EXNOVO è tutto da rifare
EXNOVO Prova di laurea elaborata da Jacopo Coen - S.S 2012/2013, 13.2 FacoltĂ di Design e Arti Libera UniversitĂ di Bolzano In collaborazione con Akrat Recycling coop. soc. Relatore: Steffen Kaz Correlatore: Alvise Mattozzi
INDICE
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INTRODUZIONE L’INDUSTRIA SOSTENIBILE LA SOCIETÀ DEL CONSUMO NATI PER CONSUMARE LA MESSA IN MOTO LA PUBBLICITÀ CHIUDERE IL CERCHIO IL RIUSO IL RIUSO IN ITALIA RIFIUTI ZERO CENTRI DI RIPARAZIONE E RIUSO CASO CAPANNORI UPCYCLING PRODOTTO E RIUSO
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AKRAT FABBRICA DEL RIUSO WORKSHOP TEXTILE WERKSTOFFE LO SPAZIO AKRAT CAFFÉ PROCESSO PROGGETTUALE EX-NOVO PRODOTTO NOVO CONCLUSIONE AKRAT E IL RIUSO
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BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA
É TUTTO DA RIFARE
Il mio proggetto parla del riuso come risorsa, come atteggiamento in risposta allo spreco, alle esigenze ambientali, ad un’economia sostenibile. Il progetto EX-NOVO è stato sviluppato in collaborazione con Akrat Recycling, una cooperativa sociale che ha come compito primo quello di creare una realtà lavorativa legata al riuso. La mia proposta riguarda sia l’uso degli spazi che la tipologia di prodotti che verranno realizzati.
INTRODUZIONE L’INDUSTRIA SOSTENIBILE
Il rapporto Brundtland è un documento rilasciato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, la sua definizione era: « lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.». Brian Norton della School of Social Sciences definisce la sostenibilità: “Si intende per sostenibilità l’insieme di relazioni tra le attività umane e la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali da permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività
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umane stiano entro certi limiti così da non distruggere il contesto biofisico globale.”. Nell’ ottica di un’ irrefrenabile sviluppo dell’industria, nel ‘900 questo concetto vestiva troppo stretto. Si è passati infatti da società precapitalistiche e contadine, autosufficienti nella produzione alimentare e nei consumi di beni, a quelle dei paesi industrializzati oberate di prodotti, che hanno come contrappunto altri paesi più poveri e con esigue speranze di miglioramento. Ripercorrendo la genesi della produzione moltiplicata di oggetti, si giunge alla situazione attuale divenuta ecologicamente, ed economicamente, ingestibile a causa dei loro eccessivi scarti. Secondo Guido Viale in La società del riuso, il design industriale e il razionalismo hanno lavorato indefessamente, per ricondurre il concetto di bello alla mera
funzionalità, fino a far coincidere tra loro oggetto e funzione, promuovendo così il principio dell’ “usa e getta”.Una volta esaurita la sua funzione l’oggetto va scartato. Questo principio è un must dell’industria per tenere alti gli standard produttivi. Serge Latouche, economista e teorico della decrescita felice, spiega che dunque non è un caso se il cellulare, il televisore, il pc o la lavatrice si rompono allo scadere della garanzia, né se la stampante si blocca dopo diciottomila stampe: si chiama “obsolescenza programmata”, e basta un chip a decretare la morte di un elettrodomestico. All’inizio furono le lampadine: nel 1924 il cartello dei produttori riunito a Ginevra sentenziò che duravano troppo e stabilì di ridurne la vita da duemilacinquecento a mille ore, poi – dopo la grande depressione del 1929. L’industria statunitense allargò l’ “obsolescenza programmata” ad un
numero sempre maggiore di prodotti industriali, poiché con la crisi le persone tendevano a riparare gli oggetti, piuttosto che sostituirli. Ecco perché oggi non conviene riparare, conviene comprare un nuovo prodotto. Questo atteggiamento venne adottato come simbolo di igiene e di benessere, e chi non lo adottava veniva indicato come poco moderno. Ciò comportò che quasi tutti gli oggetti che prima venivano venduti sfusi, cominciarono ad essere confezionati già pronti all’uso. Si perse l’ abitudine al recupero dei contenitori e dei materiali.
