Karpòs Magazine - Alimentazione e stili di vita - n. 2 - Marzo 2013

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Karpos

Karpòs alimentazione e stili di vita

Anno II - N° 2 Marzo 2013 - Copia gratuita online

w w w. k a r p o s m a g a z i n e . n e t

COVER STORY

DONNAFUGATA AGRICOLTURA OGGI

FRAGOLA POMODORO LE INSALATE

FOTOGRAFIA E NATURA

AKIYOSHI ITO

PAESAGGIO

CHIAPAS

CRESCERE INSIEME



EDITORIALE

CRESCERE INSIEME

Renzo Angelini Direttore editoriale

A

partire dal 2013 abbiamo deciso di scegliere per Karpòs una diffusione centrata sul web. Coerentemente con questo cambiamento di rotta la rivista è stata spedita a un data base composto da addetti ai lavori, studenti e professori del settore primario e appassionati fans dell’agricoltura. Quindi 112.700 soggetti hanno ricevuto il primo numero on line nel loro computer. La loro risposta è stata straordinaria. Tutti sono in attesa del prossimo numero e oltre 20.000 hanno conferito il massimo della valutazione al nostro prodotto editoriale. Se a questi numeri aggiungiamo le persone che visitano il nostro sito www.karposmagazine.net e scaricano la rivista, posso senz’altro ritenermi soddisfatto: non solo la filosofia del nostro progetto comunicativo si trova confermata, ma i modi che stiamo attualizzando per dare profondità ed effetto immagine ad un settore economico cruciale per il nostro Paese sono stati apprezzati da lettori esigenti ed evoluti. Voglio ringraziare soprattutto tutti quelli che ci hanno giudicato dal momento che vogliamo continuare ad affinare il nostro progetto editoriale e a tal riguardo i feedback continui con i lettori rappresentano un fattore importante di controllo e crescita. Karpòs vuole essere uno strumento di divulgazione e ricerca. Le retroazioni con chi ci segue sono fondamentali per prendere la strada giusta che, se continueremo ad essere efficaci, potrà portarci a realizzare i nostri obiettivi: presentare come merita la bella agricoltura, mostrare i benefici che produce, cambiare la mentalità post moderna che vorrebbe relegarla in un ruolo subordinato, polveroso e inattuale. In realtà i dati veri sono molto diversi. Continuano

a crescere i giovani che scelgono questo settore per fare impresa, le facoltà di agraria sono tra le poche che hanno aumentato gli iscritti, i temi correlati alimentazione-salute-produzione agricola sono tra i più gettonati dalla pubblica opinione. Insomma, forse il settore agro-alimentare non sarà all’avanguardia nella comunicazione spettacolo oggi dominante. Ma con i suoi valori non si scherza. La riproduzione dei processi vitali partono dal cibo che produciamo. Penso che per il bene dell’agricoltura e del nostro Paese tutti lettori appassionati ad un life style intelligente dovrebbero sostenere, promuovere ed affermare le ragioni dell’agricoltura. Karpòs a suo modo lo sta facendo, dando la parola agli scienziati, ai divulgatori, ai tecnici che ogni giorno fanno evolvere l’agricoltura per metterla al passo con i problemi reali di una società che non può continuare solo a sognare. Per rendere più efficaci i nostri interventi, come sottolineavo all’inizio del mio editoriale, abbiamo bisogno di feedback permanenti con i nostri lettori, abbiamo bisogno di condividere con essi i percorsi che conferiscono alle narrazioni che proporremo lo statuto del sapere che conta, ovvero quello che ci rende migliori e consapevoli dei problemi che dobbiamo risolvere. Per rendere sempre più proattivo il nostro rapporto con il lettore da questo numero daremo inizio ad una promozione che garantirà a chi si iscrive al sito di Karpòs la possibilità di scaricarsi gratuitamente i prossimi 5 numeri della rivista. L’iscrizione sarà semplicissima e ci permetterà di conoscere meglio chi ci segue. Ovviamente saranno del massimo interesse le opinioni sui singoli articoli e i suggerimenti per migliorare la rivista.

03 EDITORIALE RENZO ANGELINI


Karpòs Magazine MARZO 2013

Direttore editoriale Renzo Angelini Direttore responsabile Lamberto Cantoni Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012 variazione in corso di registrazione Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) CF 04008690408 - REA 325872 Grafica Francesca Flavia Fontana Redazione Roberta Filippi roberta.filippi@karposmagazine.net

Raccolta pubblicitaria Per contatti cell 335 6355354 pubblicita@karposmagazine.net

03 Editoriale CRESCERE INSIEME Renzo Angelini

29 CALEIDOSCOPIO POMODORINO DEL PIENNOLO DEL VESUVIO D.O.P.

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@

www.karposmagazine.net

AGRICOLTURA OGGI POMODORO Nazzareno Acciarri

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CALEIDOSCOPIO CON I PIEDI PER TERRA

CALEIDOSCOPIO CONSORZIO PATATA ITALIANA DI QUALITÀ

39 AGRICOLTURA OGGI LE INSALATE Nicola Calabrese

Diffusione online Karpòs Magazine viene inviato gratuitamente a una community di oltre 120.000 stakeholder della filiera agroalimentare, tra cui università, istituzioni, industrie, Grande Distribuzione Organizzata, Ho.Re.Ca. fornitori di mezzi tecnici e servizi, associazioni, agroindustrie, produttori, tecnici e centri media.

09

66 CALEIDOSCOPIO VALFRUTTA, LA FAMIGLIA ORSERO BONDUELLE, ZUPPE FRESCHE PRONTICOSÌ

64 CALEIDOSCOPIO BIRRA CASTELLO

68 CALEIDOSCOPIO SAN BENEDETTO


Per le fotografie:

71 84

CALEIDOSCOPIO VAL VENOSTA

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ALIMENTAZIONE E CULTURA RE PROSCIUTTO Giovanni Ballarini

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Nazzareno Acciarri: 27-31-32 Michele Curci: 43-44-45-46-61 Gabriele Romagnuolo: 53 Fabrizio Abbondanza: 55 Walter Faedi: 111-116 Daniele Tirelli: da 120 a 128 Donnafugata: da 130 a 137 Akiyoshi Ito 2012 - thanks to MNAF: da 138 a 146 Tutte le altre fotografie: © Renzo Angelini In copertina: “Ferma il tempo” © Akiyoshi Ito 2012

Ambiente rurale e paesaggio CHIAPAS Renzo Angelini

AGRICOLTURA OGGI FRAGOLA Walther Faedi e Gianluca Baruzzi

121 131 COVER STORY DONNAFUGATA Antonio Bramclet

DISTRIBUZIONE LA BOQUERIA Daniele Tirelli

139 FOTOGRAFIA E NATURA AKIYOSHI ITO Lamberto Cantoni

Non si restituiscono testi, immagini, supporti elettronici e materiali non espressamente richiesti. La riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni è vietata senza espressa autorizzazione dell’editore in mancanza della quale si procederà a termini di legge per la quantificazione dei danni subiti. L’editing dei testi, anche se curato con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze, limitandosi l’editore a scusarsene anticipatamente con gli autori e i lettori. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo ha scritto e pertanto ne impegna la personale responsabilità. Le opinioni e, più in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte dell’editore anche nel caso di eventuali plagi di brani da fonti a stampa e da internet. Karpòs rimane a disposizione di altri eventuali aventi diritto che non è stato possibile identificare e contattare.


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AGRICOLTURA OGGI NAZZARENO ACCIARRI

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I POMI D’ORO

Originari dell’ America centro-meridionale, erano conosciuti come “tomatl” dagli antichi Incas e Aztechi, arrivarono in Italia e Spagna come curiosità botanica in seguito ai viaggi di Cristoforo Colombo. Oggi si coltivano soprattutto in serra e sempre presenti negli orti famigliari, il consumatore può scegliere ogni volta il prodotto capace di dare maggiore soddisfazione: dai ciliegini, agli insalatari, alle diverse tipologie regionali. Alimento base della dieta mediterranea, sono ricchi di vitamine e di antiossidanti come il licopene. Nazzareno Acciarri


Il centro di origine del pomodoro viene individuato nella zona Andina dell’ America centro-meridionale.

var. cerasiforme sia stato uno dei principali antenati dei pomodori coltivati e consumati. Arrivò in Italia e Spagna come curiosità botanica dopo la scoperta dell’America in seguito ai viaggi di Cristoforo Colombo. La prima descrizione ufficiale italiana di questa specie risale al 1554 ed è di Pier Andrea Mattioli che definì i frutti come molli, internamente settati e che virano dal verde al giallo, da cui il nome di ‘Pomi d’Oro’; solo più tardi, in un altro trattato, menzionerà per la prima volta l’esistenza di frutti rossi. Il Mattioli, tra l’altro, aggiunge che alcuni consumavano le bacche non completamente mature, fritte in olio e condite con sale e pepe. Fino a tempi piuttosto recenti i frutti di pomodoro sono stati considerati velenosi come quelli di molte altre specie appartenenti alle ‘solanacee’ a causa della ‘tomatina’, un alcaloide presente soprattutto nelle foglie e nei frutti acerbi; in realtà la tomatina durante il processo di maturazione viene degradata in un prodotto non tossico. Attualmente il pomodoro è diffuso ovunque ed è raccomandato in ogni dieta equilibrata. Gli italiani, probabilmente, sono stati i primi a ottenere ed allevare nuove cultivar con differenze nelle principali caratteristiche dei frutti. É verosimile che anche i primi pomodori coltivati in altri Paesi europei ed in USA avessero origine italiana. Per molto tempo, in Europa, furono attribuiti al

La denominazione scientifica del Pomodoro è Solanum lycopersicum L., ha 24 cromosomi (2n) e viene consumato in tutto il mondo, sia fresco, tal quale, sia in insalata o anche come ingrediente in numerose e diversificate preparazioni oppure sottoforma di diversi tipi di trasformato quali succhi, passate, concentrati, pelati. È, probabilmente, l’ortaggio più diffuso al mondo tanto da essere coltivato, oramai, quasi in ogni angolo della terra e rappresenta, per l’uomo, una importante fonte di vitamine ed altri nutrienti. É stato classificato scientificamente, per la prima volta, da Linneo nel 1753 all’interno della famiglia delle Solanacee come Solanum lycopersicum; il nome specifico lycopersicum deriva dal greco e significa “pesca dei lupi”. Il centro di origine viene individuato nella zona Andina, dell’America centro-meridionale, compresa tra Cile ed Ecuador dove è estremamente adattabile vivendo da 0 metri sul livello del mare fino oltre i 3000 metri. Numerose sono le specie affini al Solanum lycopersicum; solo alcune sono con esso sessualmente incrociabili mentre quasi tutte, ancora oggi, sono fonte di caratteri utili nel miglioramento genetico. I primi popoli ad utilizzare il pomodoro furono gli antichi Incas e gli Aztechi che lo chiamavano tomatl, si comprende come da questa parola siano derivate le denominazioni in alcuni dialetti italiani e lingue europee, mentre tra le diverse specie e varietà botaniche note si ritiene che il Solanum lycopersicum

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trasformazione industriale. Entrambe le tipologie hanno, nelle fasi iniziali della crescita, fusto eretto con la tendenza a prostrarsi e, nel pomodoro da mensa, richiedente il sostegno della pianta con diverse tipologie di tutori. Le foglie, disposte sul fusto in modo alterno, sono composte, imparipennate, lunghe 2030 centimetri mentre le foglioline sono di diverse dimensioni, più o meno bollose e lobate. I fiori, prevalentemente di colore giallo, sono ermafroditi, gamosepali (5 sepali) e gamopetali (5 petali), sono raccolti in infiorescenze racemose, semplici o ramificate, portate sia lungo il fusto principale che sulle ramificazioni secondarie. Il numero di fiori per infiorescenza è molto variabile. Sia l’emissione delle infiorescenze sia la fioritura delle stesse sono molto scalari, tanto che spesso sulla stessa infiorescenza sono presenti piccoli frutti, fiori aperti e fiori ancora non in antesi. Il frutto del pomodoro è una bacca da bi a pluriloculare; di dimensioni, forma e colore molto variabili a seconda della cultivar. Solitamente è rossa a maturazione, ma esistono altre tonalità che vanno dal rosa al giallo ecc... Possono essere presenti striature di diversa colorazione a volta estese su tutto il frutto, ma più frequentemente limitate alla zona prossimale all’attacco del peduncolo (spalla). La forma va dal tondo, all’ovale, allo schiacciato, al piriforme fino

pomodoro poteri magici ed afrodisiaci tanto da essere chiamato love apple, libesapfel o pomme d’amour. Al riguardo famosa è la leggenda del giovane Peyrot Bory che nel paesino francese di Marmande fece innamorare la bella Ferline offrendole frutti di pomodoro. Marmande è, ancora oggi, la denominazione di una delle più famose tipologie di pomodoro. CARATTERI BOTANICI È una pianta erbacea che alle nostre latitudini viene considerata pianta annuale, nelle zone di origine, in relazione alle favorevoli condizioni climatiche, è tendenzialmente perenne con durata e vigore variabile a seconda della varietà. Ha un apparato radicale fittonante e molto ramificato capace di svilupparsi molto in profondità anche se la maggior parte delle radici si distribuisce nei primi 20-30 centimetri. Ha fusto e foglie pubescenti con i peli che producono secrezioni aromatiche costituite da sostanze utili a proteggere la pianta da alcuni parassiti. La pianta di pomodoro, originariamente molto espansa, ramificata e strisciante, ha subito, attraverso le selezioni operate dall’uomo, progressive modifiche oggi riconducibili a due tipologie dominanti: a sviluppo indeterminato per la produzione di pomodoro da mensa e a sviluppo determinato, molto raccolto, per la produzione, quasi esclusivamente, di pomodoro destinato alla

Tempio azteco di Quetzalcoatl - Messico.

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POMODORO DA MENSA

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POMODORO PER LA TRASFORMAZIONE INDUSTRIALE

Raccolta del pomodoro nel Ferrarese.

Raccolta in Capitanata (FG).

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Fiori di pomodoro impollinati.

all’allungato con presenza o meno di costolature più o meno evidenti con pesi che possono variare dal grammo ad oltre il chilogrammo. I semi sono piatti, tondeggianti, solitamente di colore paglierino con tegumento tomentoso a causa di strati di cellule morte. IL POMODORO NEL MONDO E IN ITALIA Il più grande produttore mondiale di pomodori (da mensa e da industria) è la Cina con oltre 47 milioni di tonnellate, molto a distanza seguono USA ed India con oltre 12 milioni quindi Turchia, Egitto ed Italia, quest’ultima con quasi 6 milioni di tonnellate coltivate su quasi 120 mila ettari. Riguardo il solo pomodoro da mensa l’Italia è, dopo la Spagna (2,1 milioni di tonnellate) il più importante produttore dell’Europa a 27 stati con

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oltre 1 milione di tonnellate rilevate dalle statistiche ufficiali che però non tengono conto degli orti familiari e degli allevamenti hobbistici fatti con ogni sistema e situazione per cui la produzione e la superficie reale sono verosimilmente molto maggiori. Seguono Paesi Bassi (quasi esclusivamente con allevamenti sotto serra), Grecia e Francia. I Paesi Bassi, per l’alta specializzazione nelle produzioni in coltura protetta e per l’elevato standard qualitativo inteso come uniformità e presentazione del prodotto meriterebbero una trattazione a parte. Per quanto riguarda l’Italia, le importazioni (97 mila tonnellate) fanno riferimento quasi esclusivamente ai Paesi dell’UE e i principali mercati di approvvigionamento sono Spagna, Paesi Bassi e Francia, dai quali si ricevono rispettivamente il 37, 28 e 18% del totale richiesto. Solo una minima parte (4%) proviene dai Paesi terzi (Marocco). Sul fronte delle esportazioni (129 mila tonnellate), i principali mercati di sbocco di pomodori da mensa italiani sono Germania (34%), Austria (13%) e Romania (11%), mentre tra i mercati extra-UE i più importanti sono Svizzera (4%), Croazia e Albania (2%). Il saldo della bilancia commerciale, comunque, è in attivo. A livello nazionale il pomodoro da mensa risulta la coltura più intensamente coltivata in ambiente protetto (7.280 ha), rappresentato da serre tunnel di diversa superficie e cubatura unitaria; in questo settore la Sicilia è la regione più importante (oltre 3 mila ettari e 230 mila tonnellate prodotte)

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Cuor di bue.

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PRODUZIONE DI POMODORO NEL MONDO Stato Cina Usa e India Turchia Egitto Italia Grecia Spagna Paesi Bassi Francia Marocco Germania Austria Romania Svizzera Croazia e Albania

dominanti. L’impiego di mutanti naturali è iniziato da molti anni ed oggi sono disponibili linee, varietà ed ibridi con resistenze multiple a funghi, batteri, nematodi e virus. Per una corretta ed economicamente efficace scelta varietale, è necessario avere la conoscenza del mercato di destinazione. Scegliere un ibrido, oggi, è oltremodo complesso anche per l’esistenza di nicchie commerciali che richiedono specifiche cultivar magari pochissimo diffuse in molti mercati ed areali di coltivazione. Anche il consumatore deve avere una conoscenza di ciò che il mercato offre al fine di scegliere ogni volta il prodotto capace di fornire maggiore soddisfazione.

con vaste aree serricole nel Ragusano, nella zona di Vittoria, e nell’area di Pachino (Siracusa) nota per produzioni di elevata qualità organolettica; seguono la Campania ed il Lazio con quasi 800 ettari ciascuno e la Sardegna con oltre 500 ettari. I POMODORI COLTIVATI IN ITALIA Il pomodoro è una delle specie maggiormente studiate al mondo da parte di genetisti, agronomi, patologi, breeder, nutrizionisti. Nella sua pur breve storia fuori dalle zone di origine ha vissuto trasformazioni radicali che hanno interessato pianta, frutto, adattamento alle diverse condizioni ambientali, resistenza a patogeni. In particolare, quest’ultima caratteristica è stata sviluppata con tutte le tecniche disponibili del miglioramento genetico e della biologia molecolare. Il pomodoro è sensibile a decine di patogeni, alcuni dei quali possono arrecare danni prossimi anche al 100% della PLV. Il controllo con prodotti chimici non sempre risulta efficace ed anche il miglioramento delle tecniche agronomiche non può essere risolutivo; il ricorso alle cultivar dotate di geni capaci di conferire resistenza diviene quindi necessario. L’odierna ampia disponibilità di cultivar con resistenze genetiche dipende dalla disponibilità di fonti naturali della resistenza stessa. Nel pomodoro sono stati largamente introgressi geni maggiori dominanti o parzialmente dominanti che conferiscono resistenza specifica o verticale. Geni minori recessivi o complessi genici (resistenza orizzontale o poligenica) sono stati utilizzati con minore successo solo in mancanza di geni

TONDI PER RACCOLTA A ROSSO SIA A FRUTTO SINGOLO CHE A GRAPPOLO Sono pomodori coltivati in pieno campo ma soprattutto in serra durante tutto l’anno, hanno un peso medio variabile da meno di 100 grammi ad oltre 150 fino, in alcuni casi, a 200. Una volta il pomodoro da mensa poteva essere raccolto solo immaturo per evitare che marcisse durante le fasi di lavorazione e trasporto. La raccolta a rosso senza che ci sia un decadimento delle qualità del frutto prima di raggiungere il consumatore è consentita dall’introgressione nel corredo genetico di un mutante naturale capace di rallentare i processi biochimici che portano alla marcescenza. Si raccolgono sia a frutto singolo che a grappolo. Insieme ai tipi cherry sono i più coltivati in coltura protetta. La gamma varietale in commercio che fa riferimento a questa tipologia è, forse, la più vasta oggi disponibile.

