Karpos
Karpòs alimentazione e stili di vita
Anno II - N° 3 Aprile/Maggio 2013 - Copia gratuita online
w w w. k a r p o s m a g a z i n e . n e t
AGRICOLTURA OGGI
KIWI IV GAMMA CARCIOFO FINOCCHIO
ALIMENTAZIONE DOMANI
CIBI SALUBRI
AMBIENTE RURALE E PAESAGGIO
BIRMANIA
ARTE E NATURA
SETUP
STILI DI VITA
MCS
CIBO E SALUTE
EDITORIALE
Cibo e salute
Renzo Angelini Direttore editoriale
P
otrà sembrarvi una banalità ma il cibo rappresenta l’occupazione per eccellenza di ogni organismo vivente. Prima di dedicarsi ad altre attività ogni essere vivente deve dotarsi di una quantità sufficiente di energia per potersi mantenere attivo. Evidentemente noi abitatori del terzo millennio possiamo giocare a dimenticarci delle informazioni di base legate alla realtà del nostro corpo. Ma solo se abitiamo nella parte giusta del pianeta. Infatti malgrado i nostri straordinari progressi tecnologici per gran parte della popolazione in interi continenti il procacciamento del cibo necessario a vivere è ancora la principale occupazione quotidiana. Ma c’è un ulteriore aspetto che dovrebbe preoccuparci. Il nostro organismo non ha un bisogno generico di cibo/energia; un organismo efficiente deve incrociare il problema del cibo con il problema della salute. In sintesi abbiamo bisogno di energia che preservi il nostro benessere. Altrimenti, è solo questione di tempo, perdiamo di efficienza. Che cosa possiamo dedurre da questi assiomi della vita che tutti conosciamo? La risposta è semplice. Dobbiamo produrre il nostro cibo pensando a priori che i modi con cui l’otteniamo debbano rispettare gli assiomi sopraesposti. Come mai allora ci troviamo in costante emergenza? Come mai il dibattito sul cibo, sul come lo produciamo è così polarizzante? Perché nel terzo millennio sono aumentate a dismisura le voci romantiche che predicano un ritorno al passato? Purtroppo il cammino dell’uomo si è fatto sempre più complicato. Per esempio abbiamo bisogno di enormi quantità di cibo e per poterlo produrre abbiamo applicato all’agricoltura il meglio delle risorse cognitive dell’uomo. Annullate le procedure scientifiche al problema della produzione del cibo e, ne sono sicuro, ritorneremo veramente al medioevo; non a quello romantico dei fondamentalisti ecologici ma al Medioevo vero: fame, povertà, malattie etc. Dove voglio arrivare con queste considerazioni? Quando parliamo di cibo, di salute, di produzione
alimentare non possiamo dimenticare che la sfida è soddisfare miliardi di persone. Per farlo abbiamo bisogno della scienza ovvero di un sapere teorico e applicativo che non è sempre intuitivo nei suoi sviluppi. È l’applicazione di principi scientifici che ha permesso la dimensione industriale del comparto alimentare. Senza questa dimensione è difficile immaginare una risposta ai bisogni della popolazione del pianeta. Nel nostro Paese a volte ho la sensazione che si discuta sul cibo dimenticandosi dei fondamenti. Sembra quasi che siamo tutti vittime di una congiura per allontanarci dalle nostre campagne come erano una volta... Vicine alle nostre case con il contadino che produceva e portava le sue derrate direttamente al mercato. Non credo di essere una persona cinica se sostengo che quel mondo non solo non esiste più ma sarebbe oggi inadatto a soddisfare i nostri bisogni. Accettare il punto di vista dei romantici sul ritorno al passato significa inoltre non capire gli straordinari investimenti nella ricerca che ci hanno permesso un aumento sostanziale della durata della vita media e una salute diffusa tra la popolazione che non ha eguali nella storia dell’uomo. È chiaro che tra persone evolute il cibo deve significare anche qualità e cultura. Ma è proprio vero che la dimensione industriale contraddice la qualità del prodotto? Avete mai paragonato il cibo che si mangiava mezzo secolo fa con un equivalente attuale? Ne dubito e aggiungo che probabilmente, forse non in tutti i casi, è molto più controllato e sano quello attuale. Non voglio negare i compromessi che a volte siamo costretti ad accettare per far sì che la qualità non pregiudichi le quantità di cibo che necessariamente dobbiamo produrre. Ma è da visionari irresponsabili negare che solo la scienza e l’organizzazione complessa può aiutarci a superare lo scandalo più grande dell’umanizzazione: troppe persone vivono sotto la soglia alimentare che garantisce la salute. Nello stesso tempo non dobbiamo sottovalutare il rischio che la società del benessere possa far dimenticare agli individui le abitudini virtuose del mangiar sano, moltiplicando le patologie legate alla scorretta alimentazione.
03 EDITORIALE RENZO ANGELINI
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Karpòs Magazine
APRILE/MAGGIO 2013
Direttore editoriale Renzo Angelini Direttore responsabile Lamberto Cantoni Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012 variazione in corso di registrazione Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) CF 04008690408 - REA 325872 Grafica Francesca Flavia Fontana Redazione Roberta Filippi roberta.filippi@karposmagazine.net
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03 Editoriale CIBO E SALUTE Renzo Angelini
10 CALEIDOSCOPIO AGROFARMA
23-24 CALEIDOSCOPIO NEGRI PROSCIUTTO DI MODENA DOP
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www.karposmagazine.net
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AGRICOLTURA OGGI IL KIWI Bruno Marangoni
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CALEIDOSCOPIO LATTE E DERIVATI
39 42-43
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CALEIDOSCOPIO CSO
AGRICOLTURA OGGI IV GAMMA Dario Casati e Lucia Baldi
CALEIDOSCOPIO DIMMIDISÍ
Diffusione online Karpòs Magazine viene inviato gratuitamente a una community di oltre 120.000 stakeholder della filiera agroalimentare, tra cui università, istituzioni, industrie, Grande Distribuzione Organizzata, Ho.Re.Ca. fornitori di mezzi tecnici e servizi, associazioni, agroindustrie, produttori, tecnici e centri media.
08
CALEIDOSCOPIO FENDT MONSANTO
56-57-58 CALEIDOSCOPIO BRIO CON I PIEDI PER TERRA FRULLÁ
40 CALEIDOSCOPIO OPO VENETO
44 ALIMENTAZIONE E SALUTE LE VITAMINE Alberto Guidorzi
60 AGRICOLTURA OGGI IL CARCIOFO Nicola Calabrese
72 74-75
CALEIDOSCOPIO YOGA NUNHEMS
88 CALEIDOSCOPIO PERRIER
106-107-108 CALEIDOSCOPIO LAVIT PAGO RINALDI
CALEIDOSCOPIO ASSOFERTILIZZANTI
76 AGRICOLTURA OGGI FINOCCHIO Vitangelo Magnifico
Per le fotografie: Bruno Marangoni 14, 15, 16, 17, 22 Apofruit 20, 21 Alberto Guidorzi 48, 49 Nicola Calabrese 60, 61, 62, 65, 66 Gabriele Romagnuolo 67 Archivio Bejo 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86 Marco Fini 90-104 Pierluca De Carlo e Ben Wolfinsohn: da 110 a 119 © Autolinee Panem et Circenses 124-125-129 © Galleria VV8 Arte Contemporanea 126-130 © Robin T. Photography 127 © Galleria Paola Cardano Arte Contemporanea 128-129 Tutte le altre fotografie: © Renzo Angelini In copertina: © Candonga Planitalia
90 Ambiente rurale e paesaggio BIRMANIA Mauro Fini e Stefano Fava
110 120-121-122-123 CALEIDOSCOPIO PILZER - RILEGNO FEDRA - SANTA VENERE
131 CALEIDOSCOPIO CONSORZIO PROSCIUTTO TOSCANO
137-138-139 CALEIDOSCOPIO SALAME CACCIATORE CASA GHELLER - ASSOLATTE
145-146 CALEIDOSCOPIO VALFRUTTA SAPORI VESUVIANI
STILI DI VITA MCS Lamberto Cantoni
124 ARTE E NATURA SETUP Roberta Filippi
132 ALIMENTAZIONE E SALUTE LA CATTIVA FAMA DEI GRASSI Massimo Cocchi, Giovanni Lercker
140 ALIMENTAZIONE DOMANI CIBI SALUBRI Giovanni Ballarini
Non si restituiscono testi, immagini, supporti elettronici e materiali non espressamente richiesti. La riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni è vietata senza espressa autorizzazione dell’editore in mancanza della quale si procederà a termini di legge per la quantificazione dei danni subiti. L’editing dei testi, anche se curato con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze, limitandosi l’editore a scusarsene anticipatamente con gli autori e i lettori. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo ha scritto e pertanto ne impegna la personale responsabilità. Le opinioni e, più in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte dell’editore anche nel caso di eventuali plagi di brani da fonti a stampa e da internet. Karpòs rimane a disposizione di altri eventuali aventi diritto che non è stato possibile identificare e contattare.
CALEIDOSCOPIO
CALEIDOSCOPIO
CROLLANO I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA. 86 KG IN MENO PER FAMIGLIA RISPETTO A DIECI ANNI FA
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Il report annuale sugli acquisti di ortofrutta domestica delle famiglie italiane, elaborato da CSO su rilevazioni GFK, evidenzia un dato estremamente preoccupante: dieci anni fa si acquistavano in totale 417 Kg annui di ortofrutta per famiglia ed oggi siamo passati a 331 Kg annui. Ovvero 86 Kg in meno per nucleo famigliare: una tendenza pericolosa anche per la salute, se si considera che - secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità - lo scarso consumo di frutta e verdura è una delle prime cause di malattia in Occidente. Nel 2012 i consumi domestici delle famiglie italiane sono stati pari a 8 milioni di tonnellate, inferiori del 2% rispetto all’anno precedente e paragonabili a quelli del 2005, anno nel quale si registrò il minimo assoluto. Il comparto frutticolo è quello che maggiormente incide in questo ribasso (-2,3% con 4,3 milioni di tonnellate); gli ortaggi, anch’essi in calo, contengono le perdite (-1,6% a 3,7 milioni di tonnellate). Nel dettaglio delle singole specie frutticole si evidenzia un calo abbastanza generalizzato, variabile dal -4% al -1%; fanno eccezione solo le fragole, in lieve ripresa, così come le prugne e i pompelmi che riportano un andamento stabile. Se dal 2006 al 2011 i consumi di ortofrutta tutto sommato risultavano abbastanza stabili, variabili attorno a 8,2 milioni di tonnellate, il segno negativo del 2012 rappresenta, senza dubbio, la mancata ripresa e un ritorno al periodo più buio. La frutta, in particolare, scende a livelli mai toccati negli ultimi 10 anni; gli ortaggi, invece, mantengono un livello di poco al di sotto della media del decennio. Se si confrontano gli acquisti del 2012 delle singole specie con quelli di dieci anni prima emergono delle differenze sostanziali. Mele, pere e arance calano tutte del 15%; l’uva da tavola registra un -18%, i mandarini un -30%. Abbastanza stabili le pesche, mentre risultano in crescita le nettarine (+11%), le clementine (+15%) e i kiwi (+36%). Stabili le albicocche, in crescita importante i meloni (+19%), le susine (+17%) e la frutta esotica (+ 102%). Per quanto riguarda gli acquisti di verdure sempre nel lungo periodo, si evidenzia il crollo per patate (-14%), pomodori (-19%), carote (-10%), cipolle (-30%), melanzane (-10%), carciofi (-61%), bietole e fagiolini con cali a due cifre. Interessante, al contrario, la crescita delle insalate (+12%) e dei radicchi; in forte incremento i cetrioli (+31%), gli asparagi (+13%), i fagioli (+69%) e i piselli (+16%). Va evidenziato che il prezzo medio di acquisto di frutta e verdura per famiglia nel 2012 è stato pari a 1,5 euro al giorno, un dato che certo non giustifica il calo dei consumi. La Gdo concentra il 57% dei volumi degli acquisti; perde quota il dettaglio tradizionale con i mercati rionali e ambulanti, mentre crescono i discount. È interessante, infine, notare come il Sud e le Isole rappresentino un’area in cui i consumi di ortofrutta sono ancora elevati: non sono mai scesi sotto i 3 milioni di tonnellate fino al 2012 (2,9 milioni di tonnellate). www.csoservizi.com
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SEMPRE PIÙ LOMBARDI DAL POLLICE VERDE: AGROFARMACI ALLEATI INDISPENSABILI PER ORTI “FAI DA TE”
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Calano i consumi alimentari e si modificano le abitudini a tavola dei lombardi. Questo quanto emerge dall’ultimo Rapporto Unioncamere Lombardia relativamente al quarto trimestre del 2012. Nella regione lombarda, oltre ad un calo drastico del consumo di prodotti quali ortaggi e frutta, rimpiazzati dall’acquisto di farina, uova e burro che indicano un ritorno al cibo casalingo, si registra un vero e proprio boom dell’orto “fai-da-te”; in giardino o sul balcone, dilagano, infatti, le coltivazioni domestiche di insalata, pomodori, piante aromatiche, zucchine, melanzane, piselli, fagioli e basilico. Da semplice passione, la cura del verde si trasforma in “professione” attraverso la quale il lombardo riscopre il suo lato contadino: a questo proposito Agrofarma – Associazione nazionale imprese agrofarmaci che fa parte di Federchimica – ricorda che esistono soluzioni, come gli agrofarmaci, pensate e realizzate per la difesa e la cura delle coltivazioni amatoriali. Secondo una ricerca pubblicata di recente da Nomisma, gli italiani che hanno scelto di dedicarsi al giardinaggio o all’orto fai da te sono circa 7,4 milioni (14,6% della popolazione). I dati rivelano anche che se 1,2 milioni italiani hanno scelto di prendersi cura di un fondo agricolo, ben 2,7 milioni coltivano un orto, accontentandosi spesso solamente dello spazio concesso da terrazzi e balconi cittadini. Il coltivatore amatoriale trae molta soddisfazione nel vedere il proprio giardino rigoglioso o nel consumare alcuni prodotti ortofrutticoli da lui direttamente coltivati e curati, anche grazie all’utilizzo di agrofarmaci che difendono la salute della pianta e la proteggono dagli attacchi dei parassiti. Secondo l’Istat, poi, il 70% di questi dichiara che la cura dell’orto contribuisce anche al mantenimento e alla valorizzazione del paesaggio. www.agrofarma.federchimica.it www.blogagrofarma.it
AGRICOLTURA OGGI BRUNO MARANGONI
AGRICOLTURA OGGI
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KIWI: FRUTTO DELL’AMORE
Quando il termometro si abbassa, urge difendersi. La protezione passa anche da un’alimentazione adeguata. Il frutto neozelandese è uno scrigno di vitamina C, che migliora l’elasticità dei tessuti connettivi e del derma in particolare. Bruno Marangoni
Allevamento a tendone in Italia centro meridionale
Secondo una leggenda cinese tramandata da molte generazioni, si racconta che nel primo millennio a.C. (prime Dinastie dei Chou) nella valle dello Yang-Tze in Cina, fosse abitudine per le famiglie nobili, nel periodo di fine estate, riposare all’ombra del salice e consumare piccoli frutti di Mihou-tao o Yang-tao (Actinidia) raccolti nei boschi adiacenti. La pianta del salice, che emanava vapori dell’acido salicilico, presente nell’albero, e da cui deriva il nome della sostanza chimica, e la contemporanea assunzione dei frutti di Actinidia, davano benessere alla persona. Infatti, senza conoscere le motivazioni, vi era l’abbinamento delle proprietà antidolorifiche dei salicilati naturali emessi dalla pianta del salice, e l’effetto dei frutti dell’Actinidia sulle attività metaboliche del corpo umano, per cui vi era una sensazione positiva e rilassante per l’individuo e per l’intero gruppo familiare. La pianta dell’Actinidia era ben conosciuta in gran parte del territorio sud orientale della Cina e le prime notizie riguardanti la sua utilizzazione, sia come frutto sia a scopo medicinale, risalgono alla dinastia Tang (618–907 d. C.). La prima descrizione della pianta lianosa, risale ai botanici Li Shih-Chen’s e Wu Chi Chun’s , vissuti nell’epoca dinastica dei Ming, nel XV secolo, che evidenziano il portamento rampicante e le proprietà terapeutiche dei frutti, mentre la descrizione e le illustrazioni dettagliate della pianta si ritrovano nel Trattato delle piante della Cina pubblicato nel 1848. La diffusione delle varie specie di Actinidia nei Paesi occidentali è avvenuta recentemente ed in Europa è stata introdotta intorno al 1850 ad opera dell’esploratore Robert Fortune, al ritorno da un viaggio in Cina, effettuato per incarico della Royal Society of Horticulture di Londra. Ai primi del 1900
l’Actinidia venne introdotta in California, Australia e Nuova Zelanda, mentre in Italia le prime notizie documentate risalgono al 1934, quando compare negli elenchi delle piante esistenti in alcuni orti botanici. Nello stesso periodo vengono effettuati i primi frutteti specializzati in Nuova Zelanda e in California, grazie al lavoro di selezione e introduzione delle specie selvatiche che erano state introdotte dai boschi della Cina. In Italia, la coltivazione su scala industriale risale al 1970, grazie anche all’intraprendenza di alcuni frutticoltori d’avanguardia che avevano recepito le informazioni sulle coltivazioni già esistenti in Nuova Zelanda e California. CARATTERISTICHE BOTANICHE Il genere Actinidia è stato definito dal botanico danese Nathaniel Wallich nel 1836, ma solo agli inizi del XX secolo si ha l’organizzazione sistematica con la descrizione di 24 specie note ad opera del Dumm. Contemporaneamente anche in Cina, patria di origine dell’Actinidia, inizia la classificazione delle varie specie presenti allo stato naturale nei boschi delle fertili vallate dei fiumi affluenti nello Yang-tze, dove le popolazioni locali raccoglievano i frutti per il consumo familiare. Dopo il 1970, grazie all’interesse suscitato dalla coltivazione di questa pianta, presso gli Istituti di Botanica di Pechino e di Guang-xi vengono classificate e descritte 54 specie di Actinidia delle quali solo alcune rivestono importanza agronomica quali: A. chinensis, A. arguta, A. kolomikta. Alla fine del secolo scorso, grazie al lavoro di selezione svolto in Nuova Zelanda, si ha l’attuale classificazione che definisce le due principali specie coltivate: A. deliziosa caratterizzata dal frutto verde e A. chinensis con frutto di colore giallo.
14 AGRICOLTURA OGGI BRUNO MARANGONI
La pianta di Actinidia è una liana, rampicante con tralci lunghi che in natura si avvolgono ai rami degli alberi del bosco, oppure, nel caso di piante coltivate, ai fili delle strutture artificiali di sostegno. Interessante risulta il meccanismo biochimico che consente ai germogli in accrescimento di attorcigliarsi sul loro sostegno. A differenza della vite dotata di organi specifici per agganciarsi sui tutori, denominati viticci, nell’Actinidia esiste una sensibilità biochimica per cui, quando l’apice del germoglio in accrescimento entra in contatto con un ramo o un filo della struttura di sostegno (tropismo tattile) si curva e lo avvolge. Altra caratteristica di questa pianta lianosa, tipica del sottobosco, è la struttura radicale caratterizzata da radici carnose, poco consistenti, in quanto si tratta di una pianta rampicante, che si dispongono nello strato superficiale del terreno e la rendono molto esigente nei confronti della disponibilità di acqua e dei nutrienti nel suolo.
Molto importante per una buona fruttificazione è il trasporto del polline dai fiori maschili a quelli femminili (impollinazione), che avviene per opera del vento e degli insetti pronubi come api e bombi; nelle prime settimane di maggio avviene la fioritura e in questo periodo vengono posti 3-4 alveari per ogni ettaro di actinidieto per favorire l’impollinazione. Sulla base delle suddette considerazioni relative alla riproduzione, gli impianti di Actinidia devono essere costituiti da piante “femminili” (che danno frutti) e da circa il 10% di piante “maschili”, che servono come impollinatori. Il frutto è una bacca che matura fra settembre e ottobre nell’emisfero settentrionale (es. Europa) e marzo aprile nell’emisfero meridionale (es. America Latina). Presenta circa un migliaio di semi inseriti sull’asse centrale del frutto, denominato columella. Il colore della polpa dipende dalla specie e varia dal verdastro al giallo o al rossastro, come riscontrato in alcune nuove selezioni allo studio in Cina e Nuova Zelanda. La forte attività di ricerca svolta in Nuova Zelanda dal Hort Research Institute per lo sviluppo della coltivazione dell’Actinidia, ha influito sulla denominazione kiwi, derivata dal nome del piccolo uccello neozelandese con un piumaggio e forma somigliante al frutto dell’Actinidia. Attualmente tale dizione sta sostituendo quella botanica di Actinidia.
QUESTIONE DI SESSO Altra caratteristica dell’Actinidia riguarda il sistema riproduttivo, in quanto si tratta di una specie dioica (dal greco oikos, casa), come il pioppo e il salice. Esistono piante dei due sessi: alcune sono femminili e portano i fiori pistilliferi che danno frutti, mentre altre hanno fiori maschili staminiferi, che non danno frutti e servono solo a produrre il polline per la fecondazione dei fiori femminili. I fiori, inseriti all’ascella delle prime 5-8 foglie basali del germoglio, nelle due tipologie di piante sono distinguibili fra loro in quanto l’ovario di quelli femminili è ben visibile e sviluppato.
DIFFUSIONE DEL KIWI NEL MONDO E IN ITALIA La creazione di varietà di A. deliciosa di buona pezzatura e la curiosità, in un primo tempo, dei
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Da sinistra: gestione del suolo con inerbimento, particolare di frutti di kiwi, lavorazione e calibratura del kiwi, summerkiwi
consumatori, ha favorito la diffusione mondiale di questo frutto in molti Paesi caratterizzati da un clima temperato, con terreni di buona fertilità e disponibilità idrica. Questa pianta con portamento sarmentoso, vicino a quello della vite, è assai esigente e richiede terreni con poca argilla, dotati di sostanza organica, a basso contenuto di calcare, e con un buon drenaggio idrico. Queste esigenze agronomiche della pianta, devono essere sostenibili per il territorio, in termini di risorse naturali (acqua in particolare), e consentire la conservazione ambientale. Al riguardo sono stati definiti per ogni Regione, dei disciplinari di produzione che regolano le tecniche di coltivazione e gestione dell’actinidieto. Il consumo procapite di kiwi è aumentato negli anni (attualmente in Italia si aggira fra i 2-3 kg l’anno) e parallelamente sono aumentate le piantagioni. Il kiwi è diventato comune su molte tavole dei Paesi occidentali e non solo in Cina, che rimane sempre il primo produttore mondiale. I principali produttori di kiwi, dopo la Cina, sono l’Italia, con oltre 400.000 tonnellate, seguita dalla Nuova Zelanda, con circa 380.000 tonnellate, dal Cile, ormai vicino alle 200.000 tonnellate, poi Grecia, Francia e Spagna. A livello nazionale, sono quattro le regioni che hanno iniziato per prime la sua piantagione e che ora detengono oltre l’80% della produzione italiana: in primis c’è il Lazio (33%), seguito da Piemonte (20%), l’Emilia-Romagna (15%) e il Veneto (13%). In altre Regioni italiane il kiwi si sta diffondendo e in Calabria raggiunge già il 6% dell’intera
produzione nazionale. La coltivazione del kiwi ha portato notevoli benefici sociali ed economici per le aree di maggiore diffusione (Emilia-Romagna, Piemonte, Lazio), che hanno impegnato risorse umane e di capitali, non solo in campo, ma anche nelle infrastrutture necessarie per la conservazione e commercializzazione del prodotto. VARIETÁ E OFFERTA Le piantagioni di Actinidia in Italia, fin dagli anni ’70, erano costituite quasi totalmente dalla sola cultivar (cv.) neozelandese Hayward, alla quale erano affiancate, con scarsa diffusione le cv. Bruno, Monty, Abbott, Allison, tutte appartenenti alla specie A. deliziosa. La cv. Hayward si è affermata per la costanza produttiva, la pezzatura dei frutti e soprattutto la buona capacità di conservazione in frigorifero, e tuttora copre circa il 90% della produzione di kiwi. Nell’ultimo decennio, grazie al lavoro di miglioramento genetico svolto principalmente in Cina, Nuova Zelanda e Italia, sono state ottenute, tramite selezione e incroci naturali, nuovi biotipi sia di A. deliziosa a frutto verde come la Green Star (diffusa e brevettata come Green Light), la Summer3373 (diffusa e brevettata come Summerkiwi), la BO. ERICA (brevettata), sia di A. chinensis a frutto con polpa gialla quali: la Jintao (diffusa e brevettata come Jin Gold); la Hort 16 A (diffusa e brevettata col marchio Zespri Gold); SORELI (brevettata). La creazione di nuove varietà è stata effettuata per differenziare l’offerta dei frutti di kiwi sul mercato e per anticipare l’epoca di raccolta rispetto alla cv.
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Hayward che, maturando a fine ottobre in zone pedemontane, può andare incontro a possibili brinate autunnali precoci. La classica cv. Hayward, che copre ancora circa il 90% della produzione, viene affiancata da queste nuove varietà che sono in via di diffusione e di apprezzamento da parte dei consumatori. La creazione di nuove varietà in molte specie frutticole, negli ultimi tempi, è stata favorita anche dal regolamento internazionale sulla brevettabilità delle novità vegetali, che ha dato la possibilità di creare dei consorzi esclusivi, che gestiscono la moltiplicazione delle piante e la commercializzazione dei frutti della cv. di cui godono i diritti di brevetto. Sono stati creati i primi Club-varietà (mele, pere, kiwi ecc.), dove il produttore è vincolato nell’acquisto delle piante (astoni) per il nuovo frutteto e nella vendita esclusiva della frutta, attraverso l’organizzazione commerciale dello stesso Club. Una simile organizzazione condiziona i produttori che sono assoggettati al pagamento dei diritti di brevetto (royalty) su ogni pianta messa a dimora e non hanno l’indipendenza nella vendita del prodotto sul libero mercato.
per la promozione del kiwi presso i consumatori, l’innovazione tecnologica e nell’organizzazione del mercato nazionale e internazionale. In Nuova Zelanda esiste la Società ZESPRI, che gestisce l’intera filiera del kiwi neozelandese. Nel caso dell’Italia, considerando anche la organizzazione cooperativa presente nel settore ortofrutticolo, vi sono più consorzi che operano localmente nelle aree di produzione dell’Actinidia. Molto interessante è stata la nascita (nell’agosto 2012) del Consorzio “Kiwi Fruit of Italy”, che unisce privati, cooperative organizzazioni e produttori, in grado di gestire oltre il 20% della produzione nazionale del kiwi Hayward, corrispondente ad oltre 1 milione di quintali di prodotto. La creazione dei consorzi ha consentito di creare un board interprofessionale fra tutti i Paesi produttori, che hanno definito le norme di qualità ed un regolamento, che ha messo ordine nel commercio internazionale del kiwi. Tale normativa, ha favorito l’integrazione commerciale fra i Paesi produttori e consentito ai consumatori di avere la disponibilità di kiwi per tutto l’anno. Infatti in Italia, i frutti si raccolgono a ottobre, mentre in Nuova Zelanda e Cile, la raccolta è sfasata di 6 mesi (marzo). Valutando le diverse epoche di maturazione sul mercato italiano, in linea generale, il consumatore troverà in inverno-inizio primavera, il prodotto europeo mentre in estate-inizio autunno kiwi proveniente essenzialmente da Nuova Zelanda e Cile. Per il kiwi si è creato un sistema di commercio internazionale ben organizzato, che consente all’Italia di esportare
SCAMBI COMMERCIALI Sono sorte così società di gestione della varietà (es. Summerkiwi, Consorzio Kiwi Gold, Zespri in Nuova Zelanda, ecc.) che hanno il controllo della moltiplicazione delle piante e della commercializzazione dei frutti. Inoltre, a livello territoriale e nazionale, sono nati dei consorzi e delle organizzazioni di produttori che operano
17 AGRICOLTURA OGGI BRUNO MARANGONI
COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE ENERGETICO PER 100 G DI PARTE EDIBILE Parte edibile (%)
87
Potassio (mg)
400
Energia (kcal)
44
Ferro (mg)
0,5
Acqua (g)
84,6
Calcio (mg)
25
Proteine (g)
1,2
Fosforo (mg)
70
Lipidi (g)
0,6
Magnesio (mg)
12
Colesterolo (mg)
0
Zinco (mg)
-
Carboidrati disponibili (g)
9
Rame (mg)
-
Amido (g)
tracce
Selenio (mg)
-
Zuccheri solubili (g)
9
Tiamina (mg)
0,02
Fibra totale (g)
2,2
Riboflavina (mg)
0,05
Fibra solubile (g)
0,78
Niacina (mg)
0,4
Fibra insolubile (g)
1,43
Vitamina A retinolo eq. (Îźg)
-
Alcol (g)
0
Vitamina C (mg)
85
Sodio (mg)
5
Vitamina E (mg)
-
Fonte INRAN (2000) - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione
Il contenuto di fibra elevato e la possibilitĂ di utilizzare il frutto intero centrifugato (compreso semi e buccia) favoriscono il transito intestinale e rappresentano il principale rimedio naturale contro la stitichezza.
