Kaire 30 anno II

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 2 | numero 30 | 25 luglio 2015 | E 1,00

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VITA DIOCESANA Il Vescovo di Ischia Pietro Lagnese ha promulgato lo statuto del Consiglio Pastorale Diocesano. Che cos’è e a cosa serve? Quali le novità per la Chiesa di Ischia?

La grazia di Sant’Anna…

Lo statuto del consiglio pastorale diocesano Di Pasquale Trani *

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iovedì 16 luglio, il Vescovo di Ischia, p. Pietro Lagnese, non a caso nella memoria della Madonna del Carmine, ha ufficialmente approvato e promulgato lo Statuto del Consiglio Pastorale Diocesano. E’ uno degli atti di governo più importanti che finora abbia posto in essere il nostro Vescovo, essendo il Consiglio Pastorale il massimo organismo ecclesiale di partecipazione alla vita della Comunità Diocesana. Esso è frutto di un confronto che dalla primavera scorsa ha visto coinvolti in modo particolare i membri del Consiglio Presbiterale Diocesano, i sacerdoti nei decanati e tanti altri soggetti ecclesiali che in modo diretto o indiretto hanno dato i loro contributi. A circa due anni dall’ingresso in Diocesi di padre Pietro, era ormai maturato a suo giudizio il tempo per mettere mano ad una nuova formulazione del Consiglio Pastorale Diocesano (di seguito cpd), organismo fondamentale “per il raccordo di tutta la pastorale della Diocesi e strumento propulsore della nuova evangelizzazione, a servizio del Vescovo e di tutta la Comunità Diocesana”.

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Il comune di Ischia ha di nuovo il suo sindaco. Giosi Ferrandino e Silvano Arcamone sono liberi Come si devono mettere le didascadagli arresti domiciliari e possono quindi ricoprire lie a pag 6 e 7? gli incarichi sospesi. Il 22 settembre comincerà il processo a carico degli imputati.

CASO DE LUCA Il governatore della Campania potrà esercitare tutte le sue funzioni di presidente della Regione.

FORMAZIONE SACERDOTALE Tre giorni di studio in Episcopio sul sacramento della Cresima con il Prof. Don Luciano Meddi.

COMUNE DI ISCHIA Dal 1° agosto cambieranno le tariffe per le strisce blu. Ecco le novità e i rincari in arrivo.

ENERGIA GREEN Come possiamo sfruttare le onde del nostro mare per produrre energia? Ci pensa l’Enea.


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Lo statuto del consiglio pastorale diocesano Continua da pag. 1 L’anima del cpd, descritta dallo statuto in termini essenziali e a volte giuridici, è racchiusa nei primi due articoli dove si parla di “espressione e segno di unità di tutto il popolo di Dio”. Sono parole fondamentali per la vita diocesana. Nella sezione che mette a fuoco le finalità (articoli dal 14 al 19), si dice che il cpd dovrà considerarsi come una “palestra del discernimento comunitario”, che ha il compito di “studiare, promuovere, sostenere, stimolare e coordinare armonicamente l’attività pastorale e di nuova evangelizzazione della Comunità Diocesana”. Quindi il suo ruolo è quello di coordinamento di tutta la pastorale, dove gli uffici diocesani, i decanati, le aggregazioni laicali, le parrocchie si mettono insieme con spirito di comunione, per il bene della Chiesa. Due sono gli obiettivi fondamentali del cpd. Il primo è fornire al Vescovo un’analisi nella fase di studio e progettazione della situazione della pastorale diocesana. Quindi elaborare proposte, soluzioni, iniziative per il bene del popolo di Dio. Il secondo è orientare decisamente la pastorale verso la nuova evangelizzazione superando una “pastorale della conservazione”, una pastorale tradizionale piuttosto legata alla “gestione dei sacramenti”, che assorbe tante energie spirituali e pastorali di cui spesso non vediamo i frutti. Dunque vorremmo studiare e proporre nuove forme più adatte di proposte evangeliche per il nostro contesto ecclesiale e sociale senza dimenticare le tante persone che visitano ogni anno la nostra isola. Inoltre, una bella novità che ha voluto proprio il Vescovo Pietro, soprattutto dopo il cammino diocesano sulla famiglia dello scorso

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inverno (in vista del sinodo dei vescovi di ottobre sulla famiglia), è che i rappresentanti parrocchiali potranno essere una coppia di coniugi oltre che un laico singolo. Che una parrocchia possa scegliere una coppia di coniugi è una novità assoluta! Uno degli articoli più belli è il 17 dove si mettono a fuoco le finalità specifiche: “la promozione della vita come vocazione all’amore cristiano e donazione totalitaria di sé; la visione cristiana del matrimonio, della famiglia e della vita umana; le sfide poste dall’educazione delle nuove generazioni; i problemi pubblici, sociali e culturali (ad es. la cura dell’ambiente, la cultura

Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia Codice fiscale e P.Iva: 04243591213 Rea CCIAA 680555 - Prefettura di Napoli nr.11219 del 05/03/2003 Albo Nazionale Società Cooperative Nr.A715936 del 24/03/05 Sezione Cooperative a Mutualità Prevalente Categoria Cooperative Sociali Tel. 0813334228 Fax 081981342 info@kairosonline.it pec: posta.kairos@pec.it Registrazione al Tribunale di Napoli con il n. 8 del 07/02/ 2014

della legalità, un turismo dal volto umano e accogliente), la cui trattazione e soluzione appaiono necessarie per la vita della Chiesa locale che vuol porsi in dialogo con tutti”. Abbiamo cercato, con grande ascolto reciproco, di enucleare il “dna” spirituale che dovremmo avere come cristiani ischitani. Un’ultima parola, ma non per importanza, sulla funzione dei laici all’interno del Cpd. Questo organismo è infatti eminentemente composto da laici, chiamati a dare alla nostra Chiesa locale una visione più aderente alla realtà del mondo. Era già presente il Consiglio Presbiterale che dà al Vescovo una visione che viene più dal mon-

Direttore responsabile: Dott. Lorenzo Russo direttorekaire@chiesaischia.it @russolorenzo Direttore Ufficio Diocesano di Ischia per le Comunicazioni Sociali: Don Carlo Candido direttoreucs@chiesaischia.it Progettazione e impaginazione: Gaetano Patalano per Cooperativa Sociale Kairos Onlus

do sacerdotale, ma mancava una visione laica della società e della Chiesa. Quindi spazio ai laici, e alle donne in particolare, e al giusto e fondamentale spazio di azione all’interno della nostra Chiesa! Subito dopo l’estate, con il nuovo anno pastorale, inizieranno i lavori del Consiglio. Ora ci stiamo attrezzando anche come Curia per dare agli uffici (pastorale familiare, pastorale giovanile, catechesi, pastorale sociale, caritas…), più direttamente legati agli ambiti specifici della pastorale, una visione unitaria e coordinata delle iniziative del prossimo anno pastorale. Don Pasquale Trani *delegato vescovile per la pastorale

Redazione: Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia kaire@chiesaischia.it | @chiesaischia facebook.com/chiesaischia @lagnesepietro Tipografia: Centro Offset Meridionale srl Via Nuova Poggioreale nr.7 - 80100 Napoli (NA) Per inserzioni promozionali e contributi: Tel. 0813334228 Fax 081981342 oppure per e-mail: info@kairosonline.it

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Diocesi di Ischia / STATUTO del Consiglio Pastorale Diocesano Costituzione, natura e sede Art. 1 La Chiesa di Ischia, a norma del Concilio Vaticano II (CD 27), del Codice di Diritto Canonico (cann. 511 - 514), e del Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi, Apostolorum Successores (184), secondo lo spirito della sinodalità permanente, ha il suo Consiglio Pastorale Diocesano1. Esso è espressione e segno dell’unità di tutto il Popolo di Dio - clero, religiosi e “soprattutto laici” (CJC can. 512 § 1) - con il proprio Vescovo e strumento della comunione che “incarna e manifesta l’essenza stessa del mistero della Chiesa” (NMI 42), nella diversità dei carismi e dei ministeri (cfr. LG 1), “affinché il mondo creda” (Gv 17, 21). Art. 2 Il CPD è un organo di servizio, consultivo e propositivo, che rappresenta “la principale forma di collaborazione e di dialogo, come pure di discernimento, a livello diocesano” (CL 25); esso approfondisce, promuove e coordina, in spirito di corresponsabilità, l’azione pastorale ordinaria e di nuova evangelizzazione nell’ambito del territorio diocesano, favorendo il collegamento e la cooperazione fra il Vescovo, il Consiglio Presbiterale, i Consigli Pastorali Parrocchiali, gli eventuali Consigli Pastorali Decanali, la Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali, gli Uffici Pastorali Diocesani e gli altri organismi di comunione.

Art. 3 La sede propria del CPD è l’episcopio diocesano, in via Seminario 26, Ischia (NA). In determinate occasioni si possono stabilire sedute fuori sede. Art. 4 Il CPD è regolamentato dal presente Statuto e dall’eventuale Regolamento, entrambi approvati dal Vescovo. Le doti umane, morali ed ecclesiali dei componenti Art. 5 Possono far parte del CPD chierici, membri di istituti di vita consacrata e laici che siano in piena comunione con la Chiesa Cattolica e quindi con il Vescovo, “principio visibile e fondamento dell’unità della Chiesa particolare” (LG 23), e “che si distinguono per fede sincera, buoni costumi e prudenza” (CJC, can. 512 § 3), quindi idonei ad accettare l’incarico e a svolgerlo convenientemente. Tutti i membri abbiano completato il cammino di iniziazione cristiana e raggiunto la maggiore età. Art. 6 Ogni membro sia espressione di appartenenza viva ad una comunità ecclesiale e coerentemente impegnato, secondo il proprio stato di vita, a seguire con gioia i valori espressi dal Vangelo per stile di vita cristiana, preghiera, fede, speranza, carità, attenzione speciale ai piccoli e ai poveri. Ogni singolo Consigliere abbia attitudine all’ascolto, al servizio, al dialogo costruttivo

e alla comunione d’intenti; si impegni a costruire relazioni che favoriscano un clima di amicizia e condivisione evangelica fra tutti i membri, secondo il modello della primitiva comunità cristiana (cfr. At 2, 42-47). Art. 7 La partecipazione al CPD sia vissuta dai membri con autentico spirito di servizio reso in modo gratuito, generoso e appassionato a tutta la Comunità Diocesana, ponendo sopra ogni cosa la carità, “che è vincolo della perfezione” (Col 3, 14). Ogni membro Consigliere è chiamato a costruire, all’interno del CPD, un “clima” all’insegna della “gioia del Vangelo che riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù” (EG 1). La composizione Art. 8 Il CPD è composto da tutti i battezzati, rappresentanti del popolo di Dio, in particolare da laici, tenendo conto dei diversi stati di vita, delle diverse vocazioni e ministeri, delle condizioni sociali, dell’ età e delle zone pastorali della Diocesi (cfr. CJC, can. 512). Art. 9 Il CPD è composto da membri di diritto, membri eletti e membri nominati dal Vescovo. a) Sono membri di diritto “durante munere”: - il Vicario Generale; - il Delegato vescovile per la pastorale, che è Moderatore;


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- il Segretario del Consiglio Presbiterale; - i quattro Decani; - il Delegato diocesano per la Vita Religiosa; - la Delegata U.S.M.I. diocesana; - il Coordinatore della Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali. b) Sono membri eletti: - dodici rappresentanti degli Uffici Pastorali diocesani (fra cui la coppia di coniugi corresponsabili dell’Ufficio di Pastorale Familiare e Vita e due giovani)2; - tre Laici, rappresentanti della Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali; - il rappresentante delle Confraternite presso la stessa Consulta dei Laici; - un Laico o una Coppia di coniugi rappresentanti le Comunità Parrocchiali3. c) Sono membri nominati dal Vescovo: - un rappresentante dei Diaconi; - una Coppia di coniugi per ogni Decanato4; - membri nominati “ex sua sponte” dal Vescovo, fino a un numero massimo di cinque. Art. 10 I Consiglieri elettivi sono eleggibili solo per due mandati consecutivi. Art. 11 I singoli Consiglieri decadono dall’incarico: a) per dimissioni presentate per iscritto al Vescovo al quale spetta decidere se accettarle o respingerle; b) per termine del mandato nelle rispettive realtà ecclesiali, nel caso di membri eletti; c) per cessazione dell’incarico, nel caso di membri di diritto “durante munere”; d) per trasferimento ad altra Diocesi, nel caso di religiosi o religiose; e) per assenza dalle sessioni dell’ Assemblea o delle Commissioni di cui eventualmente si fa parte - senza giustificato motivo segnalato in anticipo - per tre sedute consecutive in un anno; f) per manifesta incongruenza ai requisiti degli articoli 5-7; g) per altre cause previste dal Codice di Diritto Canonico. Art. 12 I Consiglieri decaduti vengono sostituiti secondo l’ambito di rappresentanza. I Consiglieri subentrati ad altri nel corso del quinquennio decadono al termine della scadenza prefissata del CPD. Art. 13 I membri del CPD hanno il dovere di intervenire personalmente tutte le volte che il Vescovo li convoca; essi non possono farsi rappresentare. Le finalità Art. 14 Il CPD è un organismo di comunione che si pone come “palestra” del discernimento comunitario a servizio del Vescovo, che ha il compito di studiare, promuovere, sostenere, stimolare e coordinare armonicamente l’attività pastorale e di nuova evangelizzazione della Comunità Diocesana, tenendo conto delle realtà pastorali presenti e delle risorse umane e spirituali a disposizione. Esso da un lato accoglie le indicazioni pastorali del Vescovo e dall’altro gli offre nuovi spunti e approfondimenti per una “lettura” del territorio che sia attenta alle sue reali esigenze in ordine all’annuncio del vangelo e alla formazione fino alla “piena maturazione della vita cristiana” (cfr. Ef 4, 13).

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Art. 15 Raccorda e determina la propria attività in sintonia con gli altri Organismi di Comunione presenti a livello diocesano e locale, quali il Consiglio Presbiterale, la Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali, i vari Uffici Pastorali diocesani. A tale proposito il Vescovo può convocare in seduta congiunta il CPD e i suddetti Organismi, in special modo il Consiglio Presbiterale, sottoponendo loro un unico ordine del giorno, al fine di concordare, nel rispetto delle caratteristiche e dell’autonomia proprie, una trattazione coordinata degli argomenti di interesse comune. Art. 16 Studia la realtà e le esigenze pastorali connesse al territorio, proponendo scelte prioritarie e indicazioni pastorali diocesane in relazione al contesto culturale, religioso e sociale e presenta al Vescovo le questioni di maggiore im-

portanza e quelle situazioni che, pur emergendo localmente, possono essere di rilievo generale, suggerendo metodi e strumenti per affrontarle. Art. 17 Ha a cuore in modo particolare: la promozione della vita come vocazione all’amore cristiano e donazione totalitaria di sé; la visione cristiana del matrimonio, della famiglia e della vita umana; le sfide poste dall’educazione delle nuove generazioni; i problemi pubblici, sociali e culturali (ad es. la cura dell’ambiente, la cultura della legalità, un turismo dal volto umano e accogliente), la cui trattazione e soluzione appaiono necessarie per la vita della Chiesa locale che vuol porsi in dialogo con tutta la Comunità civile e altre tradizioni e Confessioni religiose. Art. 18 Si adopera affinché in esso possano trovare risonanza ed integrazione tutte quelle voci presenti nel Popolo di Dio ed in special modo le istanze dei poveri e di quanti non hanno voce. Art. 19 Promuove quelle attività pastorali necessarie per sostenere le Parrocchie e i Decanati, nei settori in cui è necessaria oppure opportuna un’azione comune, in particolare nell’ambito formativo e caritativo (per es. formazione catechisti, animatori giovanili, corsi per fidanzati e famiglie, iniziative sociali, caritative e di evangelizzazione). Il funzionamento Art. 20 L’Assemblea Plenaria del CPD è presieduta unicamente dal Vescovo (CJC, can. 514 § 1) o da un suo Delegato e si riunisce in sessione ordinaria almeno cinque volte nell’anno pastorale. Art. 21 Può essere convocata in seduta straordinaria quando il Vescovo lo ritenga opportuno oppure quando lo richieda un terzo dei consiglieri (cfr. CJC, can. 514). Art. 22 Per la validità di una seduta dell’ Assemblea del CPD è necessaria la presenza della