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Si verifica un certo spreco dovuto all’insufficiente utilizzazione, il che significa un inutile consumo di ricchezza mondiale. Per il fabbricante sussiste il problema di soddisfare tutti i desideri particolari che il compratore manifesta all’atto di cercare un determinato prodotto. La quantità di beni prodotta deve crescere continuamente perché non si deve lasciare inattiva una macchina una volta che la si è fatta partire, e un grande meccanismo produttivo messo in moto deve per forza continuare a produrre perché ciò impongono i capitali in esso investiti. Come già si intende, il problema non è l’industria in se, considerando anche l’aumento dello standard della qualità di vita, se non i criteri che la sottendono.
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Nella “Dichiarazione di Heidelberg” del 1992, scritta da un congresso di 125 intellettuali di tutto il mondo, leggiamo: “(...) la tecnologia, e l’industria, se adeguamenti gestite, sono strumenti indispensabili di un futuro a cui l’umanità stessa da forma.”.
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LA SOCIETÀ DEL CONSUMO NATI PER CONSUMARE
Esistono diversi significati e tendenze nel consumo di beni tra la nostra società capitalistica e quelle che la precedono. Gli oggetti, e il loro possesso, hanno da sempre racchiuso un forte significato per diverse culture, ognuna delle quali li ha caricati di significati diversi. Ma è solo nella società capitalistica che il consumo diventa un vero e proprio sistema integrato alla vita di tutti i giorni.Leggiamo nellibro di Sassatelli che la nostra “società dei consumi” porta ad una particolare concezione, come sostiene Max Weber, per cui la “soddisfazione” dei bisogni quotidiani avviene solo per via capitalistica. La nostra quotidianità è tipicamente organizzata come un’alternanza tara tempi del lavoro e tempi del consumo. Il consumo è una pratica centrale per la nostra società che deriva dal lavoro di diversi fattori, dalla diffusione di una mentalità borghese operosa e calcolatrice,
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dallo sviluppo industriale all’etica Protestante di cui parla Weber, fino allo sviluppo dei media e della pubblicità. La stessa dicotomia offerta/domanda, che è stata così importante nello sviluppo dell’analisi economica non sembra rendere conto dei fenomeni di consumo. Il consumo non si esprime solamente in una richiesta di beni (oggetti o servizi), ma anche e soprattutto negli usi che nella vita quotidiana riempiono di valore questi beni. Per molto tempo i sociologi hanno definito la società dei consumi come risposta culturale alla trasformazione economica che la rivoluzione industriale aveva causato. “La nostra società ha legato il suo destino a un’organizzazione fondata sull’accumulazione illimitata. Che lo vogliamo o no, siamo condannati a produrre e a consumare sempre di più.” (Latouche)
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LA MESSA IN MOTO LA PUBBLICITÀ
La pubblicità è quella che maggiormente ha rappresentato la filosofia del consumo, creando il bisogno di sbarazzarsi del vecchio per accedere al nuovo. Il vecchio, o l’usato, viene mostrato come non “al passo coi tempi” e, come accadeva nella moda dei primi ‘900, riservato ai poveri. Le esigenze della produzione industriale portano a programmare il punto di obsolescenza di ogni articolo, assicurando il perpetuarsi della produzione, qualora non avesse funzionato la moda. “Usare, consumare, gettare a ritmi sempre più sincopati, ubriacarsi di cose sempre diverse, perdersi nell’iperscelta, drogarsi di consumi per compensare tutte le possibili mancanze, vere o fittizie” (G.Viale)
In questo scenario basta produrre per vendere, cosa e di che qualità è indifferente, basta che sia nuovo. Lo storico del lavoro Harry Braverman riscontra che, il timore delle persone di sentirsi socialmente emarginate, si rivelò un potente stimolo nell’indurre ad accelerare i consumi. I messaggi pubblicitari iniziarono deliberatamente a denigrare come indice di arretratezza, l’autoproduzione che fino ad allora aveva sostenuto in modo fondamentale le economie domestiche. Negli Stati Uniti il consumo venne addirittura indicato come valore patriottico. Nacquero marketing, pubblicità, moda e marchi, e si promuoveva nelle nuove classi lavoratrici, il consumo ad oltranza di prodotti già pronti.