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Mercato delle verdure nello Yunnan - Cina.

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Jodhpur - India. Isiolo - Kenya.

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San Cristobal de las Casas - Messico. San Juan Chamula - Messico.

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del San Marzano italiano. I mini San Marzano stanno riscuotendo molto interesse tra gli operatori e tra i consumatori.

D’altra parte questi tipi sono i più coltivati anche nelle serre di altri Paesi e pertanto soggetti a continue evoluzioni varietali. Tutti sono dotati di numerose resistenze, più o meno efficaci, a diverse fitopatie.

Insalatari. Sono i classici pomodori prettamente “da insalata”. Si raccolgono verdi oppure a diversi gradi di “invaiatura” ossia di viraggio di colore. In questi tipi è fondamentale, per l’accettazione da parte del consumatore, la tonalità del verde e soprattutto il viraggio di colore dal verde al rosato-rosso. Il loro peso medio solitamente oscilla tra 150 e 250 grammi. La forma è più o meno globosa o più o meno schiacciata, costole quasi sempre accennate. Prima dell’arrivo dei tipi a grappolo rosso e dei ciliegini era la tipologia più comune in commercio e più diffusa in coltura.

Ciliegini, ovali piccoli, datterini. In molte aree, soprattutto della Sicilia, hanno una diffusione superiore alla tipologia precedente, si raccolgono sia a grappolo che a frutto singolo, il peso medio va da 20 a 35 grammi e scende anche sotto i 15 per i “datterini” che, di forma più allungata rispetto ai tipici ciliegini, sono, solitamente, di gusto molto buono. Sono tipi entrati a far parte della dieta di molti italiani che li utilizzano sia cotti che crudi. In genere sono imitazioni migliorate, per maggiore conservabilità e produttività, di famose cultivar locali tipiche della Campania, della Puglia e della Sicilia.

Tipi “Marmande”. Sono anch’essi dei pomodori prettamente “da insalata”. Hanno un eccellente sapore e sono caratteristici per la forma tendenzialmente appiattita e costoluta. Si raccolgono al viraggio di colore quando si evidenzia in modo spiccato la spalla verde. Il loro peso medio è molto variabile. Anche per questa tipologia, come per i ciliegini, la zona di elezione è quella di Pachino.

Mini San Marzano. È la più recente delle tipologie a frutto piccolo con peso medio di circa 35-40 grammi. La forma è quella di un San Marzano di dimensioni molto ridotte. Questi tipi vogliono riunire il pregio dei pomodorini di piccole dimensioni con la tradizione

ETTARI PER LA COLTIVAZIONE DI POMODORO DA MENSA IN ITALIA Regione

Ettari

Sicilia

3.000

Campania

800

lazio

800

Sardegna 500

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TONDI ROSSI

gamma dei pomodori insalatari offerti al pubblico. La coltivazione interessa oramai diverse regioni italiane sia in pien’aria che in coltura protetta; in particolare, oltre che nelle regioni di origine, si sono diffusi ampiamente nelle serre di Sardegna e Sicilia, ma anche in Veneto e Lazio. Si tratta di un pomodoro con frutto piriforme o “canestrino” molto costoluto e con peso medio superiore ai 200-250 grammi. Solo alcune ditte hanno ibridi F1 appartenenti a questa tipologia.

Collettati scuri tipo “Camone”. Tradizionalmente coltivati in Sardegna e nella zona di Pachino, in Sicilia, si caratterizzano per una “spalla” del frutto molto scura e striata e per il sapore che, accentuato dall’impiego di acque salmastre, è tipicamente e spiccatamente agrodolce e molto gradevole. Sono raccolti e venduti al viraggio di colore, quando proprio la colorazione rosa-marrone scuro unita a striature di verde intenso rende questi pomodori molto attraenti. Il peso medio è di circa 50 grammi.

Pera d’Abruzzo, Rosa di Sorrento, Locale di Belmonte. Sono tipologie ancora poco conosciute alla maggioranza dei consumatori, ma tutte e tre hanno una interessante diffusione nelle regioni di origine (Marche ed Abruzzo per il “Pera”; Campania per il “Rosa di Sorrento”, Calabria per il “Locale di Belmonte”). Sono prevalentemente utilizzati come insalatari, il loro frutto ha un peso che supera solitamente i 250 grammi. Il colore è rosso per il “Pera” mentre è rosa per il “Sorrento” ed il “Belmonte”.

Allungati ed ovali da insalata. Sono quei pomodori che vogliono richiamare il più tradizionale dei pomodori italiani, il “San Marzano”, ma quasi sempre non sono geneticamente e qualitativamente assimilabili ad esso. Vengono coltivati sia in pieno campo che in serra per essere raccolti a vari stadi di maturazione sia a frutto singolo che a grappolo. Il peso medio del frutto va solitamente da 90 a 140 grammi, mentre variabile è la loro lunghezza ed anche il colore con presenza o meno di spalla verde. In questa tipologia vanno scelte le cultivar che meno evidenziano i problemi di marciume apicale.

Tipi “Cocktail”. Sono pomodorini, solitamente raccolti a grappolo, di forma tonda e del peso medio di circa 40-60 grammi quindi lievemente più grandi dei ciliegini.

Costoluto di Albenga o anche Cuor di Bue di Albenga. E’ una tipologia tipica italiana ed in particolare della Liguria e del basso Piemonte; assomiglia molto a questa cultivar l’altrettanto famoso “Canestrino” toscano. Grazie al gusto, alla consistenza ed all’aspetto, molto graditi dal consumatore, stanno conoscendo una diffusione ed un successo commerciale inimmaginabile sino a pochi anni fa. Non vanno confusi con il “Cuor di Bue classico” che ha una forma molto diversa ed è di colore rosa a maturazione. Tutti i più importanti marchi della “grande distribuzione” si stanno interessando a questa tipologia inserendola immancabilmente nella

LA TRADIZIONE, IL RE DEI POMODORI, DOP E IGP. L’Italia è, senza ombra di dubbio, il paese più ricco di antiche varietà di pomodoro da mensa divenute tradizionali in diverse regioni. Le prime selezioni, fatte dagli ortolani senza alcun fondamento scientifico, potrebbero essere assimilate ad una sorta di empirica selezione massale: venivano scelte, per la riproduzione, le piante più belle e più sane, i frutti più colorati (prevalentemente rossi), più grossi o più sapidi dalle forme più disparate, secondo le preferenze del singolo

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CILIEGINI E DATTERINI

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SAN MARZANO

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MARMANDE

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che teneva conto delle preferenze dei consumatori del luogo per poter meglio vendere il proprio raccolto. Da queste scelte legate al gusto degli ortolani, dei consumatori locali e quindi al territorio sono nate moltissime cultivar diversificate non solo per regione ma anche per confini “comunali”. Dal Piemonte alla Sicilia si assiste al proliferare di varietà con forme, colori, sapori e tipologie di pianta più disparate, una ricchezza legata ad una diversità genetica di inestimabile valore scientifico e culturale. È nato, così, un numero elevatissimo di varietà locali di pomodoro da mensa quali, ad esempio: ‘Costoluto di Albenga’, ‘Cuor di bue’ ‘Pera d’Abruzzo’, ‘Rosa di Sorrento’, ‘Pantano Romanesco’, ‘Scatolone di Bolsena’, ‘San Marzano’, ‘Locale di Belmonte’, ‘Canestrini’ (tutti a frutto grosso o allungato); ‘Pizzutello di Paceco’, tipi da ‘Serbo’ e ‘tondini’ in generale, ‘Corbarino’, ‘Nocerino’, ‘Principe Borghese’, Piennolo ecc. (a frutto piccolo). Alcune di queste varietà, pur evolutesi in zone distanti tra loro, sono molto simili e facilmente confondibili, altre, originarie della stessa zona, mostrano evidenti differenze di dimensioni del frutto, forma, colore e sapore. Per moltissimi anni, nonostante gravi difetti, sono state queste le tipologie coltivate e consumate. Come per molti ortaggi tipici del nostro territorio, anche il pomodoro italiano è stato fonte, per molte organizzazioni sia pubbliche che private, di caratteri utili per il miglioramento genetico. Sono

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CALEIDOSCOPIO

Il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio D.O.P. è uno dei prodotti più tipici ed antichi dell’agricoltura campana, tanto da essere perfino rappresentato nella scena del tradizionale presepe napoletano. Esso beneficia del terreno vulcanico e del sole generoso: si dice che anche il suo colore “ardente” sia opera del vulcano, poiché secondo la leggenda, le sue radici si nutrono della lava stessa del Vesuvio. Il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio si coltiva con un metodo tradizionale, che prevede l’ausilio di sostegni con paletti di legno e filo di ferro, che evitano che le bacche tocchino terra e fanno sì che ricevano uniformemente i raggi solari. I pomodori, del peso di circa 20-25 grammi, sono rotondi e presentano un piccolo pizzo all’estremità inferiore. La buccia è coriacea e la polpa, soda e compatta, ha un caratteristico sapore dolce dal retrogusto acidulo, dovuto alla particolare concentrazione di zuccheri e sali minerali presenti naturalmente nel terreno lavico del Vesuvio. Questa varietà è detta anche “del Piennolo”, perché la tecnica di conservazione tradizionale vuole che si formino dei “Piennoli”, cioè pendoli. L’area tipica di produzione e conservazione del Pomodorino del Piennolo coincide con il territorio del Parco Nazionale del Vesuvio. Il Pomodorino è ricco di Vitamina A e C, di cui sono noti da tempo gli effetti anticancerogeni, di sali minerali quali Calcio, Fosforo e Potassio, indispensabili per il corretto funzionamento del cuore e dei muscoli, e di Licopene, che esercita nell’organismo un’azione antiossidante, stimolando la produzione di enzimi che bloccano l’azione cancerogena dei radicali liberi. www.saporivesuviani.it

CALEIDOSCOPIO

POMODORINO DEL PIENNOLO DEL VESUVIO D.O.P.

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Pomodoro in serra.

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Parassiti tipici delle serre : a sinistra danno da larva di lepidottero e, a destra, attacco di oidio.

protetto da una DOP (Denominazione di Origine Protetta). Sempre in Campania esiste un’altra DOP per il “Piennolo del Vesuvio”, piccolo e saporitissimo pomodorino noto per essere conservato a lungo appeso in ricchi grappoli, di frutti rossi, fatti a mano. Mentre a conferma dell’ottimo prodotto ottenibile nella zona di Pachino, a causa della necessità di dover utilizzare nell’irrigazione acque ad alta concentrazione salina (acque salmastre), è stata costituita la IGP (Indicazione Geografica Protetta) per il “Pomodoro di Pachino”, ciliegino oramai noto in tutto il mondo.

stati tratti caratteri che migliorano il sapore, il colore, la conservabilità, ne sono state imitate alcune forme. Caratteristiche utilizzate però solo per migliorare poche tipologie oggi molto diffuse (“Rossi a grappolo”, “Ciliegini”, “Allungati da insalata”, “Insalatari”) ma raramente sono state migliorate cultivar antiche mantenendone le caratteristiche più distintive della tipologia. Esistono anche pomodori non tipicamente italiani ma divenuti famosi per l’alta qualità raggiunta grazie all’ambiente di coltivazione come il “Camone” ottenuto nelle serre del sud della Sardegna. I frutti di molte antiche varietà non sono facilmente reperibili oppure li si trova in piccoli mercati rionali o solamente presso gli ortolani coltivatori. Tra le antiche cultivar il “San Marzano”, tipico pomodoro Campano, è certamente la varietà più nota al mondo tanto da essere diffusamente imitato nell’aspetto ma inimitabile nel gusto e nella versatilità di impiego nel consumo. Oggi il vero “San Marzano” viene

DUE PARTICOLARITÀ NELLA COLTIVAZIONE La pianta di pomodoro, se lasciata a se stessa durante l’accrescimento, si presenterebbe come cespugliosa, solitamente prostrata e ricca di ramificazioni decombenti, con una produzione molto scalare; da qui la necessità nel pomodoro da mensa, dove qualità ed uniformità del prodotto sono essenziali, di intervenire durante tutto il ciclo colturale con pratiche colturali tese a sostenere la pianta ed a limitare o annullare lo sviluppo delle ramificazioni secondarie attraverso la potatura verde.

Rosa di Sorrento

Il sostegno. In relazione alle diverse tecniche agronomiche adottate ed agli ambienti di coltura si scelgono i tutori necessari per sostenere la pianta. Il sostegno avviene per mezzo di tutori disposti verticalmente oppure inclinati, messi singolarmente o collegati tra loro a seconda degli usi locali o della diversa tipologia di pianta; i materiali usati sono vari e vanno dalle canne, ai paletti in legno, ai fili di ferro o di plastica ecc... La potatura verde. È una pratica importantissima ed essenziale nel pomodoro da mensa, con cui si

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da sinistra: Pera d’Abruzzo e Costoluto di Albenga o Cuor di Bue di Albenga.

procede alla eliminazione dei germogli ascellari, delle foglie non più utili ed a volte, quando si vuole limitare la lunghezza del ciclo produttivo, della cima. Scopo principale della potatura verde è certamente quello di consentire un idoneo allevamento della pianta che altrimenti, come detto in precedenza, assumerebbe un habitus estremamente cespuglioso con fioriture e maturazioni molto scalari e con difformità nella pezzatura dei frutti trattandosi di piante solitamente a sviluppo indeterminato. Inoltre, l’eliminazione di queste parti vegetative, migliora la circolazione di aria e luce a vantaggio di una maggiore sanità e migliore colorazione.

rappresentano quasi il 3,5%, mentre le proteine sono calcolate intorno all’1%, le fibre al 2% e, da ultimo, i grassi rappresentano solamente lo 0,2%. Per questo, cento grammi di pomodoro fresco apportano solamente 19-20 Kcal. I pomodori contengono discreti quantitativi vitaminici: si ricordano Vitamine del gruppo B, acido ascorbico, vitamina D e, soprattutto, vitamina E, che assicurano al pomodoro le note proprietà antiossidanti e vitaminizzanti. Cospicua anche la componente minerale: ferro, zinco, selenio, fosforo e calcio associati a citrati, tartrati e nitrati agiscono in sinergia assicurando proprietà rimineralizzanti ed antiradicaliche. Modico anche il contenuto di acidi organici, quali malico, citrico, succinico e gluteninico, utili per favorire la digestione. Ma il costituente più noto e con maggior influenza nelle caratteristiche antiossidanti è certamente il licopene, pigmento che dona la nota colorazione rossa del frutto di questo ortaggio. Va però sottolineato come il licopene dei frutti rossi sia assimilabile solo dopo cottura. Nei pomodori gialli a maturazione esiste invece un’altra forma isomera di questo costituente che è assimilabile anche se i frutti vengono ingeriti crudi.

VALORE NUTRIZIONALE DEL POMODORO Seppure sia entrato relativamente tardi, rispetto agli altri ortaggi importati dalle Americhe, nella cucina italiana è divenuto un alimento base della dieta mediterranea. I pomodori sono ricchi di acqua, che ne costituisce oltre il 94%; i carboidrati

VALORI NUTRIZIONALI DI 100 GRAMMI DI POMODORI MATURI Energia (kcal)

19

Parte edibile

100 %

Acqua (g)

94,0

Carboidrati (g)

3,5

Grassi (g)

0,2

Proteine (g)

1,0

Fibre (g)

2,0

Nazzareno Acciarri Ricercatore-Breeder CRA-ORA Monsampolo del Tronto (AP)

Fonte INRAN (2000)

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CALEIDOSCOPIO

www.conipiediperterra.com Il quotidiano online su agricoltura, nutrizione, territorio

CALEIDOSCOPIO

Con i piedi per terra”, “Antenna Verde” e “Agrinews Tris vincente per l’agricoltura che si racconta in tv

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Il clima da tenere sott’occhio in una stagione importantissima per quel che riguarda le produzioni agricole, la tradizione che si riaffaccia in tavola con la Pasqua che arriva anticipata, le orticole e tutti i segreti, dalla coltivazione alle virtù in cucina, ma anche un nuovo focus sulla pataticoltura italiana per garantire reddito agli agricoltori. Anzi: chi è l’agricoltore attivo? Approfondiremo insieme queste ed altre tematiche relative alla nuova Pac dopo gli emendamenti passati in Commissione. E sempre dall’Europa lo stop per due anni ai neonicotinoidi accusati della moria delle api: una misura sufficiente? Infine la zootecnia di montagna: una realtà che sta perdendo adepti ma che è essenziale per l’economia del territorio. Infine, il patentino per la guida del trattore: per chi scatta l’obbligo di legge?

CON I PIEDI PER TERRA è in onda su Telesanterno in prima visione, al sabato ore 12.30 e martedì in prima serata alle ore 21. E in tutte le regioni italiane sul circuito nazionale ODEON TV ogni lunedì ore 20.30 e in contemporanea su satellite Sky al canale 914 L’AGRICOLTURA FULL TIME É su ANTENNA VERDE sul canale 656 dell’Emilia-Romagna

“Con i Piedi per Terra” prosegue la sua stagione tv, in onda settimanalmente su Telesanterno in doppia visione (sabato alle 12.30 e martedì alle 21) e su Odeon e piattaforma Sky il lunedì alle 20.30. Il programma è visibile anche on line su www.conipiediperterra.com, il giornale web con tutte le news del mondo agricolo e anche il tvgiornale di settore quotidiano.



CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

CONSORZIO PATATA ITALIANA DI QUALITÀ GARANZIA E GENUINITÀ GRAZIE ALLA FORZA DEL MADE IN ITALY Selenella, la patata 100% italiana prodotta nelle campagne bolognesi, può vantare eccellenti standard qualitativi grazie ai severi disciplinari di produzione adottati dal Consorzio Patata Italiana di Qualità, per garantire un prodotto buono, genuino e autentico.

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“Selenella – spiega Giuliano Mengoli, direttore del Consorzio - è un prodotto di qualità superiore, omogeneità qualitativa e rispondente a caratteristiche che solo un sistema organizzato può garantire. Il Consorzio, attraverso un rigoroso disciplinare produttivo che prevede tecniche di produzione integrata, garantito da certificazioni di prodotto e di filiera, assicura un prodotto controllato e sicuro in ogni fase della filiera. Il sistema aggregativo alla base del Consorzio – prosegue Mengoli - consente inoltre politiche d’investimento sulla marca, a supporto della sua ampia diffusione e successo sul mercato. A tale proposito, esempio ne è stata la recente campagna di marketing e comunicazione: Selenella è stata protagonista sulle maggiori reti nazionali con il nuovo spot televisivo, andato in onda nei mesi di ottobre e novembre, e sulla carta stampata, sia di settore che generalista”. La società consortile, che oggi ha adottato il nome di Consorzio Patata Italiana di Qualità, al fine di rendere più trasparenti i valori di italianità ed eccellenza perseguiti dal gruppo, comprende 16 soci – tra cui 2 organizzazioni di produttori di patate, 4 cooperative e 10 commercianti privati – cui fanno capo all’incirca 320 produttori, per circa 50.000 tonnellate di patate. www.selenella.it




AGRICOLTURA OGGI NICOLA CALABRESE

AGRICOLTURA OGGI

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LE INSALATE

Fresche, croccanti, salutari, gustose e facili da preparare. Comprendono le lattughe, nelle diverse tipologie a cappuccio e a cespo, le cicorie o radicchi, dalle foglie verdi o colorate o imbiancate di cui si possono apprezzare anche le radici o gli steli, ed anche le indivie e le scarole. Le insalate sono ipocaloriche, ricche di vitamina C, caroteni, sali minerali, fibra e molecole bioattive che esercitano azioni benefiche e protettive per l’attività digestiva e circolatoria. Nicola Calabrese


Lollo rossa nel sud barese.