maggioranza assoluta (la metà più uno) dei Consiglieri. Il CPD delibera con la maggioranza assoluta dei presenti. Il CPD ha voto unicamente consultivo, benché quanto viene approvato - soprattutto se con maggioranza qualificata o all’unanimità - debba esser tenuto in gran conto. Durata Art. 23 Il CPD è un organismo permanente ed ha la durata di tre anni. Allo scadere del mandato il Moderatore, coadiuvato dal Segretario, dispone l’avvio delle procedure per il rinnovo del CPD, secondo quanto stabilito dal Regolamento, e tenendo conto delle indicazioni del Vescovo. Fino all’inizio del mandato del nuovo CPD resta in carica il precedente. Art. 24 Il CPD può essere sciolto, con opportune motivazioni, in qualsiasi momento dal Vescovo, sentito il Vicario Generale, il Consiglio di Presidenza e il Consiglio Presbiterale. Quando la sede diocesana è vacante, il CPD cessa (cfr. CJC, can. 513 § 2). Organi e Funzioni Art. 25 Gli organi del CPD sono: - il Presidente, che è il Vescovo (CJC, can. 514 § 1); - il Sacerdote Moderatore; - il Consiglio di Presidenza; - il Segretario; - l’Assemblea Plenaria; - le eventuali Commissioni. Art. 26 Il Presidente: a) nomina il Moderatore ed altri membri del CPD (cfr. art. 9); b) indica gli orientamenti pastorali della diocesi a cui attenersi per i lavori del CPD; c) convoca e presiede personalmente o tramite un suo delegato ogni riunione dell’Assemblea Plenaria e del Consiglio di Presidenza; indica - sentito il Consiglio di Presidenza - l’ordine del giorno di ogni seduta dell’Assemblea Plenaria; d) può sciogliere il CPD in ogni momento, con opportune motivazioni (cfr. art. 24). Art. 27 Il Moderatore: a) è nominato dal Vescovo e, a suo nome, è il responsabile del CPD; b) svolge il suo mandato in quanto delegato vescovile per la pastorale diocesana; c) guida e coordina personalmente o tramite suoi delegati tutte le attività del CPD facendosi interprete dei desiderata del Vescovo in ordine alla vita pastorale della diocesi, nonché delle istanze che maturano in seno al CPD; - modera le riunioni dell’Assemblea Plenaria e del Consiglio di Presidenza; d) è particolarmente attento a favorire uno stile ecclesiale, comunionale e familiare all’interno di ogni singola riunione di ogni ambito del CPD e che sempre sia rispettato l’ascolto di ogni membro; e) cura e promuove, insieme al Consiglio di Presidenza e ad ogni singolo membro del CPD, rapporti di collaborazione e condivisione d’intenti con tutte le altre realtà pastorali presenti in diocesi, facendo sì che si dia attuazione delle


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indicazioni approvate dal CPD e ratificate dal Vescovo; f) in caso di sua assenza il Moderatore, previa autorizzazione del Vescovo, delega le sue funzioni ad un altro membro del Consiglio di Presidenza. Art. 28 Il Consiglio di Presidenza: a) è costituito da: Vescovo, Vicario Generale, Moderatore, Segretario del CPD, Segretario del Consiglio Presbiterale Diocesano, un Membro della Consulta delle Aggregazioni Laicali, una Coppia di coniugi, quattro Membri laici5; b) è l’organo incaricato di verificare il regolare funzionamento del CPD, di dare impulso ai lavori e di coordinarne tutta l’attività; c) è presieduto dal Vescovo o dal Vicario Generale ed è diretto dal Moderatore; d) è convocato dal Moderatore - sentito il Vescovo - in preparazione alle sessioni dell’Assemblea Plenaria ed ogni qualvolta sia necessario; e) valuta, in ascolto delle indicazioni del Vescovo e di quanto emerso dai lavori dell’Assemblea Plenaria e delle eventuali Commissioni, le questioni pastorali preminenti e predispone il conseguente Ordine del Giorno delle sedute dell’Assemblea Plenaria, istruendo opportunamente i punti in oggetto alla discussione; f) coadiuva il Segretario nel preparare e assistere alle riunioni dell’Assemblea Plenaria; g) propone - sentita l’Assemblea Plenaria - l’eventuale istituzione di Commissioni di studio, dandone attuazione e coordinandone l’attività; h) valuta le eventuali spese legate alle iniziative del CPD, avvalendosi della collaborazione dell’Economo Diocesano. Art. 29 Il Segretario: a) è un laico, membro del CPD, nominato dal Vescovo tra tutti i membri del CPD nella prima riunione dell’Assemblea Plenaria ed entra a far parte di diritto nel Consiglio di Presidenza; b) agisce in stretta collaborazione col Moderatore ed il Consiglio di Presidenza per tutte le attività organizzative necessarie al regolare funzionamento del CPD; c) tiene l’elenco dei Consiglieri, provvedendo agli adempimenti necessari per le sostituzioni nel corso del mandato del CPD secondo quanto stabilisce il Regolamento; d) tiene il registro delle presenze e segnala le assenze all’Ufficio di Presidenza; e) cura la redazione e l’invio (di norma almeno quindici giorni prima della sessione) dell’avviso di convocazione con l’ordine del giorno ed eventuali documenti allegati; f) redige i verbali delle sessioni e conserva tutta la documentazione in un apposito archivio; g) stila e dirama i comunicati d’informazione e aggiornamento, previo mandato del Moderatore.

Art. 30 L’Assemblea Plenaria: a) è composta secondo quanto stabilito dall’art. 9. Le sue funzioni - come quelle di tutto il CPD - sono descritte dagli articoli 14-19. Le modalità di funzionamento sono regolate dagli articoli 20-22 e dall’eventuale Regolamento. Art. 31 Le Commissioni: a) sono costituite dal Vescovo su proposta del Consiglio di Presidenza o dell’Assemblea Plenaria per la verifica e lo studio preliminari di alcuni settori pastorali o per specifici problemi suscitati da nuove “sfide” pastorali, in vista della preparazione delle sessioni dell’Assemblea; b) possono essere temporanee o permanenti; c) ne fanno parte, di regola, oltre ad alcuni membri del CPD, anche persone ritenute esperte, che non sono membri del CPD6. d) Ciascun membro del CPD può assistere ai lavori di qualsiasi Commissione, pur non facendone parte, ma senza diritto di voto. I membri di diritto del CPD, in forza del loro ufficio, possono partecipare alle sedute di qualsiasi Commissione, con diritto di voto. e) Il Coordinatore di ciascuna Commissione, scelto e nominato dal Consiglio di Presidenza, fra tutti i Consiglieri del CPD, su richiesta o invito del Consiglio di Presidenza, può partecipare alle riunioni di quell’organismo, quando è posta all’ordine del giorno una questione inerente al settore di competenza della Commissione stessa. f) Il Coordinatore può avvalersi di un suo segretario, scelto fra i membri della Commissione e può distribuire altri incarichi per il suo regolare, snello e proficuo funzionamento. g) Sarà in ogni caso sua responsabilità: provvedere agli avvisi di convocazione degli incontri con eventuali documenti allegati; tenere il registro delle presenze-assenze7; redigere il verbale degli incontri e comunicarlo al Consiglio di Presidenza; provvedere, al termine del mandato della Commissione, all’invio di tutta la documentazione al Segretario del CPD per l’archiviazione. h) Ogni Commissione avrà premura di approfondire, con l’eventuale ausilio delle scienze umane, le materie in oggetto al fine di analizzare in modo più scientifico le situazioni allo studio ed abbozzare/elaborare delle proposte operative da sottoporre al CPD. i) Nello svolgimento della propria attività le Commissioni devono curare l’opportuna collaborazione con le realtà presenti nella Chiesa locale e nella società civile che sono impegnate nel settore proprio della Commissione.

Di seguito lo si indicherà con l’abbreviazione CPD. I membri rappresentanti degli Uffici Diocesani saranno indicati dal Delegato Vescovile per la Pastorale, sentiti i Responsabili degli Uffici stessi. 3 I laici rappresentanti delle parrocchie – singoli o coppia di coniugi – sono eletti dai consigli pastorali parrocchiali. Ove non vi fosse regolarmente costituito il Consiglio Pastorale Parrocchiale, sono designati direttamente dal Parroco, dopo aver ascoltato i più stretti collaboratori e tenendo conto dei requisiti previsti dal presente Statuto (articoli 5-7). Essendo questo Statuto dato ad experimentum in un limite di tempo determinato, quando si procederà alla nuova stesura e costituzione del nuovo CPD, si dovrà prevedere la costituzione in tutte le parrocchie dei relativi Consigli Pastorali che saranno chiamati a eleggere i propri rappresentanti nel CPD. 4 I coniugi rappresentanti dei quattro decanati saranno indicati dal

Responsabile dell’Ufficio Diocesano di Pastorale Familiare, sentiti i Decani.5 Il Vescovo sceglie, a completamento della composizione del CPD, altri membri di sua nomina, tra quei fedeli della Diocesi che a suo prudente giudizio - possano dare un contributo significativo e che spiccano per qualità umane e morali, per sensibilità spirituale, per impegno ecclesiale. 5 Sono eletti dall’Assemblea Plenaria nella prima riunione d’insediamento; due di essi svolgeranno la funzione di vice-segretari. 6 I criteri di scelta e partecipazione dei membri del CPD e degli esperti alle commissioni saranno stabiliti dall’eventuale Regolamento. 7 Si è tenuti alla presenza - attiva e partecipe - anche alle riunioni delle eventuali commissioni di cui si farà parte. L’assenza ingiustificata e non segnalata al Coordinatore o al segretario di commissione a tre riunioni consecutive della commissione fa decadere da membro del CPD.

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Verbale e Comunicazioni Art. 32 Di ogni riunione dell’ Assemblea del CPD viene redatto dal Segretario il resoconto

verbale, che viene letto e approvato nella riunione successiva. Art. 33 Il Moderatore, tranne quando espressamente ritenuto inopportuno dal Vescovo, porterà ordinariamente a conoscenza dei lavori del CPD il Consiglio Presbiterale Diocesano, la Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali, gli Uffici Pastorali Diocesani e i Consigli Pastorali Parrocchiali e/o Decanali, nonché l’ Ufficio di Comunicazioni Sociali, in modo da favorire l’informazione, la comunicazione ed il coordinamento fra tali organismi ecclesiali. Indicazioni finali Art. 34 Il presente Statuto è dato “ad experimentum” per un triennio ed entra in vigore a partire dalla data del decreto vescovile di costituzione del nuovo Consiglio. Art. 35 Le norme del presente Statuto possono essere modificate dal Vescovo di propria iniziativa o su richiesta di almeno due terzi dei Consiglieri. Art. 36 L’eventuale Regolamento utile a definire ulteriormente la metodologia del lavoro del CPD e delle Commissioni, compatibile con queste norme statutarie, deve essere approvato dal Consiglio stesso a maggioranza dei due terzi, con ratifica del Vescovo. Art. 37 Per quanto non previsto dal presente Statuto si applicano le norme generali del Codice di Diritto Canonico e le disposizioni diocesane. Ischia, dalla Sede Vescovile, addì 16 luglio 2015 Memoria della B. V. Maria del Monte Carmelo + Pietro Lagnese, Vescovo don Gaetano Pugliese Cancelliere Vescovile ABBREVIAZIONI CD: CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto sulla Missione dei Vescovi nella Chiesa, CRISTUS DOMINUS, 28/10/1965. CJC: Codice di Diritto Canonico, promulgato nell’anno 1983. CL: Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica CHRISTIFIDELES LAICI, sulla Vocazione e Missione dei Laici nella Chiesa e nel Mondo, 30/12/1988. CPD: Consiglio Pastorale Diocesano. EG: Francesco, Esortazione Apostolica EVANGELII GAUDIUM, sull’ Annuncio del Vangelo nel Mondo attuale, 24/11/2013. LG: CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, LUMEN GENTIUM, 21/11/1964. NMI: Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica NOVO MILLENNIO INEUNTE, al termine del grande Giubileo dell’ Anno Duemila, 6/1/2001.


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Sarà una buona scuola? Continua dal numero precedente

Di Domenico Castagna

U

n bravo insegnante poi è quello che cerca di aiutare gli allievi a comprendere che studiare una materia significa trovare in essa gli strumenti per arricchire la propria sensibilità e la propria comprensione in ordine ai problemi umani. E’ quello che riesce a trovare strategie diversificate per gestire la classe, dimostrando di possedere efficaci strumenti per leggere le varie situazioni, per capire i ragazzi. Il bravo e credibile insegnante è quello che sa realizzare situazioni che favoriscano anche lo sviluppo della creatività, della cooperazione, dell’autonomia, della comunicazione e del pensiero critico. E’ quello capace di identificare le modalità comunicative più adatte alla propria intenzione, al contesto ed allo scopo, e soprattutto riesce ad adattare la propria comunicazione agli alunni che stanno davanti. E’ quello che ha alto il valore della giustizia, soprattutto nella valutazione. Quello che si mostra attento nel processo valutativo degli alunni, tenendo conto delle diverse dimensioni caratterizzanti gli apprendimenti e dei diversi fattori che vi concorrono nell’intento di identificare i punti di forza e le difficoltà degli allievi per adattare di conseguenza il proprio insegnamento in funzione dell’evoluzione delle loro competenze. Il bravo insegnante è quello che riesce a creare quell’atmosfera serena che consente ai ragazzi di essere se stessi, di esprimersi e di non temere di compiere errori. Quello che conosce strumenti di autoanalisi e autovalutazione e utilizza prove di verifica diversificate nella struttura e nella finalità. Come si fa a valutare tutto questo? Un docente, per essere valutato seriamente, dovrebbe essere osservato, a questo punto, attimo per attimo, giorno per giorno in tutto quello che fa. C’è poi, un fattore che rende il docente qualcosa di unico, il rapporto umano, basato soprattutto sull’ascolto. L’ascolto permette all’insegnante di cogliere i bisogni, gli interessi e gli stati d’animo dei suoi allievi, dando loro una risposta adeguata; gli consente di diventare presente nella

Il prof. Domenico Castagna si racconta dopo l’approvazione del disegno di legge sulla scuola.

vita dei suoi alunni e partecipe dei loro vissuti, riuscendo a dare loro il senso che quanto gli dicono ha importanza, non verrà divulgato, non sarà oggetto di pettegolezzo, né darà luogo a rimproveri. L’insegnante bravo è quello che ha empatia, cioè attenzione ai vissuti dell’altro e partecipazione emotiva, capacità di comprendere le debolezze di coloro che sono affidati alle sue cure, circondandoli di affetto. L’insegnante bravo è chi basa il suo insegnamento anche sulla chiarezza di ciò che si aspetta in termini di comportamento e di rendimento. E’ chi si occupa della valorizzazione della diversità dei soggetti portatori di handicap della sua classe, cercando e trovando soluzioni efficaci con i docenti di sostegno che lavorano con lui. E’ l’insegnante che dimostra la capacità di facilitare l’inserimento dei ragazzi immigrati nella scuola, traducendo l’amore in accoglienza. Se tutto questo fa il buon docente, come si fa a valutarlo? Quali sono gli strumenti adatti per scoprire tutto ciò? LA FIGURA DEL DIRIGENTE SCOLASTICO Si è parlato di super preside o preside. Non credo in questa versione del Dirigente. Il super preside sicuramente non potrà licenziare su due piedi i docenti che non riterrà idonei al suo progetto formativo. Il Dirigente illuminato avrà invece la possibilità di chiamare a sé insegnanti che potrebbero far lievitare la qualità della propria scuola, che crea occasioni per tutti nella sua scuola. Certo potrebbero esserci dirigenti incapaci che, magari, decideranno di usare il loro nuovo potere in maniera disonesta, sbagliata. Facendo però accelerare la fine delle loro scuole già in pessimo stato. Molti temono che il Dirigente scolastico possa scegliere in base ai sistemi peggiori, segnalazioni e raccomandazioni, abusi di potere, favoritismi vari, falsificazioni, condizionamenti di vario tipo. Se farà questo, però, potrebbe far del male alla sua scuola e a se stesso e il suo comportamento gli si sbatterebbe in faccia come un boomerang. An-

