dicto m.o Michelangiolo, et alla misura et precio che di sopra he dicto e dichiarato, abozandole ut supra; et de ogni due mesi in ogni due mesi, incominciando a dì suprascripto, consignarle facte al prefato m.o Michelangiolo inel canale existente a piè di dicta cava: una di dicte figure quatro, di alteza braccia quatro e mezo ut supra, et tre delle dicte figure quindici, di alteza braccia quatro et uno quarto ut supra; sempre così seguitando et consignando di due mesi in due mesi ut supra, per insino alla fine del numero di dicte figure. Le qual cose et singole suprascripte dicto Francesco ha promisso al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, attendere et observare et in alcuna cosa delle predicte non contrafare né venire per lui o per altri per alcuna causa etc.. Sotto la pena del doppio etc.. Ancora rifare, restituire et emendare al prefato m.o Michelangiolo ogni et singuli da(m)ni, spese et interessi che accadessino in lite o fuora de lite, obligandoli per ciò ogni suoi beni che Francesco ha et spera di havere etc. Renuntiando ancora esso Francesco alla exceptione del dolo, alla condictione sine causa actionis in factum, et generalmente a ogni aiuto di lege et di statuti con li quali esso Francesco si potesse difendere et venire contra alle predicte cose etc. Actum Carrarie in domo dicti Francisci posita in burgo Carrarie ab imo platee communis, in qua prefatus magister Michaelangelus ad presens habitat, presentibus Terrentio olim Jo. Michaelis de Sancto Terrentio et Johanne Dominico olim Pasquini de Tenerano, habitatore Carrarie, testibus/2r/. Ego Galvanus olim Ser Nicolai Ser Thome de Carraria, publicus apostolica imperialique autoritate notarius et iudex ordinarius, predictis omnibus et singulis, ut prefertur, una cum suprascriptis testibus interfui et ea rogatus scribere scripsi et in presentem publicam formam redegi. In quorum fidem et robur me hic propria manu subscripsi signumque meum tabellionatus consuetum apposui. Verum quia in margine pagine contrascripte, supraddite fuere ille tres dictiones videlicet: incominciando a dì suprascripto, quod quidem non vicio aliquo sed calami errore preternissum fuit. Ideo ad omnem vicii suspitionem auferendam de illis mentionem feci. Post predicta die 7 aprilis 1517. De voluntate, presentia et auctoritate prefati m.i Michaeli Angeli et dicti Francisci cassum et cancellatum fuit suprascriptum instrumentum per me notarium infrascriptum eo quia comuni concordia dictus m.r Michelangelus fuit confessus habuisse a dicto Francisco ac sibi restitutos fuisse supradictos ducatos 100, videlicet 50 ante presentem cassationem, prout constat privata scriptura manu dicti m. Michaelis Angeli et duc. 50, quos dictus Franciscus dedite eidem in aurum Sub etc.; renuntiantes etc. Actum in apoteca dicti Francisci posita in imo platee, presentibus Santino Pedruccioni de Carraria et Lazarino de Bidizano testibus. ab, ii-iii, n. 32; cfr. asm, Notarile di Carrara, busta n. 5, anni 1516-1518, c. 81r-v. Libro delle imbreviature del notaio della Lunigiana Galvano Parlanciottom (= Contratti 2005, pp. 81-83, n. xxx; cfr. Frediani 1837, pp. 75-78, n. v; Milanesi 1875, pp. 652-653, n. xviii; Rapetti 2001, p. 29 n. 36).
Doc. 119 18 novembre 1516, Carrara Bartolommeo di Giampaolo detto Mancino da Car-
rara si obbliga a cavare marmi per Michelangelo nella cava del Polvaccio /1r/ Sia noto come oggi, questo dì dic[i]octo di novenbre mille cinque cento sedici, Bartolomeo decto Mancino, figliolo di G[i]ampagolo di Chagione da Torano, à venduto a ∙ mme Michelagniolo, schultore fiorentino, pezzi tre di marmo bianchi e begli, e’ quali lui à chavati al presente al Polvaccio nella sua chava. E el maggiore pezzo è lungo circha braccia cinque e grosso circha a tre o dua e mezo per ogni verso, gli altri dua sono circha quatro charrate l’uno, pur bianchi e necti, e lung[h]i, l’uno braccia quatro e largo braccia circha tre e grosso circha un braccio overo dua palmi, e questo è spichato dal pezo grosso sopradicto, l’altro è braccia tre e mezo e per ogni verso di grosseza circha dua overo uno e mezo, per ducati dodici; e’ quali io Michelagniolo sopradecto gli ò pagati oggi, questo dì sopradecto. E lui, cioè el decto Mancino, chonfessa avergli ricievuti e di ciò si chiama contento. Anchora chonfessa il decto Mancino avere ricievuti da ∙ mme Michelagniolo, oltre a’ dodici duchati sopradecti, ducati venti d’oro larg[h]i, e’ quali io ne lo servo perché lui si mecta a chavare nella sopradecta cava del Polvaccio, dove lui à chavati e’ pezi decti che io ò comperati, e mandi giù una certa pietra grande che lui à schoperta, nella quale, per quello che si vede di fuora, è grosseza di braccia quatro e per larg[h]eza el simile e per lung[h]eza braccia octo e dieci. E non si mectendo a chavare la decta pietra infra un mese, s’obriga el decto Mancino restituirmi e’ venti ducati che io gli ò dati oggi, questo dì decto: ciò non chavando la decta pietra e chavandola, io gli promecto torne una certa quantità, sendovi le mia misure, e sendo begli. E non sendo così, s’intenda che io debba torne tanti marmi a mia scielta per iusto prezo, che io mi pag[h]i de’ venti ducati che lui à ∙ rricievuti. E perché nelle sopradicte pietre che io ò comperate si vede qualche pelo, il decto Mancino promecte, quando mi facessino danno, sodisfarmi negli altri marmi che e’ mi venderà. Anchora perché e’ decti tre pezi che io ò comperati sono in sul ravaneto della sua cava decta, lui, i[l] decto Mancino, s’obriga mandargli giù nel canale e sodisfarmi, se lui gli rompessi mandandogli giù, overo mandando giù gli altri marmi che lui caverà. Anchora promecte, quando m’acadessi per bozare mia pietre, prestarmi pali, martelli e altre cose necessarie. E per fede del vero, perché el decto Mancino non sa scrivere, farà scrivere in suo nome qui di socto maestro Domenicho, scultore fiorentino, come lui à ∙ rricievuti e’ sopradecti danari, e chome acciecta ciò che in questa è scricto, presente testimoni che si soctoscriverranno. Ancora il decto Mancino s’obriga non dare a altri de’ marmi che lui chaverà, facendo per me. Io maestro Domenicho di Sandro fiorentino, ischul[t]ore, a preg[h]iera di Mancino sopradecto, perché no sa iscrivere, in suo nome afermo quando di sopra si chontiene, e chome testimone afermo chome di sopra è detto. E io Stefano di Giovanbatista Ghuerrazi, come testimonio, schrivo questo verso a quanto di sopra è ditto. /1v/ Sia noto chome el Mancino da Torano decto oltre a tre pezzi di marmo, che io Michelagniolo chonfesso in questa avere ricievuti da ∙ llui, overo lui avermi chonsegniati e io pagati, chome aparisce per questa. ab, ii-iii, xxxi;
n. 33 (= Contratti 2005, pp. 84-85, n. cfr. Milanesi 1975, p. 654, n. xix).
Doc. 120 21 novembre 1516, venerdì Domenico Buoninsegni in Roma a Michelangelo in Carrara [...] E dipoi anchora voi scrivesti a·mme el medesimo contenuto, diciendo che male vi possevi partire di chostà, che vi rimettevi a Baccio; e che quando chostoro volessino pigl[i]are li marmi di chostì, che avevo chomodo averne assai di quelli che non servivon per voi [ i. e. per la sepultura di papa Giulio II] di e che servirebbono per la facciata. A·cche vi risposi che chostoro avevono af-
fezione alli marmi di Pietrasanta [...]. ab, vi, n. 96 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 219-220, n. clxxiii).
1517 Doc. 121 2 gennaio 1517 Ricordo di Michelangelo Io Michelagniolo ò avuti oggi, questo dì dua di giennaio mille cinque cento sedici, da·lLanfredino Lanfredini e chompagni di Firenze duchati quatro cento larg[h]i d’oro, e’ quali riceve per me Buonarroto mio fratello per una di chanbio di Bernardo Bini di Roma. ab, i,
n. 2 (= Ricordi 1970, p. 4, n. v).
Doc. 122 2 gennaio-14 agosto 1517 Ricordi di Piero Urbano per Michelangelo della pigione pagata stando in casa di Francesco Maria /1v/ Io Piero Urbano tengo chonto de’ danari che io spendo per Michelagniolo. E dì 22 di gennaio 1517 entrò Michelagniolo in chasa di Francescho Maria a pigione: l’à tolta da m.a Vegniuta che gliene dà uno schudo al mese. [seguono altri sei simili ricordi] ab, xii,
n. 31 (= Ricordi 1970, p. 13-14, n. xii).
Doc. 123 3 gennaio 1517, Carrara Iacopo di Piero da Torano e Antonio d’Iacopo da Puliga si accordano con Michelangelo per cavare marmi al Polvaccio /1r/ Sia noto chome io Michelagniolo, schultore fiorentino, ò allogato oggi, questo dì tre di gennaio mille cinquecento sedici, a Iachopo di Pietro di Guido da ∙ cTorano e Antonio di Iachopo da Puliga figure quatro, cioè quatro pezi di marmo, alti l’uno braccia quatro e un quarto e bozati chol pichone, in que’ modi che io darò loro le misure, i[n] modo che l’uno sarà carrate quatro. E obrigansi i decti, cioè Iachopo e Antonio, chavargli nella loro chava al Polvaccio d’una certa sorte marmi che e’ v’ànno, che è simile a un pezo di tre carrate che e’ ne chavorno a maestro Domenicho fiorentino, el quale è in sulla piaza de’ Porci; e obrigansi darmi al pezo, posto in sulla piaza de’ Porci, per ischudi dieci; e obrigansi non actendere a altro che servirmi de’ decti pezi. Anchora s’ obrigano, volendo io una quantità di marmi, non potere lavorare per altri che per me, per g[i]usto prezo, tanto che io sia servito. E del prezo delle sopradicte pietre io Michelagniolo do loro ogi, questo dì detto, schudi sedici, e chosì loro chonfessano avere ricievuti; e per fede del vero si soctoscriverranno di loro propia mano. E perché loro non sanno scrivere, fanno scrivere per loro maestro Domenicho scultore fiorentino. Io Domenicho di Sandro, fiorentino, perché e’ sopradetti no sapere ischrivere, iscrivo per loro; e sono testimono chome si contiene in questa, ène la verità. Io Raffaello di Nicholò, fiorentino, fo fede chom’io che testimonio, fo fede chome c[i]ò, che si cho[n]tene in questa, è la verità. /2v/ Scricta di Leone e ‘l compagnio. ab, ii-iii, n. 34 (= Contratti 2005, p. 86, n. xxxii; cfr. Milanesi 1875, p. 655, n. xx; Barocchi 1962, p. 59: facciata di San Lorenzo).
Doc. 124 Febbraio 1517, Carrara Libello di Michelangelo contro Iacopo da Torano e Antonio da Puliga scalpellini, che si erano obbligati a cavar marmi per lui […] Constitutus in iure et coram vobis prefato d.no Vicario pro tribunali sedente etc. Michaelangelus olim Ludovici Bone Rote, civis florentinus et Sedis Apostolice Archimagister, sculptor, qui suo proprio et privato nomine pro declaratione et iustificatione iurium suorum dicit, narrat et esponit, qualiter de anno presenti 1516 secundum cursum et consuetudinem civitatis Florentie, et 1517 secundum cursum et consuetudinem Lu-
nigiane, sub die tertia ianuarii proxime preteriti ad eius instantiam, petitionem et requisitionem Jacobus olim Petri Guidi de Torano et Antonius olim Jacobi de Pulega, habitatores Torani, promiserunt et simul se obligaverunt effodere, abbozzare et piconizare eidem Archimagistro Michaelangelo quatuor lapides carratarum quatuor pro singulo lapide marmoris eorum cavee seu effodine dal Polvacio, pertinentia Torani, pro conficiendis seu sculpendis quatuor figuris modis, formis, mensuris et pro precio contentis et que continentur in quadam appodixia, sive scriptura privata, facta, scripta et notata manu propria prefati Archimagistri Sculptoris, et subscripta duobus testibus fide dignis contentis et subscriptis in eadem appodixia. Quam quidem appodixiam idem Archimagister pro liquidatione predictorum et infrascriptorum iurium suorum exhibet et producit coram vobis d.no Vicario pro tribunali sedente et etc. Item dicit, narat et exponit idem Archimagister Michaelangelus, qualiter dicti Jacobus et Antonius sese simul obligaverunt /1v/ et promiserunt nil aliud facere, operari aut laborare in dicta eorum cavea seu effodina marmoris aut alibi, donec et quousque ipsi non effodissent, piconizassent et conduxissent predictas quatuor lapides sub platea Porcorum Carrarie, modis, formis, mensuris et pro pretio contentis in eadem appodixia seu scriptura privata scripta et subscripta, exhibita et producta ut supra. Item dicit, narrat et exponit idem Archimagister, qualiter nomine arre et pro principio solutionis pretii dictorum quatuor lapidum idem Michaelangelus Archimagister dedit, numeravit et exbursavit realiter et cum effectu eisdem Jacobo et Antonio scutos sexdecim auri a sole, prout constat et clarissime apparet ex predicta, exhibita et producta, ut supra, ex predicta appodisia seu scriptura privata, scripta et subscripta. Item dicit, narrat et exponit idem Archimagister Michaelangelus, qualiter predicti Jacobus et Antonius neglexerunt, prout modo negligunt, velle observare et manutenere pacta et convenciones factas inter prefatum Archimagistrum et ipsos et contra omne ius et iustitiam et contra bonos mores et in maximum damnum, detrimentum, perditam et preiudicium ipsius Archimagistri, qui culpa, deffectu et negligentia predictorum Jacobi et Antonii hucusque damnificatus est in ducatis ducentis auri latis et plus occaxione eius temporis ammissi et pro aliis extraordinariis expensis, per ipsum factis, eorum culpa et deffectu; et eo maxime /2r/ quia, si dicti Jacobus et Antonius uti voluissent ea sollicitudine qua debuissent et potuissent, effodissent, piconizassent et conduxissent sub predicta platea Porcorum dictos quatuor lapides intra bimestrem seu intra duos menses ad plus, prout probabitur, si expediet, quod fuit et est in maximum damnum et preiudicium ipsius Archimagistri Michaelangeli et contra pacta et conventiones contentas in dicta appodixia seu scriptura privata, scripta et subscripta exhibita et producta, ut supra, et successive contra seriem, forman et tenorem statutorum Curie vestre de huiusmodi materia loquentium: que statuta idem Archimagister allegat et producit in parte et partibus et etc. Idcirco ne de predicts dicti Jacobus et Antonius ullo unquam tempore pretendere valeant ignorantiam aut aliam excusationem allegare eo quod non fuerit eis aut alteri eorum intimatum, notificatum et protestatum, idem Archimagister Michaelangelus omni meliori modo, via, iure et forma etc. in hiis scriptis solemniter protestatus fuit et protestatur contra dictos Jacobum Petri Guidi et Antoniun Jacobi, citatos per numptium publicum Curie vestre, prout retulit et refert: videlicet contra dictum/2v/ Jacobum Petri Guidi citatum personaliter et dictum Antoniun Jacobi citatum per proclama et ad domum, secundum formam preallegatorum statutorum vestrorum loquentium de citatione absentis fienda; et protestatur contra ipsos et quemlibet eorum de omnibus eius damnis expensis et interesse, quomodocunque et qualitercunque passis et in futurum patiendis, tam in iuditio quam extra, occaxione predicta, et de temporis sui ammissione, et de inobservatione predicte appodixie seu scripture
private, scripte et subscripte et producte, ut supra, et non tantum dicto modo, sed etiam omni alio meliori modo et etc. […] ab, ii-iii, nn. 35, 36 (= Contratti 2005, pp. 87-89, n.
xxxiii;
cfr. Milanesi 1875, p. 655, n. xx).
Doc. 125 2 febbraio 1517, lunedì Domenico Buoninsegni in Roma a Michelangelo in Carrara Carissimo mio Michelagnolo, io mi truovo tre vostre lettere, riscievute tutte a uno tratto, una delli xiiii e l’altra delli xv e l’altra delli xxviii del passato. Le due prime sono fatte a Charrara e l’ultima è fatta a Firenze. Per le quale vedo el seghuito: el che tutto ò referito al Chardinale et al Papa. E ogni chosa piacierebbe loro, salvo che mi pare che si tenghino assai male satisfatti di voi circha le chose delli marmi di Pietrasanta; perché so sapete la ampla chomissione che ve ne dettono, e chome per l’opere loro, per chosa del mondo, non volevono delli marmi di Charrara, ma vogl[i]ono che si tiri inanzi le chose di Pietrasanta. [...] E che per l’opere sue di Firenze, e per questa qui di San Piero, vuole di quelli di Pietrasanta a ogni modo, se bene e’ dovessino costare el doppio di quelli di Charrara. E questo perché à deliberato d’aviare quel maneggio a Pietrasanta, benché, secondo la relazione di Iacopo e delli altri, chosteranno meno quelli che pigl[i]andoli da Charrara. E però, Michelagnolo mio, io non vorrei a modo alchuno che voi avessi aver di questa chosa el mal grado da chostoro, perché sapete con quanta affezione el Papa di boccha, e chosì el Chardinale, vi racchomandò questa chosa. E avertite che un pocho di vostro chommodo, di volere di chotesti di Charrara per esser voi chostì in sulle chave aviate, e per non volere patire un pocho di disagio di quelli di Pietrasanta, non v’abbia a far danno: ché sapete che chostoro sono poi sdegnosi. E non ch’altro, loro non vorrebbono che anche voi pigl[i]assi di chotesti per la sepultura di papa Iulio; benché a questo ò detto loro che vi sarebbe troppo danno l’aver a perdere tempo, tanto che l’aviamento fussi del tutto fatto a Pietrasanta. A·cche mi replichorono aver nuove che a Pietrasanta n’era discoperto tanti, e chosa optima, che potresti anchora servirvi di quelli; e che dovessi scrivervene, benché el Chardinale m’à detto volervene anchor lui scrivere. [...] ab, vi, n. 100 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 245246, n. cxcv). Doc. 126 7 febbraio 1517, Carrara Confessione e quietanza fatta da Michelangelo a Bartolommeo detto Mancino per marmi avuti da lui /1r/ Sia noto come addì dic[i]otto di nove(m)bre mille cinque cento diciassecte Bartolomeo decto Mancino, figliolo di Giampagolo di Chagione da ∙ cTorano, a ∙ mme Michelagniolo, schultore fiorentino, vendé e chonsegniò in sul ravaneto della sua cava al Polvaccio pezzi tre di marmo: l’uno lungo braccia circha cinque, e circha dua e mezo per insino in tre grosso per ogni verso; l’altro spichato da questo sopradecto della medesima lung[h]ezza e larg[h]eza, salvo che per grosseza non è più che un braccio o dua palmi nel manco; l’altro è braccia tre e mezzo lungo e la grosseza per ogni verso circha braccia dua o vero uno e mezo. E decti tre pezzi mi decte per duchati dodici d’oro larg[h]i: tre gnien’ avevo dati inanzi, perché egli cavassi e’ detti pezi, e poi, chavati, gli decti el resto per insino in dodici; e prestai el medesimo dì al decto Mancino, oltre a’ dodici ducati decti, ducati venti d’oro larg[h]i, perché lui mandassi giù, overo chavassi, certi altri pezi di marmo, con questa chonditione che, chavandogli e e’ mi piacessino, io ne dovessi torre a mia scielta tanti che io mi pagassi de’ venti ducati e quel più che mi parea. Ora il decto Mancino à finito di chavare e mandar giù oggi, questo dì secte di febraio, i decti pezi, cioè à chavato e mandato giù appiè del suo ravaneto, questo dì decto di febraio, di nuovo pezi quatro di marmo: l’uno è lungo braccia circha sei e largo braccia dua e mezo e grosso circa dua, l’altro è lungo circha cinque braccia e pocho mancho che dua per ogni verso, l’altro è una lapida grossa un braccio e quarto e larga circha tre e lunga qua-
tro, l’altro è un cioctolo circha tre braccia lungo, e dua per ogni verso; che sarebono questi quatro pezi, cho’ tre chomperati inanzi soprascricti, pezzi secte. Ma perché nel venire giù uno di questi à rotto uno di quegli com(per)ati e pagati di sopra, e fattone dua, vengono a essere octo pezi. E di questi quatro ultimi pezzi, che gli à mandati giù ora del decto mese di febraio, del prezo loro il decto Mancino l’à rimessa in Baldassarre di Chagione e in maestro Domenicho, schultore fiorentino; e ànno g[i]udichato che io gli debba dare, oltre a venti duchati che io gl[i] prestai, duchati quatro, che così sono ben pagati. E chosì gli ò dati e’ decti quatro duchati, che viene avere in tucto ducati trenta sei in più volte, come è decto, de’ decti octo pezzi di marmo. E chiamasi contento e sodisfacto da ∙ mme per insino a questo dì decto. E chonfessa avere ricievuti e’ decti danari. E decti octo pezzi di marmo m’à consegniati a piè del suo ravaneto e segniati col mio segnio. Mi chiamo contento e sodisfatto da lui per insino a questo dì. E perché el decto Mancino dice non sapere scrivere, Baldassarre e maestro Domenicho dicti, che ànno g[i]udichato, per fede della verità si soctoscriveranno in questa pel decto Mancino. ab, ii-iii, xxxiv;
n. 37 (= Contratti 2005, pp. 90-91, n. cfr. Milanesi 1875, p. 658, n. xxii).
Doc. 127 7 e 21 febbraio 1517 Convenzione di Michelangelo con Lionardo detto Cagione da Carrara per cavar marmi /1r/ Sia noto chome Lionardo, decto Chagione d’Andrea di Chagione da Charrara, à chavato una pietra nella sua cava a∙mme Michelagniolo, scultore fiorentino, nella quale s’obriga bozzare, sechondo le misure che io gli darò, una figura di braccia quatro e un quarto overo di braccia quatro e mezo, la quale sarà charrate quatro, e obrigasi darmela posta in sulla piaza de’ Porci di Charrara a ∙ ctucte sua spese per ischudi dieci; e obrigasi darmela nel decto luogo infra quindici dì, chominciando oggi, questo dì secte di febraio mille cinquecento diciassecte. E io Michelagniolo decto gli do oggi, questo dì decto, della decta pietra e’ dieci schudi di chontanti, e ‘l decto Chagione se ne chiama pagato e chontento, chome in questa si soctoscriverrà di sua propia mano. Anchora io Michelagniolo gli do, oltre a’ dieci scudi della sopradecta pietra, cinque altri schudi, acciò che lui seguiti di chavare nel medesimo luogo, e chavando pietre belle a mia misura, non le possa dare a altri che a me per iusto prezo, e non chavando, m’abi a sodisfare de’ cinque schudi di tanti marmi a mia scielta. E per fede di ciò, chome è decto, lui in questa si soctoscriverà di sua mano. Io Lunardo, dito Chasone, chomfeso avere receuti e’ s(oprascritt)o denari, e obligomi a quanto in questa si chomtiene. E per fede di ciò mi sono s(ottoscritt)o di mia mano, questo dì s(oprascritt)o. E più ò receuti oze, in questo dì vinti uno di febraio 1517, schudi cinque dal dito Mic[h]ele Amgelo, per farli una altra figura de la s(oprascritt)a mesura e porla in lo s(oprascritt)o locho per lo s(oprascritt)o precio. ab, ii-iii, n. 38 (= Contratti 2005, p. 92, n. xxxv; cfr. Milanesi 1875, p. 659, n. xxiii).
Doc. 128 12 febbraio 1517 Compagnia tra Michelangelo e Lionardo di Cagione in una cava di marmi /1r/ Sia noto chome, avend’io a fare per chommessione di papa Leone decimo, fiorentino, una quantità di marmi per la faccia di San Lorenzo di Firenze, e trovandomi a Charrara per altri mia lavori e per questo, e cerchando io Michelagniolo, schultore fiorentino, de decti marmi e avendomi mostro Lionardo, decto Chagione d’Andrea di Chagione di Charrara, una sua cava anticha, dove si potrebe fare grande aviamento, m’è parso da farvelo per cavare e’ decti marmi. E avendo il decto Chagione caro far mecho chompagnia nella decta cava e io secho, ci siàno achordati oggi, questo dì dodici di febraio mille cinque cento diciassecte, e abiàno facto compagnia insieme: intendendosi stare a meza la spesa e a meza l’utilità, tenendo io tanti
uomini a∙llavorare per me, quanti il decto Cagione ne terrà lui per sé nella decta cava. E promectesi l’uno all’altro avere a durare la decta chompagnia tanto che io sia fornito di tucti e’marmi che io ò bisognio per l’opere sopra dicte, non achadendo o morte di papa o d’altri o guerre o mia infermità o chose che dieno noia, e riusciendo e’ marmi begli e recipienti alle cose che ò da fare. E’ prezzi che noi pogniamo alle pietre saranno scricti qui di socto, e Chagione soprascricto, chome d’achordo abbiamo facto i decti prezzi, e chome è conten[t] o della decta chompagnia, per fede della verità in questa si sotoscriverrà di sua mano propia. E’ prezzi de’ marmi: un pezo di carrata, scudi dua; un pezzo di dua charrate, scudi quatro; um pezo di tre charrate per insino in quatro, schudi dua e mezo la charrata; e da quatro per insino in sei charrate, scudi tre la carrata; e da sei per insino in octo carrate, schudi quatro la charrata; e da octo per insino in dieci charrate, scudi quatro e mezzo la charrata; e da dieci carrate per insino in dodici, schudi cinque la charrata. E intendesi tucti e’ decti pezi di marmo delle decte carrate col decto prezzo s’abbino a porre in barcha, e se altrove gli volessi, se ne abbia a∙llevare la spesa che vi sare di mancho. E chosì siàno d’achordo: e achadendo per sorte qualche sinistro o qualche difichultà non pensata o nel cavare o nel chondurre e’ decti marmi o in altro che s’apartenga alla decta chompagnia, ci promectiamo l’uno all’altro uxare di ciò quella dischretione che sarà chonveniente. E anchora s’intende, come è decto, riusciendo e’ marmi al mio proposito, abbia a seguitare la chompagnia chome di sopra è schricto, tanto che io sia servito de’ marmi che ò di bisognio pe’ sopradecti lavori, e che in questo tempo, non noiando e’ mia lavori, si possa servire anchora altri di quelle pietre che non fanno per me. E quando e’ marmi della sopradecta chava non riuscissino begli chome e’ mostrano avere a∙rriuscire e che e’ non mi sodisfacessino, io debba e possa de’ mia danari spesi in ciò pigliarmene marmi e uscirmi della chompagnia, parendomi. E la sopra scricta chompagnia s’intende che abbia a essere di tre chompagni, cioè el soprascricto Cagione e io Michelagniolo decto e l’altro, Giandomenicho di Marchio di Maragio da Charrara, partendo per terzo la spesa e l’utilità, con le conditione sopra scricte. Io Lunardo dito Chasone mi chomtento e afermo la sopradita chompag[n]ia chom lo dito Miche[l] Amgelo chom tute le chomdecione e precie sopraditi. E chosì [i]o mi sono sopra scrito di mia mano propia. ab, ii-iii,
n. 39 (= Contratti 2005, pp. 93-94, n. cfr. Milanesi 1875, p. 660, n. xxiv). Doc. 129 12 febbraio 1517 Ricordo di Michelangelo Richordo come stasera a dì dodici di febraio ò pagato a maestro Domenico decto Zara, presente maestro Giovanni suo fratello da·sSectignano, schudi secte e mezo d’una pietra che e’ m’avenduta, che lui avea al Polvaccio nel ravaneto di Leone, lunga braccia circha sei e larga dua e mezo e grossa un braccio e dua terzi. xxxvi;
ab, i,
n. 4 (= Ricordi 1970, p. 13, n. xi).
Doc. 130 8 marzo 1517, domenica Domenico Buoninsegni in Roma a Michelangelo in Carrara Carissimo mio Michelagnolo, per la vostra delli xxiii del passato intendo le pratiche che avete avute di chostà. Quanto alli prezzi de’ marmi, e’ vedo cierto che e’ non si può far disegno di chosa alchuna. E per far bene et chommodo a voi non vorrei averne el mal grado, perché sapete che costoro vogl[i]ono attendere a quelli di Pietrasanta e non a chotesti. Nondimeno, a chausa che voi non avessi a perdere tempo, volevo, con quella destrezza che possevo, vedere di farli contenti che chominciassi a pigl[i]are di chotesti; ma visto che chotestoro vogl[i]ono porre la chavezza al chollo con li prezzi, penso sia bene non ne parlare. E perché sappiate che anchora io mi sono informa-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
to, truovo che, quando sieno paghati bene chari, che un pezzo di charrate 3 insino in cinque non vorrebbe valere più che scudi 2 in 2.1/2 la charrata; e da charrate cinque insino in otto non vuole passare scudi tre la charrata, e da charrate otto insino in dodici, scudi quattro la charrata. E quando a tal prezzi stimassi esser d’acchordo e che ve lo mantenghino, avisate, che per qualche destro modo enterrei a parlarne al Chardinale. E tutto farei, chom’è detto, per fare aiuto e favore a l’opera vostra, e a chausa che non avessi a perdere tempo in aspettare quelli di Pietrasanta; benché da Firenze ò nuove che la impresa si manda avanti ghagl[i]ardamente. [...] Questo giorno è morto el chardinale di Sam Piero in Vinchula [i.e. Sisto Gara della Rovere], a chi Dio perdoni. [...] ab, vi, n. 103 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 261-262,
n. ccvii, cfr. p. 262).
Doc. 131 14 marzo 1517, Carrara Lionardo di Cagione si obbliga a cavar marmi per Michelangelo /1r/ In nomine Domini Amen. Anno Nativitatis eiusdem Millesimo Quingentesimo Decimoseptimo, indictione V, die decimaquarta Martii, pontificatus Sanctissimi in Christo patris Domini nostri D.ni Leonis divina providentia Pape Decimi anno quinto. Lunardo dicto Cagione già di Andrea Cagione da Torano, villa di Carrara, constituito dinanci a me notaio et testimonii indicti, non per forza, inganno, paura, simulatione o machinatione alcuna circumvenuto, ma di sua spontanea et libera voluntà et certa et deliberata scientia di animo, per lo presente publico instrumento et con ogni altro miglior modo, via, ragione et forma, per li quali lui meglio et più validamente ha potuto et può, per sé et suoi heredi ha confessato et publicamente ha declarato havere hauto et riceuto realmente et intieramente dallo excellente homo, m.o Michelangiolo di Ludovico Buonaruota, sculptore et cittadino fiorentino, presente et stipulante per sé et suoi heredi, scudi cinquanta d’oro buoni et di iusto peso. Li quali il prefato m.o Michelangelo diè, paghò, numerò et exbursò in tanto oro al dicto Lunardo, lì in presentia di me notaio et testimonii infrascripti, delli quali dicto Lunardo si chiamò ben pagato tacito et contento. Et sono dicti denari per arra et principio di pagamento di carrate cento di marmoro di XXV centinaia per carrata. Le quale dicto Lunardo per sé et suoi heredi ha promisso e per sollemne stipulationi s’è convenuto, obligandosi al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, remossa ogni exceptione di ragione e di facto, di farle del marmo della cava sua da Sponda alle misure che dicto m.o Michelangiolo gli darà, per de qui ad uno anno proximo ha a venire, in due volte: cioè carrate cinquanta per di qui a tutto il mese di septembre proximo ha a venire, e da septembre dicto per insino alla fine di dicto anno lo resto di dicte carrate cento, cioè cinquanta; et così facte inelli loro tempi, ut supra, al prefato m.o Michelangiolo, o a chi per lui serà, consignarle poste in barca, ad ogni loro expesa di epso Lunardo, per li precii infrascripti: cioè per scudi due d’oro buoni et di iusto peso per ciascuna carrata di marmo, et di ogni pezo di marmo di carrate due, scudi quatro d’oro, et di ogni pezo di marmo di carrate tre per insino in quatro, scudi due e mezo d’oro per ciascuna carrata, et di ogni pezo di marmo di carrate cinque per fino in sei, scudi tre d’oro per ciascuna carrata, et di ogni pezo di marmo di carrate septe, scudi tre e mezo d’oro per ciascuna carrata, et di ogni pezo di marmo di carrate octo, scudi quatro d’oro per ciascuna carrata, et de /1v/ogni pezo di marmo di carrate nove per fino in dieci, scudi quatro e mezo d’oro per ciascuna carrata, dichiarando che dicte carrate cento di marmo, ut supra, siano et debano essere di marmo bianco et senza peli alcuni. Et quando pure havessino alcune venette, ma non molte, si deono intendere essere idonee, risalvando le figure infrascripte, le quale siano et debano essere di marmo bianco senza peli, vene e machia alcuna et simile a quelle che già più giorni fa ep-
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so m.o Michelangiolo hebbe da dicto Lunardo. Item dicto Lunardo per pacto expresso con sollemne stipulatione roborato, si he convenuto et ha promisso al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, di dicte carrate cento farli figure due di marmo bianco et senza peli, vena et machie alcune ut supra, et che ciascuna di esse figure sia di alteza braccia cinque per fino in sei, et del resto secondo le misure che il prefato m.o Michelangiolo gli darà; et figure quatro di marmo bianco et senza peli, vene e machia alcuna ut supra, e che ciascuna di esse quatro figure sia di alteza braccia quatro et uno quarto, et di largheza et grosseza secondo le misure che dicto m.o Michelangiolo gli darà. Item che, casu che etiam di dicte carrate cento ci fusse una pretra [sic] o due senza peli alcuni, apte a farne una columna o due, di alteza per ciascuna columna braccia dieci, dicto Lunardo prometta a esso m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, di farle di dicta alteza, et secondo le misure et per quello medesimo precio per ciascuna colu(m)na, della quale misura et precio esso m.o Michelangiolo s’è convenuto con Matheo di Cucarello, Lazzarino da Ballone et Cesari di Nardo, tutti da Berzola, et loro compagni, per vigore di uno contracto facto con loro, scripto et rogato per mano di me notaio infrascripto sotto dì sei marzo, mese presente, al quale si debba havere debita relatione. Et non essendovi pietra per fare dicte columne, dicto Lunardo non sia obligato alle dicte, con questo etiam agiunto che dicto Lunardo non possi fare né far fare ad altre persone marmi alcuni di dicta cava o fuora, ma sì bene continuamente perserverare in dicto lavoro perfino a tanto che dicto lavoro non sia finito alli termini suoi, ut supra. Le qual cose tutte et sing(o)le suprascripte, dicto Lunardo per sé et suoi heredi al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, ha promisso attendere, adempire et observare et a quelle non contrafare o contravenire per sé o per altri per alcuna causa di ragione o di facto, etc.; sotto pena del doppio di tutto quello si agitasse, etc.. La quale pena pagata o no, rate et ferme tutte le cose et sing(o)le s(u)prascripte et infrascripte, sempre siano et perdurino etc. Item rifare, ristituire et emendare al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, ogni danno, expesa et interesso che accadessino in iudicio o fuora, etc. Et per observatione di tutte le predicte cose, etc., dicto Lunardo ha obligato al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, sé medesimo et ogni sua heredi et beni che ha et speri di havere, etc., costituiendosi dicto Lunardo al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, per pacto spetiale et expresso, con sollemne stipulatione/2r/ roborato, tutte le cose et sing(o)le, ut supra per lui promisse, attendere, adempire et observare a Carrara, a Roma, a Firenze, a Pisa et a Lucca, et generalmente, purché ditta generalità non deroghi alla spetialità, in ciascuna altra cità et castella et parte del mondo, dove dicto Lunardo si trovasse overo fusse convenuto. Sottoponendosi lui per sino adesso ad ogni iurisdictione, compulsione, ragione, censure et statuti di tutti li magistrati et corte, così ecclesiastice come seculari, dove lui si trovasse o fusse convenuto. Per li quali magistrati et corte, ad ogni requisitione di esso m.o Michelangiolo, ha voluto dicto Lunardo potere essere costretto de fatto et personalmente convenuto, frastenuto, preso et incarcerato per insino alla integra satisfatione di tutte le cose et singole suprascripte, etc. Et per observatione di epse dicto Lunardo ha renuntiato in tutte le cose et singule suprascripte, alla exceptione del dolo, male, forza, paura o fraude, alla actione in facto, alla exceptione del contracto, non così facto et altrimente essere stato dicto o recitato che scripto, et ad ogni altro aiuto, beneficio et favore di lege e di statuti con li quali dicto Lunardo si potesse diffendere et venire contra alle predicte cose. Preterea he stato facto et convenuto fra epse parte per pacto expresso, con sollemne stipulatione hinc inde interveniente che, casu che li padroni del prefato m.o Michelangiolo, li quali gli fanno fare dicto lavoro, per guerre non volessino che l’opera di dicto lavoro seguitasse inanci, o per morte loro o per alcuna altra causa dicta opera et lavoro restasse che non andasse più avanti, allhora et
in quelo caso dicto m.o Michelangiolo sia tenuto et obligato pigliare da dicto Lunardo almanco tanti di dicti marmi per la somma di dicti scudi cinquanta. Et quando ancora dicti padroni, dicta opera et lavoro seguitasse ut supra, overo essa opera et lavoro restasse di non andare più avanti ut supra, et dicto Lunardo alhora et in quel tempo havesse facto più marmi della somma di dicti scudi cinquanta, overo havesse facto la somma integra di dicte carrate cento di marmo, dicto m.o Michelangiolo eo casu sia tenuto et obligato pigliare quello più et quella somma integra di dicti marmi che dicto Lunardo haverà fatto alhora. Et le predicte cose tutte epso m.o Michelangiolo per sé et suoi heredi promette attendere, adempire et observare et in nulla cosa contrafare né contravenire per sé o per altri, per alcuna causa di ragione o di facto, sotto pena et obligatione di ogni suoi beni presenti et futuri, etc.; et di rifare, ristituire et emendare al dicto Lunardo, stipulante ut supra, ogni da(n)no, expesa /2v/et interesso che accadessino in iudicio o fuora, etc.. Renuntiando il prefato m.o Michelangiolo alla exceptione del dolo, male, alla actione in facto, alla condictione della cosa indebita etc., et generalmente ad ogni altro aiuto, beneficio, privilegio et favore di lege e di statuti con li quali lui si potesse difendere et venire contra alle predicte cose, etc.. Actum Carrarie in domo mei notarii infrascripti, presentibus m.o Domenico Allexandri de Septignano districtus florentini et Matheo olim Michelis Cucarelli da Berzola, villa Carrarie, testibus etc. Ego Galvanus olim Ser Nicolai Ser Thome de Carraria, publicus apostolica imperialique auctoritate notarius et iudex ordinarius, predictis omnibus et singulis, dum sic agerentur et fierent, una cum prenominatis testibus interfui et ea rogatus scribere scripsi. In quorum fidem et robur me hic propria manu subscripsi signumque meum tabellionatus consuetum apposui. Verum quia in ultima linea prime pagine supraddita fuit hic dictio, videlicet pacto, nec non etiam fere in fine dicti instrumenti casse fuerunt littere quatuor, videlicet cond., quod quidem non vicio sed calami errore ideo, ut omnis vicii suspicio auferatur, de illis mentionem feci. ab, ii-iii,
n. 42; cfr. asm, Notarile di Carrara, busta n. 5, anni 1515-1518, cc. 123v-124v (= Contratti 2005, pp. 98-102, n. xxxviii; cfr. Frediani 1837 [ed. 1975], pp. 80-82, n. vii; Milanesi 1875, pp. 662-662, n. xxvi; Rapetti 2001, p. 37). Doc. 132 15 aprile 1517, mercoledi Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Carrara [...] E questa per dirvi chome oggi messer Francesco m’à detto che el Chardinale à inteso chome el lavoro va adag[i]o. Pier Francesco si truova qui; manderollo fino al Chardinale, e vorei mi scrivessi chome le chose pasano. [...] ab, ix,
n. 396 (= Carteggio 1965-83, i, p. 272, n.
ccxvii).
Doc. 133 17 aprile 1517, Carrara Alcuni scalpellini carraresi promettono a Michelangelo di cavar marmi per lui /2r/ In nomine Domini Amen. Ne l’anno de la Natività del nostro Signore Iesu Christo dil mille cinquicento dicesette, inditione quinta, secundo il corso e consuetudine de’ notarii di Lunisana, a dì dicesette dil mese di Aprile. La excelentia et sublimità de lo Archimaestro, sculptore de la Sedia Apostolica, Michelangelo di Ludovico Bona Rota, citadino fiorentino, da una parte et Francesco già di Jacopo di Vanello da Torano, et Bartholomeo di Michel dal Bardino abitante a Torano, compagni, insieme et in solido per loro e suoi heredi da l’altra parte, per il qual Bartholomeo, perché è figliol di famiglia à più abondante cautella, dicto Francesco promette de rato sotto la obligatione de tutti e’ suoi beni, constituendosi epso Francesco principale obligato per dicto Bartholomeo, renumptiando in forma et cetera, et ambe le predicte parte sono venute a li infrascripti pacti e convenctione tra loro.
Et prima dicti compagni nominati di sopra, insieme et in solido hanno promesso et in questo publico instrumento solemnemente si sono obligati di dare e consignare al prefato Archimaestro Michel Angelo, qui presente, stipulante, reccipiente et acceptante per sé et per li suoi heredi et successori, carate cinquanta di marmore de la cava di Pianello dal Prado, posto a la Mandria, pertinentia di Torano, /2v/ al precio e misure che si contengono in dui altri contracti di conducta de marmori, facti per il prefato Archimaestro cum Leonardo di Andrea di Casone et Bartholomeo dicto il Mancino di Zampaulo di Casone da Torano e loro compagni, et rogati per ser Galvano di ser Nicola, notario carrarese publico et autentico. Qual precio et misure, contente in dicti contracti, epso Francesco et Bartholomeo compagni acceptano e riconfermano per il presente instrumento, sì come in questo medemo instrumento fusseno specificati, nominati e posti, perché hanno hauto noticia de’ precii e misure antedicte, contente in epsi contracti; con special pacto inhito, facto, expresso fra ambe le dicte parte, qui presente, e l’una con l’altra insieme stipulante et acceptante, che li dicti Francesco e Bartholomeo compagni, como di sopra, siano tenuti et obligati et cossì epsi promettano et se obligano di dare e realmente consignare al prefato Archimaestro Michelangelo, qui presente, stipulante et acceptante, dicte carate cinquanta di marmore, nel modo, forma et termine qui di sotto expresso: cioè carate vinti cinque e più, se più si potrà, caricate in barcha a la piaggia de l’Avenza a le proprie spese de ambi dicti compagni, al precio e misure antedicte, /3r/ dal tempo presente sino a k[a]lende di novembre proximo a venire, e più presto e inanti al dicto termine, se più presto e inanti si potrà. Et il resto de le cinquanta carate di marmore dicti compagni promettano e si obligano in forma di darle e consignare caricate in barca a loro proprie spese, como di sopra, al prefato Archimaestro a k[a]lende di maggio, che seguirà di poi dil 1518, e più presto, se più presto si potrà, a li precii e misure antedicte; promectendo dicto Francesco e Bartholomeo compagni e obligandosi solemnemente insieme et in solido, sotto la pena infrascripta, al prefato Archimaestro, presente et stipulante como di sopra, di cavare e lavorare continuamente dicti marmori, solamente ad instantia di epso Archimaestro, sino al compimento de le cinquanta carrate dicte di sopra; rimosso ogni causa et exceptione che si potesse opponere, excepto che, se per caso evenisse ch’el prefato Archimaestro per la Beatitudine del Pastore Apostolico, summo pontefice, o per qualunque altro principale fusse revocato da la impresa et che il lavore ordinato non procedesse, in tal caso epso Archimaestro promette pigliar solamente ogni quantità de marmori che havesseno in quel puncto cavati dicti compagni ad istantia di /3v/ epso ultra al denaro che havesseno hauto, purché siano a la misura dicta di sopra e sensa alcun difecto; con special pacto anchora inihito e facto fra ambe le dicte parte, ch’el prefato Archimaestro Michelangelo sia tenuto et obligato soccorere dicti compagni de’ denari di poco in poco, secundo il lavore che faranno. Et già per arra e per principio di pagamento de dicti marmori epso Archimaestro ha dacto, numerato et exborsato a li dicti Francesco e Bartholomeo, compagni qui presenti, et confessanti di havere hauto et effectualmente riceuto da epso, a la presentia di me notario et de li testimonii infrascripti, scudi vinti de oro in oro dal sole. Renunptiando epsi compagni a la exceptione di non havere hauto e riceuto dicta quantità de denari et cetera. E tutte le predicte cose, convenctione e pacti, come qui di sopra facti, ambe le parte predicte, qui presente et insieme stipulante con vicissitudine per epsi et per li loro heredi et successori, hanno promisso e prometteno di attendere et observare e non contravenire per loro o per altri, di ragione o di facto, sotto pena dil doppio di quello in che serà contrafatto et cetera. La qual pena tante volte si conmetta et si /4r/ possa domandare, quante volte sarà contrafacto. La qual pena conmissa, domandata e pagata o non, o per amore o altro bon respecto gratiosamente perdonata, non di meno tutte le cose, convenctione e pacti predicti stiano rati e fer-
mi et cetera. Anchora ambe le parte predicte hanno promisso solemnemente l’una a l’altra cum vicissitudine di riffare, restituire et emendare ogni danni, spese et interessi facti et incorsi in judicio et in lite o fuor di lite et cetera. Et per observare quanto di sopra si contiene ambe dicte parte hanno obligato et di novo obligano l’una a l’altra cum vicissitudine ogni lor beni presenti et che hanno a venire et cetera. Renunptiando ambe epse parte ad ogni exceptione legale o di consuetudine, observata in contrario, et ad ogni altro aiuto e favore di legge, statuti, privilegii, o bollettini disponenti in contrario di quanto di sopra è dicto, patteggiato e facto et cetera. E specialmente dicto Francesco, constituito principal fideiussore per dicto Bartholomeo, como di sopra, ha renunptiato et renunptia a le nove et novelle constitutione et a la epistola del divo Adriano et a la exceptione de la fraude e inganno et ad ogni /4v/ altra exceptione, beneficio, auxilio e favore di legge overo edicti de principi ecclesiastici o seculari, di statuti e privilegii che lo aiutassino di non esser principal fideiussore, et di essere tenuto in quel modo e forma che di sopra si contiene et in ogni altro melior modo, via et forma che dir si puote in observatione di quanto di sopra è dicto. Et successive ambe epse parte in observatione di quanto di sopra è dicto, hanno pregato me notario infrascripto, ch’io ne roghi publico instrumento, quale essendo expediente, si habbia ad extendere in forma, non mutando la suprascripta substantia. Facto in Carrara, sottoposta a la diocesi di Luni, in casa di me notario antedicto et infrascripto, presenti Matteo di Cucharello da Berzola et Francesco di Ton di Guido da Torano et Antonio di Matte da Monzone, habitante a Gragnana, ville di Carrara, testimonii chiamati et rogati a tutte le predicte cose. Ego Leonardus Lombardellus, publicus apostolica imperialique auctoritate notarius et iudex ordinarius carrariensis, predictis omnibus et singulis, dum sic agerentur et fierent, interfui eaque rogatus scribere scripsi, in fidem et testimonium quorum me subscripsi meoque solito signo apposito publicavi, roboravi et autenticavi. ab, ii-iii, n. 45 (= Contratti 2005, pp. 110-113, n.xli; cfr. Milanesi 1875, pp. 664-665, n. xxvii).
Doc. 134 25 aprile-14 agosto 1517 Ricordi di Piero Urbano per Michelangelo Richordo chome Michelagnielo chonperò da Lotto da Carrara una pietra che è grosso per ogni verso 4 bracc[i]a che è a Sponda, e detteliene 10 duchati, e io per lui Piero Urbano da Pistoia liene chontai im bottega di Bernardino del Berrettaio, presente lui, Bernardino e Lazero di Pitorso da Charrara amendui, cioè lli chontai chontanti schudi 10 [...] sch. 10 Ricordo chome oggi, questo dì 5 di agosto 1517, Domenico di Betto di Nardo da Torano ebbe oggi, questo dì sopra schritto, da Mic[h]elagnielo duchati uno per conto di bozzare cierti marmi che lui à al Polvaccio, in presentia di me Piero Urbano suo garzone, cioè ducati uno [...] d.ti 1 E più dette addì 5 d’agosto 1517 dette Michelagnielo a Iacopo, detto Pollina, da tTorano ducati dua per bozzare cierti marmi che el detto Michelagnielo à al Polvaccio, in presentia di Matteo di Cuccharello e di me Piero Urbano s(oprascritt)o, cioè ducati dua [...] duc. 2 E più dette Michelagniolo a dì 14 di agosto al Pollina ducati uno, e uno duchato a Menico di Betto di Nardo da Torano per conto di lavorare cierti marmi che ssono in su la cava di Lione che ’1 comperò da m.o Domenico fiorentino. ab, xii,
n. 31 (= Ricordi 1970, p. 14, n. xii).
Doc. 135 30 aprile-20 agosto 1517 Ricordi di Michelangelo e di Piero Urbano /2r/ E a dì 30 di aprile 1517 Richordo chome Michelagniolo di Lodovicho Buonaroti dette al Pollina schudi 4 per bozare certi marmi ch’el detto Michelagniolo à ’1 Polvaccio;
e ’1 detto Pollina el promesse in presentia di me Piero Urbano e ser Lionardo, e disse di chomi[n]ciare fra 10 o dodici dì. El detto ser Lionardo ne fu rogato per un chontratto, che n’apare per lui. C[i]oè schudi 4 in prese[n]tia di me Piero Urbano s(oprascritt) [...] scud. 4 E ms. Lionardo lieli dette, e ’1 dette Michelagniolo [...] scud. 4. E più ebbe a dì 25 di giugno 1517 da me Piero Urbano schudi 2 per abbozare cierti marmi che sono al Polvacc[i]o per Michelagnielo: glieli paghai in present[i]a del detto Michelagnielo in Charrara. Chontanti [...] schudi 2. /1r/ A dì 12 de luglio 1517 Io Piero Urbano da Pistoia detti a Toschino scudi uno, perché Matteo di Cuccharello lo chiese a Michelagnielo per conto di certi marmi ch’ el detto Mateo e ’1 Mancino in solido li fanno al Polvaccio, come n’ap[a]re per un contratto di ser Calvano; e per questo el detto Michelagniolo liel’à datto, e io Piero s(oprascritto) per comandamento di Matteo lo detti al detto Toschino in prese[n]tia di Cagione. Dì e an(no) [...] scudi 1. Richordo chome oggi, questo dì diciassecte di luglio 1517, io Michelagniolo ò dato al Bello da Torano schudi sei, presente ser Lionardo notaio di Charrara e Francescho d’Andrea di Nello. E decti sei schudi gli ò dati per chonto d’un pezo grande di marmo, che lui mi dice volermi cavare in una cava dove è entrato di nuovo a cavare; e, non gli riusciendo, siàno d’achordo e’ decti schudi vadino a chonto de’ marmi che lui e ’1 chompagnio tolsono a chavarmi più mesi sono, chome apariscie per un chontracto di ser Lionardo sopra scricto. Richordo chome oggi, questo dì venti uno di luglio 1517, Macteo di Chucherello mi fece dare uno schudo, presente ser Antonio da Massa, a maestro Iansi da cTorano perché gli achonciassi el charrecto per tirare cinque delle mia pietre che i’ ò al Polvaccio: tre di sei carrate l’una, una di tre carrate e una di dua; e ’1 decto Macteo l’à tolte a chondure alla marina per venti sei duchati e ’1 decto schudo: e el decto schudo è per questo conto. E oggi, questo dì venti dua di luglio 1517, ò dati al Mancino, a Macteo di Chucherello, a Becto di Nardo schudi dua per chonto di marmi che mi fanno a chompagnia al Polvaccio nella cava del decto Mancino, chome apariscie per uno chontracto di ser Chalvano. E e’ decti dua schudi decti loro, presente Vasocto, a riscontro la sua boctega. /1v/Ancora questo dì decto, venti dua di luglio 1517, decti schudi dua al Pollina im piaza, presente Franc(esc)o di Nardo, per conto di certe pietre che lui e ’1 figl[i]uolo mi bozano al Polvaccio. E a dì venti secte di luglio decti a Macteo di Chucherello e a·mmaestro Iansi, fratello di Marchuccio, duchati nove d’oro larg[h]i in sulla boctega di Vasocto sua presentia per conto di cinque pietre che e’ m’ànno a ctirare alla marina dal Polvaccio: tre di sei carrate l’una e una di tre carrate e una di dua per duchati venti sei a tucte loro spese. E a dì venti octo del decto decti un duchato a Menichella figliol di Becto di Nardo, che mi bozassi certe pietre al Polvaccio. E addì 8 di ogosto 1517 ebbe Matteo di Cuccarello da Mic[h]elagniolo ducati sette d’oro per conto d’una allogagione ch’el detto Mic[h]elagnielo à fatto a detto Matt[e]o, cioè di tirare alla marina cinque prete che sono al Polvacio; e io Piero Urbano li detti e’ sette ducati in presentia diVasotto: lieli detti e conta’li in sulla sua pancha, cioè [...] d. 7. E addì 11 d’agosto 1517 tirò Matteo di Cuccharello una pietra che Michelagniolo chomperò da maestro Domenicho, che era in su la piaza de’ Porci, per 2 duchati d’oro; e io Piero Urbano lieli detti in presentia di Lazino e di Menic[h]ella, cioè [...] d. 2 • s.o /2v/ Ricordo chome oggi questo dì venti d’ogosto 1517 si partì Michelagniolo a Carrara per chonto di fare el modello di Santo Lorenzo di Firenze. Per dito conto del Papa c’è venuto, e del Cardinale ci sta. ab, i,
n. 6 (= Ricordi 1970, pp. 15-17, n. xv).
Doc. 136 [2 maggio 1517, sabato]
Michelangelo in Carrara a Domenico Buoninsegni in Roma [...] Io, chome vi scrissi e poi che io vi scrissi, ò allogato molti marmi e dati danari qui e qua, e messo a chavare in vari luog[h]i. E qualche luogo dov’io ò speso non mi sono poi riusciti e’ marmi a mio modo, perché sono chosa fallace, e più in queste pietre grande che io ò di bisognio, volendole belle chome io le voglio; e in una pietra che io ò di già facta tagliare m’è venuto certi manchamenti, di verso el poggio, che non si potevono indovinare, im modo che dua cholonne che io vi volevo fare non mi rieschono, e òvi buctato la metà delle spese. E chosì, di questi disordini non me ne può avenire sì pochi, infra tanti marmi, che non montino qualche centinaio di duchati; e io non so tener chonti, e non posso mostrare all’ultimo avere speso se non tanto quante saranno e’ marmi che io chonsegnierò. Farei volentieri chome maestro Pier Fantini, ma io non ò tanto unguento che bastassi. Anchora, perché io sono vechio, non mi pare, per megliorare dugiento o trecento duchati al Papa in questi marmi, perderci tanto tempo; e perché io sono sollecitato di chostà del lavoro mio, mi bisognia pigliare partito a ogni modo. E ’l partito si è questo. Sapendo io avere a fare e’ lavoro e el prezo, non mi churerei buctare quatro cento duchati, perché non arei a·rrender conto, e ch[i]apperei qua tre o quatro uomini de’ meglio che ci sono, e allog[h]erei loro tucti e’ marmi; e la qualità de’ marmi avessi a essere chome quegli che io ò chavati per insino adesso, che son mirabili, benché i’ n’abi pochi. E di questo, e de’ danari che io dessi loro, n’arei buona sichurtà in Lucha; e cho’ marmi che io ò, darei ordine chondurgli a Firenze e andare a·llavorare e pel Papa e pel lavoro mio. E non avendo facta questa choncluxione soprascritta chol Papa, a·mme non achade; e non potrei, quando volessi, chondurre e’ marmi del mio lavoro a Firenze, per avergli poi a chondure a·rRoma, ma bisognierebemi venire a·rRoma presto a·llavorare, perché sono sollecitato chom’è decto. [...] ab, v, n. 5 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 277-278, n. ccxxi). Doc. 137 7 maggio 1517 […] Fassi piena et indubitata fede qui per me Leonardo Lombardello, notario carrarese, come Matteo di Michel di Antoniolo, dicto Cucharello, da Berzola villa di Carrara, Cesare di Nardo, Antonio di Lazaro di Mencho, ambi da Berzola, Lazarino di Pedro di Valento et Pedro et Antonio fratelli e figlioli dil s(oprascritt)o Lazarino, tutti insieme et in solido se sono obligati et hanno solemnemente promesso a la excellentia et sublimità di Michelangelo di Ludovico Bona Rota, citadino florentino, Archimaestro, sculptore de la Sedia Apostolica, de darli et consignarli caricati in barcha a tutte loro spese a la piaggia de l’Avenza, per tutto el mese de agosto proximo a venire octo pezzi di marmore biancho de la lor cava posta a Rasceto, che siano lunghi bracie quatro e mezo e larghi un bracio e grossi tre quarti dal mezo in suso, e dal mezo in giuso grossi un terzo per ciascuno pezzo de’ dicti marmori /1v/. […] ab, ii-iii
n. 46 (= Contratti 2005, pp. 114-115, p. 114, n. xlii).
Doc. 138 16 maggio 1517 Ricordo di Michelangelo Richordo chome oggi, questo dì sedici di maggio, Lionardo decto Chagione da Charrara m’à domandato scudi quactro o cinque per dare a’ lavoranti per conto di ciento carrate di marmi che m’à a chavare e dare in barcha, chome apariscie per un contracto in forma Camera di ser Calvano da Charrara; e io gli ò dati schudi dieci in piaza socto la chasa d’Andrea ferraro, presente el mio garzone, cioè Pietro Urbano da Pistoia; e lui mandai in casa per essi el decto dì nel mille cinquecento diciassecte. Io Michelagniolo di Lodovicho di Buonarrota Simoni fiorentino in Carrara. Raccolta Borromeo (?) (= Ricordi 1970, p. 18, n. xvi).
Doc. 139 19 maggio 1517, martedì Lodovico Buonarroti in Firenze al figlio Michelangelo in Carrara Charissimo figl(iuol)o, è stato Piero qui e àmmi raghuagliato. Parmi, sechondo dicie, che·ctu stia chostì chon grandissimo dispiaciere, di che ne porto dispiaciere grandissimo. Io non ti so né posso dare aiuto né chonsiglio, ma bene ti dicho, se puoi levarti di chostì, te ne chonforto, e lascierei andare tutto l’utile e le spezialtà e amicizie e benivogl[i]enze, e ghuarderei di salvare me medesimo. Pure, non potendo lasciare l’amprese, ghuardati di fare im modo che·ttu non chapiti male tra chotesti huomini che·ssono di male affare. Ingiengniati di navichare chon loro im modo non ti abbino a·ffare villani[a], e se fussi possibile chon qualche chosa plachare chotesto singniore, quando ti chostassi qualche chosa, lo farei. Ghuardati da chotesti huomini e attendi a vivere et a stare sano. [...] bm, Egerton Ms. 1977, c. 1 (= Carteggio 1965-83, i,
p. 284, n. ccxxv).
Doc. 140 1 giugno 1517, lunedì Gherardo Urbano in Pistoia a Michelangelo in Carrara [...] Rachomandovi el mio charo nipote Piero Urbano; et io qua, per parte di ricompensso delle virtù le quali gli avete insegniate et anchora so al presente da voi ne impara, pregho Dio per voi ne’ mia sacrifitii. [...] ab, viii, n. 354 (= Carteggio 1965-83, I, p. 286, n. ccxxvii).
Doc. 141 10 giugno 1517, mercoledì Domenico Buoninsegni in Roma a Michelangelo in Carrara [...] E quanto a l’esser di qua sollecitato per conto della sepultura di Iulio, io penso pure che abbiate facultà di possere lavorare dove volete, ché so m’avete detto non siate tenuto lavorar più a Roma che a Charrara o a Pisa o a Firenze. E quando vi fussi fatto forza, penso che, volendo Nostro Signore, sendo voi maxime in sue facciende, non aresti da temere. E però vi piaccia andare avanti ghagl[i] ardamente e vivere sanza sospetto. [...] ab, vi, n. 107 (= Carteggio 1965-83, i, pp. 287288, n. ccxxviii). Doc. 142 19 giugno 1517 Confessione di alcuni scalpellini di aver ricevuto danari da Michelangelo per conto di marmi […] Sia noto e manifesto, come in questo dì s(oprascript)o Piero Urbano de Aniballe da Pistoia, garzone di maistro Michelle Anzollo di Fiorentia, scultore, al presente in Carara, dà e esborssa in denari contanti, zoè scudi dodexe d’oro in oro, e li quali scudi dà a Mateo dito Chucharello e al Manzino di Zampaullo da Torano e Beto di Iachopone di Nardo: intendendo che ceschaduno di loro hane auto scudi quatro per conto de lavoro che [à] alogato maistro Michelanzollo s(oprascript)o, come n’è contrato per mane di ser Galvano di ser Nicholao de Parloncioto; presente prete Antonio di Piero del Mastro e Antonio dito Sarto, da Co(m)piano. E coxì dito prete Antonio se sotoscriverà, de simelle Mateo s(oprascript) o; e presente ancora Bernardino di Jachopo del Beretaro, e coxì dito Bernardino se sotoscriverà e firmerà per Antonio dito Sarto s(oprascript)o, perché dito Sarto non sa scrivere, e simelle scriverà per lo Manzino e Betto s(oprascripti), perché loro non sano scrivere. Io Charlino di Simone da Santo Terenzio ho fatto questa s(cript)a con le s(oprascript)e parte, a dì e ano s(oprascript)o. Io Mateo soprascrito ò riceuto li schudi 4 come di così sopera si dise, a dì e anno s(oprascritt)i, in Carara. Io prete Antonio di Piero del Mastro sono stato testimonio a la presente, quanto di sopra si contiene [in] queste, li s(oprascript)i a dì et anno s(oprascript)i.
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Michelangelo. Il marmo e la mente
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Add. Ms. 23140, c. 41 (= Carteggio 1965-83, p. 296, n. ccxxxvi).
quadroni dua di marmo di alteza per ciascuno bracia et quarti tre et braccia uno et un terzo per ogni verso, item due altri quadroni di marmo di due carrate l’uno, item carrate sei di altri marmi minuti di una carrata e manco il pezo. Le quali figure, quadroni et marmi ut supra abozati per il Pollina et Domenico di Betto, ambedue da Torano il prefato m.o Michelangiolo comprò dal suprascripto Mancino /1v/. Item uno altro quadrone di marmo, comprato per esso m.o Michelangiolo dal suprascripto Leone. Et così dicte figure, quadroni et marmi conducti et posti in su la dicta spiagia, come di sopra he dicto drento del suprascripto termine, ad esso m.o Michelangiolo o a chi per lui sarà, consignarli. Et questo per ducati quarantasepte d’oro in oro larghi, buoni et di justo peso, per precio et mercede. di dicta conducta di tutti dicti marmi. Li quali ducati quarantasepte il prefato m.o Michelangiolo lì, in presentia di me notaio et testimonii infrascripti, diè, paghò, numerò et esbursò alli dicti Matheo, Leone et Francesco in oro, cioè ducati sedici al dicto Leone et ducati sedici al dicto Francesco et duc. quindici al dicto Matheo, delli quali dicti Matheo, Leone et Francesco si sono chiamati ben pagati, taciti et contenti. Le qual cose tutte et singule suprascripte li prenominati Matheo, Leone e Francesco hanno promisso et ciascuno di loro in solido et per il tutto ha promisso al prefato m.o Michelangiolo stipulante, ut supra, attendere et observare drento dal soprascripto termine, et in alcuna cosa non contrafare, loro né altri per loro, per modo o causa alcuna. Sotto pena et obligatione di ogni loro beni presenti et futuri, etc.. Item di rifare al prefato m.o Michelangelo ogni da(n)no, spese et interessi che per le predicte cose non observate gli accadessino in iudicio o fuora, etc. renuntiando loro, etc.. Actum Carrarie in domo Carlini Simonis de Sancto Terrentio, habitatore Carrarie, presentibus Vasotto olim Johannis Vasotti de Gassano et Baptista olim Filippi Coriari de Petrasancta, ambobus habitatoribus Carrarie testibus. Ego Galvanus olim Ser Nicolai Ser Thome de Carraria presens, apostolica imperialique auctoritate notarius et iudex ordinarius, predictis omnibus et singulis, dum, ut premittitur, fierent, interfui una cum suprascriptis testibus et ea rogatus /2r/ scribere scripsi. In quorum fidem me hic propria manu subscripsi signumque meum consuetum tabellionatus apposui, salvo item michi iure suprascriptas clausulas generales latius et in forma extendendi, si erit expediens. ab, ii-iii, n. 49; cfr. asm, Notarile di Carrara, busta n. 5, anni 1515-1518, c. 148r-v. Libro delle imbreviature del notaio della Lunigiana Galvano Parlanciotto (= Contratti 2005, pp. 119-121, n. xlv; cfr. Frediani 1837, [ed. 1975], pp. 83-85, n. viii; Milanesi 1875, p. 667, n. xxix; Bardeschi Ciulich 1994a, p. 88; Rapetti 2001, p. 43).
Doc. 145 16 agosto 1517, Carrara Alcuni scalpellini si obbligano a condurre marmi dalla cava del Polvaccio alla spiaggia dell’Avenza […] Matheo di Cucarello da Berzola, Leone di Puliga da Torano et Francesco, dicto Bello, di Jacopo Vanelli da Torano, tutti insieme et ciascuno di loro in solido et per il tutto, per questo presente publico instrumento et con ogni altro migliore modo, via, ragione et forma, per li quali loro meglio hanno potuto et possano, hanno promisso, per sé et per li loro heredi, rimossa ogni exceptione di ragione et di facto, obligandosi allo excellente homo m.o Michelangiolo, figliolo di Ludovico Buonaruota, cittadino et sculptore fiorentino, presente et stipulante per sé et per li soi i similmente dal ravaneto della cava di dicto Lione, posta in quel medesimo luogo, per insino in su la spiagia di Lavenza, per di qui a tutto il mese di septembre proximo hae a venire, li marmi di esso m.o di Michelangiolo infrascripti, existenti al presente in dicti ravaneti, cioè: el primo una figura di marmo di longheza bracia cinque con sua grosseza, item un’altra figura a sedere di longheza bracia tre e mezo con sua grosseza et fateze, item un’altra figura di longheza bracia tre e quarti tre con sua grosseza et fateze, item
Doc. 146 18 agosto 1517, Carrara Ricevuta di danari pagati da Michelangelo per conto di marmi cavati […] Matheo di Cucharello da Bergiola, villa di Carrara, et Bartholomeo, dicto Mancino di Giovan Paulo di Cagione da Torano etiam villa di Carrara, per certa loro scientia di animo et non per alcuno errore di ragione overo di facto, per lo presente publico instrumento et per ogni altro migliore modo, via, ragione et forma per li quali loro meglio hanno potuto et possano, ambedue insieme et ciascuno di loro in solido et per il tutto, hanno confessato et publicamente hanno declarato per sé et per li loro heredi havere hauto et riceuto realmente et integralmente dallo excellente homo m.o Michelangiolo di Ludovico Buonaruota, cittadino et sculptore fiorentino, presente stipulante et acceptante per sé et suoi heredi, scudi novantatre e mezo d’oro in oro, buoni et di iusto peso, inel modo et forma infrascripti cioè: scudi cinquanta d’oro, de li quali appare in uno certo instrumento rogato et scripto per mano di me notaio infrascripto a dì 14 marzo 1517; et scudi dodici d’oro, de li quali ne appare una poliza, sive scripta privata, scripta per mano di Carlino di Simone da S.to Terentio, habitante in Carrara, a
E io Bartolomeo, ditto il Mancino, di Zampaulo soprascripto, confesso avere auto e ricevuto scudi quatro d’oro dal Sole, come dice di sopra. E io Bernardino di Iacopo soprascripto ho scripto per nome del ditto Bartolomeo ditto Mancino, perché lui non sapea scrivere. E io Betto di Iacopon di Nardo soprascripto confesso avere auto e ri(cevu)to scudi quatro d’oro dal Sole, come dice di sopra. E io Bernardino soprascripto ho scripto per nome de Beto soprascripto, perché non sapea scrivere. E io Antonio ditto Sarto di Compiano soprascripto fui prexente a le coxe soprascripte. E io Bernardino soprascripto ho scripto de mia propia mano, perché ditto Antonio Sarto non sapea scrivere, a dì e anno soprascripto. E io Bernardino di Iacopo del Berett(ar)o fui prexente a le soprascripte cose, e per fede de la verità mi sono sotoschrito de mia propia mano, a dì e anno soprascripto, in Carrara, in butega mia. ab, ii-iii, xliii;
n. 47 (= Contratti 2005, pp. 116-117, n. cfr. Milanesi 1875, p. 666, n. xxviii).
Doc. 143 [1517] Ricordo (di mano ignota) /1r/ Nota chome io Manzino e Chasone e Beto domandàmo a maistro Michelamgelo schultore fiorentino di una pietra di una charata duchati doi d’oro de la charata posto in barcha, e di doi charata doi duchati la charata posto in barcha, e di tre charata duchati doi e mezo la charata, e da quatro charata per fine in cinque duchati tre la charata posto in locho s(opraschritt)o, e da sei charata per fine in sete duchati quatro la charata posto in lo s(opraschritt)o locho, e da oto charata per fine in novi duchati quatro e mezo la charata, e da deci per fine in dodece duchati cinque e mezo la charata posti in barcha; e acetti[a]movi in nostra chompagnia per prencipialo chompagno e a servirve chom amore e, sendovi di guadagno, ne tocherai amchora a voi la parte vostra sì che questo sie melgio partito per voi che nonne per noi e questo sie quanto bene noi vi posimo fare. ab, ii-iii, n. 40 (= Ricordi 1970, p. 19, n. xviii; cfr. Milanesi 1875, nn. xxii-xxiii).
Doc. 144 [Avanti il 18 luglio 1517] Michelangelo in Carrara al padre Lodovico in Firenze [...] Io ò mandato chostà Pietro che sta mecho, pel mulo, perché mi voglio partire di qua. Però vi prego gniene diate. Non altro. Delle cose mia fo il meglio che io posso. Infra venti dì spero esser chostà. [...] bm, i,
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dì, mese e anno che in quella si contiene; et scudi uno dato et pagato per dicto m.o Michelangiolo a uno lavorante dicto Toschino, di commissione et voluntà di dicto Bartholomeo; et scudi due dati et pagati a esso Bartholomeo inanci alla celebratione del presente contracto; et scudi XXVIII e mezo, li quali il prefato m. o Michelangiolo lì, in presentia di me notaio et testimoni infrascripti, diè pagò, numerò et exbursò alli prenominati Matheo et Bartholomeo, che tutti dicti scudi fanno la somma delli dicti scudi novantatre e mezo; delli quali dicti Matheo et Bartholomeo si sono chiamati ben pagati, taciti et contenti, renuntiando loro alla exceptione di non havere auto et riceuto li dicti scudi 93 ½, in quello modo et /1v/ forma che di sopra. Et sono per cagione di pezzi ventiquatro di marmo della grandeza, qualità et misura che apparisce inel libro di dicto m.o Michelangiolo, al quale si deba havere piena relatione. Delli quali tre ne sono conducti alla marina et pezzi venti uno ne sono rimasti inello ravaneto della cava di dicto Bartholomeo, posta inelle alpe di Carrara in luogo dicto al Polvaccio, come esse parte hanno affirmato. Li quali pezzi XXI di marmo dicti Matheo et Bartholomeo et ciascun di loro in solido hanno promisso et promettono al prefato m.o Michelangiolo di condurli dalla dicta cava di dicto Bartholomeo per insino in su la spiagia di Lavenza, et conducti, porli et consignarli in barca al prefato m.o Michelangiolo, o a chi per lui serà, ad ogni loro spese et danno, per tutto il mese di septembre proximo ha a venire, senza alcuna exceptione di ragione o di facto: con questo pacto et conditione expressamente facto fra esse parte che, conducti et consignati che saranno alla dicta spiagia li dicti pezzi XXI di marmo, ut supra, il contracto di obligatione facto fra loro et scripto per mano di me notaio infrascripto, a dì 14 marzo 1517, sia vano, casso et cancellato et di nessuna forteza overo momento, ma casu quo li prenominati Matheo et Bartholomeo non conducessino dicti pezzi di marmo et quelli non consignassino ut supra, alhora et in quello caso, dicto contracto sia et habia a stare inelle sue fortezze et pristino stato, sì come prima era. avanti si facesse il presente instrumento. Item per pacto expresso, con sollemne stipulatione di esse parte roborato, esse parte si sono convenute insieme che dicti Matheo et Bartholomeo et ciascuno di loro in solido, siano tenuti et obligati mantenere ad esso m.o Michelangiolo quelle figure, che sono adesso inello ravaneto della cava di dicto Bartholomeo, di quella bontà, bianchezza, misura et qualità che erano e che sono adesso e che apparisce inel libro di dicto /2r/ m.o Michelangiolo, al quale si debba havere piena relatione. Le qual cose tutte et sing(u)le suprascripte, dicti Matheo et Bartholomeo et ciascuno di loro in solido ha promisso al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, attendere et observare et in alcuna cosa non contrafare per sé o per altri per alcuna causa etc. Sotto pena et obligatione di ogni loro beni presenti et futuri etc. Item di rifare al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, ogni da(n)no, spese et interessi che per le predicte cose, non observate, gli accadessino in iudicio o fuora etc. Renuntiando loro etc. Actum Carrarie in domo mei notarii infrascripti, presentibus Carlino olim Simonis de Sancto Terrentio abitatore Carrarie, Angelo Jo. Dominici de Furno vicariatus Masse et Jo. Petro Simonis Tallini de Vinca, habitatore Colu(m)nate villa Carrarie, testibus etc. Ego Galvanus olim Ser Nicolai Ser Thome de Carraria, publica apostolica imperialique autoritate notarius et iudex ordinarius, predictis omnibus et singulis, dum sic, ut premittitur, agerentur et fierent, interfui una cum suprascriptis testibus et ea rogatus scribere scripsi. In quorum fidem me hic propria manu subscripsi signumque meum tabellionatus consuetum apposui et publicavi, salvo mihi iure dictas clausulas generales latius extendendi in forma, si erit expediens.
Parlanciotto (= Contratti 2005, pp. 122-124, n. xlvi; cfr. Frediani 1837 [ed. 1976]; Milanesi 1875, p. 668. Bardeschi Ciulich 1994b, p. 103; Rapetti 2001, p. 43).
ab, ii-iii,
xlvii; cfr. Milanesi 1875, p. 669, n. xxxi; Bardeschi
n. 50; asm, Notarile di Carrara, busta n. 5, anni 1515-1518, cc. 145r-146v. Libro delle imbreviature del notaio della Lunigiana Galvano
Doc. 147 18 agosto 1517 Lionardo detto Cagione dichiara di aver ricevuto da Michelangelo novanta scudi d’oro […] Lunardo dicto Cagione di Andrea da Torano, villa di Carrara, per certa sua scientia di animo et non per alcuno errore di ragione overo di facto, per lo presente publico instrumento et per ogni altro migliore modo, via, ragione et forma, per li quali lui meglio ha potuto et può, ha confessato et publicamente ha dichiarato, per sé et per li soi heredi, haver hauto et riceuto, lì in presentia di me notaio, realmente et integralmente dallo excellente homo m.o Michelangiolo di Ludovico Buonaruota, cittadino et sculptore fiorentino, presente et stipulante per sé et suoi heredi, scudi novanta d’oro in oro buoni et di iusto peso inel modo et forma infrascripti, cioè: e prima scudi venti d’oro sborsati a esso Lunardo per il prefato m.o Michelangelo avanti la cellebratione del presente contracto, et scudi cinquanta d’oro, de li quali apparisce inel contracto rogato et scripto per mano di me notaio infrascripto a dì 14 marzo 1517, et scudi dieci d’oro sborsati al dicto Lunardo per Pietro, garzone di dicto m.o Michelangiolo, inanci alla dicta celebratione del presente instrumento, et scudi dieci d’oro, li quali il prefato m.o Michelangiolo lì, in presentia di me notaio et testimoni infrascripti, dié, pagò et exbursò al dicto Lunardo. Delli quali scudi novanta dicto Lunardo s’è chiamato ben pagato, tacito et conteno, renuntiando lui alla exceptione di non haver hauto et riceuto li dicti scudi novanta in quello modo et forma che di sopra. E sono per cagione di pezzi venti di marmo della grandeza, qualità et misura che apparisce inel libro di dicto m.o Michelangiolo, al quale si debia haver piena relatione. Delli quali pezzi venti di marmo, nove ne sono alla marina et undici ne sono inello ravaneto della cava di dicto Lunardo/1v/, posta inelle alpe di Carrara in luogo dicto a Sponda, come esse parte hanno dicto et affermato. Li quali pezzi undici di marmo, ut supra, dicto Lunardo ha promisso al prefato m.o Michelangiolo di condurli dalla dicta sua cava per insino in su la spiagia di Lavenza, et conducti insieme con quelli altri nove pezzi, porli et consignarli in barca al prefato m.o Michelangiolo, o a chi per lui serà, ad ogni sua spesa et danno, per tutto il mese di septembre proximo hae a venire. Rimossa ogni exceptione di ragione o di facto; promettendo dicto Lunardo per sé et per li suoi heredi al prefato m.o Michelangiolo, stipulante ut supra, tutte le cose et singule suprascripte perpetuamente haver rate et ferme et quelle observare et in alcuna cosa non contrafare per sé o per altri per alcuna causa etc. Sotto pena et obligatione di ogni suoi beni presenti et futuri etc. Item di rifare al prefato m.o Michelangiolo ogni da(n)no, spese et interessi che per le predicte cose, non observate, gli accadessino in iudicio o fuora etc. Renuntiando lui etc. Actum Carrarie in domo mei notarii infrascripti, presentibus Carlino Simonis de Sancto Terrentio, habitatore Carrarie, Angelo Jo. Dominici de Furno, vicariatus Masse et Jo. Petro Simonis Tallini de Vinca, habitatore Colu(m)nate, villa Carrarie, testibus etc. Ego Galvanus olim Ser Nicolai Ser Thome de Carraria, publica apostolica imperiliaque autoritate notarius et iudex ordinarius, predictis omnibus et singulis, dum sic agerentur et fierent, una cum suprascriptis testibus interfui, et ea rogatus scribere scripsi. In quorum fidem me hic propria manu subscripsi signumque meum tabellionatus consuetum apposui, salvo mihi iure latius in forma extendendi dictas clausulas generales, si erit expediens. ab, ii-iii,
n. 51 (= Contratti 2005, pp. 125-126, n.
Ciulich 1994b, p. 103).
Doc. 148 19-27 agosto 1517 /149v/ Le pietre di Casone, che lui hae a condure, 11 sono nello ravaneto della cava sua de la misura aparisse a libro. Item pezi nove conducti alla marina della misura apparisce al libro de m.o Michelangiolo segnato, inel quale s’é sottoscripto anche Casone. Le pietre del Mancino e di Matheo pezi 3 alla marina e 21 all’alpe, della grandeza e misura che aparisce inel suprascripto libro etc. asm,
Notarile di Carrara, busta n. 5, anni 15151518, c. 149v. Libro delle imbreviature del notaio della Lunigiana Galvano Parlanciotto, n. xliv (= Contratti 2005, p. 127, n. xlviii). Doc. 149 20 agosto 1517 Lionardo detto Cagione si dichiara debitore di Michelangelo della somma di undici scudi […] Sia noto ad ogni persona come Lunardo, dicto Cagione da Carrara, si chiama essere vero et legiptimo debitore dello excellente homo m.o Michelangiolo, cittadino et sculptore fiorentino, di scudi undici d’oro boni et di iusto peso, li quali dicto Lunardo hae hauto di più delli marmi dati et consignati ad esso m.o Michelangiolo inanci alla presente scripta; per li quali dicto Lunardo promette ad esso m.o Michelangiolo, presente et acceptante, di darli tanti marmi per la somma di dicti scudi undici, conducti alla marina et posti in barca, di quella medesima bontà et biancheza et di quella medesima sorte et qualità che sono li altri marmi che dicto Michelangiolo hae hauto da dicto Lunardo: et questo per di qui a tutto septembre proximo hae a venire, senza alcuna exceptione. Et per fede di ciò io Galvano di S. Nic(ol)ò da Carrara ho scripto la presente scripta in casa mia, posta in Carrara, di voluntà et commissione et to(tal)e concordia delle soprascripte parte, presente et così richiedenti; presente el Mancino di Giova(n) Paulo di Cagione testimonio. /2v/ Scripta privata di Cagione delli scudi undici. ab, ii-iii, n. 52 (= Contratti 2005, p. 128, n. xlix; cfr. Milanesi 1875, p. 670, n. xxxii). Doc. 150 20 agosto 1517 Ricevuta di Francesco Pellicia Io Franc(esc)o Pelicia ho ricevuto da m.o Michelangelo, sculptore fiorentino, in contanti ducati quatro d’oro, li quali ditto Michelangelo li à pagati per Michelle Batalgia, di che io havevo prestati a Michele Batalgia; e m.o Michelangelo me li promisse per lui; e cuxì lui me li ha pagati presente el Mancino de Torano. Io Santino di Franc(esc)o Pelic[i]a ho scripto cum voluntà di mio padre perché lui non sa scrivere. ab, xix,
n. 2 (= Ricordi 1970, p. 19, n. xix).
Doc. 151 26 settembre 1517, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Da Piero vostro intendo chome state bene, che mag[i]ore nuova non potevo avere. [...] Sono stato chol Palavisino e fatto intendere tutto, e lui chontentisimo chon disiderio v’aspetta. [...] ab, ix, ccxl).
n. 397 (= Carteggio 1965-83, i, p. 301, n.
Doc. 152 30 ottobre 1517, venerdì Leonardo Lombardello [notaio] in Carrara a Michelangelo in Firenze [...] Ho parlato con il Marchese di quanto me ha scripto Vostra prefata Signoria, et per la sùbita partita che dice voler fare de qui il fratello di maestro Domenico, presente exhibitore, non posso intieramente scrivere de la bona voluntade che epso Marchese ha verso di quella. Per signal di ciò, affectuosamente e come gieloso de le cose di Vostra Signoria, hammi conmesso che domenica prossima a venire vadi a la marina ad fare nota del numero de li marmori che vi sono ad instantia di epsa, et signati col suo signo, et
che poi mi transferischi a l’Alpa ad fare il simile de li marmori che sono cavati et lavorati a nome di quella. [...] ab, ix,
n. 465 (= Carteggio 1965-83, i, p. 308, n.
ccxlvii).
