Karpòs Magazine - Alimentazione e stili di vita - n. 1 - Maggio 2012

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N° 1 - Maggio 2012

Mille allevatori, 60mila mucche italiane. La passione per il latte la alleviamo ogni giorno.

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Anno I - N° 1 Maggio 2012 - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, Comma 1, DCB Bologna

alimentazione e stili di vita

hollywood: il tempo delle mele ambiente e paesaggio

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d Di ciò che mangiamo, dal punto di vista nutrizionale e sul come lo produciamo, tutti sappiamo qualcosa. Ma possiamo accontentarci di informazioni casuali o dominate dal pressappochismo, su uno degli aspetti decisivi della nostra vita e dell’economia? Negli ultimi anni sono aumentate le occasioni per informarsi praticamente su tutto. Questa ondata di informazioni ha coinvolto anche tutto ciò che normalmente ascriviamo al cibo. Ma la diffusione in gran quantità di piccoli, confusi pseudo saperi non ha mai risolto nessun problema, non è mai stata di alcun aiuto al lettore e nemmeno ha fatto la fortuna delle aziende produttrici. I buoni frutti della terra, il cibo, la nostra salute meritano più attenzioni e razionalità. Non ci sono solo i filosofi oggi, per ricordarci che noi siamo, in qualche modo, quello che mangiamo. Medici, sociologi, esperti nutrizionisti, dietologi tutti reclamano la nostra attenzione. Tuttavia è molto diffusa la percezione che non ne sappiamo abbastanza. Soprattutto manca nel consumatore una adeguata conoscenza della filiera produttiva e dell’integrazione delle conoscenze che trasformano i prodotti alimentari in cultura materiale ovvero in comportamenti coscienti e condivisi. Infatti mediamente la gente ha una immagine distorta dell’agricoltura e non presta grande attenzione alla qualità delle decisioni che vengono prese in ambito agroalimentare. Noi riteniamo che questo dipenda da un modo di comunicare frammentario e troppo tecnico, incapace di creare valore in termini di attenzione e conoscenza diffusa presso il pubblico. Con Karpòs vogliamo raccontare i buoni frutti della terra che funzionano da base per lo sviluppo della nostra società. Non ci interessa ripetere una delle tante museificazioni dell’agricoltura, oggi di moda, che sono quasi sempre per partito preso contro ogni modernizzazione, contro l’efficienza produttiva e spesso persino contro la scienza. Con Karpòs vogliamo raccontare la vera agricoltura, quella che produce per tutti, quella che dialoga con la società di mercato, quella che fa funzionare le Università e la Ricerca. Insomma l’Agricoltura che attraversa la nostra vita reale. Non ci interessa solo sottolinearne i valori economici e sociali. Vogliamo mostrarne la bellezza e

Editoriale

CONOSCERE COMUNICARE INNOVARE Renzo Angelini Direttore editoriale

la profondità dei contenuti con un magazine finalmente all’altezza degli standard editoriali di una società che sta premiando il valore regolativo delle immagini e di un modo spettacolare di raccontare gli effetti del cibo nell’avventura umana che, ricordiamolo, è fatta anche di desideri, sogni e bellezza. Per condividere mese dopo mese con i nostri lettori questa nuova idea di agricoltura abbiamo raccolto in una rete d’intelligenze il meglio che cultura e ricerca del settore possano presentare in Italia. La qualità di una rivista la certificano soprattutto i contenuti, e i contenuti dipendono dalla serietà e dallo spessore di chi li crea. Queste grandi personalità della nostra cultura alimentare verranno coadiuvate da giornalisti di vari settori che fungeranno da cerniera tra aspetti problematici, scenari settoriali e informazioni di prodotto del comparto alimentare con gli aspetti del lifestyle che oggi fanno da sfondo ad ogni discorso che ambisca ad essere riconosciuto come pertinente all’interesse del lettore. Con la collaborazione dei migliori esperti in circolazione, con un linguaggio semplice ma non banale e con interventi di diversa tipologia vogliamo dunque comunicare in modo innovativo la vera agricoltura italiana. In tal modo pensiamo di colmare l’abisso esistente tra il lettore - consumatore e il mondo della ricerca e della produzione. Oggi si parla tanto di sostenibilità economica, ambientale e sociale. Soprattutto il settore agroalimentare sembra implicato in contenuti problematici propri di questo concetto. Ma chi definisce cosa è sostenibile oppure no? Con che metro misura le proprie profezie? Quali sono le conoscenze di base per la consapevolezza delle decisioni che ogni singola persona può prendere? Come giudicare lo stato dell’informazione sui nostri prodotti alimentari? Come vengono prese le decisioni politiche sull’alimentazione della gente? Karpòs intende mettere a fuoco informazioni, dati, ricerche, dibattiti, opinioni per innalzare lo standard dei saperi che dobbiamo orchestrare per il genere di decisioni che sappiamo essere ◆ il futuro di una società complessa.

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Editoriale Renzo angelini


Karpòs Magazine n. 1 • Maggio 2012

Direttore Editoriale Renzo Angelini Direttore Responsabile Giancarlo Roversi Condirettore Lamberto Cantoni Testata in corsodi registrazione presso il Tribunale di Forlì Data di deposito in Cancelleria 10/04/2012 Proprietario ed Editore della Testata Karpòs Srl Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) CF 04008690408 - REA 325872 Redazione e progettazione Grafica Moruzzi’s Group Srl Via di Jola, 4 - 40141 Bologna Tel. 051 3763170 redazione@karposmagazine.it Relazioni esterne Tel. 366 382244 info@karposmagazine.net Stampa Grafica Editoriale Printing Bologna

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Diffusione online Karpòs Magazine viene inviato a una community di oltre 110.000 stakeholder della filiera agroalimentare, tra cui Università, istituzioni, industrie, fornitori di mezzi tecnici e servizi, associazioni, produttori e tecnici.

Distribuzione in Emilia Romagna, Marche, Toscana, Umbria, Provincia di La Spezia: Poligrafici Editoriale Spa, Via Enrico Mattei 106 - 40138 Bologna Distribuzione per il resto d'Italia: Press-Di Distribuzione Stampa e Multimedia Srl, Via Bianca di Savoia 162 - 20122 Milano. Non si restituiscono testi, immagini, supporti elettronici e materiali non espressamente richiesti. La riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni è vietata senza espressa autorizzazione dell'editore in mancanza della quale si procederà a termini di legge per la quantificazione dei danni subiti. L'editing dei testi, anche se curato con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze, limitandosi l'editore a scusarsene anticipatamente con gli autori e i lettori. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo ha scritto e pertanto ne impegna la personale responsabilità. Le opinioni e, più in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte dell'editore anche nel caso di eventuali plagi di brani da fonti a stampa e da internet.

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Editoriale Renzo Angelini Conoscere, Comunicare, Innovare

Alimentazione e salute Giovanni Ballarini Ci sarà carne per tutti?

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Soliloqui Antonio Pascale C’era una volta l’agricoltura bucolica...

Alimentazione e salute Mariangela Rondanelli Un buon bicchiere di vino fa bene al cuore e non solo

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Stili di vita Marco Spagnoli A Hollywood è il tempo delle mele

Alimentazione e salute Marialaura Bonaccio, Giovanni de Gaetano Crisi economica e dieta mediterranea

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Costume e stili di vita Lamberto Cantoni Rural Style un po’ gentlemen campagnoli e un po’ pionieri

Alimentazione e Salute Antonio Primiceri Pizza e vegetali: un matrimonio salutare

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Economia e consumi Dario Casati Economia reale e agricoltura per uscire dal tunnel

Cultura e società Roberta Filippi Buon appetito: l’alimentazione in tutti i sensi

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Informazione & disinformazione Roberto Della Casa Tanto clamore per nulla

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Stili di vita Lorenzo Barbieri Agricoltura 2.0 Un gioco da ragazzi?

Agricoltura Oggi Vitangelo Magnifico Pomodoro: dall’industria alla tavola... con la Cina al galoppo

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Agricoltura Oggi Carlo Fideghelli Pere: un record tutto italiano


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Agricoltura oggi Walther Faedi, Gianluca Baruzzi Fragole italiane tutto l’anno

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Alimentazione e salute Giovanni Lercker, Silver Giorgini Freschi o surgelati? Qui non sta il dilemma

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Cultura e Società Attilio Scienza Il lungo percorso del vino

Ambiente rurale e paesaggio Renzo Angelini Guangxi, nella Cina meridionale un mosaico di campi, attività e rituali antichi

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Ambiente e Paesaggio Michele Pisante Difendere il territorio per difendere la nostra vita

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Arte e Natura Lamberto Cantoni Di cielo e di terra. La grande pianura padana

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Caleidoscopio Con i piedi per terra

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Cover Story Antonio Bramclet Cavit il futuro del vino è adesso

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Ambiente rurale e paesaggio Davide Papotti La bassa ferrarese: quando l’orizzonte si fonde con la pianura

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Alimentazione Oggi Alberto Marcomini, Luca Olivan Elogio del formaggio

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Anteprima Nel prossimo numero

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Caleidoscopio

Comitato Scientifico Giovanni Ballarini Presidente Accademia Italiana della Cucina Paolo Balsari DEIAFA, Università degli Studi di Torino Cav. Paolo Bruni Presidente Cogeca (Confederazione Cooperative Agroalimentari Europee) Ettore Capri Istituto di Chimica Agraria ed Ambientale Università Cattolica del Sacro Cuore (PC) Luigi Caricato Teatro Naturale Dario Casati Prorettore Vicario Università degli Studi di Milano Federico Castellucci Direttore Generale Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV) On. Paolo De Castro Presidente Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo Roberto Della Casa Università degli Studi di Bologna, Polo di Forlì Ambrogio De Ponti Presidente Unaproa Carlo Fideghelli CRA - FRU (Centro di Ricerca per la Frutticoltura, Roma) Maurizio Gardini Presidente Fedagri-Confcooperative Maria Lodovica Gullino Centro Agroinnova, Università degli Studi di Torino Giovanni Lercker Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università degli Studi di Bologna Vitangelo Magnifico Già Direttore Centro di Ricerca per l’Orticoltura, Pontecagnano (NA) Alberto Marcomini Scrittore e Giornalista Ornella Melogli Istituto Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, San Raffaele, Milano Walter Pasini Direttore Centro Travel Medicine and Global Health Antonio Pascale Scrittore Michele Pisante Agronomia e Coltivazioni Erbacee, Università degli Studi di Teramo Gianfranco Piva Università Cattolica del Sacro Cuore (PC) Francesco Salamini Fondazione Edmund Mach, San Michele all’Adige (TN ) Mons. Prof. Marcelo Sànchez Sorondo Cancelliere Pontificia Accademia delle Scienze Silviero Sansavini DCA – Dipartimento di Colture Arboree, Università degli Studi di Bologna Attilio Scienza Di.Pro.Ve. Dipartimento di Produzione Vegetale Università degli Studi di Milano Daniele Tirelli IULM - Libera Università di Lingue e Comunicazione, Milano Luciano Trentini Vicepresidente AREFLH (Associazione delle Regioni Europee Ortofrutticole)


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Soliloqui

C’ERA UNA VOLTA L’AGRICOLTURA BUCOLICA... Antonio Pascale

Scrittore

Una mattina, accompagnando i miei figli a scuola (11 e 13 anni), ho notato che i ragazzi parlavano con estrema competenza dei telefonini. Discettavano sulle nuove applicazioni e sapevano effettuare comparazioni tra cellulari di ultima generazione e quelli di appena un mese fa. In classe, invece, è capitato che una dietologa tenesse una lezione sull’agricoltura e sull’alimentazione. La sua tesi era semplice: bisognava consumare solo prodotti biologici, perché naturale è sano, artificiale è malsano, e per salvare il mondo, è necessario comprare prodotti a chilometro zero. Fuori la classe, c’era la modernità, con il suo dinamismo e le sue contraddizioni, dentro la scuola, vigeva l’immagine di un’agricoltura fortemente idealizzata. Come mai? Probabilmente

perché è cambiata molto e in breve tempo, così non ricordiamo com’era, solo 50,60 anni fa. Abbiamo rimosso quel modo di fare agricoltura, forse perché ad essa erano legati troppi brutti e dolorosi ricordi. Ogni rimozione genera un’idealizzazione e per questo, oggi, l’agricoltura è raccontata con immagini così semplici e ingenue: contadini felici che vivevano nella più completa armonia con la natura, contenti al tramonto sotto una quercia. In verità viviamo in una società complessa e l’agricoltura non sfugge a questa regola. Sarebbe bello se i miei figli parlassero di agricoltura con la stessa competenza con cui discettano di cellulari. Di sicuro avremmo opinioni più serie e riusciremo pertanto a compiere, nel futuro, scelte coraggiose, all’altezza dei tempi e dei problemi che ci aspettano. ◆

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S o l i lo q u i A n t o n i o pa sc a l e


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Eva Longoria protagonista dello Show ABC Disney ‘Desperate Housewife’


Stili di vita Marco Spagnoli

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A Hollywood è il tempo delle mele

Nella Mecca del cinema è tornato il tempo delle mele cinematografiche: una stagione di raccolto che durerà dodici mesi e che si annuncia estremamente ricco e pieno di frutti, nonché di piacevoli sorprese per il pubblico.

Incendiati dal rosso della passione e della magia, i pomi sono i grandi protagonisti di una serie di produzioni dal grande impatto sugli spettatori di tutto il mondo visto che Biancaneve, la celebre favola dei fratelli Grimm, sublimata nel 1937 dall’indimenticabile cartone animato di Walt Disney torna sul grande schermo con un duplice confronto tra dive diversissime tra loro impegnate, però, a interpretare in maniera nuova la storia della mela stregata e della regina cattiva. Un personaggio indimenticabile e una donna estremamente affascinante interpretata in Biancaneve (Mirror, Mirror) da Julia Roberts e in Snow White and the Huntsman da Charlize Theron. Uno scontro di Star impreziosito da effetti speciali in grado di raccontare al meglio il mondo fatato e rurale dei fratelli Grimm che gira intorno alle mele e in particolare a quella “mela stregata” che da oltre settanta anni affascina i bambini di tutte le età cresciuti con il capolavoro disneyano. Del resto il ruolo della regina cattiva che si trasforma in strega è sempre stato di grande appeal per le attrici di tutti i tempi.

Se Monica Bellucci ha interpretato il personaggio che avrebbe ispirato i Fratelli Grimm nell’omonimo e visionario film con il compianto Heath Ledger e Matt Damon diretto da Terry Gilliam, anche Sigourney Weaver si era confrontata con lo stesso ruolo nell’horror fantasy Biancaneve e la Foresta Nera. La lista, però, continua: Miranda Richardson, l’ex Bond Girl Diana Rigg e Dianne Wiest si sono tutte confrontate con un ruolo che è stato interpretato recentemente dall’attrice Lana Parrilla nella serie televisiva C’era una volta prodotta anche questa dalla Disney e in televisione proprio nei primi mesi del 2012. Segno evidente anche questo di una “fiammata di ritorno” delle fiabe, seppure portate sullo schermo da autori di talento come Tarsem Singh, che scelgono la star del nuovo 90210 Lily Collins oppure la Kristen Stewart di Twilight per quello di Biancaneve. Ma qual è il fascino di interpretare un personaggio come la regina cattiva che si trasforma in una maga nel ventunesimo secolo? Monica Bellucci insiste sul fatto che le attrici sentono come molto vicino il significato ultimo di questa fiaba “La ›

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Giornalista e critico cinematografico

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Kirsten Stewart, sexy protagonista della saga “Twilight” in due pose: l’attrice è Biancaneve nel film in uscita la prossima estate Snow White & The Huntsman. Felicity Huffman anche lei posa come ‘Casalinga Disperata’ con tanto di frutto del peccato

strega di Biancaneve è una metafora perfetta per la donna di oggi che fa di tutto per restare giovane.” Spiega “Chi tiene così tanto alla propria immagine soffre tantissimo quando questa viene meno. Non c’è, infatti, più alcuna differenza tra l’apparenza e la persona. Quando la prima viene distrutta anche l’altra muore con lei. è un messaggio importante per tutti, ma soprattutto un avvertimento rilevante per noi che facciamo questo lavoro: le prime vere vittime della vanità. Quella di dare troppa importanza alla nostra immagine è una trappola in cui possiamo cadere tutti quanti....“ Come nella Bibbia e nel mito di Adamo ed Eva, la mela rappresenta qualcosa di più di un semplice frutto. Ed è così dunque che, in entrambi i film, come

nella serie televisiva, le mele fanno bella mostra di loro diventando protagoniste silenziose di una storia che il pubblico conosce bene. L’utilizzo delle mele, poi, trascende l’elemento strettamente cinematografico. Per promuovere l’anteprima europea del pilot della serie C’era una volta, ad esempio, all’ultimo RomaFictionFest, Walt Disney Television Italia ha distribuito a tutti gli spettatori diversi cestini di mele con, al posto del bollino, il marchio del nuovo show che in America è già diventato un enorme successo. Non certamente un caso, visto la passione del pubblico per le fiabe, ma anche per un simbolo, come sapeva bene il fondatore di Apple, Steve Jobs, di perfezione, bontà, semplicità e purezza che, per esigenze di marketing, può essere ‘ribaltato’ e ›


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Charlize Theron e Monica Bellucci hanno entrambe dato la mela stregata a Biancaneve in due film molto diversi tra loro. Le due attrici fanno ripensare al personaggio della strega cattiva in maniera molto meno ‘ostile’ che in passato.

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trasformato in un ‘icona di sensualità e desiderio come nel caso delle Casalinghe Disperate, i cui più celebri manifesti di qualche anno fa, la settima, infatti, sarà la loro ultima stagione si erano fatte ritrarre con tanto di mele in mano per la loro più intrigante e riuscita campagna pubblicitaria. Mele e bellezza, un binomio che, come indicato da Monica Bellucci, si propone al pubblico in maniera nuova facendo, però, appello ad un sentimento ancestrale che da Adamo ed Eva passando per Paride e il pomo da consegnare alla dea più bella fino ad arrivare ai fratelli Grimm ha ancora un’enorme presa sul pubblico. Hollywood lo sa ed è, dunque, normale il suo scegliere “dee mortali” ovvero sex symbol come Charlize Theron, Julia Roberts ed

Eva Longoria per conquistare le sale cinematografiche di tutto il modo. Sensualità e bellezza, però, non sono le uniche qualità che Hollywood associa alle mele stregate o meno che siano. In Una notte all’opera i Fratelli Marx, che per anni avevano girato gli Stati Uniti con i loro spettacoli e avevano un rapporto ‘viscerale’ con gli spettatori, avevano immesso una delle loro battute preferite nella sceneggiatura. Quando, infatti, il tenore Lassparri si lamenta perché qualcuno gli ha tirato addosso un torso di mela durante la sua non riuscita esibizione, Groucho Marx risponde “Beh, i cocomeri sono fuori stagione…” Come dire? Le mele a Hollywood sono sempre ‘in agguato’… ◆



L’evoluzione e il successo dell’abbigliamento in qualche modo collegato alle attività lavorative e ricreative en plein air, negli ultimi anni ha lasciato al palo di partenza il look formale dell’elegantone. Anche se il dandy e la trasgressiva eleganza metropolitana rimangono i più fotografati e gossipati, il mercato sta premiando i look nati dall’evoluzione degli abiti creati per la vita campagnola e sportiva. Solo una conseguenza della stagnante crisi economica o un mutamento di lunga durata legato ad un diverso concetto di eleganza?

Replay 2012, collezione primavera - estate

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stili di vita Lamberto Cantoni

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RURAL STYLE UN PO’ GENTLEMEN CAMPAGNOLI E UN PO’ PIONIERI

Da quando possiamo ragionevolmente parlare di moda come dispositivo regolatore del mutamento del gusto tra pubblici eterogenei e in competizione estetica tra loro, ad uno stile metropolitano fortemente ancorato alle tendenze del momento viene contrapposto uno stile rurale caratterizzato da mutamenti molto meno accentuati. Nella percezione della gente il primo aveva la freccia del tempo orientata al futuro mentre il secondo la rivolgeva preferibilmente verso il passato. Insomma il rural style visto dall’elegantone/a metropolitano/a era irrimediabilmente compromesso con un’assiologia campagnola. Per contro, i fautori dell’abito da campagna consideravano inutili bizzarie le spettacolari mutazioni dei look metropolitani. La contrapposizione tra le due forme di moda non poteva che riverberarsi in ogni dimensione delle apparenze. I colori preferiti del rural style erano ovviamente quelli dei paesaggi naturali: marrone, beige, blu, verde… Gli abiti di tendenza delle città, avevano preferibilmente i colori aggressivi dei paesaggi urbani: varie tonalità di grigio, il nero “cattivo” soprattutto, accompagnati da accostamenti innaturali. I tessuti degli abiti del gentleman di campagna erano di solito morbidi e soffici come il tweed e il velluto a coste. L’eleganza cittadina invece obbligava l’uomo a scegliere tessuti duri e lucidi che tenessero la piega, mentre la donna indulgeva in tessuti sensuali e raffinati. Le forme del rural style più radicate nell’immaginario della moda per un lungo periodo discendevano dalla tradizionale eleganza campagnola inglese e scozzese. Dopo la metà del novecento anche in Europa cominciò a diffondersi lo stile dei pionieri americani con tanto di jeans e stivali da cow boy. In quest’ultimo caso oggi si parla comunemente di country style. In generale oggi il rural style cita quasi sempre qualche tratto del folklore della vasta semantica dell’abito da lavoro di tutto il mondo (work dress style).

Contaminazioni con lo sportwear Verso la metà degli anni trenta cominciò ad imporsi negli Stati Uniti lo sportswear. A partire da quegli anni, la mitizzazione dell’eroe sportivo, la diffusione popolare delle attività sportive e la loro spettacolarizzazione televisiva, produsse per l’abbigliamento e le calzature per lo sport un accumulo di valore simbolico di gran lunga superiore al loro valore d’uso: la Fred Perry o la Lacoste, solo per fare un esempio, nate come magliette per giocare a tennis, divennero negli anni settanta oggetti d’abbigliamento da indossare in tante altre occasioni. In breve, la loro significazione cambiò e prese la strada dello stile di vita. Se in origine il tempo da dedicare allo sport era un lusso così come era un privilegio aristocratico avere un guardaroba ad hoc per questo genere di attività, gli appelli ad una vita sana dell’ordine medico e il radicamento dello sport a livello di educazione di massa, trasformarono l’abbigliamento sportivo in una sezione del guardaroba presente in tutti gli strati sociali. Era nella logica della situazione che il rural style e il country style, nei modi a volte bizzarri imposti dalla logica fuzzy della moda, finissero col familiarizzare più con l’abbigliamento sportivo che con i glissement dell’abito formale, glamour, di tendenza. Rispetto al country e al rural style, la moda sportiva portò nel settore dell’abbigliamento della gente, innovazioni sostanziali sia a livello di design e sia soprattutto a livello dei materiali. Grazie alle contaminazioni con lo sportswear il country/rural style prese le distanze dal rischio di divenire folklore demodè o fenomeno di costume (e non di moda). Il casual Posizionato tra il rural/country style e lo sportswear, a partire dagli anni sessanta, si diffuse tra i giovani il concetto di moda casual che all’inizio stava a significare ›

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A partire dagli anni novanta sotto la spinta di creativi come Helmut Lang, Prada, Giorgio Armani (dell’Emporio Armani) lo sportswear e il country style hanno conquistato gli spazi simbolici primari della moda.