COLTIVAZIONE DI KIWI NEL MONDO TONNELLATE PER ANNO Paese
Tonnelalte
Cina
466.667
Italia
442.384
Nuova Zelanda
370.00
Grecia
81.467
Cile
73.333
Francia
71.275
Giappone
32.867
Iran
30.000
Stati Uniti
20.988
Corea
15.167
COLTIVAZIONE DEL KIWI IN ITALIA Regione
%
Lazio
33%
Piemonte
20%
Emilia-Romagna 15%
19 AGRICOLTURA OGGI BRUNO MARANGONI
Veneto
13%
Calabria
6%
il 40% della produzione, contro una importazione di circa 60.000 tonnellate. IL KIWI E L’ALIMENTAZIONE Dopo l’iniziale periodo di curiosità e anche diffidenza da parte dei consumatori, il frutto dell’Actinidia è entrato nel normale sistema alimentare delle famiglie italiane, con un consumo che si aggira intorno agli 8 chilogrammi l’anno per famiglia. All’inizio degli anni ’70, il kiwi venne presentato sul mercato come “frutto dell’amore”, con caratteristiche nutrizionali e benefiche per la salute umana quasi miracolose. I negozi di ortofrutta vendevano a “pezzo” e il singolo frutto costava circa 1000 lire. Un valore altissimo, che favorì la diffusione della coltura e la fortuna dei primi agricoltori, che ebbero fiducia in questa nuova specie considerata esotica. L’aspetto nutrizionale dell’Actinidia, inserito in un sistema alimentare come quello italiano che dispone molti di prodotti ortofrutticoli, contribuisce ad integrare la dieta alimentare considerando anche la tendenza al consumo di frutta che viene sempre “più bevuta che mangiata”. Il kiwi viene consumato principalmente fresco e, solo in minima parte, viene trasformato in succo poi miscelato con quelli di altra frutta. Inoltre trova uso nella preparazione di macedonie di frutta e prodotti freschi di quarta gamma, in quanto la polpa non imbrunisce per l’alto contenuto di acido ascorbico che previene l’ossidazione. Attualmente, vengono preparate delle puree di polpa assai gradevoli e di facile consumo. L’apporto di nutrienti del frutto di Actinidia riguarda,
come gran parte dei frutti polposi, gli zuccheri, i sali minerali, le vitamine e la fibra mentre, di norma, è piuttosto limitato il contenuto proteico. Nel caso del kiwi dobbiamo considerare l’apporto calorico contenuto, la quantità elevata di potassio, di calcio, di acido ascorbico (vitamina C) e la presenza di vari microelementi ed enzimi che regolano l’attività digestiva e di assorbimento degli elementi minerali.
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Società di controllo della filiera di produzione e attualmente la quasi totalità del prodotto è certificato. La struttura delle radici, e la forte traspirazione delle foglie, inducono nella pianta del kiwi un elevato consumo idrico; un ettaro, inclusa anche la pioggia, richiede circa 6-7000 metri cubi di acqua, quindi per produrre un kg di frutti servono oltre 300 litri di acqua. La distribuzione dell’acqua avviene con sistemi a goccia, o microaspersione e, spesso, attraverso l’acqua di irrigazione viene effettuata anche la concimazione (fertirrigazione). Il terreno nell’actinidieto, di norma, non viene lavorato e lasciato inerbito (col prato). L’erba viene falciata e lasciata sul posto; questa tecnica consente di arricchire il suolo di materia organica e mantenere la fertilità naturale del suolo. Le forme di allevamento sono simili a quelle della vite: infatti, nel Nord Italia, viene utilizzato il sistema “T-bar” (Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte) simile alla pergoletta romagnola, mentre al Centro-Sud (Lazio e Calabria) si usa la forma a “tendone”, che
La vitamina C nelle varietà a frutto giallo, è superiore a quelle con frutto verde, come pure il contenuto zuccherino (espresso in gradi Brix), che comunque non deve essere inferiore a 14° al momento del consumo. TECNICHE DI COLTIVAZIONE E CONSERVAZIONE L’impianto e la forma di allevamento dei frutteti di kiwi varia, in funzione delle aree di coltivazione, e vi è una forte influenza delle condizioni climatiche, del terreno e della disponibilità idrica. La coltivazione deve inserirsi nella unità di paesaggio, senza depauperare le risorse naturali del territorio (fertilità del terreno e acqua) e la gestione degli impianti non deve alterare il sistema agro-ambientale, pur considerando sempre una redditività imprenditoriale. Sono poi stati definiti dei disciplinari di produzione nazionali e regionali, che dettano le regole per la buona pratica agricola. Sono stati adottati e imposti dalle varie catene di supermercati. Sono sorte delle
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Jintao
frutta, che però non hanno creato danni evidenti agli impianti di kiwi. Recentemente, con l’introduzione del kiwi giallo e l’intensificazione degli scambi commerciali, si è diffusa la batteriosi (Pseudomonas syringiae sp. actinidiae), che induce la degenerazione del sistema vascolare delle piante, l’emissione di essudati sul tronco e sui tralci e provoca la morte della pianta. La diffusione di questo batterio, preoccupa la produzione mondiale del kiwi. Attualmente, sono state messe in atto strategie di difesa basate sul controllo fitosanitario delle piantagioni, specialmente i nuovi impianti, e sui trattamenti con prodotti rameici. Nel complesso la produzione di kiwi continuerà e avremo sempre l’opportunità di consumare questo frutto, diventato così comune nelle nostre tavole da essere sempre un valido complemento nel consumo della frutta tradizionale nella dieta quotidiana.
consente un buon ombreggiamento dei frutti e ne evita le scottature da sole. LA RACCOLTA La raccolta è molto importante per la conservabilità e qualità del prodotto e, per la cv. principale Hayward, avviene verso fine ottobre-primi di novembre, quando i frutti hanno un contenuto zuccherino di almeno 6,5° Brix ed un 15% di sostanza secca. Nel caso delle altre varietà a polpa gialla, la raccolta avviene sulla base del colore dei frutti e del contenuto zuccherino, che deve essere intorno a 7,5° Brix. La conservazione dei frutti, avviene in normali celle frigorifere ad una temperatura di circa 1°C, e può durare fino a 6 mesi dalla raccolta. Il periodo di conservazione è commercialmente importante in quanto consente di avere il raccordo con il prodotto proveniente dall’emisfero Sud, quindi consente la presenza dei frutti di kiwi sul mercato per l’intero anno. La coltura dell’Actinidia, fino a poco tempo addietro, era praticamente esente da attacchi di insetti, funghi e batteri, per cui venivano effettuati pochi trattamenti antiparassitari legati alla presenza di alcuni funghi del legno. Negli ultimi anni, sono comparsi alcuni insetti come le cicaline, le cocciniglie, la mosca della
Bruno Marangoni Professore Alma Mater dell’Università di Bologna
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GRANDE SUCCESSO PER NERGI®, IL BABY KIWI DI SOFRUILEG NERGI® è un frutto grande come un chicco d’uva, con la buccia commestibile, sottile e liscia, mentre la polpa che assomiglia a quella del kiwi, è dolce e leggermente acidula. È ricco di vitamina C e fibre alimentari. Accattivante, delizioso e pratico, è particolarmente adatto ai nuovi trend di consumo come gli spuntini e il cibo di strada. Gli chef stellati Michelin, inoltre, lo usano sempre più di frequente nelle loro sofisticate ricette. NERGI® è sviluppato in europa da Sofruileg, azienda francese specializzata in progetti di ricerca di varietà innovative. Originario dell’Asia, il baby kiwi è esistito in natura per secoli. Ma NERGI® è un nuovo tipo di frutto, il risultato della selezione naturale ottenuto dall’istituto Plant and Food Research della Nuova Zelanda. Questo prodotto offre un’elevata qualità di conservazione post raccolto, che gli permette di mantenere un ottimo aspetto e aroma in negozio per 3 mesi, a fronte di appena un mese per le tradizionali varietà di baby kiwi. Sofruileg approva i produttori per l’Europa e collabora con i due operatori commerciali, Primland e Fruitworld fornendo le proprie competenze di marketing. Raccolto in settembre, NERGI® matura naturalmente assumendo gli zuccheri e gli aromi, mantenendo al contempo una buona consistenza. Il momento ideale per consumarlo è quando lo si sente morbido al tatto. La crescita dei volumi nel 2013 è stata pianificata per seguire di pari passo il programma di eventi in-store. NERGI® è distribuito in confezioni da 125 grammi, sia nei supermercati che nei canali bar e ristorazione. Il periodo di vendita si estende da settembre a novembre. Il sito e la pagina Facebook mantengono costantemente in contatto i consumatori. www.nergi.info http://www.facebook.com/pages/Nergi/251171288246562?ref=ts&fref=ts
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PROSCIUTTO DI MODENA DOP: NEL 2012, CIRCA 140.000 LE COSCE PRODOTTE
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La produzione di Prosciutto di Modena DOP nel corso del 2012 ha raggiunto il numero di circa 140.000 cosce prodotte, per un valore di 10 milioni di Euro. “Il nostro è l’unico prosciutto DOP con una stagionatura minima di 14 mesi. Questo lo rende un prodotto particolarmente profumato e con un aroma intenso. Inoltre il Prosciutto di Modena per il suo contenuto minerale e vitaminico, ed il suo limitato contenuto di colesterolo, inferiore ad altri tipi di carni, rappresenta un alimento più che bilanciato nell’apporto di grassi e proteine ” ha affermato Davide Nini, Presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena. Il Prosciutto di Modena Dop, principalmente apprezzato in Emilia Romagna, Toscana, Marche e Puglia, inizia a essere conosciuto in tutta Italia. Le particolari caratteristiche organolettiche e qualitative del Prosciutto di Modena rispondono ai seguenti requisiti: - forma a pera, con esclusione del piedino ottenuta con l’eliminazione dell’eccesso di grasso mediante rifilatura e asportazione di parte delle cotenne e del grasso di copertura; - peso a fine stagionatura è di norma tra 8/10 kg. - colore rosso vivo del taglio; - sapore sapido ma non salato; - aroma gradevole, dolce e intenso Consorzio del Prosciutto di Modena Attualmente il Consorzio del Prosciutto di Modena conta 11 aziende consorziate, con una potenzialità produttiva
complessiva di 1.500.000 pezzi circa, dei quali circa 140.000 a Denominazione di Origine Protetta. La produzione di prosciutto stagionato “Modena” avviene in prosciuttifici di diverse dimensioni, per lo più contenute, ma con identiche modalità. L’attività del Consorzio è finalizzata alla promozione e valorizzazione del Prosciutto di Modena ed in particolare al mantenimento ed alla salvaguardia delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto per fornire al consumatore le garanzie di salubrità e genuinità richieste ad un prodotto tipico. Il Consorzio del Prosciutto di Modena ha trasferito la sede al Palatipico, in Viale Virgilio n. 55 a Modena, dove hanno sede gli altri Consorzi di tutela che operano sotto il marchio Piacere Modena. www.consorzioprosciuttomodena.it
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CALEIDOSCOPIO LATTE E DERIVATI: I MIGLIORI AMICI DELLE DONNE
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A lungo trascurate dalla ricerca scientifica (la maggior parte delle moderne raccomandazioni nutrizionali sono basate su studi condotti prevalentemente sugli uomini) le donne necessitano di consigli e raccomandazioni che tengano conto sia della fisiologia femminile nelle varie fasi della vita sia delle difficoltà a mantenere abitudini alimentari a causa della gravosa gestione familiare e lavorativa che le donne devono fronteggiare ogni giorno.
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Ma le donne possono contare su degli alleati sicuri e affidabili: i prodotti lattiero-caseari, che sono fondamentali per assicurare loro le sostanze nutritive necessarie per la loro salute e la loro bellezza. Ecco una sintesi, realizzata da Assolatte, dei più recenti e interessanti studi che attestano il ruolo centrale del latte e dei suoi derivati nell’alimentazione femminile, dall’infanzia alla terza età. Con i latticini dai un calcio all’osteoporosi In Italia questa malattia, per lo più asintomatica ma potenzialmente invalidante, interessa il 23% delle donne sopra i 40 anni anche se solo metà delle donne che ne soffrono sanno di esserlo. Per prevenire l’osteoporosi e mantenere uno scheletro sano è necessario introdurre adeguate quantità di calcio perché, se questo non avviene, per mantenere normali livelli di calcio nel sangue, l’organismo demineralizza l’osso. Nell’alimentazione delle donne il calcio ha un ruolo centrale a ogni età: durante l’infanzia e l’adolescenza è necessario per sostenere lo sviluppo osseo, mentre dopo i 40 anni un’inadeguata assunzione di calcio può contribuire ad una perdita accelerata di tessuto osseo e allo sviluppo dell’osteoporosi. Sulla tavola al femminile non devono mai mancare i prodotti lattiero-caseari, che sono la principale fonte di calcio alimentare e gli alimenti in cui il calcio è presente nella forma più biodisponibile, grazie al favorevole rapporto tra calcio e fosforo: il latte vaccino contiene 120 mg di calcio, lo yogurt 125 mg, i formaggi freschi circa 440 mg e quelli stagionati 1260 mg (valori medi per 100g). Con lo yogurt è più facile mantenere il peso Uno studio pubblicato dal New England Journal of Medicine ha analizzato l’alimentazione di 121.000 persone per evidenziare le associazioni più significative tra alimenti e aumento di peso connaturato con l’età. Lo yogurt è risultato al primo posto tra gli alimenti amici della linea: infatti, per ogni porzione in più di yogurt consumata ogni giorno, l’aumento di peso si riduceva di circa 370 g ogni 4 anni. Lo yogurt ha mostrato performance migliori della frutta secca (- 260 g), della frutta fresca (- 220 g), dei cereali integrali (-170 g) e della verdura (-100 g). Con i latticini combatti la sindrome premestruale Uno studio condotto dal Dipartimento di Salute Pubblica della Massachusetts University ha osservato che un elevato
apporto di vitamina D e di calcio erano associati con un ridotto rischio di soffrire di sindrome premestruale. In particolare, le donne con gli apporti alimentari più bassi di calcio (in media 529 mg al giorno) avevano il 30% di probabilità in più di soffrire di sindrome premestruale rispetto alle donne con gli apporti più elevati (1283 mg). Il consumo di latte magro o a ridotto contenuto di grassi è risultato anch’esso associato con una riduzione del ri-schio di sindrome premestruale. Con latte&derivati fai una gravidanza serena (e aiuti tuo figlio a nascere sano) In gravidanza, l’alimentazione richiede qualche accorgimento in più: aumenta il fabbisogno di proteine (+ 6 g al giorno), di ferro e di calcio (+200-400 mg). Esigenze facili da rispettare se si consumano ogni giorno almeno 3-4 porzioni di latte e derivati. In particolare, la British Dietetic Association consiglia ogni giorno 3 porzioni di latte e derivati da 180 ml, 150 g di yogurt o 25 g di formaggio, consigliando di scegliere prodotti a basso contenuto di grassi, eccezion fatta per le donne sottopeso. Con i latticini magri stare a dieta è più semplice Latte e yogurt a ridotto contenuto di grassi forniscono preziose sostanze nutritive (come calcio, proteine di alta qualità, zinco, potassio e vitamine del gruppo B) ma con un apporto energertico modesto. Basti pensare che 100 g di latte o yogurt scremati hanno solo 36 calorie. Dunque, rispettare le tre porzioni di latte o yogurt previste ogni giorno dalle linee guida per una sana alimentazione, scegliendo le versioni magre o parzialmente scremate, permette a una donna adulta di garantirsi il 58% del calcio, il 31% dello zinco e il 25% delle proteine necessarie ogni giorno. Il tutto in sole 135 calorie complessive. Inoltre in una dieta corretta possono entrare anche ricotta vaccina, fiocchi di formaggio magro, formaggi alleggeriti e, perché no, piccoli assaggi di formaggi stagionati. Ad esempio, una piccola noce di Grana Padano può essere utile per riequilibrare un primo piatto, rendendolo “unico”. Con i probiotici dai una mano all’intestino Ogni giorno, in media, vengono pubblicati due nuovi articoli scientifici dedicati ai probiotici, con risultati sempre più interessanti riguardo l’importanza della flora batterica intestinale e la capacità dei probiotici di favorirne l’equilibrio. La valenza funzionale dei probiotici è confermata anche dal documento di consenso “Probiotici e salute: stato dell’arte basato sulle evidenze”, pubblicato sulla sulla Pharmacological Research. Con i latticini puoi seguire una dieta iperproteica Per dimagrire, o mantenere il peso forma, può essere utile aumentare gli apporti proteici puntando su latte magro o yogurt scremato, carni sgrassate, pesci magri a abbinare ad adeguate quantità di frutta, verdura e cereali integrali. Una tazza di latte o 2 vasetti di yogurt apportano 9g di proteine di alto valore biologico, che corrispondono al 15% della
quantità giornaliera mediamente raccomandata a un adulto. Con una porzione da 100 g di mozzarella o di stracchino si arriva a 18,5 g di proteine, ossia il 30% circa di quelle che andrebbero assunte ogni giorno. Con i latticini previeni l’ipertensione Una ricerca della Harvard School of Public Health di Boston, pubblicata da Hypertension, ha indagato l’associazione fra i prodotti lattiero caseari e l’incidenza dell’ipertensione su 29.000 donne dai 45 anni insù In questo studio, durato dieci anni, si è osservato che sia l’assunzione di prodotti lattiero caseari a basso contenuto di grassi, che l’assunzione di calcio e di vitamina D erano inversamente associati con il rischio di ipertensione, suggerendo un loro potenziale ruolo nella prevenzione primaria di questa malattia. Con i latticini resti tonica Consumare delle proteine dopo l’esercizio fisico è la strategia più efficace per avere muscoli sani e tonici, come rivela uno studio pubblicato sul http://journals.lww.com/coclinicalnutrition/pages/default.aspx”Current Opinion in Clinical Nutrition & Metabolic Care. E le proteine del latte si sono rivelate più efficaci dei carboidrati o dei supplementi di soia nel supportare gli aumenti della massa magra indotti da un allenamento di forza. Ma non solo: sono anche le più indicate per contrastare l riduzione della massa muscolare, e di conseguenza anche della forza, che avviene con il progredire dell’età e che riguarda il 30% delle persone di 60 anni e oltre. Le proteine del latte sono le migliori nel favorire la sintesi proteica muscolare per due ragioni: da un lato sono facilmente digeribili e sono assorbite in misura elevata dall’organismo, dall’altro la loro composizione in amminoacidi è ottimale per supportare la sintesi proteica muscolare. Con i latticini ti nutri bene e spendi poco I latticini non sono solo il modo più semplice, gustoso ed efficace per fare il pieno di calcio: sono anche l’alimento con il miglior rapporto calcio assorbibile/prezzo. Una porzione di
formaggio grana da 50 grammi costa circa 1 euro e assicura oltre il 50% dell’apporto giornaliero raccomandato di questo prezioso minerale. Per assumere lo stesso quantitativo di calcio (ossia 580 mg) si dovrebbero consumare ben 700 g di spinaci, che costano circa 1,54 euro. Oppure si dovrebbero sborsare circa 3 euro per acquistare oltre 220 gdi mandorle. Oltre a spendere di più, si tratterebbe anche di calcio meno biodisponibile, perché negli alimenti di origine vegetale sono spesso presenti sostanze, come gli ossalati e i fitati, che ostacolano l’assorbimento del calcio. Con latte e yogurt diventi più bella Impacchi nutrienti, maschere idratanti, bagni rilassanti, scrub dolci e trattamenti anti-età: sono tanti i rimedi naturali (e low cost) a base di latticini per prendersi cura della pelle in modo semplice ed economico. Infatti, come sottolinea Assolatte, il latte, il burro e lo yogurt apportano proteine, minerali e vitamine, che idratano, nutrono e „riparano“ la pelle. Con i latticini prepari le unghie per la “nail art” Consumare regolarmente latte, yogurt, burro e formaggi è il primo passo per avere unghie belle e sane poiché i latticini contengono minerali e vitamine indispensabili per farle crescere sane e forti. Infatti tutti i latticini sono un’ottima fonte di proteine di ottima qualità, che mantengono le unghie sane evitando che si formino antiestetiche striature o irregolarità. Inoltre latte e derivati sono una miniera di calcio e di vitamina B2, che rafforzano le unghie impedendo che si indeboliscano e si sfaldino. In particolare, il latte ha un interessante contenuto di zinco, necessario per produrre la cheratina, il “mattone” delle unghie che le rende forti e impedisce che si spezzino con facilità. Invece il burro e i formaggi forniscono la vitamina E, che serve a regolare il tenore di acqua delle unghie e ad assicurarne morbidezza e flessibilità. www.assolatteyogurt.it www.lattendibile.it
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AGRICOLTURA OGGI DARIO CASATI E LUCIA BALDI
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IL PUNTO SULLA IV GAMMA
Non è solo insalata nel sacchetto, anche se così la chiama un numero crescente di consumatori. La verdura e la frutta fresche, selezionate, lavate, asciugate, vendute in confezione sigillata in banco refrigerato e pronte all’uso rappresentano il più interessante esempio di innovazione di successo a cavallo fra agricoltura, industria alimentare, consumi e stili di vita, eppure fanno parte di un settore molto noto e poco conosciuto, quello dei prodotti di IV gamma. Prodotti ormai entrati nel costume alimentare senza fatica, accettati senza difficoltà. Dario Casati e Lucia Baldi
Tunnel per la coltivazione di baby-leaf, nel Bresciano.
migliorati e resi più sicuri ed efficienti. Quanto basta per attirare l’interesse sulla IV gamma, un’innovazione che si sta realizzando in diretta e che ha molti requisiti interessanti.
NON È SOLO INSALATA NEL SACCHETTO Non è solo insalata nel sacchetto, anche se così la chiama un numero crescente di consumatori. La verdura e la frutta fresche, selezionate, lavate, asciugate, vendute in confezione sigillata in banco refrigerato e pronte all’uso rappresentano il più interessante esempio di innovazione di successo a cavallo fra agricoltura, industria alimentare, consumi e stili di vita, eppure fanno parte di un settore molto noto e poco conosciuto, quello dei prodotti di IV gamma. Prodotti ormai entrati nel costume alimentare senza fatica, accettati senza difficoltà. Ma, appunto, non è solo insalata nel sacchetto.
LE RAGIONI DELL’AFFERMAZIONE DELLA IV GAMMA Le ragioni della rapida affermazione sono numerose e coinvolgono tutti i protagonisti di una vicenda iniziata da poco più di dieci anni. I consumatori hanno trovato risposta ad almeno tre ordini di esigenze: nel nostro modello alimentare gli ortofrutticoli hanno un peso rilevante, ma presentano problemi per i tempi di preparazione, incompatibili con la vita di oggi, e per la conservazione, che implica processi di trasformazione per quelli conservati o surgelati. La IV gamma fornisce un alimento fresco, pronto all’uso e soggetto a trattamenti minimamente invasivi. Essa risponde alle principali tendenze dei consumi alimentari: verso i cibi confezionati (packaged food) e pronti per essere usati (convenience food) adatti al modello di famiglia ed alla presenza di lavoro femminile extradomestico. Infine si inseriscono nella preferenza del nostro consumatore verso cibi “freschi”, con un elevato contenuto naturale e requisiti legati alla salute (healthy). Gli agricoltori, presenti nella filiera sin dall’inizio, hanno sperimentato un modo di produrre innovativo,
L’INNOVAZIONE NELL’ALIMENTARE, UNA SCOMMESSA DA VINCERE Il consumatore, in genere, è attratto dalle novità, tanto più quando queste si inseriscono nei grandi trend dei nuovi stili di vita. L’eccezione più interessante è però costituita dai consumi alimentari. Di fronte alle innovazioni le scelte diventano prudenti guidate da una diffidenza alimentata da antiche paure e nuove leggende metropolitane. L’innovazione nell’alimentare è più ardua che altrove, occorre perciò imboccarne la strada con grande cautela e lo sanno bene le imprese alimentari. I processi sono gli stessi da sempre, ma possono essere
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a contatto stretto con il consumatore le cui esigenze non sono più mediate da una lunga catena di intermediari. Hanno introdotto varietà e tecniche colturali innovative specifiche del prodotto idoneo all’impiego nel processo produttivo e ricavano prezzi più redditizi rispetto a quello tradizionale unitamente ad una maggiore sicurezza di collocamento perché la coltivazione avviene su contratto, insomma un caso raro di qualità che viene riconosciuta e pagata. Per i produttori accanto ad alcuni aspetti positivi presenti, come il vantaggio di prima mossa per i pionieri, ve ne sono altri ancora validi. La IV gamma permette di aprire spazi nuovi per prodotti
maturi con il vantaggio di operare in un’attività in espansione e con margini di profitto elevati. Infine un ruolo rilevante è giocato anche dalla Grande Distribuzione (GD) che è stata sin dall’inizio l’interlocutore diretto dei produttori e che copre, come vedremo, la quota principale del mercato al consumo. Essendo un comparto nuovo, ancora in assestamento, la GD ha avuto la possibilità di lanciare le proprie marche commerciali (private label) con indubbi vantaggi sia di ricavi sia di quote di mercato. Inoltre il prodotto crea un collegamento diretto con i produttori sugli standard di sicurezza e, in genere, di processo che sono una costante, e crescente, preoccupazione della stessa GD.
IN EVIDENZA Forte crescita del mercato
+ 376% negli ultimi 10 anni
Localizzazione dei consumi, legata ai redditi e agli stili di vita, (ma con cambiamenti rilevanti)
60% nel Nord Italia
Prezzi mediamente più alti del corrispettivo di I gamma
4-5 volte più elevati
Ruolo fondamentale della GDO (ma avanzata dei discount)
70% nei super+iper mercati
Forte presenza delle private label
68%
Forte concentrazione territoriale e produttiva
31% in Lombardia, 30% in Campania
Presenza di una filiera corta e integrata, con un ruolo nuovo per le associazioni dei produttori
AOP-unoLOMBARDIA (società consortile che rappresenta circa il 90% della produzione)
Serra multitunnel per la coltivazione della rucola, nella Piana del Sele (SA).