Doc. 153 14 novembre 1517, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Più dì sono, pasando da Ripa, vedi manchavono’ marmi e non potetti mai investighare dove fusino andati. Parlandone chon quello da Charara, ne sapeva el tutto: chome al Po[po]lo erono, per chonto d’Aghostino Ghisi, e di g[i]à rotone uno; e lui dice avere detto che sono vostri, e che non tochino l’altro. Dice, Aghostino gl’à detto nonne sapeva nulla, ma che ve lo pagherà o vero ve lo renderà. Ora avisate se vi pare che io fac[i] a chosa nesuna, e quanti pezzi erano e’ vostri; e riserveremci a boccha a dire quello che stimo ne sia chausa, e saraci modo da vendicharci chon ognuno a buona misura. [...] ab, ix,
n. 400 (= Carteggio 1965-83, i, p. 309, n. ccxlviii).
Doc. 154 5 dicembre 1517, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Carisimo Michelagnolo, oggi sono 15 dì vi schrissi di que’ marmi e nonn·ò risposta, che mi maravigl[i]o. Sarà stato chostì quello da Charara e arete inteso da lui tutto. Ieri fu’ chol Chardinale, e tenemi più d’un’ora, e dissigli chome tutti e’ marmi erono alla marina, e chome voi stimate in ogni modo infra dua anni, se altro non segue, avere l’opera o al fine o a presso. E lui mi disse avere in quella matina una gran nuova; e, tutto allegro di vostra sanità, in su questo mi volse dare desinare. Ma che ne chredete? E di nuovo, presente messer Francesco, mi promesse, finita l’opera, sopra el paghamento donarvi la chasa e uno ufizio. E in su questo v’atende avanti Natale. [...] ab, ix,
n. 401 (= Carteggio 1965-83, i, p. 310, n.
ccxlix)
Doc. 155 (cfr. dis. 46a) [Dicembre 1517] Michelangelo [in Firenze] a [Pietro Urbano in Firenze] [...] c[... tuc]te le stage e tucto e’ legniam[e e serra] dentro molto bene l’uscio che va in chucina, e [...] per la finestra che va nella decta stanza; poi ap[poggia] e’ legniame alla decta finestra e puntella l’usc[io...] dalla fucina. Dipoi la tieni serrata a chiave. E n[ella cam]era di sopra, dove sta Bernardino, mecti tucti e’ fer[ri...] e da·llavorare e tucte le masseritie, e·ctucte l’aca[tasta sopra e’ l]ecti, e tienla serrata. Dipoi conta ctucti e’ pezi [di marmo] che ci sono non lavorati e piglia lor misure, e poi [la pa]rte del lavoro di quadro che è finito e quello che non è, [e poi di] tucte le fugure (sic) bozate, che son quatro, e fanne d[isegn]i, e poi, quand’io manderò per te, ne darai uno a·lLionard[o...] me, e uno ne piglierai per te e portera’lo a Fiorenza. [Me]cterai tucti e’ disegni, insino a una minina (sic) ca[rta, coi pan]ni mia e tua, lani e lini; e e’ disegni mecterai in u[na cassa], e’ panni si può fare un fardello, o in una cassa, [come vu]oi. E farai portare quel più o meno che io ti s[criver] ò da Fiorenza. Actenderai a disegniare quanto p[uoi, in quest]o tempo. Chonfessati e chomunicati. Non pigliare al[chune brig]he, e massimo di vicini; mangia pocho e buono [a desi]nare, e va’ pocho actor[no]. Cambridge, Mass., Harvard University, Houghton Library (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 174-175, n. cdxxiii, nota; Ricordi 1970, p. 23, n. xxii). Doc. 156 29 dicembre 1517, martedì Pietro Urbano in Roma a Michelangelo in Firenze Charissimo Michelagnielo, salute et cet. Avisovi
chome io giunsi a salvamento, e ’l simile el modello; [...]. Io vego certi andamenti di Domenich[o] che non mi piaciano, cioè di volermi tenere qua un tempo. E dice che voi avete a venire qua. Io no’ vi dicho che voi vegniate, se voi no’ vedete mia lettera da qui ina[n]zi. [...] ab, x,
cclii).
n. 614 (= Carteggio 1965-83, i, p. 314, n.
1518 Doc. 157 2 gennaio 1518, sabato Pietro Urbano in Roma a Michelangelo in Firenze [...] El cardinale d’Aginense sì vi si rachomanda; perché, sapendo che io ci ero, sì ma[n]dò per me e sì li parlai e sì li dissi che voi no’ volevi attendere ad altro se no’ a fare questa sepultura, e di molte altre chose che io no’ vi schrivo, che ve le dirò a bocha. [E d]e le aversità vostre aute a Carara li dissi el tutto. [...] ab, x,
n. 615 (= Carteggio 1965-83, i, p. 317, n.
ccliv).
Doc. 158 Febbraio 1518 Ricordo di Michelangelo E a dì ... di febraio mille cinque cento diciassecte ebi da Lanfredini per Bernardo Bini per chonto della sepultura di papa Iulio ducati latro cento d’oro larg[h]i. ab, i,
n. 2 (= Ricordi 1970, p. 4, n. v).
Doc. 159 5 febbraio 1518, venerdì Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Perché non mi pare stia a proposito dua tenghino le chiave di chasa, per la gelosia di quelle fighure, parendovi, darò loro tutte le chiave, c[i] oè di sotto. [...] Pier Francesco vi si rachomanda; e io vi richordo, nonne avendo a fare e’ libro delle misure della fac[i]ata, mi faciate quello schizo m’avete promesso. [...] ab, ix, n. 402 (= Carteggio 1965-83, i, p. 318, n. cclv). Doc. 160 8 febbraio 1518 Ricordo di Michelangelo /1r/ Sia noto chome a dì octo di febraio mille cinque cento diciassecte Bartolomeo detto Mancino, figliolo di Giampagolo di Chagione da·cTorano, mi vendé quatro pezzi di marmo. ab, i,
n. 7 (= Ricordi 1970, p. 24, n. xxiii; cfr. Barocchi 1962, p. 96).
Doc. 161 [30-31] marzo 1518 Pietro Urbano in Firenze a Michelangelo in Pietrasanta [...] Io sì atendo a disegniare chome io sì vi promessi, acetto dua dì che qua è stato gra’ fredi e ècci presso inevichato: e ò ritratto qualche volta di naturale, e so’mi chonfessato e sto ass[a]i ben della anima. [...] ab, x,
n. 617 (= Carteggio 1965-83, i, p. 333, n.
cclxvii).
Doc. 162 2 aprile [1518], venerdì Michelangelo in Pietrasanta al fratello Buonarroto in Firenze ...] Però fa intendere quello ti scrivo a decto Jachopo e rachomandami a sua Magnificenti[a], e prega quella mi rachomandi, a Pisa, a·ssua uomini, che mi faccino favore a trovare barche per levare e’ mia marmi da Charrara. Sono stato a Gienova e ò chondocto quattro barche alla spiaggia per charichargli. E’ Charraresi ànno chorrotti e’ padroni di decte barche e ànno pensato d’assediarmi, i’ modo che io non ò facto chonclusione nessuna, e chredo oggi andare a Pisa per prove-
dere dell’altre. [...] bm,
Add. Ms. 23141, c. 77 (= Carteggio 1965-83, pp. 334-335, n. cclxviii; cfr. Bardeschi Ciulich 1993, p. 1044).
i,
Doc. 163 [2 aprile 1518, venerdì] Michelangelo in Pietrasanta a Pietro Urbano in Firenze Pietro, io intendo per una tua chome se’ sano e actendi a’mparare. Piacemi assai. Afatichati e non manchar per niente di disegniare e d’aiutarti di quello che puoi. E’ danari che tu ài di bisognio, chiedigli a Gismondo per mia parte e tienne chonto. Avisoti chom’io sono stato per insino a Gienova, a cerchare delle barche per charichare e’ marmi che io ò a Charrara, e òlle chondocte all’Avenza, e e’ Charraresi ànno chonrocto e’ padroni di decte barche e ànnomi assediato in modo, che e’ mi biso[gnia] andare a Pisa a provedere dell’altre; e partomi oggi e, chome ò dato ordine a charichare e’ decti marmi, subito ne vengo: che stimo sarà infra quindici dì. [...] ab, v,
n. 7 (= Carteggio 1965-83, i, p. 336, n. cfr. p. 341).
cclxix,
Doc. 164 5 aprile 1518, lunedì Buonarroto Buonarroti in Firenze al fratello Michelangelo in Pietrasanta o Pisa [...] E subito andai a chasa di Jachopo Salviati e stetti secho circha a una ora e lesegli la tua lettera, o parte. [...] E più dice che se ti fusi confidato con lui, che aresti avute le barche de’sua di Pisa [...]. ab, xxv,
cclxxi).
n. 32 (= Carteggio 1965-83, i, p. 339, n.
Doc. 165 7 aprile 1518, mercoledì Michelangelo in Pisa al fratello Buonarroto in Firenze Buonarroto, io ero assediato, chome ti scrissi, del chondurre e’mia marmi; e g[i]unto a Pisa, chol favore di Jachopo Salviati gli ò allogati qua [a] uno padrone di barcha per g[i]usto prezo, e sarò servito. [...] bm, i,
Add. Ms. 23141, c. 80 (= Carteggio 1965-83, p. 342, n. cclxxiii).
Doc. 166 8 aprile 1518 -12 aprile 1519 Ricordi di Francesco Peri Ricordi di Francesco Peri ne’ Salviati a Pisa per il trasporto dei blocchi di marmo di Michelangelo. ab, xix, n. 12 (= Ricordi 1970, pp. 24-29, n. xxv; cfr. Bardeschi Ciulich 1993, p. 1047).
Doc. 167 17 aprile 1518, Carrara Michelangelo nomina procuratore Donato Benti per caricare i marmi e portarli alla Marina […] Excellens d. us Archimagister Michael Angelus, olim Ludovici Bone Rote, civis florentinus. Omni meliori modo etc. Fecit, constituit atque solemniter ordinavit eius procuratorem, factorem et certum numptium specialem et quid de iure melius facere potest, providum virum m. Donatum olim Baptiste Benti, civem florentinum presentem et aceptantem. Generaliter ad onerandum et onerari faciendum et transveendum omnia et singula marmora que predictus dominus constituens habet in alpibus et sub Marinella Aventie et ad omnia alia et singula etc. Actum in domo mei coram Blaxio Zannettini de Seino et Antonio olim Bartholomei Viviani de Massa et Baldassare Pelegrini de Mezano et Dominico Buffe de Berzola. asm, Notarile di Carrara, busta n. 7, anni 15181521, c. 24r. Libro delle imbreviature del notaio della Lunigiana Leonardo Lombardello (= Contratti 2005, p. 142, n. liii; Frediani 1837 [ed.
321
Michelangelo. Il marmo e la mente
1976], pp. 87-88, n. x; Milanesi 1875, p. 678, n. xxxvi; cfr. Bardeschi Ciulich 1993, p. 1050; Rapetti 2001, p. 60). Doc. 168 18 aprile 1518, domenica Michelangelo in Pietrasanta al fratello Buonarroto in Firenze [...] Questi scarpellini che io menai di chostà non si intendono niente al mondo né delle chave né de’ marmi. [...] bm, i,
Add. Ms. 23141, c. 82 (= Carteggio 1965-83, p. 346, n. cclxxvi).
Doc. 169 22 aprile 1518 Iacopo Salviati in Firenze a Francesco Peri in Pisa [...] Michelagnolo mi fa intendere come quelle nave che voi noleggiasti per andare a levare e marmi sua a Carrara non erano ancora co(m)parse, di che e lui et io ne siamo maravigliati. Desidero che voi facciate ogni diligentia che, non sendo partite, che le vadino su subito et che li sia observata la fede, come è ragionevole: et fateli in t(ut)to quello potete, come per altra vi s’è detto, tucti e piaceri potete, che non mi potrete fare cosa più accepta. Et vedete di ritrarre donde viene che i barcheroli delle barche noleggiate non li hanno observato la fede, et gle ne date adviso a ogni modo, né co(m)portate che li sia facto torto. [...] ab, xii,
n. 92).
n. 4 (= Carteggio indiretto 1988, i, p. 170,
[Nel 1518 e 1519 Michelangelo corrisponde con le seguenti persone riguardo al trasporto da Carrara a Firenze dei blocchi di marmo cavati per la tomba di Giulio ii e per la facciata di S. Lorenzo: Jacopo Salviati a Firenze (cfr. Carteggio 1965-83, ii, pp. 55, 143); la Compagnia dei Salviati (“Per rede d’Alamano Salviatti e chompagni”) a Pisa (cfr. Carteggio 1965-83, ii, pp. 3, 21, 65, 79, 141, 156, 168, 169-171, 211); Francesco Peri ne’ Salviati a Pisa (cfr. Carteggio 1965-83, ii, pp. 52, 60-64, 67, 72, 89, 96, 121, 149, 194); Lodovico Doffi a Pisa (cfr. Carteggio 1965-83, ii, pp. 44-45); Donato Benti, incaricato di trasportare i blocchi (cfr. Carteggio 1965-83, ii, pp. 4, 19, 27, 90-91, 93, 98, 107, 118, 119-120, 123, 132, 133, 145, 147, 148, 150, 153, 155, 158, 162-166, 224); Girolamo del Bardella a Portovenere (cfr. Carteggio 1965-83, ii, p. 46); Berto di Filicaia a Seravezza (cfr. Carteggio 1965-83, ii, pp. 92, 97); Francesco Pelliccia a Carrara (cfr. Carteggio 1965-83, ii, p. 139); Girolamo di Carlo al Porto [a Signa] (cfr. Carteggio 1965-83, ii, p. 173)]. Doc. 170 [Prima metà di maggio 1518] Michelangelo [in Firenze] al Capitano di custodia [di Cortona] S(ignior)e Chapitano, send’io a·rRoma el primo anno di papa Leone, vi venne maestro Lucha da Chortona pictore, [...]. [...] Subito che io fui a chasa, io gli mandai e’ decti quaranta g[i]uli per uno mio garzone che si chiama o vero à·nnome Silvio, el quale credo che sia oggi in Roma. Dipoi, forse non riusciendo al decto maestro Lucha el suo disegnio, passati alquanti giorni venne a chasa mia dal Macello de’ Chorvi, nella casa che io tengo anchora oggi, e trovommi che io lavoravo in sur una figura di marmo ricta, alta quatro braccia, che à le mani drieto [...]. ab, v,
n. 12 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 7-8, n.
cclxxxv).
Doc. 171 3 settembre 1518, venerdì Pietro Urbano in Firenze a Michelangelo in Seravezza Carissimo quanto magior padre, salute. Avisovi, subito che io ebbi la vostra lettera, andai a vedere se Lionardo c’era e no ce lo trovai, perché li era a Montelupo; ma io subito v’andai e disili quanto m’imponeste, e lui mi disse che sabato schriverebbe a messer Francesco Palavicini, ma che e’ dubitava che fusse a Savona. Ma, se no v’è, la lettera
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Documenti
sarà data al cardinale Aginenssis, el quale schriverà a messer Francesco infino a Savona, e chrede afermativo sarete servito. [...] Io feci quella figura, la quale, esendo secca, s’è rotta da u’ lato. Io l’ò charo perché la noe stava troppo a mio modo, ma arei caro l’avessi veduta intera. Pure la vedrete a quel modo. Ò fatto una storia di pocho rilievo e dua figurine; io no ò troppo disegniato, perché quando si lavora di terra bisognia finire. [...] ab, x, n. 620 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 73-74, n. cccxxxvii).
Doc. 172 4 settembre 1518, sabato Berto da Filicaia in Firenze a Michelangelo in Seravezza [...] A presso intendo di Charara, quanto ne dite per l’aloghazione de’ marmi di l’avenza, chome el Signiore à messo in prig[i]one l’uomo che ve gli chonduceva, che asai m’è dispiac[i]uto e non meno a Jachopo Salviati, chol quale abiàno rag[i] onato tutto; e a me pare che voi gli faciate un verso, di che ne schriverò a Roma per avere un brieve a’Signiore di Charara [...]. ab, viii, n. 337 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 75-76,
n. cccxxxviii).
Doc. 173 25 settembre 1518, sabato Sebastiano del Piombo [in Roma] a Michelangelo [in Seravezza?] [...] per una littera recevuta da Leonardo nostro con una directiva a messer Francesco Palavicini, che io solicitasse de haver una lictera del Cardinale diretiva a Savona, per haver navilii da caricare i vostri marmi; et el Cardinale, con messer Francesco Palavicini, ha voluto haver un breve dal Papa, directivo al Signor de Masa. Et per non esser stato el Papa in Roma, si è tardato tanto. Hora io l’ò havuto, et duo littere, una directa al Doxe de Zenoa et l’altra al signor Sipione de Flisco [i.e. Scipione Fieschi], che costoro vi farà haver quello vui desiderate. Et el Cardinale mi ha dimandato se vui havete facto cossa alcuna; io li ho resposto che havete bozato gran parte de le figure. Di questo non vi scrivo altro, et perdonateme si non havete havuto l’intento vostro cossì presto. L’eror è stato del Cardinale, et la partita del Papa. [...] ab, ix,
n. 469 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 86, n.
cccxlvi).
Doc. 174 6 ottobre 1518, mercoledì Bartolomeo da Filicaia in Seravezza a Michelangelo in Firenze [...] Ma sapiate chome s’è ne chominc[i]ati a levare, de’ detti marmi, da l’Avenza [...]. ab, viii,
c. 331 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 87, n. cccxlvii). Doc. 175 7-11 ottobre 1518 Donato Benti in Pisa a Michelangelo in Firenze [...] Le priette che ò arechatte sono di quele de’ Mancino; [...]. ab, vi,
n. 77 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 90, n.
cccxlix).
Doc. 176 23 ottobre 1518, sabato Il cardinale Leonardo Grosso Della Rovere in Roma a Michelangelo [in Firenze] Michaelangelo carissimo, havemo receputo una vostra de’ VIII del presente, a la quale respondemo che ne piace grandemente intendere la diligentia haveti usato che uno Hieronimo de Portovenere ve habia promesso cum bone cautione condure li marmori per la sepultura de la felice recordatione di Iulio, perché desideramo, como voi sapeti, vedere dicta sepultura finita. Ne dol bene che siati stato amalato, tamen reingratiamo Dio che ve habia restituita la sanità, como voi ne scriveti et da Leonardo, portatore de la vostra, havemo inteso. Confortamovi attendere a repigl[i]-
are le forze et preservarvi sano, sì per voi como etiam perché noi possiamo vedere el fine de dicta sepultura; et cum desiderio aspectamo vedere le doe figure al tempo che ne haveti promesso. Stati de bono animo et non prendeti passione alcuna, ché più credemo a una minima vostra parola che a tutto el resto ne dicesse el contrario. Cognoscemo la fede vostra et tanto li credemo quanto a noi proprii; et se bisognarà cosa alcuna de quanto noi possemo, volemo, como altre volte ve havemo ditto, ne pigliati ogni ampla segurità, perché ve amamo ex corde et desideramo farvi ogni piacere. Bene valete. [...] ab, vii,
n. 136 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 99, n.
ccclvii).
Doc. 177 23 ottobre 1518, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Presentai la lettera al Chardinale, che·lla lese tanto volentieri del mondo e per rag[i]onare mecho dette licenzia a ognuno, e disigli tutti e’ sinistri. Lui mi fece questa resoluzione: quello brie[ve] g[i]overà e, non g[i]ovando, el Papa è di volontà di fare che e’ g[i]ovi. Sì che non dubitate e andate di buono animo, e non pensate avere più noie. El Chardinale non presta fede a nesuno, né chrede a nesuno che dicha chontro a di voi, per bene che ce n’è asai e grand’uomini, e lui se ne fa befe. Ma bisogna voi cho’ fatti gli faciate bug[i]ardi, chome io ò promesso almancho una fighura a tenpo nuovo; e se voi fate questo, ognuno si cheterà e lui resterà chontento. Sì che ve ne priegho, se voi volete ghastighare e’ nimici nostri. E chonfortatevi e state alegro, per finire quest’opera e servire un tale uomo, che vi vuole bene da fratello. Mostrai l’altra lettera a messer Francesco. Lui non dubita, come el Signore vede el brieve lui non ve gli fac[i]a portare dove vorete; perché, dice, el brie[ve] è strasordinario. Sì che fate buon chuore, diventate ghagl[i]ardo, togl[i]ete gharzoni, ché non si lasc[i]a se none buona e trista fama. [...] ab, ix,
n. 406 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 100, n.
ccclviii).
Doc. 178 26 ottobre 1518, martedì Donato Benti in Seravezza a Michelangelo in Firenze [...] Voi mi chomettestti un brieve porttasi al ma[r]chese A[l]berigo, di che lo porttai, e lui rimase insttupefatto, chon dire voi avesi ttortto, nonn·avendo mai lui fatto nesuna chosa chonttra di voi; e se e’ v’è fatto nesuna chosa, lo faci inttendere a Sua Signoria e lui rimedierà a·ttutto imediatte. Io sono ttornatto da l’Avenza e ò charichatto charatte quindici di marmi in sei pezi, e voglio andare domattina in Pisa a·sscarichare; e di là vi darò aviso de’·ttutto. E Piettro vi dirà a bocha e’ restto. [...] ab, vi,
n. 61 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 101, n.
ccclix).
Doc. 179 31 ottobre 1518, domenica Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Sono stato di nuovo chol Chardinale e truovolo di mag[i]ore vogl[i]a che mai lo trovassi verso di voi, ed àmi dato questa lettera ve la mandi. Sichché non vi paia faticha lo schrivere, perché lui à gran piacere d’intendere di voi. E io l’a[nderò] a vicitare senpre che arò nuove di voi; e sopra a tutto la fighura sia fornita al tenpo promesso. [...] ab, ix,
n. 407 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 103, n. ccclxi). Doc. 180 13 novembre 1518, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze A’ dì pasati vi schrissi chon una lettera del Chardinale, che vedete quanto lui vi disidera. Dipoi mandò per me e mostrommi dua lettere, una a lui e una al Papa, che venivono dal signore di Masa, chon grande ischusazione. E diceva cho-
me senpre, per amore suo, v’aveva fatto onore e quello aveva potuto, ma che quello nonne avevi fatto era restato per voi, per la vostra miseria, e che senpre avevi voluto chonbatere chogl’uomini e fare straneze, e da voi veniva tutto. Mostra’gli la lettera mi schrivete, chome volsono amazare quello Bardella, e molto bene gli feci chapace la verità; e non dette la lettera del Papa, e resta sodisfatto e prieghavi voi no gli manchiate. [...] ab, ix,
n. 408 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 106, n.
ccclxiii).
Doc. 181 20 novembre 1518, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze A una vostra a me gratisima in brieve risposta. Detti la sua a Piero Rosegli e mostrai la vostra al Chardinale, che ne fu chontento asai e prieghavi voi solecitiate e al tenpo promesso gli mandiate una fighura; e io di nuovo me gli sono ubrighato per fede. [...] ab, ix,
n. 409 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 111, n.
ccclxvii).
Doc. 182 24 novembre 1518 – 28 marzo 1519 Ricordo di Michelangelo /A1r/ Richordo chome a dì venti quatro di novenbre mille cinquecento diciotto sere Macteo di Pavolo, prete di San Lorenzo, mi fece chontracto d’un sito che m’avea venducto nella strada che va da San Barnaba a Santa Chaterina, e fu rogato di decto chontracto ser Filippo Cioni che sta nell’Opera di Santa Maria del Fiore, di nocte, circha due ore, in Gualfonda in casa di Francescho Gerini; e chontai in su decto contracto cento sectanta duchati d’oro larg[h]i [...]. bm,
Add. Ms. 22731, c. 1 (Daelli 1865, n. 1, pp. 1-3); bav, Cod. Vat. Lat. 14153 (già coll. Steinmann), c. 69 (= Ricordi 1970, pp. 45-51, n. xlii). Sulla bottega di via Mozza Su un terreno in via Mozza (attuale via San Zanobi), che conduce da San Bernaba a Santa Caterina, acquistato il 24.11.1518 – da non confondere con il fondo in Santa Caterina acquistato qualche tempo prima (cfr. Carteggio 1965-83, v, p. 38-39, n. 1; Ricordi 1970, p. 51, n. 1; Wallace 1994, p. 66) – Michelangelo fece costruire senza indugi una bottega: vi si trovavano i blocchi di marmo per la tomba di Giulio ii e per la facciata di S. Lorenzo. I pagamenti per la costruzione della stanza, registrati nei Ricordi a partire dal 4.12.1518, andarono, tra gli altri, soprattutto a Baccio di Puccione legnaiolo, Meo fonditore (cfr. anche Ricordi 1970, p. 61, n. liii), Ugolino fornaciaio, Bernardo Bistochi muratore, Matteo Talosi scalpellino (per finestre e porte di Macigno), Baggiana «che porta la rena». Cfr. inoltre sulla costruzione della casa e il trasporto del marmo Ricordi 1970, pp. 54-55, n. xlv, pp. 55-56, n. xlvi, p. 56, n. xlvii, p. 57, n. xlviii, n. xlix, pp. 58-59, n. li, pp. 62-63, n. liv, pp. 63-64, n. lv, p. 64, n. lvi, pp. 64-66, n. lvii, p. 69, n. lxii, n. lxiii, p. 71, n. lxiv, pp. 71-73, n. lxv, pp. 73-74, n. lxvi, pp. 76-77, n. lxxi, pp. 77-78, n. lxxii, pp. 78-80, n. lxxiii, pp. 80-81, n. lxxiv. Doc. 183 28 novembre 1518, domenica Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Carisimo chonpare, sabato vi schrissi; dipoi ò·lla vostra, e detti la sua a Domenicho, e dipoi sono andato a trovare el Chardinale. E da che vi schrisse, chome sapete e di che volontà, l’ò trovato mezo fredo, che mi afronta cholla vostra lettera; e per quanto ò possuto ritrare, gl’è suto detto asai, e da uomini che voi gli tenete amici, ma non si può schrivere. Pure l’ò chonfortato e redutto alla prima openione; ma bisogna ora che da voi vengha, cho’ fatti, a soperire a tutto che s’è manchato cholle parole, e fare bug[i]ardi quegli che ànno detto male, e fare che a ogni modo, a primavera, chome gl’abiamo promesso, abia una fighura di
man vostra; e dipoi l’altre potete, chome disegnamo, fare fare ad altri. E chosì·ffaremo chontenti gl’amici, e’ nimici a oposito. [...] ab, ix,
n. 410 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 115, n.
ccclxx).
Doc. 184 9 dicembre 1518, giovedì Donato Benti in Lucca a Michelangelo in Firenze Karisimo mio magiore, qu[e]stta per darvi aviso de qua. Quando mandastti Piettro, ero a Charara per charichare le barche, e guasttòsi e’·ttenpo e no’ pottemo charichare; e venimo in Pisa per charichare le scafe, e si rachonciò e’·ttenpo, e non è aqua da venire. Aremo charicho ttutte quele sono in Pisa. Abiàno aspettatto quattro dì in Pisa; ora andrò a Charara a vedere se poso charichare, e chosì vo perdenndo el ttenpo. O pure si fa per fare e’ bisongno vosttro, e inspendo ttuttavia. E pure faciamo bene. Andamo insino a Porttoveneri, e vene Piettro chon eso noi e vide e’ modi ttutti, e lui vi raguagl[i]arà de’·ttutto. E credo charichare una di quelle priette grose, a piacimentto de Dio. [...] ab, vi,
n. 63 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 119, n.
ccclxxiv).
Doc. 185 11 dicembre 1518, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Carisimo Michelagnolo, nonn·ò che vi schrivere, ma per richordarvi el solecitare e lo schrivere alle volte quello fate, che ogni g[i]orno el Palavisino me ne domanda. Sì che, quando ave’ ag[i] o, schrivete. [...] ab, ix, n. 411 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 122, n. ccclxxvi). Doc. 186 [Ante 18 dicembre 1518] Domenico Buoninsegni [in Roma] a Bernardo Niccolini [in Firenze] [Copia di uno chapitulo di una lettera che scrive Domenico Boninsegni a Bernardo Nicholini:] Avisate quello che fa Michelagniolo, ché il padrone ad ogni hore me ne domanda, e dite a detto Michelagniolo che il chardinale Agenensis si cruccia per conto della sepoltura d[i] papa Iulio e m’à mostro lettere aute dal marchese di Massa che molto carichano esso Michelagniolo; e si schusa exo marchese che lui non li ritiene li marmi né li dà inpedimento alchuno, ma che resta da lui. Scriveteli, se lui nonn·è costì, questo contenuto. [...] ab, xii, n. 22 (= Carteggio indiretto 1988, I, p. 171,
n. 93; cfr. Carteggio 1965-83, ii, p. 125).
Doc. 187 18 dicembre 1518, sabato Domenico Buoninsegni in Roma a Michelangelo in Firenze [...] El chardinale Aginensis è stato alli giorni passati forte malato; pure s’intende va migl[i]orando, e credo sia fuori di pericholo. [...] ab, vi,
n. 112 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 126, n.
ccclxxix).
Doc. 188 18 dicembre 1518, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Sabato vi schrissi. El Chardinale è stato malato, e dipoi guarito à mandato per me e dettomi chome uno gran maestro l’è stato a vicitare e dettogli chome voi non lavorate e mai finirete el suo lavoro, e che io gl’ò dette le bugia. So donde viene: nollo schrivo. E ògli detto voi lavorate a Pisa; di modo che chredo che, fatte le feste, ci manderà el Palavisino. Sì che vi pregho faciate vi truovi al lavoro. E non vi paia faticha farmi schrivere quello che fate. [...] ab, ix,
n. 412 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 127, n.
ccclxxx).
Doc. 189 [21? dicembre 1518, martedì] Michelangelo in Firenze a Leonardo Sellaio in Roma Lionardo, io sono sollecitato da voi per l’ultima vostra, e òllo molto charo perché vego che voi lo fate per mio bene; ma io vi fo bene intendere che tal sollecitamenti, per un altro verso, mi sono tucti choltellate, perché io muoio di passione per non potere fare quello che io vorrei, per la mia mala sorte. Stasera fa octo dì tornò Pietro che sta mecho da Portovenere, chon Donato che sta mecho là a Charrara per chonto del charichare e’ marmi, e lasciorno a Pisa una schafa charicha, e non è mai chomparita perché non è mai piovuto e Arno è secho a facto; e altre quatro schafe sono im Pisa, soldate per questi marmi, che, chome e’ piove, verranno tucte chariche, e chomincierò a·llavorare forte. Io sto per questo chonto peggio chontento che uomo che sia nel mondo. Io sono anchora sollecitato da messer Metello Vari della sua figura, che è anche là im Pisa e verrà in queste prime schafe. Io non gli ò mai risposto, né anche voglio più schrivere a voi finché io non ò chominciato a·llavorare; perché io muoio di dolore, e parmi essere diventato uno ciurmadore chontro a mia voglia. Ò a ordine qua una bella stanza, dov’io potrò rizare venti figure per volta; non la posso coprire perché in Firenze non ci è legniame e no ne può venire se e’ non piove. E non chredo oramai e’ piova ma’ più, se non quando m’arà a far qualche danno. Del Chardinale, non vi dicho gli diciate altro, perché so che gli à chactiva impressione de’ facti mia; ma∙lla sperientia lo farà presto chiaro. [...] ab,
v, n. 18 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 129-130, n. ccclxxxii). Doc. 190 22 dicembre [1518], mercoledì Michelangelo in Firenze a Francesco Peri in Pisa Karissimo mio maggiore, io non son venuto a far chonto, chome più volte m’avete schricto, perché non son stato bene; ora son sano e gagliardo, e subito che io ò una risposta che m’importa assai, che io aspecto da∙rRoma, chome l’ò subito monto a chavallo e vengo chostà a far chonto e ciò che voi volete. Io vi priego, poi avete avuta tanta patientia, l’abiate anchora questi pochi dì; e non pigliate ammiration de’ casi mia, perché non ò potuto fare altro. [...] ab, v,
n. 19 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 131, n.
ccclxxxiii).
Doc. 191 [Fine dicembre 1518] Michelangelo [in Firenze] a Domenico Buoninsegni [in Roma] Messere Domenicho, io m’achorgo per la vostra che Bernardo Nicholini v’à scricto che io mi sdegniai um pocho secho per un vostro chapitolo, che diceva chome el signiore di Charrara mi charichava assai e chome el Chardinale si doleva di me. E questo è, che io mi sdegniai, perché in boctega d’un merc[i]aio me lo lesse im publicho, a uxo di processo, acciò che e’ si sapessi, per quello, che io andavo a∙mmorire. E perché io gli dissi: ‘Perché non schriv’egli a∙mme?’, io vego che voi schrivete a∙mme. Però scrivete pure a∙llui o a∙mme, chome vi vien bene, e dopo la iustitia, quando sarà, vi prego non manifestiate il perché, per onore della patria. [...] ab, v,
n. 22 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 134, n.
tissimo haverlo inteso. Ma molto più ne è piaciuto intendere voi essere libero de la vostra infirmità, la quale ne havia dato dispiacere assai. Ve confortamo a fare ogni opera in preservarvi sano, ché così desideramo la salute vostra como de qualunque persona che amamo cordialmente. Solicitarete, con quella più presteza potrete, da fare condurre qui li marmori, et similmenti el venire vostro qui, perché grandemente desideramo vedervi, et tanto siamo per mancare a li comodi vostri quanto a li nostri proprii. [...] ccclxxxvii).
no pezzi grossi, a·rragione di venti cinque soldi el migliaio, e de’ pezzi piccholi, venti soldi; e tien chonto e a chi tu pag[h]i e di quello che portano. Paga la gabella di novanta lire a’ Chontracti, e piglia el libro e le carte. Da’ a Baccio di Puccione e’ danari che e’ ti domanda, e tienne conto. Chompra delle canne e fa’ achonciar le vite dell’orto; e se·cti trovassi o·cterra o altra cosa assciucta da fare riempiere la stanza, fallo. Chompra um pezo di chanapo di trenta braccia che no sia fracido, e pagalo e·cten conto. Confessati e actendi a ’mparare, e abi cura alla casa. Fa’ ’l conto chon Gismondo e pagalo, e facti dare ’l conto. Lascioti ducati quaranta, oggi questo dì venti nove di marzo.
1519
ab, v,
ab, vii,
n. 137 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 135, n.
Doc. 193 1 gennaio 1519, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Chome intendesti, el Chardinale era mezo vòlto per le chative lingue: che a presso sapete donde veniva l’omore. Ma da pochi g[i]ornni in qua ò sentito chi diceva male dire bene. A[n]diamo pure drieto all’asino nostro. Ò visto el Palavisino, e di nuovo detogli che dicha al padrone che, se voi vivete, non dubiti di niente che voi manchiate di fede, e che non si dieno afanno; e lui mi dice di chosì ànno fede. E voi, dal vostro chanto, animosamente eseguite chol tore lavoranti, chome rimanemo, e chon tutte le solecitudine che potete per fare bug[i]ardi e’ nimici nostri. [...] Quando voi chominc[i]ate a lavorare, schrivetemelo; e se di qua achade niente, schrivete. [...] ab, ix,
n. 413 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 138, n.
ccclxxxix).
Doc. 194 22 gennaio 1519, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Ò ritrovato chi aveva indegnato el Chardinale, chome sapete. Questo era Iachopo da Sansovino, e per lui qualche grande uomo che mi intendete, che aveva detto che e’ marmi nonn∙erono mossi da l’Avenza, dove che el Palavisino per questo diceva volere venire, più che per sua facende. Facemogli chapace, cholle letere vostre, esere la bugia, e chosì restò sodisfatto el Chardinale. Dipoi Domenicho Boninsegni, parlando al Chardinale, gl’à fatto fede chome e’ marmi erono a Pisa, di maniera che∙nn’è sodisfatto asai; e non mancha la fede. E perc[i]ò vi chonforto al non perdere tenpo e fare che a tenpo nuovo voi mandiate una fighura, chome abiamo promesso, per fare cho’ fatti mentire qualche persona maligna. [...] ab, ix,
n. 414 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 146, n.
cccxcvi).
Doc. 195 13 febbraio 1519, domenica Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Carisimo Michelagnolo, per chonto di Lionardo de l’Ocha sono stato chon Agenensi, e di voi sta chontentisimo; e dicemi Iachopo Salviati gl’à detto voi questa state farete per ogni modo 4 fighure, che ne sta tutto alegro. El Palavisino vi ricorda sé, che dice è vostro prochuratore; sì che, quando mi schrivete, fate un verso che dicha voi sete d’animo di servillo, per tenello bene disposto. [...]
ccclxxxvi).
ab, ix,
n. 415 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 160, n. cdix).
Doc. 192 29 dicembre 1518, mercoledì Il cardinale Leonardo Grosso Della Rovere in Roma a Michelangelo [in Firenze] Michelangelo nostro carissimo, havemo inteso per el vostro mandato la diligentia che havete usato in extrahere tutta la quantità de’ marmori per la sepultura de la felice recordatione de Iulio che bisognavano, et tutti disgrossati haverli facti condurre a la marina, per caricarli su le barche per el primo tempo comodo, che ne è stato gra-
Doc. 196 29 marzo [1519], martedì Michelangelo [in Firenze] a Pietro Urbano [in Firenze] Pietro, tu ài a pagare gli schafaioli quando veng[h]ino a·cte e presentino la lectera di Donato, e ài a dar loro quello che dirà la lectera che ciascuno arà di mia mano; e serba le lectere che e’ ti danno di Donato. Pag[h]erai anchora e’ charradori, quando porti-
n. 9 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 174-175, n. cdxxiii).
Doc. 197 6 aprile 1519, mercoledì Pietro Urbano in Firenze a Michelangelo in Seravezza [...] Io subito vo a Signia, a carichare le girelle come m’inponete; e le lettere mi mandate c[h]e io mandi a Roma, manderò subito. Circha a quello m’inponeste qua, ò fatto tutto e pagato la ghabella e ogni altra cosa. Atendete a stare sano, e no vi afatichate tropo, che voi no amaliate. Farò quanto m’inponete de’ ferri e mazuoli. A voi mi rachomando. [...] Sono venuti, da poi vi partisti di qua, dua pezi di marmo di quatro braccia; e chon quell’altro sono tre pezi in tutto. [...] ab, x, n. 621 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 183, n. cdxxix).
Doc. 198 20 aprile [1519], mercoledì Michelangelo in Seravezza a Pietro Urbano in Firenze [...] Io sarò costà queste feste, e chomi[n]ciereno a·llavorare, se piacerà a Dio. [...] ab, v, n. 23 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 185-186,
n. cdxxxi).
Doc. 199 1 maggio 1519, domenica Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Conpare carisimo, più fa non v’ò schritto. È per dirvi chome el Chardinale si rachomanda a voi, e dice vi richorda la promessa. E messer Francescho, alla fine di questo o prima, va a Genova e farà chotesta via. Per aviso vi sia. [...] ab, ix,
n. 416 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 187, n.
cdxxxii).
Doc. 200 10 maggio – 10 giugno [I5I9] Ricordi di Michelangelo /1r/ A Bardoccio grossi tre a dì dieci di maggio. Grossi cinque al carro decto dì. Cinque ducati a Macteo dell’Opera per cinque legni, a dì undici di decto. Ducati quaranta quatro a Pietro per portare a Carrara, a dì decto. E a dì tredici di decto a Bardoccio decti duchati dua al bancho di Giovanni de’ Servi, che gli dessi a’ charradori che portono e’ marmi da·sSignia. E a dì quactordici di decto decti a Baccio di Puccione ducati cinque larg[h]i in tanti barili, e’ quali gli contò Giovanni de’ Servi al bancho per resto d’asse che decto Baccio avea comperato per la sofficta della stanza di via Moza. E decto dì <soldi trenta> a dua segatori per segature di certe piane per decta stanza, soldi trenta, e’ quali portò Ciappino. E a dì sedici di decto decti a Baccio di Puccione legniaiuolo ducati tre d’oro larg[h]i, presente ser Gian Franc(esc)o, chappellano di Santa Maria del Fiore, in sulla porta dell’Opera, per chonto di finestre e porte e un palcho della stantza di v[i]a Moza che io ò murata. E a dì secte di g[i]ugnio a Baccio di Puccione decti un ducato d’oro, che ne decte grossi dua e un barile al Mariola, che andò a portare un chomandamento a·sSignia a’ charradori; e a Michele di Pier di Pippo che andò achompagniare el charro, ne decte sei, e ’1 resto si gli rimase per chonto dell’opere della stanza di via Moza.
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Michelangelo. Il marmo e la mente
E a dì nove di decto vennono e’ charradori chon una pietra chon cinque paia di buoi alla stanza di via Moza, a’ quali decti loro ducati octo larg[h] i: ducati sei per decta pietra di cinque paia di buoi a·rragione di quatro lire el paio, che così fumo d’achordo, e penorno dua giornate, e dua ducati che restavono aver prima di per dua altre pietre. E decti danari chontò a decti carradori, cioè a Michele di Lello e sua compagni, Baccio di Puccione, presente Topolino e Michele di Pier di Pippo, in sulla porta della stanza di via Moza. A decto Michele decti grossi cinque, che era venuto chol carro. E a dì dieci di decto, decti a Barone scharpellino un ducato e manda’lo a Charrara a trovare Pietro per chonto della allo[ga]gione de’ marmi che io ò fatta là, chome apariscie per ser Giovan Badesse da Pietra Santa. ab, i,
n. 25 (= Ricordi 1970, pp. 85-86, n. lxxix).
Doc. 201 17-21 maggio [1519] Ricordi di Michelangelo /1r/ Martedì a dì diciassette di maggio cominciò Topolino aiutarmi bozare certe figure nella stanza d[i] via Moza; queste sono le sua giornate: martedì, mercholedì, giovedì e sabato. /1v/ A dì venti di maggio un ducato largo a 1Lodovicho che gicta l’artiglierie, per una squadra di ferro. E detto dì al fabro per resto de’ ferri della stanza d[i] via Moza ducati tre. E detto dì al funaiuolo per agutti lire dieci. E sabato, a dì venti uno di decto, <per> a maestro Domenicho, detto Topolino, grossoni dieci per sua giornate. Autografo di Michelangelo, recentemente segnalato nel catalogo 101 di Martin Breslauer, dove è riprodotto il facsimile del solo verso. Il testo del recto è quello di Poggi; cfr. Breslauer s.d., pp. 52-53 (= Ricordi 1970, p. 86, n. lxxx). Doc. 202 19 maggio 1519, giovedì Il cardinale Leonardo Grosso Della Rovere in Roma a Michelangelo [in Firenze] Michelangelo carissimo, Pier Francesco Burgarini ne ha refferito la diligentia che voi de continuo usate perché l’opera de la sepultura de la felice memoria de papa Iulio se expedisca. Ne havemo havuto gran piacere, et così vi exhortamo quanto possemo a usare ogni sollicitudine che ’l fin de dicta opera possiamo vedere al più presto sia possibile, ancora che qualcheduno non manche dirne el contrario de l’animo che pensamo debiate havere alla expedicione de dicta opera, como più a pieno vi dirà messer Francesco Pallavicino nostro camerero, al quale darete piena fede. [...] ab, vii,
n. 138 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 192, n. cdxxxvi).
Doc. 203 22 luglio – 9 [settembre] 1519 Ricordi di Pietro Urbano Registrazione di pagamenti per trasporti di marmo e per lavori di Domenico, detto Topolino. ab, xii, n. 38 (= Ricordi 1970, pp. 87-88, n. lxxxiii).
Doc. 204 [19 agosto 1519, venerdì] Pietro Urbano in Carrara a Michelangelo in Firenze [...] E più v’aviso chome sono stato a l’alpe di Linone, e ò visto ànno chavato dua di quelle fighure grosse, ma no sono abozate; e alla marina n’ànno dua di quelle ghrosse, e una di quelle pichole. Ma una di quelle grosse à un pelo innel piè, che si vede aparire da una testa forsi un braccio, e di sotto tre quarti, che sta chome vel disegnierò qui di sotto. No so se vanno. Loro dichano che no vanno. Nollo accieterò se io no vego prima che e’ no vada, o vero e’ ne faranno una fighura pichola. Sì che no pe[n]sate a chosa alchuna. È stato burascha i[n] mare, no sono potuto ire a Portovenere; ma se domani sarà buon tenpo, andrò a Portovenere e charicherò e’ marmi, e poi me ne verò a Firenze. E farò presto e subito. Datemi aviso di tutto, e presto, di quello ò a fare; e chosì
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Documenti
delle pretre che Lione à nella chava, che voglian saper se voi le volete, o sì o no. [...] ab, x, cdxl,
n. 622 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 196, n. cfr. n. cdxli).
Doc. 205 12 settembre 1519 Ricordo di Michelangelo /1r/ Richordo chome oggi, a dì dodici di sectenbre mille cinque cento diciannove, pagai a Michele Lelli e a·lLuca Fancellocti, charradori e chompagni, lire quaranta cinque per un resto di marmi che e’ mi chondussono da·sSignia, che furono secte pezzi, e chondussonmegli alla stanza mia di via Moza. E decti charradori mi dissono aver chondocti decti marmi: dua pezzi chon tre paia di buoi l’uno, e gli altri, per insino in secte pezzi, dua paia di buoi per pezo. E io, non avendo visto e’ pezzi, decti loro e’ decti danari. Dipoi, visto e’ pezi, trovai che fra e’ decti sette ve n’era tre d’un paio di buoi per pezo, e trova’mi g[i]untato di nove lire, perché tre lire era el merchato tra nnoi per paio di buoi. E decti, decto dì, a decti carradori lire tre per tanti mi dissono avere spesi per achonciare el charro. Pochi dì inanzi al sopra decto dì’ ero tornato da Charrara da vedere Pietro che sta mecho, che stava per morire, el quale io avevo mandato là chon danari per chonto delle figure della faccia di San Lorenzo. Fra andare, imposte e medico e medicine, e per levar[1]o da Charrara e chon-durlo a Seravezza, portato dagl’uomini, e chon dieci ducati che io gli lasciai a·sSeraveza, mi trovai speso trenta tre ducati e mezo. ab, i, n. 20 (= Ricordi 1970, p. 89, n. lxxxv; cfr. Carteggio 1965-83, ii, p. 196, n. cdxl). Doc. 206 17 settembre [1519], sabato Michelangelo in Firenze a Pietro Urbano in Pistoia [...] Io sarei venuto chostì a vederti, ma io son tanto ochupato che io non mi posso partire. [...] ab, v,
n. 27 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 201, n. cdxliii). Doc. 207 22 settembre – 22 ottobre 1519 Ricordi di Michelangelo /1r/ A dì venti dua di settenbre richominciò maestro Domenicho, decto Topolino, a·llavorare mecho in via Moza; e insino a oggi, dì ventinove di decto, à giornate sei, e à da·mme un ducato d’oro largo. Oggi, questo dì primo d’octobre, ò dato a·cTopolino carlini sette, e àmi aiutato g[i]ornate octo. Oggi, questo dì octo d’octobre, a Topolino giornate tredici. E g[i]ovedì, che fumo a dì sei di decto, gli decti quatro charlini, che, dice, volea chomperare un paio di scharpe. E oggi, decto dì octo, gli ò dato un mezo duchato d’un ducato che io gli decti, che e’ me l’andassi a chanbiare. Quando tornò, io gli dissi: pigliatevelo mezo e mezo me lo lasciate chostì in sulla cassa, e chosì fece nella stanza di v[i]a Moza dov’io lavoro. E oggi, a dì quindici d’octobre, ò dato a·cTopolino barili nove; e à insino a decto di giornate diciannove. E oggi, questo dì venti dua di decto, a·cTopolino sopra decto un ducato d’oro largo; e à insino a decto dì giornate venti cinque. ab, i, n. 26 (= Ricordi 1970, pp. 89-90. n. lxxxvi).
Doc. 208 1 novembre 1519 – 15 gennaio 1520 Ricordi di Pietro Urbano E a m.o Domenicho per Ogni Santi, decto Topolino, lire 7 ½ detti io Pietro da Pisto(ia) contanti l. 7 ·s.10 E a Rimedio, detto dì, lire 10 1/2 per resto di marmi portati da Pisa a Signia l. 10· 10 E a dì detto al portinaro della Badia a Settimo detti per marmi vi si scharicò, lire 2, s. 10: portati io Pietro sopra detto l. 2 s. 10
E a dì 19 di dicienbre a Baccio di Puccione lire 7 per chonto d’un palo, che Piero del Sodo à fatto a Michelagniolo, detti io Pietro sopra detto che lo desse a decto Pietro del Sodo c(ontan) ti l. 7 s. o d. – E a dì 10 di sectenbre dette Michelagniolo duchati 3<8>, 8 grosoni a Baccio di Puccione per conperare panchoncelli a chorenti perfare una chanberetta nella sua stanza in via Moza, contanti f.3 l.2 s. 16 E a dì 15 di genaio 1520 a Baccio di Puccione legniaiuolo f. 2 d’oro: li domandò in presto a Michelagniolo e io <lielli> Pietro lieli detti in presentia di Ciapino, cioè f. 2 · s.o ab, xii, n. 39 (= Ricordi 1970, pp. 90-91, n. lxxxviii).
Doc. 209 10 dicembre 1519, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] De’ marmi non ne dubitate, e state cho l’animo in pace, che a chonto ingnuno non saranno messi. El Chardinale no gli cederebe al Papa. Se mi manderete el disegno, mosteremolo insieme chon Lionardo, intenderemo e’ pregi e tutto vi schriverò. [...] ab, ix, n. 417 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 205, n. cdxlvii). 1520 Doc. 210 29 febbraio 1520, mercoledì Francesco di Giovan Michele in Carrara a Michelangelo in Firenze Caro da maior mio amatissimo, atento lo grande amore che in vue porto, da lo quale spero, quando necessario fesse in me de alcuna necessità, federia in voe, – per che tengno bona speranza –, faczo intenderve come le vostre lavorante, le quale havite costì, czioè el Bello di Torano et Leone et Quindiche, et le altre che deveno fare vostre marme, haveno guastata quella vostra fegura che era in lo Polvolaczo, per conducherla in Ruma a maistro Iacopo Sansavino; et più quella ch’è in la piaia de la marina de l’Avencza, ià son più giorne, come voe sapete, la voleno guastare et portarila a ditto maistro Iacopo. Unde per la presente ve fo intendere el tutto, a cziò che potiate congnoscere che molto amo le cose vostre et che questa sia la verità: questo mese de decembre lo Bello, insieme con Leone, forno in Fiorencza per trovare de lavorare, et da poe andarno in Roma et ferno partito de vostre marme con ditto maestro Iacobo, et che più volte le havevo detto come le marme son vostre, non fanno bene a guastarle né a venderle ad altre; et loro decheno marme tutta via sanno fare. Ch(i) porta denare, venderiano insino loro figl[i]e. [...] ab, viii,
n. 342 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 217, n. cdlvii). Doc. 211 [Fine di febbraio – 10 marzo 1520] Michelangelo [in Firenze] a [Domenico Buoninsegni in Roma?] Send’io a Charrara per mia faccende, cioè per marmi per chondurre a·rRoma per la sepultura di papa Iulio, nel mille cinque cento sedici, mandò per me papa Leone per chonto della facciata di San Lorenzo che volea fare in Firenze, ond’io a dì cinque di dicembre mi parti’ da Charrara e andai a Roma, e là feci uno disegnio per decta facciata, sopra ’l quale decto papa Leone mi decte chommessione che io facessi a Charrara cavare e’ marmi per decta opera. Dipoi, send’io tornato da·rRoma a Charrara l’ultimo dì di dicembre sopra dicto, mandommi là papa Leone, per chavare e’ marmi di decta opera, duchati mille per le mani di Iachopo Salviati, e portògli uno suo servidore decto Bentivoglio; e ricevecti decti danari circha a octo dì del mese vegniente, cioè di gienaio, e così ne feci quitanza. Dipoi, l’agosto vegniente, sendo richiesto dal Papa sopra dicto del modello di
decta opera, venni da Charrara a Firenze a farlo; e chosì lo feci di legniame, in forma propia, chon le figure di cera, e manda’gniene a·rRoma. Subito che lo vide mi fece andare là, e chosì andai, e tolsi sopra di me in choctimo la decta facciata, chome apariscie per la scricta che ò chon Sua Santità; e bisogniandomi, per servire Sua Santità, chondurre a Firenze e’ marmi che io avevo a chondurre a·rRoma per la sepultura di papa Iulio, com’io ò chondocti, e, dipoi lavorati, richondurgli a Roma, mi promesse chavarmi di tucte queste spese, cioè gabelle e noli, che è una spesa di circha a octo cento ducati, benché la scricta non lo dicha. E a dì sei di febraio mille cinque cento diciassecte tornai da·rRoma a Firenze, e avend’io tolto in choctimo la facciata di San Lorenzo sopra dicta, tucta a mia spese, e avendomi a far pagare in Firenze decto papa Leone quatro mila ducati per conto di decta opera, come apariscie per la scricta, a dì circha venti cinque ebi da Iachopo Salviati duchati octo cento per decto conto, e feci quitanza e andai a Charrara. E non mi sendo là osservato chontracti e allogagione facte prima di marmi per decta opera, e volendomi e’ Charraresi assediare, andai a far chavare decti marmi a Seravezza, montagnie di Pietrasanta in su quello de’ Fiorentini, e quivi avend’io già facte bozzare sei cholonne d’undici bracia e mezo l’una e molti altri marmi, e factovi l’aviamento che oggi si vede facto – ché mai più vi fu cavato inanzi –, a dì venti di marzo mille cinque cento diciocto venni a Firenze, per danari per chominciare a chondurre decti marmi, e a dì venti sei di marzo mille cinque cento diciannove mi fece pagare el chardinale de’ Medici, per decta opera per papa Leone, da’ Gaddi di Firenze, ducati cinque cento; e chosì ne feci quitanza. Dipoi, in questo tempo medesimo, el Cardinale per chommessione del Papa mi fermò che io non seguissi più l’opera sopra dicta, perché dicevono volermi torre questa noia del chondure e’ marmi, e che me gli volevono dare in Firenze loro e far nuova chonventione. E chosì è stata la cosa per insino a oggi. Ora, in questo tempo avendo mandato gli Operai di Santa Maria del Fiore una certa quantità di scharpellini a Pietrasanta, o vero a·sSeravezza, a ochupare l’aviamento e·ctormi e’ marmi che io ò facti cavare per la facciata di San Lorenzo per fare el pavimento di Santa Maria del Fiore, e volendo anchora papa Leone seguire la facciata di San Lorenzo e avendo el chardinale de’ Medici facta l’allogagione de’ marmi di decta facciata a altri che a me, e avendo dato a questi tali, che ànno preso decta condocta, l’aviamento mio di Seraveza sanza far conto mecho, mi sono doluto assai, perché né ’l Cardinale né gli Operai non potevono entrare nelle cose mia se prima non m’ero spichato d’achordo dal Papa; e nel lasciare l’opera dicta di San Lorenzo d’achordo chol Papa, mostrando le spese facte e’ danari ricievuti, decto aviamento e marmi e masseritie sarebono di necessità toche o a Sua Santità o a·mme, e·ll’una parte e·ll’altra, dopo questo, ne poteva fare quello voleva. Ora, sopra questa cosa el Chardinale m’à decto che io mostri e’ danari ricievuti e le spese facte, e che mi vole liberare per potere, e per l’Opera e per sé, torre que’ marmi che vole nel sopra dicto aviamento di Seraveza. Però io ò mostro avere ricievuti dumila trecento ducati, ne’ modi e tempi che in questa si chontiene, e ò mostri a[n]chora avere spesi mille octo ciento ducati: che, di questi, ce n’è spesi circha dugiento cinquanta im parte de’ noli d’Arno de’ marmi della sepultura di papa Iulio che io ò chondocti a·llavorare qui per servire papa Leone, per richondurgli a·rRoma chome è decto; tucti gli altri danari, per insino alla decta somma di mille octo cento, chome è decto, ò mostro avere spesi per decta opera di San Lorenzo, non mectendo a chonto a decto papa Leone el richondurre e’ marmi lavorati della sepultura dicta di papa Iulio a Roma, che sarà una spesa di più che cinque cento ducati. Non gli mecto anchora a chonto el modello di legniame della facciata decta, che io gli mandai a·rRoma; non gli mecto a[n]chora a chonto el tempo di tre anni che io ò perduti in questo; non gli mecto a chonto che io sono rovinato per decta opera di San Lorenzo; non gli mecto a chonto el vitupero grandissimo dell’avermi chondocto qua per far decta opera e poi tormela, – e
non so perché anchora; non gli mecto a chonto la casa mia di Roma che io ò lasciata, che v’è ito male, fra marmi e masseritie e·llavoro facto, per più di cinque cento duchati. Non mectendo a chonto le sopra dicte cose, a me non resta i’ mano, de’ dumilia trecento ducati, altro che cinque cento ducati. Ora, noi siàno d’achordo: papa Leone si pigli l’aviamento facto, cho’ marmi detti cavati, e io e’ danari che mi restano i’ mano, e che io resti libero; e chonsigliòmmi che io facci fare un breve e che ’l Papa lo segnierà. Ora, voi intendete tucta la chosa chome sta. Io vi prego mi facciate una minuta di decto breve, e che voi achonciate e’ danari ricievuti per decta opera di San Lorenzo i’ modo che e’ non mi possino essere mai domandati; e anchora achonciate chome in chambio di decti danari, che io ò ricievuti, papa Leone si piglia el sopra decto aviamento, marmi e masseritie. bm,
Add. Ms. 23208, c. 15 (= Carteggio 1965-83, pp. 218-221, n. cdlviii; cfr. Ricordi 1970, pp. 97-103, nn. xcv-xcix).
ii,
Doc. 212 10 marzo 1520, sabato Federigo Frizzi in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Io pasai a questi dì da Marmorata, e guardai e’ mar[mi] vostri, e non ce ne vidi più che dua pezi, c[i]oè la figura a sedere e un’altra ritta. Non c’è quela màndrola; non c’è, in efetto, se non dua pezi. Non so se sono stati levati chon volontà vostra. [...] ab, viii, n. 304 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 222223, n. cdlix).
Doc. 213 [27 settembre 1520, giovedì] Domenico Buoninsegni [in Roma] a Michelangelo [in Firenze] Michelagnolo, noi abbiam nuove che Aginensis è morto. [...] ab, vi, n. 113 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 244, n. cdlxxii). Doc. 214 26 ottobre 1520, venerdì Giovanni da Reggio in Roma a Michelangelo [in Firenze] [...] La Santità del Papa are’ tanto a caro de la venuta vostra che voi no al poterìs credere, et tuti quanti li amici vostro et tuti li amatore de le virtù. Io ve pregamo, al conparo Bastiano e io, che no volite stare per cosa alcuna che no veniti a Roma, perché voi aviti la licita scusa de venire a Roma a vedere il fato vostro de questa sepultura. Mei fariti qua voi che no faci tuti li altro vostre amici. Ò parlato a quisto de monsignore Agenente; lore dicini che lu’ morì che no à potuto fare mentione de cosa alcuna. Io ve prego che voi veniti a vedere le cose vostre, ma no guardato che el Papa vi manda breve, perché no vole dare da dire a la gente. Sua Santità ve areve a care multo qua; multo adibisogna di fato vostro. [...] ab, x,
n. 643 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 250, n.
cdlxxvi).
Doc. 215 27 ottobre 1520, sabato Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compar mio, maestro Zovani da Rezzo, mio compare, è venuto a Roma et hammi rasonato molte cosse, et maxime vui desideraresti per vigor de un breve da Nostro Signor venir a Roma, per ogni qualonque cossa Sua Santità volesse. Io credo per l’ultima havete recevuta da me, circha a questa partita havervi datto quella informatione che sia possibile, a vui et al nostro compar Leonardo. Bene è vero che decto maestro Zovanni m’à decto vui non havevi havuta resposta mia esendo lui in Firenze, ché forsi li haveresti parlato de un altro modo; ma hora vi replico che io ho facto intender a Nostro Signor, con tutto quel destro modo sia possibile, che ’l faci questo breve, et Sua Santità dice non vi vol turbar de l’opere vostre da Firenze, et io dissi a Sua Santità che al presente, che è
mancato monsignor de Aginensis, vui potresti far una digresione circha a l’opera de la sepultura. El Papa disse al Marchese et a me che non voleva esser origine lui de pervertirve di questa opera; perché, a dirvi el vero, si bisbiglia che ’l Cardinale è statto avenenato, et sì Nostro Signor non se impazaria di cossa alcuna del Chardinale, per non dar occasione a le brigate di mormorare. Però, compar mio, se ’l pensier vostro è de venir a Roma, come me ha decto maestro Zovanni, vui havette la meglio occhasione dil mondo per venire, cioè, al presente che è morto questo Cardinale, per veder e’ facti vostri et comme el Cardinale ha lassato l’opera vostra. Perché, per quello si comprende, el Cardinale non ha lassato hordine nessuno a le cosse sue, perché lui non credeva morire et è mancato cossì, for de proposito; et saria molto ben honesto che vui venisti a veder e’ facti vostri, sì de la sepultura comme de ogni altra cossa, maxime di quella sappete vui, et ancora, poi, de un certo chastello de Canossa che me ha rasonato maestro Zovanni, che è un bel subiecto a metervi el cervello in combustione. Perché, comme vui fusti a Romma, meteresti fine a ogni cossa et otteneresti tutto quello vui voresti – non chastelli ma città –, perché io so in che conto vi tien el Papa, et quando parla de vui par rasoni de un suo fratello, quassi con le lacrime algli ochii; perché m’à decto a me vui sette nutriti insiemi, et dimostra conoscervi et amarvi, ma facte paura a ognuno, insino a’ papi. Di questo non ve dirò altro. Creddo sapiate Nostro Signor è itto fuori de Roma, et comme torna credo se resolverà de la cossa nostra; et subito ve darò adviso de ogni cossa. [...] ab, ix,
n. 475 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 252253, n. cdlxxvii). Doc. 216 9 novembre 1520, venerdì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compar mio, hozi, questo dì presente, io ho recevuto una vostra facta addì 3 del presente, et honne inteso el tutto, et molto me maraviglio de vui, conosendo mio compare Zuan da Rezzo, come una volta me ne rasonassi ne la Transpontina, vui conferite le cosse vostre con lui, che molto me n’ò maravegliato. Benché maestro Zuanni sia bona persona et homo da bene et che vi ama, a me pare non sia homo per manizar unna cossa vostra, perché el crida un pocco troppo, et la natura l’à facto a quel modo. Ma habiamo havuto ventura che né lui né io habiamo recerchata cossa nesuna, perché, subito vene la vostra littera inanti questa ultima, io andai a Pallazo per far el bisogno, et Nostro Signor era partito con quel camariero voleva io, et per questa chausa siamo restati de far quello n’era stato comesso. Et non dubitate de haverne scandolo nesuno, perché non è statto cerchato niente di quello voleva maestro Zuanni, se non al modo che vi ho scripto a vui et al compare Leonardo, che, inanti venissi maestro Iovanni, io ve scripsi l’animo de Nostro Signor. A la tornata de Sua Santità, tutto quello intervenirà vi darò aviso, et secondo le cosse che acascarano vui ve moverete; et se io posso parlare a Nostro Signor un’altra volta, comme spero de parlarli, io farò el bisogno come mi comesse el compare Leonardo; ma a me pareria vui desti una volta insino a qui per veder le cosse vostre comme vanno, perché faresti più de 4 servicii ’n un colpo, et sariave licito. [...] ab, ix,
n. 477 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 255, n. cdlxxix). Doc. 217 1 dicembre 1520, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Nonn·ò anche visto il Palavisino; chome lo vedrò, di tutto resterete avisato. [...] ab, ix,
n. 424 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 263, n.
cdlxxxv).
Doc. 218 15 dicembre 1520, sabato
Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Nonn·ò anchora mai visto el Palavisino, e non m’è suto detto niente. [...] ab, ix,
n. 425 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 266, n.
de’ denari auti da Lionardo, dicie che li serbiate. Circha de’ denari, mandateli e dateli a Pier Francesco Borgherini, e fateni la letera del chambio che mi sierno paghati qua; e sichondo che mi dicie Lionardo, verranno bene. [...]
cdlxxxvii).
ab, x, n. 628 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 285, n. div).
1521
Doc. 223 14 aprile 1521, domenica Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Conpare carisimo, el primo dì che Piero venne, che nonn·era venuta la fighura, lo preghai andase a lavorare a chasa; e chosì ogni g[i]orno l’ò preghato. Lui s’è schusato mecho che lavora in chasa maestro G[i]ovanni da Reg[i]o, e chome arà finita una fighura, verà. Io n’arò sommo piacere, e·llà non gli mancherà niente. [...]
Doc. 219 24 marzo 1521, domenica Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Abiamo rag[i]onato insieme, e sichondo lui dice, voi volevi lui facesse una suplichazione al Papa per chonto della chasa. A me nonn·è parsso, per questa chausa: a me da nesuno parente o amicho del Chardinale nonn·è mai suto detto niente, e se a sua morte ne avesse fatto menzione o possuto lasc[i]alla o·llasc[i]ata, mi sarieno venuti a trovare. E per questa chausa a ognuno dicho la chasa è vostra. Nonne avendo posuto lasc[i]àla o lasc[i]ata, è del Papa; sendo del Papa, non mi pare con suprichazione fagnene intendere, per non destare chi dorme, ma che voi a lui propio la domandiate, che nonn·è per negharvi chosa nesuna, e masime questa. E per questo e per altro, dicevo, a me parebe voi dovessi venire fino qui, perché son certo voi faresti buon frutto secho. E inoltre bisogna pensare chome v’avete a ghovernare de’ chasi della sipoltura; e per fermare tutto, mi pare di nicesità voi vegnate quanto più presto. E volendo venire, el Chanig[i]ano vi darà una chamera, o vero chostì el chavaliere ve ne farà dare una in Chanceleria, e chosì potrete fare e’ fatti vostri; ché stare chosì nonn·è né onore né utile. Sì che pensate e chonsigl[i]atevi e pigl[i]ate partito, ché ’l tenpo fuge. [...] ab, ix,
n. 429 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 280, n.
cdxcix).
Doc. 220 4 aprile 1521, giovedì Pietro Urbano in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Circha alle chose della chasa e del Papa, mi pare quello che à ditto Lionardo, e da voi chonfirmato, stia benissimo; sì che voi sapete quello avete da·ffare. E io, un giorno, parllando chom mio zio im Pallazo di cierte chose non di voi, mi disse che circha di voi el Papa non troppo ecc., ma pure, per chonto della chassa, vi potrebbe riuscire quello disiderate. Non ghosta tanto el venire fino qua che voi non ci possiate venire. E·lla chasa, sappiate ch’è, sichondo che m’è ditto, apigionata a quelli Lombardi. Lionardo mi disse che voleva, poi che ebbe vostre lectere, che io v’andassi, se io volevo lavorare o fare niente. Sichondo che dicie, venderebbe de’ marmi, se lui trovasse. Voi chredo liel’abiate schritto. Non ò anchora chonti e’ marmi per non essere anchora entrato; sichondo che voi mi schriverete farò. [...] ab, x, n. 625 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 283, n. dii).
Doc. 221 7 aprile 1521, domenica Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze I’ ò avuta una vostra, per la quale mi dite intenda chi fu roghato del chontratto della chasa. A me pare el medesimo, e per ’l mio chonsigl[i]o non tenterei, se voi non fussi in persona per posere dimandalla; ché talvolta el Papa ve la donerà, e dalle rede l’arete in chonto. Ora pensatela bene, e quello mi risponderete, quello farò. [...] ab, ix,
n. diii).
n. 430 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 284,
Doc. 222 [7–14 aprile 1521] Pietro Urbano in Roma a Michelangelo in Firenze Charo quanto padre ecc. Ò·rriscieuto una vostra letera, per la quale intendo quancto mi schrivete circha della chasa. Lo dissi a·lLionardo, e lui disse non tropo li piacieva. Circha della fighura, non è anchora giunta perché non è stato tempo. Circha
ab, ix, n. 431 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 286, n. dv).
Doc. 224 [18 aprile 1521, giovedì] Pietro Urbano in Roma a Michelangelo [in Carrara] [...] Ò inteso chome voi siate ito a Charrara. Dio vi dia bona tornata, sì che io faccia quanto mi schrivete. E più intendo chome siate per chomperare la chasa della Masina, del che n’ò molto piaciere. E de’ marmi dicie che, se·llui trovassi, li venderebbe; ma non à anchora trovato. Lui viene chostà, perché Pier Francesco à mandato per lui. [...] bm, Egerton Ms. 1977, c. 6 (= Carteggio 1965-83, ii,
p. 287, n. dvi).
Doc. 225 [Fra il luglio e il 14 agosto 1521] Pietro Urbano in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Mi schriveste una lettera già che, s’io trovavo marmi da vendere, che io li vendessi. El Frizi mi disse che Antonio Tangheri, quello di Piero Roselli, ne voleva uno pezolo; Girolamo no me l’à voluto che io lo togha. Vi pregho che li schriviate una lettera che no paia che io l’abbi voluto fare di mia testa. E se non volete che io no entri in chasa, schrivete a me solo, che nisuno no sapia, e io no vi enterò. [...] ab, x,
n. 633 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 309, n.
dxxv).
Doc. 226 14 dicembre 1521, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Sono stato chol Frizi. Lui mi dice Metello vuole quel Christo chominc[i]ato che è in chasa: el che, a mio chonsigl[i]o, nollo darei, perché bisogna lo fac[i]a finire, e meteremoci del nostro onore, e a fi[ni]llo voi vi sarebe troppo tenpo. [...] Avesti la morte del Papa. Atendiamo Medici, che a Dio piac[i]a, se è per megl[i]o. Ed esendo, voi subito, senza altro aspetare, venitevene qui, e venite a smontare a chasa mia e vostra, che v’è una chamera per voi; e faremo buona cera. [...] Avete a sapere chome el marmo che aveva venduto quel tristo nonn·andò via, perché e’ mia gharzoni nollo lasc[i]orono portare, ed ebe a rendere e’ danari. E qui à fatti tanti g[i]unti che vi maravigl[i]eresti, che si può digli tristo fine. [...] ab, ix, n. 432 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 336337, n. dxlv).
1522 Doc. 227 4 gennaio 1522, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Voi mandate una letera a Metello che, per la sichurtà ò in voi, l’ò aperta. Del dagli la fighura bozata, non porta molto; ma chon questa letera vi ubrighate di fagl[i]ene una, che a me non pare: chi sapete chi sono e’ Romani , e masime chostui. [...] ab, ix, n. 434 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 339, n. dxlvii).
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Michelangelo. Il marmo e la mente
Doc. 228 12 gennaio 1522, domenica Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Arete inteso el nuovo pontefice, e, chome noi, fatovene maravigl[i]a. Pazienza. Medici ne viene chostì, e per tale chausa voi non vi partirete. Solo vi richordo e’ lavorare, e chi vi vuole vi paghi. [...] ab, ix,
n. 435 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 340, n.
dxlviii).
Doc. 229 22 gennaio 1522, mercoledì Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Conpare, i’ ò chonsegnata la fighura a Metello, presente tanti che basta [...]. ab, ix, n. 436 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 341, n. dxlix). [Secondo il contratto del 1516, cioè nove anni dopo il 6 maggio 1513, la tomba di papa Giulio doveva essere completata il 6 maggio 1522] Doc. 230 18 novembre 1522, martedì Iacopo Salviati in Roma a Michelangelo in Firenze Molto mio caro Michelagnolo etc. Penso che ser Giovan Francesco ti harà raguagliato particularmente del ragionamento che io ho havuto con messer Hieronimo da Urbino, procuratore delle rede d’Aginensis, sopra e’ casi tua per conto della sepultura di papa Iulio, et quello che noi siamo rimasti insieme, et lui ha promesso di fare, e però, per questo, non mi extenderò altrimenti in più particulari, rimettendomi allo scrivere che ne harà fatto ser Giovan Francesco; ma bene ti ho a·ffare intendere che io non sono mai per mancare di tutti quelli offitii et opere che potrò, perché non solo in questa, come in tutte le altre cose tua, si adhempia quanto tu medesimo desideri; et di ciò non mi curo d’altro testimonio, perché con li effecti mi riserbo a dimostrare el bono animo et desiderio mio. Et sia certo che, se bene le cose che girono son di sorte che constringono a posporre tutte le altre cure per pensare a quelle, non per queste si dimette e’ casi tua né si manderanno in oblivione. Questo messer Hieronimo vuole fare scrivere per la conclusione et fermeza di tale accordo, et le lettere ti si manderanno presto, perché ser Giovan Francesco, come diligente et amorevole, non mancha d’ongni sollecitudine per haverle; ma la indispositione del prefato messer Hieronimo, insieme con qualche altro piccolo impedimento che non è per durare più, non ha lasciato dare perfectione a questa cosa. Però sta’ di buona voglia, et pensa che qua non è per mancarsi di tutto quello che sarà possibile, non obstante ongni contrarietà di tempo, perché questa cosa s’acconci et si assetti nel modo che tu mostri desiderare, et el simile si facci di tutte l’altre. Attendi pure a stare sano et a·llavorare, ché al resto non bisogna dubitare. [...] ab, xi,
n. 682 (= Carteggio 1965-83, ii, pp. 355356, n. dlxii). 1523 Doc. 231 [Aprile 1523] Michelangelo [in Firenze] a Giovan Francesco Fattucci [in Roma] [...] Ora, voi sapete chome a·rRoma el Papa è stato avisato di questa sepultura di Iulio, e chome gli è stato fatto un moto propio per farlo segniare e procedermi chontro e domandarmi quello che io ò avuto sopra decta opera, e danni e interessi; e sapete chome ’l Papa disse: ‘Che questo si facci, se Michelagniolo non vuole fare la sepultura’. Adunche bisognia che io la facci, se io non voglio chapitar male, chome voi vedete che è ordinato. E se ’l chardinale de’ Medici vole ora di nuovo, chome voi mi dite, che io facci le sepulture di San Lorenzo, voi vedete che io non posso, se lui non mi libera da questa chosa di Roma; e se lui mi libera, io gli promecto lavorare per lui senza premio nessuno tucto ’l tempo che io vivo. Non già
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che io domandi la liberatione per non fare decta sepultura di Iulio, ché io la fo volentieri, ma per servirlo; e se lui non mi vuole liberare, e che e’ voglia qualche chosa di mia mano in dette sepulture, io m’ingegnierò, mentre lavorerò la sepultura di Iulio, di pigliar tempo di far chosa che gli piaccia. bm,
Add. Ms. 23208, c. 11 (= Carteggio 1965-83, ii, p. 367, n. dlxxi). Doc. 232 6 settembre 1523 Giovan Maria della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Il R.mº Monte [...] prega quella voglia pigliare al servitio suo il signor Battista Savello [...] et in questo ne fa grandissima instanza e invero merita esser compiaciuto da v. ex.a in cio ch’ella pò, che è amorevolissimo padre suo e principale osservatore di la s.ta me(moria) di Giulio, la sepultura di la quale vole attendere a procurare che si faccia ad ogni modo et dice che grande aiuto può dare la ex. v. in fare un mandato in persona de gli tre r.mi Grassis, Ancona et sua s. r.ma come creati di questa sta memoria che possino in nome di la ex.a v., come nepote suo, aggravare quel Zanangelo et ciascunaltro che havesse de quei danari; ma questo si farà a più commodo tempo. [...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, cc. 515v-516r (cfr. Gronau 1906, p. 4, doc. i). Doc. 233 22 dicembre 1523, martedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Dipoi vi partisti trovai il Palavisino et fumo a molti ragionamenti, et mi disse l’arcivescovo di Vignione era di volontà che la sepultura si finisse, maximo avendo voi auto la maggiore parte de’ danari. A questo gli risposi non lla intendeva bene, che per conto della sepultura n’avevi auto la minore, et che e’ non sapevono come le cose passavano et come avete speso più danari, pel conto della sepultura, che voi non avete auti, et di cosa voi facessi mai per Iulio non s’era mai saldi e’ conti, et dipoi la morte d’Aginensis nonn·era suto nessuno che avessi mostro se non parole, et come voi non avevi mai mancato di lavorare, et puossene vedere gli effetti. Et cominciando alla prima sepultura, andasti a cavare e’ marmi, dove metesti tenpo assai; dipoi vi messe a dipingere, et e’ marmi andorono male. Et della capella, senpre disse il Papa contentare Michelagniolo, et tutti e’ danari gli faceva dare per soperimento di detta pittura, ne furo messi assai a conto di detta sepoltura. Dipoi lo menò a Bolognia, dove stette dua anni a·ffare quella opera, et nonn·ebbe tanti danari quanto spese in salarii di garzoni et in vivere; e tutto fece sotto le parole del Papa. Et molte altre cose. Che quando si saldi Michelagniolo per conto d’essa sepultura, arà in mano manco danari che voi non pensate. Et per tanto, a·mme parrebbe voi vi metessi in fantasia tutte le cose che voi facesti mai per lui fino dal principio, e tutto quello avete auto: et del principio andasti a Carrara et della cappella et dell’opera di Bolognia, perché al saldare conn·esso loro ci sarà tanti favori, a presso la verità, che vi resterà in mano tanto poco che non ci sarà chi voglia spendere. Ché a me vol ricordare voi mi dicesti della cappella non ci era contratto nessuno, et lui vi dette assai danari in dono, et loro ve gli ànno messi a conto della sepultura, che tutto si potrà rimettere a giudicio et vedere quello che merita l’opere che voi avete fatte et quello che voi avete auto; et quel tanto vi resterà in mano, si potrà fare una sepultura secondo il danaro. Et tutto con diligentia vi ricordiate, et scrivete a pieno l’opere avete fatte et quello avete auto, a causa si possa fare le cose chiare et salvarsi più che possiamo, ché altro non si cerca. Et mandate colla copia del contratto insieme. Datelo allo Spina, che le manderà con diligentia. A presso vi ricordo pensiate alla gran libertà, datavi da uno Papa quale è questo, di posser fare tanto quanto a voi pare: sì che ogni studio, ogni fatica et diligentia v’à a esser gioia per riconperare e’ tenpi persi. [...]
ab, viii,
n. 234 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 4-5, n. dxcii).
Doc. 234 [Fine di dicembre 1523] Michelangelo in Firenze Ne’ primi anni di papa Iulio, credo che fussi el sechondo anno che io andai a star secho, doppo molti disegni della sua sepultura uno gniene piaque, sopra ’l quale facemo el merchato, e·ctolsila a fare per dieci mila duchati, e andandovi di marmi ducati mille, me gli fece pagare, credo da’ Salviati in Firenze, e mandommi pe’ marmi. Andai, chondussi e’ marmi a·rRoma e uomini, e chominciai a·llavorare el quadro e le figure, di che c’è anchora degl’uomini che vi lavororno; e in chapo d’octo o nove mesi el Papa si mutò d’openione e non la volse seguitare, e io trovandomi in sulla spesa grande, e non mi volendo dar Suo Santità danari per detta opera, dolendom’io secho gli decti fastidio in modo che e’ mi fe’ chacciar di chamera, ond’io per isdegnio mi parti’ subito di Roma, e andò male tucto l’ordine che io avevo fatto per simile opera, che del mio mi chostò più di tre cento duchati simil disordine, senza ’l tempo mio ed i sei mesi che io ero stato a Charrara, che io non ebbi mai niente. E e’ marmi decti si restorno in sulla piazza di Santo Pietro. Dipoi circha sette o octo mesi che io stecti quasi aschoso per paura, sendo crucciato mecho el Papa, mi bisogniò per forza, non possendo stare a Firenze, andare a domandargli miserichordia a Bolognia, che fu la prima volta che e’ v’andò, dove mi vi tenne circha du’ anni a fare la sua statua di bronzo, che fu alta, a·ssedere, sei braccia; e la chonventione fu questa: domandandomi papa Iulio quello che si veniva di decta figura, gli dissi che e’ non era mia arte el gittar di bronzo, e che io credevo chon mille duchati d’oro gittarla, ma che non sapevo se mi riuscirebe, e lui mi disse: ‘Gitterenla tante volte che la riescha, e dare(n)ti tanti danari quante bisognierà’, e mandò messere Antonio Maria da·lLegnian[o], e disegli che a mio piacere mi pagassi mille duchati. Io l’ebi a·ggittar dua volte; io posso mostrare avere speso in cera tre cento duchati, aver tenuti molti garzoni e aver dato a maestro Bernardino, che fu maestro d’artiglierie della S(igniori)a di Firenze, trenta ducati al mese e·lle spese, e averlo tenuto parechi mesi. Basta che all’ultimo, messa la figura dove aveva a stare, chon gran miseria in capo de dua anni mi trovai avanzati quatro duchati e mezzo; di che io di detta opera sola stimo g[i] ustamente poterne domandare a papa Iulio più di mille ducati d’oro, perché non ebi mai altro che e’ primi mille, chom’è detto. Dipoi, tornando a·rRoma non volse anchora che io seguissi la sepultura, e volse che io dipigniessi la volta di Sisto, di che fumo d’achordo di tre mila ducati a·ctucte mie spese, chon poche figure senplicemente. Poi che io ebi fatto certi disegni mi parve che riuscissi chosa povera, onde lui mi rifece un’altra allogagione insino alle storie di socto, e che io facessi nella volta quello che io volevo, che montava circha altrettanto. E chosì fumo d’achordo: onde poi finita la volta, quando veniva l’utile, la cosa non andò inanzi, in modo che io stimo restare avere parechi centinaia di ducati. bl,
Add. Ms. 23208, f. 1 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 10-11, n. dxcv [fine di dicembre 1523]; cfr. Contratti 2005, pp. 41-42, n. xviii: prima del 6 maggio 1513). Doc. 235 [Fine di dicembre 1523] Michelangelo [in Firenze] a Giovan Francesco Fattucci [in Roma] Messer Giovan Francescho, voi mi ricerchate per una vostra chome stanno le chose mia chon papa Iulio; io vi dicho che se potessi domandar danni e interessi, più presto stimerei avere avere che avere a dare. Perché quando mandò per me a Firenze, che credo fussi el sechondo anno del suo pontifichato, io avevo tolto a fare la metà della sala del Chonsiglio di Firenze, cioè a dipigniere, che n’avevo tre mila ducati, e di già era facto el cartone, chome è noto a·ctucto Firenze: che mi parevon mezzi guadagniati. E de’ dodici Apostoli che anchora avevo a fare per Santa Maria del Fiore, n’era
bozato uno, chome anchora si vede, e di già avevo chondocti la maggior parte d’i marmi. E levandomi papa Iulio di qua, non ebbi, né dell’una cosa né dell’altra, niente. Dipoi, sendo io a·rRoma chon decto papa Iulio, e avendomi allogato la sua sepultura, nella quale andava mille duchati di marmi, me gli fece pagare e mandòmi a Charrara per essi, dov’io stecti octo mesi a fargli bozzare e chondussi quasi tucti in sulla piazza di Santo Pietro, e parte ne rimase a·rRipa. Dipoi, finito di pagare e’ noli di decti marmi, e manchandomi e’ danari ricievuti per decta opera, forni’ la chasa che io avevo in sulla piazza di Santo Pietro di lecti e masseritie del mio, sopra la speranza della sepultura, e fe’ venire garzoni da Firenze, che anchora n’è vivi, per lavorare, e decti loro danari inanzi, del mio. In questo tempo papa Iulio si mutò d’oppenione e non la volse più fare, e io, non sapendo questo, andandogli a domandare danari, fui cacciato di chamera, e per questo isdegnio mi parti’ subito di Roma; e andò male ciò che io avevo in chasa, e e’ decti marmi, che io avevo chondocti, stectono insino alla creatione di papa Leone in sulla piazza di Santo Pietro. E dell’una parte e dell’altra n’andò male assai. Fra gli altri, di quel ch’io posso provare, me ne fu tolti dua pezzi di quatro braccia e mezo l’uno da·rRipa, da Aghostino G[h]igi, che m’eron chosti a me più di cinquanta ducati d’oro: e questi si potrebon risquotere, perché ci è e’ testimoni. Ma per tornare a’ marmi, dal tempo che io andai per essi e che io stecti a Charrara insino a che io fui chacciato di Palazo, v’andò più d’un anno: del qual tempo non ebbi mai nulla e·mmessivi parechi decine di ducati. Dipoi, la prima volta che papa Iulio andò a Bolognia, mi fu forza andare là cholla choreggia al chollo a chiedergli perdonanza, onde lui mi decte a fare la figura sua di bronzo, che fu alta, a·ssedere, circha a·ssecte braccia, e domandandomi che spesa la sarebbe, io gli risposi che credevo gictarla chon mille duchati, ma che e’ non era mia arte e che io non mi volevo obrigare. Mi rispose: ‘Va’, llavora, e·ggichtere(n)la tante volte che la venga, e dare(n)ti tanto che tu sarai contento’. Per abreviare, la si gictò dua volte, e in chapo di du’ anni che io vi stecti mi trovai avanzati quatro ducati e mezo. E di questo tempo non ebbi mai altro; e le spese tucte che io feci ne’ decti dui anni furno de’ mille ducati chon che io avevo dicto che la si gicterebbe, e’ quali mi furon pagati im più volte da messere Antonio Maria da·lLegnian[o] bologniese. Messo sù la figura nella facciata di San Petronio e tornato a·rRoma, non volse ancora papa Iulio che io facessi la sepultura e missemi a dipigniere la volta di Sisto, e facemo e’ pacti tre mila duchati; e ’l disegnio primo di decta opera furono dodici Apostoli nelle lunecte, e ’l resto un certo partimento ripieno d’adornamenti, chome s’usa. Dipoi, cominciata decta opera, mi parve riuscissi cosa povera, e dissi al Papa chome, facendovi gli Appostoli soli, mi parea che riuscissi cosa povera. Mi domandò perché: io gli dissi: ‘Perché furon poveri anche loro’. Allora mi decte nuova chommessione che io facessi ciò che io volevo, e che mi chontenterebe, e che io dipigniessi insino alle storie di socto. In questo tempo, quasi finita la volta el Papa ritornò a Bolognia, ond’io v’andai dua volte per danari che io avevo avere, e non feci niente, e perde’ tucto questo tempo finché ritornò a·rRoma. Ritornato a·rRoma mi missi a far chartoni per decta opera, cioè per le teste e per le faccie actorno di decta capella di Sisto, e sperando aver danari e finire l’opera non potecti mai octenere niente; e dolendomi un dì con messer Bernardo da Bibbiena e chon Actalante, com’io non potevo più stare a·rRoma e che e’ mi bisogniava andar con Dio, messer Bernardo disse a Actalante che gniene ramentassi, che mi voleva far dare danari a ogni modo, e fecemi dare dumila ducati di Chamera, che son quegli, chon que’ primi mille de’ marmi, che e’ mi mectono a chonto della sepultura; e io stimavo averne aver più, pel tempo perduto e per l’opere facte. E de’ decti danari, avendo messer Bernardo e Actalante risuscitatomi, donai all’uno cento ducati, all’altro cinquanta. Dipoi venne la morte di papa Iulio, e a·ctempo nel prencipio di Leone, Aginensis volendo acresciere la sua sepultura, cioè far maggiore opera che il disegnio che io avevo facto prima, si fece uno
chontracto. E non volend’io che e’ vi mectessino a chonto della sepultura i decti tre mila ducati che io avevo ricievuti, mostrando che io avevo avere molto più, Aginensis mi disse che io ero un ciurmadore. ab, v, n. 39 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 7-9, n. dxciv).