Diesel, collezione primavera - estate 2012

il mixaggio di capi diversi tra loro (in contrapposizione al proverbiale “completo”, che per l’uomo fino alla fine degli anni sessanta aveva ancora il valore di vera e propria divisa da lavoro). La moda casual suggeriva al consumatore atteggiamenti proattivi nei riguardi della composizione delle frasi moda. Questa libertà espressiva aumentava le probabilità di contaminazioni tra capi di abbigliamento dalla semantica di base differenziata. Gli abiti da pastorella verginale di Laura Ashley verso la fine degli anni sessanta e la fusione tra stile rurale/country ed eleganza chic di Ralph Lauren negli anni settanta sono un esempio di quanto l’abbigliamento avesse imparato a fingere di significare ciò che non poteva più essere in modo autentico. Gli incroci tra diversi stili divennero la norma rispetto le codifiche lineari dall’alto. Quando il casual divenne una vera e propria tendenza, tra i trendsetter metropolitani si diffuse il concetto di street style: la giacca a vento di piumino, le scarpe da vela o da jogging si diffusero in modo trasversale come il blue jeans e tutti i derivati in denim negli anni ottanta (giubbotti, giacche, gonne). A partire dagli anni novanta sotto la spinta di creativi come Helmut Lang, Prada, Giorgio Armani (dell’Emporio Armani) e di marche come Diesel, Replay e Marlboro Classics, il dress work, lo sportswear e il country style conquistarono gli spazi simbolici sempre più significativi. Nelle sfilate strategiche per la diffusione dei nuovi look dei grandi marchi della moda, la presenza di capi platealmente ispirati agli stili sopraccitati, elaborati con raffinatezza nei volumi e nelle forme, conquista via via sempre più spazio. C’è da dire che il mercato suggellerà con la ferrea logica dei numeri che contano le scelte espressive delle grandi marche. Per ogni abito formale acquistato oggi si contano numerosi look di ascendenza rural/country o sportwear venduti ad un consumatore sempre più trasversale nelle sue scelte. I numeri dicono che l’abbigliamento informale negli ultimi drammatici anni fortemente segnati dalla crisi, è sempre stato in crescita rispetto un formalwear sempre più in affanno (per il primo il 2011 si chiuderà con un incremento dei fatturati a due cifre: + 12,8% ›

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Replay, collezione primavera - estate 2012


i In queste pagine, alcune immagini di backstage della campagna pubblicitaria S/S 2012 di MCS Marlboro Classics (Concept by Kitchen Stories, foto by Pierluca De Carlo e Ben Wolfinshon)


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Il rural/country style ha cambiato pelle e attraverso mutazioni continue, ibridandosi con lo sport, con la divisa dei boscaioli, con i look da esploratore o da montanaro supertecnologico è divenuto uno dei motori del cambiamento programmato dalle mode.

nei primi sei mesi, destinati secondo gli esperti ad un incremento per via del maggiore valore in percentuale degli acquisti autunnali e invernali). Il farmer come tendenza Il ridimensionamento del formal dress rappresenta lo scoppio della bolla dell’eleganza vistosa dovuta alla crisi o una nuova dimensione della bellezza? Nell’ultima decade anche grazie alla fusione con l’abito sportivo, gli idioletti di stile che abbiamo visto discendere dalle forme rural/country/ sportwear hanno guadagnato molte posizioni nella classifica dei look modaioli metropolitani. L’Husky, in origine un indumento molto amato da chi andava a cavallo, oggi viene normalmente utilizzato in ogni occasione della vita quotidiana. Se attualmente il loden (cappotto sportivo) non va più di moda, al suo posto troviamo il Barbour, tipica giacca incerata da caccia e da pesca, oggetto negli anni novanta di una vera e propria mania, oggi riproposta in svariate forme e tessuti. I calzoni a quadri di tradizionale motivo scozzese, un tempo rigorosamente usate sui campi da golf, possono essere portati da chiunque e a tutte le ore. I gilet trapuntati o quelli da pesca con tantissime tasche vengono normalmente accostati a giacche per niente sportive. Belfast ha trapiantato il look da motociclista nella vita di tutti i giorni. Per

non parlare dei jeans vissuti, degli stivali e stivaletti, giacconi di pelle, polo, t-shirt etc. Pensate all’incredibile successo della traduzione del work dress operata dalla Diesel, con contaminazioni country, rock, street style, divenuta oggi il marchio di maggiore visibilità tra uomini di età compresa tra i 25 e i 45 anni! Insomma uno dei caratteri tipici della post modernità, la fusione degli stili e dei look come conseguenza della perdita di autorevolezza delle procedure tradizionali, ha sbriciolato l’antica polarizzazione asimmetrica tra abiti formali (abiti di solito cittadini, considerati eleganti) e abiti campagnoli (dal valore essenzialmente pratico). I primi hanno perso il privilegio esclusivo di rappresentare il soggetto della moda, i secondi, dopo la rivoluzione portata dal successo del look sportivo, si sono trovati in una posizione privilegiata per interpretare il concetto di bellezza pratica, dinamica e portabile in ogni occasione, vincente tra la classe di persone che amano la vita en plein air, in qualche modo legata ad una immagine della natura totalmente ridisegnata dalla cultura popolare. L’abbigliamento rigorosamente formale, un tempo attribuito all’elegantone e l’abbigliamento genuinamente folk che in qualche modo gli si contrapponeva, interpretati come se fossero un vangelo estetico non interessano più a nessuno. ›

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Replay, collezione primavera - estate 2012


Bill Gates in una conferenza a sostegno delle sue politiche umanitarie Il rural/country style dunque ha cambiato pelle e attraverso mutazioni continue, ibridandosi di volta in volta con lo sport, con la divisa dei boscaioli (pensate al successo travolgente del grunge all’epoca dei Nirvana), con i look da esploratore o da montanaro evoluto e supertecnologico…è divenuto uno dei motori fondamentali del cambiamento programmato dalle mode. E’ chiaro quindi che oggi per stile rural/country dobbiamo intendere qualcosa di profondamente diverso dalle immagini della storia del costume. Queste categorie rese liquide dalla post modernità alludono a citazioni e imitazioni di forme dell’abito appartenenti a pratiche e a mondi spesso distanti dalla nostra realtà quotidiana, mondi che eccitano la fantasia, incapsulati in formule d’abbigliamento che privilegiano l’informalità, la trasversalità degli elementi del guardaroba, la praticità. Il tutto incorniciato da idee sull’eleganza ad assetto variabile. Eppure, se ci pensate bene, la semantica di base non è poi cambiata tantissimo rispetto all’opposizione tra abito metropolitano e abito campagnolo dalla quale sono partito. In definitiva si tratta sempre di contrapporre forme che alludono ad un ritorno alla naturalezza ad altre che fanno pensare ad un eccesso di artificiosità narcisistica. Anche se i contorni di entrambi questi orientamenti dell’apparire diventano di giorno in giorno sempre più sfumati, la loro capacitazione a raccontare storie eccitanti per la fantasia non si è affatto dissipata. Ecco allora il rural/country style, in una nicchia ecologica e semiologica dominata da estenuanti appelli alla sostenibilità, divenire un abbigliamento etico e di tendenza. Non è certo per caso se Lindewij Edelkoort, da molti definita la trendsetter più famosa al mondo, recentemente ha stupito tutti sostenendo che saranno gli agricoltori gli attori più importanti del prossimo scenario mondiale: “Quella che ho scherzosamente

chiamato la lobby dei farmers diverrà potentissima. Saranno loro a decidere cosa mangiare e cosa invece no, avranno nelle loro mani la nostra salute… Il cibo e i prodotti naturali saranno l’orto del futuro. Perché cibo è confort, amicizia, creatività, felicità. E’ la nostra benzina” (cit. tratta da un bel articolo di Aldo Gianfrate in Progress on line). Non so dirvi da dove vengano le certezze di Lindewij Edelkoort, ma trovo significativo che si rafforzino enormemente quando personaggi del calibro di Bill Gates mondializzano dichiarazioni come “Dobbiamo investire sull’agricoltura, solo così battiamo povertà e malattie” (intervista a la Repubblica del 24 febbraio 2012). Ovviamente, Ca va sans dire, nel linguaggio di chi studia le tendenze le affermazioni della Edelkoort e di Bill Gates significano che tutta l’agricoltura sarà sempre più cool, compresi gli abbigliamenti e i look in un modo o ◆ nell’altro verranno ad essa attribuiti.

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Tre aziende modello Le immagini che illustrano l’articolo presentano look di 3 dei maggiori protagonisti dell’ampio segmento di mercato presupposto dalle categorie rural/cauntry/casual style. Replay è una azienda italiana fondata nel 1978, famosa in tutto il mondo sia per i suoi prodotti basic e sia per i suoi jeans e camicie della collezione di punta, molto più studiata, che strizza l’occhio al pubblico fashion. Marlboro Classics è una marca d’abbigliamento casual fondata nel 1984 che in ogni collezione cita il country western di volta in volta contaminato da altre tipologie di guardaroba: sporwear, divise militari, dress work da carpentieri, operai agresti, pompieri… Diesel è il celeberrimo marchio creato da Renzo Rosso nel 1978, divenuto oggi la marca di abbigliamento casual a più alta riconoscibilità tra il pubblico maschile. L’interpretazione del dress work di Diesel ha la forza seduttiva e la creatività paragonabile a quella delle marche più di tendenza.

s t i l i d i v i ta L a mb e rt o c a n t o n i


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Economia e consumi Dario Casati

Prorettore Vicario Università degli Studi di Milano Dipartimento di Economia e Politica Agraria, Agro-alimentare e Ambientale

ECONOMIA REALE E AGRICOLTURA PER USCIRE DAL TUNNEL La crisi ha colpito tutti i settori e I consumi si sono ridotti. quelli alimentari, essenziali per la sopravvivenza, risentono tuttavia meno della congiuntura, si mostrano anticiclici e non smettono di crescere o, se calano, lo fanno in misura minore

Nel complicato labirinto della crisi economica di oggi si smarriscono vecchie certezze, mentre ancora non si fanno strada nuove indicazioni che diano sicurezza. La crisi è nata come il drammatico sbocco di politiche finanziarie eccessivamente disinvolte sviluppatesi negli Usa, ma poi si è estesa a macchia d’olio a tutta l’economia e persino ai debiti pubblici di un consistente numero di paesi. In questi anni sono stati colpiti tutti i settori dell’economia, compresa quella reale, cioè quella come l’agricoltura che produce nuova ricchezza e non si limita a compravendere prodotti finanziari o titoli. Però la vita prosegue, i settori produttivi continuano a operare, i consumatori a richiedere prodotti: il mondo ansima, ma non si ferma. L’unico elemento certo per la ripresa è l’aggancio con l’economia reale, con la vita di tutti i giorni, a fronte del complesso e spesso

effimero mondo delle speculazioni finanziarie. L’esempio migliore è il microcosmo del settore agricolo e alimentare. La produzione agricola non si è arrestata, ha subito forti scossoni per le due ondate al rialzo e poi al ribasso dei prezzi: la prima, in breve finita con un crollo, indusse a parlare di “Crisi alimentare mondiale”, la seconda, dopo due anni e mezzo, sembra in via di esaurimento. Il collegamento fra crisi mondiale e agricoltura non si ferma ai prezzi delle materie prime. La contrazione dei redditi ha prodotto contraccolpi facilmente intuibili. I consumi si sono ridotti anche se quelli alimentari, essenziali per la sopravvivenza degli esseri umani, risentono meno degli altri delle crisi. Si dice che hanno un comportamento anticiclico perché non smettono di crescere o, se calano, lo fanno in misura minore. È quanto sta avvenendo anche ora, ›

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Economia e consumi D a r i o C a s at i


consumi. È quanto ci si attendeva, ma emergono importanti novità. Negli anni della crisi alcuni settori continuano a crescere, come quello dei prodotti dell’elettronica. Sale la spesa per traffico telefonico mobile, ormai pari a circa un sesto della spesa alimentare, un dato impressionante che però rientra nelle logiche che descrivono il comportamento del consumatore.

ma con modalità in parte nuove. Premesso che non si possono trattare insieme i problemi dei paesi colpiti dalla tragedia della fame con quelli dei paesi sviluppati come il nostro, ci soffermeremo su questi e in particolare sull’Italia. Nel corso del 2011 la produzione agricola è salita leggermente rispetto all’anno precedente, con un incremento di un paio di punti percentuali, con ciò contribuendo a migliorare il risultato complessivo del Paese che registra nel 2011 un incremento dello 0,5%, con una previsione negativa per il 2012. In questo quadro spicca l’industria alimentare che, rispetto al resto dell’industria, è il comparto che ha perso meno produzione. Allo stesso tempo, nei primi nove mesi del 2011 le esportazioni alimentari hanno messo a segno un incremento del 10%, mentre le importazioni sono circa inalterate, con ciò migliorando la bilancia commerciale. Anche la contrazione dei consumi alimentari è stata modesta e inferiore a quella dell’insieme dei

Gli Italiani hanno modelli di consumo di un Paese ricco L’alimentazione, nonostante il persistente, forte ed immediato richiamo emotivo, oggi non è sentita come un problema prioritario. La spesa relativa assorbe in media il 16% di quella totale, ben lontana da quella dei paesi della fame che si avvicina all’80% o semplicemente a quella degli anni ’50 che era a circa il 40%. Accanto alle esigenze quantitative, ormai soddisfatte, ne appaiono di nuove di tipo salutistico, relative alla sicurezza, legate a modelli di consumo caratterizzati da scelte “ideologiche” o semplicemente edonistiche. Il consumatore nel cibo cerca altri contenuti, ma sempre con un occhio attento ai prezzi, specie quando la crisi morde davvero come ora. Chi mette in vendita i prodotti alimentari come la distribuzione si accorge dell’importanza di mantenere l’offerta variata e abbondante, ma deve sostenerla con un continuo succedersi di promozioni, prodotti venduti come “sottocosto”, e ogni altra diavoleria suggerita dal marketing. Ma il problema è più vasto, risale le filiere coinvolgendo la produzione agricola. Torniamo allora

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Economia e consumi D a r i o C a s at i


L’alimentazione, nonostante il persistente, forte e immediato richiamo emotivo, oggi non è sentita come un problema prioritario. La spesa relativa assorbe in media il 16% di quella totale, ben lontana da quella dei paesi della fame che si avvicina all’80%

all’economia reale per accorgerci che il nostro Paese rimane deficitario di prodotti agricoli e alimentari. La produzione agricola non perde terreno rispetto al volume dei consumi, ma non ne guadagna nemmeno, perché da almeno un decennio i rendimenti produttivi non aumentano. Ci stiamo incamminando con un eccesso di fiducia su una strada che non considera l’esigenza di incrementare la produzione agricola perché preferiamo privilegiare altre valenze di questa attività in funzione ambientale, di svago, di turismo. In sostanza diamo per scontato che qualcuno, altrove nel mondo, produrrà per noi gli alimenti e le materie prime per ottenere i grandi prodotti della nostra agricoltura per poi venderceli, magari a prezzo più basso.

Proprio gli effetti della crisi sull’agricoltura, in un contesto in cui cresce la popolazione mondiale e salgono i consumi individuali nei paesi emergenti che coprono i quattro quinti dell’umanità, indicano che il futuro non è rassicurante. Occorre una riflessione attenta sul ruolo dell’agricoltura nei paesi ricchi e sulla loro responsabilità negli equilibri mondiali. Non possiamo pensare solo ai prodotti di altissima qualità in un mondo in cui i convitati a tavola sono sempre più numerosi ed esigenti. Ecco perché serve aumentare l’offerta agricola a costi competitivi stimolando la ricerca, il progresso scientifico e tecnologico e la sua diffusione anche in agricoltura, contando sul potenziale effetto leva sull’economia che ciò può determinare. Come per tutta l’economia, la ricetta per uscire dalla crisi è l’aumento della produttività. ◆

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Economia e consumi D a r i o C a s at i



Informazione & disinformazione Roberto Della Casa

Università degli Studi di Bologna, Polo di Forlì

Tanto clamore per nulla

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La riduzione di produzione di zucchine con il fiore, in corrispondenza di periodi di freddo, porta ogni anno alla ribalta lo “scandalo”. Ma una soluzione c’è...

Ho atteso, invano, che qualcuno su un giornale, una rivista, un talk show – anche da Maria De Filippi sarebbe andato bene – spiegasse a quella “casta” di cronisti da strapazzo che imperversa sui mezzi di comunicazione nazionale che è del tutto normale che le zucchine – soprattutto quelle con il fiore - abbiano prezzi elevati dopo dieci giorni di gelo e che non c’è nessun “aggiotaggio” della zucchina quando fa freddo, come qualche blasonato opinionista - erroneamente – già da tempo sostiene. Il problema è che quando la temperatura esterna scende sotto zero, in assenza di riscaldamento nelle serre (e chi se lo può permettere il riscaldamento con l’attuale costo del gasolio?), la produzione si riduce anche del 75% rispetto a quella media del periodo. Alcuni amici che hanno serre a Fondi, infatti, mi hanno confermato che durante le nevicate dello scorso febbraio hanno raccolto meno del 30% della media stagionale di zucchine con il fiore. Se la domanda rimane costante – ma in realtà aumenta perché con il freddo le preferenze passano dalle verdure crude a quelle da cuocere – già il prezzo alla produzio- ›

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informazione & disinformazione R o b e rt o d e l l a c a s a


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Mister Prezzi ha convocato un tavolo della filiera per capire cosa stava succedendo - e alla fine ci è stato detto che non era successo nulla di tutto quello che era stato detto, anzi i prezzi di frutta e verdura nel periodo erano stati più bassi di un anno prima.

ne dovrebbe triplicare, anzi più che triplicare, per l’effetto psicologico generato dalla volatilità dell’offerta nel mercato dei freschi. Quindi non c’è nessun effetto speculazione – nel senso negativo del termine – ma semplice regolazione di domanda e offerta. E’ quando il petrolio sul mercato internazionale scende e non vi sono effetti alla pompa che vi è quel tipo di speculazione! Su altre produzioni – ad esempio per le zucchine senza fiore che hanno un areale di produzione più ampio - l’effetto è più contenuto, sulle produzioni già nei frigoriferi dovrebbe essere nullo, ma rimangono i problemi logistici delle consegne. Quindi, a mio avviso, occorrerebbe più rispetto per chi lavora nei campi, nei mercati e nei negozi di frutta e verdura con le difficili condizioni atmosferiche dello scorso inverno e gli organi di stampa potrebbero dedicarsi a qualcosa di più utile e, soprattutto, reale. Ci sarebbe persino di più a favore del comparto: le zucchine, infatti, rappresentano meno del 6% dei consumi domestici a valore di verdure e ortaggi, e possono facilmente essere sostituite nella dieta. Eppure sono il simbolo del popolo affamato dal freddo. Come se non bastasse, per un’intera settimana dopo l’emergenza neve i telegiornali hanno

aperto con le speculazioni sull’ortofrutta, mettendo in guardia i consumatori sui rincari ingiustificati dei fruttivendoli e sulla studiata mancanza di offerta, tanto che, Mister Prezzi, ha convocato un tavolo della filiera per capire cosa stava succedendo - e alla fine ci è stato detto che non era successo nulla di tutto quello che era stato detto, anzi i prezzi di frutta e verdura nel periodo erano stati più bassi di un anno prima. Non ho letto una riga di scusa o, almeno, di rettifica per il macroscopico errore commesso ma solo “che si continuerà a vigilare”! Più grave è che non ho nemmeno visto un commento indignato all’ennesima mistificazione della realtà a danno dell’ortofrutta. Scusatemi ma devo allora dire che il comparto ha quello che si merita: ci prendono in giro ma noi li lasciamo fare. Ci si rende conto che vi è stato un danno a carico del settore pesantissimo: vale almeno dieci campagne di sensibilizzazione dei consumi. Il messaggio passato dai media, infatti, è che l’ortofrutta è indebitamente cara e che gli operatori del settore pur di fare profitti ingiustificati sono disposti ad affamare il popolo durante le emergenze. Se non ci credete sareste dovuti venire Voi a spiegare a mia mamma che si era trattato di un errore. Io non ne sono stato capace. ◆

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Stili di vita Lorenzo Barbieri Ricercatore

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un gioco da ragazzi ? Le giovani generazioni riscoprono nella vita dei campi il proprio sviluppo e quello del Paese

Nel corso dei secoli lo sviluppo di ogni grande nazione è passato attraverso l’agricoltura. Un dato. Dalla prima rivoluzione agricola alla necessità, prima olandese e poi inglese, di seminare diversi tipi di piante foraggiere oculatamente scelte affinché la loro alternanza mantenesse elevato il livello di azoto del terreno, l’agricoltura ha sempre rappresentato la porta di accesso per lo sviluppo economico, quello vero, che nulla ha a che spartire con la finanza. Nel 1700 si presero decisioni importanti in terra inglese, decidendo di disincentivare il binomio agricoltura e pascolo e quella di chiudere i campi aperti con le enclosures generarono, infatti, tutta una serie di cambiamenti socio-demografici che fecero crescere lo sviluppo del commercio inglese facendolo passare, dai 10 milioni di sterline in 80 anni (1700-1780) ai 40 milioni in soli 20. Certo questo risultato non può essere appannaggio esclusivo dell’agricoltura; però tutto è partito da lì, dalla scelta tra trifoglio o colza. Altro dato. Il grande riformatore, Camillo Benso conte di Cavour fu chiamato nel 1850 dal nuovo presidente del Consiglio, Massimo D’Azeglio, proprio in veste di Ministro dell’Agricoltura. Da lì, dalle riforme agricole, partì il processo di ricrescita che Cavour, attuò per l’Italia. Queste premesse ci aiutano ad entrare nel tema del perché oggi, più che mai, c’è bisogno di un’agricoltura giovane e intraprendente. Il settore agroalimentare muove il 15% del PIL e può facilmente ripartire essendo diversificato e maggiormente tipizzato, specie con le Nostre punte di qualità ed eccellenza invidiabili da tutto il mondo. Proprio tutto il mondo, però, ci sta lentamente sfilando anche quei bravi imprenditori, specie se molto ›

S t i l i d i v i ta L o r e n z o b a rb i e r i

AGRICOLTURA 2.0: 29



Fotografie per gentile concessione di CIA e Coldiretti

Romagna, la possibilità di far nascere il primo polo agroalimentare nella scuola superiore. Uno sbocco importante per l’eccellenza in un settore che porta a fatturare i singoli imprenditori anche nell’ordine di cinque o sei zeri. Di queste bellezze però, da noi, ce ne sono ancora poche e la conferma arriva anche dall’Eurostat che ci fotografa al palo con un 2,9% di imprese agricole condotte da under 35 mentre la Francia è a 7,3 e la “locomotiva teutonica” a 7,5. Gran parte della responsabilità è del detto “tuo padre è contadino e tu farai il contadino” che condanna all’accesso al mercato tramite il canale ereditario il 93% dei casi. Il piacere della sfida Quel 7% di imprese ex novo, invece, tirano un settore pesantemente recalcitrante ad accettare sfide importanti. Dall’orientamento al mercato alle strategie di sviluppo, dall’innovazione ad un business plan con prospettive di crescita. L’investimento efficace, per fare per approdare nel 2.0 anche l’agricoltura, è sicuramente quello sulla formazione dei nuovi imprenditori e molte aspettative vengono dal mondo scolastico e accademico, per passare dalla tradizione all’innovazione, dalla produzione al processo produttivo, riscoprendo nella managerialità dell’azienda il ruolo chiave della terra, avvicinando il colletto bianco a “dove tutto nasce”. Il processo di filiera è molto complicato e non è solo nella “prima base” che si compiono passaggi chiave per ristabilire equità, dignità e valore, umano e commerciale, ad un settore spesso bistrattato e piegato a logiche di grande distribuzione. La voglia di cambiamento però è innata, specie tra i giovani; e molti, anche tra i corridoi della SMEA (l’alta scuola di specializzazione in economia agro-alimentare) piuttosto che alla facoltà di agraria di Bologna chiacchierano su questi temi, facendo respirare questa frizzante emozione del “sì, posso farcela” che stimola il processo virtuoso della crescita. All’agricoltura però serve l’aiuto delle istituzioni per incrociare alti livelli di investimento tecnologico con capacità organizzative e gestionali, così da garantire l’innovazione in modo continuo e favorire l’ingresso delle giovani generazioni all’interno di un processo virtuoso che riparta da là, dal campo! L’appello è stato lanciato, la risposta ci sarà anche quando il settore creditizio riterrà opportuno finanziare queste imprese, sempre più start up agricole. ◆

S t i l i d i v i ta L o r e n z o b a rb i e r i

giovani, che credono e investono, sul loro futuro agricolo. È il caso dell’Australia, nuova “terra promessa” per chi fa dell’impresa rupestre la sua ragion d’essere. Eppure in Italia le possibilità ci sono, i giovani ci credono e qualcosa, anche a livello istituzionale (ancora troppo poco in verità) si sta muovendo. Partiamo da un presupposto innegabile: per competere sul mercato al giorno d’oggi anche e soprattutto l’agricoltura deve essere competitiva. La competizione, per un’azienda italiana, non può basarsi sull’estensione, ma più che altro deve riuscire a concentrarsi sull’eccellenza, sulla qualità, sull’ottimizzazione della gestione. Se avete in mente il contadino nello stereotipo bucolico, dimenticatelo. Oggi chi vuole fare agricoltura è un manager, a tutti gli effetti. Chi si cimenta nel lavoro d’azienda attuale si trova a contatto con software di gestione, grafici sulla produttività aziendale ed è in competizione per evitare lo spreco di risorse.Non è una questione di Politica Agricola Comune (PAC), o meglio non esclusivamente, perché la road map per il successo passa necessariamente dal capire l’importanza strategica del ruolo imprenditoriale nell’agricoltura. Alcune istituzioni lo stanno già facendo, il Ministero per le Politiche agricole ha istituito il fondo per l’imprenditoria giovanile che vantava, nel quadriennio 2007 -2011, dieci milioni di euro. Anche il Ministero dell’istruzione si sta spendendo per la causa: oltre ai numerosi corsi di farm management che stanno nascendo, si sta sperimentando, proprio in Emilia

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Anziana donna Bai, nel tradizionale costume colorato, sceglie con attenzione la carne nel mercato di Kunming in Cina


Alimentazione e Salute Giovanni Ballarini

Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma

Ci sarà carne per tutti?