Progetto Exponiamoci

che il Preside, infatti, dovrà essere valutato. Gli conviene mostrare il lato peggiore di sé? IL RECLUTAMENTO DEI NUOVI INSEGNANTI

Un punto discutibile della Riforma è proprio questo. Proviamo a costruire il percorso di un giovane, magari iscritto all’ultimo anno di Università di Lettere. All’atto dell’iscrizione al primo anno, conosceva bene le regole per diventare insegnante: laurea triennale, poi specialistica, al termine domande di supplenza con inclusione nelle graduatorie di istituto, eventuale concorso, superato il quale, frequenza di un corso di formazione e anno di prova in una scuola, poi immissione in ruolo, dopo valutazione positiva di un comitato di valutazione. Ad un tratto del suo iter universitario, però, le cose cambiano, le regole del gioco sono stravolte: dopo la laurea dovrà abilitarsi attraverso il cosiddetto TFA (tirocinio formativo attivo). Per potervi accedere dovrà superare tre prove, di cui una nazionale. Se le supererà, dovrà frequentare un anno ancora all’Università, con tante ore di tirocinio in una scuola. Il nostro studente, che coltiva ancora il sogno di diventare insegnante, fa buon viso a cattivo gioco. Poi, però, cambia il Governo e ricambiano le regole del gioco, quasi a partita finita. Il nostro futuro insegnante, che intanto ha concluso il suo percorso universitario, ha superato il Tfa, è iscritto nelle graduatorie di Istituto, nella fascia degli abilitati, con la possibilità di lavorare in una scuola per l’intero anno, scopre che le graduatorie saranno cancellate, che non potrà fare più di 36 mesi di supplenza e che dovrà superare un nuovo con-

Orto allegro

corso, se vorrà raggiungere il suo obiettivo. E nemmeno basterà, perché, superato questo scoglio (di cui ancora sa poco o nulla) dovrà fare non uno, ma ben tre anni di formazione, di cui uno ancora all’Università e sarà pagato come un apprendista, sui 500 euro al mese. L’Odissea non sarà finita, comunque: al termine del triennio di prova, sarà sottoposto alla valutazione di un Comitato e, se sarà ritenuto idoneo, potrà dire di essere un docente a tempo indeterminato. Sempre, però, con la spada di Damocle della valutazione che si ripeterà ogni tre anni!!! Capito? L’entusiasta studente si ritroverà un percorso di anni 3+ 2+1+3 ! Nove anni, sperando che il sistema rispetti i tempi e che tfa e concorso siano indetti con regolarità!!! Tutto questo potrebbe essere accettabile, anche se crudele, per un nuovo iscritto a Lettere o ad altra Facoltà che, considerando l’iter così impervio, potrebbe anche fare altre scelte, ma è ingiusto nei riguardi di uno che l’Università la sta ultimando. E’ come se un arbitro prepotente o impazzito, all’ottantanovesimo minuto di una partita di calcio di campionato, decidesse di proseguire di un altro tempo e poi di altri tre ancora! La partita, il campionato sarebbero falsati. ALTRE QUESTIONI: L’ORGANICO FUNZIONALE, L’AUMENTO ORE, L’ALTERNANZA SCUOLA - LAVORO

Per i contestatori della riforma ci saranno degli «insegnanti di serie B», quelli dell’organico di potenziamento, e a loro spetterà il compito di tappare i buchi, senza compiti precisi, almeno per il primo anno.


Scuola

25 luglio 2015

kaire@chiesaischia.it

Teatro a scuola

Rose della memoria

Nella riforma si parla poi di aumento delle ore di lavoro. Il problema non è certamente costituito dalle 18 o le 24 ore. Credo, però, che sia chiaro che i docenti non sono impiegati. Quando entrano in classe nel posto di lavoro non possono permettersi di avere giornate storte, perché di fronte ci sono 25 o 28 ragazzi con i quali dobbiamo interagire. La riforma riprende anche la pratica dell’alternanza scuola-lavoro. Ciò riguarda soprattutto gli studenti. Le ore di alternanza scuola-lavoro saranno 400 per gli istituti tecnici e 200 per i licei. Un aspetto interessante, se condotto nel rispetto della legge del lavoro, perché di lavoro si tratta, se si rispetteranno le norme di sicurezza, se i ragazzi non saranno sfruttati. Saranno potenziate materie come storia dell’arte, musica, programmazione informatica, educazione fisica, sarà potenziato l’insegnamento di una materia curricolare in lingua straniera (Clil). Ci sarà il cosiddetto curriculum flessibile, le cui modalità non sono ancora chiarite del tutto. La «Buona Scuola» dovrebbe sbloccare e snellire le procedure per aprire le scuole anche il pomeriggio e d’estate. Riflettendo su quello che avviene nella mia scuola e in tante scuole isolane, non vedo proprio la novità. Da anni le scuole isolane si aprono al territorio, alle associazioni sportive e culturali. Nello spirito della “Buona Scuola”, poi, i docenti dovranno essere stimolati a proporre e organizzare le attività didattiche anche in maniera flessibile. Orari modulati sulle esigenze degli alunni, collaborazioni con altre classi, progetti integrativi. Anche qui non ci vedo una gros-

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sa novità. Insegno in una scuola a tempo prolungato e tutto questo avviene nella normalità, altro che straordinarietà. COME PORSI DI FRONTE ALLA RIFORMA. COSA CI ATTENDERÀ A SETTEMBRE. Certamente i tanti OXI (no , per dirla in neogreco) dei sindacati e degli insegnanti accecati dalla rabbia hanno contribuito non poco allo smarrimento di tutti. La Riforma, come si è capito, presenta molti punti che lasciano almeno perplessi. Io però ho molta fiducia in chi opera nella scuola. Sarà per gli incontri che ho fatto e faccio ogni anno. Credo che la forza della scuola sia quella di chi ci opera quotidianamente. In questi giorni ho pensato molto ai colleghi che ho incontrato e che incontro ancora. Questo pensiero mi ha ridato forza e motivazioni. Ho pensato alla mia collega, Adele, docente di Lingua Tedesca nella mia scuola. Adele è di Giffoni Valle Piana, la cittadina del Festival del Cinema per ragazzi, ogni giorno si alza più o meno alle quattro del mattino, raggiunge Napoli, da lì si imbarca per Ischia, e, dopo ore di lezioni, ritorna al paese, per poter almeno accarezzare le sue bimbe prima di andare a letto; ho pensato a Carlo, docente dalle mille risorse, appassionato di teatro e di informatica, estemporaneo e spirito libero; ho pensato a Lucio e Salvatore quotidianamente alle prese con i problemi di orario; e poi alla tenace Anna, ora in pensione, che agli alunni ha sempre parlato della dignità del lavoro, ma della necessità e della responsabilità di fare sempre al massimo ogni mestiere: “Volete diventare spazzini … non vi accontentate … dovete

diventare il miglior spazzino!”; ho pensato a Mena che prepara dettagliatamente i viaggi di istruzione e dice ai ragazzi “ricordate, alla fine quel che conta sono le letture fatte e i viaggi intrapresi”; ho pensato a Ciro che educava i ragazzi a bandire schifezze dalle proprie tavole, arrivando anche a far odiare la Coca Cola, a Carmela che li fa appassionare al teatro, a Silvia e Matilde che integrano la loro freschezza ed il loro entusiasmo di giovani leve con l’esperienza dei docenti navigati; a Linda che fa leggere le poesie e le favole nell’orto allegro della scuola, preparato con i ragazzi; a Carmine che insegna a suonare antiche melodie napoletane con i mandolini; a Pina che si affanna a mettere il suo alunno svantaggiato al passo con gli altri e che si commuove ad ogni passo avanti. Nella mia scuola e nelle altre che conosco ho incontrato docenti che alla scuola hanno dato e danno tutta la vita, per la scuola hanno vissuto per anni lontano dalla propria famiglia, che hanno sacrificato il sacrosanto diritto di avere un figlio e spesso, in cambio, dalla scuola, hanno avuto ansia, incertezze, stress o burnout, come lo chiamano oggi. Ho visto docenti venire a scuola con una faccia bianca da far paura, dopo aver attraversato il mare in burrasca; docenti supplenti per anni, che scelgono Ischia perché è bella, perché i ragazzi sono meravigliosi. Li ho conosciuti da giovani, ora sono docenti con i capelli bianchi e il volto sfiorito. Certo ho incontrato anche docenti stanchi, demotivati, un po’ fannulloni. Ma ho capito che sono una minoranza e che, se coinvolti e valorizzati, hanno pur sempre qualcosa da dare. Ho pensato anche ai genitori dei miei alunni, che sono stati sempre propositivi e partecipi. A volte abbiamo discusso, ma quando c’è reciproco rispetto e consapevolezza di lavorare per lo stesso obiettivo, tutte le incomprensioni si superano! Ho pensato ai miei Dirigenti, con i quali ho sempre collaborato, oltre qualsiasi voglia di un compenso o di un riconoscimento. Ho incontrato Dirigenti capaci che hanno creato mille occasioni interessanti di formazione con persone di alto livello: sulla comunicazione, sull’insegnamento della matematica, dell’italiano, sulle dinamiche di gruppo, sulle scienze, perfino sull’uso corretto della voce. Dirigenti più ostinati, altri più aperti. Ho capito che, se si lavora insie-

me, ci si confronta, non c’è riforma che possa nuocere. Così, dopo un periodo di rabbia, di frustrazione, ho ripetuto a me stesso una frase che ho letto su un famoso saggio: - Vietato dire: Non ce la faccio. Un’espressione banale come “non ce la faccio” ha il potere di impedire alle persone di realizzare i propri sogni. In realtà, con l’impegno e la costanza le cose che non si riescono a fare sono pochissime. “Non ce la faccio” è il blocco mentale che usiamo per convincerci ad arrenderci. Dobbiamo far tesoro del buono che già c’è nelle scuole, dove da anni si fanno sperimentazioni, anche in rete. Penso al gruppo di docenti di Acqua alle funi, guidati dal prof. Petracca, che da due anni, con la scuola capofila del Circolo di Barano e della Dirigente Mazzella, hanno lavorato e lavorano sulle competenze e la valutazione. In molte scuole dell’isola si applicano metodologie innovative, da anni. I docenti conoscono strategie come l’apprendimento cooperativo, la flipped classroom e altre ancora. La scuola non si rifiuta e non si è mai rifiutata di cambiare. In un articolo di un noto quotidiano è apparso recentemente l’articolo di un Maestro dei nostri tempi parla della buona scuola, in maniera diversa, direi equilibrata. Biagio De Giovanni invita insegnanti e studenti a prender coscienza, in tempi confusi come questi, della necessità di un impegno raddoppiato, utilizzando le possibilità che il nuovo corso apre ”non rinchiudendosi in un mugugno conservatore, ma spendendo le proprie energie per la costruzione di quel bene non prodotto che è l’intelligenza dei giovani. Qualche speranza, forse, si riapre.” Non mi fa più paura Settembre, anzi le motivazioni sono rafforzate, nella speranza che le incongruenze e le storture di questa Riforma possano comunque essere sanate in sede di preparazione dei Decreti attuativi. Spero che si prendano responsabilmente in esame i diritti acquisiti soprattutto dei docenti precari che restano fuori dal piano di assunzione. Non mi fa più paura settembre, soprattutto perché, dopo mesi di dibattiti e riflessioni, a settembre ritorneranno loro, gli alunni. Torneranno con i loro sorrisi, i loro pianti, le loro esigenze, i loro problemi, le loro difficoltà. Torneranno per dirci che al centro della scuola ci sono comunque loro e noi abbiamo l’obbligo di prenderne cura. Buona scuola a tutti!


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Politica 25 luglio 2015

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Giosi e Silvano liberi Di Amedeo Romano

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inalmente liberi! Da martedì 21 luglio il sindaco di Ischia – sospeso – Giosi Ferrandino e l’architetto Silvano Arcamone non sono più costretti agli arresti domiciliari; si va così dritto al processo già fissato per il 22 settembre, e l’iter giudiziario farà il suo corso e stabilirà responsabilità e livelli di colpa.... Non ho fatto parte della pletora di nuovi o vecchi amici che, ora, si sono affollati all’esterno delle due abitazioni, per riabbracciare sia il primo cittadino che l’ex capo dell’ufficio tecnico del comune di Ischia. Dal 30 marzo – data dell’esecuzione dei mandati di arresto – ho seguito gli eventi, tentando di cedere alla tentazione di esprimere giudizi, schierandomi con gli innocentisti o con i colpevolisti. Ora, una cosa si può dire: sono d’accordo con gli avvocati della difesa che hanno chiesto ed ottenuto dai giudici la revoca delle restrizioni della libertà, ancorchè nelle abitazioni dei due. I fatti hanno dimostrato che il bubbone delle mazzette per la metanizzazione, che ha preso di striscio anche l’isola d’Ischia – e poi Procida, ma si vocifera che non è ancora messa la parola fine – è di ben altra misura e, se volete, se è vero e verrà confermato tutto l’apparato accusatorio, dalle nostre parti ci facciamo solo la parte dei “ladri di polli”! Altrove, sono saltate teste illustri, si è parlato di coinvolgimenti autorevoli, si è decapitata una classe dirigente di una cooperativa – la Cpl Concordia, per l’appunto – si è parlato di cifre considerevoli; ma non solo.... Avete visto quello che sta accadendo sui rapporti con il clan dei Casalesi? Una classe politica e dirigente locale e regionale, tra Napoli e Caserta, che non ha guardato in faccia a nessuno, a leggere le poche e frammentarie informazioni che provengono dagli atti che sono alla base di mesi di indagini, che hanno condotto ad una serie di arresti in questi ultimi giorni… Indagini che coinvolgono ex assessori regionali, consiglieri, parlamentari (per i quali ci sono pure i mandati d’arresto), sindaci.... Il sistema è sempre stato lo stesso, non è mai cambiato, nella prima e nella seconda repubblica. Mentre tento di dare un senso ai miei pensieri, mi ritorna dinanzi agli occhi l’immagine della locandina della festa di S.Anna, e come si fa a non pensare che, solo per l’avvicendamento politico a palazzo Santa Lucia – quest’anno sugli spalti ad Ischia Ponte non ci troveremo il potente assessore regionale al turismo, quel Pasquale Sommese oggi è indagato come referente di un uomo dei

Casalesi nelle istituzioni regionali campane? Ve lo ricordate accanto a Pascal Vicedomini, fino allo scorso anno, dai palchi dell’Ischia Global? Torniamo a Giosi Ferrandino e a Silvano Arcamone: accomunati da un analogo destino, anche se in tanti si sono chiesti, in questi mesi, come mai l’architetto restasse ancora ristretto a casa, pur avendo perso il posto di dirigente al comune, non potendo così più inquinare le prove? Ora, sono liberi; liberi di girare per le strade del paese, della nostra isola; chissà quanti di noi, anche semplici cittadini, vorremmo fermarli, per esprimere solidarietà, o per chiedere più sfacciatamente ragione di quanto accaduto.... La loro libertà, sarà quella che la gente, non quella ipocrita, riuscirà a dimostrare nei loro confronti: la gogna l’hanno già patita abbastanza, ora gli rimane la libertà di rivolgersi faccia a faccia ai giudici – come fatto finora, del resto – e dire tutto quello che è stato... Per il resto, la magistratura sa, se e quando devono venire fuori altri nomi, se devono scattare altre manette, come si sussurra in giro, da sempre... La nostra libertà di cittadini invece è quella di rimboccarci le maniche ed andare oltre e, mentre chi eventualmente deve fare i conti con la giustizia, si arma di calcolatrice e si gioca la “sua” di partita, dobbiamo veramente imparare da queste esperienze altrui; perché l’isola è una, e non è nostra; anche lei ha la libertà di esistere, senza per questo essere defraudata e violentata...


Società

9 25 luglio 2015

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PUNTI DI VISTA

De Luca governerà la regione Campania

Di Franco Iacono

1.