Doc. 236 30 dicembre 1523, mercoledì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo[ in Firenze] [...] In questo punto ò riceuta la vostra, insieme col contratto, la quale subito la lexsi a messer Iacopo – che venne molto al proposito, per le parole m’aveva detto ieri –, il quale mi ricercò con grande instantia di volere sapere quanto fussi la volontà vostra, et di quello vi contenteresti avere di provisione; al quale io risposi non ne sapere niente. Pregovi siate contento di non vi avilire et di avisarmi di quanto vi conte[n]teresti, perché messer Iacopo desidera al tutto contentar[v]i, per quello che io ne posso ritrarre. Vorebbe sapere quello avete auto dal Papa per conto la sepultura di Iulio, cioè da Bernardo Bini o da altri, da’ dì 8 di luglio 1516 infino a ora; et ancora vorrei sapere quanti marmi vi tolse messer Agostino Ghigi et quello valevano, per farcegli pagare a ogni modo. [...] ab, viii, n. 235 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 12, n. dxcvi).
1524 Doc. 237 9 gennaio 1524, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Al Prete ò·llasc[i]ato la brigha dello schrivere. E questa per dirvi chome sarebe bene, sendo Stefano a Charara, facese d’avere una fede da quello da Charara che dette e’ vostri marmi a’ Ghisi, di quanto valevono; e chosì ce gli faremo paghare. Fate d’averlla a ogni modo, e mandatela. Altro nonn·ò da dirvi. Atendete chon ogni solecitudine all’opera, e fate tanta inpresa d’uomini quanto posete per fare presto. E chome vi dice el Prete, mandare senpre disegni di quello si fac[i] a, per chontentare el Papa. [...] ab, ix, n. 444 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 21, n. dciii).
Doc. 238 21 gennaio 1524, giovedì Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] E richordatevi de’ marmi de’ Ghisi, chome vi schrissi. [...] ab, ix, n. 445 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 26, n. dcvii).
Doc. 239 30 gennaio 1524, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Richordovi quella fede di quello da Charara per que’ marmi che tolsono e’ Ghigi, che gli fareno paghare. [...] ab, ix, n. 446 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 29, n. dcix).
Doc. 240 [1-8 febbraio 1524] Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] et credo fra poc[h]i dì Santi Quatro farà qualche buona resolutione, né credo partirmi di qua se prima non s’aconcia la cosa a nostra modo. [...] ab, viii, n. 300 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 34, n. dcxiii).
Doc. 241 9 febbraio 1524, martedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Sono stato con Santi Quattro, et farà quello che sarà da·ffare et da·llui non rimarrà. [...] ab, viii, n. 240 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 35, n. dcxiv).
Doc. 242
10 marzo 1524, giovedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo [in Firenze] Michelagniolo, io sono stato con Santi Quattro, il quale m’à mandato con una poliza di sua mano et àmmi mostro il vostro conto; et dipoi mi portò una scritta, che v’è di vostra mano la riceuta di sette mila ducati, et mille cinque cento sono quelli avesti da Iulio, come dice in sul contratto. Per modo che in tutto si vede che voi avete riceuti ducati otto milia cinque cento et resteresti avere otto mila ducati. Hora, Santi Quattro mi dice che vole che la casa sia vostra pe’ danari che resta a dare Aginensis; et de·rresto, quando vogliate, scriverrà al duca d’Urbino et al fratello d’Aginensis, quello della Rovera, che se e’ vogliono dipositare questi otto milia ducati, che·lla sepoltura si farà, altrimenti non si può fare. Per tanto avisate quello volete che si faccia, perché e’ m’à ditto di volere fare tutto quello che voi volete, se bene la volessi far fare ad altri, o come volete; pure che voi serviate papa Clemente. Sapiate che e’ venne da·llui a dire: ‘Io voglio che la casa sia di Michelagniolo, perché Aginensis ci à a dare tutti questi danari’, et non vole scrivere né al Du[c]a né a messer Bartolomeo se prima nonn·avisate. [...] ab, viii, n. 224 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 43, n. dcxix).
Doc. 243 19 marzo 1524, sabato Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Charissimo Michelagniolo, per l’autra mia vi scrissi come la Santità di Nostro Signiore aveva ditto a Santi Quatro la facienda vostra. Io gli andai a parlare, et dissi come Nostro Signiore, quando era in minoribus, v’avea ric[h]i[e]sto di lavorare per lui in San Lorenzo. Io gli risposi che voi dicevi non poterlo servire perché eri obbrigato a papa Iulio, et per questo obbligo nonllo potevi servire; et pensando a’ rimedii, bisogniava liberarvi da questa sepultura di Iulio et da chi aveva a·ffare per lui. Et dissigli come voi avevi diliberato di lavo[ra]re per infino che voi vivevi, quando bene voi nonn·avessi altri danari, et dissi in modo che rimase sodisfatto; et dove lui vi mordeva in qualche cosa, è diventato al tutto vostro procuratore et dice volere fare quello che vole Nostro Signiore e dipoi la volontà vostra. Et àmmi ricerco di più cose, né gli ò risposto, perché ò c[h]iesto tenpo: et però v’ò scritto che mi avisiate quale sia il migliore modo per potere fare il protesto al duca d’Urbino o a messere Bartolomeo della Rovera; et per questo volevo sapere se vi contentavi che Santi 4 scrivessi a questi dua se volevano dipositare otto milia ducati che voi restate avere secondo il conto. Et non volendo dipositare, vole protestare loro che detta sepultura non si può finire; et volendo dipositare, dice non si potere fuggire che·lla non si finisca, o per voi o per altri, come a voi piacerà. Et non pensate, ché da poi che Nostro Signiore gli parlò è diventato vostro procuratore, et dice per se medesimo che vole che la casa sia vostra a ogni modo, et faravene contratto come esegutore di papa Iulio. Et a·mme pare al tutto che e’ vadia benissimo; et io non farò niente se primo non ve lo scrivo et che voi mi diate risposta. Per tanto consigliatevi con quallche uomo dabbene et rispondetemi, perché, avendo a protestare, non mi pare si possa fare altrimenti. [...] ab, viii, n. 245 (= Carteggio 1965-83, n. dcxxi).
iii,
p. 46,
Doc. 244 21 marzo 1524, lunedì Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Carisimo chonpare, più fa non v’ò ischritto: el Prete à soperito per me, e chome v’à avisato per mezo di el Papa e di Iachopo, Puci, che v’era nimicho, v’è prochuratore. Sì che la fortuna s’è volta ed èvi prospera. Sì che rimetetevi a loro e lasc[i] atevi ghovernare de’ chasi della sepoltura, perché Puci vuole tutto quello che volete voi, e pigl[i]erà modo che ci sarà l’onore e l’utile. Dio vi dia sanità, ché vegiamo che e’ s’è mutato vento per noi. [...]
ab, ix,
n. 447 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 49, n. dcxxiii). Doc. 245 22 marzo [1524], martedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Michelagniolo, può fare Idio, che può fare ogni cosa, che voi intendiate ogni cosa al contrario di quello vi scrivo. Io non dissi mai che voi avessi a scrivere al duca d’Urbino, né manco a messer Bartolomeo della Rovera. Io dissi et dico che Santi 4o è·llui che vole scrivere a questi dua et dir loro che, se vogliono che la sepultura si faccia, che e’ bisognia che dipositino otto milia ducati; et non dipositando, vole protestare a tut’a dua che detta sepultura non si può finire per non c’essere danari. Et poi mi disse che, volendo dipositare detti danari in luogo sicuro, et dipositandogli, Santi Quatro vole intendere da voi se vi piace o che e’ v’aspettino tanto che voi abbiate servito Nostro Signiore, o che voi vi contentiate che la facia il Sansovino o altri: et conterannosi tutti vostri marmi et figure nove mila cinque cento ducati. Con questo, che e’ vorebe che voi facessi ancora di vostra mano la Nostra Donna che vi va. Et vole al tutto che la casa sia vostra, e non vole né dice che voi rendiate uno soldo; per modo che, se costoro dipositassino, al dispetto mio e’ non mi pare che e’ si possa fare altrimenti che non ci fussi vergognia et carico. Et sappiate che, nel princip[i]o che io parlai a Santi 4º, egli non v’era punto amico; et io gli dissi come voi non volevi niente, anzi volevi lavorare in su detta sepultura infìno che voi vivevi: et dissigli che parlassi a Nostro Signiore et poi mi rispondesi. Subbito che gli ebbe parlato, mandò per me; et pensato a questa cosa, mi disse quello v’ò scritto. Ora, se avessi qualche altro modo voi che vi paressi più sicuro – che nonllo credo –, avisate, che per cierto e’ non mi pare però avervi scritto tal cosa che voi abbiate però a usscire così presto del cervello. Che diavolo v’ò i’ però ditto? Se leggerete di nuovo la lettera, io non credo, se già io non ero cotto, avervi però dato il comandamento della anima. [...] ab, viii,
n. 246 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 5051, n. dcxxiv).
Doc. 246 24 marzo 1524, giovedì Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Carisimo chonpare, io vi schrissi; dipoi ò visto una vostra al Prete che mi fa maravigl[i]are. Non so dove voi vi fondate, se voi volete al tutto fare dire la verità a chi voi tenete per certto vi sia nimicho. Chome vi schrisse el Prete è ’l modo ch[o] onore e sanza charicho, el modo della opera, c[i]oè l’uscirne. Puci, che è al tutto chome sapete, visto la volontà del Papa, vuole pigl[i]are tale spediente: strignere le rede dipositino e’ ducati 8000, e non dipositando, sarete disobrigho, e mostrerete avere fatto opera per più danari nonne avete avuti. E volendo dipositare, vi darà tenpo da potere farlla finire, e saranno tanti danari che potrete farlla fare chon ag[i]o a chi a voi parà. Sì che non vi adirate cholla fortuna. Dipoi mi dice voi nonn·avete voluto pigi[i]are la provisione, che mi pare l’altra pazia, e che avete licenziata la chasa e non lavorate. Chonpare, io vi richordo che voi avete asai nimici che dichono quanto posono, e avete amicho un Papa e Puci e Iachopo Salviati e promesa la fede loro, e nonne avete a manchare, masime dove ne va l’onore. E lasc[i]ate fare le chose vostre della sipoltura a chi vi vuole bene e che ve ne può liberare sanza charicho di niente. [...] ab, ix,
potete conprendere. Et questo si è che, sicondo me, a volere ciedere a·llingua, la cosa vostra non potrebbe procedere meglio, vegendo come voi avete tre procuratori della qualità che e’ sono, come è il Papa, Santi Quatro et messer Iacopo et qualche altro. Per tanto crederrei che voi dovessi et potessi dormire cogli ochi loro. Et quando e’ venissi che io vi scrivessi qualche cosa che non vi piacessi, per cierto che sanza adirarsi potresti repricare et rispondere et dire l’animo vostro, et non fare le pazie di questa qualità, come licentiare la casa, né·ffare nulla come mi dite. [...] Doveresti stare di buonissima voglia a ogni modo, perché innanzi che io mi parta di qua, piacendo a Dio, la cosa di Iulio s’aconcierà a ogni modo: perché, se non voranno dipositare, farassi loro uno protesto, et dipoi faremo quello che si potrà che al papa Iulio si facia una sepultura di mille cinque cento ducati o duo milia, a ci[ò] che non se ne abbia mai più a parlare. [...] ab, viii, n. 247 (= Carteggio 1965-83, n. dcxxvii).
iii,
p. 55,
Doc. 248 Fine marzo – 27 ottobre 1524 Ricordi di Michelangelo per il trasporto di blocchi di marmo della stanza di via Mozza a San Lorenzo [...] Richordo chome oggi, questo dì ultimo di marzo, ò facto portare in su churri da la stanza mia di via Mozza a San Lorenzo un pezzo de’ mia marmi lungho braccia quatro g[i]uste, largho un braccio e mezzo, grosso fra dua terzi e tre quarti, per mecterlo nelle sepulture della sagrestia. [...] Richordo chome oggi, questo dì venti secte d’octobre 1524, ò ricievuto da Bernardo Nicholini duchati quaranta d’oro larg[h]i per dua pezzi di marmo che io ò messi di mio nell’opera delle sepulture della sagrestia di San Lorenzo. L’uno de’ decti pezzi è quello che n’è facto richordo qui di sopra, che lo mecto sedici duchati, che così viene a·mme; l’altro ò facto venire ora in questi dì pur di via Mozza dalla mia stanza a San Lorenzo, che mi serve per una figura di quelle che vanno in su’ chassoni delle sepulture decte che io fo; e questo m’à·ctirato dalla stanza mia a San Lorenzo Meo delle Corte scharpellino chon altri scharpellini che lavorano qua di quadro a decte sepulture. E decto marmo è·llungo braccia quatro g[i]uste, grosso uno braccio e octavo, largo un braccio e dua terzi – vero è che è appuntato um pocho a uso di figura –, e questo mecto, overo ò messo, venti quatro duchati. [...] ab, i,
n. 34 (= Ricordi 1970, p. 124, n. cxviii).
Doc. 249 7 aprile 1524, giovedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Charissimo Michelagniolo, io ò riceuto una ultima vostra, la quale mostrai a Iacopo et a Santi Quatro. Ànnone preso piacere assai. [...] ab, viii, n. 249 (= Carteggio 1965-83, n. dcxxxi).
iii,
p. 62,
[Dal 21 aprile 1524 Michelangelo inizia a lavorare alle sculture della Cappella Medicea]. Doc. 250 31 ottobre 1524, lunedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Sapiate come egli [Domenico di Giovanni di Settignano detto il Topolino?] à auto a dire che voi avete auto duo milia ducati da papa Iulio, et dice che e’ non sono scritti; sì che vedete se e’ vi vole bene, andare dicendo queste bugie. [...]
dcxxv).
n. 448 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 52, n.
ab, viii, n. 265 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 114, n. dclxxii).
Doc. 247 25 marzo 1524, venerdì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Michelagniolo charissimo, per l’ultima mia vi scrissi con grandissima passione, come per quella
Doc. 251 16 dicembre 1524, venerdì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Michelagniolo charissimo, io ebbi l’ultima vostra, la quale non mi dette poca noia. Credo che
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Michelangelo. Il marmo e la mente
voi nollo doveresti credere, né di stare con Santi Quatro, né anche di fermarmi a·rRoma; duolmi solo se mia matre lo à saputo: e avendolo saputo, priegovi gli diciate che al più lungo sarò costà fra uno mese o poco più. [...] Et mi bisognia che voi troviate ser Albizo, et fatevi dare la procura che e’ fece per Santi Quatro quando la buona memoria d’Aginensis lo ubrigò come dice in sul vostro contratto. Priegovi lo mandiate, quanto più presto meglio, perché mi pare mille anni d’essere di costà; et innanzi che io mi spedisca di qua sarete del tutto avisato, a ciò vi possiate consigliare di costà. Di qua si scrisse a’ Consoli del mare di Pisa per conto de’ marmi, che gli facino condurre quanto più presto si può; se sono venuti datene aviso, et se bisognia, rifareno scrivere. [...] ab, viii,
n. 267 (= Carteggio 1965-83, n. dclxxvii).
iii,
p. 120,
Doc. 252 23 dicembre 1524, venerdì Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Carisimo chonpare, questa per dirvi chome sono istato cho Nostro Signore e chon meser Iachopo, e detto tutto che avete fatto, e se avessi avuto e’ marmi aresti fatto molto più; e se aranno pazienza saranno serviti. Restòno chontenti e chon grande alegreza. Chon meser Iachopo ò rag[i]onato della chosa vostra; e sapiate che ànno preso buona via, perché vogl[i]ono s’achonci di rag[i]one, e che ne nascha sentenzia: e se non fuse sute le facende grande ànno avute, sare’ achonc[i]a. [...] ab, ix, n. 451 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 121, n. dclxxviii). Doc. 253 24 dicembre 1524, sabato Michelangelo in Firenze a Giovan Francesco Fattucci in Roma Messer Giovan Francesco, per l’ultima vostra intendo chome sarete spedito presto e tornerete, che vi pare mille anni. Io vi prego che voi torniate ora e non indugiate, perché la cosa mia non si può achonciare bene se io non son chostà im persona. E già è presso che l’anno che io chominciai a schrivervi che se voi non avevi altra faccenda che la mia a·rRoma, che voi la lasciassi e tornassi, perché io non volevo che e’ si dicessi che io vi tenevo chostà per le cose che possono avenire. [...] AB, V, n. 44 (= Carteggio 1965-83, III, p. 122, n. DCLXXIX) 1525 Doc. 254 [Primi di gennaio 1525] Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Charissimo Michelagniolo, io ò riceuta la vostra de’ 24 di dicenbre, et a presso risposta. Per l’ultima mia vi scrissi voi mi mandassi la procura di Santi Quatro, rogato ser Albizo, la quale procura si nomina in sul contrato dove Aginensis obriga Santi Quatro. Vi bisognia trovare ser Albizo, et fate d’averla a ogni modo, perché, auta questa, s’aconcierà la cosa: ché Nostro Signiore [vuole] che e’ ne nasca sententia, a causa che altri pontefice o parenti sua v[e] ne possa mai dare noia; et quello dottore che sollecita la causa ogni giorno me lo ricorda, per[ché] Nostro Signiore lo sollecita. Et per quanto io possa conprendere resterete del pari et arete la casa, per potergli fare una sepultura come a voi parrà; et dipoi che noi abiàno durata tanta faticha, non voglio per uno poco di più tenpo lassiare la cosa inperfetta. Et sapiate che io ò molte volte c[h]iesta licenzia, né mai l’ò potuta avere, perché dico[n] volere pria aconciare le [cose] vostre, e che voi s[i]ate contento et securo; et io sono certissimo che al tutto la s’aconcierà a ogni modo, et del tutto. Quando sareno in sul conc[l]udere, no farò nulla che voi lo saprete; et farete consigliare di costà a chi vi parrà, a causa vi contentiate. [...] ab, viii,
n. 301 (= Carteggio 1965-83, n. dclxxxi).
Doc. 255
328
iii,
p. 124,
Documenti
15 gennaio 1525, domenica Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Vorei per ogni modo voi mandassi quella prochura che v’à chiesta el Prete, perché, subito che viene, si meterà mano achonc[i]are la chosa vostra, e chredo a ogni modo s’achoncerà. [...] ab, ix,
n. 452 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 127, n. dclxxxiii). Doc. 256 21 gennaio 1525, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Carisimo chonpare, più volte v’ò ischritto: voi non mi rispondete, che mi maravigl[i]o, e che voi non mandiate quello vi dimanda el Prete; ché, chome per l’altre mia v’ò detto, le chose vostre, meser Tomaso da Prato n’à chomesione dal Papa, e non fa se nonne pensare modo più onesto e sichuro; e farassi, sichondo mio openione, a ogni modo. Prieghovi voi ischriviate; e nonne posendo mandare quella prochura vi dimanda, schrivete non potere, perché non vi penserà e pigi[i]erà altro modo. [...] ab, ix,
n. 453 (= Carteggio 1965-83, n. dclxxxv).
iii,
p. 129,
Doc. 257 28 gennaio 1525, sabato Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Michelagniolo charissimo, io per le vostre ultime intendo lo animo vostro, et per ser Dino et per messer Riciardo dal Milanese et per Lionardo quello che è l’animo vostro, cioè che io tornassi; et così è ’l mio, né mai ò potuto avere licentia: et però non sono tornato. Credo, piacendo a Dio, tornare presto, perché s’è auta risposta dal duca d’Urbino et da messer Bartolomeo della Rovora, et atendiamo a vedere qual sia il migliore modo, et quello pigliare. [...] ab, viii,
n. 268 (= Carteggio 1965-83, n. dclxxxvi).
iii,
p. 130,
Doc. 258 8 febbraio 1525, mercoledì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Ora, circa a Santi Quatro, vi dico che voi siate i[n] vostro albritrio se lo volete servire, perché non sa che io vi abia scritto. Quello che e’ desidera, si è che e’ vorebe fare la faciata del suo palazo, [...]. ab, viii,
n. 269 (= Carteggio 1965-83, n. dclxxxix).
iii,
p. 133,
Doc. 259 8 aprile 1525, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze Conpare carissimo, più giorni sono non vi ò scripto; e questa per dirvi come quello che portò la citazione a Savona è tornato, e ànno mandato prochura qui per piatire; e per questo bisongnia voi facciate uno prochuratore per questa causa. E dice messer Tomaso che presto se ne caverà le mani, che voi potrete stare sichuro, perché viene di sopra. Sì che, quanto più presto, mandate detta procura in chi a voi pare, ché bixongnerà sostituire messer Tomaso; e sono certo che presto ne sareno fuora, che a·dDio piaccia. [...] ab, ix,
n. 454 (= Carteggio 1965-83, n. dcxciv).
iii,
p. 140,
Doc. 260 12 aprile 1525, mercoledì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Ancora vi priego mi mandiate una procura, a ciò che io possa cavare le mane di questa cosa di papa Iulio, perché non posso fare nulla sanza procura. [...] ab, viii,
n. 271 (= Carteggio 1965-83,
iii,
p. 141,
n. dcxcv). Doc. 261 19 aprile 1525, mercoledì Michelangelo in Firenze a Giovanni Spina [in Firenze] Giovanni, a·mme pare, circha la sepultura di papa Iulio, che e’ non sia da mandare prochura, perché io non voglio piatire. Non si può per me piatire, se io chonfesso d’avere el torto; io fo chonto d’avere piatito e perduto, e d’avere a·ssodisfare: e chosì mi sono disposto fare, se io potrò. Però, se ’l Papa mi vuole aiutare in questa chosa – che mi sarà grandissimo piacere, visto che io non posso finire la decta sepultura di Iulio o per vechiezza o per mala disposition di chorpo –, chome uomo di mezzo può mostrare di volere che io res[ti]tuischa quello che io ò ricievuto per farla, acciò che io sia fuora di questo charicho, e che e’ parenti di decto papa Iulio chon questa restituitione la possino far fare a·llor sodisfatione a chi e’ vogliono. E chosì può la Santità del Nostro Signore giovarmi assai: e in questo anchora, che io abbia a restituire el mancho che si può – non si partendo però dalla ragione –, facciendo acciectare qualchuna delle ragion mia, chome del Papa di Bolognia e d’altri tempi perduti sanza premio nessuno, chome sa ser Giovan Francesco, che è informato d’ogni chosa. E io, subito che è chiarito quello che io ò a·rrestituire, piglierò partito di quello che io ò: venderò, e farò in modo che io restituirò e potrò pensare alle chose del Papa e lavorare; ché a questo modo non vivo, non che io lavori. E nessun modo si può pigliare che sie più sichuro per me, né che mi sia più charo, né che più scharichi l’anima mia: e puossi fare chon amore, senza piatire. E prego Dio che al Papa venga voglia d’achonciarla a questo modo, perché non mi pare che e’ ci sia el charicho di nessuno; e chosì vi prego schriviate a·mmessere Iachopo, e schrivete in quel modo che meglio sapete, acciò la chosa vadi inanzi, che io possa lavorare. [...] ab, v, n. 45 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 144-145, n. dcxcvii).
Doc. 262 22 aprile 1525, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Aspetavo chon questa la prochura, e in ischanbio mi dite stare male chontento, che, chome v’ò detto, avete tortto; e sapiate certto la vostra chosa arà bonisimo fine. E sapete mai non vi dissi chosa non sia seguita. Schrivone a Pier Francesco; a·llui vi lasc[i]ate chonsigliare, perché v’ama: e vivete alegro. [...] ab, ix,
n. 455 (= Carteggio 1965-83, n. dcxcviii).
iii,
p. 146,
Doc. 263 14 giugno 1525 Procura di Michelangelo a Ser Giovan Francesco Fattucci per trattare in Roma i suoi interessi per la sepoltura di Papa Giulio ii /1r/ In nomine Domini Amen. Anno a Nativitate Domini millesimo quingentesimo vigesimo quinto, indictione decima tertia, die vero XIIII mensis junii pontificatus S.mi in Christo patris et domini nostri d.ni Clementis divina providentia pape septimi anno eius secundo. In mei notarii publici testiumque infrascriptorum ad hec specialiter vocatorum et rogatorum presentia personaliter constitutus honorabilis vir d.us Michael Angelus Ludovici de Bonarotis sculptor florentinus principalis principaliter pro se ipso, citra tamen quorum ad que procuratorum per eum hactenus quomodolibet constitutorum revocatione, omnibus melioribus modo via, iure, causa et forma, quibus melius et efficacius potuit et debuit, fecit, constituit, creavit et nominavit et solempniter [sic] ordinavit suum verum, certum, legitimum et indubitatum procuratorem, actorem, factorem, negotiorumque suorum infracriptorum [sic] gestorem ac nuntium specialem et generalem, ita tamen quod specialitas generalitati non deroget nec contra, videlicet venerabilem virum d.um Iohannem Franciscum Antonii Benedicti, cappellanum
ecclesie Sancte Marie del Fiore civitatis Florentie, absentem tamquam presentem specialiter et expresse ad ipsius constituentis nominem et pro eo quandam litem seu controversiam, quam habet contra illustrem d.um Bartholomeum de Ruere ac alios quoscumque heredes sive executores testamenti Iulii pape Secundi, coram R.do patre d.no Cornelio delle Volta causarum palatii apostolici auditore de et super inobservantia certi contractus inter ipsum constituentem ex una et Bone Memorie L(eonardum) Cardinalem Agenensem et L(aurentium) episcopum Prenestium, Sancte Romane Ecclesie cardinalem, executores dicti testamenti, super opera sive fabrica sepulture dicti d.ni Iulii pape etc. /1v/ Presentibus ibidem venerabilibus viris d.nis Bar(tholome)o Dominici Antonii, legnaiuolo, populi Sancti Laurentii de Florentia et ser Joh(anne) Antonio Joh(ann)is magistri Ugolini presbitero populi S. Ambrosii de Florentia testibus. ab, ii-iii,
n. 17 (= Contratti 2005, p. 182-183, n. lxxi; cfr. Milanesi 1875, p. 699, n. lii). Doc. 264 [Dopo il 14 giugno 1525] Michelangelo [in Firenze] a [Giovan Francesco Fattucci in Roma] [...] De’ chasi mia, poiché siate mio prochuratore, chome à voluto el Papa, vi prego mi trattiate bene chome sempre avete fatto, ché sapete che io ò più debito chon esso voi pe’ benefiti[i] ricievuti che non ànno, chome si dice a Firenze, e’ crocifissi di Santa Maria del Fiore chol Nocha chalzaiuolo. ab, ix,
n. 453 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 157, n. dccv). Doc. 265 23 giugno 1525, venerdì Iacopo Salviati in Roma a Michelangelo [in Firenze] [...] Et se tu havessi facto tucto quello che intorno ad ciò t’è stato scripto, forse che a questa hora sarebbono terminati et acconci in buona forma e’ casi tua circha la sepultura di Iulio et cet.; e però mi parebbe che in questo tu dovessi haver più fede in noi che tu non hai, et riposarti di questa cosa su le spalle nostre, come per la fede che ha in te Nostro Signore si riposa Sua Santità su le tua della libreria et sepulture che tu fai. [...] ab, xi, n. 684 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 158, n. dccvi).
Doc. 266 13 luglio 1525, giovedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Michelagniolo carissimo, io ò riceuta una vostra, colla procura, et una a Nostro Signiore, et l’autra a messer Iacopo. Credo abbiate, parechi dì fa, auto risposta, per le mani di messer Pietro Polo, per parte di Nostro Signiore, et ancora da messer Iacopo, perché commesse così, che Savestro vi rispondessi. Per questa vi rimando la procura, a ciò che voi me la man[diate] in forma valida, soscritta et col segnio di detto notaio. Per aultro sta benissimo; non ci manca aultro che la soscritione e ’l segnio del notaio. [...] ab, viii,
n. 272 (= Carteggio 1965-83, n. dccviii).
iii,
p. 160,
Doc. 267 17 luglio 1525, lunedì Iacopo Salviati in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Non ti bisogna dare pensiero alcuno delle cose tua di qua, perché qui è chi ti vuole bene et non pensa se non a dare lor fine et posarle come tu desideri, et se ne fa ongni diligentia possibile – et spero che presto ne habbi a succedere qualche bono effecto. Però, lasciane la cura ad chi fa, et non ti dare altra brigha che di lavorare secondo la fede che si ha in te; [...]. ab, xi, n. 685 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 162, n. dccx).
Doc. 268 26 agosto 1525, sabato Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelan-
gelo in Firenze [...] Io sono alle mani col procuratore di messer Bartolomeo della Rovere, il quale aspetta il mandato dal duca d’Urbino, come à da detto messer Bartolomeo, o veramente lettere di commessione di potere acordare come parrà al detto procuratore. Et ògli fatto intendere come bisognia o che e’ facino provisione di otto milia ducati, o veramente di annullare l’obrigo di detta sepultura. Il procuratore di detto messer Bartolomeo dice che né ’l Duca né li altri sono per metterci uno quatrino. Ancora gli ò fatto intendere come voi nonn·avete danari, et che pensino a ogni altra cosa. Ora io vorei sapere da voi tutti quelli modi che vi piaciano a fare questo acordo; et quello che più vi piace, avisatemi in su qualche poliza fuora della lettera; et massime se voi siate inn·openione di levare di terra papa Iulio, come già ragionamo. Et potretela far fare a chi voi vorrete. Et io ò chiesto di volere vedere il testamento di Aginenssis, per vedere quello dice della casa, perché al tutto intendo che la vi rimanga – et rimarravi a ogni modo senza manco. Per tanto, tutti quelli modi che vi vengono per la fantasia, datemene aviso; ma quello di fargli una sepultura mi pare da turrare la bocha a ogni uomo. Pure lasscierò pensarvi a voi. Et pensate a ogni altra cosa, acietto che pagare danari. [...] ab, viii,
n. 273 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 164165, n. dccxii).
Doc. 269 2 settembre 1525, sabato Giovan Francesco [Fattucci] in Roma a Giovanni Spina in Firenze [...] La lettera alla Marchesana s’è fatta: aretela con questa et col disegnio. Priegovi mi faciate rispondere alla letera di Michelagniolo, perché il procuratore della parte aversa vole et farà quello che noi voremo. Almanco rispondetemi voi quello che ritraite da·llui che più gli piacia. [...] ab, xii,
n. 7 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 164, n. cfr. Carteggio indiretto 1988-95, i, p. 245, n. 154). dccxii;
Doc. 270 4 settembre 1525, lunedì Michelangelo in Firenze a Giovan Francesco Fattucci [in Roma] Messere Giovan Francesco, io ò schritto chosttà alttre volte che, avend’io a·sservire pappa Cleme[n]te di chose che vogliono lungo te[n]po a cho[n]durle, e essend’io vechio, che io non spero di potere fare altro, e che io p[er] questo desidero, non possendo fare la sepu[l]tura di Iulio, se ò a·rrifare di quello che n’ò ricievuto, non avere a rifare di lavori ma più presto di danari, perché non sarei a·ctenpo. Non so che mi vi rispondere altro, perché non sono i[n] facto e non intendo i partichulari a che voi siate. Del fare decta sepultura di Iulio al muro, chome quelle di Pio, mi piacie, e è chossa più brevie che i’ nessuno alttro modo. Alttro non m’achade, se non dirvi questo: che voi laciatte stare la facienda mia e le vosttre anchora, e che voi torniatte, perché inttendo che la peste ritorna a gran furia, e io ò più caro voi vivo che la facienda mia achoncia. Però tornatte. Se muoio inna[n]zi al Papa, non arò bisongnio d’anchonciare più nie[n]tte; se vivo, son ciertto che el Papa l’achoncierà, se non ora unn’al[t]ra volta. [...] ab, v,
n. 49 (= Carteggio 1965-83, n. dccxiii).
iii,
p. 166,
Doc. 271 14 ottobre 1525, sabato Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Dipoi gli dissi dello acordo, nel modo che io vi ò scritto. Rispose che voi lo doverresti fare. Non già che e’ voglia che voi lavoriate per loro, ma, per contentargli, farla lavorare a chi vi paressi; et siate certo che voi non vi avete a mettere altro che farla lavorare, et costà vi sarà pagato e’ danari, et forse la pag(h)erà Nostro Signiore. Per tanto siate contento di risolvervi a ogni modo, perché è il bisognio vostro, et contentanese Nostro Signiore; né
ci metterete un baioco di vostro. Solo basta che e’ si dica che voi atendiate et vegiatela qualche volta. Et se non vorrete fare né il Papa né la Nostra Donna, sarà rimesso in voi. [...] ab, viii, n. 274 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 170171, n. dccxvii).
Doc. 272 24 ottobre 1525, martedì Michelangelo [in Firenze] a Giovan Francesco Fattucci [in Roma] [...] Delle chose di Iulio, mi piacie di fare una sepultura chome quella di Pio in Santto Piertro, chome m’avete schricto, e farolla fare qua a pocho a pocho, quando una chossa e quando una altra, e pagcherolla del mio, ave[n]d’io la provigione e resta[n]domi la chasa, chome m’avette schricto, cioè la chasa dov’io stavo chostà in Roma, cho’ marmi e le chosse che vi sono: cioè ch’io non abbi a ddare loro, dicho alle rede di papa Iulio, per disobrigarmi della sua sepultura, altro di chosa che io abbi avutto i[n]sino a qui, ch[e] la sepultura deta chome quella di Pio in Santto Piertro, e mectasi p[er] farla un tenpo cho[n]vieniente; e farò le figure di mia mano. [...] ab, v, n. 52 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 173, n. dccxix).
Doc. 273 30 ottobre 1525, lunedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Charissimo Michelagniolo, questa per fare risposta alla vostra, a me charissima per avere acettato il partito con questi di papa Iulio. Priegovi mi mandiate il disegnio, a ciò lo possa mostrare a questi che lo ànno a·ffare, perché lo vogliono mandare al duca d’Urbino et a messer Bartolomeo della Rovora; et piacendo loro, anullereno il contratto d’Aginensis et faremone uno altro. Et Nostro Signiore vi farà sù una absolutione a nostro modo. Per tanto vi priego, quanto più presto manderete il disegnio tanto più presto ne verrò, che mi pare mille anni. [...] ab, viii,
n. 275 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 176, n. dccxxi).
Doc. 274 10 novembre 1525, venerdì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Dipoi ragionai con Sua Beatitudine della statua di piaza. Risposemi quello medesimo; di più mi disse: ‘Digli che io lo voglio tutto per me, et non voglio che e’ pensi alle cose del pubrico né d’altri ma alle mia, et a quelle di Iulio perché e’ sia liberato; et voglio che e’ pensi al colosso che io voglio fare in sulla piaza di San Lorenzo, come ti dissi’. [...] Mercoledì fui col procuratore di messer Bartolomeo della Rovere, il quale gli aveva scritto; et dice essere contento che voi faciate una sepultura al Papa come voi dite, con questo, che non vole avere a pagare uno grosso più di quello s’era pagato. Rimanemo d’acordo, et che io fussi con messer Tommaso da Prato et facessi fare una minuta di procura a modo mio, con alturità di potere annullare il contratto fatto con Agine[n] sis et rifare uno altro, il quale vi dia et doni tutto quello che avete auto, insieme colla casa, et che la possiate vendere e tenere con tute le altre cose vi sono dentro. Et se a voi paressi di mandarmi una minuta di quello volete che io domandi, ne lascio il pensiero a voi. Qui s’aspetta il disegnio di detta sepultura, et se vi paressi farne dua, per mandarne uno al Duca et l’altro a messer Bartolomeo, fate voi. Questo dico per avere risposta più presto. Et tutto questo acordo disi con Nostro Signiore; et dissi come voi volevi una asolutione da Sua Santità. Mi rispose la farebe a vostro modo. [...] ab, viii,
n. 276 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 184185, n. dccxxvii).
Doc. 275 29 novembre 1525, mercoledì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze
[...] Quanto a papa Iulio, vi manderò il disegnio di Pio et di Pagolo. Benché Nostro Signiore se ne rise, dicendo che la sepultura di Pio costò otto cento ducati; et io gli dissi che voi la farete più bella. [...] ab, viii,
n. 277 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 187, n. dccxxviii).
Doc. 276 8 dicembre 1525, venerdì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Messer Tommaso da Prato à·ffato, già sono di molti mesi, la inquisitione, come dice il vostro amico. Dipoi à fatta una procura a suo modo et mandatola a messer Bartolomeo della Rovora conn·alturità, insi[e]me con Santi Quatro, di potere anullare il primo contratto et farne uno altro, o vorete per sententia, con questo, che luor vi licenti[i]no et dieno tutto quello che voi avessi auto di danari, insieme colla casa, et che voi possiate vendere la casa, e’ marmi, le figure, et del tutto farne a vostro modo. Con questo, che voi abiate a fare una sepultura come quella di Pio o di Pagolo, et ancora meglio, secondo la vostra cosscientia. Solo ci resta acordare il tenpo, perché voreb[o]no il tenpo corto et voi lo vorresti lungo, dicendo: ‘Se noi fussimo certi della vita, non ci darebe noia il tenpo lungo’. I desegni ve gli manderò per questa altra. Non ve gli ò mandati prima perché nonn·avevo trovato chi me gli facessi. [...] ab, viii,
n. 278 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 192, n. dccxxxi). 1526 Doc. 277 3 marzo 1526, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Bastiano mi dice come quello homo del ducha d’Urbino che era qui fu secho, che intese lui essere cosa vostra, e chome el Ducha era disposto, in tutti e’ modi vi chontentavi, fare o provedere a’ danari, o veramente fare una sipoltura chome a voi paresse, e nel tempo a voi pareva. E disse come dal Prete non ne aveva mai chavato chonclusione, e che gli pareva essere uccelato. Bastiano gli fece capace come voi avevi anchora in memoria l’ossa di G[i]ulio, e nonn·avevi altro desiderio, ma, come lui vedeva, v’era forza di lavorare dove lavorate. Lui se ne andò a Urbino e disse tornerebe, perché Bastiano gli disse di me che io l’assetterei. E chome torni, intenderò l’animo suo e ve ne aviserò, e vedremo assettarlla, chon l’aiuto di·dDio. [...] ab, ix,
n. 456 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 212213, n. dccxlii).
Doc. 278 10 marzo 1526, sabato Leonardo Sellaio in Roma a Michelangelo in Firenze [...] E dissemi chome da me vi scrivessi che, volendo da·llui, nonn·è per disdirvi niente. Ragionai della [sepoltura] di G[i]ulio. Dissemi: ‘Voglio per ongni modo s’assetti’. E ’l compare mi dice quello homo del Ducha gli à detto in modo che, come lui ci sarà, mi basta l’animo che l’achonceremo chon mancho spendere. Voi non pensate e, chome v’ò detto di sopra, sollecitate le fighure, perché lui mi diceva basterebbe 4 di mano vostra: a che gli risposi ne farete 4 volte 4, e in breve, che·llo facevo inpazzare d’allegrezza. [...] ab, ix, n. 457 (= Carteggio 1965-83, n. dccxliii).
iii,
p. 215,
Doc. 279 3 aprile 1526, martedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Circa le cose di Iulio, quando vi parrà tenpo voi lo manderete, che sare’ senpre a tenpo. [...] ab, viii,
n. 282 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 218, n. dccxlv).
Doc. 280 6 giugno 1526, mercoledì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Della cosa di Iulio vi priego vi risolviate, et per l’onore e utile; et lasciate fare agli amici vostri. [...] ab, viii,
n. 284 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 224, n. dccl).
Doc. 281 12 settembre 1526, mercoledì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Ma se Dio mi concederà gratia che la cosa di Iulio s’aconci, a me parrà essere stato in paradiso et non patito di cosa nessuna; che se manderete il disegno, credo a ogni modo fare che voi sarete contentissimo. ab, viii,
n. 288 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 233, n. dcclvii).
Doc. 282 16 ottobre 1526, martedì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Honorando Michelagnolo, da messer Iacopo ò auto il disegno di Iulio, il quale mi à dato grandissimo piacere. Dissemi che voleva parlare collo agente di messer Bartolomeo della Rovera, il quale andai subito a trovare, che sta da Santo Mauto. Trova’lo che era nello letto malato, et per tutta questa settimana verrà a parlare con messer Iacopo, et io vi ritornerò; et parlato che messer Iacopo gli averà, ve ne darà aviso di tutto: et vedrete che tutto quello che io v’ò scriptto pel passato sarà conn·effetto, della casa et delle altre cose, che non se ne leverà niente. M’à ric[h]iesto che vole mandare il disegno al duca d’Urbino. Quando vi piacessi, lo manderò; et non volendo, avisate quello s’à a·ffare et tanto si farà. Nostro Signiore farà in sull’acordo uno brieve a nostro modo, come per altra vi scrissi. [...] ab, viii,
n. 289 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 238, n. dcclix).
Doc. 283 1 novembre 1526, giovedì Michelangelo in Firenze a Giovan Francesco Fattucci [in Roma] Messere Giovan Francesco, io so che lo Spina à schricto chostà a questi dì molto chaldamente sopra e’ chasi mia della chosa di Iulio. Se [lui] à facto errore rispecto a’ tempi in che noi siàno, l’ò facto io [anchora], che l’ò pregato importunamente che schriva. Forse che la [mia] passione m’à facto mecter troppa mazza. Io ò avuto uno [... ] raguaglio a questi dì della chosa mia decta di chostà che m’à messo gran paura; e questo è la mala dispositione che ànno e’ parenti di Iulio verso di me, e non senza ragione: e chome ’l piato seguita e domàndonmi danni e interessi, in modo che e’ non basterebon cento mie pari a sodisfare. Questo m’à messo in gran travaglio e fammi pensare dov’io mi troverrei se ’l Papa mi manchassi, che non potrei stare in questo mondo; e questo è stato chagione che ò facto schrivere chome è decto. Ora, io non voglio se non quello che piace al Papa; so che non vuole la mia rovina e ’l mio vituperio. Io ò visto qua l’allentare della muraglia e vegho che le spese si vanno limitando publichamente, e vegho che per me si tiene una chasa a San Lorenzo a pigione e la provigione mia anchora: che non son pichole spese. Quando tornassi bene limitare anche queste e darmi licentia che io potessi chominciare o qua o chostà qualche chosa per la dicta opera di Iulio, l’arei molto charo, perché io desidero uscire di questo obrigho più che di vivere. Nondimeno non sono per partirmi mai dalla volontà del Papa, pure che io la intenda. Però io vi prego, inteso l’animo mio, che voi mi schriviate la volontà del Papa, e io non uscirò di quella: e pregovi l’abbiate da·llui e da sua parte me la schriviate, per potere meglio e chom più amore ubidire, e anche per potermi un dì, quando achadessi, chon le vostre lectere g[i]ustifichare. [...]
329
Michelangelo. Il marmo e la mente
ab, v, n. 55 (= Carteggio 1965-83, 240, n. dcclx).
iii,
pp. 239-
Doc. 284 23 novembre 1526, venerdì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze Michelagnolo honorando, io scrissi allo Spina, circa alla sepultura di Iulio, come la cosa andava et a quello che si era rimasto; et per ancor, per non essere messer Iero[ni]mo ben guarito, non s’è potuto dare fine a questa benedetta sepultura. Siamo rimasti d’essere insieme collo inbassciadore del Duca et fare di avere una lettera da Sua Santità d’essere contento, et forse fareno senza mandare il disegno in Lonbardia. Iarsera, parlando con Nostro Signiore, volle vedere il disegno di Iulio, et dimandommi d’ogni cosa. [...] Et tanto mi commisse che io vi scrivessi. Et se vi venissi bene a scrivere dua versi di quello che voi fate et avete fatto, sarebbe bene, perché Nostro Signiore me ne dimandò. Io gli dissi tutto quello che lo Spina m’à scripto. [...] ab, viii,
n. 290 (= Carteggio 1965-83, n. dcclxiv).
iii,
p. 245,
Doc. 285 8 dicembre 1526 Giovan Francesco Fattucci in Roma a Giovanni Spina in Firenze [...] Ancora datene aviso della cosa di Michelagnolo, s’àno a quello medesimo la causa questi travagli. Niente di meno, ò a essere con S. 4º et credo cavarne presto le mane, se piacerà a Dio. [...] ab, xii,
n. 8 (= Carteggio indiretto 1988-95, i, p. 252, n. 160).
Doc. 286 21 dicembre 1526, venerdì Giovan Francesco Fattucci in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Messer Ieronimo da Urbino di nuovo è venuto a parlare con messer Iacopo, et àgli promesso di fare tutto quello che voi abbiate a stare collo animo in pace. Né ancora è bene guarito, et io nonllo lascio tenere terra et senpre lo sollecito. [...] ab, viii,
n. 291 (= Carteggio 1965-83, n. dcclxvii).
iii,
p. 248,
Doc. 287 Ricordo di Antonio Mini di un furto di carte, modelli e disegni fatto a Michelangelo in via Mozza poco prima dell’assedio /1r/ Ina[n]zi l’asedio di 3 messi fu rotta la zanza di Michelang[no]lo i[n] via Moza chon ischarpegli, e fuvi toltti circha a 50 chartte di ficchure; infra le dette charte v’erano le sipurture de’ Medici e di moltti disengni di gra[n] valutta; e fuvi ttoltti di mo’ quarttro ficchure di ciera e di ttera. E detti giovani vi laciorno, che no se n’avedano, uno fero che aveva per sengnio una M, che fu quella che gli scchope[r]se. Subitto che si vindano inschorpeti, s’andorno, overo si naschosano e ma[n]dorno a dire che re[n]derebano e’ disengli e modegli, si perdonasi loro. ab, xii,
cccxiv;
n. 46 (= Ricordi 1970, pp. 372-372, n. cfr. Barocchi 1962, n. 360).
1527 Doc. 288 1527 ca. […] Locatum est ei demum Iulii Pontificis sepulchrum, acceptisque multis millibus aureis, aliquot eius operis statuas praegrandes fecit, quae adeo probantur, ut nemo secundum veteres eo doctius atque celerius marmora scalpsisse, nemo commensuratius atque venustius pinxisse censeatur. […] Paolo Giovio, Michaelis Angeli vita (= Giovio 2008, p. 10). 1531
330
Documenti
Doc. 289 24 febbraio 1531, venerdì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compar mio, per maestro Domenico detto Menichella, el quale m’è stato a visitare per parte vostra, Dio lo sa quanto l’ò havuto accaro, che dapoi tante angustie et fatiche et pericoli, Dio omnipotente ne ha lassati vivi et sani, per sua misericordia et pietà: cossa in vero miracolosa, quando io li penso. [...] Circha la venuta vostra, secondo me dice maestro Menichela, a me non mi par necessaria, se non fusse per venir a spasso; et potresti dar hordene a la casa vostra, che in vero va a male el più de le cosse, come tecti et altre cosse. Credo sapete che la stancia dove era l’opera de quadro è sfondata con i marmi lavorati, che è una pietà. A questo potresti remediare et far qualche provisione. [...] ab, ix,
n. 481 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 299300, n. dcccxi).
Doc. 290 11 [aprile 1531], martedì Battista Figiovanni [in Firenze] a Michelangelo [in Firenze] [...] El signor comissario Bartolomeo Valori sarà di qua al fine di questo o prima per cosa cierta, se di già altro di inportanza non sia in contrario. Ci sono lettere del cierto così con molta autorità et commissione. Credo vi sarà con piacere vostro. El signor Duca parte domenica prossima dove è per le poste e per di qua, e al fine di questo o a 1/2 magio fia qua, né credo che questo ancora vi sia se non piacere. [...] ab, viii,
n. 327 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 301302, n. dcccxii).
Doc. 291 29 aprile 1531, sabato Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Oltra di questo, venendo a Roma me trovai a Pesaro con un pictore qualle sta con el ducca de Urbino. Si adimanda Hieronimo da Zenga, homo da bene, et mostra esservi affectionato; et perché el crede che io possa assai con vui, me disse che potria esser bon mezo a fare che ’l signor Ducca fusse contento de vui de l’opera de papa Iulio, quale mostra de haver molto a core questa hopera. Io li resposi che l’opera era in bonissimo termine, ma che ’l manchava octo milia ducati, che non c’era homo che respondesse a questi octo milia ducati; et lui me rispose che ’l signor Ducha li provederia lui, ma che Sua Signoria dubitava de non perder i denari et l’opera et mostrava de esser molto in colera. Ma dapoi molte parolle, disse: ‘Non se potria mozzar questa cossa a qualche modo che fosse contenta una parte et l’altra?’ Io li resposi che bisogneria parlar con vui. Compare, in vui consiste ogni cossa. Credo, pure che aparisse qualche cossa de questa opera, se contentariano de ogni cossa, perché atendono più a certe aparentie che a la propria verità, et credo certissimamente che bisognaria pigliare medicina a sborsare questi 8 milla ducati. Però vui sete savio et prudente; inanti che si mova cossa alcuna studiatela bene, et non habiate paura de deminuire de gloria et fama, ché a ogni modo vorete vui credo sarete el medesmo, perché sete troppo grande. Ma io mi dispero che non ve conoscete et ve rodete da vui medesimo; che con una minima cossa si po aquetar ogni cossa. [...] ab, ix,
n. 482 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 305306, n. dcccxiii).
Doc. 292 16 giugno 1531, venerdì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Circha la cossa de Iulio, Nostro Signore ha lecta la mia littera come di sopra, et un’altra volta reletto el capitolo de l’aviso ve ho datto del ducca de Urbino; et volse che io li dicesse chi me n’à parlato, de questa cossa. Io dissi a Sua Santità el tutto, et ancora pregai Sua Santità che volesse
aiutarvi et favorir in questa cossa: che in vero el ve faria tornar de 25 anni. Lui con bonissimo animo mi respose che lo faria de bonissima voglia et che·ll’averia molto accaro; et mi disse che io non scrivesse a nisuno del Ducca, se prima non intendeva la vostra volontà. Et mi ha comisso che io ve scriva et che me faciate intender prima la volontà vostra, de che modo voresti aconzar questa cossa, et ancora farlo intender a Sua Santità el sapia quello l’abia a offerir da parte vostra et prometer a li agenti over ambasator del ducca de Urbino. Et credo certissimamente ancora con el favor de Sua Santità farà asai, et con più reputatione et credito et con più facilità se asetarà la cossa. Sì che, compar mio, resolveteve molto bene quello volete fare et studiatela bene; et tanto quanto vorete vui et hordenarete, tanto serà facto, et non ponto più. Io ho a presso la persona del Ducca uno messer Oratio, grandissimo mio amico, et è el primo homo habbi la excellentia del Ducca; et ancora el c’è el mio medico, el quale credo ve ne arecordai, che ve mostrai el suo retrato in casa mia in Trastevere, che ancora lui serà bon mezo a questa cossa; a presso el Zenga. Quali tucti 3 costoro sonno homeni da bene; ma quello che po piue è messer Oratio. Inanti che si scriva, o vero che si mova cossa alcuna, resolveteve molto bene; et non si traterà cossa alcuna se non de vostro consenso. Più volte ho voluto scrivervi de la casa vostra. In vero le cosse vostre vanno molto male: è in mano de un sbirazo che brava et dice ha fatto et ditto, de modo che se li haverà a rifar de molti duchati; et ve ruinano la chasa. Et oltre de questo, l’opera de quadro è precipitato sotto terra, de modo che ’l c’è un gran dano. Seria pur meglio farla levare de quella ruina et meter que’ aconzi ne la botega grande, benché ’l tecto tutto piove. Seria pur bono proveder non andasse a male quelle cosse; che ’l c’è pur manifatura, tempo et spesa grande. Però fate vui; tanto quanto hordenarete, tanto serà facto, et non più etc. [...] ab, ix,
n. 484 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 309310, n. dcccxv).
Doc. 293 20 giugno 1531, martedì Pier Paolo Marzi in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Et parlando el prefato maestro Sebastiano con Sua Beatitudine della sepoltura di papa Iulio et del desiderio vostro circa ciò, essa mi ha comesso vi scriva da sua parte che è per adoperarsi in questa cosa a benefitio et satisfactione vostra, et che li scriviate quello vi pare ci debbi fare dentro, che non mancherà de intromettersi in questa cosa per liberarvi da questo fastidio, molestia et fa[n]tasia. [...] ab, ix,
n. 517 (= Carteggio 1965-83, n. dcccxvii).
iii,
p. 312,
Doc. 294 22 luglio 1531, sabato Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Charissimo compare, non ve maravegliate che non habbi resposto cussì presto a la vostra ultima, quale ebbi a l’ultimo del mese passato, di che me informate tutto quello io habia a mover a li agenti del ducca de Urbino. Et per non p[re]terire l’ordine datto da Nostro Signore, li mostrai la vostra littera, et la lesse molto diligentemente et vide quanto l’animo vostro vorebbe; dil che molto si maravegliò, che cussì absolutamente offeristi doi milla ducati et la casa in far finir l’opera de Iulio in termine de tre anni: cossa in vero troppo larga de offerta, et ancora de tropo dano vostro. Che quando ve usisi di mano tre milla ducati, credo vi rencreserebbe. Compare mio, de comandamento del Papa, ché ancora a Sua Santità non li piace questa cossa, non ha voluto che io offerissi cussì al primo tratto, ma mi ha comesso, come da me, mosso da le parolle de Iheronimo da Zenga, io parli a l’anbasator del Ducca et a messer Hieronimo Ostacoli, et che veda come li trovo in questo chaso et che li referischa quello me rispo[n]deno Et cussì ho facto. Io andai a chasa de l’anbasator del ditto Ducca, et a caso trovai messer Hieroni-
mo Ostacoli, et come da me li narai el tutto et li dissi tutto quello mi parea in beneficio de l’opera, et tutto quello li potria intravenire per ogni versi, sì in far tutta l’opera come in abreviarla, senza offerirli un quatrino in beneficio de detta opera, de modo che io trovai l’anbasatore molto contento et dessideroso a questa cossa. Et credo che de lui se ne faria quello se volesse; ma trovai messer Hieronimo Ostacoli alquanto bravo, et disse: ‘Io so molto meglio de vui quello vorebbe Michelangelo’. Et me disse: ‘Michelagniolo voria vender la casa, et de quelli denari abreviar l’opera et finirla come a lui paresse: dil che non è honesto. Lui ha avuto dieci milla ducati; corni[n]cia a spender de quelli, et vedasi che l’opera vada inanti, che in ultimo, quando si vederà che l‘opera sia in termine che si venda la chasa per questo effecto, la si venderà’. Et me disse, più, che la casa non era la vostra, che l’era del cardinal Aginensis, et molte altre parole fastidiose. Et più me disse che l‘avea facto litte con vui et che l’avea el contratto de l’opera. Et l’anbasator me disse: ‘Michelangniolo si trova in desgratia del Papa, et non ha quel favor che l’era solito aver; però el dubita de questa cossa’. Io li resposi gagliardissimamente che vui non dubitavi né de papi né imperatori né de signori del mondo, ma che tutto quello vui dessiderate lo facevi per l’onor vostro et per l’obligo che havete a la sancta memoria de Iulio: de modo che con queste parolle li placai tutti doi. Et in conclusione li dissi che li meteva meglio conto, a loro et a la exelentia del Ducca, sottometersi a la vostra volontà, che fate quello par a vui o per una via o per l’altra, pur che l’opera se finischa, che star su questi pontigli et su queste contentioni. Et si per desgratia advenise, che Dio nol voglia, che vui mancasti, l’opera non se finiria né a una via né a l’altra, perché non piovano i Mechelagnioli, né si trovarebbe homeni che la sapesero guardarla, nonché finirla. Et dapoi non so de che modo se potria cavar de Firenze le figure che son facte per detta opera, sì le finite come le bozate, se non ve fusti vui. Queste parolle li trafise el core, et confessorno che io diceva el vero più in favor suo cha vostro. Et deliberorno de persuader el Ducca a tutto quello volesti vui, maxime l’anbasator; et me disse che io non guardase a le parolle de messer Hieronimo, che ’l faria tanto col Ducca, et ancora con messer Ieronimo, che se redurrano a quello vorete vui, tanto li sbigoti’ con le parole. Et li dissi che ’l c’era un par de figure che valevano dieci milla ducati, et che possano alzar le mano al cielo che vi trovano di questo bon volere; de modo che messer Hieronimo è andato a Urbino et àmmi promesso de far bonissimo officio. Et cussì ancora, con littere ha scripto l’anbasatore. Et tutte queste parolle ho referite a Nostro Signore, le qualle summamente li è piaciute; et àmmi ditto che non dubiti de messer Ieronimo, che lo farà far quello el vorà lui. Et più Sua Sa[n]ctità mi ha comesso che per più reputatione vostra vui ve tenite a l’opera grande, et che volete esser securo del vostro restante che farete ogni cossa, et che ditte ch’è de figure et marmi lavorati, et quelli che sonno lavorati, et la valuta de li danari havete havuti. Et come loro intenderano che bisogna sborsar el resto, venirano a quello vorete vui, che a pena li meterete la casa. Et àmi ditto Sua Santità che quello che fa i relogii da la Volpaia ha scripto al cardinale Salviati che vui non dessiderate altra cossa che questa. M’ha ditto che vadi a parlare con Sua Signoria et manizar questa cossa con lui, che serà a proposito a questa cossa. Avisateme quello volete che io faci; et si pare a vui, scriveteme una littera fictiva che la possi mostrar a l’anbasator del Ducca. Et a un bisogno, se ’l volesse mandarla al Ducca, che la si potesse mandare; tuttavia con bon animo, che ogni volta che fosti securo del vostro resto, finiresti l’opera. Et al Papa et a me scrivete quello piacerà a vui et tutto quello è el desiderio vostro. Compare mio, io trovo el Papa ogni dì più dessideroso de farvi apiacere che mai, et vi vuole un grandissimo bene; et haveria tanto accaro acontentarvi de questa cossa, quanto vui de haverla finita. Et àmi dito che non accade a dir al Ducca né ai soi agenti che la vogliate far finir ad altri; che basta bene che fate desegni et modeli et che l’ordinate vui, che se contenterano troppo. Li havete facto troppo de man vostra; si possano contentare.
Et questo è el ponto: come faranno a non contentarse? Non posono volere se non quello volete vui, et havete el Papa da la vostra. [...] Pregovi ancora avisateme come sta la cossa de la chasa, si è vostra o de li eredi del Cardinale, et cussì la quantità de danari havete recevuti et el prezo de tutta l’opera; ché io non so responder a questi che me ne domandano, et cussì al Papa. [...] ab, ix,
n. 485 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 316319, n. dcccxx).
Doc. 295 [Verso la metà di agosto 1531] Michelangelo [in Firenze] a Sebastiano del Piombo [in Roma] Sebastiano mio caro, io vi do troppa noia. Portate im pace, e pensate d’avere a essere più glorioso a·rrisucitare morti che a fare figure che paino vive. Circha la sepultura di Iulio, io v’ò pensato più volte, come mi scrivete, e parmi che e’ ci sia dua modi da disobbrigarsi: l’uno è farla, l’altro è dare loro e’ danari che la si facci per le lor mane; e di questi dua modi non s’à a pigliar se non quello che piacerà al Papa. El farla io, secondo me, non piacerà al Papa, perché non potrei actendere alle cose sua: però sarebbe da persuader loro – io dico chi è sopra tal cosa per Giulio – che pigliassino e’ danari e facessino farla loro. Io darei disegni e modegli e·cciò che e’ volessino, e cho’ marmi che ci sono lavorati, agg[i]ugniendovi dumila ducati, io credo che e’ si farebbe una bella sepultura; e ècci de’ giovani che farebon meglio che non farei io. Quando si pigliassi questo ultimo modo di dar loro e’ danari che e’ la facessin fare, io potrei contar loro ora mille ducati d’oro, e in qualche modo, poi, gli altri mille; purché e’ si risolvino di cosa che piacci al Papa. E quando e’ sieno per mectere a effecto quest’ultimo, io vi scriverrò in che modo si potranno far gli altri mille ducati, che credo non dispiacerà. Io non vi scrivo lo stato mio particularmente perché non achade: solo vi dico questo, ch’e’ tre mila ducati che io portai a Vinegia, tra oro e moneta, diventorno, quand’io tornai a Firenze, cinquanta, e tolseme el Comune circha mille cinque cento. Però io non posso più. Ma troverrassi de’ modi, e così spero, visto el favore che mi promecte el Papa. Sebastiano, compare carissimo, io sto saldo ne’ dicti modi e pregovi ne tochiate fondo. ab, v, n. 59 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 323-324,
n. dcccxxiv).
Doc. 296 19 agosto 1531, sabato Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Compar mi[o] carissimo etc. Gieri recevì una vostra a me gratissima, che fu a dì 18 del presente, et hozi ne ho recevuta un’altra per mano de quelli dal Vantazo, che è addì 19 detto, quale volete ve rimanda la vostra littera de’ 18: et cussì, senza haverla vista persona del mo[n]do altri cha me, io ve la rimando; ma io ve dico che la non voleva stare più, perché dimane, che era domenicha, io la mostrava al Papa, abenché importava pocco. Et vi dicco questo, che mai ho mostrato vostre littere a li [agenti] del ducca de Urbino, né mostreria senza vostra licentia o vero del Papa [...]. Messer Hieronimo Ostacoli non è in Roma; è circha un mese che l’andò a Urbino con el cardenal da Mantoa, et stamo aspetar sue littere over del Ducca, per intender la sua volontà, cioè del Ducca, ma ancora non è venuto niente. Io trovo molto più destra persona l’anbasator del Ducca, in questa cossa, cha messer Hieronimo. Et el proprio anbasator me ha detto che non guardi a sue brusche parolle, che non importano niente, ché è una persona colericha a suo modo. Et ancora el Papa me ha ditto che lo farà far quello vorà lui, che non dubitamo de messer Hieronimo niente. Hora, compar mio, io ho molto ben letta la vostra littera et ho inteso el tutto. Mi perdonarete: vui facte troppe grande offerte de doi milla ducati con la casa, o vostra che la sia over sua. Si volete che la sia sua, credo facilmente el Papa farà che la si metta in conto de detta opera, et basteria solamente li metessi vui mille ducati; che con la casa et li
vostri mille ducati, che seriano quasi doi mille, se potria finir l’opera secondo la volontà vostra. Et cussì ancora a Nostro Signore li par troppo grande offerta: de moda che vui ditte haver recevuto 7 milla ducati, volendone spender domilla de’ vostri ne veniresti in niente. Et mi par a me che le figure che ci sonno vagliano più de quatro milla ducati, senza l’opera de quadro, che val pur ancor lei domilla. Et dicco questo: quando a vui piacese far un par de figure, me basteria l’animo farvene dar mille ducati de l’una et ancora qualche centenaro de più, et saria quasi un modelo de la valuta de questa opera et de tutte le vostre altre opere; ma non si po per amor de l’opera de l’amico. Ma questa seria la via de far star cheto messer Hieronimo etc. Però ancora non è stato offerto niente: che si havete facto errore ne la vostra littera, non importa. Io ve la rimando: et resolveteve bene et pensate bene a li casi vostri, et non ve gitate cussì a un tratto in preda con domilla ducati contanti al primo assalto. Vui havete el Papa da la vostra, et farà tutto quello vorete vui in simel cossa: che non dessidera altro se non tenirvi sano et contento di questa et ogni altra cossa. [...] ab, ix,
n. 468 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 325326, n. dcccxxv).
Doc. 297 29 settembre 1531, venerdì Giovan Battista di Pagholo Mini in Firenze a Bartolommeo Valori in Roma [...] A quelo male del quore, è quanto a la chosa che gli à chol ducha d’Urbino: questa dichano che lo ttiene mal chontento, e asai desidera che tale s’achonciasi, e se li fusi donato di[e]ci mila schudi, no li sariano tanto a grado; e Nostro Signiore no li pottrebe fare magiore grazia e più acietta. [...] bnf, Magl. xxxvii. 303, cc. 19-20 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 330, n. dcccxxvii).
Doc. 298 3 ottobre 1531, martedì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Dolcissimo compare mio, hozzidì ho recevuto una vostra per mano de messer Bartholameo Valori, quale dubitate farmi noia per scrivermi cosse fastidiose, che Dio vel perdoni. Et basta. Forsi vi maravigliate non ho resposto a l’ultima vostra, ma per non haver materia che meriti el prezzo non vi ho scripto; per questo non resto de star vigilante di far l’opera con i agenti del ducca d’Orbino: ma l’anbasator suo vuole aspetar messer Hieronimo Ostacoli, che de dì in dì è per tornar a Roma. Et in questo mezo, mai né dal Ducca né da messer Hieronimo se ha possuto haver resposta alcuna. Bisogna aspetar el detto messer Hieronimo. In questo tempo ho trovato el vescovo d’Aleria, che è el Palavicino che era mastro de casa de Aginensis, et holi narato ogni cossa. Lui iubila, et soliciterà per sette con questi agenti del Ducca; da l’altro canto, io son con Nostro Signore et messer Bartolameo Valori, et solicito che si venga a un fine di questa cossa. Et ogniuno à accaro di farvi contento. Non manca altro che questo messer Hieronimo, et stamo aspetarlo. [...] ab, ix,
n. 487 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 332, n.
dcccxxviii).
Doc. 299 8 ottobre 1531, domenica Giovan Battista di Pagholo Mini in Firenze a Bartolommeo Valori in Roma Magnifico viro onorando, i’ ò la di Vostra Signioria de’ dì IIII, al posibile gratisima, e quanto a’ chasi di Michelagni[o]lo tuta ò ’nteso volentieri che il Nostro Signiore ve ne abi dato la charicha di sua salute, quando qui sarete, e se chostì avesi punto a soprastare, chome pottria esere, o si in quel pocho anchora istesi, no chonoscho omo più a proposito per l’opra di sua lite chol ducha d’Urbino e sua atene[n]ti a la sepoltura di Iulio, quale egli è obrighato, perché so li portate afezione, e chon tali sua aversari troveresti qualche istima chon prezo o precie, né potresti fare a Michelagniolo magiore servizio e grazia, e ve lo fa-
resti ischiavo in perpetuo. Io l’andrò domani ch’è festa a vedere, perché quando e’ lavora nonn·è ordine, e so che la vostra lettera li sarà gratta; e soleciterò l’opera [da] vostra parte e vedrò a che termine sarà. E chomo dite, messer Bartolom[e] o, apichate cho li sua aversari qualche pratica, ché l’uomini e l’argiento tuta asetano – questo è dito che s’usa a Parigi –, e voi siate omo da chondure magiori apuntamenti, e n’avete fato dimostrazione; e volesi Idio el primo dì che di qui partisti Michelagniolo ve l’avesi dito, che a questa ora sarebe asetata: [...]. [...] bnf, Magl., cl. xxxvii, 303, cc. 21-22, 26 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 333, n. dcccxxviii).
Doc. 300 [15?]-21 novembre 1531 Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze [...] [Hora], compar mio, gli è venuto [a Roma] messer Hieronimo Ostacoli da Urbino et mi è venuto a trovar insino a chasa; et non mi trovò, et hozi mi ha par[lato] in Cancelaria et mi ha referito tutto quello ha nego[tiato con] el signor [ducca de Urbino] circa [la sepultura] de Iulio, et mi ha d[etto] assaissime parolle. [In con]clus[ione], dice haver [offert]o dei [part]iti a la excellentia del [Ducca] suo, che vui siete disposto fin[ir] l’opera de papa Iulio [... secondo] l’ordine del contrato facesti con Aginensis, cioè l’opera [grande, ma] che [bisognia] proveder al [restante] de’ d[ana] ri. Et el Ducca resposse che ’l [non poss]eva proveder el resto de’ danari, ma che Sua Signoria era molto più contento che vui fa[cesti l’o]pera [del secon]do modo, cioè che fusse breviata per la valuta dei d[an]ari havete recevuti. Et più me disse el detto messer Ieronimo che, [partito] da [Urbino], li mandò drieto uno in posta con una littera, che a ogni modo el [dovea tentar] de assetar q[uesta coss]a che a ogni modo la si facia, ma che ’l Ducca voria che [li] facesti un dis[egno come ha da] esser l’opera, che sopra quello el se resolveria [de] la sua volontà. Io gagliardissimamente resposi al detto messer Ieronimo che [vui] non eri [ho]mo da far prove de [disegni] né modeli né simil frascarie, che questa era la via de non finir mai q[u]est’opera, che la excellentia del Ducca si po ben contentar che vui ve inclinate a voler far l’opera de [q]uel secondo modo, et che apretiatte tanto l’onor vostro quanto altra persona aprezi el suo. Et mi respose messer Ieronimo: ‘A che modo se potria far questa cossa?’ Io li resposi: ‘A questo modo: che la excellentia del Ducca con tutti li eredi de papa Iulio [se acontentassi] de ani[chilar] el [contratto] che [fu] facto per Aginensis, cioè de l’opera grande, et far un altro [co]ntratto’; come vui ve contentate de [fa]rli un’opera de la valuta dei d[an]ari havete recevuti, et [remaner] a vui, [in con]sie[nza] vo[stra], ogni qualunque cossa. Quando [non metes]si [altro] che un saxo in opera, che loro se contentassero [de tutta] la [vostra] volontà. Et cussì, come el meglior tempo de la vita vostra li [sete] stato [come de] stiavo, che vi re[stitui]scano al presente la vostra libertà et che non ve ligano a cossa nisuna, solum farvi patron de ogni cossa [come] volete vui; che li [meterà] molto meglio conto a far a questo modo che volerla minuzar per altre vie. De [modo] che ’l de[tto] messer Ieronimo confessa che questa è la via, et mi ha detto vi deba scriver che ’l farà che ’l Ducca se [contentarà] de [tutto] qu[ello che v]orette vui et l’anbas[ato]r suo. Et con messer Hi[ero]nimo, [in nome] del Ducca et de li [eredi] de papa Iulio, anichilarà el contrato et ne farà un altro [come] volete vui, ne la forma che li ho offerto io, cioè de far finir detta sepultura nel secondo modo [in ... ] de tre anni, et spender del vostro doi milla ducati, [com]putando la casa; che detta casa si venda et li d[ana]ri [de] detta casa so[periscano ’l numero] de doi milla ducati. Et non ho voluto offerir più, et [credo questi] basterano. Et si [contentano] troppo et li par molto bella cossa [che] questa opera la vogliate fare senza che [’l ve] spendano un quatrino, et che [vui ve contentate spender li] domilla ducati. Et messer Ieronimo mi ha promisso de scriver al Ducca, [che faranno...] che ’l Ducca ve scriverà et remeterà [ogni] cossa a vui; et vui ve degnerete [responder] al Ducca quello vi parerà,
ma non [offerite] più [danari]. Hora mi par che la cosa stia in bonissimo termine et re[solutio]ne, [come] ha[vete a f]ar questo secondo contrato. Et mandateme una forma del [contrato come volete] che ’l [stia], che non se p[ret]erirà parolla. Et ancora mandateme una [carta] di procura, che in nome vostro io possa anichilar el contrato primo et far el secondo, et prometer in nome [vostro] tucto quello mi comandarete: et cussì credo sarete contento et starete con l’animo in reposso. Et credo che Nostro Signore serà [tanto] contento di [questa cossa, per] amor [vostro], quanto vui, et mi ha detto: ‘El faremo rezovenir de 25 anni’. [...] Postscripta. A presso ve aviso come io ho reparlato dapoi a questi agenti del signore Ducca, qualli m’ànno ditto che si contentano de far tutto quello volete vui, con questa condicione: che le figure che sono facte in Firenze, per conto de questa sepultura, vengano a Roma, over opera de quadro che sia a proposito de detta opera, et che detta sepultura se finischa in Roma et non a Fiorenza, perché ànno ferma fantasia che non verà mai cossa che sia de simel sepultura, figure over altre cosse, da Firenze a Roma. Et io ho promisso per vui che farete venir tutte quelle figure et opera de quadro et marmi serà a proposito de detta opera, de modo che me ànno ditto questo: che se vui volete condesender a questo ponto, anichilarano ogni cossa. Ma dubitano che Nostro Signore impedischa ogni cossa: et io del tutto me ho voluto thiarire, io sabato andai a trovar in Belvedere Nostro Signore et li contai ogni cossa, et nel modo che havea tratata la cossa, et li dissi dove importava la cossa et che facilissimamente se poteva contentar costoro con questa cossa, cioè far venir qualche figura over qualche opera de quadro, quello paresse et piacese a vui, che loro se contentariano de ogni cossa. Et si qualche statua di quelle che son facte facese per Sua Santità, che a Sua Sanctità sta a dire: ‘Io voglio la tale et la tale’. Et el Papa resolutissimamente mi respose che le figure sonno facte per simel sepoltura non sonno a suo proposito; et tanto più mi disse che atitudine facevano quelle figure, et quando fussero al proposito suo non le pigliarebe, per non haver simel carico, né pur una pietra che fusse de detta sepoltura. Et mi disse questo più: che la botega de marmi et figure de papa Iulio era separata da la sua ove era l’opere sue, de modo che con parolle et effeti mi fece toccar con mano che Sua Santità era tanto desideroso che facesti quest’opera quanto la sua, solamente per satisfatione vostra. Et mi disse ancora: ‘Lo faremo rezovenire de 25 anni’. Et più me disse che io ve dovessi scriver che, se paressi a vui venir a Roma a solazo a star un mese over doi per hordinar questa vostra opera, che Sua Santità seria molto ben contento et haverialo piacere, perché l’intende che vui lavorate molto desperatamente et non voria che ve fachinasti tanto. [...] Et ancora vi aviso come l’anbasator del ducca de Urbino è per andar a Urbino dal Ducca, et spero lui farà col Ducca molto meglio officio di quello ha facto messer Hieronimo, ché è persona che la intende meglio, et tornarà con la resolutione del Ducca et se remeteranno a vui de ogni qualunque cossa, purché l’opera se faci in [Ro]ma et che mandate qualcossa da Firenze per levarli questa fantasia del cervelo. Et quando tornerà el detto anbasator con la resolution del Ducca et la fede de l’autorità sua, io ve ne avisarò: che se a vui parerà, alora potrete venire a far el novo contratto et anichilar l’altro et assetar tutte le cosse vostre. Et da l’altro canto me offerisco in vostro nome esser vostro solicitator de l’opera vostra, et far quel pocco che io saperò per vui in tutte le cosse vostre, da vero et fidel Sebastiano come sempre vi sono stato. Et potrette lassare li vostri lavoranti et far lavorar quello vorete, che io sarò molto più diligente a solicitar le cosse vostre cha le mie; et potrete dormir reposato senza apensarli più. [...] Non vi maravegliate che habiate havuta la littera de Nostro Signore per messer Pier Pollo, che quel medesmo zorno fui a parlamento con li agenti del Ducca, et mi disero dapoi le parole vi ho scripto. [...]
331
Michelangelo. Il marmo e la mente
bm,
Add. Ms. 23139, cc. 5-6, e (per il poscritto) n. 488 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 342347, n. dcccxxxiii).
ab, ix,
Doc. 301 21 novembre 1531 Breve di Papa Clemente vii [...] Et propterea convalescentia ac longeva vita tua cum nobis sit cordi nec ignoremus, quanti quotidie ob virtutem tuam tibi labores augeantur, qui mortis tue causa facile esse possent, tibi sub excommunicationis latae sententiae pena mandamus per presentes, ne post habitas presentes nostras in picturae statuariaque arte aliquo modo laborare debeas, nisi in sepultura et opera nostra, quam tibi commisimus, in quo et nobis parebis et salutis tuae curam habiturus es. [...] asv, Arm. xl, tom. 37, n. 530 (antea n. 607) (= Steinmann 1905, ii, p. 742, n. 1).
Doc. 302 26 novembre 1531, domenica Benvenuto Della Volpaia in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Prima salutai Sua Santità per vostra parte e a quella vi racchomandai, pregandola vi liberassi dalli vostri fastidii, e conta’gnene tutti sanza rispetto nessuno. [...] E mi disse avervi mandato uno breve sotto pena di scomunichazione, che voi non lavoriate altro che·ll’opera di Sua Santità, e domandommi se questo vi bastava per iscusa. [...] E fra’ Sebastiano dicie vi scriva per sua parte che voi vi confortiate e non dubitate di nessuna cosa; e che quegli della sipoltura di Iulio vengano a·rRoma, e che à condotto la cosa a buono termine, che si sodisfarano con buono patto del fare e’ modegli, e come altre volte à scritto. [...] ab, vi, n. 82 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 348-349,
n. dcccxxxiv).
Doc. 303 28 novembre 1531 Girolamo Staccoli in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Io non ho fatto p(rim)a risposta a vostra. ill.ma s.ria sopra al manegio che era tra lo agente di Michelangelo et me della sepultura della s(an)c(t)a. me(moria) de Iulio. Hora, videndo che questa pratica è per havere effecto, come più pienamente quella intenderà per lettere de m(esser) Io. Maria, mi è parso de non mancare de sollicitare questa pratica, et cusi de novo di questa cosa el praefato m(esser) Io. Maria et io ne parlaremo alla S(antit) à de nostro Signore per vinire alla conclusion del tucto et spero che la cosa haverà effecto et vostra. ill.ma s.ria ne reportarà laude gran(dissi)ma et serrà causa che ’1 desiderio de quella s(anc)ta memoria in la magiore parte haverà effecto. [...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 134, c. 215r (cfr. Gronau 1906, p. 5, doc. ii).