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Di fronte ai limiti di una popolazione mondiale destinata a toccare prima della metà del secolo i nove miliardi riflettiamo su un uso sostenibile delle risorse agricole

In inglese esistono due diverse parole per la sicurezza alimentare. Con safety s’intende che il cibo deve essere sano e non fare male, anzi bene. Con security s’intende la disponibilità di sufficienti quantità di cibo, sua accessibilità economica e sociale, stabilità di rifornimenti degli alimenti e loro utilizzabilità per una nutrizione adeguata e adatta alla cultura. Se in questi ultimi tempi ci siamo preoccupati soprattutto della safety delle carni, non dimentichiamo il problema della security. In un mondo che vede un grande incremento della popolazione, che si ritiene arriverà a superare i nove miliardi di persone, vi sarà carne per tutti? Una domanda non inutile, poiché i paesi emergenti, la Cina in testa, a mano a mano che migliorano il loro reddito e innalzano il loro tenore di vita, aumentano i consumi di carne. Perché si possa tutti mangiare carne, i paesi industrializzati dovranno ridurre i loro consumi o, per lo meno, non aumentarli ulteriormente? Ma vi é poi necessità di mangiare carne? Quali carni? Tutte domande difficili alle quali si può dare solo risposte schematiche. É necessario mangiare carne? Il fatto incontrovertibile che quando in una famiglia o in una società ›

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Sostenibile é un’alimentazione con una quota carnea non solo contenuta, ma ben equilibrata con gli altri alimenti d’origine animale (uova e latte), proteici non carnei (leguminose) ed energetici (farinacei e grassi).

aumenta il reddito immediatamente crescono i consumi di carne conferma la realtà antropologica che la carnivorità é una componente importante dell’alimentazione umana. Questo non esclude che vi possa essere una scelta culturale vegetariana, ma sempre una scelta individuale o sociale, e come tale messa spesso in forte evidenza. In modo analogo é per la scelta delle carni che possono essere mangiate: ogni cultura ha le sue carni “permesse”, “giuste”, “pure”, in contrasto a quelle “vietate”, “ingiuste”, “impure”. Elementi antropologici dei quali dovremo tenere conto anche nelle previsioni sui consumi di carne. La FAO (Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite) nel recente studio Livestock in Food Security (2011) ritiene che se le proteine di origine animale sono quasi a livello ottimale rispetto ai consumi “sicuri”, nelle Americhe ed in Europa (78% 82%), sono molto basse in Asia (29%) e soprattutto in Africa (17%). Una “fame proteica”, soprattutto di “carne”, che giustifica i recenti aumenti asiatici, Cina soprattutto, e le previsioni della stessa FAO. Mentre per il consumo mondiale é previsto un aumento del 173%, nei paesi in via di sviluppo l’aumento previsto

é del 209%. Secondo queste previsioni, sempre nei paesi in via di sviluppo, i maggiori aumenti si avranno per le carni avicole e ovine, meno per quelle suine e questo anche per le regole alimentari islamiche. Come sarà possibile produrre più carne e soprattutto a quali costi, economici e ambientali? Per quanto riguarda l’economia sarà necessario rivolgere l’attenzione alla utilizzazione dei terreni cosiddetti marginali, senza aumentare la deforestazione, ma soprattutto rivedere l’alimentazione degli animali per renderla sempre meno competitiva con quella umana. Questo é possibile per animali che come i ruminanti e gli avicoli si possono nutrire di quello che non alimenta l’uomo, ed é questa una della condizioni per cui sono stati tra i primi animali addomesticati ed allevati dalla nostra specie. “Allo stato attuale – afferma però il rapporto della FAO - non esistono alternative tecnicamente o economicamente fattibili alla produzione intensiva per realizzare l’offerta di prodotti alimentari zootecnici necessaria a soddisfare i bisogni delle città in espansione”. Nell’allevamento futuro bisognerà ripensare all’uso dei sottoprodotti alimentari, con un loro ›

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L’alimentazione carnea va ben equilibrata con gli alimenti proteici non carnei (leguminose)


u A livello mondiale non bisogna sottovalutare l’uso di carni “non convenzionali” come gli insetti e gli artropodi, peraltro già presenti nelle cucine asiatiche e non solo


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Un tempo, del maiale si utilizzava la carne completamente. In futuro i maggiori aumenti si avranno per le carni avicole e ovine. Da non sottovalutare l’uso di “carni non convenzionali” come gli insetti.

riciclo virtuoso, salvaguardando la sicurezza e senza cadere in incidenti come quelli della BSE. Sarà poi necessario contenere la produzione di gas serra, anche se l’allevamento del bestiame ha un’importanza minoritaria (2% circa) e può essere regolato con opportuni interventi, soprattutto delle loro deiezioni. Tutte condizioni per le quali siamo in possesso di conoscenze scientifiche, ma che dovranno essere aumentate. Se tutti vogliono mangiare carne, di fronte agli indubbi limiti posti da una popolazione umana che nei prossimi quaranta anni, forse meno, raggiungerà i nove miliardi d’individui, bisogna pensare ad un “risparmio” della carne, che può essere ottenuto in diversi modi. Un primo modo di risparmio é di non sprecare la carne, utilizzandola completamente. Un tempo del maiale, e lo stesso degli altri animali, si diceva che “tutto era buono” e non vi era niente da buttare; su questa linea ritornare al passato sarà un progresso. Allo stesso tempo, in cucina, bisognerà meglio utilizzare le intersupplementazioni nutrizionali tra le carni e gli altri alimenti, recuperando ed aggiornando molte ricette tradizionali. Il valore nutrizionale proteico di un piatto costituito da vegetali

é, infatti, aumentato in modo rilevante dall’aggiunta di piccole quantità di carne (e di altri alimenti d’origine animale). Una condizione, questa che si riscontrava nei modelli alimentari dei paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo e che sono stati assunti dalla Dieta Mediterranea. Non bisogna, infine, soprattutto a livello mondiale, sottovalutare l’uso di “carni non convenzionali” quali potrebbero essere gli insetti e gli artropodi, peraltro già presenti nelle cucine asiatiche (e non solo). Nel quadro brevemente tracciato una “occidentalizzazione” e soprattutto una “americanizzazione” alimentare con elevati consumi di carni bovine e suine non pare sostenibile a livello mondiale. Sostenibile é invece un’alimentazione con una quota carnea non solo contenuta, ma ben equilibrata con gli altri alimenti d’origine animale (uova e latte), proteici non carnei (leguminose) ed energetici (farinacei e grassi). In quest’orientamento molto possono insegnare le tradizioni alimentari di tutti i popoli e le cucine regionali italiane possono dare un valido contributo. Carne per tutti ci sarà, quindi, ma dovremo imparare a contenere i consumi e soprattutto recuperare antichi saperi e sapori. Solo in questo modo e mangiando meno carne, ci sarà carne per tutti. ◆

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Alimentazione e salute Mariangela Rondanelli

Scienze e tecniche dietetiche applicate Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi Pavia

UN BUON BICCHIERE DI VINO FA BENE

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AL CUORE E NON SOLO

Che il bere un buon bicchiere di vino sia un piacere, tutti sono d’accordo. Per contro, pochi sanno che bere vino con moderazione non solo non fa male, ma addirittura allunga la vita e riduce il rischio di sviluppare varie malattie. Quindi bere vino in modo corretto e consapevole rappresenta un vantaggio salutistico rispetto all’essere astemi.

Questo messaggio è legato a molti studi scientifici ed osservazioni epidemiologiche sugli effetti benefici del consumo abituale e moderato di vino. Il vino è stato studiato sia come bevanda che mediante analisi dettagliata dei molti composti bioattivi ivi contenuti. Fra i vari principi attivi identificati nel vino, quello più noto è il resveratrolo. Questa sostanza è un antiossidante presente soprattutto nel vino rosso, che avrebbe la capacità di migliorare l’efficienza cellulare attraverso il potenziamento dell’attività mitocondriale, la “centralina” energetica delle cellule. Alcune ricerche sugli animali sembrano dimostrare che il resveratrolo favorisca la longevità, migliori il controllo del diabete, ritardi la comparsa del morbo di Alzheimer e produca un effetto protettivo su cuore e circolazione. Sul tema dell’invecchiamento, grande scalpore fece la pubblicazione di un importante studio realizzato nel 1995 a Copenhagen. Questa ricerca, conosciuta come “studio danese”, è stata effettuata su più di 6000 maschi e 7000 femmine in età adulta ed ha dimostrato che il rischio di morire si abbassa fra chi consumava vino con moderazione, rispetto agli astemi e ai forti bevitori. Ma ciò che è altrettanto importante è che questo vantaggio non si verifica fra chi consumava birra o superalcolici. ›

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A l i m e n ta z i o n e e s a l u t e Mariangela Rondanelli


l Polifenoli

La ricchezza del vino in polifenoli, dotati di spiccata azione antiossidante (ovvero della capacitĂ di bloccare i radicali liberi nocivi che si formano nell’organismo), costituisce un’importante barriera di difesa nei confronti dei danni cardiovascolari. Gli effetti sono rappresentati innanzitutto dalla riduzione della formazione di placche arteriosclerotiche nelle arterie e di conseguenza minor rischio di malattia delle coronarie e infarto cardiaco. Fra i vari polifenoli sono le procianidine i primattori presenti nel vino. Il loro effetto è talmente significativo che questi composti sono oggi utilizzati dalla industria farmaceutica per la preparazione di farmaci attivi nelle malattie vascolari , sia venose che arteriose.


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La ricerca scientifica sui componenti del vino ha portato alla scoperta delle virtù preventive legate ad una sua assunzione nelle modalità previste dalla dieta mediterranea.

A questo risultato benefico partecipa anche l’aumento della produzione di ossido nitrico osservata in chi beve abitualmente vino. L’ossido nitrico riduce l’aggregazione delle piastrine, rendendo difficile la formazione di trombi e l’“occlusione” delle arterie. Il vino poi aumenta la formazione di colesterolo buono (HDL) e riduce la presenza e la attività del colesterolo LDL (quello “cattivo”), con innegabili effetti benefici in campo cardiovascolare. Effetti Neurologici Un’altra area di grande interesse è rappresentata dalle problematiche neurologiche. Il consumo corretto e abituale di vino appare statisticamente correlato ad una riduzione del rischio di sviluppare ictus, cioè infarto cerebrale, e TIA (episodi di ischemia cerebrale transitoria, con perdita per tempo molto breve di alcune funzioni motorie o della capacità di parlare correttamente). Altri interessanti dati in corso di analisi sono quelli legati alla possibilità di ridurre il rischio di gravi degenerazioni cerebrali (morbo di Alzheimer, demenza senile). Numerose ricerche documentano che il regolare consumo di vino ha effetti favorevoli sia sulla frequenza con cui il morbo di Alzheimer si manifesta, sia sull’età di insorgenza ,che viene ritardata di almeno tre anni. Il vino, quindi, non per curare le malattie, ma per prevenire e ridurre il rischio di sviluppare molti gravi disturbi cardiovascolari e neurologici. Resta il problema della giusta dose di vino, volta a garantire gli effetti ora menzionati. A questo riguardo i ricercatori impegnati nel settore hanno identificato in due bicchieri al giorno la quantità ottimale per la popolazione di sesso maschile. Il vino, coniugato al femminile, prevede invece una dose leggermente inferiore (un bicchiere), in virtù di differenze metaboliche ed epidemiologiche . Il vino dunque, non solo come bevanda ricca di gusto e piacere, ma anche come fonte di salute e di potenzialità preventiva. Per diffondere questi messaggi è nato presso il Castello di Grinzane Cavour “l’Osservatorio

Nazionale sul consumo consapevole di vino”, il quale è rivolto a comunicare e divulgare le proprietà salutistiche del vino, nella consapevolezza che alla qualità del vino debba essere associato un consumatore attento che non solo apprezza il prodotto, ma è informato e documentato sugli effetti benefici per l’organismo derivanti da un corretto consumo del vino di qualità. ◆

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Alimentazione e Vino I cinque punti per uno Stile di Vita Salutare Il comitato scientifico, coordinato dal Prof. A. Giacosa e composto da Prof. M. Rondanelli, Prof. C. La Vecchia, Dott. E. Negri, Prof V. Gerbi, Prof L. Bavaresco, Prof R. Barale, Prof M. Pezzotti, insieme ai rappresentati dello ”European Cancer Prevention”, sotto l’egida dell’Università di Pavia, nel novembre 2011 ha riassunto in un documento dal titolo “La dieta Mediterranea e la prevenzione dei tumori: Alimentazione e Vino per uno Stile di Vita Salutare” le qualità salutistiche del vino.

1 La dieta mediterranea é caratterizzata dall’uso

abituale di olio d’oliva, da un consumo frequente di frutta e verdura, pesce, legumi e cereali integrali, frutta secca, spezie ed aromi, da un’assunzione moderata di vino ai pasti e da un consumo limitato di prodotti lattiero-caseari e carni rosse.

2 La dieta mediterranea riduce il rischio di malattie cardiovascolari e di tumori.

3 Se tutti gli europei adottassero la dieta

mediterranea, si potrebbe ridurre del 10% il rischio complessivo di tumori e fino al 25% i tumori dell’intestino e di altri organi dell’apparato digerente.

4 La prevenzione dei tumori conseguente alla

dieta mediterranea è legata alla sua equilibrata composizione in acidi grassi (rapporto fra omega 6 ed omega 3), ad un elevato apporto di fibre ed alla ricchezza in composti antiossidanti e polifenoli presenti in frutta e verdura, nell’olio di oliva e nel vino.

5 La dieta Mediterranea include anche “il bere

Mediterraneo”, ovvero la consuetudine di bere vino con regolarità, in quantità moderata e prevalentemente ai pasti (un bicchiere al dì per le donne e due per gli uomini). Questa modalità di consumo del vino favorisce la longevità, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e non influenza significativamente il rischio di tumore.

A l i m e n ta z i o n e e s a l u t e Mariangela Rondanelli



Alimentazione e salute Marialaura Bonaccio Giovanni de Gaetano

Fondazione di Ricerca e Cura “Giovanni Paolo II”, Campobasso

CRISI ECONOMICA E DIETA MEDITERRANEA

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Mangiare sano non è solo una questione di tradizione o di buona volontà. Le famiglie oggi devono fare i conti con prodotti troppo cari e finiscono per mettere a rischio la propria salute

Nonostante siano stati spesi fiumi di inchiostro sugli effetti benefici della dieta mediterranea, la gente continua a starne alla larga. E questo non avviene negli Stati Uniti o nel nord Europa, dove la cosa non sorprenderebbe più di tanto, visto che la loro tavola è stata sempre molto discutibile. L’allontanamento si sta verificando proprio in Italia e negli altri Paesi del bacino mediterraneo, nei posti in cui il modello alimentare salvavita ebbe origine in un tempo indefinito arrivando più o meno intatto sino a noi. Perché italiani, greci e spagnoli stanno abbandonando la dieta mediterranea? C’è forse qualcosa che non va nella piramide alimentare? No, la piramide sta bene e regge alle insidie del tempo. Sono le persone che hanno qualche problema. O meglio, le loro finanze. La crisi economica oggi è senza dubbio il nemico numero uno della dieta mediterranea e della buona salute. La dieta mediterranea, “scoperta” dal me- ›

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A l i m e n ta z i o n e e s a l u t e M a r i a l a ur a B o n a cc i o G i o va n n i d e g a e ta n o


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La Dieta Mediterranea si fonda su un modello nutrizionale costante nel tempo, costituito principalmente da olio di oliva, cereali, frutta fresca o secca e verdure, una moderata quantità di pesce, latticini e carne, e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi.

dico americano Ancel Keys durante i suoi ripetuti soggiorni a Napoli e dintorni, iniziati ai tempi della seconda guerra mondiale, continua a perdere terreno là dove fino a qualche decennio fa tutti erano custodi di un modello alimentare salvavita.

La pandemia del XXI secolo

I dati attuali sull’obesità sono disarmanti, e lo sono soprattutto nelle aree a tradizione mediterranea, dove si registrano i tassi più alti di sovrappeso. Particolarmente preoccupanti sono quelli che riguardano i bambini, con l’Italia del Sud tristemente capofila di una generazione condannata ad avere seri problemi di salute proprio per via di un peso eccessivo. Paradossalmente, i bambini più a rischio sono quelli delle regioni che di fatto hanno consacrato il modello alimentare mediterraneo recentemente riconosciuto dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. L’obesità, un tempo cruccio esclusivo di americani e popoli nord europei, sta quindi interessando anche zone probabilmente impreparate a gestire un’epidemia di grosse dimensioni. Ma il sovrappeso, unito ad abitudini malsane, non ultimo lo scarso livello di attività fisica della maggior parte delle persone, hanno prodotto generazioni ad alto rischio cardiovascolare. Ipertensione, ipercolesterolemia e diabete sono solo alcuni esempi della lunga serie di condizioni patologiche che scaturiscono da stili di vita dannosi.

Un nuovo nemico

Negli ultimi anni la dieta mediterranea ha un nuovo nemico. Tra le cause di abbandono del modello alimentare, infatti, molti sospetti ricadono proprio sulla crisi economica che sembra avere un effetto negativo sulle sane abitudini alimentari di un tempo. Come dimostrato da alcune recenti ricerche, la dieta mediterranea o comunque regimi alimentari di buona qualità sono generalmente seguiti da persone con livello socio-economico più alto, mentre i meno abbienti ripiegano sempre più su prodotti a basso costo e ad alta densità energetica, che li ›

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AL i m e n ta z i o n e e s a l u t e M a r i a l a ur a B o n a cc i o G i o va n n i d e g a e ta n o



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La Dieta Mediterranea è stata riconosciuta nel 2009 dall’Unesco un patrimonio immateriale da salvaguardare.

pongono ad un più alto rischio in termini non solo di obesità ma anche per quanto riguarda le malattie cardiovascolari. Uno studio condotto recentemente in Spagna ha dimostrato che per mangiare sano non basta solo la buona volontà ma serve anche un portafoglio in salute. Stando ai risultati, chi mangia “mediterraneo” spende più denaro di chi invece opta per cibi che rientrano nel modello alimentare occidentale. A conclusioni simili sono arrivati anche ricercatori di Barcellona secondo cui chi segue la dieta mediterranea spende di più ma ha anche una minore prevalenza di obesità e sovrappeso rispetto invece a chi riesce a risparmiare qualche euro sulla spesa. Anche il progetto Moli-sani, condotto nella regione Molise su 25mila persone, ha evidenziato che il modello mediterraneo è seguito maggiormente da persone più anziane e con reddito più alto.

Nessuno escluso

È chiaro quindi che per un ritorno da protagonista della dieta mediterranea nella vita di noi tutti non basta accumulare prove sui suoi effetti benefici per la salute. La strada è molto più in salita di quanto possiamo immaginare e richiede un coinvolgimento totale

dell’intera società civile, ad ogni livello. Rendere più accessibili e fruibili i prodotti che fanno parte della piramide mediterranea è il primo passo per un recupero di un modello non solo alimentare ma che anche investa ogni singolo aspetto della nostra vita. Perché se è vero che siamo quello che mangiamo, è altrettanto vero che è l’insieme dei comportamenti che mettiamo in atto quotidianamente a segnare in qualche modo la salute che verrà. E allora non basta seguire la piramide, ma serve anche abbandonare quelle cattive abitudini che ciascuno di noi si porta dietro, quasi inconsapevolmente. Fare più attività fisica, anche solo salire le scale (invece che prendere ogni volta l’ascensore) con la busta della spesa o prendere l’autobus alla fermata più lontana da casa possono realmente apportare benefici a lungo termine. Anche questo significa vivere secondo la lezione mediterranea. E prima lo capiremo, prima potremo gettare le basi per un’inversione di marcia e lasciarci alle spalle una pandemia che rischia di mettere in ginocchio non solo il mondo occidentale, ma anche i Paesi in via di sviluppo, ai quali il fascino di cibi ad alta densità energetica e a buon mercato sta facendo imboccare un vicolo cieco. ◆

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Alimentazione e salute Antonio Primiceri

Presidente Associazione Pizzaioli Italiani

PIZZA E VEGETALI: UN MATRIMONIO SALUTARE

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L’inserimento sempre più frequente di ortaggi e frutta in uno degli alimenti simbolo dell’Italia risponde agli stili nutritivi della Dieta Mediterranea

Se il tema è parlare di pizza vegetariana, significa che la propria salute ci sta a cuore, che siamo attenti alla qualità e al valore dei cibi, protagonisti primari nella nostra dieta quotidiana. Documentarsi sugli alimenti, seguire un modello alimentare, povero di acidi grassi saturi e di proteine animali ma ricco di carboidrati, fibre e antiossidanti naturali, universalmente riconosciuto come “dieta mediterranea”, è il sistema più appropriato nella prevenzione dell’obesità e di patologie cardiovascolari, ma anche di malattie legate al metabolismo in generale. Altro aspetto caratteristico della dieta mediterranea è legato alle molteplici combinazioni possibili fra gli alimenti, creandosi interessanti piatti unici ricchi sia di zuccheri che di proteine. Il piatto unico ha poi la valenza, se fatto in casa, di essere altresì comodo e veloce, nondimeno economico e gustoso. Stiamo parlando di piatti come pasta e fagioli, spezzatini con le patate, pasta con le verdure, zuppe di pesce con pasta o crostini, minestrone di cereali alla contadina, carni in umido con le verdure, ma soprattutto la pizza. Per prima cosa teniamo in alta considerazione che la pasta della pizza è pasta di pane, ovviamente con una operazione di doppia lievitazione per ottenere le palline lievitate, ma la sostanza ›

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A l i m e n ta z i o n e e S a l u t e Antonio Primiceri


è quella: acqua, farina, sale e lievito. Nella versione familiare è consentito l’uso di olio di oliva per rendere più morbido l’impasto che ha bisogno di un maggior tempo di cottura nei classici forni di casa. In commercio oggi abbiamo, soprattutto per il settore professionale della panificazione e della pizzeria, mix di farine selezionatissime, con aggiunta di soia, farro, cereali maltati, grano tenero 00 e semola rimacinata di grano duro: bisogna sapere che la sola farina 00 non è possibile sia classificata come farina per pizza, non è consentito, anche se la sua presenza è comunque superiore in percentuale alle altre. La farina di grano tenero a seconda della macinazione che subisce viene definita “integrale”, quindi ricca di crusca (cellulosa), sali minerali e vitamine; le farine di tipo 1 e 2 sono più bianche, di grana sottile e contengono meno crusca, amidi e proteine, il tipo 0 è di grana ancora più sottile, viene usata per pane e pizza mentre la più diffusa e universale e il tipo doppio 00, finissima, priva di crusca , risultato della

macinazione della sola parte interna del seme, quindi povera di sali minerali, vitamine e fibre. Oltre che per la produzione di pasta, pizza e dolci si usa anche come addensante. Detto questo se si sceglie di gustarsi una pizza vegetariana in pizzeria le versioni potrebbero essere infinite, soprattutto oggi che molti clienti hanno scelto questa dieta sia in assoluto che per motivi di salute. E le pizzerie si sono adeguate nel lungo elenco di varianti in menu. Ma scegliere vegetale non vuol dire necessariamente trovarsi di fronte ad un cibo più digeribile, dipende sia dal tipo di verdura come pure dal suo modo di preparazione, perché a cuocere direttamente sulla pizza si mette ben poco, solo il pomodorino fresco. In pizzeria il forno viaggia a non meno di 350 gradi, la cottura è veloce ma le verdure se non trattate bruciano. Ecco allora che il pizzaiolo, ma il consiglio vale anche per chi la pizza la sa preparare anche a casa, le verdure le prepara prima, in genere grigliate e condite