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con le imprese del Nord è ancora forte e solo di recente nelle aree del Sud si è attivata anche la fase di lavorazione. Il comparto è fortemente concentrato anche dal punto di vista organizzativo e gestionale: la AOPUnoLombardia, difatti, società consortile composta da 12 organizzazioni di produttori ortofrutticoli di cui 5 operanti nella filiera della IV gamma, controlla circa il 90% dell’intera produzione italiana. Un ulteriore aspetto che contraddistingue il comparto è rappresentato dalla presenza di una filiera corta e fortemente integrata e dal legame con le attività economiche parallele.
IL PUNTO SULLA IV GAMMA Il comparto ha avuto una crescita senza eguali nell’alimentare e forse nell’intera economia. In dieci anni il suo mercato è cresciuto del 376% andando a colmare esigenze che erano presenti, ma inespresse. I consumi al momento sono localizzati in prevalenza nel Nord del Paese, con una quota del 60% del totale. I prezzi sono mediamente più elevati di quelli del prodotto fresco, anche se il divario si sta riducendo. Il ruolo della Grande Distribuzione è fondamentale poiché il 70% del prodotto passa attraverso iper e supermercati, anche se avanza, con la crisi, anche nei discount. La presenza della GD si traduce in un forte peso delle marche commerciali con il 70% del mercato. La concentrazione e specializzazione territoriale è a sua volta elevata: due regioni, Lombardia e Campania, rappresentano ciascuna circa il 30% del totale.
LA PRODUZIONE
UN’OFFERTA IN CRESCITA QUANTITATIVA E QUALITATIVA Anche se l’immagine prevalente dei prodotti di IV gamma rimane ancorata alle insalate, in realtà l’offerta complessiva è più ampia. Circa il 70% dei prodotti è costituito dalle insalate a loro volta suddivise in due tipologie, quelle a cespo che interessano il 40% e quelle “baby leaf ”per il restante 28%. Tutti gli altri prodotti concorrono per il 32% mancante, ma sono in espansione. Fra le insalate a cespo, con una quota del 60%, prevalgono radicchi e cicorie, seguiti dalle lattughe con poco più del 20% e dalle indivie per il resto. Il gruppo più innovativo è quello delle cosiddette “baby leaf ” e cioè delle insalate a foglia piccola che per il 50% è formato da lattughino, da valerianella e rucola e per la restante parte da cicorino, spinacino e piante orientali. Creando miscele di prodotti si favorisce la composizione di insalate miste con gusti che possono adattarsi a consumi sia più tradizionali sia nuovi. In questo senso si può spiegare il successo delle varie “misticanze” che hanno introdotto su larga scala ad esempio l’impiego degli spinacini e ampliato quello della rucola e della valeriana.
AZIENDE AGRICOLE PRODUTTRICI
‘circa 500
SUPERFICIE UTILIZZATA PER LA IV GAMMA
6.500 ETTARI
SUPERFICIE IN SERRA
50% DEL TOTALE
SCARTI DELLA MATERIA PRIMA (in fase di lavorazione)
FINO AL 50%
CICLI PRODUTTIVI ANNUI (sulla stessa superficie)
5-6 CICLI ALL’ANNO
AZIENDE DI TRASFORMAZIONE
CIRCA 120
OCCUPAZIONE (ma sottostimata)
1500 LAVORATORI A TEMPO PIENO
Fonte INRAN (2000)
CHI PRODUCE E DOVE SI PRODUCE LA IV GAMMA La realtà produttiva del comparto presenta una serie di peculiarità che la rende particolare e ne rappresenta la forza. L’aspetto più rilevante riguarda la concentrazione territoriale e produttiva delle imprese che forniscono la materia prima. Non tanto e non solo le caratteristiche delle aree, quanto le capacità imprenditoriali del tessuto socio-economico e la marcata propensione all’innovazione hanno di fatto creato dei veri e propri poli produttivi attorno alle aree di Brescia e di Bergamo. Ad esse sono seguite alcune realtà in Campania, in particolare nella zona di Battipaglia e, più di recente, nel Salento. Il legame
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Raccolta del lattughino.
la concentrazione è quanto mai accentuata, sia in termini aziendali che territoriali.
Le realtà produttive sono circa 500 con un numero di occupati a tempo pieno che si aggira attorno alle 1500 unità. Questo dato tuttavia non è esaustivo a causa della presenza di manodopera stagionale nel periodo invernale e primaverile quando si registrano i maggiori volumi prodotti e venduti. La superficie investita a colture per la IV gamma raggiunge i 6.500 ettari, la metà dei quali in serra, ma anche in questo caso il dato non è significativo dell’estensione totale dal momento che nelle stesse superfici si svolgono mediamente 5/6 cicli ogni anno, a seconda della varietà coltivata e delle condizioni meteoclimatiche. Pur essendo in parte prodotta in serra, e comunque in condizioni di estrema cura, la produzione si caratterizza per una forte quantità di prodotto scartato durante la fase di lavorazione, con punte fino al 50%, al fine di assicurare una qualità elevatissima e riconoscibile lungo tutta la filiera.
PRINCIPALI IMPRESE DI TRASFORMAZIONE E LORO LOCALIZZAZIONE
LA TRASFORMAZIONE La trasformazione prevede la mondatura, la selezione e il taglio della materia prima; a queste seguono il lavaggio, il risciacquo e l’asciugatura. Infine il prodotto viene pesato ed imballato secondo le richieste dei canali di commercializzazione. Il tessuto aziendale è caratterizzato da una forte integrazione fra azienda produttrice e industria di trasformazione che spesso operano anche con coltivazioni autonome oltre che con contratti con i produttori. Anche in questa fase
Agronomia
Lombardia
Belgravia
Lombardia
Bonduelle Italia srl
Lombardia
La Linea Verde
Lombardia
Mioorto
Lombardia
Natura.com
Lombardia
Ortoverde
Lombardia
S.A.B. Ortofrutta
Lombardia
Florette
Piemonte
Zerbinati
Piemonte
Conserve Italia (Valfrutta fresco)
Emilia Romagna
Il Melograno
Emilia Romagna
Sipo
Emilia Romagna
L’insalata dell’orto
Veneto
OrtoRomi
Veneto
Azienda Agricola Maddalo Raffaele
Campania
Jentu
Puglia
Fonte: DEMM
33 AGRICOLTURA OGGI DARIO CASATI E LUCIA BALDI
IL MERCATO VALORE DEL MERCATO NEL 2012
770 milioni di €
VOLUMI VENDUTI NEL 2012
110.000 TONNELLATE
QUOTA DELLE INSALATE SUL TOTALE IV GAMMA
85%
UNITA’ VENDUTE
500 MILIONI DI PEZZI
VALORE DELLA IV GAMMA SUL TOTALE ORTAGGI E LEGUMI
8%
INVENDUTO A CARICO DEL TRASFORMATORE
50% CIRCA
PREZZO MEDIO NEL 2012
7,6 €/Kg
PRESSIONE PROMOZIONALE (% vendite in promo sul totale delle vendite)
17% (olio oliva 47%)
Le imprese che detengono la leadership del comparto sono Bonduelle e La Linea Verde, entrambe con sede in Lombardia, così come altre realtà quali S.A.B. Ortofrutta e Belgravia, dinamica anche sul versante delle private label. Recentemente l’azienda Jentu ha realizzato performance molto positive grazie all’integrazione di coltivazione, lavorazione e commercializzazione nell’area meridionale, in particolare in Puglia.
anche se proprio nell’ultimo anno questa peculiarità si è attenuata nonostante il generale andamento dei consumi. IL PROBLEMA DEL PREZZO Al loro primo apparire i prodotti di IV gamma avevano suscitato una serie di dubbi riconducibili a due elementi: a) il fatto che sembrava incredibile che i consumatori acquistassero orticoli, e nello specifico insalate, solo perché erano stati lavati, mondati e confezionati; b) il forte differenziale di prezzo per un alimento consumato in quantitativi elevati e di ridotto valore economico. La prima obiezione è stata superata dalla considerazione che la tendenza dei nuovi consumi a rivolgersi verso cibi che incorporassero servizi si stava affermando e quindi si sarebbe estesa, come è avvenuto, anche alle insalate. La seconda aveva una sua ragione, perché all’inizio il prodotto di quarta gamma al consumo costava 7 o 8 volte di più di quello equivalente. Con il procedere della diffusione, il differenziale si è ridotto sino all’attuale rapporto di 4 o 5 ad 1 con un prezzo medio di 7,6 €/kg. La differenza viene interpretata dal consumatore come un compenso al servizio reso ed al fatto che i prodotti non presentano scarti al contrario del fresco. Il calo dei prezzi trova spiegazione nella crescita del mercato e nell’ingresso di nuovi produttori attirati dall’elevata redditività. Se si considera la dinamica dei prezzi degli ortaggi si nota che i prezzi della IV gamma scendono in parallelo al loro successo, mentre quelli del fresco salgono o, come i surgelati, tendono a crescere, dopo una flessione, nel momento in cui la crisi ridimensiona altri consumi.
IL MERCATO Il fatturato della IV gamma nel 2012 ha raggiunto i 770 milioni di euro e 110.000 tonnellate vendute, corrispondenti a 500 milioni di pezzi, con tassi di crescita a due cifre eccezionali per un settore maturo come quello ortofrutticolo. Solo di recente il mercato delle insalate pronte ha subito un lieve rallentamento pur rimanendo ancora oggi la realtà più dinamica all’interno dell’alimentare. Da notare che il valore di mercato della IV gamma rappresenta l’8% di quello di tutti gli ortofrutticoli ed è in crescita. Il mercato è rappresentato per circa l’85% dalle insalate, mentre il resto è ripartito tra le verdure da cuocere, le cruditè e le ciotole con condimento. Fra le insalate la quota maggiore è detenuta da quelle miste croccanti (34%), anche se le “mono” quali la rucola, il lattughino e la valeriana rappresentano il 35% e costituiscono un segmento particolarmente dinamico. Per le loro intrinseche caratteristiche i prodotti di IV gamma trovano sbocco nella grande distribuzione, anche se in questi ultimi anni di crisi economica una crescita rilevante si è registrata nelle vendite presso i discount. Particolarmente elevata è la quota di insalate venduta con il marchio della distribuzione (private label) che attualmente si aggira attorno al 65% del mercato e che è destinata ad aumentare proprio in virtù delle esigenze logistiche del prodotto stesso. Il comparto si caratterizza per una contenuta pressione promozionale, nell’ordine del 17% delle vendite,
LA DINAMICA DEI CONSUMI DELLA IV GAMMA Il vero banco di prova per la IV gamma è costituito dal comportamento recente dei consumi negli anni della crisi. Quelli alimentari in generale nei momenti di difficoltà economica non si riducono data la loro
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Lattughino rosso in tunnel, nel bresciano.
Coltivazione di valeriana in tunnel, in provincia di Bergamo.
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RIPARTIZIONE DELLA PRODUZIONE DI ORTAGGI DI IV GAMMA
Fonte: elaborazioni DEMM su dati AOPUnoLombardia
VARIAZIONE % 2012/2011 DELLE VENDITE DI ORTAGGI DI IV GAMMA
Fonte: Elaborazioni DEMM su dati Ismea
DINAMICA DEI PREZZI DEGLI ORTAGGI (EURO/KG)
Fonte: elaborazioni DEMM su dati Ismea e Istat
insostituibilità, o lo fanno in misura minore rispetto agli altri. È quello che è accaduto anche nel 2012 in cui l’insieme dei consumi alimentari ha perso qualche decimo di punto rimanendo sostanzialmente stazionario a fronte di un calo di tutti i consumi di circa 2%. Ma, fra i prodotti in controtendenza, il maggior incremento è nella IV gamma che realizza nel 2012 un aumento in quantità di circa il 15% rispetto al 2011 e in valore dell’11%. Il comparto ha dovuto ridurre i propri margini, ma il risultato è stato soddisfacente. Gli incrementi maggiori riguardano le insalate miste, cioè il prodotto di maggiore prezzo unitario, in cui è più rilevante il servizio offerto, seguono gli altri ortaggi e quelli pronti per la cottura, mentre crescono meno le insalate monotipo. Questo andamento in controtendenza rappresenta un importante motivo di riflessione per il futuro dell’alimentare.
scontro con la GD sul piano del potere contrattuale, vista anche la rilevante presenza delle marche commerciali che impediscono la fidelizzazione del consumatore nei confronti dei marchi dei produttori. Le imprese di punta si muovono su diversi fronti, innanzitutto variando l’offerta che si è estesa ai succhi di frutta freschi, gli smoothies, ai piatti pronti a base di vegetali, a nuove presentazioni, alla frutta, ai dessert, ai prodotti monoporzione per le macchine distributrici. Si apre inoltre il mercato della ristorazione, in particolare comunità, ristoranti, fastfood all’italiana con le “insalatone” specie nel periodo estivo e negli esercizi stagionali. Un altro tema chiave è quello della garanzia di sicurezza dei prodotti di IV gamma. Il recente regolamento che finalmente detta norme in materia di standard di produzione per un comparto che se all’inizio, secondo uno slogan molto diffuso “vende tempo libero”, sempre più deve configurarsi perché “vende cibo fresco, naturale e sicuro” tre requisiti a cui il nuovo consumatore è molto sensibile. Perché ciò avvenga, però, è necessario un intenso sforzo di sviluppo della ricerca e dell’innovazione sui processi produttivi, sui prodotti, sui modelli organizzativi, una sfida che deve essere vincente.
IL FUTURO DELLA IV GAMMA: PROBLEMI E PROSPETTIVE Aldilà degli apparenti contrasti con le leggi della domanda e offerta, in particolare degli alimentari, il caso della IV gamma si può riassumere nel fatto che il consumatore compie le sue scelte considerando che, anche se il prodotto costa più del fresco corrispondente, offre di più e quindi può essere acquistato ad un prezzo superiore. Il futuro della IV gamma rimane legato al proseguimento di questo comportamento del consumatore nella crisi e con il calo dei redditi in presenza del prodotto fresco. Un altro aspetto critico, sul versante dei produttori, è l’ingresso di nuovi entranti attirati dall’elevata redditività, un fatto che può agire sulla riduzione dei prezzi e sulla riduzione della qualità. La tecnologia di produzione in linea di massima è semplice e disponibile, in realtà i maggiori produttori grazie ad un continuo sforzo di ricerca hanno messo a punto tecnologie sempre più avanzate e sicure non sempre accessibili ai nuovi entranti. Infine rimane aperto il confronto/
Dario Casati DEMM Dipartimento di Economia, Management e Metodi quantitativi, Università degli Studi di Milano Lucia Baldi DEMM Dipartimento di Economia, Management e Metodi quantitativi, Università degli Studi di Milano
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IL NUOVO PACKAGING DELLE INSALATE DIMMIDISÌ VALORIZZA LA IV GAMMA La Linea Verde decide di veicolare sulle confezioni della gamma “DimmidiSì Fresco Raccolto” - insalate e verdure fresche pronte da gustare - informazioni relative ai plus di prodotto valide in generale per tutta la categoria della IV gamma, che beneficia pertanto di questa comunicazione dell’azienda specialista del freschissimo, in termini di valorizzazione del prodotto servizio. Per allargare il parco clienti con alta frequenza d’acquisto, per rassicurare il target attuale e potenziale in merito alla sicurezza alimentare e per fare in modo che cresca il numero di coloro che si avvicinano alla categoria, La Linea Verde decide di adottare una strategia comunicativa che potenzia, anche sul punto vendita, la descrizione dei vantaggi della IV gamma. È un’iniziativa mirata a spiegare che i prodotti dell’ortofrutta fresca pronta al consumo sono sani, buoni, di alta qualità, hanno un alto contenuto di servizio e sono in linea con i trend di consumo dettati dalla corretta alimentazione. Per questa ragione, La Linea Verde presenta il restyling delle confezioni “DimmidiSì Fresco Raccolto” che mantengono l’identità moderna e impattante della marca, ma conferiscono ora maggior rilievo ai plus del prodotto. Sul fronte del packaging, in una posizione di primo piano, un cartellino fucsia ricorda che l’insalata è fresca e già lavata, pronta da condire, garantita igienicamente, senza conservanti: tutte caratteristiche valide per l’intera IV gamma, che gode pertanto di questi messaggi comunicati dal brand. Riferiti in particolare ai prodotti DimmidiSì, invece, sono l’indicazione dell’italianità del prodotto e il “timbro” di filiera controllata, aspetto che viene poi approfondito sul retro ad avvalorare e garantire la sicurezza del prodotto, coltivato con il metodo di agricoltura a produzione integrata e che ha un percorso tracciabile dalla coltivazione della materia prima fino al consumo. Sulla nuova busta, che ora sfoggia un look più prezioso grazie alla finitura perlata del nuovo film, trova spazio anche la raccomandazione di consumare frutta e verdura per cinque volte al giorno, come già da qualche anno consiglia l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), a conferma che DimmidiSì è un prezioso alleato della buona e sana alimentazione del consumatore. Infine, sul retro della confezione, sono indicati i riferimenti del numero verde, l’invito a seguire il brand sui social network e a visitare il sito di DimmidiSì, mezzi dal forte valore aggiunto perché incoraggiano il contatto diretto e il dialogo costruttivo con il consumatore. www.dimmidisi.it www.lalineaverde.it
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OPO VENETO, I MINICOLLI DI RADICCHIO OLTRE OGNI ATTESA GRAZIE ALLA PROMOZIONE COOP Grazie ai minicolli di OPO Veneto, distribuiti in forma promozionale dalle Coop, i radicchi veneti hanno raggiunto aree dove fino ad ora non arrivavano o erano una presenza episodica. Le confezioni da un chilo hanno avuto una risposta dei consumatori che ha superato ogni attesa. Sono state proposte a prezzo contenuto e incentivante in tutto il Nord, Centro Italia e nella fascia Adriatica fino alla Puglia; il riscontro positivo è generalizzato. Sono aumentati inoltre i consumi anche nelle aree dove il radicchio ha un mercato consolidato. Soddisfazione da parte dei promotori dell’iniziativa: commenti positivi arrivano dalle Coop, mentre per OPO Veneto si tratta di un’operazione che si sta concludendo bene, tanto più che ha rappresentato una bella prova organizzativa e logistica. Francesco Daminato, presidente di OPO Veneto afferma: “risultati validi, confermati da numeri molto interessanti, che lasciano intuire buone prospettive per la prossima stagione”. La campagna promozionale è all’ultimo capitolo: ora nel Veneto è un momento di passaggio dai radicchi invernali ai precoci, mentre si affacciano sulle tavole le insalate primaverili. Si vuole con questa iniziativa rafforzare ulteriormente, a livello locale, la conoscenza e il consumo dei radicchi, valorizzando le diverse varietà. La novità più interessante e più apprezzata è data dal fatto che nei minicolli, distribuiti dalle Coop, si trovano più tipi di cicoria veneta, il che consente di confrontare gusti, di apprezzarne la tipicità, di provare sapori diversi. Nel Veneto la campagna promozionale si presenta anche come una forma di educazione al consumo di radicchio nella sua terra, mettendone in risalto la varietà, la ricchezza e la versatilità, la quale è eccezionale, come confermano le sempre nuove e originali proposte che vengono dagli chef che animano prestigiose rassegne gastronomiche o serate conviviali dedicate all’ortaggio in contatto con i consumatori. www.ortoveneto.it
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FENDT 500 VARIO TOUR Dopo la presentazione della nuova serie Fendt 500 Vario all’EIMA di Bologna è giunto il momento di scendere in campo per testarla. Fendt durante il 500 Vario Tour dal 1 al 16 marzo propone 9 tappe nel nord e centro d’Italia. Oltre ai trattori Fendt per la prima volta in assoluta scenderà in campo anche la trincia Fendt Katana 65 e darà dunque il debutto ufficiale sul mercato Italia (in 5 delle 9 tappe). La Fendt Katana 65 da 650 CV deve la sua potenza a un motore V8 Mercedes-Benz da 16 litri e alla tecnologia SCR di Fendt che consente di ridurre i consumi. La Fendt Katana 65 impone nuovi standard non solo con il tamburo da 720 mm, che attualmente è il più grande sul mercato, ma anche per la costruzione geniale del rompi granella: grazie all’uso di dischi a V che ingranano l’uno nell’altro su due rulli funzionanti simultaneamente, lo spazio di azione dei dischi viene più che raddoppiata rispetto ai normali rompi granella a rulli. Da sottolineare è la possibilità di passare assai rapidamente dall’erba al mais e viceversa. Grazie al sistema di trasmissione con modalità ECO/POWER la nuova trincia di Fendt convince anche per i bassi consumi di carburante. Perché non sempre è richiesta l’intera potenza del motore: negli impieghi più leggeri, ad es. sull’erba, viene attivata la modalità ECO riducendo il regime del motore da 2.000 a 1.600 giri al minuto per risparmiare carburante. Il numero di giri di 1180 giri/min dei componenti rimane invece costante. Dopo l’introduzione sul mercato in Germania, la Katana 65 ha debuttato anche sul mercato internazionale. La trincia di Fendt è stata presentata in Francia per la prima volta alla INNOV-AGRI di Outarville nel settembre scorso. Con la trincia Katana 65 ci avviciniamo sempre più all’obiettivo di completare anche a livello internazionale l’intero programma di Fendt. Questa strategia verrá ampliata su tutto il mercato dell’Europa occidentale in maniera conseguente. A marzo, nell’ambito del Fendt 500 Vario Tour, verrá presentata anche in Italia la trincia Katana 65. Con l’inizio della stagione di trinciatura mais la trincia Katana convincerà anche i contoterzisti e agricoltori italiani nell’impiego pratico con le sue caratteristiche uniche. www.fendt.it
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Monsanto è impegnata giornalmente nel trovare soluzioni che soddisfino il produttore e il mercato della grande distribuzione. A conferma di ciò, alcune varietà di pomodoro hanno conquistato una posizione di leadership: Ventero è il pomodoro con cui fare business e rivolgersi alle più importanti piattaforme logistiche sia locali sia estere. È un pomodoro a grappolo di straordinaria qualità con frutti di eccellente colore, forma e consistenza, elevata produttività e prolungata shelf life. Ventero ha raggiunto in poco più di un anno un posizionamento di leader incontrando la soddisfazione dei produttori più esigenti e creando valore sia sul mercato italiano sia estero. In particolare, in Spagna ha raccolto grandi successi e in Italia ha vinto un premio di eccellenza (Tomato Excellent) nel mondo del pomodoro da mensa. Nel segmento del datterino la varietà incontrastata rimane Cikito, per le caratteristiche organolettiche, dolce e croccante, e per l’eccellente tenuta in postraccolta. Sempre su questo segmento sarà a breve pronta una nuova varietà che si sta rivelando un successo nelle numerose prove fatte in diverse aree della Sicilia: stiamo parlando del nuovo SV1201TC Infine, DRW 7723 nel segmento dei collettati, è una varietà di pomodoro che sta riscuotendo un grande successo sia presso i produttori che verso la grande distribuzione italiana. Si tratta di un collettato con un interessante peso specifico, eccellente presentazione per lucentezza e colore, e un gusto inconfondibile. “Assistiamo a flussi di prodotto provenienti dai Paesi del nord Africa e della Turchia, che mettono la competitività dei nostri produttori sempre più a dura prova, dichiara Angelo Crucitti, Executive Area Manager Sicilia di Monsanto. Proprio per questo il nostro impegno è quello di fornire prodotti che possano soddisfare sempre di più le esigenze del produttore locale, contribuendo ad una produzione redditizia, di alta qualità, sostenibile e quindi con minori costi di gestione”. www.seminis.com www.monsanto.it
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MONSANTO: FOCUS SULLE VARIETÀ DI POMODORO LEADER DI MERCATO
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LE VITAMINE NELLA STORIA E NELLA SOCIETÀ
Il bisogno giornaliero di Vitamina C può essere garantito da frutta e verdura cruda mentre quello di Vitamina PP viene assunto da cereali, carne, pesce e latticini. Alberto Guidorzi
Nel XV secolo, quando gli arabi monopolizzarono la via terrestre del mercato delle spezie e della porcellana, i paesi occidentali pensarono ad una via marittima per raggiungere le Indie. Costruirono quindi delle navi adatte a veleggiare in alto mare e dovettero pertanto navigare senza possibilità di scali intermedi. A nessuno venne in mente che una tale scelta doveva comportare un’alimentazione differente per i marinai. La loro dieta rimase, infatti, quella solita: gallette e prodotti carnei conservati sotto sale. Solamente quando s’imbarcavano dei nobiluomini e delle nobildonne, si caricavano anche animali, in particolare vacche, per avere del latte disponibile, ma esso era destinato solo per gli ospiti e allo stato maggiore della nave. Qualcuno penserà che il pesce in mare non mancasse, ma la pesca era consentita solo quando si era fermi per assenza di vento e se si era in acque poco profonde. Si viaggiava per mesi e quindi dopo un po’ si cominciava a notare tra i marinai della spossatezza, gonfiori alle gambe, emorragie multiple, scalzamento e poi caduta dei denti e cambiamenti nell’umore; non era pure infrequente la morte.
navigazione. Non rimase neppure sconosciuto il fatto che il marinaio ammalato che riusciva a ritornare in patria o che sbarcava nel luogo di destinazione, in poco tempo guariva. Tuttavia non si fece il parallelo con il cambio di alimentazione dovuto al ritorno alla normalità nel nutrirsi, oppure alle provviste nuove che arrivavano da terra e che comprendevano le verdure. Se però i medici di allora avessero conosciuto certi autori dell’antichità o la vita nelle regioni desertiche, avrebbero trovato che la malattia, che in seguito verrà chiamata “scorbuto”, era già descritta nel Papiro di Eber di più di tremila anni fa e che aveva costituito l’enciclopedia medica dell’antico Egitto. Avrebbero anche saputo che il Signore di Joinville, cronista della VII Crociata contro l’Egitto, aveva raccontato che dei soldati francesi con lo scorbuto erano stati guariti dagli arabi con una bevanda che probabilmente sarà stata a base di succo d’agrumi. Tra l’altro l’aggettivo “scorbutico”, da noi usato nel senso di intrattabile o di persona scostante, deriva proprio dall’atteggiamento assunto dai malati di scorbuto con malattia conclamata. Molto più contemporaneo fu il racconto di Jacques Cartier, l’esploratore del Canada, che scrisse sul suo libro di bordo che un capo indiano aveva fatto guarire 26 dei suoi 103 marinai ammalati di scorbuto dando loro una tisana di rametti di Abete del Canada (Picea glabra). Questo nel 1536. Tutto ciò sta anche a dimostrare che se vi erano notizie di cure a malattia conclamata, nessuno pensò di usare questi preparati come cura preventiva. Infatti in occasione del suo primo viaggio in India (1498), Vasco de Gama perse il 60% dei suoi marinai.
LO SCORBUTO: MALATTIA DEI MARINAI I Portoghesi la scoprirono per primi e la chiamarono “malattia di Luanda”. Subito si constatò che la malattia non era contagiosa. Si trovarono similitudini con una simile malattia presente nei paesi continentali dell’Europa Centrale e si ipotizzò, come causa, l’umidità presente sia in mare che nei paesi a lunghe stagioni fredde, umide e piovose. Questa causa fu dura a scomparire dalle motivazioni scritte nei rapporti di
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quanto appreso, anzi, pensarono che la miglior salute dei marinai olandesi dipendesse da sottocoperte e stive meglio areate e quindi meno umide che avevano le navi olandesi. Gli olandesi inoltre di ritorno dalle Indie caricavano per il viaggio di ritorno dei frutti verdi di chiodi di garofano e relativi steli e involucri di noce moscata, che forse usavano per qualsiasi malessere, data la nomea delle spezie, ma che in realtà contenevano vitamina C.
