Karpòs Magazine - Alimentazione e stili di vita - n. 1 - gennaio febbraio 2013

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Karpos

Karpòs alimentazione e stili di vita

Anno II - N° 1 Gennaio / Febbraio 2013 - Copia gratuita online

w w w. k a r p o s m a g a z i n e . n e t

COVER STORY

RADICCHIO

AGRICOLTURA OGGI

PEPERONE FRUTTA SECCA AGRUMI STILI DI VITA

IL PARKA di woolrich PAESAGGIO

KENYA

LA BELLA AGRICOLTURA



EDITORIALE

LA BELLA AGRICOLTURA

Renzo Angelini Direttore editoriale

L

a civiltà come la conosciamo nasce grazie all’accumulo di risorse permesse dall’agricoltura. L’addomesticamento degli organismi vegetali e in seguito degli animali compatibili con essi permise, a partire dal neolitico, di creare il surplus economico investito per la crescita della nostra forma di vita. Questa verità storica viene spesso dimenticata per far posto ad una visone contemporanea che traduce l’azione tipica del settore primario in qualcosa di tecnico, meccanico, ripetitivo. Non sono d’accordo ovviamente con questo riduzionismo assurdo che trasforma l’agricoltura in un immenso sfruttamento delle risorse del pianeta. Io penso piuttosto che l’agricoltura abbia a che fare con la bellezza interpretata non solo in termini formali, ma come espressione di un modo di vivere qualitativo. Per sfamare il pianeta abbiamo bisogno della scienza applicata, abbiamo necessità di difendere gli organismi che alleviamo da agenti patogeni esterni. I karpòs (i buoni frutti della terra), coltivati con cura si presentano sotto l’effigie del to kalon (della bellezza). La terra ben curata conserva il territorio che circonda le città; lo predispone ad essere abitato e fruito all’insegna dell’armonia, della sicurezza, del piacere. In breve è grazie al lavoro faticoso di generazioni di contadini se oggi possiamo ammirare bei paesaggi ed abbiamo una maggiore disponibilità di cibo sano e di maggiore valore nutrizionale . È questa la bella agricoltura che vogliamo raccontare con la nostra rivista. Ma nel far questo abbiamo scoperto degli ostacoli imprevedibili. Comunicare la bella agricoltura non è un lavoro facile. La crisi economica generale della società, le dinamiche distributive dei prodotti editoriali

e la difficoltà di attirare i nostri referenti nelle edicole, ci hanno convinto ad attualizzare ciò che definirei la bella comunicazione. Cos’è la bella comunicazione dal mio punto di vista? È la comunicazione fatta attraverso internet: non inquina, consuma pochissima energia, permette di interagire con chi ci sta più a cuore con un minor dispendio di risorse. Ecco perché, dopo il lancio che abbiamo fatto nelle edicole, siamo passati nella fase due del nostro progetto, che consiste nel far arrivare nei computer dei protagonisti dell’agricoltura la rivista Karpòs on line mantenendo la stessa qualità grafica ed editoriale apprezzata dai lettori. Naturalmente gli amici in rete che già ci conoscono possono scaricare in qualsiasi momento i nostri articoli ed invitiamo i lettori, che acquistavano la rivista, a richiederla o di consultarla nel sito www.karposmagazine.net. Ma la nostra specificità risiede nell’opportunità che abbiamo di spedire la rivista ad un data base importante di imprenditori, operatori, tecnici, professori, ricercatori e studenti e consumatori, in modo tale che tutti possano usufruire del lavoro di ricerca degli specialisti che collaborano al nostro progetto. Si tratta di oltre 120.000 referenti destinati ogni numero a crescere. La comunicazione per essere bella deve porsi il problema dell’efficienza e dell’efficacia dei suoi processi. Comunicare con un pubblico così vasto ci riempie di responsabilità ma anche di orgoglio. Ciascun lettore potrà risponderci, potrà aiutarci a migliorare le informazioni utili a far conoscere la bella agricoltura. Abbiamo la speranza che l’idea di Karpòs possa aiutare a cambiare in meglio un comparto economico che la crisi ha riproposto nella sua centralità per il nostro Paese.

01 EDITORIALE RENZO ANGELINI


Karpòs Magazine

GENNAIO/FEBBRAIO 2013

Direttore editoriale Renzo Angelini Direttore responsabile Lamberto Cantoni Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012 variazione in corso di registrazione Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) CF 04008690408 - REA 325872 Grafica Francesca Flavia Fontana Redazione Roberta Filippi roberta.filippi@karposmagazine.net

Raccolta pubblicitaria Per contatti cell 335 6355354 pubblicita@karposmagazine.net

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Editoriale LA BELLA AGRICOLTURA Renzo Angelini

14 AGRICOLTURA OGGI AGRUMI Paolo Inglese

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@

www.karposmagazine.net

STILI DI VITA IL PARKA Lamberto Cantoni

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AGRICOLTURA OGGI PEPERONE Luciano Trentini

AGRICOLTURA OGGI FRUTTA SECCA Alessandra Legnani

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CALEIDOSCOPIO PERA IGP OROGEL

Diffusione online Karpòs Magazine viene inviato gratuitamente a una community di oltre 120.000 stakeholder della filiera agroalimentare, tra cui università, istituzioni, industrie, Grande Distribuzione Organizzata, Ho.Re.Ca. fornitori di mezzi tecnici e servizi, associazioni, agroindustrie, produttori, tecnici e centri media.

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76 CALEIDOSCOPIO MUSEO CARLI

56 AGRICOLTURA OGGI RISO Aldo Ferrero

78 COVER STORY RADICCHIO Paolo Manzan


Per le fotografie:

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CALEIDOSCOPIO GRUPPO DONELLI

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Ambiente rurale e paesaggio KENYA Renzo Angelini

ALIMENTAZIONE E FRODI ALIMENTARI GUARDA COSA MANGI Lorenzo Barbieri

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DISTRIBUZIONE DIPINGERE CON L’ORTOFRUTTA Daniele Tirelli

WP Lavori in corso: 5-6-8-9-10-11-12-13 Alessandra Legnani: 42-43-44-45-46-47-4849-50-52 Paolo Manzan: 82-89 Consorzio tutela Radicchio Rosso di Treviso e Variegato di Castelfranco IGP: 78-79-80-8183-84-85-86-87-88 Lorenzo Barbieri 90-91-92 Daniele Tirelli: 94-95-96-97-98-99-100-101-102103-104 Ilaria del Monte: 126-127-128-129-130-131132-133-134-135 Tutte le altre fotografie: © Renzo Angelini In copertina: Nina Clemente con Woolrich by WP Lavori in corso

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CALEIDOSCOPIO MELA VAL VENOSTA SAN CARLO

ARTE E NATURA OLTRE LA MEMORIA Simona Gavioli

138 FOTOSINTESI UN ANNO CON KARPÒS Roberta Filippi

Non si restituiscono testi, immagini, supporti elettronici e materiali non espressamente richiesti. La riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni è vietata senza espressa autorizzazione dell’editore in mancanza della quale si procederà a termini di legge per la quantificazione dei danni subiti. L’editing dei testi, anche se curato con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze, limitandosi l’editore a scusarsene anticipatamente con gli autori e i lettori. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo ha scritto e pertanto ne impegna la personale responsabilità. Le opinioni e, più in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte dell’editore anche nel caso di eventuali plagi di brani da fonti a stampa e da internet. Karpòs rimane a disposizione di altri eventuali aventi diritto che non è stato possibile identificare e contattare.


Benedict Coulter


STILI DI VITA

Una alleanza tra WP Lavori in Corso, geniale azienda italiana di ricerca e Woolrich, brand americano di lungo corso, ha trasformato il Parka in una icona globale dello stile di vita outdoor. Lamberto Cantoni

STILI DI VITA LAMBERTO CANTONI

IL PARKA

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prima fila da sinistra: Louis D’Esposito, Ashley Victoria, Lawrence Bender; seconda fila da sinistra: Erika Hanging, Gabriel Garko, Aimee Mullins; terza fila da sinistra: Ellen Kuras, Jenn Porske, Dominik Garcia.


Sembra che l’origine di questo giaccone amato oggi da ogni classe d’età, sia da accreditare ai progettisti d’abbigliamento militare che avevano il compito di fornire all’esercito americano un guardaroba efficace per soldati che dovevano combattere su ogni tipo di terreno e spesso in condizioni atmosferiche estreme. L’idea di partenza prendeva spunto dalla forma di un giaccone caratterizzato esternamente da un tessuto in cotone robusto ma leggero, al quale potevano essere aggiunti una spessa fodera di pile d’alpaca e un cappuccio con i bordi in pelliccia. Essendo stato pensato per un corpo in costante movimento, il parka doveva risultare particolarmente comodo, ampio. Come fare allora per proteggersi da freddo? L’isolamento del corpo era garantito da un sistema di cordoni integrati al giaccone che, allacciandosi non permettevano il passaggio di correnti d’aria esterna. La resa funzionale del Parka dipendeva tantissimo dai materiali utilizzati per realizzarlo. Il primo modello, denominato OD-7, venne diffuso tra le truppe nel 1945. Subito dopo venne migliorato sostanzialmente e con il modello etichettato M-48 (o 1948, l’anno della sua messa in produzione), si avvicinò tantissimo agli standard ritenuti ottimali dagli esperti. In quegl’anni il ruolo delle commesse militari funzionava come costante stimolo per il perfezionamento non solo della tecnologia bellica ma anche degli elementi di supporto come l’abbigliamento dei soldati. Nel 1950 scoppiò la guerra di Corea e già nel giugno del 1951 entrò in produzione un nuovo modello di Parka che ad un costo inferiore risultava più funzionale al clima coreano, molto freddo d’inverno e piovoso d’estate per via dei monsoni. L’ampiezza dell’M-51 era stata pensata in funzione della sovrapposizione di più strati d’abbigliamento; provvisto inoltre di una fodera calda e robusta a questo punto poteva permettere ai soldati di affrontare temperature sino a -10 gradi sottozero. Senza l’involucro in lana, durante l’estate si trasformava in un comodo e pratico l’impermeabile. Progressivamente furono migliorati i tessuti, rendendoli sempre più leggeri, impermeabili e asciugabili. Nel 1965 fu progettato un tessuto esterno di cotone misto a nylon capace di garantire protezione per temperature polari. Nacque quindi l’M-65 o ECW (Estreme Cold Weather), indossato da Rock Hudson nel film Base artica Zebra del 1968, che nell’esercito USA rimase in uso fino al 1987. Ma ritorniamo all’M-51. All’inizio fu progettato e confezionato negli Stati Uniti: Dopo 5 anni la produzione venne spostata in Germania, a quel tempo occupata dalle truppe alleate. I magazzini pieni di Parka inutilizzati dall’esercito cominciarono ad arrivare ad un pubblico più vasto. Le eccedenze vendute a basso prezzo vennero intercettate quindi da un pubblico giovanile che elesse questo capo d’abbigliamento ad indumento ideale per proteggersi

dalla pioggia, soprattutto quando si era in sella ad uno scooter. In pochi anni, tra la fine degli anni ’50 e la prima parte dei sessanta, Lambretta e Parka divennero elementi distintivi dello stile Mod, abbracciato da molti interpreti della scena musicale giovanile. La consacrazione del Parka come icona culturale avvenne nel 1973 quando uno dei gruppo pop rock più famosi del momento, gli Who, ne stamparono una immagine sulla copertina del loro long playing di maggior successo, Quadrophenia, in seguito trasformato in un film che raccontava l’epopea di una generazione. IL PARKA DI WOOLRICH Il discorso che suggerirebbe per il Parka la centralità di un progetto d’abbigliamento pensato per la guerra ovviamente assomiglia tanto ai tanti fragili miti che dalla modernità in poi cercano di dare un senso a ciò che potremmo definire il luogo delle origini. In realtà tra le popolazioni dell’area geografica della fascia dei Paesi del Nord, non mancano certo fogge e abbigliamenti che rimandano al Parka. Osserviamone gli elementi strutturali: si tratta di un giaccone provvisto di un cappuccio, spesso ornato di pelo, costruito per muoversi, lavorare in condizioni di tempo estreme. Qualcosa del genere lo troviamo da tempo immemorabile tra gli eschimesi delle Isole Aleatiane. In effetti l’M-51 pur essendo più lungo e ampio ricorda l’Amorak. Gli indigeni dell’artico lo costruiscono in pelle di foca, lo fanno aderire al corpo sino a ricoprire il bacino, preoccupandosi di non limitare assolutamente ogni movimento degli arti. Possiamo quindi congetturare che le prime reiterpretazioni del giaccone artico secondo un canone occidentale risalgono a ben prima della seconda guerra mondiale. Un caso esemplare è rappresentato da Woolrich, storica industria di moda pronta statunitense, divenuta nella post modernità, soprattutto grazie ai suoi celebri Parka, uno dei brand più amati al mondo. In alcuni vecchi cataloghi dell’azienda fondata nel 1830 sono riscontrabili pattern d’abbigliamento che rimandano ad una probabile contaminazione con l’Amorak. Con due differenze sostanziali: John Rich cominciò costruendo un lanificio e quindi i suoi tessuti per i capi outdoor creati per gli operai che costruivano le immense ferrovie statunitensi, i cercatori d’oro e i cacciatori che durante l’800 colonizzarono l’Alaska erano preferibilmente in lana ben lavorata, pesante, resistente. In secondo luogo il giaccone con cappuccio, forse proprio perché rimandava nell’immaginario di chi viveva nel continente nord-americano a segni contaminati con il pensiero selvaggio, non era un articolo centrale nella produzione Woolrich. Gli abiti outdoor Woolrich tra la fine del’800 e i primi decenni del 900 sono camicie di lana pesante, calzoni,

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qui sopra: Max Ludwig and Band on Strip Final; nella pagina accanto: Edoardo Ponti e Sasha.

giacche e giacconi, le cui forme esplorano in qualche caso anticipano i valori dell’abbigliamento moderno, pratico, sportivo: funzionalità, comfort, semplicità, durata, consistenza; qualità riunite in una forma dal design tipicamente occidentale. Ma allora quand’è che il marchio Woolrich diventa l’emblema del migliore Parka sul mercato? A questo punto il riferimento agli effetti della guerra diviene veramente pertinente. Abbiamo visto che i progettisti e designer al servizio dell’esercito sottoposero una forma ben conosciuta tra popolazioni che vivevano in condizioni estreme, ad un lavoro di affinamento e di calibrazione per aumentarne l’efficienza: il giaccone doveva essere più leggero ma al tempo stesso non poteva perdere in resistenza; doveva proteggere dalla pioggia e dal freddo soprattutto le parti nobili del corpo; doveva moltiplicare le tasche per permettere il trasporto di ogni sorta di equipaggiamento. È molto probabile che l’azienda Woolrich sia stata coinvolta come fornitrice dell’esercito. Non ho informazioni a tal riguardo ma è noto che l’azienda della Pennsylvania fu sin dai tempi della guerra civile americana una delle industrie fornitrici più importanti e apprezzate. Abbiamo visto che negli anni cinquanta e sessanta il giaccone esce dai magazzini militari e comincia a divenire una voga sempre più significativa tra i giovani. Divenendo una moda conclamata, le sue forme da un lato vengono imitate da numerosi produttori, dall’altro lato finiscono nel mirino dei designer della Woolrich, i quali forti della loro tradizione si impegnano a ristabilire il primato dell’industria dell’abbigliamento made in USA, nella moda outdoor e sportiva. Nel 1972 appare il modello Artic Parka e si può

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dire che con esso il giaccone entra prepotentemente in una fascia di mercato non più limitata all’abito eminentemente pratico, bensì comincia ad agire sulla quota di consumi che condizionano il guardaroba che conta. Artic Parka è una reale alternativa al tipico cappotto occidentale. L’imbottitura in piuma d’oca,la bordatura in cotone del cappuccio, le maniche dotate di un polsino in maglia, aumentano la resistenza al freddo e all’aria del giaccone. Le tasche foderate in panno impermeabile rimangono ampie e spaziose. Una coulisse interna lungo la vita permette di stringere ben in vita il giaccone, conferendo alla figura un aspetto elegante. La ricerca di materiali sempre più leggeri e resistenti che culminerà negli anni ottanta del novecento in tessuti come il Goretex e il Cordura conferiscono alla forma un aspetto decontratto che si sposa bene con l’idea di una moda meno rigida, assolutamente libera, indossabile senza l’enfasi prevista dalle fogge troppo cariche dell’effetto tendenza. In breve, dopo gli anni sessanta, grazie al vertiginoso cambiamento di mentalità tra i giovani trendsetter impegnati a scoprire l’efficacia della trasversalità dei look e nello stesso tempo a premiare la consistenza, l’heritage delle forme, con le rivisitazioni del Parka che ho brevemente descritto, Woolrich ha le carte in regola per scrivere un capitolo importante nelle piccola storia degli abbigliamenti che contano nella vita della gente. Ma manca ancora un passo da compiere, e forse nella post modernità sono questi ultimi metri ad essere decisivi. Come presentare e commercializzare il Parka all’autorevole pubblico europeo, italiano in particolare? L’ultimo tratto della lunga strada che

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Artic Parka 2012


Zooey Deschanel e Elizabeth Banks


Nina Clemente


L’Arctic Parka DF di Woolrich realizzato in Byrd Cloth è un tributo alla funzionalità del classico capo Woolrich. Creato basandosi sulla riproduzione del ritrovamento del Byrd Cloth un tessuto di cotone 100% naturale, naturalmente idrorepellente, traspirante e resistente al vento grazie alla sua filatura e tessitura speciale. È imbottito con la più alta qualità di piuma d’oca che ne garantisce il massimo calore pur mantenendo la leggerezza. Ha il cappuccio rifinito in pelo di coyote staccabile, un’imbottitura in piuma 80/20 e una zip in metallo come negli originali capi degli anni ’40. I colori che caratterizzano questo SPECIAL MAKE UP sono: bright gold, winter white, rust, emerald green e pioneer blue.

porterà il Parka a divenire una icona di stile incrocia il destino dell’azienda americana con la sapiente regia di WP Lavori in Corso, una azienda all’avanguardia nella scelta e nella commercializzazione di una precisa tipologia di abiti. La leggenda narra che un giorno qualsiasi verso la metà degli anni novanta un giovane ricercatore WP finito per caso in uno stabilimento dove si inscatolavano sardine rimase colpito dai parka che gli operai indossavano per resistere alle basse temperature delle celle frigorifere. Cosa vide realmente quel giovane coolhunter? Operai che lavoravano con disinvoltura in situazioni estreme mantenendo una giustezza del look invidiabile? Fu sorpreso dai valori visuali e percettivi di quell’antilook? Con la fantasia immaginò la significazione aggiuntiva che l’uso trasversale di quell’indumento avrebbe offerto a persone alla ricerca di uno stile lontano dalla chiassosità delle passerelle? Lascio volentieri la risposta al lettore che ama questo genere di domande. Di fatto Wp che già commercializzava altri prodotti Woolrich fin dal 1984, propose nel 1996 di lanciare il Parka sui mercati internazionali secondo i modi e la cultura tipici di una azienda di ricerca di

stile tra le più autorevoli. Il successo tra il pubblico maschile e femminile fu strabiliante. Il parka della Woolrich in pochi anni divenne ciò che, forse esagerando, definiamo una icona dello stile in grado di conquistare persone di ogni classe di età. Mi piace pensare che la ragguardevole collezione del 2005, che considero gli Artic Parka più belli mai concepiti e prodotti, mirabile fusione tra valori storici con rispettosi innesti di creatività, sia l’effetto dei probabili feedback tra la sensibilità italiana a solidi valori del gusto e l’alto livello qualitativo e tecnico della produzione dell’azienda americana.