Doc. 304 4 dicembre 1531 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Questa estate passata, la signoria vostra illustrissima intese da messer Hieronymo Staccolo l’instanza che faceva Michelangelo di venire alla conclusione per finir la sepultura de la santa memoria di Giulio, et hora hammi mostrato qual sia l’animo e volontà di quelle; la quale, per condur(re) a quel fin ch’ella desidera, a me parve sopra tutto necessario di fare capo con nostro Signore, dal quale depende e l’opra e il mastro. Così, informatomi prima destramente che animo fosse in ciò quel di sua Santità, chè, ritrovatolo lontano da questo, non mi sarebbe parso expediente di tentarlo; siccome, in contrario, certificato della sua buona dispositione, condussi il p(refa)to messer Hieronymo alli piedi di sua Beatitudine, dicendole che la signoria vostra per lui mandavami a dire come, astretta dal troppo suo debito, non potea mancare di non procurare il compimento di questa sepoltura con l’aiuto di lei, senza il quale sapea non se ne potere vedere buon fine. Così commetteami che prima si
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facesse capo con quella nè con Michelangiolo si venesse ad alcuna resolutione se non secondo il parere et giuditio di sua Santità. Essendo prima stato informato da diversi e dal revendissimo Salviati tra gli altri, che resolutamente l’animo del papa era che la sepultura si f[a]cesse, e benchè Leone havesse havuto altro dissegno in capo di servirse dell’opre fatte in Firenze per questa sepultura, che però il papa svariava molto da quello, e tanto che queste opre non si poteano punto accommodare alle sue. Siccome invero retrovai conformarsi molto la resposta di sua Beatitudine alla prima information mia, dicendo che la signoria vostra faceva benissime di sollecitarla; alla quale sollicitudine sua Santità non mancarebbe di porgere tutto l’aiuto suo. E raggionato del modo del trattare questo appuntamento con Michelangelo, fu resoluto di farlo venire qua, e che infratanto la signoria vostra mandasse una procura di componerla, la quale pareriami stesse così bene in persona di messer Hieronymo come mia, acciò che l’uno in absenza dell’altro potesse sopplire al bisogno, conducendose costui qua. E perché la signoria vostra cognosce benissime tutto quel che si può cognoscere in questo caso, sopra il quale penso anco che messer Hieronymo le ne abbia detto abastanza, non le ne dirò altro. [...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, cc. 575r-575v (cfr. Vasari 1846-1870, xii, pp. 378-379; Vasari, ed. Milanesi 1906, vii, pp. 377-378; Gotti 1875, ii, pp. 76-77). Doc. 305 5 dicembre 1531, martedì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compare mio, a dì primo de questo mese io ho recevuto una vostra a me gratissima et inteso particularmente el tutto, et maxime in ultimo de la lettera voi ditte che volete che li agenti del ducca de Urbino facino fare la sepoltura de papa Iulio, et vui pagare nel tempo che avete scripto li danari nominati, et darete noticia degli omeni che si sonno per farla et aiutareteli quanto potete con disegni et con modeli, ma che vui non volete el carico de farla fare, né che l’opera sia sopra de vui. Queste quatro parolle ultime sconza ogni cossa et àmmi datto un grande fastidio, che me parea haver facto un bel lavoro. Et questi dì son statto alquanto sopra di me, et ultimamente io son andato da Nostro Signore et mostratoli la vostra littera, quale ancora Sua Santità stette molto sopra di sé, et me disse: ‘Mai questi agenti del Ducca si contentaranno di questa cossa, si cussì apertamente la se li scopre, che pare che Michelagniolo vogli abandonar l’opera del tutto et non haver a pensar più a questa cossa; ché si susitasero tutti gli anti[chi] che fur, mai non se contentariano’. A vui non ve nuoce altro che vui medesmo, cioè el gran credito che havete et la grandeza de le opere vostre: et questo non dico per adularvi – el sapete cussì bene come me. Però, compar mio, a me me pare che si non c’è un pocco de l’onbra vostra, mai se condurano costoro a quello vogliamo nui; et parmi molto facil cossa, che volendo far vui quello che vui ditte, cioè modegli et desegni, possete bene alogar ancora, a presso, detta opera a chi pare et piace a vui. Et si considerate bene quel ch’io dico, lo possete far facilmente. Non farete nulla et parà facte ogni cossa, et otenirete el vostro desiderio et loro se contentarano. Bisognia un pocco de l’onbra vostra, che si la pigliate per el verso è niente, perché voglio che quello che volete che facino li agenti del Ducca lo faciate vui, cioè alogar l’opera vui sotto l’onbra vostra. Questa cossa è niente, et cussì Nostro Signore li piace questa rasone et me ha ditto che per niente scuopra questa cossa; ché bisognia farla et non dirla. Et se loro se resentiseno et volesero dire come Michelagniolo non lavora de man sua, si po molto ben responder che non possete far ogni cossa de man vostra, et che guardino su l’opera che facte per Nostro Signore, et ancora altre persone che lavorano; et cussì starano cheti, ancor che non vogliano. Nostro Signore è de opinione che la venuta vostra seria molto a preposito di questa cossa, che più facilmente la se asetaria; et haveria accaro pigliasti un mese de piacere. [...] Et me ha detto che dia hordene con la signiora Felice et li
agenti del Ducca, che siamo tutti insieme davanti Sua Santità per tratar questa cossa. Et quella se haverà facto, subito ve avisarò el tutto. Ancora hozi l’anbasator del ducca de Urbino me ha detto che l’à scripto al Ducca che li manda l’instrumento over carta de procura che si possi concluder questa cossa in nome suo. Se vedesti in quanta alegreza è la signiora Felice, figliola de papa Iulio, et questi agenti del Ducca, stupiresti etc. [...] ab, ix,
n. 489 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 355356, n. dcccxxxviii).
Doc. 306 15 dicembre 1531, venerdì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Et tutto el restante ho inteso, et parmi siate resoluto benissimo a venire a Roma, perché farete più in una mez’ora vui che io in un anno; et credo in dua parolle con la Santità de Nostro Signore assetarete ogni cossa, perché Sua Santità dessidera di contentarvi. Et la venuta vostra sta a vui, o insino a un mese o un mese et mezo, perché in questo mezo verà ancora la volontà del Ducca et la carta de procura. Io questa sera darò a Nostro Signore questa bona nova de la venuta vostra, qualle l’averà accaro. [...] ab, ix
n. 490 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 360, n.
dcccxl).
Doc. 307 15 dicembre 1531 Francesco Maria duca d’Urbino in Pesaro a Giovan Maria Della Porta [...] Habbiamo havuto le vostre lettere del primo, II, III, IV et V. Ne piace l’offitio ch’havete fatto et il raccordo vostro circa la sepultura da farse per la s(anc)ta me(moria) di papa Iulio, e a tale effetto vi mandiamo il mandato qui alligato, e se bisognasse farlo altramente avisarete che per non havere voi scritto altro particolare non se è fatto altramente. [...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 161, c. 72r. (cfr. Gronau 1906, p. 5, doc. iii).
Doc. 308 29 dicembre 1531 Giovan Maria Della Porta a Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Con le lettere di xv hebbi il mandato sopra il fatto della sepultura, il quale si usarà secondo il bisogno. Michelangelo ultimamente ha fatta instanza grande di volere per ogni modo venire a Roma a trattare esso medesimo il caso suo; il papa non s’è ancora resoluto di dargli licenza, ma volendo quel venire sarà finalmente sua Santità sforzata acontentarsene. [...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, c. 596r.(cfr. Gotti 1875, ii, p. 76; Vasari, ed. Milanesi 1906, vii, p. 378).
1532 Doc. 309 3 gennaio 1532, mercoledì Giovanni Gaddi in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Insomma io truovo Sua Santità tanto disposta a fare ogni vostro intento, che per aventura voi non disiderate tanto; et dopo molto discorrere et de’ modi et dell’ordine che vi sarebbe, ultimamente mi impose che io vi scrivessi che voi venisse a Roma, et quanto prima. Questa dunque sarà per farvi intendere la volontà di quella. Per tanto vi esorto, non mancate di venire, lassando le vostre cose così con quello ordine che meglio vi parrà. È ben vero che a me parrebbe che per tutto questo mese et buona parte de l’altro voi non vi dovessi muovere, perché ho trovato tanto cattivi viaggi, che sarebbe cosa da disperati a mettersi hora in cammino. Pur farete il commodo vostro in tutto. D’una cosa vi priego et gravo, che per vostra cortesia vi degnate venire a smontare a casa, ché non potreste farmi il più gran piacere [...].
ab, viii,
n. 344 (= Carteggio 1965-83, n. dcccxlv).
iii,
p. 367,
Doc. 310 18 gennaio 1532, giovedì Benvenuto Della Volpaia in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Per la vostra delli 13 intendo el vostro desiderio della camera, la qual chosa m’è soma grazia farvi ogni chomodità e piaciere: anchora che questo è niente, rispetto a quello vuorrei fare per voi. E questo mi viene comodissimo el darvi una camera e 2 sanza nessuno disagio; e no mi potete fare maggiore piaciere che degnarvi di comandarmi e di venire a starvi mecho in qualunque di questi 2 luoghi vi dirò. Nostro Signore m’à messo in Belvedere, e datomelo tutto in qustodia, come a boccha intenderete, e domani ci condurreno le mia cose per istarci fermamente. E vi posso achomodare una camera con letto e tutto quello desider[r]ete: e eziam potete venire dal canciello fuora di Roma che monta alla Lumacha, e venire alla vostra e mia stanza sanza entrare in Roma; e di qui vi metterò in Palazzo, che tengo una chiave a ogni vuostra vuolontà e meglio, che Nostro Signore ci viene ogni giorno. E quando voi accettiate Belvedere, daretemi aviso della vostra partita e vel circha al vostro arrivo, e io starò vigilante alla Lumacha di Bramante, in luogo che mi vederete; [...]. Quanto che questo non vi piaccia, venite in Borgo Nuovo alle chase che murò Vuolterra, alla seconda casa andando inverso Castello, che avevo tolta per istarvi e ancora vi starà Fruosino mio fratello a chasa e a·bbottega; e quivi arete una camera e 2 a vostro comando. Contentate voi, e datemi aviso; e date la lettera a Tommaxo di Stefano miniatore, che·lla dirizzerà a messere Lorenzo de’ Medici, e arolla presto. [...] ab, vi,
n. 83 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 371, n.
dcccxlvii).
Doc. 311 18 gennaio 1532, giovedì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compar mio, io ho recevuto una vostra quale me avisate che presto serà la vostra venuta, [...]. È venuto el consenso del ducca de Urbino, et el suo anbasator s’è partito da Roma et è andato a Pesaro, et me ha ditta ch’el starà un mese a tornar. In questo mezo potrete venir con vostra comodità, ché haveria apiacer che in questa cossa vostra el se ritrovase ancora lui. Benché l’abi lassato messer Hieronimo Ostacoli in nome suo, tamen a me piaceria più ch’el si retrovase l’anbasator ancora, per esser persona più rasonevole et cet. [...] ab, ix,
n. 491 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 374, n.
dcccxlix).
Doc. 312 5 febbraio 1532, lunedì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Questa matina trovai maestro Benvenuto da la Volpaia, quale mi dice havervi aconzo una stantia in Belvedere per la venuta vostra, et che tardate la venuta per una mia littera, quale vi ho scripto de l’absentia de l’anbasator del ducca de Urbino, quale ancora non è tornato a Roma. Subito zonto, io ve lo aviserò a ciò non perdiate tempo; et ancora l’ò accaro che in questi zorni non vi habiate messo in camino per le gran pioze et mali tempi che son stati, che credo sia alagato tutto el paese. In questo mezo che l’anbasator tornerà, forsi se aconzerano, et subito ve ne darò aviso. [...] ab, ix,
n. 492 (= Carteggio 1965-83, n. dcccl).
iii,
p. 375,
Doc. 313 27 febbraio 1532, martedì Antonio Mini in Lione a Michelangelo in Firenze [...] Q[u]a sù s’è dento che el Papa à ma[n]dato per voi, per anchonciare la vonstra fancienda. [...] Parigi (?), Coll. privata (= Carteggio 1965-83, iii, p. 378, n. dccclii).
Doc. 314 15 marzo 1532, venerdì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compar mio et cet. L’ambasator del ducca de Urbino è ritornato a Roma et ha portato la comessione del Ducca de posser fare et disfare tutto quello parerà a lui et a messer Hieronimo Ostacoli, de comuni consensu, tanto quanto fusse la persona del Ducca proprio, ne la causa de la sepoltura; et appare de mano de notaro, secondo me hanno detto, et àmi detto che io ve ne debia scriver; et àmmi replicato da parte del Ducca che se vui sete contento de mandare quello che havete principiato, o veramente facto per conto de detta sepoltura, et far meter insieme questo che è facto in Roma et spender li doi milla ducati, computando la casa, si contenteranno de tutto quello vorete vui. Et stanno fermi su questa opinione. Credo, compare mio, queste parolle ve faranno fastidio, ma se le pigliate per el verso non vi daranno noia alcuna, perché a vui sta mandare quello par e piace a vui, se non fusse altro che doi pezzi de pietra abozata – loro non sanno quello c’è particularmente –, purché con qualche demostratione appara che ce sia qualcossa per detta opera. Io so che tutta questa opinione è contraria a la volontà vostra, et mai ho voluto scoprirmi ponto di quello voresti, per veder la cossa tanto descrepante. Però io me ho imaginato un modo, se a vui pare: che vui trovasti un homo, chi paresse a vui che fusse suffciente a fare quest’opera, et intender da lui s’el voi finir quest’opera secondo la volontà vostra, in quel modo breve che parerà a vui, et fare che questi agenti del Ducca li alogasi questa opera et far un novo contratto che dicca in lui, cioè nel maestro che la farà, et obligarlo come a vui parerà, tutta via non nominando vui in simel contratto, et che totalmente l’opera sia la sua, con farli favore de parolle, che li farete desegni, modelli et tutto quello si potrà far in beneficio de detta opera, purché si venga al ponto che se anichila el vostro contratto, et paserli de parolle, come tanti anni ve ànno nutrito vui de parolle; et come havessino rotto el vostro contratto, vui sete libero et possete far quello piacerà a vui. Ma sopra tutto advertir de non esser nominato nel secondo contratto, che sia tutta l’opera del maestro li meterete a le mano, et contentarvi de darli quello che c’è in Roma facto del vostro et mandarli qualche cossa ancora da Fiorenza, solamente per venire al vostro ogietto per usir di questo affano, che facilissimamente potresti finirla a questo modo, maxime adesso havendo Nostro Signore da la vostra, che in ogni cossa vostra v’è perfectissimo scudo. Et detti agenti sonno resoluti che non è possibile che lavorate più per loro, ché ’l Papa ha thiarito ogniuno che non volle che lavorate per altri se non per Sua Santità; et questo con grandissimo onor vostro possete falla far a un altro, che ognuno se contenterà, havendo questo apozo, cioè un Papa che si vede manifestamente che vi vuole. Per Sua Santità, bisognia che tutti gli altri abbi pacientia; et questo è grandissimo mezo, se vui volete pigliarla per el verso de liberarvi. Et perdonateme, vi prego, se io con troppo sicurtà vi parlo: è che vi amo come l’anima mia, et Dio lo sa. Io dirò pur un’altra parola con securtà: s’el vi mancasse questa occasione del favor, o veramente de questo scudo del Papa, io non so come l’anderia; saltariano come serpenti, et vo imaginando cosse che Dio ne guardi che intravenisse. Saresti el più mal contento homo del mondo, perché haveresti a·ffar con persone che vi haveria tanto pocco respetto, che io non mi so acomodar parolle honeste per darvelo ad intender. Io solamente lo lasso iudicar a vui: però, compare mio carissimo, mentre che havette la fortuna prospera et che con pocca cossa possete usir di questo affanno, usitene, ché la gloria vostra non consiste in questa opera né in le figure che ci sonno. Havete facte tante de l’altre, che tutto el mondo tremerà comme le vedrano. Si saperà molto bene che la causa non procede da vui. [...] Circha la venuta vostra, a vui sta: s’el vi pare posser acomodarvi a questa cossa, venite, ché non perderete el tempo et tornarete più cha contento a Firenze; ma si havete altra opinione come prima, io non ve ne consiglio, perché perderete el
tempo et tornarete mal contento: et la cossa sta molto meglio a questo modo che acender mazor fuocho. [...] ab, ix,
n. 493 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 382384, n. dcccliv).
Doc. 315 5 aprile 1532, venerdì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compar mio, per esser venuto Hieronimo scelaro da Firenze et fattomi intender del vostro ben stare, et àmi detto che vui non aspetate altro che una mia littera, che subito havuta ve me[tere]sti in camino per v[e]nir a Roma, io molto me ho maraveglia[to], ché, si bene m’arecordo, molti zorni fa, credo la setimana inanti la setimana sancta, [io] vi scripsi una mia littera, quale vi narava el tutto et vi dava a[viso] come l’a[mbas]ator del ducca de Urbino era ritornato a Roma; ma io credo, per le parolle de Hieronimo, non l’abiate havuta. Sì che de novo vi replico come l’ambasator m’à deto vi deba scriver, et aspetavi con grandissimo desiderio; [et] mi dice: ‘Pur cha Michelagniolo voglia mandar quello che è facto in Firenze per conto de la sepultura, mandarlo a Roma, si farà tutto quello vorà Michelagniolo’. Compar mio, non vi sbigotite per questo, perché a vui sta a mandarli quello parerà et [piacerà] a vui; però, sapendo io l’animo vostro, non mi à bastato l’animo di scoprirli ponto l’a[nimo] vostro, perché dubito come sapesero la fantasia vostra se acenderia un fuocho de sorta che se li meteria cosse [nel] ciervelo che non le ànno, et saria quasi inpossibile a levargele, ché, pur ancora senza questo, so come bravano. Et vedendo la cossa esser cussì descrepante, mi par la venuta vostra fora al proposito, et credo che in questo caso tornaresti a Firenze molto più mal contento di quello vui sete. Et volendo vui aderire a quello vi ho scripto, possete più con parole et promesione de farli desegni et modeli [et] paserli de quello che tanto t[empo] ve àno nutritto vui. Farete tutto quelo vorete [vui], et anichilaranno el co[ntra]tto et usirete di questo affano; et oltre di questa, arecordateve che havete un Papa che v’è propicio et favorevole et vi ama quanto la persona sua propria. Insino che avete la fortuna prospera sapiatela conoscer, ché potria venir tal Papa che forsi la voria intender per un altro verso, et forsi saria più propicio a la parte adversa di quello è questo. Voi potresti dire: ‘Se ’l Papa volesse, me potria liberare de ogni cossa’. Vi respondo che con onor suo non lo po fare, per molti respetti che li sapete meglio di me; et chi ve dà ad intender altrimenti non vi vol bene et no li meteno altro che parolle. Duolmi nel core non posser con la pena exprimervi quello che ho ne l’animo: che se io potesse rasonar con vui una mez’ora, forsi la intenderesti a un altro modo. Però, compar mio, a me pare che per usir de tanta servitù et de tanti affani et pericoli, vi meta conto de darli tutti quelli saxi et figure che sonno per questa opera et farla finir a un altro et usirne di questo inpizo meglio che possete; perché hora havete licita causa de posser recusar detta opera per respetto che ’l Papa vuole che [lavora]te per lui: con questo scudo possete aconzarla come volete vui, che si [contente]rano. Che si ’l tempo si mutasse, [for]si se mutariano anco loro, et voresti forsi far de le cosse che loro non se contentariano; [ché] la gloria vostra et l’onor vostro non consiste in queste figure che son facte né in quest’opera; ché ’l sap[erà tutto] el mondo che ’l resto de l’opera non serà de man vostra, et non vi serà carico alcuno, venga c[ome] se voglia, ché troppo sette conosuto, che resplendete come el sole. A vui non vi pol esser tolto honor né gloria; considerate un pocco chi vui sete, et pensate che non havete [alt] ri [che v]i [fac]ia guera se non vui medesmo. Et conosendo questo, è possibile che con la vostra prudentia et ingegno non possete remediar a questa cossa, che è tanto facile per un verso et tanto dificile per un altro? Credo certissimamente ve la ridete de le mie littere, et mi par proprio vedervi: ma io da l’altro canto di qua mi despero et renego el mondo, ché con parolle potresti otenir tutto l’intento vostro et usir de un tanto affano. La conclusione è que-
sta: se volete meter in opera questa figure che son facte et l’opera de quadro, venite, che sarete el più contento homo del mondo, et facte conto che le siano in opera, perché tutto el mondo le ha viste; altrimenti, se non volete consentir a questo, non ve ne consiglio, ché svegliaresti cosse assai che dormeno. [...] ab, ix,
n. 495 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 388390, n. dccclvii).
Doc. 316 [Primi di aprile 1532] Michelangelo in Firenze al fratello Giovan Simone in Firenze Giovan Simone, e’ mi bisognia stamani andare insino a·rRoma per cosa che m’importa assai [...]. ab, iv,
n. 38 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 391, n.
dccclviii).
Doc. 317 6 aprile 1532, sabato Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compar mio, adesso io ho recevuto una vostra in resposta de la mia che tanto dessiderava, che è sabato a 23 hore, quale vi replico per un’altra mia inclusa pur el medesmo senso. Et per questa vostra ultima facta a dì 24 marzo trovo siate d’acordo de ogni cossa, ecepto a l’alogar de l’opera, cioè che l’aloghino loro, che credo non lo faranno mai, perché non sanno a chi alogarla, che potriano cussì far male come bene. A me parrebbe che, per più honestà, li trovasti vui uno maestro che fussi al proposito per finir detta opera, et persuaderli che la facesero finir a lui. Et nel novo contrato loro alocasino detta opera al detto maestro de parer vostro, et non che l’alochasi vui, per esser impedito ne l’opere del Papa – ché questa ve è lecita causa –, ma con le promissione de parolle de favorir el detto mastro de desegni, modelli et tutto quello favor se li po fare in detta opera, et prometer de parolle et indolcirli tanto che venghino al ponto de anichilar el vostro contratto. Come sette libero di questo, possete far quello piacerà a vui, che facilissimamente credo lo faranno, perché tanto ho predichato che si contentino di quello volete vui, che sonno resoluti de tutto quello volete vui, purché vengino qualche cossa a Roma de quello è a Firenze. Et di questo non ve sbigotite, ché non accade mandar a veder quello che c’è in Firenze per conto de detta opera: in vui sta a mandarli quello piacerà a vui che sia a proposito per far finir l’opera di questo secondo modo secondo la vostra volontà, perché potria esser tal cossa principiata per detta opera, che non saria a proposito per questo secondo modo. Sì che a vui consiste ogni cossa, purché ci sia un pocco del vostro odore. Et non essendoci altra defferencia, vi exorto quanto si po al venir, ché credo, col favor de Nostro Signore et la presentia vostra, molto più facilmente credo si acorderà tal materia, perché ogniuno dessidera farvi piacere. Et se io vi par habbi preso la spada in mano per vui, non ve ne maravegliate, ché io meterei la propria vita et un povero figliolo, con quello che c’è, per amor vostro, et Dio lo sa. Non ve scordate de mandar per Hieronimo, che vi sarà de gran comodità, et venirete securissimo et be’ governato et cet. Del tempo de doi over tre anni a pagar li domilla ducati, credo non ce sarà deferencia, se ben volesti tempo 4 anni computando la cassa. [...] ab, ix,
n. 496 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 392393, n. dccclix).
Doc. 318 6 aprile 1532, sabato Silvio Cosini in Genova a Michelangelo [in Roma] [...] Niento di mancho mi offero a voii, sempre vi acadesse havervi a servirvi de la mia poca facultà, de abandonare ogni inpresa che havesi per satisfare a la voluntà vostra. Imperò che, quando io perdesse zò che ho al mondo et fussi a prèso di voii, mi pareria essere il primo homo del mondo: [...]. ab, vii,
n. 146 (= Carteggio 1965-83, n. dccclx).
iii,
p. 394,
Doc. 319 13 aprile 1532, sabato Silvio Cosini in Genova a Michelangelo [in Roma] [...] Come per l’altra vi disci, me ritrovo qui in Genua al servitio del signor Andrea Doria et anchora de la casa di Fieschi, di modo che ho assai da fare, ma core pochi dinari, come dal presente portatore sareti raguagliato. Niento di mancho, spero le cose andarano bene; et dicovi che sono sempre a ogni vostro comando in tute quelle cose che vi acadese servire de mia picola facultà, imperò che mi pare haverve grandisimo obligo per il beneficio da voii receuto ne li pasati tempi: che quando io me ricordo de lo amore qual mi portasti im mentre io fui al vostro servitio, non mi pare posibile potere maii restorarvi. Et dicovi che solamente per essere io stato al servitio vostro, in tuti quelli lochi dove io me ritrovo m’è fato honore e cortesia; e questo è solo per la bona fama che è di voii, et non già per merito di mia virtù. Sì che, per tanto, io mi ve offero in tute quelle cose che di me vi acadese servire; et ogni volta che vi bisognase servire di me in quele cose che voii pensasi io fusi bono, datime haviso, ché per uno solo verso da voii scrito, sono per abandonare ogni inpresa che io havese. [...] ab, vii, n. 147 (= Cart. 1965-83, iii, p. 395, n. dccclxi).
Doc. 320 14 aprile 1532, domenica Papi Tedaldi in Firenze a Michelangelo in Roma [...] Venni e trovai voi essere partito per la volta di Roma, che·nn’ebbi piacer singularissimo, e molto più sarà quand’intenderò di vostro arrivo a salvamento, che Iddio salvo per tutto vi conducha e faccivi exequire quello tanto voi desiderate. [...] ab, xi, n. 719 (= Carteggio 1965-83, n. dccclxii).
iii,
p. 397,
Doc. 321 29 aprile 1532 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Hoggi spero che si farà il contratto della nova sepultura per la santa memoria di Giulio; et fatto, n’avisarò la signoria vostra illustrissima;[...]. asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, c.626r. (cfr. Vasari, ed. Milanesi 1906, vii, p. 379).
Doc. 322 29 aprile 1532 Contratto per la sepoltura di papa Giulio ii /1r/ In nomine Domini amen. Anno a Nativitate eiusdem Domini millesimo quingentesimo trigesimo secundo indictione quinta die vero vigesima nona mensis aprilis, pontificatus Sanc.mi in Christo patris et domini nostri d.ni Clementis divina providentia pape Septimi anno nono. Coram eodem domino nostro papa Clemente Septimo deque Sue Sanctitatis voluntate, consensu pariter et assensu, ad infrascripta omnia et singula interveniente, in mei Camere apostolice notarii testiumque infrascriptorum ad hec specialiter vocatorum et rogatorum presentia personaliter constituti magnifici viri d. Ioannes Maria de la Porta mutinensis et Illustrissimi d.i Francisci Marie ducis Urbini apud eundem Sanctissimum Dominum Nostrum orator, et Hieronymus Stacculus de Urbino romanam Curiam sequens, eiusdem Ill. mi Ducis procuratores, de quorum mandato constat publico instrumento manu d.ni Bernardini Ser Gasparis de Factoribus civis et notarii publici pisauriensis sub die XIIII decembris millesimi quingentesimi trigesimi primi, ex una, et magister Michael Angelus de Bonarottis civis florentinus pictor et statuarius in Urbe unicus partibus ex altera, asserentes quod alias felicis recordationis Iulius papa secundus in humanis agens locavit et ad fabricandum dedit et ad construendum sui sepulchrum seu sepulturam marmoream pro ducatis decem millibus; et inde, defuncto predicto Iulio, illius exequutores pro sexdecim millibus, seu verioribus summis, predicto magistro Michaeli Angelo denuo locarunt, prout in instrumento desuper per publicos notarios et presertim vno per ser Albizum notarium publicum florentinum confecto, ad que et illorum tenores partes predicte pro
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Michelangelo. Il marmo e la mente
nunc se retulerunt, plenius continetur; quodque pro huiusmodi sepulchri confectione idem magister Michael Angelus habuit, prout idem habuisse confessus fuit, in diversis solutionibus summam octo milium ducatorum auri de camera, et sepulchrum huiusmodi nondum est perfectum, prout nec illud partes intendunt construi et confici iuxta dicta alias conventa. Hinc est quod propterea ad infrascriptam dicte partes cum presentia, voluntate et consensu prefati Sanc.mi d.ni nostri Pape, novam devenerunt concordiam et capitulationem; videlicet quod prefatus Sanctissimus Dominus Noster et procuratores prenominati, nomine seu nominibus quibus supra, vigore dicti mandati, omnibus melioribus modo, via, iure, causa et forma, quibus magis, melius, tutius, et efficacius de iure vel consuetudine dici et fieri potest et debet, prenominatum magistrum Michaelangelum, ibidem presentem, acceptantem et stipulantem pro se suisque heredibus et successoribus, quietent, liberent et absolvant, prout quietarunt, liberarunt penitus et absolverunt ab observatione hactenus factarum conventionum, et summam ducatorum octo millium predictorum cassantes propterea extinguentes, et annullantes, ac pro cassis, irritis et annullatis habentes omnes et singulos contractus, pacta et conventiones desuper alias occasione confectionis et constructionis dicti sepulchri cum predicto Iulio secundo et illius exequutoribus seu aliis quibuscumque personis initos et factos, cum pacto perpetuo de amplius non repetendo summam nec requirendo calculum sive computum illorum ab ipso magistro Michaele, /1v/ nec ab illius heredibus sive successoribus in iudicio vel extra. Hanc autem quietationem, cassationem, absolutionem fecerunt supranominati Sanctissimus Dominus Noster et procuratores prefati, eo quia predictus magister Michael Angelus promisit facere et dare novum modellum seu designum dicti sepulchri ad sui libitum, in quo et illius compositione ponet et dabit, prout dare promisit idem magister Michael Angelus sex statuas marmoreas inceptas et nondum perfectas, Rome vel Florentie existentes, hic Rome sua manu et opere perfectas nec non alia quecumque ad dictum sepulchrum parata. Et insuper idem magister Michael Angelus pro dicto conficiendo sepulchro promisit infra triennium proxime a kalendis augusti incipiendum solvere et exbursare usque ad summam duorum millium ducatorum auri de camera, comprehensa et computata in eisdem duobus millibus ducatis domo posita in Urbe prope Macellum Corvorum, ubi nonnulle statue marmoree pro dicto sepulchro existunt, et totum illud plus quod ultra dictos duo millia ducatos pro conficiendo et construendo dicto sepulchro exponi necesse erit. Et ut sepulchrum seu sepulturam huiusmodi confici, construi et ad debitum finem perduci possit, prelibatus Sanctissimus Dominus Noster Papa dedit, prout dat, licentiam, facultatem dicto magistro Michaeli Angelo presenti et stipulanti ut supra, ut dicto durante triennio possit ad urbem Romam venire et singulo anno in ea stare et commorari per duos menses et plus vel minus, prout dicto Sanctissimo Domino Nostro placebit. Et de consensu dictorum procuratorum similiter dedit facultatem dicto magistro Michaeli Angelo, quod preter dictas sex statuas possit opus sepulchri huiusmodi in totum vel in partem alii seu aliis locare ad modellum et designum quod ipse dabit. Et insuper promisit idem magister Michael Angelus dictum sepulchrum perficere iuxta designum et modellum infra triennium in loco infra quattuor menses sibi ad hodie assignando in Urbe et quod pecunias predictas per eundem exbursandas, ut supra, illas semper exbursabit de tempore in tempus de consensu et voluntate procuratorum seu procuratoris prefati Ill.mi Ducis Urbini, seu ad id deputati pro eo agentis, et non aliter nec alio modo. Et insuper convenerunt partes predicte quod, in eventu in quem prefatus magister Michael Angelus premissa non observaverit, quietantia premissa sit nulla et nullius momenti et ipse magister Michael Angelus teneatur ad observationem alias conventorum, ac si presens contractus celebratus non fuisset, et predictus Ill.us Dux Urbini et sui
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in pristinum statum redeat et ad dictam observationem /2r/ alias conventorum ipsum compellere possint, non obstante hoc presenti instrumento et in eo contentis. Et successive incontinenter R.mi Domini, d.us Antonius episcopus Portuensis, cardinalis de Monte nuncupatus, ac Ill.mus et R.mus d.us Hercules cardinalis mantuanus, nec non Ill.ma d.na Felix de Ruere de Ursinis, ibidem presentes, quatenus ad mandatum procurationis predictorum non esset ad premissa sufficiens, promiserunt, et quilibet eorum promisit, de rato in forma iuris valida et dare instrumentum ratificationis infra duos menses; pro quibus omnibus et singulis observandis et adimplendis prefati R.mi Cardinales et prefata Ill.ma Felix sese et procuratores prefati eorum principaliter, nec non dictus magister Michael Angelus obligaverunt et quilibet eorum obligavit se suosque heredes et successores et bona omnia presentia et futura in forma Camere apostolice ampliori seque ac suos heredes et successores, nec non omnia et singula bona sua presentia et futura, mobilia et stabilia ubicumque existentia, una pars alteri et altera alteri, presentibus et stipulantibus pro se suisque heredibus et successoribus respective obligarunt et ypothecarunt seque ac suos et eorum bona /2v/ Et nominibus quibus supra respective, omnibus melioribus modis, fecerunt constituerunt etc. suos procuratores, videlicet spectabiles viros dominos Iacobum Cortesium, Alexandrum Fuscherium, Felicem de Tibaldeschis et Salvatorem de Petrutiis in Romana Curia causarum … nec non Ioannem Frumenti, Philippum de Quintillis, Iacobum Apocellum et Ioannem de Nicia, dicte Curie causarum Camere apostolice notarios. /3r/ Promictentes dicte partes et earum quelibet habere ratum, gratum atque firmum omne id et quicquid per dictos suos procuratores et eorum quenlibet dictum actum, gestum, factum et procuratum fuerit; et iuraverunt dicte partes et earum quelibet videlicet prefati R.mi D. Cardinales, manu ad pectus admota more prelatorum; prefati vero procuratores et Ill.ma domina Felix et magister Michael Angelus, tactis scripturis sacrosanctis ad sancta Dei Evangelia in manibus mei notarii infrascripti, premissa omnia et singula semper attendere et observare et contra non facere, dicere vel venire aliqua ratione, iure, modo etc. Et rogaverunt me notarium infrascriptum ut de premissis omnibus et singulis conficerem instrumentum seu instrumenta. Actum Rome in palatio apostolico et in Camera eiusdem S.mi Domini nostri pape, presentibus ibidem discretis viris dominis Bernardo de Milanensibus canonico ecclesie florentine, et fratre Sebastiano de Lucianis bullarum Sedis Apostolice plumbatore, testibus etc. ab, ii-iii, n. 18; Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 374, vol. 2, cc. 40r-43v (44r-47v della num. a matita), n. xvii (= Contratti 2005, pp. 199-203, n. lxxxv); cfr. Milanesi 1875, pp. 702-704, n. lv (ab); Betti 1820, pp. 392-396 (Oliveriana).
Doc. 323 29 aprile 1532 Traduzione in volgare del precedente contratto per la sepoltura di papa Giulio ii (cfr. doc. 322) /1r/ Copia del contratto sopra la construtione del sepolcro di Julio II, per m.o Michelagnolo Bonarroti. /2r/ Al nome di Dio. Amen. L’anno dalla Natività del nostro Signore MDXXXII, nella indictione quinta, a dì XXVIIII del mese di aprile, ponteficato del S. in Christo, P. D. N. S. Clemente, per divina providentia papa VII, anno nono. Dinanzi a detto S.or nostro papa Clemente VII, di volontà, consenso et assenso di Sua Santità a tutte le infrascripte cose interveniente, et in presentia di me notario della Camera apostolica et testimoni infrascritti a questo spetialmente chiamati et rogati, personalmente constituti li Mag.ci homini messer Gioan Maria della Porta modanese et dello Ill. mo S.or Francesco Maria duca d’Urbino a presso a detto S(antissi)mo Nostro oratore, et messer Hyeronimo Stacculo da Urbino seguitando la R. Corte, di detto Ill.mo Duca procuratori; del loro mandato aparisce publico instrumento per ma-
no di m. Bernardino di ser Gasparri de’ Factori, ciptadino et notario publico pisauriense, sotto dì XIIII del mese di dicembre MDXXXI, da una parte et m.ro Michelagnolo de Bonaroti, cittadin fiorentino, pittore et statuario in Roma unico, per l’altra parte, affermando che altra volta la felice recordatione di Iulio papa II in vita sua locò et dette a fabricare et construire il suo sepolcro, overo seppoltura marmorea, per ducati diecimilia et dipoi, defunto detto Iulio, li sua executori per sedicimilia, o vere somme, al predetto m.ro Michelagnolo di nuovo locorno, come per publici instrumenti per publici notari facti aparisce, et per uno di ser Albizo, notario publico fiorentino, /2v/ al tenor de’quali le parte predette si referirno pienamente, et per la factione del presente sepolcro epso maestro Michelagnolo hebbe, sì come equo confessò, in diversi pagamenti la somma di ottomila ducati d’oro di camera, et detto sepolcro non è perfetto et le parte non intendano si facci et si construisca secondo l’altre dette conventioni. Onde per questo le dette parte con la presentia, volontà et consenso del prefato S.mo Signor Nostro vennero a nuova concordia et capitulatione. Cioè ch’el prefato S.mo Signor Nostro et procuratori prenominati, nel nome et nomi come di sopra et per vigor del detto mandato, in ogni miglior modo, via, ragione, causa et forma, che più et meglio et efficacemente, di ragione over di consuetudine dire et fare si possa et debba, il prenominato maestro Michelagnolo, quivi presente et aceptante et stipulante per sé, sui heredi et successori, quietino, liberino et asolvino, sì come quietorno, liberorno et totalmente asolverno dalle oservationi et conventioni facte sino a qui, et somma delli detti ducati ottomilia cassando, extinguendo per ciò et anullando, et per cassi, rotti et annullati hebbono ogni et ciascheduno contratto, patti, conventioni per cagione, come di sopra, della constructione del detto sepolcro, col predetto Iulio II et sua executori o con qualunche altre persone incominciati et fatti: con patto perpetuo di più non ridomandare la somma né ricercare calculo over conto di quelli dal detto m.ro Michelagnolo, né da sua heredi et successori, in iudicio /3r/ né fuora. Questa presente quietatione, cassatione et absolutione feciano li sopra nominati S.mo Signor Nostro et Procurator prefati, perché il detto m.ro Michelagnolo promesse fare et dare nuovo modello, over disegno del detto sepolcro ad suo piacere, nella compositione del quale porrà et darà, come dare promesse, sei statute marmoree, cominciate et non finite in Roma overo in Firenze existente, qui in Roma di sua mano et opera finite, similmente ogni altra cosa apartenente a detto sepolcro. Et oltre alle predette cose, detto m.o Michelagnolo per fabricare detto sepolcro promese infra tre anni proximi a kalende d’agosto incominciarsi pagare et sborsare per insino a la somma di duamilia ducati d’oro di camera, compresa et computata ne’ detti duamilia ducati la casa posta in Roma a presso al Macello de’ Corbi, nella quale sono certe statue marmoree per il detto sepolcro, et tutto quel più che, oltra a detti duamilia ducati, per construire et fare detto sepolcro fussi di necessità. Et a ciò che il presente sepolcro, overo sepoltura, fare, construire et a debito fine produr si possa, il prelibato S.mo S.or N.o Papa dette licentia, facultà a detto m.ro Michelagnolo, presente et stipulante come di sopra, durante il detto termine possa ogni anno venire a Roma et quivi stare dua mesi et /3v/ più di meno, come al detto S.mo Signor Nostro piacerà. Et di consenso de’ detti procuratori similmente dette facultà al detto m.ro Michelagnolo, che, delle dette sei statue in fuora, possa l’opera del presente sepolcro in tutto o in parte ad altri locare, secondo il modello et disegno che lui darà. Et oltre a le predette cose detto m.ro Michelagnolo promesse detto sepolcro finire secondo il disegno infra tre anni, nel loco infra quattro mesi a lui da oggi asegnarsi in Roma; et ch’e’ danar predetti, per lui sborsarsi come di sopra, sempre sborserà di tempo in tempo, di consenso et volontà de’ procuratori, over procuratore, del prefato Ill.mo S.or Duca d’Urbino o di sua agenti per questo deputati, et in altro modo. Et inoltre covennano le parte predette che, in evento il detto m.ro Michelagnolo le predette cose non osservassi, la sopradetta quietantia sia nulla et
di nullo momento, et detto m.ro Michelagnolo sia tenuto a l’osservantia delle cose altre volte convenute, come se ‘l presente contratto celebrato non fussi, et il predetto Ill.mo Duca d’Urbino nel suo prestino stato rimangha et a la detta oservatione de l’altre cose convenute, epso convenir possa, non obstante il presente instrumento et le cose contenute in epso. Et incontinenti doppo le dette cose il R.mo S.or S.or Antonio, episcopo Portuense cardinal de Monti, et lo Ill.mo et R.mo Don /4r/ Hercole cardinal di Mantova, et la Ill.ma S.ra Felice della Rovere Orsina, quivi presenti, in caso ch’el mandato delli detti procuratori a le soprascripte cose non fussi sufficiente, promessano et ogniun di lor promesse de rato in forma di ragion valida et dare lo instrumento della retificatione infra duo mesi. Per le qual cose osservare et adempire li prefati R.mi Cardinali et la prefata Ill.ma S.ra Felice, loro et li prefati procuratori il lor principale, et similmente il detto M.o Michelagnolo se obligorno con tutti li loro beni et loro heredi in forma Camere colle clausule generale solite et consuete in forma pienissima. ab, ii-iii,
n. 19 (= Contratti 2005, pp. 204-207, n. cfr. Milanesi 1875, pp. 705-706, n. lvi). Doc. 324 30 aprile 1532 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Heri, a laude di Dio, in conspetto di nostro Signore, la cui santità non si potrebbe dire quanto la sia venuta bene, facessemo il contratto di fare la nova sepultura con Michelangelo, presenti gli reverendissimi Mantoa et Monte et la signora Felice, li quali hanno promesso che la signoria vostra ratificarà fra dui mesi detto contratto, il quale è di sorte che satisfà a tutta Roma, che dà molta laude a vostra signoria della cura che se n’ha preso. Ha promesso Michelangelo, il quale ha mostrato portare quel degno rispetto a vostra signoria che se gli conviene, di farve un dissegno per mandarlo; tra l’altre cose a che l’ho fatto obligare, ho voluto che sia tenuto di darne sei statue delle maggiori finite tutte di mano sua, che queste sole varano un mondo, perché sarano incomparabili. Il resto faccia fare da chi lui vorà, purchè sia sotto la cura et disciplina sua. Et nostro Signore ha contentato che’l possa venire dua volte l’anno a lavorare e revedere quel ch’ altrui farà dua mesi la volta, et sia finita in tre anni et posta dove si deliberarà, a tutta sua spesa. Non si potendo mettere in San Petro, come non si può, ad ognuno parebe convenientissimo che si mettesse in San Pietro in Vincula, come loco proprio della casa che fu il titolo di Xisto ancora et la chiesia fabricata da Giulio, che vi condusse gli frati che vi stano. Pur ho detto di scriverne a vostra signoria per saperne la volontade sua. Al popolo sarebbe stata bene, come in loco più frequentato, ma non v’è loco capace nè lumi al proposto, secondo Michelangelo, il quale molto si raccomanda a vostra signoria, alla quale baso la mano et raccomando humilmente in sua gratia. [...]. lxxxvi;
asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, c. 629v. (cfr. Vasari, ed. Milanesi 1906, vii, p. 379).
Doc. 325 10 maggio 1532 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Qui alligata sarà ancora la copia del contratto fatto con Michelangelo, il quale non potè fare il dissegno prime ch’ el partesse, essendo necessario ch’ el riveda prima le statue di Roma che furo(no) sepulte dall’innondatione del fiume et quelle di Firenze ancora, per saperle tanto meglio accommodare; ma che in questo settembre se ne verà senza fallo qua a dar principio all’opra di ma(no) sua e dare ordine a quel che si ha da fare per man d’altrui. Il che promette molto di bona voglia, et chi cognosce i modi soi n’afferma prometterlo con deliberato animo di farlo con effetto, punto non meno dalla propria gloria sua, che dalla obligatione, tanto che se la signoria vostra vorrà accarezzarlo, che sarà per fare molto più di quel che ha promesso. Il feci assicurare che la signoria vostra l’honorarebe sempre per le singulare sue virtudi,
alle quali chiamarebese anco eternamente obligata, occupandosi in parte ad honorare la santissima memoria di quel che in vita haveva honorato lui. Et parlatogli poi io stesso in conformitade, per adesso pareriami che appresso la ratificatione del contratto la signoria vostra gli scrivesse un verso di ma(no) sua laudandolo d’essersi resoluto d’attendere a questa sepultura et exortarlo a condurla a fine, con quelle bone parole che si convengono; imperò ch’el mi vien detto che questo homo si virìa talmente ad indolcirse col cognoscere questo buono animo di vostra signoria, che sarebbe per fare miracoli. [...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, cc. 633r-633v (cfr. Vasari, ed. Milanesi 1906, vii, p. 379-380).
Doc. 326 14 maggio 1532, martedì Andrea Quaratesi in Pisa a Michelangelo in Firenze Honorando e magiore mio, salute innfinite, ha voi mi rachomanndo. Io ho la vostra per via di Firennze, ch’è tarrdata assai a chomparire, e per ditta inntesi eri inn Roma, sano e inn buona gratia dell Papa: che pennso arete achonncio la chosa vostra, che nn’ebi piacere, e magiore ho auto siate tornnato inn Firennze a sallvamennto, che a Dio piaccia ci rivegiamo chonn sanità. [...] ab, x,
n. 636 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 400, n.
dccclxv).
Doc. 327 25 maggio 1532, sabato Sebastiano del Piombo [in Roma] a Michelangelo in Firenze Carissimo compar mio, io ho recevuto una vostra addì 23 del presente, [...]. Credo lunidì io haverò el contratto, et subito ve lo manderò; et ancora ho trovato l’ambasatore et holi arecordato la retifichacione del Ducca. Lui me ha ditto che la serà presto qua, la retifichatione, et se ricomanda molto a vui et dicemi che ’l vi crede tanto a vui quanto al suo patrone; et cussì ancora messer Hieronimo Stacoli el simele me ha detto, de modo che stano de una alegrezza che non potresti credere. Molto mi maraviglio che cussì presto vogliate vender le vostre substanzie. Vorei andasti un pacco più adasio, et aspetar quello si farà di questa pensione et poi, come serà rescosi li denari, ne farete quello parerà a vui. [...] ab, ix,
n. 494 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 405, n.
dccclxix).
Doc. 328 25 maggio 1532 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Baso le mani [...] raccordandole di mandare la ratificatione del contratto fatto con Michelangiolo. [...] asf, Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, c. 638v (cfr. Gronau 1906, p. 5, doc. iv).
Doc. 329 29 maggio 1532 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Bisogna che la signoria vostra mandi la ratificatione del contratto di Michelangelo, senza il quale ello non si metterebbe a dare ordine di fare nulla. E bisogna anco che alla signoria vostra mi commetta ch’io sii col papa, et che in nome suo la supplichi si degni di darne aiuto che si veggano gli fatti della capella di Giulio, che tutta Roma crida che sia stata male menata et usurpata da particolari senza alcuna colpa del papa, secondo che si dice. [...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, cc. 647r-647v (cfr. Vasari, ed. Milanesi 1906, vii, p. 380). Doc. 330 4 giugno 1532 Francesco Maria duca d’Urbino in Desenzano a
Gian Giacomo Leonardi [...] [Postscriptum] Mandarete quanto più presto et meglio vi occorrerà, l’alligate nostre a Roma, dentro le quali è un contratto nostro di ratificatione. [...] asf, Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 232, c. 312v (cfr. Gronau 1906, p. 5, doc. v).
Doc. 331 6 giugno 1532 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Michelangelo sollicita ogni dì che venga la Ratificatione di v. s. del suo contratto, ch’ altrimente non si vole mettere a dar ordine al denaro per lavorare. Ho anco avertita v. s. della ruina della capella della s(sanc)ta memoria di Giulio, all’aiuto della quale movereimi secondo ch’ io cognossi il tempo et il modo, quando n’ havessi commissione da lei, che trovato il papa ben disposto, procederei senza rispetto alcuno contra di chi si fosse. [...] asf, Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, c. 643r (cfr. Gronau 1906, p. 5, doc. v). Doc. 332 8 giugno 1532, sabato Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo [in Firenze] Compare mio carissimo, gieri io ebbi il vostro istrumento da messer Ricciardo del Milanese, et hozi vi lo mando per mezo de messer Piero Polo; et se più presto l’avesse havuto, io ve lo haveria mandato. Io continuamente solicito et ho solicitato la afirmatione del consenso del ducca de Urbino, quale l’ambasator et messer Hieronimo me ha detto serà presto; et àmi detto che ’l Ducca scriverà de mano sua. [...] ab, ix,
n. 497 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 408, n.
dccclxxi).
Doc. 333 14 giugno 1532, venerdì Giovan Maria Della Porta in Roma a Michelangelo in Firenze Excellentissimo messer Michelagnolo mio molto osservando, mandovi la rattificatione fatta dal Signor mio illustrissimo de l’instrumento della concordia che si fece tra voi e me, in conspetto de Nostro Signore, sopra la sepoltura della santa memoria di Iulio, della quale Sua Excellentia espetta di vederli dar principio con quel desiderio che vi potete raggionevolmente imaginare, e pensa devervi ad ogni modo restarvi obligata eternamente con tutta la posterità sua. E non vi potrei dire quanto ella sia restata ben contenta del bono animo, che particularmente le ho scritto haver trovato in voi, di voler ad ogni modo condurre a fine questa opera gloriosa, alla quale parmi di far ingiuria a solicitarvene. Non ho però mancato di supplicare di novo Nostro Signore che vi dia commodità di venir in Roma al tempo determinato, e Sua Santità m’ha detto pur hoggi havervi satisfatto d’accrescervi molte opere, perché potiate più longamente firmarvi questa vernata qua. Il perché parmi di vedere che, con la gratia de Iddio e bontà di Sua Santità, l’impresa habbia d’haver gagliardo principio e il bono animo vostro dever essere molto ben aiutato da chi può. [...] ab, vii,
n. 151 (= Carteggio 1965-83, n. dccclxxii).
iii,
p. 409,
Doc. 334 15 giugno 1532 Francesco Maria duca d’Urbino in Verona a Giovan Maria Della Porta [...] Ricevessimo hieri le lettere vostre di VI e VII [...] et diciamo che […] per la via de Vinegia si habbiamo mandato la ratificatione del contratto fatto con Michelang(e)lo et scritto quanto habbiate a f[a]re sopra i fatti della capella di papa Iulio [...]. asf, Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 161, c. 1r (cfr. Gronau 1906, p. 5-6, doc. vii). Doc. 335 19 giugno 1532
Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Con la lettera di vostra signoria illustrissima de’ cinque hebbi anco la ratificatione del contratto con Michelangelo, la quale diedi a nostro Signore, essendo sua Santità stata quella che me n’haveva sollicitato, et suplicandola a volere dare a Michelangelo quella commodità promessa di venire qua a dare principio all’opra. Dissemi come da Michelangelo era stata gravata a dupplicargli le maestranze nell’opre di Firenze per guadagnar tanto più di tempo da firmarsi in Roma a questa impresa, per la quale pensava che firmarevisi tutto il verno; il che sua Beatitudine disse havere fatto volintieri non meno per satisfare vostra signoria che lui. Et raggionatogli del desiderio di vostra signoria che la sepultura si ponesse piutosto nel Popolo non si potendo porre in San Petro, confirmò anch’ella il medesimo pensier(o) di vostra signoria, che vi sarebe stata benissime per la frequenza del popolo. Ma sicome altre volte n’era stato parlato et con Michelangelo medesimo in presenza di sua Santità nel giorno del contratto, la chiesa del Popolo non havea nè lumi nè loco atto a questa opra, et ancora io ero in questo medesimo desiderio; ma Michelangelo vi fu a vederla et disse non si potere accommodare altrovi che a S(an) P(etro) in Vincula, contentandose però nostro Signore sicome si contentò, che l’altare delle cathene si levasse et si trasportasse all’altare maggiore. [...] asf, Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, c. 651r (cfr. Vasari, ed. Milanesi 1906, vii, p. 380).
Doc. 336 [Giugno 1532 (?)] Michelangelo [in Firenze] a Giovan Francesco Fattucci [in Firenze] Se[r] Giovan Francesco, perché e’ non si creda che io abbi a fare una sepultura di nuovo co’ dumila ducati che dice il contracto, vorrei che voi facessi intendere a ser Nicholò che la decta sepultura è più che mezza facta, e delle sei figure di che fa mentione il contracto n’è facte quactro, come voi sapete, che l’avete viste nella casa mia a·rRoma, la quale mi donano, come pel contracto si vede. ab, v,
n. 46 (= Carteggio 1965-83,
dccclxxv).
iii,
p. 412, n.
Doc. 337 [Giugno 1532] Michelangelo [in Firenze] ad Andrea Quaratesi [in Pisa] Andrea mio caro, io vi scrissi circa un mese fa com’io avevo facto vedere e stimare la casa e per quanto la si poteva dare in questi tempi, e scrissivi ancora che io non credevo che voi la trovassi da vendere; perché, avend’io a pagare per la mia cosa di Roma dumila ducati, che saranno tre mila con certe altre cose, ò voluto, per non restare ignudo, vendere case e possessione e dare la lira per dieci soldi, e non ò trovato e non truovo. Però, credo sare’ meglio indugiare che gictare via. ab, xiii,
n. 156 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 413, n. dccclxxvi).
Doc. 338 2 luglio 1532, martedì Pier Antonio Cecchini [‘familiar di monsignor reverendissimo de’ Ridolfi’] in Roma a Michelangelo [in Firenze] [...] I’ò seguìto la mia figura, e aspeto chon desiderio el tenpo di[s]posto che dobiate venire, che non mancho grato mi fia che a’ desiderosi patroni de la famosa e memorabile opra. Non so se chon vostro chonsentimento fu portato via, per quanto intendo i[n] Napoli, quello saso choto dal fuocho ch’era a Ripa, a chanto al Profeta: che esendomene achorto di molti g[i]orni fa, ne domendai a varie persone e trovai che Cecho di Baldasare chararino l’aveva levato per Napoli cho licentia vostra. Anchora ò parlato più volte al biro che istà in chasa, a chaso trovandol qui e qua e bere insieme, pere esaminarlo e tastare la fantasia sua, e lui chon desiderio v’aspeta, né pensa a quello che gl’intreverà. [...]
ab, x,
n. 610 (= Carteggio 1965-83,
dccclxxvii).
iii,
p. 44, n.
Doc. 339 14? luglio 1532, domenica Giovan Maria Della Porta in Roma a Michelangelo in Firenze Eccellentissimo Michelagnolo mio osservando, la Santità di Nostro Signore questa mattina me ha fatto vedere una lettera nella quale voi mostrate solicitudine grande di trovarvi qui molto presto, per dare principio alla promission vostra, de la quale non è dubio che ’l signor Duca mio illustrissimo ne sta in quel maggiore desiderio di vederne il principio, mezzo e fine, che si possa stare di cosa sopramente desiderata; nondimeno, considerato il pericolo che è della mutation de l’aere, per ogni luogo, de questa staggione, e molto più dall’una sproportionata a l’altra, come sarebbe dal vostro sottile a questo grosso, non solamente ve exorto, ma pregovi a non vi movere di costà per il mese d’agosto, acciò che ne l’intrata di settembre potiate con più sigurezza della sanità vostra porvi in camino. E quel tempo di più che tardarete al venir qua, Nostro Signore ne promette restorarlo col firmarvi tanto più qua in Roma circa l’impresa vostra della sepoltura, nella quale si vede molto ben il buono animo vostro deliberato di non mancar alla promission fatta. E perché la potiate tanto meglio osservare, contentomi che habbiate bona cura alla vita vostra in questi caldi, acciò, come è detto, potiate venir sano e gagliardo al principio di settembre. Così il Nostro Signor Dio ve conservi longamente e diavi felice compimento a tanti gloriosi desiderii vostri. Io vi mandai la rattification de l’illustrissimo signor mio sopra il contratto vostro: penso che l’habbiate recevuto, anchor ch’io ne sii senza aviso. [...] ab, vii, n. 152 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 417418, n. dccclxxx).
Doc. 340 15 luglio 1532, lunedì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Per la seconda vostra, facta addì 15 zugnio, mi recercate che habbi una licentia da Nostro Signore che possiate condure el frate che lavora de marmo de l’ordine de’ Servi, et che la licentia se habbia dal generale del ditto hordine, ma non mi havete mandato el nome del generale et el nome del frate, de modo che ho durato faticha a saperlo in Roma, maxime del sculptore: pur l’ò havuto, et Nostro Signore ha facto fare un breve al sopra detto generale che possiate condur el detto frate in Roma a piacer vostro. Et cussì vi mando el breve, con la retifichatione del ducca de Urbino, con doi sue littere, credo siano de l’imbasatore suo. Et ancora vi mando ne la inclusa una de ser Zuan Francesco, quale ve degnarete fargela dare; et non ve maravegliate che sia stato tanto a mandarvi queste cosse. È stato per respetto del breve. Per l’ultima vostra, facta addì 7 de luglio, me avisate che domandi licentia a Nostro Signore che possiate venir al principio de avosto in Roma con licentia de Sua Sanctità. Io li ò dimandato tale licentia; Sua Sanctità se ne contenta de tutto quello volete vui, ma mi respose che per messer Piero Polo li facesti dimandar licentia per mezo setenbrio, over per tutto setenbrio, per respetto del caldo et el mal aria; ma Sua Sanctità ha voluto veder la mia et ha inteso perché sete pentito, per respetto del lavorar di terra de cimatura, che molto meglio et più presto si conduce l’opere de terra di cimatura per el caldo che per el fredo. Sua Sanctità mi respose che vi dava licentia come pareva et piaceva a vui, et che vi guardasti dal caldo et da’ desordeni sopra tutto, che horamai sete in termine de non posser tar più desordini, – et arecordateve de quel povero de Benvenuto, che per troppo asicurarsi la persona sua à perso la vita fora di proposito, come ancor ha facto la mala memoria del cardinale Colona et cet. Io non ho altro cha scrivervi. Se solicitarà a mandar via el sbiro de casa vostra, de modo che a la venuta vostra non li trovarete persone in casa. Et ho hordinato a quel sculptore del cardinale Re-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
dolphi che habbi un pocco de cura a la casa et a li marmi, el quale mi ha promesso di far l’officio benissimo. [...] Ancora, vi ho mandato el vostro contratto in publicha forma, et mai me havete avisato de haverlo recevuto. Vi prego datemene aviso et cet. [...] ab, ix,
n. 498 (= Carteggio 1965-83, iii, pp. 419420, n. dccclxxxi).
Doc. 341 17 luglio [1532], mercoledì Pier Antonio Cecchini [‘in casa de’ Ridolfi’] in Roma a Michelangelo [in Firenze] Michelagnolo patrone mio honorando, io riceveti la desiderosa vostra litera a dì 14 di lugl[i]o, et a dì 17 del medesimo mese questa iscrivo, e sono indug[i]ato tanto che volevo darvi qualche risolutione circha a la chasa, che da fra’ Bast[i]ano averete riceute litere chon quel che altro adomandavi. Perché, subito io vedi quello mi sc[r]ivevi, me n’andai a trovare fra’ Bastiano e fecigli legere la mia letera, e lui dise avere riceuta la sua e mostròmi molte altre chose che vi voleva mandare, e, desideroso di servirvi, se n’andò dal Papa, e io me n’andai a l’inbasc[i]adore d’Urbino, chon suo chonsentimento, e fecigli legerre la partita ch’a lui tochava. E quando io g[i]unsi, Sua Signoria era chol chanceliere detando e aveva finito una letera per voi, e [le]semela e chonteneva che voi no vi partisi di Fiorenza per questi chaldi per non amalare, chanbiando aria grosa da sotile. E dise che ’l Papa avea mandato la sera dinanzi messere Pier Polo, quel suo segretario, a pregarlo di questo. E quando vedé ch’aveva a chaciare cholui di chasa e che voi eri desideroso di venire, quasi cho[n]sigl[i] aldosi mecho se doveva mandarla, e io disi ch’era bonno mandarla e che anch[o]ra quella licentia che chiedevi aresti e faresti quello che megl[i]o vi tornerebe; e chosì rimanemo e’ chacerebe cholui di chasa, e detemi [la] letera, ch’io la portasi a messer Pier Polo, e io me ne ritornai a fra’ Bastiano e disigli quel ch’io avevo fato e deti a lui la letera, che cho l’altre chose penso l’abiate riceuta, che lui s’era ispedito del tuta cho[l] Papa. Ritorna’mene l’altro g[i]orno a l’inbasc[i]adore e detigli più f[e] ra nova, ch’ugnun pe[n]sava voi venisi, che facesi uscire presto cholui. Lui v’era istato in persona e dito e’ se n’andasi; e quela dona chon ischuse, per non partirsi, gli dise che voi gl’avevi deto ch’averesti bisogno di serviti[i] e di gente in chasa. Pure dise che troverebe una chasa. A me parebe voi sch[r]ivesi una lete[ra] a l’inbasc[i]adore che ve lo mandasi. Se vi risolvete venire, ad[vertite]. [...] ab, x, n. 611 (= Carteggio 1965-83, 422, n. dccclxxxii).
iii,
pp. 421-
Doc. 342 19 luglio 1532 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Il cardinale Ursino sta in extremo della vita, et avanti heri negotiai con lui in S(an) Petro nel capitolo de’ canonici sopra il caso della capella di Giulio di s(anc)ta me(moria), a un beneficio della quale veneva molto bene come arciprete di S(an) Petro, ma il soccessore suo non virà manco bene che sarà il r.mº Cornaro [...]. asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, cc. 672r-672v (cfr. Gronau 1906, p. 6, doc. viii). Doc. 343 13 agosto 1532, martedì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compar mio, per uno scarpelino quale si chiama maestro Francesco del Fantasia, io ho recevuto una vostra, per la quale intendo haresti accaro de trovare la vostra casa netta che non vi staese persona, a ciò potesti servirvene de essa secondo la volontà vostra. Io continuamente io ho solicitato, et ho facto tanto che è più de octo zorni ch’el sbiro ha sgombrato ogni cossa; de modo che hozi, a dì tredici del mese de avosto, entrarano in chasa li vostri homeni, cioè el Phantasia et el figliolo del vostro capo maestro. Ma molto mi maraviglio de vui non me avisate co-
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Documenti
me si habia a fare de’ letti et masaricie de chasa. Io, per me, provederei a ogni cossa, ma non ve voria far despiacere; ma pure, per non errare, io farò farvi uno letto per la persona vostra de miei matarazi, coperte et nenzuola, che seranna netti et sicuri che senza sospicione alcuna potrete dormirli dentro, et sarà uno letto da frate. Del resto, una minima poliza vostra farò tanto quanto hordenarete vui; o veramente, subito zonto vui in Roma, in una zornata si potrà proveder a ogni cossa. La moglie del sbiro è inamorata in vui et mi ha offerto letti, masaricie de casa et tutto quello lei ha, insino a le galine. Io non ho volutto acetar niente senza vostra licentia, ma io credo, per esservi vicina, ve ne potresti servire de molte cosse da lei. [...]
Doc. 348 23 maggio 1533 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d’Urbino [...] Mons(ignor) de Monte m’ha detto haver scritto a v. s. d’ alcuna spesa che necessariamente occorre in refare un muro della chiesa di S(an) P(etro) in Vincula per la fabrica della sepultura la quale, perché non si continuava, s. S. r.ma ha commenzo di spendervi et la prega vi voglia contribuire per quel che le pare. Tutta la spesa ascende a ducento ducati; questa spesa nasce dal gran desiderio che ha Michelangelo di fare cosa ancora più degna dell’obligo suo, e venendo più alta del dissegno ha bisognato rompere il choro de’ Frati. La s. v. faccia come le pare. [...]
ab, ix,
asf,
n. 499 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 426, n.
dccclxxxv).
Doc. 344 21 agosto 1532, mercoledì Bartolommeo Angelini in Roma a Michelangelo in Firenze Honorando Michelangniolo, fra’ Bastiano nostro m’à detto che di giorno in giorno v’attende di qua, che Iddio sa quamto n’ò piacere, et dice voresti schavalchare in chasa vostra; et sappiendo che non v’è altro che·lle mura, et io trovandomi certe po’ di masserizie, l’ò fatte condurre in chasa vostra, di modo ch’averete da dormire et da sedere et qualch’altra po’ di chomodità. Da mangniare n’avete in vicinanza da provedervene a vostra volomtà. [...] ab, vi,
n. 23 (= Carteggio 1965-83, iii, p. 429, n. dccclxxxvii). 1533 Doc. 345 4 gennaio 1533, sabato Stefano di Tommaso in Firenze a Michelangelo in Roma Michelagniolo carissimo, io ò riceuto una vostra per la quale intendo quello vi risolvete della casa, che mi piace, perché enteresti in confusione, al presente, non ci esendo voi. [...] ab, xi, n. 713 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 4, n. cmi).
Doc. 346 7 gennaio 1533, martedì Stefano di Tommaso in Firenze a Michelangelo in Roma Michelagniolo carissimo ecc. Ieri, andando alla messa, trovai el Bug[i]ardino c[h]e andava a trovare el Prete per mostrare e’ vostri marmi, per vendergli colla casa: di che pennsando poi, no mi piaque. Di che andai el dì a trovare el Prete e disigli che mi pareva che e’ non dovesi pigliare tal parttito, né di vendere né di mostràgli, se prima non ve n’avisava, perché, non sendo presente voi a tale istima, credo da e’ medesimi istimatori sarebono istimati asai mancho che non farano alla prese[n]za vostra. [...] Ora, el Prete mi disse avervi avisato che è solecitato di levare que’ danari d’in sul bancho, che credo sarebe bene e troverebesi da ri[n]vestigli in terre; ma bisognierebe che voi ci fussi, perché sicondo che io intendo Giovan Simone non se ne vuole travagliare. [...] ab, xi, n. 714 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 5, n. cmii).
Doc. 347 [Dopo il 7 gennaio 1533] Michelangelo [in Roma] a Stefano di Tommaso [in Firenze] Stefano mio caro, intendo per l’ultima vostra come e’ sare’ molto meglio per me, volendo vendere le cose mia di via Mozza, esser costà, per essere stimate molto men non vi essendo che essendovi. Io veggo che gli è vero come mi scrivete; però io non vi pensavo più far [niente]. ab, xiii, cmiii).
n. 118 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 7, n.
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, c. 848v. (cfr. Gronau 1906, p. 6, doc. ix).
Doc. 349 27 maggio 1533 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d‘Urbino Il cardinale di Monte fa lavorare per la sepultura in quella muraglia ch’io scrissi, con deliberatione di porvi poi l’armi sue per l’ambition che mostrino la cura essere stata sua di fare la sepultura; il che male se gli potrà poi prohibire, ne ho voluto avertire la s. v. ill.ma. [...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, c. 854v (cfr. Gronau 1906, p. 6, Doc. x).
Doc. 350 12 luglio 1533, sabato Bartolommeo Angelini in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Honorando e carissimo Michelangniolo, dipoi la partita vostra nonn vi ò schritto, né mancho ho vostre lettere, e tutti di qua le desideriamo [...]. La chasa vostra è di chomtinovo ongni notte guardata e di giorno spesso da me vicitata; [...]. La gita di Nostro Signore hongni giorno si tien più certa, e Filippo Strozzi dichono partirà lunedì per chostì e chondurrà la Duchessina a Nizza, e amchor verrà la duchessa di Chamerino, di modo che no’ resteremo qua soli; ma averemo pazziemza chome l’altre volte. Nonn vi dirò altro. State sano e rachomandatemi a Urbino e a tutti li altri [...]. ab, vi, n. 25 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 13, n. cmvii).
Doc. 351 17 luglio 1533, giovedì Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Compar mio carissimo, io ho ricevuto una vostra a me gratissima per haver inteso l’esser zonto vui a Firenze sano et salvo con tutta la compagnia, che Dio sia rengratiato et cet. Hora vi fo intender come io ho mostro la vostra littera a Nostro Signore, quale l’à tenuta doi zorni et àlla studiata molto bene, de modo credo l’abbi imparata a mente; et li piace assai, e molto si contenta de le cosse havete hordenate et del Frate, che habi cominciato a lavorare, et de li scarpellini che havete messo in opera et de tutte le cosse havete hordinate et cet. [...]; de’ zoveni scultori che lavorano a Loreto, se darà recapito de farli venire. [...] Nostro Signore me ha hordenato che io ve debbia scriver per parte de Sua Sanctità che l’à molto ben lecto et rilecto et considerato el penultimo capitolo de la vostra littera, quale vi risponde che state de bona voglia, che ha deliberato, inanti che tornate a Roma, lavorar tanto per vui quanto havete facto et farete per Sua Santità, et farvi contrato de tal cossa che non ve lo sogniasti mai. Queste parolle non sonno rasonamenti che sia stati [tr]a nui. Sua Sanctità me ha comesso che ve lo debia scriver da parte sua; et si notate bene, sonno parolle che importano assai. Et sapete come papa Clemente si guarda del prometer di questa maniera. Adesso possete esser chiaro e star col vostro animo in reposso. [...] ... et recomandateme a lui [el Frate] et a Urbino et a tutti li amici. [...] ab, ix, n. 500 (= Carteggio 1965-83, 18, n. cmx).
iv,
pp. 17-
Doc. 352 24 luglio 1533 Giovan Maria Della Porta in Roma a Francesco Maria duca d‘Urbino [...] Se commenzò di fare quel che bisogna per la sepultura della s(anc)ta. me(moria) di Giulio et della spesa ne fo tener buon conto a m(esser) Hieronymo Staccolo, affin che partendo di qua prima che l’opra fosse finita ne resti lui bene informato et la possa sollicitare di condurre a fine [...].
Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Del stare et ’l venire, a vui sta el tutto et far quel che volete. Non havete haver ombra de cossa alcuna; sete patron del mondo. L’ambasator del ducca de Orbino fa lavorar a San Pietro in Vincula et predica per tutta Roma, et vi prega che me avisate come volete el muro che va sopra la sepoltura; et a la tornata vostra serà facto la volta et el muro in tutta perfectione, quasi che ’l Coliseo serà una bestia a tanta manifatura fa Sua Signoria. [...]
asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 132, c. 868r (= Gronau 1906, p. 6, doc. xi).
ab, ix,
Doc. 353 25 luglio 1533, venerdì Sebastiano del Piombo [in Roma] a Michelangelo in Firenze Compar mio carissimo, io ho recevuto una vostra facta de’ 19 del presente, qualle non accusa ancora vui non haver recevuto la mia in resposta de la prima vostra, quale credo suplirà in resposta de la prima et ancora de la seconda. Et perché mi pare che si facia un gran romore perché havete messo el Fratte in opera su la figura del ducca Iuliano [...]. Circha de que’ zoveni da Loretto, Sua Sanctità dice, se volete, che ’l manderà per loro, o veramente el farà levar l’opera, che non si lavori più a Loretto, et veranno da sé. [...] L’ambasator del ducca d’Orbino fa un gran romor a San Pietro in Vincula et fa lavorar a furia, de modo che a la tornata vostra trovarete facto la volta, el muro et cosse grande, de modo credo non faci falir la excelentia del Ducca per tanti danari el spende in detta opera. [...]
Doc. 357 23 agosto 1533, sabato Sebastiano del Piombo in Roma a Michelangelo in Firenze Carissimo compare mio, addeso io ho recevuto una vostra facta de’ 18 del presente, quale intendo vui esser de mala voglia per non haver risposta da me a le vostre littere. Io vi dicco che a ogni vostra littera io ho facto la risposta con quello amore et diligentia m’è stato possibile; ma si le littere non son date a li soi tempi, io non li posso far altro. Et l’ultima mia, che fu de’ 16 del presente, la detti a l’ambasator fiorentino che ve la mandassi, a ciò fosse venuta più presto: ma è stata più tarda de l’altre. [...] Et come havete hordenate tutte queste cosse possete venirvene a piacer vostro et dar expedicione a la vostra opera de qua per questa vernata, et a primavera, come a Dio piacerà, vui tornarete a Firenze secondo che havete scripto. El Papa si contenta de tutto quello ve contentate vui. [...]
ab, ix, n. 501 (= Carteggio 1965-83, 23, n. cmxiii).
ab, ix,
iv,
pp. 22-
n. 503 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 39, n.
cmxxv).
n. 504 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 44, n.
cmxxviii).
Doc. 354 3 agosto 1533, domenica Giovan Francesco Bini in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Sua Santità harà caro che, doppo che harete finito a quanto siate obligato qui, ritorniate costà et ci stiate tanto che le cose siano condotte al sicuro. Et però, nel venir in qua, se vi parrà di menar di costì qualchuno che vi aiuti a finir tanto più presto qui, giudica che non sarà se non bene; et in questo mezzo lasciar costì a far quelle cose che non haran così bisogno de la presenza vostra, [...]. [...] Credo ben che vi possiate ricordare che ultimamente io vi venni a vedere con messer Zanobi Brizi, segretario del reverendissimo Salviati, a San Piero in Vincola. Ma, come io mi sia, come ho detto, sono al comando vostro. [...]
Doc. 358 24 agosto 1533, domenica Fra’ Agostino [‘procuratore di Santo Pietro ad Vincola’] in Roma a Michelangelo in Firenze Messer Michelangelo osservandissimo, la presente non vi dirà si no tre cose: l’una, che son tutto al servitio vostro ogni fiata che vi degnarete comandarmi, l’altra, che oggi questi muratori finiscono el muro a presso la sepoltura et la settimana proxima futtura sarà finito el volto, la terza è ch’io v’aspetto con desiderio. Ma se el desiderio vostro fosse di restar in Firenze, o per le cose di Nostro Signore o per cosa sua particolar, ogni cosa sua sia anteposta alla mia voluntà. [...]
ab, vi,
Doc. 359 5 settembre 1533 Ricordo di Michelangelo [...] e decti danari portò ser Gi[o]vanni Francesco e Urbino che sta meco. [...]
n. 92 (= Carteggio 1965-83, iv, pp. 34-35, n. cmxxii).
Doc. 355 11 agosto 153[3], lunedì Tommaso Boscoli in Roma a Michelangelo in Firenze [...] Tomaso vostro v’ischrivo, richontando come, pere avere io finito di servire el Papa, dimandai chosa che io non mi curavo d’avere, dimandando parte di quele fiure da Loreto. Alora Sua Santità dise come s’era finito, ma ch’io dovesi inntendere, ischrivendo a Vostra Signioria, se quela era inni ordine, o avesi ordine di metermi inni opra chostà. E di tanto siate pregato e darmi aviso, non per mio merito ma per vostra humanità. E più oltre dirò, richordando, chome, vicitando io Vostra Signioria quando fe’ partita, quela me oferse se io volevo di chostà cosa; io disi non avere pensato volere altro se non vostra gratia, di che Vostra Signoria dis[e] ch[e] pensava di servirsi di me qua a Roma; e dico ne sarei pi[ù] contento, ben che contento sono ini tuto e per tuto quelo ch’[ò] dove a Vostra Signioria piacia. E di tanto sarete pregato. Qui fo fine, sopra tuto richordandovi di me Maso. [...] ab, vi,
n. 118 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 37, n.
cmxxiv).
Doc. 356 16 agosto 1533, sabato
ab, vi,
n. 1 (= Carteggio 1965-83,
cmxxix).
iv,
p. 46, n.
che diceva che voi non guardassi alle mia parole e che voi me la dessi. Ora io vorrei fare più danari che io posso per isbrigar più presto la cosa mia di Roma, e doman da·ssera arò finiti dua modelli picholi che io fo pel Tribolo, e martedì vo’ partire a ogni modo. [...] ab, v,
n. 68 (= Carteggio 1965-83,
cmxxxvi).
Doc. 362 2 marzo 1534 Giovanni Agnello a [Ercole Gonzaga?] Del [Rodrigo] Nino [inviato imperiale a Venezia] alli 20 [febbraio]: Chel papa ha tanto operato che ha disposto Michelagnolo a dipingere in la capella et che sopra l’altare si farà la resurrectione, si che già si era fatto il tavolato. Archivio Gonzaga, Mantova (= Pastor 1924-33, iv/2, p. 567 n. 2). Doc. 363 26 marzo 1534 Francesco Maria duca d’Urbino in Fossombrone a Giovan Maria Della Porta [...] Habbiamo veduto per una vostra alla s.ra duchessa nostra consorte quel che le scrivete haver trovato nel particolare della sepoltura della s(anc)ta. me(moria) di Giulio, e del ragionamento havuto con voi per Michelagnolo, e delle statue che scrisse qua m(esser) Girolamo Staccolo, il quale anco dipoi scrisse che n. S. ricercava s’ accommodasse Michelagnolo d’ un poco di tempo che potesse attendere ad alchune cose di s. Sta che nol poteva fare senza nostra voluntà per l’obligo c’ haveva con nui, e respondessimo, come anco vui potete raccordarvi, che s. B.ne era patrona e che però poteva commandare et fare quanto le piaceva, che presuntione sarebbe la nostra in presummere di concedere a chi è patrone assoluto e può disponere come le piace. Il med[esim]o repplichiamo a voi, dicendovi che quanto alle statu[e] non vogliamo se ne mov[a p]arola alchuna, e cosi farete, certificandovi che nui non curamo d’altro [che a] vedere compita l’opra; nel che, per quanto potrete, non mancarete della so[lit]a vostra diligenza, ritornandovi a dire che in quel che n. S. ne ricercò, non [n]e parve di dovere ne potere respondere altro che quel c’habbiamo detto di sopra. [...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 161, c. 139 (cfr. Gronau 1906, p. 7, doc. xii). Doc. 364 [prima del 23 settembre? 1534] Michelangelo [in Firenze] a Febo di Poggio [in Firenze] [...] Io parto domactina e vo a·pPescia a·ctrovare il cardinale di Cesis e messer Baldassarre; andrò con loro insino a·pPisa, dipoi a·rRoma, e non tornerò più di qua, [...]. ab, xiii,
Doc. 360 12 settembre 1533 Ricordo di Michelangelo Ricordo come oggi adì dodici di settembre ho dato a Urbino che sta meco, per conto di suo salario, grossoni quaranta: addì 12 di settembre 1533.
1535
Doc. 361 15 ottobre 1533, mercoledì Michelangelo in Firenze a Battista Figiovanni [in Firenze] Messer Giovan Batista, patron mio caro, all’ultimo di questo mese finiscono i quatro mesi che io g[i]unsi a·fFirenze per conto del Papa; el primo de’ decti quactro mesi voi mi portasti la provigione: io non la volsi e dissivi che voi me la serbassi. Voi mi rispondessti se avevi a scrivere al Papa che io l’avessi avuta. Vi dissi che voi scrivessi il vero: d[i]poi mi mostrasti una lectera del Papa
p. 55, n.
1534
bm, Add. Ms. 22731, c. 14 (= Ricordi 1970, p. 277, n. ccli).
Milanesi 1875, p. 604 [bm] (= Ricordi 1970, p. 277, n. cclii).
iv,
n. 167 (= Carteggio 1965-83, n. cmxli).
iv,
p. 66,
Doc. 365 30 maggio 1535 Furto di marmo «Eadem die. Constitutus personaliter Rome in Curia de Sabellis et coram magnifico et egregio viro et iuris utriusque doctore domino Petro Antonio de Angelinis de Cesena, iudice et auditore reverendissimi domini gubernatoris in criminalibus, et coram me notario, Franciscus Baltassaris de Cagione de Carraria cui delatum fuit iuramentum de veritate dicenda super quibus interrogabitur et primo: Interrogatus an sciat causam sue detemptionis et capture; respondit negative. Interrogatus an habeat aliquam litem cum aliqua persona in Urbe; respondit: «Io ho una lite con Michelagnolo alla corte del governatore per causa de certo marmoro, quale detto Michelagnolo pretende che io abbia rubbato a Ripa, della quale dico ho data la sicurtà là all’officio del gover-
natore, al civile, a messer Johanni Nichalchino ». Interrogatus an portaverit, ex ripa Tiberis, Neapolim aliqua mormora; respondit: «Io portai dui carrate di marmore, che io haveva a sancta Maria del Populo, a Napoli quali vendetti ad uno che se chiamava Nicholò fiorentino et tre altre carrate ne carichai a sancta Severa presso a Civitavechia et fu del ’32». Interrogatus an a ponte Sixti versus Hostiam ex Ripa marmora aliqua portaverit; respondit: «Io non ho portato altri marmori se non li mei che io feci condurre da sancta Maria del Populo a Marmorata». Interrogatus an marmora que conduxit Neapolis essent signata aliquo signo et signanter signo Micheallis Angeli; respondit: « Io non ho portato marmori con segni d’altri che col mio». Interrogatus quod dicet si probabitur ipsum conduxisse Neapolim marmora cum signo Michaellis Angeli et vendidisse dicto Nicholò; respondit: «e Se proveranno che sia la verità io el voglio pagare». Interrogatus an habeat aliquos inimicos in Urbe; respondit: «Io non ci ho altro inimici se non uno senese che ha litigato con me a Carrara et certi alrti [sic] fiorentini». Interrogatus an cognoscat Matheum de Quaranta et cuius conditionis; respondit: «Io lo cognosco et con lui non ho che partire né ho mai hauto a fare con lui». Interrogatus an cognoscat Laurentium Ludovici fiorentinum sculptorem; respondit: «Io lo cognosco e non ho che fare con lui». Interrogatus an cognoscat Antonium Jo. [Antonii florentini] sculptorem apud duanam et an sit amicus [vel inimicus]; respondit: «Non lo cognosco [et non li ho inimicitia nessuna]. Quibus auditis [dominus] mandavit ipsum [Franciscum] ad Burgum et prefixit sibi terminum trium dierum ad faciendas suas defensiones et monuit pro [singulis] diebus etc.». asr,
Archivio del tribunale criminale del goMiscellanea di atti relativi ad artisti, b. 9, fasc. 50 (= Bertolotti 1875, pp. 70-71; Corbo 1965, p. 132, n. 76). vernatore,
Doc. 366 16 giugnio 1535 Furto di marmo «Fideiussio pro Francisco Baldasaris de Carraria, incarcerati in Sabellis, de stando iuri cum Curia solvendo iudicatum nec [minus] de se reputando totiens quotiens sub pena ducentorum ducatorum auri Camere apostolice aplicanda. In mei notarii etc. constitutus, in camera capitanei Curie de Sabellis, dominus Valerius Valentinus civis romanus Regionis............ sciens etc. sponte etc. promisit se facturum et curaturum cum effectu etc. dictus Franciscus stabit iuri cum Curia solvet iudicatum nec non se representabit totiens quotiens fuerit requisitus sub pena ducentorum ducatorum auri Camere apostolice aplicanda occasione certi pretensi furti unius lapidis marmorei ut pretenditur per eundem Franciscum oblatum ac etiam pretense falsitatis cuisdem [licentie], alias ut principalis principaliter et in solidum de suo proprio teneri voluitque dictum Valerium. Dominus Antonius de Albertonibus, incarceratus in eisdem carceribus, et dictus Franciscus principalis ibidem presentes eundem indempne et sine danno relevare promiserunt pro quibus etc. sese et eorum bona in forma Camere apostolice obligarunt etc., iurarunt etc. super quibus etc. Actum ubi supra, presentibus domino Hieronimo Blundo romano et Francisco Cuniri neapolitano, testibus etc.». asr, Archivio del tribunale criminale del gover-
natore, Fideiussioni, reg. 5/38, c. 156r (= Corbo 1965, pp. 132-133, n. 77).
Doc. 367 5 luglio 1535 Furto di marmo «Pro domino Michaele Angelo et Francisco de Urbino et fisco contra Franciscum de Carraria. Lune 5 julii 1535. Positiones et articulos infrascriptos ac contenta et descripta in eisdem, facit et exibet procurator et
eo nomine domini Michaellis Bonarroti scultoris seu Francisci de Urbino contra et adversus Franciscum Baldassaris Cagionis de Carrara omnesque alios etc. quibus expresso (?) medio juramento per verbum vel non credit singule singulis responderi; que, si negabuntur et opus fuerit, se dictum eius principalem ad illa probandum admitti petit, citra tamen onus superflue probationis, de quo protestantur expresse etc. In primis repetit hic et pro repetetitis haberi vult et intendit procurator quo supra loco articulorum omnia et singula acta, actitata, iura, scripturas, instrumenta ac documenta quecumque ac probationes hinc inde facta imparte tantum a partibus facienda pro se et partibus, seu et contra partem adversam et non aliter, nec alio modo, de quo protestatur expresse. Ex quibus clare constat (et quatenus non constet, probare intendit procurator quo supra nomine) quod alias, de anno 1533 et dudum antea, prefatus dominus Michaelangelus, inter alia bona ad ipsum spectantia et pertinentia, habuit et habebat duos lapides marmoreos sexdecim carrettatarum incirca in ripa fluminis Tiberis, loco qui dicitur «La Marmorata», quos transvei fecit a castro Carrarie et lapidicinia marmorea ad Urbem, et ad dittam ripam fluminis, suis sumptibus etc. Item ponit quod ditti lapides marmorei fuerant et erant valoris et communis extimationis quilibet eorum magis centum scutorum auri largorum et ultra, quodque quilibet diligens et praticus in arte scultorea eosdem et quemlibet eorum pro tali et tanto pretio emisset et emeret palam publico. Item ponit quod dittus Franciscus Baldassaris, diabolico spiritu instigatus, de ditto tempore et anno, unum ex dittis lapidibus ex ditta ripa fiuminis Tiberis furto subtraxit illunque quo voluit transportavit et transportare fecit contra voluntatem prefati domini Michaelangeli, palam publico. Item ponit quod premissa omnia et singula fuerunt et sunt vere et de illis fuit et est publica vox et fama etc. Et premissa ponit, dicit, petit, protestatur tam coniuntim quam divisim etc. Quare etc. hos autem etc., salvo iure etc. et protestatur etc.». asr,
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vernatore, Miscellanea di atti relativi ad artisti, b.