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A l i m e n ta z i o n e e s a l u t e Antonio Primiceri


con olio e sale: peperoni, melanzane, zucchine, insalata trevigiana, cipolle a rondelle. Una certa considerazione la godono anche i funghi, distribuiti a fette a metà cottura piuttosto che preparati trifolati se non sono porcini o sono poveri di sapore. Ottime le pizze anche con cime di rapa passate con aglio e olio. Ma ci sono pizze vegetali più elaborate, per esempio con una farcitura di caponata, in genere piuttosto ricca di grassi, piuttosto che una trifolatura fatta con troppo aglio che rendono difficili la digestione agli stomaci delicati. Attenzione anche al peperone che va cotto dopo aver eliminato la buccia esterna e i semi, avendo l’accortezza di scegliere le varietà meno piccanti. E’ comunque un’ottima fonte di vitamina C e betacarotene, interessante il suo basso contenuto calorico simile alla lattuga. Sulla pizza che si vuole vegetariana si stende un leggero strato di passata di pomodoro, poca ma uniforme mozzarella fior di latte tagliata con il coltello a dadini: questa procedura serve ad aiutare la pasta ad

accogliere meglio la successiva farcitura. Si procede così con le verdure che si sono scelte in base ai gusti e alle necessità dietetiche ma se un discorso sulla pizza vegetariana si vuol considerare completo non bisogna dimenticare che esistono anche pizza alla frutta, meglio definibili come pizze dolci o dessert. Sulla base in questo caso si distribuisce della crema chantilly piuttosto che del mascarpone lavorato con la panna, si dà una prima cottura in forno e poi si distribuisce sulla superficie a raggera mele, pere, kiwi, pesche, albicocche, fragole, ananas, arance, frutti di bosco, uva, fichi, quasi fosse una crostata di frutta. Si cosparge di zucchero vanigliato e si spruzza qualche goccia di liquore dolce e si ripassa in forno un attimo, il tempo varia a seconda che la frutta sia più o meno acquosa. Eventuale frutta secca va sbriciolata e aggiunta alla fine. Questa pizza è molto divertente ma anche molto calorica, ovviamente non si può mangiarne una intera, andrà servita a fette come fosse un vero e proprio dolce. ◆

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A l i m e n ta z i o n e e s a l u t e Antonio Primiceri


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BUON APPETITO: L’ALIMENTAZIONE IN TUTTI I SENSI Roberta Filippi

Giornalista

relazione tra metabolismo di base di ognuno e il dispendio energetico per favorire lo sviluppo di uno stile alimentare equilibrato non sarà mai stato così divertente. Anche indagare su come cambia la percezione della cucina, della gastronomia e il gusto in diversi Paesi del mondo è uno degli obiettivi che gli organizzatori si sono dati per rendere sempre più interessante ed educativa la visita alla mostra. INFORMAZIONI Aperta al pubblico fino alla fine di giugno, la mostra interattiva per ragazzi e famiglie “Buon Appetito. L’alimentazione in tutti i sensi” è stata realizzata grazie alla mainsponsorship di Nestlé, Gruppo Sanpell egrino, Nestlé Cereali, Nestlé Motta, Perugina, Buitoni, Nesquik, Purina e alla sponsorhip di Electrolux e Coop. “Buon Appetito. L’alimentazione in tutti i sensi” è una coproduzione internazionale tra il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, Universcience (Cité des Sciences et de l’Industrie) di Parigi, Heureka (Finlandia) e Technopolis (Belgio). Per il suo valore e la sua efficacia educativa, la mostra ha ricevuto il contributo del Ministro della Gioventù, dell’Agenzia Nazionale per i Giovani, di Regione Lombardia Assessorato alla Cultura e di Camera di Commercio di Milano. ◆ Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” Via San Vittore 21, Milano www.museoscienza.org/buon-appetito

C u lt u r a e s o c i e tà R o b e rta F i l i pp i

i In piedi, seduti, da soli o in gruppo. Tranquillamente, di fretta e talvolta anche camminando. Senso di piacere o disgusto, appagamento erotico, addirittura sacro. Servito caldo o freddo, speziato o aromatizzato, cotto o crudo. Lo mangiamo in tutti i modi o meglio, lasciatemelo dire, in tutte le salse. Sono poi le calorie, i disturbi alimentari, le frustrazioni, le voglie e le colpe ad attanagliarci. Ogni giorno apparecchiamo la tavola, tagliamo, frulliamo, soffriggiamo, mescoliamo, scoliamo, rosoliamo… Azioni quotidiane, a volte quasi scontate, ma che in realtà intrecciano percezioni culturali, aspetti sociali e sanitari, abitudini e stili di vita. A Milano, presso il Museo della Scienza e della Tecnica, la mostra “Buon Appetito. L’alimentazione in tutti i sensi”, spiega a ragazzi e famiglie attraverso exhibit interattivi, quiz, filmati e focus di approfondimento come sia possibile scoprire il cibo. Ognuno di noi dovrebbe tener ben presente tre regole fondamentali del “mangiar bene”: la salute, il piacere e la convivialità. Ma deve anche imparare a conoscere i cibi e a sceglierli nell’ambito di un’offerta sempre più ampia. È importante, quando si va al supermercato, essere informati su ciò che si mangia e, quindi, leggere con attenzione le etichette dei prodotti per poter acquistare al meglio. Attraverso percorsi tematici, è possibile esplorare la filiera produttiva di alcuni cibi, i principi nutritivi che contengono, fino ai fattori che intervengono nella percezione del cibo e nella scelta di un prodotto. Analizzare la

Cultura e società

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Agricoltura oggi

Vitangelo magnifico Già Direttore dell’Istituto Sperimentale per l’Orticoltura di Salerno

Pomodoro Quasi un quarto della produzione mondiale viene trasformato anche in quantità elevate come avviene in Italia e California, dove la sua lavorazione ha alle spalle una lunga esperienza. Ma è la Cina a registrare l’incremento maggiore con un volume raddoppiato negli ultimi dieci anni raggiungendo 34 milioni di tonnellate su oltre 1,5 milioni di ettari

I

l pomodoro è la specie orticola più importante al mondo coltivata in oltre 170 Paesi. Annualmente vengono coltivati nel mondo oltre 4,5 milioni di ettari con una produzione di circa 126 milioni di tonnellate. Nell’ultimo quinquennio, questi valori appaiono restare stabili dopo un incremento di oltre un terzo nel decennio precedente, quasi esclusivamente dovuto al miglioramento delle tecniche colturali compresa l’adozione di cultivar selezionate nelle agricolture meno progredite. Nell’ultimo decennio, la graduatoria delle Nazioni ha subito molti sconvolgimenti per l’espansione mondiale della coltivazione del pomodoro che ha seguito l’incremento quasi generalizzato degli ortaggi dovuto alla maggiore richiesta di prodotti più salutistici. L’esempio più evidente è quello della Cina, il cui volume annuo di pomodori è praticamente raddoppiato negli ultimi dieci anni raggiungendo 34 milioni di tonnellate su oltre 1,5 milioni di ettari. Della grande quantità di pomodori prodotti, circa un quarto della produzione mondiale finisce all’industria di trasformazione con quote variabili che possono raggiungere percentuali elevate come l’Italia e la California dove la tradizione della trasformazione e della esportazione di pomodoro è consolidata da tempo. Attualmente l’offerta mondiale di pomodoro trasformato si aggirerebbe intorno a 30,5 milioni di tonnellate, con una preponde- ›

A g r i c o lt u r a o g g i V i ta n g e l o M a g n i f i c o

dall’industria alla tavola... con la cina al galoppo

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Raccolta del “pomodoro da industria� in Capitanata (FG)


In Italia, la produzione del pomodoro da industria sembra essersi stabilizzata intorno a 5,5 milioni di tonnellate ottenuta su circa 100 mila ettari

ranza dei Paesi dell’emisfero settentrionale pari al 90%. L’area del Bacino del Mediterraneo, storica leader mondiale, resta al primo posto con una offerta di 13,5 milioni di tonnellate, dove l’Italia ancora resta in testa alla classifica con oltre 4,5 milioni di tonnellate malgrado le tante minacce di Turchia, Spagna ed Iran che producono, ognuno circa la metà della quota italiana. Nell’America del Nord, la California, con 10,3 milioni di tonnellate, è la tradizionale produttrice; il Canada offre solo poco più di 0,6 milioni di tonnellate. Nell’America del Sud la graduatoria è: Brasile (1,2 milioni di tonnellate), Cile (0,6) e Argentina (0,3). Il fenomeno più interessante è quello della Cina che in poco più di un decennio ha portato la sua produzione di pomodoro trasformato ad oltre 6 milioni di tonnellate, superando l’Italia con un trend ancora in aumento.

Le aree di produzione in Italia: sul podio Emilia-Romagna e Puglia In Italia, la produzione del pomodoro da industria sembra essersi stabilizzata intorno a 5,5 milioni di tonnellate ottenuta su circa 100 mila ettari e con una distribuzione che vede due grandi poli in Puglia (33,5 %) ed Emilia Romagna (30%) e tante altre piccole aree di produzione regionali delle quali la più grande è rappresentata dalla Lombardia con poco più del 7,5% come risultato sia del contingentamento voluto dall’Unione Europea ›

Ripartizione regionale della produzione del pomodoro da industria in Italia

Regione

Produzione (x1.000 t) (%)

Puglia Emilia Romagna

1852,2 1637,8

33,7 29,8

Lombardia Campania Sicilia Basilicata Toscana Lazio Calabria

428,7 318,8 225,3 225,3 164,9 153,9 137,4

7,8 5,8 4,1 4,1 3,0 2,8 2,5

Veneto Piemonte Umbria Abruzzo Molise Marche Sardegna

87,9 71,9 55,0 49,5 44,0 27,5 22,0

1,6 1,2 1,0 0,9 0,8 0,5 0,4

5502,1

100,0

ITALIA

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A g r i c o lt u r a o g g i V i ta n g e l o M a g n i f i c o

Raccolta del “pomodoro da industria”



La produzione in Italia vede due grandi poli in Puglia (33,5 %) ed Emilia Romagna (30%) e tante altre piccole aree di produzione regionali delle quali la più grande è rappresentata dalla Lombardia con poco più del 7,5% che dall’attacco di parassiti (virus e funghi, in particolare) che hanno drasticamente ridotto, rispettivamente, la produzione nelle aree di nuova espansione come la Calabria ed in quelle di grande tradizione come la Campania. La concentrazione delle produzioni nei due poli ha fortemente differenziato la destinazione del prodotto che vede quello pugliese maggiormente orientato verso la produzione del pomodoro pelato mentre quello emiliano romagnolo è orientato quasi esclusivamente verso il concentrato, il cubettato, il succo e i sughi pronti. Altra caratteristica è il mantenimento della prevalenza delle industrie di trasformazione del pomodoro nell’area Napoli-Salerno (con la produzione quasi del 90% di pelati) malgrado il drasti-

co declino della produzione nella medesima area. La coltivazione del pomodoro da industria in Italia, già da qualche decennio è il modello da copiare sia per le tecniche di produzione che le tipologie impiegate che mirano a rese elevate di materia prima di altissima qualità. L’uso di ibridi di ultima genera- ›

L’industria di trasformazione produce un’ampia gamma di derivati ottenuti dal frutto fresco di pomodoro: succo da bere, cubettati, pelati, concentrato e passata

Quote di mercato del pomodoro trasformato

35%

6%

10%

Italia

Stati Uniti

15% Cina

Paesi Bassi

9%

Spagna

59

A g r i c o lt u r a o g g i V i ta n g e l o M a g n i f i c o

3%

2%

Portogallo Germania

Portogallo

1%

13% Alri

Grecia - Belgio - Canada Cile - Francia


zione con piantine da vivai specializzati e accreditati per la certificazione della sanità rispetto ai parassiti più temuti (virus, funghi, nematodi, ecc.), l’uso quasi generalizzato della fertirrigazione, la difesa impostata secondo i criteri della coltivazione integrata, l’impiego di erbicidi altamente selettivi consentono materia prima di altissimo livello per qualità ed uniformità delle bacche, spesso con rese altissime (che possono superare anche le 100 t/ha) ideali per la raccolta meccanica, ormai generalizzata, anche per le tipologie da pelati. Non è un caso, quindi, se la dicitura Pomodoro San Marzano a livello internazionale, si identifica con il pomodoro trasformato, spesso, purtroppo, utilizzata impropriamente per definire e reclamizzare prodotto ottenuto altrove e non sul territorio italiano. Malgrado tutto ciò, la concorrenza spietata e i minori costi di produzione realizzabili altrove, potrebbero ulteriormente impoverire il settore italiano senza adeguati interventi in ambito comunitario. E’ innegabile che la grande tradizione italiana

Il contingentamento voluto dall’Unione Europea e l’attacco di parassiti (virus e funghi, in particolare) hanno drasticamente ridotto la produzione di pomodoro nelle aree di nuova espansione come la Calabria ed in quelle di grande tradizione come la Campania nella trasformazione del pomodoro non può reggere a lungo senza un deciso intervento dell’innovazione e le politiche di supporto. In questo caso verrebbe anche meno lo spirito di chi produsse il primo sugo, di chi provò a riprodurre a livello industriale i sughi preparati dalle massaie italiane e di chi inserì in un contenitore i primi pomodori pelati a mano. Verrebbe tradita, in definitiva, la scelta del pomodoro di eleggere l’Italia a Patria di elezione consentendogli di compiere, nel giro di pochi secoli, tutto il cammino che lo ha portato all’apprezzamento universale e a componente base della Dieta Mediterranea, pur avendo origine lontane dal Mare ◆ nostrum.

Principali Stati trasformatori di pomodoro Canada 0,6

Polonia 0,2 Portogallo Italia 1,0 Turchia 4,6 Spagna Grecia 1,9 1,7 Tunisia 0,7 Israele 0,2 Algeria 0,6 0,2

California 10,3

Cina 5,1

Iran 2,0

Tailandia 0,3

Brasile 1,2

Cile 0,6

Australia 0,2

Argentina 0,3

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Agricoltura oggi Carlo Fideghelli

CRA-FRU, Centro di Ricerca per la Frutticoltura, Roma

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un record tutto italiano

l

L’Italia, con circa 8 milioni di quintali, è il primo paese produttore mondiale di pere di tipo europeo. Gli Stati Uniti e l’Argentina seguono a ruota. Il nostro Paese ne esporta circa 1.350.000 q all’anno per un valore di circa 160-170 milioni di Euro, collocandosi al terzo posto in Europa, dopo Olanda e Belgio. Vantiamo anche il più elevato consumo pro-capite, circa 11 kg, doppio della media dei paesi comunitari.

Le pere che noi troviamo sui banchi dei fruttivendoli e dei supermercati appartengono alla specie botanica Pyrus communis (o pero europeo), originaria di un’area che comprende i Balcani, il Caucaso, la Turchia e i paesi medio-orientali limitrofi. In alcuni mercati è possibile trovare anche varietà di pero appartenenti alla specie Pyrus pyrifolia, originaria e diffusa in Cina, Giappone e Korea, chiamate anche pero-mela per la forma simile a quella delle mele o nashi. I nashi, in Italia e in Europa, costituiscono poco più di una curiosità e i mercati sono dominati dalle varietà europee. La produzione mondiale di pere è di oltre 221 milioni di quintali, di cui circa il 30% costituito da varietà europee e il 70% da varietà asiatiche. Il 44% della produzione mondiale di pere di tipo europeo viene dai paesi europei (nell’ordine: Italia, Spagna, Olanda, Belgio, Portogallo, Francia, Ukraina, …), seguiti dall’Asia (17,4%) (Turchia, India, Iran, Uzbekistan, …), dal Sud America (14,2%) (Argentina, Cile, …), dal Nord America (11,8%) (Stati Uniti, …), dall’Africa (10,2%) (Sud ›

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Giovani impianti intensivi. Africa, Algeria, Egitto, …), e dall’Oceania (2,4%) (Australia). L’Italia, con circa 8 milioni di quintali, è il primo paese produttore mondiale di pere di tipo europeo precedendo di poco Stati Uniti e Argentina. Il nostro Paese esporta ogni anno circa 1.350.000 q per un valore di circa 160-170 milioni di Euro, collocandosi al terzo posto in Europa, dopo Olanda e Belgio. L’Italia ha anche il più elevato consumo pro-capite di pere, pari a circa 11 kg, doppio della media dei paesi comunitari che, nel loro insieme, hanno visto diminuire il consumo medio di circa l’11% nell’ultimo decennio. Nello stesso periodo il consumo italiano è diminuito del 13%. Nel secondo dopoguerra, con l’abbandono delle colture promiscue e l’affermarsi della frutticoltura specializzata, la coltivazione del pero si è sempre più concentrata nella Pianura Padana, in un’area compresa tra le province di Ferrara, Bologna, Modena e Mantova, che copre oltre il 65% della produzione nazionale. Il pero trova, in questa area del Paese, le condizioni ideali per la massima espressione produttiva e qualitativa; il clima favorisce una certa “rugginosità” della buccia che, analogamente a quanto avviene per le mele, aumenta la dolcezza della polpa e l’apprezzamento dei consumatori. La rimanente produzione è suddivisa tra il Veneto (12-13%) e il Piemonte (4,9%) al Nord e due regioni meridionali: Sicilia (9%) e Campania (2,4%). L’Emilia Romagna, da qualche anno, ha ottenuto il riconoscimento del marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) “Pere dell’Emilia Romagna” dall’Unione Europea. Uno dei punti di forza della pericoltura italiana, rispetto a quella degli altri paesi europei, è sempre stata la maggiore differenziazione varietale che, negli ultimi anni, è andata diminuendo per una crescente

La Decana del Comizio, grazie alla sua polpa succosa, dolce e profumata, è una delle migliori pere per qualità concentrazione delle nuove piantagioni sulla cultivar Abate Fétèl che ha ormai raggiunto il 35-40% della produzione nazionale. Le altre cultivar importanti sono la William (1920%) e il suo mutante a buccia rossa Max Red Barlett (1,5-2%), la Conference (12-13%), che è anche la pera più coltivata in Europa, la Kaiser, la Decana del Comizio e la Coscia (tutte intorno al 6,0%). Tra le pere estive, oltre la Coscia (al Centro-Sud), si segnala la Santa Maria (al Centro-Nord). Pochissime sono le varietà costituite dal miglioramento genetico recente capaci di inserirsi in un calendario varietale che si rifà a varietà selezionate nel ‘700 e ‘800; tra le poche eccezioni si possono citare la precoce Carmen, costituita a Forlì dall’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura e l’autunnale Angelys, costituita in Francia. Dal punto di vista varietale, il pero, tra le piante da frutto, è un caso più unico che raro considerando che le sei cultivar più importanti, che coprono il 90% della produzione nazionale, sono state tutte selezionate nel XVIII e XIX secolo, e solo la Coscia è di origine italiana. Per questa ragione le pere sono riconosciute dalla maggioranza dei consumatori che possono scegliere la varietà preferita con facilità, a differenza di quanto

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Inizio della fioritura

avviene per la maggior parte dell’altra frutta. Il motivo di una tale immutabilità varietale sta nel fatto che già 2-3 secoli fa i selezionatori avevano raggiunto il massimo della espressione qualitativa presente nella specie.

Un nome tante le varietà

Abate Fétèl. Prende il nome dall’abate che l’ha individuata in Savoia (Francia) nel 1866. Il frutto è grosso, di forma tipica, molto allungata; la buccia è sottile, di colore verde chiaro-giallo chiaro, leggermente rugginosa. La polpa è bianca, fondente, semi-fine, mediamente succosa, zuccherina, leggermente aromatica.

William (nota negli Stati Uniti come Bartlett). Individuata in Inghilterra alla fine del 1700, prende il nome dal vivaista che l’ha inizialmente propagata. Il frutto è medio-grosso, cidonifome (la forma della mela cotogna); la buccia è liscia, giallo chiaro, a volte leggermente arrossata sulla guancia, cosparsa di lenticelle brune. La polpa è bianca, fine, succosa, dolce e aromatica. La mutazione a buccia rossa Max Red Bartlett, o più comunemente William Rossa, è del tutto simile alla varietà di origine, a parte il colore della buccia. E’ la varietà più diffusa al mondo e, oltre che per il consumo fresco, è la più utilizzata per la trasformazione in sciroppati. ›

Ripartizione regionale della produzione di pere in Italia Area Produttiva

MN FE MO

BO

Ferrara - Bologna Modena - Mantova Veneto Sicilia Piemonte Campania Altri

Quantità 65 % 12% 9% 4,9% 2,4% 6,7%

Nel quadrilatero tra Bologna, Ferrara, Modena e Mantova si producono le pere d’eccellenza per qualità e quantità; qui si concentra oltre il 65% della produzione italiana


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L’Italia, con circa 8 milioni di quintali, è il primo paese produttore mondiale di pere di tipo europeo precedendo di poco Stati Uniti e Argentina. Il nostro Paese esporta ogni anno circa 1.350.000 q per un valore di circa 160-170 milioni di Euro, collocandosi al terzo posto in Europa, dopo Olanda e Belgio.

Conference. Ottenuta in Inghilterra nel 1884 è, oggi, la varietà più coltivata in Europa. Il frutto è medio, piriforme allungato (assomiglia ad Abate Fétèl); buccia verde chiaro-giallastro, cosparsa di lenticelle, con estesa rugginosità. La polpa è bianco-crema, fondente, succosa, dolce. Kaiser. Selezionata in Francia tra il 1830 e il 1835 e “battezzata” con il nome di Beurré Bosc, si è diffusa in Italia con il nome di Kaiser Alexander. Il frutto è grosso o medio-grosso, piriforme; la buccia è ruvida, totalmente rugginosa, molto tipica. La polpa è biancocrema, fondente, leggermente granulosa, decisamente zuccherina. Decana del Comizio. Altra importante cultivar di origine francese (vallata della Loira), descritta a metà del 1800. Il frutto è grosso, piriforme-tondeggiante; la buccia è liscia e sottile, di colore verde chiaro-giallastra, arrossata all’insolazione. La polpa è biancastra, fine, fondente, succosa, dolce e profumata. Il frutto è più delicato delle altre cultivar autunnali, ma è uno dei migliori per qualità. Coscia. L’origine è incerta e si fa risalire al 17001800, in Toscana. Il frutto è medio, piriforme; buccia

liscia e sottile, gialla a completa maturazione, verde chiaro alla raccolta. La polpa è bianco-crema, deliquescente, zuccherina, leggermente profumata. E’ senz’altro la migliore varietà precoce, diffusa in tutto il Mediterraneo. Sui mercati italiani sarà sempre più presente una nuova varietà estiva, Carmen, contemporanea a Coscia, ma rispetto a questa con frutto più grande, piriforme, di ottima qualità gustativa e di aspetto molto attraente per la estesa e viva colorazione rossa.