Si ringrazia WP LAVORI IN CORSO per la concessione delle immagini del servizio. WP LAVORI IN CORSO è un’azienda di ricerca di stile nata nel 1983 che commercializza brand prestigiosi come Barbour, Barbour Beacon, Woolrich John Rich & Bros., Woolrich Woolen Mills, Avon Celli, Save Kahaky, Blundstone, BD Baggies New York. Per tutte le informazioni www.wplavori.com

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AGRICOLTURA OGGI PAOLO INGLESE

AGRICOLTURA OGGI

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AGRUMI: SCUDO CONTRO IL MALE

Come le statine, il bergamotto riduce il colesterolo. Il limone è ricco di antiossidanti capaci di contrastare la formazione di neoplasie. Impacchi con succo d’agrume diluito aiutano a liberare il viso dai punti neri. Da bere o mangiare, i Citrus illuminano l’inverno coi caldi colori del sole.

Paolo Inglese


andaluse di Cordoba e Sevilla perdetevi nel giardino della Mesquita, con i loro gloriosi aranci amari; per non parlare dei jardini di Sorrento dove il profumo “accussì fino” della zagara di arancio che “dinto ‘o core se ne va”. Per non parlare dell’olio di bergamotto, re degli oli essenziali, che ha in se la forza, la grazia e il calore della Calabria ionica, capace di creare profumi e thè unici celebrati in tutto il mondo. Ed è, infatti, dovunque nel mondo che questi frutti straordinari, i Citrus, sono celebrati da sempre e a volte, come nel caso dell’uso dei frutti del Cedro, il biblico ‘albero più bello’, per la festa del Sukkoth, sono addirittura protagonisti di millenarie celebrazioni religiose. Gli agrumi, i limoni, le arance, i pompelmi, i mandarini, presenza costante e inevitabile nelle case di chi abita il Mediterraneo e ambizione di chi, comprando una pianta ornamentale di agrumi, prodotta dalle mani esperte dei vivai italiani, cerca di dar colore e profumo ai freddi inverni del nord Europa.

Ma c’è proprio un Paese dove gli aranci crescono in piena terra? Chiedevo alla zia” ed avendo spiegato la zia Elisabeth che c’era questo Paese e si chiamava Italia, “che paese di delizie, pensavo”, così concludeva Henry Brulard, alias Stendhal, nel suo celebre romanzo postumo. È ancora Stendhal a scrivere: “Bisogna sapere che il maggior lusso della città erano sessanta o ottanta piante d’arancio in cassette… all’avvicinarsi dell’estate, questi aranci venivano collocati in pompa magna nei pressi dello splendido viale degli ippocastani”. Prima e dopo di lui, ieri, oggi e domani, artisti, poeti, letterati, per non parlare di agronomi e chef, tutti dunque celebriamo con gli agrumi l’arrivo dell’autunno e ci apprestiamo a colorare il grigio inverno con l’arancio brillante delle arance e dei mandarini. O’ RE DEL SUD I giardini di agrumi, simbolo della voluttà dell’agricoltura mediterranea, cantata dai poeti arabi alla corte dei Re di Sicilia, luogo mitico dove, per dirla come Pasolini “non è mica una chiacchiera che qui profumano zagare e limoni, liquirizia e papiri”. Andate a Palermo, dove limoni e mandarini fioriscono, coraggiosi reduci del sacco che ha fatto scempio della Conca D’oro; affacciatevi sulle strade

BELLEZZA E SALUTE La spremuta d’arancia, ricordo delle premure di una nonna o di una madre, di fronte alle prime febbri influenzali: “Bevila che ti fa bene, è ricca di vitamina C”, chi può dire di non aver sentito quest’antica raccomandazione? Perché gli agrumi sono produttori di bellezza e di salute. Di bellezza, spesso unica, del

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dalle coste atlantiche di Bahia, in Brasile, fino a quelle pacifiche di Riverside, in California, per conquistare, da li, tutto il mondo. Un’arancio incredibile, con frutti senza semi, quindi, apparentemente senza progenie, ma che la natura, grazie al susseguirsi costante di mutazioni spontanee, ha reso ‘madre’ di altre varietà Naveline, Navelate, Lane Late, Cara Cara, diffuse negli aranceti di tutto il mondo. I clementine, che hanno trovato casa lungo la costa ionica che dalla Calabria sale in Basilicata, fino al Golfo di Taranto, iniziano la loro storia in Africa, in Algeria, dove frate Clemente, nel 1902, scoprì, per primo quella pianta capace di far frutti, ibrido di mandarino Avana e arancio amaro ‘Granito’. E il mandarino, coltivato da sempre lungo le pendici Himalayane, si diffonde in Europa grazie all’Orto Botanico di Palermo, cui erano pervenute da Malta, probabilmente dai Kew Garden Londinesi. Siamo nei primi decenni del XIX secolo e i mandarini conquistano la Conca d’Oro, la Piana dei Colli palermitana e i mercati europei.

paesaggio sia esso rurale che urbano; un esempio per tutti? Il Giardino pantesco. È infatti a Pantelleria che troviamo quella che è una celebrazione dell’albero, un giardino che ricorda quello mitico mesopotamico chiuso da un recinto, con un solo albero al suo interno. Un agrume, molto spesso un limone, recintato da un muro di pietra lavica circolare che lo circonda interamente, assicurandogli protezione e frescura, anche in estate. Di salute, grazie non solo alla vitamina C, ma anche agli antociani che fanno dei Tarocchi siciliani uno scrigno di sapori, di colori, di profumi e di salute. E sono proprio le loro caratteristiche nutraceutiche ad averne fatto instancabili navigatori e viaggiatori; il limone, per esempio, fedele compagno di interminabili traversate oceaniche e unica barriera per lo scorbuto. Le arance, che in Italia, ma anche nei paesi arabi e in Turchia diventano ‘portualle’ o ‘portukal’, a segnare un’origine, un punto di transito. Ma anche ‘Brasiliane’, come i Washington Navel DOP di Ribera, enclave di aranceti, figli di una varietà che viaggiò

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AGRUMI TUTTO L’ANNO Da allora, la ricerca scientifica ha consentito una continua e progressiva innovazione varietale, tanto che, oggi, possiamo mangiare mandarini e clementine, di diverse varietà, da ottobre ad aprile; arance ombelicate (Navel) da novembre a maggio; arance bionde, anche in estate; e arance rosse, le regine del frutto siciliano, da dicembre a maggio. Sembrerebbe, e forse dovrebbe essere, un quadro idilliaco, e invece, l’agrumicoltura italiana ha battaglie difficili da dover vincere, nonostante l’eccellenza del suo prodotto. Innanzitutto, una battaglia contro una sua propria cultura, che, in qualche modo, riflette alcuni dei problemi più tipici del Sud Italia, dalla carenza di servizi, alle difficoltà infrastrutturali, alla ancestrale incapacità di fare squadra, massa critica e fronte comune per

affrontare le sfide di mercati ormai planetari. Ma è la crescita dei Paesi nordafricani, dell’Argentina, per il limone, e la forza della rivale di sempre, la Spagna, a creare scompensi di mercato e crisi che rischiano di divenire strutturali. Di qui, la necessità di una sempre più forte sinergia agroindustriale, di una politica di mercato attenta, alle richieste dei nuovi buyers dei diversi canali di commercializzazione, e aggressiva, di una costante selezione di qualità e, non ultimo, di una comunicazione capace. QUALITÀ E SUCCESSO Tre sono le arance valorizzate e dal marchio comunitario: due in Sicilia, Arancia Rossa di Sicilia IGP, Arancia di Ribera DOP, una in Puglia, Arancia Bionda del Gargano IGP; due i clementine: Clementine di Calabria





esportatore. È nella qualità che va trovata la chiave del successo e, per l’Italia qualità significa mettere insieme storia, innovazione, paesaggio, cultura alimentare e straordinarie caratteristiche varietali di molti dei suoi agrumi più significativi.

e Clementine del golfo di Taranto IGP; sei sono le produzioni di limone IGP, dalla Campania, Limone costa d’Amalfi e Limone di Sorrento; alla Puglia, Limone Femminello del Gargano; alla Calabria, Limone di Rocca Imperiale; alla Sicilia, Limone di Siracusa, Limone Interdonato; e, infine, il Bergamotto di Calabria DOP. Un grande sforzo politico che deve divenire realtà commerciale importante, perché l’Italia, con il 3,5% della produzione mondiale di agrumi, ha un saldo negativo in termini di import/export di agrumi e ha perso da tempo, a favore della Spagna il suo primato di paese

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Paolo Inglese Professor of Horticulture President of the Italian Society for Horticultural Science Dipartimento DEMETRA Università degli Studi di Palermo



AGRICOLTURA OGGI LUCIANO TRENTINI

AGRICOLTURA OGGI

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PEPERONE: DIETETICO E SALUTARE

Rosso è più saziante, verde è diuretico, giallo è antiossidante: un regalo dalle americhe da mangiare crudo o cotto. Luciano Trentini


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aerea della pianta, soprattutto se questa è carica di frutti e se sono nella fase di ingrossamento. In situazione come questa, è necessario sostenere la pianta con un filo o una canna se questa è allevata in verticale, oppure deve essere sostenuta da fili paralleli che imbrigliano e sostengono le branche, dicotomiche in allevamento tradizionale. Il fusto è glabro, cioè senza peli, angoloso ed eretto che può superare anche il metro di altezza. Le foglie sono disposte sulla pianta in modo alterno, una per nodo, di forma ovale, oppure ellittica, con lamina liscia e lucida a margine intero. Sono ricche di stomi (oltre 30.000/cmq nella pagina inferiore) mentre su quella superiore si riducono circa di due terzi , garantendo comunque alla pianta una traspirazione molto intensa. I fiori presenti alla ascella della foglia generalmente singoli, se presentano una corolla bianca con antere violacee sono ermafroditi, autofecondi. Per quanto l’autogamia sia dominante, la fecondazione incrociata si verifica prevalentemente per l’azione degli insetti. Nei climi temperati viene coltivata come pianta annuale mentre risulta essere perenne nei climi caldi dei paesi d’origine.

l peperone (Capsicum annuum) appartiene alla famiglia delle Solanacee, al genere Capsicum e, come tutti gli altri ortaggi di questa famiglia (pomodoro, patate, melanzane) proviene dal nuovo Continente; dunque è una acquisizione piuttosto recente della nostra alimentazione. Secondo De Candolle è originario del Brasile, secondo altri studiosi della Giamaica e dal Messico. Molto conosciuto è anche il peperoncino piccante, botanicamente noto come Capsicum anuum acuminatum o Capsicum frutescens originario della zona centrale del Sud America (Bolivia), dove cresce bene in clima temperato caldo sub tropicale. Introdotto in Europa nel XVI secolo, il peperone trova subito molti estimatori diffondendosi assai rapidamente. Nel 1542 se ne conoscevano solo 3 specie, mentre oggi si conoscono 27 specie del genere Capsicum di cui 16 mai utilizzate dall’uomo. In Italia compare per la prima volta nel 1551. CARATTERI BOTANICI L’apparato radicale di questa solanacea, comunemente coltivata nel nostro areale, presenta un apparato radicale composto da radici affastellate secondarie e da un fittone principale, in genere poco profondo (circa 30 cm), se coltivato nei terreni tendenzialmente argillosi. Nei terreni sabbiosi il fittone è più lungo e ricco di numerose radici laterali. Questo tipo di apparato radicale, ha difficoltà a sostenere la parte

IL PEPERONE NEL MONDO Nel 2010 la superficie coltivata a peperoni nel mondo risultava pari a 3,7 milioni di ettari, di cui la metà circa coltivate per essere commercializzate come

Lamuyo rosso.

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Lamuyo giallo.


bacche fresche (1,8 milioni di ettari), mentre i restanti 1,9 milioni di ettari sono destinati alla trasformazione industriale, in particolare per ottenere bacche che saranno successivamente disidratate e immesse in commercio intere o ridotte in polvere. È l’Asia il paese dove la coltivazione è maggiormente diffusa (3,3 milioni di ettari). La Cina è il maggiore produttore di bacche fresche (13,2 milioni di tonnellate), mentre l’India trasforma in bacche secche 1,2 milioni di tonnellate. In Europa (Ue a 27) è la Spagna il principale produttore di peperoni con 872.000 tonnellate, seguito dall’Olanda (365.000 t), dall’Italia (294.000 t) e dalla Romania (243.000 t). Complessivamente l’Europa dei 27 produce 2,2 milioni di tonnellate. Se si considera il continente europeo con 2,9 milioni di tonnellate si inserisce al terzo posto al mondo, dopo Asia

(13,8 milioni di tonnellate), l’America 3,9 milioni di tonnellate e prima dell’Africa 2,7 milioni di tonnellate. LA SITUAZIONE PRODUTTIVA IN ITALIA In Italia si producono circa 307.000 tonnellate di peperoni, coltivati in serra ed in pieno campo: Campania (57.000 t), Sicilia (76.000 t), Puglia (39.000 t) e Veneto (22.000 t) rappresentano circa il 60% dell’intera produzione nazionale. In termini di superficie, nel 2011 la coltivazione a peperoni ha interessato circa 11.955 ettari. Di questi 1.698 ettari sono coltivati in serre, anche tecnologicamente avanzate. In piano campo è la Sicilia la regione nella quale è coltivata la maggiore quantità di peperoni (2560 ha). segue, la Puglia (1.809 ha), la Calabria (1.172 ha), la Campania (924 ha). In coltura protetta è la Campania che, con (603 ha)

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coltivati, rappresenta il 40% dell’intera superficie coltivata in serra. In pieno campo, bacini produttivi importanti, sono quelli di Foggia e Brindisi, di Perugia, di Caltanisetta, Ragusa e Siracusa, di Salerno, di Matera e Salerno. In coltura protetta Salerno, Caserta, Napoli e Latina e Torino sono le aree di maggiore interesse produttivo.

guadagnando nuovi spazi commerciali esportando in particolare (dati 2010) la propria produzione nei Paesi Bassi (11.850 t), nel Regno Unito (4.700 t), in Germania (4.700 t), Austria (3.000 t) e in quantità minore in altri paesi. LE TIPOLOGIE PIÙ IMPORTANTI La coltivazione, seppur con aree di maggiore importanza, trova una diffusione capillare grazie alle favorevoli condizioni climatiche, anche se la maggiore diffusione la ritroviamo al Centro Sud. Questa ampia variabilità di ambienti, ha favorito una grande eterogeneità di forme, colori e pezzature delle bacche oltre che per le caratteristiche organolettiche determinate dallo spessore della polpa, dal sapore dolce o piccante. Oltre alle cultivar ibride selezionate da ditte sementiere

LA BILANCIA COMMERCIALE Il consumo di peperoni nel nostro Paese è nettamente superiore alle potenzialità produttive. Infatti gli scambi commerciali vedono l’Italia aumentare le proprie importazioni che, nel 2010, hanno raggiunto le 85.000 tonnellate. I peperoni importati provengono prevalentemente dalla Spagna (11.800 t), da Israele (4.700 t), dai Paesi Bassi (4.700 t) e dalla Francia (3.000 t). L’Italia in questi ultimi anni sta comunque

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Tipologia Blocky avorio tipico per est Europa.

specializzate, si è creato un ricco patrimonio di ecotipi e varietà locali, caratterizzate da buona qualità ma da una scarsa uniformità dei frutti che rischiano di penalizzare il produttore una volta che il prodotto deve essere posto sul mercato. • Il Quadrato italiano A questo gruppo fanno parte cultivar a pigmentazione gialla o rossa, fra le più coltivate nel nostro Paese. Le varietà coltivate appartenenti a questo gruppo sono prevalentemente destinate al mercato fresco e raccolte spesso a maturazione verde, prima che sia avviato il processo di viraggio del colore verso il giallo, o il rosso. La forma delle bacche è praticamente cubica (10-12 cm di larghezza per 10-12 cm di lunghezza) e la pezzatura è di elevate dimensioni. A questo gruppo fanno riferimento numerose cultivar ibride dotate di resistenze genetiche alle più comuni patologie, ma anche cultivar che derivano da selezioni locali spesso autoriprodotte, come il Quadrato d’Asti o di Cuneo. • I rettangolari mezzo lunghi La notevole variabilità dei frutti appartenenti a questo gruppo, lo fanno diventare la tipologia più coltivata in Italia. Sono peperoni a sezione squadrata e forma tronco piramidale con 3-4 lobi. La larghezza della bacca al picciolo è di circa 10 cm, nella parte dell’apice stilare 8 cm circa, la lunghezza della bacca è di circa 15 cm, la colorazione prevalente è rossa o gialla. Il sapore è generalmente dolce, mentre la destinazione è per il mercato fresco, ma è destinato alla industria di trasformazione o alla esportazione.

• I rettangolari tre/quarto lunghi A questo gruppo appartengono molte varietà ibride coltivate sia in serra che in pieno campo, le cui bacche sono caratterizzate da una forma squadrata allungata, a volte contorta, con una larghezza al picciolo di 1012 cm. All’apice stilare la larghezza é di 6-8cm, la lunghezza può raggiungere il 16-18 cm. Il prodotto viene raccolto per essere commercializzato come bacca verde, ma anche come bacca colorata gialla o rossa, destinata sia al consumo fresco che all’industria di trasformazione. • I tipi rettangolari lunghi Le cultivar capaci di produrre questa tipologia di frutto sono tutte ibride, in grado di fornire bacche di grossa pezzatura, di forma allungata e dal sapore dolce. In genere le cultivar appartenenti a questa categoria sono commercializzate a pigmentazione prevalentemente rossa, e trovano una collocazione più conveniente sul mercato interno come peperone fresco. Le bacche appartenenti a questo gruppo raggiungono i 18-20 cm, all’apice stilare la larghezza non supera i 7-8 cm, mentre al picciolo la larghezza del frutto raggiunge i 10-12 cm. Le cultivar appartenenti a questo gruppo, sono quasi esclusivamente coltivate in serra. • Le tipologie a forma di corno Sono frutti di forma spesso irregolare e con l’apice stilare che termina a punta. La lunghezza delle bacche è variabile dai 20 ai 30 cm, larghi al picciolo 5 o 6 cm. Lo spessore della polpa è molto eterogeneo. Le tipologie più conosciute appartenenti a questo gruppo sono i

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PRODUZIONE DI PEPERONE IN ITALIA Sicilia

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76.000

Campania

57.000

Puglia

39.000

Veneto

22.000

Altre regioni

113.000

Italia

307.000

(t.)


Tipologia Topepo giallo e rosso.


Piccante avorio.


Tipologia Kapia.