9, fasc. 502 (= Bertolotti 1875, pp. 69-70; Corbo 1965, p. 133, n. 78) Doc. 368 s.d. [1535] Furto di marmo «Coram vobis etc. comparet supradictus Joseph Casonus procurator et eo nomine supradicti Francisci Baldassaris de Carraria, et petit dictum Franciscum principalem suum a supradictis investigatione et querela absolvi et liberari eum de assertis delictis nullo modo Curia habeat intentionem suam fundatam non solum ad condemnationem sed neque etiam possit se fundare ad procedendum contra ipsum ad aliquod rigorosum examen. Cum nullo modo ex testibus examinatis pro parte Curie aliquod legiptimum inditium contra ipsum elici possit, tanto magis quod si aliquod leve inditium ex dictis assertorum testium diceretur subesse illud intelligeretur purgatum per probationem bone fame, prout est probata de dicto Francisco. Et clarum est in Curia quod inditium quod alias contra aliquem faceret aliquam presumptionem et specifice in materia furti, illud elliditur per probationem bone fame persone de qua suspicatur. Addito etiam quod ex dicto unius testis etiam de visu (nisi sit omni exceptione maior) non resultat inditium sufficiens ad torturam. Et in casu nostro nullus est testis qui contra ipsum immediate deponat de visu asserti furti marmorum, et minus de eorum valore. Et quando inditia sunt remota ab ipso maleficio si essent mille testes singulares probantes a remotis, de diversis inditiis numquam coniungerentur ad faciendum inditium ad torturam, quia unum quodque inditium a remotis saltim debet probari per duos testes. Nec unum inditium sic probatum a remotis sufficeret ad torturam sed plura requiruntur, et licet inditia sind arbitraria, tamen judicis arbitrium debet regulari arbitrio boni viri et secundum regulas traditas in materia a doctoribus. Et profecto in casu nostro nullus pru-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
dens iudex procedendo arbitrio regulato, stante probatione bone fame inquisiti, ex unico inditio a remotis deberet procedere ad torturam, tanto magis in casu nostro in quo contra Franciscum ex dictis testium examinatorum pro parte Curie clare constat inditia esse remota, et illa tantummodo probari per singulos testes. Ultra quod (ut licet ex dictis ipsorum videre) omnes loquuntur de auditu et de iuditio ipsorum circa signa, quod inditium signorum non potest facere inditium sufficiens ad torturam, quoniam in signis de iure presumitur pluralitas et extante equivoca probatione non infertur necessario in alterum ex probatis. Accedat quod in testibus licet singularibus non deest timor suburnationis, ex quo videntur per consertatum sermonem inter eos in favorem magistri Michaellis Angeli deponere. Ultimo pro manifesta innocentia inquisiti illud iuridice adduci potest quod investigatio seu inquisitio de marmoribus nullo modo de iure procedere potest ex quo in ea non est deductum (pro ut de iure ad substantiam inquisitionis requiritur) quod asserta marmora furto subtracta, spectarent et pertinerent iure dominii vel quasi ad dictum magistrum Michaellem Angelum et minime deinde probatum, quo casu investigatio, seu inquisitio corruit et reus venit totaliter absolvendus. Et ita per vos et Curiam vestram fieri petit, ut supra, dictus procurator dicto nomine dictum reum principalem suum absolvi et liberari a dictis investigatione et querela et omnibus contentis in eis non tantum eo modo quo supra, sed etiam omni meliori modo etc.». asr,
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vernatore, Miscellanea di atti relativi ad artisti, b.
9, fasc. 502 (= Bertolotti 1875, pp. 72-74; Corbo 1965, p. 133-134, n. 79). [Il 1° agosto 1535 la tomba avrebbe dovuto essere completata] Doc. 369 1 settembre 1535 Breve di papa Paolo iii [...] Itaque te supremum architectum, sculptorem et pictorem eiusdem Palatii nostri Apostolici, auctoritate Apostolica deputamus ac nostrum familiarem cum omnibus et singulis gratiis, prerogativis, honoribus, oneribus et antelationibus, quibus alii nostri familiares utuntur et uti possunt, seu consueverunt, facimus, et aliis familiaribus nostris aggregamus per presentes […]. asv, Arm. xl, n. 52, c. 30 bis, n. 14 [il doc. è conservato in cassaforte e non ne è consentita la consultazione; per la ripr. fot. e la trascrizione cfr. Natalini, Pagano, Martini 1991, pp. 178-179, tav. xxxix] (cfr. Cancellieri 1790, pp. 82-83; Milanesi 1875, p. 708, n. lviii; Steinmann 1905, ii, pp. 742744 n. 2, 744-745 n. 3).
1536 Doc. 370 17 novembre 1536 Breve di papa Paolo iii Cum sicut nobis constat postquam dilectus filius magister Michaelangelus de Bonarotis, civis Fiorentin(us) <sic>, unicus et singularis pictor et statuarius, alias felicis recordationis Iulio pape .II. predecessori nostro, sub certis conditionibus industriam et operas suas locaverat ad fabricationem et constructuram sepulchri marmorei quod sibi vivens disponebat et preparabat pro ducatis decem millibus auri de cam(er)a, dictoque Iulio defuncto, testamenti ipsius Iulii executores summam decem millium ducatorum huiusmodi ad decem et sex mille ducatos similes et forsan aliam maiorem summam certo modo auxissent; ex dictisque sexdecim millibus ducat(is) summa octo milium ducatorum similium ipsi Michaelangelo a nobili viro Franc(isc)o Urbini duce, ad quem et executores predictos coniunctim vel divisim cure et perfectio sepulchri huiusmodi spectat, soluta fuisset et, manu operi forsan apposita, Franc(iscu)s Urbini dux vel executores predicti cum eodem Michaele Angelo concordes <sic>, || volente et consentiente ac pariter auctorizan(te)
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Documenti
pie me(morie) Clemente septimo etiam predecessore nostro, ad finem et effectum infra dicendum, ab omnibus et singulis conventionibus tam inter Iulium predecessorem primo quam successive per ipsos cum dicto Michaelangelo factis et initis, ad conventiones ac pactiones infrascriptas devenissent; inter alia, videlicet, ipsum Michaelem Angelum ab omnibus et singulis primo et secundo dictis conventionibus et pactis ac pecuniarum summis supra dictis per ipsum habitis quietassent absoluissent et liberassent, proptereaque idem Michaelangelus facere et dare novum modellum seu designum dicti sepulchri ad sui libitum ac etiam sex statuas marmoreas inceptas et nondum perfectas, sed sua mano perficiendas ac alia quecumque ad sepulturam predictam parata, et etiam infra certum tunc expressum nunc iam diu effluxum terminum summam duorum millium ducatorum similium, computata certa sua domo tunc expressa inextimata et quod ulterius exponi necesse esset, ut sepulchrum huiusmodi in loco infra quattuor menses sibi ex die celebrati contractus hic in Urbe assignando ad debitum finem perduci possit, pecuniasque ipsas sic exbursandas de tempore in tempus, de consensu et voluntate procuratoris dicti ducis, exbursare promiserit et se obligaverit; prelibatusque Clemens predecessor dicto Michaelangelo, qui forsan ab urbe Florentina sine ipsius Clementis licentia abesse non poterat ad Urbem veniendi et in ea standi per duos menses et plus vel minus, prout ipsi predecessori placeret, quotque p(re)ter dictas sex statuas opus sepulchri iuxta novum designum huiusmodi finiendum in totum vel in parte alii seu aliis, licentiam et facultatem concesserat. Pacto inter ipsos etiam adiecto quod, in eventum in quem ipse Michaelangelus premissa non observaret, quietatio predicta nulla et nullius roboris et momenti esset, et ipse Michaelangelus teneretur ad observationem aliarum supradictarum conventionum; ac, si premissa facta non fuissent, illa etiam obligatione que in ampliori forma camere apellatur iuramento et cum aliis clausulis et cautelis solitis et consuetis adiecta; cumque successive Clemens prefatus, decori et ornamento maioris capelle nostri palatii apostolici Sixtine nuncupat(e) intendens, ad caput et altare maius dicte capelle seu supra illud certas picturas fieri proponens, ipsum Michaelemangelum ad picturam huiusmodi iuxta designum cartonum per ipsum factorum evocasset eidemque, ut illi intenderet, sepulchri predicti et quocumque alio opere postposito, mandaverit, prout exinde citra idem Michaelangelus eidem operi intendit; [...] Ne autem idem MichaelAngelus, qui non culpa nec facto suo, sed parendo iussionibus et mandatis nostris et ipsius Clementis, minime sepulchrum predictum infra tempus conventum perfecit et forsan alia conventa non observavit nec adimplevit, aut heredes vel successores sui quicumque, super inobservatione et contraventione seu super incursu aliquarum censurarum vel predictarum aut aliarum etiam forsan penarum, tempore procedente, vexari seu molestari possit seu possint, indemnitatique sue providere volentes ac omnes et singulas tam primo cum ipso Iulio q(uam) postea cum executoribus et ultimo cum procuratoribus predictis ac alias quascunque forsan et quolibet alio modo initas et inita conventiones et pacta ac quecumque instrumenta desuper celebrata et stipulata, necnon quascumque alias tam publicas quam privatas scripturas pariterque omnes et singulas contraventiones et inobservantias ac etiam pecuniarias penas forsan incursas pro expressis et insertis habentes latiusque exprimi et etiam de verbo ad verbum, si videbitur, inseri posse volen(tes). Motu proprio etc. dicimus et verbo romani pontificis attestamur dictum Michaelem Angelum invitum et recusantem ac contradicentem tam per ipsum Clementem dum vixit quam per nos etiam post assumptionem nostram huiusmodi impeditum, retentum et detentum fuisse et fore et esse in presentiarumque etiam retineri et impediri, ne fabricature et expeditioni et constructioni sepulchri predicti, adimplemento et observationi omnium et singulorum predictorum assistere vel facere aut adimplere seu per se vel alium perficere potuerit sive valuerit, possit vel valeat, vel possit aut valeat. || <c. 234 r>[...]. Et nihilominus ne de cetero de mandato et impedimento
ipsius Clementis et nostro huiusmodi habeat dubitari vel in dubium revocari eidem Michaeliangelo, sub maioris excommunicationis et indignationis nostre penis; ipso facto, si non paruerit in cavendis ut premisso et cuicumque alteri operi impeditivo, quominus intendat comode picture capelle nostre huiusmodi inhibemus, quodque illis obmissis continuative et incessanter usque ad totalem perfectionem ibidem laboret precipimus ac committimus et mandamus; quodque ad proband(a) omnia et singula supradicta presentes et littere desuper in forma brevis expediende in iudicio et extra sufficiant nec ad id alterius probationis adminiculum requiratur vel in contrarium admittatur, nec de subreptione, obreptione sive intentionibus nostre vel quocumque alio defectu exceptione, oppositione vel allegatione impugnari possint, sicque et non aliter nec in contrarium per quoscumque etiam S. R. E. cardinales, palatii apostolici causarum auditores, presidentes et clericos Camere et quoscumque alios iudices iudicari, sententiari et diffiniri debere sublata eis et eorum etc. irritum et inane etc. decernimus; non obstantibus premissis constitutionibusque et ordinationibus apostolicis statutisque etiam et consuetudinibus etiam Urbis sive quarumcumque aliarum, etiam Florentin(e) civitat(is), monasteriorumque, in quibus forsan sepulchrum huiusmodi fit et fieri debet, etiam si sint sancti Benedicti vel alterius ordinis, etiam iuramento etc. roboratis regulaque de non tallendo iure quesito etc. privilegiisque et indultis etc. latissime extenden[dis] ceterisque in contrarium facien[tibus] non obstantibus quibuscumque, cum clausulis opportunis et consuetis seu necessariis. Fiat ut petitur etc. asv, Cam. Ap., Div. Cam., 103, cc. 232v-234v (cfr.
Steinmann 1905, ii, pp. 748-752, n. 4); è un breve che nasce da una supplica inoltrata da Michelangelo (?), cfr. asv, Reg. Suppl. 2229 (Pauli iii, anno iii, t. ii, c. 173-174). 1537 Doc. 371 Dicembre 1537 Ricordo di Sandro di Giovanni Io Sananadro di G[i]ovani òne ricivuto da Michela[n]g[i]olo ischudi ci[n]que, pere cho[n]to de la Madona che io facevo da deto Orebino. Io mi c[h]iamo co[n]te[n]to di quelo che io òne auto a fare cho lui, cho dito Michela[n]g[i]olo i[n] sino a questo di dice[m]bere 1537. [...] bm,
Add. Ms. 22731, cc. 15-16 (= Ricordi 1970, p. 298, n. cclix). 1539 Doc. 372 7 settembre 1539, domenica Il duca di Urbino Guidubaldo ii Della Rovere in Pesaro a Michelangelo in Roma Excellentissimo messer Michelagnolo, ancora che in noi sia stato sempre et sia hora più che mai quello infinito desiderio, che ragionevolmente potete imaginarvi, di vedere da voi condotta a fine l’opera della sepoltura della santa memoria di papa Giulio nostro zio, et che conosciamo molto bene appartenersi al debito nostro pigliarne buona cura di vederla una volta finita, per esser tenuti tanto quanto si sa a quella santa anima, nondimeno, inteso per lettere del nostro ambasciatore di Roma il molto desiderio di Nostro Signore, che habbiamo a comportare con buona patientia il sopraseder vostro in sì fatta opera, mentre Sua Santità vi tiene occupato nel compimento della pittura della capella detta di Sisto, né potendo noi, né volendo per debito et naturale inclination nostra, sì in questo come in ogni altra cosa, mancare alla satisfattione di quella, siamoci accontentati di buona voglia di accommodarvi, a contemplatione et per riverentia che portiamo a Sua Santità, potiate liberamente continuare in detta pittura sino al compimento di quella opera; con ferma opinione et speranza però, che, expeditovene, habbiate poi a voltarvi tutto al finimento di detta sepoltura, raddoppiandovi la vostra diligenza et sollecitudine,
per ricompensare ogni perdita di tempo, sì come Sua Santità ne ha fatto anco resolutamente promettere che sarete per fare, offerendocisi benignamente di volervene ella medesima sollecitare. Et a questo fine vi habbiamo scritto questa nostra, ché, per molto lungo tempo sia passato che da voi la detta sepoltura fu principiata, non potiamo persuaderne che in voi non sia equale desiderio al nostro di vederla finita; et reputandovi huomo d’honore, come crediamo al certo che siate, non potendo essere altrimenti per le vostre singolari virtù, a questo non vi confortiamo altrimenti, giudicando esser superfluo, ma solamente a conservarvi in sanità, acciò potiate honorare quelle sante ossa, che vivendo honoraron voi et gli altri virtuosi di quella età, per quello che molte volte ne habbiamo inteso; et vi preghiamo a volervi valer di noi, se in alcuna altra cosa vi potiamo compiacere, perché lo faremo con quella buona volontà che meritano le tanto rare virtù vostre. [...] ab, vii, n. 225 (= Carteggio 1965-83, 107, n. cmlxx). 1541
iv,
p. 106-
Doc. 373 [Agosto] 1541 Michelangelo in Roma al nipote Leonardo in Firenze Lionardo, per la tua intendo come desideri venire a·rRoma questo sectembre. A me pare che ’l tempo del venire sia la quaresima: però, poi che ài indugiato tanto, puoi aspectare insino al decto tempo, e in questo mezzo vedrò come seguiranno le cose mia, perché non mi vanno a mio modo. [...] ab, iv,
n. 46 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 116, n.
cmlxxix).
Doc. 374 19 novembre 1541 Nino Sernini al cardinale Ercole Gonzaga Si dice che N. S. vol che [Michelangelo] dipinga l’altra capelletta che ha fatta fare S. Beatitudine [...]. Archivio Gonzaga, Mantova (?) (= Mercati 1940, p. 13; Pastor 1924-33, v, pp. 842-843). Doc. 375 23 novembre 1541 Il cardinale Ascanio Parisani a Guidubaldo ii duca d’Urbino [...] Desiderando Nostro Signore ed essendo risoluto che Michelangelo metta mano a dipignere la sua cappella nuova di Palazzo, e sapendo la obligazione tiene con V. E. de la sepoltura di Papa Giulio e lo interesse che lei pretende in questo caso, me ne avea parlato ed impostomi ch’io le dovessi scrivere, esortandola a dar qualche assetto a questa causa, acciocché il detto Michelangelo possa con l’animo tanto più scarico attendere al servizio di Sua Beatitudine, mostrando che, avendo a dipignere la cappella, non si potrà per lui lavorare la sepoltura, per esser vechio e risoluto, finita detta cappella (se tanto vivrà), non poter più lavorare, e vi correrà tre o quattro anni, e bisognerà che per altra via vi si provveda. Io non ho mancato replicare a Sua Santità che voglia aver considerazione e rispetto a’ meriti e nome di quella santa memoria, et all’onore di V. E., la quale tuttavia era certo che, come devotissima sua, era per obbedirle in questa et in ogni altra maggior cosa, e ch’io le ne scriverei. Ne ho parlato col signor ambasciador suo qua, e così dico a lei che, vista la resoluzione di N. S. e considerato anco che per lei non fa stare in questa sospenzione, perché si potria un dì trovar senza la sepoltura e senza li danari, la conforterei in un tempo medesimo farsi grado con Sua Santità, e per fornirla una volta, contentarsi che la detta sepoltura si potesse dar a fornire ad altri maestri, con l’assistenza però del detto Michelangelo e suoi disegni, di sorte che la detta sepoltura si fornisca secondo l’ultimo disegno e contratto e obbligazione fra le parti, di che ne deve avere V. E. la copia. Io non ci cognosco altra differenza che questa, che le sei statue, quali si doveano fare di mano del predetto Michelangelo, si faranno per mano di un altro maestro
con il modello e disegno suo, benché si farà diligenza per veder se di queste sei statue se ne potrà avere qualcuna o fatta o abozzata di sua mano. Di che ne fo dubbio, perché Nostro Signore pare che se ne voglia valere a ornamento pubblico di detta cappella, asserendo che per lo nuovo disegno de la sepoltura non potriano servir quelle. Io vedo che, se ora non si piglia questa risoluzione per la sepoltura di Papa Giulio nel modo detto, non la vedremo più fornita a li dì nostri; perché nel contratto e convenzione fatta non ci mancano attacchi e sotterfugi di ritornare al primo disegno, con domandar deposito di altri ottomila scudi e luogo alla sepoltura in S. Pietro, fornita che sarà la fabrica. Imperò io conforto V. E. a mandare il mandato qui autentico, e contrattare e risolvere questa materia in persona di chi a lei parerà [...]. Pesaro, Biblioteca Oliveriana, cod. mss. 374 (= Betti 1820, pp. 396-398; Gaye 1839-1840, ii, pp. 290-291). 1542 Doc. 376 27 febbraio – 27 luglio 1542 Ricordo di una convenzione tra Michelangelo e Raffaello da Montelupo per tre statue il 27 febbraio 1542 e vari ricordi di pagamenti a Raffaello da Montelupo /17r/ Sia noto a qualunche persona come io Michelagniolo Buonarroti ò dato oggi, questo dì ventisecte di febraio 1542, a finire tre figure di marmo maggiore che ’l naturale, bozzate di mia mano, a Raffaello da Montelupo, scultore qui in Roma, per iscudi quactrocento; e decte figure decto Raffaello mi promecte infra diciocto mesi darmele finite, come qui disocto si soctoscriverrà; e per decto conto, decto dì, gli ò dati scudi venticinque: infra diciocto mesi mi promecte darmele finite cominciando decto tempo oggi, decto dì. Io Rafaello da Monte Lupo promectto et obligomi fare quanto in questa disopra si contiene, e pel sopra dictto conto dal dictto Michelagnolo ò risceuto oggi, questo dì ventisectte di febraio 1542, schudi venticinque. A più a dì 30 di marzo i’ ò risceuti schudi venticinque, e’ quali mi portò Ghabriello suo gharzone, pure per chonto della sopra dictta opra. A più a dì 2 di g[i]ugnio ebbi da Urbino schudi trenta d’oro in oro per chonto di Michelagnolo. A più a dì 27 di luglio ò risceuto schudi venticinque, conputando quelli tre che avanzano alli trenta schudi doro. [...] bm, Add. Ms. 33731, cc. 17-18 (= Ricordi 1970, p. 303, n. cclxviii).
Doc. 377 6 marzo 1542, lunedì Il duca di Urbino Guidubaldo ii Della Rovere in Pesaro a Michelangelo in Roma Molto excellente messer Michelagnolo, essendosi dignata Sua Santità farmi intendere il molto desiderio che tiene di servirsi della persona vostra per qualche tempo, in fare depingere et ornare la cappella da·llei novamente edificata in quel Palazzo apostolico, et reputando io, sì come faccio, ogni servitio et satisfattione di Sua Santità mio proprio, né d’altra maniera havendolo a core, acciò con l’animo tanto più libero vi potiate attendere, sono contentissimo, facendo voi ponere nella sepoltura della santa memoria di papa Giulio mio zio le tre statue interamente condotte et finite di mano vostra, comprendendovi in questo numero quella del Moysè, con satisfare appresso all’ultima perfettione dell’opera secondo gli ultimi appuntamenti, sì come a me viene detto che volentieri et prontamente vi siete offerto di voler fare, che le altre tre statue in quel mezzo potiate fare lavorare per mano d’altro buono et lodato maestro, con il proprio disegno, però, et assistentia della persona vostra, confidando fermamente che per vostra bontà et amorevolezza, così verso quella santa memoria come tutta casa mia, riuscirete effettualmente et vi diportarete in tutto di sorte, che l’opera in ogni sua parte non sarà se non molto laudata et giudicata bene degna di voi, et io harò causa di restarne benissimo satisfatto. [...]
ab, vii, n. 226 (= Carteggio 1965-83, n. cmlxxxix).
iv,
p. 128,
Doc. 378 16 maggio 1542 Allogazione del “quadro” della sepoltura di papa Giulio ii a Giovanni de’ Marchesi e Francesco d’Amadore da Urbino […] Sia noto a chi vedrà la presente come, havendo m. Michela(gno)lo Bonarroti più fa tolto a fare la sepultura della buona memoria di papa Giulio in Santo Piero in Vincola con più statue, come per e’ patti et conventioni fatti con li executori del testamento appare, et havendo di già dato principio al quadro et ornamento di detta sepultura, desiderando fornirla, conviene questo dì XVI di maggio 1542 con m.ro Giovanni di Marchisi scarpellino, abitante in piazza di Brancha et con Francesco di Bernardino d’Amadore da Urbino, alle soptoscripte conventioni. In prima aluogha loro tutta l’opera del quadro di detta sepultura da quello che sino al presente è fatto in su, come per uno disegnio fatto et soptoscripto di mano di me scriptore si vede, excepto certo ornamento che va sopra l’ultimo cornicione, il quale detto m. Michela(gno)lo à a far fare a sue spese. El quale resto di quadro detti m.o Giovanni et Francesco hanno a fare di marmi nuovi o vechi, secondo parrà a loro, purché sieno buoni et simili a quelli di sotto, et lavorarli nel medesimo modo et diligentia che il quadro fatto di sotto, secondo il disegnio et modello hauto dal detto m. Michela(gno)lo. E’ quali marmi et lavoratura habbino a fare a loro spese, simile il murarli, et questo in tempo di otto mesi proximi da oggi, salvo giusto impedimento, et per prezzo di scudi septecento di giuli x per scudo, con patto che habbino a pigliare lo scudo d’oro per giuli undici. Delli quali scudi septecento ne ha dati loro, questo dì, sc.di cento simili, e per lo avenire, ogni volta mosterranno el lavoro fatto per la monta de’ danari hauti, darà loro altri sc.di cento, et così successive sino allo intero pagamento della fine de l’opera, la quale in tutto fornita, detto m. Michela(gnol)o pagherà loro il resto sino a l’intero pagamento. Et sono d’acordo che, nascendo diferentie fra loro, ne sia iudice m.s /1v/ Donato Giannotti, alla semprice dichiaratione del quale promettono starne. Et per observantia di quanto è detto, si obrighano l’uno a l’altro et l’altro a l’uno, sopto pena di rifare l’uno l’altro, di chi mancassi, di tutti danni, spese et interessi, da giudicarsi per il detto m.s Donato Giannotti. Et in fede s’è fatto la prexente a richiesta di ciascuna delle parti, di mano di me Luigi del Riccio, prexenti m.s Donato Giannotti et Francesco Bracci; quale sarà soptoscripta di mano di tutti a dua loro, e’ quali d’acordo vogliono resti a presso di me Luigi del Riccio per servirne di loro chi ne avessi di bisogno etc.. Questo dì 16 maggio sopra detto 1542, in Roma. Io m.o Iovane ò reuto scude cento e prometo qua[n]to di sopra. Io Luigi del Riccio in nome di Francesco da Urbino, non sappiendo lui scrivere, a sua richiesta fo fede che si obrigha et promette come di sopra. Io Michelagniolo Buonarroti son contento e prometto quanto di sopra si contiene, questo dì sopra decto. Io Donato Giannotti fui presente a quanto di sopra si contiene. Io Francesco di Zanobi Bracci fui presente a quanto di sopra si contiene. /2v/1542 Scripta del sepulcro di papa Julio. Allogatione del quadro della sepoltura di papa Iulio a Francesco da Urbino et a maestro Giovanni scarpellino. ab, ii-iii, n. 21 (= Contratti 2005, pp. 237-238, n. xcviii; cfr. Milanesi 1875, pp. 710-711, n. lx).
Doc. 379 1 giugno 1542 Nuova allogazione a Giovanni de’ Marchesi e Francesco d’Amadore da Urbino del “quadro” della sepoltura di papa Giulio ii Havendo messer Michelangelo Buonarroti sino addì 16 di maggio proximo passato alloghato et dato a fare il resto del quadro della sepultura di
papa Iulio in S(an)to Pietro in Vincola a maestro Giovanni di Marchesi scarpellino, habitante in piaza di Branca, et a Francesco di Bernardino d’Amador(e) da Urbino, con più patti et convenzione, come per una scripta fatta fra loro sopto ditto dì larghamente appare; et essendo venuti detto maestro Giovanni e Francesco a rottura et a più differentie insieme, per il che l’opera ne pativa, et desiderando messer Michelangelo porre fine a tali lite, acciò che detta opera habbi a più presto possibile la sua prefectione <sic>, di consenso di tutti a dua e’ sopradetti maestro Giovanni et Francesco si ripiglia in sé la detta opera, ciedendo ciascuno di loro per la presente a tutte le iurisditioni o costioni e ragioni che per vigore della sopra allegata scripta o in qualunque altro modo ci potesino havere sopra, rendendola in tutto e per tutto liberamente al detto messer Michelangelo il quale, acciò che detta opera si fornisca, di nuovo la rialluoga come a piè: in prima, detto messer Michelangelo alluogha la sopradecta opera a Francesco di Bernardino d’Amadore da Urbino et a maestro Giovanni de Marchesi scarpellino per il medeximo prezo et a pagarsi ne’ medesimi tempi et modi come nell’altra convenzione dichiarati, nella quale li habbino a fare buoni scudi ciento, di giuli x per scudo, che hebbano in principio de l’opera, in diminiutione della somma di scudi septeciento simili che hanno avere di tutta l’opera, con patti che il detto Francesco da Urbino abbia ad attendere di continuo alla detta opera et esercitarsi in essa con ogni sua forza et ingegno non attendendo ad altro, et habbia lui a provedere a tutti li garzoni bisognassino e pagarli della compagnia, et a tòrre e’ marmi mancassino per fornire l’opera, quali sieno buoni et recipienti per il lavoro, secondo la forma dell’altra conventione; et habbia a sollecitare l’opera in modo che sia fornita a Natale proximo: in sino al qual tempo duri la provisione e non più. Et durando più che detto tempo, in ogni modo sia tenuto a sollecitare come prima, senza provisione, et solo i marmi si habbino a comprare di comune consenso et della bontà secondo la forma della prima scritta, || <c.75>a iuditio di detto messer Michelangelo; ma possa detto maestro Giovanni a suo piacere attendere alla sua bottega et alli altri lavori che alla giornata li accadessino. E perché detto Francesco da Urbino per seguitare questa opera ha lasciato altri lavori e facciende per le quali haveva buona provisione, sono d’acordo che durante l’opera abbia scudi sei, di giuli x per scudo il mese, cominciando addì primo di giugno presente et così succiessive; quali scudi sei si habbino a porre a conto della compagnia. Et il detto maestro Giovanni, per essere libero della persona sua, non habbia avere cosa alcuna, ma possa a suo piacer andare a veder lavorare acciò che li ordini che darà detto Urbino sieno idonei per l’opera. Anchor vogliono che alla fine del presente mese di giugno detto maestro Giovanni et Francesco da Urbino habbino a fare conto di tutti e’ marmi messi et lavoranti pagati per detta opera sino a quel dì presente Michelangelo, et che detto maestro Giovanni habbia a produrre e conti fatti altra volta con detto Francesco et habbino a saldare ogni cosa sino a quel giorno; et nasciendo fra loro diferentia alcuna, ne sia iudice messer Michelangelo, alla semplice parola del quale ciascuno di essi ne habbi a stare, sopto pena di scudi ciento da pagarsi, per chi contrafacessi, subito al governatore et fiscale di Roma; et in oltre quello che recalcitrassi s’intenda subito et sia fuori dell’opera et non habbia più che fare in essa. E di più sono d’accordo che di poi ogni mese detto Francesco abbia a fare conto con maestro Giovanni sopradetto presente messer Michelangelo, quale habbia a essere iudice di tutte le loro diferentie, sotto le pene sopradette contro a chi non stessi a quanto lui dicessi. Sono anchora d’accordo che tutti e marmi di detta opera si habbino a lavorare secondo il disegno dato loro <da> detto messer Michelangelo et nel modo che pareva a lui et alla fine dell’opera, la quale habbia a essere da llui aprovata se starà bene o no, et lui habbia a pagare loro quello restassino havere di scudi septiciento, di giuli x per scudo; e se l’opra fussi costata più, loro habbino a rifare lui, senza replica alcuna.|| <c.76> Convenghono ancora che in fine di detta
opera detto maestro Giovanni et Francesco habbino a fare conto insieme di tutto quello sarà costa, et essendovi utile, partecipino per metà, et similmente essendovi danno, che ciascuno concorra per metà et rifaccia detto messer Michelangelo della sua rata; e nasciendo, tanto ne’ conti quanto in ogni altra cosa, diferenzia fra li detti Francesco e maestro Giovanni, se ne rimettino e ne voglino stare alla semplice dichiarazione di detto messer Michelangelo, sopto le pene che di sopra è detto, senza alcuna replica. bnf, Magl., cl. xxxvii, 303, cc. 74-76 (cfr. Milanesi 1875, pp. 712-713, n. lxi).
Doc. 380 Giugno 1542 /38r/ Item convengono che in ditta opera sia obligato Orbino tenere tante opere quante se ne è tenute per il passato, acciò se finisca al tempo ordinato per l’altra scritta con m. Michelangilo, et più si farrà de bisogno. Et convengono, passati cinque mesi da incomenciare a dì primo de luglio, non sendo l’opera finita, non curra piu provisione al detto Urbino, ma ciaschun d’essi debbia fare et compire dicta opera Et se per li ordini ne l’opera de detto Orbino se fessi preiuditio, che m.o Giohanni per dicta causa non sia obligato. M. Michele, m.o Gi[o]vani in tucto e per tucto è contento di stare e rimetterse al juditio de m. Michele Angelo. Ma perché si potrebbe ditta opera mandar in longo, m.o Gi[o] vani vi adiunge li doi sopradetti pacti, quali son iustissimi. Et maxime si per colpa di Orbino patessi l’opera, non par conveniente m.o G[i]ovanni sia obligato et ancor vadi ad vedere, [se] serrà, causa, tanto più [si] sian concordi S(servitore) Jo. B. Caroso bnf, Magl., cl. xxxvii, n. 303, c. 38r-v (= Contratti 2005, p. 242, n. c).
Doc. 381 16 giugno 1542 /39/ Pro mandato R.di p. d. Curie causarum Camere apostolice generalis Auditoris seu d. d. Locumtenentis, et ad instantiam magistri Francisci de Urbino scarpellini in Urbe, qui alias devenit ad certam conventionem cum quodam magistro Joanne scarpellino in platea Branche super ornamento et confectione sepulture bone memorie Iulii pape II alias cepte in ecclesia S.ti Petri ad Vincula; post quam conventionem cum inter ipsum instantem et dictum magistrum Joannem orirentur nonnulle differentie, predictus instans et dictus magister Joannis dictas differentias de communi consensu remiserunt in d.um Donatum Joannotti etc., propterea inhibeatur dicto magistro Joanni scarpellino, visis presentibus subscripte comunionis etc. centum ducatorum auri de camera ipsa Camera Apostolica applicandorum penis, in negotio dicte sepulture se intromittere quoquo modo audere etc. presumere per se vel alium per alios, nisi prius sententiato per dictum Donatum Joannotti in quo dicte differentie remisse fuerunt etc. Iacopus Apocellus notarius subscripsi Repertum fuit visum die XVI junii 1542 per me Jo. Colini Cursi. /40/ m.o Giovani scarpellino in piaza di Brancha bnf,
Magl., cl. xxxvii, n. 303, cc. 39, 40 (= Contratti 2005, p. 243, n. ci).
Doc. 382 [Giugno - luglio 1542] Giovan Battista Caroso in [Roma] a Luigi Del Riccio in [Roma] Mag(nifi)co m. Aloisi come fratello, vi prego siate contento pregar quel celeste homo in terra assetti questo negotio de m(aestr)o Giuanni. Et se vi so’ importuno, me excusi l’amor porto ad m(aestr)o Giuanni et il desiderio tengo de e(ss)er servi(to)re de m. Michelangelo, anzi Angelo, al qual me recommandarete. [...] ab, xii, n. 21 (= Carteggio indiretto 1988-95, ii, p. 2, n. 234).
339
Michelangelo. Il marmo e la mente
Doc. 383 [Fine giugno o primi di luglio 1542] Michelangelo in Roma a Luigi Del Riccio [in Roma] Messer Luigi, signior mio caro, Vostra Signioria à maneggiata questa discordia che è nata fra Urbino e maestro Giovanni, e per non ci avere interesso ne potrà dare buon g[i]udicio. Io, per fare bene all’uno e all’altro, ò dato loro a fare l’opera che sapete. Ora, perché l’uno è troppo tachagnio e l’altro non è manco pazzo, è nata tal cosa tra loro che ne potre’ seguire qualche grande scandolo, o di ferite o di morte; e quando tal cosa seguissi o nell’uno o nell’altro, mi dorrebbe di maestro Giovanni, ma molto più d’Urbino, perché l’ò allevato. Però mi parrebbe, se la ragione lo patisce, cacciar via l’uno e·ll’altro e che l’opera mi restassi libera, acciò che il lor cactivo cervello non mi rovini e che io la possa seguitare. E perché è stato decto che la decta opera io la divida e diene una parte all’uno e una all’altro, questo io non lo posso fare, e a d[arla] tutta [a un solo] di lor dua farei ingiuria a quello a chi io non la dessi. Però non mi pare che e’ ci sia altro riparo che lasciarmi l’opera libera, acciò la possa seguitare; e de’ danari, cioè cento scudi che io ò lor dati, e delle fatiche loro, se l’anconcino tra·lloro in modo che io non perda. E di tal cosa Vostra Signioria prego gli metta d’achordo il meglio che si può, perché è opera di carità. E perché forse ci sarà qualchuno che vorrà mostrare d’aver fatto quel poco che è fatto tutto lui e di restare avere, oltre a’ ricevuti, molti altri danari, quando questo sia io potrò mostrare ancora io d’avere nella detta opera perduto un mese di tempo per la loro ignioranza e bestialità, e tenuto adrieto l’opera del Papa, che m’è danno di più di dugento scudi; in modo che molto più arò aver io da·lloro che loro dall’opera. Messer Luigi, io ò fatto questo discorso a Vostra Signioria inn·iscricto, perché a farlo a bocha, presente gl’uomini, mi spargo tutto in modo in loro che non mi resta fiato da parlare. [...] ab, v,
n. 75 (= Carteggio 1965-83,
cmxc).
iv,
p. 130, n.
Doc. 384 6 luglio 1542 /51/ Io m.o Giovanni de’ Marchesi sono contento che l’opera del quadro si Santo Pietro in Vincola allogatami m. Michela(gno)lo Buonarroti insieme con Francesco da Urbino, per diferentie nate fra noi sia fornita, et la rinuntio a detto m. Michela(gno)lo. Et sono contento che detto m. Michela(gno)lo mi dia per la mia parte de l’opera fatta quello parrà a lui onesto. Rimettendomi in tutto e per tutto in lui. Et in fede mi sono soptoscripto questo dì VI di luglio 1542, in palazzo di Santo Marco, prexenti Eurialo Silvestri et Luigi del Riccio, quali si soptoscriverranno qui da piè. Io magisstro Giovane de’ Marchise chonfeso chomo di sopra Io Eurialo fui presente a quanto di sopra Io Luigi del Riccio fui presente come di sopra, detto dì bnf, Magl., cl. xxxvii, n. 303, c. 51, 52 (= Contratti 2005, p. 244, n. cii).
Doc. 385 8 luglio 1542 Stima degli lavori della compania di Giovanni de’ Marchesi e Francesco d’Amadore da Urbino Adì 8 luglio 1542, Faciamo fede noi eletti zamatti, zioè[?] io maistro Iuliano, zamatto da Michelangello Bonaroda, e maistro Bernardino da Morcho, zamato da maistro Iovane da Sattri, e ’l dito Iuliano e Bernardino ano camato per terso Andreia Bevelaqua scarpellino a stimare e vedere uno lavoro che aveva a fare l’Orbino e maistro Iovane da Sattre a conpania; li sopra scritti maistri ano visto e misurato dito lavoro, trovano che dal dito lavoro n’è fato da li sete parte l’una, stimato ditto lavoro con consintimento da li sopra scrite partti e noi d’acordo avemo stimati insieme. […] bnf,
Magl., cl. xxxvii, 303, c. 47 (cfr. Gaye 18391840, i, p. 295; Milanesi 1875, p. 714, n. lxii).
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Documenti
Doc. 386 [Dopo l’8 luglio 1542] Michelangelo in Roma a Luigi Del Riccio [in Roma] Messer Luigi signior mio caro, io vi mando per Urbino che sta meco scudi venti che Vostra Signioria gli dia a maestro Giovanni per l’opera che sapete; e cavando di decta opera anchora decto Urbino, mi bisognia darne altri venti a·llui, che saranno quaranta: che arò già speso cento quaranta scudi, e di decta opera non è facto per sessanta. Sectanta cinque scudi arà avuti maestro Giovanni, che ve ne guadagnia sù trenta, e ’l resto de’ cento che io decti prima, da cinquanta cinque che prese maestro Giovanni per insino in cento, à speso Urbino in giornate e in marmi, poi che la compagnia si divise: e non à ’vuto in dua mesi niente, che arebbe aver di guadagnio il medesimo che maestro Giovanni, cioè trenta scudi, cavandolo dell’opera; ma con venti lo contenterò. Poi che fu facto e scricto el g[i]udicio della quantità facto di sopra decta opera, l’ò misurata da me e non truovo che ne sie facta la decima parte; ma ò ben caro che gl’uomini che g[i]udicorno dicessino la sectima in favore di maestro Giovanni, perché non si potessi dolere. Ma non v’è rimedio: e se nessuno avessi da dolersi, sarei io più che gli altri, che ci ò perduto dua mesi di tempo per impacciarmi con [loro]; ma più mi duole lo sdegnio del Papa che dugento scudi. Piglio troppa sicurtà in Vostra Signioria. Iddio mi dia di poterla ristorare. Maestro Giovanni à a liberare i marmi che son rimasi a Campidoglio, quegli che, poi che e’ ne fu pagato, non gli lasciò levare, che fu una delle cagion della quistione nata tra loro. E così à a fare fine d’ogni altra cosa. [...] ab, v,
n. 74 (= Carteggio 1965-83,
cmxci).
iv,
p. 132, n.
Doc. 387 11 luglio 1542, martedì Luigi Del Riccio in Roma a Michelangelo [in Roma] Magnifico et eccellentissimo messer Mich(elagno)lo, io ho fatto conto con maestro Giovanni et Urbino delle spese fatte a Santo Piero in Vincola, come di là vedrete, et trovo che maestro Giovanni à speso scudi 54, baiocchi 95 1/2, et Urbino scudi 37, baiocchi 5 ·–, che in tutto sono scudi 92 ·–. Che resta loro in mano scudi 8 ·–, quali li ha Urbino, perché maestro Giovanni ha speso scudi 54, baiocchi 95 1/2, et ha hauto scudi 50 ·– d’oro, che sono scudi 55 ·–, che viene il conto pari. Urbino ha hauto scudi 41 d’oro, che sono scudi 45 di moneta, et ne ha speso scudi 37, baiocchi 5 ·–. Li resta scudi 8 ·– in mano, che sono della compagnia. Ancora ci sono scudi 4 ·– di mantici, che, restando a l’opera, hanno a essere loro pagati, et voi li havete a pagare loro, che saranno scudi 12 ·–, quali si haranno a dividere fra loro. Restaci che maestro Giovanni ha messo xx carretate di marmi, per giuli 11, che, con le spese di cavatura et altro, vengono circa giuli 20 ·–, che dice vagliono assai più, et non li harebbe dati, se non che pensava avanzare in su l’opera. Ancora ci è che Urbino domanda le fatiche sua del tempo stato a Santo Piero in Vincola, per il che voi ora, in chi la cosa è rimessa, giudicherete et achoncierete tutto, che maestro Giovanni dice essere ancora lui stato a l’opera a lavorare. Et a Vostra Signoria mi offero et racomando. [...] [Postscritto:] Maestro Giovanni offre che, volendo voi che lui solo fornisca l’opera, la farà per scudi cento manco di quello gnene allogasti la prima volta. †1542 Nota di spese fatte maestro Giovanni scarpellino in piaza di Branca et Francesco da Urbino ne l’opera del quadro del sepulcro di papa lulio. Maestro Giovani. Per xx carretate di marmi vechii venduti a l’opera per giuli xi d’acordo la carretata, delle quali ne sono x in Campidoglio, che sono de l’opera, et x condotte a Santo Piero in Vincola et messe in opera [...] scudi 22·–
Per cavatura, c[i]oè per la strada fatta per cavare detti marmi vechii, quela di ragione non s’harebbe a pagare [...] scudi 3·70 Per uno paro di mantaci comprati per la compagnia [...] scudi 4· 3 Per curri per l’opera [...] scudi – 32 Per libre 19 di zeppe di ferro a baiocchi 3 libra [...] scudi –· 57 Per tiratura di marmi fuori della cava per 60 opere [...] scudi 7·20 Per cavatura et tiratura di marmi a lacopo et G(iovan)ni [...] scudi 6·60 Per condurre marmi in chiesa a dì 11 di giugnio [...] scudi –8 Per 42 giornate pagate alli scarpellini a più prezzi sino addì 11 di giugnio come per il suo libro [...] scudi 10·45 54·95 Urbino. Per 137 opere, a baiocchi 25 l’una, [scudi] 34, [baiocchi] 25 [...] scudi 34·25 Per tiratura de’ marmi da Campidoglio a Santo Piero in Vincola, di quegli che attenghano a maestro Giovanni [...] scudi 2·80 37· 5 54·95 92·– bnf, Magl., cl. xxxvii, 303, c. 49 (= Carteggio 196583, iv, pp. 133-134, n. cmxcii; cfr. Ricordi 1970, pp. 304-305, n. cclxix).
Doc. 388 20 luglio 1542, giovedì Michelangelo [in Roma] a papa Paolo iii [in Roma] Havendo messer Michelagnolo Buonarroti tolto a fare più fa la sepoltura di papa Iulio in Santo Piero in Vincola con certi patti et conventioni, come per uno contratto rogato per messer Bartolomeo Cappello sotto dì 18 di aprile 1532 appare, et essendo dipoi ricerco et astretto dalla Santità di Nostro Signore papa Paulo terzo di lavorare et dipigniere la sua nuova cappella, non possendo attendere al fornire della sepoltura et a quella, per mezo di Sua Santità di nuovo riconvenne con lo illustrissimo signor duca di Urbino, al quale è rimasta a cura la prefata sepoltura, come per una sua lettera de’ dì 6 di marzo 1542 si vede, che di sei statue che vanno in detta sepoltura [segue, cancellato: oltre a quella di papa Julio a diacere, che vi è messa] detto messer Michelagnolo ne potessi allogare tre a buono et lodato maestro, il quale le fornissi et ponessi in detta opera, et le altre tre, fra le quali fussi il Moises, le havessi lui a fornire di sua mano, et così fussi tenuto fare fornire il quadro, c[i]oè il resto de l’ornamento di detta sepoltura secondo il principio fatto. Onde, per dare esecutione a detto achordo, il prefato messer Michelagnolo alloghò a fornire le dette tre figure, quali erano molto inanzi, c[i]oè una Nostra Donna con il putto in braccio, ritta, et uno Profeta et una Sibilla a sedere, a Raphaello da Montelupo, fiorentino, aprovato fra e’ migliori maestri di questi tempi, per scudi quatro cento, come per scritta fra loro appare, et il resto del quadro et ornamento della sepoltura, excetto l’utimo frontispitio, alsì alloghò a maestro Giovanni de’ Marchesi et a Francesco da Urbino, scarpellini et intagliatori di pietre, per scudi septe cento, come per obrighi fra loro apare. Restavagli a fornire le tre figure di sua mano, c[i]oè un Moises et dua Prigioni, le quali tre figure sono quasi fornite. Ma perché li detti dua Prigioni furno fatti quando l’opera si era disegniata che fussi molto maggiore, dove andavano assai più figure, la quale poi nel sopra detto contratto fu risecata et ristretta, per il che non convenghono in questo disegnio, né a modo alcuno ci possono stare bene, però detto messer Michelagnolo, per non mancare a l’onore suo, dette cominciamento a dua altre statue che vanno dalle bande del Moises, c[i] oè la Vita contemplativa et la activa, le quali sono assai bene avanti, di sorta che con facilità si possono da altri maestri fornire. Et essendo di nuovo detto messer Michelagnolo ricerco et sollecitato dalla detta Santità di Nostro Signore papa Paulo terzo a lavorare et fornire la sua cappella, come di sopra è detto, la quale opera è grande et ricerca la persona tutta intera et disbrigata da altre cure, essendo detto messer Michelagnolo vechio
et desiderando servire Sua Santità con ogni suo potere, essendone da quella astretto et forzato, né possendo farlo se prima non si libera in tutto da questa opera di papa Iulio, la quale lo tiene perplesso della mente e del corpo, suprica Sua Santità, poi che è resoluta che lui lavori per lei, che operi con lo illustrissimo signor duca d’Urbino che lo liberi in tutto da detta sepoltura, cassandoli et anullandoli ogni obrighatione fra loro, con li sopto scripti onesti patti. In prima detto messer Michelagnolo vuole licentia di possere allogare le altre dua statue che restano a finire al detto Raphaello da Montelupo o a qualsivoglia altri, a piacimento di Sua Excellentia, per il prezzo onesto et che si troverrà, che pensa sarà scudi 200 incirca, et il Moises vuol dare fornito da lui, et di più vuole dipositare tutta la somma de’ danari che andranno in fornire del tutto la detta opera, ancora che li sia scommodo et che in la detta opera habbia messo in grosso, c[i]oè il resto di quello che non havessi pagato a Raffaello da Montelupo per fornire le 3 statue allogatoli come di sopra, che sono circa scudi 300, et il resto di quello non havessi pagato della fattura del quadro et ornamento, che sono circa scudi 500, et li scudi 200, o quel bisognerà, per fornire le due statue utime, et di più scudi 100 che andranno in fornire l’utimo frontispitio de l’ornamento di detta sepoltura: che in tutto sono scudi 1100 in 1200, o quello bisognerà, quali dipositerà in Roma, in sur uno banco idoneo, a nome del prefato illustrissimo signor Duca, suo et de l’opera, con patti expressi che habbino a servire per fornire detta opera et non altro, né si possino per altra causa tochare o rimuovere. Et oltre a questo è contento, per quanto potrà, havere cura a detta opera di statue et ornamento, che sia fornita con quella diligentia che si ricerca. Et a questo modo Sua Excellentia sarà sicura che l’opera si fornirà et saprà dove sono i danari per tale efetto, et potrà per sua ministri farla di continuo sollecitare et condurre a prefetione: il che ha a desiderare, essendo messer Michelagnolo molto vechio et occupato in opera da tenerlo tanto che a fatica harà tempo a fornirla, nonché fare altro; et messer Michelagnolo resterà in tutto libero et potrà servire et sadisfare al desiderio di Sua Santità, la quale suprica che ne facci scrivere a Sua Excellentia che ne dia qua ordine idoneo et ne mandi proccura sufitiente per liberarlo da ogni contratto et obrigatione che fussi fra loro. ab, ii-iii, n. 23 (= Carteggio 1965-83, iv, pp. 135137, n. cmxciii).
Doc. 389 20 luglio 1542, giovedì Michelangelo [in Roma] a papa Paolo iii [in Roma] Havendo messer Michelagnolo Bu[o]narroti tolto a·ffare più fa la sepoltura di papa Iulio in Santo Piero in Vincola con cierti patti et conventioni, come per uno contratto rogato per messer Ba[r]tolomeo Cappello sopto dì 18 di aprile 1532 appare, et essendo dipoi ricierco et astretto dalla Santità di Nostro Signore papa Paulo terzo di lavorare e dipignere la sua nova cappella, non possendo attendere al fornire della sepultura et a quella, per mezo di Sua Santità di nuovo riconvenne con lo illustrissimo signor duca di Urbino, al quale è rimasta a cura la prefata sepultura, come per una sua lettera de’ dì 6 di marzo 1542 si vede, che di sei statue che vanno in detta sepultura [segue, cancellato: oltre a quella di papa Julio a diacere, che vi è messa] detto messer Michelagnolo ne potessi alloghare tre a buono et lodato maestro, il quale le fornissi et ponessi in detta opera, et le altre tre, fra le quali fussi il Moises, le havessi lui a fornire di sua mano, et così fussi tenuto fare fornire il quadro, cioè il resto dell’ornamento di detta sepultura secondo il principio fatto. Onde, per dare esequtione a detto acchordo, il prefato messer Michelagnolo alloghò a fornire le dette tre statue, quali ero[no] molto innanzi, cioè una Nostra Donna con il putto im braccio, ritta, et un Profeta et una Sibilla a sedere, a Raffaello da Montelupo, fiorentino, aprovato fra e’ migliori maestri di questi tempi, per scudi quattro ciento, come per la scripta fra loro appare, et il resto del quadro et ornamento della sepu[l]tura, exciepto l’utimo frontispitio,
alsì alloghò a maestro Giovanni de’ Marchesi et a Francesco da Urbino, scarpellini et intagliatori di pietre, per scudi septe ciento, come per obrighi fra loro apare. Restavagli a fornire le tre statue di sua mano, cioè un Moises et dua Prigioni, le quali tre statue sono quasi fornite. Ma perché li detti dua Prigioni furno fatti quando l’opera si era disegnata che fussi molto maggiore, dove andavano assai più statue, la quale poi nel sopra detto contratto fu risecata et ristretta, per il che non convenghono in questo disegno, né a modo alcuno ci possono stare bene, però detto messer Michelagnolo, per non mancare a l’honore suo, dette cominciamento a dua altre statue, che vanno dalle bande del Moises, cioè la Vita contemplativa et la activa, le quali sono assai bene avanti, di sorta che con facilità si possono da altri maestri fornire. Et essendo di nuovo detto messer Michelagnolo ricierco et sollecitato da la deta Santità di Nostro Signore papa Paulo terzo a lavorare et fornire la sua cappella, come di sopra è detto, la quale opera è grande et ricierca la persona tutta intera et disbrighata da altre cure, essendo detto messer Michelagnolo vechio e desiderando servire Sua Santità con ogni suo potere, essendone alsì da quella astretto et forzato, né possendo farlo se prima non si libera in tutto da questa opera di papa Iulio, la quale lo tiene perplesso della mente et del corpo, suprica Sua Santità, poi che è resoluta che lui lavori per lei, che operi con lo illustrissimo signor duca di Urbino che lo liberi in tutto da detta sepultura, cassandoli et anulandoli ogni obrighatione fra loro, con li sopto scripti onesti patti. Il prima detto messer Michelagnolo vuole licientia di possere alloghare le altre dua statue che restono a finire al detto Raffaello da Montelupo o a qualsivoglia altri, a piacimento di Sua Excellentia, per il prezo honesto et che si troverrà, che pensa sarà scudi 200 incirca, et il Moises vuol dare finito da lui, et di più vuole dipositare tutta la somma de’ danari che andranno in fornire del tutto la detta opera, ancora che li sia scommo[do] et che in [la] detta opera habbia messo [in] grosso, cioè il resto di quello che non havessi pagato a Raffaello da Montelupo per fornire le statue alloghatoli come di sopra, che sono circa scudi 300, et il resto di quello non havessi pagato della fattura del quadro et ornamento, che sono circa scudi 500, et li scudi 200, o quello bisognierà, per fornire le dua statue utime, e di più scudi cento che andranno in fornire l’utimo frontispitio dell’ornamento di detta sepultura: che in tutto sono scudi 1100 in 1200, o quello bisognerà, quali dipositerà in Roma, in sur uno banco idoneo, a nome del prefato illustrissimo signor Duca, suo et de l’opera, com patti espressi che abbino a servire per fornire detta opera et non altro, né si possino per altra causa toccare o rimuovere. Et oltre a questo è contento, per quanto potrà, havere cura a detta opera di statue et ornamento, che sia fornita con quella diligientia che si ricierca. Et a questo modo Sua Excellentia sarà sicura che l’opera si fornirà et saprà dove sono i danari per tale effetto, et potrà per sua ministri farla di continuo sollecitare et condurre a prefectione: il che à a desiderare, essendo messer Michelagnolo molto vechio et occupato in opera da tenerlo tanto che a fatica arà tempo a fornirla, nonché a fare altro; et messer Michelagnolo resterà in tutto libero et potrà servire et sadisfare al desiderio di Sua Santità, la quale suprica che ne facci scrivere a Sua Excellentia che ne dia qui ordine idoneo et ne mandi proccura sufitiente per liberarlo da ogni contratto et obrighatione che fussi fra loro. bnf, Magl., cl. xxxvii, n. 303, cc. 68-71 (= Carteg-
gio 1965-83, iv, pp. 138-140, n. cmxciv).
Doc. 390 26 luglio 1542 Il cardinale Alessandro Farnese in Roma a Marco Vigerio vescovo di Senigallia […] Mando a v(ostra) s(ignoria). per ordine espresso di n(ostro) S(igno)re e per staffetta a posta l’inclusa scrittura datami di mano propria di s(ua) B(eatitudi)ne et la exhorto a vederla e considerarla bene e di poi pigliar subito assunto, o
in persona o per homo ben proporzionato, a ciò di disponere il <segue il rimando sor in basso a destra>|| sor duca d’Urbino a satisfar così all’extremo desiderio di s. B(eatitudi)ne in questa parte come ben fatto in tutto il resto di che la ha ricercata fin qui, sopra il lasciarle Michelangnolo tutto libero et expedito dall’obligo che tiene nell’opera della sepultura di papa Iulio santa memoria, certificando et assicurando l’excellentia sua che oltre il gran contento che ne darà a n(ostro). S(igno)re, entrarà in speranza et sicurezza di vedere una volta la perfettione di detta sepultura; che lasciandola in mano di Michelangnolo et(iam) per quella poca parte che se ne è riservata, può esser certa di non vederla mai perché n[è] n(ostro) Signore finchè vive né chi li succederà potrà, se ben volesse, permettere che lavori per altri et, per quel che a me ne pare, non credo che ci sia della vista sua, che è il principale della arte sua per molti anni; on(de) a s(ua) excellentia mette conto [a]l sicuro da ogni banda accettare li partiti che in detta scrittura si propongono, tra q[ua]li sapendo io che appresso la bontà et cortesia sua non sarà degl’ultimi il conoscere che ne farà a s(ua) Beatitudine piacer supra modo grato et accetto che per tale se li domanda et si preg[a], stima s(ua) Santità che v. S. non havrà molta difficultà a disponerla di compiacere in ciò alla Santità sua; on(de) con tanto [m]aggior animo exhorto v. s. a pigliar l’impresa e rimandarmene quanto più presto l’expeditione compita autentica che si desidera nel detto memoriale, che s. Beatitudine ne sta con incredibile expettazione non potendo senz’essa aver copia del detto Michelangnolo, et Dio sa che un dì li par un anno. Mi raccomando et offero a v. s. di continuo e la prego ad usar in questo negocio tutta la gran autorità et studio suo. [...] [Segue nota: Di poi fu mandata una forma della procura.] asv, Segr. Stato, Principi, 146 c, cc. 416v-417r (cfr. Mercati 1940, pp. 15-16).
Doc. 391 Fine luglio 1542 In nomine Domini. Amen. Per hoc presens publicum instrumentum cunctis pateat evidenter et sit notum qualiter cum sit quod alias egregius et excellens vir D. Michaelangelus de Bonarotis florentinus sculptor et pictor florentinus conduxerit et acceperit ad fabricandum et construendum sepulturam fe. re. Julii pape II ab Ill.mo et Excellent.mo Duce Urbini, et seu aliis, pro certo tunc inter eos convento pretio, et inde inter eosdem Ill.mum D. Ducem et D. Michaelangelum super huiusmodi sepultura et illius perfectione fuerunt facte et inite nonnulle conventiones et pacta, prout in actis D.ni Bartholomei Cappelli, Camere apostolice notarii, contineri dicitur, cumque idem D. Michaelangelus sit firme intentionis et animi sepulturam huiusmodi perficiendum, nihilominus ad obediendum et obtemperandum iniuntis S. in Christo patris et Domini nostri D.ni Pauli divina providentia pape tertii ab opere incepto huiusmodi ad effectum perficiendi et pingendi capellam Sixtinam destitit, et opus huiusmodi persequi et finire non valuti; cumque Idem Michelangelus dictam Capellam pingendi perfecerit et prelibatus S.D.N. papa velit et cupiat novam Capellam per eundeme Michelangelum pingi, hinc est quod anno etc., in mei etc. personaliter constitutus Ill.mus et Excell. mus D.D. Guidubaldus Dux Urbini inherens voluntatem prefati Sanctissimi Domini Nostri, citra tamen quorumcumque procuratorum suorum per eum hactenus quomodolibet constitutorum revocationem, omnibus melioribus modis, via, iure, causa et forma, quibus melius et efficacius de jure potuit et debuit, fecit, constituit, creavit et solemniter ordinavit suum verum, certum initum et indubitatum procuratorem, actorem factorem negociorumque suorum infrascriptorum gestorem ac nuntium specialem et generalem, ita tamen quod specialitas generalitati non deroget nec e contra, videlicet Mag.cum virum D … (procurat)orem prefati Ill.mi et Ex.mi Ducis constituentis, absentem tamquam presentem, specialiter et expresse ad ipsius Ill.mi et Ex.mi D. Ducis constituentis nominem et pro eo super
conductione et convenctione et constructione et fabricatione ac perfectione sepulture huiusmodi, et pecunis, ocasione premissa, per ipsum Michaelem Angelum receptis; cum eodem Michaelangelo concordandum pacisciendum convenienter et capitulandum ac concordiam, conventiones, pacta et capitula faciendum et iniendum, ipsumque d. Michaelangelum a quibuscumque obligationibus et instrumentis liberandum et absolvendum, ac quascumque obligationes ac instrumenta cassandum et annullandum, illorumque cassationi et annullationi consentientem, et super premissis quecumque instrumenta cum pactis, clausulis, conditionibus et obligationibus etiam juramento vallatis faciendum et fieri rogandum. Et generaliter … Promittens … Relevans bnf, Magl., cl. xxxvii, n. 303, cc. 58-59, 64-65 (= Contratti 2005, pp. 246-247, n. civ). Doc. 392 3 agosto 1542 Il duca di Urbino Guidubaldo ii Della Rovere in Urbino a Girolamo Tiranno in Roma [...] Magnifice dil(ectissi)me noster, ne contentiamo di buona voglia, per servigio de Nostro Signore, come in vero siamo tenuti, che m. Michelangelo Buonarotti, per attendere a fare quanto sia la mente di Sua S(anti)tà in pingere la sua capella o ciò ch’altro le paresse, lassi da parte il finire la cominciata opra del sepulcro della s(an)ta memoria di papa Iulio e che, nonostante il dinaro che per ciò fare ha recevuto, sia disobligato; con intesa, però, parendone che così convenghi, el sia prima tenuto ponere in deposito presso persona idonea il restante del dinaro che non havesse guadagnato, per darlo a chi da nui sarrà deputato per finire il sudetto sepulcro, qual sopremamente desideramo se reduchi al desiato fine, come conviene, e con quella più prestezza che fia possibile, assecurando Sua S(anti)tà che ’l dinaro non si levarà dal depositario né si convertirà in altro uso che per lo già detto. Però vui a nome nostro gli levarete et cassarete ogni ubligatione che per questo conto havesse, che vi ne diamo autorità per la presente di poterlo fare, adimpito prima quanto di sopra è detto. Et perché si possa sapere di quanta somma d(i) dinari s’harrà da fare il deposito, procurate con diligentia si veda per periti l’opra fatta sinhora, et così se giudichi la mercede sua. [...] ab, xii,
n. 14 (= Carteggio indiretto 1988-95, ii, p. 3, n. 235). Doc. 393 Dopo il 3 agosto 1542 Michelangelo a papa Paolo iii /72/ Sia noto a ciascuno etc. come, havendo m. Michelagnolo Buonarroti più tempo fa tolto a fare la sepultura di papa Iulio in S.to Pietro in Vincola com più patti et conventioni, come per un contratto fatto dipoi con lo Ill.mo Duca di Urbino sotto dì XXVIIII d’aprile 1532 appare, et essendo dipoi venuto a nuove conventioni con Sua Santità, come per una sua lettera scriptali sopto dì 6 di marzo 1542 si vede, et non havendo il detto m. Michela(gno)lo sino a qui possuto fornire detta opera per essere stato occupato in dipignere nella cappella di Sisto, né possendo per lo advenire attenderci per essere astretto dalla Santità di Nostro Signore papa Paulo III a dipignere la sua nuova cappella, et essendoli il dipignere forza, et per la età che tiene non possendo resistere a l’una et l’altra, et desiderando levarsi in tutto dal carico e obrigo che ha con il prefato Ill.mo S. Duca di detta sepultura, è di nuovo convenuto con Sua Excellenza per mezo di Sua Santità alle soptoscripte conventioni. Et prima detto m. Michelagnolo ha dipositato in sul banco di Salvestro da Montauto e compagnia di Roma etc., a nome di Sua Excellenza, suo e della detta opera, sc. mille, e’ quali a modo alcuno non si possino toccare o rimuovere, se non per spendere giornalmente per finire detta opera: cioè sc. 500 che ne ha havere Francesco da Urbino giornalmente per resto sc. 800, e questi per la monta de l’opera di tutto il quadro, cioè ornamento allogatoli per detto prezzo, quali andrà pigliando alla giornata secondo andrà lavorando; et sc. 450 che ne ha havere Raffaello da Monte Lupo scultore per resto di sc. 550 simili, e questo
per fornitura di cinque statue allogatoli a finire per detto prezo, cioè una Nostra Donna con il putto im braccio, quale di già in tutto è fornita, una Sibilla, un Profeta, una Vita Activa et una Vita Contemplativa, tutte bozate e quasi fornite di mano di detto Michelagnolo, le quali statue andrà alla giornata fornendo et pigliando danari; e di più sc.di 50 che si haranno a dare a Francesco da Urbino per condurre dette statue et metterle in su l’opera, che il Moises detto m. Michelagnolo lo darà fornito /73/ et condotto lui a sua spese. E’ quali scudi mille detto m. Michelagnolo à depositati , come di sopra, d’ordine e di consenso di m. Girolamo Tiranno, oratore di Sua Excellenza, per il che detto Oratore in nome di Sua Excellentia libera et absolve in tutto e per tutto il detto m. Michelagnolo tanto dal detto contratto fatto con Sua Excellentia sopto dì 18 d’aprile 1532 quanto da ogni altro contratto et conventione fatta per avanti o dopo, per promesse a parole o scripture e contratti o in qual altro modo si voglia, et ancho di tutti li denari che decto m. Michelagnolo havesse hauto da chi si voglia persona per conto di decta sepultura sino al dì presente, promettendoli che mai per tempo alcuno da Sua Excellentia, o altri in suo nome od altri sotto qualsivoglia quesito, colore di heredità, parentado, amicitia, et exequotore di testamento, od altro pretesto, non sara molestato per conto dell’opera di decta sepultura, né di danagi per questa hauti. Alle quale in tutto e per tutto in questo presente ultimo contratto si pone perpetuo silentio et se ne libera il detto m. Michelagnolo, come se mai non si havessi hauto a fare. Et così il detto m. Girolamo Tiranno, oratore di Sua Excellenza, in nome di Quella sì si obrigha, per la quale promette de rato e di piu che Sua Excellentia retifichera per notaro publico a questo contratto, e per una sua lettera che ne scriverrà a Michelagnolo: e questo promette dare in Roma infra 15 giorni da oggi. Il quale contrato etiam promette, poi che sarà venuto qui, farlo riconosciere infra 15 giorni da 3 persone idonee. bnf,
Magl., cl. xxxvii, n. 303, cc. 72-73 (= Contratti 2005, pp. 248-249, n. cv; cfr. Tolnay 1954, pp. 158-159). Doc. 394 17 agosto 1542 Il cardinale Alessandro Farnese all’ambasciatore del duca d’Urbino [...] havendo nostro Signore inteso con molto piacer suo per lettere di mons.r de Sinigaglia et anche per quel che ne è sta[to] sc[ritto] a v. S. mede(sima), quanto pronta et amor[ev]olmente il signor duca suo si sia contentato | <c.456 v. > di satisfare a s(ua)B(eatitudi)ne in disobligare et assolvere totalmente messer Michelangnolo Buonarroti dall’opera della sepultura di papa Iulio sa(nta) me(moria), condonando, rimettendo il tutto a s(ua) Beatitudine, le par anche che v. s. possa liberamente satisfare et compiacere il detto m(esser) Michelangnolo di quella disobligatione libera che desidera e prometterli senza altro la ratificatione di s(ua) ex(cellentia) perché, quando ben ciò non si comprendesse così specificatamente nella comm(issio)ne che v. s. ne ha havuta fin qui, essendo s(ua) B(eatitudi)ne certa che vi è virtualmente e promettendosi in questo caso dell’excellentia s(ua) a ogni cosa s’offerisce et piglia assunto di farla venire, e con quest’animo exhorta et stringe v s. a non farci più difficultà, ma satisfar tanto più prontamente et senza alcuna excettione a questo particolare, quantoche || <c. 457 r.> in esso consiste tutta la somma di quel si cerca in modo che, mancando quello, tutto il resto saria niente essendo così fatta la natura schietta di messer Michelangelo et a V(ostra) S(ignoria) mi offero et raccomando di continuare. di casa, a XVII. di agosto 1542. asv,
Segr. Stato, Principi, 146 c, cc. 456-457r (cfr. Mercati 1940, p. 17).
Doc. 395 20 agosto 1542 Contratto per la sepoltura di papa Giulio ii (fatta nel palazzo di San Marco in presenza del papa)
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Michelangelo. Il marmo e la mente
In nomine Domini. Amen. Conciosia che, havendo m(esser) Michelangelo Bonarrotti più t(em)po fa p(re)so a fabricare e costruere la sepoltura della fe(lice) re(membranza) di Iulio papa .II. con più et diversi patti et convenzioni, come per più diversi contratti sopra di ciò fatti appare, li quali furno cassati et annullati per uno contratto fatto dinanti alla bo(na) me(moria) di Clemente .VII. co’ lo ill(ustrissi)mo s(ignor) duca d’Urbino sotto dì .XXVIIIJ.di aprile .MDXXXIJ. con nove conventioni; li quali il p(refa)to m(esser) Michelangelo per iusti e l(egi)timi impedimenti fin qui non ha possuto adimpire né dar fine a detta sepoltura secondo detto ult(im)o contratto, presertim per esser stato occupato in dipingere la capella di Sixto in el Palazzo Apostolico; et non possendo il medesimo m(esser) Michelangelo anchor per l’avenire attendere a detta opera della sepoltura per essere costretto dalla Santità di nostro signore Paulo papa .IIJ. a dipingere la sua nuova capella, e per la ettà non potria resistere alla pittura et sculptura, desiderando levarsi et liberarsi in tutto dal carigo, obligo e co(nve)netioni che in el ditto contratto di .XXVIIIJ. d’aprile .MDXXXIJ. si contengano; et per questo essendo ultimamente venuto a nuove conventioni del prefato signor duca d’Urbino, come per una sua lettera sotto di .VJ. di marzo .MDXLIJ. diretta al (prefa)to m(esser) Michelangelo, dove si vede finalmente per mezanità di s(ua) b(eatitudi)ne hoggi, questo giorno soprascritto, davanti a s(ua) S(anti)tà e di suo consenso et voluntà il p(refa)to m(esser) Michelangelo constituto in p(rese)ntia (et)c(etera), di nuovo è convenuto e conviene con il prenominato illustrissimo s(ignor) duca, e per sua ecc(ellenti) a con il mag(nifi)co s(ignor) Girolamo Tiranno suo oratore p(rese)nte e per ditta sua ecc(ellenti) a stipulante, alle infrascritte conventioni et patti: inprimis di commune consenso et volontà li prefati s(ignori) ambasciatore e messer Michelangelo cassorno, annullorno et invalidorno, et per cassi, annullati et invalidi hebbero et hanno tanto il ditto contratto sotto dì .XXVIIIJ. d’aprile 1532, quanto ogni altro contratto et scripture per conto di detta sepoltura fatte inanti et poi ditto contratto; et così il medesimo oratore m(esser) Girolamo in nome di s(ua) eccel(lenti)a et per lei liberò et absolvì, et libera et absolve il medesimo m(esser) Michelangelo, presente et acceptante per sé et suoi heredi da ogni obligo et promessa et ancho conventione che il detto m(esser) Michelangelo per scripture publice et private o in qualsivoglia altro modo havesse fatto per conto di detta sepultura fin a questo dì, si come mai si ne fusse impacciato. Et questo ha fatto et fa detto oratore, però che m(esser) Michelangelo preditto ha già dipositato in sul banco di m(esse)r Silvestro da Montauto et compagni di Roma, in nome et ad istantia di sua eccell(enti)a e per complamento et fine di detta sepultura et opera, scudi millequatrocento di moneta, et ad commodo et pericolo di sua eccell(enti) a, talché di detto deposito non habbia più a fare esso messer Michelangelo et detti scudi millequatrocento in modo alcuno non possino toccare o rimovere|| se non per spendere giornalmente per finire detta opera, cioè scudi 800 che ha de avere Francesco d’Urbino, che già si crede n’habbia hauto 300; et questi scudi 800 sono per la monta dell’opera della parte di sopra del quadro, cioè ornamento che ci resta a fare per detta sepoltura allogatoli per prezzo di scudi 800, il quali pigliarà alla giornata secondo che lavorerà; et scudi 550 che ha d’havere Raphaello da Montelupo scultore, de’ quali già si dice ha hauto 105. Quali 550 sono per fornitura di cinque statue allogateli a finire per detto prezzo. Le quali statue sono una Nostra Donna con il Putto in braccio, quale di già in tutto è finita, una sibilla, uno profeta, una vita attiva et una vita contemplativa, bozzate et quasi finite di mano di detto messer Michelangelo; quali statue m(aest)ro Raphaello andrà alla giornata fornendo. E di più scudi 50 che si aranno a dare a Francesco d’Urbino per condurre le dette statue a San Pietro in Vincula, dove è cominciata detta sepoltura, et metterle in opera, et la statua del Moises, che va in questa opera, detto messer Michelangelo la darà finita e condutta a l’opera a sue spese et per detti scudi 1400 come di sopra depositati, di ordine et consenso del prefato signor ambasciatore. Esso
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Documenti
signor ambasciatore quieta, libera et absolve detto messer Michelangelo presente (et)c(etera) della opera predetta et sepultura, et di tutti li denari che detto messer Michelangelo havesse havuti da qualsivoglia persona per conto di detta sepultura fino al dì presente, lasciando libera et espedita al detto messer Michelangelo et per sua la casa, della quale si dice in ditto strumento di .XXIX. d’aprile .MDXXXIJ., promettendo che mai per conto di detta opera et fabrica di sepultura di Iulio papa .IJ., né per conto de’ denari che messer Michelangelo habbia havuti, né per conto di detta casa, per tempo alcuno dalla eccell(enti)a del prefato signor duca, né da altri in suo nome o da altri sotto qualsivoglia quesito colore di eredità, parentado, amicitia, executione di testamento o scripture publice o private sopra ciò fatte, o protesti etiam secretamente fatti, il detto messer Michelangelo, per quanto sua excellenzia puotrà, non sarà molestato, dechiarando che per questo contratto si ponga silenzio perpetuo a questo negocio di sepoltura per conto di detto messer Michelangelo. E per maggiore e più valida fermezza di tutte le soprascritte cose, il prefato messer Girolamo oratore, in nome della excellenzia del duca di Urbino prenominato e per lui promettendo de rato in forma valida, si obliga videlicet che sua excellenzia ratificarà per publico instrumento questo contratto e tutto quello che in esso si contiene e per lettera che sua excellenzia scriverà a messer Michelangelo in fra .xv. dì da oggi; il quale contratto e lettera sua excellenzia, subito che saran qui venuti fra detto tempo, farà recognoscere fra .xv. dì da poi da tre persone degne di fede. E di presenzia, consenso e volontà di sua beatitudine ambedui le parti, come di sopra, in detti nomi si obligorno in forma della Camera Apostolica da extendersi a longo con le submissioni, renunziazioni e constituzioni de’ procuratori e con tutte le altre clausole necessarie e consuete, non mutata la substanzia delle cose predette, e giurorno etc. Quibus omnibus et singulis premissis coram sua Sanctitate, sic ut prefertur lectis et stipulatis, etiam de illis idem prelibatus sanctissimus dominus noster plene informatus, salva etiam latissima et amplissima confirmatione etc. Acta fuerunt hec Romae in palatio Sancti Marci in camera sue sanctitatis [presentibus ibidem Reverendis patribus domino Alexandro episcopo Adiacensi, sue Sanctitatis magistro domus, et Nicolao Ardinghello episcopo Forosemproniensi, eiusdem domini nostri Pape datario, D. Bernardino Helvino, thesaurario generali Sedis Apostolice, ac domino Jacopo Cortesio et aliis testibus etc. Bartholomeus Cappellus, notarius rogatus bnf,
Magl., cl. xxxvii, 303, cc. 27-28, 33 (= Contratti 2005, pp. 250-255, n. cvi; cfr. Milanesi 1875, pp. 715-716, n. lxiii).
Doc. 396 21 agosto 1542 Girolamo Tiranno, oratore del duca d’Urbino, alloga a Raffaello da Montelupo cinque statue di marmo e a Francesco, detto l’Urbino, il resto del lavoro del “quadro” della sepoltura di papa Giulio ii […] Per hoc presens publicum instrumentum cunctis pateat evidenter et sit notum qualiter anno ab eiusdem Domini Nativitate millesimi quingentesimi quadragesimi secundi indictione quintadecima die vero vigesima prima augusti Pontificatus S.mi in Christo patris et D.ni n.ri D.ni. Pauli divina providentia pape III anno octavo in mei notarii publici testiumque infrascriptorum ad hec specialiter vocatorum presentia, personaliter constitutus Il Mag.co m. Hieronimo Tiranno, oratore dell’Ill. mo S.or Duca di Urbino, in nome di Sua Excellentia, di m. Micchelangelo Bonarruoti et de l’opera della sepoltura della fe. re. di Iulio papa II, incominciata in la chiesa di San Pietro al Vincula di Roma, acciò che la detta opera abbia il suo debito fine in ogni miglior modo che possa et debba, allogò et dette a m.o Raphaello da Montelupo, scultor fiorentino, a finire cinque statue di marmo che vanno in detta sepoltura et che erano prima sbozzate et quasi finite dal predetto m. Micchelangelo Bonarruoti, le quali sono videlicet: una Nostra Donna con il putto in braccio, una sibilla,
un propheta, una vita activa et una contemplativa; et tutte per prezzo di scudi cinquecento cinquanta di moneta, a iuli X per scudo. Le quali statue esso m.o Raphaello ha da dar finite del tutto nella stanza dove sono in casa del predetto m. Micchalangelo Bonarruoti nel modo et secondo che giornalmente li ordinarà et commetterà il detto m. Micchelangelo, a cui obedienza ha da stare; et questo in tempo di xx mesi proximi, cominciati questo dì. De’ quali scudi cento cinquanta detto m.o Raphaello, quivi presente, confessò havere havuto scudi cento cinque per mano del medesimo m. Micchelangelo Bonarruoti in più partite fino a questo dì ventuno di agosto, et il resto, che sono scudi quattrocento quaranta cinque simili, ha havuto una cedula del banco di Silvestro da Montauto et compagni per averli alla giornata, secondo andarà lavorando, et di ordine et per poliza del predetto m. Micchelangelo, sottoscritta di mano del predetto mag.co S.or Imbasciator; et m. Luigi del Riccio nomine proprio, promesse et promette che il predetto m.o Raphaello finirà per il detto prezzo le dette cinque statue in detto tempo, salvo /1v/ iusto et legitimo impedimento, il qual cessante, sia in ogni modo tenuto a finirle. Item il detto S.or Imbasciatore, in nome come di sopra, similmente allogò a Francesco d’Amadore da Urbino, etiam presente, tutto il resto del quadro, cioè de l’ornamento di detta sepoltura, cominciata, come è detto di sopra, in San Pietro ad Vincula, con tutto il f[r]ontespitio et candellieri; il qual quadro, ornamento et opera ha da fare di ordine et comandamento del detto m. Micchelangelo, et come a lui parrà et secondo il disegno che ha mandato detto m. Micchelangelo a Sua Excellenza, dove di sua mano è notata l’altezza et larghezza: et questo detto Francesco ha da fare per prezzo di scudi ottocento di moneta, a iuli x per scudo. La qual opera detto Francesco promesse aver finita in dieci mesi proximi, similmente cominciati questo dì. De’ quali scudi ottocento di moneta, detto Francesco confessò avere avuto trecento in più partite per mano del medesimo m. Micchelangelo, et il resto ha ricevuto in una poliza, over cedula, del bancho di messer Silvestro da Montauto et compagni, per averli alla giornata, secondo andrà lavorando, di ordine et per poliza del detto m. Micchelangelo et sottoscritta di mano del predetto S.or Imbasciatore. Et più il detto Francesco si obligò et promesse che detto m. Micchelangelo ritoccherà la faccia della statua di papa Iulio che è in su l’opera, et quella de’ termini, secondo che ad esso m. Micchelangelo parrà stia bene. Et ancho detto Francesco da Urbino si obligò condurre et far condurre a sue proprie spese le cinque statue che vanno in detta sepoltura, da casa del detto m. Micchelangelo, dove sonno, in su detta opera, dove hanno a stare, per prezzo di scudi cinquanta simili di moneta: quali dicano già essere depositati, come di sopra, per haverli detto Francesco quando egli arrà condotte e poste dette statue a luogo loro. Li quali m.o Raphaello, m. Luigi et Francesco presenti per observatione di tutto quello che di sopra è detto et scritto, si obligorno et ciaschun se obligò in forma amplissima della Camera Apostolica, da extendersi con tutte le clausule, cautele et promissioni solite et opportune; et giurorno ad sancta Dei evangelia. Le quali cose furon fatte come di sopra, in Roma nel Consolato de’ Fiorentini, presenti m. Gio. Pandolfini, cittadin fiorentino, et Gio. Bancozzo, clerico fesulano, testimoni. Et ego Bartholomeus Cappellus de Montepolitiano Camere apostolice notarius et Nationis florentine de Urbe cancellarius de premissis, ut supra gestis, rogatus hoc presens publicum instrumentum aliena manu fideliter scriptum subscripsi et publicavi meis nomine et signo consuetis in fidem premissorum muniendo requisitus. ab, ii-iii,
n. 25 (= Contratti 2005, pp. 256-258, n. cvii; cfr. Milanesi 1875, pp. 717-718, n. lxiv).
Doc. 397 21 agosto 1542 Ricordi (di mano ignota) M.o Raffaello da Montelupo havere addì 21 d’agosto sc. 445 di moneta havuti da ms. Hieronimo Tiranno horatore del Signore Duca d’Urbino per
mano di ms. Michelag(no)lo Bonarroti d(etto) /45/ † 1542 sc. 445 -125 ______
550 -105 ______
295 -125 ______
125 +105 ______
sc. 320
445 -150 ______ 295
170
230
bnf,
Magl., cl. xxxvii, 303, c. 45 (= Ricordi 1970, pp. 359-360, n. cccviii). Doc. 398 [prima del 29 agosto 1542] Michelangelo [in Roma] a Luigi Del Riccio [in Roma] Messer Luigi, io vi mando un sacho di carte scricte, acciò che Vostra S(ignio)ria vegga quale è quella che s’à a mandare al Cortese, e quella che è dessa, prego dica a Urbino che la facci copiare e che l’aspecti e pag[h]i e dipoi la porti al decto Cortese; e non possendo oggi Vostra S(igniori)a actendere a·cciò, Urbino mi riporti decte scricte e rimanderovele un’altra volta quando sarà tempo. [...] ab, v,
n. 70 (= Carteggio 1965-83, cmxcv).
iv,
p. 141, n.
Doc. 399 23 agosto 1542 Fede di Raffaello da Montelupo /19r/ Io Raffaello da Montelupo scultore fiorentino, havendomi messer Micchelangelo Buonarroti allogato più statue della sepultura di papa Iulio a fornire et fra le altre una vita comtemplativa et una vita activa per sc.di cento cinquanta di moneta, per la prexente sono contento, nonobstante tal conventione, che detto m. Michela(nge)lo possa fornire da sé dette dua statue, c[i]oè la vita contemplativa et activa, quali fornendo lui da sé io non habbia havere detti sc.di cento cinquanta, ma restino al ditto m. Michelangelo, come è onesto. Et in fede ò fatto fare la presente, soptoscripta di mia propria mano, in Roma, addì 23 d’agosto 1542. Io Rafaello da Monte Lupo sono contento come di sopra, e però mi sono sottoschrictto. /20v/ + Conventione con Raffaello da Montelupo per fornire “di mia mano” la vita contemplativa et attiva. bl, Add. Ms. 22731, f. 19/20 (= Contratti 2005, p. 259, n. cviii; cfr. Maurenbrecher 1938, pp. 163-165, n. 49).