Vincenzo de Luca è a tutti gli effetti Presidente della Regione Campania: alla fine ha avuto ragione lui. Sarà la Corte Costituzionale a decidere sulle sorti della Legge Severino ed il Parlamento dovrà adeguarsi. Fiumi di parole, montagne di carte: uno spreco, sotto tutti i punti di vista. Ora comincia il lavoro con maggiore serenità e De Luca dovrà dimostrare la sua capacità di tenere fede agli impegni assunti. Si discute, anche animatamente, sulla decisione del Presidente di tenere per sé le deleghe più importanti: dall’Agricoltura ai Trasporti, alla Sanità, alla Cultura. Il vecchio Presidente Stefano Caldoro, argutamente, ha evidenziato l’abilità di De Luca di diluire due delle deleghe “tradizionali” fra ben sei assessori. Detto questo, personalmente ritengo comprensibile l’accentramento di tanto potere in testa al Presidente. Mi spiego: ai “miei” tempi, quelli della Prima Repubblica, vigeva il sistema proporzionale ed a ogni Partito, con i relativi assessori, spettavano quote di potere a seconda della propria forza elettorale. Il Presidente, praticamente, dirigeva una sorta di condominio, a volte rissoso, ed il proprio potere era molto limitato, fino ad essere quasi di rappresentanza. Naturalmente, non parlo del tempo in cui i Presidenti erano anche Commissari Straordinari per la ricostruzione ex legge 219: in quel

caso il loro potere era immenso, sul piano normativo e su quello economico. Con la nuova legge, di cui alla elezione diretta del Presidente, cambia tutto: non sono più i Partiti, ed i rispettivi assessori, a rispondere del loro operato agli elettori, bensì il Presidente, solo il Presidente! E lui ad essere responsabile anche della scelta degli alleati, per lo più “civici” nel nostro caso, salvo l’“immortale” Ciriaco De Mita. Certo, una tale organizzazione della gestione della Regione prevede un cambio radicale dei “connotati”: per ogni settore si tratta pur sempre di individuare soggetti che siano interlocutori delle categorie e dei cittadini interessati, ma le scelte strategiche le farà il Presidente, magari consultandosi con i Consiglieri, davvero di alto profilo, che si è scelto. Mi auguro che tutto questo snellisca le procedure e faccia diminuire anche il numero delle istanze di mediazione, in modo da ottenere risposte certe e celeri dalla struttura amministrativa e dagli uffici, che nel loro complesso dovrebbero sempre più essere delle case di vetro. Piuttosto, da tutto questo, dovrebbe scaturire un nuovo ruolo del Consiglio Regionale e dei Consiglieri, non più, come spesso accadeva, dediti, anche quelli di opposizione!, a stare fuori delle stanze degli assessori a sostenere questa o quella pratica. Mi auguro che, finalmente, siedano sui banchi del Consiglio e nelle Commissioni a fare il loro dovere: legiferare, programmare, pianificare. Secondo il

dettato Costituzionale! Si darebbe nuovo prestigio alla Istituzione, ora ridotta, spesso, a sede di scandali e torpidume, mentre i Padri Costituenti affidarono alle Regioni compiti di alto profilo, escludendo ogni forma di gestione, alla quale, troppo spesso, molti si… appassionano. Se le Regioni, a cominciare dalla Campania, questo sapranno fare, nessuno penserà più ad abolirle! 2. Sabato 18 di luglio è stato inaugurato il restauro dell’Eremo del Monte Epomeo. Una bella festa: con il Sindaco, il Vescovo, c’era anche l’Assessore regionale alla Pubblica Istruzione, Lucia Fortini, ischitana di adozione. A lei, che svolgeva per la prima volta mansioni ufficiali sull’Isola, abbiamo affidato i nostri, forse soprattutto miei, sogni antichi: fare dell’Eremo una sorta di Erice della Campania. Lì uno scienziato del calibro di Zichichi ne ha fatto un centro di fama universale, qui dovremmo raggiungere livello analogo promuovendo la realizzazione di un Osservatorio, a dimensione Mediterranea, delle Politiche Agricole ed Ambientali della Regione Campania e delle altre del Mezzogiorno d’Italia. In quel Eremo, nelle cui celle e dalle cui terrazze si respira Storia, Tradizione, Spiritualità, ma soprattutto Identità della nostra Terra. Il Sindaco ci ha detto che, intanto, lo terrà aperto e custodito. Noi torneremo, come da anni, fra Capodanno e l’Epifania per far nascere, nell’attigua Chiesetta di San Nicola Gesù Bambino, al canto, mio!, delle antiche Nenie Natalizie. Il Vescovo, l’ottimo Pietro Lagnese, al quale ho “notificato” il mio status di “Cardinale”… laico, riconosciuto dai suoi Santi predecessori, Antonio Pagani e Filippo Strofaldi, ci sarà! Al canto fascinoso della Ndrezzata – “‘Ncoppa Santu Nicola è ‘na bellezza oi né - e quanno spont’ ‘o sole so’ cose ‘a stravedé.”, stanchi, ma felici abbiamo preso la strada del ritorno.


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Formazione Sacerdotale 25 luglio 2015

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CRESIMA? WORK IN PROGRESS! Il nostro presbiterio in tre giorni di dialogo sul “sacramento dell’addio” Di Marco Trani

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hi crede che i preti non lavorino - in modo particolare d’estate - rimarrà perplesso nel sapere che un bel numero di sacerdoti isolani si è cimentato in un “fresco” percorso di tre giorni, da martedì 21 a giovedì 23, per confrontarsi sul tema delicato del Sacramento della Cresima. Don Luciano Meddi, sacerdote della diocesi di Roma e professore ordinario di catechetica missionaria alla Pontificia Università Urbaniana, ha guidato queste piacevoli mattinate all’insegna dell’incontro e del dialogo tra il vescovo, i presbiteri e i seminaristi. Per iniziare questi tre giorni, il nostro vescovo Pietro, a due anni dall’inizio del suo ministero ha voluto tirare un po’ le somme, dopo aver incontrato i vari cresimandi nelle loro comunità parrocchiali prima di conferire loro il Sacramento. Purtroppo ha potuto osservare che non sempre chi chiede la Cresima ha un’intenzione precisa di adesione al Vangelo. Il nostro rinnovato desiderio di annuncio dovrebbe trovare come destinatari i giovani che spesso sono come pecore senza pastore, ma che bussano alle porte delle nostre chiese e vanno via scandalizzati da una proposta che non dice nulla. Il vescovo non ha avuto paura di affrontare senza mezzi termini il tema chiedendosi se sia il caso di continuare così, consapevole della fatica che ciascuno fa ogni giorno per poter generare alla fede, anche se tanti tentativi non travalicano la semplice istruzione religiosa. Il Sacramento dell’effusione dello Spirito dovrebbe invece aprire alla ministerialità della Chiesa nel mondo, verso un impegno politico, sociale, profetico. Don Luciano Meddi ci ha aiutato a riflettere, a prendere coscienza, a vedere i nodi da sciogliere, affinché un disagio si possa trasformare in desiderio di nuova evangelizzazione, senza aver paura di abbandonare lo schema classico di lezione frontale in stile scolastico per lasciare spazio a un modello

che gestisce la pluralità e l’individualità, che guarda alla crescita nel discepolato. Sono stati tanti e ricchi gli interventi dei nostri sacerdoti che si sono interrogati sull’incontro dei giovani con il Vangelo, sul rapporto quantità/qualità, sul sostegno psicosociale, sulla religiosità che non media l’incontro con Gesù, sul far sentire una comunità accogliente, sul problema dell’individualismo, sull’incontro con lo Spirito… Meddi ha quindi proposto un suo schema di catecumenato crismale. Già le prime comunità cristiane avevano pensato un percorso per il catecumeno, l’adulto che si avvicinava alla fede in Gesù Cristo e chiedeva di ricevere il Battesimo. Questo percorso per adulti è sempre stato presente nella Chiesa e la loro preparazione continua ad essere affidata direttamente ai vescovi; non a caso la Cresima, l’ultimo Sacramento dell’Iniziazione Cristiana, è legato indissolubilmente a un successore degli Apostoli. Il desiderio sorto in questi giorni è che sia vissuto dai giovani proprio come un vero noviziato aperto a tutti per confermare in modo autentico la vocazione battesimale, finalizzato alla crescita della personalità cristiana, allo sviluppo della appartenenza ecclesiale, alla abilitazione a vivere la vita cristiana secondo una Regola di Vita, a scoprire il proprio carisma e il proprio compito missionario. Per realizzare ciò dovremmo avere il coraggio di ripensare i vari itinerari (che a volte non durano più di tre mesi!) verso la costituzione di un’agenzia aperta, varie équipes dislocate sul territorio che in stretto rapporto con la parrocchia riesca-

no ad offrire al giovane niente più che una vita per il Vangelo. Il giovane, più che il ragazzo, in due anni conoscerà varie tappe: la proposta, l’aggregazione, l’appartenenza, l’introduzione alla vita cristiana e quando si vedrà il giovane convinto e desideroso riceverà la Cresima come sintesi del cammino. L’episcopato di Lagnese sta con-

tinuando a declinare nella nostra Chiesa di Ischia l’Evangelii gaudium di Papa Francesco, cosciente che «Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà» (EG,44)


Attualità

11 25 luglio 2015

kaire@chiesaischia.it

COMUNE DI ISCHIA Di Lorenzo Russo

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al 1°agosto cambiano le regole per il parcheggio su strisce blu nel territorio del comune di Ischia. Con la delibera n. 49, avente ad oggetto “Gestione di parcheggi e governo delle aree di sosta e mobilità del territorio comunale a pagamento senza custodia. Approvazione schema e tariffe” sarà rivoluzionato il sistema parcheggi, con aumento delle tariffe. Una delle novità è il colore delle zone: la Zona A sarà delimitata con il colore blu; la Zona B con il colore fucsia, la Zona C con il colore giallo e la Zona D con il colore verde. Dall’individuazione di tali zone restano escluse via Alfredo De Luca, via Iasolino, via Luigi Mazzella (tratto antistante Farmacia Mirabella) e via delle Terme (tratto antistante la zona di San Ciro). Bisogna però mettere mano al portafogli perché nelle zone centrali il pagamento è previsto per 2 euro l’ora con un minimo di 1 euro per i primi trenta minuti: nelle zone cosiddette non centrali, invece, il costo è di 1 euro l’ora con un minimo di 50 centesimi per i primi trenta minuti. Rispetto alle misure prese due anni fa dove già si pagavano 2 euro l’ora (anche se dovevi sostare per 20 minuti), adesso si può sostare anche mezz’ora (pagando l’effettivo tempo). “Sono fatti salvi – leggiamo nella delibera - nelle suddette strade, tutti gli spazi riservati a disabili, fermate bus, aree carico e scarico, spazi riservati alla N.U., sosta non a pagamento (riservando alla sosta almeno il 20 per cento degli stalli a pagamento) ed altri spazi eventualmente riservati a vario titolo segnalati da apposita segnaletica orizzontale e verticale e regolamentati con ordinanza. 4 TIPOLOGIE DI ABBONAMENTI Per i residenti nel comune di Ischia si pagheranno 10 euro mensili (invece di 7) “per abbonamento utilizzato in una delle aree riportate nella zonizzazione di cui al secondo capoverso, riservato ai residenti del Comune di Ischia la cui abitazione è situata nella medesima zona di pertinenza con l’obbligo di esposizione sul parabrezza di apposito contrassegno (da rilasciarsi da parte del Comune di Ischia, con validità per l’intero anno solare e rinnovabile per il periodo di gestione del servizio)”. Per i commercianti e i lavoratori nel comune di Ischia, la cui attività ricade in una zona provvista da strisce blu, dovranno pagare 30 euro al mese, esponendo l’apposito contrassegno rilasciato dal Comune di Ischia. C’è poi l’abbonamento di 40 euro al mese riservato ai residenti isolani che, si legge, “permetterà la sosta senza limite di tempo su tutte le aree destinate alla sosta a pagamento senza obbligo di custodia”, cioè si potrà parcheggiare in tutte e quat-

Strisce blu nuove tariffe

tro le zone (A,B,C,D). Infine c’è anche una quarta tipologia di abbonamento che ha il costo di 25 euro e ha durata settimanale e consente di parcheggiare in tutte le 4 zone. Per tutti gli abbonamenti restano esclude da tale regolamentazione via Iasolino, via Alfredo De Luca, via Luigi Mazzella e via delle Terme. TORNANO I PARCOMETRI Per il servizio di sosta a pagamento su strade comunali senza obbligo di custodia, potremmo continuare ad acquistare i cosiddetti grattini (gratta e parcheggia) presso rivenditori convenzionati ma torneranno i parcometri da installarsi su strada e/o parcheggio delle zone in cui sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico. Ricordatevi che se avete già acquistato un abbonamento al costo di sette euro, da lunedì 27 luglio dovrete andare al comando polizia municipale per pagare l’integrazione di tre euro e poterlo utilizzare dal primo agosto.


12 25 luglio 2015

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MADE IN ISCHIA: L’ISOLA CHE P

La regina del Made in Ischia

Quella targata Mariagrazia Nicotra sarà l’anno zero, quella della

Di Franco Mattera

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uando leggerete questo pezzo, care lettrici e lettori di Kaire, la festa di S.Anna 2015 sarà nella fase finale del suo svolgimento, o probabilmente si starà già svolgendo, tutto dipenderà da quando comprerete il giornale e quando lo leggerete. Io da ischitano che ama la propria terra fino in fondo ed anche più, mi auguro ovviamente che tutto possa andare bene ed oltre la migliore aspettativa. Questa festa è troppo importante per tutti noi ischitani, oso dire senza tema di smentite, per tutta la nostra regione e per l’Italia intera! Non penso di esagerare usando queste parole: ogni anno migliaia di persone aspettano con trepidazione questo evento, per la singolarità e per la fantastica bellezza del luogo in cui si svolge, la meravigliosa ed ineguagliabile baia degli scogli di S.Anna, ad Ischia Ponte. Eppure ogni anno tocca a noialtri ischitani ed a tutti quelli che amano questa festa, la nostra bella dose di sofferenza per le sue sorti che non trovano mai orizzonti tranquilli di certezza. Ho il dubbio ricorrente che ci sia una specie di assuefazione a questa condizione di estrema provvisorietà, a questa disorganizzazione cronica, che anno dopo anno ci porta a fare sempre le stesse e tristi considerazioni, a questo dover fare per forza di cose tutto all’ultimo istante. Quasi un vezzo masochistico per poter poi dire: “Però alla fine ce l’ab-

biamo fatta, anche questa edizione è stata portata a termine!” E così crogiolarsi in una miserrima soddisfazione, ancorché priva di una brillantezza di risultati che possa tra.mutarsi in un giubilo collettivo Dire ad esempio: “S.Anna di quest’anno è stata bellissima e perfetta in ogni suo aspetto! L’anno prossimo faremo di più e meglio...” Ecco, in quel faremo forse è condensato il motivo di tante tribolazioni della nostra festa più attesa dell’anno! In quanto gli attori, le persone che dovrebbero avere la responsabilità di organizzarla e portarla a termine non sono mai le stesse, cambiano sistematicamente anno dopo anno e chiamate all’ultimo momento al capezzale di un malato - la festa appunto - che è grave, ma non tanto da temerne o paventarne la fine prematura. L’anno scorso è stata la volta di Salvatore Ronga, apprezzato artista e regista ischitano, insieme ad un manipolo di collaboratori, ad organizzare l’evento. Sembrava l’anno buono per un rilancio su basi più concrete e serie, con tante innovazioni significative ed un ritorno a cose di altri tempi, del passato più o meno remoto della nostra isola, che piacquero ad una vasta platea di persone. Poi la promessa, o il mero buon intento da parte dell’Amministrazione comunale di Ischia, di iniziare già dal 27 luglio a lavorare per l’edizione successiva (quella di questo luglio 2015!). Appunto, semplice manifestazione di una buona volontà, non seguita poi dai fatti. Qualcuno forse non ha perdonato a Ronga di aver eliminato dall’evento i fuochi pirotecnici!