Tipologia Charleston dolce.

corno di bue o di toro, corno di capra o pescarese, a maturazione rossa o gialla, di sapore dolce Il prodotto raccolto trova collocamento sia sul mercato fresco che presso l’industria di trasformazione. Coltivati soprattutto in pieno campo dal Nord al Sud dell’Italia, le varietà appartenenti a questo gruppo sono molto generose, poiché caratterizzate da una buona facilità di allegazione; ricordiamo il Roggianese in Calabria e il Senise in Basilicata. Le cultivar a maturazione gialla in caso di andamenti climatici siccitosi e di stress idrico, mostrano una particolare sensibilità al marciume apicale. • Le tipologie a trottola Al gruppo appartengono i peperoni del tipo Cuneo e i Topepo. • I tipi “Cuneo” sono rappresentati da cultivar standard o autoriprodotte, con bacche a forma di trottola, con superficie esterna liscia, di colore giallo o rosso a maturazione, di sapore dolce o leggermente piccante della lunghezza di 6-8 cm, mentre la larghezza può raggiungere gli 8–10 cm. L’elevato spessore della polpa ne fa una bacca di elevato peso specifico, anche se nel tempo si sono differenziate delle cultivar a 2 o 3 lobi denominate Cuneo differenziato. Queste tipologie sono particolarmente diffuse in Piemonte e, in minor misura, in Toscana e in Umbria. Le bacche trovano la loro destinazione sia per il mercato fresco che per l’industria di trasformazione. • I tipi Topepo sono caratterizzati da una bacca schiacciata, completamente pigmentata di rosso a maturazione, e frutti più larghi (6-8 cm) che lunghi

(5-6 cm), caratterizzati da una bacca di sapore dolce, a volte piccante, di una polpa spessa, ad elevata fibrosità, che lo rende idoneo alla lunga conservazione una volta raccolto. Commercialmente viene venduto per il mercato fresco prevalentemente al Sud d’Italia (Campania e Calabria), dove viene coltivato in pieno campo. Trova collocazione anche presso l’industria di trasformazione. • Le tipologie a cornetto A questa tipologia fanno riferimento i cornetti piccanti tipo Caienna, di piccole dimensioni, e i cornetti ibridi sempre piccanti, ma di dimensioni più elevate. A maturazione questa tipologia presenta sempre una colorazione rossa, con un livello di piccantezza variabile a seconda della varietà e della tipologia di terreno dove viene coltivato. In particolare sono i terreni compatti, poveri di azoto, aree con

VALORI NUTRIZIONALI (PER 100 G) ENERGIA (calorie)

22 Kcal - 92 Kj

Parte edibile

82 %

Acqua

92,3 g

Carboidrati

4,2 g

Grassi

0,3 g

Proteine

0,9 g

Fibre

1,9 g

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Appiattito Avorio piccante, comune nei paesi dell’est.

Mini peperone da snack.

clima asciutto e con elevato irraggiamento solare, che danno la maggiore piccantezza. Sono destinati prevalentemente al mercato del fresco, ma trovano anche un elevato interesse presso le piccole industrie di trasformazione che una volta seccati li utilizzano per condimenti, quando ridotti in polvere. Ugualmente interessanti sono i tipi Sigaretta dolce, cultivar con dimensione del frutto molto variabili con superficie esterna più o meno liscia pianta molto fertile, le cui bacche sono raccolte a completa pigmentazione, rossa. Le aree dove questi tipi sono coltivati in pieno campo sono il Veneto e la Campania. • I tipi ciliegia Diffusi da tempo, sono bacche di piccole dimensioni rotondeggianti, delle dimensioni di 3,5-4 cm o anche più piccole. In genere sono utilizzati a scopo ornamentale, ma vengono destinati al mercato fresco oppure utilizzati nell’industria di trasformazione. Una volta svuotato può essere riempito con altri ingredienti. Tutte le cultivar sopradescritte botanicamente sono anche raggruppate nei tipi: var. grossum. sendt - di forma prismatica (Lamuyo type), più o meno allungate, tri o quadrilobate a polpa spessa. - di forma isodiametrica (California type), di forma più o meno squadrata, tri o quadrilobata; a polpa spessa. - di forma tronco conica /trottoliforme (Cuneo type o

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Peperone da snack dolce.


Tipologia Kapia.

Queste sostanze vengono prodotte da ghiandole situate tra la parete del frutto e la placenta, sono molto stabili e resistenti anche dopo la cottura o il congelamento. I peperoni considerati fra i più piccanti sono i tipi Frutescens e chinense, che però non sono coltivati nel nostro paese in quanto non compatibili con l’ambiente di coltivazione. La capsaicina trova oggi impiego oltre che in cucina, anche nella comune terapia come analgesico, per lenire i dolori reumatici e muscolari. La vitamina C contenuta nei peperoni è molto sensibile alle alte temperature, pertanto è consigliabile consumare i peperoni crudi. Questo ortaggio, se consumato allo stato crudo, può comunque risultare di difficile digestione per molti consumatori. Normalmente è considerato uno stimolatore dei processi digestivi . Contiene anche modeste quantità di Provitamina A.

Topepo type), tri o quadrilobati, a polpa rossa o gialla spessa. var. longum sendt - bacche di forma conica più o meno allungata (Italian dulce type), rappresentati dai tipi corno di dimensioni variabili, bi o trilobati, di colore giallo e rosso a polpa spessa. var. abbreviatum fingh - bacche corte caratterizzate da una forma allungata, variabile a seconda della tipologia, è coltivato soprattutto in Campania. Il più conosciuto è il Friariello raccolto verde, da scottare in padella. var. acuminatum irish - bacche lunghe e sottili (Lombardo type), che terminano a punta, coltivati in piena aria molto richiesti dalla industria conserviera per la produzione di sottaceti sigaretta. I VALORI NUTRIZIONALI È l’ortaggio dai molteplici usi, ottima fonte di vitamina C, protagonista di molte delle nostre migliore ricette. Utilizzato in molti piatti della tradizione culinaria, non solo italiana ma di tutto il mondo, gli sono attribuite molte proprietà digestive, sia come frutto dolce che piccante. La piccantezza delle bacche è determinata da un alcaloide comunemente denominato capsaicina.

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Luciano Trentini Vicepresidente AREFLH(Associazione delle Regioni Europee Ortofrutticole)




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AGRICOLTURA OGGI

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FRUTTA SECCA

Noci, mandorle, pistacchi e altri frutti oleosi sono particolarmente ricchi di Omega 3. Per farne un pieno, basta non esagerare con le quantitĂ . Le proteine contenute in tutta la frutta secca, non hanno nulla da invidiare alle proteine contenute in cibi di derivazione animale. Esse sono di ottima qualitĂ e, se inserite in una dieta equilibrata, riescono facilmente a soddisfare il fabbisogno proteico giornaliero. Alessandra Legnani


C

on il termine “frutta secca” si indicano i frutti oleosi come noci, nocciole, mandorle e pistacchi, ma anche la frutta disidratata morbida, frutti conosciuti ed apprezzati da tutti ma il cui consumo a volte ci fa sentire in colpa. Ma la “colpa” è da attribuire ai grassi monoinsaturi e polinsaturi, i cosiddetti “grassi buoni”, definiti tali perché aiutano a controllare il livello del colesterolo, soprattutto quello cattivo. Vero è che non bisogna gene rizzare e che ognuno di questi frutti, in realtà, ha proprietà particolari, e tutti, se consumati con moderazione, contribuiscono in modo sostanziale al nostro benessere. Recenti e numerosi studi clinici infatti hanno evidenziato che la frutta secca ha un profilo nutrizionale estremamente “salutistico”: è ricca di proteine, fibre, acidi grassi insaturi Omega3 e Omega6, minerali e vitamine e, al pari della frutta fresca, è estremamente importante nell’alimentazione umana.

percentuale minima, noci. La produzione italiana di pistacchi è concentrata per il 90% in Sicilia, nella zona di Bronte. Rispetto al fabbisogno, che è di 14.100 tonnellate, la produzione interna copre solo 3.100 tonnellate (fonte USDA Foreign Agricultural Service – Global Agricultural Information Network, 2011); la restante parte viene coperta con le importazioni dall’Iran e dagli USA. I pistacchi in guscio sono destinati al consumo come snack, quelli sgusciati vengono utilizzati in pasticceria e nell’industria alimentare, mentre i pistacchi tritati sono (per lo più) destinati ai produttori di gelato. Per quanto riguarda le mandorle, la produzione italiana ha subito nel 2011 una decrescita rispetto agli anni precedenti (da 6.000 a 5.000 tonnellate), dovuta alla forte competizione delle mandorle californiane. La domanda interna, che risulta essere di 39.500 tonnellate, è dunque coperta per lo più dalle importazioni (dagli USA e dalla Spagna). Le mandorle in guscio sono destinate al consumo fresco, mentre le mandorle sgusciate e tritate all’industria dolciaria e soprattutto alle aziende produttrici di confetti. L’Italia ha perso la leadership nel mercato produttivo delle noci pochi decenni fa ed ora è il maggior importatore, principalmente dagli USA. In Italia le zone di coltivazione delle noci riguardano soprattutto il Sud (Campania), dove le varietà principali sono la Sorrento e la Malizia. Ma la produzione interna (10.500 tonnellate) copre appena il 20% della domanda, mentre il resto è soddisfatto dalle importazioni (dagli USA, dal Sud America e dall’Australia). L’Italia è poi il secondo produttore di nocciole al mondo, davanti agli USA ma dietro alla Turchia. La produzione è concentrata in Piemonte, nella provincia di Viterbo, nella provincia di Avellino

PRODUZIONE E CONSUMO IN ITALIA Il settore della frutta secca in Italia ha subito una significativa ristrutturazione nell’ultimo decennio, che ha ridotto le aree di coltivazione e produzione. Portando alla diminuzione della quota italiana di produzione mondiale. Tuttavia, si intravedono segnali di ripresa. Infatti, nel maggio 2011, il Ministero dell’Agricoltura ha stanziato 12 milioni di euro per il settore della frutta secca e, negli ultimi anni, medici e nutrizionisti hanno promosso il consumo di frutta secca puntando sui suoi benefici nutrizionali e salutistici, facendo così registrare tra il 2007 e il 2009 un incremento dei consumi del 12,3%. L’Italia produce mandorle, nocciole, pistacchi e, in

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e in Sicilia. Nel 2011 si è registrato un incremento (110.000 tonnellate) rispetto all’anno precedente e la produzione ora soddisfa buona parte della domanda interna (182.000 tonnellate).

• La nocciola del Piemonte, detta anche nocciola tonda gentile delle Langhe, è una varietà a Indicazione Geografica Protetta (IGP). La varietà di nocciolo coltivata in Piemonte è la Tonda Gentile Trilobata, la cui produzione è concentrata nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria. La Nocciola Piemonte IGP è particolarmente apprezzata dall’industria dolciaria per i suoi parametri qualitativi quali: forma sferoidale del seme, gusto ed aroma eccellenti dopo tostatura, elevata pelabilità, buona conservabilità. • La nocciola di Giffoni è anch’essa una varietà a Indicazione Geografica Protetta. Le sue caratteristiche distintive sono: la forma perfettamente rotondeggiante del seme che è di polpa bianca, consistente; il sapore aromatico; il perisperma (la pellicola interna) sottile e facilmente staccabile.

IL NOSTRO TERRITORIO COLTIVA DELLE ECCELLENZE Se si guarda agli aspetti quantitativi, la produzione italiana di frutta secca risulta dunque insufficiente rispetto al fabbisogno interno, ma a fronte di questa carenza l’Italia produce vere e proprie eccellenze. • Il pistacchio di Bronte, una varietà di pistacchio (Pistacia vera) a Denominazione di Origine Protetta (DOP). Il pistacchio brontese è dolce, delicato e aromatico. Apprezzato nei mercati italiani ed esteri per l’originalità del gusto e l’adattabilità in cucina e in pasticceria, è usato nell’industria dolciaria soprattutto per preparare torte, paste, torroni, mousse, confetti, gelati e granite, ma è squisito anche nei primi e secondi piatti o arancini; è utilizzato anche nella preparazione degli insaccati (ottimo nelle mortadelle e nelle soppressate) e nel settore cosmetico. • La mandorla di Avola che fa parte del presidio Slow Food “mandorle di Noto” (insieme alla mandorla di Fascionello e alla mandorla Romana). Detta anche “pizzuta di Avola”, è una varietà di Prunus dulcis tipica della zona del territorio del val di Noto (Siracusa). La fioritura inizia a gennaio e la maturazione avviene tra la terza decade di luglio e la prima decade di agosto. È molto ricercata nell’industria dolciaria e per la produzione di confetti.

FRUTTA SECCA ED ESSICCATA, FONTE DI BENESSERE Intervista alla Nutrizionista Prof.ssa Alessandra Bordoni, Dipartimento di Scienze degli Alimenti presso l’Università di Bologna Nell’immaginario del consumatore la frutta secca è un alimento molto calorico. É sbagliato? Purtroppo molto spesso quando si parla del contenuto calorico di un alimento ci si riferisce ai 100 g. Questo, inteso come 100 g di parte edibile, è quanto riportato dalle tabelle di composizione degli alimenti. Però, prima di arrivare a delle conclusioni, il valore va corretto sulla base dell’entità della porzione di ogni

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logico pensare che non ci sia un solo responsabile, ma sia un insieme di fattori a contribuire all’effetto finale. Detto questo, occorre considerare che non ci sono ancora evidenze scientifiche certe per questa relazione, e che comunque il consumo di frutta secca deve essere inserito in una dieta equilibrata e in uno stile di vita corretto. Nella nostra dieta la frutta secca può essere considerata un sostituto della frutta fresca? In una dieta corretta, nessun alimento “sostituisce” completamente un altro, bensì tutti gli alimenti devono essere assunti con una certa rotazione, in modo da costituire una dieta variata. Se parliamo di frutta disidratata, considerando che essa deriva dalla frutta fresca per eliminazione di parte dell’acqua, possiamo ritenere i due tipi di alimenti abbastanza equivalenti. Non dimenticando che, però, l’acqua presente nella frutta fresca contribuisce alla nostra idratazione. La frutta secca a guscio, è sicuramente idonea a sostituire altri tipi di snack meno salutari (e spesso più calorici), e se integrata con una corretta assunzione di acqua, può essere considerata un alimento salutare al pari della frutta fresca.

specifico alimento. Le porzioni non corrispondono a 100 g per tutti gli alimenti, ma sono molto variabili. Se correggiamo la tabella facendo riferimento alla porzione, ci rendiamo conto che, ad esempio, una “porzione” di prugne secche (40 g) fornisce 88 Kcal, poco di più rispetto ad una porzione (150 g) di prugne rosse fresche (63 Kcal). Ugualmente, una porzione di pistacchi senza guscio (30 g) fornisce 182 Kcal ed una porzione di pane (50g) circa 150. Dunque: l’importante è consumare un numero corretto di porzioni e che la nostra “parte” corrisponda, come peso, a quella codificata. Frutta secca e prevenzione: si legge spesso che il consumo regolare di frutta secca può essere di aiuto nella prevenzione di patologie diffuse, è vero? Numerosi studi hanno evidenziato un legame tra il regolare consumo di frutta secca e la riduzione del rischio di insorgenza di alcune malattie cronicodegenerative, in particolare quelle cardiovascolari. Non è noto quali siano i componenti della frutta secca maggiormente responsabili di questi effetti: poiché questi alimenti contengono molti nutrienti e componenti bioattivi potenzialmente protettivi, è

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PORZIONE CONSIGLIATA DI FRUTTA SECCA FRUTTO

Porzione* consigliata di frutta secca sgusciata o denocciolata

Mandorle

30 g

=

23 mandorle

Nocciole

30 g

=

26 nocciole

Noci

30 g

=

5 noci

Pinoli

30 g

=

120 pinoli

Pistacchi

30 g

=

25 pistacchi

Anacardi

30 g

=

20 anacardi

Prugne

40 g

=

5/6 prugne secche

Albicocche

40 g

=

5/6 albicocche secche

Fichi

40 g

=

4/5 fichi secchi

* porzione definita dall’USDA-UnitedStatesDepartment of Agricolture 1 oz = 28,5 g per la frutta secca. 1/4 cup = 43 g per la frutta essiccata


Antidepressivo naturale, gli anacardi sono antiansia e migliorano l’umore. Lo sapevi che… la pianta dell’anacardio fornisce ad un tempo due frutti intimamente uniti: uno fresco, la “mela d’anacardio”, e uno secco, la “mandorla o nocciola d’anacardio”. La mela d’anacardio è botanicamente un falso frutto, in quanto risulta da un ingrossamento del peduncolo fiorale che arriva a raggiungere le dimensioni di una mela dalla superficie liscia, sottile e fragile, di colore dal giallo al rosso vivo, con una massa polposa ma fibrosa. Questo frutto in Brasile è chiamato cajù ed è considerato una prelibatezza per gli amanti di frullati. La mandorla d’anacardio, che noi tutti conosciamo, è invece il vero e proprio frutto. Trasformare gli anacardi in noce commestibile é una procedura complicata che richiede molta cura e lavoro umano.

FRUTTA SECCA: UNA FAMIGLIA NUMEROSA Conosciamo meglio alcuni componenti della grande famiglia della frutta secca. ALBICOCCHE Le albicocche secche, disponibili tutto l’anno, sono un’ottima alternativa a quelle fresche poiché ne conservano intatti i minerali (soprattutto potassio, ma anche fosforo, magnesio, ferro e calcio). L’albicocca secca contiene anche elevate quantità di vitamina A e di carotenoidi che stimolano la produzione di melanina proteggendo la pelle dai raggi solari, migliorano la capacità visiva, rinforzano le ossa e hanno proprietà antiossidanti (cioè proteggono dagli effetti dannosi che i radicali liberi hanno sulle cellule). Dolci e gustose, le albicocche secche sono molto gradite dai bambini e rappresentano uno snack sano e nutriente per tutti. Lo sapevi che… gli Hunza, una popolazione che vive ai piedi dell’Himalaya, sono diventati famosi per la loro longevità che da alcuni è stata associata al particolare stile alimentare, che prevede, tra l’altro, il consumo di ingenti quantità di albicocche secche.

MANDORLE Le mandole oggi sono tra i frutti più studiati ed è stato dimostrato che il loro consumo regolare abbassa i livelli di colesterolo, riducendo il rischio di malattie cardiovascolari. Le mandorle sono anche una preziosa fonte di fibre, fondamentali non solo per regolarizzare la funzione intestinale ma anche nella prevenzione del diabete e dell’ipercolesterolemia. Lo sapevi che… nel Medioevo i servitori, durante i banchetti reali, servivano le mandorle per favorire la digestione e di conseguenza ottenere l’indulgenza dei loro padroni. Consigliata alle donne in gravidanza o che allattano ed agli sportivi, usando la precauzione di

ANACARDI L’anacardio è una specie tropicale originaria della conca dell’Amazzonia. Attualmente coltivato anche in Africa, questi frutti a forma di “virgola” sono ricchi di: acidi grassi insaturi, che combattono i processi infiammatori e concorrono a prevenire l’arteriosclerosi; minerali come potassio, magnesio e fosforo, preziosi per la salute.

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eliminare la pellicola marrone che la ricopre per evitare problemi digestivi, il latte di mandorle preparato con il frutto fresco o con una crema di mandorle naturale, può sostituire il latte vaccino in quasi tutte le ricette da cucina, o nella dieta di chi non desidera assumere grassi animali.

occasione della magica e rituale notte di San Giovanni (24 giugno), appena poco dopo il solstizio d’estate, le donne raccoglievano le noci, le tagliavano in quattro e ponevano insieme all’alcool in vasi di vetro esposte al sole per 40 o 60 giorni. Il frutto di questo lavoro era, ed è ancora oggi, un liquore dolce ed aromatico: il Nocino.

NOCCIOLE Il nocciolo è una delle più antiche piante coltivate dall’uomo, lo provano i ritrovamenti fossili in numerosi siti del Nord Europa. Le nocciole sono particolarmente ricche di acidi grassi insaturi, soprattutto acido oleico e Omega 3 e Omega 6, che concorrono a ridurre il rischio cardiovascolare, prevenire l’arteriosclerosi e controllare i processi infiammatori. Le nocciole contengono anche elevate quantità di calcio, importante per la salute delle ossa e per questo sono consigliate per i ragazzi in crescita e per le donne. Lo sapevi che… sin dall’antichità il nocciolo è stato eletto a simbolo di “eternità” e quindi di “giovinezza”, di “salute” e di “gioia”.