Doc. 400 29 agosto 1542, martedì Luigi Del Riccio in Roma a Michelangelo [in Roma] Molto magnifico et excellente messer Mich(elagno)lo, quanto io desideri servirvi lo sa ciascuno che mi conoscie, et se bene mancai in la cosa delli x scudi, ne fu causa il volere servirvi troppo bene: però io sarò in questo caso la lancia d’Achille, che da un lato feriva et da l’altro medicava le piaghe, come vedrete al tempo. Et se la sorte havessi voluto che voi fussi stato del medesimo opinione di messer Donato, buon per voi; però ò speranza che al fine vi darete. Io sarò con messer Iacopo Cortesi et non mancherò di sollecitare il vostro contratto. [...] ab, vii, n. 186 (= Carteggio 1965-83, n. cmxcvi).
iv,
p. 142,
Doc. 401 [29? agosto 1542, martedì] Michelangelo [in Roma] a Luigi Del Riccio [in Roma] Messer Luigi s(igno)re mio caro, d’un grandissimo piacere vi prego quanto so e posso, e questo è che veggiate certo scricto che à facto per me il Cortese, perché io non lo intendo e non vi posso
andare, come vi raguaglierà Urbino. E per non gli parere ingrato vi prego ringratiate Sua S(ignio)ria e rachomandatemegli; e voi mi perdonate della troppa sicurtà. [...] ab, v,
n. 71 (= Carteggio 1965-83,
cmxcvii).
iv,
p. 143, n.
Doc. 402 2 settembre 1542 − 22 gennaio 1543 Ricordi (di mano ignota) /44/ † 1542 M.o Raffaello di contro dare addì 2 di sette(m) bre sc. 25 di moneta pagatoli per poliza di ms. Michelag(no)lo e dell’Horatore d’Urbino [...] sc. 25 e addì 30 detto sc. 25 pagatoli come sopra [...] sc. 25 e addì 24 di nove(m)bre sc. 25: portò d(etto) [...] sc. 25 e addì 26 di dice(m)bre sc. 25: portò d(etto) [...] sc. 25 e addì 22 di gennaio sc. 25: portò d(etto) [...] sc. 25 ¯¯¯ sc. 125 bnf, Magl., cl. xxxvii, 303, c. 44 (= Ricordi 1970, p. 359, n. cccviii).
Doc. 403 12 ottobre 1542 Il cardinale Alessandro Farnese a Marco Vigerio vescovo di Senigallia [...] L’opera, che v. .s fece col s.or duca d’Urbino perché si contentasse di liberar et quietare messer Michelagnolo Buonarroti siché potesse con ogni sicurtà attendere a servire n. S.re, maxime a dipingere | <c. 61 r.>questa sua nova cappella, fu gratissima a s(ua) Beatitudine; ma v. s. si persuada che non meno accetto le sarà che la si adoperi alla recevuta di questa, che quanto piu presto s ex(cellentia) faccia stipular l’alligato contratto della ratificatione promessa per instrumento qui dell’amb(asciad)ore suo, perché senza esso alla natura di quell’homo raro non si e dato satisfattione alcuna, né li pare in effetto relevante quel che è passato fin qui et dinanzi a s. B.ne se questa ratificatione non viene. [...] asv,
Segr. Stato, Principi, 146 b, c. 60v-61v (cfr. Frey 1913, p. 147, n. 11a: collocata erroneamente all’anno 1541, cosa impossibile per il contenuto; la lettera è catalogata nel «registrum litterarum a die prima Nouembris usque ad ultimum dicti mensi 1542» del cardinal Farnese; cfr. Mercati 1940, p. 12 n. 10, indicazione corretta al 1542).
Doc. 404 [Settembre - 24 ottobre 1542] Michelangelo in Roma a Luigi Del Riccio [in Roma] Messer Luigi signior mio caro, el mio amore à retificato al contratto che io gli ò fatto di me, ma dell’altra retificagione che voi sapete non so già quello che me ne pensi; però mi rachomando a voi e a messer Donato e al terzo poi o prima, come volete. [...] ab, xiii, n. 55 (= Carteggio 1965-83, iv, n. cmxcix). Doc. 405 5 ottobre 1542 Fede di Raffaello da Montelupo /21r/ Io Rafaello schultore fo fede come oggi, questo dì 5 d’otobre 1542, o risceuto schudi dieci di moneta da Urbino per chonto di 4 teste di termini pe San Pietro in Vinchola che li factti Jachomo, mio gharzone. [...] bm, Add. Ms. 22731, c. 21r (= Ricordi 1970, p. 305, n. cclxx).
Doc. 406 [prima del 24 ottobre 1542] Michelangelo [in Roma] a Luigi Del Riccio [in Roma] Messer Luigi amico caro, io son molto sollecitato da·mmesser Pier Giovanni [Aliotti] cominciare a dipigniere, e, come si può vedere, ancora per
quattro o sei dì non credo potere, perché l’arricciato non è secho in modo che si possa cominciare. Ma c’è un’altra cosa che mi dà più noia che l’arr[i]ciato, e che, non che dipigniere, non mi lascia vivere; e questa è la retificagione che non viene, e conosco che m’è date parole, in modo che io sono in gran disperatione. Io mi son cavato del cuore mille quattro cento scudi che m’arebbon servito sette anni a·llavorare, che arei fatto dua sepulture, non che una: e questo ò fatto per potere stare in pace e servire il Papa con tucto il cuore. Ora mi truovo manco i danari e con più guerra e afanni che mai. Quello che ò fatto circa i decti danari, l’ò fatto col consenso del Duca e col contratto della liberatione; e ora che io gli ò sborsati, non vien la retificatione: in modo che si può molto ben vedere che significa questa cosa, senza scriverlo. Basta che, per la fede di trentasei anni e per essersi donato volontariamente a altri, io non merito altro: la pictura e la scultura, la fatica e la fede m’àn rovinato e va tuttavia di male in peggio. Meglio m’era ne’ primi anni che io mi fussi messo a fare zolfanegli, ch’i’ non sarei in tanta passione! Io scrivo questo a Vostra S(igniori)a, perché, come omo che mi vuol bene e che à maneggiata questa cosa e sanne il vero, lo farà intendere al Papa, acciò che e’ sappi che io non posso vivere, non che dipigniere: e se ò dato speranza di cominciare, l’ò data con la speranza della detta retificagione; che è già un mese che ci avea a essere. Non voglio più stare socto questo peso, né essere ogni dì vituperato per g[i]untatore da chi m’à tolto la vita e l’onore. La morte o ’l Papa solo me ne posson cavare. [...] bm, iv,
Add. Ms. 23139, c. 36 (= Carteggio 1965-83, pp. 148-149, n. m).
Doc. 407 [prima del 24 ottobre 1542] Michelangelo [in Roma] a monsignor ... [in Roma] Monsignor, la Vostra Signoria mi manda a dire che io dipinga et non dubiti di niente. Io rispondo che si dipigne col ciervello et non con le mani; et chi non può avere il ciervello seco, si vitupera: però fin che la cosa mia non si acconcia, non fo cosa buona. La retificagione dell’utimo contratto non viene; e per vigore dell’altro, fatto presente Clemente, sono ogni dì lapidato come se havessi crocifixo Cristo. Io dico che detto contratto non intesi che fussi recitato, presente papa Clemente, come ne ebbi poi la copia: et questo fu che, mandandomi il dì medesimo Clemente a Firenze, Gian Maria da Modonna inbasciadore fu col notaio et fecielo distendere a suo modo; in modo che, quand’io tornai e che io lo riscossi, vi trovai sù più mille ducati che non si era rimasto; trova’vi sù la casa dov’io sto, et cierti altri uncini da rovinarmi, che Clemente non gli are’ sopportati. Et frate Sebastiano ne può essere testimonio, che volse che io lo faciessi intendere al Papa e fare appiccare il notaio; io non volsi, perché non restavo obrigato a cosa che io non l’avessi potuta fare, se fussi stato lasciato. Io giuro che non so d’avere avuti i danari che detto contratto dicie et che disse Gian Maria che trovava che io havevo havuti. Ma pogniamo che io li habbia havuti, poi che io gli ò confessati et che io non mi posso partire dal contratto, e altri danari, se altri se ne trova, e faccisi una massa d’ogni cosa, e veghasi quello ch’ò fatto per papa Iulio a Bologna, a Firenze e a Roma, di bronzo, di marmo e di pittura, et tutto il tempo ch’io stetti seco, che fu quanto fu Papa; et veghasi quello che io merito. Io dico che con buona coscienza, secondo la provisione che mi dà papa Pagolo, che dalle rede di papa Iulio io resto havere cinque milia scudi. Io dico ancora questo: che io ò auto tal premio delle mie fatiche da papa Iulio, mie colpa, per non mi essere saputo ghovernare, che, se non fussi quello che m’à dato papa Pagolo, io morrei oggi di fame. E secondo questi imbasciadori, e’ pare che e’ mi abbi aricchito et che io habbi rubato l’altare, e fanno un gran romore: et io saprei trovare la via da fargli stare cheti, ma non ci sono buono. Gia’ Maria, imbasciadore a·ttempo del Duca vechio, poi che fu fatto il contratto sopra detto, presente Clemente, tornando io da Firenze e cominciando a lavorare per la sepultura di Iulio, mi
disse che, se io volevo fare un gram piaci[e]re al Duca, che io m’andassi con Dio, ch’e’ non si curava di sepultura, ma che haveva ben per male che io servissi papa Pagolo. Allora conobbi per quel che gli aveva messa la casa in sul contratto: per farmi andare via et saltarvi dentro con quel vigore; sì che si vede a quel che ucciellano e fanno verghogna a’ nimici, a’ loro padroni. Questo che è venuto adesso ciercò prima quello che io avevo a Firenze, che e’ volessi vedere a che porto era la sepultura. Io mi truovo aver perduta tutta la mia giovineza, legato a questa sepoltura, con la difesa quant’ò potuto com papa Leone e Clemente; et la troppa fede non voluta conosciere m’à rovinato. Così vuole la mia fortuna! Io veggo molti con dumila e tre mila scudi d’entrata starsi nel letto, et io con grandissima fatica m’ingiegno d’impoverire. [...] [Postscriptum] Anchora mi occorre cose da dire: e questo è che questo imbasciadore dicie che io ò prestati a usura i danari di papa Iulio, e che io mi sono fatto ricco con essi; come se papa Iulio mi avessi innanzi conti octo milia ducati. I danari che ò auti per la sepultura, vuole intendere le spese fatte in quel tempo per detta sepultura, si vedrà che s’apressa alla somma che harebbe a dire il contratto fatto a tempo di Clemente. Perché il primo anno di Iulio che m’alloghò la sepultura, stetti otto mesi a Carrara a cavare e’ marmi et condussigli in sulla piazza di Santo Pietro, dove havevo le stanze dreto a Santa Catherina; dipoi papa Iulio non volse più fare la sua sepultura in vita et mesemi a dipignere; dipoi mi tenne a Bologna dua anni a fare il Papa di bronzo che fu disfatto; poi tornai a Roma et stetti seco insino alla morte, tenendo sempre casa aperta, senza parte e senza provisione, vivendo sempre de’ danari della sepultura, che non avevo altra entrata. Poi, dopo detta morte di Iulio, Aginensis volse seguitare detta sepultura, ma magior cosa, ond’io condussi e’ marmi al Maciello de’ Corvi, et feci lavorare quella parte che è murata a Santo Pietro in Vincola et feci le fighure che ò in casa. In questo tempo papa Leone, non volendo che io faciessi detta sepultura, finse di volere fare in Firenze la facciata di San Lorenzo et chiesemi a Aginensis, onde e’ mi dette a forza licienzia, con questo, che a·fFirenze io faciessi detta sepultura di Iulio. Poi che io fui a Firenze per detta facci[a]ta di San Lorenzo, non vi havendo marmi per la sepultura di Iulio ritornai a·cCarrara et stettivi tredici mesi et condussi per detta sepultura tucti e’ marmi in Firenze, et mura’vi una stanza per farla et cominciai a·llavorare. In questo tempo Aginensis mandò messer Francesco Palavisini, che è oggi il vescovo d’Aleria, a·ssollecitarmi et vidde la stanza et tutti i detti marmi e fighure bozzate per detta sepultura, che ancora oggi vi sono. Veggiendo questo, cioè ch’i’ lavoravo per detta sepultura, Medici che stava a Firenze, che fu poi Clemente, non mi lasciò seghuitare: et così stetti impacciato insino che Medici fu Clemente, onde, sua presenza, si fe’ poi l’utimo contratto di detta sepultura innanzi a questo d’ora, dove fu messo che io havevo ricieuti gli otto milia ducati che e’ dicono che io ò prestati a usura. Et io voglio confessare un peccato a Vostra Signoria, che, essendo a·cCarrara, quando vi stetti tredici mesi per detta sepultura, mancandomi e’ danari, spesi mille scudi ne’ marmi di detta opera che m’avea mandati papa Leone per la facciata di Santo Lorenzo, o vero per tenermi occupato: et a·llui detti parole, mostrando dificultà; et questo facievo per l’amore che portavo a detta opera, di che ne son pagato col dirmi ch’i’ sia ladro e usuraio da ignoranti che non erono al mondo. Io scrivo questa storia a Vostra Signoria, perché ò caro giustificarmi con quella, quasi che come col Papa, a chi è detto mal di me, secondo mi scrive messer Pier Giovanni, che dicie che m’à avuto a difendere; e ancora che, quando Vostra Signoria vede di potere dire in mia difensione una parola, lo facci, perché io scrivo il vero. A presso degli omini, non dico di Dio, mi tengo huomo da bene, perché non inghannai mai persona, e ancora perché a difendermi da’ tristi bisogna qualche volta diventar pazzo, come vedete. Prego Vostra Signoria, quando gli avanza tempo, legghi questa storia et serbimela, et sappi che di gran parte delle cose scripte ci sono ancora te-
stimoni. Ancora quando il Papa la vedessi, l’arei caro, et che la vedessi tutto il mondo, perché scrivo il vero, e molto manco di quello che è, et non sono ladrone usuraio, ma sono cittadino fiorentino, nobile e figliolo d’omo dabbene, et non sono da Chagli. Poi ch’io ebbi scripto, mi fu fatta una imbasciata da parte dello imbasciadore d’Urbino, cioè che, s’io voglio che la retificazione vengha, che io acconci la coscienzia mia. Io dico che e’ s’à fabricato uno Michelagnolo nel cuore, di quella pasta che e’ v’à dentro. Seguitando pure ancora circa la sepultura di papa Iulio, dico che, poi che e’ si mutò di fantasia, cioè del farla in vita sua, come è detto, et venendo cierte barche li marmi a Ripa che più tempo inanzi avevo hordinate a·cCarrara, non possendo havere danari dal Papa, per essersi pentito di tale opera, mi bisognò, per pagare i noli, o ciento cinquanta o vero dugiento ducati, che me gli prestò Baldassarre Balducci, cioè il banco di messer Iacopo Gallo, per pagare i noli [dei] sopra detti marmi; et venendo, in questo tempo, scarpellini da Fiorenza i quali havevo hordinati per detta sepultura, de’ quali ne è ancora vivi qualchuno, et havendo fornita la casa che m’aveva data Iulio, dietro a Santa Caterina, di letti et altre masseritie per gli omini del quadro et per altre cose per detta sepultura, mi parea senza danari essere molto impacciato; et stringiendo il Papa a seghuitare il più ch’i’ potevo, mi fecie una mattina, che io ero per par[l]argli per tal conto, mi fecie mandare fuora da un palafreniere. Come uno vescovo luchese, che vidde questo acto, disse al palafreniere: ‘Voi non conosciete costui?’, el palafreniere mi disse: ‘Perdonatemi, gentilhomo, io ho commessione di fare così’. Io me ne andai a casa e scripsi questo al Papa: ‘Beatissimo Padre, io sono stato stamani cacciato di Palazzo da parte della Vostra Santità, onde io le fo intendere che da ora innanzi, se mi vorrà, mi ciercherà altrove che a Roma’. E mandai questa lettera a messere Agostino scalco, che la dessi al Papa, et in casa chiamai uno Cosimo fallegname, che stava meco et facievami masseritie per casa, et uno scarpellino, che oggi è vivo, che stava pur meco, et dissi loro: ‘Andate per un giudeo e vendete ciò che è in questa casa et venitevene a·fFirenze’. Et io andai et montai in sulle poste et anda’mene verso Firenze. El Papa, avendo ricieputa la lettera mia, mi mandò dreto cinque cavallari, e’ quali mi giunsono a Poggi Bonzi circa a tre ore di notte e presentornomi una lettera del Papa, la quale dicieva: ‘Subito visto la presente, sopto pena della nostra disgrazia, che tu ritorni a Roma’. Volsono i detti cavallari che io rispondessi, per mostrare d’avermi trovato. Risposi al Papa che ogni volta che m’osservassi quello a che era obrigato, che io tornerei; altrimenti non sperassi d’avermi mai. E standomi dipoi in Firenze, mandò detto Iulio tre brevi alla Signoria. All’utimo la Signoria mandò per me e dissemi: ‘Noi non vogliamo pigliare la ghuerra per te contra papa Iulio: bisogna che tu te ne vadi, et se tu vuoi ritornare a·llui, noi ti faremo lettere di tanta autorità che, quando faciessi ingiuria a te, la farebbe a questa Signoria’. Et così mi fecie et ritornai al Papa; et quel che seghuì sarie lungho a dire. Basta che questa cosa mi fecie danno più di mille ducati, perché, partito che io fui di Roma, ne fu gran romore con verghogna del Papa; et quasi tutti e’ marmi che io havevo in sulla piazza di Santo Pietro mi furno sacheggiati, et massimo i pezzi piccoli, ond’io n’ebbi a rifare un’altra volta: in modo ch’io dico a’ fermo che, o di danni o interessi, io resto havere dalle rede di papa Iulio cinque milia ducati; et chi mi à tolto tutta la mia giovineza et l’honore e la roba mi chiama ladro! Et di nuovo, come ò scripto innanzi, l’imbasciadore d’Urbino mi manda a dire che io acconci la coscienzia mia prima, e poi verrà la retificagione del Duca. Innanzi che e’ mi faciessi dipositare 1400 ducati non dicieva così! In queste cose ch’io scrivo, solo posso errare ne’ tempi dal prima al poi: ogni altra cosa è vera meglio ch’io non scrivo. Prego Vostra Signoria, per l’amor di Dio e della
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Michelangelo. Il marmo e la mente
verità, quando à tempo, legha queste cose, acciò, quando achadessi, mi possa col Papa difendermi da questi che dico’ mal di me senza notitia di cosa alcuna e che m’ànno messo nel ciervello del Duca per un gran ribaldo, con le false informazioni. Tutte le discordie che naqquono tra papa Iulio e me fu la invidia di Bramante et di Raffaello da Urbino; et questa fu causa che non e’ seguitò la sua sepultura in vita sua, per rovinarmi. Et avevane bene cagione Raffaello, ché ciò che haveva dell’arte, l’aveva da me. bnf, Fondo Nazionale, ii, ii. 325 (già Magl. viii. 1401), cc. 37-39 (= Carteggio 1965-83, iv, pp. 150-155, n. mi). Doc. 408 24 ottobre 1542 Il duca d’Urbino a Senigallia a Marco Vigerio vescovo di Senigallia [...] Dal secretario di V.S. ho havuta la lettera sua con la forma dello instrumento che adimanda il Buonaruoti. E perché l’animo mio non è stato mai di fare più di quel ch’io dissi a lei, che fu molto differente da questo; parendomi di non poter nè dover far altrimenti, non apartenendo la cosa a me, se non per quei respetti ch’ella apartiene, e credendomi che Sua Santità considerato questo, habia a restare molto ben satisfatta che io habbia voluto e sia per fare quel che honestamente devo e posso; risolvomi di non fare quella ratificazione, e, per tor briga a V. S., de far scrivere io medesimo a Roma quel che m’occorre intorno a ciò. Però gli rimando detto suo secretario, havendoli restituito detta forma de instrumento: e me le raccomando. […]
G. Vasari, ed. Milanesi 1906, vii, pp. 387-388. Doc. 409 [Ottobre-novembre 1542] Michelangelo [in Roma] a Luigi Del Riccio [in Roma] Messer Luigi, io credo che Vostra S(ignio)ria abi comodità d’intendere im Palazzo a che termine à la cosa mia circa la retificagione che sapete: però prego quella, possendo, il facci, che mi sarà grandissimo piacere, perché, come ve n’ò scricto un’altra volta, non posso vivere, non che dipigniere. E penso, sendo mandato qua uno dal Duca e non la avendo portata, che l’abbia a esser cosa lunga e che sie messo nel capo al Papa qualche cosa da ritardarla.[...] ab, v,
miii).
n. 78 (= Carteggio 1965-83,
iv,
p. 157, n.
Doc. 410 [Ottobre-novembre 1542] Michelangelo [in Roma] a Luigi Del Riccio [in Roma] Messer Luigi amico caro, io mi son resoluto, poi che ò visto che la retificag[i]one non viene, di starmi in casa a finire le tre figure come son d’achordo col Duca, e tornami molto meglio che stracinarmi ogni dì a Palazzo; e chi si vuol crucciar, si crucci. A·mme basta aver facto in modo che ’l Papa non si può doler di me. E·amme la retificagione non era piacer nessuno, ma a Sua Santità, volendo ch’i’ dipigniessi. Basta, io non son per entrar tra quella e ’l Duca, e se ella, visto che io ò abandonato la sua pictura, manda per l’inbasciadore, sare’ forse buono avisarlo della resolutione che ò facta, acciò sappi che rispondere, quando vi paia: e per questo vi scrivo tal cosa. ab, v, n. 77 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 158, n. miv).
Doc. 411 6 novembre 1542 Il cardinale Alessandro Farnese a Marco Vigerio vescovo di Senigallia [...] Son già parecchi giorni che io aspetto monsignor reverendissimo di Carpi nostro, con l’occasione della venuta del quale volevo poi scrivere a v. s. et rispondere a due sue lettere che io mi trovo; ma vedendo che non comparisce, di che però do colpa alli mali tempi che correno, non tarderò più di dire a v. s. che la resistentia fatta dal s.or duca d’Urbino in non voler ratificare
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quel contratto che dinanzi a n(ostro) S.re è stato fatto con ogni solennità dal suo amb(asciado)re, finché non s’intende altro per la parte di s. ex.a , come fin qui par che non sia inteso, non ha potuto non essere di qualche mala satisfattione a s(ua). S.tà, come quella che desidera oltre modo d’haver’ M(ichel)agnolo libero et sciolto da ogni intrico per potersene servire all’opera di questa sua capella. Pure s’intenderanno le iustificationi di s. ex.a, et come io voglio credere et aspettare dalla bontà di quel s.re, si farà ogni cosa per trovar verso di satisfare a s. B.ne maxime che dalla parte di M(ichel)agnolo si è fatto lo sborso del denaro et si è data l’opera in mano di sufficienti maestri, et che la condurranno à fine, che è quello che s. ex.a può desiderare principalmente [...]. <c.104 r> Postscritta: ho inteso la cagione della difficultà che’l S.or Duca fa di satisfar pienamente a n(ostro) S.re della ratificatione sopradetta, et trovo che è perché dice voler da Michelagnolo il sopra più di quello che le statue, allogate ad altri maestri, saranno stimate da quello che sariano se fussero di mano sua; il che certo non posso credere che venga dall’excellenza sua, perché se si considerara bene è cosa meno che degna di lei, la quale non credo che si ricordi et sappia che di tutte le sei statue che vanno alla sepultura, tre ne furono allogate parecchi mesi sono per expresso consenso et volontà sua in modo che di quelli non accade parlare, et delle altre tre una ne darà Michelagnolo finita et l’altre due, come può havere veduto il suo amb(asciado)re, sono tanto innanzi di mano di esso Michelagnolo che vi manca pochissimo a finirle, in modo che poco o niente vi può essere di differentia per questo conto, oltre che pare che ci si voglia fare industria et d’un piacer fatto a n(ostro) S.re cercare di cavar utile anchor che finalmente quando ci avanzasse cosa alcuna, il che non può essere facilmente per quello che lungamente sa iustificar Michelagnolo, non toccherebbe neanche a s. ex.a. Anzi che Michelagnolo dice che se li sono fatti sborsare mille e tanti scudi, che egli in pochi mesi se haverebbe potuto guadagnare, se s(ua) S.tà non l’havesse impedita. Sì che per tutti questi respetti v. s. sia contenta rimandar di nuovo a s.. ex.a et farla far ben capace di tutto questo e pregarla a voler componere l’ultimo fine a questa pratica compiacere intieramente a sua B.ne, et non li muovere queste difficultà che non potranno non parerli strane, come v. s. può per sua prudentia considerare; alla quale rimetto l’aggiungervi quel resto che la indicherà oportuno, et me ne risponda quanto più presto. asv, Segr. Stato, Principi, 146 b, c. 103r.-104v (cfr. Frey 1913, pp. 147-148).
Doc. 412 11 novembre 1542 Guidobaldo duca d’Urbino in Urbino a Girolamo Tiranno Monsignor di Sinigaglia alli dì passati ne mandò il secretario suo con una lettera scrittale dal rev. mo Farnese molto calda, perché procurasse cavar da noi la ratificazione de quello instrumento che fu fatto in Roma tra voi e Michelagnolo, e con la forma della ratificatione che questo adimandava, molto differente dalla conclusione che noi facessimo col detto mons. di Sinigaglia; al quale, stando in quei rispetti che più volte se son ragionati, respondessimo del modo che intenderete per la inclusa copia, et in un medesimo tempo facessimo ordinar a Hieronimo Ginga che se preparasse per venire a Roma, resoluti de mandarlo ad ogni modo per questa causa, e h(ab)iamolo fatto soprasedere credendo che dietro la detta nostra risposta al vescovo ve ne devesse esser parlato, e però aspettavamo de intendere quello che se ne fosse detto per haver <c. 508 v.> tanto più lume di quel ch’egli havesse a fare. E perché non ne ha(bi)amo inteso altro, non lo mandiamo ancora né pensiamo di mandarlo altrimente se altro non serà detto a voi o scritto a noi di questa cosa. Però ne serete avertito, e parlandovesene pigliarete tempo e avisarete, che in tal caso lo manderemo subbito.[...] asf,
Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 161, c. 508r-508v (cfr. Vasari, ed. 1846-1870, xii, pp. 390-391).
Doc. 413 12 novembre 1542 Il cardinale Alessandro Farnese a Guidobaldo duca d’Urbino [...] N. S. re si è satisfatto di bocca con l’amb(asciato)-re di v. ecc.tia sopra il negotio di Michelagnolo et so che per lettere del detto amb(asciado)re ella restarà bene avisata di tutto onde a me non accade dir altro, remettendomi a questo et a quel che già ne scrissi a mons(ignore) di Sinigaglia nostro con la sincerità che debbo sempre con v. ex.a, alla quale piacerà pigliare il tutto in buona parte et commandarmi, dove alle volte mi conosce buono, a poterle far servitio, che mi troverà prontissimo [...]. asv, Segr. Stato, Principi, 146 b, c. 117r (cfr. Frey 1913, p. 148). Doc. 414 18 novembre 1542 Il vescovo di Senigallia Marco Vigerio in Ancona al cardinale Alessandro Farnese [...] Se più presto non ho risposto alle di V.S. Rev. ma di VI, l’ha causato il non havere hauto cosa che m’abbia spronato a scrivergli prima che havessi la risposta del S.or Duca d’Urbino, al quale scrissi per huomo a posta subito, con quella più efficacia ch’io seppi et potei. Et la risposta, che n’hebbi hiersera a due hore di notte, è che Sua Ecc.a manderà a Roma Hieronimo Genga suo Architetto fra duo giorni, il quale vederà quelle cose della sepultura et quello che bisogna; et poi l’Ab. or suo con il prefato Hieronimo faranno intendere a Sua Santità quello che occorrerà nel caso. [...] Archivio di Parma (?) (= Ronchini 1864, p. 29). Doc. 415 2 dicembre 1542 Il cardinale Alessandro Farnese a Roma a Marco Vigerio vescovo di Senigallia [...] Per risposta delle due lettere, che io ho da v. s. de 18 e 24, dico che quanto alla differentia tral signor duca d’Urbino et Michelagnolo, essendo venuto qua l’architetto di s. ex.a, potrà esser che ci si pigli qualche buon sexto; il che mi piacerà pur assai per ogni respetto [...]. asv, Segr. Stato, Principi, 146 b, c. 160v (cfr. Frey 1913, p. 148).
1543 [Secondo i termini fissati nel contratto del 16 maggio 1542 (Doc. 378: «otto mesi proximi»), la costruzione del piano superiore avrebbe dovuto essere conclusa il 16 gennaio 1543] Doc. 416 19 gennaio 1543 Guidobaldo duca d’Urbino in Pesaro alla duchessa Leonora [...] dicendole che poco doppoi scritte dette ultime sue [lettere], egli [Girolamo Tiranno] haverà havuto la ratificazione de l’ultimo apuntam(en)to fatto sopra quella benedetta sepultura de papa Iulio, della quale il papa non harebbe potuto fare maggior instanza di quella ch’ha fatto [...]. asf, Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc.108, c. 560 r
(cfr. Gronau 1906, p. 7, doc. xiii).
Doc. 417 6 febbraio 1543 Allogazione delle arme di papa Giulio ii a Battista di Donato Benti Sia noto a chi vedrà la presente come Francesco da Madore da Urbino a alogato et dato a fare a Batista da Pietra Santa una arme di papa Iulio secondo di marmo d’un pezo, secondo il modello hauuto da messer Michelagnolo Buonarroti, a tutta sua spesa della fattura: solo detto Francesco da Urbino li à a dare il marmo et fargnene portare a casa sua vicino a Camposanto et di lì, fatta che la sarà, levarla e condurla a S(ancto) P(ietro) in Vincola a spesa sua; la quala arma ha a esser lavorata diligentemente come si conviene et bene fornita ogni dito di due periti del’arte da chiamarsi uno
per uno; et questo per pezzo di scudi trentasei, di giuli .x. per scudo di moneta vechia, delli quali ne ha hauti al presente scudi dodici et altanti ne haverà quando l’arma sarà messa, fatta, […]; detto Pietra Santa […] promette averla di tutto fornita per tutto marzo proximo 1543 […]. bnf,
Magl., cl. xxxvii, 303, c. 56 (cfr. Milanesi 1875, p. 719, n. lxv).
Doc. 418 12 aprile 1543, giovedì Luigi Del Riccio [in Roma a Michelangelo in Roma] [...] de l’ornamento del detto quadro, che li ha guadagniati come di sopra. [...] ab, xiii, n. 86 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 165, n. mviii). [Secondo il contratto dell’agosto 1542 [Doc. 396] il piano superiore doveva essere finito nel giugno del 1543]. Doc. 419 20 ottobre 1543 Guidobaldo duca d’Urbino in Fossombrone a Girolamo Tiranno [...] Oltra tutto quello che ne scriveti per la vostra delli XIII., h(ab)iamo veduto quanto desiderati la risposta nostra sopra quello particulare del statuario che condusse a far le tre statue de la sepultura de Iulio; sopra la qual cosa, non essendo hora qui né il Gingha né m(esser) Giovanni, i quali ne potriano dare di ciò notizia, et noi poco informati, non vedemo che altro rispondervi se non dirve che voi medesimo facciati in questo caso quanto vi parrà esser meglio, al quale come pienamente informato, ne referimo; raccordandovi che una volta, se sia possibile, se imponghi fine a questa pratica, di maniera che ogni giorno non l’abbiamo alle mani. [...] asf, Ducato di Urbino, cl. i, div. g, fasc. 161, c. 524r. (cfr. Gronau 1906, p. 7, doc. xiv).
1544 Doc. 420 29 marzo 1544, sabato Michelangelo in Roma al nipote Leonardo in Firenze Lionardo, intendo per la tua come i marmi sono stati stimati cento sectanta scudi, e quello che s’à a fare de’ danari quando vi sieno pagati. A me pare, quando paia a’ mia frategli, che e’ si mectino per te in su ’n una boctega, dove pare a·lloro, e che tu ne tiri il fructo che è onesto, e che senza licenzia loro tu no ne possa disporre altrimenti. Ancora mi pare che la stanza dove son decti marmi, che voi cerchiate di venderla, e e’ danari che n’arete, con la medesima conditione porgli dove quegli de’ marmi; dipoi potrò agg[i]ugniervi altri danari, secondo che ti porterai: che mi par che ancora non abbi imparato a scrivere. [...]
F. Biondo, Roma trionfante 1544, s.p. [Nell’aprile 1544 le statue di Montelupo sarebbero dovute essere finite secondo l’accordo del 21 agosto 1542 (Doc. 396)]. Doc. 423 23 giugno 1544 Luigi del Riccio in Roma a Roberto Strozzi in Lione Alli 24 etc. Messer Michelagnolo Buonaroti si trova malato grave, et ho fatto tanto che è venuto qui in casa, dov’è visitato da tutta Roma; et il Papa e Farnese ci mandano ogni dì. Harò caro che Vostra Signoria mi schriva un capitolo da mostrarli etc. [...] bmf, Acquisti diversi, 139, fasc. n. 5, c. 11 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 182). Doc. 424 21 luglio 1544 Luigi del Riccio in Roma a Roberto Strozzi in Lione […] Messer Michelagnolo Buonaroti si raccomanda a Vostra Signoria [...]. Dice ha obbligo con Vostra Signoria che la casa l’ha mantenuto vivo, e vi prega a darli qualche nuova, ricordando al Re quanto li mandò a dire per Scipione [Gabbrielli], e poi per Deo corriere, che, s’e’ rimetteva Firenze in libertà, che li voleva fare una statua di bronzo a cavallo in su la piazza de’ Signori a sua spesa etc. [...] bmf, Acquisti diversi, 139, fasc. n. 5, c. 11 (= Carteggio 1965-83, iv, pp. 183-184).
Doc. 425 [Avanti (?) l’ottobre 1544] Michelangelo [in Roma] a Luigi Del Riccio [in Roma] [...] Io credo giovedì dare ordine da tirar le figure a San Piero in Vincola, come v’ò decto altre volte; e perché io le voglio tirar co’ danari che vi restano in mano di decte figure, mi par che io facci un mandato di decti danari, e che l’inbasciadore lo segni, acciò non si possa mai né a voi né a me dir niente. Però vi prego facciate una minuta, come vi par che abbia a star decto mandato. [...] ab, v,
n. 84 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 196, n. mxxxii: «avanti il 25 gennaio 1545»). Doc. 426 Ottobre 1544 Ricordo dell’anno 1544 con aggiunte dell’anno 1546 [...] In San Pietro in Vinchola v’è la sepultura di papa Julio, fatta di marmo per mano dj Michele agnolo Buonarrotj, cosa molto varia e bella d’inventione, fuorj de modi dell’altre: che vi è infra l’altre fiure una sola di mano di Michele Agnolo, ch’è un Moise, che pare cosa divina, tanto è marauigliosa. [...] bnf, Cod. magliab. xvii 17, fol 101v (= Frey 1892,
p. 130).
ab, iv, n. 52 (= Carteggio 1965-83, iv, p. 179, n. mxx).
1545
Doc. 421 † A dj 30 dj Marzo in Roma [1543 st.f. = 1544 st.c.] In Santo Piero in Vjncholo: [...] E euj la sipolttura dj Gulio papa; dicesi di Mjchelagniolo. Euj Ia uirgine di marmo dj mano da Scharano. Euj Ia figura di mano dj Rafaelo damontta∙lupo. Euj una dona di mano del fratte de’ Seruj et la figura del papa, che si posa inn su latto ritto.
Doc. 427 25 gennaio 1545, domenica Michelangelo in Roma a Salvestro da Montauto e compagni in Roma Magnifici messer Salvestro da Monteauto e compagni di Roma per l’adrieto, e per loro Antonio Covoni e compagni. Sarete contenti pagare a Raffaello da Monte Lupo scultore scudi cinquanta di moneta a g[i]uli dieci per iscudo, che sono per ogni resto di quello potessi adomandare per factura delle tre statue di marmo facte e messe a Santo Pietro in Vincola nella sepultura di papa Iulio: cioè, per una Nostra Donna col pucto in braccio e una Sibilla e un Profeta; delle quali secondo le conventione resterebbe avere scudi cento sectanta; ma perché, per essere stato malato e non aver possuto e aver facto lavorare a altri, siamo convenuti d’achordo darli questi scudi cinquanta per ogni resto: che di così piglierete la quitanza, ponendogli a conto degli scudi cento sectanta che vi restano in deposito per decto conto. [...]
bnf, Cod. Magliab. xvii, 17, fol. 107v (Frey 1892,
p. 136).
Doc. 422 1544 Licenza di stampa del 21 aprile 1543 per la durata di dieci anni [...] Il Gigante, la Notte, l’Aurora, l’un et l’altro Duca, et la nuova sagrestia di san Lorenzo in Firenze, il Cupidine, il Bacco, la Pieta, le tre statue co’l resto del la sepoltura di Giulio in Roma. [...]
Vista per me Hieronimo Tiranno, oratore ducale d’Urbino, et approvata in quanto li detti cinquanta scudi gli siano debiti secondo il tenore del contratto fatto con detto messer Raphaello per mano del Cappello, et non altrimenti né per altro modo. [...] bm, Add. Ms. 22731, c. 22 (= Carteggio 1965-83, IV, p. 197, n. mxxxiii).
Doc. 428 [Avanti il 3 febbraio 1545] Michelangelo in Roma a Salvestro da Montauto e compagni in Roma Magnifici messer Salvestro da Monteauto e compagni di Roma per l’adrieto, e per loro Antonio Covoni e compagni. Del pagamento delle tre figure di marmo che à facte over finite Raffaello da Monte Lupo scultore, vi resta in diposito scudi cento sectanta di moneta, cioè di dieci iuli l’uno; e avendole decto Raffaello, come è decto, finite e messe in opera a San Piero in Vincola nella sepultura di papa Iuli[o], sarete contenti per ultimo suo pagamento pagargli a suo piacere i sopra decti cento sectanta scudi, perché à facto tucto quello a che s’era obrigato delle tre figure decte, cioè una Nostra Donna col pucto in braccio, un Profeta e una Sibilla, tucte qualcosa più che ’l naturale. [...] Chicago, The Newberry Library, Case Wing Ms. ZW 535. B 943 (già bnf, Magl., cl. xxxvii. 303, c. 35, poi in coll. Alfred Morrison) (= Carteggio 1965-83, iv, p. 198, n. mxxxiv). Doc. 429 3 febbraio 1545, martedì Michelangelo in Roma a Salvestro da Montauto e compagni in Roma Magnifici messer Salvestro da Montauto etc. di Roma per l’adrieto. Come vi è noto, essendo io occupato per servitio di Nostro Signore papa Paulo terzo in dipignere la sua nuova cappella, et non possendo dare perfetione alla sepoltura di papa Iulio in Santo Piero in Vincola; interponendosi la prefata Santità di Nostro Signore, di consenso et per conventione fatta con il magnifico etc. oratore, alla quale conventione dipoi Sua Excellentia retificò, dipositai a presso di voi più somma di danari per fornire detta opera, delli quali Raffaello da Monte Lupo ne haveva havere scudi 445 – di giuli x per scudo, per resto di scudi 550 simili; et questi per fornire cinque statue di marmo da me cominciate et sbozate, et per il prefato inbasciadore del duca di Urbino alloghateli: c[i]oè una Nostra Donna con il putto in braccio, una Sibilla, un Profeta, una Vita attiva et una Vita contemplativa; come di tutto appare contratto per mano di messer Bartolomeo Cappello notaro di Camera, sotto dì 21 d’agosto 1542. Delle quali 5 statue, havendo Nostro Signore a mia preghiera et per mia sodisfatione concessomi un poco di tempo, ne forni’ dua di mia mano, c[i]oè la Vita contemplativa et la attiva, per il medeximo prezzo che haveva a fare il detto Raffaello et delli medesimi d(anari) che haveva havere lui. Et dipoi il detto Raffaello ha fornito le altre tre et messe in opera come in detta sepoltura si vede. Per il che li pagherete a suo piacere scudi 170 – di moneta, a giuli x per scudo, che vi restano in mano di detta somma, pigliando da lui quitanza finale, etiam per mano di detto notaro, per la quale si chiami di detta opera sadisfatto et interamente pagato; et poneteli a conto di detta somma che vi resta in mano. [...] bnf, Magl., cl. xxxvii, 303, c. 41 (= Carteggio 1965-
83, iv, pp. 199-200, n. mxxxv).
Doc. 430 3 febbraio 1545, martedì Michelangelo in Roma a Salvestro da Montauto e compagni in Roma Magnifici messer Salvestro da Montauto e compagnia di Roma per l’adrieto. Come vi è noto, essendo io occupato per servitio di Nostro Signore papa Paulo terzo in dipignere la sua nuova cappella, et non possendo dare prefetione alla sepoltura di papa Iulio secondo in Santo Piero in Vincola, interponendosi la prefata Santità di Nostro Signore, di consenso et per conventione fatta
con il magnifico messer Ieronimo Tiranno, oratore de l’illustrissimo signor duca d’Urbino, alla quale conventione dipoi Sua Excellentia retificò, dipositai a presso di voi più somma di danari per fornire detta opera, delli quali Raffaello da Monte Lupo ne haveva havere scudi 445 – di giuli x per scudo, per resto di scudi 550 – simili; et questi per fornire cinque statue di marmo da me cominciate et sbozate, et per il prefato imbasciadore del duca d’Urbino allogategli: c[i]oè una Nostra Donna con il putto in braccio, una Sibilla, un Profeta, una Vita activa et una Vita contemplativa, come di tutto appare contratto per mano di messer Bartolomeo Cappello notaro di Camera, sopto dì xxi d’agosto 1542. Delle quali cinque statue, havendo Nostro Signore a mia preghiera et per mia sadisfatione concessomi un poco di tempo, ne forni’ dua di mia mano, c[i]oè la Vita contemplativa et la activa, per il medesimo prezzo che haveva a fare il detto Raffaello et delli medesimi danari che haveva havere lui. Et dipoi il detto Raffaello ha fornite le altre tre et messe in opera come in detta sepoltura si vede. Per il che li pagherete a suo piacere scudi cento septanta di moneta, a giuli x per scudo, che vi restano in mano di detta somma, pigliando da lui quitanza finale, etiam per mano di detto notaro, per la quale si chiami di detta opera sadisfatto et interamente pagato; et poneteli a conto di detta somma che vi resta in mano. [...] ab, v,
n. 82 (= Carteggio 1965-83, 202, n. mxxxvi).
iv,
pp. 201-
Doc. 431 Novembre [1545] Pietro Aretino in Venezia a Michelangelo in Roma [...] Ma se il thesoro lasciatovi da Giulio acciò si collocassero le sue reliquie nel vaso dei vostri intagli non è stato bastante a far che gli osserviate la promessa, che posso però isperar io? Benché non la ingratitudine, non l’avaritia di voi, pittor magno, ma la gratia et il merito del Pastor massimo è di ciò cagione; avengaché Iddio vuole che la eterna fama di lui viva in semplice fattura di deposito in l’essere di se stesso, et non in altiera machina di sepoltura in vertù del vostro stile. In questo mezzo il mancar voi del debito vi si attribuisce per furto. Ma con ciò sia che le nostre anime han più bisogno de lo affetto de la devotione che de la vivacità del disegno, inspiri Iddio la Santità di Paolo come inspirò la Beatitudine di Gregorio, il quale volse imprima disornar Roma de le superbe statue degli idoli che torre, bontà loro, la riverentia a l’humili imagini dei santi. [...] asf,
Carte Strozziane, i Serie, 137, cc. 249, 254 (= Carteggio 1965-83, iv, pp. 216-217, n. mxlv).
1546 Doc. 432 8 febbraio 1546, lunedì Il re di Francia Francesco i in St-Germain-en-Laye a Michelangelo [in Roma] Seigneur Michelangelo, pour ce que j’ay grant désir d’avoir quelques besongnes de vostre ouvrage, j’ay donné charge à l’abbé de Sainct Martin de Troyes [i.e. Francesco Primaticcio], présent porteur que j’envoye par delà, d’en recouvrer, vous priant, si vous avez quelques choses excellentes faictes à son arrivée, les luy voulloir bailler en les vous bien payant ainsi que je luy ay donné charge. Et davantage voulloir estre contant, pour l’amour de moy, qu’il molle le Christ de la Minerve et la Nostre Dame de la Fèbre, affin que j’en puisse aorner l’une de mes chappelles, comme de chose que l’on m’a asseuré estre des plus exquises et excellentes en vostre art. Priant Dieu, seigneur Michelang[el]o, qu’il vous ayt en sa garde. [...] Lille, Musée d’art et d’histoire, Coll. Wicar (= Carteggio 1965-83, iv, p. 229, n. mliv). 1548-1549 Doc. 433 14 maggio 1548 Fede di Bernardo Bini /1r/ In Dei nomine Amen. Universis et singulis
presentis publici instrumenti seriem inspecturis pateat evidenter et notum sit, qualiter anno Incarnationis Dominice millesimo quingentesimo quadragesimo octavo indictione sexta die vero XIIII mensis maii pontificatus S.mi in Christo patris et D. N. D. Pauli divina providentia pape tertii anno quartodecimo; in mei notarii publici testiumque infrascriptorum presentia personaliter constitutus Sp.lis vir Bernardus de Binis civis florentinus, requisitus pro parte eximii viri Michelangeli de Bonarrotis civis et sculptoris florentini, volens veritatem manifestare suo medio iuramento in manibus mei notarii prestito dixit et testificatus est, qualiter in principio pontificatus D.ni Leonis pape decimi incirca, ut vult recordari, ipse testis ad requisitionem et instantiam R.mi Cardinalis Agennensis, prout similiter vult recordari, solvit et numeravit supradicto Michelangelo ducatos tremilia incirca occasione et causa et pro parte sepulchri seu sepulture felicis recordationis D.ni Iulii pape Secundi, quam dictus Michelangelus sculpebat; de quo fecit memoriam super libris dicti testis, quos non habet penes se, et qualiter fuit in urbe Rome et qualiter predicta dixit pro veritate tantum, super quibus rogavit me ut publicum conficerem instrumentum. Acta fuerunt hec omnia Florentie in domo dicti Bernardi, presentibus ibidem venerabilibus viris ser Iohanne Francisco Antonii Fattucci Cap.no Cathedralis Ecclesie florentine, et ser Matheo Maganzi presbitero florentino, testibus ad premissa vocatis habitis et rogatis. Et quia ego Scipio ser Alexandri de Braccesis apostolica et imperiali auctoritatibus notarius et civis florentinus premissis omnibus dum sic agebatur, cum prenominatis testibus interfui et ea sic fieri vidi et audivi et in notam sumpsi et ex qua hoc presens publicum instrumentum confeci et publicavi, ideo in fidem premissorum me subscripsi et signum meum apposui consuetum rogatus et requisitus. /2v/ Confesso della ricevuta di scudi 3000 per conto della sepoltura di Iulio II. ab, ii-iii, cxii;
n. 26 (= Contratti 2005, pp. 268-269, n. cfr. Milanesi 1875, p. 750, n. lxvi).
Doc. 434 [...] s’io debbo considerar le cose con retta perfettione, andrò a far riverenza a Michel Agnolo, & métterò per una figura infra tante delle suoi perfette il Moise della sepoltura di Giulio in Roma. [...] [...] L’Antino bellißimo colui che si cava la spina del piede, la sepoltura di Giulio [...]. Doni 1549, p. 8, 51. 1550 Doc. 435 29 aprile 1550 Spese per le due statue mandate in Francia Signor Ruberto Strozzi in conto di sue spese dee dare a dì 29 aprile 1550 ducati 14, 5 moneta, fatti buoni a m. Paolo Ciati per tanti spesi per condurre a Ripa et acconciare in barca le statue di Michelagnolo mandate in Francia [...]. asf, Carte Strozzi Uguccioni, Libro verde segna-
to P di Roberto Strozzi 1546-1559, c. 294 verso (= Vasari, ed. Milanesi 1906, vii, p. 165, n. 1; Vasari[Barocchi] 1962, ii, p. 316). Doc. 436 Nel ritorno di Giuliano [da Sangallo] in Roma si praticava che ’l divino Michele Agnolo Buonarroti dovesse fare la sepoltura di Giulio; per che Giuliano confortò il Papa all’impresa, e che per tale edifizio si fabricasse una cappella aposta, e non pôr quella nel vecchio San Pietro, non ci essendo luogo: la quale cappella renderebbe quella opera più perfetta e con maestà. Laonde molti architetti fecero i disegni, di maniera che venuti in considerazione a·ppoco a·ppoco, da una cappella si misero alla fabbrica del nuovo San Pietro. Vasari 1550 [ed. 1987], iv, p. 144 (Vita di Giuliano da Sangallo).
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Michelangelo. Il marmo e la mente
Doc. 437 Era talmente la fama di Michele Agnolo per la Pietà fatta, per il Gigante di Fiorenza e per il Cartone nota, che Giulio II pontefice deliberò fargli fare la sepoltura, e fattolo venire di Fiorenza, fu a parlamento con esso; e stabilirono insieme di fare una opera per memoria del Papa e per testimonio della virtù di Michele Agnolo, la quale di bellezza, di superbia e d’invenzione passasse ogni antica imperiale sepoltura. La quale egli con grande animo cominciò, et andò a Carrara a cavar marmi e quegli a Fiorenza et a Roma condusse; e per tal cosa fece un modello tutto pieno di figure et addorno di cose difficili. E perché tale opera da ogni banda si potesse vedere, la cominciò isolata: e della opera del quadro, delle cornici e simili, cioè dell’architettura degli ornamenti, la quarta parte con sollecitudine finita. Cominciò in questo mez[z]o alcune Vittorie ignude, che hanno sotto prigioni et infinite provincie legate ad alcuni termini di marmo, i quali vi andavano per reggimento; e ne abbozzò una parte, figurando i Prigioni in varie attitudini a quelli legati: dei quali ancora sono a Roma in casa sua per finiti quattro Prigioni. E similmente finì un Moisè di cinque braccia, di marmo: alla quale statua non sarà mai cosa moderna alcuna che possa arrivare di bellezza, e de le antiche ancora si può dire il medesimo; avvengaché egli, con gravissima attitudine sedendo, posa un braccio in su le Tavole che egli tiene con una mano, e con l’altra si tiene la barba, la qual è nel marmo svellata e lunga, condotta di sorte che i capegli, dove ha tanta difficultà la scultura, son condotti sottilissimamente, piumosi, morbidi e sfilati, d’una maniera che pare impossibile che il ferro sia diventato pennello; et inoltre alla bellezza della faccia, che ha certo aria di vero, santo e terribilissimo principe, pare che mentre lo guardi abbia voglia di chiederli il velo per coprirgli la faccia, tanto splendida e tanto lucida appare altrui. Et ha sì bene ritratto nel marmo la divinità che Dio aveva messo nel sacratissimo volto di quello, oltre che vi sono i panni straforati e finiti con bellissimo girar di lembi, e le braccia di muscoli e le mani di ossature e nervi sono a tanta bellezza e perfezzione condotte, e le gambe appresso e le ginocchia, et i piedi sono di sì fatti calzari accomodati, et è finito talmente ogni lavoro suo, che Moisè può più oggi che mai chiamarsi amico di Dio, poi che tanto inanzi agli altri ha voluto metter insieme e preparargli il corpo per la sua resurressione per le mani di Michelagnolo. E séguitino gli Ebrei di andar[e], come fanno ogni sabato, a schiera, e maschî e femmine, come gli storni a visitarlo et adorarlo, ché non cosa umana ma divina adoreranno. Questa sepoltura è poi stata scoperta al tempo di Paulo III, e finita col mez[z]o della liberalità di Francesco Maria duca d’Urbino. Vasari 1550 [ed. 1987], vi, pp. 25-31 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 438 [...] e mentre che Michele Agnolo lavorava la sepoltura, fu fatto lasciare stare e mandato a Bologna per la statua [...]. Vasari 1550 [ed. 1987], vi, p. 32 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 439 E per assicurarsi de’ suoi, comandandoli che a nessuno aprissero, se ben fosse il Papa, et essi promettendogliene, finse che voleva stare alcuni dì fuor di Roma; e replicato il comandamento, lasciò loro la chiave. Ma partito da essi, si serrò nella cappella al lavoro. Onde subitamente fu fatto ciò intendere al Papa, perché, essendo fuori Michele Agnolo, pareva loro tempo comodo che Sua Santità venisse a piacer suo, aspettandone una bonissima mancia. Il Papa, andato per entrar nella cappella, fu il primo che la testa ponesse dentro; et appena ebbe fatto un passo, che da l’ultimo ponte sul primo palco cominciò Michele Agnolo a gettar tavole. Per il che il Papa, vedutolo e sapendo la natura sua, con non meno collera che paura si mise in fuga, minacciandolo molto. Michele Agnolo per una finestra della cappella
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si partì; e trovato Bramante da Urbino, gli lasciò la chiave dell’opera et in poste se ne tornò a Fiorenza, pensando che Bramante rappaceficasse il Papa, parendogli in vero aver fatto male. Arrivato dunque a Fiorenza et avendo sentito mormorare il Papa in quella maniera, aveva fatto disegno di non tornare più a Roma; ma per gli preghi di Bramante e d’altri amici, passato la collera al Papa e non volendo egli che tanta opera rimanesse imperfetta, scrisse a Pier Soderini, allora gonfaloniere in Fiorenza, che Michele Agnolo a’ suoi piedi rimandasse, perché gli avea perdonato. Fu fatto da Piero a Michele Agnolo saper questo; ma egli era fermato di non ritornarci, non si fidando del Papa. Onde Pietro deliberò mandarlo come ambasciadore per più securezza sua; et egli con questa buona sicurtà alla fine pur si condusse al Papa. Era il reverendissimo cardinale di Volterra fratello di Pier Soderini; per il che gli fu inviato da Piero e raccomandato ch’al Papa lo introducesse. Onde nella giunta di Michele Agnolo, sentendosi il cardinale indisposto, mandò un suo vescovo di casa, che per sua parte lo introducesse. Onde nello arrivare dinanzi al Papa, che spasseggiando aveva una mazza in mano, per parte del cardinale e di Piero suo fratello gli offerse Michele Agnolo, dicendo tali uomini ignoranti essere, e che egli per questo gli perdonasse. Venne collera al Papa e con quel bastone rifrustò il vescovo, dicendogli: «Ignorante sei tu»; e vòlto a Michele Agnolo, benedicendolo, se ne rise. Così Michele Agnolo fu di continuo poi con doni e con carezze trattenuto dal Papa, e tanto lavorò per emendare l’errore, che l’opra alla fine perfettamente condusse. Vasari 1550 [ed. 1987], vi, pp. 36-39 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 440 Di che egli alla sepoltura ritornato, quella di continuo lavorando, e parte mettendo in ordine disegni da potere condurre le facciate della Cappella, volse la fortuna invidiosa che di tal memoria non si lasciasse quel fine che di tanta perfezzione aveva avuto principio: perché successe in quel tempo la morte di papa Giulio; onde tal cosa si mise in abbandono per la creazione di papa Leon X, il quale, d’animo e di valore non meno splendido che Giulio, aveva desiderio di lasciare nella patria sua, per essere stato il primo Pontefice di quella, in memoria di sé e d’uno artefice sì divino e suo cittadino, quelle maraviglie che un grandissimo principe come esso poteva fare. Per il che, dato ordine che la facciata di San Lorenzo di Fiorenza, chiesa dalla casa de’ Medici fabbricata, si facesse per lui, fu cagione che il lavoro della sepoltura di Giulio rimase imperfetto per un tempo. Vasari 1550 [ed. 1987], vi, p. 50 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 441 Spaventò la morte di Leone talmente gli artefici e le arti, et in Roma e Fiorenza, che, mentre che Adriano VI visse, Michele Agnolo s’attese alla sepoltura di Giulio. Ma morto Adriano e creato Clemente VII, il quale nelle arti della architettura, della scultura e della pittura fu non meno desideroso di lasciar fama che Leone e gli altri suoi predecessori, chiamato Michele Agnolo e ragionando insieme di molte cose, si risolsero cominciar la Sagrestia nuova di San Lorenzo di Fiorenza. Vasari 1550 [ed. 1987], vi, p. 53 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 442 Per che a Michele Agnolo convenne andare a Roma a papa Clemente, il quale, benché ingiuriato da lui, come amico della virtù gli perdonò ogni cosa e gli diede ordine che tornasse a Fiorenza e che la Libreria e la Sagrestia di San Lorenzo si finissero del tutto. E per abbreviare tale opera, una infinità di statue che ci andavano compartirono in altri maestri: egli n’allogò due al Tribolo, una a Raffaello da Monte Lupo et una a Giovann’Agnolo, già suto frate de’ Servi, tutti scultori, e gli diede aiuto in esse faccendo a ciascuno i modelli in bozze di terra.
Vasari 1550 [ed. 1987], vi, p. 64 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 443 Ma per tornare all’opera della Cappella, finito ch’egli ebbe il Giudicio, gli donò il Papa il porto del Po di Piacenza, il quale gli dà d’entrata DC scudi l’anno, oltre alle sue provisioni ordinarie. E finita questa, gli fu fatta allogazione d’un’altra cappella, dove starà il Sacramento, detta la Paulina, nella quale dipigne due storie, una di San Pietro, l’altra di San Paulo: l’una dove Cristo dà le chiavi a Pietro, l’altra la terribile Conversione di Paulo. In questo medesimo tempo egli cercò di dar fine a quella parte che della sepoltura di Giulio Secondo aveva in essere et in San Pietro in Vincola in Roma fece murare, non spendendo mai il tempo in altro che in esercizio dell’arte, né giorno né notte; et egli s’è di continuo visto pronto agli studi, et il suo andar solo mostra come egli ha l’animo carico di pensieri. Così egli in breve tempo due figure di marmo finì, le quali in detta sepoltura pose, che mettono il Moisè in mez[z]o. Vasari 1550 [ed. 1987], vi, p. 114 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 444 Mentre che egli faceva finire la sepoltura di Giulio, fece a uno squadratore condurre un termine – che poi alla sepoltura in San Piero in Vincola pose –, con dire: «Lieva oggi questo, e spiana qui, e pulisci qua», di maniera che, senza che colui se n’avvedessi, gli fe’ fare una figura: per che, finita, colui maravigliosamente la guardava; disse Michele Agnolo: «E che te ne pare?». «Parmi bene», rispose colui, «e v’ho grande obligo». «Perché?», soggiunse Michele Agnolo. «Perché io ho ritrovato per mez[z]o vostro una virtù che io non sapeva d’averla». Vasari 1550 [ed. 1987], vi, pp. 117-118 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 445 1550 Fe’ [Michelangelo] la sepoltura di papa Giulio, che di bellezza, di superbia e d’invenzione avanza qualunque imperiale sepoltura [...]. Fornari 1550, pp. 512-513 (= Vasari[-Barocchi] 1962, iii, p. 1220) 1553 Doc. 446 Michelagnolo l’accettò e senza altri pezzi ne trasse la già detta statua [i. e. la statua del David di marmo a Firenze], così apunto che, come si può vedere nella summità del capo e nel posamento, n’apparisce ancor la scorza vecchia del marmo. Il che similmente ha fatto in alcun’altre, come, alla sepoltura di papa Giulio Il, in quella statua che rapresenta la Vita contemplativa; il che è tratto da maestri e che sien padroni dell’arte. Ma in questa statua vie più maraviglioso apparve, perciò che, oltra che pezzi non le aggiunse, è anco (come suol dir Michelagnolo) impossibile, o almeno difficilissimo nella statuaria, a emendare i vizi della abbozzatura. Condivi 1998, p. 21. Doc. 447 Se ne stette alquanto tempo quasi senza far niuna cosa in tal arte, dandosi alla lezione de’ poeti e oratori volgari e a far sonetti per suo diletto, finché, morto Alessandro papa Sesto, fu a Roma da papa Giulio Secondo chiamato, ricevuti in Firenze per suo viatico ducati cento. Poteva esser Michelagnolo, in quel tempo, d’anni ventinove, per ciò che, se conteremo dal nascimento di lui, che fu, com’è già detto, nel 1474, fin alla morte de Alessandro sopra detto, che fu nel 1503, troveremo esser corsi i già detti anni. Venuto dunque a Roma, passaron molti mesi prima che Giulio Secondo si risolvesse in che dovesse servirsene. Ultimamente gli venne in animo di fargli fare la sepoltura sua. E veduto il disegno, gli piacque tanto, che subito lo mandò
a Carrara per cavar quella quantità di marmi che a tal impresa facesse di mestieri, facendogli in Firenze per tale effetto pagare da Alemani Salviati ducati mille. Stette in quei monti con due servitori e una cavalcatura, senza altra provisione se non del vitto, meglio d’otto mesi [...]. Ora, cavati e scelti que’ marmi che li parvero a bastanza, condotti che gli ebbe alla marina e lasciato un suo che gli facesse caricare, egli a Roma se ne tornò. E perciò che s’era alcuni giorni fermo in Firenze, trovò, quando giunse, che una parte già n’era arrivata a Ripa; là ove scaricati, gli fece portare in su la piazza di San Piero, dietro a Santa Caterina, dove egli, appresso al corridore, aveva la sua stanza. La quantità dei marmi era grande, sì che, distesi in sulla piazza, davano agli altri ammirazione e al papa letizia; il quale tanti favori e così smisurati faceva a Michelagnolo, che, avend’egli cominciato a lavorare, più e più volte l’andò fin a casa a trovare, quivi seco non altrimenti ragionando, e della sepoltura e d’altre cose, che arebbe fatto con un suo fratello. E per poterei più comodamente andare, aveva ordinato dal corridore alla stanza di Michelagnolo buttare un ponte levatoio, per il quale là secretamente entrasse. Questi tanti e così fatti favori furon cagione, come bene spesso nelle corti aviene, d’arrecargli invidia, e doppo l’invidia persecuzioni infinite; perciò che Bramante architettore, che dal papa era amato, con dir quello che ordinariamente dice il volgo, esser male augurio in vita farsi la sepultura, e altre novelle, lo fece mutar proposito. Stimolava Bramante, oltre all’invidia, il timore che aveva del giudicio di Michelagnolo, il quale molti suoi errori scopriva; percioché, essendo Bramante, come ognun sa, dato ad ogni sorte di piacere e largo spenditore, né bastandogli la provision datagli dal papa, quantunque ricca fusse, cercava d’avanzare nelle sue opere facendo le muraglie di cattiva materia e alla grandezza e vastità loro poco ferme e sicure. Il che si può manifestamente vedere per ogniuno nella fabrica di San Pietro in Vaticano, nel corridore di Belvedere, nel convento di San Pietro ad Vincola e nell’altre fabriche per lui fatte, le quali tutte è stato necessario rifondare e fortificare di spalle e barbacani, come quelle che cadevano o sarebbe[ro] in breve tempo cadute. Or, perché egli non dubitava che Michelagnolo non conoscesse questi suoi errori, cercò sempre di levarlo di Roma, o almeno privarlo della grazia del papa e di quella gloria e utile che coll’industria sua potesse acquistare. Il che gli successe in questa sepoltura, la quale, se fusse stata fatta com’era il primo disegno, non è dubio che nell’arte sua non avesse tolto il vanto (sia detto senza invidia) a qualunque mai stimato artefice fusse, avendo largo campo di mostrare quanto in ciò valesse. E quel che fusse per fare lo dimostrano l’altre sue cose e quelli dui Prigioni che per tal opera aveva già fatti, i quali chi veduti ha giudica non esser giamai stata fatta cosa più degna. E per darne qualche saggio, brevemente dico che questa sepoltura doveva aver quattro faccie, due di braccia diciotto, che servivan per fianchi, e due di dodici, per teste: talché veniva ad essere un quadro e mezzo. Intorno intorno di fuore erano nicchi, dove entravano statue, e tra nicchio e nicchio termini, ai quali, sopra certi dadi che, movendosi da terra, sporgevano in fuori, erano altre statue legate come prigioni, le quali rappresentavano l’arti liberali, similmente Pittura, Scultura e Architettura, ogniuna colle sue note, sì che facilmente potesse esser conosciuta per quel che era, denotando per queste insieme con papa Giulio esser prigioni della morte tutte le virtù, come quelle che non fusser mai per trovare da chi cotanto fussero favorite e nutrite, quanto da lui. Sopra queste correva una cornice che intorno legava tutta l’opera, nel cui piano eran quattro grandi statue, una delle quali, cioè il Moisè, si vede in San Piero ad Vincula, e di questa si parlerà al suo luogo. Così ascendendo, l’opera si finiva in un piano, sopra il quale erano due agnoli che sostenevano un’arca: uno d’essi faceva sembiante di ridere, come quello che si rallegrasse che l’anima del papa fusse tra li beati spiriti ricevuta, l’altro di piangere, come se si dolesse che ’l mondo fusse d’un tal uomo spogliato. Per una delle teste, cioè da quella che era dalla banda di sopra, s’entrava dentro alla sepol-
tura in una stanzetta, a guisa d’un tempietto, in mezzo della quale era un cassone di marmo, dove si doveva sepellire il corpo del papa; ogni cosa lavorata con maraviglioso artificio. Brevemente, in tutta l’opera andavano sopra quaranta statue, senza le storie di mezzo rilievo fatte di bronzo, tutte a proposito di tal caso e dove si potevan vedere i fatti di tanto pontefice. Visto questo disegno, il papa mandò Michelagnolo in San Pietro a veder dove comodamente si potesse collocare. Era la forma della chiesa allora a modo d’una croce, in capo della quale papa Nicola Quinto aveva cominciato a tirar sù la tribuna di nuovo, e già era venuta sopra terra, quando morì, all’altezza di tre braccia. Parve a Michelagnolo che tal luogo fusse molto a proposito, e, tornato al papa, gli spose il suo parere, aggiungendo che, se così paresse a Sua Santità, era necessario tirar sù la fabrica e coprirla. Il papa l’adomandò che spesa sarebbe questa; a cui Michelagnolo rispose: «Cento milia scudi». «Sien – disse Giulio – ducento milia». E mandando il Sangallo architettore e Bramante a vedere il luogo, in tai maneggi venne voglia al papa di far tutta la chiesa di nuovo. E avendo fatti fare più disegni, quel di Bramante fu accettato, come più vago e meglio inteso delli altri. Così Michelagnolo venne ad esser cagione e che quella parte della fabrica già cominciata si finisse (che, se ciò stato non fusse, forse ancora starebbe come l’era), e che venisse voglia al papa di rinovare il resto, con nuovo e più bello e più magno disegno. Or tornando alla nostra storia, s’accorse Michelagnolo della cangiata voluntà del papa in questo modo. Aveva il papa comesso a Michelagnolo che, bisognando danari, non dovesse andare ad altri che a lui, acciò non si avesse a girare in qua e in là. Avenne un giorno, che arrivò a Ripa quel resto de’ marmi ch’eran restati a Carrara. Michelagnolo, avendogli fatti scaricare e portare a San Piero, volendo pagare i noli, scaricatura e conduttura, venne per chieder danari al papa, ma trovò l’ingresso più difficile, e lui occupato. Però, tornato a casa, per non far stare a disagio quei poveri uomini che avevano avere, pagò tutti del suo, pensando di ritrarsi i suoi danari come dal papa comodamente gli potesse avere. Un’altra mattina, tornato e entrato ne l’anticamera per aver audienza, eccoti un palafreniere farsegli incontro dicendo: «Perdonatemi, ch’io ho commessione non vi lasciare entrare». Era presente un vescovo, il qual, sentendo le parole del palafreniere, lo sgridò dicendo: «Tu non debbi conoscer chi è questo uomo». «Anzi lo conosco, rispose il palafreniere, ma io son tenuto di quel che m’è commesso da’ miei padroni, senza cercar più là». Michelagnolo, a cui fin allora non era mai stata tenuta portiera né serrato uscio, vedendosi così sbatuto, sdegnato per tal caso gli rispose: «E voi direte al Papa che, se da qui inanzi mi vorrà, mi cercherà altrove». Così tornato a casa, ordinò a’ due servitori ch’egli aveva, che, venduti tutti i mobili di casa e tenutisi i danari, lo seguissino a Firenze. Egli, montato in poste, a due ore di notte giunse a Poggibonzi, castello del contado di Firenze, lontano dalla città un diciotto o venti miglia. Quivi, come in luogo sicuro, si posò. Poco da poi giunsero cinque corrieri di Giulio, ch’avean commessione da lui di menarlo in dietro d[o]vunque lo trovasseno. Ma, avendolo arrivato in loco dove far violenza non gli poteano, minacciando Michelagnolo, se niuna cosa tentassino, di fargli ammazzare, si voltorno a’ preghi, i quali non gli giovando, ottennero da lui che almeno rispondesse alla lettera del papa, la qual eglino appresentata gli avevano, e che particularmente scrivesse che noll’avevano aggiunto se non in Firenze, acciò ch’egli potesse intendere che noll’avevano potuto condurre in dietro contra sua voglia. La lettera del papa era di questo tenore, che, vista la presente, subito tornasse a Roma, sotto pena della sua disgrazia. Alla qual Michelagnolo brevemente rispose ch’egli non era mai per tornare, e che non meritava della buona e fidele servitù sua averne questo cambio, d’esser cacciato dalla sua faccia come un tristo; e poi che Sua Santità non voleva più attendere alla sepoltura, esser disubligato, né volersi ubligare ad altro. Così, fatta la data della lettera, come s’è detto, e licenziati i
corrieri, se ne andò a Firenze, dove in tre mesi che vi stette furon mandati tre brevi alla Signoria, pieni di minaccie, che lo mandassero in dietro o per amore o per forza. Pier Soderini, che allora era confaloniero in vita di quella republica, avendolo per inanzi contra sua voglia lasciato andare a Roma, disegnando di servirsene in dipigner la sala del Consiglio, al primo breve non isforzò Michelagnolo a tornare, sperando che la collera del papa dovesse passare, ma, venuto il secondo e ’l terzo, chiamato Michelagnolo, gli disse: «Tu hai fatta una prova col papa, che non l’arebbe fatta un re di Francia. Però non è più da farsi pregare. Noi non vogliamo per te far guerra con lui e metter lo stato nostro a risico. Però disponti a tornare». Michelagnolo allora, vedendosi condotto a questo, temendo dell’ira del papa, pensò d’andarsene in Levante, massimamente essendo stato dal Turco ricercato con grandissime promesse per mezzo di certi frati di San Francesco, per volersene servire in far un ponte da Costantinopoli a Pera e in altri affari. Ma ciò sentendo il gonfaloniere mandò per lui e lo distolse da tal pensiero, dicendo che più tosto eleggerebbe di morire andando al Papa, che vivere andando al Turco; nondimeno, che di ciò non dovesse temere, percioché il Papa era benigno e lo richiamava perché gli voleva bene, non per fargli dispiacere; e, se pur temeva, che la Signoria lo manderebbe con titolo d’ambasciatore, percioché a le persone publiche non si suol far violenza, che non si faccia a chi gli manda. Per queste e altre parole Michelagnolo si dispose a ritornare. [...] Poi ch’ebbe finita quest’opera [i. e. la statua di papa Giulio a Bologna], se ne venne a Roma, dove volendo papa Giulio servirsi di lui e stando pur in preposito di non far la sepultura, gli fu messo in capo da Bramante e altri emuli di Michelagnolo, che lo facesse dipignere la volta della cappella di papa Sisto Quarto, ch’è in palazzo, dando speranza che in ciò farebbe miracoli. E tale ufficio facevano con malizia, per ritrarre il papa da cose di scultura [...]. Condivi 1998, pp. 22-29. Doc. 448 Sì che di nessuna cosa parve che Giulio maggior cura avesse, che di mantenerse questo uomo; né volse solamente servirsene in vita, ma poi che fu morto ancora, percioché, venendo a morte, ordinò che gli fusse fatta finir quella sepoltura che già aveva principiata, dando la cura al cardinal Santiquatro vecchio e al cardinal Aginense suo nipote. I quali però gli fecer fare nuovo disegno, parendo loro il primo impresa troppo grande. Cosi entrò Michelagnolo un’altra volta nella tragedia della sepoltura, la quale non più felicemente gli successe di quel di prima, anzi molto peggio, arrecandogli infiniti impacci, dispiaceri e travagli, e quel ch’è peggio, per la malizia di certi uomini infamia, della qual appena doppo molti anni s’è purgato. Ricominciò dunque Michelagnolo di nuovo a far lavorare, condotti da Firenze molti maestri, e Bernardo Bini, ch’era depositario, dava danari secondo che bisognava. Ma non molto andò inanzi, che fu con suo gran dispiacere impedito, percioché a papa Lione, il qual successe a Giulio, venne voglia d’ornare la facciata di San Lorenzo di Firenze con opera e lavori di marmo. Fu questa chiesa fabricata dal gran Cosmo de’ Medici e, fuor che la facciata di nanzi, tutta compitamente finita. Questa parte dunque deliberandosi papa Lione di fornire, pensò servirsi di Michelagnolo; e mandando per lui, gli fece fare un disegno, e ultimamente per tal cagione voleva che andasse a Firenze e pigliasse sopra di sé tutto quel peso. Michelagnolo, che con grande amore s’era messo a far la sepoltura di Giulio, fece tutta quella resistenza che potette, allegando d’esser ubligato al cardinal Santiquatro e ad Aginense, né poter loro mancare. Ma il papa, che in ciò s’era risolto, gli rispose: «Lascia a me far con loro, che gli farò contenti». Così, mandati per tutt’a due, fece dar licenza a Michelagnolo, con grandissimo dolore e di lui e de’ cardinali, massimamente d’Aginense, nipote, come s’è detto, di papa Giulio, a’ quali però papa Lione promesse che Michelagnolo in Firenze la lavorarebbe e che non la voleva impedire. In questo modo Michelagnolo, piangendo,
lasciò la sepoltura e se n’andò a Firenze, dove giunto e dato ordine a tutte quelle cose che per la facciata facevan mestieri, se n’andò a Carrara per condurre i marmi, non solamente per la facciata, ma eziamdio per la sepoltura, credendo, come dal papa gli era stato promesso, poterla seguitare. In questo mezzo fu scritto a papa Lione che nelle montagnie di Pietra Santa, castello de’ Fiorentini, eran marmi di quella bellezza e bontà che erano a Carrara, e che, essendo stato sopra di ciò parlato a Michelagnolo, egli, per esser amico del marchese Alberigo e ’ntendersi con lui, voleva più tosto cavare dei carraresi che di quest’altri, che erano nello stato di Firenze. Il papa scrisse a Michelagnolo, commettendogli che dovesse andare a Pietra Santa e veder se cosi era come da Firenze gli era stato scritto. Il quale, andato là, trovò marmi molto intrattabili e poco a proposito, e, se ben fussero stati a proposito, era cosa difficile e di molta spesa a condurgli alla marina, perciò che bisognava fare una strada di parechi miglia, per le montagne per forza di picconi e per il piano con palafitte, come quello che era paludoso. Il che scrivendo Michelagnolo al papa, più credette a quelli che da Firenze scritto gli avevano, che a lui, e gli ordinò che facesse la strada. Sì che, mandando ad essecuzione la voluntà del papa, fece fare la strada, e per questa alla marina condurre gran copia di marmi, tra li quali eran cinque colonne di giusta grandezza, una delle quali si vede in sulla piazza di San Lorenzo, da lui fatta condurre a Firenze; l’altre quattro, per avere il papa cangiata voluntà e volto il pensiero altrove, per ancora in sulla marina se giaceno. Ma il marchese di Carrara, stimando che Michelagnolo, per esser cittadin fiorentino, fusse stato inventore di cavare a Pietrasanta, gli diventò nemico, né di poi volse che a Carrara tornasse per certi marmi che quivi aveva fatti cavare. Il che a Michelagnolo fu di gran danno. Or, essend’egli tornato a Firenze e avendo trovato, come già s’è detto, il fervore di papa Lione al tutto spento, dolente, senza far cosa alcuna, lungamente se ne stette, avendo fin allora, or in una cosa or in una altra, gittato via molto tempo, con suo gran dispiacere. Non di meno, con certi marmi ch’egli avea, si pose in casa sua a seguitar la sepoltura. Ma essendo mancato Lione e creato Adriano VI, fu sforzato un’altra volta ad intermetter l’opera, percioché lo incaricavano ch’egli aveva ricevuti da Giulio per tal opera ben sedici milia scudi e non si curava di farla, standose in Firenze a’ suoi piaceri. Sì che per questo rispetto essendo chiamato a Roma, il cardinal de’ Medici, che poi fu Clemente VII e che allora aveva il governo di Firenze in mano, non volse che andasse e, per tenerlo occupato e aver qualche scusa, lo messe a fare il vaso della Libreria de’ Medici in San Lorenzo, e insieme la Sagrestia colle sepolture de’ suoi antichi, promettendo di sodisfare al papa per lui e acconciar le cose. Cosi, vivendo pochi mesi Adriano nel papato e succedendo Clemente, per un tempo della sepoltura di Giulio non si fece parola. Ma essend’egli avvisato che ’l duca d’Urbino Francesco Maria, nipote della felice memoria di papa Giulio, di lui grandemente si lamentava, e che aggiungeva anco minaccie, se ne venne a Roma, dove, conferendo la cosa con papa Clemente, egli lo consigliò che facesse chiamare gli agenti del duca a far conto seco di tutto quello che aveva da Giulio riceuto e di quel che per lui fatto aveva, sapendo che Michelagnolo, stimandosi le sue cose, resterebbe più tosto creditore che debitore. Stava Michelagnolo per questo di mala voglia, e ordinate alcune sue cose, se ne tornò a Firenze, massimamente dubitando della rovina, la qual poco da poi venne sopra Roma. Condivi 1998, pp. 36-38. Doc. 449 Con tutto ciò Michelagnolo stava in grandissima paura, percioché il duca Alessandro molto l’odiava, giovane, come ognun sa, feroce e vendicativo. Né è dubio che, se non fusse stato il rispetto del papa, che non se lo fusse levato dinanzi. Tanto più che, volendo il duca di Firenze far quella fortezza che fece, e avendo fatto chiamar Michelagnolo per il signor Alessandro Vitelli, che cavalcasse seco a veder dove comodamente si potesse fare, egli
non volse andare, rispondendo che non aveva tal commessione da papa Clemente. Del che molto si sdegnò il duca. Sì che e per questo nuovo rispetto, e per la vecchia malivolenza, e per la natura del duca, meritamente aveva da stare in paura. E certamente fu dal Signore Iddio aiutato, che alla morte di Clemente non si trovò in Firenze, percioché da quel pontifice, prima ch’avesse le sepolture ben finite, fu chiamato a Roma e da lui recevuto lietamente. Rispettò Clemente questo uomo come cosa sacra, e con quella domestichezza ragionava seco, e di cose gravi e leggieri, che arebbe fatto con un suo pari. Cercò di scaricarlo della sepoltura di Giulio, accioché fermamente stesse in Firenze e non solamente finisse le cose cominciate, ma ne facesse ancor dell’altre non men degne. Condivi 1998, p. 42. Doc. 450 Or, per tornar là donde m’era partito, essendo Michelagnolo da papa Clemente chiamato a Roma, quivi cominciò sopra la sepoltura di Giulio dalli agenti del duca d’Urbino ad esser travagliato. Clemente, che s’arebbe voluto di lui servire in Firenze, per tutte le vie cercava di liberarlo e gli dette per suo procuratore un messer Tomaso da Prato, che di poi fu datario. Ma egli, che sapeva la mala voluntà del duca Alessandro verso di sé e molto ne temeva, e anco portava amore e riverenza all’ossa di papa Giulio e alla illustrissima casa della Rovora, faceva ogni opera per restare in Roma e occuparsi circa alla sepoltura, tanto più ch’egli per tutto era incaricato de aver recevuti da papa Giulio, come s’è detto, per tale effetto ben sedici mila scudi, e di godersegli senza fare quel ch’era ubligato; la qual infamia non potendo sopportare, come quel ch’è tenero de l’onor suo, voleva che la cosa si dichiarasse, non ricusando, ancor che fusse già vecchio e la impresa gravissima, di finir quel che aveva cominciato. Per questo venuti alle strette, non mostrando li aversari pagamenti che arrivassino a un pezzo a quella somma di che prima era il grido, anzi mancando più di duoi terzi all’intero pagamento dell’accordo fatto da prima con i doi cardinali, Clemente, stimando gli fusse porta un’occasion bellissima di sbrigarlo e di poter liberamente servirsi di lui, chiamatolo gli disse: «Orsù, di’ che tu voi fare questa sepoltura, ma che vuoi sapere chi t’ha del resto a pagare». Michelagnolo, che sapeva la voluntà del papa, che l’arebbe voluto occupare in servigio suo, rispose: «E se si troverrà chi mi paghi?» A cui papa Clemente: «Tu sei ben matto, se tu ti dài ad intendere che sia per farsi inanzi chi ti offerisca un quattrino». Cosi, venendo in giudicio messer Tomaso suo procuratore, facendo tal proposta alli agenti del duca, si cominciorno l’un l’altro a riguardare in viso e conclusero insieme che almeno facesse una sepoltura per quel che aveva ricevuto. Michelagnolo, parendogli la cosa condotta a bene, acconsentì volontieri, massimamente mosso dall’autorità del cardinale di Monte vecchio, creatura di Giulio II e zio di Giulio III, al presente, la Iddio grazia, nostro pontifice, il qual in questo accordo s’interpose. L’accordo fu tale: ch’egli facesse una sepoltura d’una facciata, e di que’ marmi si servisse ch’egli già per la sepoltura quadrangola avea fatti lavorare, accomodandogli il meglio che si poteva; e così fusse ubligato a metterci sei statue di sua mano. Fu non di meno concesso a papa Clemente ch’egli si potesse servir di Michelagnolo in Firenze, o dove gli piacesse, quattro mesi dell’anno, ciò ricercando Sua Santità per le opere di Firenze. Tal fu il contratto che nacque tra l’Eccellenzia del duca e Michelagnolo. Ma qui s’ha da sapere che, essendo già dichiarati tutti i conti, Michelagnolo, per parere d’esser più ubligato al duca d’Urbino e dar manco fiducia a papa Clemente di mandarlo a Firenze, dove per modo nessuno andar non volea, secretamente s’accordò coll’oratore e agente di Sua Eccellenzia, che si dicesse ch’egli aveva recevuti qualche migliaio di scudi di più di quelli che veramente avesse avuti. Il che essendo fatto non solamente a parole, ma senza sua saputa e consentimento stato messo nel contratto, non
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Michelangelo. Il marmo e la mente
quando fu rogato ma quando fu scritto, molto se ne turbò. Tuttavolta l’oratore lo persuase che ciò non li sarebbe di pregiudizio, non importando che ’l contratto specificasse più venti mila scudi che mille, poi ch’erano d’accordo che la sepoltura si riducesse secondo la quantità de’ danari ricevuti veramente, aggiungendo che nessuno avea da ricercar queste cose, se non esso, e che di lui poteva star sicuro per l’intelligenza ch’era tra loro. A che Michelagnolo si quietò, così perché li parve di potersene assicurare, come perché desiderava che questo colore li servisse col papa per l’effetto che s’è detto di sopra. E in questo modo passò la cosa per allora, ma non ebbe però fine, percioché, dopo ch’ebbe servito i quattro mesi a Fiorenza, tornatosene a Roma, il papa cercò d’occuparlo in altro e fargli dipingere la facciata della Capella de Sisto. E come quello ch’era di buon giudicio, avendo sopra ciò più e più cose pensate, ultimamente si risolvé a fargli fare il Giorno dell’estremo giudicio, stimando, per la varietà e grandezza della materia, dover dare campo a questo uomo di far prova delle sue forze, quanto potessero. Michelagnolo, che sapeva l’obligo ch’egli aveva col duca d’Urbino, fuggì questa cosa quanto puoté, ma poi che liberar non si poteva, mandava la cosa in lungo e, fingendo d’occuparsi, come faceva in parte, nel cartone, secretamente lavorava quelle statue che dovevano andare nella sepoltura. In questo mezzo papa Clemente mancò, e fu creato Paolo Terzo, il quale mandò per lui e lo ricercò che stesse seco. Michelagnolo, che dubitava di non essere impedito in tal opera, rispose non poter ciò fare, per essere egli ubligato per contratto al duca d’Urbino, finché avesse finita l’opera che aveva per mano. Il papa se ne turbò e disse: «Egli son già trenta anni ch’io ho questa voglia, e ora che son papa non me la posso cavare? Dove è questo contratto! Io lo voglio stracciare». Michelagnolo, vedendosi condotto a questo, fu quasi per partirsi di Roma e andarsene in sul genovese, ad una badia del vescovo d’Aleria, creatura di Giulio e molto suo amico, e quivi dar fine alla sua opera, per essere luogo comodo a Carrara e potendo facilmente condurre i marmi per la oportunità del mare. Pensò anco d’andarsene a Urbino, dove per avanti aveva disegnato d’abitare, come in luogo quieto e dove per la memoria di Giulio sperava d’esser visto volontieri, e per questo alcuni mesi inanzi aveva là mandato un suo, per comprare una casa e qualche possessione; ma temendo la grandezza del papa, come meritamente temer doveva, non si partì e sperava con buone parole di sodisfare al papa. Ma egli, stando fermo in proposito, un giorno se ne venne a trovarlo a casa, accompagnato da otto o dieci cardinali, e volse vedere il cartone, fatto sotto Clemente, per la facciata della cappella di Sisto, le statue ch’egli per la sepoltura aveva già fatte, e minutamente ogni cosa. Dove il reverendissimo cardinale di Mantova, ch’era presente, vedendo quel Moisè di che già s’è scritto e qui sotto più copiosamente si scriverà, disse: «Questa sola statua è bastante a far onore alla sepoltura di papa Giulio». Papa Paolo, avendo visto ogni cosa, di nuovo l’affrontò, che andasse a star seco, presenti molti cardinali e ’l già detto reverendissimo e illustrissimo di Mantova. E trovando Michelagnolo star duro: «Io farò, disse, che ’l duca d’Urbino si contenterà di tre statue di tua mano, e che le altre tre che restano si dieno a fare ad altri». In questo modo procurò con gli agenti del duca che nascesse nuovo contratto, confermato dall’Eccellenzia del duca, il qual non volse in ciò dispiacere al papa. Così Michelagnolo, ancor che potesse fuggire di pagare le tre statue, disobligato per vigore di tal contratto, nondimeno volse far la spesa egli, e depose per queste e per il restante della sepoltura ducati mille cinquecento ottanta. Cosi li agenti di Sua Eccellenzia le dettero a fare, e la tragedia della sepoltura e la sepoltura ebbero fine, la quale oggi si vede in San Piero ad Vincula, non, secondo il primo disegno, di facciate quattro, ma d’una e delle minori, non istaccata intorno ma appoggiata ad un parete, per gli impedimenti detti di sopra. È vero che, così come ella è rattoppata e rifatta, è però la più degna che in Roma e forse altrove si trovi, se non per
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altro, al meno per le tre statue che vi sono di mano del maestro; tra le quali maravigliosa è quella di Moisè, duce e capitano degli Hebrei, il quale se ne sta a sedere in atto di pensoso e savio, tenendo sotto il braccio destro le tavole della legge e con la sinistra mano sostenendosi il mento, come persona stanca e piena di cure, tra le dita della qual mano escon fuore certe lunghe liste di barba, cosa a veder molto bella. È la faccia piena di vivacità e di spirito, e accomodata ad indurre amore insieme e terrore, qual forse fu il vero. Ha, secondo che descriver si suole, le due corna in capo, poco lontane dalla sommità della fronte. È togato e calzato e colle braccia ignude, e ogni altra cosa all’antica. Opera maravigliosa e piena d’arte, ma molto più, che sotto così belli panni di che è coperto, appar tutto lo igniudo, non togliendo il vestito l’aspetto della bellezza del corpo. Il che però si vede universalmente in tutte le figure vestite, di pittura e scoltura, da lui essere osservato. È questa statua di grandezza meglio di due volte al naturale. Dalla destra di questa, sotto un nicchio, è l’altra che rapresenta la Vita contemplativa, una donna di statura più che ’l naturale, ma di bellezza rara, con un ginocchio piegato non in terra, ma sopra d’un zoccolo, col volto e con ambe le mani levate al cielo, sì che pare che in ogni sua parte spiri amore. Dall’altro canto, cioè dalla sinistra del Moisè, è la Vita attiva, con uno specchio nella destra mano, nel quale attentamente si contempla, significando per questo le nostre azioni dover esser fatte consideratamente, e nella sinistra con una ghirlanda di fiori. Nel che Michelagnolo ha seguitato Dante, del qual è sempre stato studioso, che nel suo Purgatorio finge aver trovata la contessa Matilda, qual egli piglia per la Vita attiva, in un prato di fiori. Il tutto della sepoltura non è se non bello, e principalmente il legar delle parti sue insieme per mezzo del corniciame, al qual non si può apporre. Or questo basti quanto a quest’opera, il che dubito anco che non sia stato pur troppo, e che in luogo di piacere non abbia porto tedio a chi l’arà letto. Nondimeno m’è parso necessario per istirpare quella sinistra e falsa openione che era nelle menti delli uomini radicata, ch’egli avesse ricevuti sedici mila scudi e non volesse fare quel che era ubligato di fare. Né l’un né l’altro fu vero, percioché da Giulio per la sepoltura non recevette se non quei mille ducati che egli spese in tanti mesi in cavar marmi a Carrara. E come potette di poi aver da lui danari, se mutò proposito, né volse più parlare di sepoltura? Di quelli che doppo la morte di papa Giulio dai due cardinali essecutori del testamento ricevette, n’ha appresso di sé publica fede per mano di notaio, mandatagli da Bernardo Bini cittadin fiorentino, il qual era depositario e pagava il denaio; i quali montavano forse a tre mila ducati. Con tutto ciò, non fu mai uomo più pronto ad alcuna sua opera, quant’egli a questa, sì perché conosceva quanta riputazione gli fusse per arrecare, sì per la memoria che sempre ha ritenuta di quella benedetta anima di papa Giulio, per la quale ha sempre onorata e amata la casa della Rovora e principalmente i duchi d’Urbino, per i quali ha presa la pugna contra due pontefici, come s’è detto, che lo volevan torre da tale impresa. E questo è quel di che Michelagnolo si duole, che in luogo di grazia, che se gli veniva, n’abbia riportato odio e acquistata infamia. Ma, tornando a papa Paolo, dico che, doppo l’ultimo accordo fatto tra l’Eccellenza del duca e Michelagnolo, pigliandolo al suo servizio volse che mettesse ad essecuzione quel ch’egli già aveva cominciato al tempo di Clemente, e gli fece dipignere la facciata della cappella di Sisto, la qual egli aveva già arricciata e serrata con assiti da terra in fin alla volta. Condivi 1998, pp. 44-49. Doc. 451 Ha donate molte sue cose, le quali se vendere avesse voluto, n’aria tratta una pecunia infinita; s’altro non fusse che quelle due statue ch’egli donò a messer Ruberto Strozzi, suo amicissimo. Condivi 1998, p. 63.