Coltivazione di insalate in Romagna.

Fresche, croccanti, salutari, gustose e facili da preparare, le insalate rappresentano un mondo variegato capace di soddisfare tavole e palati diversi. Nella sua accezione più comune, l’insalata è una pietanza costituita da verdure, solitamente consumate crude, condite con aceto (o succo di limone), olio e sale. Questa definizione rimanda implicitamente al fatto che sono numerose le tipologie di erbe e ortaggi generalmente utilizzate per la preparazione delle insalate. Il termine insalata, che compare come voce della lingua italiana intorno al 1342, deriva dal latino in salare cioè ‘condire con sale’. Un detto popolare afferma che per condire l’insalata sono necessarie

quattro persone: una parca per il sale, una avara per l’aceto, una prodiga per l’olio e una pazza per mescolare tutto. Il consumo di lattuga era noto già presso gli antichi Egizi, (che attribuivano effetti afrodisiaci alla lattuga selvatica) e anche i Romani erano forti consumatori di insalate; ma l’uso di erbe selvatiche e verdure nell’alimentazione dell’uomo è ancora più remoto nel tempo. Gli uomini primitivi erano raccoglitori di erbe spontanee, foglie e frutti, radici e tuberi. La prima ‘tecnica di coltivazione’ appresa dall’uomo fu l’uso del fuoco; infatti partendo dall’osservazione che gli incendi spontanei provocati in natura dai fulmini,

40 AGRICOLTURA OGGI NICOLA CALABRESE


Insalate nel sud barese.

favoriscono la crescita di nuova, tenera, vegetazione che poteva essere facilmente raccolta, le popolazioni raccoglitrici impararono a incendiare pianure, steppe e boscaglie “per produrre” insalate per sè e foraggio per la selvaggina. Questa pratica è purtroppo attuata ancora oggi, quando si incendiano incolti e boschi per estendere i prati e i pascoli. Le prime testimonianze documentate del consumo di erbe selvatiche sembrano risalire al 3.000 a. C. nella vasta area geografica della Mesopotamia attraversata dai fiumi Tigri ed Eufrate. Oggi, dopo il lunghissimo cammino cominciato con la domesticazione delle erbe spontanee, a cui è seguita l’opera di miglioramento

e di selezione dell’uomo attraverso un percorso non ancora terminato, sono presenti sulle nostre tavole a tutte le latitudini, e a disposizione di popoli di tutte le religioni, migliaia di cultivar, tra lattughe e cicorie, in un tripudio di biodiversità che si manifesta con forme, tipologie, colori, sapori, caratteristiche agronomiche, organolettiche e nutrizionali differenti. Oltre il 90% degli italiani consuma abitualmente insalate e la metà consuma lattuga o indivia almeno una volta al giorno; il 20% utilizza l’insalata come base di un piatto unico durante il pasto, in sostituzione di altre pietanze più tradizionali. Sono dati che delineano la riscoperta di abitudini alimentari più sane che,

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Coltivazione di insalate nel sud barese.



superati i tempi in cui veniva privilegiato il consumo di carne (vissuto soprattutto come raggiungimento di uno status economico e sociale), segna il ritorno ad una alimentazione più povera di calorie e grassi e più ricca di fibra, vitamine e sali minerali e perciò più attenta alle positive ricadute della dieta giornaliera sul benessere fisico e la sulla salute. Tra le specie vegetali catalogabili come insalate, le differenti tipologie di lattuga e di cicoria costituiscono la parte più numerosa e più importante di questo prezioso alimento.

(4-70 d.C.) descrive quattro tipi di lattuga: a foglie crespe e ‘frangiate’, da grumolo, a foglie con macchie rosse, a foglie allungate simile all’attuale lattuga romana. La lattuga veniva usata mitigare l’effetto di abbondanti libagioni e, a fine pasto, a volte con foglie di rucola, per favorire il sonno. Plinio (23-79) affermava che ‘la lattuga provoca sonnolenza e può raffreddare gli appetiti sessuali’. Al contrario nell’antico Egitto si attribuivano effetti afrodisiaci alla lattuga, soprattutto quella selvatica (Lactuca serriola) il cui consumo in quantità elevate favoriva il priapismo. Il genere Lactuca comprende nel mondo circa 100 specie distribuite prevalentemente in Asia e Africa. Della L. sativa si conoscono diverse varietà botaniche caratterizzate da differente morfologia della pianta, colorazione e tipologia delle foglie, modalità di utilizzazione. Questa grande variabilità tra le forme è probabilmente dovuta, a ibridazioni naturali o guidate con la L. serriola che si ritrova ancora oggi allo stato spontaneo in tutto il Bacino del Mediterraneo. In Italia si rinvengono allo stato spontaneo 15 specie e sottospecie di lattuga alcune delle quali eduli. La lattuga è una pianta erbacea annuale, con il fittone radicale che si approfondisce per 30-40 cm e con numerose radici laterali. Nelle fasi iniziali di crescita, le foglie sono disposte generalmente a rosetta e successivamente in alcune tipologie possono diventare embricate tanto da avvolgere completamente la foglia precedente e formare un grumolo con foglie serrate detto anche cappuccio, oppure con foglie

LATTUGA La lattuga (Lactuca sativa L.) appartiene alla famiglia delle Asteraceae. Le prime informazioni sono antecedenti il 3.000 a.C. La lattuga a foglie lunghe somigliante alla lattuga romana, è raffigurata in alcune pitture murali, in tombe e templi dell’antico Egitto assieme ad una tipologia con lo stelo pronunciato, usata per ottenere semi da cui estrarre olio commestibile. Il filosofo e botanico greco Teofrasto (371-287 a.C.), menziona diverse tipologie: la lattuga bianca, quella a foglie larghe, a foglie tonde e di Laconia. I Romani la chiamavano “lactuca” in riferimento al latice bianco che fuoriesce dopo il taglio dello stelo, particolarmente copioso prima della fioritura. Raccolto e lasciato asciugare, il succo assume colore bruno e viene chiamato ‘lattucario’ detto anche detto ‘oppio di lattuga’, un latice ricco di alcoli tritepenoidi che esercita una blanda azione sonnifera. Columella

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Principali tipologie di lattuga.


Lattuga in fioritura a sinistra, e latice bianco, che fuoriesce dopo il taglio dello stelo di lattuga cappuccina, a destra.

aperte ed espanso. Nelle lattughe da taglio, che non formano grumolo, la pianta rimane nello stadio di rosetta con le prime foglie, mentre quelle di più recente formazione, cambiano la loro posizione diventando sempre più erette. La nervatura centrale, è generalmente molto evidente. Il colore della foglia è variabile dal verde al viola di diversa intensità per la presenza di antociani. Il panorama varietale delle lattughe è vastissimo; nel catalogo ufficiale della Comunità Europea, sono

attualmente registrate più di 1.700 cultivar; i Paesi Bassi detengono il primato con quasi il 50% delle iscrizioni seguiti da Francia, Spagna e Italia. Tra le tipologie più diffuse rientrano le lattughe a cappuccio, (che annovera i tipi ‘trocadero’, ‘canasta’, ‘brasiliana’, ‘iceberg’); le lattughe da taglio (‘bionda a foglie lisce’); le lattughe a cespo (‘lollo rossa’, ‘lollo’; ‘red salad’; ‘foglia di quercia’; ‘gentile’); la lattuga romana, con cespi grossi, ovoidali, foglie allungate di colore verde. Cespo o grumolo di iceberg (o brasiliana) in sezione.

45 AGRICOLTURA OGGI NAZZARENO ACCIARRI


Lattuga tipo cappuccina o trocadero. Lattuga tipo brasiliana o iceberg.

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Lollo verde e rossa. Lattughino foglia di quercia rosso.

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che queste avevano emesso germogli di foglie bianco giallastre, che cucinò e trovò gustose. Il contadino volle ripetere la tecnica e si mise a coltivarle. Il prodotto fu notato al mercato proprio dal Bresiers, che mise a punto la tecnica di forzatura al buio delle radici per produrre i teneri grumoli di cicoria. La pianta della cicoria è formata da un fittone radicale, ricco di latice bianco, che può approfondirsi anche fino a 1 m e da numerose radici secondarie più superficiali che possono raggiungere 20-30 cm di profondità. La pianta al termine dell’accrescimento presenta solitamente da 50 a 80 foglie di dimensioni diverse. Il sapore delle foglie varia dal dolce all’amaro con gradi di intensità differente in relazione alle tipologie e all’epoca di coltivazione. Di solito le piante raccolte durante i mesi estivi presentano un sapore amaro più marcato rispetto a quelle raccolte durante l’autunno-inverno o anche dopo il processo di forzatura-imbianchimento. In alcune tipi di cicorie le foglie si avvolgono strettamente le une sulle altre a formare un grumolo chiuso e compatto. Sulla base delle caratteristiche morfologiche delle diverse tipologie di C. intybus L. è possibile distinguere quattro gruppi di cicorie: 1. a foglie verdi. Comprende sia le cultivar e le popolazioni locali di cicorie da taglio, che quelle con grumolo intero. Le radici dopo il taglio possono dare origine a ricacci che trovano analogo impiego. Tra le prime si possono citare ‘Spadona da taglio’ Biondissima di Trieste’ e ‘Da taglio bionda a foglie lunghe’, mentre tra le seconde ‘Pan di zucchero’ e ‘Ceriolo verde’. 2. a foglie colorate. Sono universalmente conosciuti

LA CICORIA Il termine ‘cicoria’ o ‘cicorie’ è utilizzato indifferentemente nel linguaggio comune sia per indicare numerosi ortaggi coltivati (in pien’aria e/o in coltura protetta), che in riferimento a piante spontanee; le cicorie sono di solito consumate crude, in numerosissime preparazioni di insalate, oppure cotte. Il nome botanico delle cicorie è Cichorium intybus L., e appartengono alla famiglia delle Asteraceae. Tra le cicorie sono compresi gruppi di piante molto diverse tra loro non solo per le caratteristiche morfologiche, ma anche per le modalità di consumo e di utilizzo. Tra le più comuni, oltre alla cicoria selvatica, si segnalano la pan di zucchero, la spadona da taglio, la bionda di Trieste, la Bianca di Milano, la cicoria belga (o cicoria di Bruxelles o Witloof), la catalogna (a puntarelle o da foglie), tutte le tipologie dei radicchi, la barba di cappuccino, la cicoria da radici. Le piante delle diverse tipologie di Cichorium intybus provengono probabilmente dall’Asia Sud-Occidentale. Le cicorie sono tra le specie orticole coltivate, quelle che nel corso dei tempi hanno maggiormente beneficiato del lavoro costante di miglioramento e selezione dell’uomo. Non solo studio, applicazione e dedizione hanno portato a questi risultati, ma come a volte accade, anche il caso ha fatto la sua parte, come sembra sia successo per la nascita della cicoria belga, la cui prima citazione risale intorno alla metà del 1800 ed è attribuibile a Bresiers, direttore del giardino botanico di Bruxelles. Un agricoltore che aveva abbandonato un cumulo di radici di cicoria selvatica nella sua cantina buia, notò dopo qualche tempo

NOME COMUNE E CLASSIFICAZIONE BOTANICA DELLE DIFFERENTI TIPOLOGIE DI LATTUGHE E DI CICORIE Lattughe Lattuga a cappuccio

Lactùca sativa L. subsp. capitata (L.) Alef.

Lattuga da taglio o Lattughino

Lactùca sativa L. subsp. crispa Schübler & Martens

Lattuga romana

Lactùca sativa L. subsp. longifolia Lam.

Cicoria Cicoria selvatica; Pan di zucchero; Belga o di Bruxelles; Spadona da taglio; Grumolo verde; Zuccherina di Trieste da taglio; da radici

Cichorium intybus L.

Catalogna a puntarelle

Cichorium intybus L. (gruppo catalogna)

Radicchio rosso (di Treviso, di Verona, di Chioggia)

Cichorium intybus L. (gruppo rubifolium)

Radicchio variegato di Castelfranco Veneto e di Chioggia

Cichorium intybus L. (gruppo variegatum)

Indivia

Cichorium endivia L. (gruppo crispum)

Scarola

Cichorium endivia L. (gruppo latifolium)

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Radicchio rosso.

Cicoria belga o Witloof.

Catalogna.


Catalogna puntarelle.

come ‘radicchi’. Generalmente sono sottoposti a forzatura e danno origine a prodotti molto ricercati. Si distinguono tra gli altri il ‘Rosso di Verona’, ‘Rosso di Treviso precoce’, ‘Rosso e bianco di Chioggia’, ‘Variegato di Castelfranco’ 3. a radici grosse. Appartengono a questo gruppo le cicorie con radici ingrossate, tra cui si ricordano: la ‘Cicoria di Soncino’, conosciuta anche come “scorzomare”, che si consuma cruda in insalata o cotta; la Witloof o cicoria belga o di Bruxelles; la cicoria da radice utilizzata per preparare surrogati del caffè. Tutte le radici sono ricche di inulina. 4. da foglie e steli. Si utilizzano i grumoli o i cespi interi, le foglie e gli steli; questi ricordano i turioni di asparago da cui la denominazione di cicoria asparago. La Puglia, specialmente l’area salentina, sembra essere una delle aree di domesticazione; Queste cicorie sono conosciute con nomi diversi come ‘Catalogna puntarelle’, ‘Brindisina’, ‘di Galatina’, ‘Gaeta’, ‘Pugliese’, ‘di Chioggia’. Una tipologia particolare detta ‘Cicoria all’acqua’ o ‘Otrantina’, coltivata soprattutto durante i mesi estivi, emette numerosi ricacci dopo i ripetuti tagli a cui è sottoposta. 5. da forzare o imbiancare. Si riferisce alla coltivazione della ‘Cicoria belga’ e della ‘Barba di cappuccino’ che avviene in luoghi con temperatura e luce controllati.

INDIVIA E SCAROLA Tra le cicorie, la scarola e l’indivia rivestono notevole importanza economica nel panorama orticolo nazionale; entrambe appartengono al genere Chicorium endivia L., che comprende il gruppo latifolium (la scarola) e crispum, (indivia o endivia). La scarola e l’indivia erano conosciute e coltivate da tempi antichissimi nel Bacino del Mediterraneo, dove probabilmente avvenne la sua domesticazione. Plinio il Vecchio e il poeta Marco Valerio Marziale citano l’indivia nelle loro opere. Il cuoco Antonio Latini (1642-1696) cita la scarola e Vincenzo Corrado nel libro “Del cibo pitagorico” (1781) riporta numerose pietanze a base di indivia. La scarola e l’indivia presentano apparato radicale costituito da numerose radici che si approfondiscono fino a 30-40 cm. Il grumolo (chiamato comunemente ‘cespo’) è costituito da 40-70 foglie con lembo allungato, liscio, glabro a margine intero o dentato nella scarola, mentre è arricciato con profonde insenature e margine più o meno intensamente increspato nell’indivia. In entrambi i casi la nervatura centrale delle foglie è molto ingrossata e bianca, soprattutto nella parte medio bassa. La colorazione del lembo può variare dal verde scuro al verde chiaro, a volte giallo paglierino o perfino bianco in quelle più giovani e interne che costituiscono il cosiddetto “cuore” del grumolo.

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Scarola.

Indivia.

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Lattuga tipo romana. Lattuga tipo batavia o gentilina, Lattughino biondo.

LATTUGHE E CICORIE NEL MONDO E IN ITALIA La coltivazione, e il consumo, di questi ortaggi è diffuso in tutto il mondo, anche se con differenze notevoli tra i continenti. Nel 2010, la superficie e la produzione mondiale hanno raggiunto rispettivamente 1.111.432 ha e 24.240.000 t, a seguito di un continuo e progressivo aumento registrato negli ultimi anni in alcuni Paesi, soprattutto in Cina. In Asia è concentrato il 72 e il 65% rispettivamente della superficie e della produzione totale. Segue a notevole distanza l’Europa, che si pone in seconda posizione per la superficie (12%) e al terzo per la produzione (13%); al contrario il Nord America occupa il terzo posto per la superficie (11%) e il secondo per la produzione (18%). Sud America, Africa e Oceania contribuiscono ciascuna per circa 1% della produzione mondiale. Saldamente al primo posto tra i Paesi produttori è la Cina, dove si concentra il 51% della superficie mondiale e il 54% della produzione totale di lattughe e cicorie. Gli Stati Uniti con il 17% della produzione mondiale, si collocano al secondo posto seguiti da India, Italia e Spagna. Tra i Paesi in forte ascesa si segnala la Turchia, dove la produzione è raddoppiata negli ultimi vent’anni. La supremazia della Cina risale al 1994, quando superò

52 AGRICOLTURA OGGI NAZZARENO ACCIARRI


Lavaggio della scarola dopo la raccolta.

Lattughino foglia di quercia biondo.

53 AGRICOLTURA OGGI NAZZARENO ACCIARRI


Superficie totale coltivata a lattuga e cicoria nei principali Paesi del mondo nel 2010 (Fonte FAOSTAT) (*)

Stato

Superficie tot.

(ha x 1.000)

Cina

563

India

159

USA

106

Italia

43

Spagna

27

Giappone 20 Turchia

18

Messico

17

Francia

15

Germania 14 MONDO

1.112

Produzione totale di lattuga e cicoria nei principali Paesi del mondo nel 2010 (Fonte FAOSTAT) (*)

Stato

Superficie tot.

(t. x 1.000)

Cina

13.005

USA

4.106

India

999

Italia

843

Spagna

809

Giappone 537 Francia

398

Turchia

358

Messico

341

Germania 308 MONDO

24.240

*Dati comprensivi di tutte le tipologie di lattuga e di cicoria, incluse indivia, scarola, radicchio e witloof.