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Ma forse il più preoccupante degli effetti che il commercio provoca nell’industria è la sua tendenza a incentivare la produzione di merci sempre più a buon mercato. Il buon prezzo, unito ad un aspetto il più costoso possibile, è uno dei più potenti mezzi per attrarre il consumatore. Una visione del genere non è più possibile.Tutti paghiamo le conseguenze di questa corsa al consumo, sia ecologicamente che economicamente, soprattutto considerando che lo smaltimento di questi prodotti del consumo è un vero problema a livello mondiale. E si fa ancora più grave se si pensa a quanto saturo possa essere il mercato dell’usato, che però rimane circoscritto ad una determinata tipologia di clientela e che difficilmente sostituisce il nuovo. Esistono infatti una grande quantità di fenomeni nei Paesi Sviluppati come i garage sale, i mercatini, o lo scambio diretto
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su internet, che già potrebbero sostituire la produzione di massa, o almeno attenuarne significatamente gli effetti negativi. Nel suo libro Uso, Riuso e progetto, Margherita Villa scrive che nei Paesi in via di sviluppo gli oggetti vengono in continuazione reinterpretati per svolgere funzioni completamente diverse da quelle per cui sono state progettate. Ogni componente o parte di oggetti diversi può essere reinterpretata per favorire la chiusura del cerchio produzione-consumo-riuso. C’è bisogno di un grande sforzo progettuale, nonché culturale, per chiudere il cerchio. Nell’ottica consumistica, i rifiuti racchiudono in sé tutta la carica negativa di un evento imbarazzante da gestire e dal quale stare lontani. Essi si situano all’opposto della libera circolazione delle merci, rappresentando tutto ciò
che non si vuol vedere. Merci e rifiuti sono le due facce della stessa medaglia e si escludono reciprocamente: il primo è diretto all’acquisizione, il secondo all’allontanamento. Dagli anni ‘90 il tema del riuso di questi rifiuti è centrale e sono diversi i settori commerciali che si sono interessati a recuperare materiali grazie alla loro grande quantità e basso costo. Così aziende marginali o illegali (come erano ad esempio le autodemolizioni) divennero artefici di uno sviluppo alternativo e sostenibile. Oggi sono numerosi i centri di riciclaggio e sistemi meccanizzati atti a recuperare i materiali scartati, questo sia per una visibile sensibilità ambientale, sia grazie alle convenienze economiche innescate dalle ultime leggi sui rifiuti.