Doc. 452 20 agosto 1553 Annibal Caro in Roma ad Antonio Gallo in Urbino Non risposi sabbato a la lettera di V. S., aspettando che uscisse da la stampa questa Vita di Michelangelo, fatta da un suo discepolo, ne la quale si fa menzione spezialmente de la cosa de la sepoltura, di che io le parlai, e de le sue giustificazioni in questo negozio. V. S. vedrà quel che dice, e, se le pare che sieno bastanti a sostener la sua causa, con quel di più che le parrà d’aggiungervi, e con quel rispetto che si deve a un principe quale è il Duca d’Urbino, si degni di proporla a Sua Eccellenza. Ma io non fonderei la sua causa solamente ne la giustizia, perché col rigore si gli potrebbe dir contra di molte cose, e l’istanze che l’Eccellenza Sua ha fatto a V. S. contro di lui sono efficaci e buone, e forse in parte non hanno replica. Io confesserei (come confessa) in un certo modo l’error suo, che pigliasse a far altro, essendo obligato a quell’opera, se bene i Papi l’hanno impedito, e le dimanderei una certa remission de l’errore, e una grazia che si suol fare da i grandi a gli uomini di tanto merito, di quanto è Michelangelo, per guadagnarsi un uomo tale, poiché tien questa inclinazione di ridursi nel suo stato, ed anco per far benefizio a l’età nostra di preservar quest’uomo il più che si può; perché io le fo fede che si truova in tanta angustia d’essere in disgrazia di Sua Eccellenza, che questo solo saria cagione di atterarlo avanti tempo. Ora oltre a le ragioni che s’allegano in favor suo, vegga d’impetrarle anco perdono, che certo Sua Eccellenza sarà tenuto quel generoso signor che mostra d’esser in tutte le sue azioni. E sarà cagione di prolungar la vita a quest’uomo singolare, e anco di renderlo consolatissimo e farlo perpetuamente suo, che non mi parebbe picciol aquisto, essendo di sì prospera vecchiezza, che ne portrebbe cavare ancora qualche cosa degna di perpetua memoria. Questo mi fa dire così la compassione che io ho di questo vecchio, come il desiderio che io tengo che Sua Eccellenza s’aquisti questa laude. Del resto mi rimetto a la sua generosità e a la prudenza di V. S., la quale ringrazio quanto posso del buono officio che l’è piaciuto di fare in questo, e de la buona volontà che mi tiene in tutte l’altre mie occorrenze. […] Caro 1957-61, pp. 147-148 n. 403. Doc. 453 17 novembre 1553 Annibal Caro in Roma a Antonio Gallo in Urbino […] Ed ora, che posso, vi rispondo, che Michelangelo vi resta molto obligato de l’officio che per lui vi siete degnato di fare apresso S. E. [ i.e. il Duca d’Urbino]. E perché suo costume è di non mai scrivere, io per sua parte, e per quel che vi son tenuto per conto suo, vi ringrazio quanto posso, e insieme vi prego a continuar a scolparlo, e d’aquistarli quella tanto sua desiderata grazia, e così per consolazione di questo buon vecchio come per laude del suo signore, che lodato e celebrato ne sarà di certo da tutti. V. S. ha viste le sue giustificazioni, ed io v’ho già dette di più quelle ragioni che mi sono parse a proposito. Le quali, se bene patiscono istanzia, non posso però credere che da un signore discreto e magnanimo, come il vostro, non sieno passate per buone o almeno dispensate del difetto che patiscono. Tanto più che non può essere incolpato (secondo mi pare) di cosa alcuna, de la quale non siano più colpevole i due Cardinali essecutori de l’opera, e gli agenti di quel tempo, che consentirono a quietarlo e disobligarlo, come fecero a compiacenza de gli due Pontefici, e, come esso dice, contra sua voglia. Ma egli, oltre alle cagioni che lo fecero desistere, allega ancora quelle per le quali li si può credere che arebbe seguitato volentieri. E, in qualunque modo si sia, la gran vertù sua e la stima che fa spezialmente de la grazia di S. E., aggiuntovi il desiderio che tiene di diventarlo suddito, oltre a molti altri rispetti, ricercano da la bontà e generosità sua che l’accolga con ogni favore, non tanto che gli perdoni. E, quanto a obbligarlo a qualch’opera di sua ma-
no, egli è tanto scottato da gli oblighi passati, e tanto ombroso di questo promettere, per essere poco pratico di convenir con gli uomini, e assai destituito da le forze del corpo, che mal volentieri si lascierà ridurre a questo atto. Ma l’animo suo è ben disposto al servigio di S. E. […]. Caro 1957-61, p. 153, n. 408. 1554 Doc. 454 […] Vi [a San Pietro in Vincola] è anchora un Mose di Marmo sotto la sepoltura di Giulio.2. scolpito con marauiglioso artificio dal diuiniss. Michel Angelo. […] Palladio 1554, s.p. [p. 30]. 1556-1557 Doc. 455 [...] In San Piero à Vincola. A man dritta ne la muraglia verso la sacrestia si vede una parte del sepolcro di Giulio II. Pontifice; dove è un Mosè maggiore del naturale con le corna in testa, con barba lunga; e tiene ne la mano sinistra il libro de la legge del Decalogo, che egli hebbe dal grande Iddio. E opera di Michel Angelo, ma da star con qual si voglia de le antiche à fronte. Vi sono poi due statue di donne vestite. E di sopra due altre statue vestite, & assise. Più sù è una nostra Donna col figlio in braccio. Vi è anco Giulio II. iscolpito con la testa alta sul sepolcro. Poi vi sono quattro teste di mezo rilevo co’ petti loro, che paiono Termini. Vi sono molt’altre figure picciole d’ucelli, et animali con altri ornamenti iscolpiti. [...] Aldroandi 1556, p. 291. Doc. 456 12 febbraio 1557 Giorgio Vasari in Arezzo a Benedetto Varchi [...] Haviamo visto nel divin Michelagnolo à di nostri à uno squadratore di cornice, che ha in praticha i ferri, disegnando insul sasso et (con) dir: «Lieva qui et lieva qua», haver condotto un termine nella sepoltura di Julio II. pontefice oer la facilità dell arte [condotto]: Onde vedendolo haver finito, disse à Michelagnolo, che gli haveva obligo, havendoli fatto conoscere, che haveva una virtù, che niente ne sapeva. [...] Frey 1923-30 [1982], p. 190. Doc. 457 8 maggio 1557, sabato Daniele Ricciarelli in Firenze a Michelangelo in Roma [...] Io sono stato non so che dì in la bottega di via Moza e in altri luoghi, ove non è mancho da disegniare che si sia a Roma [...]. ab, x,
n. 646 (= Carteggio 1965-83, v, p. 95, n.
mccli).
1564 Doc. 458 19 febbraio 1564 Inventario dopo la morte di Michelangelo In una stantia a basso, coperta a tetto, dove sono: una statua principiata per uno santo Pietro sbozzata et non finito; un’altra statua principiata per uno Christo con un’altra figura di sopra, ataccate insieme, sbozzate et non finite; un’altra statua piccolina per un Christo con la croce in spalla et non finita. asr, Archivio del tribunale criminale del governatore, Miscellanea di atti relativi ad artisti, b. 9, fasc. 501, poi inserito nella Miscellanea della soprintendenza, cassetta 5 (= Corbo 1965, pp. 128-129). Doc. 459 [Dopo il 10, 18 o 24-25] marzo 1564 Tommaso Cavalieri in Roma a Giorgio Vasari [...] Havendo lui fatto dirizzare in piede in casa sua la statua del Moise, quale era bozzata assai a
bon termine in sino al tempo di papa Julio Secondo, trovandomi io seco a guardarla, gli disse: «Se questa figura stesse con la testa volta in qua, chredo, che forse facesse meglio.» Lui a questo non mi rispose; ma doi giorni dapoi, essendo io da lui, mi disse: «Non sapete, il Moise ce intese parlare laltro giorno et per intenderci megglio [sic] si è volto.» Et andando io vedere, trovai, che li haveva svoltata la testa et sopra la punta del naso gli haveva lasciata un poca della gota con la pelle vecchia, che certo fu cosa mirabile; ne credo quasi che a me stesso, considerando la cosa quasi che impossibile. [...] bnf, cl. xxv, cod. 551 (Strozziano n. 828), fol. 249
s. (= Frey 1982, p. 64).
Doc. 460 11 giugnio 1564 Daniele Ricciarelli in Roma a Leonardo Buonarroti in Firenze [...] Questi del Papa hanno fatto gran forza d’aver la casa. Io la ho difesa in modo che non credo ci penseranno più; e acciò che si vegga la casa più abitata, ho messo Jacopo con le sue donne in le stanze che abitavano le donne d’Antonio. [...] bm, Egerton Ms. 1977, cc. 20-22 (= Carteggio indiretto 1988-95, ii, pp. 199-200, n. 370).
Doc. 461 [dopo il 14 luglio] 1564 Orazione funebre di Benedetto Varchi […] Fornì il Moisè, e l’altre figure, che egli haveva abbozzate per la sepultura di Papa Giulio: per cagione della quale egli tante volte, e tanto indegnamente fu tribolato, e tempestato; e non ragionevolmente, anzi a grandissimo torto da coloro, che per altra via, ne in altro modo calogniare nol poteano; morso, trafitto, e lacerato. […] e due statue, che egli essendo molto affezzionato à lui, e à M. Lorenzo Ridolfi, suo cognato presentò à M. Ruberto di Filippo Strozzi. […] Fu ancora infamato da gl’huomini maldicenti d’havere per la sepoltura di Papa Giulio secondo gran quantità d’oro, e di moneta ricevuto; la qual cosa essere stata falsissima si può manifestamente dimostrare. […] Varchi 1564, pp. 28, 29, 33-34 (= Varchi 2008, pp. 21, 24). 1568 Doc. 462 Nel ritorno di Giuliano [da Sangallo] in Roma si praticava se ’l divino Michele Agnolo Buonarroti dovesse fare la sepoltura di Giulio; per che Giuliano confortò il Papa all’impresa, aggiugnendo che gli pareva che per quello edifizio si dovesse fabricare una cappella aposta senza porre quella nel vecchio San Piero, non vi essendo luogo, perciò che quella cappella renderebbe quell’opera più perfetta. Avendo dunque molti architetti fatti disegni, si venne in tanta considerazione a poco a poco, che in cambio du fare una cappella si mise mano alla gran fabrica del nuovo San Piero. Vasari 1568 [ed. 1987], iv, p. 144 (Vita di Giuliano da Sangallo). Doc. 463 Andato poi a Roma, dal Buonarroto gli furono fatte fare due figure di marmo, grandi braccia cinque, per la sepoltura di Giulio Secondo a San Pietro in Vincola, murata e finita allora da Michelagnolo. Ma amalandosi Raffaello mentre faceva questa opera, non poté mettervi quello studio e diligenza che era solito; onde ne perdé di grado, e sodisfece poco a Michelagnolo. Vasari 1568 [ed. 1987], iv, p. 295 (Vita di Raffaello da Montelupo). Doc. 464 Fece [Baccio Bandinelli] ancora sì che ‘l duca chiese a Michelagnolo per ordine di Baccio molti marmi, i quali egli aveva in Firenze, et ottenutigli il Duca da Michelagnolo e Baccio dal Duca, tra’quali marmi erano alcune bozze di figure et
una statua assai tirata innanzi da Michelagnolo, Baccio, preso ogni cosa, tagliò e tritò in pezzi ciò che trovò, parendogli in questo modo vendicarsi e fare a Michelagnolo dispiacere. Trovò ancora nella stanza medesima di San Lorenzo, dove Michelagnolo lavorava, due statue in un marmo d’un Ercole che strigneva Anteo [...]. Vasari 1568 [ed. 1987], v, p. 259 (Vita di Baccio Bandinelli). Doc. 465 Rimaso libero il Buonarroto per la morte del Papa dall’obligo di San Lorenzo, voltò l’animo a uscir di quello che aveva per la sepoltura di papa Giulio Secondo; ma perché aveva in ciò bisogno d’aiuto, mandò per lo frate: il quale non andò a Roma altrimenti prima che avesse finita del tutto l’imagine del duca Alessandro nella Nunziata [...]. Fornita adunque questa imagine et andato a Roma, fu di grande aiuto a Michelagnolo nell’opera della già detta sepoltura di Giulio Secondo. Vasari 1568 [ed. 1987], v, p. 494 (Vita di Fra Giovann’Agnolo Montorsoli). Doc. 466 Era talmente la fama di Michelagnolo per la Pietà fatta, per il Gigante di Fiorenza e per il Cartone nota, che essendo venuto, l’anno 1503, la morte di papa Alessandro VI e creato Giulio Secondo (che allora Michelagnolo era di anni ventinove in circa), fu chiamato con gran suo favore da Giulio II per fargli fare la sepoltura sua, e per suo viatico gli fu pagato scudi cento da’ suoi oratori. Dove condottosi a Roma, passò molti mesi innanzi che gli facessi mettere mano a cosa alcuna. Finalmente si risolvette a un disegno che aveva fatto per tal sepoltura, ottimo testimonio della virtù di Michelagnolo, che di bellezza e di superbia e di grande ornamento e ricchezza di statue passava ogni antica et imperiale sepoltura. Onde cresciuto lo animo a papa Giulio, fu cagione che si risolvé a mettere mano a rifare di nuovo la chiesa di S. Piero di Roma per mettercela drento, come s’è detto altrove. Così Michelagnolo si misse al lavoro con grande animo, e per dargli principio andò a Carrara a cavare tutti i marmi con dua suoi garzoni, et in Fiorenza da Alamanno Salviati ebbe a quel conto scudi mille; dove consumò in que’ monti otto mesi senza altri danari o provisioni, dove ebbe molti capricci di fare in quelle cave, per lasciar memoria di sé, come già avevano fatto gli antichi, statue grandi, invitato da que’ massi. Scelto poi la quantità de’ marmi e fattoli caricare alla marina e dipoi condotti a Roma, empierono la metà della piazza di S. Pietro intorno a Santa Caterina e fra la chiesa e ’l corridore che va a Castello: nel qual luogo Michelagnolo aveva fatto la stanza da lavorar le figure et il resto della sepoltura. E perché comodamente potessi venire a vedere lavorare, il Papa aveva fatto fare un ponte levatoio dal corridore alla stanza, e perciò molto famigliare se l’era fatto: che col tempo questi favori gli dettono gran noia e persecuzione, e gli generorono molta invidia fra gli artefici suoi. Di quest’opera condusse Michelagnolo, vivente Giulio e dopo la morte sua, 4 statue finite et 8 abbozzate, come si dirà al suo luogo. E perché questa opera fu ordinata con grandissima invenzione, qui di sotto narreremo l’ordine che egli pigliò. E perché ella dovessi mostrare maggior grandezza, volse che ella fussi isolata da poterla vedere da tutt’a 4 le facce, che in ciascuna era per un verso braccia 12, e per l’altre due braccia 18, tanto che la proporzione era un quadro e mezzo. Aveva un ordine di nicchie di fuori a torno a torno, le quali erano tramez[z]ate da termini vestiti dal mez[z]o in su, che con la testa tenevano la prima cornice; e ciascuno termine con strana e bizarra attitudine ha legato un Prigione ignudo, il qual posava coi piedi in un risalto d’un basamento. Questi Prigioni erano tutte le provincie soggiogate da questo Pontefice e fatte obediente alla Chiesa Apostolica; et altre statue diverse, pur legate, erano tutte le Virtù et Arte ingegnose, che mostravano esser sottoposte alla morte non meno che si fussi quel Pontefice che sì onoratamente le adoperava. Su’ canti della prima cornice andava 4 figure grandi, la Vita attiva e la contemplativa, e S. Paulo e Moisè. Ascendeva
l’opera sopra la cornice in gradi diminuendo cor un fregio di storie di bronzo e con altre figure e putti et ornamenti a torno; e sopra era per fine 2 figure, che una era il Cielo, che ridendo sosteneva in sulle palme una bara, insieme con Cibele dea della terra, [che] pareva che si dolessi che ella rimanessi al mondo priva d’ogni virtù per la morte di questo uomo; et il Cielo pareva che ridessi che l’anima sua era passata alla gloria celeste. Era accomodato che s’entrava et usciva per le teste della quadratura dell’opera nel mezzo delle nicchie, e drento era, caminando a uso di tempio, in forma ovale, nel quale aveva nel mezzo la cassa, dove aveva a porsi il corpo morto di quel Papa. E finalmente vi andava in tutta quest’opera 40 statue di marmo, senza l’altre storie, putti et ornamenti, e tutte intagliate le cornici e gli altri membri dell’opera d’architettura. Et ordinò Michelagnolo, per più facilità, che una parte de’ marmi gli fussin portati a Fiorenza, dove egli disegnava talvolta farvi la state per fuggire la mala aria di Roma; dove in più pezzi ne condusse di quest’opera una faccia di tutto punto, e di suo mano finì in Roma 2 Prigioni, afatto cosa divina, et altre statue che non s’è mai visto meglio, che non si messono altrimenti in opera: che furono da lui donati detti Prigioni al signor Ruberto Stroz[z]i, per trovarsi Michelagnolo malato in casa sua, che furono mandati poi a donare al re Francesco, e’ quali sono oggi a Cevan in Francia; et otto statue abozzò in Roma parimente, et a Fiorenza ne abozzò 5, e finì una Vittoria con un Prigion sotto, qual’sono oggi appresso del duca Cosimo, stati donati da Lionardo suo nipote a Sua Ecc[ellenza], che la Vittoria l’ha messa nella Sala grande del suo palazzo, dipinta dal Vasari. Finì il Moisè di 5 braccia, di marmo: alla quale statua non sarà mai cosa moderna alcuna che possa arrivare di bellezza, e delle antiche ancora si può dire il medesimo; avvengaché egli, con gravissima attitudine sedendo, posa un braccio in sulle Tavole che egli tiene con una mano, e con l’altra si tiene la barba, la quale nel marmo svellata e lunga è condotta di sorte che i capegli, dove ha tanta dificultà la scultura, son condotti sottilissimamente, piumosi, morbidi e sfilati, d’una maniera che pare impossibile che il ferro sia diventato pennello; et inoltre alla bellezza della faccia, che ha certo aria di vero, santo e terribilissimo principe, pare che mentre lo guardi abbia voglia di chiedergli il velo per coprirgli la faccia, tanto splendida e tanto lucida appare altrui. Et ha sì bene ritratto nel marmo la divinità che Dio aveva messo nel santissimo volto di quello, oltre che vi sono i panni straforati e finiti con bellissimo girar di lembi, e le braccia di muscoli e le mane di ossature e nervi sono a tanta bellezza e perfezzione condotte, e le gambe appresso e le ginocchia, et i piedi sotto di sì fatti calzari accomodati, et è finito talmente ogni lavoro suo, che Moisè può più oggi che mai chiamarsi amico di Dio, poi che tanto innanzi agli altri ha voluto mettere insieme e preparargli il corpo per la sua ressurrezione per le mani di Michelagnolo. E séguitino gli Ebrei di andare, come fanno ogni sabato, a schiera, e maschî e femine, come gli storni a visitarlo et adorarlo, ché non cosa umana ma divina adoreranno. Dove finalmente pervenne allo accordo e fine di questa opera, la quale, delle quattro parti, se ne murò poi in San Piero in Vincola una delle minori. Dicesi che, mentre che Michelagnolo faceva questa opera, venne a Ripa tutto il restante de’ marmi per detta sepoltura, che erano rimasti a Carrara, e’ quali fur fatti condurre cogl’altri sopra la piazza di San Pietro: e perché bisognava pagarli a chi gli aveva condotti, andò Michelagnolo, come era solito, al Papa; ma avendo Sua Santità in quel dì cosa che gli importava per le cose di Bologna, tornò a casa e pagò di suo detti marmi, pensando averne l’ordine sùbito da Sua Santità. Tornò un altro giorno per parlare al Papa, e trovato dificultà a entrare, perché un palafreniere gli disse che avessi pazienzia, che aveva commessione di non metterlo drento, fu detto da un vescovo al palafreniere: «Tu non conosci forse questo uomo». «Troppo ben lo conosco, – disse il palafrenieri – ma io son qui per far quel che m’è commesso da’ miei superiori e dal Papa». Dispiacque questo atto a Michelagnolo, e parendogli il contrario di quello che aveva provato innanzi, sdegnato rispose al palafre-
nieri del Papa che gli dicessi che da qui innanzi, quando lo cercava Sua Santità, essere ito altrove; e tornato alla stanza, a due ore di notte montò in sulle poste, lasciando a due servitori che vendessino tutte le cose di casa ai giudei e lo seguitassero a Fiorenza, dove egli s’era avviato. Et arrivato a Poggibonzi, luogo sul Fiorentino, sicuro si fermò: né andò guari che cinque corrieri arrivorono con le lettere del Papa per menarlo indietro, che né per preghi né per la lettera che gli comandava che tornasse a Roma sotto pena della sua disgrazia, al che fare non volse intendere niente; ma i prieghi de’ corrieri finalmente lo svolsono a scrivere due parole in risposta a Sua Santità, che gli perdonassi che non era per tornare più alla presenzia sua, poi che l’aveva fatto cacciare via come un tristo, e che la sua fedel servitù non meritava questo, e che si provedessi altrove di chi lo servissi. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, p. 25 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 467 Arrivato Michelagnolo a Fiorenza, attese a finire, in tre mesi che vi stette, il cartone della Sala grande, che Pier Soderini gonfaloniere desiderava che lo mettessi in opera. Imperò venne alla Signoria in quel tempo tre brevi, che dovessino rimandare Michelagnolo a Roma; per il che egli, veduto questa furia del Papa, dubitando di lui, ebbe, secondo che si dice, voglia di andarsene in Gostantinopoli a servire il Turco (per mezzo di certi frati di san Francesco), che desiderava averlo per fare un ponte che passassi da Gostantinopoli a Pera. Pure, persuaso da Pier Soderini allo andare a trovare il Papa, ancorché non volessi, come persona publica, per assicurarlo, con titolo d’imbasciadore della città, finalmente lo raccomandò al cardinale Soderini suo fratello che lo introducessi al Papa, [e] lo inviò a Bologna, dove era già di Roma venuto Sua Santità. Dicesi ancora in altro modo questa sua partita di Roma: che il Papa si sdegnassi con Michelagnolo, il quale non voleva lasciar vedere nessuna delle sue cose, e che avendo sospetto de’ suoi, dubitando, come fu più d’una volta, che vedde quel che faceva, travestito, a certe occasioni che Michelagnolo non era in casa o al lavoro, e perché, corrompendo una volta i suo garzoni con danari per entrare a vedere la cappella di Sisto suo zio che gli fe’ dipignere, come si disse poco innanzi, e che nascostosi Michelagnolo una volta, perché egli dubitava del tradimento de’ garzoni, tirò con tavole nell’entrare il Papa in cappella, che non pensando chi fussi, lo fece tornare fuora a furia. Basta che, o nell’uno modo o nell’altro, egli ebbe sdegno col Papa e poi paura, che se gli ebbe a levar dinanzi. Così arrivato in Bologna, né prima trattosi gli stivali, ch’e’ fu da’famigliari del Papa condotto da Sua Santità, che era nel Palazzo de’Sedici, accompagnato da uno vescovo del cardinale Soderini, perché essendo malato il Cardinale non poté andargli; et arrivati dinanzi al Papa, inginocchiatosi Michelagnolo, lo guardò Sua Santità a traverso e come sdegnato, e gli disse: «In cambio di venire tu a trovare noi, tu hai aspettato che venghiamo a trovar te? », volendo inferire che Bologna è più vicina a Fiorenza che Roma. Michelagnolo con le mani cortese et a voce alta gli chiese umilmente perdono, scusandosi che quel che aveva fatto era stato per isdegno, non potendo sopportare d’essere cacciato così via, e che, avendo errato, di nuovo gli perdonassi. Il vescovo, che aveva al Papa offerto Michelagnolo, scusandolo diceva a Sua Santità che tali uomini sono ignoranti e che da quell’arte in fuora non valevano in altro, e che volentieri gli perdonassi. Al Papa venne còllora e con una mazza che avea rifrustò il vescovo, dicendogli: «Ignorante sei tu, che gli di’ villania, che non gliene diciàn noi». Così dal palafrenieri fu spinto fuori il vescovo con frugoni; e partito, et il Papa sfogato la còllora sopra di lui, benedì Michelagnolo, il quale con doni e speranze fu trattenuto in Bologna, tanto che Sua Santità gli ordinò che dovessi fare una statua di bronzo a similitudine di papa Giulio, cinque braccia d’altezza; nella quale usò arte bellissima nella attitudine, perché nel tutto avea maestà e grandezza, e ne’ panni mostrava
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Michelangelo. Il marmo e la mente
ricchezza e magnificenza, e nel viso animo, forza, prontezza e terribilità. Questa fu posta in una nicchia sopra la porta di San Petronio. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, pp. 30-31 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 468 Mentre che ’l Papa se n’era tornato a Roma e che Michelagnolo aveva condotto questa statua [i.e. la statua di bronzo di papa Giulio II], nella assenza di Michelagnolo, Bramante, amico e parente di Raffaello da Urbino e per questo rispetto poco amico di Michelagnolo, vedendo che il Papa favoriva et ingrandiva l’opere ch’e’ faceva di scoltura, andaron pensando di levargli dell’animo che, tornando Michelagnolo, Sua Santità non facessi attendere a finire la sepoltura sua, dicendo che pareva uno affrettarsi la morte et augurio cattivo il farsi in vita il sepolcro; e lo persuasono a far che nel ritorno di Michelagnolo Sua Santità, per memoria di Sisto suo zio, gli dovessi far dipignere la volta della cappella che egli aveva fatta in palazzo; et in questo modo pareva a Bramante et altri emuli di Michelagnolo di ritrarlo dalla scoltura, ove lo vedeva perfetto, e metterlo in disperazione, pensando, col farlo dipignere, che dovessi fare, per non avere sperimento ne’ colori a fresco, opera men lodata, e che dovessi riuscire da meno che Raffaello: e caso pure che e’ riuscissi il farlo, el facessi sdegnare per ogni modo col Papa, dove ne avessi a seguii e, o nell’uno modo o nell’altro, l’intento loro di levarselo dinanzi. Così, ritornato Michelagnolo a Roma e stando in proposito il Papa di non finire per allora la sua sepoltura, lo ricercò che dipignessi la volta della cappella. Il che Michelagnolo, che desiderava finire la sepoltura, e parendogli la volta di quella cappella lavor grande e dificile, e considerando la poca pratica sua ne’ colori, cercò con ogni via di scaricarsi questo peso da dosso, mettendo per ciò innanzi Raffaello. Ma tanto quanto più ricusava, tanto maggior voglia ne cresceva al Papa, impetuoso nelle sue imprese, e per arroto di nuovo dagli emuli di Michelagnolo estimolato, e spezialmente da Bramante, che quasi il Papa, che era sùbito, si fu per adirare con Michelagnolo. Là dove, visto che perseverava Sua Santità in questo, si risolvé a farla... Vasari 1568 [ed. 1987], vi, p. 33 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 469 Dove che, finito la Cappella, et innanzi che venissi quel Papa a morte, ordinò Sua Santità, se morissi, al cardinale Santiquattro et al cardinale Aginense suo nipote, che facessi finire la sua sepoltura con minor disegno che ’l primo. Al che fare di nuovo si messe Michelagnolo, e così diede principio volentieri a questa sepoltura per condurla una volta senza tanti impedimenti al fine, che n’ebbe sempre dipoi dispiacere e fastidi e travagli più che di cosa che facessi in vita, e ne acquistò per molto tempo in un certo modo nome d’ingrato verso quel Papa, che l’amò e favorì tanto. Di che egli alla sepoltura ritornato, quella di continuo lavorando, e parte mettendo in ordine disegni da potere condurre le facciate della Cappella, volse la fortuna invidiosa che di tal memoria non si lasciasse quel fine che di tanta perfezzione aveva avuto principio: perché successe in quel tempo la morte di papa Giulio; onde tal cosa si misse in abandono per la creazione di papa Leone Decimo, il quale, d’animo e valore non meno splendido che Giulio, aveva desiderio di lasciare nella patria sua, per essere stato il primo Pontefice di quella, in memoria di sé e d’uno artefice divino e suo cittadino, quelle meraviglie che un grandissimo principe come esso poteva fare. Per il che, dato ordine che la facciata di S. Lorenzo di Fiorenza, chiesa dalla casa de’ Medici fabricata, si facesse per lui, fu cagione che il lavoro della sepoltura di Giulio rimase imperfetto, e richiese Michelagnolo di parere e disegno e che dovesse essere egli il capo di questa opera. Dove Michelagnolo fe’ tutta quella resistenza che potette, allegando essere obligato per la sepoltura [a] Santiquattro et Aginense. Gli rispose che non pensassi a que-
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sto, che già aveva pensato egli et operato che Michelagnolo fussi licenziato da loro, promettendo che Michelagnolo lavorerebbe a Fiorenza, come già aveva cominciato, le figure per detta sepoltura: che tutto fu con dispiacere de’ cardinali e di Michelagnolo, che si partì piangendo. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, pp. 49-50 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 470 Mentre che egli era a Carrara e che e’ faceva cavar marmi non meno per la sepoltura di Giulio che per la facciata, pensando pur di finirla, gli fu scritto che, avendo inteso papa Leone che nelle montagne di Pietrasanta a Seravezza, sul dominio fiorentino, nella altezza del più alto monte, chiamato l’Altissimo, erano marmi della medesima bontà e bellezza che quelli di Carrara: e già lo sapeva Michelagnolo, ma pareva che non ci volesse attendere, per essere amico del marchese Alberigo signore di Carrara, e per fargli beneficio volessi più tosto cavare de’ carraresi che di quegli di Seravezza, o fusse che egli la giudicasse cosa lunga e da perdervi molto tempo, come intervenne; ma pure fu forzato andare a Seravezza, se bene allegava in contrario che ciò fussi di più disagio e spesa, come era, massimamente nel suo principio, e di più che non era forse così. Ma in effetto non volse udirne parola; però convenne fare una strada di parecchi miglia per le montagne, e per forza di mazze e picconi rompere massi per ispianare, e con palafitta ne’ luoghi paludosi: ove spese molti anni Michelagnolo per esseguire la volontà del Papa, e vi si cavò finalmente cinque colonne di giusta grandezza, che una n’è sopra la piazza di San Lorenzo in Fiorenza, l’altre sono alla marina. E per questa cagione il marchese Alberigo, che si vedde guasto l’aviamento, diventò poi gran nemico di Michelagnolo senza sua colpa. Cavò oltre a queste colonne molti marmi, che sono ancora in sulle cave stati più di trenta anni. Ma oggi il duca Cosimo ha dato ordine di finire la strada, che ci è ancora dua miglia a farsi, molto malagevole, per condurre questi marmi, e di più da un’altra cava eccellente per marmi che allora fu scoperta da Michelagnolo, per poter finire molte belle imprese; e nel medesimo luogo di Seravezza ha scoperto una montagna di mischii durissimi e molti begli sotto Stazema, villa in quelle montagne, dove ha fatto fare il medesimo duca Cosimo una strada siliciata di più di quattro miglia per condurli alla marina. E tornando a Michelagnolo, che se ne tornò a Fiorenza, perdendo molto tempo ora in questa cosa et ora in quell’altra, et allora fece per il palazzo de’ Medici un modello delle finestre inginocchiate a quelle stanze che sono sul canto dove Giovanni da Udine lavorò quella camera di stucco e dipinse, che è cosa lodatissima; e fecevi fare, ma con suo ordine, dal Piloto orefice quelle gelosie di rame straforato, che son certo cosa mirabile. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, pp. 51-52 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 471 Spaventò la morte di Leone talmente gli artefici e le arti, et in Roma et in Fiorenza, che, mentre che Adriano VI visse, Michelagnolo s’attese in Fiorenza alla sepoltura di Giulio. Ma morto Adriano e creato Clemente VII, il quale nelle arti dell’architettura, della scultura, della pittura fu non meno desideroso di lasciar fama che Leone e gli altri suo predecessori, in questo tempo, l’anno 1525, fu condotto Giorgio Vasari fanciullo a Fiorenza dal cardinale di Cortona e messo a stare con Michelagnolo a imparare l’arte. Ma essendo lui chiamato a Roma da papa Clemente VII, perché gli aveva cominciato la Libreria di San Lorenzo e la Sagrestia nuova per metter le sepolture di marmo de’ suoi maggiori che egli faceva, si risolvé che il Vasari andasse a stare con Andrea del Sarto fino che egli si spediva, et egli proprio venne a bottega di Andrea a raccomandarlo. Partì per Roma Michelagnolo in fretta, e infestato di nuovo da Francesco Maria duca di Urbino, nipote di papa Giulio, il quale si doleva di Michelagnolo, dicendo che aveva ricevuto 16 mila scudi per detta sepoltura e che se ne stava in Fiorenza a’ suoi piaceri, e lo minacciò malamente che, se non vi attende-
va, lo farebbe capitare male. Giunto a Roma, papa Clemente, che se ne voleva servire, lo consigliò che facessi conto cogli agenti del Duca, ché pensava che, a quel ch’egli aveva fatto, fussi più tosto creditore che debitore. La cosa restò così. E ragionando insieme di molte cose, si risolsero di finire affatto la Sagrestia e Libreria nuova di S. Lorenzo di Fiorenza. Laonde partitosi di Roma, e’ voltò la cupola che vi si vede, la quale di vario componimento fece lavorare, et al Piloto orefice fece fare una palla a 72 facce, che è bellissima. Accadde, mentre che e’ la voltava, che fu domandato da alcuni suoi amici: «Michelagnolo, voi doverete molto variare la vostra lanterna da quella di Filippo Brunelleschi»; et egli rispose loro: «Egli si può ben variare, ma migliorare no». Vasari 1568 [ed. 1987], vi, pp. 53-54 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 472 E così in que’ giorni Anton Mini suo creato, che aveva 2 sorelle da maritarsi, gliene chiese, et egli gliene donò volentieri con la maggior parte de’ disegni e cartoni fatti da lui, ch’erano cosa divina; così 2 casse di modegli con gran numero di cartoni finiti per far pitture, e parte d’opere fatte; che venutogli fantasia d’andarsene in Francia, gli portò seco, e la Leda la vendé al re Francesco per via di mercanti, oggi a Fontanableò; et i cartoni e’ disegni andaron male, perché egli si morì là in poco tempo, e gliene fu rubati: dove si privò questo paese di tante e sì utili fatiche, che fu danno inestimabile. A Fiorenza è ritornato poi il cartone della Leda, che l’ha Bernardo Vec[c]hietti, e così 4 pezzi d’i cartoni della Cappella, di Ignudi e Profeti, condotti da Benvenuto Cellini scultore, oggi appresso agli eredi di Girolamo degli Albizi. Convenne a Michelagnolo andare a Roma a papa Clemente, il quale, benché adirato con lui, come amico della virtù gli perdonò ogni cosa e gli diede ordine che tornasse a Fiorenza e che la Libreria e Sagrestia di S. Lorenzo si finissero del tutto. E per abreviare tal opera, una infinità di statue che ci andavano compartirono in altri maestri: egli n’allogò 2 al Tribolo, una a Raffaello da Montelupo et una a fra’ Giovann’Agnolo frate de’ Servi, tutti scultori, e gli diede aiuto in esse facendo a ciascuno i modelli in bozze di terra. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, p. 64 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 473 Mentre che Michelagnolo dava ordine a far questi disegni e cartoni della prima facciata del Giudizio, non restava giornalmente essere alle mani con gli agenti del Duca d’Urbino, dai quali era incaricato aver ricevuto da Giulio II 16 mila scudi per la sepoltura, e non poteva soportare questo carico: e desiderava finirla un giorno, quantunque e’ fussi già vecchio, e volentieri se ne sarebbe stato a Roma, poi che senza cercarla gli era venuta questa occasione per non tornare più a Fiorenza, avendo molta paura del duca Alessandro de’ Medici, il quale pensava gli fusse poco amico; per che, avendogli fatto intendere per il signor Alessandro Vitegli che dovessi vedere dove fussi miglior sito per fare il castello e cittadella di Fiorenza, rispose non vi volere andare, se non gli era comandato da papa Clemente. Finalmente fu fatto lo accordo di questa sepoltura, e che così finissi in questo modo: che non si facessi più la sepoltura isolata in forma quadra, ma solamente una di quelle facce sole, in quel modo che piaceva a Michelagnolo, e che fussi obligato a metterci di sua mano sei statue; et in questo contratto, che si fece col Duca d’Urbino, concesse Sua Eccellenzia che Michelagnolo fussi obligato a papa Clemente quattro mesi dell’anno, o a Fiorenza o dove più gli paresse adoperarlo. Et ancora che paressi a Michelagnolo d’esser quietato, non finì per questo; perché desiderando Clemente di vedere l’ultima pruova delle forze della sua virtù, lo faceva attendere al cartone del Giudizio. Ma egli, mostrando al Papa di essere occupato in quello, non restava però con ogni poter suo, e segretamente lavorava sopra le statue che andavano a detta sepoltura.
Successe l’anno 1533 la morte di papa Clemente, dove a Fiorenza si fermò l’opera della Sagrestia e Libreria, la quale, con tanto studio cercando si finisse, pure rimase imperfetta. Pensò veramente allora Michelagnolo essere libero e potere attendere a dar fine alla sepoltura di Giulio II. Ma essendo creato Paulo Terzo, non passò molto che, fattolo chiamare a sé, oltra al fargli carezze et offerte, lo ricercò che dovessi servirlo e che lo voleva appresso di sé. Ricusò questo Michelagnolo, dicendo che non poteva fare, essendo per contratto obligato al Duca d’Urbino finché fussi finita la sepoltura di Giulio. Il Papa ne prese còllora, dicendo: «Io ho avuto 30 anni questo desiderio, et ora che son Papa non me lo caverò? Io straccerò il contratto e son disposto che tu mi serva a ogni modo». Michelagnolo, veduto questa risoluzione, fu tentato di partirsi da Roma et in qualche maniera trovar via da dar fine a questa sepoltura. Tuttavia temendo, come prudente, della grandezza del Papa, andava pensando trattenerlo di sodisfarlo di parole, vedendolo tanto vecchio, finché qualcosa nascesse. Il Papa, che voleva far fare qualche opera segnalata a Michelagnolo, andò un giorno a trovarlo a casa con dieci cardinali, dove e’ volse veder tutte le statue della sepoltura di Giulio, che gli parsono miracolose, e particolarmente il Moisè, che dal cardinale di Mantova fu detto che quella sol figura bastava a onorare papa Giulio; e veduto i cartoni e’ disegni che ordinava per la facciata della Cappella, che gli parvono stupendi, di nuovo il Papa lo ricercò con istanzia che dovessi andare a servirlo, promettendogli ch’e’ farebbe che ’l Duca d’Urbino «si contenterà di tre statue, e che l’altre si faccin fare con suo modegli a altri eccellenti maestri». Per il che, procurato ciò con gli agenti del Duca Sua Santità, fecesi di nuovo contratto confermato dal Duca, e Michelagnolo spontaneamente si obligò pagar le tre statue e farla murare; che per ciò depositò in sul banco degli Strozzi ducati mille cinquecento ottanta, e’ quali arebbe potuto fuggire: e gli parve aver fatto assai a essersi disobligato di sì lunga e dispiacevole impresa, la quale egli la fece poi murare in San Piero in Vincola in questo modo. Messe sù il primo imbasamento intagliato con quattro piedistalli, che risaltavano in fuori tanto quanto prima vi doveva stare un Prigione per ciascuno, che in quel cambio vi restava una figura di un termine; e perché da basso veniva povero, aveva per ciascun termine messo a’ piedi una mensola che posava a rovescio in sù. Que’ quattro termini mettevano in mezzo tre nicchie, due delle quali erano tonde dalle bande, e vi dovevano andare le Vittorie, in cambio delle quali in una messe Lia, figliuola di Laban, per la Vita attiva, con uno specchio in mano per la considerazione si deve avere per le azzioni nostre, e nell’altra una grillanda di fiori per le virtù che ornano la vita nostra in vita e dopo la morte la fanno gloriosa; l’altra fu Rachel, sua sorella, per la Vita contemplativa, con le mani giunte, con un ginocchio piegato, e col volto par che stia elevata in spirito. Le quali statue condusse di sua mano Michelagnolo in meno di uno anno. Nel mezzo è l’altra nicchia, ma quadra, che questa doveva essere nel primo disegno una delle porti che entravano nel tempietto ovato della sepoltura quadrata; questa essendo diventata nicchia, vi è posto in sur un dado di marmo la grandissima e bellissima statua di Moisè, della quale abastanza si è ragionato. Sopra le teste de’ termini, che fan capitello, è architrave, fregio e cornice, che risalta sopra i termini, intagliato con ricchi fregi e fogliami, uovoli e dentegli e altri ricchi membri per tutta l’opera. Sopra la quale cornice si muove un altro ordine pulito, senza intagli, di altri ma variati termini: corrispondendo a dirittura a que’ primi a uso di pilastri, con varie modanature di cornice – e, per tutto, questo ordine accompagna et obedisce a quegli di sotto –, vi viene un vano simile a quello che fa nicchia come quella dov’è ora il Moisè, nel quale è posato su’ risalti della cornice una cassa di marmo con la statua di papa Giulio a diacere, fatta da Maso dal Bosco scultore, e, dritto nella nicchia che vi è, una Nostra Donna che tiene il Figliuolo in collo, condotta da Scherano da Settignano scultore col modello di Michelagnolo, che sono assai ragionevole statue.
Et in due altre nicchie quadre sopra la Vita attiva e la contemplativa sono due statue maggiori, un Profeta et una Sibilla a sedere, che ambidue fur fatte da Raffaello da Montelupo, come s’è detto nella Vita di Baccio suo padre, che fur condotte con poca satisfazione di Michelagnolo. Ebbe per ultimo finimento questa opera una cornice varia che risaltava, come di sotto, per tutto; e sopra i termini era per fine candelieri di marmo, e nel mezzo l’arme di Papa Giulio; e sopra il Profeta e la Sibilla, nel vano della nicchia, vi fece per ciascuna una finestra per comodità di que’ frati che ufiziano quella chiesa, avendovi fatto il coro dietro, che servono, dicendo il divino ufìzio, a mandare le voci in chiesa et a vedere celebrare. E nel vero che tutta questa opera è tornata benissimo, ma non già a gran pezzo come era ordinato il primo disegno. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, pp. 65-66 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 474 Non volse Michelagnolo che il Montelupo facessi le statue, avendo visto quanto s’era portato male nelle sue della sepoltura di Giulio Secondo, e si contentò più presto ch’elle fussino date a Bartolommeo Ammannati, quale il Vasari aveva messo innanzi [...]. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, p. 82 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 475 [...] Dopo la morte [di Michelangelo] donò Lionardo Buonarroti suo nipote a Sua E[ccellenza] ... molti altri disegni e schizzi e cartoni di mano di Michelagnolo, insieme con la statua della Vittoria, che ha sotto un Prigione, di braccia cinque alta; ma quattro Prigioni bozzati , che possano insegnare a cavare de’ marmi le figure con un modo sicuro da non istorpiare i sassi, che il modo è questo: che se e’si piglassi una figura di cera o d’altra materia dura, e si mettessi a diacere in una conca d’acqua, la quale acqua, essendo per sua natura nella sua sommità piana e pari, alzando la detta figura a poco a poco del pari, così vengono a scoprirsi prima le parti più rilevate, et a nascondersi i fondi, cioè le parti più basse della figura, tanto che nel fine ella così viene scoperta tutta. Nel medesimo modo si debbono cavare con lo scarpello le figure de’marmi, prima scoprendo le parti più rilevate e di mano in mano le più basse; il quale modo si vede osservato da Michelagnolo ne’sopradetti Prigioni, i quali Sua Eccellenzia vuole che servino per esemplo de’suoi Accademici. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, p. 110 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 476 [...] Con coloro che stettono con seco in casa ebbe mala fortuna, perché percosse in subietti poco atti a imitarlo: perché Piero Urbano pistolese, suo creato, era persona d’ingegno, ma non volse mai affaticarsi. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, p. 111 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 477 Donò i duoi Prigioni al signor Ruberto Strozzi [...]. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, p. 113 (Vita di Michelangelo Buonarroti). Doc. 478 Amò parimente Topolino scarpellino, il quale aveva fantasia d’essere valente scultore, ma era debolissimo. Costui stette nelle montagne di Carrara molti anni a mandar marmi a Michelagnolo; né arebbe mai mandato una scafa carica, che non avessi mandato sopra tre o quattro figurine bozzate di sua mano, che Michelagnolo moriva della risa. Vasari 1568 [ed. 1987], vi, p. 121 (Vita di Michelangelo Buonarroti).
Doc. 479 Mentre che egli faceva finire la sepoltura di Giulio Secondo, fece a uno squadratore di marmi condurre un termine per porlo nella sepoltura di S. Piero in Vincola, con dire: «Lieva oggi questo, e spiana qui, pulisci qua»; di maniera che, senza che colui se n’avedessi, gli fe’ fare una figura. Per che, finita, colui maravigliosamente la guardava; disse Michelagnolo: «Che te ne pare?» «Parmi bene,» rispose colui, «e v’ho grande obligo». «Perché?», soggiunse Michelagnolo. «Perché io ho ritrovato per mezzo vostro una virtù che io non sapeva d’averla». Vasari 1568 [ed. 1987], vi, p. 121 (Vita di Michelangelo Buonarroti). 1575-1603 Doc. 480 1575 Contarini 1575, p. 102. Doc. 481 1577 Mini 1577, pp. 212-213. Doc. 482 1584 […] Hebbe dal Buonarruoto Ruberto Strozzi, per essere stato malato in casa sua, due statue rappresentanti due prigioni, che havevano à servire per la sepoltura di Giulio secondo, che poi non si misero in opera, le quali Ruberto mandò à donare al Re di Francia, e sono oggi a Cevan: & una Vittoria, che ha sotto un prigione, che pur dovea seruire per detta sepoltura è nella sala regia del palagio del Gran Duca Francesco, opera di tal bellezza che ne antica, ne moderna non le sia aggualia. [...] In Roma nella Chiesa di San Piero in Vincola alla famosa sepoltura di Giulio secondo fatta col suo disegno sono di sua mano queste statue di marmo: Lia figliuola di Laban figurata per la vita attiva, che tiene nell’una mano uno specchio, e nell’altra una ghirlanda di fiori. Rachel per la vita Contemplativa con le man giunte, con un ginocchio piegato, e Moisè figura grandissima, e bellissima, e non solo bella quanto si possa fare; ma per aventura piu che l’huomo non si puo imaginare. [...] Borghini 1584, p. 513 e 515. Doc. 483 1588 [Sant’Agostino] 1588, p. 55. Doc. 484 1588 Ugonio 1588, fol. 55v. Doc. 485 1597 [...] Et prope sacrarium ad dextram sepulchrum est Iulij II. Pont. Max. ubi est ille Moses Bonaroti, statua quae nulli ex antiquis artificio & perfectione cedit. Ibidem videntur duae pulcherrimae statuae muliebres vestitae & sedentes, & aliae duae stantes: & quatuor capita elaboratissima Ferminorum [invece di Terminorum?]. Boissard 1597, p. 86. Doc. 486 1603 Ripa 1603 (1986). Riserva grande attenzione alle due statue della Vita attiva e contemplativa. 1818 Doc. 487 22 aprile 1818 Il marchese Antonio Canova in Roma al cardinale Pacca Camerlengo Eminenza Reverendissima, a compimento degli onorati ordini di Vostra Eminenza R.ma comunicatimi con suo venerato foglio degli 7 dell’andante, ho pregato l’Egregio
Sig. Pasquale Belli architetto, e nostro Economo dell’Accademia di S. Luca, perché si recasse a fare il debito esame e rapporto sull’occorrente lavoro da farsi alla conservazione della statua del Mosè in S. Pietro in Vincolis ed egli me ne rimise la presente memoria o scandaglio, che io debitamente inserisco, per lume e governo delle disposizioni di V. Em.za R.ma. Riguardo ai fondi, su quali appoggiare la mite spesa nominata, io non saprei, né oserei sottomettere alcuna considerazione mia particolare alla sapienza dell’Em.za V.R.ma, la quale può agevolmente comprendere che questo lavoro appartiene alla classe de’ pubblici abbellimenti, e che quindi la spesa dovria essere sostenuta o dall’Erario sovrano, o dalla cassa del monastero. [...] asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 80, sottofasc. 37 (cfr. Corbo 1965, pp. 166-167, n. 23).
Doc. 488 (allegato al Doc. 487) 19 aprile 1818 L’architetto Pasquale Belli al marchese Antonio Canova Illustrissimo Signore, onorato appena dei venerati commandi di V.S. Ill. ma mi recai nella chiesa di s. Pietro in Vinculis. Ivi colla più accurata oculare ispezione esaminai li supposti danni del Mosè. Questo trovasi nel modo stesso, che fù collocato, al presente non è per mio avviso in istato del minomo deprimento, considerato in tutta la sua mole, o parzialmente quello però, che è mestieri consiste di riportarvi il muro sotto di esso, e nel fornimento di lastre di marmo nello zoccolo di già costruito di legname. Avendo scandagliato l’importo di tali lavori, io sono di parere, che potrebbe ammontare alla somma di circa scudi quaranta. Tale n’è in arte il mio pensamento. Ella pertanto si degnerà ricevere con questo i sensi di mia gratitudine, che in iscritto le avvanzo, poiché le piacque valersi della qualunque siasi opera mia. Per ultimo mi piace, che la giusta estimazione, che io sento di sua Persona, sia pari al più profondo rispetto con che mi ripeto di V.S.Ill.ma Dev.mo, ed Obbl.mo Servitore Pasquale Belli. asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 80, sottofasc. 37 (cfr. Corbo 1965, p. 117, n. 24, all. al doc. 23).
Doc. 489 2 maggio 1818, da Montecitorio Il Tesoriere Generale C. Guerrieri al cardinale Pacca Camerlengo Si farà un dovere il Tesoriere Generale di tenere a disposizione di V.E.R.ma la somma di scudi quaranta da erogarsi nella spesa, che, come Ella si compiace d’indicargli nell’ossequiato suo Foglio de’ 25 del passato, potrà importare la costruzione dello zoccolo di materiale per la statua del Mosè di Michelangelo nella Chiesa d S. Pietro in Vinculis. Non altro egli dunque attende, che gli ordini dell’E.V.R.ma per pagarla a chi sarà dovuta, ed intanto ha l’onore di baciarle col più profondo rispetto la s. Porpora [...]. asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 80 (cfr. Corbo 1965, p. 117, n. 25).
Doc. 490 19 luglio 1818 Il Marchese Antonio Canova al Cardinale Pacca Camerlengo E.mo Principe, presso gli autorevoli comandi dell’E.V.R.ma dei 7 aprile prossimo passato non mancai di prontamente commettere lo scandaglio della spesa occorrente al ristauro dello zoccolo alla statua di Mosè a S. Pietro in Vinculis, e cone l’E.V. avrà rilevato, nel mio ossequioso foglio degli 8 detto mese, la somma necessaria al ristauro suddetto, a norma della perizia del Sig. Architetto Belli inserta nel suddetto foglio, ascendeva a scudi 40, che diggià l’E.V. si è compiaciuta approvare, come si ravvisa dalla annessa facoltativa di Monsignor Tesoriere Generale dei 2 maggio, nella quale si enuncia di aver messo a disposizione dell’E.V.R.ma la somma
descritta per il sovr’indicato lavoro. Essendo il lavoro suddetto al suo termine compiego all’E.V.R.ma il conto relativo, acciò si degni ordinare che venga tratto il corrispondente ordine di pagamento a favore dello scarpellino Tommaso della Moda in soddisfazione finale del più volte ricordato lavoro, riservandosi a compimento del medesimo trasmetterle il conto del muratore allorché mi sarà pervenuto. [...] asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 80 (= Corbo 1965, p. 117, n. 26).
Doc. 491 Giugno 1818 (allegato al Doc. 490) Conto de lavori ad uso di scalpellino fatti nella V.e Chiesa di S. Pietro in Vincolis per ordine dell’Ill. mo Sig. March.e d’Ischia Ispettore Generale, con l’intelligenza di Sua Em.za Rev.ma il Sig. Cardinal Pacca Camerlengo, da me Tommaso della Moda, sono ecc. prima: piediestallo fatto sotto il Moisè: Prima: Piedistallo fatto sotto il Moisè Per il rustico di marmo ordinario di prima qualità che forma l’impellicciatura di detto zoccolo, prima la faccia d’avanti lon. p. 6 2/3. alt. p. 21/2. gross. p. 1/4. con pelle piana avanti e nelle due grossezze delle teste, e nel sopragetto con rifilature tante alle testate che sopra portate a spigolo vivo, letto sotto, a mezza segatura al di dietro, che considerato la qualità del marmo, e misura ricavata da un masso, e sue fatture. Per il rustico di marmo simile delle lastre nelle due testate lon. assieme p. 3. altez. 21/2 con pelle avanti, n. 4 rifilature a due posamenti, e pelle nel sopragetto, con mezza segatura al di dietro che considerato d’averle arrotate, impomiciate e lustre a maggior perfezione 18:33 Per il rustico di marmo simile delle lastre che fanno il piano sopra lon. assieme p. 9 1/6. long. 1 gross. p. 1/4. con pelle arrotata, pomiciata e lustra, letto, e rifilate per tutti i lati. Si quale fatto li buchi, costa, ed impiombato n. 6 spranche di ferro che le tengono a freno 9:10 Per la portatura di dette lastre, caricatura e scaricatura spese – 96 Tarato il suddetto conto a suoi giusti 10:06 prezzi, importa scudi ventotto, e b. 39=MS. 18:33 In fede. Questo dì 18 luglio 1818. Dico sc. 28:39=MS Pasquale Belli Perito Architetto asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 80 (cfr. Corbo 1965, p. 117-118, n. 27).
Doc. 492 9 settembre 1818 Il Marchese Antonio Canova al Cardinale Pacca Camerlengo Eminenza R.ma, in conformità di quanto ebbi l’onore di scrivere all’Eminenza Vostra R.ma il dì 19 luglio decorso, sul proposito del conto di scalpellino per zoccolo del Mosè di S. Pietro in Vinculis, compiego nel presente il documento relativo al lavoro fatto dal s. Baldassarre Capponi muratore, e tarato dal Sig. Pasquale Belli Architetto, per la somma di scudi dieci e b. 20, della quale si compiacerà l’Em.za V. R.ma procurarmi l’ordine corrispondente, all’effetto di soddisfarne il sud. s. Capponi. [...] asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 80 (cfr. Corbo 1965, p. 118, n. 28).
Doc. 493 24 luglio 1818 (allegato al Doc. 492) Conto de lavori ad uso di muratore fatti per collocare il zoccolo di marmo sotto il Moisè nella V.e Chiesa di S. Pietro in Vincolis, con ordine di Sua Eminenza Reverendissima il Sig. Cardinal Pacca Camerlengo, e dell’Ill.mo Sig. Marchese di Ischia Ispettore Generale, da me Baldassarre Capponi, e sono etc. Prima: Per aver posto in opera, e misurato parte a piombo, e parte in piano le lastre di marmo, che com-
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Michelangelo. Il marmo e la mente
pomgono l’indicato zoccolo ass[omma] in quadrati p. 33 1/2, fermate con n. 4 sbrande di ferro, con muro ripreso dietro, che fa piantata alla statua long. p. 5 1/2 alt. p. 2 1/4. gross. p. 7; e assistito lo scalpellino, mentre le pose in opera. 6:20 Per giornate pagate alli scalpellini, che hanno messo in piano le dette lastre, e le hanno adattate sulla faccia del luogo, e provarla più volte, tempo di due mastri scalpellini giornate n. 4 compreso anche la levatura delle vecchie 4 Tarato il sud. conto a suoi giusti prezzi, 10:20 importa scudi dieci, e b. 20=MS. In fede etc. Questo dì 4 settembre 1818. dico sc. 10:20-MS. Pasquale Belli Architetto asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 80 (cfr. Corbo 1965, p. 118, n. 29).
Doc. 494 17 settembre 1818 Il Cardinale Pacca al Tesoriere Generale C. Guerrieri Mons. Guerrieri Tesoriere Generale. Essendo stati compiuti i lavori del basamento alla statua del Mosè di Michelangelo in S. Pietro in Vinculis sotto la direzione del S.r Marchese Canova Ispett.e Gen.le delle Belle Arti, ha determinato il Card. Camerlengo, che vengano messi a disposizione del ricordato Sig.r Marchese li scudi quaranta, che con intelligenza di V.S.Ill.ma e R.ma furono assegnati per questa operazione. La presente comunicazione serva a V.S. Ill.ma di opportuna autorizzazione a quest’atto etc. asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 80 (cfr. Corbo 1965, p. 118, n. 30). Doc. 495 17 settembre 1818 Il Cardinale Pacca al Marchese Antonio Canova S.r M.se Canova Ispett.e Gen.le delle Belle Arti. Adesivamente alle premure di V.S.Ill.ma ha dato gli ordini opportuni il Card. Camerlengo a Mons.r Tesoriere Generale, perché siano messi a di Lei disposizione li scudi quaranta impiegati alla costruzione del basamento della statua di Mosè di Michelangelo in S. Pietro in Vinculis, nonché li scudi settecento assegnati per le riparazioni del vetusto Tempio di S. Pietro in Toscanella nella proporzione però di scudi cento mensili, cominciati a decorrere dal passato mese di luglio. Tanto le sia di opportuna norma per il conveniente ritiro di queste somme etc. asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 80 (cfr. Corbo 1965, pp. 118-119. n. 31).
1834 Doc. 496 13 febbraio 1834 Sig. card. Galleffi camerlengo di S. R. Chiesa. 13 febraro 1834, dalle stanze del Quirinale
Note
Il Real Governo di Francia ha vivamente interessato quello di Sua Santità per mezzo del sig. ambasciatore in Roma onde sia permesso all’insigne scultore francese sig. Desprez, colle necessarie cautele e riserve, di rilevare in gesso il capolavoro di Michelangelo, il Mosè, che forma uno dei più preziosi ornamenti della basilica di S. Pietro in Vinculis. Il cardinal segretario di Stato, avendo per tal oggetto praticato un analogo officio ai RR.PP. Superiori dei Canonici Regolari del SS.mo Salvatore Lateranensi, ne ha avuta la piena adesione. Deve ora il sottoscritto pregare vostra eminenza perché voglia dalla sua parte compiacersi di accordare l’opportuno permesso con quelle cautele che reputerà necessarie. Il cardinal scrivente si ripromette un sollecito riscontro dalla cortesia di vostra eminenza ed intanto si pregia di rinnovarle le proteste del profondo ossequio con cui le bacia umilissimamente le mani. U.mo dev.mo serv(itor)e I.C. Bernetti
Il cardinal segretario di Stato nel ringraziare vostra eminenza della prontezza onde si è compiaciuta di riscontrarlo sulle premure fattegli onde sia permesso allo scultore francese sig. Desprez di rilevare in gesso la statua del Mosè esistente nella basilica di S. Pietro in Vinculis, non tarda di farle conoscere che analogamente al savio avviso dell’eminenza vostra va contemporaneamente ad annunziare al sig. ambasciatore di Francia che verrà accordato di buon grado il permesso suddetto colla riserva però che si faccia uso della forma così detta perduta, e che il sig. Desprez potrà a tal’uopo diriggersi al sig. cav. commendatore Thorwaldsen, al quale da vostra eminenza saranno date le corrispondenti istruzioni. Il cardinale scrivente si prevale di questa nuova circostanza per rinnovare a vostra eminenza le proteste del suo profondo ossequio con cui le bacia umilissimamente le mani u.mo dev.mo serv(itor)e I.C. Bernetti Div. 3. n. 82487.
asr, Camerlengato, p. ii, tit. arti, fasc. 2044, busta 226.
asr, Camerlengato, p. ii, tit. iv, Antichità e belle arti, fasc. 2044, busta 226 (sul retro della lettera segnature archivistiche coeve, alle quali segue: «Essendosi fatte le convenienti partecipazioni al S(ignor) Cav(alier) Commend(ator) Thorwaldsen, si ponga il presente agli atti»).
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Antichità e belle
Doc. 497 14 febbraio 1834 Minuta di lettera S(ignor) card(inal) Bernetti Segret(ario) di Stato 14 feb(raro) 1834, Riscontrando prontamente l’ossequiato viglietto dell’em.za v.ra in data di ieri, il cardinal camerlengo le dichiara non incontrare difficoltà di permettere allo scultore francese sig. Desprez di rilevare in gesso la statua del Mosè di Michelangelo esistente nella basilica di S. Pietro in Vinculis dopo che quei RR. Superiori dei Canonici Regolari Lateranensi han prestato il loro assenso. Siccome però vi sono due maniere di formare in gesso, una cosiddetta a forma perduta, che è innocua al monumento, e l’altra col formarvi sopra turando i buchi con composizione di cera, la quale annerisce il marmo, così è persuaso lo scrivente che il sig. Desprez sarà per far uso del primo metodo, anzi è necessario di limitare il permesso alla sola forma così detta perduta, incaricando il s.r av. commendator Thorwaldsen di sorvegliare siffatto lavoro. Potrà quindi l’em.za v.ra compiacersi di darne analoga avvertenza a s. e. il s(igno)r ambasciadore di Francia che erasi interessato per il ricordato S.r Desprez, e di far sentire allo scrivente se si creda di convenire nel sopraindicato necessario modo di limitare il permesso e di sorvegliare il lavoro per dare le convenienti disposizioni, mentre lo scrivente profitta etc. asr,
Camerlengato, p. ii, tit. arti, fasc. 2044, busta 226.
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* Questa prima raccolta, in ordine cronologico, di tutti i documenti relativi alla tomba di papa Giulio ii non sarebbe stata possibile senza il determinante sostegno della Bibliotheca Hertziana, in particolare del prof. dr. Julian Kliemann. Un contributo essenziale è venuto inoltre da Lucilla Bardeschi Ciulich, che ha messo a disposizione – in forma digitale – i testi di molti contratti ancor prima della loro pubblicazione nel 2005. Ad entrambi vanno i miei più sinceri ringraziamenti. Molti documenti sono stati ricontrollati sugli originali da Francesca Cicioni e da me. I documenti 480, 481, 483, 484, 486 sono stati inseriti da Maria Forcellino.
Note
La fortuna critica della tomba di Giulio ii dal Cinquecento a oggi 1.
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Antichità e belle
Doc. 498 14 febbraio 1834, Roma S.E. il sig. cardinal Galleffi Camerlengo di S.a R.a Chiesa. lì 14 febraro 1834, dalle stanze del Quirinale,
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Sull’Anonimo Gaddiano si rinvia agli studi ottocenteschi ancora validi di Fabriczy e Frey: Frey 1969 (18921); Fabriczy 1969 (18931), pp. 15-94; 275-334; e prima ancora Fabriczy 1891. Per una visione critica riassuntiva, che tenga conto dei successivi studi di Kallab, cfr. Schlosser Magnino 1979 (19241), pp. 190192, 198; cfr. anche Anonimo Magliabechiano 1968. Per l’identificazione dell’Anonimo con Vincenzo Borghini (1515-1580) v. Stapleford 1995; con quella invece di Bernardo Vecchietti (1514-1590) v. ora Wierda 2009. Fino al 2002 la critica aveva assunto come riferimento per la conclusione del monumento il 1545, tenendo presente le lettere di Michelangelo a Monteauto del gennaio-febbraio 1545 (Carteggio 1963-85, iv, mxxxiii, p. 197; mxxxv, pp. 199-200); per la lettura di questi documenti in relazione alla nuova fonte dell’Aggiunta all’Anonimo Magliabechiano cfr. Forcellino M. 2002a, pp. 266-269; Ead. 2002b, i, pp. 43-59, Ead. 2005, p. 17. L’anticipo della sistemazione del monumento al 1544 è condiviso da Echinger-Maurach 2009a, p. 101, che lo supporta con ulteriori argomenti. L’attenzione sulla cancellatura contenuta in questo documento, che permette di stabilire che la statua vi era già sistemata alla stipula degli accordi del 20 luglio, è stata richiamata da chi scrive (Forcellino M. 2002a, pp. 247250; Ead. 2002b, pp. 43-59; 2005, pp. 16-17), una lettura condivisa ora anche da EchingerMaurach 2009a, p. 36, nota 37. «Il secondo brano […] è pure un’aggiunta posteriore inserita al suo posto attuale probabilmente non dall’Anonimo, bensì da chi fece legare la compilazione di lui. È cominciato a scrivere, da altra mano, il 14 marzo del 1543 (1544 st. com.). Il suo autore, per quanto si desume da alcune particolarità di stile era fiorentino, forse un pellegrino che, facendo il viaggio di Roma, in alcune delle città da lui trascorse, e principalmente a Roma notò quanto gli parve rimarchevole. Non era però, e ciò si vede dai suoi ragguagli, gran conoscitore di arte. Pare che le sue notizie siano rimaste interrotte, e non si spiega come siano giunte nelle mani del nostro Anonimo» (Fabriczy 1969, p. 329, nota 230); ad analoghe conclusioni giunse Frey 1969, p. 391. Sul Montorsoli cfr. Bottari 1961; Pope-Hennessy 1996 (19631), pp. 466-467; Laschke 1993; Paoli 2012; su Sandro di Giovanni Fancelli cfr. Bellesi 1994; Wallace 1994, pp. 32-35, 166-168; e più recentemente Waldman 1998, pp. 788-798, in part. pp. 790-791. Su Raffaello da Montelupo, Venturi 1935, pp. 316-326, e Id. 1936, p. 58; Verellen 1981, in part. pp. 59-67; più recentemente Lemerle 1997, pp. 47-56, n. 2. Scherano lavorò effettivamente nel dicembre 1537 alla statua della Madonna (Justi 1922 [19001], p. 335; Thode 1908, i, p. 140; Tolnay 1954, iv, pp. 71, 124-125; Vasari[Barocchi] 1962, iii, p. 1236; Pope-Hennessy 1996 (19631), p. 435), ma percepì una somma così esigua, 5 scudi, da far ritenere poco determinante il suo intervento (EchingerMaurach 1991, i, p. 381). Decisivo, invece, fu quello di Raffaello da Montelupo, dal 1542 al 1544, che la prende a finire insieme al Profeta e alla Sibilla, come attestano molti documenti e concorda buona parte della critica (Justi 1922, p. 334; Thode 1908, i, pp. 140-141; Tolnay 1954, iv, p. 68, 71, 124-125; Vasari[-Barocchi] 1962, iii, pp. 1200 e ss., 1204, 1209, 1236 e ss.). Un tale intervento, supposto già da Justi (Justi
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1922, p. 334), è stato variamente ipotizzato sulle statue del secondo ordine (Profeta, Sibilla e Madonna) fra agosto 1532 e giugno 1533 (Tolnay 1954, iv, p. 56); nello stesso periodo, ma su Profeta e Sibilla (Weinberger 1967, i, p. 261); su Sibilla, Profeta e Papa (EchingerMaurach 1991, i, p. 381, nota 398), nonchè sui Termini del basamento, più precisamente sui due centrali (Echinger-Maurach 1991, i, p. 382), intervento non condiviso ora da Laschke (Laschke 1993, p. 34). Per una rassegna completa delle fonti sulla venuta di Montorsoli a Roma cfr. anche Vasari[-Barocchi] 1962, iii, p. 1185. Il secondo memoriale, contenente notizie sulle principali opere d’arte del Rinascimento a Roma e la Certosa di Firenze (cc. 99r-103v), è scritto dalla stessa mano dell’Anonimo, forse copia di una sua minuta (Fabriczy 1969, p. 328, nota 229; Vasari[-Barocchi] 1962, iii, pp. 1219-1220, 1223); per l’assunzione della data di ottobre 1544 per questa fonte, che implicherebbe anche la sistemazione entro questo termine di tutte le statue nel monumento, cfr. ora Echinger-Maurach 2009a, p. 101. Una riflessione che è anche di P. Barocchi (Vasari[-Barocchi] 1962, iii, p. 1223). Vasari[-Barocchi] 1962, i, pp. 27-28. Vasari[-Barocchi] 1962, i, pp. xvi-xvii. Vasari[-Barocchi] 1962, i, p. 30. Condivi 1998 (Roma 15531), p. 47; sul commento all’espressione «rattoppata e rifatta» usata da Condivi cfr. l’analisi di C. Elam, e prima ancora U. Procacci (Condivi 1998, pp. xxix, nota 16). Sull’incisione v. Satzinger 2001, p. 183 e nota 25, pp. 182-183 con bibl. Satzinger 2001, pp. 183-184. Su quest’ultimo cfr. Bellinger 1992, n. 7; Biscontin 1998, p. 27; Forcellino 2002 pp. 104106; Echinger-Maurach 2003, pp. 336-344. Satzinger 2001, p. 197; Forcellino 2002, p. 101. Fornari 1550, pp. 512-513; sulla dipendenza di Fornari dalle poco prima pubblicate Vite di Vasari, cfr. Kallab 1908, pp. 84-85. Palladio 1554 [1972]. Aldroandi 1556, p. 291; riprenderà la descrizione di Aldroandi, Contarini 1575, p. 102. Vasari[-Barocchi] 1962, i, p. xxvii. Borghini 1584, p. 515. Borghini 1584, p. 513. Ugonio 1588, fol. 55v. La descrizione della tomba ricorre tanto nelle guide destinate ai pellegrini (Felini, Totti, Martinelli) che in quelle più segnatamente artistiche (Celio, Titi, Keyssler, Vasi, La Lande, Volkmann, Ramdohr). Ripa 1986 (Roma 16031); per la spiegazione della Vita attiva e quella contemplativa cfr. vol. ii, p. 239 e 241-242. La Lande 1786, pp. 252-255 (Paris 17681) ; nella biografia dell’Hauchecorne la statua viene spostata definitivamente a Maso del Bosco (Hauchecorne 1783, pp. 166-167). Vasari 1759-60, iii , tav. a p. 211. Condivi 1746, pp. 70-71. Milizia 1781, pp. 8-9. Winckelmann 1983, pp. 39-42. Lanzi 1968 (Bassano 1795-961), i, p. 105. Cfr. su questo il regesto documentario. Agincourt 1811-23 [1824-35], iii, pp. 176181, e iv, tavv. xlvi-xlvii, pp. 70-71; la tavola xlvii contiene sette opere di Michelangelo, di cui due relative al sepolcro di Giulio ii, e cioè il Mosè e uno degli Schiavi di Boboli. Cicognara 1823-25 (1813-181), v, pp. 103190; spec. pp. 134-136. Dennistoun 1851. Dennistoun 1851, iii, p. 385. Burckhardt 1855, p. 670; per la visione del-
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la storia dell’arte come storia della civiltà di Jacob Burckhardt (1818-1897), cfr. Venturi 19643, pp. 235-235; per un’analisi dell’opera di Michelangelo nel pensiero di Burckhardt cfr. Oberholzer 1969, pp. 46-50; per il suo contributo alla storia del Rinascimento, Bazin 1986, pp. 142-153. «Es ist kein Freibau, sondern nur noch ein barocker Wandbau daraus geworden; die obern Figuren sind von den Schülern nach dem Entwurf des Meisters hinzugearbeitet, und zwar nicht glücklich; in dem armen Papst, der sich zwischen zwei Pfeilern strecken muss, so gut es geht, ist auch die Anordnung unverzeihliche» (Burckhardt 1855, p. 670) [la traduzione, come quelle che seguono, è di chi scrive]. Gregorovius 1857, pp. 128-129. Gregorovius 1973, iii, pp. 2305-2306. Harford 1857. Harford 1857, p. 39 e ss. Grimm 1860-1863. Per Grimm (1828-1901) storico della cultura cfr. Venturi 19643, p. 234; per il suo ruolo di docente di storia dell’arte a Berlino dal 1873, nel dibattito interno alla Storia dell’arte in Germania quale difensore della Storia dell’arte come Kunstgeschichte in polemica con Wilhelm Bode (1845-1929), allievo di Springer e portavoce dell’esigenza di rinnovamento dell’insegnamento della disciplina secondo il modello rappresentato dalla Scuola di Vienna cfr. Sauerländer 1979, pp. 4-8, e più recentemente: Sciolla 1995, p. 72. Grimm 1863, p. 462; la traduzione è quella ottocentesca di Cossilla 1875, ii, p. 360. Cfr. su questo anche Satzinger 2001, p. 177; su Anton Springer, esponente di spicco in Germania dei filologi positivisti, cfr. Sciolla 1995, pp. 56-57 e 70-71; sul metodo filologico della storia dell’arte Venturi 19643, pp. 220-244. Springer 1875, pp. 21-22. «Niemals hat ein so grossartig, fast überschwänglich mächtig angelegter Plan eine so kümmerliche Verköperung erfahren, wie das Juliusdenkmal»; Springer 1878, p. 435. Tuttavia nel testo Springer restituisce le due figure di Lia e Rachele a Michelangelo (p. 438). Gotti 1876 (18751). Wilson 1876, pp. 443-444. «The monument in its final shape would hardly have satisfied the ambition of Julius ii, whose statue, reclining upon a sarcophagus (the work of Maso del Bosco, a third-rate sculptor), is one of its most insignificant features. It has been called a monument to Moses, and such it appears [...]»; Perkins 1883, pp. 282, 283, 294. Sul ruolo esercitato da Charles Callahan Perkins (1823-1886) nella diffusione dell’arte italiana negli Stati Uniti cfr. Bazin 1986, pp. 547-548. Perkins 1883, p. 283, 294. Schmarsow 1884, pp. 63-77. Su August von Schmarsow (1853-1936), allievo e successore di Springer a Lipsia (dove insegnò dal 1893 al 1920), fondatore dell’Istituto Germanico di Firenze, cfr. il profilo che ne dà Sciolla 1995, pp. 71-72 e 99-100. «Das Ganze bleibt kalt und öde und traurig»; Schmarsow 1884, p. 77. Carl Justi (1832-1912), allievo di Springer, di cui fu successore a Bonn (dal 1872 al 1912), sviluppò l’indirizzo storico-filologico del maestro verso un’interpretazione della storia dell’arte come “storia dello spirito” (Sciolla 1995, p. 70, 96). Justi 1922 (19001) p. 215. Justi 1922, p. 333. Justi 1922, p. 335. Justi 1922, p. 336. Justi 1922, p. 335. Justi 1922, p. 336.