Cosa a dire il vero, carica di significati. Uno per tutti puntare decisamente a fare della sfilata delle barche addobbate il clou dell’evento. E non rifugiarsi nella sparacchaiata finale per apparare tutte le pecche e le manchevolezze dell’intera manifestazione. I pro-fuoco, gli sparacchiatori a tutti i costi, le persone che si lasciano abbacinare dalla cosa più effimera, per quanto spettacolare delle cose, a mio giudizio potrebbero pure restarsene a casa, e fare così di S. Anna la festa del popolo, la festa delle famiglie, dei bambini, e di quanti vogliono godere per una volta uno spettacolo unico, ma soprattutto dei tanti appassionati addobbatori di barche. E vi assicuro che ne sono tanti che ritornerebbero subito all’opera, o inizierebbero a farlo per la prima volta, solo che si desse un segnale di serietà e di programmazione vera. I fuochi pirotecnici si possono vedere e sentire, - ad Ischia soprattutto - innumerevoli volte nell’arco dell’anno. La sfilata delle barche allegoriche, una e una sola volta all’anno! Ma veniamo all’edizione di quest’anno, del prossimo 26 luglio. La nomina di Mariagrazia Nicotra è già di per se una novità eccellente: la prima volta di una donna responsabile della festa a livello artistico ed organizzativo. Le sue referenze sono di altissimo livello e già l’enunciazione, appena dopo la nomina, della sua idea della festa, con la ripresa della sfilata della barca delle partorienti in pellegrinaggio verso la chiesetta di S. Anna, la dice lunga sulla sensibilità della persona sui temi antichi e

più genuini della festa! Oggi Mariagrazia è una speranza per quanti ardono dal desiderio di vedere risorta a nuova vita la Festa di S. Anna. Le difficoltà che ha incontrato sicuramente in questi giorni e quelle che ancora gli riserveranno le ore finali prima della discesa in campo delle barche addobbate, non potranno in nessun modo offuscarne la serietà dell’impegno. Da parte mia, e penso di intrepretare i sentimenti di tutte le lettrici e lettori di KAIRE, gli faccio i migliori auspici di buona riuscita nell’impresa, con la speranza di vederla impegnata per tanti anni ancora nella rinascita definitiva e stabile della nostra Festa di S. Anna. Che il 2015 possa essere l’anno zero di una S. Anna bella, perfetta, e carica dei valori della più autentica tradizione. Che possa inorgoglire tutti gli ischitani veri e significare anche qualcosa per la nostra traballante economia turistica. Scrissi qualcosa su S. Anna anche prima dell’edizione del 2013, quella organizzata da Don Carlo Candido e Luigi Balestrieri. Di quell’articolo pubblicato su “IL GOLFO” ho pensato di proporvi un ampio stralcio, eliminando il titolo che oggi mi appare inopportuno ed inappropriato ad un clima di necessaria positività. Ma quanto verrò a proporvi è, purtroppo, ancora di strettissima attualità. Chiudo come sempre, cari lettori, con il nostro motto: Questo è Kaire, questo è Made in Ischia! …… Il solo ricordo di cos’era la FESTA nei primi anni sessanta, fa impallidire tristemente le immagini delle


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PRODUCE, L’ISOLA CHE LAVORA

a: la festa di S. Anna!

a rinascita della più bella festa a mare d’Italia?

edizioni degli ultimi dieci- quindici anni. Quelle feste avevano un’anima, un’anima popolare, una gioia popolare, un potente impulso, una prodigiosa entusiastica energia delle genti di Ischia. Qualcosa di simile a quanto avviene ancora oggi a Procida con la processione del Venerdì Santo, a cui noi ischitani dovremmo rivolgere uno sguardo attento nel tentativo di emulare soprattutto lo spirito che anima i giovani organizzati ne “I ragazzi dei Misteri”. Dunque la FESTA negli anni sessanta. Era la festa del comune di Ischia! Gli altri comuni non partecipavano, se non qualche volta Barano con la spiaggia dei Maronti. Erano, le marine di Ischia, un poco come le contrade di Siena per il PALIO di quella città. Faccio dei conti a memoria delle barche che venivano dalle nostre marine: una a Cartaromana, una ad Ischia Ponte, una o anche due alla Mandra spiaggia Pescatori, una al Molino (non sempre), una o addirittura due alla Spiaggia dei Pescatori di Ischia, una a Cafiero (leggi Spiaggia degli Inglesi), una ai Maronti (ma relativamente più tardi). E tra le Marine c’era rivalità, un sano spirito di competizione, un entusiasmo contagioso che serpeggiava tra gli ideatori e costruttori poi delle BARCHE, e si propagava dalle singole marine sui territori posti più all’interno. Non dirado si vedevano persone di S.Antuono o di Campagnano lavorare alle barche di Ischia Ponte o della Mandra. Già dall’inizio di luglio gruppetti di pescatori si accompagnavano a muratori e gente comune per realizzare

l’oggetto che doveva dare lustro alla Marina ed a loro stessi. I ragazzini che giravano intorno alle zattere e le vedevano crescere davano anch’essi una mano: impastavano la colla, raddrizzavano chiodi recuperati dai muratori nei cantieri edili, raccattavano giornali ovunque ci fossero, porgevano gli attrezzi ed i materiali, a volte davano anche fastidio agli artigiani con la loro irruenza rumorosa e numerosa di troppe presenze. Se la barca era vincente si festeggiava tutti, se perdente si caricavano le batterie per riprovarci l’anno successivo. Certo non erano tutte rose e fiori, ma certamente non difettava mai una tensione ed un entusiasmo fortissimi per non mancare all’appuntamento. Le cose sono poi degenerate al punto che pure alla gente che si reca il 26 luglio all’appuntamento con la festa, le barche (zattere) addobbate, interessano poco o niente. Più attrattiva ed aspettative avendo l’incendio del castello e soprattutto i fuochi pirotecnici. Io stesso ho ascoltato persone che si esprimevano così: “Ci vado in ultimo giusto per vedere i fuochi”, “Chi ha vinto? boh! A me interessano solo i fuochi!”, e così via dicendo. E così, gradino dopo gradino, siamo arrivati al punto più basso che si potesse immaginare, ovvero che il Comune di Ischia si presentasse con una sola barca, ed in alcuni anni addirittura progettata e realizzata a Viareggio. Cose da matti! …Ecco la POLITICA e la sua pesantezza invadente ed insopportabile in un campo non suo, quello

delle tradizioni popolari. Dovrebbe dare assistenza, impulso, stimolo, ed invece da provvisorietà, colpevoli ritardi, disorganizzazione, rimandi last-minute, una sussidiarietà inopportuna e fuorviante per il popolo. Un poco come un bambino che sta iniziando a camminare ed ha già quasi imparato, a cui il genitore dice “non ti preoccupare , tanto ti aiuto io”, e lo sorregge poi con le mani, salvo a lasciarlo poi un istante dopo facendolo cadere …Le marine degli inizi “sentivano la Festa con il loro animo collettivo”, oggi ne hanno una percezione falsata e debole, perché si aspettano che qualcuno porti la buona novella, in tutti i sensi. Il Sindaco di turno deve aggrapparsi al telefono e chiamare i suoi colleghi degli altri comuni perché convincano qualche volenteroso in otto, massimo dieci giorni a rabberciare una barca, il più delle volte indegna di partecipare alla FESTA. La leva usata può essere anche dozzinale e rozza, come la promessa di dare la mano in altre questioni con il fatidico “una mano lava l’altra e tutte e due si lavano la faccia”. Un’eccezione, in tale panorama sconsolante, è stata Procida, che con i suoi ragazzi dei misteri nei primi anni del duemila ha dato uno scossone all’evento, vincendo per alcune volte la manifestazione. Il successo dell’isola di Graziella era per me talmente scontato che pur non vedendo in anticipo la barca, ne previdi la vittoria con largo anticipo. Si svegliò allora la marina della Mandra che tirò fuori “quell’anima popolare primigenia” che sembrava smarrita. Ma le altre marine di Ischia erano assenti, e la competizione era ridotta a Procida contro Mandra. Un contentino piccolo piccolo, un inezia che però fece riscaldare gli animi. Di chi il merito? Di Procida ovviamente! E questo non insegna nulla? Riflettete gente, riflettete! E’ così che l’anima popolare si è smarrita e bruciata poi sui carboni ardenti dell’ aspetto economico. I costi per i cosiddetti “fornitori” che non hanno nemmeno un pelo di spirito volontaristico…, i fuochi pirotecnici sempre più costosi e di cui si potrebbe benissimo fare a meno in uno spirito autentico e pieno della FESTA. Lo stesso incendio del castello, divenuto sembra costosissimo perché fatto con mezzi ipertecnologici. Qualcuno si ricorda ancora di Costantino, uomo mite e volenteroso di Cartaromana, che fino a qualche decennio orsono insieme ad altri

pazzi buoni accendeva le “lampetelle” sui bastioni del castello per dare quel tocco di tragico, commovente, stupefacente spettacolo dell’incendio? Nonostante quelle umanissime incertezze, ritardi, piccole defaillances, che riportavano l’aspetto umano in primissimo piano, qualche volta anche con una non disprezzata nota comica. Qualcuno ha pensato di commemorarlo Costantino, di dirgli grazie per quello che ha fatto in tanti anni di onorato servizio? Nessuno naturalmente. Insieme alle persone si perde anche la memoria e quell’anima popolare che tante volte ho citato. In questo panorama sconfortante mi viene da fare alcune considerazioni sul presente. In primo luogo mi sembra che ormai la festa non intrighi più nessuno, a meno di ritorni di fiamma autenticamente di valore che qualcuno (si badi, non dico qualcosa, tipo iperfinanziamenti pubblici, ché quelli piuttosto omologano vieppiù il processo di appiattimento dello spirito popolare!) dovrebbe innescare. In secondo la latitanza pressoché assoluta della Cultura, il suo silenzio indolente e impenitente sulla festa. Qualcuno dice che associazioni e circoli culturali sono troppo impegnati ad occuparsi di cose che siano il più possibile singolari e non popolari, quindi alti ed elitari, per sporcarsi con il popolare. Io non penso sia così del tutto! Penso piuttosto in una pigrizia che le viene da ranghi poco o punto rinverditi da una gioventù attiva e dinamica. La cultura si fraziona temporalmente con l’incedere delle generazioni, con steccati difficilmente sormontabili. Ne viene che da una parte le giovani leve non osmotizzano del tutto il sapere dei grandi, e questi ultimi non si avvantaggiano della freschezza e dell’energia positiva della gioventù. Io vedo il mondo della cultura impegnata nella disamina della storia di Ischia da cui trarre, anno per anno, le tematiche da proporre agli allestitori delle barche per la festa. E’ finito il tempo delle ingenue rappresentazioni. Oggi più che mai c’è sete di identità di paese, di storia, di cultura. E la festa può essere un potente strumento per fare uscire fuori storia e cultura, idealmente abbracciati alla tradizione. Mi è capitato di rileggere per la terza o quarta volta il volume del compianto Giovan


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Vita Consacrata 25 luglio 2015

Giuseppe Cervera “Cronache del settecento ischitano” per aver idea che solo da quel testo si potrebbe trarre spunto per allestire almeno tre barche molto interessanti. Ed è ben poca cosa rispetto al tutto a cui si può attingere. La terza considerazione: la FESTA deve ritornare completamente alle Marine del Comune di Ischia. Bisogna quindi ricostruire quello spirito popolare oggi, voglio sperare, solo assopito. Mi viene da pensare ad un bando per l’accreditamento di un COMITATO DI MARINA. Uno per ogni marina. Ogni comitato potrebbe ricercarsi uno o più sponsor nella imprenditoria turistica vicina fisicamente alla Marina stessa, a cui restituire una evidenza pubblicitaria adeguata, ancorché sobria e non eccessivamente invadente. Si potrebbe derogare alla esclusività delle marine di Ischia, invitando per tempo a rotazione annuale una marina (non dico, attenzione, un comune e un sindaco!) di altri comuni dell’isola. Perché poi non affidare la organizzazione generale della FESTA ad una Super Onlus individuata (a concorso) tra quelle che operano nel sociale sull’isola d’Ischia? Fuori dall’influenza della politica e sottoposta a rigidi protocolli di controllo per evitare che la politica esca dalla porta e rientri dalla finestra? La riduzione dei costi si può ottenere con diversi accorgimenti: 1) Un magazzino generale di materiali da riutilizzare anno per anno, seppure periodicamente integrato per motivi di usura, insufficienza, ecc., un poco come fatto a Procida per i Misteri; 2) la riduzione drastica del budget per i fuochi pirotecnici, a meno di raccolta popolare di fondi alla stregua di quanto fatto dai comitati delle feste padronali; Bisogna far capire in maniera convincente la centralità della sfilata delle barche rispetto al resto; 3) il coinvolgimento di associazioni onlus per la fornitura dei servizi, con calcolo dei costi in regime di economia da parte di esperti del settore. In questo modo si garantirebbe l’eliminazione di qualsiasi speculazione economica sulla festa ed un sicuro ritorno sociale. Ultima considerazione: l’istituzione di una cabina di regia qualificata, rappresentativa e paritaria dei soggetti coinvolti che piloti la manifestazione dal 27 luglio di un anno al 26 luglio dell’anno successivo, con obbligo di rendicontazione almeno bimestrale delle attività svolte e dello stato di attuazione del programma. (estratto da un numero de Il GOLFO del luglio 2013)

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Padre Crescenzo il missionario ischitano di Haiti “A 12 anni mi sono innamorato del servizio ai malati e sono partito” così Padre Crescenzo inizia il suo racconto. In visita per qualche giorno nella sua isola Di Silvia Pugliese

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d’Ischia, lo abbiamo incontrato per voi.

ornato sull’isola, per qualche settimana, prima di tornare ad Haiti, ci lascia la sua testimonianza, dopo aver celebrato messa nella Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, nel cuore del borgo antico di Ischia Ponte, dov’è nato e ha vissuto prima di partire, giovanissimo, per seguire la sua vocazione. Padre Crescenzo, vuoi raccontare ai lettori di Kaire dove nasce la tua vocazione sacerdotale, ma soprattutto missionaria? Da quello che ricordo la mia vocazione è nata all’interno della mia famiglia che mi ha dato la possibilità di avviare un cammino con i Padri Camilliani, perché avevo un cugino che mi inviava materiale sulla vita di San Camillo. Mi sono innamorato di questo ordine, che si occupa di servire i malati, così a 12 anni sono partito per Torino e ho iniziato il seminario, e finalmente il 22 marzo del 1959 ho ricevuto i voti. Ho avuto degli incarichi soprattutto nella formazione dei giovani, e dopo alcuni anni di servizio con i malati a Imperia, a Torino, e in alcuni paesi a confine con la Liguria, nel 1999 sono approdato ad Haiti. Parlaci del tuo impegno ad Haiti… I padri Camilliani, l’ordine di cui faccio parte, gestiscono due ospedali, uno nella capitale Port au Prince, che ospita 100 malati, e un altro padiglione nato dopo il terremoto, che però dopo 4 anni non è ancora pronto. Abbiamo molti problemi specialmente economici, noi dipendiamo dalla carità delle persone e da tanti volontari che offrono la propria professione, idraulici elettricisti e operai che ci aiutano. Poi a 300 km a sud della capitale, abbiamo un ospedale per lesioni cutanee. Ad Haiti molte famiglie non vivono in case sicure, e frequentissimi sono gli incidenti domestici. Nel grande ospedale per malattie generiche c’è un reparto di bambini disabili del quale io sono responsabile. Questi bambini per la maggior parte sono anche abbandonati perché le famiglie non hanno la possibilità di prendersene cura, alcuni li lasciano nella sala d’attesa del reparto. Insieme alle suore camilliane, che assicurano la loro presenza 24 ore su 24, a infermiere, ausiliarie e personale di servizio garantiamo a questi bambini un’assistenza a 360 gradi, per lavarli, vestirli, farli mangiare e, per quelli che hanno qualche possibilità di ripresa motoria, la fisioterapia.