Il recupero delle pere dei nostri nonni

Negli ultimi 10-15 anni è stato fatto un importante lavoro di recupero di antiche varietà locali, alcune delle quali sono ancora molto apprezzate ed alimentano mercati di nicchia molto interessanti, ancora suscettibili di crescita. Si citano alcune delle più significative di queste varietà autoctone che fanno parte di una tradizione e di una cultura locale ancora ben radicate in alcuni territori del paese, utilizzate sia come consumo fresco che come pere da cuocere o da trasformare. ›

La classifica delle varietà di pere Abate Fetel 35-40%

William 19-20%

Conference 12-13%

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Kaiser 6%

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Decana del comizio 6%

Coscia 6%


Abate Fétèl è la varietà di pera più coltivata in Italia. Si fa apprezzare per la sua polpa bianca, fondente, zuccherina e leggermente aromatica


è ancora presente in molte regioni italiane, da Nord a Sud, ed apprezzata come pera da cuocere. Varietà estive. Producono, in generale, frutti molto delicati, soggetti ad un rapido ammezzimento interno e per questa ragione adatti solamente ad essere consumati entro pochi giorni dalla raccolta sui mercati locali. Tra le più precoci si ricordano le pere di San Giovanni (Marche, Abruzzo e Molise, Puglia, Sicilia) e di S. Pietro (Ragusa e Gargano) che maturano a fine giugno in corrispondenza delle festività dei due Santi. Anche il gruppo delle Moscatelle, conosciuto in Sicilia anche come Garofala, è ancora apprezzato per la precocità e il gusto moscato, da Nord a Sud (Bolzano, Veneto, Marche, Umbria, Campania, Sicilia). Le Spadane (Spadona estiva, Spadoncina, Spadoncina precoce) costituiscono un gruppo di cultivar presenti soprattutto nell’Italia centro-meridionale, ma anche in Liguria trovano ancora apprezzamento. La Gentile è apprezzata in particolare in Toscana, come la Lardaia (Pisa), la Butirra Bianca d’Autunno (Limoncina d’Estate, Sommerzitrone) in Alto Adige, la Butirna dell’Assunta in Veneto (Padova), il Fico di Udine in Friuli, Mastrantuono all’interno della Campania, Orecchia Falsa e Ciccantonio in Puglia (rispettivamente a Taranto e sul Gargano), Pero della Signora in Basilicata (Matera), le Camusine in Sardegna..

La pera Kaiser si distingue per la sua buccia completamente rugginosa, per la polpa bianco-crema fondente, leggermente granulosa, decisamente zuccherina Varietà autunno-invernali, prevalentemente utilizzate come pere da cuocere: Martin Sec e Madernassa (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, dove la Madernassa è conosciuta anche come Cannellino), Cedrata Romana (Piemonte), Spina Carpi (Piemonte, Veneto, Italia centro-meridionale), Lauro (Piacenza), Volpina, Mora, Cocomerina o Briaca (Romagna), Angelica (Marche), Ucciardona (Sicilia, Calabria). Anche la Curato, che è però di origine francese,

principali aree della Produzione di pere nel mondo

Nord America 11,8 %

Sud America 14,2 %

Europa 44 %

Asia 17,4 %

Sud Africa 12,2 %

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Australia 2,4 %



Frutti perfetti di Candonga速Sabrosa


Agricoltura oggi Walther Faedi Gianluca Baruzzi

CRA-FRF, Unità di Ricerca per la Frutticoltura, Forlì

Fragole italiane tutto l’anno

i

Le condizioni pedoclimatiche del territorio italiano, varietà sempre più innovative, tecniche di coltivazione diverse e sempre più specializzate consentono di avere prodotto fresco italiano in tutte le stagioni.

In Italia la coltura della fragola, dopo i vistosi aumenti delle superfici registrati nel corso degli anni ‘60 e ’70, fino a raggiungere un massimo di circa 15.000 ettari agli inizi degli anni ‘80, si è costantemente ridimensionata in tutte le aree produttive. Nel 2011 risultano essere coltivati a fragola 3.553 ettari, senza variazioni rispetto all’anno precedente. In Italia sono presenti numerose aree produttive piuttosto differenziate per caratteristiche pedoclimatiche ma che si possono distinguere in due grandi macro-aree: ambienti meridionali (Marsala in Sicilia, Lamezia Terme in Calabria, Piana del Sele e Agro-Aversano in Campania e Metapontino in Basilicata) e settentrionali (cesenate, veronese, cuneese e Trentino Alto-Adige). Il trend negativo delle superfici investite è stato particolarmente accentuato nelle aree settentrionali (-83% dal 1980) rispetto a quelle meridionali (-61%): ciò ha portato la fragolicoltura ad essere sempre più concentrata nelle regioni del sud rispetto al nord. L’evoluzione delle superfici e i miglioramenti varietali e della tecnica colturale, hanno determinato rispetto al passato un significativo cambiamento del flusso della produzione nazionale. Attualmente è possibile in Italia produrre fragole per 12 mesi all’anno. Rispetto allo standard produttivo che si registrava negli anni ’80 è diminuita la concentra- ›

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Fragoleto a Boves (CN) in parte in coltura di pieno campo e in parte in coltura protetta con tunnel “a cupolino” finalizzato alla protezione dalle piogge

zione di prodotto nei mesi di aprile e maggio, mentre è aumentata l’offerta nei mesi invernali ed estivi. La tendenza attuale è di accentuare ulteriormente questo trend, allungando il periodo di produzione dei principali areali fragolicoli, sia con l’impiego di adeguate tecniche di coltivazione finalizzate sempre più alla “destagionalizzazione” della coltura, sia attraverso l’impiego di cultivar rifiorenti, che presentano la capacità di rifiorire e quindi di produrre continuamente anche se con intensità diverse.

Le aree meridionali

Nelle colture protette di questi ambienti si possono ottenere calendari di produzione molto ampi: da fine novembre fino a giugno dell’anno successivo. Ciò è in gran parte dovuto all’impiego di “piante fresche”, che rispetto alle piante frigoconservate molto più utilizzate in passato, consentono un più lungo periodo di raccolta evitando picchi di produzione, permettendo una migliore gestione della manodopera aziendale e maggiori caratteristiche qualitative del prodotto più remunerato dal mercato. Le piante fresche utilizzate in Italia sono principalmente prodotte in vivai di altura (700-800 m) localizzati nel centro della Spagna dove all’inizio dell’autunno si ha – in genere - un numero non

molto elevato di ore di freddo (circa 200) prima di iniziare la loro estirpazione. Spesso per raggiungere questo quantitativo di freddo viene ritardata l’estirpazione delle piante dai vivai con conseguenze negative sulla loro produzione nei fragoleti. Un notevole quantitativo di piante fresche utilizzate nel Sud dell’Italia proviene anche da vivai localizzati in Polonia, che con maggiore differenza di latitudine e un andamento climatico più freddo consentono di anticipare l’estirpazione e quindi la messa a dimora delle piante in campo, anche di 15 giorni rispetto alle piante spagnole. Per il successo di questo tipo di pianta è indispensabile infatti non ritardare la piantagione oltre la prima decade di ottobre e utilizzare piante mature con un buon sviluppo sia vegetativo che radicale. Le piante nei vivai iniziano la differenziazione delle gemme a fiore che viene interrotta durante le operazioni di trapianto e che poi prosegue nei campi di coltivazione fino a quando le condizioni di termoperiodo lo consentono. Attualmente nel Sud Italia si sta affermando anche un altro tipo di pianta fresca chiamata “cima radicata”: viene prodotta in 25-30 giorni grazie alla notevole capacità di radicazione delle cime di stolone su substrato di torba e in condizioni controllate (altissima umidità attraverso interventi di nebulizzazione, temperature costanti, ecc.). Le ›

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l Fragoleto a Pergine (TN) in coltura “fuori suolo”

cime vengono raccolte nei vivai provviste di abbozzi radicali. L’interesse verso questo tipo di pianta fresca è principalmente legato alla brevità del ciclo moltiplicativo e soprattutto al maggior anticipo di maturazione che offre rispetto alla pianta fresca a radice nuda. Non tutti i genotipi si adattano a questa tecnica: sembrano più favoriti i genotipi dotati di elevata e precoce capacità rizogena. L’area fragolicola di Marsala, principale bacino produttivo siciliano, è la zona più precoce a livello nazionale ed è principalmente preposta ad una produzione nel periodo invernale. L’assetto varietale si è radicalmente modificato nell’ultimo biennio: è stata abbandonata la vecchia varietà spagnola Tudla®Milsei, rimpiazzata da Florida Fortuna, varietà a bassissimo fabbisogno di freddo invernale e quindi molto precoce. Altre varietà come Candonga®Sabrosa e Naiad®Civl35 completano lo standard di questa zona. In questa area in cui è di particolare interesse la precocità, si è assistito ad un sempre maggior impiego delle piante fresche “cime radicate” che consentono produzioni extra-precoci, già a partire dal periodo pre-natalizio, soprattutto se vengono adottati tunnel multipli. Questa modalità di protezione delle coltivazioni è in aumento rispetto alle tradizionali strutture caratterizzate da tunnel singoli. Nella Piana di Lamezia Terme, dove si concen-

tra quasi tutta la fragolicoltura calabrese, si sta assistendo al declino della varietà storica di origine californiana Camarosa. La varietà Candonga®Sabrosa non sembra soddisfare pienamente le esigenze dei produttori calabresi a causa della sua epoca di maturazione medio-tardiva e i livelli produttivi non sempre soddisfacenti; alcune nuove varietà come Rania, Nabila e Kilo rappresentano ancora una piccola quota dello standard varietale di questa zona. Le coltivazioni protette vengono costituite grazie all’impiego di tunnel di grandi dimensioni in grado di assicurare una maggiore precocità di maturazione dei frutti. In questa zona è pressoché scomparsa la coltura di pieno campo, un tempo dominante. Anche nella Piana del Sele in Campania, Camarosa rappresenta ancora la varietà dominante, ma è in corso una notevole ridimensionamento delle superfici a favore principalmente di Candonga®Sabrosa particolarmente apprezzata dai consumatori per gli elevati standard qualitativi dei frutti. Da segnalare in Campania l’interesse verso nuove cultivar spagnole come Sabrina (soprattutto nell’Agro-Aversano) e Amiga. Il metapontino è l’area fragolicola della Basilicata caratterizzata da condizioni climatiche più fredde rispetto agli altri ambienti meridionali su indicati. Le piante fresche, che da una parte consentono una precoce entrata in produzione, dall’altra

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L’evoluzione delle superfici e i miglioramenti varietali e della tecnica colturale, hanno determinato rispetto al passato un significativo cambiamento del flusso della produzione nazionale.

rendono la coltura più soggetta ai rischi dovuti agli abbassamenti termici che si possono registrare a fine inverno-inizio primavera. Lo standard varietale di quest’area è quasi completamente dominato dalla varietà di origine spagnola Candonga®Sabrosa.

Le aree settentrionali

Negli ambienti settentrionali la fragola è coltivata sia in Valle Padana sia negli ambienti di montagna alpini, con due principali bacini di produzione localizzati nel cuneese e in Trentino-Alto Adige. Queste aree fragolicole presentano flussi produttivi concentrati in differenti periodi: aprile-maggio per le aree di pianura a cui si aggiunge ottobrenovembre per il veronese; tutto il periodo estivo fino all’autunno per le aree di montagna. Nell’area cesenate si concentra circa l’80% della fragola emiliano-romagnola, in gran parte ancora coltivata in pieno campo (70%), anche se è da tempo in atto anche in quest’area la tendenza alla copertura dei fragoleti con tunnelloni più finalizzati alla protezione della coltura dalle piogge durante il periodo fioritura-raccolta che ad anticipare la precocità delle produzioni. Va comunque evidenziata l’incidenza significativa del tradizionale tunnel cesenate (circa 15% del totale) posto in opera a fine gennaio e finalizzato ad anticipare la maturazione dei frutti di circa un mese rispetto al pieno campo. In questa area si è pienamente affermata la varietà a maturazione precoce Alba, seguita da Roxana, Tecla e Clery, quest’ultima caratterizzata da un buon sapore del frutto. Nel cesenate è importante il ruolo ricoperto dalle coltivazioni biologiche (15% del totale) ottenute in coltura protetta. Il veronese è ormai da tempo il principale bacino di produzione degli ambienti settentrionali ed è secondo, a livello nazionale, solo all’area della Piana del Sele (Campania). La fragolicoltura veronese è l’unica ad aver mantenuto nel tempo le proprie superfici e addirittura in alcuni anni le ha leggermente aumentate. Alla base di questo successo c’è

una particolare tecnica di coltivazione autunnaleprimaverile, nota come “coltura autunnale veronese”. Dallo stesso impianto si ha un doppio ciclo di fruttificazione, in autunno e nella primavera successiva grazie all’impiego di piante frigoconservate di grosse dimensioni (A+), per la maggior parte prodotte in vivai localizzati nel veronese, nelle vicinanze delle aree produttive stesse. Non tutte le varietà si adattano a questa tecnica e attualmente lo standard varietale è dominato da Eva, selezionata nell’ambito di un programma di breeding pubblicoprivato condotto nel veronese. Eva deve il suo successo anche alla capacità di emettere un secondo flusso di fioritura dopo quello principale, consentendo un significativo prolungamento del periodo produttivo. Per questo motivo è interessante anche il comportamento di Irma, varietà rifiorente in grado di estendere il flusso produttivo per tutto il periodo estivo. Nel veronese si è affermata anche Roxana grazie alla sua notevole produttività nel periodo autunnale, anche se nel periodo primaverile appare un po’ troppo tardiva e con frutti di non elevata qualità. In Piemonte la fragola è concentrata principalmente nelle aree del cuneese a quote comprese tra i 550 ed i 1.100 m di altitudine ed è finalizzata a periodi di raccolta più tardivi (le cultivar unifere si raccolgono da fine maggio a luglio) rispetto a quelli della Pianura Padana. La fragolicoltura piemontese ha fatto registrare negli ultimi anni un considerevole calo di superfici, il più accentuato di tutte le aree di produzione nazionali, principalmente a causa della forte concorrenza che il prodotto incontra sui mercati con conseguenti cadute del prezzo. Sono diffuse sia varietà unifere (Alba, Arosa, Clery) sia rifiorenti (Evie 2, San Andreas, Portola) in grado, con piante poste a dimora in aprile, di fornire un flusso produttivo da luglio fino ad ottobre. In Trentino la coltura è da tempo finalizzata alla produzione di fragole nel periodo estivo, grazie alle colture programmate principalmente fuori ›

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Si lamenta la mancanza di una corretta informazione al consumatore sull’origine esatta del prodotto, indicando le varietà, le tecniche di coltivazione, le caratteristiche qualitative e le proprietà nutraceutiche dei frutti.

suolo della varietà Elsanta. Questa interessante tecnica di coltivazione prevede l’utilizzo di piante “ingrossate” come le Tray Plant ottenute da piante fresche “cime radicate” fatte sviluppare in appositi contenitori alveolati. In pieno riposo invernale vengono frigoconservate a -2°C fino al momento della loro messa a dimora che può essere effettuata da aprile fino a luglio a seconda di quando si intende programmare la raccolta (mediamente inizia 40-50 giorni dopo la piantagione). In genere, le piante che fruttificano durante i mesi estivi, vengono mantenute per un secondo ciclo produttivo nella primavera successiva (maggio-giugno in base all’altitudine di coltivazione). Si sta sempre più diffondendo l’accorgimento tecnico di spostare le piante durante la fase di “ingrossamento” in alveolo a diverse altitudini, o addirittura in altri areali come quello veronese, al fine di prolungare il periodo di differenziazione delle gemme e quindi di consentire un incremento del loro livello produttivo. Negli areali trentini si stanno diffondendo anche alcune varietà rifiorenti come Evie 2, che consentono un prolungato e regolare flusso produttivo estivo. In genere le piante frigoconservate di tipo A vengono messe a dimora in aprile e quindi non sono soggette al costoso ingrossamento delle piante in alveolo, come invece avviene per le cultivar unifere. In Alto Adige, la fragolicoltura è principalmente concentrata in Val Martello a diverse altitudini che possono arrivare fino a 1.700 m. Viene adottata, unico caso in Italia, una tecnica di coltivazione che prevede il mantenimento dei fragoleti fino a 3 anni. L’impianto viene eseguito verso la fine della primavera, generalmente utilizzando piante ingrossate (A+ o TP) in grado di fornire un primo flusso produttivo nel corso dell’estate. In genere il fragoleto viene mantenuto per altri 2 anni fornendo produzioni concentrate in periodi variabili a seconda dell’altitudine (da fine giugno a metà agosto). La tecnica colturale, a differenza di quella adottata in tutti gli altri areali italiani, è simile a quella di alcuni

ambienti Nord americani; prevede un rinnovo delle piante in quanto vengono fatti radicare stoloni presenti nell’interfila durante il periodo estivo. La fragolicoltura di questi ambienti, piuttosto difficili per le particolari e fredde condizioni climatiche (temperature molto rigide invernali, spesso senza copertura nevosa, abbassamenti termici primaverili), attualmente si basa su varietà come Elsanta, Marmolada®Onebor e Record in quanto più di altre si sono adattate a queste condizioni.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La fragola nel territorio italiano così diversificato per condizioni pedo-climatiche, svolge un ruolo ancora molto importante. Con i diversi standard varietali, con tecniche anch’esse diverse, ma sempre più specializzate che necessitano sempre più operatori altamente qualificati, si è in grado di avere un continuo flusso di prodotto “italiano” che copre la richiesta del mercato per l’intera annata. Infatti il consumatore apprezza gustare fragole in tutte le stagioni. Si lamenta la mancanza di una efficace politica commerciale del “sistema Italia” che valorizzi e tuteli queste produzioni, che favorisca rapidamente lo sviluppo delle sole varietà di qualità riconosciuta, che veicoli una corretta informazione al consumatore sull’origine esatta del prodotto, indicando le varietà, le tecniche di coltivazione, le caratteristiche qualitative e le proprietà nutraceutiche dei frutti. In pratica tutto quello che oggi manca in quanto il consumatore al momento dell’acquisto è messo in condizione di conoscere bene solo l’elemento prezzo. Ciò pone spesso il prodotto italiano, caratterizzato da alti costi di produzione, non più in grado di competere con altre realtà, fragolicole europee o nord africane. Si corre il grande rischio che la grande biodiversità del settore fragolico italiano tenda a scomparire, perdendo quindi un patrimonio di conoscenza e di professionalità che fino a pochi anni fa era invidiato da tanti operatori di molti Paesi esteri. ◆

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A l i m e n ta z i o n e e c o n s u m i Wa lth e r Fa e d i G i a n l uc a B a ru z z i


un passo avanti nella nutrizione delle piante

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Freschi o surgelati

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Qui non sta il dilemma Lo sapevate che il prodotto surgelato spesso è molto più “fresco” di quello non surgelato e migliore dal punto di vista nutritivo? Impariamo a conoscere i principi di una buona conservazione dei cibi.

Il consumo di alimenti conservati allo stato surgelato è attualmente molto diffuso, a causa dei cambiamenti degli stili di vita e delle abitudini alimentari, ma non è stato così nel recente passato. I nostri genitori, o i nostri nonni, hanno avuto nei confronti dei prodotti congelati un’avversione totale. Questo atteggiamento negativo si è instaurato in quanto questo tipo di alimenti commercializzati non avevano avuto una continuità della “catena del freddo” per mancanza di apparecchiature adeguate, soprattutto quelle a livello casalingo. Infatti, alla fine della seconda guerra mondiale, con la lenta diffusione dei primi frigoriferi, basati sul freddo prodotto da una stecca di ghiaccio in un contenitore chiuso, molti alimenti hanno avuto sì un prolungamento della conservazione a livello di refrigerato, ma non nelle condizioni di prodotto congelato. Questo aveva generato numerosi problemi di qualità microbiologica e gustativa dei prodotti congelati una volta scongelati dal consumatore (o al momento della vendita), talmente invasivi da allontanare il possibile acquisto e consumo. Alcune decine di anni dopo i frigoriferi domestici che avevano già una zona freezer iniziarono a diffondersi e con essi la ripresa della fiducia per i prodotti congelati. Ancora oggi è rimasta una certa diffidenza sulla qualità di alcuni alimenti congelati, come ad esempio i pesci, limitata però solo alla qualità edonistica ritenuta inferiore a quella dei freschi corrispon- ›

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A l i m e n ta z i o n e e s a l u t e G i o va n n i l e rc k e r S i lv e r G i o r g i n i


p

Per un consumo ideale il prodotto conserva le sue caratteristiche ottimali se utilizzato entro la data riportata sul fianco della confezione. Una volta scongelato, il prodotto non deve essere ricongelato e può essere conservato in frigorifero. Alimento da consumarsi previa cottura.

Come agisce la congelazione e la surgelazione Il freddo, a qualsiasi valore della temperatura lo si utilizzi, è in grado di prolungare la conservazione di un alimento: più bassa è la temperature più lungo è il tempo, che raddoppia ogni abbassamento di circa 10 °C. Se la temperatura è portata al di sotto degli 0 °C l’acqua nell’alimento inizia a cristallizzare solidificando: a temperature molto basse lo fa più velocemente, ma la formazione di uno strato di ghiaccio –perfetto coibente naturale- che avanza dall’esterno verso l’interno dell’alimento rallenta la velocità di congelamento. Per questo effetto, la migliore scelta per ottenere un rapido congelamento, non è quella di trattare l’alimento a temperature molto più basse dei -20 °C basse, ma di scegliere o preparare alimenti da congelare che abbiano uno spessore minore possibile. Ad esempio la fettina di carne congela meglio della bistecca alla fiorentina, per lo spessore più favorevole alla velocità di congelamento. Operando su una pezzatura di spessori

ridotti, come troviamo in molti prodotti vegetali congelati (“cubettati”) in busta nei supermercati, la velocità a basse temperature può superare i 4 centimetri di spessore ogni ora: queste condizioni sono richieste per i prodotti surgelati. Ma perché gli alimenti surgelati sono migliori di quelli congelati? Si tratta della migrazione dell’acqua che avviene in tutti i trattamenti termici, sia quelli che raffreddano che quelli che riscaldano. Nel caso della congelazione la superficie che via via avanza dall’esterno verso l’interno, durante il procedimento, tende a richiamare dalle zone circostanti acqua: questa allo stato liquido migra, con i suoi soluti (sali, zuccheri, ecc.) e va a cristallizzare allo stato puro sulla superficie congelata lasciando le sostanze trascinate con sé nella zona dove ha cristallizzato. Tale effetto, tanto più vistoso quanto più lenta è la cristallizzazione (durante il congelamento) e quanto maggiore è lo spessore dell’alimento, si completa con la produzione di un alimento un po’ differente al suo interno per una maggiore disomogeneità di composizione rispetto a quella di partenza. Quando decideremo di scongelare, dopo una conservazione più o meno prolungata per ottenere l’alimento da cucinare o da consumare direttamente, la scelta migliore è quella di operare più ›

Congelazione:

Surgelazione

formazione di macro-cristalli di ghiaccio

formazione di micro cristalli di ghiaccio

1. Cristalli di ghiaccio - 2. Cellule - 3. Pareti cellulari

1. Cristalli di ghiaccio - 2. Cellule - 3. Pareti cellulari

denti. Oggi, con le più attuali attrezzature disponibili per la pesca e per la lavorazione del pesce sulla nave “fattoria”, il pesce surgelato è molto spesso più fresco di quello non surgelato e migliore dal punto di vista sensoriale.

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Conservazione domestica Nel congelatore

(-18°C) o Vedi data consigliata sul lato della confezione

(-12°C) 1 mese (-6°C) 1 settimana Nello scomparto del ghiaccio

3 giorni

APPROFONDIMENTO 1: LA CATENA DEL FREDDO Il percorso che un alimento surgelato compie per arrivare integro alla tavola del cliente si chiama “catena del freddo”. La legge regola tutti i passaggi dei prodotti surgelati dalla produzione fino al banco di vendita, che rappresenta l’ultimo anello della catena. Ogni fase è programmata per mantenere regolare la temperatura dell’alimento surgelato e, di conseguenza, alta la sua qualità. Il produttore, da parte sua, deve porre ogni attenzione affinché ciascun anello della catena sia efficiente, avendo come obiettivo quello di offrire all’utilizzatore prodotti di assoluta qualità. Anche il cliente, però, deve adottare alcune semplici precauzioni: • Comprare i surgelati per ultimi durante la spesa e, specialmente nella stagione calda o se il tragitto è lungo; • Riporre i surgelati in un apposito contenitore (es. busta, cassa in polistirolo, congelatore portatile), che ne rallenta l’innalzamento della temperatura durante il trasporto fino al congelatore dell’esercizio; • Utilizzare i prodotti secondo la data di durabilità (da consumarsi preferibilmente entro il) indicata su ogni confezione, consumando prima quelli con la data più vicina (sistema FIFO: First In First Out) e seguire le istruzioni indicate in etichetta per il corretto utilizzo, evitando di ricongelare i prodotti già scongelati.