PINOLI Sono frutti antichi, basti pensare che accompagnavano i legionari romani nelle loro campagne perché, ricchi come sono di importanti minerali quali potassio e magnesio sono utili per combattere fatica e debolezza. I pinoli contengono anche fosforo e proteine, rendendone adatto il consumo durante l’accrescimento, in gravidanza e allattamento e in chi pratica sport. Lo sapevi che… nella lavorazione delle pigne per la produzione dei pinoli, anche i materiali di scarto trovano un impiego: i gusci di pigna e di pinolo vengono impiegati in forni e caldaie, sia industriali che per riscaldamento domestico, e anche la polvere marrone che avvolge il guscio dei pinoli è impiegata nell’industria alimentare come aromatizzante, mentre gli antichi Greci utilizzarono la resina del pino per preservare il vino ottenendo così la famosa Retzina che ancora oggi è considerato uno dei vini più tradizionali di Atene.

NOCI Da sempre mangiare noci è considerato sinonimo di salute e buona memoria. Recenti studi hanno confermato le proprietà salutistiche di questo frutto antichissimo, il loro consumo regolare (5 noci sgusciate al giorno) abbassa i livelli di colesterolo e trigliceridi riducendo il rischio di malattie cardiovascolari. Lo sapevi che… la tradizione racconta che in

PISTACCHI Con oltre 10.000 anni di storia, sono tra i frutti da più tempo conosciuti. Recentemente è stato

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introduzione è particolarmente utile quando aumenta la sudorazione, ad esempio in estate o praticando attività fisica. La carenza di potassio può provocare infatti fastidiosi crampi muscolari. Lo sapevi che… i fichi essiccati si suddividono a seconda del tipo di lavorazione e del confezionamento. Le tipologie più comunemente in commercio sono: Lerida, ossia fichi di forma piatta, disposti in colonne o corone circolari; Pulled, in questo caso la lavorazione consiste nel tirare (dall’inglese “to pull”) ed allungare il fico fino a fargli assumere la caratteristica forma semisferica; Layer dall’inglese “to lay”, stendere, i fichi in questo caso vengono schiacciati fino a dar loro la massima ampiezza possibile; Moscioni che, quando il fico è destinato alla trasformazione, viene raccolto quando è iniziata la fase di disidratazione; e Protoben, dal greco “proto” che significa superiore.

dimostrato che mangiare regolarmente una porzione di pistacchi (ossia circa 30 g, corrispondenti a 25 pistacchi sgusciati) aumenta i livelli di colesterolo HDL (quello buono). I pistacchi sono anche fonte di folati, potassio e vitamina B6, nutrienti che contribuiscono a diminuire il rischio cardiovascolare e di fibre che facilitano il transito intestinale. Lo sapevi che… il pistacchio viene detto anche “il seme che sorride” e in Cina è conosciuto come “il seme felice”. Introdotti a Roma nel primo secolo d.C. dall’imperatore Vitellio, i pistacchi compaiono anche nel ricettario classico di Apicio, una sorta di Gualtiero Marchesi dell’epoca. FICHI Di origini antichissime i fichi per lungo tempo hanno costituito un alimento fondamentale nella dieta di molti popoli. I fichi sono ricchi di fibre e contengono numerosi minerali – e tra questi calcio e fosforo – nelle proporzioni ottimali per il fissaggio del calcio nelle ossa. I fichi sono anche fonte di potassio, la cui

PRUGNE Rispetto alle susine, da cui derivano, le prugne disidratate contengono solo il 30% di acqua

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hanno dimostrato che il Mirtillo americano inibisce l’adesione di batteri patogeni a livello del tratto gastrointestinale ed urinario, un valido alleato quindi prevenire episodi di cistite ed infiammazioni delle vie urinarie. Lo sapevi che… era considerato un frutto sacro, simbolo di pace ed amicizia. Coltivabile sia in piena terra sia in vaso, a metà primavera dai corti germogli sbocciano un gran numero di fiori rosa ai quali seguono in estate delle bacche verdi che diventano rosse quando mature. I frutti dal caratteristico sapore agrodolce, possono essere consumati freschi, essiccati o impiegati per fare succhi o marmellate.

(contro l’88% di quelle fresche). Le prugne essiccate sono conosciute per le loro proprietà catartiche – ovvero la facilitazione del transito intestinale – ma sono anche l’alimento più ricco in assoluto di sostanze antiossidanti (come la vitamina A) e combattono i radicali liberi responsabili di numerose malattie degenerative e dell’invecchiamento dell’organismo. Lo sapevi che… sono il segreto di Yuto Nagatomo. Un ragazzo che fa della corsa e della resistenza le sue doti migliori. Dietro a queste c’è un segreto, ovvero le prugne secche: “Sono ricche di acido cloridrico. Sono molto utili perché l’acido fa sì che la stanchezza venga smaltita. Nella nazionale giapponese le consumo con i compagni Hasebe e Nakamura”.

DATTERI I datteri secchi sono composti per il 20,5% da acqua, per 63% da zuccheri, 8% da fibre alimentari e proteine. I datteri sono molto ricchi di potassio, ne contengono addirittura più delle banane, e per questo motivo aiutano ad equilibrare il livello di liquidi nell’organismo e in più contribuiscono a mantenere

CRANBERRY Detto anche Mirtillo di Palude per le particolari condizioni in cui cresce, è un frutto originario dell’America del Nord. Per la presenza di composti fenolici e flavonoidi il Cranberry presenta potenti effetti antiossidanti e studi recenti in laboratorio

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in forma funzionamento del sistema cardiovascolare; la presenza di fosforo viene invece in aiuto alle nostre funzioni celebrali. Lo sapevi che… erano coltivati in Babilonia fin dal 4000 a.C. ed apprezzati anche in epoca Romana. L’Imperatore Augusto ne era molto ghiotto e si dice che la prima palma da dattero germogliata a Roma sia nata da un seme di dattero gettata dalla mensa imperiale.

UVA SULTANINA Chiamata anche uva passa o uvetta è una varietà di vite europea usata prevalentemente per produrre uva essiccata. L’uva sultanina, che ha le stesse proprietà dell’uva fresca, è ricchissima di sali minerali presenti soprattutto nella buccia (potassio, fosforo, magnesio, calcio, fluoro), di vitamine A, B1, B2, C e di zuccheri (glucosio e fruttosio). I suoi semi contengono tannini e lipidi. Il valore nutrizionale dell’uva è altissimo e ha diverse proprietà terapeutiche: è depurativa, disintossicante, tonificante e ricostituente. Lo sapevi che… ha proprietà depurativa, tonificante e ricostituente. La sua assunzione è ottima negli anziani perché combatte l‘ipertensione, l’arteriosclerosi, l’artrite e gotta. Inoltre è anche un ottimo lassativo e stimolante della diuresi.

SEMI DI ZUCCA I principi attivi fondamentali contenuti nei semi di zucca sono le cucurbitine, i delta steroli, le fitosterine, le globuline vegetali, oltre alle vitamine F ed E, che esercitano un’azione protettrice delle membrane cellulari e antiossidante. In particolare la cucurbitina sembra avere un’azione preventiva nei confronti dei disturbi prostatici benigni, oltre ad un’azione antiparassitaria. Lo sapevi che… ai principi attivi contenuti nei semi di zucca è riconosciuta un’azione preventiva nei confronti di tutti i disturbi dell’apparato urinario, anche femminile, come cistiti, infiammazioni della vescica causate dall’esposizione al freddo, debolezza e irritabilità della vescica, compresa quella di origine nervosa, catarro vescicale, incontinenza, enuresi notturna. Affinché si voglia fare prevenzione, il dosaggio giornaliero raccomandato dovrebbe essere di circa tre cucchiai al giorno di semi crudi.

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Alessandra Legnani SG Marketing Agroalimentare Bologna



IL CALO DI PRODUZIONE DELL’ABATE FETEL NON INCIDE SUL GUSTO. È la Regina delle pere, varietà scoperta in Francia dall’omonimo Abate Fetel verso la metà del 1800. La pregiata varietà si produce in Italia soprattutto in EmiliaRomagna e matura verso la fine del mese di settembre. Ed è proprio in Emilia-Romagna che si concentra oltre l’80% del calo di produzione rilevato per l’Abate Fetel, attribuibile in modo particolare, all’andamento climatico siccitoso nel periodo dell’accrescimento dei frutti che ha determinato calibri inferiori alle aspettative e di conseguenza una significativa riduzione della offerta complessiva. Già in epoca previsionale si stimava una produzione nettamente inferiore all’annata record 2011; l’aggiornamento delle stime di questi giorni porta la produzione sul 45% in meno rispetto all’anno scorso e su livelli molto prossimi al 2010, anno ricordato da tutti come tra i più “scarichi” del decennio. A fronte di questo importante calo produttivo i frutti dalla forma allungata a fiaschetto, con una bella buccia liscia e sottile di colore giallo rugginoso e la polpa succosa, bianca e fine, dal sapore dolce-acidulo ed estremamente profumata e gradevole, manterranno la buona qualità sia dal punto di vista organolettico che gustativo. (Fonte CSO, settembre 2012) www.csoservizi.com/pere_igp


CALEIDOSCOPIO OROGEL VIRTÙ DI FRUTTA, DA CHI AMA LA FRUTTA PER CHI AMA LA FRUTTA Quattro esclusive linee di CONFETTURE e COMPOSTE Virtù di Frutta pensate per soddisfare tutti i gusti. Solo frutta altamente selezionata, ottenuta con sistemi di produzione biologica e integrata, coltivata esclusivamente in Italia, che risponde al crescente bisogno di naturalità, gusto e benessere. Le confetture, le composte e le marmellate coltivate e prodotte rispecchiano quindi l’amore e il rigore di ogni prodotto Orogel che viene curato e controllato in ogni fase, dalla semina alla raccolta, dalla lavorazione al confezionamento. Così, solo la frutta più dolce, sana e genuina diventa l’ingrediente base delle specialità Virtù di Frutta nel rispetto della salute e del benessere dei consumatori. 260 grammi di naturalità, gusto, benessere e leggerezza con una nuova veste grafica completamente rinnovata, che va a rafforzare la personalità di Orogel nel mondo delle confetture.

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CALEIDOSCOPIO

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AGRICOLTURA OGGI ALDO FERRERO

AGRICOLTURA OGGI

RISO, UNA 57 RISORSA ECONOMICA, AMBIENTALE E CULTURALE

Ricco di minerali, di facile digeribilità, il riso è l’alimento fondamentale per oltre la metà della popolazione mondiale. Coltivato da oltre 10.000 anni nelle più svariate condizioni ambientali è il cereale che ha alimentato nel tempo il più elevato numero di persone.

Aldo Ferrero


Mietitura del riso lungo le rive del fiume Li, Cina

Secondo le statistiche FAO la produzione totale è stata, nel 2010, di 159,4 milioni di ettari, localizzati, per oltre l’80%, nell’emisfero settentrionale. I principali paesi produttori si trovano nel continente asiatico, nel quale è presente circa il 90% della superficie coltivata al cereale. La produzione globale è di 696 milioni di tonnellate ed una resa unitaria di 4,37 tonnellate ad ettaro. L’India è il principale paese produttore mondiale, con una superficie di circa il 40% superiore a quella della Cina, ma con una produzione globale del 23% inferiore a quella cinese. Negli ultimi 50 anni, la coltura ha fatto registrare un incremento di superficie coltivata di circa il 40% e delle produzioni ad ettaro di oltre il 240%. Questo formidabile aumento produttivo è dovuto al miglioramento della tecnologie colturali adottate e soprattutto all’introduzione di varietà ad elevato potenziale produttivo e, in particolare in Cina, alle varietà ibride. Il tasso di incremento produttivo è stato, nello stesso cinquantennio, mediamente superiore a quello della popolazione mondiale. L’Italia è il principale paese produttore di riso in Europa, con un superficie coltivata di circa 236.000 ettari, pari alla metà di quella dell’Unione Europea. Oltre il 90% di questa superficie è compreso nelle

Rice is life, il riso è vita è lo slogan, coniato dalla FAO per l’Anno internazionale del Riso, celebrato nel 2004, per richiamare l’importanza di questa coltura per l’esistenza dell’uomo. Almeno la metà della popolazione mondiale, e in particolare circa il 90% di quella asiatica e gran parte di quella dell’America latina, dipendono da questo alimento per la propria nutrizione. Formule di saluto come “Hai avuto la tua ciotola di riso oggi?” sono spesso usate in molte regioni del Sud-Est asiatico, dimostrando la sua rilevanza nella vita di ogni giorno. In alcuni paesi il riso è entrato anche a far parte dei nomi propri di persona, come ad esempio in Giappone, dove Toyota e Honda, hanno rispettivamente il significato letterale di “campo di riso molto fertile” e “il campo di riso più importante”. La coltivazione del riso rappresenta la più diffusa attività economica del pianeta, offrendo possibilità di occupazione e di reddito ad una vasta popolazione rurale. In Asia è coltivato in almeno 250 milioni di aziende, talune con meno di un ettaro di superficie. IL RISO NEL MONDO E IN ITALIA L’area coltivata a riso rappresenta l’11% della superficie arabile mondiale ed è distribuita in 122 paesi di tutti i continenti.

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India. In Africa, i consumi unitari raggiungono valori di circa 100 kg pro-capite anno (in Madagascar ed in Sierra Leone), mentre in Nord America ed in Europa si attestano su quantitativi compresi tra 5 e 10 kg.

provincie di Vercelli, Alessandria, Novara, Pavia Lodi e Milano, nei territori a cavallo dei fiumi Sesia e Ticino. La restante parte è coltivata nelle provincie di Ferrara, Rovigo, Verona, Mantova e Oristano. La produzione italiana alla raccolta corrisponde a circa 1,6 milioni di tonnellate, metà dei quali esportate. Gran parte del riso prodotto nel mondo è destinato al consumo del paese produttore; soltanto il 6-7% della produzione mondiale è oggetto di scambi internazionali, con qualche modesta variazione legata all’andamento dei prezzi internazionali e alle politiche restrittive messe in atto dai paesi esportatori. Il mercato internazionale è quasi totalmente gestito da un limitato numero di paesi esportatori, che vedono nelle prime posizioni la Thailandia, il Vietnam, gli USA e l’India. Anche l’Italia ha un ruolo significativo nella gestione degli scambi, in quanto il prodotto esportato rappresenta circa il 60% della produzione nazionale. Il consumo di riso varia ampiamente nel mondo ed è spesso in stretta relazione con l’importanza e la diffusione della coltura nei singoli paesi. I principali paesi produttori di riso sono anche quelli con il più elevato consumo pro-capite annuo. In Asia i consumi di riso bianco sono compresi tra i 170 kg/anno procapite (in Bangladesh e Cambogia) e i 60-70 in Cina e

LA PIANTA, LE ESIGENZE E GLI AMBIENTI DI COLTIVAZIONE DEL RISO Il riso, noto con il termine botanico di Oryza sativa, è una pianta annuale della famiglia delle graminacee, la stessa a cui appartengono il frumento, il mais, il sorgo, l’avena e la segale. Nel corso dei millenni ha dato origine a due principali sottospecie: indica e japonica. La sottospecie indica, prevalentemente coltivata nel continente asiatico si caratterizza per il granello lungo e sottile, per la resistenza alle malattie e alle avversità atmosferiche e per l’elevata tenuta alla cottura. La sottospecie japonica, coltivata in alcuni paesi asiatici, come ad esempio il Giappone e in gran parte dei paesi occidentali, presenta invece un granello corto e tondeggiante, con un buon adattamento alle temperature ridotte e una non elevata tenuta alla cottura. La pianta del riso raggiunge un’altezza simile a quella del frumento (70-100 cm) e sviluppa alla sommità una infiorescenza a pannocchia, in grado di formare 100150 semi; questi, sono ricoperti, alla raccolta, di un In Cina il riso viene ancora mietuto con la falce e trebbiato con macchine rudimentali, azionate da un motore a scoppio.

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SUPERFICIE, PRODUZIONE UNITARIA, CONSUMO ANNUO PRO-CAPITE E % DI SUPERFICIE IRRIGATA DI RISO NEL MONDO CONTINENTE

PAESE

SUPERFICIE ha PRODUZIONE RISONE KG/ANNO/CAPITE CARATTERISTICHE (milioni) (ton/ha) (riso bianco)

Mondo

159,42

4,37

53

60% irrigato

Asia

142,07

4,45

77

58% irrigato

India

42,56

3,38

68

Cina

30,12

6,55

76

Indonesia

13,26

5,02

127

Bangladesh

11,71

4,28

173

Thailandia

10,99

2,88

133

Birmania

8,05

4,13

140

Vietnam

7,51

5,32

141

Filippine

4,35

3,62

123

Pakistan

2,36

3,06

17

Giappone

1,63

6,51

54

9,34

2,46

21

Madagscar

1,81

2,62

105

Nigeria

1,79

1,8

21

Guinea

0,86

1,73

105

Egitto

0,59

9,42

39

0,72

6,02

5

Italia

0,24

6,12

6

Fed. Russa

0,21

5,28

5

Spagna

0,12

7,56

11

Grecia

0,03

6,75

7

Portogallo

0,03

5,84

15

Francia

0,02

4,98

5

7,27

5,09

20

USA

1,46

7,54

8

Brasile

2,72

4,13

35

Colombia

0,46

5,19

35

0,19

10,41

11

Africa

Europa

America

Australia Elaborazione dati FAO 2010

15% irrigato

100% irrigato

65% irrigato

100% irrigato


Coltivazione di riso in Vietnam.