E questi bambini fanno un cammino spirituale? Spesso, non sapendo da che famiglie vengono, non sappiamo quasi mai se sono cattolici. Noi li battezziamo tutti, a meno che non abbiamo la certezza che son già stati battezzati. Se sono accompagnati da qualche parente, noi comunichiamo che saranno battezzati e riceveranno una formazione cattolica. Finora non abbiamo mai avuto contrarietà. Le suore poi si occupano della loro formazione spirituale, per quelli che possono, dato che la maggior parte sono disabili mentali e fisici e non hanno la possibilità di comunicare. I bambini del reparto sono tutti disabili? No, alcuni bambini vengono abbandonati pur non avendo disabilità, noi ci prendiamo cura di loro garantendogli un posto dove dormire, un pasto, vestiti e per fortuna l’istruzione. I padri camilliani gestiscono anche una scuola, la “Scuola San Camillo” che grazie alle adozioni a distanza permette a circa 500 bambini di studiare. Di questi, 5 bambini provengono dal nostro reparto, se vogliamo fare un paragone con la scuola italiana (perché ad Haiti le classi sono organizzate diversamente) frequentano la scuola media. Uno di loro è più grande e dovrebbe essere alle superiori, ma ci sono stati un po’ di problemi, speriamo che entro l’anno prossimo riesca a passare oltre. Siamo fiduciosi perché ci sono ottime possibilità di recupero! Grazie a Dio abbiamo trovato molti padrini e madrine che finanziano l’istruzione di questi bambini fino alla maturità. Se poi i padrini e le madrine hanno la possibilità di aiutarli, li mandiamo anche all’università oppure li introduciamo a qualche attività pratica per poter imparare un mestiere. Qual è la prospettiva di vita dei bambini disabili ad Haiti? Le prospettive sono sicuramente limitate rispetto all’Italia e al resto dell’Europa. Abbiamo avuto vari casi, di cui uno ancora in Italia, un bambino che insieme ad altri handicap sia mentali sia fisici, aveva i piedi torti, è stati operato a Milano, grazie al sostegno di una famiglia, e ora cammina. Qualche tempo fa una bambina è stata operata al cuore, è tornata ad Haiti in salute ma dopo il terremoto, non ce l’ha fatta. Abbiamo comunque sempre bisogno di un supporto dai paesi europei, e anche il personale medico e paramedico ha bisogno di preparazione.


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25 luglio 2015

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Quindi il paese non è ancora in grado di garantire una soddisfacente formazione universitaria? Esatto, per il ramo sanitario ad esempio c’è sia un’università statale che una cattolica abbastanza funzionale ma non credo ai livelli del resto del mondo. Per questo se qualcuno ha voglia di lavorare e soprattutto speranza, deve lasciare Haiti e fare un’esperienza di formazione all’estero. Viene data molta fiducia a chi ha studiato altrove, specialmente in Europa o in Nord America. Non deve essere facile in questo contesto occuparsi di questi bambini, gli ultimi, quelli che nessuno ha voluto… Chi abbandona questi bambini ha grandi difficoltà. Non ci sono strutture, anche le strade sono impraticabili e non abbiamo nemmeno le carrozzine adatte. Dopo il terremoto abbiamo avuto delle sedie a rotelle ed altri strumenti di

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sostegno, ma non potevamo usarli in strada perché avevano delle ruote piccolissime. L’unico posto dove possono muoversi con facilità è il nostro reparto che ha la pavimentazione adatta e si estende su un unico piano senza scale. Per le famiglie non è possibile. Ci sono delle famiglie che hanno più possibilità, hanno la macchina e portano in giro i bambini per le strade un po’ più accessibili. Abbiamo parlato di adozioni a distanza, e della possibilità di curare questi bambini in ospedali italiani. Ma cosa fa la Chiesa italiana per la popolazione di Haiti? Ci sono i missionari italiani, come il nostro istituto, gli Scalabriniani, un ordine che ha nasce in Veneto, che ci aiutano tanto. La Conferenza Episcopale Italiana invece aiuta la formazione dei seminaristi. Nella capitale, Port au Prince, dove si concentra la maggior parte delle attività, ci sono due grandi seminari,

uno di filosofia e uno di teologia. Qui i seminaristi fino a qualche tempo fa studiavano in modo quasi gratuito, perché era la CEI a pagargli gli studi. Per quanto riguarda le strutture sanitarie, la Comunità Europea, quindi indirettamente anche l’Italia, ha finanziato la costruzione di strade, alcuni lavori sono andati anche abbastanza avanti, ma non sono stati conclusi per mancanza di fondi… Si dice infatti che “i soldi arrivano ma non si sa dove vanno a finire”. E se un ischitano volesse aiutare con una donazione? Vi lascio i nostri conti correnti per chi volesse fare una donazione (li trovate alla fine dell’intervista). Noi non siamo autosufficienti, anche in campo seminario, siamo finanziati dall’Italia, abbiamo 8 padri camilliani haitiani, 3 che hanno già preso i voti e altri 4 che nel prossimo mese di settembre il prenderanno e una dozzina di ragazzi che hanno da poco iniziato il seminario. E una volta ricevuti i voti resteranno ad aiutarvi o andranno via? Noi lasciamo la missioni in mano ad Haitiani, facciamo da intermediari, curiamo la loro formazione, in modo tale che una volta pronti avremo dei nuovi sacerdoti haitiani pronti a diventare le nuove guide della missione. Questo perché possano responsabilizzarsi e diventare autonomi. Cosa si porta da Ischia ogni volta che riparte per Haiti? Il ricordo della mia famiglia che mi ha dato questa possibilità, ringrazio il Signore perché quando vengo trovo sempre accoglienza. Poi anche dal punto di vista economico porto molte offerte che io metto da parte per il nostro reparto di bambini disabili. Stiamo pensando a un nuovo programma di degenza, se riusciamo vorremmo tenere con noi i bambini durante la settimana e lasciarli vivere nelle famiglie durante il fine settimana, per non aggravare il carico delle loro mamme e delle loro famiglie che hanno tante difficoltà anche economiche nel mantenerli ed accudirli. Un pensiero su Papa Francesco Ha fatto una cosa significativa per

Haiti: il primo cardinale haitiano. Questo popolo non aveva mai avuto un cardinale, e nell’anniversario del terremoto Papa Francesco ha ordinato Chibly Langlois. La popolazione si è vista finalmente considerata e amata da questo papa che è vicino ai più bisognosi. È stato un segno concreto della sua benevolenza. Sia il papa che il cardinale sono molto amati dal popolo di Haiti. Se potesse lasciare un messaggio al clero isolano, cosa direbbe? Ai miei “colleghi” sacerdoti ricorderei l’attenzione all’altro, mettere di più l’accento sul servizio. Io non voglio esser giudice, ma a volte si ha l’impressione che i preti di Ischia siano delle persone un po’ “alte” anche se ce ne sono alcuni che sono a disposizione dei più piccoli. Gli raccomando di essere veramente attenti alla formazione dei nuovi sacerdoti, che sia più solida e che permetta di assumersi delle responsabilità in senso missionario. In questo la crisi vocazionale ha rovesciato un po’ la situazione, prima erano i sacerdoti della Chiesa di Roma che andavano nei paesi in via di sviluppo ad annunciare la buona novella, oggi sono quelli dei paesi poveri che vengono da noi a ricordarci la bellezza e l’essenzialità della nostra fede. È importante l’accoglienza agli ospiti che vengono per turismo, per dar loro un senso di fraternità, perché niente ci deve separare gli uni dagli altri. Carissimi confratelli, un affettuoso saluto e un augurio perché tutti possiamo sempre essere attenti alle necessità dei più bisognosi.

Se volete fare un offerta per la missione del nostro padre Crescenzo ad Haiti di seguito trovate due conti correnti. Nella causale dovete inserire la dicitura “Missione Haiti p. Crescenzo” Conto corrente postale n. 70170733 intestato a: Madian Orizzonti Onlus Conto corrente bancario presso Unicredit – IBAN IT22S02008010 46000101096394 intestato a: Madian Orizzonti Onlus


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Cultura 25 luglio 2015

Di Enzo D’Acunto

L'

ischitano di casa Adelphi, Andrej Longo,– negli stessi anni in cui il fenomeno Gomorra faceva discutere nel bene e nel male di sé e del suo giovane autore, – partoriva un libro asciutto ed essenziale che ha poi finito per aggiungersi a quella grande letteratura che ha fatto della città di Napoli, direttamente o anche solo indirettamente, il punto di riferimento e la fonte di un’inesauribile ispirazione e suggestione. Il libro di cui sto parlando è “Dieci”, la piccola silloge di racconti, – dieci per l’appunto, – in cui Andrej ha voluto dare rappresentazione della triste realtà dei fatti e della misera postura dei nostri giorni, rappresentando, quasi come in un breviario di flash infuocati, la triste legge di anime coinvolte e trafitte nel divenire caotico e infuocato di una periferia del mondo, che ben si presta quale paradigma di una legge universale comune a tutte le altre. E non è un caso, che tutti i suoi protagonisti appartengano ad un mondo di difficoltà e di miseria. Un mondo in cui la prospettiva di un futuro migliore viene non cancellata, ma impedita dal grigiore di palazzine ammassate senza un ordine preciso, ambienti afosi e desolanti dove il rumore di qualche sparo si perde nel fetido odore della delinquenza e della brutalità, terre di nessuno dove nulla è concesso e dove destini senza senso né possibilità si affollano sgomitando ed imprecando. Uno di questi poveri dannati, Papilù, completa il suo monologo con un’ espressione lapidaria ma incisiva: “questo siamo. Monnezza”. E monnezza è forse dire poco, se si pensa al destino di Saverio il tenore, che sale prima la ripida scala di un successo approssimativo e fittizio, per poi rotolarvi giù e finire prima corriere e poi, gradino ancora più basso, visitor, ovverosia, cavia prescelta per i singoli tagli di droga. I personaggi che Andrej abilmente ritrae, sono tragicamente e fatalmente spinti all’orrore, ma non perché ci sia in loro una qualche misteriosa macchia o condanna, ma perché tutt’intorno, null’altro pare possibile. Ciro ha solo tredici anni quando uccide la mamma malata terminale cedendo alle sue richieste, e Molletta, che a sedici anni gira in quartiere con un nome già alle spalle, per un briciolo di pensione accoltella un povero vecchio mettendolo in fin di vita. Si tratta, e chi ha letto il libro di Andrej lo sa, di dieci piccoli racconti che si rivelano immediatamente quali piccoli gironi danteschi, dove ogni protagonista ha già in sé la sua colpa e la sua condanna. Domenico Rea, che alla storia letteraria di Napoli tanto ha dato, in un suo scritto dal titolo “Le due Napoli”, cercando di fornire un’interpretazione della città tra ironia e provocazione e tentando di descrivere la natura dei suoi compaesani, convinti ciecamente di essere, sopra ogni altra cosa, quello che di loro è stato narrato e cantato, si sorprendeva del fatto che di

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Il terribile e impronunciabile volto delle cose

questa grande città, tutti i suoi più grandi interpreti, non avessero fatto altro che cullarsi intorno agli stereotipi più consolidati: la vita piena, il fatalismo sottomesso al capriccioso volere degli dei, l’allegria di alcune trovate e l’arte dell’arrangiarsi. Tutti aspetti che non hanno fatto altro che mistificare la reale natura, anzi, la terribile natura delle cose, che secondo Rea, se ben analizzata, avrebbe potuto condurre la Napoli letteraria a ben altre vette. È probabile che lo scritto dell’autore di “Spaccanapoli” abbia anche una finalità provocatoria e che certe cose siano eccessive, e basti su tutto, per ridimensionare un po’ le sue tesi, pensare alla poesia visionaria e trasfigurata di Anna Maria Ortese, ma resta tanto interessante, se pensiamo al “Paese della cuccagna” di Matilde Serao o alla “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo, narrazioni egregie dove la rassegnazione dei napoletani con il suo carico di angoscia finisce per cedere il posto a certe pose, certi sguardi e certe battute, – autentici stereotipi per l’occhio straniero, – che non fanno più piangere, bensì ridere. Se questo paradigma teorizzato da Domenico Rea ha certamente molto di fondato, bisogna dare atto, tuttavia, che negli ultimi anni qualcosa sembra essersi rovesciato, e il celebre libro di Roberto Saviano ne è ancora oggi la prova più alta. Ma non la sola, perché qualcosa del terribile volto delle cose, appartiene anche ai racconti di Andrej. La sua scrittura è così volutamente contenuta, quasi come se per certe cose mancassero le parole, ed è così oggettiva, fredda, fedele ai codici comuni, da non lasciare spazio ad equivoci di nessun genere, pur non dicendo mai tutto, come quando la quattordicenne Rosa decide di abortire clandestinamente, e il lettore intuisce solo lentamente che quel figlio è il frutto incestuoso delle violenze del padre. Se il racconto è come pensava Borges la forma d’arte letteraria più perfetta, Andrej ne è certamente un maestro, capace con la sua lingua realistica e minuta, di regalare al lettore brevi ma folgoranti parabole, che non solo si pongono quale rovescio dei dieci comandanti che Dio volle consegnare agli uomini per mezzo di Mosè, ma finiscono anche, per allestire un autentico abisso infernale, dove non pare esservi alcuna possibilità di salvezza. Dico pare, perché scavando in fondo, una salvezza c’è sempre, e per averne una conferma non bisogna andare poi tanto lontani. Basterà, infatti, pensare ad Enzuccio il pizzaiolo, che si sposta a Roma per lavorare, pagarsi il mutuo e crescere i figli, rinunciando a tanto ma non alla sua responsabilità o alla sua dignità di uomo, o magari, pensare al povero vecchio accoltellato da Molletta, che dopo essere scampato alla morte, decide di non denunciare, e non per paura, ma solo perché ben consapevole che certi destini sono già irrimediabilmente segnati dalla crudeltà di un mondo senza un briciolo di umanità.


Liturgia

17 25 luglio 2015

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Commento al Vangelo

Domenica 26 luglio 2015

Offrirsi come pane Di don Cristian Solmonese

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ari amici, anche in questa domenica la Chiesa ci fa assaporare delle pagine stupende, dove ognuno di noi può sentirsi rinfrancato, amato dal Signore. La pagina del Vangelo di oggi, insieme ad altre, è chiamata dagli studiosi “miracolo di donazione”; essa è un racconto importantissimo perché riportato da tutti gli evangelisti, che danno a questo brano sfumature diverse. Di questo racconto possiamo sottolineare tre sensi: il senso messianico, il senso ecclesiale e il senso eucaristico. Il senso messianico. L’episodio riecheggia il prodigio della manna caduta dal cielo. L’ambientazione è quella dell’esodo: essi sono in un luogo deserto circondati da una gran folla sprovvista di cibo. Come Mosè si prende cura del popolo, Gesù lo accoglie con cura avendo compassione e guarendo i suoi infermi. Nel banchetto che Gesù allestisce per il popolo si compiono le promesse messianiche che abbiamo sentito nella prima lettura

dal profeta Isaia: l’invito a mangiare e a bere gratis nel banchetto dell’ultimo giorno si rende visibile nel gesto di Cristo che sfama le sue folle. Queste caratteristiche ci dicono che Gesù è il nuovo Mosè poichè dà il pane al suo popolo. Non quello che perisce, ma il pane che dà la vita, un pane che sazia la fame spirituale di ogni vivente. Il senso ecclesiologico. Il brano del Vangelo presenta un significato ecclesiologico: i discepoli hanno un ruolo fondamentale: sono coloro che hanno il pane e i pesci, sono coloro che fanno sedere il popolo, sono coloro che distribuiscono su comando di Cristo il pane e i pesci. È quello che oggi fa la Chiesa con i suoi ministri. Il discepolo, come ognuno di noi, è chiamato a diventare distributore di cibo, cioè donatore della Parola che salva e del cibo che dà la vita, l’Eucarestia. I discepoli fanno da mediatori, offrendo cinque pani e due pesci. L’offerta di tutto quello che hanno li rende distributori per il regno. Il pane della generosità, il pane della disponibilità, il pane dell’amore, il

pane della testimonianza, il pane della loro vita. Queste sono le caratteristiche di coloro che si reputano discepoli e noi dovremmo chiederci: di che pane siamo fatti? Qual è il nostro pane? Di che pasta siamo fatti? Buona, insipida, secca, pane vecchio e duro buono solo per gli animali? Pochi pani e due pesci, tutto quello che sanno offrire, ma a Gesù basta per trasformarli in salvezza per tutti. Il dono più grande che i discepoli possono offrire è il dono della loro vita per mettersi a disposizione completamente. Il senso eucaristico. Il brano chiaramente si rifà ad un contesto eucaristico e Gesù più volte chiarirà il senso di questo pane fino al culmine nell’ultima cena dove il pane sarà il suo corpo. Questo brano sembra proprio il racconto della celebrazione della Eucarestia. La folla si reca in disparte con il Cristo come anche noi ci riuniamo la domenica; la folla è ammaestrata e guarita da lui come noi ascoltiamo la sua parola; e vengono offerti cinque pani e due pesci come al momen-

to dell’offertorio, quando offriamo il pane e il vino per farli diventare il corpo e sangue; e infine egli sazia per mano dei discepoli la folla come anche noi , per le mani dei sacerdoti, siamo nutriti del suo corpo e del suo sangue. Da questi pensieri dovrebbe nascere il nostro modo di partecipare all’eucarestia. Quanti sbuffamenti oppure non mi piace. Perché? Perché non abbiamo capito niente. C’è bisogno di un cammino di conversione, dobbiamo ricominciare daccapo, ma se il cuore non vuole, invano servono gli sforzi. Allora chiediamoci: quali sono i pani che offriamo, ci crediamo che siamo sfamati da lui? Crediamo nelle mani dei sacerdoti che ci distribuiscono il corpo di Cristo? Come ricevo la comunione? Mi interessa l’appuntamento domenicale? So riscoprire la domenica come luogo per riunirsi e celebrare il Signore morto e risorto con tutti come se fossimo una famiglia unica? Signore donaci di gustare ancora di più in questo tempo di riposo il pane che ci doni ogni domenica! Buona domenica!