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Il processo produttivo Produzione vegetali al naturale

Produzione vegetali grigliati

Produzione vegetali pastellati

Produzione frutta

Ricevimento materia prima

Ricevimento materia prima

Alimentazione e semilavorato

Ricevimento materia prima

Lavaggio

Lavaggio

Infarinatura pastellatura

Lavaggio

Preparazione

Preparazione

Prefrittura

Preparazione

Scottatura

Grigliatura in forno

Cernita

Cernita

Cernita

Cernita

Surgelazione IQF

Stoccaggio in cella a bassa temperatura Alimentazione e preparazione prodotti miscelati

Conservazione industriale

Spedizione

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Lo scongelamento richiede il rispetto dei tempi ottimali: un cattivo scongelamento danneggia le proprietà nutritive del cibo lentamente possibile: dalla zona freezer a quella frigorifera fino al giorno seguente prima di considerare scongelato l’alimento. Quindi le condizioni operative migliori sono: tempi più lunghi possibili di scongelamento a fronte di congelamenti più rapidi possibili. Questo perché lo spostamento dell’acqua deve avvenire anche in fase di scongelamento e più lentamente avviene più tempo viene concesso alla ricostituzione delle composizioni originali. Le carni congelate o scongelate male, ad esempio, saranno stoppose e tigliose anche dopo la cottura e non gradevoli al consumo. Inoltre la formazione, lenta, di cristalli di ghiaccio di una certa dimensione produrrà rotture meccaniche delle strutture cellulari, con fuoriuscita di liquidi cellulari che in fase di scongelamento (anche se lento) faranno separare liquidi associati a componenti nutritivi. Gli alimenti vegetali allo stato congelato sono

presenti da pochi anni sul mercato e sono nella maggior parte cotti e congelati. Quei pochi vegetali non cotti sono stati comunque “scottati” per evitare la formazione di colorazioni scure, causate da azioni enzimatiche (polifenolossidasi) durante la conservazione. La pezzatura dei vegetali non è mai molto grande per avere una certa struttura allo stato di scongelato, e lo spessore dei pezzi è sempre modesto: dadi di 1-1,5 centimetri e fette di circa 0,5 centimetri. Queste dimensioni sono scelte per avere un rapido congelamento (surgelazione) e una migliore omogeneità del singolo pezzo di prodotto una volta scongelato. In virtù delle loro dimensioni ottimali i piselli sono stati fra i primi prodotti vegetali congelati in busta, subito seguiti dalla patate a stick (chiamate anche french fries). Queste ultime, in relazione alla scottatura necessaria al mantenimento del colore durante la conservazione in freezer, prima di tale trattamento sono private delle sostanze ›

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l La conservazione delle carni in freezer non è infinita. Se protratta nel tempo può comportare una modificazione dei componenti cristallizzati, con conseguenti effetti negativi

solubili superficiali (zuccheri) che inevitabilmente imbrunirebbero con la conservazione, in seguito del trattamento termico di scottatura. Le patate congelate in busta per effetto delle tecnologie che stabilizzano le loro caratteristiche, hanno anche una migliore qualità per gli aspetti salutistici, di quelle che potremmo cuocere a livello casalingo a partire dalle patate fresche. Dal punto di vista tecnologico, è possibile che un alimento appena raccolto o macellato oppure pescato, se immediatamente surgelato risulti più fresco al consumo dello stesso alimento che viene commercializzato come prodotto fresco, inevitabilmente in commercio dopo qualche giorno di vita (da 1 a 3 giorni, in relazione al tipo di alimento). Questo è dovuto al mantenimento delle quantità di sostanze caratteristiche del prodotto fresco: vitamine, antiossidanti, aromi, ecc.. È necessario ricordare che la conservazione delle carni in freezer allo stato di congelato o di surgelato, non è infinita, ma è condizionata da modificazioni fisico-meccaniche ed organolettiche non positive. Infatti esiste un meccanismo di tipo fisico che porta in tempi lunghissimi ad una ristrutturazione dei componenti cristallizzati ad aggregazioni di maggiore dimensione, soprattutto a carico

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Fotografie per gentile concessione di Orogel

dell’acqua, con conseguenti effetti negativi, già considerati nel caso di una lenta congelazione, nel prodotto che andremo a consumare. Anche se il congelamento, a parità di tutti gli altri parametri scelti, darebbe risultati migliori impiegando carni più ricche di grassi (marezzatura) –quelli di infiltrazione dei tessuti, non sempre vistosi- la loro presenza però condiziona lo sviluppo di odori sgradevoli di rancido in tempi di conservazione non molto lunghi, dell’ordine dei 9-15 mesi in relazione al livello di insaturazione dei grassi stessi (cavallo>tacchino>pollo>maiale>bovi no, > = maggiore). Dopo lo scongelamento tutti i tipi di carne riprendono a degradarsi in conseguenza delle possibili reazioni chimiche e per via dello sviluppo dei microrganismi, con una velocità maggiore di quella che avevano al momento della congelazione e a partire dal livello raggiunto dal corrispondente sviluppo microbico. Questo comportamento comune a tutti gli alimenti, indicato come “effetto primavera”, fa si che una volta scongelato un prodotto alimentare non si possa più sottoporre a congelamento, proprio per evitare al successivo futuro scongelamento una degradazione troppo rapida e quantitativamente inaccettabile per gli aspetti igienici. ◆

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Cultura e società

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Attilio scienza

Dipartimento di Produzione Vegetale, Università degli Studi di Milano

IL LUNGO PERCORSO DEL VINO Prima parte

La grande storia del vino é stata scritta dai Romani ed esportata poi nel resto d’ Europa. I Greci sono stati i primi a introdurre il culto del vino nella Magna Grecia. La larga diffusione del vinum induce ben presto commercianti e imprenditori romani ad esportare la bevanda attraverso le legioni dislocate nei vari territori dell’Impero.

Scrive Erri De Luca che la forma a stivale dell’Italia non è servita in passato per dare un calcio ai popoli che in tutti i tempi si sono avvicinati a lei, ma in virtù della sua posizione in mezzo al Mediterraneo, per accoglierli e dare loro la possibilità di interagire con le popolazioni originarie, nello sviluppo delle attività commerciali, agricole e culturali. Questo incontro tra uomini, siano essi mercanti o emigranti, ha creato nel nostro Paese infiniti limes, intesi come confini culturali dove sono nate le infinite espressioni del caleidoscopio agro-alimentare che tutto il mondo ci invidia. Ogni volta che un popolo entra in un territorio di un’altra popolazione si crea una frontiera e di norma, si verificano due circostanze: una di contrapposizione che porta al mantenimento pressoché stabile delle culture che si confrontano ed un’altra di integrazione delle due culture, dove la più forte detta le condizioni della fusione . I confini sono notoriamen-

I Greci sono stati i primi a introdurre il culto del vino nella Magna Grecia e da bevanda per ricchi patrizi diventa inseparabile nutrimento ma anche piacere per la massa.

te luoghi di crisi, di tensioni etniche, di contrapposizioni ma anche di scambio, di regolazione di sistemi diversi,di innovazione. Gli antropologi chiamano queste espressioni culturali edge effect, effetto bordo. Un confine è infatti, un paradosso culturale che può essere contemporaneamente luogo di separazione (di creazione di quelle che vengono definite le cosiddette culture parallele) e di incontro e fusione (o delle convergenze).

Un crogiuolo di culture

L’Italia con la sua posizione tra occidente ed oriente,su percorsi e rotte di popolazioni che l’hanno attraversata in ogni tempo, con le innumerevoli manifestazioni culturali e produttive della sua viticoltura, è la testimonianza più efficace del risultato che si è ottenuto dall’incontro di più culture. Sono innumerevoli gli elementi che definiscono un confine. Oltre ai confini spaziali, rappresentati da ostacoli alla circolazione degli uomini quali i mari, le catene di montagne, i deserti, i fiumi, di più difficile superamento sono confini culturali, religiosi e linguistici. In viticoltura si ricordano i confini segnati dalle entità terminologiche (es il termine karax, palo da vite messaliota, che separa la viticoltura di impostazione


C ultura e società Att i l i o S c i e n z a

greca da quella della antica Liguria), dalla diffusione delle varie tipologie di strumenti per la coltivazione della vite e la vinificazione come il castello e la nave per il trasporto dell’uva e del vino in ambito padano, le tipologie di torchio e di roncola per la potatura. Così i riti funerari (incenerimento o inumazione) che prevedevano l’uso di recipienti sacrificali ed il consumo di vini dalle caratteristiche particolari, dividevano popolazioni di origine molto diversa. Anche la dicotomia del paesaggio segnata da forme di allevamento ad alberello o ad alberata, ha consentito di evidenziare i tratti distintivi delle tipologie viticole (vitigni, caratteri dei vini) dei popoli che erano venuti a contatto. Ancora oggi l’occhio attento dell’osservatore erudito coglie nelle tipologie dei muri dei terrazzamenti, dei ricoveri dei vigneti, nei materiali e nelle forme che caratterizzano le cantine il segno delle antiche origini, soprattutto nei luoghi dove le due culture sono venute a contatto. L’Italia è ricca di questi limes: basti pensare solo a titolo esemplificativo, ai confini nascosti che separano la viticoltura latina da quella greca nell’isola d’Ischia o quella dell’enclave etrusca di Capua riconoscibile dall’Asprinio, vitigno dalle origini comuni ai lambruschi e dalla forma d’allevamento ad alberata, circondata dai territori degli eritresi, o la viticoltura di ispirazione longobarda ad ovest di Bologna da quella bizantina fino al mare. ››

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Le anfore romane sono vasi di terracotta a due manici, di forma affusolata, utilizzate nell’ antichità per il trasporto di derrate alimentari liquide come il vino e l’ olio.


De nobis fabula narratur: questa storia parla anche di noi. Con questa frase F. Bourne, un autorevole storico americano, apriva e concludeva le sue lezioni universitarie sul mondo latino. Circa 1800 anni fa, un soldato romano, un commerciante o un esattore delle imposte del III sec d.C. aveva 85.000 km di strade lastricate con cui viaggiare dal deserto africano alle brughiere scozzesi e poteva scambiare con 50 milioni di persone la stessa valuta, il denarius. Ci si chiede spesso perché i romani dominarono il mondo occidentale. Per alcuni fu la forza militare, per altri il bisogno di grano, schiavi, metalli. Non fu piuttosto la loro capacità di governo, come scriveva Virgilio nell’Eneide: “governare i popoli con ferme leggi”? Forse il segreto sta nel fatto che i romani a differenza di altri popoli non vedeva-

no negli stranieri sudditi da dominare, ma concittadini con cui collaborare. Non a caso gli americani esprimono questo concetto con un motto latino e pluribus unum. In questo atteggiamento collaborativo si può ascrivere l’origine di molti vitigni, coltivati anche oggi in molte regioni del mondo. Roma si può considerare il paradigma di quella situazione, la imperial oversretch ovvero la sovraespressione imperiale, evento che ebbe inizio attorno al III sec d.C. e che curiosamente coincide con i primi processi di formazione delle varietà di vite, in un’area molto lontana dall’ager campanus, allora considerato la culla della migliore viticoltura italica, in quella dei limes dell’Impero minacciati dai barbari, sulle sponde del Reno e Danubio. La delocalizzazione della viticoltura nel corso della storia di Roma è una costante che teneva

conto delle mutate condizioni economiche e sociali dei luoghi dove era praticata. Da una viticoltura dell’Urbe e dei Colli attorno alla città, si passa alla produzione di vino nel territorio compreso tra la Campania ed il Lazio, per soddisfare il fabbisogno di vino dell’aristocrazia romana e degli “arricchiti”, che avevano trasferito in quei luoghi le loro residenze e dei frequentatori di Pompei ed Ercolano. Lo spostamento dei centri di controllo dell’Impero da Roma, a Ravenna e Lione ed in seguito a Treviri per la Gallia, unitamente alla necessità di difendere i confini orientali con il trasferimento della gran parte delle legioni, aveva reso necessaria la creazione di una viticoltura di prossimità nei luoghi di consumo. Non va dimenticato un aspetto molto importante rappresentato dalla rarefazione della manodopera a basso costo rappresentata dagli schiavi, fortemente ridotti dalla crescente diffusione del Cristianesimo. › Quando si toccano temi

c u lt u r a e s o c i e tà Att i l i o S c i e n z a

Il contributo dell’espansionismo romano in Europa nella formazione della viticoltura antica.

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connessi alla storia dell’economia romana, il percorso si mostra irto di insidie. Non mancano certo gli spunti per descrivere le condizioni materiali della società e degli ambienti o per proporre riflessioni suggestive sulle condizioni della viticoltura, ma l’assenza del punto di vista che rintracciava nell’economia lo schema di un sistema unitario, quel contatto tra natura e lavoro umano organizzato, crea una specie di zona morta dell’incivilimento umano, costituito dal lavoro schiavistico. Da questa dannazione del lavoro materiale si salvava solo la fatica personale del contadino libero che viveva coltivando la propria terra. In questa forse stava la differenza tra la viticoltura della Gallia e quella dell’Italia dopo la seconda guerra punica, con la riconquista da parte di Roma delle regioni padane e dell’Italia meridionale. L’enorme massa di schiavi, risultato dalle guerre venne utilizzata nelle nuove proprietà terriere. Sono necessarie due considerazioni. La prima riguarda il modello viticolo adottato dai romani nell’Italia meridionale che non è quello etrusco o paleo ligure diffuso dai Galli Cenomani nelle regioni padane ma ricalca quello trovato nella Magna Grecia, anche se rimaneggiato in alcune caratteristiche strutturali (l’adozione del palo secco) e che sarà adottato anche nella nuova viticoltura sui confini, la seconda è che in una condizione servile, anche se gli schiavi provengono da luoghi molto lontani, non ci poteva essere innovazione genetica e quindi la nascita di nuovi vitigni come invece è avvenuto nell’Europa continentale per

effetto dell’incontro dei legionari con le popolazioni locali. Appare comunque legittima una domanda: come mai nella viticoltura creata dai romani in ambienti freschi ed umidi come erano le rive dei grandi fiumi europei non è stata adottata la forma d’allevamento costituita dalle alberate, allora la prevalente nei territori a clima temperato? Dal IV sec.a.C. i greci focesi avevano iniziato la Massaglia (l’attuale Marsiglia) a commercializzare lungo il Rodano ed il Reno i vini portati dalla Grecia e quelli prodotti in loco. Questi vini, molto lontani dal modello romano, alcolici, aromatici e dolci, avevano conquistato gli abitanti della Gallia interiore che avevano identificato nella viticoltura gre-

ca, rappresentata dall’alberello, l’unica capace di produrre vini di qualità. Anche le condizioni termiche poco favorevoli della fase climatica dei primi secoli dopo Cristo, avevano costretto i gallo-romani a scegliere forme di allevamento che tenevano le viti vicino a terra, per poterle facilmente interrare prima dell’inverno e per utilizzare il calore che forniva il suolo. Questa forma d’allevamento molto originale che richiama una pergola molto bassa a tetto orizzontale, chiamata Kammertbau o vigna camerata, venne utilizzata anche durante la “piccola glaciazione” soprattutto in Svevia ed Alsazia. Ma esisteva in Gallia una viticoltura precedente a quella che i romani avevano creato in


Aforismi sul vino

Provenza? Cesare (55 a.C.) e Tacito (100 a.C.) affermavano che in Germania non esisteva nessuna espressione di viticoltura e che l’unica bevanda alcolica conosciuta era la birra, ottenuta dalla fermentazione di cereali. Il vino era comunque consumato (..proximi ripae et vinum mercatur) ma era prodotto altrove. ◆ (1 - Continua)

Cenai con un piccolo pezzo di focaccia, ma bevvi avidamente un’anfora di vino; ora l’amata cetra tocco con dolcezza e canto amore alla mia tenera fanciulla. (Anacreonte, circa 570 a.C. – circa 485 a.C.) Il bronzo è lo specchio del volto, il vino quello della mente. (Eschilo, 525 a.C. – 456 a.C.) Il vino eleva l’anima e i pensieri, e le inquietudini si allontanano dal cuore dell’uomo. (Pindaro, 518 a.C. circa – 438 a.C. circa)

c u lt u r a e s o c i e tà Att i l i o S c i e n z a

Vino pazzo che suole spingere anche l’uomo molto saggio a intonare una canzone, e a ridere di gusto, e lo manda su a danzare, e lascia sfuggire qualche parola che era meglio tacere. (Omero)

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C ov e r Sto ry A n t o n i o B r a mc l e t

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Cover Story

CAVIT Il futuro del

vino è adesso

L’azienda trentina, uno dei maggiori players italiani nel settore vinicolo di qualità, basa il suo successo sulla perfetta conoscenza del territorio e sulle virtuosità del rapporto tra tradizione e tecnologie d’avanguardia. Antonio Bramclet

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gni qual volta raggiungo il Trentino, non posso esimermi dal chiedermi se il sentimento di bellezza che provo dipenda più dallo skyline delle immense Dolomiti o dall’armoniosa configurazione dei paesaggi punteggiati dalla geometria delle viti che, per un centinaio di kilometri, mi accompagnano dal lago di Garda fino alle montagne. Non voglio certo sottovalutare la grandiosità e l’originale disegno di rilievi montuosi celebri in tutto il mondo. Tuttavia, appena superati i confini del grande lago, a partire da circa 70 metri dal livello del suolo, prendendo la direzione che porta ›


a Nord, fino all’altezza di circa 800 metri, si attraversa un territorio coltivato con somma cura a vite. La musicalità di questi paesaggi mossi, perfetta fusione tra una natura generosa e un’umanità operosa, è indimenticabile quasi quanto l’incanto delle Alpi. Devo aggiungere che in questo caso la bellezza percepita del territorio possiede una singolare corrispondenza con i suoi karpos (ovvero con i buoni frutti della sua terra). In Trentino, infatti, grazie alla straordinaria variazione di microclimi e alla differenziazione della struttura dei terreni, troviamo una grande varietà di vitigni che restituiscono uve qualitative con le quali si produce la massima concentrazione di vini Doc del nostro Paese e forse del mondo. Per chi ama la ferrea logica dei numeri posso ricordare che a fronte di una media nazionale del 30% di Doc sul totale della produzione vinicola, il Trentino può esibire un incredibile 80% di produzione Doc.

Cavit ovvero la virtuosità delle rete produttiva

La stragrande maggioranza dei vini di qualità che ho ricordato sono prodotti da una rete di consorzi che si sono uniti per configurare un dispositivo economico potente, efficiente e supercompetitivo, conosciuto da tutti gli appassionati della cultura del vino con la marca Cavit. Questo consorzio che potremmo definire di secondo livello, nel senso che rappresenta un consorzio di 11 Cantine, sta diffondendo nel mondo vini considerati dagli intenditori al top della loro categoria. Il primo raggruppamento di cantine avvenne negli anni cinquanta. In quei giorni decisivi per lo sviluppo della produzione vinicola trentina, la missione del Consorzio fu di assistere i viticultori per quanto riguarda la loro “formazione” intesa in senso lato, e suggerire le tecniche di coltivazione e di vinificazione per migliorare il prodotto finale. Il successo fu immediato e la crescita qualitativa dei vini trentini fu strabiliante. Nel 1957, per far corrispondere all’aumento qualitativo del prodotto la crescita dei fatturati necessari per modernizzare l’agricoltura del territorio, fu affidata a Cavit la responsabilità della commercializzazione dei vini prodotti dalle cantine dei soci. Applicando le tecniche marketing operative nei settori di punta dell’economia, a quel tempo poco conosciute dalla base del comparto agricolo, il Consorzio riuscì a far conoscere e a vendere gli straordinari vini della regione in tutta Italia e per tappe successive, riuscì ad imporli nei mercati internazionali più interessati alla cultura del vino. Sempre per soddisfare gli appassionati dei grandi numeri, ›


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posso aggiungere che oggi a fronte di un fatturato complessivo oltre i 150 milioni di euro, la quota esportata raggiunge un incredibile 75%. Negli Stati Uniti, forse il mercato più importante per il vino di qualità, Cavit è il primo marchio italiano. Sono numeri eccezionali, non ci sono dubbi. Ma sarebbe sbagliato ritagliare per Cavit il solo ruolo di ottimizzatore delle fasi produttiva e commerciale. In realtà oggi, Cavit è in grado di intervenire ad ogni livello della filiera produttiva compresa la ricerca e le comunicazione di immagine di prodotti che assumono su di sé la responsabilità di rappresentare una delle regioni italiane d’avanguardia. I suoi vini vincono regolarmente premi prestigiosi nei più quotati concorsi internazionali. Linee di prodotti come Altemasi Riserva Graal, il Millesimato e il Rosè, i Masi Trentini, il Marzemino del Maso Roccioni, i Teroldego Rotaliano Doc Maso Cervara, i Mastri Vernacoli, sono conosciuti e apprezzati dai trendsetter del settore.

Aldilà del prodotto, la visione del futuro

L’integrazione virtuosa dei consorzi che si riconoscono in Cavit, oltre ad aver prodotto una non comune alleanza tra la dimensione artigianale della cultura del vino e la sua estensione tecnologica, innovativa, necessaria per competere a livello mondiale, ha permesso di investire ingenti risorse nella ricerca e nella tutela del territorio della vite. In breve Cavit significa anche un forte investimento nel futuro da parte dei produttori trentini. Da un lato quindi abbiamo il dato confortante di un Consorzio che dai 5500 ettari di superficie viticola lavorati da 4500 piccole aziende, trae vini di qualità che esporta in ragione di un 80%; dall’altro lato, in nessuna parte d’Italia l’attenzione alla sostenibilità del territorio viene curata come se fosse parte integrante del business, come succede da queste parti. Dagli head quarter Cavit in Maso Toresella non si gestiscono solo le politiche di marketing pianificate per presidiare i mercati internazionali, ma si progettano gli interventi virtuosi di tutela del territorio che favoriscono una sinergia con il mondo del turismo, altra risorsa fondamentale della regione. Appare dunque chiaro il piano etico che con molta superficialità spesso il consumatore frettoloso dimentica, anteponendo ad una visione complessiva che dovrebbe avere di una azienda simbolo di una forma di civiltà e di cultura, la sola percezione dei suoi pur eccellenti prodotti. Non è affatto secondario ricordare che, aldilà degli eccezionali spumanti che tutti noi immagino abbiamo sciabolato nelle migliori enoteche, la filosofia di Cavit parte dall’ambiente, dalla sua tutela, in funzione di una viticoltura che sa guardare al futuro; ambiente e viticultura virtuosi diventano quindi ›


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una risorsa per il turismo in generale e del turismo del vino/sapori in particolare; questo turismo che mi piace definire amante della consapevolezza diventa a sua volta uno dei fattori di sviluppo e valorizzazione dell’agricoltura e dei suoi prodotti. La visione innovativa e futuristica di Cavit dunque, poggia su due pilastri. Il primo possiamo definirlo il pilastro del rispetto ambientale a sua volta basato sul paradigma della sostenibilità e nella applicazione puntuale dei suoi fondamenti: gestione ottimale del territorio, tecniche agricole d’avanguardia, riduzione dei consumi di acqua, risparmio energetico. Il secondo è il pilastro della ricerca d’avanguardia. A tal riguardo posso citare il Progetto Maso iniziato nel 1988: 185 ettari dedicati alla creazione delle condizioni materiali e intellettuali per creare vini eccezionali. Ma soprattutto devo ricordare il progetto PICA (Piattaforma Integrata Cartografica Vinicola), basato sulla fecondità della conoscenza minuziosa del territorio e dei processi di maturazione quando le informazioni emergenti entrano in un circuito di feedback continui con gli operatori (enologi, agronomi, agricoltori). Probabilmente l’eccezionale resa dei Chardonnay, dei Cabernet, dei Pinot, dei Teroldego e dei Marzemino sparsi su tutto il territorio che si riconosce nel modello di gestione Cavit dipende anche dalla ricaduta prodotta dalle ricerche, dai progetti e dalle sperimentazioni effettuate in situazioni particolari, sulla cultura viticola e vinicola di ogni singolo socio. In tal modo Cavit, come conseguenza inintenzionale delle serie virtuose che ho tentato di descrivere, finisce col proporre un nuovo modello di valorizzazione che può funzionare come paradigma per il resto del Paese, ovvero, l’artigianalità, la couture del vino che procede insieme all’industrializzazione dei suoi prodotti in una logica di crescita qualitativa di rispetto del paesaggio agricolo. Quali sono i vini che meglio rappresentano lo spirito Cavit che ho cercato di raccontarvi? Le più importanti produzioni le ho già ricordate. Vorrei congedarmi raccomandandovi due etichette che possono evocare l’identità dell’azienda. Il Muller di Cavit non è certo il migliore spumante prodotto dall’azienda ma il suo gusto morbido, vagamente profumato promette di interagire benissimo con giovani di entrambi i sessi. A suo modo è un prodotto innovativo e intelligente. L’altra etichetta che voglio citare è l’Arèle vin santo, prodotto con uve Nosiola seguendo metodi antichi. Entrambi propongono quel connubio tra innovazione e tradizione che mi è parso essere la strada stretta lungo la quale l’azienda trentina sta costruendo il futuro della viticoltura della regione. ◆


Vista aerea dell’abbazia di Pomposa, centro monastico di fondazione benedettina tra i piÚ insigni della cultura medievale italiana, e della via Romea


Ambiente rurale e paesaggio Davide Papotti

Dipartimento di Scienze della Formazione e del Territorio - Università degli Studi di Parma

LA BASSA FERRARESE: QUANDO L’ORIZZONTE SI FONDE CON LA PIANURA

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La possibilità di osservare immagini aeree dei paesaggi della pianura rappresenta una preziosa opportunità per fermarsi a riflettere sulle ragioni che hanno portato alla formazione dei terreni agricoli nel loro aspetto contemporaneo, e al contempo per osservarne le trame e le ricorrenze.