Risaie nel Kashmir, India.

rivestimento paglioso, persistente, e sono indicati con il termine di “risone”. Il riso presenta una grande capacità di adattamento alle più diverse condizioni ambientali, difficilmente riscontrabile in altre colture agrarie. Si sviluppa bene tanto nei terreni arieggiati, quanto in quelli asfittici, che vengono sommersi a seguito delle esondazioni dei fiumi e delle piogge monsoniche, grazie alla presenza di sistemi cellulari, che sono in grado di trasportare l’ossigeno dalle foglie fino alle radici. In alcune regioni del mondo i campi coltivati vengono sommersi fino da 5 metri di acqua, tanto da richiedere l’uso di imbarcazioni, per la raccolta. Viene coltivato a livello del mare, nelle pianure costiere asiatiche, e fino ad altezze di 2.600 metri, sulle pendici himalayane. Cresce nei terreni sabbiosi e in quelli argillosi, nelle regioni con abbondante disponibilità idrica (oltre 5000 mm/anno in Birmania) e in quelle aride (oasi desertiche dell’Arabia meridionale, con meno di 100 mm/anno), in ambienti dove la temperatura media stagionale è superiore a 30°C (Pakistan) e in zone dove questa supera appena i 17°C (Italia e Giappone). Nelle regioni alle latitudini più elevate le minori temperature stagionali sono generalmente compensate da un prolungato irraggiamento solare. Il riso si adatta alle temperature relativamente basse (10°C alla nascita e 15°C alla fioritura) mentre non sopporta bene le escursioni termiche giorno-notte. Per ovviare a questi inconvenienti, negli ambienti a clima temperato, quali quelli italiani, americani e gran parte di quelli asiatici, la coltivazione è resa possibile dal mantenimento di uno strato d’acqua sul terreno, per

mitigare le variazioni termiche giornaliere. In generale le più elevate produzioni di riso sono ottenute proprio dove è possibile assicurare la presenza di una strato uniforme di acqua di 5-15 cm per tutto o gran parte il periodo di crescita del cereale, mediante l’irrigazione dei campi precedentemente livellati. L’impianto della coltura può essere effettuato mediante la semina diretta su risaia sommersa o su terreno asciutto, oppure mediante il trapianto, a ciuffi, di piantine precedentemente allevate in semenzaio. La semina diretta è oggi regolarmente adottata soprattutto nei paesi occidentali e in parte di quelli asiatici. In Italia, questa tecnica è stato introdotta a partire dalla fine degli anni Cinquanta, grazie, soprattutto, all’introduzione di macchine agricole, che hanno permesso la pressoché completa meccanizzazione delle diverse operazioni colturali, dalla semina alla raccolta. Negli stessi anni, si è assistito anche ad una forte diffusione dei diserbanti, che hanno permesso di eliminare l’estirpazione manuale (monda) delle piante infestanti. Nello stesso periodo, nel nostro paese e in altri ambienti ad agricoltura più avanzata, le aziende agricole si sono gradualmente ingrandite, così come sono aumentate le dimensioni dei singoli campi, per rendere possibile ed economico l’impiego delle macchine; ciò ha comportato una forte diffusione della monocoltura. LE PAROLE DEL RISO I primi riferimenti al riso in Europa possono essere ritrovati negli scritti del tragediografo greco Sofocle che nel 400 a.C. indicò con il nome orinda un cereale

62 AGRICOLTURA OGGI ALDO FERRERO


che cresceva lungo le sponde del fiume Indo. E orinda è ancora oggi il nome utilizzato da alcune popolazioni indiane per indicare il cereale. Il vocabolo italiano riso, quello francese riz, il tedesco Reis e l’inglese rice, si sono evoluti direttamente dal latino. Simbolo di vita e abbondanza, per la sua forte valenza religiosa nella spiritualità orientale e le infinite combinazioni in cucina, è ritenuto un prodotto versatile. Anticamente denominato tao-gu e la sua pianta gengmi, in Cina il riso ha tanti nomi quanti sono i suoi usi: la sua pannocchia è espressa da un ideogramma pronunciato dao; il riso grezzo appena raccolto è indicato con il termine h’sien; il riso decorticato o integrale è detto kong, il suo

rivestimento (o lolla) è chiamato k’ang. L’ideogramma del riso raffinato non cotto suona nella fonetica cinese mi e il riso cotto, quando è posto in tavola, è detto fan. Il termine che definisce il riso ceroso (waxi) è no, come la negazione nella nostra lingua. In sanscrito suona vrihi, nelle lingue iraniche brizi, fino al greco oriza che i romani hanno fissato nel latino oryza, nome scelto da Linneo per la sua classificazione. TIPI DI RISO E IMPIEGHI Nel mondo sono conosciute alcune decine di migliaia di varietà di riso, caratterizzate da specifiche forme, colori, sapori e tipi di utilizzazione. Sono noti risi a

COLTIVAZIONE DEL RISO IN ITALIA. DISTRIBUZIONE DELLE SUPERFICI PER PROVINCIA NEL 2011 (FONTE ENTE NAZIONALE RISI)

Provincia Superficie ettari Vercelli

73.557

Alessandria 8.529

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Biella

3.937

Pavia

83.625

Milano

14.382

Lodi

2.273

Novara

35.536

Mantova

1.421

Rovigo

1.635

Verona

2.529

Ferrara

9.373

Oristano

3.076

Altre province

6.668

Totale Italia

246.541


Risaie nel vercellese e, sullo sfondo, il monte Rosa.

Risaia nel novarese con pioppeti e mais che fanno da quinta teatrale.

granello tondo o lungo, di colore variabile dal bianco al giallo, al rosso o al nero, di sapore neutro o aromatico, prevalentemente destinati al consumo diretto o alla trasformazione industriale per la preparazione di alimenti per la colazione o per ottenere bevande fermentate. In Europa le diverse varietà di riso vengono suddivise in 4 gruppi merceologici, in base alla lunghezza (LUN) e del rapporto tra lunghezza e larghezza dei granelli (LUN/LAR): Tondo: LUN ≤ 5,2 mm; LUN/LAR < 2; Medio: >5,2 < 6,0 mm; LUN/LAR < 3; Lungo A: > 6,0 mm; LUN/LAR < 3; Lungo B: > 6,0 mm; LUN/LAR > 3. In Italia si adotta una classificazione, che tiene conto sia

delle dimensioni del granello e sia delle caratteristiche di tenuta alla cottura. Anche in questo caso sono previsti 4 gruppi: Comune o originario - granelli piccoli, tondeggianti, richiedono un tempo di cottura di 12/13 minuti; comprendono varietà quali Balilla, Cripto e sono adatti per dolci e minestre in brodo; Semifino - granelli tondi di media lunghezza o semi lunghi, richiedono un tempo di cottura di 13/15 minuti e comprendono varietà quali Rosa Marchetti, Lido, Titanio, Maratelli, Padano, Vialone nano. Sono particolarmente indicati per timballi, supplì e minestre con ortaggi e legumi; Fino - granelli affusolati e semi affusolati; richiedono

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Canale Cavour.

Risaia nel ferrarese.

UNA RISORSA PER L’ACQUA Negli ambienti a clima temperato, il riso richiede il mantenimento di una copertura idrica durante tutto o per gran parte del proprio ciclo colturale. L’acqua scorre lentamente sui campi di riso e protegge la coltura dagli sbalzi termici soprattutto nelle fasi più critiche come la germinazione e la fioritura. L’acqua, è gestita da Consorzi irrigui ed è principalmente derivata dai fiumi Po, Dora Baltea e Ticino e distribuita su tutto il territorio risicolo, mediante un complesso ed efficiente sistema integrato di canali, rogge e fossi. Il canale più importante è il canale Cavour, con una lunghezza di 83 km e una portata massima di circa 110 m3; è stato realizzato in soli 3 anni (1863-1866), attraversando, con sovrappassi e sottopassi, 272 corsi d’acqua e 101 strade. L’impiego di abbondanti volumi di acqua per la coltivazione del riso è talvolta oggetto di critiche, legate alle sempre minori disponibilità idriche dovute alle variazioni climatiche e alle crescenti esigenze per gli usi civili, industriali e di altri settori agricoli. Si tratta di osservazioni superficiali, che non tengono conto della fondamentale funzione di regimazione delle acque, esercitata dal sistema risicolo. L’insieme delle risaie rappresenta, infatti, una sorta di ampio invaso, in grado di evitare il rapido deflusso verso il mare delle acque nei periodi in cui le precipitazioni sono più abbondanti e di determinare un forte innalzamento delle falde acquifere, in un ampio territorio della pianura padana a valle di quello risicolo.

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dal sapore forte. I risi “waxi”, noti anche come “glutinosi” o “cerosi”, hanno chicchi di colore gessoso, sono caratterizzati da un sapore dolce e sono preferibilmente impiegati per la confezione di torte o dolci. Il riso trova utilizzazione anche in numerosi altri impieghi alimentari, come ad esempio per la produzione di pasta, preparata con farina di riso, in miscela o non con quella di frumento. Il riso viene altresì impiegato per preparare il riso soffiato, adatto per alimenti per la prima colazione e per preparare bevande fermentate. Queste ultime hanno una lunga storia, soprattutto nei paesi asiatici. Alcune hanno caratteristiche simili al vino o alla birra, altre sono ottenute mediante distillazione dei prodotti fermentati. Tra più noti anche nel mondo occidentale sono il sake, una bevanda alcolica molto utilizzata in Giappone, il mirin, impiegato come condimento sempre in Giappone e il tapuy, una bevanda di media gradazione alcolica molto diffusa nelle Filippine.

un tempo di cottura di 14/16 minuti, comprendono varietà quali Ribe, Europa, Ringo, S. Andrea. Sono adatti per le insalate di riso e le guarnizioni; Superfino - con granelli grossi lunghi e molto lunghi; richiedono un tempo di cottura di 16/18 minuti. Comprendono varietà quali Carnaroli, Arborio, Volano, Roma, Razza 77l, le più adatte per i risotti raffinati. Il Carnaroli, ritenuto il “re dei risi”, ha un basso grado di collosità ed una elevata tenuta alla cottura; è ottimo anche per la preparazione del riso pilaf. L’eccellenza qualitativa del riso italiano è apprezzata sia localmente, sia nei paesi che lo importano, ed è testimoniata da riconoscimenti ufficiali come l’iscrizione nel registro europeo delle DOP e IGP, di produzioni quali il “Riso di Baraggia Biellese e Vercellese”, il “Riso del Delta del Po” e il “Riso Vialone Nano Veronese”. Per una rapida cottura del riso, l’industria ha messo a punto oltre al parboiled anche il cosiddetto “One minute rice”, ottenuto sottoponendo il riso a particolari processi termici. Sono disponibili sul mercato anche risi speciali, in gran parte di importazione come quelli aromatici e “waxi”. I risi aromatici, quali ad esempio le varietà “Basmati”, prodotta in Pakistan e India, e “Jasmine”, coltivata in Thailandia, sono caratterizzati dalla proprietà di liberare durante la cottura un aroma tenue di spezie, che rende questi risi adatti come contorni per alimenti

LA STORIA DEL RISO Le forme di riso più coltivate hanno avuto origine nelle regioni a nord e a sud della catena dell’Himalaya, compresa, oggi in Cina e in India. Recenti ricerche archeologiche hanno messo in evidenza che la risicoltura era praticata nel bacino inferiore del

Campo sperimentale di prove varietali nel basso ferrarese.

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Dall’alto in basso: riso in fioritura, pronto per la raccolta, con le reste (aristato), senza reste (mutico), prima della maturazione e riso distico.

fiume Yangtze e nelle regioni dell’Asia sud-orientale compresa tra il fiume Rosso, il golfo del Tonchino e il fiume Nekong, già oltre 9000 anni fa. L’importanza del riso per l’esistenza dell’uomo ha favorito nel tempo la diffusione di leggende che vedono nel cereale un dono delle potenze divine, assumendo significati collegati ai miti della fecondità, laboriosità, felicità e salute. Secondo una di queste leggende sarebbe il frutto della frustrazione di un Dio, il Genio Buono, che, incapace di sfamare gli uomini durante una tremenda carestia, si strappò i denti e li buttò al vento; questi si sarebbero trasformati in semi, che poi hanno dato vita a milioni di piante di riso. Una leggenda molto accreditata riconduce l’origine del riso alle

piante prodigiosamente cresciute sulla tomba di Retna Dumilla, che si lasciò morire d’inedia per aver dovuto sposare, contro la sua volontà il dio Shiva. Il riso si diffuse rapidamente in tutto il continente asiatico ancora prima dell’era cristiana, raggiungendo l’Indonesia, la Corea e il Giappone. In quest’ultimo paese il cereale rimase per molti secoli l’alimento delle classi feudali ed usato per pagare i tributi ai Samurai. L’introduzione del riso in occidente risale alle imprese di Dario, re di Persia, che lo portò con sé per nutrire le sue truppe durante il ritorno in Patria. La coltivazione del riso ha iniziato ad essere praticata in occidente soltanto alcuni secoli dopo le spedizioni in Asia di Alessandro Magno, prima in Mesopotamia

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Nel mondo sono conosciute alcune migliaia di varietà di riso, caratterizzate da specifiche forme, colori, sapori e tipi di utilizzazione.

Risaie nel ferrarese.

provenienti dalla Francia e in Lombardia dagli Sforza. Grazie alla sua elevata produttività, all’epoca molto superiore a quella del frumento, la coltivazione del riso conobbe una forte espansione frenata solo dalle disposizioni occasionalmente emanate localmente per contenere la diffusione della malaria. Da circa 2 migliaia di ettari nel XIII secolo, la superficie investita a riso raddoppiò un secolo più tardi, giunse a circa 40 mila ettari nel XVII secolo per arrivare all’unità d’Italia, subito dopo l’apertura del canale Cavour, alla superficie coltivata oggi. Nei secoli che segnarono la sua diffusione, il riso è sempre stato considerato una coltura di grande interesse, in grado di fornire dei buoni redditi in terreni, spesso poco adatti ad altre colture. Tale

e poi, con graduali spostamenti in Palestina, Siria e in Egitto. L’occupazione da parte degli arabi della Spagna e della Sicilia, favorì l’introduzione della coltivazione del riso in queste regioni mediterranee. Dalla Spagna arrivò poi in Campania, grazie agli Aragonesi e in Francia e Nord Italia ad opera dei soldati di Carlo Magno, di ritorno dalle battaglie contro gli arabi. Il riso trovò condizioni favorevoli alla sua coltivazione soprattutto in Piemonte e Lombardia, principalmente per la presenza di terreni pianeggianti e paludosi. L’introduzione e la diffusione della coltura in queste regioni si realizzò a partire dal XII secolo, a seguito delle impegnative opere di bonifica dei terreni e di costruzione di canali di irrigazione sostenute, in Piemonte soprattutto dai monaci cistercensi

68 AGRICOLTURA OGGI ALDO FERRERO


Il riso è sempre stato considerato una coltura di grande interesse, in grado di fornire dei buoni redditi in terreni, spesso poco adatti ad altre colture.

Risaie in Piemonte.

che portarono a migliori condizioni salariali e sanitarie e alla introduzione della giornata di lavoro di otto ore.

interesse riguardava, però, esclusivamente i proprietari terrieri, prevalentemente appartenenti alla nobiltà e al clero e molto meno i salariati delle aziende risicole. Fino alla fine del XIX secolo le condizioni del lavoro e quelle sanitarie in risaia erano piuttosto difficili, caratterizzate da gravosi orari di lavoro e cattiva alimentazione. Come ebbe a denunciare il parroco di Vettigné nel 1858 “ai salariati si dà la peggior roba dei loro granai, o sia meliga orribilmente fetente o rotture di riso, piucchè a metà semenze di male erbe, insomma roba che offerendola ai porci, non ne vorrebbero mangiare”. Le condizioni di vita migliorarono sensibilmente solo a partire dagli inizi del XX secolo, a seguito di numerose proteste e scioperi del bracciantato agricolo,

IL RISO COME ALIMENTO Nei paesi mediterranei, per molti secoli dalla sua introduzione, il riso era soprattutto conosciuto per le sue proprietà medicinali. Nella società greca e in quella romana il riso era principalmente utilizzato per preparare decotti, pozioni, farinate ed estratti liquidi, per la cura di numerose affezioni dell’apparato digerente. Gli arabi lo impiegavano per combattere i vermi intestinali, per curare la dissenteria e le intossicazioni. Aveva un prezzo molto elevato, a causa delle spese di trasporto e delle varie intermediazioni. Dall’oriente veniva infatti trasportato ad Alessandria

69 AGRICOLTURA OGGI ALDO FERRERO


Trebbiatura in Lomellina (Pv).

d’Egitto, la mitica “Porta del pepe” e da qui in Europa. Il riso è rimasto un alimento prezioso ancora fino verso il XIII-XIV secolo, fino a quando la coltivazione ha iniziato a diffondersi nei paesi del Mediterraneo. Ne fa fede un’ordinanza del Tribunale di Provvisione di Milano del 18 aprile 1236, con la quale si imponeva agli speziali il prezzo massimo di 14 denari imperiali a libbra, quasi il doppio di quello del miele. Nel nostro paese il riso è diventato un alimento realmente per tutti solo a partire dalla fine del XIX secolo. Nella tradizione alimentare di alcune nostre regioni, principalmente legata al consumo della pasta, il riso continua a mantenere l’immagine di alimento terapeutico, più utile per lo svezzamento del neonato e la nutrizione del malato, o per il rispetto del precetto dell’astinenza e del digiuno, che per l’alimentazione quotidiana. I chicchi di riso raccolti in campo alla maturazione, come tali, sono incommestibili e sono molto diversi da quelli che siamo abituati a conoscere come consumatori. Ogni chicco è infatti un frutto secco,

UN MARE A QUADRETTI Nelle principali aree di coltivazione del nostro paese il riso è coltivato in modo continuo, uniforme, non interrotto da altre colture. Tra il mese di maggio e quello di ottobre il territorio risicolo appare una estesa superficie pianeggiante, ricoperta dall’acqua ed interrotta solo da strade poderali, fabbricati rurali e qualche raro filare di pioppi, offrendo un paesaggio cangiante e spettacolare nelle diverse stagioni. È, in primavera, una piana continua di rettangoli d’acqua , “il mare a quadretti” nel linguaggio della risaia, in cui si riverberano i riflessi del cielo e degli alberi; diviene in estate, durante la crescita della coltura, un enorme tappeto verde e si trasforma in autunno, alla sua maturazione, in una uniforme distesa di colore giallo-oro. Il paesaggio è caratteristico e ben riconoscibile anche in inverno, per la fitta rete di canali e per la regolarità dei campi. Le risaie rivestono un’importante funzione ecologica, soprattutto per quanto riguarda la fauna e in particolare gli uccelli acquatici. Il sistema risicolo ospita uccelli di notevole interesse naturalistico quali ad esempio germano reale, gallinella d’acqua, cavaliere d’Italia, pavoncella, airone rosso e cinerino, tarabuso, cannaiola, cicogna bianca.