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Gruppo Santini Bolzano (IT) Centro rottamazione e recupero materiali
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Urban Ore Ecopark Berkeley (US) Centro di Riparazione e Riuso
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CHIUDERE IL CERCHIO IL RIUSO
Il rifiuto di cui voglio parlare non deriva dalla penuria, ma dall’ eccesso. Quell’ eccesso che diventa rifiuto e che rischia di sommergerci, se non troviamo una via creativa allo smaltimento. Il riuso in tempi poveri è frutto più dell’arte dell’arrangiarsi che di un progetto consapevole, è una possibile risposta alla mancanza, non all’ abbondanza. Dalla quantità di compiti che può ancora svolgere un oggetto, dalla quantità di materiali che possiamo trarre da esso, ne ricaviamo una moltiplicazione possibile di una sola risorsa. Più usi, più vite. Nel 1990 la conferenza chiudere il cerchio - Progetto, prodotto, ambiente, apriva le porte ad una serie di tematiche che saranno diventate poi protagonista nell’ambito della produzione. Chi già prendeva coscienza dei limiti della produzione era fortemente contrastato da altri che vedevano nel riuso una brusca
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frenata del mercato: fermarsi, smettere di produrre, di consumare, e imparare a conservare con la saggezza dei tempi poveri, quando le cose non erano troppe, ma troppo poche, era un avvertimento che suonava insensato alla fine degli anni ‘80, epoca di ogni boom. “Chiudere il cerchio significa farsi carico di quanto si disperde, che le cose materiali muoiono lasciando il loro carico di scorie e che queste potrebbero diventare nuova materia se il progetto, sinora impegnato solo nella produzione di nuovi prodotti, mediante il sistematico depauperamento delle risorse, si facesse carico del riuso cercando non solo di far nascere oggetti, ma anche di farli risorgere.”. (C.Morozzi)
La risposta non sta nella negazione del progetto e della produzione, ma nella diversa modalità: il fare deve prevedere il disfare, e il disfatto deve potersi rifare. L’industria deve trovare il suo posto in questo ciclo, non esserne vittima. In questo senso è interessante l’ iniziativa tenuta a Trento nello shop museale della mostra “Trash, quando i rifiuti diventano arte.”. i prodotti in vendita nello shop della mostra Trash è un microepisodio che testimonia una consapevolezza diffusa al problema del riuso, ma la mancanza di una strategia più generale l’imprigionò in un bizzarro, se pur interessante, sviluppo di oggettivistica sperimentale.
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Manzini tratta nel suo libro Artefatti del mutamento del rapporto fra progetto e produzione simulando il discorso tra un giovane designer e un manager industriale: “(…al giovane designer suggerisco che) è ora che alla produzione incontrollata e incontrollabile di forme senza ragione e all’aumento dell’inquinamento semiotico (e spesso anche di quello fisico) che ciò produce, possono essere contrapposti una nuova direzione del progetto, nuovi territori da investigare, nuovi orizzonti di senso da adottare e nuove prassi da sperimentare. Al manager industriale volevo invece comunicare l’urgenza che il mondo della produzione si faccia carico dei problemi culturali e ambientali che la sua attività solleva”.
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IL RIUSO IN ITALIA RIFIUTI ZERO - CASO CAPANNORI
Rifiuti Zero è una proposta di legge che prevede di riprogettare la vita ciclica delle risorse in modo tale da riutilizzare tutti i prodotti, facendo tendere la quantità di rifiuti da conferire in discarica allo zero, contrapponendosi alle pratiche che prevedono necessariamente un processo di incenerimento o discarica. Nell’industria questo processo coinvolge la creazione di attrezzature differenti da quelle utilizzate nella normale produzione capaci di rigenerare prodotti già utilizzati. Un esempio può essere il ciclo di una bottiglia di vetro per il latte. La risorsa iniziale è la sabbia silicica, la quale viene trasformata in vetro e successivamente in una bottiglia. La bottiglia viene riempita di latte e distribuita al consumatore. Al momento, i normali metodi di gestione dei rifiuti dispongono che la bottiglia venga gettata in discarica. Ma con il metodo Rifiuti Zero la bottiglia
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può essere affittata al momento dell’acquisto tramite un deposito, e viene riportata indietro dopo l’utilizzo. La bottiglia viene quindi lavata, riempita e rivenduta. L’unico materiale sprecato è l’acqua di risciacquo e l’energia utilizzata viene ridotta al minimo. Rifiuti Zero può rappresentare un’alternativa economica al sistema dei rifiuti tradizionale, dove nuove risorse vengono continuamente utilizzate per rimpiazzare le risorse finite in discarica. Può anche rappresentare un’importante alternativa per l’inquinamento visto che la discarica produce una quantità significativa di inquinamento ambientale.