I paesaggi della pianura sono dominati dalla dimensione orizzontale. Innervati nella piana morfologia dei terreni, offrono una visione molto ampia in quanto ad apertura visuale, ma limitata nella profondità. Qualunque elemento presente sul territorio – una siepe, un muro, un edificio, un filare – costituisce una sorta di “quinta” teatrale che impedisce allo sguardo di andare oltre. Ciò che si guadagna nel respiro visuale di un giro d’orizzonte, lo si perde infatti nella distanza alla quale si riesce ad osservare. I paesaggi della pianura, dunque, sono paesaggi “aperti” da un lato, ma “ridotti” nella possibilità di arrivare a guardare lontani orizzonti. La prospettiva di osservazione rimane molto “terrestre”, ancorata alla superficie del suolo, vicina alla concreta materialità del terreno. Ben definisce questa dimensione orizzontale uno dei più attenti narratori novecenteschi di queste aree, la cui famiglia è proprio di origini ferraresi, Gianni Celati: “La nostra regione è una conca della terra con una scarsa pendenza verso il mare, e con pianure così piatte che la linea d’orizzonte non arriva mai molto lontano, poche decine di chilometri. ›

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A m b i e n t e r u r a l e e pa es a g g i o D av i d e Pa p o tt i


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L’alternanza delle colture, il loro avvicendamento stagionale ed il variare dei colori delle foglie e dei frutti a seconda dei mesi dell’anno garantiscono una sorta di “calendario cromatico” delle pianure, che cambia a seconda delle infinite gradazioni e combinazioni possibili.

Comacchio Viaggiando nelle campagne del Po e la via Emilia ci si sente sempre piantati nel rasoterra, e se mai vedete qualche rialzo del terreno in lontananza potete star sicuri che è l’argine di un corso d’acqua, oppure un contro-argine che spesso delimita una zona di pioppeti. Ogni tanto un campanile spunta nelle zone aperte, e quello è l’unico segno di elevazione che potete vedere per chilometri e chilometri” (“Ultimi contemplatori”, originalmente pubblicato nel n. 3, 1997 della rivista dell’Istituto Beni Culturali dell’Emilia-Romagna). Per questa ragione, la possibilità di osservare immagini aeree dei paesaggi della pianura – così come accade in queste pagine – costituisce una preziosa opportunità per fermarsi a riflettere sulle ragioni che hanno portato alla formazione dei paesaggi agricoli nel loro aspetto contemporaneo, ed al contempo per osservarne le trame e le ricorrenze. Accade raramente di poter osservare “a volo d’uccello”, come avveniva nella cartografia prospettica e nella vedutistica cinquecentesca, i terreni della pianura; non più dunque, con “l’alzo zero” tipico dell’osservazione ad altezza d’uomo, né con l’astratta asetticità dello sguardo satellitare. Piuttosto, con una via di mezzo fra le due: uno sguardo che, affettivamente inclinato in un angolo acuto sul terreno, ne riesce ad osservare le trame

Castello di Mesola compositive (che è difficile scorgere da terra), senza però abbandonare una visione sensorialmente vicina, impregnata ancora degli odori, dei suoni, dei sapori del suolo. Usando ancora le parole di Gianni Celati: “Qui in ogni direzione vedrete campi di grano e d’altre colture a perdita d’occhio, di solito squadrati ad angoli retti e con superfici pressoché uguali. […] Gli stradelli che delimitano gli appezzamenti sono tutti dritti e intersecati ad angoli retti, e costeggiano un fossato che chiude il fronte dei campi, dove si scarica l’acqua piovana o quella delle irrigazioni”. Terreni... sottomarini I paesaggi della campagna ferrarese sono paesaggi di pianura per eccellenza. Il territorio della provincia si estende esclusivamente in aree pianeggianti, che, in alcuni casi, si trovano addirittura ad un’altezza inferiore a quella del livello del mare. Basti pensare che il punto più alto di tutta la provincia è di venti metri sul livello del mare. Molti dei fertili terreni agricoli che oggi caratterizzano la pianura ferrarese, soprattutto nella parte settentrionale e orientale della provincia, sono stati strappati alla presenza delle acque dal lavoro di bonifica portato avanti nel corso della storia dalle comunità insediatesi nell’area. I paesaggi della ›

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Quattro sono le principali tipologie di paesaggio agricolo presenti nel Ferrarese: colture arboree (soprattutto da frutta, ma anche vitivinicola), colture orticole (aglio, asparago, carota, cocomero, fragola, melone, patata, pomodoro, radicchio, zucca, pisello, fagiolo fresco, fagiolino, spinacio), colture estensive (barbabietole da zucchero, grano, mais, soia, sorgo) ed infine risaie.

Mais e campi arati

pianura della bonifica si caratterizzano per l’assenza di ostacoli, per un aspetto omogeneo, continuo, aperto. La disponibilità di terreni di pianura privi di ostacoli morfologici ha permesso, sia nelle aree di bonifica, sia nelle aree della bassa pianura, una strutturazione generalmente estensiva dei paesaggi agricoli, caratterizzati da vaste superfici messe a coltura con strutture di coltivazione regolari. Quattro sono le principali tipologie di paesaggio agricolo presenti nella provincia: quella delle colture arboree (soprattutto da frutta: pere, mele, nettarine, pesche, susine, albicocche, cui si può aggiungere la coltura vitivinicola), quella delle colture orticole (aglio, asparago, carota, cocomero, fragola, melone, patata, pomodoro, radicchio, zucca, pisello, fagiolo fresco, fagiolino, spinacio), quella delle colture estensive (barbabietole da zucchero, grano – di gran lunga la coltura più estesa, con circa 60.000 ha suddivisi fra

grano tenero e grano duro – mais, soia, sorgo) ed infine quello delle risaie. La scacchiera degli appezzamenti dedicati alle colture agricole, che costruiscono una maglia ortogonale di campi, dà vita a un paesaggio in cui la regolarità è dominante, fin quasi ossessiva. Il “ritmo” di questi paesaggi è estremamente geometrico, cadenzato, strutturato. Nel caso dei paesaggi delle colture arboree, a dominare la scansione prospettica dei campi sono i filari di alberi, allineati regolarmente lungo una direzione che diviene obbligata direttrice organizzativa degli sguardi di osservazione. La coerente apparizione, nelle campagne della zona, di file di alberi da frutta, con diverse declinazioni visuali a seconda della foggia della chioma caratteristica della specie, connota una vasta percentuale dei terreni agricoli della provincia. Anche nelle colture orticole i filari delle piantine ›

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 AtchFav

a ela enza a tea

a sicurezza alimentare è un tema sempre più importante e dibattuto. E nel contesto di una agricoltura moderna e di qualità, l’industria agrochimica si impegna a fornire strumenti il cui uso sia sicuro e sostenibile, contribuendo all’incremento della disponibilità di frutta e verdura fresche. I formulati Chimiberg rispettano le rigorose normative del settore per garantire al consumatore finale cibo sano e sicuro, nel pieno rispetto della salute dell’uomo e dell’ambiente. Affinché Biancaneve possa mangiare la mela, senza più paura della Strega.

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i Risaie nel Delta del Po


i

I paesaggi della campagna ferrarese sono paesaggi di pianura per eccellenza. Il territorio della provincia si estende esclusivamente in aree pianeggianti, che, in alcuni casi, si trovano addirittura ad un’altezza inferiore a quella del livello del mare. Basti pensare che il punto più alto di tutta la provincia è di venti metri sul livello del mare.

riproducono per regolarità le medesime trame percettive dei filari di alberi: ma permettono anche, vista la più limitata altezza (di sole poche decine di centimetri), di recuperare quella prospettiva visuale allargata che caratterizza così distintamente i paesaggi agricoli della pianura. Nel caso delle colture seminative, la regolarità è preservata dalla forma degli appezzamenti, e dalla conseguente strutturazione delle reti stradale ed idrografica. Un calendario cromatico L’alternanza delle colture, il loro avvicendamento stagionale ed il variare dei colori delle foglie e dei frutti a seconda dei mesi dell’anno garantiscono poi una sorta di “calendario cromatico” delle pianure, che cambia a seconda delle infinite gradazioni e combinazioni possibili. I paesaggi della risaia, infine: questa coltura rappresenta un comparto produttivo tradizionalmente radicato nell’area a partire dal tardo Rinascimento. La coltivazione di questo cereale, che richiede, per ragioni di stabilizzazione termica e di irrigazione, la sommersione in acqua della piantina, porta i paesaggi al “grado estremo” della piattezza. La necessità di calcolare e controllare l’esatta altezza dello strato d’acqua (che non deve essere né troppo alto né troppo basso, a cau-

sa delle esigenze della pianta) porta infatti, soprattutto oggi, in virtù delle raffinate tecnologie disponibili, ad una programmazione al centimetro delle pendenze e dei livelli dei terreni. Allo stesso tempo, per favorire al meglio le operazioni di afflusso e di deflusso delle acque, le “camere” (così vengono chiamati i singoli appezzamenti coltivati a riso, delimitati dai piccoli arginelli e dai canaletti di irrigazione) vengono poste a livelli differenziati, anche solo di pochi centimetri. Il paesaggio delle risaie, che raggiunge elevatissimi livelli di geometrizzazione e di regolarizzazione, è il frutto di un’attenta e dettagliata progettazione. A movimentare la percezione, ed a moltiplicare il gioco di specchi percettivi, ci pensa però la pratica della sommersione: durante i mesi primaverili-estivi le distese di risaie diventano una costellazione quasi continua di acque, ricamate solamente dalle strade di collegamento e dai terrapieni di contenimento. La contiguità territoriale fra pianure e mare è ben incarnata dalla coltura risicola, che non solo in una parte dell’anno “sembra” un mare (di “mare a quadretti” parlava Cesare Pavese a proposito delle risaie piemontesi), ma che esprime, attraverso le caratteristiche alofile della pianta (che ne hanno fatto una coltura tipica dei delta fluviali), la commistione fra acque dolci ed acque salate caratteristica dell’area. ◆

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Vista aerea della vallata del fiume Li


ambiente rurale e paesaggio

nella cina meridionale Un mosaico di campi, attività e rituali antichi Renzo angelini

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GUANGXI

iamo nella regione autonoma della Cina meridionale di 230.000 kmq e con 21 milioni di abitanti, con la più alta rappresentanza della minoranza etnica Zhuang. Limitata a sud dal Mar Cinese Meridionale è tuttora tra le regioni meno sviluppate della Cina. La città di Guilin è famosa per la crociera lungo il fiume Li che si svolge attraverso un meraviglioso paesaggio carsico e termina a Yangshuo. La pianura che li separa è una foresta di pinnacoli caratterizzati da speroni rocciosi, quasi verticali, che vanno da 30 a oltre 300 m di altezza e dominano un paesaggio intensamente coltivato dalle famiglie contadine dei villaggi, che vivono su fazzoletti di terra della grandezza di un Mu (670 mq). La roccia calcarea creata dai sedimenti di mari preistorici fossilizzati e riportati in superficie dai movimenti geologici, è stata in seguito erosa da piogge acide di origine naturale, creando la “foresta di pietra”. Lo sgocciolamento dell’acqua e i fiumi sotterranei hanno scavato lunghe grotte tra loro collegate. Nella campagna il lavoro viene fatto a mano e vi partecipano tutti i membri della famiglia. Le donne sono spesso chiamate a fare i lavori più pesanti come l’irrigazione, con secchi portati due alla volta in spalla a mò di bilancia, la mietitura con il falcetto, il trasporto della paglia per gli animali o per fare le coperture dei tetti. Il riso è la coltura più diffusa, su terreni pianeggianti e ›

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Guangxi 109


Terrazzamenti a Longsheng, dopo la mietitura del riso


contornati da arginelli, in modo da trattenere l’acqua di pioggia oppure quella derivata da piccoli corsi d’ acqua provenienti dal fiume Li. L’impianto della coltura avviene principalmente mediante trapianto e solo raramente con semina diretta e non vi sono le condizioni per l’applicazione di moderne e costose tecnologie. La trebbiatura viene fatta con macchine rudimentali, dove un motore a scoppio aziona due tamburi rotanti in mezzo ai quali vengono fatti passare i mazzi di riso, per separare la granella dalla paglia, e fatto essiccare sulle aie o sui tetti piatti delle case. Il mais si alterna alle colture da orto (peperoni, cavoli, patate dolci, aglio, arachidi). I semi di arachide,

prodotti sulle radici, sono utilizzati per il consumo alimentare umano e animale. Si ricava soprattutto l’olio di arachide, che trova ampio uso in cucina, grazie ad un punto di fumo alto e secondo solo all’olio di oliva, oppure i semi vengono ridotti in pasta per produrre il burro di arachide. Avvicinandoci a Yangshuo, le coltivazioni erbacee lasciano spazio agli agrumeti e, nelle zone collinari, al tè. La Cina è la culla del tè ed il suo uso risale al III secolo, presso le prime comunità monastiche buddhiste e poi diffuso in tutta la società. I Portoghesi lo importarono nel XVI secolo dal Giappone, attraverso la Compagnia Olandese delle Indie Orientali. In Europa ebbe immediato successo: divenne dapprima popolare in Francia, dopo una opposizione non meno viva di quella che ebbe il caffè, ed in Olanda, poi in Gran Bretagna. Le foglie di tè, una volta raccolte, vengono stipate in grandi gerle e sottoposte a una serie di trattamenti che le trasformano in tè nero, verde oppure oolong. A bordo di una mongolfiera sorvoliamo la vallata del fiume Li , fino a ›

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Ripide colline alte 1000 metri, dette Longji Titian (terrazze sul dorso del drago), le cui propaggini più basse sono state terrazzate dagli Zhuang oltre 700 anni fa per la coltivazione del riso

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Antiche attivitĂ agricole lungo il fiume Li


sfiorare i monoliti carsici che richiamano gli acquerelli cinesi. è un angolo leggendario della Cina, un mosaico di campi dove brulicano le attività, seguendo rituali antichi di secoli, e animano il paesaggio, i villaggi ed il fiume. Il viaggio si conclude nella regione di Longsheng, spettacolare per le risaie a terrazzamenti che si estendono per oltre 60 kmq di vallate. La loro costruzione risale a circa 700 anni fa, ad opera della etnia Zhuang, seguendo le curve di livello. Le abitazioni sono ancora quelle tradizionali in legno, con i balconi ornati con i prodotti della terra messi a essiccare. Tutto sembra profondamente contrastare con l’ultimo Piano Quinquen-

nale presentato dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC) il cui obiettivo è sviluppare la società in modo armonioso. La preoccupazione del PCC è infatti quello di equilibrare il processo di modernizzazione improntato al modello economico di mercato e trainato dalle forme della concorrenza, con l’esigenza di mantenere uno sviluppo equilibrato all’interno del Paese e che garantisca la giustizia sociale. è pertanto percepita la necessità di mettere a punto un sistema di “governance” pubblica, che scongiuri la formazione di centri di interesse capaci di mettere a rischio il mantenimento di un percorso di crescita equilibrato all’interno del Paese. Il tema dell’equilibrio e dello sviluppo “armonioso” continua pertanto ad essere oggetto di grande attenzione da parte dell’ establishment, anche per effetto delle periodiche rilevazioni che evidenziano la sperequazione tra le diverse fasce della popolazione rispetto al reddito, all’acces- ›

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Lungo il fiume Li è la stagione della raccolta del riso e tutti i membri della famiglia partecipano a questo rituale

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Mietitura e trebbiatura del riso


so ai servizi sanitari, all’istruzione ecc... Nonostante gli sforzi compiuti fino ad oggi, la distanza tra i diversi gruppi sociali, a cominciare dalla popolazione urbana e rurale, non ha fatto che aumentare, tenendo viva la preoccupazione che possono sfociare, se dovesse aggravarsi ulteriormente, in disordini sociali. Tra le misure allo studio figurano esenzioni fiscali a vantaggio degli

agricoltori, la costituzione di un sistema di protezione sociale per le classi rurali, il prolungamento dell’obbligo scolastico, la riforma dei meccanismi di re-distribuzione del reddito. La Cina, consapevole della rilevanza del ruolo che il settore svolge nel contesto della sua economia, intende dedicare la massima attenzione allo sviluppo delle condizioni dell’agricoltura, delle aree rurali e dei contadini, perché soltanto in questo modo potrà svilupparsi nel suo complesso e in modo armonioso. Inoltre, lo sviluppo delle aree rurali ha come conseguenza l’espansione della domanda domestica. In confronto alla popolazione residente nelle aree urbane, la capacità di consumo dei contadini è molto debole. Per innalzare il loro reddito e creare domanda ›

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Il riso mietuto con il falcetto viene sgranato con rudimentali trebbiatrici azionate da un motore a petrolio. La paglia servirà come alimento del bestiame o per la copertura dei tetti dei fabbricati agricoli

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Coltivazioni di tè a Yangshuo


effettiva, è necessario che il governo adotti provvedimenti decisivi. Tuttavia esistono difficoltà nella realizzazione di questo progetto, in particolare per quanto riguarda l’aumento di reddito della popolazione rurale. Infatti, in questi ultimi anni, il prezzo dei beni capitali necessari alla produzione agricola è aumentato, mentre quello dei cereali è rimasto stabile e su valori piuttosto bassi. Il governo centrale ha deciso forti stanziamenti per supportare l’agricoltura e le aree rurali. La protezione dei terreni coltivati, la stabilizzazione delle aree a grano e

riso, l’incremento della capacità produttiva totale, il supporto al processo di ristrutturazione agricola e soprattutto lo sviluppo di industrie del settore secondario e terziario, specialmente per la trasformazione dei prodotti agricoli, sono i temi fondamentali individuati al fine di aumentare il rafforzamento dell’ economia rurale e l’aumento di reddito dei contadini. L’agricoltura moderna, cioè trasformare l’agricoltura tradizionale con attrezzature, tecnologie e tecniche moderne, diventerà un aspetto chiave nella costruzione della campagna socialista in Cina. I concetti di alta produttività, alta qualità, alta efficienza, ecologia e sicurezza dovrebbero essere fattori importanti per l’agricoltura moderna. Attualmente la Cina è ancora nella fase di transizione dalla agricoltura tradizionale all’agricoltura moderna ◆ e la strada da fare è lunga.

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Sulle colline di Yangshuo la coltivazione più importante è il tè di cui la Cina è la culla ed il suo uso risale al III secolo

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Vista aerea del gruppo Ortles Cevedale, all’ inizio della Val Martello (BZ)


Ambiente e paesaggio Michele Pisante

Professore Ordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee, Università degli Studi di Teramo

Difendere il territorio per difendere la nostra vita

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Gli interventi e le direttive di carattere politico hanno acquisito, per lo sviluppo del settore primario, un peso mai conosciuto nel passato, ponendo le premesse per una nuova rivoluzione del rapporto agricoltura-ambiente.

L’Agricoltura del nostro Paese è articolata e complessa; si differenzia per sistemi colturali molto eterogenei, con gravi ed irrisolti problemi di sostenibilità e di competitività, nonostante gli sforzi da tempo profusi per incrementare la produttività, affinché i consumatori potessero contare su approvvigionamenti stabili di alimenti a prezzi accessibili. Non solo, ha dovuto anche fronteggiare l’aumento delle preoccupazioni dei consumatori dovendo quindi garantire la sicurezza alimentare, ma anche la qualità e, più recentemente, soddisfare la crescente richiesta di un’alimentazione più sana. Se la disponibilità di prodotti alimentari a prezzi ragionevoli rimane un fattore cruciale, la riforma delle politica agricola comunitaria ha introdotto il collegamento con lo sviluppo sostenibile, spezzando il nesso tra sostegno pubblico e produzione, introducendo la condizionalità per quanto riguarda i metodi di produzione agricola. Questa impostazione ha finito con l’allineare l’orientamento al mercato alle norme ambientali ed anche ad altre norme di produzione, determinanti ›

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l Terre rosse di Siena


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La protezione dell’acqua, dell’aria e della biodiversità hanno rappresentato il fulcro delle iniziative a favore dell’ambiente. La salvaguardia del suolo agrario - la nostra Terra è diventata di recente una priorità.

Valle dell’Adige e vista di Bolzano sullo sfondo per la sostenibilità futura del settore agricolo italiano. Gli interventi e le direttive di carattere politico hanno acquisito, per lo sviluppo del settore primario, un peso mai conosciuto nel passato, ponendo le premesse per una nuova rivoluzione del rapporto agricolturaambiente, diventando di gran lunga più incisivi rispetto a quelli di carattere fisico-naturale. Oggi, infatti, dai primi dipendono non soltanto i mercati, le scelte e le riconversioni colturali, ma anche l’organizzazione funzionale delle unità produttive, il rimodellamento dei paesaggi e lo sviluppo degli spazi rurali. Queste problematiche seppur affrontate da diverso tempo - e nonostante le informazioni sulle cause siano ancora del tutto incomplete - individuano nella revisione dei sistemi di produzione attraverso l’adozione di adeguate pratiche agronomiche, l’approccio integrato per la gestione sostenibile e la salvaguardia del suolo agrario, della nostra Terra. Riguardo alla sostenibilità, certamente l’erosione del suolo, che in molti casi interessa anche il sistema urbano e periurbano, rappresenta un problema diffuso, ma ciò nonostante è veramente difficile convincere gli operatori e gli amministratori locali ad una maggiore attenzione dell’Agricoltura nei riguardi del territorio, attraverso idonee politiche che favoriscano adeguate

azioni di protezione. In tale contesto, mentre la protezione dell’acqua, dell’aria e della biodiversità hanno rappresentato il fulcro delle iniziative a favore dell’ambiente, la salvaguardia del suolo agrario - la nostra Terra - è diventata solo di recente una priorità, seppur la qualità del suolo è vitale per la produttività delle attività agricole. Infatti, il normale tasso di formazione del suolo agrario è considerato nell’ordine di una tonnellata per ettaro ogni anno, di conseguenza sarebbero necessari più di 100 anni per poter costituire un centimetro di nuovo soprassuolo; tutto ciò implica che il suolo deve essere - a maggior ragione - considerato come una risorsa naturale non rinnovabile. Similmente, l’acqua pura, non inquinata, è essenziale per la vita degli organismi e la sua quantità e qualità sono sottoposte ad una pressione crescente da parte dei diversi settori produttivi. La sfida a cui è chiamata l’Agricoltura, quella italiana in particolare, è produrre i beni necessari nel massimo rispetto dell’ambiente. Questo obiettivo può essere perseguito individuando un insieme di strumenti, un sistema integrato che permetta di conservare, migliorare e rendere più efficiente l’uso delle risorse naturali, combinando la gestione del suolo, l’acqua e la sostenibilità delle stesse, come reali nuove opportunità per l’Agricoltura italiana. Ma, ›

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n Vigneti a pergola in Trentino


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Nuova dimensione della multi-produttività dell’Agricoltura italiana, universalmente riconosciuta con i valori addizionali dei servizi ecosistemici erogati.