La chiesa è comunità se si avvicina agli ultimi Di Ordine Francescano Secolare di Forio

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cristiani devono avvicinarsi e tendere la mano a coloro che la società tende a escludere, come fece Gesù con gli emarginati del suo tempo. Questo rende la Chiesa una vera “comunità”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa in Casa Santa Marta il 26 giugno scorso. Il primo a sporcarsele è stato Gesù, avvicinando gli esclusi del suo tempo. Si è sporcato le mani toccando i lebbrosi, per esempio, guarendoli. E insegnando così alla Chiesa “che non si può fare comunità senza vicinanza”. La carità che Dio ci dona e che abita in noi ci rende attenti alle situazioni

di povertà in cui versa gran parte dell’umanità: sono situazioni le cui cause implicano spesso una chiara ed inquietante responsabilità degli uomini, anche la nostra. Con la Parabola del Buon Samaritano Gesù ci fa capire che le persone povere, quelle colpite dalla violenza e dalla cattiveria umana che giacciono ferite lungo la via sono il nostro prossimo, i nostri fratelli: noi come ci dobbiamo comportare con loro? Facciamo finta di non vederli e andiamo avanti interessandoci solo di ciò che ci interessa e ci colma di soddisfazione o ci possiamo fermare, dando tempo, attenzione, soldi, rischiando anche qualcosa.

Quello che ci dice Gesù è chiaro: “Va e anche tu fa lo stesso” (Lc 10,37). San Francesco ci dona un grande esempio di bontà quando abbraccia il lebbroso riconoscendolo fratello e con lo stesso amore cura i tanti lebbrosi che vivevano nei dintorni di Assisi. Il fervore di carità che infiammava San Francesco, amico dello Sposo, lo faceva diventare simile ad un carbone ardente, tutto divorato dalla fiamma dell’amore divino. Il «fervore della carità» è stato come l’alimento più fecondo che ha vivificato la sua umile esistenza. «L’uomo pieno di Dio» (Leg M 13,2: 1224) si lasciava avvolgere

da fiamme di carità che si espandevano in un incendio indistruttibile, per cui egli divenne «tutto assorbito nell’amore di Dio» (Spec 113:1813). «Dal principio della sua conversione sino alla fine sempre crebbe, come fuoco, nell’ardore dell’amore…» (Ub 1.5,c.4:2076). L’esperienza serafica di San Francesco viene rivissuta e integrata dai primi compagni e futuri seguaci. Le Fonti storiche affermano che i primi francescani «erano unanimi nell’amare Dio e il prossimo» (Legp 75:1629) e «tanto ardeva in essi il fuoco della carità, che avrebbero dato volentieri la vita l’uno per l’altro…» (Anp 25: 1516).


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BIBLE WORKS - Una parola per la Bibbia 25 luglio 2015

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STUDI BIBLICI

I primi santuari di Israele: i santuari dei patriarchi Di don Cristian Solmonese

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arissimi, dopo aver tracciato nel precedente articolo le linee comuni dei santuari dell’antico testamento, in questo articolo vogliamo individuare i vari santuari dell’epoca dei patriarchi. La Bibbia afferma la loro esistenza. Tali santuari corrispondono alla situazione sociale dei patriarchi pastori (sorgono ai limiti delle terre coltivate) e che in seguito perdono importanza; non corrisponderebbero a quella situazione se fossero retrodatati dalla Bibbia. Di seguito i principali santuari dell’epoca patriarcale. a) Sichem: Abramo si ferma al maqôm (= luogo sacro), ove si trova la quercia di Moreh; dopo l'apparizione edifica l'altare. Qui ci sono gli elementi tipici del racconto di fondazione di un santuario: teofania, messaggio divino, costruzione di altare (Gen 12,6-7). Il santuario di Yahveh subentra a quello cananeo e lo sostituisce. In seguito la tradizione elohista vi nota la presenza di Giacobbe; questi chiama l'altare che egli vi edifica “El, Dio di Israele” (Gn 33,18-20). In seguito, sotto “la quercia che è in Sichem” seppellisce gli idoli di famiglia (Gn 35,4); anche la conclusione di alleanza e rifiuto degli idoli in Gs 24,21-26 avviene lì. Giosuè eresse una “grande pietra”, come testimonianza del patto “sotto la quercia che è nel santuario

di Yahveh” (è l'albero di Abramo e di Giacobbe). Anche la proclamazione di Abimelek come re avviene presso la “quercia” di Sichem (Gdc 9,6). Forse da porre in questo santuario anche l'evento di cui si parla in 1Re 12,1-19 (Roboamo e le tribù del Nord). Poi Sichem scompare come santuario; il Deuteronomio non conosce neppure il nome, pur nominando luoghi attorno, Ebal e Gerizim (Dt 11, 26-32; Gs 8,30-35). b) Betel: attuale Beitin, tre chilometri a NE di Ramallah. Secondo Gn 12,8 (tradizione yahvista) Abramo edificò l'altare in un luogo tra Betel e Ai (identificazione: Burj el-Beitin); però la parte maggiore è attribuita a Giacobbe (Gn 28,1022: tradizione yahvista ed elohista). Giacobbe si ferma al maqôm! Vede in sogno la scala (ziqqurat), erige la massebah, la unge con olio, fa voto

di pagare la decima, vi ripassa in Gn 35,1-9.1415 al ritorno dalla Mesopotamia. Quindi a Betel vi era un santuario patriarcale ove si andava in pellegrinaggio, si ungeva una stele e si pagava la decima; pellegrinaggio in 1Sam 10,3; decima in Am 4,4. Per Gdc 20,18.26-28; 21,2 Israele si riuniva a Betel “davanti a Yahveh”, offriva sacrifici, consultava Dio. Per un certo tempo vi stette l'Arca. In seguito la fortuna di Betel-santuario fu promossa da Geroboamo I. Importante notare per Betel: El (= dio) era il capo del panteon cananeo (il dio “Betel” in Ger 48,13); ma Giacobbe ha inteso El come il suo Dio che gli si era manifestato. Anche a Betel il culto di Yahveh ha sostituito quello di una divinità dei cananei. c) Mambre: Abramo edifica un altare sotto la quercia; così nei LXX (invece il TM ha il plurale querce). Qui avvengono due teofanie, una con la conclusione dell'alleanza (Gn 15) e una con l'apparizione di tre personaggi, tra i quali si trova Yahveh. Fuori dalla Genesi è assente Mambre dalla Bibbia. Testi molto tardivi (Giuseppe Flavio ecc.) ci informano sulla permanenza del culto. Il silenzio biblico, a proposito di Mambre, si potrebbe spiegare con la presenza di un culto illegittimo. Sembra che nella stessa Genesi vi siano elementi che sviano l'attenzione da


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Mambre: il plurale querce del Testo Masoretico; la sua localizzazione è sfumata; anzi un testo tardivo della tradizione sacerdotale (Gn 23,19) identifica Mambre con Qiryat Arba = Hebron. In realtà si trova a tre chilometri a nord di Hebron. Ora il sito è chiamato Haram Ramet el-Halil. d) Beer Sheba: nella zona della città attuale “pozzo del giuramento” o “pozzo dei sette” (Gn 21,22-31; 26,33). Il santuario è attribuito ad Abramo che vi pianta un tamarisco e vi onora Yahveh El-Olam = Dio dell'eternità (Gn 21,33). Meglio testimoniata la parte di Isacco (Gn 26,23-25): teofania, messaggio, edificazione di altare. In Gn 46,1-4 teofania a favore di Giacobbe. El-Olam sembra proprio il nome della divinità cananea di cui Yahveh prese il posto. Il santuario è supposto più tardi, data la presenza dei figli di Samuele come Giudici (in 1Sam 8,1-2; 7,1617 Samuele “giudica” Israele in vari luoghi di culto). Per Am 5,5 Beer Sheba è luogo di pellegrinaggio, dove (Am 8,14) si presenta giuramento. Amos interviene per condannare, come fa con Gilgal, Betel, Dan e Samaria. Conclusione: erano santuari venerabili quelli dei Patriarchi, ma ad un certo momento della loro storia la religione yahvistica ne ha riprovato il culto; da qui le scarse notizie intorno alla loro storia posteriore. Si può dire che il culto svolto in essi continuava quello dei cananei. Le divinità originarie si chiamavano El-Betel, El-Olam. A Mambre forse era venerato El-Shaddai (per la prima volta in Gn 17,1; il cap. 17 è della tradizione più recente, la sacerdotale). Per Sichem, città dove si concludevano le alleanze, si può pensare a El-Berît (= dio dell'alleanza; Gdc 9,46), parallelo a Baal Berît che in Sichem aveva un tempio; Gdc 9,4 e anche Gdc 8,33 di tradizione deuteronomistica (rimprovero ad Israele per aver accolto Baal Berît). I testi di Ugarit hanno dimostrato che queste divinità non erano piccoli dei locali, ma erano manifestazioni del dio supremo El, dio eccelso e universale. Nei primi tempi della rivelazione gli antenati di Israele hanno riconosciuto in El il loro Dio unico e vivo, autore delle promesse; si ricordi “El, Dio d'Israele” (Gn 33,20). Anche “El, il Dio di tuo padre” apparso a Giacobbe a Beer Sheba è nominato in Gn 46,3. Qui abbiamo un notevole esempio di assimilazione biblica. Secondo Es 6,3 Yahveh si è manifestato ai patriarchi col nome di El-Shaddai, tradotto nella Bibbia CEI con “onnipotente”. Nel periodo seguente la religione di Israele, animata dall'opera di Mosè, si è fatta più esigente, pretendendo di più: Dio, dal nome Yahveh, subentrò ad El e ne prese gli attributi. La devozione popolare rimase attaccata ai vecchi santuari anche se questi furono messi a poco a poco in ombra dai nuovi santuari in cui si adorava Dio col nome Yahveh. Il passaggio si fece in modo pacifico; non così invece è avvenuto il confronto per opera dei profeti, tra il culto di Yahveh e quello dei vari Baal. (continua)

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SPIRITUALITÀ BIBLICA

Un tema teologico: l’AT come sfondo al racconto della passione

Di diac Giuseppe Iacono

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opo aver visto come uno scritto del NT, il Vangelo di Giovanni, usa l’AT, vorrei proporre un tema di teologia biblica che mostri la presenza e l’uso dell’AT nel NT. Gesù non spiega l’AT senza trasformarlo. La sua morte seguita dalla sua resurrezione come opera il passaggio alla nuova alleanza così realizza anche la trasfigurazione di quel libro dove l’antica era insegnata. Origene era arrivato a questa osservazione: “Prima dell’evento di Cristo, la Legge e i Profeti non avevano ancora dato l’annuncio di quel che è chiaramente definito nel Vangelo, perché chi doveva chiarire i loro misteri non era ancora venuto. Ma quando arrivò il Salvatore e diede un corpo al Vangelo, allora attraverso il Vangelo fece sì che tutto fosse simile al Vangelo”. E questo significa che Gesù ha dato senso all’AT non tanto con le sue parole quanto con la sua storia, con il fatto della sua vita e più ancora della sua morte. Per capire l’AT, non mi stancherò mai di dirlo, bisogna partire da Gesù: è l’unica strada. Gesù Cristo ha realizzato con la sua vita, morte e resurrezione la salvezza promessa dai profeti. Alla luce della storia di Gesù tutte le promesse dell’AT acquistano un loro preciso significato. Le profezie perdono ogni loro ambiguità. Certo Gesù rifiuta tutti quegli aspetti del futuro mediatore escatologico di salvezza che indicavano una potenza solo temporale. Egli realizza profezie che sembrano inconciliabili e le supera in una sintesi esistenziale imprevista. Le supera in modo particolare durante la sua passione che porta il marchio divino. La passione infatti rivela la persona e l’opera del Figlio di Dio. Il testo di Mc 14,49 suona così: “Ogni giorno ero in mezzo

a voi ad insegnare nel tempio e non mi avete arrestato. Si adempiano dunque le Scritture!”. È una parola di Gesù che risuona proprio al centro del racconto e indica come tutta la passione è sotto il segno del compimento. Quello che viene fatto è dunque un riferimento globale a tutte le Scritture, al di là di ogni singola citazione. La passione di Gesù è il compimento delle Scritture. Forse un ricorso esplicito all’AT lo troviamo solo in Mc 15,28 e in Mc 14,27. Scorrendo il racconto della passione nel Vangelo di Marco, ci accorgiamo che l’AT è citato talora fedelmente senza una introduzione come in Lc 15,34 (Sal 22,2); talora in modo più libero come in Mc 14,62, dove troviamo due testi uniti: Sal 110,1 e Dn 7,13. Altre volte il racconto usa espressioni dell’AT, come nell’episodio della divisione delle vesti (Mc 15,24), degli insulti (Mc 15,29), dell’aceto (Mc 15,36), oppure allusioni meno esplicite, come nel silenzio di Gesù di Mc 14,61 (in relazione ad Is 53,7). Ma è tutto il racconto evangelico della passione che ha come sfondo l’AT, il quale mostra il significato religioso dell’evento e il suo posto nella storia della salvezza. Sono tanti i filoni e le tradizioni dell’AT che convergono nel racconto della passione e trovano in esso una sintesi straordinaria. È su questi temi e su queste tradizioni che mi soffermerò nei prossimi articoli: la tradizione messianica (il Figlio di Davide); la tradizione apocalittica (il Figlio dell’Uomo); la tradizione del giusto sofferente; la tradizione profetica (il Servo del Signore); la tradizione del tempio. L’evento della passione dà il senso ultimo a queste tradizioni, anzi a tutto l’AT e ne mostra la piena realizzazione. (continua)


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Parrocchie 25 luglio 2015

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PARROCCHIA S.MARIA LA PORTA – DECANATO DI BARANO SERRARA FONTANA

Padre Pietro in visita a Piedimonte Di Giuseppe Conte

«S

iate collaboratori del Signore, affinché altri lo abbiano a conoscere». È con questa esortazione che, domenica scorsa, S.E. Pietro Lagnese, Vescovo di Ischia, ha salutato i sette ragazzi che hanno ricevuto il sacramento della Cresima nella Chiesa di Piedimonte. Una serata tutta particolare, quella vissuta dalla comunità retta dal parroco Don Luigi Trani: oltre a celebrarsi la Confermazione, si è festeggiato il primo anniversario della dedicazione della Chiesa di Santa Maria La Porta. Il 19 luglio 2014, difatti, l’edificio di culto fondato nel 1756 e divenuto parrocchiale nel 1920, riapriva al pubblico dopo i lavori di ristrutturazione. Nella sua omelia Padre Pietro ha sottolineato l’importanza della messa domenicale per ringraziare il Signore, nonostante le nostre pecche quotidiane. «Gesù si accorge di quello di cui gli altri non si accorgono – ha detto Sua Eccellenza -. A volte siamo distratti, così presi dai problemi che non ci accorgiamo delle difficoltà degli altri, dei momenti di stanchezza. Chi ama, invece, è attento ed è in grado di cogliere anche ciò che appare invisibile. Capita di sentirsi scoraggiati, stanchi, non solo fisicamente. E non ce la facciamo ad avere ancora pazienza. Ed è allora che Gesù ci dice: “È il momento che tu venga con me”». Rivolgendosi ai sette cresimandi, Padre Pietro ha avvertito: «Non sarà facile essere cristiani: in parte ve ne sarete già accorti, in parte ve ne accorgerete. Come si fa a ripartire nell’essere cristiani? Andando con Lui. Il Signore ci dice: “Venite!”. Per questo la domenica dovrebbe essere il giorno in cui ci fermiamo, ci riposiamo, ci ritempriamo stando vicino al Signore. Il giorno in cui ci mettiamo di nuovo a far parlare Lui, per ricapire chi siamo, per ricomprendere cosa dobbiamo fare, qual è la nostra vocazione. Per evitare di rischiare di perdere tempo, di fare le “trottole”, di fare tanto movimento restando però sempre allo stesso posto, senza avanzare mai». E ancora: «Questa sera state compiendo il vostro ultimo atto di