54 AGRICOLTURA OGGI NAZZARENO ACCIARRI


Radicchio di Chioggia.


valore della produzione, superando il pomodoro da consumo fresco. La tipologia iceberg è la più diffusa e rappresenta da sola poco più del il 50% del valore totale, mentre la quota restante viene suddivisa tra la lattuga romana e quelle da taglio. L’Italia detiene il primato europeo della produzione di lattughe e cicorie, seguita da Spagna e Francia; questi tre Paesi assieme producono il 70% circa della produzione totale comunitaria. Nel 2010 l’Italia ha superato la Spagna (rispettivamente 843.340 e 809.200 tonnellate) seguita da Francia (398.200 t), Germania (308.300 t) e Regno Unito (133.900 t). In dettaglio, la coltivazione in pien’aria della lattuga in Italia ha interessato nel 2012 poco meno di 17.000 ha con una produzione totale di 364.00 t (fonte ISTAT); questi dati confermano la tendenza riscontrata negli ultimi dieci anni a una progressiva lieve contrazione delle superfici investite, mentre la produzione rimane sostanzialmente stabile pur registrando qualche variazione annuale dovuta alle condizioni climatiche. La Puglia, con le province di Bari e Foggia, è di gran lunga la regione maggiormente interessata alla

gli Stati Uniti che fino ad allora avevano detenuto incontrastati il primato. Il divario tra i due maggiori Paesi produttori è progressivamente aumentato nel corso degli anni e attualmente la produzione in Cina è più del triplo di quella americana e di 11 volte superiore a quella dell’India, terzo produttore mondiale. Gli Stati Uniti rimangono al primo posto per quanto riguarda la produzione per ettaro, (39 t) seguiti da Spagna (30 t), Francia e Giappone (27 t), Cina (23 t). Negli Stati Uniti il 75 % della coltivazione della lattuga è concentrata in California (prevalentemente nella Salinas Valley e nella Imperial Valley) e in Arizona per il 20%. Le differenti condizioni climatiche delle aree di produzione e le diverse tecniche di coltivazione, in pien’aria e in coltura protetta, permettono l’approvvigionamento dei mercati durante tutto l’anno. La maggior parte della produzione del periodo aprile–ottobre proviene dalla Salinas Valley, mentre da novembre a marzo dalla Imperial Valley e dall’Arizona. Nel mercato statunitense la lattuga è al primo posto tra gli ortaggi in termini di

Superficie e produzione di lattuga in Italia e nelle principali Regioni nel 2012 (Fonte: ISTAT) LATTUGA

Superficie (ha)

Puglia

4.470

Sicilia

2.115

Campania 1.554 Emilia Romagna 1.396 Lazio

1.279

ITALIA

16.192

Puglia

Produzione (t)

84.640

Campania 49.760 Sicilia

47.697

Emila Romagna 46.149

56 AGRICOLTURA OGGI NAZZARENO ACCIARRI

Lazio

30.561

ITALIA

364.071


Questo ortaggio è coltivato in Italia su 9.654 ha con una produzione totale di poco superiore a 225.000 t, concentrata in gran parte nelle regioni centro meridionali. La Puglia concorre con quasi il 30% del totale, (come per la lattuga sono Bari e Foggia le province maggiormente interessate alla coltivazione) e assieme a Campania, Abruzzo e Marche raggiunge il 70% della produzione nazionale. Modesta, rispetto alla lattuga, è la coltivazione in serra dell’indivia con 227 ettari in totale, concentrati soprattutto nella province di Latina, Padova, Venezia e Forlì-Cesena. Per quanto riguarda gli scambi delle insalate con i mercati esteri, l’Italia è tradizionalmente un Paese esportatore netto; questa posizione si è andata riducendo negli ultimi anni a causa del calo delle esportazioni e del contemporaneo incremento delle importazioni derivanti dalla necessità di soddisfare l’aumento dei consumi interni. L’export italiano è indirizzato soprattutto verso i Paesi comunitari, principalmente la Germania (circa il 30% del totale), seguita da Austria, Gran Bretagna, Svizzera e Francia;

coltivazione della lattuga e assieme a Sicilia (Siracusa) e Campania (Salerno), rappresenta il 50% della superficie e della produzione nazionale. Nel comparto orticolo, notevole interesse economico riveste anche la coltivazione in serra della lattuga che nel 2012 in Italia ha riguardato complessivamente 4.066 ha, a fronte di una produzione complessiva pari a 139.039 t, destinata prevalentemente alla preparazione di ‘insalate di IV gamma’. Questa tipologia di prodotto (verdure fresche, tagliate, lavate, confezionate in buste o vassoi e pronte all’uso), che conta ormai decine di referenze differenti, ha conosciuto negli ultimi anni un notevole successo presso i consumatori italiani. Di pari passo dal 2000 ad oggi sono aumentati sia la superficie coltivata a lattuga in serra (+ 40%) che la produzione totale (+ 50 %). Seconda solo alla lattuga come componente principale nella preparazione delle insalate è l’indivia, nelle due tipologie riccia e scarola, spesso considerate erroneamente due specie distinte, ma entrambe appartenenti alla specie Cichorium endivia.

Superficie e produzione di lattuga in Italia e nelle principali Regioni nel 2012 (Fonte: ISTAT) INDIVIA (RICCIA E SCAROLA)

Superficie (ha)

Puglia

3.085

Abruzzo

1.565

Campania 1.159 Marche

702

Sicilia

591

ITALIA

9.654

Puglia

Produzione (t)

61.165

Campania 41.800

57 AGRICOLTURA OGGI NAZZARENO ACCIARRI

Abruzzo

40.100

Marche

20.007

Sicilia

13.876

ITALIA

225.190


Coltivazione di lattuga in serra, nella Piana del Sele (SA).

Indivia nelle Marche.

58 AGRICOLTURA OGGI NAZZARENO ACCIARRI


Vivaio per la produzione di piantine di insalata.

Coltivazione in serra per la produzione di insalatine in busta (IV gamma).

59 AGRICOLTURA OGGI NAZZARENO ACCIARRI



organismo (digestiva, circolatoria, ecc). La lattuga è un’ottima fonte di molecole antiossidanti, quali i carotenoidi e i fenoli. Studi effettuati su modello animale hanno evidenziato che l’assunzione di lattuga in quantità adeguate e nel tempo, può ridurre il rischio di malattie cardiocircolatorie, grazie alla prolungata presenza di queste molecole antiossidanti che operano una prevenzione della perossidazione lipidica, potenziando il sistema antiossidante dell’organismo. La lattuga è ricca di beta-criptoxantina, la più importante xantofilla ad attività provitaminica facente parte del gruppo dei carotenoidi, assieme ai caroteni. Studi in vitro hanno dimostrato che questa molecola presenta una significativa attività di stimolo sugli osteoblasti e di inibizione sugli osteoclasti dell’osso. Pertanto l’assunzione di alimenti ricchi di criptoxantina, come la lattuga, può avere un ruolo di rilievo nella prevenzione dell’osteoporosi. Le virtù terapeutiche della cicoria erano conosciute fin dall’antichità. I Greci la chiamavano kìchora e la consideravano il miglior depuratore del sangue; Galeno la definiva ‘amica del fegato’. Le cicorie contengono grandi quantità di sali minerali, come il potassio (nell’indivia raggiunge i 380 mg per 100g

le importazioni provengono da Spagna, Paesi Bassi e Francia. ASPETTI NUTRIZIONALI Per quanto riguarda gli aspetti nutrizionali, le insalate sono ricche di acqua (fino al 95%), povere di grassi e zuccheri, e quindi apportano poche calorie. Molto interessante è il contenuto in micronutrienti tra i quali spiccano vitamina C e caroteni (precursori della vitamina A), sali minerali (calcio, fosforo, potassio, ferro e magnesio), fibra, (in prevalenza insolubile, che facilita la digestione e aiuta a prevenire la stipsi) e molecole bioattive (clorofilla, polifenoli, fitosteroli ecc). tabella 2. Il valore nutritivo delle insalate si mantiene dopo la raccolta finchè permangono turgidità e croccantezza, caratteristiche del prodotto fresco, che vengono preservate mediante la refrigerazione in condizioni di elevata umidità. Le insalate sono, quindi, alimenti che fanno bene sia al mantenimento della forma fisica (poche calorie e molti micronutrienti) che alla salute, grazie al contenuto in fibra e molecole bioattive che esercitano azioni benefiche e/o protettive su diverse funzioni del nostro

61 AGRICOLTURA OGGI NICOLA CALABRESE


COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE ENERGETICO PER 100 G DI PARTE EDULE Lattuga

Indivia

Cicoria witloof (Cicoria belga)

Cicoria da taglio, coltivata

Parte edibile (%)

80

69

100

89

Acqua (g)

94,3

93

94,3

95

Proteine (g)

1,8

0,9

0,7

1,2

Lipidi (g)

0,4

0,3

0,3

0,1

Carboidrati disponibili (g)

2,2

2,7

3,2

1,7

Zuccheri solubili (g)

2,2

2,7

3,2

1,7

Fibra totale (g)

1,5

1,6

1,1

nd

Fibra insolubile (g)

1,3

1,4

0,9

nd

Energia (kcal)

19

16

18

12

Sodio (mg)

9

10

nd

7

Potassio (mg)

240

380

nd

180

Ferro (mg)

0,8

1,7

0,3

1,5

Calcio (mg)

45

93

18

150

Fosforo (mg)

31

31

26

26

Niacina (mg)

0,7

0,5

0,3

0,3

Riboflavina (mg)

0,2

0,3

0,03

0,08

Vitamina A retinolo eq. (μg)

229

213

10

267

Vitamina C (mg)

6

35

3

8

Fonte INRAN (2000) - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

di parte edule), il calcio (150 mg), ferro e fosforo. Le vitamine maggiormente rappresentate nelle cicorie sono quelle del gruppo B, la vitamina A e la vitamina C. Una molecola presente in gran quantità nelle cicorie, sia nelle foglie che nella radice, pur se in misura diversa a seconda delle differenti tipologie di questo ortaggio, è l’acido cicorico (o di-caffeil-tartarico). Questa sostanza, che deriva dall’acido caffeico, ha una elevata capacità antiossidante, superiore anche a quella della vitamina E. Le radici della cicoria sono utilizzate, dopo essiccazione, tostatura e macinazione per preparare una bevanda simile al caffè. Dalla radice si estrae inoltre l’inulina, che trova applicazioni in dietetica come fibra solubile, sia per la sua azione ipoglicemizzante, (che rallenta l’assorbimento del glucosio) sia come substrato ‘prebiotico’ utile ai batteri presenti nell’intestino

umano. Numerosi studi di laboratorio hanno infatti evidenziato che l’inulina aumenta il numero dei bifidobatteri e dei lattobacilli presenti nel colon; questi batteri sono molto utili per l’uomo perchè favoriscono l’assorbimento delle sostanze nutritive presenti negli alimenti, promuovono il funzionamento regolare dell’intestino e concorrono alla prevenzione dello sviluppo di tumori intestinali.

Nicola Calabrese CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari, Bari

62 AGRICOLTURA OGGI NICOLA CALABRESE



CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

UN BOCCALE... GREEN

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La birra green a misura d’ambiente nasce nel cuore del Friuli grazie all’accordo volontario stipulato tra Birra Castello Spa di San Giorgio di Nogaro (Udine) e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con l’obiettivo di promuovere progetti comuni finalizzati all’analisi e alla riduzione dell’impronta di carbonio nel settore della produzione e della distribuzione della birra. Nata nel 1997 rilevando il complesso produttivo ad un altro storico marchio friulano, con una produzione nel 2012 di oltre 1 milione di ettolitri hl e un fatturato stimato di 87 mln di euro, il Gruppo Birra Castello Spa ha oggi uno degli stabilimenti più moderni in Italia e punta a indirizzare la propria politica ambientale verso il settore climatico, aderendo con questo accordo a iniziative e impegni in linea con le politiche governative nell’ambito del Protocollo di Kyoto e del pacchetto “Clima-Energia” dell’Unione europea. A sottoscriverlo il 30 novembre scorso sono stati il ministro dell’Ambiente Corrado Clini e il presidente di Birra Castello Paolo Trussoni. In una seconda fase si effettuerà l’analisi e la contabilizzazione delle emissioni di CO2 equivalenti prodotte nel corso del ciclo di vita di questo prodotto, con l’obiettivo di ridurle e successivamente neutralizzarle attraverso i meccanismi del Protocollo. L’azienda, inoltre, definirà un sistema di carbon management delle emissioni specifiche per il settore della produzione di birra (con la definizione di un sistema di gestione delle diverse categorie di impatto), finalizzato al miglioramento complessivo dell’impronta di carbonio, monitorando le criticità e individuando soluzioni che consentano una più efficace gestione nei metodi produttivi, distributivi e di consumo tradizionali. www.birracastello.it



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VALFRUTTA LANCIA LA NUOVA POLPA 100% FRUTTA GUSTO MELAMIRTILLO Quando si parla di sana alimentazione, ma senza rinunciare al gusto, Valfrutta ha sempre una risposta pronta per i consumatori che ricercano un costante equilibrio nutrizionale, tra salute e benessere. Fedele allo spirito innovativo che le è proprio, ecco quindi che Valfrutta lancia la nuova Polpa 100% frutta mela-mirtillo, la nuova varietà che unisce la dolcezza della mela all’intensità del mirtillo: un delizioso gusto in più tra cui scegliere per la merenda più ipocalorica che ci sia. Ricca di vitamine (A e C) e sostanze benefiche (Calcio e Potassio), Polpa 100% Frutta Mela-Mirtillo fornisce un apporto di solo 44 Kcal per 100 grammi di polpa. Il mirtillo ha una benefica azione antiossidante che previene le patologie cardiovascolari e rallenta il naturale processo di invecchiamento delle cellule. Utile in casi di fragilità capillare, il mirtillo contiene poche calorie ed è quindi un frutto da prediligere nelle diete ipocaloriche. Alle proprietà del mirtillo si uniscono quelle della mela, ricca di acqua, di vitamina C, di fibre che riducono i livelli di colesterolo nel sangue e di fruttosio. Insomma un concentrato davvero irrinunciabile di gusto, naturalezza e benessere! www.valfrutta.it

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LA FAMIGLIA ORSERO AMPLIA LA PROPRIA GAMMA OFFRENDO ANCHE KIWI E MELE Dopo il lancio del brand Fratelli Orsero, avvenuto lo scorso anno, gli ananas e le banane che si fregiano di questo bollino a forma di camioncino sono ormai sinonimo di qualità extra-premium per i consumatori. Ed è per soddisfare sempre più le loro necessità che oggi la famiglia Orsero amplia la propria gamma offrendo anche kiwi e mele, rigorosamente scelti nelle migliori zone di produzione italiane. Le mele Golden F.lli Orsero infatti sono coltivate in Trentino Alto Adige e saranno disponibili per tutto l’anno, mentre le mele Deliziose e i kiwi F.lli Orsero sono coltivati in Piemonte e saranno disponibili da Ottobre ad Aprile. Questa frutta, selezionata dai coltivatori con cura e nel rispetto di parametri definiti dall’Azienda, garantisce al consumatore prodotti di alta gamma e qualità extra-premium. Anche il packaging, caratterizzato dai colori e dall’elegante grafica che ormai contraddistinguono la nota marca del camioncino, esalta la qualità premium dei prodotti F.lli Orsero, la famiglia italiana della frutta. Il prodotto sarà distribuito su tutto il territorio italiano dal Gruppo GF, attraverso la società Fruttital SRL, le proprie filiali ed i propri clienti. www.fratelliorsero.it

VALFRUTTA: PISELLI E CAROTINE COTTI A VAPORE Gusto e leggerezza, varietà e grande praticità, bontà e benessere: sono questi i punti di forza della gamma di vegetali “Cotti a Vapore” Valfrutta, che oggi si allarga con una nuova referenza: “Piselli e Carotine”. Il nuovo arrivo nella gamma “Cotti a Vapore Valfrutta” coniuga il sapore dolce dei piselli con la delicatezza delle carote più piccole e tenere, offrendo al consumatore moderno e attento alla propria alimentazione un contorno subito pronto, semplice, gustoso e decisamente leggero. Piselli e Carotine, “Cotti a Vapore Valfrutta” coniuga caratteristiche inimitabili come il gusto e il benessere: la delicata cottura a vapore mantiene intatto quel tesoro di vitamine e sali minerali che spesso si disperdono nell’acqua di cottura e naturalmente le fibre alimentari, preziose alleate del nostro benessere quotidiano. Inoltre “I Cotti a Vapore” Valfrutta sono più gustosi perché il vapore rispetta il naturale sapore dei vegetali restituendo un gusto pieno e una consistenza corposa. La pratica confezione monodose permette di ampliare la scelta delle proposte da gustare. L’assenza del liquido di governo li rende subito pronti, non serve scolarli e basta aprirli per gustarli. www.valfrutta.it


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BONDUELLE PRESENTA SAPORI DI STAGIONE PER LA STAGIONE INVERNALE Bonduelle presenta Sapori di stagione “ricetta speciale inverno”, la nuova referenza dedicata al periodo invernale disponibile da dicembre 2012 ad aprile 2013 e composta da songino, rucola e barbabietola rossa, ingrediente riconosciuto dai consumatori come tipicamente invernale. Il gusto e il visual di questo nuovo mix sono perfetti nel periodo delle feste: il colore rosso della barbabietola con taglio alla julienne, unito al verde intenso del songino e della rucola offrono, infatti, al consumatore la soluzione per portare in tavola un’insalata molto invitante e dal gusto nuovo. L’offerta di prodotti stagionali fa parte della strategia di Bonduelle: la referenza Sapore d’Estate, ad esempio, con l’uso dell’acetosella rossa - ingrediente dal delicato gusto di limone - commercializzata da aprile a settembre 2012 ha rappresentato un prodotto di successo, confermando l’interesse dei consumatori verso prodotti che durante l’anno variano in relazione alla disponibilità agronomica delle materie prime. Alla luce degli obiettivi di vendita, il pack di questa referenza mette in primo piano gli ingredienti e l’occasione di consumo dedicata al periodo delle feste invernali. Sul retro della confezione e sul sito internet sono presenti alcune possibili ricette. www.bonduelle.it

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DUE NUOVE RICETTE PER LE ZUPPE FRESCHE PRONTICOSÌ L’azienda piemontese, da oltre 30 anni punto di riferimento del reparto ortofrutta e controllata interamente dalla famiglia Zerbinati, si conferma tra le eccellenze italiane del food per sviluppo e innovazione di prodotto. La Crema con finocchio e finocchietto e la Crema con zucca e castagne (in confezioni da 620 gr.), ampliano la già fornita gamma di zuppe fresche Zerbinati Pronticosì che ad oggi è composta da 13 referenze; entrambe le novità seguono la filosofia dei prodotti Zerbinati, ovvero solo verdure fresche e olio esclusivamente extra vergine d’oliva, sane e genuine in quanto preparate secondo il metodo tradizionale, prodotti pronti che aiutano la corretta alimentazione quotidiana contribuendo all’assunzione di verdura. Il 2012 per Zerbinati si è chiuso con un aumento delle vendite del 30% per il reparto zuppe, grazie alla fiducia dei propri consumatori e alla conquista di nuovi, alla bontà dei prodotti, agli investimenti mirati e costanti che l’azienda dedica a questo reparto da ormai 5 anni in controtendenza al contesto economico italiano. www.zerbinatisrl.it