I LIMONI: ANTIDOTO NATURALE ALLO SCORBUTO I portoghesi di fronte alla catastrofe che minava la possibilità di commerciare per via marittima con altri continenti, sperimentarono il rimedio della frutta (agrumi), ma tennero segreta la notizia. Anche gli inglesi pagarono cara la non prevenzione allo scorbuto, infatti, la circumnavigazione di Anson (17401744), costò loro cinque navi su sei e ben un migliaio di uomini, anche se la sola nave ritornata aveva un carico 400.000 scudi d’oro catturati agli spagnoli. Con lo spodestamento, da parte di inglesi e francesi, dei portoghesi e degli olandesi nei viaggi intercontinentali verso le nuove terre, questi non avevano idea come le nazioni marinare soccombenti avevano contrastato lo scorbuto. Gli olandesi, a differenza dei portoghesi, caricavano sulle loro navi dei barili di “crauti”, vale a dire foglie di cavolo verza tagliate a strisce stratificate e salate (2% di sale) in barili. Il sale provocava plasmolisi delle cellule delle foglie e in questo modo iniziava una fermentazione lattica che durava 1 o 2 mesi e portava l’acidità totale espressa in acido lattico a circa il 2%, ciò sviluppava un particolare sapore e odore non molto gradevole, ma conservava la verdura. La fermentazione nel barile era quasi anaerobica e quindi l’acido ascorbico, o vitamina C, contenuta nelle verdure, seppure conservate, rimaneva pressoché intatto perché l’ossidazione era impedita. Gli inglesi spiarono le navi olandesi per carpirne i segreti e si accorsero anche di questi barili di cibo tipicamente germanico, però era tale la prevenzione verso questi nauseabondi sauerkraut, che non fecero tesoro di
RIMEDI, CONCORSI, ELISIR Man mano che gli inglesi divennero padroni dei mari non poterono più negligere il problema scorbuto sulle loro navi e quindi misero a disposizione un premio per chi concorreva a dare la risposta, anche se, per non suscitare l’interesse dei concorrenti, il bando fu tenuto segreto. La risposta arrivò dal medico scozzese James Lind che nel 1754 fece un’analisi epidemiologica bibliografica (cosa nuovissima per quel tempo) e apprese che nel Mediterraneo lo scorbuto era combattuto con gli agrumi. Decise quindi di eseguire una prova sulla nave Salisbury su un campione di sei paia di marinai tutti affetti da scorbuto e alimentandoli con cibi e bevande diverse: sidro, un elisir a base di zenzero e cannella, aceto, acqua di mare, aranci e limoni e infine un intruglio fatto di aglio, senape, balsamo del Perù e resina di mirra. Come bevande erano ammesse mosto di birra con tamarindo e inoltre, com’era pratica di quei tempi, somministrazioni di purghe. Dopo sei giorni constatò che solo i due marinai che avevano ricevuto gli agrumi erano guariti, mentre erano solo migliorati quelli che avevano bevuto sidro. Egli in
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seguito sperimentò anche altri alimenti, ma sempre per cercare di curare e non pensò mai di usarli come prevenzione della malattia. Comunque come sempre accade, le risultanze di Lind, seppure pubblicate, furono ritenute innovative da pochi. PREVENIRE, MEGLIO CHE CURARE Chi per primo pensò di tentare la prevenzione con qualche prodotto che aveva sperimentato Lind fu invece James Cook che nel suo secondo viaggio tra il 1771-1773 caricò anche malto, dei crauti, del mosto e della birra e pure della marmellata di carote come ingredienti della normale razione dei suoi marinai. Il succo di aranci e limoni che caricò invece lo destinò solo a chi si ammalava di scorbuto. Il risultato di questo tipo di alimentazione fu straordinario: ebbe solo cinque casi di scorbuto leggero e nessuno morì. Cook, tuttavia, non lasciò traccia del trattamento alimentare riservato al suo equipaggio, anzi il francese La Perouse, suo rivale come esploratore, venne a conoscenza del fatto che Cook aveva caricato crauti, ma non gli diede importanza. Solo nel 1794, dopo l’esperienza condotta da Gilbert Blane che viaggiò senza scalo dall’Inghilterra alle Indie somministrando ad ogni marinaio un limone al giorno e, senza dover annotare nessun caso di
scorbuto, l’ammiragliato britannico ordinò che sulle navi inglesi fosse somministrato il succo di un limone al giorno. Con ciò lo scorbuto fu sradicato dalla marina britannica. La battaglia di Capo Trafalgar del 21 ottobre 1805, avvenuta a sud di Cadice, tra le truppe inglesi e la coalizione franco-spagnola, avvenne dopo che una flotta francese e una flotta inglese si erano inseguite e cercate in Oceano Atlantico sia sulle sponde centro-americane che europee. Questo lungo girovagare in mare aperto aveva preservato in forma gli equipaggi inglesi, appunto perché combattevano preventivamente lo scorbuto, mentre quelli francesi e spagnoli avevano inutilizzabile parte degli equipaggi, oppure questi erano privati della necessaria buona forma fisica per sostenere una battaglia a causa appunto dello scorbuto. Pertanto tra le tante cause della vittoria degli inglesi e la disfatta di francesi e spagnoli che erano superiori in vascelli, fregate e uomini, si annovera anche il fatto che gli inglesi erano fortificati dalla vitamina C degli agrumi. Certo molto più importante nel far vincere gli inglesi, che così divennero padroni assoluti dei mari per almeno un secolo, fu la strategia dell’ammiraglio Nelson nel disporre le navi in modo originale (il famoso “tocco di Nelson”) e permettere di poter cannoneggiare da ambedue le fiancate delle sue navi.
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sintetizzano acido ascorbico, pur non essendo per loro una vitamina). Il nome di “vitamina” deriva dal fatto che una di queste sostanze aveva dei gruppi amminici e lo scopritore fu Casimir Funk, quindi per l’azione vitale che svolgevano furono chiamate “ammine della vita” o appunto vitamine. Il nome restò anche quando si scoprì che non tutte le vitamine avevano gruppi amminici. Successivamente Luigi XV inviò Yves de Kerguelen alla ricerca di questo continente australe, nel 1772 scoprì le Isole della Fortuna e rientrò in patria per annunciarlo, intanto però il suo comandante in riserva Louis de Saint Allouarn aveva continuato il viaggio e prese possesso della Nuova-Olanda o isola di Tasmania già scoperta da Abel Tasman nel 1605.
TRIBUTI ALLE VITAMINE La conferma dell’implicazione anche dello scorbuto nelle sorti della battaglia ci viene da due testimonianze. Una è di Robert Blane che afferma: “L’aver accettato le scoperte di Lindt ha permesso alla flotta inglese di conservare la stessa forza d’urto con un numero di battelli minore”, mentre l’altra è del medico Robert Finlayson che dice: “La maggioranza degli ufficiali esperti ammette che la guerra del Blocco, che ha distrutto la potenza marinara francese, non sarebbe mai riuscita se lo scorbuto non fosse stato controllato”. Ma i francesi non pagarono solo a Trafalgar il pesante tributo alla vitamina: avevano cominciato a pagarlo prima della battaglia. Quando, secondo quanto stabilito con il tratto di Utrecht (1713), gli inglesi s’installarono in Canada a discapito dei francesi. Questi ultimi allora sognarono di rifare il loro impero coloniale nel continente australe. Bougainville fu incaricato di eseguire la prima circumnavigazione del globo di una nave francese: accostò a Tahiti (ma dopo l’inglese Carteret), scoprì qualche isola in Melanesia e rientrò in patria dopo 2 anni e quattro mesi, senza aver preso possesso di niente, ma tutto contento di aver perduto solo 7 uomini a causa dello scorbuto. Il limitato danno ha, però, una causa particolare: oltre ad aver fatto scalo a Tahiti e quindi aver dato da mangiare cose diverse all’equipaggio, le disponibilità di gallette e cibo sotto sale deperirono talmente da essere immangiabili dagli umani, e riscuotere successo dal numero crescente di topi sulle navi. La repulsione verso quel cibo guasto fu tale che i marinai preferirono mangiare i topi della cambusa piuttosto che il cibo guasto colà conservato. Fu appunto questa carne fresca ad esercitare un’azione antiscorbuto (i ratti
CIBI ANTISCORBUTO Nel 1771 Cook intraprese un secondo viaggio e testò altri alimenti antiscorbuto e divulgò solo quelli meno efficaci; percorse l’oceano Pacifico in lungo ed in largo e si convinse che oltre la Tasmania e la Nuova Zelanda altre terre non esistevano. Solo successivamente Flinders, Baudin e altri descrissero, circumnavigandola, l’Australia. Nel 1800 Napoleone inviò due navi agli ordini di Nicolas Baudin per verificare se effettivamente si trattava di isole ed il caso fece che si trovò prua con prua con l’inglese Flinders. Credevano di essere ancora in guerra, ma la pace di Amiens (1802) era stata sottoscritta. Tuttavia la solidarietà marinaresca s’impose, Baudin, infatti, non aveva che solo 9 uomini sani e quindi Flanders lo accompagnò a Port Arthur (Sidney) dove furono rifocillati e curati, tuttavia le difficoltà di Baudin non finirono qui, in quanto anche il viaggio di ritorno fu penoso. La cosa però che si stabilì
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definitivamente fu che l’Australia (nome assegnato da Flinders) era alla sola portata degli inglesi, perché controllavano lo scorbuto dei loro marinai mentre ai francesi non era ancora riuscito. Trafalgar poi decretò definitivamente la supremazia inglese sui mari. Il principio attivo della vitamina antiscorbuto fu isolato nel 1912, ma solo nel 1932 si identificò l’agente antiscorbuto con un acido, già conosciuto tra l’altro come acido ascorbico e scoperto nel 1928 dall’ungherese Albert Szent-Giörgy nei peperoni e ciò gli valse il premio Nobel. Ancora tempo dopo i francesi combattevano lo scorbuto facendo mangiare ai marinai una patata cruda, che, per questo, in ambito marinaresco il “frutto” antiscorbuto usato da francesi fu definito il “limone dei poveri”.
obbligatorio, tanto è vero che Rigoberta Menchu (premio Nobel per la Pace del 1992), dice che erano tanto poveri da non avere i soldi per comprare la calce e che quindi non potevano neppure mangiare il mais. ESTRAZIONE CON LA CALCE Il processo praticato presso le culture del mais si chiama “nixtamalizzazione” da “nixtamal” che è l’impasto che si ottiene dopo l’ammollo o meglio la bollitura in acqua con una parte di calce (tre di acqua e una di calce), il successivo lavaggio con acqua e la trasformazione finale in una poltiglia formata dai semi dopo trattamento. Questo impasto è decolorato dal trattamento e lo si può usare tal quale o seccato o addirittura fatto fermentare. Il nixtamal è la base per preparare le tortillas e ne spiega anche il colore biancastro di queste ultime e non giallo come la polenta. Sull’impasto mantenuto allo stato umido si innestano poi delle fermentazioni. In tutto questo il pH, che era salito a 7,5 per effetto della calce, scende a 6,5 con il lavaggio e poi le fermentazioni, che sono di tipo acido, acidificano l’impasto portando il pH a livelli di 3,5/4. Questa diviene la base di un piatto tipico come il pozol. Mi piace a questo punto far notare la profonda contraddizione in cui cadono certi terzomondisti e cultori di cibi etnici attuali quando indicano la salubrità dello zucchero scuro di canna (ottenibile anche da bietola), adducendo a motivo che lo zucchero bianco raffinato è un veleno perché estratto con la calce, eppure questi portano in palma di mano tortillas e pozol, che comportano un uso molto più importante di calce. Il pozol è un piatto ricco di proteine in quanto due batteri (Agrobacterium azotofilum e Klebsiella pneumonie) sono azoto fissatori, non solo ma gli sbalzi di pH impediscono lo sviluppo di patogeni ed inoltre vi è arricchimento di molti amminoacidi freschi di fermentazione e produzione di gruppi vitaminici, tra cui niacina appunto detta anche acido nicotinico assieme al suo ammide o Vitamina B3, riboflavina, lisina e triptofano, tutti amminoacidi che mancano nel seme di mais al naturale.
VITAMINA PP La vitamina PP o antipellagrosa (pellagra preventing), fu scoperta molto tempo dopo che ormai la pellagra aveva assunto un’importanza molto relativa. Il primo a descrivere la pellagra fu un medico spagnolo nel 1735, mentre il termine fu coniato nel 1771. Essa seviziò le popolazioni più povere dell’Europa per due secoli (XVIII e XIX), quando la polenta di mais divenne la base alimentare esclusiva delle popolazioni più povere del Nord dell’Italia (venete e delle vallate alpine), cioè quelle popolazioni che oltre la polenta, comunque base alimentare per la totalità delle popolazioni contadine del tempo, avevano poco altro da accompagnarla. Il mais infatti per molto tempo non ha mai costituito una derrata per pagare gli affitti ai padroni, solo il frumento era accettato e spesso serviva tutta la produzione per saldare affitti e onoranze. I sintomi della malattia erano dermatiti diffuse sulle parti di cute più esposte alla luce e comportamenti che denotavano affezioni neurologiche. Infatti, in italiano era definita la malattia delle “tre d” (dermatite, diarrea, demenza), che diventavano quattro nella dizione inglese in quanto vi era da annoverare anche la morte (death). Le zone colpite da pellagra avevano anche il triste primato della maggiore concentrazione di manicomi. Una statistica del 1885 dava la presenza in Italia di 104.067 pellagrosi così ripartiti: 55.881 in Veneto (Padova e Treviso assommavano il 48,7% dei pellagrosi della regione), 36.630 in Lombardia (Bergamo e Brescia avevano il 60,5%) e 7.891 in Emilia. Ciò giustifica anche la corrente migratoria stabilitasi dalle valli prealpine, del Veneto e Friuli. A nessuno venne in mente di osservare che le popolazioni amerindie della civiltà del mais, non conoscevano la pellagra e quindi furono impossibilitate nell’indagarne le cause. Nessuno notò, nemmeno gli spagnoli, che queste popolazioni non macinavano il mais e ne facevano polenta come noi, ma invece prendevano i semi e li ammollavano in acqua con aggiunta di calce per almeno una notte. Questo trattamento è ancora
CONSIGLI DELLA NONNA E RIMEDI L’avere sottovalutato l’apporto culturale delle popolazioni colonizzate, ha portato noi europei a subire la pellagra. Non solo, ma così operando si ovvia anche alla naturale deficienza in calcio dei cereali e quindi a fenomeni di rachitismo a quei tempi tanto diffusi. I popoli amerindi inoltre non conoscono l’alimentazione a base di latte, che è l’alimento molto ricco in niacina, ma ovviavano a ciò con la nixtamalizzazione. Per inciso uno dei consigli dietetici che fu dato dai medici del tempo, ancora prima di conoscere l’effetto della niacina sul corpo umano, fu quello di mangiare la polenta spezzettata nel latte perché in questo modo si mediavano gli apporti
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vitaminici. Ricordo che mia nonna aveva conservato questa abitudine, ma che a me, che ormai avevo disponibile il pane, faceva un po’ senso. Ci si è chiesti da cosa può aver tratto origine la pratica dei nativi americani ed alcuni etnologi hanno proposto una ipotesi abbastanza logica. Durante il neolitico l’acqua si riscaldava in vasellame che non poteva stare sul fuoco e quindi vi si immergevano dei sassi resi bollenti dal contatto con il fuoco, probabilmente questa azione creava la trasformazione di parte del carbonato di calcio dei sassi in idrossido di calcio che rimaneva sciolto nell’acqua dove poi si cuoceva il mais. La pratica di aggiungere calce si sarà perpetuata anche quando si poteva riscaldare l’acqua direttamente sul fuoco. Comunque bisognò arrivare al 1937 per scoprire che l’acido nicotinico aveva la possibilità di guarire la malattia del cane nota come “lingua nera” che è la corrispondente della pellagra umana, la quale però era già stata sconfitta con la disponibilità di una dieta alimentare più proteica per l’elevamento del progresso sociale.
Si pensi che nel succo di peperone vi è da 20 a 30 volte il contenuto di Vitamina C rispetto al succo di arancia. Anche i cavoli (da 500 a 900 mg/100 g di s.s.) sono ricchi di vitamina C. ma, mangiandoli lessati, molta vitamina va persa nella cottura. Occorrerebbe mangiare verza solo scotta o addirittura cruda in insalata. Anche il pomodoro (crudo), ne è ricco. Così come la punta d’asparago (121 mg/100 g di asparago fresco), il cui contenuto va calando mano a mano che si scende verso la base del turione. Comunque, tutte le verdure a foglia, mangiate fresche, ne contengono. Le erbe aromatiche come il timo, origano e basilico, ne sono altrettanto ricche. Tra la frutta, ne sono ricchi gli agrumi, ma ancor di più i kiwi. Una curiosità: il contenuto in assoluto maggiore si trova in una pianta del Centro America ed è l’Acerola (Malpighia glabra): 100 g di frutto ne contengono ben 1600 mg. VITAMINA PP Può essere sintetizzata a partire dal triptofano, un amminoacido essenziale. Il fabbisogno di un uomo adulto, maschio, è di 18-29 mg al giorno, che possono essere assunti facilmente mediante i cereali a paglia (frumento, riso, avena), la carne, il pesce e i latticini.
VITAMINA C Il bisogno giornaliero di un maschio adulto è di 30-40 mg, che l’uomo ricava da frutta e verdura cruda. Quantità che si ritrova facilmente con una alimentazione equilibrata. La vitamina C è meglio salvaguardata a livello intestinale, in presenza di acidità e di sostanze antiossidanti (polifenoli e flavonoidi). Tra le verdure, i maggiori apporti si trovano nel peperone allo stato verde o in procinto di cambiare di colore. Il peperoncino piccante ne è molto ricco.
Alberto Guidorzi Agronomo
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STORIA DI UNA VENTENNE… TUTTA B(R)IO..! Il 4 febbraio scorso Brio ha festeggiato 20 anni di attività, dimostrando una lunga tradizione di storia e lavoro nel settore dell’ortofrutta biologica italiana. La festa di compleanno è stata organizzata nella sede di Brio, proprio il giorno della fondazione della S.p.A., ed i festeggiamenti hanno coinvolto lavoratori e Direzione per vivere un momento di condivisione di ricordi e di racconti sulla vita dell’azienda. Brio è nata da 5 cooperative venete, tra cui la Cooperativa Agricola La Primavera che ne è tuttora la controllante, per l’esigenza di commercializzare al meglio la produzione agricola dei soci e di migliorare il contatto con i clienti ed i consumatori finali. L’amministratore delegato di Brio, Andrea Bertoldi, ha raccontato con soddisfazione le sfide di vent’anni fa, quando c’era molto scetticismo sul biologico e poca attenzione alla sostenibilità dell’ambiente e delle risorse. “Il trend degli ultimi anni continua a confermarsi positivo e le prospettive del biologico promettono una continua sensibilizzazione del mercato e dei consumatori; ma chi l’avrebbe mai detto 20 anni fa? Per noi volle dire seguire i nostri valori. Ad oggi, guardandoci indietro, possiamo dire che le sfide superate sono state tante! E tanto ancora c’è da fare”. Come già anticipato, Brio S.p.A. è di proprietà della Cooperativa Primavera, ad oggi una cooperativa di 100bio- agricoltori italiani, e persegue la missione aziendale di offrire solo prodotti buoni e di qualità che siano stati coltivati responsabilmente e nel rispetto della natura. Oltre al rapporto con i soci della Cooperativa, Brio è impegnata a lavorare con produttori biologici che condividono valori e obiettivi di sostenibilità e crescita responsabile. La politica per i produttori si realizza tramite servizi di assistenza tecnica e logistica, pianificazione della produzione e rapporti di lungo periodo. Oltre alla divisione ortofrutta fresca, Brio opera con una divisione Generi Vari che offre un vasto assortimento di prodotti freschi e secchi, naturalmente biologici. Garantire una filiera controllata dal produttore al consumatore rispondendo alle esigenze di tutti i clienti, grande distribuzione organizzata italiana ed estera, negozi specializzati in Italia, grossisti e canale Ho.Re.Ca, è l’impegno quotidiano di Brio. Le certificazioni ICEA, Naturland, Demeter, Fair Trade e Global Gap ed il marchio di garanzia AIAB per i prodotti trasformati, confermano i valori di Brio: salubrità, sostenibilità e biodiversità. www.briospa.com
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www.conipiediperterra.com Il quotidiano online su agricoltura, nutrizione, territorio
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Con i piedi per terra”, “Antenna Verde” e “Agrinews Tris vincente per l’agricoltura che si racconta in tv
57 Con i piedi per terra, sulla neve e sull’acqua… Aprile è la piena primavera, momento in cui la campagna si è completamente risvegliata: lo raccontano le tradizioni ma soprattutto lo testimonia il calendario agricolo. E allora il nostro settimanale si occuperà di semine, da quella del pisello a quella del riso in acqua, tornerà sul tema della sicurezza in agricoltura e della meccanizzazione con gli eventi di “Agriumbria”, una 45° edizione
CON I PIEDI PER TERRA è in onda su Telesanterno in prima visione, al sabato ore 12.30 e martedì in prima serata alle ore 21. E in tutte le regioni italiane sul circuito nazionale ODEON TV ogni lunedì ore 20.30 e in contemporanea su satellite Sky al canale 914 L’AGRICOLTURA FULL TIME É su ANTENNA VERDE sul canale 656 dell’Emilia-Romagna
in cui la zootecnia resta in primo piano, ma sarà anche alla 47° edizione di Vinitaly, fotografia di una comparto che tiene nonostante tutto, mentre tra le fiere del garden seguirà a Cesena “Orti e giardini”, e sempre in Romagna torna AgRiolo, che porta anche in scena prodotti tipici esaltati dalla ristorazione. Quanto alle curiosità, un viaggio tra i vitigni autoctoni riscoperti e la riscossa delle ciaspole, nuovo amore dei turisti italiani, tra sport e ambiente.
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FRULLÀ TOP DI NATURA NUOVA: QUANDO IL GUSTO FRESCO DELLA FRUTTA INCONTRA L’ENERGIA DEL MUESLI
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Natura Nuova presenta l’ultimo arrivato tra i prodotti a base frutta: Frullà top, uno spuntino sano e gustoso adatto a tutti, in cui il sapore della frutta incontra l’irresistibile croccantezza dei cereali. Frullà Top è il risultato dell’impegno continuo di Natura Nuova, che propone ai suoi consumatori prodotti sempre più innovativi ed invitanti. In questo caso, il tradizionale gusto della pura frutta fresca frullata, priva di zuccheri aggiunti e conservanti, viene arricchito ed esaltato dalla dolcezza del muesli: croccanti cereali e mix di frutta di prima qualità (papaya, fragola, uvetta ed ananas). Frullà Top è una merenda sana e nutriente dedicata sia ai bambini - che non resistono alla dolcezza della frutta, resa ancora più invitante dal muesli - sia agli adulti che non vogliono rinunciare al gusto e ad una dieta equilibrata. In unico prodotto si incontrano infatti i valori nutritivi della frutta più pura e la carica energetica data dai cereali. Frullà Top è lo spuntino ideale per chi ama uno stile di vita sano e naturale, lo si può portare sempre con sé e gustare in qualsiasi momento della giornata. Ancora una volta Natura Nuova propone unnuovo rivoluzionario modo per gustare la frutta esaltandone il sapore, ma sempre nel segno della praticità e semplicità che da sempre caratterizza i prodotti dell’azienda. Frullà Top è disponibile in tre varianti: mela-pera, mela-frutti rossi e mela-ananas. www.natura-nuova.com
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SUA MAESTA’ IL CARCIOFO: IL RE DELL’ORTO Nicola Calabrese
Mai definizione è risultata più appropriata; questo ortaggio che unisce piacevolissime qualità organolettiche e numerose proprietà nutrizionali è presente, assieme al suo ‘fratello minore’ il cardo coltivato, è presente in tutti gli orti e in ogni regione della Penisola. L’Italia è di gran lunga il primo produttore mondiale. Partendo dal bacino del Mediterraneo da cui ha avuto origine, si è diffuso progressivamente in terre lontane a testimonianza di un lungo percorso ricco di successo che è ben lontano dalla sua conclusione.
l’introduzione del carciofo nell’Italia meridionale, probabilmente in Sicilia. Durante il I secolo a.C., gli agricoltori riuscirono a rendere domestiche le piante selvatiche del carciofo, che in quel periodo erano consumate a scopi alimentari e farmaceutici, e a metterne a punto la coltivazione. Numerosi autori greci e romani, tra i quali ricordiamo Marco Terenzio Varrone, autore del De re rustica, (37 a.C.); Gaio Plinio Secondo con il Naturalis Historia, (I sec. d.C.); Lucio Giunio Moderato Columella con il trattato De re rustica di (I sec. d.C.) tramandano ai posteri il carciofo citandolo nelle loro opere e descrivendo le tecniche di coltivazione impiegate e le proprietà medicamentose. Il carciofo è ampiamente decritto da Galeno, medico greco di Pergamo e attraverso le sue opere entra ufficialmente nella medicina e nella farmacopea. In tempi più recenti, Grazia Deledda (1871–1936) nella novella Il tesoro degli zingari, così descrive il carciofo: “…vidi gli orti già tutti fioriti e carciofi che parevano, sugli alti gambi argentei, grandi boccioli di rose...”, mentre Pablo Neruda, premio Nobel per la letteratura nel 1971, dedica una intera Ode a questo ortaggio ‘vestito da guerriero ma dal tenero cuore’. Il carciofo è coltivato nel mondo su una superficie di 130.000 ettari (ha), con una produzione complessiva di 1.550.000 t. La diffusione maggiore si riscontra nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, luogo d’origine e di domesticazione di questo ortaggio. L’Italia è saldamente al primo posto per la superficie coltivata, poco più di 49.000 ha, (pari al 39% della superficie mondiale) e per la produzione totale di capolini, con 478.000 t (31% del totale mondiale). Il secondo Paese produttore è l’Egitto con circa 200.000 t, seguito da Spagna (182.000 t) e Perù (150.000 t). La coltivazione del carciofo in Perù è recente; in circa
ORIGINE E DIFFUSIONE Il carciofo, il cui nome scientifico, è Cynara cardunculus L., subsp. scolymus (L.) è ampiamente coltivato sin dagli albori delle civiltà occidentali, dove era conosciuto ed utilizzato anche come pianta medicinale. La parola Cynara sembra derivare da ‘cinis’ perché, secondo Columella, il terreno destinato a ospitare piante di carciofo veniva preventivamente arricchito con cenere. Secondo altre interpretazioni, il termine era riferito a un gruppo di piante spinose e deriva da una leggenda secondo cui Zeus, innamorato respinto di una bella fanciulla di nome Cynara la trasformò, per vendicarsi, in una pianta spinosa. Gli antichi Greci usavano la parola scolymos per indicare varie specie di cardo selvatico con foglie e capolini appuntiti, utilizzate per vari scopi. Dall’arabo alkarshuf, ardi-shoki, harshaf, deriva il termine italiano carciofo, il catalano carxofa, lo spagnolo alcachofa, mentre dal neolatino articactus prendono origine la parola italiana ormai in disuso di articiocco, il francese artichaut, l’inglese artichoke, il tedesco artishoke. I Greci conoscevano sicuramente il capostipite selvatico di questo ortaggio, ed è a loro che si deve
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PRODUZIONE DI CARCIOFO NEI PRINCIPALI PAESI E NEL MONDO (Fonte: FAO)
Stato
Tonnellate
Italia
478.000
Egitto
202.458
Spagna
182.111
Perù
150.417
Argentina 100.891 Cina
75.000
Francia
52.032
Marocco
44.187
U.S.A.