70 AGRICOLTURA OGGI ALDO FERRERO


Abbazia cistercense in Piemonte dove i monaci, provenienti dalla Francia, introdussero il riso.

di risone si ottengono circa 60 kg di riso bianco da destinare al consumo. Il riso può venire anche sottoposto ad una parziale precottura, secondo un processo tecnologico già messo a punto nel passato, in Asia e noto come “parboilizzazione”. Questo si basa essenzialmente in un trattamento idrotermico del risone, seguito da essiccazione. Durante questa operazione si ha la gelatinizzazione dell’amido e la migrazione all’interno del granello di alcune sostanze nutritive presenti nei rivestimenti. Il riso successivamente raffinato assume una colorazione giallastra, che tende a schiarirsi durante la cottura. La parboilizzazione migliora il valore nutrizionale del riso e aumenta la resistenza alla cottura. Come la pasta e il pane, il riso raffinato è soprattutto un alimento energetico, in grado di fornire 330370 kcal ogni 100 g, essendo costituito per circa il 90% da sostanze amidacee (zuccheri); contiene inoltre proteine (7-8%), grassi (0,4-0,6%), fibre (0,40,5%) e sali minerali (0,3-0,6%). Fonte di vitamine

rivestito da una serie di involucri; il più esterno, paglioso, ricco di silice, è rappresentato dalle glume fiorali, mentre quelli più interni sono costituiti dal pericarpo e dagli strati aleuronici. Nel processo di raffinazione o “sbiancatura”, effettuata con una serie di operazioni abrasive, si procede all’allontanamento di questi rivestimenti, che, una volta separati, prendono rispettivamente il nome di lolla, pula e farinaccio. Queste operazioni sono realizzate in successione e sono conosciute tecnicamente con i termini di sbramatura, che consente il distacco delle glume, dando luogo al cosiddetto “riso semigreggio” o “integrale” e sbiancatura, con la quale si allontanano il pericarpo e gli strati aleuronici. In questa fase si separano anche l’embrione, che, una volta staccato (noto con il nome di gemma), le rotture ed i granelli immaturi. La raffinazione determina una perdita di proteine, grassi, sali minerali ed anche di fattori antinutrizionali, ma migliora il valore nutritivo, la digeribilità, il sapore e la conservabilità del riso. Mediamente da 100 kg

71 AGRICOLTURA OGGI ALDO FERRERO


COMPOSIZIONE PER 100 GRAMMI DI PARTE EDIBILE Parte edibile (%)

100

Sodio (mg)

5

Acqua (g)

12,0

Potassio (mg)

92

Proteine (g)

6,7

Ferro (mg)

0,8

Lipidi (g)

0,4

Calcio (mg)

24

Clesterolo (g)

0

Fosforo (mg)

94

Carboidrati disponibili (g)

80,4

Magnesio (mg)

20

Amido (g)

72,9

Zinco (mg)

1,30

Zuccheri solubili (g)

0,2

Rame (mg)

0,18

Fibra totale (g)

1,0

Selenio (µg)

10,0

Fibra insolubile (g)

0,89

Tiamina (mg)

0,11

Fibra solubile (g)

0,08

Riboflavina (mg)

0,03

Alcol (g)

0

Niacina (mg)

1,30

Vitamina A retinolo eq. (µg)

0

Energia (kcal)

332

Vitamina C (mg)

0

Energia (kJ)

1389

Vitamina E (mg)

tr

Fonte INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

idrosolubili (PP1, B1, B2), è ricco di oligo-minerali quali ferro, fosforo, calcio, rame. È anche il cereale più facilmente digeribile, essendo assimilato in circa 1 ora dalla sua ingestione e particolarmente adatto a coloro che necessitano di una alimentazione povera di sali. L’elevata digeribilità è legata alle dimensioni dei granuli di amido, che risultano 20 volte più piccole di quelle del grano e 70 volte di quelle della patata. Le proteine del riso sono anche, per composizione e assimilabilità, le migliori tra tutti i cereali e non contengono glutine. Per questa ragione il riso è il cereale più indicato per l’alimentazione dei celiaci. Presenta un basso contenuto in colesterolo totale, con una elevata presenza del HDL (la frazione “buona”), prevenendo la formazione di placche sulle pareti dei vasi sanguigni, causa d’infarto e ictus. Per queste ragioni, nel passato il riso era consigliato alle donne prima e dopo il parto.

delle mondine provenivano da famiglie proletarie contadine del nord Italia, soprattutto Emilia e Veneto, impoverite dall’eccedenza demografica e dalle frequenti crisi agrarie. Avevano un’età compresa tra i 13-14 anni, le più giovani, e 30 anni e più, quelle chiamate “anziane”. Nella stagione della monda, la vita in risaia era animata dalla presenza di decine e di centinaia di mondine, a seconda delle dimensioni delle aziende ed ogni attività ruotava attorno a questa manodopera avventizia. Le mondine erano ospitate in grandi locali comuni, che potevano contenere anche 50-60 donne, e ciascuna disponeva di una brandina riempita di paglia. Le lenzuola erano portate da casa. Per proteggersi le gambe dagli insetti e dalle abrasioni della pelle provocate dal riso, indossavano lunghe calze di filanca. Le mondine hanno saputo imprimere alla loro condizione di lavoratrici temporanee un eccezionale vitalismo culturale; senza mai apparire vittime, si comportavano in modo quasi scanzonato, mostrandosi libere, provocatorie, emancipate. Lavoravano in squadra (8-10 donne), procedendo in un continuo e lento susseguirsi di azioni concatenate, con il corpo piegato, la testa reclinata, lo sguardo fisso verso il basso e cantavano, quasi a ritmare i movimenti e ad alleviare la fatica. In risaia si cantava di tutto, dalle strofette maliziose, ai canti dei coscritti, ai motivi anarchicocomunisti e anticlericali, ai ritmi militari e religiosi. Alcuni dei motivi canori della risaia, sono entrati a far parte dei canti dei soldati e di quelli utilizzati nelle agitazioni sindacali.

LE MONDINE Le risaie nelle campagne padane fra Vercelli, Novara e Pavia, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ebbero la necessità di disporre di molta manodopera, non presente localmente, per le operazioni manuali di trapianto e monda dalle malerbe. Si ricercavano soprattutto donne, perché non era necessaria molta forza fisica e soprattutto in quanto erano pagate meno e lavoravano un ora al giorno in più degli uomini. L’impiego si protraeva per circa sei settimane e richiedeva una grande capacità di sopportazione delle pesanti condizioni di lavoro. La maggior parte

72 AGRICOLTURA OGGI ALDO FERRERO



Il periodo della monda, sia pur faticoso, veniva percepito come una temporanea liberazione dai vincoli repressivi della società contadina di provenienza, quasi una sorta di servizio militare, che faceva sentire la donna uguale all’uomo. Poesie, quadri, racconti, perfino i monumenti alle mondine eretti davanti alle stazioni di Vercelli e Novara, fino al film Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis o La risaia (1956) di Raffaello Matarazzo, hanno ben rappresentato l’importanza del fenomeno, dal punto di vista sociale e folcloristico.

I SOTTOPRODOTTI DEL RISO I rivestimenti che avvolgono e proteggono il cicco di riso, come la lolla e la pula, sono attualmente in gran parti impiegati per produrre energia elettrica ed energia termica utilizzata negli impianti di parboilizzazione. Le ceneri di combustione, ricche in carbonio e silice, trovano impiego nella fabbricazione di materiali refrattari e nell’industria dell’acciaio. Consentono anche di estrarre il furfurolo, impiegato nella raffinazione degli oli minerali e nella sintesi di materie plastiche. La lolla e la pula possono essere miscelati alla torba usata in floricoltura per migliorare la sofficità del terreno. Un team di ricercatori del Texas, ha realizzato un processo che permette di utilizzare gli scarti della lavorazione del riso nella produzione di calcestruzzo per l’edilizia. Le potenzialità di impiego di questi prodotti come additivi per alleggerire il cemento sono note da tempo, ma i prodotti finora ottenuti hanno avuto scarso successo, a causa della maggior fragilità della miscela cementizia.

Aldo Ferrero Università degli Studi di Torino

74 AGRICOLTURA OGGI ALDO FERRERO



1992-2012 FRATELLI CARLI FESTEGGIA IL VENTENNALE DEL MUSEO DELL’OLIVO: PASSIONE, STORIA E CULTURA IN UN’ESPOSIZIONE CHE HA SOLIDE RADICI Il Museo dell’Olivo, istituzione culturale voluta, realizzata e curata a Imperia dalla Fratelli Carli, festeggia i 20 anni dall’inaugurazione. Nato nel 1992 come tributo a una pianta straordinaria e munifica, cui la Fratelli Carli e la famiglia Carli hanno legato oltre un secolo della loro storia, il Museo dell’Olivo rappresenta una realtà espositiva unica al mondo, che dà lustro all’offerta culturale della città e del territorio nella quale, peraltro, è pienamente integrata. “Siamo felici e orgogliosi di festeggiare il raggiungimento di questa importante tappa del Museo, nato come gesto di amore e di riconoscenza verso una pianta che da quattro generazioni è al centro delle attività della nostra famiglia e dell’Azienda, e che soprattutto ha rivestito importantissimi ruoli in diverse epoche storiche, fin dall’alba dei tempi”, dichiara Gian Franco Carli, Amministratore Delegato della Fratelli Carli. Ospitato in un’elegante palazzina in stile liberty, sede storica della Fratelli Carli dagli anni ‘30 agli anni ’70, il Museo racchiude in sé una delle collezioni archeologiche private più importanti d’Italia, oltre a documenti, libri antichi, strumenti agricoli, propri di tutte le grandi civiltà che si sono succedute nel bacino del Mediterraneo lungo i millenni. Introdotto da uno scenografico giardino che, tra olivi millenari, ospita una collezione di giare da olio provenienti da tutti i paesi del Mediterraneo, un frantoio seicentesco spagnolo con pressa a leva pliniana, un antico frantoio ligure a trazione animale e una rara macina con pietre coniche, il percorso espositivo del Museo si snoda lungo 18 sale tematiche, allestite con le più moderne tecnologie, che ripercorrono i 6.000 anni della storia dell’olivo rendendo visibile il fondamentale contributo di quest’albero al benessere, all’economia e alla cultura.


CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

77 Il Museo dell’Olivo è arricchito da una biblioteca specialistica visitabile per la consultazione solo su prenotazione, una sala conferenze e lo shop center. Per i visitatori non vedenti, inoltre, è stato allestito un percorso espositivo tattile, realizzato in collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi, che permette di approfondire tutti i temi trattati all’interno delle sale, mentre per i bambini è a disposizione un divertente percorso – gioco. Per le sue caratteristiche di unicità e di pregio il Museo dell’Olivo di Imperia ha ricevuto nei suoi 20 anni di attività numerosi riconoscimenti, tra cui la Menzione Speciale del Premio Europeo Museo dell’Anno patrocinato dal Consiglio d’Europa. Ma il premio più importante è senz’altro l’affluenza del pubblico: i visitatori, infatti, hanno raggiunto quota 500.000 nel 2010, con un’affluenza media di 30.000 persone ogni anno. Questo grande successo ha spinto la Fratelli Carli a creare una versione itinerante del Museo dell’Olivo, che sviluppa in sintesi un percorso logico del Museo di Imperia. La struttura viene offerta gratuitamente ai Comuni e alla Aziende di Promozione Turistica che ne fanno richiesta, dimostrando in questo modo come sia concretamente possibile abbinare la promozione della cultura alle attività di una moderna azienda. Museo dell’Olivo Via Garessio, 13 – 18100 Imperia Tel. 0183.295762 Apertura: lunedì – sabato 9.00-12.30/15.00-18.30 www.museodellolivo.com 260 grammi di naturalità, gusto, benessere e leggerezza con una nuova veste grafica completamente rinnovata, che va a rafforzare la personalità di Orogel nel mondo delle confetture.



RADICCHIO, PREGIATO FIORE D’INVERNO

L’estate torrida ha penalizzato il variegato, ma per la cicoria screziata Igp resta il trend positivo. Paolo Manzan, presidente del Consorzio di Tutela, vede rosa: “Dalla terra la ricetta anticrisi”. Paolo Manzan

COVER STORY PAOLO MANZAN

COVER STORY

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S

i annuncia una annata difficile per il Radicchio Variegato di Castelfranco, il Consorzio di Tutela stima in almeno il 20% di prodotto seminato non arrivato alla raccolta, per colpa di una estate troppo torrida. Nei campi i problemi maggiori si sono vissuti nei periodi della semina e del trapianto del prodotto, dalla fine di luglio al 20 agosto. Una fase che ha coinciso con temperature torride che hanno messo in difficoltà i nostri agricoltori. Buona parte dei semi sono seccati senza germinare, poi, le piccole e fragili piantine appena nate sono state piegate dalle giornate di sole africano. Anche lo sforzo enorme messo in campo per irrigare le colture, ha mitigato solo in parte i danni. Trattandosi ormai di aziende che hanno una produzione piuttosto vasta, il tempo di rotazione nell’irrigazione è in media di 7-8 giorni per campo. Un periodo spesso è risultato fatale con temperature per giorni intorno ai 40°C. Come se non bastasse, al momento della maturazione, il caldo sopra le medie del periodo ha mandato – come dicono gli agricoltori - “in canna”, cioè in seme, molto prodotto.

Altro radicchio quindi da buttare perché la pianta si presenta col classico fusto allungato e le foglie hanno un gusto amaro lontano dalla dolcezza prelibata del Variegato castellano. La pioggia arrivata come una benedizione in questi ultimi giorni è la nota positiva della stagione. E quel che è rimasto sarà sicuramente un bel Radicchio Variegato di Castelfranco IGP che, negli ultimi anni, sta vivendo un momento di grande crescita avendo toccato un aumento del 50% della produzione tra il 2009 e il 2010, anche se il clima penalizzante attualmente lo ha fatto arretrare di diverse posizioni. FUTURO ROSEO C’è un notevole interesse da parte della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) per il nostro radicchio. Anche dall’estero. Il nostro agroalimentare è l’unico settore che ha il segno positivo in questa difficile congiuntura. La salvaguardia di produzioni locali e di nicchia, che certo non sono delocalizzabili, è già la via d’uscita per un nuovo sviluppo, che sarà anche in grado di offrire possibilità di lavoro.


I dati forniti dal nostro osservatorio ci confermano una crescita media del 30% per la produzione di radicchi certificati. E “fare sistema” resta la nostra parola d’ordine. Nel 2000 solo il 20% dei produttori di radicchio in Veneto utilizzava forme associate di organizzazione per la commercializzazione del prodotto. Dopo dieci anni, almeno per chi si occupa di produzioni certificate, siamo arrivati al 95%. Il piccolo agricoltore non è più solo di fronte al mercato e questo consente di arrivare in tutto il territorio nazionale e anche all’estero. Basti l’esempio del Radicchio Rosso di Treviso Precoce IGP, in fase di commercializzazione già dal primo settembre. Nel mercato locale è quasi introvabile il prodotto a denominazione, perché in questa fase è distribuito in altre Regioni italiane dove è molto richiesto. Le sanzioni comminate negli anni scorsi sono servite da monito alla grande distribuzione che ora richiede prodotto certificato.

di autunno così da bloccare l’ulteriore sviluppo della pianta, viene portato ad “imbiancare”. Le piante, poste al buio e immerse in grandi vasche di acqua corrente di falda, che qui da noi non manca mai, grazie alla temperatura costante delle risorgive, virano il loro colore in un rosso vivace quasi vinoso nella parte esterna della foglia, mentre la costola centrale diventa candida e carnosa. Il sapore tipico e ricercato è quello inimitabile di un dolce-amaro. Per assaporare il Tardivo Igp, come da disciplinare, abbiamo dovuto attendere il 1° novembre. Nel frattempo, abbiamo assaporato il fratello meno pregiato, il Radicchio di Treviso Precoce Igp, dalla foglia più larga e dal cespo più chiuso e arrotondato. L’imbianchimento per il Precoce è molto più semplice e la sua presenza sul mercato è avviata già dal 1° settembre. Tutta un’altra storia invece, quella che porta in tavola il Radicchio Variegato di Castelfranco, facilmente identificabile per la forma a rosa aperta, le sottili foglie dai bordi seghettati, il colore giallo-verdognolo quasi decorato da lievi screziature rosse. Il Variegato, con le sue foglie quasi dolci è appena arrivato sul mercato il 1° ottobre scorso.

CARATTERISTICHE DELLE CICORIE IGP TUTELATE DAL CONCORZIO Tre sono le nostre IGP (Indicazione Geografica Protetta), tutte legate in maniera inscindibile alla nostra terra e alle acque che, proprio nel territorio ai confini tra le provincie di Treviso, Padova e Venezia, risalgono in superficie, dando origine al fiume Sile (il maggior corso d’acqua di risorgiva d’Italia). Proprio qui, nei territori del Parco Regionale del Sile, la millenaria sapienza contadina ha affinato particolari tecniche di coltivazione dei pregiati “fiori d’inverno”. Il Radicchio Rosso Tardivo Igp, in particolare, una volta raccolto dai campi, operazione che può avvenire rigorosamente solo dopo le prime due brinate

PRODUZIONE E VENDITA Lo scorso anno la produzione certificata dei nostri radicchi si è attestata intorno agli 800mila chilogrammi, quest’anno credo potremo sperare di superare il milione. Fermo restando che il nostro obiettivo non è l’incremento delle quantità, semmai l’ottimizzazione dei processi produttivi nella più rigida applicazione dei disciplinari. Sul mercato è arrivato negli anni passati molto prodotto non certificato e scadente. Radicchio coltivato in altre zone d’Italia,

82 COVER STORY PAOLO MANZAN




COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE ENERGETICO PER 100 G DI PARTE EDIBILE Parte edibile (%)

72

Potassio (mg)

240

Energia (kcal)

13

Ferro (mg)

0,3

Acqua (g)

94

Calcio (mg)

36

Proteine (g)

1,4

Fosforo (mg)

30

Lipidi (g)

0,1

Magnesio (mg)

-

Colesterolo (mg)

0

Zinco (mg)

-

Carboidrati disponibili (g)

1,6

Rame (mg)

-

Amido (g)

0

Selenio (mg)

-

Zuccheri solubili (g)

1,6

Tiammina (mg)

0,07

Fibra totale (g)

3

Riboflavina (mg)

0,05

Fibra solubile (g)

0,59

Niacina (mg)

0,30

Fibra insolubile (g)

2,37

Vitamina A retinolo eq. (Îźg)

tr

Alcol (g)

0

Vitamina C (mg)

10

Sodio (mg)

10

Vitamina E (mg)

-

Fonte INRAN (2000) - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione





di settore, nei mercati ortofrutticoli italiani e nella Gdo. Importante anche lo sforzo per essere presenti nei mercati esteri: è recente la nostra positiva partecipazione al World Food Moscow, dove abbiamo riscontrato grande interesse per una espansione ad Est della commercializzazione, tanto che già ora siamo presenti. Crescente anche l’interesse di mercati come Germania e Austria, dove i consumatori si stanno spostando da produzioni di massa di bassa qualità verso un ortofrutticolo di nicchia, che garantisca requisiti di qualità e origine certa. Ma il nostro prodotto è frutto della nostra terra, da qui deriva lo sforzo per comunicare anche il legame tra prodotto e territorio. Oltre al portale istituzionale del Consorzio di Tutela, dove si trovano tutte le informazioni sulla nostra attività (www.radicchioditreviso.it), invitiamo a visitare anche il portale (www.fioridinverno.tv) dedicato alle 12 feste del radicchio dell’area IGP. Si inizia il 4 novembre a Rio San Martino (Scorzè) e si prosegue fino a marzo con eventi, degustazioni, convegni, feste di piazza. Inoltre, per scoprire il territorio di produzione è utile consultare il portale www. stradadelradicchio.it per itinerari alla scoperta di ville venete, castelli, parchi e città d’arte.

senza seguire le antiche tecniche dei nostri contadini. Col risultato che queste imitazioni, brutte copie del Radicchio Rosso di Treviso, non hanno convinto il consumatore, che ne ha colto immediatamente il gusto amaro e non affinato. La conseguenza è che ora anche la GDO si è accorta di noi. La congiuntura economica ha portato molte famiglie – lo dicono chiaro le indagini sugli andamenti dei consumi – a contrarre la propria spesa alimentare ma, contemporaneamente, ad orientarsi su prodotti di più alto livello qualitativo: “compro meno ma meglio”. Ciò significa che la produzione di nicchia, garantita da marchi certificati, sarà la nostra via d’uscita da questa congiuntura negativa. I disciplinari, cioè le regole che i produttori si obbligano a rispettare per perseguire la qualità del prodotto, saranno il patto scritto tra piccoli contadini, come sono i nostri associati, e consumatori, anche all’interno di un contesto come la GDO. IL CONSORZIO Attualmente il Consorzio conta 120 soci e il suo compito è principalmente quello della vigilanza per una certa applicazione dei disciplinari. Il nostro nome è molto copiato, sotto le diciture “Rosso Treviso” o “Tardivo” si trova di tutto. Al momento abbiamo due vigilatori - gli “sceriffi del radicchio” - che presidiano mercati generali, grandi catene di distribuzione, ma anche esercizi pubblici. Le sanzioni per chi attesta falsamente la denominazione partono dai 4mila euro. LA FORZA DEL PRODOTTO I nostri buyers sono presenti alle principali fiere

89 COVER STORY PAOLO MANZAN

Paolo Manzan Presidente del Consorzio di Tutela del Radicchio di Treviso e Variegato di Castelfranco IGP


GUARDA COSA MANGI!