62. Freud 1914, pp. 15-36; sull’interesse di Freud per il Mosè di Michelangelo cfr. Trincia 2000. 63. Per un’analisi dei rapporti fra la storia dell’arte in Germania e la nascente Scuola di Vienna cfr. l’ottimo saggio, già citato, di Sauerländer. 1979. 64. Thode 1902-13; iv, Michelangelo und das Ende der Renaissance. 65. Thode 1908, i, pp. 142-144. 66. Thode 1908, i, pp. 166-168; Condivi 1998, p. 24. 67. Thode 1908, i, pp. 180-184. 68. Cfr. Bredekamp 2004, pp. 66-68. 69. Thode 1908, i, pp. 193-194. 70. «Oft stehen wir vor den Resten grosser Werke, welche die Zeit zerstört hat», «in gänzlich entstellter Form»; Thode 1912, iii, p. 294. 71. Burger 1904, pp. 313-345. 72. Burger 1904, p. 343. 73. «Der Oberbau kann kein Verhältnis zum Unterbau gewinnen. Die Horizontale der fast wie eine Karrikatur erschenenden, winzigen Grabfigur wirkt zwischen den mächtigen Vertikalen lächerlich» ; Burger 1904, p. 344. 74. Panofsky 1937, pp. 561-79; Panofsky 1975 (19391), pp. 236-319; Panofsky 1964, pp. 88-90. 75. Panofsky 1937, pp. 563-565. 76. Hess 1943, pp. 55-65. 77. Einem 1951, p. 410; Einem 1959 p. 417; Tolnay 1954, pp. 14-16; Weinberger 1967, p. 135; 148; Wilde 1978, p. 94; Hartt 1969, p. 119; Kempers 2000, p. 40; Echinger-Maurach 2009a, p. 19 e p. 133, hanno contrastato l’ipotesi di Panofsky; l’hanno condivisa invece Einem 1973, p. 43; Frommel 1977, p. 38 e nota 40; Bredekamp 1998, p. 260; Bredekamp 2004, pp. 69-71 e Echinger-Maurach 2001, pp. 415-420; Echinger-Maurach 2007, p. 279. 78. Panofsky 1937, pp. 578-579. 79. «the authors’ own impressions of the monument as finally erected – disagree in several respects»; Panofsky 1964, p. 88. 80. Laux 1943. 81. Tolnay 1954, p. 3. 82. «the story of the Tomb of Julius ii is a synopsis of the artistic and spiritual development of Michelangelo, from the heroic ideal of his youth to his religious conversion in old age»; Tolnay 1928a. 83. «The final version of the Tomb is at one and the same time the reflection of the loss of the powerful idea of his youth and the direct expression of the new spiritual aspirations of his old age»; Tolnay 1954, p. 4. 84. «The final version of the Tomb of Julius ii is the last chapter of a struggle»; Tolnay 1954, p. 74. 85. Tolnay 1928b, pp. 377-476. 86. Tolnay 1954. 87. Tolnay 1928a. 88. Per i problemi connessi alla ricostruzione del progetto del 1532 in relazione al contratto nell’esegesi critica si rinvia a quanto ricostruito in Forcellino 2005, pp. 18-20. 89. Wilde 1978, pp. 85-113. 90. Wilde 1978, p. 102. 91. Wilde 1967, i, p. 217. 92. Weinberger 1967, i, p. 219. 93. Per la ricostruzione del programma del 1532 si rimanda alla bibliografia cit. a nota 88. 94. Hartt 1968, p. 250. 95. Hartt 1968, p. 142. 96. Frommel 1977 [1996], pp. 85-118. 97. Einem 1951; Wolff Metternich 1975; Einem 1973. 98. Frommel 1976 [1996], pp. 23-49. 99. Hirst 1976. 100. Hirst 1988a [1993], p. 113. 101. Joannides 1991, p. 35; Frommel 1994; Frommel 2001; Kempers 2000, p. 40; EchingerMaurach 2002, p. 264; Kempers 2004 p. 46;
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Michelangelo. Il marmo e la mente
per una datazione più tarda al 1525-26 cfr. Echinger-Maurach 1991, i, pp. 290-293, nota 289; Bredekamp 1998, pp. 259-260, nota 4; intorno al 1509 Shearman 1990, pp. 222-223; al 1532 o più tardi Bredekamp 2004, p. 61. 102. Echinger-Maurach 1991. 103. Bibliografia come a nota 16; prima del ritrovamento del disegno, chi scrive era arrivata alla stessa conclusione attraverso la rilettura critica dei documenti (Forcellino M. 2002b, pp. 48-49; cfr. anche nota 3). 104. Cordellier 1991; Joannides 1991; Hirst 1991. 105. Cfr. su questo Poeschke 1993, p 94; Bredekamp 2004, p. 61. 106. Pope-Hennessy 1996 (19631) pp. 13-25; Poeschke 1992, pp. 47-50, 89-100, 102-106; lo stesso vale per i volumi su Michelangelo scultore e architetto che qui è impossibile richiamare, cfr. almeno Argan, Contardi 1990, pp. 49-55, 67-78, e più recentemente Michelangelo architetto 2009, pp. 100-113; Baldini 1973; Acidini 2005, pp. 108-110, 214-235, 245-258. 107. Shearman 1990; Kempers 1996; Kempers 2000, specialmente pp. 33-42; Kempers 2004. 108. Shearman 1990, spec. pp. 220-225. 109. Per la fase più antica della ricostruzione della Capella Julia la lettura di Shearman differisce da quella di Frommel; uno studio annunciato dell’autore sui due primi progetti della tomba non ha mai visto la luce. 110. Bibliografia come a nota 2 e 3. 111. Forcellino 2001; Forcellino 2003; Forcellino 2002; Frommel 2001; per questo aspetto si rimanda ai saggi di A. Forcellino e C.L. Frommel in questo stesso volume. 112. F orcellino 2002, pp. 153-172; F or cellino M. 2007, pp. 117-129; Forcellino M. 2009, pp. 176-233; per la religiosità di Michelangelo in questi anni cfr. anche S atzinger 2001 e F rommel 2013b. 113. Forcellino 2002, pp. 97-114; EchingerMaurach 2003, p. 344; Echinger-Maurach 2009a, pp. 138-142; Forcellino M. 2009, pp. 159-235; per una disamina delle posizioni critiche in merito alla questione attributiva si rinvia alla scheda relativa alla statua in questo stesso volume, con bibliografia.
La tomba di Giulio ii: genesi, ricostruzione e analisi
Ringrazio H.G. Frommel per la traduzione, M. Brancia di Apricena per la revisione del testo italiano e C. Benveduti per i disegni ricostruttivi. 1. 2. 3. 4. 5.
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Frommel 1976; Frommel 1996 [1977], pp. 85-118; Frommel 2012b, pp. 171-196. Shearman 1995, p. 222. Cfr. Hatfield 2002, p. 17; Hirst 2011, pp. 61-62. È improbabile che sia arrivato a Roma solo in questa data; cfr. Hirst 2011, p. 62. La biografia di Condivi del 1553 costituisce la risposta di Michelangelo alla Vita di Vasari pubblicata nel 1550 senza mai rivelarlo. Condivi è senza dubbio più vicino alla realtà, e rimane la fonte principale anche per la storia successiva della tomba (docc. 496-451). Nell’edizione della Vita del 1568 Vasari approfitterà probabilmente non solo di Condivi, ma anche dello stesso Michelangelo, oltre che di una lettera di Tommaso Cavalieri del marzo 1564 (doc. 459), mantenendo comunque ancora alcuni passi poco esatti della Vita del 1550 (docc. 436-444, 462-479). Come Perini e Tommaso Cavalieri, anche Condivi era di origine patrizia, bello, intelligente e piuttosto colto, ma non era un artista di vero talento. Sedicenne, aveva avvertito la vocazione per l’arte esercitandosi nel disegno anatomico (Settimo 2004, pp. 33-48). Nel novembre 1543, quando Michelangelo stava ultimando la tomba, è documentato a Roma, all’incirca ventenne, come “scolaro romano” proveniente da Urbino, e studia probabilmente alla Sapienza. Già allora Michelangelo può
Note
6. 7. 8. 9. 10. 11.
12. 13. 14. 15.
16. 17. 18. 19. 20. 21. 22.
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essersi interessato del giovane, che fino al 1553 alloggiò, benché in modo discontinuo, presso Sant’Agata dei Goti, nelle immediate vicinanze di Macel de’ Corvi, chiamando il cardinale Ridolfi e poi il cardinale Crispi suoi “padroni” (Condivi[-Davis] 2009, fol. 44v, p. 47), e fu presto in grado di sostenere finanziariamente il padre. Nella premessa alla biografia parla «dell’amore, della conversazione e della stretta dimestichezza» con Michelangelo, raccontando: «... mi diedi con ogni attenzione e ogni studio ad osservare e mettere insieme non solamente i precetti ch’egli mi dava dell’arte, ma i detti, l’azioni e i costumi suoi, con tutto quello che mi paresse degno o di maraviglia o d’imitazione o di laude in tutta la sua vita, con animo ancora di scriverne a qualche tempo …» (Condivi[-Davis] 2009, fol. iiir, p. 11). La recente biografia di Michelangelo di Reinhardt (Reinhardt 2010) presenta a tale proposito varie inesattezze e interpretazioni semplicistiche. Frommel 1996 [1977], pp. 89-90; Borsi 1985, pp. 426-430. V. infra, pp. 24-27, 42-45. Frommel 2009b, pp. 388-394. Frommel 2008a, pp. 85-92; Frommel 2012b, pp. 179-181, con bibl. Per i dubbi sull’attribuzione, cfr. Bredekamp 2004, con bibl. «Tertium vero, quod Corinthium dicitur, virginalis habet gracilitatis imitationem, quod virgines propter aetatis teneritatem gracilioribus membris figuratae effectus recipiunt in ornatu venustiores» (Vitr., iv, 1, 86) Sulle radici albertiane di quest’ordine astratto cfr. Frommel 2012a, pp. 120-139. Tolnay 1950 [1970], iv, p. 51; Roser 2005, pp. 178-188; Echinger-Maurach 2009a, p. 16. Vasari[-Barocchi] 1962, i, pp. 205-206; Chastel 1983, pp. 40-41; Guidetti 1998, con bibl. Diacceto 1561, pp. 147-148; Kristeller 1979; Chastel 1996, pp. 76-77, 188; Pico dedica una parte dell’Heptaplus al regno degli angeli. Chastel 1996, pp. 27-64; Vasoli 2005. Chastel 1996, pp. 73-79. Chastel 1996, pp. 65-72, 144-145. Chastel 1996, p. 199. Frommel 2006. Frommel 2012c, pp. 43-44, con bibl. Erlande-Brandenburg 1975, pp. 142-144; sull’iconografia delle tombe medievali v. anche Panofsky 1972 [1975], Panofsky 1964 [2011]. Panofsky 1972 [1975], p. 254; Moskowitz Fiderer 1986, pp. 80-90. Frommel 2012a. Biblia Sacra 1965, p. 75. Landgraf 1931; Ettlinger 1965, pp. 9, 66, n. 2; Dohna 2008. Chastel 1996, p. 82. «Vogliono che quella corona, la qual’è real portamento, sia stata dal corno detta, e per tutto nelle divine lettere trovarete il corno esser posto in luogo di Re, e per via d’una certa similitudine, convengono infra di loro il corno, il raggio, e la corona. Onde Moisè si dipinge con la faccia cornuta, la qual dovrebbe esser di raggi risplendente, perché spirata dal lume del divin Sole ...» (Valeriano 1625, pp. 92-93, 547). G.P. Dalle Fosse detto Valeriano (1477-1558), abitò dal 1509 al 1524 a Roma, dove frequentò la cerchia di Egidio da Viterbo e di Giulio de’ Medici, avendo sicuramente l’occasione di conoscere Michelangelo; si trasferì in seguito a Firenze. Cfr. Lettere 1986. Mellinkoff 1970; cfr. Verspohl 2004, p. 41. «Can biancho rampante col losso in bocca, in campo rosso, fece il can d’oro in campo azzurro, et dalla Signoria li fur donati di poi cinque gigli rossi in un rastrello, et similmente il Cimiere, con due Corna di Toro, Lun d’oro l’altro d’azzuro, come fin’ hoggi si può veder dipinto ne targoni loro antichi» (Condivi[-Davis] 2009, fol. 1r). Chastel 1996, p. 171: v. supra, pp. 20-21. Augustyn 2005, pp. 365-385.
33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46.
47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66.
67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76.
77.
78. 79. 80. 81.
Echinger-Maurach 2009a, p. 16. Landino 1980, pp. 3-49; Chastel 1996, pp. 29-30; Foà 2004; Vasoli 2005. Non è riconoscibile uno specchio, che del resto dovrebbe reggere con la mano destra; cfr. Echinger-Maurach 2009a, p. 16. Echinger-Maurach 2009a, ibidem. V. infra, p. 63. Borsi 1985, pp. 423-426. Valeriano 1625, pp. 678-681. Borsi 1985, p. 426. Condivi[-Davis] 2009, foll. 5v-6r, pp. 14-17; Panofsky 1972 [1975], pp. 184-201. Kristeller 1972, pp. 9, 264, 267, 273. Panofsky 1972 [1975]. Frommel 1979, pp. 29-31; cfr. infra. Cfr. infra, p. 23. Pico della Mirandola 1942, pp. 83-84; Panofsky 1972 [1975], p. 199; Tolnay 1948 [1970], iii, pp. 23, 114; Chastel 1996, pp. 31-32. Girardi 1960, pp. 123-124, 233, n. 29; Frommel 1979, p. 31; Frommel 2013b, p. 340. Condivi[-Davis] 2009, fol. 46v, pp. 48-49; Settimo 2004, p. 245. Panofsky 1972 [1975]. Gregorovius 1869-1896, vi, pp. 596-599. Gregorovius 1869-1896, vi, pp. 575-584. Landino 1980, pp. 5-109; Foà 2004; Vasoli 2005; Echinger-Maurach 2009a, p. 117, 223. Chastel 1996, pp. 197-205. V. infra, p. 66. V. infra, pp. 27-28, 65-67. Ettlinger 1954. Ettlinger 1965, pp. 66-70; v. infra, pp. 41-42, 57. O’Malley 1968; Chastel 1983, pp. 70-71; Pfeiffer 1975. Frommel 2012c. Panofsky 1924 [1959], pp. 29-33; Frommel 2009c; Frommel 2012c. Shearman 2003, pp. 734-741. Argan, Contardi 1990, pp. 175-185. Frommel, Ray, Tafuri 1984, p. 433 (K. Oberhuber). Frommel 2008a, pp. 93-96; Frommel 2012b, pp. 181-183 con bibl. V. supra, p. 22. Hirst 2011, pp. 62-63, 65, 79, 80, 82, 85-87, 91. Nel maggio 1508 Giulio ii nominò Alidosi legato a Bologna (Pastor 1924-33, iii, pp. 91, 759). Questi nel maggio 1511 venne assassinato con un colpo di pugnale dal nipote del papa Francesco Maria della Rovere. Pochi mesi dopo Raffaello sembra averlo raffigurato, sulla base della sua medaglia-ritratto, nelle Decretali della Stanza della Segnatura. Hatfield 2002, pp 16-20; v. infra, pp. 31-32. Hatfield 2002, pp. 35-36; Frommel 2010, pp. 177-215; v. infra, pp. 41-42. Hatfield 2002, pp 16-20; v. infra, pp. 30, 38-40, 59-60. Per un’eventuale copia di un progetto di Michelangelo v. infra, p. 34. Wittkower 1949, pp. 100-110. V. infra, p. 30. V. infra, pp. 54-55. Frommel 1996 [1977], p. 38. Borsi 1989, pp. 98-99. V. infra. Secondo Alberti (De re aedif. vii, 133, 13) i Romani segnavano con termini le loro conquiste: «Maiores nostri, cum fines imperii devictis hostibus vi et viribus propagare prosequerentur, signa et terminos statuebant, quibus cursum victoriae indicarent». Presenta il medesimo significato il Terminus di uno dei rilievi del sarcofago nella Cappella Raimondi di Bernini in S. Pietro in Montorio; Echinger-Maurach 1991, i, pp. 190-219; Echinger-Maurach 2009a, pp. 18, 168-169, n. 39; v. infra, p. 61. Andreae 1963, pp. 192-193, n. 248; Echinger-Maurach 1991, i, p. 205, fig. 29, con bibl. Bober, Rubinstein 1986, p. 192. Tolnay 1954, iv, p. 91, fig. 267. Borsi 1985, pp. 98-100. Forse Giuliano e Michelangelo ne erano stati informati da Bramante stesso, che conosceva bene i monumenti di Pavia; Echinger-Maurach 1991,
82. 83. 84.
85. 86. 87. 88. 89. 90. 91. 92. 93. 94. 95. 96. 97. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105.
106. 107. 108.
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110. 111. 112. 113. 114. 115. 116. 117. 118. 119. 120. 121.
i, pp. 206-219. V. infra, pp. 37-38. V. supra e p. 23, e il contributo di C. EchingerMaurach in questo volume. V. infra, p. 28. Il marmo presso le gambe dello Schiavo ribelle era destinato piuttosto a dei trofei che a un’altra scimmia, come ritiene Panofsky (Panofsky 1972 [1975], p. 268). Frommel 1989, pp. 491-505. V. infra, p. 36. V. infra, pp. 27-34. Sulle ricostruzioni precedenti cfr. EchingerMaurach 1991, i, pp. 389-467. Echinger-Maurach 1991, i, p. 20; Frommel 2008b, pp. 372-373, con bibl. Chastel 1983, pp. 204-205. V. infra, p. 53. Bober, Rubinstein 1986, p. 192; Frommel 2013a, pp. 134-135. V. supra, p. 22. Barbone 2010. Pinetti, Odazio 1896. Foà 2004; Ficino 2011. Ollendorf 1898; Panofsky 1972 [1975], pp. 184-201; v. supra, p. 23. Caciorgna 2009, con bibl. Guerrini 2004. Tolnay 1943 [1969], i, pp. 163-168; Levi D’Ancona 1968; Hayum 1981-82; Olson 2000; Barolsky 2003. V. infra, p. 33. V. supra, p. 23. Hatfield 2002, p. 19, riferisce erroneamente l’importo al solo acquisto del marmo. Hatfield 2002, p. 431. Il pagamento di 183 d. per «l’opera, facta in Santa Caterina, dove si faceva la sepultura di Papa Julio con certe opere in palco», deve riferirsi a un periodo successivo all’aprile 1506, quando Michelangelo aveva interrotto il lavoro alla tomba (doc. 3); cfr. Frommel 1962, pp. 18-25; Hirst 1991, p. 766. La chiesetta di S. Caterina venne probabilmente rinnovata intorno al 1508 da Giuliano da Sangallo, legato a Michelangelo da stretta amicizia. Come la casa e la bottega di Michelangelo, si trovava nell’area della futura piazza S. Pietro di Bernini. doc. 38. V. infra. Secondo Zabaglia (Zabaglia 1824, tav. 16) e Masi (Masi 1788, pp. 200-203), una ‘carrata’ corrispondeva a 30 palmi cubici, a un cubo dunque con lati lunghi circa 67 cm, oppure circa 0,3 m.c. Una carrata di marmo pesava 800 kg ca., 2400 libbre comuni di Roma a 0,3 kg, qualcosa meno delle 2500 libbre menzionate nel contratto (doc. 15). La misurazione dei blocchi cavati per la tomba nel 1516-17 a Carrara parte da un peso simile alla carrata (v. infra, pp. 42-44). Poiché la carrata corrispondeva a un peso, può essere calcolata sulla base delle misure solo nel caso si tratti di un blocco regolare, moltiplicando le misure in cm della base per l’altezza e dividendo il risultato per 370.000. Nei blocchi già abbozzati occorre quindi sottrarre il peso del marmo scalpellato dal blocco regolare. Secondo Hirst 2011, p. 64, una carrata peserebbe 1000 kg. Su un blocco rettangolare disegnato sul fol. 126v del Libro del 1517 sono notati il peso di 8000 libbre e le misure di 1 x 1 1/3 x 3 ¾ b., che corrisponderebbero al peso di un braccio cubico di 2400 libbre. Le misure del blocco originario dello Schiavo morente potrebbe corrispondere a 1,84 c., quelle dello Schiavo ribelle invece solo a 1,75 c. (sc. 1-2, tavv. 65-83). Hatfield 2002, p. 19. Hatfield 2002, pp. 61-64. Condivi[-Davis] 2009 , fol. 1r., p. 12. Hatfield 2002, pp. 240-252. Carteggio 1965-83, i, pp. 3-10. V. infra, p. 33. Echinger-Maurach 2009a, pp. 32, 174, n.145. V. infra. V. infra, p. 31. V. infra. Carteggio 1965-83, iv, pp. 251-252. Tolnay 1943 [1969], i, pp. 163-168.
122. V. infra; cfr. Echinger-Maurach 2009a, p. 170, n. 77. 123. Hirst 2011, pp. 71-72. 124. Hirst 2011, p. 72. 125. Pastor 1924-33, iii, pp. 729-737. 126. Hirst 2011, p. 62, 72. 127. Tolnay 1943 [1969], i, pp. 219-223. 128. Hatfield 2002, pp. 23-30. 129. Tolnay 1945 [1969], ii, pp. 199-200, figg. 230-231. 130. Questo trasporto non è da confondere con quello concordato a maggio 1506 con un gruppo di scalpellini carraresi, di cui faceva parte anche Cucchiarello (doc. 39), di un blocco destinato a Firenze. 131. V. supra, p. 34. 132. V. infra, p. 19. Tolnay 1954, iv, p. 143, fig. 286; Ferrari, Papaldo 1999, p. 168; Echinger-Maurach 2007. 133. V. infra. 134. Carteggio 1965-83, i, pp. 106-108; Hirst 2011, p. 101. 135. Shearman 1995 e Hirst 2011 non discutono queste fonti. 136. Carteggio 1965-83, i, p. 116. 137. V. supra, p. 25 e infra, pp. 37-38. 138. V infra, pp. 34-35. 139. Hatfield 2002, pp. 35-36; Frommel 2010, pp. 178-179. 140. Hatfield 2002, pp. 30-33. 141. Ducrot 1963, p. 84; Frommel 1996 [1977], pp. 80-81; Shearman 1995, pp. 222-223. 142. Tolnay 1943 [1969], i, pp. 160-168, 205-218. 143. V. supra, p. 127. 144. V. supra, p. 24. 145. Tolnay 1954, iv, pp. 117, 141, 145, fig. 252. 146. Nesselrath 1998, pp. 2-3. 147. Oberhuber 1999, p. 100. 148. Il meno tridimensionale schizzo sul recto potrebbe essere precedente. 149. Cfr. il disegno di Monaco del 1500 ca.; Gnann 2010, pp. 33-36. Michelangelo inizia con le stesse parole una poesia degli anni Quaranta: Socto duo belle ciglia; Frey [1897] 1964, pp. 137, 418-419. 150. V. supra, pp. 28-29. 151. Frommel 1998, pp. 49-50. 152. Priuli 1938, p. 312; Sanudo 1879-1902, vi, col. 43; Mornay 1612, pp. 1296-1297, sub anno 1505; Marcucci, vi, col. 463. 153. Nella vasca della fontana del chiostro di S. Pietro in Vincoli, convincentemente attribuita a Michelangelo, è confrontabile solo il motivo delle maschere di fauno, già assai diffuso nella decorazione fiorentina degli anni Ottanta (Echinger-Maurach 1991, pp. 307310, con bibl.). Poiché le iscrizioni ricordano la battaglia di Ravenna e la fine dello scisma, la commissione della fontana dovrebbe risalire al periodo tra il luglio 1512 e la morte del papa nel febbraio 1513, probabilmente già alla fine del 1512, quando Michelangelo aveva finito di affrescare la volta della Sistina ed era in attesa di nuovi incarichi. 154. V. supra, p. 31. Echinger-Maurach 2007. 155. Aimo 1960. 156. Oberhuber 1999, pp. 106, 125-126. 157. V. supra, p. 31. 158. Ibidem. 159. Wallace 1994, pp. 67-69. 160. Cfr. Panofsky 1972 [1975], p. 268; v. infra, pp. 38-41. 161. Frommel 2012c, pp. 30-47. 162. Frommel 2012c, pp. 32-38. 163. Condivi[-Davis] 2009, foll. 21v-23r, pp. 28-29. 164. V. infra, pp. 37-38. 165. Nell’alzato di A. da Sangallo il G. (gabinetto disegni e stampe uffizi, 60a v), i piedistalli sono alti almeno 15 p., e solo nel 1519 furono abbassati da Raffaello e Sangallo a 13 ½ p.r.; Frommel 1984, pp. 275-276; Frommel 1994b, pp. 414-417. 166. Misure esatte del coro di Bramante sono nella pianta di A. da Sangallo il G. (gabinetto disegni e stampe uffizi, 44a); cfr. Frommel 1984, pp. 293-294. 167. V. infra, p. 38. 168. Echinger-Maurach 1991, p. 258, fig. 52. 169. V. infra. I Prigioni e le Vittorie in Tolnay 1954, iv, p. 145, figg. 249-251, sono identici e
170. 171. 172. 173. 174. 175. 176. 177. 178. 179. 180. 181. 182. 183. 184. 185. 186. 187. 188. 189. 190. 191. 192. 193. 194. 195. 196. 197. 198. 199. 200. 201. 202. 203.
204. 205. 206. 207. 208. 209. 210. 211. 212. 213. 214. 215. 216. 217.
218. 219. 220. 221. 222. 223. 224. 225. 226. 227.
sembrano copiati da disegni di Michelangelo. V. supra, p. 22. Ibidem. Pico della Mirandola 1942, pp. 105-109. Condivi[-Davis] 2009, fol. 2vr, p. 13. V. supra, p. 24. Krämer 1982, pp. 163-164; Chastel 1996, pp. 157, 165, n. 22. Sull’interpretazione di Mosè come profeta v. infra, p. 57. V. infra, p. 52. V. infra, pp. 42, 44-45. Frommel 1976 [1996], pp. 63-64, 66, 69, docc. 121-123, 165, 213. V. supra, pp. 29-30. V. supra. Frommel 1984, pp. 260-310. Argan, Contardi 1990, pp. 64-66. V. infra, pp. 53-54. Hatfield 2002, pp. 35-36; Frommel 2010, pp. 178-179. V. supra, p. 32. V. infra, p. 46. V. supra, p. 33 e infra, p. 46. Ibidem. V. infra, p. 59. V. supra, p. 38; Frommel 2010, pp. 180-182. Hatfield 2002, p. 400, rex 7. V. infra, p. 41. Hirst 2011, pp. 117-121. V. supra, p. 32. Satzinger 2011, pp. 18-26. Satzinger 2011, p. 24, n. 91. V. supra, p. 38 e infra, p. 52. V. supra, p. 39. V. infra, pp. 46-48. V. infra, pp. 55-56. Janson 1968; Lavin 2007. Anche il Mosè della Ss. Annunziata di Firenze, realizzato da Montorsoli nel 1536, subito dopo aver collaborato con Michelangelo alla tomba e alla Cappella Medicea, trattiene la barba con la destra e regge le Tavole chiuse sul grembo; privo delle corna, è rappresentato prima della salita sul monte. Nella Fontana del Mosè, creata nel 1587 da Domenico Fontana per il papa controriformista Sisto v vicino a S. Susanna, i raggi di luce fuoriescono dalla testa. Tiene con la sinistra le Tavole chiuse, ma evidentemente già scritte, e indica con l’altra in avanti, alludendo probabilmente al ritorno dalla seconda salita sul monte. Partridge, Starn 1980, pp. 44-103; Frommel 2012c, pp. 30, 42. Forcellino M. 2002, p. 43; Echinger-Maurach 2009a, p. 112, fig. 117. V. supra, p. 36. V. infra, p. 49. Su Michele di Piero Pippo v. Wallace 1994, p. 19. Echinger-Maurach 2009a, p. 53, n. 222, 249, fig. 44; v. infra. Per le misure v. il Catalogo delle sculture. V. supra, p. 22. Satzinger 2011, p. 37. Carteggio 1965-83, ii, n. 164. Echinger-Maurach 2009a, pp. 45-46; Satzinger 2001, p. 37. Hatfield 2002, pp. 138-141, e v. infra. Su ‘Topolino’ v. Wallace 1994, pp. 69-70. V. infra, pp. 44-46. Rapetti 2001, p. 51, fig. 8, crede che fosse destinato al Barbuto; Echinger-Maurach 2009a, p. 53, fig. 45; v. infra, p. 46. La testina sul retro del blocco potrebbe rappresentare lo scalpellino; Tolnay 1954, iv, fig. 55. Su un pezzo di carta Michelangelo annota “mancino figlio di gianpaolo di chagione ne dactorono mi vendequatro pezi di marmo” (Tolnay 1975-80, cat. n. 104). V. infra. Per il calcolo della carrata v. supra n. 108. Satzinger 2011, pp. 26-31. Satzinger 2011, p. 29. Carteggio 1965-83, iii, pp. 2-3,14. Baldini 1973, tav. 166; Hirst 2011, p. 154, fig. 33. Tolnay 1954, iv, p. 116, fig. 55. Tolnay 1954, iv, figg. 145-169. V. infra, p. 46. Ibidem.
228. 229. 230. 231. 232. 233. 234. 235.
236. 237. 238. 239. 240. 241. 242. 243. 244. 245.
246. 247. 248. 249. 250. 251. 252. 253. 254. 255. 256. 257. 258. 259. 260. 261. 262. 263. 264. 265. 266. 267. 268.
269. 270.
V. supra, p. 38. V. infra. Tolnay 1948 [1970], iii, pp. 2-3, 14. V. infra, pp. 45-46. V. infra, p. 52. V. supra, p. 39. V. infra., p. 45. Partendo dal prospetto parziale di Aristotile da Sangallo, Wilde e Weinberger ricostruiscono dietro alle semicolonne delle paraste, con il risultato che le semicolonne di Wilde appaiono troppo snelle e gli intercolumni laterali troppo stretti (Echinger-Maurach 1991, i, pp. 440-441, fig. 52, pp. 445-447, fig. 54). Wilde fa penetrare in modo poco convincente l’arco della tribunetta nell’attico non ancora previsto nel luglio 1516, e Weinberger pone le imposte talmente in basso che i rilievi risultano troppo lontani dalle statue, e omette i fronti laterali. In quasi tutte le ricostruzioni la Madonna, già rappresentata come statua, è parzialmente coperta dal gruppo del Papa. Grazie alla scritta “in charara”, gli schizzi sul foglio dell’Archivio Buonarroti ix, fol. 533 sono databili al tempo di uno dei soggiorni carraresi di Michelangelo, probabilmente nel 1516-17 o nel 1523 ma non riferibili alla tomba (Tolnay 1948 [1970], iii, pp. 77-78, 208-209, fig. 121-123; Tolnay 1954, iv, p. 108, figg. 101-102; Dussler 1959, p. 254; Carteggio 1965-83, ii, p. 300) e lo stesso vale per i disegni simili conservati al The British Museum (inv. 1859-25-559r) e al Christ Church College, Oxford. V. infra, pp. 44-45, 52. È poco probabile che il disegno sia per la Cappella Medicea e possa essere datato intorno al 1525; cfr. Tolnay 1954, iv, p. 143. V. infra, pp. 51-52. Satzinger 2011, p. 51. V. supra, pp. 37-38. V. infra, p. 46. Echinger-Maurach 2009a, p. 47 con bibl.; Frommel 2010, pp. 181-182. Tolnay 1948 [1970], iii, pp. 3-84; Elam 2002, pp. 221-223 con bibl. V. infra, pp. 49-53. Ancora nel maggio 1524 il progetto per le tombe dei duchi nella Cappella Medicea non era confermato; Carteggio 1965-83, iii, pp. 76-77. Hatfield 2002, pp. 126-130. Su Fattucci v. Wallace 1994, pp 83-184. Strinati, Lindemann, Contini 2008, pp. 334-337. Tolnay 1954, iv, fig. 23, v. infra. Echinger-Maurach 2009a, p. 53, con bibl. Tolnay 1948 [1970], iii, pp. 58-59; Carteggio 1965-83, iii, p. 22. V. infra, p. 29. Carteggio 1965-83, iii, pp. 170-171. V. supra, pp. 44-46. Segni 1805, pp. 40-41, 62, 103, 134-135, 138-139. Carteggio 1965-83, iii, p. 255; Hatfield 2002, pp. 155-58. Carteggio 1965-83, iii, p. 268. Hirst 2011, pp. 3-7, 253-255. Girardi 1960, pp. 49-51. Hatfield 2002, p. 128. Pallavicini, dal 1520 vescovo di Aleria, è ancora in vita nel 1542 (doc. 407). Frommel 1994a, pp . 417-423. V. supra, p. 38. Satzinger 2001, pp. 205-207, figg. 15-16; Echinger-Maurach 2009a, pp. 64-88, con bibl. V. supra, p. 19; Frommel 2009b, p. 394. Urban 1961-62, pp. 104-108; Satzinger 2001, p. 208, fig. 17. V. infra, pp. 63-64. V. infra. Quando il 6 maggio 1533 Antonio Mini scrive una lettera da Lione «a Mic(helangel) o Buonaroti in Firenze (o do)ve fossi», non è evidentemente informato su dove l’artista sia; Carteggio 1965-83, iv, pp. 9-11. Krautheimer, Corbett, Frankl 1967, iii, p. 209, fig. 178; Satzinger 2001, p. 113, fig. 13. La scoperta si deve all’architetto responsabile del restauro Raffaele Viola.
271. V. infra, pp. 59-60. 272. Clausse 1902, pp. 116-117; Ghisetti Giavarina 1990, p. 23; Satzinger 2001, pp. 13-14. 273. Al più tardi nel 1542 lo scultore sostituirà i due Prigioni del Louvre con due Allegorie senza modificare il prezzo complessivo; v. infra, pp. 65-67. 274. V. supra, p. 44. 275. Biscontin 1998; Echinger-Maurach 2009a, p. 79. 276. Tolnay 1975-80, cat. n. 197v; Frommel 2001a. 277. Carteggio 1965-83, iii, pp. 414, 421-422, 445-446. 278. Carteggio 1965-83, iv, pp. 2-3, 69; Frommel 1979, pp. 15-16. 279. V. infra, pp. 55-58. 280. Per il rapporto di Michelangelo con Alessandro de’ Medici v. Condivi[-Davis] 2009, fol. 32v, p. 37. 281. Satzinger 2001, p. 193; Echinger-Maurach 2009a, p. 79. 282. Laschke 1993, pp. 14, 34, 79, 82; EchingerMaurach 2009a, p. 187, n. 519; v. supra, n. 203. 283. V. infra. 284. Gatteschi 1993, pp. 7-40. 285. Vasari[-Barocchi] 1962, i, pp. 104-105. 286. Bojani 1971, pp. 220-221; Wallace 1994, pp. 95-96. 287. V. infra, pp. 59-60. 288. V. infra, p. 56. 289. V. supra, pp. 48-49. 290. V. infra. 291. V. infra, p. 63. 292. Carteggio 1965-83, iv, p. 18. 293. Ricordi 1970, p. 278; l’autenticità del documento è incerta. 294. Luzetti 1960; il 12 settembre 1533 Michelangelo gli paga un salario di 40 “grossoni” (Ricordi 1970, p. 277); Echinger-Maurach 2009a, p. 82. 295. Carteggio 1965-83, iii, p. 432. 296. V. infra. 297. Echinger-Maurach 1991, p. 214. Riguardo alla datazione del Bruto intorno al 1546 e alla collaborazione di Tiberio Calcagni v. Martin 1993; Elam 1998; Hirst 2004, pp. 51-52. 298. V. supra. 299. Prototipi si ritrovano nella Gigantomachia di un sarcofago in Vaticano; Tolnay 1954, iv, p. 101, fig. 287. 300. Echinger-Maurach 2009a, p. 185 n. 491, p. 186 n. 517, 188 n. 533, figg. 97, 107, 113. 301. Echinger-Maurach 2009a, p. 113. 302. Vasari[-Barocchi] 1962, Commento, pp. 187-188, 773, 1826-1827; Frommel 2002a; Forcellino 2005, pp. 307-314, 415, n. 19; Verspohl 2004, pp. 50, 183-184; EchingerMaurach 2009a, pp. 113, 188, nn. 554-558. 303. V. supra, p. 42. 304. V. supra, p. 51. 305. Carteggio 1965-83, iv, pp. 1-3; V. supra, p. 52. 306. V. infra, p. 62-63. 307. Vasari[-Barocchi] 1962, ii, p. 340. 308. V. supra, p. 29. 309. N. Machiavelli, Il Principe, cap. 6, 28; Id., Discorsi, i, c. 9, ii, c,. 8; Hankins 1991; Verspohl 2004, p. 180, n. 72. 310. Lavin 2007. 311. Pico della Mirandola 1555, pp. 17, 119. 312. Gregorio di Nissa 2001, pp. 51-66. 313. Frey [1897] 1964, pp. 206, cix, n. 104; Frommel 2013b, pp. 353-354. 314. Frommel 2013b, pp. 348-358. 315. L’anima “ha bisogno che il corpo sia reso eterno”; Ficino 2011, p. 417; Frommel 2007, pp. 274-276; Frommel 2013b, p. 347. 316. Frommel 2009a. 317. Frommel 1996 [1977], p. 114, n. 48. 318. Gay 2006, pp. 135, 314 -315. 319. Anonimo [S. Freud] 1914; Gay 2006, pp. 4-37. 320. Freud 1915; Gay 2006, pp. 527-535, 604-11. 321. Freud 1939. 322. Anonimo [Freud] 1914, p. 30. 323. Anonimo [Freud] 1914, p. 34. 324. Per l’identificazione di Freud con Mosè v. Jones 1955, pp. 366-367: « … There is no doubt that at the time he was bitterly disappointed at Jung’s defection. It cost him an inward
355
Michelangelo. Il marmo e la mente
325. 326. 327. 328. 329. 330. 331. 332. 333. 334. 335. 336. 337. 338. 339. 340. 341. 342. 343. 344. 345. 346. 347. 348. 349. 350. 351. 352. 353. 354. 355. 356. 357. 358. 359. 360. 361. 362. 363.
364. 365. 366. 367. 368. 369. 370. 371. 372. 373. 374. 375. 376. 377. 378. 379. 380. 381. 382.
356
struggle to control his emotions firmly enough to enable him to say calmly what he felt he had to say. One cannot avoid the pretty obvious conclusion that at this time, and probably before, Freud had identified himself with Moses and was striving to emulate the victory over passions that Michelangelo had depicted in his stupendous achievement». Cfr. Gay 2006, pp. 237-238, 316-317; v. anche Bredekamp 2009, pp. 76-78. reud 1923. F Tolnay 1960 [1971], pp. 206-207; EchingerMaurach 2009a, pp. 113, 123; Gnann 2010, pp. 369-372 con bibl. Gnann 2010, pp. 360-362. Colalucci 1994. Bellesi 1994; Wallace 1994, pp. 166-168. V. supra. V. infra. V. supra, p. 44. Poeschke 1993, pp. 123, 125-126; Wallace 1994, pp. 143-245; Echinger-Maurach 2009a, pp. 113, 188, nn. 554-558. Echinger-Maurach 2009a, pp. 144-150, con bibl. Ghisetti Giavarina 1990, p. 63. V. infra, p. 62. Cfr. il contributo di A. Forcellino, in questo volume. V. infra, pp. 59, 61-65. V. il contributo di C. Echinger.Maurach in questo stesso volume. Oberhuber 1999, pp. 125-126; EchingerMaurach 2009a, p. 138. V. supra, p. 34. Echinger-Maurach 2009a, pp. 133-143. Frommel 2012c, pp. 30-48. V. supra, p. 52. Echinger-Maurach 1991, p. 214, n. 183. Mors enim vere Terminus est, qui nulli cedere novit; Erasmo; Bury Palliser 1870. V. supra, p. 54. Benzoni 2004. Gatteschi 1993, pp. 63-70. Gatteschi 1993, pp. 48-50. V. supra, pp. 50-51. V. infra, p. 67. V. infra, p. 38. V. supra. Echinger-Maurach 2009a, p. 95. Wallace 1994, p. 31. Frommel 2003, p. 380, n. 94. Frommel 2013b, p. 347. Benzoni 2004. V. supra, p. 40. Cfr. Il contributo di A. Forcellino, in questo stesso volume. V. supra, p. 22; Augustyn 2005, pp. 377385, 406-408. «Et homo quod longe (meo iudicio) est arcanum divinae mentis, nec non per figuras veterum et implicita prophetarum, immo sancti spiritus per prophetiae verba praedictum aperuit incarnandi verbi mysterium iam nati vitam et opera proditionem, capturam, illusiones et inhonestam mortem, resurrectionisque triumphum et ascensioem et ad exteremum iudicium reditum, ut historiam dictasse non venturos praedixisse actus appareat»; Boccaccio 1970, pp. 94-96, 110-112; Augustyn 2005, pp. 425-426. V. supra, p. 52. Frommel 2009c, p. 476. Frommel 2007, pp. 269-277; v. supra, p. 22. Frommel 2013b, pp. 347-348. V. supra, pp. 27-29. V. supra, p. 52. V. infra, p. 62. V. supra, p. 57. Matzner 1994. Frommel 2013b, pp. 345-347. Colonna 1892, pp. 100-123; Patrizi 1982. Frommel 2013b, pp. 339-341. Forcellino M. 2009, pp. 39-42, 63-158. Colonna 1982, p. 229, n. 191. Frommel 2013b, pp. 342-345, 351-356. V. supra, p. 22; Vasoli 2005, pp. 29, 31, 34. V. supra, p. 23. V. supra. Frommel 2013b, pp. 342-345.
Bibliografia
383. Verspohl 2004, p. 154; Echinger-Maurach 2009a, p. 122; Forcellino M. 2008. 384. Guidoni 2002, pp. 321-337. 385. V. supra. 386. Panofsky 1972 [1975], pp. 237-246. Secondo Vasari Michelangelo desiderava che le sculture fossero così compatte da rotolare giù da una collina senza danneggiarsi. 387. Vasoli 2005, pp. 29, 32. 388. Satzinger 2001, p. 214, fig. 25. 389. Frommel 2013b, pp. 347-350. 390. V. supra, p. 54. 391. Hatfield 2002, pp. 226-230. 392. Popelka 1994. 393. Frommel 1979, pp. 91-96.
23. 24. 25. 26. 27.
Il monumento di Michelangelo per papa Giulio ii: arte e storia Un particolare ringraziamento va innanzitutto a Christoph Luitpold Frommel e Almamaria Tantillo Mignosi. La stretta e fruttuosa collaborazione, sempre in un clima di amicizia, con l’architetto Raffaele Viola, Andreina Draghi, Antonio Forcellino e l’architetto Giuseppe Papillo, i colloqui con Almamaria Tantillo Mignosi e Luisella Capponi all’Istituto Centrale del Restauro saranno sempre per me un bello e grato ricordo. 1.
2. 3. 4. 5.
6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19.
20. 21. 22.
La proposta, da me avanzata nel febbraio 1999, di considerare la tomba integrata negli spazi circostanti del transetto, in relazione alla retrostante sacrestia e alla soprastante cantoria grazie al distanziamento delle finestre, e della necessità quindi di ripulire non solo il marmo, ma anche le pareti adiacenti per rendere tale aspetto di nuovo visibile, ha forse contribuito, alla conclusione del restauro, a rendere più chiaramente percepibile la straordinarietà della soluzione adottata da Michelangelo per la sepoltura del papa. Tolnay 1975-80, ii, cat. n. 184. Echinger-Maurach 2009a, p. 13. Satzinger 2011, p. 31. Per le statue della Sibilla e del Profeta di Raffaello da Montelupo, v. Echinger-Maurach 2009a, pp. 151-161 e docc. 393, 395-399, 402, 421, 427-430. Echinger-Maurach 2005, pp. 129-135. V. da ultimo Roser 2005, pp. 119-123, 188-197. Per il monumento di Pio ii v. Roser 2005, pp. 100-101, 169-178; per quello di Pio iii v. Röll 2002, pp. 233-256. Per le spese di Michelangelo e per l’ordinativo di blocchi di marmo negli anni 1505-06 v. docc. 1-27. Echinger-Maurach 2009a, pp. 26-29, 32-43. Echinger-Maurach 2009a, p. 32. Cfr. Satzinger 2011, pp. 22-31. Echinger-Maurach 2009a, pp. 37-38. Per l’ordinazione dei blocchi di marmo e per il loro trasporto a Firenze dal 1516 al 1520v. docc. 103, 106, 109-152, 160, 162-211. Götzmann 2002, pp. 279-298; Götzmann 2004, pp. 99-120 (con bibliografia). Götzmann 2005, pp. 171-200 (con bibl.). Echinger-Maurach 2009a, p. 31. Echinger-Maurach 2009a, pp. 82-84, 98. Oxford, Ashmolean Museum, Parker 308r. Cfr. Wilde 1953a, pp. 74-76 (per le tombe papali); Tolnay 1975-80, i, cat. n. 19 (riferimento alla Sala di lettura della Biblioteca Laurenziana rispettivamente alla tomba dei Magnifici, 1524 ca.); Maurer 2004, pp. 89-93; Ruschi 2007, p. 39 (per le tombe dei Magnifici, 1521 ca.); Joannides 2007, cat. n. 39 (per le tombe dei Magnifici, 1530 ca.). Cfr. doc. 388. Cfr. Röll 1993, passim; Bartolozzi Casti, Zandri 1999, pp. 215-220; analiticamente Tritz 2008, pp. 277-328. Nicolò Cusano aveva spostato le reliquie
28. 29. 30. 31. 32. 33. 34.
35. 36.
37.
38. 39.
40. 41. 42. 43.
44. 45. 46. 47. 48. 49.
delle catene dall’altare maggiore a quello da lui fatto erigere; cfr. Bartolozzi Casti, Zandri 1999, p. 103. L’altare delle catene venne rimosso dalla sua nicchia nel 1704; cfr. Ippoliti 1999, p. 159, n. 46: «Nel 1704 in Luglio pagato al muratore per aver disfatto quell’altare che era dentro quel nicchio sotto l’organo in chiesa» (documento della fine del xviii sec.). Dal 1877 le catene sono esposte nella cripta sotto il nuovo altare maggiore. In precedenza, per l’esattezza dal 1662, erano conservate in sacrestia in un reliquiario d’argento (cfr. Bartolozzi Casti, Zandri 1999, pp. 139, 185-189). Echinger-Maurach 2009a, pp. 74-78. Nella pianta di Alfarano (fig. 8) le due tombe hanno i nn. 81 e 84, l’altare del ciborio il n. 85; cfr. al proposito supra nota 7. Roser 2005, pp. 197-206. Sulla progettazione della tribuna delle reliquie in S. Lorenzo cfr. Mussolin 2007, passim. Cfr. Carteggio 1965-83, iii, p. 170, lettera di Fattucci del 14 ottobre 1525: «[…] vorrei [i.e. papa Clemente vii] fare una sepultura a.l.Lione et una per me, et alsì uno ciborio sopra l’aultare di S. Lorenzo, in su quattro colonne […]». Echinger-Maurach 2009a, p. 66. Cfr. nota 1. Cfr. Röll 2002, p. 239; Roser 2005, p. 46, fig. 31, p. 172. Cfr. Papillo 2003, p. 22, figg. 6, 7. Krautheimer, Corbett, Frankl 1967, p. 209 e fig. 178. Michelangelo fornisce disegni per l’alzato nel 1542 (docc. 378, 396). M. Forcellino (Forcellino M. 2002, pp. 110111; 2003, pp. 46-48) ha proposto di recente di identificare la quarta statua con la Sibilla abbozzata da Michelangelo come pendant del Mosè, tesi non convincente perché le due figure sono troppo diverse per dimensioni e postura; cfr. Echinger-Maurach 2009a, p. 81. Echinger-Maurach 2009 a, p. 101, nota 515. Cfr. Echinger-Maurach 1991, i, p. 380. Laux e Einem hanno cercato, nelle loro ricostruzioni grafiche, di dare un’idea della presumibile collocazione degli Schiavi del Louvre (cfr. Echinger-Maurach 1991, ii, figg. 61, 66; Forcellino M. 2002, fig. 22). Per le statue della Vita attiva e della Vita contemplativa v. Echinger-Maurach 2009a, pp. 114-132. Sull’idea di far eseguire probabilmente queste statue da altri maestri già nel marzo 1534 cfr. Echinger-Maurach 2003, p. 344; Echinger-Maurach 2009a, p. 88. Echinger-Maurach 2009a, p. 74, nota 336. La realizzazione delle volute non è menzionata nei contratti del 1542. La loro forma è paragonabile a quelle del Ricetto della Biblioteca Laurenziana, che sembrano aleggiare con elastica flessuosità; cfr. Argan, Contardi 1990, tav. a p. 136. Echinger-Maurach 2003, p. 339. Echinger-Maurach 1991, i, pp. 72, 114, 378; ii, fig. 62; Forcellino M. 2002, fig. 22. Cfr. a tale proposito le illuminanti considerazioni di Krieg 1999-2000, pp. 152-153. Sull’attribuzione e datazione della figura del papa v. analiticamente Echinger-Maurach 2009a, pp. 133-142. Per la problematica statua di un santo Pietro in abito di papa nell’inventario dopo la morte di Michelangelo v. doc. 458 e Echinger-Maurach 2007, passim, cfr. tavv. 84-89. Ackerman 1986, pp. 284-285. Echinger-Maurach 1991, i, pp. 384-385; Satzinger 2001, pp. 177-222. Battista di Donato di Battista Benti (attivo 1536-1557), figlio di Donato Benti; cfr. Wallace 1994, p. 31. Cfr. doc. 395: 20 mesi dopo il 21 agosto 1542. Per la statua della Madonna v. EchingerMaurach 2009a, pp. 144-150. Per la statua del Mosè cfr. Echinger-Maurach 2009a, pp. 101-113. Per le misure dello zoccolo originale v. Echinger-Maurach 1991, i, p. 387; Echinger-Maurach 2009a, p. 208.
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Le statue di Michelangelo per la tomba di Giulio ii in S. Pietro in Vincoli
Bibliografia
Questo procedimento è benissimo descritto da Annibal Caro in una lettera del 1552 nella quale parla del modo di scolpire di Guglielmo della Porta, lo scultore che più e meglio si avvicina anche nei risultati al lavoro di Michelangelo: «Il frate ha già condotto una statua assai ben oltre con maraviglia di tutti che la veggono, perché non lavora a bozza come gli altri ma scoprendo le membra finite di sorte che par uno ignudo che esca de a neve» (Ireneo Affò, Vita del cardinale Ercole Gonzaga, ms, Biblioteca Palatina di Parma, c. 208). Il lavoro di Guglielmo della Porta è svolto sotto gli occhi e la direzione di Michelangelo, come si evince dalla stessa lettera: «…Il sito de la sepoltura [di Paolo iii Farnese] fu risoluto dal Rev.mo S.Croce insieme con Michelangelo che fosse ne la cappella del Re nell’entrare a man dritta». Sul riferimento di questa tecnica a Michelangelo v. la Vita di Vasari, che potrebbe aver dedotto l’espressione dalla lettera di Annibal Caro per quanto si somigliano i due paragoni. Una stima corrente delle statue di uguale dimensione si trova in una lettera inviata nel 1545 da Baldassarre Turini al cardinale Cybo, riferita alle sculture di Baccio Bandinelli per le tombe dei papi Medici a S. Maria sopra Minerva in Roma. Cfr. Forcellino 2002 p. 76, n.1. Ascanio Condivi e Giorgio Vasari forniscono molte informazioni erronee sulla vicenda della tomba di Giulio ii, e ciò ha creato non pochi problemi nella comprensione della vicenda, dal momento che i due biografi sono considerati molto vicini a Michelangelo, e la critica si è sempre sforzata di fondare sul loro racconto la ricostruzione non solo della vicenda particolare, ma dell’intera produzione dell’artista. Ora che sono venuti alla luce un numero sufficiente di documenti certi che permettono di ricostruire la vicenda, si può misurare l’infondatezza di alcune informazioni essenziali da questi tramandate. Gli errori più gravi riguardano la realizzazione delle statue della Madonna, del Profeta e della Sibilla. La prima viene da Vasari assegnata a Scherano e le ultime due a Raffaello da Montelupo, sottolineando perfidamente che Michelangelo fu molto insoddisfatto del suo lavoro. In realtà accadde il contrario, come attestano i documenti. Raffaello consegnò la Madonna finita nell’agosto del 1542 (doc. 395). Michelangelo ne fu soddisfatto al punto di assegnargli anche le altre due statue che aveva cominciato a scolpire, e che poi si deciderà a finire da solo, la Vita attiva e la Vita contemplativa. Questo passaggio di attribuzione non sembra però casuale, perché Vasari screditò Montelupo per favorire l’assegnazione delle statue della cappella Del Monte in S. Pietro in Montorio al suo carissimo amico Bartolomeo Ammannati: «Non volse Michelagnolo che il Montelupo facessi le statue, avendo visto quanto s’era portato male nelle sue della sepoltura di Giulio Secondo, e si contentò più presto ch’elle fussino date a Bartolommeo Ammannati, quale il Vasari aveva messo innanzi» (doc. 474). La possibilità di verificare, grazie alla sterminata documentazione raccolta intorno alla tomba di Giulio ii, gli errori di Vasari (e Condivi) rappresenta un punto di partenza per la revisione dei rapporti tra Vasari e Michelangelo, e la effettiva attendibilità delle informazioni riportate dal biografo, soprattutto per gli anni precedenti al 1550. È solo dopo quella data che Michelangelo accetterà, seppure con molta prudenza, d’intrattenere relazioni con Giorgio Vasari, visto da Buonarroti sempre come rappresentante ed emissario dell’odiato tiranno Cosimo i de’ Medici.
a cura di Maria Forcellino
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Indice dei nomi e dei luoghi
Indice dei nomi e dei luoghi a cura di Roberto Cassanelli Il presente indice è condotto sulla sezione saggistica del volume. Per la loro continua ricorrenza, sono stati omessi i lemmi Giulio ii, Michelangelo Buonarroti e Mosè. Ackerman, James 287 Adamo 31, 57 Adriano, imperatore 25, 64 Adriano vi, papa (Adriaan Florensz) 46, 281 Agostino, frate 15 Agostino, santo 22, 57, 64 Agrigento, tempio di Zeus 26 Alamanni, Luigi 56 Alberti, Leon Battista 21, 23, 25, 28, 66, 354 n. 76 Aldrovandi, Ulisse 10, 25, 353 n. 20 Aleria 355 n. 260 Alfarano, Tiberio 356 n. 24 Alessandro vi, papa (Rodrigo Borgia) 19 Alicarnasso, mausoleo 15, 25, 27 Alidosi, Francesco 24, 29, 31, 354 n. 66 Alighieri, Dante 20, 23, 58, 65, 66, 67 Amadori (dell’Amadore), Francesco d. l’Urbino 11, 15, 53, 54, 59, 60, 62, 63, 285, 287 Ammannati, Bartolomeo 356 n. 3 (Forcellino) Andrea, santo 282 Andrea da Firenze 21, 41 Anfitrite 56 Anghiari 30, 33 Anna, santa 28, 60 Anonimo Destailleur 10 Anonimo Gaddiano 7, 353 n. 1 Anonimo Magliabechiano 9, 16, 59, 63, 287, 353 n. 2 Antinoo 64 Antonio da Pontassieve v. Pontassieve Antonio da Antonio di Jacopo da Puligo d. Leone 43, 44 Apelle 55 Apollo 23, 33, 49, 56, 69 Apuane, alpi 43 Aquila (L’), tomba di san Bernardino 15 Aristotele 23 Aristotile da Sangallo v. Sangallo, Bastiano da Arno 43, 45 Assisi 9 Atene 33, 35 Attalante 32 Augusto, imperatore 25 Avenza 29, 43, 44, 45 Avignone 23 Cattedrale di Notre-Dame-desDômes 15, 19 Baccio da Montelupo 53 Bacco 19 Bagnoli, Sante 7 Baldinucci, Filippo 290 Balducci, Giovanni 30 Bandinelli, Baccio 40, 46, 281, 356 n. 2 (Forcellino) Barabba 27
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Barocchi, Paola 353 n. 9 Basso della Rovere, Girolamo 12 Bello, scalpellino v. Francesco di Jacopo d. Benivieni, Girolamo 23, 28 Benti, Battista di Donato di Battista 63, 287, 356 n. 46 Benti, Donato 356 n. 46 Benveduti, Carlo 7 Berlino 10, 11, 36, 37, 38, 41, 44, 279, 281, 292, 353 n. 44 Bernardino, santo 15 Bernardino, scalpellino 39 Bernini, Gian Lorenzo 354 nn. 77 e 105 Bode, Wilhelm 353 n. 44 Boezio 26 Bologna 28, 30, 31, 354 n. 66 Basilica di S. Petronio 31, 34 Bonn 353 n. 55 Borghini, Vincenzo 10, 353 n. 1 Borgia, Rodrigo (poi papa Alessandro vi) 23 Bosco, Tommaso (Maso) del v. Boscoli Tommaso Boscoli, Tommaso 10, 11, 16, 53, 54, 59, 60, 353 nn. 27 e 51 Bottari, Giovanni Gaetano 10 Bracci, Francesco d. Cecchino 7, 23, 63, 64, 65 Bramante, Donato 19, 20, 24, 25, 26, 30, 33, 36, 37, 38, 39, 44, 68, 280, 281, 354 n. 81 Bregno, Andrea 19 Brinckmann, Albert 13 Bruges 33 Bruni, Leonardo 20, 21 Bruto 54, 355 n. 297 Buonarroti, Buonarroto 39 Burckhardt, Jakob 10, 14, 353 n. 38 Burger, Fritz 12 Caco 13 Cagione (Chagione), scalpellino v. Leonardo di Andrea d. Cagione (Chagione), Gianpaolo 355 n. 217 Calcagni, Tiberio 355 n. 297 Camerino 62 Canova, Antonio 10, 287 Capponi, Niccolò 49 Caro, Annibal 356 n. 1 (Forcellino) Carrara 29, 30, 33, 38, 39, 40, 42, 43, 44, 46, 52, 53, 68, 292, 293, 354 n. 108 Cascina 33, 34 Castellani, Contessa 64 Castiglione, Baldassarre 24 Cavalieri, Tommaso (de’) 7, 23, 52, 55, 68, 69, 354 n. 5 Cebete 28 Cecchini, Pier Antonio 52, 54, 59, 64 Cellere, S. Egidio 52 Celio, Gaspare 353 n. 25 Cesena 31 Chigi, Agostino 24
Cibele 27, 29 Cicognara, Leopoldo 10 Clemente vii, papa (Giulio de’ Medici) 45, 46, 48, 49, 50, 53, 68, 69, 281, 282, 295, 356 n. 27 Colonna, Vittoria 7, 49, 57, 65-66, 67, 68, 69, 294 Condivi, Ascanio 9, 10, 11, 12, 14, 15, 19, 21, 23, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 35, 39, 42, 50, 53, 56, 59, 63, 66, 67, 279, 287, 295, 353 n. 13, 354 n. 5, 356 n. 3 (Forcellino) Cordier, Nicolas 13, 34 Cosma, santo 53 Cosroe 57 Costantino 48, 279 Costantinopoli 31 Crispi, Tiberio 354 n. 5 Cristo 16, 27, 29, 37, 38, 39, 40, 41, 46, 48, 55, 57, 58, 64, 65, 66, 67, 69, 280 Cuccharello (Cucchiarello) v. Matteo di Michele di Cuccharello Cusano (da Cusa), Niccolò 51, 282, 356 n. 22 Cybo, Innocenzo 356 n. 2 (Forcellino) Damiano santo 53, 64 Da Milano, Bernardo 50 Daniele da Volterra, Daniele Ricciarelli d. 37 Davide, 14, 33, 46, 47, 48, 58, 67, 69 Del Duca, Giacomo 63 Della Porta, Giovan Maria 15, 51 Della Porta, Guglielmo 60, 356 n. 1 (Forcellino) Della Rovere, famiglia 16, 21, 23, 39, 50, 67 Della Rovere, Felice 50 Della Rovere, Francesco Maria duca di Urbino 28, 36, 46, 54, 62, 354 n. 66 Della Rovere, Giovanni 23 Della Rovere, Giuliano (poi papa Giulio ii) 13, 15, 19, 23, 26, 51, 280, 282, 284, 287 Della Rovere, Guidobaldo duca di Urbino 22, 54, 62, 63, 65, 69 Della Rovere, Raffaele 19 Della Valle, Guglielmo 10 Del Monte, Antonio 50 Del Riccio, Luigi 63, 64 Demodoco 22 Dennistoun, James 10 Deogratias 64 Desprez, Louis Jean 10 Diacceto, Jacopo da 56 Diana 64 Dionigi, santo 21 Domenico da Settignano d. Topolino 43, 45, 355 n. 215 Donatello, Donato di Niccolò di Betto Bardi d. 47, 279 Dovizi, Bernardo da Bibbiena 32 Dvořák, Max 13 Ebrei 295 Echinger-Maurach, Claudia 7, 15, 354 n.
83, 356 n. 339 Egidio da Viterbo 14, 15, 19, 22, 23, 354 n. 28 Einem, Herbert von 356 n. 36 Elam, Caroline 353 n. 13 Eliodoro 12, 35 Enrico ii, re di Francia 26 Eraclio 57 Erasmo da Rotterdam 25, 61, 356 n. 346 Ercole 13, 48, 69 Ermete Trismegisto 28 Euclide 35 Fabriczy, Cornelius von 9, 353 n. 1 Farnese, Alessandro 53, 62, 63, 294 Farnese, famiglia 62 Fattucci, Giovan Francesco 46, 48, 49, 51, 285, 356 n. 27 Federico da Montefeltro 23 Federighi, Antonio 28 Felini, Pietro Martire 353 n. 25 Ferrara 49, 69 Ficino, Marsilio 13, 21, 22, 23, 27, 56, 58 Fidia 10 Fiesole 53; villa di Giovanni de’ Medici 21 Firenze 9, 10, 12, 13, 21, 23, 29, 30, 31, 33, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 59, 69, 280, 281, 284, 290, 291, 354 n. 28, 355 nn. 130 e 268, 356 n. 14 Basilica della Ss. Annunziata 355 n. 203 Basilica di S. Lorenzo 14, 38, 39, 42, 43, 45, 63, 68, 279, 280, 282, 286, 356 n. 27; Sagrestia Nuova (Cappella Medicea) 14, 22, 24, 27, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 53, 54, 55, 56, 62, 64, 66, 67, 68, 69, 279, 281, 287, 355 nn. 203, 237, 245; Tribuna delle Reliquie 356 n. 26 Basilica di S. Maria Novella, Cappellone degli Spagnoli 21 Basilica di S. Miniato al Monte, cappella del Cardinale del Portogallo 20, 21, 22 Basilica di S. Marco 23 Basilica di S. Spirito 34 Battistero di S. Giovanni, tomba Coscia 279 Biblioteca Laurenziana 14, 48, 49, 61, 68, 282, 286, 287, 356 nn. 19 e 39 Bottega di via Mozza 45, 53 Casa Buonarroti 11, 13, 33, 47, 281, 355 n. 235 Certosa 353 n. 8 Galleria degli Uffizi 10, 37, 38, 41 Galleria dell’Accademia 13, 38, 41, 43, 45, 46, 48, 63, 66, 281, 291 Giardino di Boboli 12, 13, 14, 26, 353 n. 34 Istituto Germanico 353 n. 53 Palazzo Medici 22, 29
Palazzo Vecchio 26, 35, 42, 43, 44, 46, 47, 281, 291 Piazza della Signoria 46, 48, 67 Fontana, Domenico 355 n. 203 Forcellino, Antonio 7, 354 n. 111, 356 nn. 337 e 361 Forcellino, Maria 7, 356 n. 34 Fornari, Simone 353 n. 18 Fosdinovo 42 Francesco di Jacopo d. Bello, scalpellino 43, 44 Francesco di Pelliccia 31, 43, 45 Francia 15 Freud, Sigmund 12, 58-59, 353 n. 62, 356 n. 324 Frey, Karl 353 n. 1 Frommel, Christoph Luitpold 14-15, 280, 354 nn. 109 e 111 Galatea 35, 41 Ganimede 23 Genga, Girolamo 49, 63 Genova 43 Germania 11, 12, 353 nn. 44, 46, 63 Giambologna, Jean de Boulogne d. 46 Giannotti, Donato 62 Giona 64, 65, 292 Giotto di Bondone 20 Giovanni Battista, santo 28 Giovanni Galvano di Ser Galvano 44 Giove 22, 23, 26, 61, 69 Girolamo, santo 21 Giuda 66 Giuditta 47 Giulio Romano, Giulio Pippi d. 48, 66 Giunone 59 Giuseppe, santo 28 Goethe, Johann Wolfgang 10 Golia 47 Gonzaga, Eleonora 294, 295 Gonzaga, Ercole 50, 54, 62, 295 Gonzaga, Federigo 33 Gonzaga, Francesco 24 Gori, Anton Francesco 10 Gotti, Aurelio 11 Grecia 21 Gregorio di Nissa 7, 22, 57 Gregorio Magno, papa e santo 13, 22, 23, 29, 34, 282 Gregorovius, Ferdinand 10, 11 Grimm, Hermann 11, 353 n. 44 Grosso Della Rovere, Bartolomeo 45, 46, 48, 50 Grosso Della Rovere, Leonardo 36, 38, 39, 42, 43, 45, 48, 280, 282 Grottaferrata 26 Guido d’Antonio 29 Haarlem 39 Haman 35 Harford, John Scandrett 11 Hartt, Frederick 14 Hauchecorne, abbé 10, 353 n. 27 Hermes, dio 26 Hirst, Michael 15 Hollanda, Francisco de 65 Inghirami, Tommaso 23 Innocenzo viii, papa 23, 24 Isaia 55 Israele 66, 68
Italia 11, 26, 31, 42 Jacopo di Piero da Torano 43 Jemolo, Andrea 7 Jung, Carl G. 356 n. 324 Justi, Carl 11, 12, 13, 353 nn. 6 e 55 Kallab, Wofgang 353 n. 1 Keyssler, Johann Georg 353 n. 25 Krautheimer, Richard 284 Laban 66, 67 Lafréry, Antoine (Antonio) 9 Landino, Cristoforo 21, 22, 29, 66, 67 La Lande, Jérôme de 10, 353 n. 25 Lanzi, Luigi 10 Laocoonte 35, 41, 46, 290 Laschke, Birgit 353 n. 7 Lateranensi, canonici 51, 52 Lattanzio, Lucio Cecilio Firmiano 22 Laux, Karl A. 11, 13, 15, 356 n. 36 Leda 33, 48 Leonardo da Vinci 21, 28, 33, 35, 41, 42, 55, 66 Leonardo di Andrea d. Cagione 43, 44, 52 Leone, scalpellino v. Antonio di Jacopo da Puligo d. Leone x, papa (Giovanni de’ Medici) 23, 34, 36, 38, 39, 43, 45, 46, 50, 56, 62, 68, 281, 282 Leto, Pomponio 23 Levi 66 Lia 11, 14, 29, 66, 67, 68, 353 n. 48 Lione 355 n. 268, 356 n. 27 Lippi, Filippino 23 Lipsia 353 n. 53 Lombardello, Leonardo 43, 44 Londra British Museum 355 n. 235 Courtauld Institute 27, 33, 47 Lorenzetto, Lorenzo di Ludovico Lotti d. 53, 59 Lorenzo il Magnifico v. Medici, Lorenzo de’ Loreto 53 Santa Casa 25, 53, 54 Lotto, scalpellino 43, 44 Luigi xi, re di Francia 15 Lutero (Luther), Martin 65 Machiavelli, Niccolò 7, 31, 56 Maddalena, Maria 66 Maitani, Lorenzo 44 Malaspina, Argentina 42 Malaspina, Lorenzo marchese di Fosdinovo 42 Mancino, scalpellino 43, 44, 355 n. 217 Manetti Ciaccheri, Antonio 21 Magone, Giovanni 60 Mantegna, Andrea 21, 23 Marchesi, Giovanni de’ 62, 286 Mar Rosso 56 Maria di Betania 29 Maria di Cleofa 66 Maria Vergine 27, 29, 32, 59, 66, 293 Mariette, Pierre-Jean 10 Marta 66 Marsuppini, Carlo 20 Marta di Betania 29 Martinelli, Fioravante 353 n. 25 Martino, santo 21 Matilde di Canossa 29, 66, 68 Matteo, santo 32, 35
Matteo di Michele di Cuccharello (Cucchiarello) 29, 31, 355 n. 130 Maurizio, santo 21 Mausolo 25 Medici, Alessandro de’ 49, 52, 355 n. 280 Medici, Caterina de’ regina di Francia 26 Medici, Cosimo i de’ 21, 295, 356 n. 3 (Forcellino) Medici, famiglia 23, 39, 49, 68, 69, 282, 295, 356 n. 2 (Forcellino) Medici, Giovanni de’, cardinale (poi papa Leone x) 21, 32 Medici, Giuliano de’ 23, 45 Medici, Giuliano de’, duca di Nemours 27, 46, 48, 53, 55, 56, 57, 58, 64, 66, 68, 292, 294 Medici, Giulio de’, cardinale (poi papa Clemente vii) 45, 46, 68, 354 n. 28 Medici, Ippolito 49 Medici, Lorenzo de’ d. il Magnifico 22, 23, 29, 30, 45, 46, 56, 66, 68 Medici, Lorenzo de’ duca d’Urbino 45, 48, 56, 58, 68, 292, 294 Melozzo da Forlì, M. di Giuliano degli Ambrosi d. 23 Michele, arcangelo 28 Michele di Piero di Pippo 30, 42, 355 n. 208 Michelozzo di Bartolomeo Michelozzi d. 379 Milanesi, Gaetano 11 Milizia, Francesco 10 Mini, Antonio 355 n. 268 Mino da Fiesole 12 Mitra, dio 20, 47 Monaco di Baviera 355 n. 149 Monteauto, Salvestro da 353 n. 2 Montorsoli, Giovanni Angelo 9, 48, 53, 59, 63, 64, 353 nn. 5 e 7, 355 nn. 203 e 296 Morelli, Giovanni 58 Mosca 66 Napoli 52 Narciso 33, 41 Nettuno 44, 56 New York 16, 19, 20, 21, 22, 24, 26, 27, 33, 36, 37, 41, 64, 66 Niccolò v, papa (Tommaso Parentucelli) 19, 25 Nicola Pisano 41 Nilo 55, 56, 64 Ochino, Bernardo 65 Odasio, Lodovico 28 Olimpo 56 Ollendorf, Oskar 7 Oloferne 47 Omero 23 Orsini, famiglia 52 Orvieto 49, 65; Duomo, 44; Cappella di S. Brizio 34 Ostia 26 Oxford Ashmolean Museum 356 n. 19 Christ Church College 355 n. 235 Nepi 31 Palladio, Andrea 10 Pallavicini, Francesco 45, 48, 50, 355 n. 260
Pan 56, 69, 295 Panofsky, Erwin 7, 12, 13, 23, 353 n. 77, 354 n. 84 Paolo, santo 20, 29, 38, 52, 56, 57, 63, 66, 294, 295 Paolo ii, papa (Pietro Barbo) 12, 13, 20, 23, 48, 49 Paolo iii, papa (Alessandro Farnese) 53, 54, 59, 62, 68, 69, 295, 356 n. 1 (Forcellino) Papillo, Giuseppe 284 Parigi 24, 26, 37 Basilica di Saint-Denis, tomba di re Dagoberto 21 Museo del Louvre 10, 12, 13, 14, 15, 24, 26, 27, 33, 36, 37, 38, 40, 44, 49, 50, 51, 52, 54, 62, 63, 65, 279, 280, 281, 285, 355 n. 273, 356 n. 36 Parisani, Ascanio 62 Parma, Biblioteca Palatina 356 n. 1 (Forcellino) Passerini, Silvio 49 Pastor, Ludwig von 14 Pavia 354 n. 81 torre di Boezio 26 Perkins, Charles C. 353 n. 51 Perini, Gherardo 354 n. 5 Perugia Perugino, Pietro Vannucci d. il 23 Peruzzi, Baldassarre 60, 281 Pesaro 50 Petrarca, Francesco 20 Piacenza 53 Pico della Mirandola, Giovanni 7, 20, 22, 23, 28, 29, 37, 56, 57, 354 n. 15 Pietrasanta 42, 63 Pietro, santo 13, 25, 34, 55, 56, 66, 67, 356 n. 43 Pietro Comestore 21 Pilato 27 Pinturicchio, Bernardino di Betto d. il 23 Pio ii, papa (Enea Silvio Piccolomini) 13, 20, 48, 49, 282, 356 n. 8 Pio iii, papa (Francesco Todeschini Piccolomini) 19, 282, 284, 356 n. 8 Pio iv, papa 55 Pio v, papa 58 Piombo, Sebastiano del v. Sebastiano del Piombo Pisa 42, 43, 45 chiesa di S. Caterina, tomba Santarelli 21 Platina, Bartolomeo Sacchi d. il 23 Platone 7, 20, 21, 22, 25, 28, 57 Plinio il Vecchio 15, 25 Plotino 23 Po, fiume 53 Pole, Reginald 65 Poliziano, Angelo 22, 28 Pollaiuolo, Antonio 12, 19, 21, 23, 60 Pontassieve, Antonio da 38, 39, 40, 54, 62, 285, 293 Pontelli, Baccio 26 Porcari, eredi 41, 45 Porcari, Marta 38, 45 Portinari, Beatrice 65, 67 Portogallo 20, 21, 22 Pozzolatico 29 Procacci, Ugo 353 n. 13 Proserpina 66 Pucci, Lorenzo 36, 42, 48, 49
365
Michelangelo. Il marmo e la mente
Rachele 11, 14, 29, 66, 67, 353 n. 48 Raffaello da Montelupo 9, 11, 16, 53, 59, 60, 62, 63, 64, 65, 69, 279, 292, 293, 294, 353 nn. 5-6, 355 n. 296, 356 n. 5 e 3 (Forcellino) Raffaello Sanzio 12, 21, 23, 24, 30, 33, 34, 35, 38, 39, 41, 48, 53, 55, 60, 64, 66, 67, 68, 281, 354 n. 66, 355 n. 165 Ramdohr, Basilius von 353 n. 25 Rashi di Troyes 21 Ravenna 355 n. 153 Reymond, Marcel 13 Riario, Pietro 19 Ridolfi, Niccolò 52, 354 n. 5 Riegl, Alois 13 Ripa, Cesare 10 Rocca (Rocchini) Giacomo 279 Roma 9, 14, 19, 23, 29, 30, 31, 33, 34, 39, 42, 43, 44, 46, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 59, 63, 65, 68, 282, 285, 289, 292, 295, 353 nn. 4 e 7, 354 nn. 4, 5, 108 Arco di Costantino 279 Campidoglio 286; Palazzo dei Conservatori 287 Castel S. Angelo 29, 38 Colonna Traiana 38 Fontana del Mosè 355 n. 203 Macel de’ Corvi 34, 38, 39, 40, 42, 46, 50, 52, 53, 59, 62, 64, 287, 293, 354 n. 5 Musei Capitolini 21 Palazzo del Sant’Uffizio 48 Palazzo Farnese 68, 69 Palazzo Venezia 62 Passetto 29 Porto di Ripa Grande 29, 38, 39, 40, 52, 292 Sapienza 354 n. 5 Tempio di Venus Genetrix 37 Villa della Farnesina, Loggia di Amore e Psiche 66 Villa Giulia 25 Villa Montalto-Negroni-Massimi 13 chiese S. Agata dei Goti 354 n. 5 Ss. Apostoli 19 S. Caterina delle Cavallerote 29, 30, 39, 354 n. 105 S. Cecilia 60 S. Lorenzo in Damaso 21 S. Maria dell’Anima 60
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Crediti fotografici
S. Maria della Pace, cappella Chigi 23, 37, 67, 281 S. Maria del Popolo 19, 20, 23, 50, 51, 60, 281, 282; Cappella Chigi 24, 64 S. Maria in Aracœli 34, 64 S. Maria in Monserrato 60 S. Maria sopra Minerva 39, 62, 280, 356 n. 2 (Forcellino); Cappella Carafa 23; Cappella Porcari 32 S. Pietro in Montorio, Cappella Del Monte 25, 356 n. 3 (Forcellino); Cappella Raimondi 354 n. 77 S. Pietro in Vincoli 7, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 50, 51-52, 59, 62, 63, 68, 279, 280, 281, 282, 284, 286, 287, 292, 293; Chiostro 355 n. 153 S. Silvestro al Quirinale, convento 65 S. Susanna 355 n. 203 Romani 26, 354 n. 76 Rocchetti (Rocca), Giacomo 37 Ronchini, Enrica 7 Rosselli, Cosimo 21, 59 Rosselli, Pietro 30 Rossellino, Antonio 20, 21 Rossellino, Bernardo 19, 29 Rucellai, Bernardo 56 Sabina, imperatrice 21 Salamanca, Antonio 9 Salomone 14, 15 Salviati, famiglia 19 Salviati, Jacopo 48, 49 Sandro di Giovanni Fancelli, detto Scherano 9, 11, 59, 63, 293, 353 nn. 5-6, 356 n. 3 (Forcellino) Sangallo, Antonio il Giovane da 25, 52, 53, 68, 69, 355 n. 165 Sangallo, Bastiano d. Aristotile da 10, 15, 44, 52, 59, 60-61, 285, 355 n. 235 Sangallo, Giuliano da 19, 22, 25, 26, 30, 34, 39, 354 nn. 81 e 105 Sansovino, Andrea 12, 13, 19, 20, 48, 53, 60, 281 Sansovino, Jacopo 39 Santarelli, Simone 21 Sanudo (Sanuto), Marin 32 Scarampi, Ludovico 21 Scherano da Settignano v. Sandro di Giovanni Fancelli Schmarsow, August 11, 37, 353 n. 53 Sebastiano del Piombo, Sebastiano Luciani
detto 15, 46, 49, 50, 52, 284, 294 Sellaio, Iacopo 38, 40, 42, 43, 45, 46, 49 Seroux d’Agincourt, Jean Baptiste L.G. 10 Serravezza 43 Settignano 30 Sforza, Ascanio 19 Shakespeare, William 23 Shearman, John 15, 354 n. 109 Siena, Duomo 21; Altare Piccolomini 28, 295 Signorelli, Luca 34 Sinai, monte 23 Sisto iv, papa (Francesco Della Rovere) 12, 14, 15, 19, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 50, 51, 68, 280, 287 Socrate 23, 28 Sisto v, papa (Felice Peretti) 355 n. 203 Soderini, Pier 31 Springer, Anton 11, 12, 353 nn. 44, 46, 48, 53, 55 Stati Uniti 353 n. 51 Strozzi, Roberto (Ruberto) 63 Terminus, dio 7, 26, 54, 61 Thode, Henry 12, 13 Tiranno, Girolamo 293 Titi, Filippo 353 n. 25 Tivoli 61 Tolnay, Charles (Karoly) de 13, 14 Tommaso d’Aquino, santo 22, 23, 29, 66 Topolino, scalpellino v. Domenico da Settignano d. Toscana 39, 53 Totti, Pompilio 353 n. 25 Tribolo, Niccolò di Raffaello di Niccolò dei Pericoli d. 53 Trissino, Gian Giorgio 56 Troia 22 Turini, Baldassarre 356 n. 2 (Forcellino) Ugonio, Pompeo 10 Ulisse 22 Urbano, Pietro 35, 38, 44, 45 Urbino 10, 11, 22, 36, 39, 45, 46, 48, 49, 50, 53, 54, 58, 62, 68, 69, 285, 293, 294, 295, 354 n. 5 Urbino (l’) v. Amadori (dell’Amadore) Francesco d. Valdés, Juan 65 Valeriano, Pietro (G.P. Dalle Fosse d.) 21,
22, 354 n. 28 Valori, Baccio 49 Vari, Metello 38, 39, 280 Varignana, Domenico da 34 Vasari, Giorgio 9, 10, 11, 12, 15, 16, 19, 20, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 35, 36, 42, 48, 51, 53, 55, 57, 58, 59, 63, 65, 66, 353 n. 18, 354 n. 5, 356 nn. 386 e 1, 3 (Forcellino) Vasi, Giuseppe 353 n. 25 Vaticano 12, 13, 29, 282, 284, 355 n. 299 Basilica di S. Pietro 7, 12, 14, 15, 19, 24, 29, 30, 32, 36, 37, 38, 42, 44, 48, 50, 51, 55, 62, 68, 280, 282, 284; tomba di san Pietro 25 Biblioteca Apostolica Vaticana 23 Cappella Iulia 15, 32, 36, 280, 354 n. 109 Cappella Paolina 56, 57, 62, 63, 67, 68, 294 Cappella Sistina 16, 21, 23, 24, 26, 30, 31, 33, 34, 35, 49, 52, 55, 56, 58, 59, 63, 64, 66, 68, 69, 280, 289, 355 n. 153 Cortile del Belvedere 281 Cortile delle Statue 26, 27, 33 Loggia dei suonatori (tibicini) papali 22, 24 Palazzo Apostolico 19, 29, 30 Piazza S. Pietro 354 n. 105 Stanza della Segnatura 23, 34, 354 n. 66 Stanza di Eliodoro 24, 60 Stanze Vaticane 68 Vecchietti, Bernardo 353 n. 1 Venere 46, 49, 66 Venezia 32 Vienna 353 nn. 44 e 63 Viola, Raffaele 355 n. 270 Virgilio Marone, Publio 23 Viterbo 65 Vitruvio Pollione, Marco 20 Volkmann, Johan Jacob 353 n. 25 Weinberger, Martin 14, 355 n. 235 Wilson, Charles Heath 11 Wilde, Johannes 13-14, 355 n. 235 Winckelmann, Johan Joachim 10 Wölfflin, Heinrich 13 Zabaglia, Nicola 354 n. 108 Zanobi, san 45 Zeus v. Giove
Crediti fotografici I numeri indicano la pagina, quelli tra parentesi le illustrazioni
Le fotografie del volume sono di Andrea Jemolo ad eccezione di: © 2014 Biblioteca Apostolica Vaticana, pp. 26(9), 284 © 2014 Foto Scala, Firenze – su concessione Ministero Beni e Attività Culturali, pp. 24, 97, 151 © Marco Calafati, pp. 103-105 © Giancarlo De Leo, pp. 116-121, 217 © Musei Vaticani, pp. 26(8), 27(11), 33, 34(23), 35(24-25), 36, 47(35), 57, 288, 289 Photo © Musée du Louvre, Dist. rmnGrand Palais / Raphaël Chipault, p. 102 © rmn-Grand Palais (Musée du Louvre) / Hervé Lewandowski, p. 32(19) Archivio degli autori, pp. 18, 20, 21, 25, 26(10), 27(12), 28, 31, 32(17, 18), 35(26), 36, 39, 40-45, 47(34, 36), 49, 53, 55, 56, 58, 59, 60(50), 65(54, 55), 67, 68, 72-93, 98, 108, 122(90), 130-132, 136, 144(113b), 146(115), 153-155, 159, 164, 166, 167, 173-174, 176, 178, 182, 183, 189, 192, 193, 197, 199-205, 208-210, 211, 214, 215, 224, 225, 240-246, 248251, 266-282, 285, 286, 290, 291, 295 Claudia Echinger-Maurach, pp. 54, 65(53) Fabbrica di San Pietro in Vaticano, p. 283 Mallio Falcioni, Archivio Fotografico Basilica di S. Pietro in Vincoli, Roma, pp. 17, 216(185) Galleria degli Uffizi, Gabinetto delle Stampe e dei Disegni (gdsu), pp. 19, 22, 29, 34(22), 60(49) Per gentile concessione della Soprintendenza per Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, pp. 252-263
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