43.640
Cile
41.694
Mondo
1.547.931
15 anni sono stati raggiunti e superati altri Paesi tra i quali Argentina, USA, Grecia, Marocco, Algeria in cui la coltivazione di questa ortaggio ha una lunga e consolidata tradizione. La Francia, in cui la superficie si è ridotta progressivamente del 30% dagli anni ’90 in poi, occupa attualmente la settima posizione con 52.000 t. In Italia il carciofo è presente in tutte le regioni, ma la coltivazione è concentrata prevalentemente in Puglia (15.600 ha e 148.000 t), Sicilia (14.800 ha e 165.000 t) e Sardegna (13.500 ha e 114.0000 t), che complessivamente rappresentano quasi il 90% della superficie e l’85% della produzione nazionale. Presenze significative della coltivazione del carciofo si registrano anche in Campania (1.900 ha e 32.000 t) e Lazio (1.100 ha e 22.700 t).
più consistenti e fibrose, sono normalmente eliminate prima del consumo, mentre quelle interne, più tenere e carnose costituiscono, assieme al ricettacolo (e spesso anche ad una porzione di gambo), la parte edule del capolino. Sulla porzione più interna del ricettacolo sono inseriti i primordi fiorali costituenti il pappo, chiamato comunemente ‘peluria’ o ‘barba’. Il panorama varietale presente in Italia comprende numerose tipologie che hanno a volte una diffusione territoriale limitata e che prendono il nome della località di coltivazione. Spesso la stessa varietà è denominata in modo diverso in aree differenti generando confusione non solo per i nomi e gli eventuali sinonimi, ma anche in riferimento agli aspetti tecnici e commerciali. In Italia sono state censite in totale 163 tra cultivar e popolazioni locali; mentre l’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, curato dal MiPAAF per valorizzare la biodiversità esistente sul territorio nazionale, riporta ben 27 varietà di carciofo. BOX DOP IGP In Puglia, Sicilia e Sardegna la coltivazione è basata prevalentemente su cultivar definite comunemente ‘precoci’, ‘rifiorenti’ o ‘autunnali’, perché caratterizzate da un calendario di raccolta molto ampio che parte appunto dall’autunno, (in alcune zone e con tecniche di forzatura la raccolta dei capolini inizia già nella prima metà di settembre), per poi proseguire anche durante l’inverno (laddove le temperature lo consentono) e la primavera successiva. La caratteristica comune di tutte le cultivar di carciofo ‘precoce’ o ‘rifiorente è quella di produrre, oltre a un buon numero di capolini da destinare al mercato fresco, (di solito la produzione
MORFOLOGIA E PANORAMA VARIETALE Il carciofo che acquistiamo al mercato, è in realtà un bocciolo fiorale, chiamato con terminologia specifica ‘capolino’, più o meno compatto a seconda della cultivar e dello stadio in cui viene raccolto, di forma diversa (cilindrica, conica, ovoidale, sferica subsferica) e colore differente a seconda della varietà. Il capolino a sua volta è costituito da un peduncolo (denominato comunemente stelo o gambo), una base a forma di piccola coppa (chiamata ricettacolo, talamo o fondo) sul quale sono inserite quelle che vengono chiamate impropriamente foglie, il cui termine corretto è brattee, di forma diversa (allungata, ovale, semisferica) e colore variabile dal verde pallido al violetto intenso, a volte dotate di spine all’apice. Le brattee esterne,
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Carciofo per la riproduzione del seme.
autunnale, invernale e parte di quella primaverile), anche una notevole quantità di ‘carciofini’, raccolti nei mesi di aprile - maggio e destinati quasi esclusivamente all’industria di trasformazione. In Italia, negli ultimi vent’anni sono state selezionate e costituite nuove cultivar: ‘Terom’, ‘Tema 2000’, ‘Grato, ‘Etrusco’, ‘Moro di Corneto’, ‘Rosso di Paestum’, ‘Exploter’, ‘Apollo’ alle quali si affiancano gli ibridi, molto produttivi, propagati per seme ‘Opal’, ‘Madrigal’ e ‘Romolo. Le cultivar più diffuse in Puglia sono il ‘Violetto di Provenza’, che si è affermato con molto successo negli ultimi vent’anni in provincia di Foggia, sostituendo progressivamente le popolazioni locali e assumendo il nome di ‘Francesino’. In questa zona con la tecnica della ‘forzatura’ gli agricoltori riescono ad anticipare la produzione al mese di settembre spesso notevoli benefici economici, in considerazione della scarsa presenza in quel periodo di capolini provenienti da altre regioni. In provincia di Brindisi e di Bari sono coltivati il carciofo ‘Brindisino’ il ‘Locale di Mola’. Nel territorio pugliese si segnalano inoltre impianti di ‘Romanesco’, ‘Terom’, ‘Tema 2000’; queste ultime hanno suscitato notevole interesse per la buona capacità produttiva, la resistenza al freddo e per il colore viola intenso dei capolini ben accetti in alcuni mercati del centro nord. In Sardegna è maggiormente diffusa la cultivar ‘Spinoso sardo’, con capolini muniti di robuste spine, ma dal sapore molto delicato, perfetti per essere consumati crudi, tagliati in fette sottili e assieme ai gambi, in pinzimonio. ‘Terom’, ‘Tema 2000’, ‘Masedu’ e ‘Romanesco completano l’offerta varietale
proveniente dalla Sardegna. In Sicilia prevale la coltivazione del ‘Violetto di Sicilia’, del ‘Catanese’ ed altri ecotipi ad essi ascrivibili; molto comune e apprezzato sui mercati locali è il ‘Violetto Spinoso di Palermo’. Particolarmente diffuse nel Lazio e in Campania sono le diverse tipologie di carciofo Romanesco (‘C3’, ‘Tondo di Paestum’, ‘Campagnano’, ‘Castellammare’) che sono tutte cultivar con epoca di produzione tardiva con le raccolte che cominciano di solito dalla fine di febbraio e proseguono fino a maggio. La lavorazione dei capolini riguarda principalmente la produzione di conserve sott’olio e in salamoia; quest’attività è effettuata prevalentemente da aziende di tipo familiare che solo raramente commercializzano il prodotto finito con marchio proprio, mentre più spesso conferiscono il semilavorato a grandi industrie nazionali ed estere. In particolare la Puglia e la Sicilia costituiscono le più importanti aree di approvvigionamento per molte aziende ubicate al di fuori dei territori di produzione; negli ultimi anni una quota crescente di capolini è stata destinata alla preparazione di prodotti surgelati e di piatti pronti. CARATTERISTICHE QUALITATIVE E NUTRIZIONALI Il carciofo è un ortaggio che possiede ottime caratteristiche organolettiche e buone proprietà nutrizionali. La parte edule dei capolini, che varia dal 30 al 55 % in peso, contiene in media l’84% di acqua, il 2,7% di proteine, il 2,5 % di zuccheri disponibili e il 5,5% di fibra alimentare. Tra i sali minerali troviamo abbondanti potassio,
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SUPERFICIE E PRODUZIONE DI CARCIOFO IN ITALIA E NELLE PRINCIPALI REGIONI NEL 2012 (Fonte Istat) Regione
Ettari
Tonnellate
Puglia Sicilia
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15.616
148.325
14.832
165.146
Sardegna
13.528 114.326
Campania
1.895 31.904
Lazio
1.068 22.742
ITALIA
49.121 478.120
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IL CARCIOFO TRA DOP E IGP La fortissima radicazione territoriale della produzione cinaricola italiana, caratterizzata in alcune aree da particolari condizioni pedo-climatiche, specifiche soluzioni di tecnica agronomica, profondi e antichi legami sociali e culturali con il territorio e le sue tradizioni, spiega la possibilità di valorizzare la produzione del carciofo di alcune zone con marchi quali la D.O.P. o la I.G.P. fortemente legati al territorio di produzione. In Sardegna, una superficie1.700 ha, il 23% circa del totale regionale, è dedicata alla produzione del ‘Carciofo Spinoso di Sardegna’ DOP, il cui organismo di tutela ha sede a Villasor, cuore della produzione cinaricola regionale. Nel Lazio è presente il ‘Carciofo Romanesco del Lazio’ IGP che nei territori a nord di Roma, prevalentemente nei comuni di Ladispoli e Cerveteri, trova un’area particolarmente vocata alla produzione del carciofo Romanesco con le due tipologie ‘Castellammare’ (precoce) e ‘Campagnano’ (tardivo). In Puglia è stata recentemente riconosciuto il ‘Carciofo Brindisino’ IGP che comprende l’intero territorio dei comuni di Brindisi, Cellino San Marco, Mesagne, San Donaci, San Pietro Vernotico, Torchiarolo, San Vito dei Normanni e Carovigno. In Campania, Il ‘Carciofo di Paestum’ IGP, conosciuto anche come ‘Tondo di Paestum’, dal nome dell’ecotipo locale da cui deriva, è ascrivibile al gruppo dei carciofi di tipo Romanesco e trova il suo areale di coltivazione Piana del Sele. In particolare comprende parte del territorio dei seguenti comuni della provincia di Salerno: Agropoli, Albanella, Altavilla Silentina, Battipaglia, Bellizzi, Campagna, Capaccio, Cicerale, Eboli, Giungano, Montecorvino Pugliano, Ogliastro Cilento, Pontecagnano Faiano e Serre.
Fioritura del carciofo.
Coltivazione di carciofo a fine estate.
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Imbianchimento del cardo di cui si utilizza la nervatura centrale della foglia che costituisce la parte edule della pianta.
Cuori di carciofo e cottura.
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Capolini di cardo.
Capolino di cardo (Cynar cardunculus L.) sezionato dove sono visibili fiori e setole.
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sodio, calcio, fosforo, seguiti da magnesio, ferro e rame. Elevato è anche il contenuto di amminoacidi essenziali, quali l’acido aspartico e l’acido glutammico; al contrario, il contenuto di lipidi (grassi) e vitamina A, B2, C, è relativamente basso rispetto ad altri ortaggi. L’elevato contenuto in fibra è molto utile per l’effetto antistipsi e per i benefici effetti sul metabolismo digestivo. Inoltre è interessante segnalare la presenza di inulina, uno zucchero complesso che ha la proprietà di non innalzare il livello di glicemia nel sangue, rendendo il carciofo un alimento particolarmente indicato per la dieta dei diabetici. I valori dei singoli componenti possono variare in relazione alla tecnica colturale, all’epoca di raccolta, all’età del capolino e alla varietà coltivata. I residui della lavorazione del carciofo (foglie, steli, brattee), sono utilizzati come materie prime nell’industria alimentare, in quella farmaceutica e con ottimi risultati anche nell’allevamento zootecnico. Il carciofo è da lunghissimo tempo considerato una pianta medicinale; le proprietà farmacologiche sono attribuite principalmente ai composti fenolici di cui il carciofo è particolarmente ricco, e la cui attività biologica e terapeutica è ampiamente documentata in letteratura. Queste sostanze sono inoltre importanti per le loro proprietà antiossidanti, sia per la nutrizione umana che come alternativa naturale agli antiossidanti di sintesi utilizzati nell’industria conserviera. L’estrazione dei principi attivi avviene prevalentemente dalle foglie essiccate. Tra le molteplici azioni farmacologiche ricordiamo quelle aperitive, diuretiche, epatoprotettive, ipocolesterolemizzante, ipoglicemizzante, lassative, antiossidanti, ecc.; spesso viene inserito nelle diete
a scopo terapeutico in caso di sofferenze epatiche, eczemi da epatiti, arteriosclerosi, artritismo, ittero, stitichezza, glicosuria, iperazotemia, spasmi biliari.
PRINCIPALI COMPOSTI PER 100 G DI PARTE EDULE DEL CAPOLINO ENERGIA
22 Kcal
Proteine
2,7 g
Acqua
84 g
Lipidi
0,2 g
Glucidi disponibili
2,5 g
Fibra alimentare
5,5 g
Acido aspartico
413
Acido glutammico
300
Leucina
196
Arginina
169
Valina
150
Alanina
144
Fonte: Tabelle di composizione degli alimenti Istituto Italiano della Nutrizione
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Nicola Calabrese CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari Bari
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ASSOFERTILIZZANTI LANCIA IN ITALIA UNA CAMPAGNA ONLINE SUL RUOLO CHIAVE DEI FERTILIZZANTI IN AGRICOLTURA Una campagna online per scoprire l’importanza dei fertilizzanti in agricoltura. Questa la nuova iniziativa lanciata in Italia da Assofertilizzanti – Associazione nazionale produttori di fertilizzanti che fa parte di Federchimica – e promossa in Europa da Fertilizers Europe, Industria europea dei fertilizzanti, per ribadire il ruolo chiave che i fertilizzanti svolgono nell’affrontare la questione della sicurezza alimentare nel mondo in modo responsabile, efficiente e sostenibile. La campagna, intitolata “Roots for Growth”, include una serie di materiali online innovativi, consultabili sul sito rootsforgrowth.com, che hanno l’obiettivo di fornire le conoscenze utili al dibattito politico e incoraggiare il dialogo e la discussione sui temi legati alla sicurezza alimentare e alle diverse soluzioni per far fronte all’aumento della popolazione mondiale e, di conseguenza, del fabbisogno alimentare. Oggi, infatti, sono più di 840 milioni le persone con una disponibilità di cibo insufficiente. Nei prossimi 20 anni avremo bisogno del 50% in più di cibo, 30% di acqua e 50% di energia per nutrire 1,2 miliardi di persone in più nel mondo: tuttavia, negli ultimi 20 anni l’aumento della popolazione è stato di molto superiore all’aumento delle rese per ettaro di terreno coltivato. La campagna include il video illustrativo “Roots for Growth – Le radici per la crescita” - http:// tinyurl.com/cmlbxx9 www.assofertilizzanti.federchimica.it
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YOGA PRIMO NETTARE REGALA LE CARD INTERATTIVE LUDICO-DIDATTICHE DI WINNIE THE POOH
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Fino al 31 agosto all’interno di ogni confezione di succhi di frutta Yoga Primo Nettare in brik 3x125 ml – nei gusti pera e pesca – sarà presente in regalo, per un totale di 20 soggetti diversi, una card interattiva ludico-didattica con protagonista Winnie The Pooh, l’adorabile orsetto Disney che è oggi tra i personaggi animati più amati al mondo e in assoluto il preferito dalle mamme di bambini in età prescolare. Su ogni card Winnie The Pooh in regalo nelle confezioni di Yoga Primo Nettare (nei classici gusti pera e pesca, i preferiti dai bambini) sono presenti alcune aree oscurate con inchiostri termosensibili che possono essere scoperte agendovi sopra con il calore delle dita: così facendo emergono parti mancanti di un gioco, la risposta ad una domanda o indovinello, oppure messaggi e personaggi legati al mondo di Winnie The Pooh, e viene sviluppata così la curiosità, la fantasia e l’associazione logica dei bambini. Sul retro delle card, inoltre, sono riprodotti i personaggi di Winnie The Pooh con i quali è possibile giocare a domino. Yoga Primo Nettare rappresenta un segmento ad alto valore aggiunto nel comparto dei succhi di frutta per i bambini più piccoli, sia per l’elevato contenuto nutrizionale che per la qualità e quantità di frutta presente, proveniente esclusivamente da coltivazioni italiane e controllata in ogni fase del processo produttivo per offrire un prodotto naturale ed assolutamente idoneo all’alimentazione dei bambini a partire dal primo anno di età. www.succhiyoga.it
SENSATION, LA VALERIANA NUNHEMS CHE NON TEME IL CALDO C’è una novità molto promettente nel comparto delle valeriane primaverili-estive: si tratta di Sensation, la varietà sviluppata dalla ricerca Nunhems che garantisce compattezza, ampia finestra di raccolta e mantenimento del colore in un periodo critico per questo tipo di coltura, come è quello della stagione calda. Sensation vanta rese molto alte, con una rosetta che si presenta elegante e compatta. Le foglie cotiledonari sono piccole e, oltretutto, tendono a non ingiallire. La pianta è vigorosa e regge bene alle alte temperature, il colore è verde brillante intenso. Salvatore Gaglione, Sales Specialist di Nunhems per lattuga e valeriana, spiega: “Sensation è una cultivar che ha già dato numerose soddisfazioni alla produzione durante il suo primo anno di commercializzazione, proprio per le sue caratteristiche di compattezza e di colore. Essendo una varietà per semine primaverili estive si consiglia di tenere una densità di 800-1000 semi/mq”. Sensation ha un periodo di raccolta che va dall’ultima decade di aprile fino a tutto settembre. La varietà si adatta bene a tutti gli areali di produzione più vocati, dal Nord, al Centro, al Sud Italia. www.nunhems.it
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AGRICOLTURA OGGI VITANGELO MAGNIFICO
AGRICOLTURA OGGI
IL FINOCCHIO UN ALLEATO
Coltivato o selvatico, crudo o in pinzimonio, gratinato in forno o cotto al vapore, i suoi benefici sono tanti e noti da tempo. Che sia capace di aumentare la produzione di latte ne hanno scritto Ippocrate e Dioscoride. Che aiuti la digestione e valga come rimedio all’offuscamento della vista, così come descritto da Plinio, che prendeva ad esempio la pratica dei serpenti di cibarsi di finocchio per riacquistare l’acutezza visiva dopo il cambio di pelle, è notizia utile. Che sia un cibo anticancro al colon è una conferma di questi giorni. Vitangelo Magnifico
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produce aborti nelle femmine incinte degli animali che se ne cibano nei pascoli, e la cicuta, tristemente famosa per essere stata utilizzata nell’antica Atene per condannare a morte i rei, così come avvenne con il grande filosofo Socrate.
Il finocchio (Foeniculum vulgare var. azoricum) è un ortaggio da foglia, il quale, essendo quasi esclusivamente coltivato e consumato dai nostri connazionali, conferisce all’orticoltura italiana una specificità nel panorama mondiale. Non deve, però, trarre in inganno la grande produzione di finocchio in India (Foeniculum vulgare var. dulce), coltivato unicamente per la produzione del seme. Il finocchio appartiene alla famiglia botanica delle Apiaceae (Umbelliferae o Ombrellifere) che all’orticoltura ha fornito anche le importanti piante di carota, sedano e prezzemolo. È originario del bacino del Mediterraneo dove è molto comune in forme selvatiche nelle aree incolte e lungo i margini delle strade, dove può essere confuso con la simile ma gigantesca pianta della ferula. La pianta del finocchio è ben nota fin dall’antichità. Era conosciuta dai Greci e dai Romani e si racconta che fu Carlo Magno ad iniziare il suo uso come ortaggio. In questo caso si fa riferimento unicamente alla pianta selvatica, mentre nell’orticoltura moderna ci si riferisce alla varietà botanica capace di sviluppare il grumolo, cioè l’insieme dei piccioli (coste) fogliari allargati alla base e serrati quasi a voler proteggere, nella fase giovanile, l’apice vegetativo centrale che, con la differenzazione ad apice riproduttivo, emetterà lo scapo fiorifero, i cui fiori sono portati da una ramificazione a forma di ombrello, da cui il nome della numerosa famiglia botanica, che comprende anche piante tossiche, come appunto la ferula, che
DISTRIBUZIONE IN ITALIA Fu soprattutto in Toscana, già nel Medio Evo, che negli orti si iniziò ad isolare e coltivare le piante di finocchio che meglio si prestavano all’utilizzazione delle “teste” (o grumoli). Con il tempo, la coltivazione del finocchio è andata spostandosi sempre più al Sud, ad iniziare dagli orti laziali e campani, per raggiungere, nella seconda metà del secolo scorso, la massima diffusione in Puglia, da prima inserita in rotazioni dopo il grano e, in seguito, come coltura altamente specializzata, nelle successioni orticole. La diffusione della coltivazione del finocchio, pertanto, è concentrata nelle regioni Meridionali con oltre il 90%, mentre in quelle Centrali e Settentrionali, occupa, rispettivamente il 7% e 2,5%. Con una superficie totale annualmente investita che appare essersi stabilizzata intorno a 22.000 ettari, la coltivazione del finocchio fornisce circa 550.000 tonnellate annue sufficienti a soddisfare la domanda italiana, che va sempre più destagionalizzandosi, anche se la tendenza appare di dimensioni più contenute rispetto ad altre specie orticole. Ancora modesta è l’esportazione di questo ortaggio (meno dell’1% della produzione nazionale) mentre è irrisoria la quota Coltivazione di finocchio nel Fucino (AQ).
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importata, prevalentemente da Francia e Spagna che, con la California, completano il totale mondiale. Se la domanda estera è tradizionalmente orientata a soddisfare la richiesta degli italiani all’estero (Francia, Germania, Svizzera), nell’ultimi anni, piccolissime quote di finocchio italiano hanno raggiunto quasi tutte le Nazioni dell’Unione Europea, lasciando prevedere in futuro un maggior apprezzamento di questo ortaggio oltre i nostri confini. Puglia e Campania si dividono in parti uguali oltre il 40% della produzione nazionale, anche se la prima
impegna una superficie del 60% maggiore della seconda; ciò è dovuto all’ampio calendario della raccolta pugliese che include prevalentemente la coltivazione di cultivar precoci e medio tardive, che forniscono grumoli di minore dimensione, mentre in Campania prevale la coltivazione delle cultivar tardive a grumolo voluminoso e pesante. Calabria, Sicilia, Sardegna e le aree costiere della Basilicata e del Molise, rispecchiano il modello colturale pugliese, mentre Lazio, Toscana e le altre regioni del Centro e del Nord ripropongono il modello campano. Nel Fucino, dove è possibile ottenere un’ottima produzione durante l’estate, si utilizzano cultivar molto precoci capaci di esaurire il ciclo colturale in circa due mesi, ricorrendo, in qualche caso, alla copertura con film di TnT (tessuto non tessuto) delle piantine trapiantate all’inizio della primavera per proteggerle dai ritorni di freddo.
UN CAMPO DI FINOCCHI ALL’ORIGINE DELLA MARATONA I Greci chiamavano màrathon la pianta del finocchio e Maratona era il luogo dell’Attica dove la pianta cresceva spontanea e rigogliosa. Come riporta Ateneo di Naucrati ne I Deipnosofisti: “In pia memoria di Maratona, da quel momento in poi tutti mettono finocchio selvatico nelle loro olive”, alludendo a una tecnica di conservazione delle olive in salamoia che vanta radici molto antiche. Ovviamente la parola greca usata per la pianta ha a che fare con la famosa battaglia fra Atene e Sparta (490 a.C.). La leggenda racconta che il soldato ateniese Filippide (o Fidippide), per annunciare la vittoria sugli spartani, percorse di corsa i 42 km che separavano il campo di battaglia da Atene e che morì per l’immane sforzo. Questa leggenda ha ispirato la maratona, la più simbolica gara delle Olimpiadi moderne, che si percorre su una distanza di 42,194 km.
ASPETTI AGRONOMICI Il finocchio è una delle piante più semplici da coltivare, poiché è dotata di un robusto apparato radicale e ha pochi parassiti; pertanto, in terreni profondi e fertili, purché non asfittici, con le minime cure colturali è possibile ottenere buone rese produttive. Si inizia con una lavorazione profonda del terreno e una sua sistemazione onde evitare i ristagni di acqua. Si prosegue con il trapianto delle piantine; a mano nei piccoli orti, meccanizzato soprattutto nelle grandi aziende.
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“Secondo la Scuola Medica Salernitana, il seme di finocchio bevuto col vino eccita ai piaceri di Venere e, si dice, ridesti nei vecchi il giovanil vigore; il finocchio scaccia le sofferenze dei polmoni e del fegato, toglie lentamente il fetido alito, e il nero umore. Il seme di finocchio apre pure gli spiragli dell’ano”.
sementi derivanti da accurate selezioni dell’antico materiale e di nuove varietà ottenute da rigorosi programmi di miglioramento genetico. E per questo motivo, nel panorama varietale italiano sono ancora presenti le antiche varietà che richiamano le principali aree di produzione (Dolce di Firenze, Nostrale di Chioggia, Romanesco, Marchigiano, Mantovano, Di Bologna, Di Napoli, Gigante di Bari, Grosso di Palermo, Tondo di Sicilia, Di Sarno, A testa tonda di Tricase, Capo Rizzuto ecc.) e alle quali le ditte
L’operaio (o la macchina) deposita le piantine sulla fila ad una distanza fra loro di 25-35 cm in funzione della dimensione dei grumoli alla raccolta, mentre le file risultano distanti fra loro 45-60 cm in funzione delle attrezzature aziendali per le lavorazioni al terreno. In genere, il controllo delle malerbe viene affidato ad erbicidi selettivi la cui azione viene integrata dalla scerbatura meccanica che provvede nel contempo a realizzare una leggera rincalzatura del terreno considerato che il grumolo viene formato dalla pianta sul livello del terreno. La tradizionale semina direttamente in campo del finocchio è ormai del tutto abbandonata. Da qualche decennio, come per altre specie orticole importanti, i produttori preferiscono acquistare e mettere a dimora piantine allevate in vivai specializzati ed ottenute impiegando seme altamente selezionato di cultivar o ibridi prescelti in funzione della durata dei cicli colturali e delle raccolte che si vogliono programmare; per assecondare con continuità l’assorbimento da parte dei mercati. Quindi, non più seme autoprodotto dall’orticoltore con ingegnosi accorgimenti, ma
FINOCCHIO E MODI DI DIRE “Infinocchiare” significa ingannare o far credere il falso soprattutto agli stolti. Deriva dall’abitudine degli osti che, in epoca romana, correggevano il sapore del vino di cattiva qualità aggiungendovi foglie o pezzi di finocchio. Il sinonimo “finocchio” per indicare l’omosessuale maschio, pur essendo di uso recente, sembra derivare dalla consuetudine medievale di bruciare sui roghi fascine di rami o semi di finocchio per profumare (o purificare?) l’aria dal cattivo odore della carne umana bruciata dei poveri sventurati condannati a morte, in un modo così atroce.