La contraffazione alimentare dei prodotti italiani ha toccato volumi da capogiro. In attesa che il Ministro dell’Agricoltura Catania faccia i necessari passi promessi per arginare questa situazione, anche i consumatori devono prestare piÚ attenzione alle etichette per rifiutare le imitazioni. Lorenzo Barbieri


ALIMENTAZIONE E FRODI ALIMENTARI LORENZO BARBIERI

ALIMENTAZIONE E FRODI ALIMENTARI

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Se c’è un grande primato, ancora non insidiato, del Belpaese sicuramente è quello legato al cibo. A tavola, infatti, non solo siamo molto esigenti, ma soprattutto vogliamo che mangiare sia un vero e proprio piacere, e come darci torto. Qualcuno però ci prova, certo non avvelenandoci le polpette, ma colpendo ignari consumatori col “boccone in bocca”. Le frodi alimentari, dove la contraffazione (cioè il rifilare prodotti, per lo più scadenti spacciandoli per intramontabili classici del piacere enogastronomico nostrano) la fa da padrona, sono una vera e propria piaga. Solo negli Stati Uniti, dove a nominare l’Italia è immediatamente associato un luculliano banchetto, la nostra esportazione è di 2.5 miliardi di dollari all’anno, stando alle recenti dichiarazioni della Coldiretti.

Bella somma, ma se pensate che oltre il 75% dei prodotti in commercio negli States sono falsi, capite perché i produttori dello Stivale sono sul piede di guerra e pungolano sempre di più le istituzioni nostrane. Dal romano cheese alla finocchiona made in USA, infatti, le perdite per l’export del nostro settore agroalimentare d’eccellenza sono quasi 10 miliardi. Ebbene, prodotti DOP, dai pomodori San Marzano al formaggio Asiago, senza dimenticare l’ottima mortadella felsinea, sono sistematicamente venduti in giro per il globo senza che abbiano nemmeno visto l’Italia, fatta salva la bandiera stampata sull’etichetta. Ora, ovvio che le frodi alimentari non si esauriscono nella contraffazione ma quest’ultima è talmente grave


che sono loro che dovrebbero far rispettare i marchi di qualità che appongono. Se, infatti, una ditta danese produce formaggio dichiarato in etichetta Fontina (prodotto DOP) esportato negli Stati Uniti e da lì chissà verso quali mercati potrà dirigersi, ebbene è proprio da questo fatto che da Bruxelles dovrebbero alzarsi voci di protesta e anche qualche provvedimento sanzionatorio. Ma dal Belgio, così solerti a multarci in altri settori, non sembrano ancora preparati a difenderci a spada tratta. Nell’attesa che il Ministro Mario Catania, così sensibile al tema lobbing, faccia pressione per tutto questo, l’appello è da rivolgersi ai consumatori, specie se frequentano spesso o risiedono in località estere: guardate bene cosa acquistate, d’altronde anche l’occhio vuole la sua parte.

che in Cina, la vendita del “Parmesano” ha superato di gran lunga quella del Parmigiano Reggiano, senza contare i danni subiti dai salumi, delle mozzarelle e via discorrendo, a cui si aggiunge il business delle agromafie che ammonta, solo in Italia, a 12.5 miliardi di euro, come ha recentemente ricordato l’europarlamentare Sonia Alfano, frutto di contraffazione e sofisticazione di prodotti e relativi marchi di garanzia. Non è però esclusivamente una questione legata alla distruzione di un marchio. Certo, l’immagine del brand “made in Italy” è importante e molto spesso è il mancato profitto che spinge i decisions makers a fare qualcosa; ma il punto è un altro. Il vero problema è l’Italian Style, cioè quel modello che viene abbinato al nostro Paese, perché, se malauguratamente i consumatori cominciassero a trovare scadenti i prodotti made in Italy, a causa dei falsi, scambiati per veri, che hanno acquistato, verrebbe meno l’unica ragione per cui possiamo ancora imporci con autorevolezza sul mondo del mercato agroalimentare: cioè i valori di qualità e di eccellenza rappresentati dal tricolore. La distruzione delle nostre eccellenze è certo da imputare in primo luogo a spregiudicati affaristi che si beffano della corretta concorrenza, ma anche alla sconsiderata sonnolenza delle istituzioni europee, visto

Lorenzo Barbieri Ricercatore

92 ALIMENTAZIONE E FRODI ALIMENTARI LORENZO BARBIERI


CALEIDOSCOPIO GAVIOLI ANTICA CANTINA HA INAUGURATO IL WINE SHOP PRESSO L’AZIENDA AGRICOLA DEL GRUPPO DONELLI

Gavioli Antica Cantina produce una gamma di lambruschi modenesi Doc provenienti da vigneti di oltre 30 anni, particolarmente apprezzati nel canale dell’alta ristorazione per qualità e genuinità: il Sorbara Doc Secco, il Grasparossa Doc Secco e il Grasparossa Doc Amabile. Tra le novità, lo Spumante Gavioli prodotto con metodo classico da uve Franciacorta (annate 2004 e 2005) e sboccato a novembre 2012. “Per consolidare il legame con il territorio” – ha commentato Angela Giacobazzi - abbiamo scelto di creare questo nuovo spazio dove i turisti e i nostri clienti potranno degustare e acquistare, in un ambiente raffinato e accogliente, il meglio della nostra produzione. La creazione del punto vendita è il primo passo di un importante progetto di valorizzazione della sede di Gavioli Antica Cantina, che prevede anche l’imminente apertura di un percorso di visita alla cantina e di un Museo del vino tra i più completi d’Italia.” Oltre ai lambruschi modenesi Doc di Gavioli Antica Cantina, presso il wine shop saranno disponibili la linea Scaglietti e i lambruschi Doc, Igt e 1915 a marchio Donelli Vini e altre tipologie di vini di brand appartenenti al Gruppo. Molto amati dai bambini (e apprezzati anche dai genitori) i succhi d’uva analcolici. Inoltre saranno presenti nel punto vendita gli aceti balsamici Dop e Igp di La Modenese e altri prodotti tipici del territorio modenese, come il Parmigiano Reggiano biologico 30 mesi e i salumi della tradizione. www.donellivini.it

CALEIDOSCOPIO

Sabato 8 dicembre la famiglia Giacobazzi ha inaugurato il wine shop all’interno di Gavioli Antica Cantina a Nonantola (MO).

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Newport Ave Market


DISTRIBUZIONE DANIELE TIRELLI

DISTRIBUZIONE

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DIPINGERE CON L’ORTOFRUTTA

Il turista italiano vittima del “complesso di Biancaneve” e il fascino dei mercati europei come Au Bon Marché a Parigi, Harrod’s a Londra e la Boqueria di Barcellona, sono solo un esempio del “painting with produce”, una nuova tecnica espositiva che coniuga il piacere estetico alla funzionalità. Daniele Tirelli


carnei alla propensione per i vegetali. Non avrebbe potuto essere diversamente, tenuto conto non solo dei grandi progressi agricoli e dell’industria alimentare, ma anche della ininterrotta ricomposizione etnica del paese. Si pensi, ad esempio, al peso assunto dalla componente ispanica, la quale tipicamente attribuisce una grande importanza alla freschezza alimentare e a quella della frutta e verdura in particolare, con tutti gli effetti dimostrativi sui consumatori di altra tradizione e altra etnia. Le catene di supermercati più dinamiche e innovative, peraltro, hanno proceduto, da tempo, ad una grande e sistematica valorizzazione della produzione agricola statunitense ed internazionale. La sua manifestazione più spettacolare si sintetizza nelle tendenze in atto che vanno sotto il nome di “painting with produce” (dipingere con l’ortofrutta) e di “produce display” (predisporre in modo efficiente ed accattivante un’ampia varietà di prodotti deperibili). D’altra parte molte catene indipendenti americane

I preconcetti e i luoghi comuni costituiscono un’ottima barriera difensiva per chi deve giustificare la propria inazione. Così, l’idea diffusa che gli amati-odiati Stati Uniti non sappiano in generale apprezzare la frutta e gli ortaggi come alimento quotidiano, spesso serve, nel nostro Paese, ad illudersi di essere tra i più esperti nel comprare e nel vendere questi prodotti deperibili. In realtà, una conoscenza più approfondita dello sterminato universo commerciale del continente nord-americano ci porterebbe ad una conclusione di ben altro segno. Ancora una volta, come cercherò di dimostrare, le tecniche di marketing e di merchandising trovano il loro presupposto sperimentale e innovativo proprio nell’America del Nord. Il modello dietetico della popolazione statunitense, come dimostra la sua storia ragionata, ha subito negli ultimi 150 anni una rapida evoluzione e molte drammatiche mutazioni che hanno orientato la preparazione dei pasti dalla passione per i regimi

96 DISTRIBUZIONE DANIELE TIRELLI


Newport Ave Market Display di nuova concezione consentono di disporre il prodotto secondo geometrie irregolari permettendo allo stesso tempo l’umidificazione e l’areazione dell’ortofrutta.


L’accostamento dei colori viene accuratamente studiato per valorizzare i contrasti cromatici di frutta e verdura.


alla suggestione visiva di accesi accostamenti cromatici, e persino l’aggiunta (in qualche caso) di effetti sonori tesi ad imitare lo scroscio della pioggia, nel momento dell’umidificazione. Ovviamente si tratta di una scelta che impone una selezione di frutti e ortaggi che, del tutto privi di difetti, sono così belli da sembrare falsi. Ne discende che spesso il turista italiano, osservandoli, cade vittima del “complesso di Biancaneve” collegando l’aspetto (questi prodotti perfetti) al dubbio circa la loro effettiva genuinità. Sulla qualità oggettiva del prodotto ortofrutta, per cui gli americani sarebbero assuefatti alla frutta gonfiata e insapore, beh bisognerebbe avviare il dibattito dopo aver gustato, per esempio, una susina o una Midnight Beauty, l’uva seedless di SUN World, le mele del Wisconsin o l’ampia varietà offerta da WholeFoods, da Central Market o da StewLeonard’s: insegne che servono le classi medie dei vari stati dell’Unione. Potremmo, per altri versi, discutere anche il luogo comune della soppressione americana

e, ovviamente, le tante aziende cooperative sono nate, in tempi ormai lontani, dall’attività di piccolo commercio di ortofrutta. Anche i farmer market da noi così spesso citati rivelano nel nome la loro origine. Curiosamente i retailer americani, con un atto di modestia, affermano nell’allestire i loro ordinatissimi e coloratissimi banchi espositivi di voler riprodurre il fascino suggestivo dei mercati europei, sebbene in realtà in Europa i luoghi che offrono un vero “spettacolo della merce” siano ormai pochi: Au Bon Marché a Parigi, Harrod’s a Londra e la Boqueria di Barcellona sopra tutti... Le soluzioni più spettacolari (che implicano un notevole dispendio di tempo e particolari abilità), si trovano piuttosto in India e nei paesi sudamericani. Ciò detto, è innegabile che molte catene americane hanno sviluppato da tempo estetiche raffinate adottando logiche moderne e funzionali per i loro supermercati. Esse sono volte a sollecitare la propria clientela con un approccio polisensoriale che unisce sempre l’esperienza dell’assaggio del prodotto

99 DISTRIBUZIONE DANIELE TIRELLI


della biodiversità. Una visita a Bristol Farms, a The Fresh Market o a Sprouts ci, convincerebbe della facile reperibilità degli “heirloom produce”, cioè delle secolari varietà di pomodori Brandywine, di CrabApple o della patata Purple Peruvian destinati ai consumatori sensibili a questa tematica neoromantica. Tornando al “painting with produce”, va detto che si tratta di una nuova tecnica espositiva che coniuga il piacere estetico alla funzionalità. Si prendano le banane disposte secondo la gradazione dal giallo al verde per identificarne il grado di maturazione oppure, nel caso dei peperoni, la piccantezza. In breve, la proposta assertiva di un prodotto freschissimo e qualitativamente inappuntabile è sempre più importante per caratterizzare in modo distintivo una catena di supermercati, rispetto ai grandi discounter come Wal*Mart o Costco. I prodotti freschi e deperibili (tra cui l’ortofrutta) coprono infatti dal 45 al 70% del fatturato dei supermercati più moderni e generano margini di profitto che compensano la

bassa redditività dei prodotti confezionati. Da qui la necessità di comunicare immediatamente e in modo intuitivo i valori d’impresa, parte dei quali è anche l’impegno per un’alimentazione sana, gratificante e varia. Tra gli esempi più significativi figura certamente la catena Nugget Market, che opera nel circondario di Sacramento (CA) ed è, da 80 anni proprietà della famiglia Stille. La soluzione che è stata gradualmente perfezionata nei punti di vendita di Eldorado Hills, Vacaville sino all’ultima soluzione più spettacolare di ElkGrove, prevede la disposizione verticale di vari ortaggi. Le sue geometrie asimmetriche sono state studiate per creare forti contrasti cromatici, per una corretta nebulizzazione e aereazione. Un tratto interessante da sottolineare è che questa disposizione risulta, come tempo di lavoro richiesto, più efficiente del classico impilamento verticale di altri negozi. Soluzioni analoghe sono state elaborate, indipendentemente dalle precedenti, anche in

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Newport Ave Market La disposizione asimmetrica delle nicchie del display consente, al contrario delle apparenze, di velocizzare la disposizione manuale dei frutti e dei vegetali.


L’accurata esposizione delle mele disposte su appositi vassoi, rende spettacolare l’entrata nel negozio di Garden of Eden sulla 14th Street di New York.

altri luoghi come ad esempio al Newport Market (Oregon), da Andronico’s (CA), negli store di Dorothy Lane (OH), nei Garden of Eden (NY) e in versione semplificata persino nei magazzini dei marines. Il termine stesso di “painting with produce” è derivato in realtà dall’arte di presentare frutta e verdura nelle imbandigioni o nelle fiere. Si ricollega anche ad un arricchimento assorti mentale costituito da preparazioni, da noi pressoché sconosciute, quali le ceste regalo, gli “edible arrangement” ovvero i fantasiosi elaborati per banchetti e celebrazioni o i “party tray”, vassoi pronti destinati ai pranzi in piedi o di lavoro. In sostanza l’abilità nel giocare con forme ed accostamenti dell’arancio delle carote, dei gialli, verdi, rossi di peperoni e pomodori, del violetto delle melanzane, ecc., costituisce la base di una professionalità sempre più ricercata dai gestori dei supermercati e offerta da specialisti di piccole società di servizi. Il tutto si completa ovviamente con altri apporti costituiti dallo studio di una illuminazione dedicata (che a sua volta sta vivendo una rapidissima evoluzione tecnologica) e di una grande creatività nell’arredamento e nello store design. Le varie correnti del “neoromanticismo alimentare” richiedono infatti estetiche “rustiche e contadine”, che si ricolleghino alla tradizione di una nazione che nei suoi primi secoli di vita fu essenzialmente un paradiso agricolo. Coerentemente, le tante catene di supermercati indipendenti a carattere locale come Roche Bros (MA), Kowalski’s (MN), Bush’s

(MI), ecc., enfatizzano con la comunicazione la loro politica di scelta preferenziale dei prodotti del proprio territorio. Allo scopo evidenziano quelli che hanno percorso meno di 100 miglia: una versione pragmatica e concreta del (da noi) conclamato e fumoso “km zero”. Inoltre operano in co-marketing con i produttori agricoli, sottolineando nome e cognome delle aziende fornitrici e le loro relative caratteristiche: una modalità molto efficace per far uscire dall’anonimato le eccellenze del mondo agricolo. Le lezioni che possiamo trarne per il nostro paese, ai fini di “vendere” meglio il prodotto ortofrutticolo all’interno della distribuzione moderna sono molteplici. La prima di esse è tuttavia l’invito a recepire un concetto basilare che proviene dagli USA: per difendere davvero la tradizione occorre sfruttare il meglio che ci è offerto dalla modernità commerciale.

104 AGRICOLTURA OGGI ALESSANDRA LEGNANI

Daniele Tirelli IULM Milano




AGRICOLTURA OGGI RENZO ANGELINI

AMBIENTE RURALE E PAESAGGIO

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KENYA

Masai style, custodi di biodiversità.

Renzo Angelini


È

un territorio molto vasto con un altopiano centrale a 1500 metri s.l.m. che raggiunge a occidente i 3000 metri. Intorno al monte Kenya con i suoi 5199 metri, l’Elgon (4321 m) e la catena dell’Aberdare-Nyandarva (3994), si concentrano l’85% della produzione e delle attività agricole. Più a ovest, lungo il 35° meridiano, la fossa tettonica detta la Grande Valle del Rift, una vera e propria barriera naturale per le specie animali e vegetali, profonda anche 1000 metri, dove le acque piovane si raccolgono in spettacolari laghi. Ad ovest della Rift Valley si estendono le grandi savane e le foreste con le famose riserve faunistiche meta dei safari fotografici. La superficie del Paese, quasi doppia rispetto l’Italia, ospita una popolazione di 32,8 milioni di abitanti (raddoppiata in diciannove anni) ed una crescita demografica del 3,2%. La scarsità di piogge rende il Paese improduttivo per l’83% del territorio e solo il 10% è destinato all’agricoltura. Oltre metà della popolazione è sotto la soglia di povertà e vive con meno di un euro al giorno, l’acqua potabile è limitata ai centri urbani ed il 25% dei minori di 15 anni contribuisce all’economia domestica, lavorando. Nonostante ciò l’agricoltura occupa circa l’80% della popolazione. Le aziende agricole hanno una superficie media di 500 mq e coltivano cereali ed orticole per l’autoconsumo e, in relazione alle diverse condizioni climatiche, nelle Highlands predominano grano, orzo e fiori mentre nelle Lowlands mais, riso, cotone, tabacco e canna da zucchero. Numerose sono le varietà di frutta ed il primato spetta all’ananas. Negli ultimi anni è aumentata la produzione di fiori tanto da raggiungere circa 2200 ettari, rose in particolare, nei dintorni di Nairobi, al punto da fare diventare il Paese leader nell’esportazione. Richiamando investitori internazionali sono state realizzate strutture serricole molto innovative e, sviluppate le infrastrutture, voli aerei giornalieri portano fiori freschi in tutta Europa. Il viaggio inizia da Nairobi, sorta nel 1899, al 300° miglio della strada ferrata dell’Africa Orientale Britannica, come deposito di materiale ferroviario, nelle terre Masai a 1660 metri di altitudine. Nel 1907 la capitale amministrativa passò da Mombasa a Nairobi, oggi popolata da oltre 2 milioni di abitanti, ricca di giardini raggiunge il massimo splendore nel mese di ottobre con la fioritura dei jacaranda, grandi alberi dagli spettacolari fiori lilla. A nord di Nairobi sono le terre dei Kikuiu, etnia maggioritaria e dominante che rappresenta il 22% della popolazione nazionale con 7.4 milioni di persone. Sono poligami (tranne i cristiani) e la moglie più anziana ha una posizione speciale: le è permesso di guidare le preghiere collettive fatte in nome della famiglia. Il possesso della terra è determinante per questo popolo di agricoltori che ne trae sostentamento fisico, spirituale e intellettuale.

108 AGRICOLTURA OGGI RENZO ANGELINI


L’ area collinare che va da Nairobi al monte Kenya è ricoperta dalle coltivazioni di tĂŠ, in primo piano, o di mais e dal tipico ombrello delle acacie spinose.



Vista aera delle coltivazioni di tĂŠ dal caratteristico verde brillante.