-eliminare l’incenerimento dei rifiuti e strutturare un sistema di raccolta che aumenti la quantità di materiale differenziabile ed ottimizzi la qualità del materiale da riciclare, diminuendo contestualmente la quantità di rifiuti prodotti; -incentivare il riuso del materiale riciclato, la riparazione di oggetti e operare scelte di vita che diminuiscano la percentuale di scarti (es. uso di prodotti alla spina); -sostenere la progettazione e la produzione di prodotti totalmente riciclabili, riutilizzabili e riparabili.
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CENTRI DI RIPARAZIONE E RIUSO CASO CAPANNORI
La struttura, aperta nell’autunno del 2011 dal Comune di Capannori, in provincia di Lucca, e dalla Caritas in collaborazione con Ascit, in poco tempo è diventata un punto di riferimento svolgendo un punto chiave della strategia “Rifiuti Zero”. “La bisaccia” a Capannori è il primo centro di riuso in Italia, strutture destinate al riutilizzo di beni in disuso. Simili ai mercatini e negozi dell’usato, i centri di riuso e riparazione si differenziano da questi per la maggiore disponibilità di spazi e per l’ampia tipologia di articoli consegnati dai cittadini e messi di nuovo a disposizione del pubblico. Gli oggetti consegnati ai cittadini, infatti, sono quelli in buono stato che vengono “intercettati” dall’adiacente isola ecologica. Anziché diventare un rifiuto, e un costo per la collettività, sono trasformati in risorsa. Il sindaco di questo comune spiega come grazie a questa iniziativa i costi di smaltimento siano stati
abbattuti e, dando la possibilità ai meno abbienti di appropiarsi gratuitamente degli oggetti scartati recuperati, il centro di riuso è un aiuto socialmente concreto. Quasi 1700 capi di vestiario e coperte, oltre 1500 tra mobili ed elettrodomestici per un totale di 93 tonnellate. Il centro prevede inoltre dei laboratori che avvicinino il pubblico ai temi del riuso e della riparazione.
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UPCYCLING PRODOTTO E RIUSO
“Recycling? I call it downcycling. They smash bricks, they smash everything. What we need is upcycling- where old products are given more value, not less.” (Reiner Pilz) La materia è dotata di un proprio ciclo vitale che non si esaurisce con la creazione di un oggetto, ma ha la possibilità di rinascere sotto forma di cose nuove, per questo è il caso di rivedere molte delle convinzioni che hanno guidato sino a oggi il progetto e di formulare una nuova estetica che abbia a che fare con il riciclo e con il riuso, capace di fare i conti non solo con le proporzioni auree e con il bello ideale, ma anche con la spazzatura.
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DROOG DESIGN
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5.5 DESIGNERS \\ REANIMÉ
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AKRAT BOLZANO (IT) Fabbrica del riuso
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AKRAT FABBRICA DEL RIUSO
Il caso di Capannori è stato un ottimo esempio per Akrat Recycling, la Cooperativa sociale O.n.l.u.s., con sede a Bolzano, con cui ho collaborato durante il mio progetto di tesi. Uno degli obiettivi primari della neonata Cooperativa è la creazione di posti di lavoro con lo scopo di riciclare i mobili attraverso la raccolta, il ripristino, il rinnovo, il miglioramento e infine la vendita dei “nuovi” prodotti. Questa cooperativa ha a disposizione ampi spazi per la raccolta, laboratori per la lavorazione del legno, e un’area destinata allo show-room e ai workshop sulla riparazione creativa. In questo scenario la mia proposta è stata di approcciare all’usato con un’ottica di progettazione “industriale”, o meglio, seriale. Gli oggetti recuperati, in un solo mese più di 400 pezzi fra armadi, sedie, letti, sono risultati essere o in ottimo stato, ma di materiale scadente, o in pessimo stato, dei quali è recupera-
bile solo il materiale. I bei mobili antichi sono riservati a mercati diversi da quello di Akrat, e in più quello che ho potuto riscontrare è che la maggior parte di questi mobili sono stati rifiutati perché ingombranti o semplicemente “vecchi ma non troppo”, non abbastanza per il ricco mercato dell’antiquariato. I prodotti di Akrat dovranno unire le caratteristiche di serialità industriale all’uso creativo dei materiali raccolti, senza però andare a scapito di una precisa immagine aziendale. Questo sarà possibile solo con una stretta collaborazione con designer e artigiani.