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sementiere si rifanno per costituire le nuove selezioni e varietà (Wandenromen, Mammouth, Chiarino, Giulio, Latina, Pontino, Riace, Trevi ecc.) e più recentemente ibridi (Archimede, Aurelio, Carmo, Clio, Dorico, Pitagora, Preludio, Rondo, Tiberio,Triton ecc.) capaci di fornire produzioni di pregio e pezzature dei grumoli altamente uniformi. La durata del ciclo colturale delle singole varietà da impiegare è la principale caratteristica alla quale fa riferimento il produttore per impostare una corretta programmazione delle raccolte. A questa è anche strettamente correlata la dimensione del grumolo, che per le varietà precoci - con ciclo colturale di 8590 giorni dalla semina alla raccolta - può variare da 350 a 450 grammi; per quelle medio-tardive (120-160 giorni) da 500 a 700g; e per quelle tardive (130-200 giorni) da 600 a 800 g. A Sud, il trapianto delle piantine può iniziare anche a maggio per una prima produzione di fine estate. Si continuerà a trapiantare tutto l’estate varietà a ciclo breve per passare, durante l’autunno, a quelle a ciclo medio tardivo e tardivo. L’accorgimento maggiore è quello di non avere in campo varietà precoci durante i periodi freddi per non incorrere nella “prefioritura” delle piante, cioè l’emissione anticipato degli scapi fioriferi, quando i grumoli non sono commercialmente maturi. Le piante delle varietà tardive avendo, invece, una maggiore resistenza al
LA SCELTA AL MERCATO Del finocchio si consuma il grumolo, ovvero la guaina bianca che si sviluppa alla base. Nella scelta fate caso che: • presentino una forma rotondeggiante; vanno scartate le teste appiattite poiché sono più fibrose e dal sapore più accentuato tipico delle specie selvatica. La tradizione vorrebbe che i grumoli rotondi appartengono ai “finocchi femmine” e quelli appiattiti ai “finocchi maschi”! Orbene, non essendoci distinzione dei sessi fra le piante di finocchi, l’appiattimento dei grumoli è dovuto ad un gene ancestrale, cioè tipico delle prime forme di finocchi da foglia, che i genetisti si guardano bene dall’avere nel corredo cromosomico delle nuove costituzioni; • le guaine siano ben serrate, croccanti e non filamentose; • i grumoli abbiano un fusto ridottissimo e non presentino ricacci basali che sono indice di una raccolta ritardata; • le foglioline, se presenti sulle canne del grumolo, siano turgide e di un verde intenso; • il prodotto sul banco del mercato emani un profumo delicato; • il prodotto venga presentato in confezioni monostrato o in cassette.
freddo, passeranno indenni l’inverno, accrescendo i grumoli senza alcun ostacolo eco-fisiologico e per un maggior periodo di tempo. Questo spiega anche perché nelle aree produttive del Centro i trapianti avvengono esclusivamente in autunno, impiegando cultivar a ciclo medio lungo e lungo.
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COMPOSIZIONE PER 100 GRAMMI DI PARTE EDULE DI FINOCCHIO Acqua (g)
93,5
Fosforo (mg)
39
Proteine (g)
1,2
Magnesio (mg)
16
Carboidrati disponibili (g)
1-2,5
Ferro (mg)
0,4
Zuccheri solubili (g)
1-2,5
Vitamina A retinolo eq. (Îźg)
2
Fibra alimentare (g)
0,5-2,2
Vitamina C (mg)
12
Energia (kcal)
9-15
Tiamina (mg)
0,02
Potassio (mg)
394
Riboflavina (mg)
0,04
Calcio (mg)
45
Niacina (mg)
0,50
Sodio (mg)
40-140
Fonte INRAN (2000) - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione
Il ciclo colturale autunno-primaverile del finocchio, suscettibile di essere anticipato in primavera-estate nelle aree meridionali, fa si che l’irrigazione giochi un ruolo indispensabile nel raggiungimento di un buon risultato produttivo. Anche la concimazione, soprattutto azotata anche se con dosi modeste, risulta fondamentale per un continuo accrescimento della pianta e per la formazione di grumoli perfetti di buona qualità, che si esprime anche con la croccantezza e l’assenza di fibrosità. La bassa capacità della pianta di finocchio di accumulare nitrati nei tessuti che costituiscono la frazione edule risulta un ulteriore elemento a favore della sua qualità totale, che viene esaltata anche dai modesti trattamenti con agrofarmaci, effettuabili per combattere i pochissimi parassiti. Pertanto, ottenere alla raccolta un prodotto incontaminato risulta, per il finocchio, un percorso di normale tecnica agronomica. Nella filiera produttiva contribuiscono ad esaltare la qualità del finocchio le operazioni di pulitura e conservazione effettuate dopo la raccolta, miranti a conservare al massimo i principali componenti naturali che lo caratterizzano: sia per l’aroma che per la composizione chimica.
QUALITÁ E USO Come per gli altri ortaggi da foglia, il finocchio ha un basso contenuto calorico essendo privo di amido e lipidi; è ricco di acqua e comunemente ben dotato di elementi minerali importanti come calcio, potassio, fosforo e magnesio. In genere è povero di sodio, il cui contenuto può salire se la coltura è irrigata con acqua salmastra che può peggiorare la qualità incidendo sul normale accrescimento del grumolo. É sufficientemente dotato di vitamine fondamentali. Il colore bianco uniforme del grumolo è indice di una elevata presenza di quercetina, un phytochemical con potente azione antiossidante, che si è dimostrata molto efficace nella prevenzione di diversi tumori. Il delicato aroma gli viene conferito dall’anetolo, che predomina sugli altri terpeni tipici delle specie appartenenti alla famiglia delle Ombrellifere. Il finocchio è consumato crudo o da solo, come avviene prevalentemente al Sud, o insieme ad altre specie nella preparazione di cruditè; può essere esaltato con il pinzimonio o aggiunto sminuzzato nelle insalate. In cucina è utilizzato in numerose preparazioni e ricette, tra le quali il finocchio al gratin è una delle più apprezzate. In medicina è più comune l’utilizzazione dei semi,
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Distribuzione della produzione di finocchio nelle regioni italiane (Istat, media 2006-2011) Tonnellate e % Nord 14.000 2,6
Puglia
111.000 20,5
Centro 38.000 7,0
Campania
110.000 20,3
Sud
490.000 90,4
Calabria
98.700 18,3
ITALIA 542.000 100
Abruzzo
59.400 10,1
Sicilia
36.000 6,8
Molise
32.000 6,1
Lazio
19.200 3,5
Basilicata
19.000 3,5
Sardegna
15.100 2,8
Marche
15.000 2,8
Veneto
6.100 1,1
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Emilia Romagna 4.700
0,9
Toscana
3.400
0,6
Piemonte
2.600 0,5
Liguria
360
Lombardia
250 0,05
Umbria
120
0,02
Friuli
26
0,002
Valle d’Aosta
--
--
Trentino Alto Adige --
--
0,07
anche se non mancano i riferimenti all’uso delle altre parti della pianta. Ippocrate (V-IV SEC. a.C.) parla dell’efficacia del succo degli steli e delle radici nello stimolare la secrezione lattea nelle donne; mentre la Scuola Medica Salernitana (XIII secolo) esalta la funzione diuretica, riconfermata dalle osservazioni successive. Ovviamente, come spesso accade nella medicina popolare, anche alla pianta del finocchio vengono attribuiti numerosi effetti positivi sulla salute molte delle quali, però, non superano il vaglio della dimostrazione scientifica. Certamente, il consumo di finocchio viene incoraggiato dalla sensazione di benessere e di freschezza che il delicato sapore di un
buon prodotto suscita nel consumatore. Inoltre, il finocchio è un ingrediente fondamentale della Dieta Mediterranea. Le foto dell’articolo sono dell’archivio Bejo
Vitangelo Magnifico Già Direttore Istituto Sperimentale per l’Orticoltura di Salerno
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CALEIDOSCOPIO PERRIER DIVENTA PROTAGONISTA SU FACEBOOK E TWITTER Grandissimo successo sta riscuotendo su Facebook la fan page Perrier, curata dall’Agenzia milanese di comunicazione Found. È stato realizzato a questo scopo un report che si avvale di un sistema ufficiale in grado di comparare le performance mondiali (in termini di numero di fan, attivazione fan ed engagement) paragonando tutte le fan page mondiali del network Société Perrier. L’Italia, o meglio Société Perrier Milan, è al primo posto tra tutti i mercati coinvolti, con uno score di 88 e con un buon margine di distacco sulla seconda posizione. Alcuni Paesi non sono nemmeno menzionati, in quanto si collocano al di sotto del punteggio di 50.
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L’Italia è inoltre fra i 4 mercati Perrier che hanno performato eccezionalmente bene su Twitter, su cui in soli quattro mesi sono stati superati i 1000 followers.
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l’Italia è presente nel circuito mondiale del nightlife firmato Perrier con Société Perrier Milan (http://societeperrier.com/milan/#.UJqNfFHSaSk), l’unica sezione italiana che vede protagonista il magico e pulsante universo milanese. Société Perrier Milan porta nel mondo tutto ciò che di esclusivo c’è nella città italiana cosmopolita per eccellenza. Dai locali più raffinati alla magica atmosfera della movida milanese, dagli artisti più underground e alternativi alle ultime tendenze in fatto di cocktail e gusti notturni: Société Perrier Milan è una vera e propria guida al nightlife milanese dedicata a tutti coloro, italiani e stranieri, che vogliono vivere il mondo della notte in modo glamour e trasgressivo. In altre parole in pieno stile Perrier. Milano e l’Italia sbarcano nel mondo attraverso il linguaggio di Perrier che, da sempre, con il suo spirito trasgressivo, vivace e frizzante, è il simbolo incontrastato di un mondo glamour e accattivante. La città è vista attraverso gli occhi di chi la conosce da anni e ne ama gli angoli più nascosti. Una selezione di eventi, serate, locali, mostre, concerti non per tutti ma soltanto per coloro che sono alla ricerca della qualità e dell’evento di nicchia. Société Perrier Milan non è soltanto una guida a tutto ciò che di più “cool” c’è in giro, ma anche e soprattutto si propone come il “loud-speaker” di un vero e proprio stile di vita, quello di Perrier. www.facebook.com/societeperrierMilan www.twitter.com/Societe_ITA
AMBIENTE RURALE E PAESAGGIO MAURO FINI E STEFANO FAVA
AMBIENTE RURALE E PAESAGGIO
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BIRMANIA IL PAESE RURALE DEI BONZI Mauro Fini e Stefano Fava
Bagan.
Un paese paurosamente arretrato, dove manca tutto ciò che in Occidente è garantito da anni: istruzione, assistenza, sicurezza sociale e diritti. Un paese che oggi manifesta palesemente dissenso al regine militare, che prese il potere nel 1962, esponendo foto di Aung San Suu Kyi e di suo padre il generale Bagyoke Aung San grande storico difensore dell’indipendenza della Birmania negli anni quaranta.
La Birmania (Burma in inglese) fu chiamata nel 1989 Myanmar dai militari allora al potere, per dare un segnale forte di rottura con il passato che portasse ad un cambiamento radicale. La realtà è stata ben differente: un Paese isolato dove i più elementari diritti politici e la libertà economica sono costantemente minati; un Paese soggetto a continue e prolungate sanzioni economiche dal mondo occidentale e pertanto costretto a produrre per l’unico ed importante partner commerciale: la Cina dove finiscono la maggior parte delle esportazioni. Viaggiando per il Paese si incontrano contadini, commercianti, artigiani che offrono le loro modeste produzioni. Tutti raccontano che le materie prime (la Birmania è ricca di petrolio, teak, metalli e pietre preziose) e le loro migliori produzioni di semilavorati sono destinate alla Cina. Vicino al lago Inle dopo un lungo trekking tra boschi e posti selvaggi, la guida vedendo la nostra costante attenzione nel muoverci dovuta alle letture sugli onnipresenti serpenti velenosi birmani (ben 52 specie velenose risultano censite,tra cui il famoso e terribile cobra reale) ci ha detto di non preoccuparci! Anche quelli sono stati quasi completamente catturati e venduti ai cinesi che ne usano il veleno nella loro medicina tradizionale.
L’ARTE E L’ARCHITETTURA Chi visita la Birmania deve visitare i tre grandi luoghi storici di Mandalay: Amarapura con il famoso e semplice U Bein’s Bridge percorso alla sera da Bonzi alla ricerca di meditativi tramonti, Inwa, Sagaing e la mitica ed imponente decadenza di Mingun; Bagan: 3300 templi concentrati in una piana dove rovine e ricostruzioni di un regno che fu tra i più significativi dell’Asia, fanno percepire una religiosità d’altri tempi. Pagode imponenti, essenziali, ricche di una profonda religiosità nonché manifestazioni di grandezza che dovevano garantire sicurezza, orgoglio, forza ed entusiasmo ad un popolazione in continua lotta con i popoli vicini Lago Inle: con le sue poco profonde acque, tecniche antiche di pesca, gli orti semigalleggianti ottenuti rimodellando il fondale creano paesaggi unici e sono
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Rangoon.
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Bonzi donne.
94 AMBIENTE RURALE E PAESAGGIO MAURO FINI E STEFANO FAVA
Raccoglitrice di curcuma, Bonzo uomo. La pesca sul lago Inle.
95 AMBIENTE RURALE E PAESAGGIO MAURO FINI E STEFANO FAVA
Donne dal collo lungo.
Taxi carro.
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Taxi in bicicletta.
Pranzo in casa di un birmano.
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Lago Inle.
Zappatura del terreno.
100 AMBIENTE RURALE E PAESAGGIO MAURO FINI E STEFANO FAVA
RACCOLTA, LAVORAZIONE E VENDITA DEL MAIS IN BIRMANIA 1: coltivazione con motocoltivatore; 2: raccolta; 3: sgranatura; 4: pulitura; 5: lavorazione; 6: vendita diretta.
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Fabbrica del ghiaccio. Carico della barca con ghiaccio.
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Trasporto del ghiaccio. Pesce secco al sole.
indimenticabili. Dei precursori dell’acquacoltura e dell’idrocoltura, dove pesce e produzioni di ortaggi garantiscono un benessere inusuale per le zone circostanti. IL TURISMO RURALE Con l’apertura del paese agli stranieri e l’arrivo di un significativo numero di turisti molti agricoltori sin sono adoperati per offrire servizi di fortuna multifunzionali che come sempre nei paesi asiatici offrono redditi altissimi e assolutamente non paragonabili a quelli agricoli. L’affidabilità dei birmani e la loro religione buddista li porta ad un grande rispetto per l’ospite. Spesso, anche nelle zone più rurali e lontane, si trova chi è pronto ad offrire un posto letto nella propria casa e una stuoia per dormire o semplicemente a condividere una ciotola di zuppa di riso e verdure. Spesso gli agricoltori offrono passaggi su carretti trainati da buoi che con la presunzione di imitare i taxi rendono il tragitto ed il viaggio lento ma indimenticabile. IL MAIS DELLA BIRMANIA In una economia rurale di quasi solo baratto la sopravvivenza delle popolazioni rurali è basata sulla raccolta dei prodotti spontanei e la pratica delle
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Pescatori.
poche coltivazioni possibili con la tecnologia arcaica a disposizione. Il mais è presente ovunque, nessuna industrializzazione. I campi per il mais vengono preparati spesso con aratri tirati da bovini o, nelle migliori situazioni, da motocoltivatori di importazione cinese ormai obsoleti ed inquinanti. Normalmente vengono effettuati solo uno o due trattamenti con fitofarmaci distribuiti con pompe meccaniche a spalla, la raccolta viene effettuata con un machete, pianta per pianta, raccogliendo pannocchia dopo pannocchia. La sgranellatura viene effettata a mano aiutandosi con la parte non tagliente di un pesante coltello o con macchine artigiani in legno che nella loro semplicità riescono comunque ad aumentare di cinque volte la produttività. La vendita diretta nei mercati vicini permette un minimo di entrate che garantisce la sola sopravvivenza e l’acquisto di alcuni prodotti di prima necessità che gli agricoltori non sono in grado di autoprodursi.
anni la popolazione dei villaggi ha potuto conservare il pescato solo seccandolo al sole per poi venderlo nei mercati lontani. Una semplice fabbrica del ghiaccio come quella che nelle nostre città esistevano negli anni cinquanta e sessanta può cambiare l’esistenza di un villaggio di pescatori. Il ghiaccio tritato sui pescherecci e sui mezzi di trasporto può costituire la prima filiera del freddo e far si che il pesce si conservi per più giorni anche in territori con clima tropicale. Il prodotto “fresco” può così raggiungere dai piccoli porti i grandi mercati urbani di Rangoon e delle altre importanti città del paese con più ampi margini di guadagno.
IL GHIACCIO AD NGAPALI BEACH In una economia di sussistenza, nei villaggi sul mare si vive dignitosamente. Il mare, ricco di pesce, garantisce il mangiare alle popolazioni e un discreto reddito. Per
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Mauro Fini Servizio Territorio Rurale, Regione Emilia-Romagna
Stefano Fava
CALEIDOSCOPIO LAVIT HOTELS & WELLNESS: IL PASSAPORTO PER IL BENESSERE
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Progettato per un cliente moderno ed esigente, il portale si caratterizza per la sua facilità di fruizione, grazie a una grafica minimal-chic e a una struttura semplice e intuitiva. Su www.lavithotels.com tutto è a portata di clic, già a partire dalla homepage, dove sono immediatamente visibili le proposte benessere più accattivanti e convenienti, divise secondo aree tematiche per agevolarne la selezione in base ai propri interessi e necessità. Con un portfolio in continua crescita di oltre 60 hotel in 25 paesi del mondo e un’offerta di più di 150 pacchetti benessere, la proposta di LaVit si caratterizza per completezza e varietà. Dal menu in alto, la vacanza personalizzata si configura in pochi e semplici passi, esplorando le categorie nelle quali i pacchetti benessere vengono suddivisi e l’elenco completo delle mete raggiungibili, con descrizioni dettagliate sulle singole località. Una volta individuata la destinazione, l’utente ha a disposizione altri tre criteri di selezione: destinazione, hotel e area tematica. A ogni proposta corrisponde una pagina dedicata, all’interno della quale l’utente può scoprire tutti i dettagli del pacchetto all inclusive prescelto: alloggio, trattamenti spa e servizi accessori inclusi, secondo quanto indicato nella descrizione di ciascun pacchetto. A tutto questo si aggiunge un calendario interattivo, che permette di selezionare le date del soggiorno.
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La collezione Spa Hotels L’eccellenza, sotto ogni aspetto, è il principio fondante di LaVit, che propone in esclusiva splendidi alberghi e resort di lusso selezionati in base a criteri rigorosi, con un’offerta di eccellenti trattamenti per la bellezza e la salute del corpo svolti da personale altamente qualificato. La qualità è alla base di ogni esperienza di benessere firmata LaVit, che si avvale di strutture dotate di attrezzature idonee a garantire i massimi risultati in totale sicurezza, certificate secondo le normative e gli standard in vigore nei rispettivi paesi, con una propria filosofia del benessere improntata su tecniche innovative, coaching, programmi alimentari e percorsi olistici. www.lavithotels.com
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Se sarà un pic-nic sul prato, una scampagnata o semplicemente una gita fuori porta, il fatto è che non si può rinunciare a un Lunedì dell’Angelo tra amici, in mezzo alla natura. E tutti i cibi e le bevande facili da trasportare diventano i protagonisti dei plaid, sui prati di tutta Italia. Può venirci in soccorso in una giornata che richiederà molta energia e idratazione, tra l’allestimento del pic-nic e le partite a pallone, un fresco e piacevole mix di frutta e verdura come il succo ACE, in cui il sapore dolce delle arance e quello agro dei limoni si uniscono con quello delle carote, ricche di proprietà benefiche, dando vita ad una bibita sana e idratante. Una pieno di vitamina A, C ed E, grazie alla caratteristica che accomuna tutti i succhi Pago: pura frutta e verdura 100% naturale, senza aromi, senza coloranti e senza conservanti artificiali. Una combinazione talmente apprezzata che ha conquistato, con punteggi elevatissimi, il marchio di qualità “Sapore dell’anno 2013”, l’unico riconoscimento attribuito ai prodotti dell’area Food & Beverage basato sul giudizio indipendente di una giuria di consumatori. “Sapore dell’Anno” è una certificazione presente da oltre quindici anni sul mercato francese, con più di 200 prodotti certificati ogni anno, e che da due anni è presente anche sul mercato italiano. La giuria indipendente di consumatori è chiamata a vagliare le caratteristiche sensoriali del succo attraverso laboratori diretti con specifiche analisi sensoriali, valutando la propria percezione di gusto del prodotto, attraverso vista, sapore, consistenza e odore. E con Pago ACE “Sapore dell’Anno 2013” la scampagnata sarà ancora più salutare! www.pagoitalia.it
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PAGO ACE “SAPORE DELL’ANNO 2013”
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CALEIDOSCOPIO RINALDI DISTRIBUISCE LE LUPINAIE La Rinaldi di Bologna distribuisce da quest’anno il Morellino di Scansano D.O.C.G. e il Morellino di Scansano Riserva D.O.C.G. dell’Azienda “Le Lupinaie”.
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L’Azienda “Le Lupinaie” è immersa nel verde delle colline della Maremma, nel comune di Magliano in Toscana, nelle vicinanze del caratteristico borgo di Montiano, e si estende su una superficie complessiva di 25 ettari. I terreni sono collocati in esposizione solare a circa 250 metri sul livello del mare, sul versante marino, in maniera che l’aria del Tirreno mantenga le uve asciutte nei mesi autunnali della raccolta. In questo modo si possono raggiungere delle ottime maturità fenoliche, che danno morbidezza e piacevolezza ai vini. La composizione del terreno è abbastanza variegata, fra l’argilloso e il medio impasto. Il metodo di coltivazione è a cordone speronato e la resa di uva per ettaro è di circa 70 quintali. Il diradamento viene effettuato nel periodo primaverile a livello dei germogli, per mantenere le produzioni sui livelli indicati. La raccolta avviene normalmente verso la fine di settembre, ed è effettuata rigorosamente a mano.
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Morellino di Scansano D.O.C.G. Gradazione alcolica: 13% vol. Vitigni: Sangiovese 95%, Ciliegiolo 5%. Zona di produzione: Comprensorio della D.O.C.G. del Morellino di Scansano. Invecchiamento: Dopo l’affinamento in bottiglia per almeno 4 mesi il vino raggiunge la sua completezza olfattivo – gustativa, che mantiene anche dopo 4 – 5 anni dalla vendemmia. Esame visivo: Colore rosso rubino intenso con sfumature violacee. Esame olfattivo: Profumo fruttato, con note di marasca e frutti rossi, e leggermente speziato. Esame gustativo: Al palato è piacevolmente tannico, morbido, caldo, di buona struttura e di lunga persistenza. Abbinamenti gastronomici: Servito a 18° - 20°, si accompagna superbamente a primi e a secondi a base di cacciagione, arrosti e carni rosse.
Morellino di Scansano Riserva D.O.C.G. Gradazione alcolica: 13,5% vol. Vitigni: Sangiovese 90%, Merlot 10%. Zona di produzione: Comprensorio della D.O.C.G. del Morellino di Scansano. Invecchiamento: In barrique di rovere francese da 225 litri per 12 mesi. L’affinamento in bottiglia è di almeno 10 mesi. Esame visivo: Colore rosso rubino intenso, con venature ambrate. Esame olfattivo: Profumo elegante e complesso, con note di frutta matura, sottobosco e spezie. Esame gustativo: Al palato è morbido, leggermente tannico, rotondo e di buona persistenza gusto – olfattiva. Abbinamenti gastronomici: Servito a 18° - 20°, è eccellente con secondi saporiti, brasati, formaggi stagionati ed erborinati.
www.rinaldi.biz
DA MARLBORO CLASSICS A MCS WE THE PEOPLE Il casual country western diviene un Life Style nel quale una idea di bellezza legata al corpo in motion di valenza globale. Lamberto Cantoni
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Nella percezione del senso comune il modo in cui ci vestiamo rientra nel campo privilegiato delle mode. Che cosa significa? Ciascuno di noi, costruisce la propria immagine esteriore aderendo ad un paradigma estetico sottoposto al lavoro di manipolazione dei discorsi moda che accompagnano la diffusione degli abiti. Tuttavia, vorrei fare notare che tra i look piu’ sbandierati sui mass media e come il come si veste ordinariamente la gente rimane evidente una differenza di fondo. La maggioranza delle persone ama lo spettacolo di look spesso difficili da indossare, ma poi riempie il proprio guardaroba di abiti coerenti con il proprio stile di vita. L’abito che fa tendenza conquista spazi importanti sulle riviste, viene indossato da donne e uomini bellissimi o famosissimi, ma e’ improbabile incontrarlo per strada. Invece i look che effettivamente indossiamo si basano spesso su elementi d’abbigliamento a bassa valenza d’immagine. Storicamente si e’ deciso di definire casual la moda che ha maggiori probabilità di entrare nel nostro guardaroba e non c’è dubbio sul fatto che il nostro tempo si caratterizzi piu’ per la casualizzazione degli abiti rispetto ad approcci formalistici, gerarchizzanti e improntati a distinzioni sofisticate.
traghettato nei guardaroba di consumatori di tutto il mondo abiti e accessori chiaramente ispirati alle fogge dei pionieri del west, mitizzati dal cinema e dalle leggende che hanno accompagnato la diffusione e il dominio della cultura made in USA. Bisogna aggiungere che il successo commerciale di MCS We The People ha richiesto l’introduzione di piu’ collezioni divenute, nel corso del tempo, delle etichette parzialmente autonome. Si trattava di diluire l’essenza dell’abito da frontiera in suoi derivati in modo tale da attenuare l’eccesso di folklore, che in Europa sarebbe apparso kitsch e poco attraente. Con la modernizzazione del design delle fogge country, MCS We The People e le linee ad essa collegate sono via via crescite su tutti i mercati internazionali divenendo un brand di riferimento per chi ama un Life Style sportivo, indossabile in tutte le occasioni en plein air, sia nel tempo libero e sia sul lavoro. COME NASCE L’IDEA MARLBORO CLASSICS? Philip Morris intorno al 1987, alla ricerca di idee creative per il mercato giovanile, ragiono’ in termini avveniristici e negozio’ la possibilità di trasformate il suo brand Marlboro Classics in una icona dell’abbigliamento country Style. Le collezioni cominciarono dunque ad essere prodotte dal gruppo industriale italiano Marzotto intenzionato a trasformarle in una proposta d’abbigliamento centrata su un concetto di virilità forte, avventurosa, dalla marcata individualità. Naturalmente il tocco italiano trasformo’ le citazioni
Tra i protagonisti del casual degli ultimi decenni dobbiamo annoverare il brand MCS We The People (ex Marlboro Classics)che grazie ad una eccellente interpretazione work in progress del country Style ha
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western in fashion frame facilmente assimilabili anche per chi non aveva mai cavalcato nella prateria, al bivacco solitario preferiva la chiassosita’ delle nostre città, ed era disponibile ad indossare stivali Made in mexico, cinture pitonate, camicie a quadri anche solo per andare ad una lezione universitaria. Aggiungiamo pure che le campagne pubblicitarie che supportarono i primi anni di diffusione di Marlboro Classics furono estrermamente efficaci. Il fotografo Rene’ Salle configuro’ immagini che riflettevano il fascino dei grandi spazi e dell’idea di libertà che usualmente caratterizza la mitologia dei personaggi del west. In pochi anni lo stile country Marlboro Classics comincio’ a diffondersi divenendo una delle opzioni piu’ interessanti per gli innamorati dei look ispirati dalle fogge sportive.
pubblico femminile a partire dal 2003. All’inizio furono soprattutto gli accessori a far breccia tra le ragazze innamorate delle cosiddette tendenze. Come dimenticare l’incredibile diffusione degli stivali da texane, usati in tutte occasioni e fusi con elementi d’abbigliamento apparentemente in distonia con il country! Tuttavia bisogna sottolineare che ancora oggi gran parte degli acquisti (80 per cento) e’ ancora effettuato da maschi. Ma al tempo stesso non possiamo negare che gli incroci tra i guardaroba dei due sessi siano sempre più frequenti. Se a questa lettura sintomale delle preferenze di alcune avanguardie tra i giovani aggiungiamo il cambiamento di mentalità dovuto ai ripetuti appelli alla sostenibilità del nostro stile di vita, allora potremmo congetturare come altamente probabile un aumento della casualizzazione del guardaroba anche per quanto riguarda il soggetto femminile. Sulla scorta di queste presupposizioni i manager del gruppo Permira, l’attuale proprietaro del marchio, hanno recentemente effettuato una operazione di rebranding creando MCS We The People. Attraverso essa l’eredità del brand sfuma in progetti di look di stagione in stagione piu’ costruiti, piu ‘ raffinati sempre tenendo conto delle componenti tecniche e dei materiali chiaramente compatibili con il concetto della loro funzionalità pratica. Mcs propone come sintesi concettuale del brand l’espressione We The People, tratta dalle prime 3 parole della costituzione degli Stati Uniti. Si tratta di una formula che possiamo paragonare ad un
L’ABBIGLIAMENTO MARLBORO CLASSICS EVOLVE IN MCS WE THE PEOPLE Fin dalla fine degli anni ottanta l’idea Marlboro Classics, partendo dal cuore della collezione madre, caratterizzata da maggiori citazioni country western, si dipanava lungo altre traiettorie di stile. Furono create linee sportive dal sapore metropolitano, giubbotti e maglioni di vaga ispirazione militare e giacconi in pelle di vitello cerato, in nappa e in camoscio. Le differenziazioni contribuirono a far crescere i fatturati del brand anche tra pubblici in una prima fase refrattari al suo Life Style. Importantissima la crescita di appeal che il brand ebbe presso il
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performativo ovvero ad un gioco linguistico che oltre al significato presentifica l’impegno dell’azienda a battersi per una moda inclusiva, aperta, attenta alla contemporaneità del corpo in motion. Il rebranding ovviamente ha avuto evidenti ripercussioni sulle narrazioni che preparano l’atterraggio dei prodotti sul mercato. Se in origine dalle campagne pubblicitarie emergevano solitari valori legati all’individualità, con Mcs We The People, l’elogio della singolarità si fonde con l’etica comunitaria. In altre parole, le storie che meta-comunicano le significazioni profonde del brand, mettono in rilievo di individualità forti, in un contesto narrativo in cui, la sequenza di azioni le annoda in un fascio di valori che richiamano la collettività. Le campagne 2012/13 hanno avuto come protagonisti i giovani di una rock-band, una coppia di gemelli esperti in corsi di sopravvivenza, un
team di soccorsi in montagna. I temi della libertà, dell’amicizia, della socialità sono sono stati raccontati con uno stile reality in controtendenza rispetto le spettacolarizzazioni seduttive del mondo fashion. E’ evidente il tentativo di raccontare storie che riflettano buoni sentimenti e impegno senza cadere nella mielosità alla Mulino Bianco. Gli scatti che abbiamo scelto a commento dell’articolo, per evocare l’attuale stile di comunicazione del nuovo brand, relativi alla collezione P/E 2013, familiarizzano con il mood degli spot citati. Tuttavia sembra più sottolineato in carattere introverso e solitario dei personaggi. Ragazzi che non disdegnano la solitudine, i grandi spazi, le avventure in luoghi dal fashino estremo.