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SAN BENEDETTO, IL SUCCESSO RADDOPPIA! I consumatori premiano due volte l’innovazione San Benedetto Linea EcoGreen e Aquavitamin Eletti Prodotto dell’Anno 2013. Acqua Minerale San Benedetto si aggiudica per il quarto anno consecutivo il premio “Eletto Prodotto dell’Anno”. Questa volta il successo è doppio! Ad aggiudicarsi l’ambito riconoscimento, attribuito dai consumatori italiani, sono due prodotti: la “Linea EcoGreen” per la categoria acque minerali e Aquavitamin per la categoria integratori. Il premio, promosso dalla società Marketing e Innovazione Italia, viene attribuito sulla base di un’indagine condotta da SymphonyIRI Group su un campione di oltre 12.000 consumatori italiani. Per la categoria acque minerali si aggiudica il premio la “Linea Eco Green”; la nuova generazione di bottiglie di acqua minerale con la quale San Benedetto vuole offrire al consumatore la possibilità di scegliere tra un prodotto convenzionale ed uno a minor impatto ambientale. Il 100% delle emissioni di CO2 dell’intero ciclo di vita dei formati della “Linea Eco-Green” (che comprende la mezzo litro, la bottiglia da 1L Easy supercompatta e dalla massima praticità e i formati famiglia da 1,5L e 2L) è compensato attraverso l’acquisto di crediti di tipo “VERs” che finanziano progetti ecosostenibili volti alla salvaguardia del clima. Inoltre, in un ottica sempre più ecologica, i formati da 1L Easy e quelli

famiglia da 1,5L e 2L utilizzano rispettivamente il 30% e il 10% di RPET, PET rigenerato proveniente dal riciclo della plastica, riducendo il fabbisogno di materia prima vergine e quindi di petrolio. Leggera ed equilibrata, l’Acqua Minerale San Benedetto è un meraviglioso dono a cui la natura ha dato proprietà benefiche e per la quale ha creato uno scrigno sotterraneo a 300 metri di profondità in grado di conservare intatta la sua purezza originaria. La consapevolezza delle straordinarie proprietà di questa risorsa spinge l’Azienda a proteggerla per poterla consegnare intatta alle generazioni future. Per questo motivo San Benedetto ha sottoscritto nel 2009 e rinnovato nel 2011 un accordo volontario con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, teso al calcolo dell’impronta di carbonio (carbon-footprint) secondo il metodo dell’LCA al fine di avere una “contabilizzazione” ed una consapevolezza scientifica delle emissioni prodotte dalla filiera dell’acqua minerale ed orientata alla definizione di un programma di lavoro teso ad una riduzione complessiva delle emissioni di CO2. www.sanbenedetto.it www.aquavitamin.it



RE PROSCIUTTO Gli italiani sono tra i più forti mangiatori al mondo di coscia di maiale salata e prosciugata. Più dolci e meno grassi da vent’anni a questa parte, i prosciutti sono stati un alimento adatto alla guerra di movimento. Primo salume a sbarcare in America, è un cibo altamente digeribile che si è saputo adattare ai tempi. Giovanni Ballarini


ALIMENTAZIONE E CULTURA GIOVANNI BALLARINI

ALIMENTAZIONE E CULTURA

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© Consorzio del prosciutto di San Daniele


G

li italiani ogni anno mangiano oltre settanta milioni di cosce di maiale, trenta milioni delle quali trasformate in prosciutti stagionati o crudi. Di questi ultimi, poco meno della metà appartengono alle Denominazioni d’Origine Protetta (DOP) o Indicazione Geografica Protetta (IGP). Tutti i prosciutti stagionati DOP provengono da maiali italiani. Dato che i maiali allevati in Italia sono solo circa dieci milioni, una notevole quantità di cosce d’importazione serve a produrre i prosciutti cotti e buona parte di quelli crudi di buona qualità e denominati Prosciutto Crudo Nazionale. Gli italiani sono tra i più forti mangiatori di prosciutto crudo del mondo, perché quest’alimento é molto radicato nel passato, vantando dai ventidue ai venticinque secoli di età, é progredito ed evolvendosi si é adattato alle recenti necessità nutrizionali e ai moderni stili di vita dell’uomo, sviluppando nuove ed elevate caratteristiche gastronomiche. Un alimento frutto di una dolce magia che usa sapientemente la qualità della coscia di maiale, fa un saggio uso del sale, un’accurata interpretazione della temperatura e umidità ambientale, e soprattutto un esperto utilizzo dell’ambiente e del tempo, con un lento processo che si sviluppa nel corso di molte stagioni. Non a caso, il prosciutto crudo é con ragione noto come prosciutto stagionato.

lamentandosi delle provviste alimentari che gli erano state date, con insistenza chiede del buon prosciutto. Il prosciutto europeo, forse italiano, è il primo salume sbarcato in America. PROSCIUTTO, SALUME DI SUCCESSO FIN DALL’ANTICHITÀ Non solo Cristoforo Colombo ama il prosciutto, ma quando circa duemila e duecento anni fa Annibale invade l’Italia, nelle sue scorrerie e rapine che non risparmiano la Gallia Cisalpina, certamente mangia il prosciutto, che già si produce nella pianura padana. Il perxuctus, coscia di maiale prosciugata con il sale e una lunga stagionatura, che i Romani denominano anche perna o petasone, é un cibo di alta gastronomia che da venticinque secoli percorre le vie del Mediterraneo e le strade d’Europa. Patrizia Olivieri del Castillo, Direttore Scientifico del Museo Archeologico di Pietole Virgilio (Mantova), con le sue ricerche compiute nel sito di Forcello (Bagnolo San Vito, nei pressi di Mantova) e riguardanti un insediamento etrusco del V secolo a. C., dimostra che in quel periodo gli Etruschi padani allevano maiali di piccola taglia, simili a quelli presenti nella vicina Spina e analoghi a quelli d’altre razze suine allevate in Italia in periodo pre-romano. Le ricerche mostrano anche che gran parte delle cosce di questi animali sono trasformate in prosciutti destinati a commerci che le trasportano lontano, probabilmente in Grecia. Che il prosciutto fin dall’antichità viaggi ne abbiamo molte conferme, soprattutto nel periodo romano, quando la Gallia Cispadana, l’attuale valle del Po o Valle del Cibo (Food Valley) italiana, é una forte esportatrice a Roma di prosciutti. Varrone ricorda che i Galli sono soliti fare, del suino, grandi ed ottimi salati che in buona quantità per l’epoca (si parla di tremila, quattromila pezzi) sono esportati a Roma. Come si preparano i prosciutti, durante il periodo romano, lo dicono in dettaglio Columella e Varrone. Abemus in ce(na) pullum, piscem, pernam, paonem... é l’insegna di una taberna, cioè un’osteria, su di una strada romana. Questa insegna marmorea, a Roma custodita nei Musei Capitolini, contiene diversi segnali. Un primo gruppo di segnali è simbolico e

ORIGINE DEL PROSCIUTTO L’arte di conservare le carni con il sale ha antichissime origini italiane, e derivano dal felice incontro di due elementi, uno mediterraneo e l’altro europeo. Dal meridione e in ambito di una cultura solare e mediterranea vi é disponibilità di sale marino. Dal settentrione e in una cultura celtica vi sono carni di maiale. Gli Etruschi nel V secolo a. C. già conservano le carni di maiale tramite salagione e nel II secolo a.C. i Romani descrivono le tecniche di preparazione del prosciutto (coscia di maiale salata e prosciugata). I primi, intensi commerci di carni di maiale salata, soprattutto cosce prosciugate o prosciutti (perxuctus) si sviluppano sulle strade costruite dai Romani. É accertato che dall’Italia Cisalpina i prosciutti seguono le quadrate legioni di Roma nelle campagne di guerra. Se Vercingetorige si ciba di carni fresche di cinghiale (maiale selvatico) il suo avversario, i legionari romani, si nutrono anche di carni salate di maiale e quindi di prosciutto, un alimento molto adatto per la guerra di movimento, di cui Giulio Cesare é maestro. La meritata notorietà dei prosciutti italici deriva dalla loro conservabilità e quindi dalla possibilità di commercializzarli in ogni condizione e poterli diffondere il tutto il mondo. Non è certamente un caso che Cristoforo Colombo, durante il suo secondo viaggio in quelle che lui crede fossero le Indie,

PROSCIUTTI CRUDI ITALIANI DOP IGP Di Carpegna Amatriciano Di Modena Di Norcia Di Parma Di Sauris Di San Daniele Toscano Veneto Berico-Euganeo

72 ALIMENTAZIONE E CULTURA GIOVANNI BALLARINI


Saone per la stagionatura del prosciutto Š Consorzio del prosciutto di San Daniele


PROSCIUTTI CRUDI COMPOSIZIONE PER 100 GRAMMI ACQUA g

PROTEINE g

LIPIDI g

Crudo nazionale

50,5

27,8

13,7

75,0

Crudo nazionale sgrassato

56,1

30,5

5,1

Di Modena DOP

45,6

25,6

Di Modena DOP sgrassato

53,8

Di San Daniele DOP Di San Daniele DOP sgrassato

© Prosciutto di Sauris IGP

COLESTEROLO CARBOIDRATI mg g

ENERGIA Kcal Kj

NaCl g

0,1

235

985

6,0

87,0

0,3

169

707

6,9

22,9

62,0

0,1

309

1293

5,1

30,2

8,9

75,0

0,1

201

842

6,0

50,2

25,7

18,6

83,0

0,2

271

1135

4,5

58,0

29,0

6,5

91,0

0,4

176

737

5,1



Fasi della lavorazione e marchiatura del prosciutto

quindi rivolto a tutti, anche stranieri e soprattutto analfabeti, come potevano essere gli schiavi e i conduttori di carri. Accanto alle raffigurazioni di un cuore (amore e attenzione per il cliente, insegna del locale, presenza di amore mercenario?) e di un’erba (foraggio per gli animali) vi è anche la raffigurazione di una ruota (rimessa o officina per i carri), quindi attenzione e servizi per il viaggiatore. Un secondo tipo d’informazioni é il menù delle specialità offerte del locale, indirizzate a chi sa leggere ed ha una cultura gastronomica, quindi ad una clientela di alto livello. L’insegna marmorea dice, infatti, Abemus in ce(na) pullum, piscem, pernam, paonem. Pollo, pesce, pavone e pernam o coscia, quindi prosciutto, sono le specialità gastronomiche offerte per cena e cioè il pasto principale, soprattutto per i viaggiatori che dopo un’intera giornata di cammino, a cavallo o su di un più o meno traballante veicolo, con il riposo cercano anche, secondo le loro possibilità, un conforto gastronomico.

passato non mancano, anche se non sono abbondanti, le rappresentazioni di cucine con prosciutti appesi, soprattutto vicino al camino. A parte qualche eccezione, il prosciutto non figura assieme ai nobili e ricercati alimenti che compongono attraenti nature morte, dalla selvaggina ai più diversi pesci. Anche nei menù dei grandi pranzi del passato, di solito il prosciutto crudo é assente. In un lontano passato, infatti, il prosciutto, la coscia di maiale salata e stagionata, é mangiata solo dopo essere stata cotta, e utilizzata quasi esclusivamente in cucina, assieme al lardo ed alla carnesecca. Una situazione che si mantiene fino al passaggio tra i secoli XIX e XX e di cui è testimone Pellegrino Artusi. Nell’ultima edizione (1910) del classico libro di Pellegrino Artusi, il prosciutto compare associato ai fichi nei Principii (ora, diremmo antipasti) soltanto in due Note di Pranzi (luglio e settembre), mentre per i sandwiches è utilizzato il prosciutto cotto grasso e magro. Nelle “commedie della cucina” sulle quali l’Artusi si sofferma in una lettera introduttiva, prosciutto, lardo, carnesecca e lardone sono tutti accomunati nell’uso di cucina e definiti condimenti, che promuovono flatulenze! Inoltre, se il prosciutto è un ingrediente di ricette di cucina, per una di quelle più celebri, le Tagliatelle col Prosciutto (sulla quale vi è anche un gustoso sonetto di Lorenzo Stecchetti), l’Artusi si premura di precisare “le tagliatelle [...] salatele pochissimo a motivo del prosciutto”! La cottura del prosciutto del passato é necessaria per dissalarlo e intenerirlo con un’adeguata reidratazione. La dissalazione diviene fondamentale perché nel passato, diversamente da oggi, il prosciutto é sempre

PROSCIUTTO, UN SALUME CHE SI ADEGUA AI TEMPI Ah! Il prosciutto dolce e saporito! Una sottile fetta tira l’altra e non si smetterebbe mai di gustarlo! Un profumo e un sapore genuino che derivano da un lontano, lontanissimo passato. Di quale prosciutto si cibano i nostri antenati e soprattutto quali sono le caratteristiche gastronomiche dei prosciutti di un tempo? Anche se non esistono prosciutti centenari o millenari, tuttavia potrebbero esistere le loro rappresentazioni. Qui abbiamo la prima sorpresa. Nei quadri del

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PROSCIUTTI CRUDI ENERGIA Kcal/etto

Kcal porzione 50 g

Crudo nazionale

235

118

Crudo nazionale sgrassato

169

85

Di Modena DOP

309

154

Di Modena DOP sgrassato

201

101

Di San Daniele DOP

271

136

Di San Daniele DOP sgrassato

176

88


Š Prosciutto di Parma


PROSCIUTTI CRUDI E VARIAZIONI CARATTERI NUTRIZIONALI ANNI 1993-2011 SALE mg/etto Crudo nazionale

1993 2011 7,0 6,0

Di San Daniele DOP

1993 2011 7,0 4,5

LIPIDI g/etto

GRASSI SATURI g/etto

PROTEINE g/etto 1993 2011 29,3 30,5

1993 2011 23,0 18,8

1993 2011 7,56 6,47

1993 2011 26,8 29,0


da sinistra: © Prosciutto di Sauris IGP, © Prosciutto di Parma, © Consorzio del prosciutto di San Daniele, focaccia calda con prosciutto di Parma

questo, come d’altri alimenti, non trova sempre posto nei ricettari di cucina del passato. É certamente un fenomeno graduale e progressivo, con due momenti d’accelerazione. Una prima accelerazione nell’uso del prosciutto crudo ha luogo tra le due guerre mondiali, in concomitanza anche alla diffusione delle macchine per affettarlo, anche se la loro comparsa, come documentano mostre e raccolte, risale alla fine del secolo diciannovesimo. Una seconda, molto più intensa accelerazione nei consumi del prosciutto crudo, succede dopo la seconda guerra mondiale, dagli anni cinquanta del secolo ventesimo. Di pari passo il prosciutto si modifica e si adatta alle nuove esigenze alimentari dei consumatori. Negli ultimi venti anni (1993–2012) i prosciutti diventano più dolci, diminuisce il sale e il grasso e calano il colesterolo e gli acidi grassi saturi, mentre aumentano le proteine e i prodotti derivati da una loro scissione enzimatica (aminoacidi e polipeptidi) e le vitamine. Le indagini dei ricercatori della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA), della Facoltà di Medicina Veterinaria della Università di Parma e dell’Istituto Nazionale per l’Alimentazione e la Nutrizione (INRAN) sono concordi nel rilievo di queste modificazioni. Al presente, la parte magra del prosciutto crudo a lunga stagionatura e di qualità, quale può essere quella dei prodotti DOP e IGP, ed eliminando il

molto salato. Le condizioni sanitarie dei maiali e quelle igieniche della lavorazione delle carni di una volta (altro mito da sfatare!) sono spesso precarie e per conservare le carni bisogna usare il sale in abbondanza. Oggi per fare il prosciutto si usano carni di maiali maturi e soprattutto con elevati livelli di sicurezza sanitaria e igienica e si é potuto ridurre la quantità di sale. Per fare questo ci si giova anche di un’attenta selezione dei maiali, con particolare riguardo al patrimonio enzimatico dei muscoli (beta – catepsine, ecc.). Un tempo era frequente e intenso l’irrancidimento del grasso e i prosciutti raffermi, si diceva, “suonavano”. L’irrancidimento era contrastato da un’intensa salatura, che riduce l’acqua libera. Oggi l’irrancidimento è molto più efficacemente impedito e ostacolato con una corretta alimentazione del maiale, evitando cibi mangimi rancidi e assicurando all’animale un’adeguata quantità di Vitamina E, una volta certamente scarsa o assente nell’alimentazione invernale che precedeva la macellazione del maiale. IL PROSCIUTTO D’OGGI L’abitudine di mangiare il prosciutto non cotto, precisando quindi che é “crudo”, ovviamente dopo la salatura e la stagionatura, é relativamente recente e si diffonde nel secolo ventesimo, anche se non è facile precisare una data precisa. Infatti, i modi d’uso di

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e soprattutto per le attività sportive, anche amatoriali. Tra gli aminoacidi essenziali (isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano, valina ed istidina), gli aminoacidi ramificati (valina, leucina ed isoleucina) rappresentano oltre il 40% del fabbisogno giornaliero di aminoacidi essenziali. La parte muscolare o rossa del prosciutto a lunga stagionatura é molto magra (5–9% di grasso). Il poco grasso che si trova nel muscolo ha spiccate caratteristiche dietetiche, perché quasi la metà dei suoi acidi grassi é composta dall’acido oleico e gli acidi grassi insaturi (buoni) prevalgono sui saturi. La digeribilità di questi grassi e una rilevante parte dell’aroma del prosciutto stagionato, deriva dalla lisi dei grassi contenuti nel muscolo. Se questi sono scarsi, come si richiede ai moderni prosciutti, per avere un buon aroma e un’elevata sapidità é necessaria una stagionatura prolungata. Per questo motivo, i prosciutti ottenuti con breve stagionatura, tendono a essere poco saporiti. Il prosciutto stagionato odierno contiene sale (cloruro di sodio) nella quantità in media compresa tra il 4,50 e il 6,90%, una quantità indubbiamente bassa per un salume. Vi sono tuttavia prosciutti, come quelli dell’Italia Centrale, che per tradizione mantengono una maggiore quantità di sale, che peraltro compensa la sua assenza nel pane insipido o sciocco. Da un punto di vista nutrizionale una porzione di

grasso circostante, é molto ricca di proteine (circa il 30%). Da un punto di vista nutrizionale, é da rilevare che dal 26 al 31 % le proteine sono idrolizzate, e cioè predigerite, e questo motiva l’alta digeribilità del magro del prosciutto crudo, ben stagionato almeno per un anno, come é nei prosciutti marchiati e garantiti da un Consorzio di Tutela. La proteolisi (ossia il processo di degradazione delle proteine da parte dell’organismo) é invece ridotta o minima nei prosciutti a breve stagionatura e anonimi. Quando la proteolisi é molto elevata, come nei prosciutti di un anno e mezzo ed anche di due o più anni, vi sono molti aminoacidi liberi e uno di questi, la tirosina, può precipitare, dando origine a piccole macchiette bianche, segno quindi di una stagionatura prolungata e quindi di un’altissima digeribilità. LA DOLCEZZA A una corretta proteolisi va attribuita la “dolcezza” di molti moderni prosciutti. Sfatando un diffuso, ma errato luogo comune, la dolcezza del prosciutto non é da attribuire alla diminuzione del sale, perché non é vero che “poco salato significa dolce”. Il sapore dolce del prosciutto in gran parte deriva dalla proteolisi, che libera aminoacidi di sapore dolce. Non va inoltre dimenticato che il prosciutto a lunga stagionatura contiene rilevanti quantità di aminoacidi ramificati, molto importanti per una buona nutrizione

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© Consorzio del prosciutto di San Daniele

mezz’etto di magro di prosciutto stagionato contiene 12 -15 grammi di proteina di altissima qualità, e per quasi un terzo predigerita, che può coprire più della metà del fabbisogno di proteine animali consigliate giornalmente per un uomo adulto. L’apporto calorico dei grassi (in prevalenza buoni) é minimo (non più di tre grammi, pari a circa 25 chilocalorie) ed anche la quantità di sale (cloruro di sodio) é contenuta (circa 3 grammi). La lunga stagionatura é un’importantissima garanzia sanitaria, perché distrugge ogni eventuale microbo infettivo o pericoloso. Una volta il prosciutto era grasso e salato, adatto a uno stile di vita che richiedeva molta energia e sale perduto con il sudore. Oggi il prosciutto crudo a lunga stagionatura, quasi per una benefica magia, si é adeguato ai nuovi stili di vita, divenendo magro e dolce, mantenendo, anzi esaltando le sue caratteristiche di aroma e di sapidità, attraverso una lunga maturazione. Un caso, non frequente, nel quale la dietetica va a braccetto con la gastronomia.

spiega come il loro consumo totale rimane abbastanza stabile, pur variando i rapporti interni, anche con il variare delle disponibilità economiche generali. La diversità dei prosciutti italiani permette una loro esportazione in paesi con diverse caratteristiche socio economiche e gastronomiche. Accanto ai prosciutti di alta o altissima qualità destinati a una ristorazione di élite, trovano posto altri prosciutti che ben si prestano a gustosissime preparazioni culinarie, tradizionali o innovative, dal semplice pane e prosciutto ai più elaborati timballi e mousse di prosciutto. In Italia abbiamo prosciutti DOP e IGP, regionali e non, con diverso periodo di stagionatura e anche aromatizzazione, prosciutti per tutte le tasche, ma tutti sicuri e buoni, sempre idonei per un’alimentazione al tempo stesso tradizionale e innovativa, per ogni età e categoria sociale.