«Gesù ci dice: fermatevi e venite con me». Ad un anno dalla dedicazione della chiesa, sette ragazzi ricevono la cresima.

iniziazione cristiana. Se volete essere cristiani che camminano, che vanno lontano e che non si fermano dietro l’angolo, allora dovete avere l’umiltà di dire: “Signore, ho bisogno di fermarmi. Di stare con Te”. Così come fatto con gli Apostoli, il Signore vi coinvolge in una missione, che è quella dell’annuncio del Vangelo. Una missione bella, perché il Vangelo è questo: portare la salvezza a coloro che sono come pecore senza pastore. Perché tanti giovani come voi vivono così, a causa di una vita sballata, senza senso, senza Gesù». Giorgio, Vincenzo, Luca, Laura, Carmen,

Camilla e Nicole sono i sette ragazzi che hanno ricevuto la Cresima. «Non pensavo di emozionarmi così tanto – ci racconta Giorgio -, porterò sempre con me il ricordo indelebile delle persone che hanno condiviso questo percorso assieme a me e delle serate trascorse insieme. Per un attimo abbiamo messo da parte le cose mondane e ci siamo fermati, proprio come ci ha suggerito Padre Pietro». Racconta Laura: «In questi mesi abbiamo acquisito la consapevolezza che Gesù ci ama intensamente ed è in ognuno di noi. La celebrazione è stata un qualcosa di indimenticabile. Ciò

che mi ha colpita di più – prosegue Laura - è la dolcezza del Vescovo, che ci ha messi a nostro agio facendoci sentire tranquilli anche in un momento in cui l’emozione avrebbe potuto divorarci». Dice Alessandra, che ha curato la preparazione dei ragazzi: «È stato un percorso di unione e condivisione iniziato tanti mesi fa con la gioia di accompagnare i nostri ragazzi alla scoperta della Cresima, ovvero la conferma della loro Fede in Gesù. Intensa – continua Alessandra – è stata l’emozione della celebrazione. La presenza del nostro Vescovo Pietro ha fatto sentire ancor di più Gesù Buon Pastore in mezzo a noi». Bella la storia di Luca, il più giovane dei cresimati: quindici anni, americano del Connecticut, è arrivato in parrocchia una decina di giorni fa attraverso una sua zia ischitana e, dopo aver svolto il corso di preparazione negli Stati Uniti, ha concluso a Piedimonte il suo ciclo di Iniziazione Cristiana. Durante la celebrazione, seguita da una piccola festa sul sagrato della chiesa, c’è stata anche la preghiera per il prossimo Sinodo per la Famiglia.

PARROCCHIA DI S.MARIA DEL CARMINE - DECANATO DI BARANO SERRARA FONTANA

SERRARA IN FESTA Di giovani di Serrara

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nche quest’anno si sono svolti i solenni festeggiamenti in onore della Madonna del Carmine e di San Vincenzo Ferreri nella Parrocchia di Serrara Fontana. Domenica 5 luglio, tra la commozione di tutti i presenti, c’è stata l’intronizzazione delle statue. Dal 6 luglio si sono vissuti nove giorni intensi di preghiera, con il Santo rosario quotidiano, la novena e la santa Messa. Il 10 luglio era il giorno di preghiera per i malati nel corpo e nello Spirito, con il sacramento dell’unzione degli infermi, amministrato durante la S. Messa Vespertina. Domenica 12 invece il giorno dedicato alle vocazioni. Durante l’adorazione eucaristica abbiamo pregato il Signore affinché custodisca per lunghi anni il parroco don Angelo Iacono. Abbiamo poi chiesto la grazia di nuovi sacerdoti e nuove consacrate. A conclusione della Messa, un piccolo momento di festa in famiglia, in occasione dei 51 anni dall’ordinazione sacerdotale di don Vincenzo. I fedeli hanno accolto gioiosamente Don Cristian Solmonese, il quale ha vissuto diversi anni della sua formazione tra i fedeli di Serrara e ha lasciato in tutti uno splendido ricordo di sé. Egli ha spezzato la Parola di Dio ed ha accompagnato tutti alla scoperta di San Vincenzo ed ha spiegato come mettere in pratica i suoi insegnamenti. Lunedì 14 e martedì 15 si sono svolte le processioni per le strade del paese, con la benedizione delle vigne, del cimitero, del mare e di tutti i

lavoratori. Mercoledì, vigilia della Madonna del Carmine in piazza c’è stata la festa del contadino con fagiolata e bruschettata, lo spettacolo del corpo di ballo “La Magia della Danza” di Mary Sportiello e lo Showman Luca Sepe. Giovedì 16, Solennità della Madonna del Carmine, lo Sparo della Diana e il suono festoso delle campane hanno dato inizio alla giornata più importante della festa. Alle ore 21, in piazza, si è tenuta la solenne concelebrazione presieduta dal Parroco insieme a Don Vincenzo Fiorentino, Don Agostino Iovene e Don Cristian. La celebrazione è stata animata dal coro parrocchiale insieme a quello di Fontana Al termine della funzione, lo spettacolare incendio del Campanile, che a malincuore ha sancito la fine della festa, molto partecipata dai fedeli. L’augurio più sincero è quello che le nuove generazioni continuino a tramandarsi la devozione per la Madonna del Carmine e San Vincenzo Ferreri e tengano sempre viva la loro fede.


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Parrocchie

25 luglio 2015

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PARROCCHIA S.MARIA ASSUNTA – DECANATO DI ISCHIA

Sotto il manto della Mamma del Carmelo Di Silvia Pugliese

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l grande caldo di questo luglio ci sta mettendo a dura prova…ma c’è una cosa che il caldo non può fermare: l’amore. Ed è stato proprio così, anche quest’anno, in tanti hanno partecipato ai festeggiamenti in onore della Madre del Carmelo ad Ischia. Il programma è stato del tutto nuovo, a partire dalla messa “per i cari figli in paradiso” dove abbiamo ricordato insieme alle loro famiglie, tutti i giovani che ci hanno lasciati prematuramente. L’intera comunità si è stretta come in un abbraccio intorno alle famiglie, condividendo il loro dolore. Le mamme hanno portato all’altare una candela accesa che simboleggia quella luce che il Signore vuole che rimanga sempre accesa e alla fine la comunità intera ha salutato questi nostri angeli, lasciando volare verso il cielo i pal-

loncini con il loro nome.Significativa è stata la giornata “per la vita”, in cui abbiamo pregato per tutti i crimini contro la vita, e per tutte le famiglie sofferenti, per i bambini malati, per le coppie sterili, per quelle che intraprendono percorsi di adozione, per chi si rivolge alla fecondazione assistita, per chi si rende responsabile di aborto. Que-

sto tema in particolare è stato ripreso, dopo messa, dal “rosario per i bambini non nati”, recitato con fede e commozione, nella speranza, come ha promesso la Madonna, Madre della Vita, che per ogni Ave Maria, verrà evitato un aborto. Ma non sono mancati anche i momenti più leggeri come la serata del bingo, che è sempre tanto partecipata

PARROCCHIA DI SAN VITO MARTIRE – DECANATO DI FORIO

64 Anni di sacerdozio di mons. Giuseppe Regine Di Dina Verde

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rande festa nella contrada di San Vito a Forio: nella Basilica Pontificia si ringrazia il Signore per i 64 anni di sacerdozio del nostro Parroco, Mons. Giuseppe Regine. Una Messa solenne dolcissima e commovente, cantata e suonata da maestri e da cantori che, più che con la voce, cantavano con il cuore. Ma chi è Don Giuseppe? Egli nasce da gente umile 86 anni fa. Si laurea a 23 anni ed insegna nel seminario di Posillipo per 18 anni. Nel ‘68 arriva alla Chiesa di San Carlo – contrada Cierco – e nel ‘69 viene nominato Parroco della Chiesa di San Vito. Annovera tra i suoi discepoli cardinali, vescovi, canonici, diaconi, catechisti, ministranti, laici in cammino e buoni cristiani. Don Giuseppe è una bella persona, che ha sempre goduto, nonostante un’infanzia difficile, di buona salute. Forte e imponente nella presenza, mai superficiale nella sua condotta, è irremovibile nel suo carattere, ma anche generoso, umile e caritatevole nel perdonare le offese, sempre obbediente ai suoi superiori, mai interessato alla “carriera” e agli encomi. Calmo e sorridente, infonde forza e coraggio ai potenti e ai semplici, che affollano la sacrestia. Conversare con lui ti arricchisce perché il nostro Parroco parla con tutti con parole gioviali e semplici, che nulla hanno da invidiare per contenuto a tanti discorsi forbiti ma

incomprensibili a tanti. San Vito, sotto la sua guida, è divenuta la parrocchia “del fare”, fucina di giovani che lì scoprono di avere talenti diversi, imparano cos’è l’amore e la carità, il rispetto degli anziani e la loro saggezza e, mentre da loro apprendono la tradizione, a loro regalano la freschezza della loro gioventù. Il popolo di San Vito – e dell’intera Forio – molto deve a Don Giuseppe, grande educatore, che ha insegnato a tutti che cos’è la famiglia, che vuol dire essere parrocchia, che ha predicato il Vangelo in ogni momento della sua vita, che ha insegnato – ed insegna tuttora – a comprendere l’amore di Dio. Don Giuseppe, da molte generazioni, ha reso la sua parrocchia la casa di tutti: dei piccoli, dei giovani, degli anziani, delle comunità neocatecumenali, dei parrocchiani semplici e di chiunque voglia essere Chiesa che predica la Parola di Dio, Chiesa libera ed “in uscita”, parrocchia moderna. Mons. Regine, afflitto da mali dovuti alla sua età, non si arrende, ma continua il suo cammino e i suoi insegnamenti volano, le sue parole sono punti fermi nelle nostre vite, i suoi giovani sono i suoi apostoli e le sue colonne. Grazie, Don Giuseppe! Ti siamo grati per tutto e preghiamo il Signore perché possa donarti ancora molti giorni di vita felice e prosperità, sempre alla sequela di Gesù alla nostra guida.

perché si respira sempre un’inspiegabile aria di famiglia, quest’anno con una saporita novità: la possibilità di gustare un ottimo panino con la porchetta! E nel giorno della festa della Madonna, dopo aver portato la statua della Madonna in processione, il nostro Vescovo ha celebrato la Santa Messa nel giardino della Torre di Michelangelo. Padre Pietro ci ha fatto notare come “la bellezza del luogo ci deve ricordare la vocazione a coltivare la bellezza, a sentirci attratti ad avanzare verso la meta, verso la montagna. Il profeta Elia - ricordava Padre Pietro - sul monte Carmelo sfidò i culti idolatrici che avevano fatto ingresso nel popolo di Israele, la devozione al Monte Carmelo, diffusissima soprattutto a Ischia, è un baluardo fortissimo per contrastare le idolatrie di ieri e di oggi”. Finita la celebrazione, una pioggia di stelle scendeva dalla Torre e illuminava la statua della Madonna, sulle note di “Maria, siamo tutti tuoi e vogliamo amarti”. Al termine della canzone, i fedeli sembravano non voler lasciare quel luogo dove si era sentita tanto forte la presenza di Maria. A conclusione di questi festeggiamenti, tutte le realtà della parrocchia - giovani, bambini, mamme e catechiste - hanno preparato una serata divertente, con la tradizionale Sagra della Parmigiana, tanti momenti dedicati alla Madonna, e tante testimonianze di vita di famiglia per rendere grazie a Lei, che gioisce, quando vede i suoi figli quanto si amano. Grazie Maria, perché sotto il tuo manto ci sentiamo protetti e sereni anche nelle difficoltà della vita! Andrea Di Massa



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DULCIS IN

25 luglio 2015

FUNDO

Un’alternativa low cost alle costose e inquinanti centrali a gasolio che alimentano le piccole isole italiane. I comuni dell’isola potranno reperire i fondi europei per realizzare questo tipo di impianto

Energia dalle onde del mare Di Lorenzo Russo

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inalmente inizia a svilupparsi l’ipotesi di sfruttare il mare per produrre energia pulita per il fabbisogno della collettività. Enea nei giorni scorsi ha presentato il Pendulum Wave Energy Converter (PEWEC), una tecnologia smart e low cost per produrre energia dalle onde del mare. Un’idea tutta italiana visto che il Belpaese ha 8000 km di coste. Il progetto consiste in un sistema galleggiante molto simile a una zattera da posizionare in mare aperto, in grado di produrre energia elettrica sfruttando l’oscillazione dello scafo per effetto delle onde. Il prototipo è frutto della collaborazione con il Politecnico di Torino, nell’ambito dell’Accordo di programma tra Ministero dello Sviluppo Economico ed Enea sulla Ricerca di Sistema Elettrico. Il lavoro fra i due partnership prosegue con la realizzazione del dispositivo con una potenza nominale di 400 kW. I vantaggi sullo sfruttamento dell’energia dalle onde sono tanti, rispetto all’eolico e al fotovoltaico: innanzitutto c’è un basso impatto ambientale e visivo, una minore variabilità oraria e giornaliera e una variazione stagionale favorevole, visto che il potenziale dell’energia dalle onde è più alto in inverno quando i consumi energetici sono massimi. Intervenendo al convegno “Energia elettrica dal mare” dov’è stato presentato il prototipo, Gianmaria Sannino, responsabile del laboratorio Enea di modellistica climatica e impatti, ha ribadito che «questo sistema di produzione di energia dal mare è particolarmente interessante per le tante isole italiane, dove la fornitura di energia è garantita da costose e inquinanti centrali a gasolio. Una decina di questi dispositivi – ha aggiunto – possono produrre energia elettrica per un paese di 3.000 abitanti, contribuendo in modo significativo anche a contrastare i fenomeni di erosione attraverso la riduzione dell’energia delle onde che si infrangono sulla costa, senza impattare in maniera significativa su flora e fauna marine. In Italia sta crescendo l’interesse per la produzione di energia pulita e rinnovabile da onde e maree e secondo il Piano d’azione nazionale per le energie rinnovabili dovremmo installare una potenza di 3 MW di questo tipo di impianti entro 2020». In Europa l’Enea partecipa al programma congiunto di ricerca sull’energia dal mare JP Marine Renewable Energy, proposto dalla European Energy Research Alliance (EERA). Lo sfruttamento dell’energia dal mare è tra le priorità della Commissione europea per lo sviluppo della Blue Economy: per 2014-2020 è stato presentato un piano di azione con l’obiettivo di raggiungere una potenza installata di 3,6 GW entro il

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EDICOLE DOVE POTER ACQUISTARE 2020 e di 188 GW al 2050. Quindi sta adesso ai comuni e alle regioni sfruttare i fondi europei per questo tipo di progettazione green. Le isole del golfo di Napoli potrebbero trarne grandi vantaggi, vista la posizione geografica. Il dott. Sannino ha fatto anche notare che «con i suoi 8.000 km di coste l’Italia possiede un importante potenziale di energia associata al moto ondoso, paragonabile a quello presente sulle coste orientali del Mare del Nord. La costa occidentale della Sardegna, ad esempio, ha un valore medio annuo del flusso di energia di circa 13 kW/metro, mentre quello del nord-ovest della Sicilia si aggira intorno ai 10 kW/metro».

Comune di Ischia Edicola di Piazza degli Eroi; Edicola di Ischia Ponte; Edicola al Bar La Violetta; Edicola di San Michele da Odilia; Edicola di Portosalvo Comune di Lacco Ameno Edicola al Bar Triangolo Edicola Minopoli sul corso Comune di Casamicicola T. Edicola di Piazza Bagni; Edicola di Piazza Marina; Comune di Forio Edicola del Porto; Edicola di Monterone



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