Concept by KITCHEN STORIES in collaboration with / photography by: PIERLUCA DE CARLO and BEN WOLFINSOHN
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PACKAGING NUOVO PER LA DISTILLERIA BRUNO E IVANO PILZER La distilleria trentina di Bruno e Ivano Pilzer rinnova completamente il packaging e il confezionamento delle sue bottiglie. Il restyling è integrale: a partire dal prezioso monogramma, inciso a rilievo sulle bottiglie, che lega assieme le iniziali dei due fratelli Pilzer; nuove e personalizzate sono le bottiglie, di forma elegante e slanciata; raffinate e minimaliste sono le etichette, di colore nero, che riportano in verticale, e a colori, l’indicazione della singola tipologia di distillato. Rinnovati anche gli astucci, essenziali e modernissimi, che riprendono il nero delle etichette. Il progetto grafico è stato concepito e realizzato interamente dallo studio di design dell’Architetto Pio Nainer di Trento. Aperta nel 1957 a Faver, un antico borgo situato a metà della Valle di Cembra, la distilleria Pilzer è oggi una delle più prestigiose non solo del Trentino, ma dell’Italia intera. Condotta dai fratelli Bruno e Ivano Pilzer, produce un’ampia e qualificatissima gamma di grappe e di acquaviti di frutta. Nel corso della sua storia, la distilleria Pilzer ha ottenuto medaglie, premi e riconoscimenti a molti dei più importanti concorsi nazionali e internazionali di settore. www.rinaldi.biz www.pilzer.it
CALEIDOSCOPIO IMBALLAGGI IN LEGNO, UNA MESSA IN SCENA DI SUCCESSO Una volta giunti a fine vita, ci pensa il consorzio Rilegno a garantire che gli imballaggi di legno vengano recuperati e avviati al riciclo, evitando che oltre 1 milione 500 mila tonnellate di rifiuti legnosi finiscano in discarica
Del resto il riutilizzo creativo di bancali, casse e cassette, bobine, sta diventando una moda sempre più diffusa nel settore dell’arredamento e dell’eco-design: sarà che sono resistenti, saranno le dimensioni standard, sta di fatto che questi imballaggi di legno sono diventati degli elementi molto versatili e davvero di tendenza per l’arredamento di case, uffici, negozi. I pallet, in particolar modo, si prestano a molteplici usi: possono rivestire pareti come fossero boiserie, oppure costruire dei separè per ambienti. Impilati uno sopra all’altro diventano tavoli, scrivanie, o banconi d’appoggio per negozi, store e show room; possono essere utilizzati anche per comporre librerie, mobili bassi porta tv, sedute, strutture per il letto. Le cassette della frutta, più piccole di dimensioni e più leggere, possono essere riutilizzate come mensole, o come scaffali componibili per mobili e librerie. In quanto alle bobine, sono perfette come tavolini da interno e da esterno... i locali più cool l’hanno già adottata da tempo, come soluzione. Una volta giunti a fine vita, tutti questi imballaggi di legno vengono recuperati e avviati al riciclo grazie al lavoro di Rilegno, il Consorzio nazionale per la raccolta, il recupero e il riciclaggio degli imballaggi di legno, aderente al sistema Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi). Rilegno coordina in tutta Italia la raccolta, il recupero e il riciclaggio degli imballaggi di legno, impedendo che ogni anno oltre 1 milione 500 mila tonnellate di rifiuti legnosi finiscano in discarica. I rifiuti legnosi, recuperati e riciclati, rinascono a nuova vita sotto forma di pannelli truciolari - base per nuovi mobili e complementi di arredo - fogli di pasta cellulosica destinati alle cartiere, blocchi di legnocemento per la bioedilizia o compost. Una parte dei rifiuti di legno, infine, va a recupero energetico. E’ così che il legno si trasforma da rifiuto in risorsa. www.rilegno.org
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Il primo a lanciare l’idea fu Paolo Bonolis nella prima edizione Affari tuoi su Rai Uno, dove comparve da protagonista il riutilizzo intelligente della bobina di legno sfruttata come tavolo dei concorrenti. Oggi l’impiego dell’imballaggio di legno come elemento scenografico pare essere l’ultima tendenza dello stage design. Che siano pallet, cassette, casse o gabbie, ormai gli imballaggi di legno identificano il successo del momento, protagonisti a pieno titolo degli eventi di maggior rilievo televisivo. Due sono gli ultimi casi eclatanti: Zelig e Masterchef, rispettivamente in onda sulle reti Mediaset e Sky, che hanno utilizzato pallet e cassette della frutta come elementi evocativi per creare una scenografia d’effetto. Ecologica ed ecosostenibile, 100% green, capace di veicolare valori sempre più cari a telespettatori, di questi tempi, come il risparmio di risorse, la semplicità, l’attenzione all’ambiente, il riciclo.
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FEDRA, LA BORSA ICONA DI TIZIANA FAUSTI
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C’è chi racconta la storia di famiglia affidandola a un diario, chi la raccoglie nelle pagine di un libro, chi la trasforma nella sceneggiatura di un film. Tiziana Fausti, che è cresciuta annusando l’ odore delle pelli e della colla tra la fabbrica e il negozio dei genitori, l’ ha narrata in una borsa. Nata dai ricordi di quelle lunghe giornate trascorse in campagna con il padre (“una montagna d’uomo, bellissimo”) e da quel mondo dell’equitazione che Tiziana Fausti frequenta fin da bambina, come hanno poi fatto le sue figlie, questa borsa capiente rivela la sua ispirazione hunting con piccoli dettagli significativi. Come l’infilatura a mano di una fettuccia nel bordo esterno, che reinterpreta particolari delle capezzine sulla fronte del cavallo. Manici lunghi,da spalla e da braccia , ma anche la tracolla interna che rielabora le cartucciere per portarla a bandoliera. Sfoderata, tranne che per alcuni pellami, come sfoderata era la prima borsa in cuoio realizzata dalla famiglia. Perché c’è un po’ la storia della pelletteria del dopoguerra nel lavoro di questa coppia: lui, nato per caso a Varese, visto che gli altri Fausti vivevano a Washington D.C. Lei , Fedra Filippi, toscana, si era trasferita a Milano e lavorava per le famose Pirovano. Matrimonio nel giorno della liberazione, il 25 aprile 1945, e trasferimento a Bergamo, dove esperienza e competenza si fondono in un modo nuovo di intendere il negozio. Nascono così la Valigeria Fausti, poi Valnova, dedicata alle borse di avanguardia. Erano gli anni in cui Francesco Fausti se ne andava a Varese, allora nota per la valigeria, e tornava con il furgone carico di bauli e valigie. Intanto si andava affermando il “gusto Parma” con i marchi che sarebbero diventati celebri. Tiziana Fausti è cresciuta in questa atmosfera ottimista e sperimentale, collaborando con i genitori finché il 12 maggio 1979 apre il suo primo negozio. Piccolissimo, 16 mq, dove il primo giorno guadagna 500 mila lire. Ogni numero bene inciso nella memoria. Poi,come si dice, da cosa nasce cosa: la grande boutique, il negozio di accessori (China Red) e quello, sempre dedicato agli accessori, che sta per aprire a Lugano. Perché questo è il suo mondo, al quale aggiunge oggi la sua borsa icona, Fedra, che sarà numerata e timbrata come sigillo di personalità e qualità. A dimostrazione della grandissima cura con cui questa borsa, disponibile in 18 cromie diverse, è creata, impiegando pellami dalle lavorazioni pregiate. Basta pensare che la limited edition in coccodrillo è realizzata con pelli di cocco Louisiana, appartenenti all’ archivio di casa da oltre trent’ anni. Giusi Ferrè
PRESENTA
www.tizianafausti.com FEDRA
SABATO 23 FEBBRAIO H. 18,00 - 21,00 IL BARETTO AL BAGLIONI- VIA SENATO 7 - MILANO
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Un rosso rubino intenso e cupo, profumo di ribes, more, lamponi, con accenni di pepe nero e tabacco: è il Federico Scala, Cirò DOC rosso riserva, ottenuto dal vitigno autoctono Gaglioppo da agricoltura biologica che quest’anno, in occasione della 47° edizione del Vinitaly, festeggia 10 anni di importanti successi. Prodotto di punta dell’azienda calabrese Santa Venere, nota a livello internazionale per il suo vino biologico di altissima qualità, il Federico Scala è caratterizzato da un colore deciso, persistente, che incanta il palato con un gusto robusto ed energico, ma allo stesso tempo ricercato e raffinato. “La costante ricerca di nuove tecnologie applicate alla coltivazione del Gaglioppo, alla sua vinificazione e il nostro particolare ed unico terroir, ci hanno permesso di ottenere negli anni un prodotto che possiamo definire ottimo, con un perfetto equilibrio tra rispetto delle caratteristiche del territorio, gusto e olfatto – commenta Giuseppe Scala, titolare dell’azienda agricola biologica Santa Venere -; siamo quindi orgogliosi di riproporre, in occasione di una vetrina importante come il Vinitaly, il Federico Scala che, perfezionato negli anni, ha raggiunto un livello al top”. Ottenuto dal vitigno autoctono Gaglioppo, da agricoltura biologica, il Federico Scala è, infatti, un vino autentico, legato indissolubilmente alla sua terra, caratterizzato da gusto e aroma inconfondibili che ricordano la Calabria e i suoi profumi. Perfetto anche in abbinamento ai secondi piatti, questo rosso è ottimo da degustare a una temperatura non inferiore ai 18/20 gradi e si sposa alla perfezione con la carne. Per gli amanti delle crudités, va assaggiato anche in abbinamento alla tartare. Da anni l’azienda segue rigorosamente il regime dell’agricoltura biologica che permette di valorizzare al massimo le qualità specifiche del territorio, nel pieno rispetto delle caratteristiche del suolo e della biodiversità, ma “Oggi – continua Giuseppe Scala - vogliamo dare un ulteriore valore aggiunto ai prodotti firmati Santa Venere: stiamo, infatti, iniziando a seguire anche gli orientamenti dell’agricoltura biodinamica, che ci permetterà di introdurre un nuovo modo di vivere e lavorare la terra: otterremo così vini sempre più vivi e di qualità piena. Per esempio, dal nostro allevamento di bovini Charolèe ricaviamo il concime per i vigneti”. Vino biologico e biodinamico di eccellente qualità, sviluppo sostenibile, profondo rispetto per il territorio e recupero culturale della tradizione enologica calabrese, sono quindi i punti di forza dell’azienda Santa Venere: importanti fattori di differenziazione competitiva. “Siamo consapevoli che il consumatore finale è diventato sempre più sensibile al valore ambientale nelle proprie scelte, in particolare nel settore dell’agro-alimentare – conclude Scala -. Per questo abbiamo scelto di inserire i nostri prodotti all’interno di una filiera sostenibile”. www.santavenere.com
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AL VINITALY PER FESTEGGIARE I 10 ANNI DEL FEDERICO SCALA E PER ANNUNCIARE UNA GRANDE NOVITÀ: L’INTRODUZIONE DELL’AGRICOLTURA BIODINAMICA
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Panem et Circenses Autolinee Panem et Circenses
ARTE E NATURA ROBERTA FILIPPI
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SETUP La natura nell’arte.
Roberta Filippi
Leonardo Greco, “Dov’è Osvaldo?” della serie pittorica “Take me to the stars”, 100 x 100 cm, carta su lamiera e gesso, 2012 presentato dalla Galleria VV8 Arte Contemporanea, dettaglio.
opere d’arte di artisti ben conosciuti, e un non-luogo (il piano superiore della autostazione, ribattezzato Setup) caratterizzato dalle creazioni di artisti meno conosciuti, più giovani e quindi, secondo un modo di pensare non privo di senso, maggiormente implicati con ciò che ci piace definire di tendenza. Dal momento che con Karpòs è nostra intenzione presentare un modo d’interpretare l’arte che in qualche modo si ricolleghi ad una forma di realismo legato alla natura, ho osservato le opere esposte a Setup ponendomi alcune domande: in che modo il mondo naturale è stato rappresentato? Secondo quali interpretazioni? Cosa ci suggeriscono queste visioni artistiche aldilà delle significazioni personali degli autori? Devo dire che l’impressione complessiva che ho avuto è di una rimozione sostanziale del mondo che chiamiamo natura. La presa astratta e concettuale a partire da un reale psichico interessato a figurare i flussi emozionali e passionali degli artisti sono stati dominanti, se paragonati alle opere nelle quali risultava leggibile un percorso dall’oggetto naturale alla sua stilizzazione.
Setup, la nuova fiera indipendente delle tendenze artistiche giovanili recentemente svoltasi a Bologna, ci permette di avere una visione di come giovani artisti stiano rielaborando temi legati all’ambiente e alla natura. Non ho mai avuto in simpatia l’idea che qualcosa sia il riflesso di un’altra cosa, così che una delle due possa essere presentata come causa dell’altra. La cosiddetta teoria del rispecchiamento l’ho sempre trovata troppo facile e intuitiva per essere feconda e soprattutto vera. Tuttavia qualche volta la propensione a interpretare un fenomeno come il riflesso di processi più complessi può essere utile per capirne le valenze culturali ed etiche. Prenderò come esempio alcune opere che ho visto durante l’ultima edizione di Arte Fiera Bologna. Si tratta di giovani artisti presentati in uno spazio alternativo nella prima edizione di Setup, dove i galleristi potevano installare le opere dei loro creativi a costi ragionevoli. Questa opportunità ha creato una differenziazione tra un iper-luogo, ArteFiera, la fiera ufficiale, nel quale si potevano ammirare perlopiù
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Alessandro Bergonzoni C’ATTIVITÀ (Il vivaio dei segregati) Solo Show presentato nel Chiostrino
Monika Grycko, “Rat Mother” ceramica dipinta a olio, cm. 100, 2012 presentato dalla Galleria Paola Cardano Arte Contemporanea
Panem et Circenses Autolinee Panem et Circenses
Nessuna sorpresa quindi. Da decenni i linguaggi dell’arte cercano nella de-realizzazione delle forme la strada stretta che produce valore visuale (artistico). Per contro, desta un certo stupore riflettere sulle significazioni emergenti congetturabili a partire dai resti del reale naturistico che ho potuto osservare nelle opere esposte nella nuova fiera indipendente. Tra le opere che per contro, in qualche modo mi hanno fatto pensare a una riflessione sulla natura, segnalerei l’istallazione di Alessandro Bergonzoni, di Panem et Circeses, le opere di Monika Gryko e di Leonardo Greco. In realtà Alessandro Bergonzoni, con i suoi alberi imprigionati ha inteso sottolineare la disperazione di tante vite perdute nelle carceri: “simbolo ed evocazione, rappresentazione di piante, di vite, di corpi che crescono in cattività (o in cattiveria) all’interno di una prigione, di muri che vorrebbero piegare o potare, rami e arbusti umani, fino a riuscire a seccarli” (A. Bergonzoni). Tuttavia un’opera quando funziona rimanda a significazioni che vanno spesso aldilà delle intenzioni del creativo. Ecco perché a mio avviso l’istallazione dell’artista, per analogia, mi evoca un’immagine del rapporto tra uomo e natura tristemente attuale, ovvero, un mondo primario
Monika Grycko, “Agnus, il bianco e il nero” ceramica dipinta a olio e tecnica mista, h.60 cm., 2012 presentato dalla Galleria Paola Cardano Arte Contemporanea
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Leonardo Greco, “Dov’è Osvaldo?” della serie pittorica “Take me to the stars”, 100 x 100 cm, carta su lamiera e gesso, 2012 presentato dalla Galleria VV8 Arte Contemporanea.
imprigionato dalla stupidità dell’uomo. L’idea della frammentazione del reale sembra essere il tema dell’intervento food specific proposto da Panem et Circenses: frammenti di cibo, una mappa-mosaico, raccolti in piccoli sacchettini di plastica schierato su un’intera parete secondo un principio di provenienza geografica dei soggetti coinvolti da SetUp; una alimentazione blobizzata, inquadrata, esibita, fatta per essere guardata più che consumata. Un altro artista che mi ha riportato al tema della precarietà del rapporto uomo-natura è la scultrice polacca Monika Grycko: la terribile bellezza dei suoi esseri mutanti ci riporta agli enigmi delle modificazioni genetiche che fondono il meglio della conoscenza con gli esiti più problematici. Un altro esempio di bellezza resa penetrante dal terribile (dissimulato dall’immagine di bamboline) è il quadro di Leonardo Greco. Uno scheletrico albero dal quale pende, impiccata, una bambolina
di plastica incollata alla tela. Sembra un quadro dipinto da un artista che ha voluto sbarazzarsi di ogni tecnica sofisticata per ritrovare la spontaneità, l’essenzialità dei disegni dei bambini. Un albero tremolante sul quale pende l’infanzia dell’umanità, ecco un messaggio che sintetizza in modo mirabile il senso di fondo che giovani artisti stanno registrando con la loro esperienza, per permetterci di imparare a guardare con occhi diversi il campo di problemi che la coscienza informativa non riesce a trasformare in cambiamenti dello stile di vita.
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Roberta Filippi Giornalista
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CONSORZIO DEL PROSCIUTTO TOSCANO: RINNOVATE LE CARICHE SOCIALI
“Ringrazio il Consiglio per la fiducia, – afferma il neo Presidente Ludovici – mi impegnerò con determinazione e con la collaborazione di tutti i consiglieri per consolidare ed implementare l’ottimo lavoro fatto fino ad oggi e cercare di rafforzare l’immagine del Prosciutto Toscano all’estero”. Il Consorzio ha chiuso il 2012 confermando i buoni risultati degli ultimi anni soprattutto nel comparto del preaffettato che continua a crescere segnano un +4,6% rispetto all’anno precedente. Consorzio del Prosciutto Toscano Il Consorzio del Prosciutto Toscano, a cui aderiscono 23 Soci, è nato per salvaguardare e valorizzare il tipico prosciutto di questo territorio, che ha caratteristiche e peculiarità ben precise. I produttori, consapevoli della necessità di proteggere il Prosciutto Toscano dalla proliferazione incontrollata di altri prosciutti che avevano poco in comune con la tradizione toscana, hanno adottato un rigido disciplinare di produzione che prevede l’obbligo della “tracciabilità” dall’allevamento al consumo così da garantire all’acquirente un prodotto di eccellenza. Nel 1996 il Prosciutto Toscano ha ottenuto l’ambito riconoscimento comunitario della “Denominazione di Origine Protetta”. Da quella data può fregiarsi di tale nome solo il prosciutto prodotto in Toscana seguendo le regole dettate dal Disciplinare di Produzione, che prevede la provenienza delle cosce esclusivamente da suini nati, allevati e macellati in Toscana e in alcune regioni limitrofe, l’utilizzo di essenze aromatiche tipiche del territorio toscano e una lunga stagionatura. www.prosciuttotoscano.com
Presidente DOP Ludovici
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Il Consorzio del Prosciutto Toscano comunica il rinnovo del Consiglio d’Amministrazione che, per il prossimo triennio, sarà composto da nove membri uno dei quali appartenente alla categoria dei “Porzionatori e confezionatori”. È stato eletto Presidente il Sig. Cristiano Ludovici, già Consigliere nel precedente mandato ed attuale vicepresidente dell’ISIT (Istituto Italiano Salumi Tutelati), e Vicepresidente il Sig. Ghelli Maurizio. Gli altri Consiglieri sono Viani Fabio, Neri Aldo, Cappellini Giovanni, Renieri Filippo, Pisoni Marco, Mugnaioli Giuseppe e Cruciani Willy.
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ALIMENTAZIONE E SALUTE MASSIMO COCCHI, GIOVANNI LERCKER
ALIMENTAZIONE E SALUTE
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LA VERITÀ SULLA CATTIVA FAMA DEI GRASSI
Il ruolo dei grassi nella nostra alimentazione non è sempre negativo
Massimo Cocchi, Giovanni Lercker
La scelta migliore è quella di aumentare l’introduzione di antiossidanti attraverso il cibo, in particolare frutta e verdura come viene suggerito da chi consiglia un consumo giornaliero di cinque porzioni fra frutta e verdure.
Moderno impianto di olivo in Sicilia meridionale.