PROSCIUTTI PER TUTTI I GUSTI E LE TASCHE Tanti sono i prosciutti italiani. Forse tanti quante sono le nostre regioni gastronomiche. Prosciutti che sono anche di differente livello qualitativo e di prezzo, con diversi rapporti tra qualità e prezzo. Questa diversificazione giustifica anche il loro successo e come ogni anno ogni italiano – in media – mangi circa mezzo prosciutto. Una diversificazione che

Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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CALEIDOSCOPIO

MELA VAL VENOSTA VOLA CON RYANAIR! Dal 19 gennaio Mela Val Venosta attiverà un’intensa attività di marketing non convenzionale per un totale di 2.560.000 impatti e oltre 12.000 mele distribuite.

CALEIDOSCOPIO

Mela Val Venosta decolla il prossimo 19 gennaio in tutta l’Italia e Spagna con 80 aerei Ryanair le cui cappelliere saranno personalizzate da annunci in 3 lingue dal claim “Croccante perché matura più in alto”.

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L’operazione sarà attiva per un periodo di 4 settimane per un totale di 3.280 annunci con un impatto stimato di 2.560.000 viaggiatori raggiunti: gli 80 aerei convolti nella promozione realizzeranno circa 16.800 voli e trasporteranno una media di 210 passeggeri a volo. “Una frequenza molto elevata che garantisce una presenza di volo in grado di coprire gran parte d’Europa – afferma Michael Grasser, responsabile Marketing Mela Val Venosta - e di raggiungere potenziali consumatori anche in paesi oltralpe come Germania, Francia ed Inghilterra”. Un’operazione di marketing non convenzionale ad alta quota che viene rafforzata da 9 giornate di degustazione nella base di Bergamo nei week-end tra il 19 Gennaio e l’8 Febbraio in cui saranno distribuite oltre 12.000 mele Val Venosta. “L’obiettivo della partnership - conclude Grasser - è quello di rimarcare l’elevata qualità e croccantezza della Mela Val Venosta che nasce dall’imprescindibile origine territoriale e dall’elevata altitudine, fino a 1.000 metri, in cui viene coltivata”.



Vista del complesso archeologico di Palenque. Sulla destra il Palazzo, residenza della famiglia reale..


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CHIAPAS

Lo stato meridionale della federazione messicana ricco di giungle in cui splendono belle rovine maya e con freschi altopiani avvolti nella nebbia dove vivono le etnie pi첫 tradizionaliste e intatte del Messico.

Renzo Angelini


C

subiscono il razzismo dei meticci : difficilmente riescono a trovare lavori dignitosi e spesso vengono loro negati i servizi fondamentali . Il governo non riconosce né rispetta la loro cultura e le loro tradizioni . La firma dell’ Accordo di Libero Scambio fra Messico , Stati Uniti e Canada (NAFTA) nell’ estate del 1992 , che avrebbe dovuto sancire una definitiva integrazione dei mercati premiando la produttività di alcune realtà minori , creò in realtà un grado di concentrazioni senza precedenti accentuando ulteriormente la polarizzazione sociale e geografica e gli squilibri strutturali aumentarono , pur resi meno visibili dai successi ottenuti in campo finanziario e statale . Tutto ciò portò alla insurrezione dell’ Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) , nato nel novembre 1983 , che ebbe luogo il 1° gennaio 1994 e guidato dal Subcomandante Marcos , con l’ occupazione di San Cristobal de las Casas . Il suo obiettivo , ispirato a Emiliano Zapata , nato a Morales in Chiapas e figura storica della Rivoluzione Messicana del 1910 , era di ridistribuire il potere e le risorse dello stato dai ricchi alla maggioranza povera . Fu una occupazione simbolica che durò solo una notte ma la vittoria fu politica , non militare .L’ azione ebbe risonanza mondiale e gli insorti , detti “zapatisti” si assicurarono quella visibilità e quella solidarietà che permisero loro di evitare la ritorsione del governo e quindi di essere attaccati dall’ esercito regolare con il quale non potevano competere militarmente . Le tensioni fra

on una estensione di 73.887 kmq , pari a circa un quinto dell’ Italia , ed una popolazione di 4.293.459 ( censimento 2005 ), il 75% di lingua maya , il Chiapas è una delle 32 entità federali che costituiscono la Repubblica Messicana . Si tratta prevalentemente di piccole comunità rurali disseminate su tutto il territorio , anche se il 76% del totale è in mano a latifondisti e imprese private . La produzione agricola è prevalente ma lo stato fornisce il 21% del petrolio del Messico , il 47% del gas naturale e quasi la metà dell’ energia elettrica : qui si concentra infatti il 25% delle foreste messicane e l’ 80% delle precipitazioni pluviali . Nonostante la ricchezza del territorio il Chiapas è una regione di povertà e sottosviluppo estremo , con una aspettativa di vita media di 60 anni degli uomini e appena 50 per le donne , un livello assai basso sul quale influiscono non solo le fatiche del lavoro nei campi , ma anche le pessime condizioni igieniche , la denutrizione e la mortalità infantile soprattutto per complicanze derivanti dal parto . Il 70% della popolazione è in condizioni di povertà ( secondo i dati della Banca Mondiale , con due dollari al giorno ) : la situazione è aggravata dalla totale insufficienza delle infrastrutture sanitarie e scolastiche con pesanti conseguenze nelle condizioni igieniche complessive e sulle possibilità di miglioramento sociale ; un quarto della popolazione è analfabeta . Gli indigeni che vivono nei centri urbani

Cattedrale di San Cristobal de las Casas.

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Sopra: cottura delle tortillas; Sotto: le cavallette costituiscono una preziosa fonte alimentare per gli Indios del Chiapas.

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Altopiano di Los Altos.



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Il Chiapas è uno dei più grandi produttori di caffè messicano, coltivato sopra gli 800 metri da cooperative di piccoli agricoltori.

Artigianato tessile a San Cristobal de las Casas.

Lavorazione dei tappeti a San Juan Chamula.

Le pecore dalla lana nera sono molto ricercate per tessere le gonne delle donne Indios.

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Mercato di San Juan Chamula.




semina alla raccolta . Nonostante la presenza di tante persone il silenzio è rotto solo dall’abbaiare dei cani o dal rumore di qualche motocicletta che sfreccia lungo le strade non asfaltate . La diffidenza verso gli stranieri e talora il comportamento aggressivo dei locali lascia spazio alla ospitalità quando comprendono di essere rispettati e interessati a capire il loro modo di vivere . Le fattezze dei loro volti ricordano quelli dei loro antenati , scolpite sulle pietre dei templi . Oggi lavorano nelle piantagioni di canna da zucchero , di caffè e si nutrono , come gli antichi , di mais , fagioli , zucche , patate , cacao e di tutti i frutti tropicali di cui è ricca la loro terra. San Juan Chamula è un piccolo centro di circa 60.000 abitanti situata nel cuore del Chiapas circondata da campagne coltivate a mais , ancestrale e atavico sostentamento della popolazione maya . Sulla grande spianata davanti la chiesa si svolge il mercato , punto di incontro di tutta la vallata : sciami di persone sono impegnati a portare le derrate al mercato o gli acquisti a casa . Gli indigeni maya sono eccezionalmente bassi , difficilmente superano il metro e sessanta , le donne ancor più piccole incedono sempre dietro al marito , incurvate sotto i carichi in spalla tenuti fermi dalla tradizionale fascia sulla fronte , gonne di lana di pecora nere , piedi scalzi e bluse dai colori forti e accesi . All’ interno della chiesa è possibile seguire dal vivo i riti e le usanze maya . Gli sforzi fatti

zapatisti ed esercito federale il 22 dicembre 1997 sfociarono in un vero e proprio massacro ad Acteal dove i militari uccisero 45 indios tra cui donne e bambini . Il teatro di questi avvenimenti è l’ altopiano di Los Altos che circonda la città coloniale di San Cristobal de las Casas , a 2000 metri di quota , e che fu capitale del Chiapas dal 1824 al 1892 , quando il titolo passò a Tuxtla Gutièrrez . La città prende il nome da Bartolomè de las Casas il frate domenicano che fu il primo vescovo del Chiapas e difensore dei diritti degli indigeni . Nel territorio vivono 150.000 nativi del ceppo Tzotziles ai quali si affiancano i Tzeltales , entrambi discendenti dal ceppo maya . Queste comunità hanno custodito gelosamente le loro radici preispaniche , mantenendo i loro idiomi autoctoni , i variopinti costumi tradizionali e le loro celebrazioni religiose . Le feste , scandite dal calendario cristiano e dai santi patroni dei villaggi , sono pervase del sincretismo che ha unito la fede cattolica alle antiche religioni : più evidente di questo intreccio è la venerazione degli indigeni per la croce , nella quale il simbolismo cristiano si unisce a quello maya dell’ Albero del Mondo . Le campagne sono un brulicare di vita e le proprietà sono divise in piccoli fazzoletti di terra intensamente coltivati dalle famiglie contadine , donne e bambini in particolare che provvedono manualmente a tutte le operazioni colturali dalla

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coltivare : dall’alto si vedono continui squarci nella vegetazione , dove la foresta è stata sostituita dalle colture del mais , del caffè e cacao . Il benessere della giungla è strettamente legato al Rio Usumacinta , il fiume che segna un ampio tratto di confine tra Messico e Guatemala e con i suoi affluenti bagna tutta l’area del Chiapas e metà del Guatemala , prima di scaricare le proprie acque nel Golfo del Messico . La giungla è ricca di testimonianze di cultura maya , che segnò uno dei momenti più alti delle civiltà precolombiane . Dal fitto della foresta sono state riportate alla luce intere città maya e la folta vegetazione tropicale , che in passato aveva reso difficile il ritrovamento , fa da cornice alle antiche rovine aumentandone il fascino. Palenque si trova nella valle del Rio Usumacinta , sui primi rilievi della Serra Norte de Chiapas . I monumenti , edificati su terrazze artificiali all’inizio del VII secolo , sono circondati e in gran parte ricoperti dalla verde foresta tropicale : le acque di un affluente dell’Usumacinta , il Rio Otolun , furono canalizzate all’interno del centro cerimoniale e le rovine , individuate sullo scosceso pendio , fanno pensare ad opere difensive dove a sud-est la protezione era garantita da alte montagne ricoperte di fitta vegetazione . I principali edifici costituiscono un complesso di grande armonia dove alla leggerezza delle proporzioni si uniscono la delicatezza dei

dai missionari e dagli spagnoli per convertire i nativi al cattolicesimo hanno appena scalfito la loro cultura religiosa che è rimasta sostanzialmente integra nei contenuti . Questo lo si evince dalla struttura esterna ed interna della chiesa , sostanzialmente simile a quelle occidentali , ma i riti che si svolgono all’interno sono completamente diversi . Il pavimento interno è cosparso di aghi di pino , per ricordare le spianate all’aperto dove gli antichi maya effettuavano i loro riti . Le statue dei santi sono molto basse , come il popolo maya , ma riprendono i visi dei dominatori spagnoli . Nella chiesa non vi sono banchi o sedie e le famiglie si siedono in terra , accendono candele ed iniziano le loro pratiche religiose . Gli sciamani si aggirano per la chiesa e sono a disposizione dei fedeli per aiutarli e consigliarli nei riti e nel trovare gli accessori per la preghiera : galline nere per togliere la stregoneria , Coca Cola da ingurgitare per provocare un rutto che eliminerà la malvagità che si è annidata nel corpo , distillati di canna per versare sul capo e scacciare i malefici . Nella parte orientale del Paese si estende per 30.000 kmq la giungla Lacandona, una foresta tropicale che attraversa il Guatemala settentrionale fino al Belize e allo Yucatan meridionale. Grande patrimonio di risorse naturali e biodiversità sta però scomparendo rapidamente , sotto i colpi inflitti dagli agricoltori e dai coloni in cerca di nuove terre da

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Immagini dei mercati della zona.

bassorilievi in pietra e stucco conferendo al tutto una raffinata eleganza cui un tempo contribuiva anche la colorazione rossa , abbellita da raffinati dettagli in stucco blu o giallo , oggi scomparsi . La cultura maya conobbe qui il proprio ipogeo a partire dal 250-300 d.C. per terminare improvvisamente intorno al 900 d.C. , quando iniziava invece lo sviluppo dei centri dello Yucatan che fiorirono in epoca post-classica . Era una città-stato dove la civiltà maya classica raggiunse il massimo sviluppo , in particolare nel campo astronomico e matematico , con l’uso del calendario e della numerazione che prevedeva già il concetto dello zero e del più complesso sistema di scrittura dell’America precolombiana . In architettura , tipicamente maya , è l’uso della volta a mensola aggettante al posto dell’arco semicircolare e con le lastre orizzontali che chiudono alla sommità

l’ apertura tra le pareti convergenti . La crescita demografica che spinse al disboscamento di nuovi terreni per l’agricoltura , a scapito della foresta che separava le diverse città-stato e conseguenti conflitti cruenti , portò all’abbandono di Palenque che in breve fu preda dell’avanzare inesorabile della giungla , per essere riscoperta nel Settecento . Infatti nel 1746 , in tempi relativamente lontani rispetto ad altre città maya del periodo classico , il religioso spagnolo padre Solis notò strane case di pietra di cui nessuno conosceva l’esistenza. Ebbero subito inizio una lunga serie di ricerche e l’architetto italiano Antonio Bernasconi fu incaricato a tracciare una pianta del sito ed a mapparne l’estensione. Egli scoprì che la città non era stata distrutta da incendi o terremoti , ma abbandonata dai suoi abitanti e colonizzata dalla vegetazione. Nel 1789, il re di Spagna, Carlo III organizzò una spedizione a

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Palenque avviando l’indagine archeologica del mondo precolombiano. L’intero complesso monumentale occupa una superficie di circa 16 chilometri quadrati, di cui solo il centro, chiamato “gruppo principale”, è stato liberato dalla foresta. I principali monumenti della città sono ricchi di iscrizioni, la cui recente decifrazione ha consentito di svelarne la storia ed i protagonisti. Occupato a partire dal Periodo Preclassico finale, cioè tra il 150 e il 250 d.C., ma l’apogeo culturale e architettonico fu raggiunto tra il 615 e l’800 d.C.. Una lunga strada immette nel centro cerimoniale della città, dominato dall’imponente complesso detto “Palacio”, insieme di edifici a carattere residenziale , costruiti in epoche diverse su una piattaforma accessibile da vaste scalinate. Alla sommità centrale si erge la torre a quattro piani forse usata come osservatorio astronomico o per vigilare la

pianura circostante. Sul lato sud della piazza, a ridosso di una collina ricoperta di fitta vegetazione tropicale, si erge il più imponente edificio sacro di Palenque: la Piramide delle Iscrizioni, che raggiunge i 36 metri di altezza, eretto per racchiudere la tomba di uno dei sovrani di Palenque: il re Pacal che regnò dal 615 al 683 d.C. tumulato in un sarcofago dove il corpo era accompagnato da un sontuoso corredo funerario di monili, suppellettili ed una stupenda maschera di giada: questo provava che le piramidi maya del Periodo Classico non avevano solo una funzione templare, ma anche quella di monumenti funerari, destinati ai personaggi della casa regnante. Gli altri complessi architettonici sono il Gruppo Nord, il tempio del Conte e lo sferisterio destinato al gioco rituale della palla. Un ruolo fondamentale è dato dal Gruppo della Croce, tre templi che presentano una

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Mercato di San Juan Chamula.



Raccolta delle bietole da coste. Aratura a trazione animale.

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Vista aerea di Palenque con il Palazzo reale a sinistra ed il Tempio delle Iscrizioni a destra. Tempio delle Iscizioni - Palenque.

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Orticoltura intensiva nella pianura di El Soconusco.

Le aree pianeggianti di El Soconusco sono ricche di acqua.

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Coltivazioni di mais in mezzo alla foresta del Chiapas.

Cascate Agua Azul lungo il fiume TulijĂ .

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cella sommitale coperta da un tetto sormontato da una complessa cresta di colmo, in origine ricoperta da decorazioni in stucco policromo. Terminata la visita culturale a Palenque ci spostiamo nelle terre basse di El Soconusco dove si incontrano grandi distese di orticoltura intensiva ma, a dispetto delle dimensioni, la meccanizzazione e l’ innovazione tecnologica sono ancora poco diffuse . La trazione animale è la forza motrice principale e l’irrigazione, nonostante l’abbondanza d’acqua, viene fatta ancora per

scorrimento aprendo le chiuse dei canali di bonifica e facendola defluire lungo i solchi, alla base delle piante. La differenza più significativa, rispetto alle terre alte del Chiapas, condotte dai campesinos nei piccoli appezzamenti di loro proprietà per l’autoconsumo, è la destinazione della produzione verso i mercati del nord del paese dove la diversificazione della dieta ed il maggiore potere d’acquisto delle popolazioni urbanizzate fanno entrare questi prodotti nel circuito dell’agribusiness.

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AGRICOLTURA OGGI WALTHER FAEDI E GIANLUCA BARUZZI

AGRICOLTURA OGGI

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LA CURIOSA STORIA DELLA FRAGOLA

La fragola a frutto grosso, oggi diffusa in tutto il mondo, non era presente in natura. La sua origine è avvenuta in Europa circa 300 anni fa grazie ad un incrocio provocato dall’uomo fra una specie selvatica del Nord America e una del Sud America. Walther Faedi e Gianluca Baruzzi


Fragola bianca di origine cilena.