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WORKSHOP TEXTILE WERKSTOFFE
Ho consciuto Akrat frequentando un workshop organizzato da due sarte, Maria Stockner e Marlen Rieder. Il compito dei patecipanti era di reinterpretare creativamente diversi vestiti e tessuti usati. Durante il workshop, durato tutto il giorno, si sono sperimentati diversi approcci al tema del riuso creativo, dal pi첫 artistico al pi첫 artigianale, dal patchwork al funzionale.
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L’ogetto che ho realizzato durante il workshop trattava la riparazione come un intervento che potesse cambiare la natura stessa dell’oggetto. Con un semplice elemento, come un telo in pvc con una zip, cambia il modo di relazionarsi al classico comodino, introducendo un gesto che traforma il rapporto con l’oggetto e con lo spazio.
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LO SPAZIO AKRAT CAFÉ
Akrat ha a disposizione grandi spazi divisi su due piani. La mia proposta è di rendere questi spazi pubblici. Da un lato c’è la necessità di creare un più diffuso interesse attorno al tema del riuso, questo grazie a workshop, conferenze, ed eventi culturali. Devono convivere informazione e partecipazione, sullo stampo dei “Repair cafes” che stanno prendendo piede in diverse capitali europee. I clienti di questi caffè possono portare i propri oggetti rotti che verranno ripararati insieme ad un team di artigiani e tecnici specializzati in diversi campi.
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Dutch Rapair cafès
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Cafè
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PIANO 0
PIANO -1
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Il piano terra sarà destinato ad attività pubbliche di vario genere. L’area espositiva ospiterà le diverse collezioni in vendita dei
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prodotti Akrat. Nell’area ricreaiva è previsto un caffè con un’area lettura all’interno e palco per esibizioni sulla terrazza.
PIANO -1
Al -1 dovranno esserci il laboratorio di falegnameria e il deposito dei mobili recuperati. Quest’area sarà adibita all’ideazione di nuovi pro-
dotti che usino il legno dei mobili scartati. L’area sarà aperta al pubblico e alla vendita diretta di mobili usati, come nel caso Capannori.
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PROCESSO PROGGETTUALE EX-NOVO
Durante la mia tesi ho sperimentato diversi approcci al tema del riuso, ognuno dei quali mi ha aiutato nella ricerca di un prodotto che rispecchiasse il desiderio di un fare “nuovo� dal riufiuto. I tre temi centrali sono stati: 1. scarto giocattolo 2. trasformare-combinare 3. modificare-tagliare 4. modulare-fare nuovo
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1. l’ idea di raccontare ai bambini, attraverso un workshop, la seconda vita di alcuni scarti di lavorazione provenienti da un cantiere e portati a scuola.
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2. combinare diverse gambe di sedie e tavoli usati, immergendole in uno stampo con alluminio fuso o creare giunture in garza gessata.
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3. intervenire sui mobili togliendo parti e non aggiungendone, rompere anzichè riparare.
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4. Il modulo rappresenta un tentativo di eliminare il problema dello scarto alla radice. L’adattabilità a diversi tipi di spazio e la multifunzionalità sono la forza di questo prodotto.