I
nella guerra franco-prussiana, a bandire in occasione dell’Esposizione mondiale di Parigi (1970) un premio in danaro per chi avesse prodotto un grasso simile (surrogato) a costi più contenuti. Il premio fu vinto dal chimico inventore Hyppolite Mege Mourriés, che, con processi di frazionamento del sego e dello strutto, insieme a un po’ di latte, realizzò la prima margarina della storia, così in seguito denominata probabilmente per l’assonanza del suo nome. L’utilizzo di fonti “oleaginose” alternative, quali gli oli di semi, si è sviluppato dopo la rivoluzione industriale sorta in Inghilterra circa un secolo e mezzo fa, che portò alla costruzione di macchine indispensabili alla lavorazioni dei semi. Proprio grazie a questa novità gli oli di semi si diffusero abbastanza rapidamente in relazione ai costi molto più contenuti delle altre sostanze grasse, alla facilità di impiego e alla possibilità di utilizzo e manipolazione a freddo, in quanto si presentano allo stato liquido come gli oli da olive. Lo sviluppo maggiore si è però verificato dopo la seconda Guerra Mondiale, sempre in relazione all’aspetto economico ma anche alla diffusione dei sistemi di comunicazione, che consentivano il maggiore scambio delle merci con i paesi produttori non mediterranei. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, senza validi sistemi di controllo, ha poi permesso una campagna denigratoria per i grassi di origine animale e una
l grande pubblico e soprattutto quello femminile ha per la parola grasso un’avversione particolare, pari alla parola “pesticidi”, “additivi alimentari”, “colesterolo”, OGM, ecc.. In realtà, da quando l’uomo ha imparato ad allevare animali, il latte e i suoi derivati ricchi di grasso, sono stati tra gli alimenti considerati più preziosi a sua disposizione per nutrirsi e fonte di ricchezza economica. Quali cambiamenti hanno portato all’allontanamento da questi alimenti come appare nella situazione attuale? I grassi, soprattutto quelli di origine animale, avevano una notevole importanza nella dieta, in quanto portatori di energia utile all’organismo dedicato alla caccia di cibo e ai conflitti con altri per la sopravvivenza. Nel passato la possibilità di mangiare tutti i giorni era un lusso o una fortuna di pochi e quando era possibile trovare fonti di cibo di origine animale la cattura era difficile, quindi disporre del grasso corrispondente era raro. Oltre ai grassi di origine animale, salvo qualche particolare disponibilità di fonti speciali in precise zone del mondo, l’olio ottenuto dalle olive è da sempre la più importante fonte di sostanze grasse. Questo è dovuto alla possibilità relativamente facile di estrarre questo alimento, anche se il suo valore è sempre stato elevatissimo e la possibilità d’impiego limitata ai benestanti di tutti i periodi storici. Il grasso del latte è stato considerato così prezioso da costringere Napoleone III nel 1866, impegnato
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CONTENUTO IN MILLIGRAMMI DI COLESTEROLO IN 100 GRAMMI DI ALIMENTO ALIMENTO
colesterolo
ALIMENTO
colesterolo
Uovo, in polvere
1507
Ciccioli
68
Caviale
588
Mozzarella
64
Olio di fegato di merluzzo
570
Lombo di maiale
63
Uovo di gallina, intero, sodo o alla coque
373
Bistecca di manzo t-bone, cotta
62
Uovo strapazzato
277
Lombo di maiale magro
59
Calamaro
233
Pesce azzurro
59
Burro senza sale
215
Costolette di maiale magre
56
Salmone rosso, affumicato
155
Cozze, cotte
56
Aragosta, cotta
146
Prosciutto crudo magro
52
Astice, cotto
133
Polipo
48
Mortadella di suino
129
Sogliola
45
Gamberetti crudi
126
Pasta all’uovo, cotta
41
Fontina
116
Petto di pollo, magro
36
Seppia
112
Carne di manzo in gelatina, in scatola
34
Groviera
110
Gelato al cioccolato
34
Pancetta di maiale, cotta
110
Hamburger, fast food
33
Cheddar
105
Ricotta
31
Pecorino
104
Tonno in salamoia, sgocciolato
30
Fiorentina di manzo, cotta
97
Vongole
30
Emmenthal
89
Polpette di pesce
30
Lombo di maiale cotto
82
Hamburger con salse e condimenti
24
Salame di maiale, italiano
80
Bombolone lievitato alla crema
24
Bresaola
79
Salmone affumicato
23
Pollo arrosto (solo carne)
75
Cioccolato al latte
23
Aragosta
70
Cioccolato bianco
21
Fior di latte
64
Cioccolato al latte, con mandorle
19
Parmigiano Reggiano
68
Tonno sottolio, sgocciolato
18
Pancetta di maiale
68
Mozzarella light
18
Fonte INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione
prodotto numerosi farmaci, capaci di ridurre un po’ la nostra concentrazione di colesterolo, quindi almeno in parte il rimedio al problema. È necessario ricordare che un adulto utilizza circa 1 grammo al giorno di colesterolo in varie destinazioni, mentre quello che introduce attraverso gli alimenti spesso non arriva che a quantità di mezzo grammo al giorno, salvo quando si consumano due uova (circa 100 grammi) cotte con il burro, che può arrivare a circa 0,4 grammi di colesterolo. Nel nostro sangue quando si misurano 200 di colesterolo circolante, tale numero corrisponde a 200 milligrammi di colesterolo in 100 millilitri di sangue: questo corrisponde a 0,2 grammi/100 millilitri di sangue. Per portare a 210 il colesterolo è necessario introdurre, possedendo circa 5
percezione di minore salubrità anche per gli oli ottenuti dalle olive. È facile ricordare la vantata leggerezza degli oli vegetali (e anche delle corrispondenti margarine) sugli altri prodotti a base grassa, insieme alla contemporanea assenza del temibile colesterolo. Purtroppo, alcune mezze verità hanno fatto più danni della guerra stessa, come per il fatidico colesterolo che molti di noi hanno elevato nel sangue. Certamente la convinzione che l’introduzione degli alimenti contenenti colesterolo sia determinante ad accelerare lo sviluppo di patologie cardiovascolari è ancora in vita oggi. Importanti studi epidemiologici hanno infatti trovato una correlazione certa fra colesterolo nel sangue e probabilità di sviluppo dei malattie cardiovascolari. Naturalmente la ricerca in campo farmaceutico ha successivamente
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Il girasole è una delle fonti “oleaginose” alternative per la produzione di oli di semi
litri di sangue nel nostro corpo di adulti, una quantità di colesterolo pari a 500 milligrammi (ossia 0,5 grammi) di colesterolo. In effetti, escluse le carni e le uova, pochi alimenti sono probabili portatori di tali quantità. È bene ricordare che la quantità di colesterolo che introduciamo con gli alimenti condiziona quella che sintetizziamo per arrivare a quel grammo al giorno che consumiamo, limitata alla quota mancante. Salvo patologie che intaccano questa auto-regolazione, non è facile vedere aumenti del contenuto di colesterolo nel sangue, tanto che i valori elevati costantemente osservati sono oggi attribuiti alla nostra “genetica”, cioè alla “familiarità” di tale situazione. A questo, punto essendo certa la correlazione, colesterolomalattie cardiovascolari, è necessario approfondire per capire meglio. Se, come è stato fatto di recente in relazione alla salute, sono stati abbassati i limiti del valore massimo del contenuto di colesterolo nel sangue, in questo modo è possibile allargare la fascia di individui che si devono preoccupare e che (prima o poi) ricorreranno ai farmaci. Però è lecito avere il dubbio che questa scelta sia stimolata dall’obiettivo di vendere più farmaci, oltre che anche allo sviluppo di alimenti idonei ad abbassare il livello di colesterolo o perlomeno a non alzarlo. Fortunatamente gli ultimi studi che sono stati svolti a riguardo, hanno aperto la possibilità che tutto quello di negativo, attribuito alla quantità di colesterolo nel sangue, sia più legato alla presenza di derivati di ossidazione del colesterolo e non al colesterolo. Alla luce di queste considerazioni il livello alto di colesterolo non sarebbe di per sé determinante per le malattie cardiovascolari, ma lo sarebbe la possibilità di avere maggiori presenze dei suoi derivati ossidati, denominati ossisteroli. Qual è, a questo punto, il motivo per il quale la genetica di ogni individuo dovrebbe conferire più facilità ad ossidare il colesterolo? Se attraverso la dieta introduciamo molti alimenti ossidati, questo fa ritenere che potrebbe facilitare l’aumento dell’ossidazione dei grassi e anche di quella del colesterolo, ma per tutti gli individui. Se questo non accade a tutti, come previsto dall’accertata correlazione
quantità di colesterolo-patologie cardiovascolari, allora il problema può dipendere dalla carenza di sistemi antiossidanti sintetizzati dall’organismo umano a sua protezione, nei soggetti ad elevata quantità di colesterolo nel sangue. Il colesterolo potrebbe anche essere più ossidato dalle sostanze ossidanti introdotte con la dieta, in quanto più presente nel sangue, oppure ossidato in concomitanza della combustione dei carboidrati o ancora per altra via. Un’altra ulteriore ipotesi potrebbe essere legata alla posizione del colesterolo che è situato nelle membrane cellulari in condizione di affrontare la specie ossidativa (ossidandosi) prima che lo faccia la membrana, quasi che il colesterolo abbia un “ruolo di protezione” della membrana stessa. Se si considera che l’ossidazione della membrana porta alla successiva rottura e morte della cellula, sacrificare colesterolo per salvare la cellula per l’organismo è più importante del contrario. In base a questo meccanismo, che potrà portare ad avere ossisteroli in giro per il corpo con possibilità di fare danni, la riduzione del quantitativo del colesterolo in qualsiasi maniera possibile è un fatto positivo per l’organismo umano fatto di organi e tessuti ricchi di cellule? È vero che da una parte l’ossidazione del colesterolo favorirebbe le malattie cardiovascolari, ma dall’altra si genererebbero malattie (tumori?) ad organi pluricellulari per effetto dell’ossidazione delle membrane. Quale sarebbe la scelta meno problematica? Nel dubbio ed in attesa di ulteriori risultati scientifici in questo argomento, la scelta migliore è quella di aumentare l’introduzione di antiossidanti attraverso il cibo, in particolare frutta e verdura, come viene suggerito da chi consiglia un consumo giornaliero di cinque porzioni fra frutta e verdure.
Massimo Cocchi L.U.de.S. University Lugano (Svizzera)
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CALEIDOSCOPIO
Dal Consorzio di tutela dei Salamini Italiani alla Cacciatora giungono i dati del 2012: sono stati prodotti e certificati quasi 12.500.000 di “Cacciatori”, ovvero circa 3.650.000 Kg, per un giro d’affari alla produzione vicino ai 30 milioni di Euro. Anche sul fronte dell’export il dato è positivo, con una stima di 400.000 Kg di prodotto destinato ai Paesi oltre confine. Dunque grandi numeri per questo piccolo salume, dal peso - al consumo - generalmente inferiore ai 200g, che tra i salami tutelati DOP (Denominazione origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta) si conferma al primo posto, rappresentando il 65% della produzione. Recentemente il Consorzio ha anche acquistato dei dati di mercato sulle vendite dalla società specializzata Symphony IRI. Risulta che il Cacciatore rappresenti il 26% delle vendite complessive di salamini e difenda bene la sua quota anche all’interno del comparto salumi. “I dati sono senza dubbio positivi, anche considerando che nel 2012 praticamente tutta la produzione è stata realizzata dalle aziende aderenti al Consorzio Cacciatore, a conferma del valore riconosciuto non solo al prodotto ma anche alla costante attività di tutela svolta dal Consorzio” ha commentato il Presidente Lorenzo Beretta. Tra le chiavi del successo del Cacciatore vi è la particolare praticità d’uso: è infatti uno dei pochi salumi che si prestano ad essere consumati come snack. Inoltre il suo gusto dolce riscuote l’apprezzamento di un gran numero di persone. E poi ci sono i vantaggi del marchio DOP, a garanzia di un prodotto di qualità, certificato e controllato. Consorzio Cacciatore Costituitosi a maggio del 2003, con lo scopo di proteggere e promuovere i Salamini Italiani alla Cacciatora DOP, il Consorzio Cacciatore rappresenta oggi 26 aziende. I consorziati hanno una etichettatura comune e uniforme (un tassello consortile di facile e d’immediata identificazione) per facilitare la riconoscibilità del prodotto per il consumatore. Il Consorzio ha la facoltà di agire su tutta la filiera del prodotto Salamini Italiani alla Cacciatora DOP, anche verso i soggetti non consorziati; dispone di poteri di vigilanza, grazie anche a propri “agenti vigilatori” in grado di contrastare abusi, imitazioni, atti di pirateria e contraffazione su tutto il territorio nazionale e non solo. E’ promotore di programmi per migliorare la qualità della produzione in termini di sicurezza igienico-sanitaria, caratteristiche chimiche, fisiche, organolettiche e nutrizionali del prodotto tutelato. Il riconoscimento del Consorzio da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – avvenuto nel 2005 – lo rende l’organo ufficialmente accreditato a svolgere le funzioni di informazione, tutela e valorizzazione dei Salamini Italiani alla Cacciatora DOP. www.salamecacciatore.it
CALEIDOSCOPIO
SALAME CACCIATORE: CRESCE DEL 9% LA PRODUZIONE NEL 2012
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CALEIDOSCOPIO CASA GHELLER E FRATELLI RINALDI: SPECIALISTI DEL PROSECCO
CALEIDOSCOPIO
Competenza antica e gestione moderna e attenta all’evoluzione del mercato unite nel recente accordo siglato fra Casa Gheller e Fratelli Rinaldi Importatori per la distribuzione in esclusiva del Prosecco.
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Casa Gheller prende il nome da una storica famiglia di viticoltori in Valdobbiadene che producevano con attenzione e competenza vini di particolare qualità. Negli anni Ottanta la famiglia Moretti Polegato – il più importante gruppo vinicolo dell’area del Prosecco – ha rilevato il marchio continuandone la tradizione: Valdobbiadene Prosecco D.O.C.G. e Prosecco D.O.C., spumante e frizzante, che Casa Gheller propone nella tradizionale legatura a spago, omaggio alla consuetudine di legare i tappi del vino leggermente frizzante destinato all’uso quotidiano con uno spago per fissarli e per garantirne la tenuta. Un omaggio alla tradizione, che continua anche nel nuovo, moderno packaging di Casa Gheller affidata oggi a Fratelli Rinaldi Importatori per la distribuzione sul mercato italiano. Nata nel 1957, la Fratelli Rinaldi Importatori di Bologna si è affermata nel tempo come una delle più dinamiche a apprezzate Società di distribuzione di prodotti alcolici sul mercato italiano. Il suo portafoglio attuale comprende vini, spumanti, champagne, distillati e liquori, provenienti dall’Italia e dai principali Paesi del mondo. La sua presenza commerciale è supportata da un’intensa attività di comunicazione di settore, realizzata attraverso una fitta rete di contatti personali, di incontri, di degustazioni, di rapporti con gli opinion leader e con la stampa professionale. In occasione del loro recente accordo distributivo, Casa Gheller e Fratelli Rinaldi Importatori hanno operato un innovativo restyling del marchio, delle bottiglie e delle etichette, con l’obiettivo di conferire a Casa Gheller un’identità allineata al concetto più attuale e contemporaneo del Prosecco e del suo consumo. Grande la soddisfazione di Giancarlo Moretti Polegato, Presidente di Casa Gheller, “per la lunga esperienza e tradizione di Fratelli Rinaldi Importatori nel mondo delle bollicine, che con Casa Gheller incontrano il Prosecco. Una speciale combinazione di vite, territorio e dedizione ne hanno fatto uno dei vini più apprezzati e di successo, un simbolo di stile italiano”. Aggiunge Giuseppe Tamburi, Presidente di Fratelli Rinaldi Importatori: “La splendida nuova veste della marca è l’auspicio migliore per l’imminente, forte rilancio distributivo e d’immagine di Casa Gheller, uno dei nomi più autentici e gloriosi nella produzione del Prosecco di altissima qualità”. info@rinaldi.biz
Giuseppe Tamburi
Giancarlo Moretti
CALEIDOSCOPIO
I formaggi generano il 20,3% del fatturato dei prodotti freschi realizzato dalla distribuzione moderna nei principali paesi della Ue. Ma l’Italia fa decisamente meglio: da noi i prodotti caseari valgono il 23,9% delle vendite di prodotti freschi effettuate nella Gdo. Un dato che ci regala un record indiscusso: siamo i principali appassionati di formaggi di tutta la Ue e l’unico Paese europeo dove i formaggi sono il numero 1 dei freschi, come rivela Assolatte elaborando i dati presenti nel rapporto europeo „Chilled & Fresh“ di SymphonyIri. In Italia, nell’anno finito ad agosto 2012, i formaggi hanno visto aumentare il loro giro d’affari del 5,1%, generando oltre 166 milioni di euro di vendite aggiuntive, e arrivando a sfiorare complessivamente i 3,5 miliardi di euro di fatturato nella Gdo. Questo rapporto, che analizza le performance delle 10 principali macro-categorie del fresco nella Gdo di 6 paesi europei durante il terzo quadrimestre del 2012, conferma che i formaggi sono una categoria trainante per il mercato europeo dei freschi: hanno una quota complessiva a valore del 20,27% e, tra luglio e settembre 2012, sono stati gli alimenti freschi con il miglior tasso di crescita. Sono infatti avanzati del 3,7% arrivando a sfiorare i 20 miliardi di euro (+3,7% annuo), grazie soprattutto alle performance in Italia e Spagna. Analizzando i dati contenuti nel rapporto, Assolatte ha delineato la geografia dei gusti alimentari e delle scelte d’acquisto dei consumatori nei vari Paesi europei. Si scopre così che la Francia non è il paese dei formaggi perché la spesa per questi alimenti è superata da quella per i salumi (con una quota del 22,8% contro il 19,6% dei formaggi), come accade del resto anche in Germania. In Olanda i formaggi sono medaglia di bronzo, perché superati anche dall’ortofrutta fresca, e anche in Spagna guadagnano il terzo posto tra i freschi, dietro a salumi e yogurt&dessert freschi. L‘alimento fresco per cui i consumatori inglesi spendono di più è il latte, che consolida il primo posto a valore su un podio dominato dai prodotti lattiero-caseari: nell‘ordine formaggi, yogurt&dessert freschi, burro&margarina. Ma i formaggi restano quelli con la miglior performance: nell’ultimo anno, infatti, gli inglesi per portarli in tavola hanno speso il +5,3% in più. www.assolatte.it
CALEIDOSCOPIO
ITALIANI, POPOLO DI “CHEESE LOVER”: SIAMO L’UNICO PAESE IN EUROPA DOVE I FORMAGGI SONO IL N.1 NEI FRESCHI
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ALIMENTAZIONE DOMANI
ALIMENTAZIONE DOMANI GIOVANNI BALLARINI
IN FUTURO PIÙ FISICA E NIENTE CHIMICA: 141 CIBI SALUBRI E DA... BERE
Le nuove tecnologie fisiche stanno mettendo a punto alimenti che si spera aiuteranno a combattere il diabete, l’obesità, la fatica mentale, l’osteoporosi, il cancro e anche l’invecchiamento. È una risposta dell’industria alimentare alle nuove esigenze dei consumatori, sottoposti a uno stress tossicologico, o almeno al crescente pessimismo verso l’uso di additivi e altri componenti chimici negli alimenti e verso le contaminazioni alimentari e ambientali, anche se spesso solo percepite o temute. L’inserimento di quantità molto spesso minimali, ma continuative, di molecole nutraceutiche naturali nei cibi può servire a debellare le sindromi e le malattie più diffuse.
Giovanni Ballarini
Container per il trasporto in attesa di essere caricati sulla nave, nel porto cileno di Valparaiso.
FATTORI DI DEGRADAZIONE CHE DETERMINANO LA PERDITA DI FRESCHEZZA DEGLI ALIMENTI (SEC. DISTAM). REAZIONI CHIMICHE E BIOCHIMICHE • Imbrunimento non enzimatico • Imbrunimento enzimatico • Idrolisi dei lipidi • Ossidazione dei lipidi • Idrolisi delle proteine • Denaturazione delle proteine • Agglomerazione delle proteine • Idrolisi di polisaccaridi • Glicolisi • Sintesi di polisaccaridi • Degradazione dei pigmenti naturali • Inattivazione delle vitamine • Modificazioni della biodisponibilità di vitamine e sali minerali
PROCESSI DI NATURA FISICA E CHIMI FISICA • Cristallizzazione degli zuccheri • Retrogradazione dell’amido • Perdita di sostanze volatili • Assorbimento e desorbimento d’umidità • Modificazioni della compartimentazione dei componenti
Trattamenti anti-aging per conservare il cibo fresco mediante tecnologie dolci e poco invasive, che ricorrono sprattutto all’igiene e alla fisica al contrario di quanto avveniva nel passato, quando ci si rivolgeva alla chimica, preferendo additivi e conservanti.
Nel bene e nel male dobbiamo riconoscere che il futuro della nostra alimentazione sta sempre meno nella tradizione e sempre più nei laboratori di ricerca della potente industria alimentare multinazionale. Come cambierà la nostra alimentazione? Gli alimenti che sono allo studio nei laboratori delle grandi imprese puntano a fornire salute combattendo le malattie, conservando la loro freschezza, con una predilezione di quelli da bere. Nutraceutica e freschezza sembrano essere le nuove frontiere alle quali s’indirizza la ricerca alimentare e meritano un’occhiata. “Che il cibo sia la tua medicina” aveva detto Ippocrate oltre duemilacinquecento anni fa. Oggi si parla di nutraceutica. Nutraceutici sono i prodotti alimentari, naturali o trattati con opportune tecniche dolci con benefici effetti salutari e capaci di prevenire le malattie. Gli alimenti nutraceutici sono proposti in alternativa ai farmaci e dovrebbero risolvere i problemi degli effetti secondari inde-siderati di questi ultimi. Un alimento nutraceutico, ad esempio, è il pomodoro, perché ricco di lico-pene, una molecola naturale ricca di attività benefiche sulla salute umana. Sono nutraceutici anche particolari complessi di aminoacidi e acidi grassi contenuti in alimenti d’origine animale. Queste proprietà salutari possono anche venir aggiunte a certi alimenti tramite l’addizione di sostanze propositive al buon funzionamento psicofisico e alla salute generale della persona, come ad esempio gli omega 3 al latte o alle uova o le vitamine ai fiocchi di cereali. Molte proprietà nutraceutiche si conservano a patto che l’alimento sia fresco o conservato come tale, anche con le cosiddette, moderne “tecnologie della freschezza”, che stanno ampiamente modificando il quadro alimentare italiano.
solo lo 0,4% della popolazione avrà dimestichezza con la realizzazione di fettuccine, gnocchi, cannelloni, ravioli, agnolotti e pizzoccheri. Una tradizione vicina all’estinzione che solo pochi raffinati gourmet o incalliti appassionati della buona cucina tradizionale tengono in vita. Corsi e iniziative spot per riportare gli italiani alla pasta fatta in casa ce ne sono, ma sono pochi e coinvolgono, in genere, cuochi in erba o rare casalinghe intraprendenti. Solo due persone su cento assaporano il piacere di fare la pasta in casa con uova, acqua e farina, mentre dilaga l’abitudine del-la pur buona e sicura pasta industriale. Questa disaffezione verso la pasta e il pane fatto in casa per il pane casalingo non bisogna considerare quello delle “macchine” sempre più diffuse allontana sempre di più i consumatori dalla consapevolezza sul cibo. Termini come «semola di grano duro», «trafilata al bronzo» o «lievito madre» stanno divenendo una sapienza di pochi e non più un sapere diffuso. Non a caso, l’85% degli italiani nel leggere l’etichetta della pasta fa caso, subito dopo peso e prezzo, ai minuti che servono per cuocerla, dimenticando che un’abile massaia prepara quattro piatti di fettuccine fatte a mano in dieci minuti: lo stesso tempo necessario per uscire di casa, recarsi in negozio, comprare la pasta e tornare. Quindi “addio mattarello”. La magia di uova acqua e farina che pian piano di trasformano in sfoglia, poi in pasta, quindi in un gustoso primo piatto, ha lasciato il passo ai ritmi frenetici del vivere quotidiano. Sempre sui cibi del futuro, a New Orleans (USA), al congresso dell’Institute of Food Technologist, coloro che studiano e progettano le nuove pietanze si apprestano a sfruttare le più raffinate tecnologie per mettere a punto alimenti in grado di prevenire e contrastare patologie come diabete, obesità, osteoporosi, cancro e l’invecchiamento, preferendo le forme liquide beveroni più facili da assumere in ogni momento della giornata, destinate soprattutto ai giovani. È ad esempio allo studio un drink giovanile, costituito da una polvere liofilizzata di frutta, che può essere mescolata sia con il latte e sia con l’acqua, e che corrisponde al fabbisogno giornaliero di frutta di una persona, progettato per il pubblico under 16, e concepito per sostituire le bevande gassate “chimiche”.
GUSTI DEL FUTURO Cibo fresco e industriale: un ossimoro possibile? Una recente indagine della CIA - Confederazione Italiana degli Agricoltori - dimostra che la pasta fresca, vanto delle cucine regionali tradizionali ita-liane, è divenuta un prodotto industriale omologato in tutta Italia. Se negli anni Sessanta del secolo scorso oltre il 40 per cento delle donne italiane metteva le «mani in pasta», tra gli anni Ottanta e il Duemila la percentuale era già scesa ad una persona ogni 30. Ora percentuale è precipitata ulteriormente, quasi a segnare che il piacere di realizzare la pasta è rimasto prerogativa di poche nonne. Oggi solo due persone su 100 e si tratta principalmente di ultrasessantenni e nel 2020
143 ALIMENTAZIONE DOMANI GIOVANNI BALLARINI
L’attività degli studiosi del cibo mostra altri aspetti di cosa ci riserva la scienza nella progettazione degli alimenti che sfrutta anche soluzioni ipertecnologiche di tipo fisico, come la microincapsulazio-ne che permette lunghe conservazioni. È una tecnica di “vaporizzazione” e successiva “incapsulazione” delle molecole che ha raggiunto livelli di raffinatezza quasi artistica e che permette l’isola-mento e la protezione quindi una attività durante la conservazione degli alimenti per di principi biologici come le fitomolecole, i polifenoli, i flavonoidi e i fitocomposti contenuti dalla frutta, dalle piante e dagli ortaggi. Altre molecole naturali microincapsulate saranno utilizzate nella formulazione di cibi e delle bevande del futuro. Infatti, il pulse combustion drying, una nuova versione della spruzzatura a secco di microparticelle, la microincapsulazione ha raggiunto livelli molto avanzati, riuscendo a trasformare in polveri finissime anche sostanze complesse e delicate come gli omega 3 estratti dal pesce d’olio.
al crescente disagio nei confronti dell’uso della chimica negli alimenti (additivi ecc.) e delle contaminazioni alimentari e ambientali, anche se spesso solo percepite o temute. L’inserimento di quantità molto spesso minimali, ma continuative, di molecole nutraceutiche naturali in cibi destinati a finire sugli scaffali dei supermercati potrebbe aiutare a combattere le sindromi e le malattie più diffuse. Lo scenario di un futuro più o meno prossimo potrebbe contemplare zuccheri (ovviamente dolci) che combattono l’obesità inibendo la metabolizzazione dei lipidi, cioccolata all’olio di pesce (mantenendo il buon sapore della cioccolata), bevande che incrementano le capacità cognitive. L’estro creativo dei disegnatori dei nuovi alimenti, semplici e complessi e trasformati, si apre a nuovi orizzonti, anche con sapori, odori e aromi che si riferiscono a visioni alternative del cibo. Scenari solo apparentemente nuovi: basta pensare ai cambiamenti che nella cucina sono stati portati dalla diffusione dello zucchero, prima di canna e poi di barbabietola, o dall’alcole con la produ-zione di distillati e liquori, o dall’anidride carbonica con la produzione delle bevande gassate. Un futuro alimentare per certi aspetti non roseo, almeno per i tradizionalisti!
A CHE PUNTO È LA RICERCA L’obiettivo dei ricercatori è di utilizzare le nuove tecnologie fisiche e non chimiche per mettere a punto alimenti che si spera aiuteranno a combattere il diabete, l’obesità, la fatica mentale, l’osteoporosi, il cancro e anche l’invecchiamento. Si tratta anche di una risposta dell’industria alimentare alle nuove richieste dei consumatori, sottoposti a uno stress tossicologico, o almeno
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Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
I SUCCHI DI FRUTTA VALFRUTTA FANNO GIOCARE I BAMBINI CON I “CARTONI ANIMATI” DELLA “TRIBÙ DEI PIEDI VERDI” Per Valfrutta anche il gioco dei bambini è una cosa seria quando l’obiettivo è educare al rispetto ambientale, all’ecologia e alla conoscenza della natura. Per insegnare giocando e preparare le nuove generazioni al giusto consumo di frutta sana e di qualità, Valfrutta, grande marchio di Conserve Italia – azienda leader nel settore dei succhi e delle bevande a base di frutta – lancia una nuovissima promozione di valore ecologico-sociale rivolta a famiglie con bambini. Fino al 31 agosto tutte le confezioni dei succhi di frutta Valfrutta in brik (3x200ml e 6x200ml) avranno nella parte interna dei cluster i “cartoni animati” di “Gioca e fai con la Tribù dei Piedi Verdi” con i quali i bambini possono divertirsi imparando molte cose interessanti sulla natura, l’ambiente, la frutta e i vegetali. Attraverso informazioni, test, quiz, carte da ritagliare e collezionare, disegni da completare e brico art, per un totale di 20 soggetti diversi, Valfrutta coinvolge i giovanissimi consumatori in giochi ecologici che educano in modo semplice e naturale alla conoscenza del mondo che li circonda, rinnovando così il proprio impegno per la natura, l’ambiente e per il sociale. Con “Gioca e fai con la Tribù dei Piedi Verdi” Valfrutta ha creato una promozione che è insieme informativa/ didattica e ludica e che fa conoscere i valori della marca in termini di responsabilità ed etica ambientale, rispondendo così alle esigenze di un consumatore sempre più attento ai temi sociali e al rispetto delle risorse naturali. L’attenzione verso il consumatore si traduce anche in una specifica e sintetica comunicazione che utilizza le confezioni dei prodotti Valfrutta per “parlare” di sostenibilità ambientale, di risorse energetiche rinnovabili e pulite e di reale difesa del pianeta. www.valfrutta.it
CALEIDOSCOPIO
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CALEIDOSCOPIO
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AZIENDA AGRICOLA SAPORI VESUVIANI DI PASQUALE IMPERATO.
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L’Azienda agricola Sapori Vesuviani è ubicata alle pendici del vulcano nel Parco Nazionale del Vesuvio, a 8 chilometri da Napoli. È specializzata nel recupero delle produzioni agricole tipiche del territorio vesuviano destinate alla trasformazione artigianale, conciliando le antiche tradizioni contadine con l’innovazione al fine di ottenere prodotti di alta qualità, salubri e genuini nel rispetto della natura. Tutto ciò che la terra offre secondo la stagionalità viene prodotto, trasformato e conservato con cura e passione per le tavole di tutti coloro che hanno piacere di riscoprire i sapori di un tempo. Sott’oli, confetture, succhi di frutta, sciroppate, sughi pronti e passate sono le delizie prodotte nella nostra azienda fortemente impegnata nella costruzione di una filiera breve dal campo alla tavola, dalla campagna alla città. La qualità delle materie prime, raccolte alla giusta maturazione e conservate naturalmente, nonché i metodi di lavorazione, assicurano la nascita di un prodotto di eccellenza, Solo in un ambiente sano nasce la salute a tavola. Azienda Agricola Sapori Vesuviani Portici, Strada Provinciale Pugliano 16 www.saporivesuviani.it info@saporivesuviani.it
VERNELLO A T
Tavernello
Trent’anni di successi Tavernello festeggia 30 anni di successi sulla tavola degli italiani. È la miglior conferma della passione e dell’impegno che gli oltre 15.000 Soci Viticoltori dedicano alla produzione di un vino semplice, genuino, per tutti i giorni, controllato dalla vigna alla tavola. Chi sceglie Tavernello sa bene quanto sia buono, profumato, con tutto il sapore della natura. Ottima scelta Tavernello!
VERSIONE CMYK
TAVERNELLO È PER UN CONSUMO DEL VINO MODERATO E AI PASTI.
Wine Leader in Italy