Valle dell’ Adige e, sulla sinistra, ingresso alla Val di Non considerato il contesto dinamico in cui operiamo, il tempo è una variabile importante e prioritariamente un comparto della nostra Agricoltura che potrebbe beneficiare delle innovazioni che la ricerca scientifica mette a disposizione è quello delle cosiddette commodities (cereali, leguminose, ecc…), cioè beni per i quali c’è domanda ma che sono offerti senza differenze qualitative sul mercato e sono fungibili, cioè il prodotto è lo stesso, indipendentemente da chi lo produce. Queste produzioni, con le dovute differenze per importanti ed insostituibili filiere agroalimentari di qualità, svolgono un ruolo centrale per l’Agricoltura italiana, sia in termini di consumi alimentari, trasformazioni industriali e sia per quanto riguarda il fabbisogno dell’industria mangimistica.

Ma l’Agricoltura e gli Agricoltori - i veri custodi della coesione territoriale - consapevolmente e responsabilmente fanno ancora di più mantenendo e rafforzando la vitalità delle aree rurali, forniscono beni pubblici supplementari. Questa nuova dimensione della multi-produttività dell’Agricoltura italiana, universalmente riconosciuta con i valori addizionali dei servizi ecosistemici erogati, può contribuire, nel medio periodo, all’adattamento al cambiamento climatico e potenzialmente contribuire a ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra con costi minori rispetto ad altri settori produttivi, ad aumentare il sequestro del carbonio atmosferico, consentendo di mitigare il rapido cambiamento climatico in atto a beneficio di tutta la collettività. ◆

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Arte e natura Lamberto Cantoni

Di cielo e di terra.

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Gianluca Corona e Nicola Nannini, due artisti innamorati della loro terra, si sono coalizzati per celebrare con i canoni dell’arte la struggente bellezza della terra nella quale sono nati, vivono e lavorano. Attraverso l’interpretazione artistica dei due pittori i buoni frutti della Padania e i suoi paesaggi divengono allegorie e metafore dei valori interiori che plasmano una forma di vita.

Gianluca Corona e Nicola Nannini, milanese il primo, bolognese l’altro, sono amici e condividono una singolare reverenza per la pianura padana. Ogni volta che possono fanno della loro nicchia ecologica, la materia significante dalla quale distillare i simboli pittorici con i quali celebrano epifanie estetiche provviste di una doppia significanza: i segni della terra alludono all’ancoraggio del loro atto pittorico nel luogo che gli autori evidentemente considerano l’origine dell’immaginario che sostiene il loro essere artisti; a ciò si aggiunge una presa di posizione sul senso attuale attribuibile alle figure del luogo delle origini, di quadro in quadro sviluppate. Non è certo casuale se le nature morte di Corona, aldilà dello stupore prodotto dalla sua maestria nell’ingannare l’occhio, rivelano ad un secondo scanning un fascio di percezioni/emozioni più sottile e complesso dalla primaria giubilazione dello sguardo. E anche i paesaggi di Nannini quasi sempre ai bordi di un abitare ›

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La grande pianura padana 125



Nicola Nannini Pag. 125 Pianura nel cielo e case Olio su tavola cm 93x156 Pag. 126 Terra e cielo Olio su tela cm 93x126 Pag. 127 Fuori bianco pianura Olio su tela cm 93x126

problematico, contengono elementi di riflessione critica che dĂ spessore alla loro bellezza lineare. Dal punto di vista artistico i due pittori presentano numerose convergenze. La loro pratica artistica privilegia la ripresa dal vero; entrambi parteggiano per un realismo pittorico senza cedimenti e padroneggiano le tecniche che ne consentono una mimesi capace di restituirci, del soggetto prescelto, un significato immediato facilmente afferrabile, anche se, presi nel dispositivo pittorico da essi allestito, fatalmente ci troviamo proiettati lungo gli assi della metafora e delle metonimie visive, che conferiscono alle loro opere un senso “altroâ€? dalla semplice verosimiglianza. I paesaggi di Nannini anche se al primo sguardo potremmo classificarli come la poetica documen›

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Nicola Nannini Pag. 128 Pianura e case Olio su tela cm 93x126 Pag. 129 Pianura interno esterno Olio su tela cm 93x126

tazione di uno scorcio della pianura padana, in realtà alludono ad una teoria del luogo delle origini che di colpo, trasporta la pittura dell’autore aldilà di ogni territorialismo provinciale: alludono cioè a qualcosa di universale che trascende le significazioni specifiche del soggetto del quadro, ovvero ci fanno pensare alle campagne, ovunque esse fossero, come luogo dell’infanzia della nostra cultura metropolitana, un luogo che ci è familiare e al tempo stesso perturbante, dal momento che lo sentiamo come presente in noi ma anche perduto. Corona attiva le significazioni universali che abbiamo evocato nell’interpretazione di Nannini partendo da un soggetto pittorico diverso dal paesaggio. Si tratta di soggetti di natura che convenzionalmente definiamo ‘morti’. Tuttavia grazie ad una luce calda, ›

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Gianluca Corona Pag. 130 I was a pig Olio su tavola cm 18x20 Pag. 131 Settembre Olio su tavola cm 50x50

romantica le sue composizioni sembrano tutt’altro dalla descrizione iperrealista di cose della natura ridotte (o elevate) ad oggetto del fare artistico. L’atto pittorico di Corona è senz’altro magistrale, ma lo è anche la scelta di come illuminare il soggetto. Grazie ad un lux e un lumen indovinati, le sue nature appaiono animate da un sorprendete soffio vitale. In alcune tele la luminosità voluta dall’artista crea l’illusione della recita teatrale: mortadella, radicchio e pancetta irrompono sulla scena e in modo sfacciato, denudandosi senza pudore sembrano declamare un recit dal valore universale: la loro oscena nudità non rappresenta forse l’essenza della vita? Perché i frutti della terra non potrebbero raccontarci qualcosa sulla gente che è vissuta insieme al loro addomesticamento e coltivazione? Si dice che gli antichi cacciatori si identificassero con gli animali che uccidevano e per ›

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Gianluca Corona Pag. 132 Emilia Olio su tavola cm 30x30 Pag. 133 Radicchio rosso Olio su tavola cm 25x20

espiazione li raffigurassero sulle pareti delle caverne nelle quali presero forma i primi riti. In tal modo il cadavere dell’animale si trasforma in una sostanza incorporea che l’innalzava al di sopra delle umane vicissitudini. In qualche modo Corona si riconnette a questi miti e fa dei suoi frutti i sembianti dell’umanità che troppo spesso li consuma senza pensarli nella loro essenza. Questo sonnambulismo nei confronti delle cose grazie alle quali viviamo, per l’artista, lo abbiamo suggerito, equivale all’errore di non pensare alla nostra stessa essenza. L’arte a volte mostra questi significati e congetture nella forma di allegorie mitiche. Le nature morte di Corona hanno carattere, personalità, sono quindi facilmente traducibili in un senso secondo (immaginando che il senso primario coincida con lo stupore della mimesi perfetta) che le trasforma in un dispositivo che produce una significanza errante sul significato ultimo delle cose tra le quali viviamo. ◆

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Gianluca Corona Pag. 134 Seguimi Olio su tavola cm 20x30 Pag. 135 Vetta Olio su tavola cm 30x30

Nicola Nannini nasce a Bologna nel 1972. Vive e lavora a Cento (Ferrara). Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Bologna dà ben presto inizio alla propria attività espositiva, dedicandosi quasi interamente alla pittura: ad essa affianca l’insegnamento, come docente di disegno e figura alla Scuola di Artigianato Artistico di Cento e ai corsi liberi dell’Accademia di Belle Arti di Verona. Gianluca Corona nasce nel 1969 a Milano, dove vive e lavora. Dopo aver conseguito la maturità artistica nel 1991 si diploma in Pittura all’Accademia di Brera di Milano. Dal 1994 al ’96 frequenta lo studio dell’artista Mario Donizetti. Successivamente si distingue nel panorama artistico nazionale come esponente della giovane figurazione italiana nei generi della natura morta e del ritratto. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, italiane e straniere. Il progetto Di cielo e di terra è stato di recente esposto al pubblico presso la Galleria Forni di Bologna.

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Caleidoscopio

CON I PIEDI PER TERRA:

la voce della campagna, l’agricoltura italiana che cambia, l’enogastronomia di qualità

900 puntate, per 1500 ore di programmazione televisiva nei due format (quello regionale e quello nazionale),15.000 ospiti intervistati, 3000 aziende agricole visitate, 500 eventi documentati, 20 premi vinti.

CON I PIEDI PER TERRA da 18 anni ogni settimana presenta l’agricoltura italiana, quella vera, raccontata direttamente dai protagonisti, sul campo, senza soste, senza repliche, senza censure, programma di riferimento sia per gli operatori del settore che per i consumatori, a partire dall’Emilia Romagna in cui è nata, per poi allargarsi a tutte le regioni italiane, dal Friuli alla Sardegna. Il grande realismo del programma, lo ha eletto ben presto a riferimento del mondo produttivo agricolo, ma anche importante orientamento per i consumatori. Questo ha avviato una linea editoriale più completa: il tabloid di informazione ”AgriNEWS”, il sito internet diventato ben presto quotidiano on line dell’agroalimentare (www.conipiediperterra.com), con tutte le notizie, da fonti dirette, minuto per minuto, con approfondimenti, video in streaming e possibilità di intervenire da parte degli utenti con commenti ed opinioni. E in questo 2012… Finalmente ANTENNA VERDE, il primo canale televisivo tematico che si occupa di

agricoltura, nutrizione e territorio, sul canale 656 del digitale terrestre dell’Emilia Romagna e in Veneto. Come dire, dopo il seme nasce l’albero: “Benvenuta Antenna Verde – ha detto l’Assessore all’agricoltura dell’Emilia-Romagna Tiberio Rabboni – un canale h24 può aiutare il mondo agricolo ad uscire da una zona d’ombra in cui è stato ingiustamente tenuto in questi anni. L’agricoltura è un grande motore di sviluppo, e questo mondo ha bisogno di comunicare con il mercato, con i consumatori e con le istituzioni, soprattutto in un momento come questo in cui l’Unione Europea sta ridefinendo le sue strategie”. Ogni mattina l’informazione arriva puntuale con il telegiornale “AGRInews” accompagnato da rubriche quali “L’agricoltore della settimana”, “Il tecnico consiglia”, “Climagri”, “Scaffale Verde”, ”Lune e cieli”, ”Sapori d’Italia” ,”La spesa della settimana” e l’approfondimento sull’attualità “Bene a sapersi”. Altri sipari dal biologico all’agriturismo, dal paesaggio agli istituti agrari, sempre in un legame stretto tra produzione e consumatori, in un confronto anche tra ieri e oggi attraverso il ricco archivio storico. Il format videografico, con più bande scriventi, consente più informazioni simultanee, attraverso lo schermo Tv suddiviso in quattro aree: notizie tecniche, news giornalistiche, spazio eventi e filmati.

CON I PIEDI PER TERRA e’ in onda su Telesanterno in prima visione, al sabato ore 12.30 e martedì in prima serata alle ore 21 E in tutte le regioni italiane sul circuito nazionale ODEON TV ogni lunedì ore 20.30 e in contemporanea su satellite Sky al canale 914 L’AGRICOLTURA FULL TIME e’ su ANTENNA VERDE sul 656 dell’Emilia Romagna


Alimentazione oggi Alberto Marcomini Luca Olivan

Fotografie: Simone Manzato

Elogio del formaggio

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In Italia centinaia di piccoli produttori hanno creato nel corso dei secoli una incredibile varietà di formaggi che nessun altro Paese al mondo può contrastare. Tuttavia oggi questo eccellente prodotto alimentare stenta ad avere le attenzioni che merita. Cosa dobbiamo fare per creare per il formaggio il posto che merita nella nostra cucina?

Pochi prodotti come il formaggio possono mettere in luce la stupefacente gradation di sapori che caratterizza le oltre 400 varietà create dalle mani sapienti dei tantissimi artigiani italiani. Praticamente ogni fetta del territorio del nostro Paese ha visto nascere da tempo immemorabile tipologie di formaggio diversificate per gusto, complessità produttiva e valore di mercato. Pochi altri cibi possono, come il formaggio, evocare tradizioni alimentari che hanno una storia secolare. Non crediamo di esagerare se sottolineiamo che nessun cibo più del formaggio può riflettere le spirito produttivo del nostro Paese: buono, ben fatto, di grande tradizione. Eppure, se ci pensate bene, il formaggio riesce a trovare posto nella nostra dieta ordinaria solo di tanto in tanto. Nel menu di tantissimi ristoranti è letteralmente scomparso. Insomma abbiamo un alimento con il quale conquistare il mondo e siamo i primi a mostrare nei suoi confronti una indecifrabile noncuranza. A dire il vero sappiamo fare anche peggio. Qualche mese fa è esploso lo scandalo di una società a partecipazione statale che fa produrre all’estero formaggi, salumi, pomodori, olio extra vergine d’oliva e pasta per poi venderli in tutto il mondo spacciandoli come se fossero 100% Made in Italy. Insomma con i soldi dei contribuenti si fa concorrenza sleale alle aziende italiane che producendo formaggio nel rispetto della qualità e sottoposte all’alta tassazione imposta dai Governi, si trovano a dover competere con prodotti di bassa qualità rivestiti col tricolore. ›

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Le aziende che producono formaggi di qualità si caratterizzano per la loro piccola dimensione. Ma oltre le indubbie virtù, il carattere small ha causato ritardi nel marketing e nella comunicazione.

Un deficit di comunicazione Il mondo dei formaggi italiani è caratterizzato dalla piccola dimensione di gran parte delle unità produttive. In molti casi ci troviamo di fronte a ciò che potremmo definire un livello artigianale delle produzioni. Le virtù che discendono a cascata dalla piccola dimensione di gran parte delle aziende non sono da sottovalutare: maestria, tradizione, eccellenza produttiva e amore per questo prodotto sono facilmente percepibili a livello gustativo. Tuttavia bisogna aggiungere che probabilmente il mondo del formaggio così configurato non ha saputo comunicare efficacemente con una società che velocemente ha cambiato le regole del gioco. Un prodotto eccellente non è sufficiente per conquistare i mercati. Anche la qualità deve piegarsi alle regole della società dello spettacolo, che richiedono affinché arrivi il successo economico, una attenzione a livelli di immaterialità sempre più sofisticati. Come si comunica l’eccezionalità dei nostri prodotti? Come valorizzare l’etica produttiva delle nostre eccellenze? A nostro avviso la prima comunicazione capace di far uscire il formaggio dal suo attuale isolamento deve essere orientata a stabilire le naturali alleanze

che producono automaticamente la sua valorizzazione gastronomica. Niente più del formaggio può farci gustare un grande vino. Il nostro Paese è pieno di piccolo produttori di confetture che si sposano benissimo con centinaia di varietà di formaggio. Ancora il formaggio va a nozze con dolci e pane fatti come Dio comanda. Come dice spesso il nostro amico Teo Musso, persino la birra si inchina quando incontra il formaggio giusto. Quindi per ridare al formaggio il posto che merita dobbiamo imparare a comunicarlo secondo i modi che ne valorizzano la cultura e l’etica produttiva, in un contesto allargato nel quale trovano posto altri alimenti. In altre parole, il formaggio deve ritornare ad essere un ospite fisso nel menu ufficiale dei ristoranti e delle famiglie. Eventi per la cultura del formaggio: l’esempio di Formaggio in Villa Due parole ancora sul come comunicare il prodotto che ci sta a cuore. Siamo sempre più incapsulati in una società che vive e premia gli eventi. In altre parole la comunicazione efficace si attiva là dove cominciano a riscaldarsi le emozioni, l’entu› siasmo, la partecipazione. Tuttavia l’evento che

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trasforma la partecipazione di una azienda in una esperienza condivisa con il suo pubblico ha delle regole di cui bisogna tenere conto. Per esempio un eccesso di grandiosità può soffocarne l’efficacia, ovvero può trasformarlo in uno sterile (per il business) spettacolo. Da queste considerazioni generali è nata l’idea di Formaggio in Villa: un evento che in alternativa alle fiere burocratizzate si propone di accogliere le aziende produttrici di formaggi ed altro, in un contesto dal volto umano. La nostra idea è che bisogna offrire al pubblico delle aziende un mix di sapere, sampling e infotainment (informazioni + spettacolo) per attivarne un interesse partecipativo. In questo modo si trasforma una fiera da catalogo di merci esibite in esperienza di cultura materiale sperimentata. Di tutti i comparti merceologici che conosciamo, il formaggio è senz’altro il mondo produttivo che più ha da guadagnare nel cercare strade nuove per diffondere il propri vangeli gastronomici. Come abbiamo detto all’inizio, malgrado il nostro Paese sia una specie di Paradiso della produzione di specie, generi e varietà di formaggi, la nostra cucina negli ultimi decenni non ha valorizzato la stupefacente base produttiva che abbiamo ereditato. L’evento che abbiamo ideato e realizzato a Villa Braida, aldilà del momento di incontro tra produttori e pubblico, ha rappresentato un incitamento

a chi ama il formaggio ad assumersi la responsabilità di difendere questo patrimonio e di far conoscere agli opinion leader le eccellenze dei nostri migliori produttori. E per quanto ci riguarda non esiste migliore comunicazione e difesa dalla noncuranza, della sperimentazione diretta del prodotto in un contesto che ne valorizzi l’autenticità e il valore umanistico. Possiamo dunque considerare l’austero ma efficace bancone da assaggio, il simbolo della comunicazione diretta tra produttore e i partecipanti alla manifestazione e l’emblema della democrazia del gusto che abbiamo inteso promuovere. La grande partecipazione del pubblico che abbiamo riscontrato e il successo delle degustazioni incrociate, formaggio vino, formaggio birra… ci suggeriscono che questa è la strada giusta per ridare al formaggio il posto che gli spetta per tradizione e cultura. ◆

Formaggi in Villa 2012 Le immagini dell’articolo ci riportano alla seconda edizione di Formaggio in Villa, organizzata dagli autori dell’articolo a Villa Braida (TV) nel mese di marzo: tre intese giornate dedicate all’incontro tra i migliori formaggi italiano con vini d’eccellenza, birre artigianali, confetture, olio extravergine, aceto balsamico e grandi chef. L’evento dei formaggi italiani è stato richiesto da altre località. Nel mese di maggio l’evento è previsto a San Pietroburgo, porta d’accesso del grande mercato russo.

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Anteprima Giugno

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Giancarlo Roversi Itinerari gustosi Sicilia, l’isola dei sapori intensi Luigi Caricato Alimentazione oggi Viaggio nell’Italia degli olii

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A. Del Prete, A. Federico, C. Loguercio Alimentazione e salute Il nostro fegato ingrassa: mettiamolo a dieta

Lamberto Cantoni Costume e stili di vita La natura è di tendenza

Marco Spagnoli Stili di vita Il vigneto e il regista Alessandro Bertaccini Nutrizione e salute Le proprietĂ del licopene Renzo Angelini Ambiente rurale e paesaggio Sudafrica

Tommaso Maggiore Agricoltura oggi Il mais nei suoi diversi usi

Carlo Corino Alimentazione oggi Il maiale: un animale di contraddizione


c BOLLICINE SENZA FRONTIERE

caleidoscopio

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Raggiungere il successo internazionale significa perdere l’identità territoriale? Falso! A dimostrarlo è Conegliano Valdobbiadene, protagonista di Vino in Villa, Festival Internazionale del Prosecco Superiore. La manifestazione, (che si terrà dal 19 al 21 maggio al Castello di San Salvatore di Susegana), farà sposare le bollicine più amate d’Italia con culture e sapori diversi: dalla cucina giapponese a quella russa. Sapori che il pubblico potrà abbinare ad oltre 300 etichette del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore. Ospite speciale sarà la cucina danese, grazie allo chef Klaus Styrbæk del ristorante Kvægtorvet di Odense (Fiona). Le cucine del mondo saranno coordinate dal giornalista gastronomade Vittorio Castellani (Chef Kumalè), massimo esperto di world food in Italia. Info: www.prosecco.it ◆

È NATO PER QUESTO IL PROGETTO ORTOFRUTTA D’ITALIA Per la prima volta le imprese ortofrutticole italiane si uniscono per rivolgersi ai consumatori e raccontare i valori dell’ ortofrutta. È nato per questo il Progetto Ortofrutta d’Italia, coordinato dal Centro Servizi Ortofrutticoli e finanziato da 16 aziende leader del settore che hanno deciso di unire le forze per comunicare cosa c’è dietro una semplice insalata o una pera Made in Italy, prodotti che rappresentano un grande valore per la nostra economia, per il territorio e anche per la nostra salute. Produciamo “molto”, e lo facciamo anche “bene”: il nostro Paese si colloca al primo posto in Europa per i prodotti a qualità certificata come le DOP e le IGP e il biologico. “C’è stato in questi anni un drammatico calo dei consumi in Italia - dichiara Paolo Bruni - Presidente di CSO -. Proporrei agli italiani, di ritornare ad apprezzare il valore straordinario dei nostri prodotti, raddoppiando gli acquisti quotidiani per famiglia e garantendosi così, più benessere e salute”. ◆

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NEBBIOLO PRIMA OPEN

Degustare in compagnia dei produttori l’anteprima dei tre grandi vini piemontesi: Barolo, Barbaresco e Roero. è questa l’opportunità offerta da Nebbiolo Prima Open agli amanti del vino. La manifestazione si terrà sabato 19 maggio, dalle 14 alle 19, presso le Antiche Cantine della Luigi Calissano ad Alba. Un ampio banco d’assaggio permetterà di scoprire le migliori produzioni di questo splendido angolo del Piemonte. Alle 21, andrà in scena lo spettacolo gratuito “Lo Spirito del Vino” curato dalla banda musicale “G. Gabetti” di La Morra dal testo di Vincenzo Zappalà e la regia di Stefania Borgogno. A Nebbiolo Prima Open si presenteranno al pubblico tutti i produttori per regalare un viaggio all’insegna dell’enologia di uno dei territori più belli d’Italia. L’evento “Open” è un’anticipazione dedicata al pubblico di Nebbiolo Prima, manifestazione internazionale riservata a buyers e giornalisti. info: www.gheusis.com ◆

PARMIGIANO-REGGIANO: +18% LE QUOTAZIONI 2011

Sono stati necessari otto anni segnati da una pesante crisi e da una lenta ripresa, ma nel 2011 il Parmigiano-Reggiano è riuscito a superare le quotazioni medie toccate nel 2003, l’annata migliore del decennio 2000-2010. I prezzi all’origine si sono infatti attestati, lo scorso anno, sulla media di 10,76 euro/kg (nel 2003 si collocarono a 9,25 euro/ kg), con un incremento di poco al di sotto del 18% rispetto al 2010: “in questo modo – sottolinea il Presidente del Consorzio del Parmigiano-Reggiano, Giuseppe Alai – i produttori sono tornati a quella redditività e quella possibilità di investimento che è mancata per molti anni”. ◆


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Lavoriamo per creare soluzioni concrete a supporto di un’agricoltura sostenibile. Rispondiamo a questa sfida con l’innovazione: di prodotto, di processo, di servizio. E con un nuovo modo di pensare e di agire. Siamo orgogliosi di offrire all’agricoltore soluzioni globali, oltre la protezione in campo, per promuovere il successo dell’agricoltura di oggi e di domani.

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