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PRODOTTO NOVO
Presentare un prodotto ad una cooperativa come Akrat significa pensare a tutto il processo di produzione. É tutto importante, dai costi alla realizzazione, dall’ immagine coordinata alla pubblicità. Io ho proposto una libreria modulare facilmente realizzabile, con poche attrezzature e con una preparazione base del personale. La libreria “Novo” composta di moduli trapezoidali, che funzionano sulla sola inclinazione di un lato, è una risposta al motivo per cui la maggior parte dei mobili vengono buttati, la poca adattabilità e flessibità rispetto agli spazi. Ogni modulo ha misure diverse, ma stesse proporzioni e stessa inclinazione del lato più lungo. Questo deriva dall’uso di superfici di mobili di diverse grandezze e materiali da cui si possono realizzare più o meno moduli, creando una sorta di patchwork di legni e colori diversi, un tratto estetico che rende quest’oggetto
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sempre unico, che cambia a seconda delle diverse combinazioni.
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1. I mobil recuperati sono spesso composti di materiali di bassa qualitĂ che richiederebbero molto lavoro per essere aggiustati, senza per questo aquisire piĂš valore.
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2. Le parti dei mobili vengono separate e riusate per “rifare� diversi oggetti. Saranno diversi i prodotti sviluppati a seconda delle diversi componenti da recuperare.
3. Il piano viene tagliato seguendo uno schema proporzionale ed un taglio di 50° adattabile ogni volta alle divers superfici. Un lato è più lungo del suo opposto di 1/3.
4. Il sistema modulare della libreria si basa sull’angolatura del lato più lungo. Gli oggetti saranno poi rifiniti con una bordatura bianca per omogeneizzare il tutto.
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CONCLUSIONE AKRAT E IL RIUSO
Per Akrat è fondamentale che i prodotti che verranno realizzati seguano il “rifare nuovo”. Tutti i mobili, quelli che necessitano di un intervento, verrano disfatti e utilizzati come materiale. Gli stessi componenti dei mobili (come cassetti o gambe di sedie) dovranno essere reinterpretati per diventare qualcosa di nuovo. L’oggetto che ho presentato è un esempio di quest’atteggiamento che fa perdere le traccie dell’og-
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getto passato ma conservando i tratti caratteristici del riuso, come ad esempio il patchwork di materiali. Akrat dovrà proporre prodotti che trattino il tema del riuso in modo sempre originale e diverso, questo grazie alla stretta collaborazione con artigiani e designers. Il costo dei materiali, pari al costo di trasporto, è ciò che permetterà ad Akrat di approcciare più liberamente ai proggetti, e a mantenere il prezzo finale dei
suoi oggetti sempre contenuto. Il miglior modo per attirare un pubblico è infatti incuriosire con un approccio particolare ad un tema già molto vicino come il riuso, ed il buon prezzo. Questa combinazione unita alle attività pubbliche e ad educative permetteranno a questa cooperativa di diventare una vera e propria fabbrica del riuso, capace di creare lavoro dall’attività di recuper e riuso di oggetti destinati alla dis-
carica..Il modo migliore per educare alla sostenibilità è capire che quest’atteggiamento può tradursi in un economia alternativa che dispone di risorse illimitate e ad ottimo prezzo, i rifiuti. Una volta che una serie di esempi come Akrat verranno alla luce, allora un sistema più consapevole del riuso potrà sensibilmente cambiare l’atteggiamento di diverse aziende rispetto ai rifiuti e al loro riuso creativo.
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BIBLIOGRAFIA
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Villa Margherita 2007 Uso, riuso e progetto - Franco Angeli Vergine Lea 2006 Trash, quando i rifiuti diventano arte - Skira edizioni Walker Stuart 2008 Sustainable by design - Earthscan Thornton Kay Thinking about a green future - Salvo, Maggio 1994 Autori Vari Legge rifiuti zero, per una società sostenibile - Disegno di legge d’iniziativa popolare, Marzo 2013 Mimmo Giuseppe Repair caffè, contro la cultura dell’usa e getta - Labsus, Maggio 2012
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SITOGRAFIA
www.manamana.it www.marraiafura.com www.newfrn.newcmr.com www.ftp.adi-design.org www.modusriciclandi.info www.ivl.se.com www.urbanore.com www.occhiodelriciclone.com www.irenemilia.it www.dornob.com www.55designers.com www.resign.com www.droogdesign.com
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