Coltivazioni di orzo in prossimitĂ della mietitura.


per l’appassimento e le successive lavorazioni (arrotolamento, fermentazione, essiccazione, taglio, triturazione e imballaggio in casse). Oltre la sagoma del monte Kenya si arriva alla Riserva Samburu, un ambiente collinare dalla tipica vegetazione di savana arbustiva nella quale vive una fauna molto varia: elefanti, bufali, orici e leoni. I Samburu sono una etnia nilotica di 147.000 individui che, da puri allevatori di zebù (tipiche vacche africane con un grosso gibbo) si vanno evolvendo in agricoltori. Un tempo si cibavano di latte integrando l’alimentazione con sangue salassato dalla giugulare degli zebù o dalla guancia delle capre, con miele e carne ovina: oggi mangiano anche cereali e patate che coltivano sull’altopiano vicino ai villaggi di capanne costruite con fango impastato di sterco, per coibentarle, e recintate con sterpaglie spinose per tenere lontano dal bestiame i numerosi predatori che popolano la zona. A Samburu si trovano alcune specie indigene come l’elegantissima giraffa reticolata

Il percorso si snoda in una bella regione di colline con una vegetazione esuberante. La coltivazione dominante è il tè, una pianta arbustiva o cespugliosa sempreverde dalle cui foglie si ricava la nota bevanda stimolante. La fascia di produzione arriva a 2500 metri di altezza: dalle zone di collina e di montagna si ottiene il prodotto più pregiato, perché l’altitudine influenza positivamente la qualità. È sensibile all’azione del vento e le piantagioni necessitano di protezioni frangivento. La raccolta consiste nella asportazione della cima terminale in via di sviluppo e di un numero variabile di foglie ancora giovani. Ogni raccolta viene fatta a intervalli regolari di 8-15 giorni, in modo che i germogli abbiano esattamente la taglia voluta, che corrisponde al particolare tipo di tè che si vuole ottenere. La raccolta viene fatta manualmente da squadre di raccoglitori che, con grande velocità e perizia, staccano le foglie e le depositano in grandi gerle portate a spalla, poi scaricate nel centro aziendale

111 AGRICOLTURA OGGI RENZO ANGELINI


Essicazione dei cereali.

Coltivazione di caffè.


Raccolta del tè.

Famiglia davanti la propria abitazione nella Rift Valley.


La produzione di fiori, rose in particolare, permette di esportare fiori freschi in tutta Europa.


Mercato di Isiolo.

avifauna, e il Bogoria, caratterizzato dalla presenza di un Geyser che ne testimonia l’origine vulcanica. Il percorso tocca villaggi dalle tipiche capanne di paglia, animati da variopinti mercati e numerosi pastori con i loro allevamenti di pecore, capre, dromedari e vacche africane, che hanno una scarsa resa rispetto alle razze europee che non è possibile allevare in Kenya a causa della mosca tsè-tsè e di altre condizioni avverse.

e la zebra di Grevy, dalle strisce sottilissime e dalle orecchie arrotolate. Si riparte per la Rift Valley originata venticinque milioni di anni fa, quando i vasti altopiani del Kenya, a causa di una gigantesca pressione sotterranea, si gonfiarono fino a creare una immensa cupola. Violente eruzioni crearono i vulcani che conosciamo oggi: Kenya, Kilimangiaro, Elgon. Con l’aumentare dell’attività sotterranea, la crosta terrestre sprofondò fino a formare l’attuale vallata del Rift che corre dal Mar Rosso al Mozambico. I paesaggi sono grandiosi, con superbe vallate selvagge. Nakuru è il capoluogo della provincia della Valle del Rift e si trova al centro di una ricca area agricola dove si producono tè, piretro, caffè, cereali e gli ortaggi che servono alla popolazione della metropoli di Nairobi. Da visitare è il Parco Nazionale ed il lago omonimi ad ovest dei quali si eleva la scarpata della Grande Valle che qui chiamano Baboon Cliff, ad oltre 2000 metri, da cui è possibile osservare il cambiamento del paesaggio, dalla palude intorno al lago alla foresta asciutta, alla savana arborea con le spinosissime acacie della febbre, alla savana, alla foresta di euforbie. Gli altri laghi della valle sono il Baringo, ricco di

MASAI MARA È la riserva più visitata del Kenya. Con una superficie di oltre 1600 kmq, è la continuazione naturale del Parco Serengeti in Tanzania, formato da un ecosistema molto vasto. L’area è un susseguirsi di sterminate pianure ondulate erbose, boschi di acacie, cespugli, corsi d’acqua ombreggiati, tra cui il Mara, nelle cui acque prosperano ippopotami e coccodrilli. Un ambiente da vera Africa. Un milione e mezzo di erbivori (gnu, zebre e gazzelle), che prendono parte alla “Grande migrazione annuale” per raggiungere i nuovi pascoli dopo la stagione delle grandi piogge e lasciare le grandi distese ormai bruciate dal sole dove manca l’erba per il sostentamento. Il grande

115 AGRICOLTURA OGGI RENZO ANGELINI


Mandria di elefanti nel parco di Samburu, con la tipica colorazione legata alla terra rossa del luogo.



Giraffe reticolate.

Leonesse.


Mandria di bufali.

Ghepardi a Samburu.


Guerrieri Masai presidiano l’entrata del villaggio.




Gente Masai.


Fiume Mara.


Zebra di Grevy.

Quando il bimbo nasce è considerato una bestia e prenderà il nome al compimento del terzo anno: il suo compito, fino all’età di 12-18 anni, è quello di occuparsi delle piccole mandrie di pecore e di capre, insieme ai fratelli. Dopo la circoncisione diventerà guerriero e potrà portare al pascolo le grandi mandrie di bovini o addirittura razziare quelle di altri villaggi. Si sposerà e diventerà un anziano guerriero, avrà figli e amministrerà la mandria dalla cui salute dipende il proprio prestigio; vivrà in un villaggio recintato dove vivono 4-5 famiglie ognuna delle quali avrà un proprio recinto interno. Crescendo i figli diventerà anziano e non avrà più compiti amministrativi ma solo quello di educare i bambini alle tradizioni del villaggio, si allontanerà verso il fiume dove attenderà il momento… come un vecchio elefante.

esodo arriva da sud, intorno a luglio, si concentra in speciali guadi del Mara e poi si sparge fra le colline della Riserva. Gli esemplari meno forti e più provati, cuccioli e madri preoccupate, sono facili preda di leoni, leopardi e coccodrilli. Verso la fine di ottobrenovembre, inseguiti dal loro strascico di predatori e necrofagi, ridiscendono il Serengeti per riprodursi. Siamo nel territorio abitato dai Masai, l’etnia keniana più famosa. Provenienti dall’Etiopia, fino al 1850 erano organizzati in sette tribù e razziavano il bestiame, considerati ottimi guerrieri, temuti e rispettati da tutte le altre tribù. Oggi la loro vita è legata all’attività pastorale seminomade. Possiedono grandi mandrie e si cibano di carne di pecora e capra. Il latte di pecora e capra è considerato l’alimento femminile. Cinque gruppi di età costituiscono una generazione ed ognuno svolge tutti i compiti previsti dalla società Masai.

125 AGRICOLTURA OGGI RENZO ANGELINI


Gli animi sospesi, olio su tela, 45 x 45 cm, 2012.


ARTE E NATURA SIMONA GAVIOLI

ARTE E NATURA

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OLTRE LA MEMORIA Il “già e il non ancora” nella pittura di Ilaria del Monte.

Simona Gavioli



“…l’arte di questa artista si stabilisce in una dimensione incantata nella visione complessiva della tela e assolutamente disincantata nello sforzo di andare dentro ciò che è stato descritto per cogliere un universo emozionale in costante bilico tra malinconia e scherno”. Martina Cavallarin

I

dipinti di Ilaria Del Monte sono narrazioni raccontate. Fiabe contemporanee che attingono alla memoria. Storie fatte di pennellate a olio che rappresentano mondi costruiti con un’apparente classicità assistita dalla tradizione pittorica novecentesca. Un tentativo di scardinare gli equilibri consolidati, giocando sull’imprevisto e sull’imprevedibile, che aprono una finestra mentale rivolta alla fantasia e alla speranza. Il suo tratto lieve e fiabesco, immerso nelle tematiche del suo tempo, risulta, talvolta, inquietante e claustrofobico ma sa, per questo, metterci di fronte alla metafora di una realtà, incessantemente sconvolta da eventi catastrofici, come terremoti, alluvioni, crollo delle borse e guerre, che generano inaspettate interruzioni della nostra vita e lasciano dietro di sé soltanto macerie. Osserva con molto acume Marc Augè che “gli antropologi hanno spesso sotto gli occhi un campo di rovine al cui disordine essi pretendono di sostituire l’ordine, ma esiste un equivoco di fondo perché sentono un proprio bisogno di dare storia, ciò che hanno sotto gli occhi è il cantiere del tempo nello spazio dove costruire l’inventario di miti e oggetti perduti”. Ne risulta che nelle opere di questa giovane artista lucana, classe ‘85, vincitrice del Premio ZingarelliRocca delle Macìe 2012, osservatori e osservati si confondono fra loro, quanto teorie interpretative e

Abito, olio su tela, 70x80cm, 2012.

129 ARTE E NATURA SIMONA GAVIOLI


In questa pagina dall’alto: Prima che i galli cantino, olio su tela, 70x80cm, 2011; Le briciole sulla tovagllia, olio su tela, 50x60cm 2012; nella pagina accanto: Le uova sul comodino, olio su tela, 40x50cm, 2011.



Prima della fuga, olio su tela, 90x100cm, 2012.

sequenze storiche, reperti ed episodi mitici. Infatti, qualsiasi rovina è una macchina mitopoietica capace di narrazioni che si avvalgono di fantasmi, d’esseri perduti in un tempo frusto e consumato, mentre il lontano e il prodigioso sussurrano al pensiero magico o alla leggenda metropolitana, sebbene non vi sia un luogo fisso, perché indeterminati sono gli ascoltatori-lettori di queste storie perdute. Le storie raccontate di Del Monte sono come viaggi che lasciano trasparire ricordi di un tempo smarrito, non un déjà vu nelle menti di tanti, ma, più forse, di una rêverie (istanza psichica che non si deve confondere con il sogno) che creano un’immagine poetica dove l’anima dichiara prepotentemente la sua presenza. Le opere di Ilaria sono sottilmente autobiografiche, segnate dalla costante presenza di una fanciulla che incarna l’autoritratto dell’artista. Una figura incantata, leggera come l’aria, protagonista di avventure che ricordano alcuni personaggi carrolliani in cui ogni logica è ribaltata, il sopra diventa sotto, i pavimenti non esistono e le donne camminano sugli alberi. Nella narrazione pittorica dell’artista, il “divenire-illimitato” diventa l’evento stesso, un episodio ideale e incorporeo con “tutti i rovesciamenti propri del futuro e del passato, dell’attivo e del passivo, della causa e dell’effetto. Il futuro e il passato, il più e il meno, il troppo e il non abbastanza, il già e il non ancora”. Secondo Deleuze

132 ARTE E NATURA SIMONA GAVIOLI




L’appartamento, 50x60cm, olio su tela, 2012.

“eventi infinitamente divisibili sempre l’uno e l’altro insieme, eternamente ciò che è appena accaduto e ciò che sta per accadere, mai ciò che accade”. Ecco, allora che in un’opera come Prima che i galli cantino la raffinatezza esasperata di Ilaria Del Monte e il suo essere bugia salvifica descrive due olivi che incorniciano il paesaggio circostante. Qui, rappresenta tre galli e una ragazza distesa sull’erba, persa con lo sguardo nella direzione della persona amata assente, ma della quale sono visibili solo i vestiti. Ancora una volta “l’arte di questa artista si stabilisce in una dimensione incantata nella visione complessiva della tela e assolutamente disincantata nello sforzo di andare dentro ciò che è stato descritto per cogliere un universo emozionale in costante bilico tra malinconia e scherno”. La Del Monte è una pittrice di scene sospese, una brava interprete della vita che, reiterandosi per raccogliere se stessa dalla caduta libera trattiene il respiro e imbocca la porta giusta salvandoci dalle rovine e dalle macerie della nostra difficile esistenza.

Ilaria del Monte è rappresentata in Italia da Roberta Lietti Arte Contemporanea (Como).

135 ARTE E NATURA SIMONA GAVIOLI

Simona Gavioli Critico e curatore


MELA VAL VENOSTA, UNA “FINESTRA” APERTA SULLA NATURA. Mela Val Venosta porta il profumo delle mele e l’incanto della sua valle direttamente a casa attraverso il nuovo sito web dedicato al mondo Val Venosta e ai suoi innumerevoli prodotti. Il portale www.vip.coop, dal design dinamico e vivace, offre ai visitatori un’informazione completa, immediata e veloce, ricco di nuove immagini, rinnovato nei contenuti e dall’aspetto divertente e familiare che coinvolge l’utente fin dalla schermata iniziale. Alle mele Val Venosta, il prodotto ortofrutticolo più tipico e rappresentativo della Val Venosta, è riservata un’attenzione particolare con dossier contenenti ricette, informazioni utili su concorsi e promozioni, curiosità, consigli di bellezza, studiati appositamente per far conoscere al pubblico del web le mille qualità di questo pregiato frutto. Cinque sono le sezioni informative del sito dedicate ai consumatori, alle quali si può accedere tramite il menu principale posizionato in alto, che rimandano con un solo click ai contenuti specifici di ciascuna area tematica: Uno spazio dedicato alle Cooperative VI.P e all’Associazione; Uno riservato alle tematiche della sostenibilità, a dimostrare l’impegno di VI.P nell’utilizzo di metodi di coltivazione che rispettano la natura e il consumatore; Una sezione inerente i territori e il clima specifico della Val Venosta; Una nuova area dedicata al benessere e alla salute, che illustra tutti benefici apportati dal consumo di mele; Una sezione riservata alle tipicità ortofrutticole venostane: alimenti freschi, gustosi e genuini, tra cui spicca la rinomata Mela Val Venosta nelle sue molteplici varietà, accompagnata da albicocche, ciliegie, piccoli frutti e diverse tipologie di ortaggi. Attraverso il “Diario di una mela” inoltre, i visitatori troveranno i link per accedere direttamente ai canali di comunicazione web 2.0: potranno così interagire con Mela Val Venosta e seguire tutti gli aggiornamenti sul blog e sulla pagina Facebook, nonché visionare video e immagini su Youtube e Flickr. Oltre a dotarsi di una grafica brillante e di una struttura chiara e immediata, il nuovo portale offre ai visitatori una visione d’insieme dei prodotti e delle attività dell’Associazione venostana, fornendo informazioni precise ed esaustive. Moderno e accattivante, il nuovo www.vip.coop sottolinea l’importanza che VI.P attribuisce alla comunicazione web, coniugando informazioni sui prodotti, le strutture e le attività di Val Venosta, con straordinarie immagini in grado di portare in un solo click tutta la croccantezza e la bontà dei prodotti Val Venosta a casa di ciascuno di noi. www.vip.coop


NUOVE PATATINE “PIÙ GUSTO LIME-PEPE ROSA” Dall’incontro fra il lime dei Caraibi e il pizzico brioso del pepe rosa, nasce una nuova creazione San Carlo. La linea “Più Gusto” si arricchisce della nuova ricetta “Più Gusto Lime-Pepe Rosa”, dal gusto unico, originale e raffinato, con una nota esotica di freschezza, che va ad aggiungersi alle altre sfiziose ed inconfondibili ricette della linea “Più Gusto”, tutte da provare. La nuova patatina, dal tocco esotico e caraibico, è caratterizzata da un sapore fresco, unico, che coinvolge in un’esperienza dal sapore effervescente. www.sancarlo.it

CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

137 LE PATATINE SAN CARLO A SOSTEGNO DELLA FONDAZIONE MARCO SIMONCELLI Da metà settembre sono presenti in tutti i punti vendita italiani oltre quattro milioni di confezioni di patatine delle linee “Classica” e “Dixi”, con uno special Brand dedicato alla Fondazione Marco Simoncelli. ulle confezioni sarà presente, infatti, l’operazione Super Message SIC per supportare la Fondazione mediante l’invio, al costo di 2 € i.i., di un SMS al 4883888 con la propria dedica per il SIC. Le dediche condivise dai fan saranno inoltre raccolte e stampate sulla carena delle moto del Team San Carlo Honda Gresini che scenderanno in pista al Gran Premio de la Comunitat Valenciana, l’11 novembre. A sostegno della Fondazione Marco Simoncelli è inoltre disponibile un’applicazione per iOS e Android con il Countdown a Misano per visualizzare in tempo reale quanto manca al MotoGP, una funzione per riprodurre il rombo del motore della moto di Simoncelli “sgasando” dalla manopola virtuale, e la possibilità di entrare nel Team del SIC caricando una propria foto. Il ricavato dell’intera iniziativa andrà a sostegno della Fondazione Marco Simoncelli per la costruzione di un centro per ragazzi diversamente abili a Sant’Andrea in Besanigo – Coriano (RN).


FOTOSINTESI

UN ANNO CON KARPÒS.

FOTOSINTESI ROBERTA FILIPPI

Roberta Filippi

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Alla fine di ogni anno solare si è soliti fare il punto e noi di Karpòs vogliamo ripercorrere le tappe dal primo numero, per farvi rivivere gli interventi più salienti di questa esperienza. Siamo partiti con il racconto dei buoni frutti della terra interrogandoci su cosa sia sostenibile o meno. Dal primo numero abbiamo voluto mettere a fuoco informazioni, ricerche, dibattici e opinioni per innalzare lo standard dei saperi e la consapevolezza nel consumatore della filiera produttiva e dell’integrazione delle conoscenze che trasformano i prodotti alimentari in cultura materiale ovvero in comportamenti coscienti e condivisi. Abbiamo voluto “andare oltre” per condividere con voi una visione più ampia della comunicazione della scienza, capace di fondere criteri estetici e verità sperimentali, bellezza e precisione, umanesimo e sapere tecnologico.

E siamo stati costretti ad “andar oltre” il triste episodio del sisma avvenuto in Emilia: il terremoto ha colpito uno dei territori chiave della nostra agricoltura. Attraverso la nostra rivista abbiamo rivolto un appello a tutti i consumatori cercando di sensibilizzarli, tramite la conoscenza, a comprare i prodotti tipici della regione, vere eccellenze conosciute in tutto il mondo. Partendo dal cambiamento, necessario alla nostra economia, vi abbiamo spronato a esser consapevoli del ritmo dei mutamenti strutturali nel settore alimentare, di cui far tesoro, imparando a conoscere la stagionalità dei prodotti. Indubbiamente l’essenza del benessere risiede nello stile di vita. A tal riguardo è importante imparare ad alimentarsi in modo corretto e piacevole: prevenzione fondamentale nei confronti di gran parte dei malesseri che ci rovinano la vita. Alimentazione, prevenzione e salute divengono quindi i cardini della modernità che dia vita a nuovo modo di concepire l’ambiente dando alla parola sostenibilità un fondamento di realismo. In ogni numero della rivista noi abbiamo lavorato per dare una risposta al bisogno di integrazione tra questi tre fattori.


FOTOSINTESI ROBERTA FILIPPI

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Alimenti presentati come vere e proprie star; informazione, alimentazione e società approfondite da un comitato scientifico selezionato e composto dai massimi esperti in ogni settore. I racconti dell’ambiente rurale attraverso il viaggio in luoghi come la Cina, l’India, il Sud Africa o la Cambogia. Interviste a personaggi del calibro di Margherita Hack o approfondimenti importanti come quello del Mons. Marcelo Sànchez Sorondo. O ancora interventi di scrittori quali Antonio Pascale in grado di spiegare con semplici parole concetti a volte lontani dal sapere comune. Senza dimenticare come l’arte e gli stili di vita abbiano fornito un valido contributo al raggiungimento del fine: trattare il nostro cibo quotidiano come nessuno l’ha mai raccontato, di capire l’agricoltura partendo dal presupposto che è il modo migliore di salvare l’ambiente, la salute e il nostro futuro, imparando ad alimentarci seguendo il ritmo dei prodotti della nostra agricoltura.



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