Già in tempi antichi il consumo di fragole era rivolto alla fragolina di bosco (Fragaria vesca), specie spontanea nei boschi di gran parte del mondo, soprattutto in Europa. La fragola a frutto grosso (Fragaria x ananassa), non presente in natura ma oggi diffusa in tutto il mondo, ha da alcuni secoli preso decisamente il sopravvento sulle specie selvatiche. La sua storia è del tutto curiosa e particolare in quanto si fa risalire a due avvenimenti molto importanti. Il primo, agli albori del 1600, legato all’introduzione in Europa della specie selvatica Fragaria virginiana, spontanea nella zona orientale del Nord America. Il secondo, invece, è del secolo successivo (1714) quando un ufficiale francese luogotenente di vascello esperto di botanica Amédée-François Frézier, un ingegnere militare esploratore in Cile e Perù, presenta in Francia al Re Sole (Luigi XIV), notoriamente appassionato a gustare fragole, piante provenienti dal Cile. La fragola cilena apparteneva alla specie Fragaria chiloensis, di cui alcuni cloni con frutti di colore da rosa a bianco, erano da tempo coltivati dalle popolazioni indigene del Sud America (i Mapuche e gli Huilliche). Queste piante erano caratterizzate da solo fiori femminili (“pistillifere”) e quindi non in grado di fruttificare senza la vicinanza di altre piante di varietà impollinatrici. Le piante originali, messe a dimora in alcuni giardini botanici francesi, non fruttificarono fino a quando entrarono in contatto con piante di F. virginiana. In questo modo avvenne l’impollinazione dei fiori e quindi si ebbero per la prima volta in Europa frutti della fragola cilena di

pezzatura decisamente superiore alle fragole note fino a quel momento (fragoline di bosco). Dai semi di questi frutti si originarono delle piante che di fatto dettero inizio alla storia della fragola coltivata ottenuta appunto dall’ibridazione spontanea delle due specie selvatiche del continente americano. Il sapore di ananas dei frutti diede origine al suo nome botanico: Fragaria x ananassa. Tutte le varietà oggi coltivate a frutto grosso appartengono a questa specie binomiale. Fu descritta nel 1766 da Antoine Nicolas Duchesne che può essere considerato il primo ricercatore a dedicarsi pienamente allo studio e alla ricerca sulla fragola: fu giardiniere reale alla corte di Luigi XVI e scrisse la “Storia naturale della fragola”. Iniziò gli studi descrivendo minuziosamente 18 varietà di fragola, di cui alcune diffuse nella zona di Versailles. Siamo all’inizio della fantastica storia della fragola a “frutto grosso” che presenta anche dei risvolti romantici, oltre che scientifici. Basti pensare il fortunato incontro tra la fragola selvatica del Nord America e quella del Sud America avvenuto in Francia per pura casualità (aspetto romantico). L’incrocio fra questi due parentali ha generato una nuova specie (aspetto scientifico) di cui probabilmente non conosce pari tra le specie “addomesticate” dall’uomo in termini di complessità biologica e capacità di adattamento alla diversità degli ambienti colturali mondiali. Fin dall’inizio dell’800, Fragaria x ananassa è stata oggetto di un’intensa attività di ricerca genetica, da subito attiva sia nel continente europeo sia in quello americano.

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Fragaria chiloensis e Fragaria virginiana: disegni di Lynda Chandler (Florida).

Fragaria virginiana glauca.

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Fragolina di bosco con frutti bianchi.

Primi genotipi italiani con frutti bianchi.

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Fragolina di bosco rifiorente.

organolettiche. Può essere considerata la varietà che iniziò il processo di specializzazione della fragolicoltura italiana: venne coltivata fino agli anni ’60. V.H. de Thurry, Frau Mielze Schindler, Lucida Perfecta, Johannes Muller, Markee, Sieger, Deutsch Evern, Tardiva di Leopoldo, Surprise de Halles, Surprise de Campentras, Ville de Paris, Macherauch Spaternte D.P Wallbaum, Regina, Cambridge Favorite, Senga Precosana, Souvenir des Charles Machiroux, Senga Sengana, Belrubi e altre varietà sono state diffuse nel corso del ‘900 e rappresentano un patrimonio importante per il germoplasma varietale europeo. Il breeding della fragola nel continente americano fu avviato all’inizio dell’800 attraverso incroci fra le prime varietà originate in Europa e alcune selezioni della fragola selvatica nord americana (Fragaria virginiana). Probabilmente il primo breeder americano fu C. M. Hovey che diffuse nel 1834 l’omonima Hovey, coltivata, ma con limitato successo, nella costa atlantica (area di Boston). La varietà Wilson, con frutto più grosso di Hovey, ma di colorazione piuttosto scura e di sapore leggermente acidulo, contribuì alla piena affermazione della coltura nella costa atlantica nel periodo 1850-1860. Successivamente con l’ottenimento di altre varietà in grado di adattarsi ad areali diversi, la coltivazione

In Europa si può affermare che tra i progenitori delle moderne varietà di fragola, “Keens’ Seedling”, selezionata da Michael Keens all’inizio dell’800 in Inghilterra, è sicuramente quello più ricorrente. Andrew Knight è stato probabilmente il primo vero “breeder” riconosciuto e all’inizio dell’800 costituì in Inghilterra le prime due importanti varietà di fragola (Downton ed Elton) le cui piante sono state moltiplicate ed ampiamente coltivate dai produttori di quell’epoca. Nella seconda metà dell’800 le attività di breeding si intensificarono e portarono alla realizzazione di varietà molto diffuse come Docteur Morère (1860), Laxton Noble (1887) e Royal Sovereign (1898); quest’ultima in particolare può essere considerata la prima varietà di rilevante importanza europea in quanto ampiamente coltivata all’inizio del ‘900 soprattutto in Francia, Germania, Inghilterra e Olanda. Royal Sovereign e Docteur Morère sono i parentali dell’incrocio da cui Charles Moutôt selezionò in Francia nel 1906 la varietà Madame Moutôt che presentava il primo vero significativo miglioramento della pezzatura del frutto. Grazie soprattutto a questo importante carattere, la varietà ebbe un ampio successo nelle coltivazioni di tutta Europa, Italia compresa. Il frutto era di colore rosso aranciato, di forma un po’ irregolare, polpa biancarosa, poco consistente, ma di ottime caratteristiche

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Profumata di Tortona; in basso: Ibrido fragola x potentilla a fiori rosa.

casi di varietà esaploidi (F. moschata), diploidi (F. vesca) e decaploidi (Fragaria x vescana) queste ultime ottenute attraverso un incrocio complesso fra F. x ananassa, F. moschata e F. vesca poliploidizzata. Esistono anche ibridi intergenerici di Fragaria x Potentilla caratterizzati da fiori rosa di differente intensità ed attraenza. Negli ultimi anni la quantità di varietà diffuse è notevolmente aumentata grazie all’intensa attività di miglioramento genetico soprattutto di costitutori privati. Questi programmi privati mirano a finanziarsi con le “royalty” assicurate dai brevetti, ma le strategie di autofinanziamento sono sempre più diffuse nel mondo, anche presso le istituzioni pubbliche.

si estese anche nella parte ovest degli Stati Uniti e soprattutto in California. Fu Albert Etter il primo breeder che all’inizio del 1900 selezionò numerose nuove varietà (Rose Ettesburgh, Ettesburgh 80-84-89, White Sugar, Ettersburgh 121, Fantastic, Fendalcino) adatte alla fragolicoltura californiana le cui condizioni climatiche si differenziavano decisamente da quelle della costa atlantica. Harold Thomas e Earl Goldsmith alla fine degli anni ’20 diedero ulteriore impulso alla ricerca californiana che si concretizzò decisamente con il loro successore, Royce Bringhurst, che, presso l’Università della California, costituì importanti varietà come Fresno (1961), Tioga, Sequoia, Aiko e Cruz. Queste creazioni avviarono il grande successo delle varietà californiane che ben si adattarono alle aree con inverno mite di tutto il mondo, Italia compresa. Questo materiale genetico, infatti, era caratterizzato da piante con basso fabbisogno in freddo invernale. Allo stato attuale esistono programmi di miglioramento genetico pubblici e privati in numerosi Paesi del mondo, tutti finalizzati alla costituzione di nuove varietà di fragola. La maggior parte delle varietà diffuse appartiene alla specie ottoploide Fragaria x ananassa, ma non mancano

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LE DIVERSE SPECIE: CURIOSITÀ TUTTE DA SCOPRIRE... Il genere Fragaria L. (famiglia delle Rosaceae) comprende complessivamente 15 specie a corredo cromosomico diverso, da diploide a ottoploide (2n=8x=56).

marcata resistenza ad alcune malattie dell’apparato aereo; altre varietà manifestano tolleranza alla salinità e alla siccità, in particolare i cloni originari dei litoranei dell’oceano Pacifico. Infine i genotipi che presentano colorazione bianca o rosa del frutto, tuttora coltivati in alcune aree del Cile, mostrano un notevole interesse per via oltre che della qualità del frutto anche per il basso potere allergenico che i frutti depigmentati hanno a confronto dei tradizionali frutti rossi.

LE FRAGOLINE DI BOSCO F. vesca, meglio nota come “fragolina di bosco” è spontanea e alcune varietà sono ampiamente coltivate in molte aree europee. Le varietà più diffuse sono rifiorenti e non emettono stoloni, come Regina delle Valli, Alpine e Alexandra, ma sono note e coltivate anche varietà unifere e stolonifere. Altre specie “diploidi” del genere Fragaria sono: F. viridis (spontanea in Europa), F. nigerrensis, F. daltoniana, F. nubicola, e F. iinumae, quest’ultime tutte spontanee nel continente asiatico.

LE FRAGOLE RIFIORENTI Fragaria virginiana, l’altra specie “parentale” della fragola oggi coltivata cresce spontanea nella parte nord-orientale dell’America settentrionale. In pratica non ha nessun interesse colturale, ma ha un grande interesse storico-scientifico in quanto una sua sottospecie (F. virginiana glauca) è portatrice del carattere rifiorente “neutrodiurno” in grado di conferire alle piante la possibilità di differenziare continuamente gemme a fiore e quindi di fiorire fino ai freddi invernali. F. virginiana glauca cresce con più frequenza nelle aree settentrionali del continente nord-americano: fu scoperta nel 1955 da un ricercatore californiano (Royce Bringhurst) nelle montagne dello Utah vicino a Salt Lake City. Attraverso alcune generazioni di incroci con varietà unifere a frutto grosso si è arrivati a costituire nel 1979 le prime varietà rifiorenti neutrodiurne, la cui coltivazione oggi nel mondo è in costante aumento. L’importanza di questo carattere è legata alla concreta possibilità di produrre fragole per lunghissimi periodi, anche nei mesi “fuori stagione”.

LE FRAGOLE “MOSCATE” Fragaria moschata (l’unica specie esaploide nota) è stata coltivata in Europa prima dell’avvento delle varietà di Fragaria x ananassa caratterizzata da un frutto più grosso della fragolina di bosco (circa il doppio). È spontanea in un vasto areale del Centro-Nord Europa, che va dalla Francia, Germania, Russia fino all’Italia dove presenta il limite meridionale di espansione in Valle Padana. Le caratteristiche della pianta e del frutto di questa specie sono state descritte in numerosi testi antichi in cui viene citata la varietà Profumata di Tortona (nota fin dal 1600) ancora oggi coltivata nell’area di Tortona. Alcuni programmi di miglioramento genetico della fragola utilizzano cloni di Fragaria moschata (fra cui la varietà Profumata di Tortona), in programmi di ibridazione, per inserire il carattere di “aroma moscato” nei frutti delle varietà di fragola a frutto grosso. I frutti di Profumata di Tortona sono poco consistenti, di colore da rosa chiaro a rosso violaceo, non uniforme, di solito di forma arrotondata, caratterizzati da un penetrante aroma moscato e dal calice molto reflesso che si distacca abbastanza agevolmente a completa maturazione. È noto che i frutti erano molto apprezzati nelle mense dei ricchi consumatori europei anche per le “grosse” dimensioni, tenuto conto che qualche secolo fa un frutto di circa 5 grammi veniva considerato grosso. LA FRAGOLA DEL CILE È il parentale materno dell’incrocio che ha originato la fragola coltivata a frutto grosso. Fragaria chiloensis, diffusa nella parte occidentale del continente americano, lungo tutta la costa dalle Montagne Rocciose del Canada fino alla Cordigliera delle Ande in Cile, viene ancora oggi coltivata in alcune aree cilene e denominata “frutillar”. L’interesse verso queste tipologie di fragole è molteplice: alcune varietà caratterizzate da una colorazione intensa e particolarmente lucida delle foglie presentano una

Walther Faedi CRA-FRF Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura Unità di Ricerca per la Frutticoltura Forlì

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Newport Ave Market


DISTRIBUZIONE DANIELE TIRELLI

DISTRIBUZIONE

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LA BOQUERIA Il food display parla catalano.

Daniele Tirelli



Vendere (visivamente) alimentari freschi è un’arte difficile che mezzo secolo di trionfi dei prodotti confezionati ha, nel nostro Paese, ha quasi azzerato. Esiste tuttavia una città, Barcellona, che ha conservato, esaltandola, quest’arte. Nella capitale catalana opera con crescente successo un “istituzione” secolare ben nota ad un enorme pubblico di turisti internazionali: La Boqueria, il “Louvre” di quel che chiamiamo oggi food display. Barcellona è una città la cui pianta è stata ridisegnata ispirandosi alla più ardita modernità. Tuttavia questa sua proiezione verso il futuro non le ha impedito di preservare la propria tradizione all’interno della quale si colloca il suo mercato centrale. La Boqueria è sopravvissuta ad ogni minaccia divenendo un’istituzione intoccabile ed inimitabile che figura tra le mete obbligate di chi visita la città, oltre di chi la abita. Il piacere e l’orgoglio gastronomico catalano vi vengono infatti esplicitati a livelli tale da renderla il più bel mercato d’Europa e del mondo, comparabile

forse solo con il Nagy Vasarcsarnok, il mercato coperto di Budapest. La Boqueria è un “tutto”: un’accademia dell’ “arte di esporre”; un concentrato di cariche sinestetiche da cui le catene più avanzate di supermercati (soprattutto americane) cercano di apprendere. I quasi 300 gestori di chioschi e banchi che sono ospitati nei 2600 mq dell’edificio coperto e della piazzetta Sant Josep, non si definirebbero certo degli esperti di aesthetic & emotional marketing pur se lo praticano da tempo immemorabile. In questo mercato coperto a cui si accede dal n.91 della trafficatissima Rambla de Caputxins, questi sono però concetti innati e pratiche correnti da oltre 150 anni. Lo “spettacolo della merce” ebbe infatti inizio a metà ‘800 quando l’amministrazione cittadina decise di trasformare questo mercato semiambulante in un centro di servizi più funzionale per i barcellonesi. Oggi, vi affluiscono milioni di turisti e migliaia di fotografi dilettanti e professionisti, ma descrivere La

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senso di stupore (il restare a bocca aperta) suscitato da un bellissimo portale, trofeo di guerra strappato, in un lontano passato, alla città conquistata di Almeria. Non è vero, ma la storia si adatta ad un luogo che cattura prepotentemente con i suoi artifizi scenici il passante. L’entrata principale (al pari dei più moderni supermercati) è dedicata all’ortofrutta presentata con il più spettacolare e laborioso visual merchandising sia dato immaginare. Gli accostamenti cromatici, le disposizioni piramidali o a cascata sono illuminate e predisposte così da sollecitare l’occhio con un effluvio di prepotenti percezioni cromatiche. Non a caso la minoranza dei clienti effettivi deve farsi spazio in una folla perenne di fotografi che inondano il web con le loro immagini contribuendo, in questo modo, ad una gigantesca operazione di “marketing virale”. Il cuore del mercato è l’area circolare posta nel centro del padiglione e dedicata alla pescheria. Difficile dire quante specie ittiche commestibili (freschissime)

Boqueria è sempre molto difficile. Per coglierne il fascino occorre viverne l’esperienza fatta di colori accesi, di odori forti, di assaggi, insomma di sensazioni fisiche percepite sotto la pressione del flusso enorme di visitatori che vi circonda, vi schiaccia, vi conduce a piccoli passi lungo le sue corsie. Il luogo comunica l’eccitazione del tanto e del troppo riversato sotto i vostri occhi, (assieme all’ansia di essere derubati) in una calca umana fatale ad ogni altro luogo d’acquisto. Ciò nonostante frequentare La Boqueria è un rito anche per i turisti che, ospiti degli hotel non devono certo acquistare prodotti freschi da cucinare. È un rito anche fare la fila per mangiarsi scomodamente in piedi un piatto di Pata Negra assortito, nel bugigattolo di Marcos o una paella di El Cochinillo Loco, o sorbirsi uno dei tanti cocktail di frutta acquistati ad un banco. Il nome di questo mercato è di per se stesso frutto di una leggenda metropolitana. I barcellonesi amano pensare che derivi da Badoqueria un termine che esprime il

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superspecialistica. In questo senso il prezzo si rapporta positivamente alla qualità percepita diminuendo di molto la valenza comparativa con altre alternative. Un altro indubbio punto di forza è la proposta di una IV gamma freschissima costituita da insalate, macedonie, composizioni e blend di frutta frullata da consumare all’istante o passeggiando sulla Rambla. Nella Boqueria è stato reso spettacolare anche il chiosco della frutta secca e candita che presenta un assortimento apparentemente illimitato e una tavolozza di colori irripetibile; quello dei torroni (di tutte le provenienze) è una promessa per ogni curiosità o golosità. Per finire va detto che l’unicità della Boqueria è testimoniata dalla visita ripetuta dei turisti che ritornano a Barcellona, perché il luogo “non stanca”. È quel che accade quando il piacere del palato riesce magicamente a combinarsi, attraverso la cultura alimentare, a quello del cibo pensato e ragionato.

vi siano esposte. Sui suoi letti di ghiaccio giace un’interminabile sequenza di molluschi, crostacei e pesci “incriccati” che dichiarano la propria freschezza ad una città marinara molto esigente in materia. La Boqueria serve infatti anche i migliori ristoranti di Barcellona che dei piatti di pesce fanno uno specifico vanto. A corollario vi trovate anche i sapori del pesce affumicato e salato declinato nei tanti tipi di aringhe e soprattutto di baccalà e stoccafisso. Passando ai formaggi e ai salumi va detto che i chioschi ad essi dedicati presentano una vera esplosione delle tante varianti di jamon ordinati nella loro tassonomia di gusti, provenienza e invecchiamento: una profusione di alternative inusuale e stupefacente anche per noi Italiani. Certo è che il posto non ha nulla da invidiare alle migliori jamonerie madrilene. Chi ama la carne bovina, ovina o altra che sia, può essere esposto alla sindrome di Stendhal, ovvero alla difficoltà di scegliere. Un tradizionalista può trovarvi le interiora, la testa di pecora o finanche le griadillas ternera, il gastronomade in cerca dei più teneri filetti, sarà accontentato dal servizio personalizzato di uno dei chioschi di macelleria. Tuttavia il climax della spettacolarità raggiunge il suo apice nell’area dell’ortofrutta. L’assortimento offerto è profondissimo. Vi si fondono gli aspetti tipici di un “farmer market” vocato al localismo catalano, e quelli degli specialty food store più attenti agli esotismi più raffinati. Il tradizionale convive cioè con la varietà

Daniele Tirelli IULM Milano

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Panoramica dei vigneti di Donnafugata a Contessa Entellina


COVER STORY ANTONIO BRAMCLET

COVER STORY

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DONNAFUGATA VINI DA LEGGENDA Storie, miti e qualitĂ di prestigiosi vini siciliani prodotti con somma cura dalla famiglia Rallo.

