L’IDEALE DELLA CITTA’ IDEALE Joseph di Pasquale
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in dal suo archetipo fondativo, la Gerusalemme Celeste, tutte le epoche passate nella cultura Occidentale hanno prodotto una propria versione della città ideale come espressione della tensione verso la costruzione di un mondo e di una città migliori stabilendo un parallelo tra estetica urbana e perfezione sociale. E che dire della nostra epoca? Quali sono i nostri ideali? Qual è la nostra visione ideale della città e della società? Riflettendo su questo tema mi chiedevo se sia l’architettura l’ambito nel quale bisogna cercare la narrazione della “città ideale” dei nostri tempi. La risposta è stata negativa ed è probabilmente questa la principale differenza rispetto al passato: il racconto della città del futuro (e quindi della società del futuro) ha cambiato narratore: non sono più gli architetti o gli urbanisti che raccontano e lanciano visioni sul mondo di domani. Il loro posto è stato preso dai profeti delle nuove tecnologie, di internet, del mondo digitale. Nella nostra società liquida che, come diceva il dottor Emmett Brown nel film Ritorno al Futuro, ha “grossi problemi con la forza di gravità” (da qui
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evidentemente la nostra ossessione per la “sostenibilità”), l’immagine del futuro non può venire da ciò che è pesante, dalla pietra, da ciò che è stabile e che tende all’eternità. E’ invece dalla “leggerezza”, cioè dall’immateriale, dal temporaneo, da ciò che appare non impegnativo e sempre reversibile, dal digitale insomma che arriva la promessa del futuro. Sono quindi i giganti senza peso del virtuale che ci raccontano come vivremo domani, che stanno cambiando anche “pesantemente” i nostri comportamenti, secondo un processo di creazione del consenso che non è più didattico educativo ma sottilmente induttivo. Ma se in nostri comportamenti sono in una fase di profonda trasformazione, le sembianze della città non sono però cambiati in modo corrispondente, e nemmeno è ancora emersa un’immagine sintetica della città corrispondente a questo nuovo racconto della società futura. Tutte le app che il mondo digitale potrà produrre non riusciranno mai a dare sostanza visibile e simbolica a questa speranza di una città rinnovata, tecnologica, sicura, comoda, bella, in armonia con l’ambiente, che faciliti lo stabilirsi
di relazioni umane ricche ed edificanti, ben governata, dove tutti possano prosperare e perseguire la propria felicità è in fondo il grande racconto della nostra civiltà Occidentale globalizzata. L’unica tecnologia che può soddisfare questa speranza profondamente umana è l’architettura. Ma per tornare ad avere autorevolezza nei confronti delle altre nuove tecnologie contemporanee deve rinnovarsi a sua volta affrontando la città in modo nuovo. Da molti anni l’unica novità in urbanistica è una novità in negativo ed è la critica all’urbanistica razionalista e alla sua interpretazione funzionalista della città: lo zooning. Quelli che erano ai tempi i simboli della modernità, la divisione funzionale dei quartieri, le grandi strade urbane che li collegavano, l’edilizia e gli spazi aperti si sono trasformati negli incubi della nostra contemporaneità: il traffico, lo smog, lo squallore delle periferie senza identità, i centri storici disabitati. Ma a questa critica non corrisponde la capacità di andare oltre e di elaborare una visione originale della città del futuro. La risposta critica al razionalismo non può certo essere un ritorno sic et simpliciter
all’urbanistica ottocentesca, al disegno dei tracciati viari e alla costruzione delle cortine edilizie. Mi sento in questo senso intellettualmente obbligato a difendere la tradizione moderna in urbanistica, proprio in quella che fu la sua aspirazione originaria di pianificare in modo unitario la città. E’ da qui che occorre riprendere il discorso, consapevoli degli errori fatti in termini di specializzazione funzionale e di negazione del linguaggio urbano, ma recuperando assolutamente l’idea di un organismo urbano progettato in modo unitario superando il limite del singolo edificio, magari in modo graduale: un intero isolato, un intero quartiere, un’intera città. Oggi abbiamo gli strumenti culturali e soprattutto le tecnologie per progettare la città come un singolo organismo. Non solo è possibile ma è anche auspicabile in termini di sostenibilità. In natura, l’aggregazione di organismi viventi in organismi unitari sempre più grandi e complessi è stata la strada maestra dell’evoluzione a causa della sua “convenienza biologica”, vale a dire della minore dispersione di risorse e delle conseguenti maggiori probabilità di successo. Allo