Antonio Bramclet


Invertiamo la freccia del tempo e posizioniamola nei primi anni dell’800, nei dintorni della vasta area dell’Italia meridionale, allora conosciuta come il Regno delle due Sicilie. La leadership di Ferdinando IV di Borbone sta crollando sotto le mazzate delle truppe di Napoleone. Il Re è trincerato a Napoli e attende il suo destino. Preoccupato per le sorti della famiglia suggerisce a sua moglie, Maria Carolina, di allontanarsi dalla corte. La Regina per amore dei figli si lascia convincere e si rifugia in Sicilia Occidentale, nei territori che Tommasi di Lampedusa nel suo capolavoro scritto verso la metà del novecento, Il gattopardo, chiamerà Donnafugata, stabilendo una fatale connessione tra la “donna in fuga”, la regina appunto, e i possedimenti di campagna del Principe di Salina, personaggio centrale del suo famoso romanzo. Oggi, in questa parte di una bellissima Sicilia si trovano i vigneti aziendali di una delle marche di vino più famose al mondo, sulle cui etichette appare in effigie l’immagine di un volto femminile con i capelli sconvolti dal vento: anche senza la scritta Donnafugata potrebbe veramente simbolizzare una donna in processo, ovvero una donna del fare, dell’agire, della passione. Una marca quindi che riunisce in una sacra alleanza una terra, i suoi prodotti, la sua storia e i miti che appassionano la gente. Ma la profondità significante dei territori della tenuta Contessa Entellina, si chiamano così i luoghi incapsulati nel cuore della Sicilia Occidentale nei quali si perdono a vista d’occhio i vigneti che daranno le uve per i vini di Donnafugata, non si limita certo alle vicissitudini di una ottocentesca regina in momentaneo esilio. In Tucidide, il primo grande storico dell’antichità e per certi versi in Plutarco troviamo tracce della leggenda di Elimo, figlio illegittimo di Anchise, il leggendario re di Troia, in fuga con Enea dopo la distruzione della città da parte dei greci. Il principe troiano dopo estenuanti vicissitudini arrivò in Sicilia e nei territori sui quali oggi troneggiano moderni vigneti fondò le città di Elima e Egeste (l’attuale Segeste). I nuovi coloni, portarono in dote la coltivazione della vite che divenne in seguito uno dei prodotti più rinomati dell’isola.


Terreni terrazzati coltivati a vigna sull’isola di Pantelleria; a sinistra in basso: i “Signori” di Pantelleria, Giacomo Rallo con la moglie Gabriella, la figlia Josè e il figlio Antonio.


Zibibbo di Pantelleria steso sulle stuoie ad appassire; foto piccola destra: Josè Rallo con Claudia Cardinale durante una vendemmia notturna a Contessa Entellina


COVER STORY ANTONIO BRAMCLET

UNA FAMIGLIA D’ALTRI TEMPI Giacomo Rallo, l’attuale capofamiglia della casata che da oltre 150 anni si prende cura dei vigneti che producono le uve per i vini di Donnafugata, ha perpetuato nel modo migliore la tradizione unica che arricchisce le sue proprietà, conferendo all’azienda che dirige insieme alla moglie Gabriella, ai figli José e Antonio, un assetto moderno, innovativo, efficiente. Vista con lo sguardo disincantato dell’abitatore della post modernità, Donnafugata rappresenta una sintesi ideale tra la vocazione storica di un territorio e la technè da sempre necessaria per difenderlo dal suo stesso mito. La fusione tra l’approccio umanistico e l’attenzione al sapere scientifico/tecnico ha conferito ai prodotti dell’azienda un’unità di valore efficace sui mercati di tutto il mondo, per perpetuare ancora un poco più in là nel tempo l’eredità storica di un modo di produrre che è da sempre anche un atto di cultura e scelta etica. Non ci sono dubbi sul fatto che la natura del suolo, l’altitudine, l’esposizione al sole, il clima, la qualità dei vitigni di Donnafugata siano in sé portatori di una identità sensoriale che conferisce ai vini prodotti un fisico eccezionale. Ma dobbiamo aggiungere che il processo di vinificazione regolato ad arte da enologi competenti e professionali hanno trasformato questa dote naturale in prodotti dal carattere e dalla personalità fortemente stilizzati, riconoscibili per l’eccellenza della resa qualitativa. A ciò si aggiunge l’ossatura etica fortemente voluta da Giacomo Rallo e dai figli, imprenditori consapevoli del fatto che il come si produce ha delle implicazioni sul valore che accumula ogni unità di prodotto. Non è per caso se Donnafugata è una delle aziende siciliane all’avanguardia per quanto riguarda la sostenibilità e l’attenzione all’ecologia del produrre. L’attenzione agli equilibri produttivi e il rispetto della perfetta integrazione delle coltivazioni con la tutela del territorio sono impeccabili e certificati a livello internazionale. A testimonianza di ciò si possono citare i paesaggi della campagna nella quale vengono prodotte le uve: anche all’occhio più esigente appare una armonia all’altezza delle emozioni che suscitano le tanto osannate colline toscane nei dintorni di Siena e le vigne del Monferrato…

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“La viticoltura e l’enologia non sono solo delle attività economiche, ma rivestono un importante ruolo etico. Il loro obiettivo non si esaurisce nella produzione di un vino buono e genuino, bevanda ideale per l’uomo moderno, ma deve tenere in conto della salvaguardia di ambienti di particolare valore storico e culturale, di vitigni forse fuori moda, ma testimoni di altri periodi della storia viticola…


VINI DI QUALITÀ SUPERIORE La sintesi di tutte le attività implicate dalla coltivazione delle 14 varietà di uva nei poderi di Entellina e nell’isola di Pantelleria (dal 1989 Giacomo Rallo produce uno dei passiti più quotati dai veri intenditori), sono 14 etichette considerate l’elite dei vini siciliani e italiani. Tutti meriterebbero un encomio, comprese le grappe di Nero d’Avola. Mi limiterò a segnalare le star tra le etichette dell’azienda. Mille e una notte e Tancredi sono due neri di statura internazionale. Il primo rappresenta la versione nobile del Nero d’Avola ( con lievissime aggiunte di altre uve) materializzata in un vino di grande struttura e complessità. Intenso, elegante, provvisto di un bouquet avvolgente in cui è facile riconoscere sensazioni fruttate, dolci e mature, su note balsamiche e floreali; possiamo senz’altro considerarlo come l’etichetta di prestigio dell’azienda. Tancredi lo segue a ruota. Si tratta di un Nero d’Avola sposato con il Cabernet Sauvignon, invecchiato come il Mille e una notte, per 14/16 mesi in barrique. Il suo spettro olfattivo è di tutto rispetto; sorprendono la chiarezza dei sentori di liquirizia, cacao e amarena. I più attenti intercetteranno sul liminare del processo senziente di una degustazione, il lieve battito di note mentalate. Rispetto al Mille e una notte, è forse di un’eleganza più sfrontata, giovanile. Il suo nome non è a caso ispirato a Tancredi, personaggio del Gattopardo, così come lo traduce nei codici visuali del cinema un ispirato Visconti, attraverso il fascino e l’eleganza coinvolgente di Alain Delon. Un’altra etichetta hors categorie di Donnafugata è il rinomatissimo Ben Ryé, un passito di straordinaria personalità ottenuto da uve Zibibbo (sarebbero una variante del moscato d’Alessandria), provenienti da 11 contrade di Pantelleria caratterizzate da microclimi differenti e unici; un uvaggio che ben lavorato ci dona un vino armonicamente dolce, morbido, fresco. All’olfatto regala note intense di albicocca e pesca e sensazioni gustative che rimandano ai fichi secchi e alle erbe mediche. Un sublime vino da meditazione, dicono gli esperti, da accompagnare a formaggi, fois gras e cioccolato fondente di qualità.

COVER STORY ANTONIO BRAMCLET

Paesaggi che lasciano percepire l’efficienza del fare coniugata al rispetto per la bellezza. A mio avviso l’amore e l’eccezionale rispetto della famiglia Rallo per l’uva e il vino emerge in modo da generare una sincera reverenza, soprattutto nel progetto che rappresenta il fiore all’occhiello dell’azienda ovvero il campo sperimentale, nel quale vengono coltivate con i crismi della ricerca scientifica avanzata, 19 differenti varietà di vite autoctone in rappresentanza di 30 biotipi. Senza queste attenzioni varietà-reliquie come il Nocera, il Vitaiolo e l’Alzano probabilmente sarebbe già da tempo scomparsi dall’isola. Mi piace pensare che chi è illuminato da tanto rispetto e amore per la propria attività non possa che creare prodotti di qualità eccezionali.

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FOTOGRAFIA E NATURA

AKIYOSHI ITO Lamberto Cantoni

FOTOGRAFIA E NATURA LAMBERTO CANTONI

I sogni sott’acqua che ci risvegliano.

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L’usciere © Akiyoshi Ito 2012.



Nella pagina accanto: Ferma il tempo © Akiyoshi Ito 2012; qui sopra: Trucco leggero © Akiyoshi Ito 2012.

100 metri di terra costiera; le temperature terrestri degli ultimi vent’anni sono le più alte mai registrate da quando gli scienziati hanno cominciato a documentarle con sufficiente affidabilità (ovvero dalla metà del ‘700), l’inquinamento da emissioni di anidride carbonica (dovuta all’utilizzo di fossili come petrolio e carbone) impedisce alla luce solare di fare ritorno nello spazio e intrappolata nella nostra atmosfera trasforma in un incubo le nostre estati in città. Ovviamente la catena di retroazioni negative per l’omeostasi marina, causate da fattori scatenanti che frettolosamente sintetizziamo appellandoci all’inquinamento, potrebbe continuare sino all’esaurimento. In questa sede mi preme sottolineare il fatto che la messa in discussione dei processi vitali non investe solo la nostra vita, bensì anche quella degli organismi marini. E tra questi quella dei coralli che formano le stupefacenti barriere la cui ecologia produce un modo di rivelarsi della bellezza di inesauribile fascino.

UNO SGUARDO AL FUTURO DEL PIANETA I profeti non mi sono mai stati particolarmente simpatici. Mikio Kaku però, appartiene ad un genere di visionari ai quali presto molta attenzione. Nel suo ultimo libro, Fisica del futuro, lo studioso propone una eccitante narrazione che parte dai dati attuali registrati dalle osservazioni scientifiche in tutti i campi dello scibile, per poi estenderne le conseguenze nell’immediato futuro della vita dell’uomo. A partire da un concerto di voci autorevolissime, alcune centinaia di scienziati tra i più accreditati, in un modo o nell’altro invitati a riflettere sugli scenari possibili causati dall’amplificazione degli effetti dipendenti dai processi in atto, l’autore arriva a proporre una visione sul futuro che grazie al suo talento narrativo, mi fa pensare più che ad un accumulo di congetture alla profezia in forma di parabola, ovvero ad una storia fantasiosa raccontata a fin di bene. Del libro mi hanno particolarmente impressionato le conseguenze della nostra scelta di basare le attività economiche principalmente sull’energia ricavata dai combustibili fossili. In breve, il nostro pianeta si sta surriscaldando; negli ultimi cinquant’anni lo spessore dei ghiacci artici è diminuito del 50%; porzioni dei ghiacci dell’Antartide ampie quanto uno Stato europeo di medie dimensioni si stanno staccando e vagano negli oceani come immensi fantasmi in dissolvenza; ogni metro di innalzamento del mare equivale alla scomparsa di

UN TRIBUTO ALLA BELLEZZA WABI-SABI Mi rendo conto che usare come prologo per la presentazione di un grande artista, suggestioni tratte da un libro di scienza visionaria, è sicuramente un azzardo. Tuttavia, vi prego di credermi, quando per la prima volta mi sono trovato di fronte alle meravigliose immagini di Akiyoshi Ito, l’immediatezza della percezione della bellezza si è subito sciolta nel

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pensiero umorale la cui semantica affonda nelle considerazioni paraecologiche dalle quali sono partito. In altre parole, il fascino di immagini per le quali non è sprecata la parola perfezione non mi hanno provocato il sentimento che di solito attribuiamo all’oggetto bello nel senso di beauty (categoria estetica che ci restituisce il “bello” contaminato dal desiderio). E nemmeno nel senso del classico tò kalòn (sarebbe il “bello”, dominato da una idea preesistente che, in qualche modo gli conferisce l’armonia, l’ordine, la proporzione ideali). Nelle sue fotografie ho percepito una inquietudine, una sorta di appagamento da dosi di bellezza inaspettate, pervase tuttavia da un rumore di fondo che potreste immaginare corrispondere alla melanconia. Le immagini di Ito, rappresentano mirabilmente i paesaggi dei reef di tutto il mondo così come potrebbero apparire davanti agli occhi di ciascuno di noi se potessimo osservarli nel preciso momento in cui il fotografo ha deciso di riprenderli. In altre parole, le immagini del grande fotografo giapponese sono un invito a lasciare le cose come sono. Nella lingua giapponese ci sono due parole, sconosciute a noi occidentali, che mi permettono di presentarvi la struttura concettuale che connette il discorso della precarietà ecologica con il sentimento apparentemente inutile che chiamiamo bellezza. Il concetto di wabi possiede una nota emotiva particolare che sembrerebbe appropriata quando ci riferiamo ad un oggetto tutto sommato umile, persino banale, tuttavia complesso dal momento che presenta qualcosa di esterno alle procedure lineari preferite dalla mostra mente. Potremmo avvicinare questa esteriorità, fonte di una corrente emotiva di bellezza diversa dalla percezione armoniosa di una forma, con parole come asimmetria, imperfezione, disgregazione. Sabi, la seconda parola, porta con sé un sentimento di solitudine e di malinconia. Crispin Sartwell, nel suo bel libro intitolato I sei nomi della bellezza (Einaudi, 2006), ci ricorda che l’estetica racchiusa dalle parole wabi-sabi, nella cultura giapponese, è normalmente associata alla cerimonia del tè, codificata nel XVI secolo da Sen no Rikyu. Ancora, è bellezza wabi-sabi l’imperfezione della tazza Kizaemon; possono essere wabi-sabi gli alberi d’inverno, i suiseki (i paesaggi di pietre) e l’ikebana (l’arte della composizione dei fiori).

Poesia della vita © Akiyoshi Ito 2012.

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Insomma, sembra di capire che la batteria passionale che accompagna la parola wabi-sabi sia l’esatto contrario dell’entusiasmo e della meraviglia che noi occidentali siamo stati educati a provare quando ci troviamo di fronte a un capolavoro, a un saggio magistrale di perizia tecnica, a tematiche sconvolgenti. Nelle composizioni wabi-sabi troviamo calma, compostezza, pace e una punta di nostalgia (o semplicemente di inquietudine). ALDILÀ DELLO SPECCHIO Osservate ora le immagini pubblicate a corredo del mio intervento. Per esempio guardate con attenzione I Healing light: la purezza del colore dei coralli, la freschezza che ci trasmette la gradation dell’azzurro del mare in contrasto con la tinta rosacea dei microrganismi del reef attraversata da ramificazioni evidenziate da una intensità del timbro di colore dominante, come se fossero i centri nervosi di un enorme organismo pensante protetto dall’oceano; la luce fioca che filtra dalla superficie delle acque che mi fa pensare al sole d’inverno, quando i fotoni di luce arrivano dallo spazio leggeri, discreti, frettolosi. E che dire della tartaruga marina in primo piano, ripresa come se fosse un fantasma scortato da uno sciame di piccoli pesci fiduciosi nella giustezza delle sue traiettorie. L’incredibile texture di segni che ne disegnano la forma le conferiscono una grazia inimmaginabile per un organismo marino quant’altri mai goffo e pesante. Entrare in questa fotografia sembra veramente di essere in un sogno dominato dal desiderio di perfezione. Ma dal momento che per vedere e farmi guardare da questa immagine devo essere sveglio, come faccio a rimuovere ciò che so sulla precarietà della vita dei paesaggi marini in essa rappresentati? Cosa ne sarà di tanta bellezza quando avremo trasformato anche i mari nella cloaca maxima del nostro stile di vita? Akiyoshi Ito è riuscito a trasformare un soggetto tutto sommato semplice, i paesaggi delle barriere coralline, tra i più amati dagli amatori della fotografia subacquea, in qualcosa dal quale promana una possibile ma non scontata eternità. La sua bellezza è wabi-sabi perché ci ricorda quanto la purezza e la perfezione non abitino soltanto i mondi ideali e astratti generati dalla nostra mente, ma siano anche nelle cose che ci circondano e che per noncuranza possiamo perdere. Forse potrete pensare che in definitiva questa

Chiacchierando © Akiyoshi Ito 2012.

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Magnifico © Akiyoshi Ito 2012.

a creare con il meraviglioso mondo sommerso dei reef. In altre parole Akiyoshi Ito è riuscito a divenire una cosa sola con le cose per le quali vale la pena di perdersi. Una specie di amore che lo rende assente proprio nel preciso momento in cui è più presente. E’ vero che niente più della bella forma ci fa pensare a quella specie di incantamento che ci fa innamorare. Ma se Akiyoshi Ito scompare di fronte al soggetto significa che ciò che vediamo è un’emanazione del reale e quindi non il soggetto della foto non è soltanto forma ma anche processo. E se aldilà dello specchio della bellezza (tò kalon) è il processo che l’artista vuole raffigurare allora, i rumori dell’etica che ho cercato di mettere in gioco con wabi-sabi, non mi sembrano un elogio alla critica soggettivistica bensì forzature del linguaggio che il prodigioso talento dell’artista ha reso necessarie.

lettura dell’artista giapponese odori un po’ troppo di soggettivismo. Nulla vi impedisce di trovare nelle sue fotografie melodie di colori tutt’altro che melanconiche o nostalgiche. E non ci sono dubbi sul padroneggiamento tecnico che l’artista manifesta. Chiunque si sia misurato con la foto subacquea comprenderà al volo l’infinita pazienza e maestria necessarie per raggiungere gli esiti estetici che nella fruizione dell’immagine liquidiamo con uno sguardo. Il problema è che questa fatica in Akiyoshi Ito non si vede. L’artista sembra raggiungere i suoi esiti senza alcun sforzo. Osservate meglio ciò che l’occhio post-moderno vorrebbe semplicemente cannibalizzare. Io non trovo nell’artista giapponese la compiacenza e l’esaltazione della tecnica. Le sue composizione risultano certo armoniose ma non per questo mi rimandano all’ego dell’artista ri-creatore di un reale imperfetto da redimere. Dov’è Ito nelle sue foto? A volte mi è sembrato di scorgerlo in un’ombra umana che galleggia sopra i reef. Ma perlopiù Ito non c’è. E in questo non esserci trovo l’empatia che dopo anni di passione è riuscito

La mostra “Sogni sott’acqua” di Akiyoshi Ito si è svolta dal 13 settembre al 14 ottobre 2012 presso il Museo Nazionale Alinari della Fotografia di Firenze.

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