Karpòs Magazine - Alimentazione e stili di vita - n. 5 - Ottobre 2012

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Anno I - N° 5 Ottobre 2012 - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, Comma 1, DCB Bologna

Karpos

Karpòs alimentazione e stili di vita

w w w. k a r p o s m a g a z i n e . n e t

AGRICOLTURA OGGI

CARNE LATTE OLIO MELE

STILI DI VITA

BARBOUR STYLE

PAESAGGIO

CAMBOGIA

Alimentazione prevenzione salute



EDITORIALE

Alimentazione prevenzione salute

Renzo Angelini Direttore editoriale

L

a crisi economica e l’allontanamento dell’opinione pubblica dal mondo finanziario, non più concepito come la via maestra alla felicità, sta riproponendo in modo urgente domande sulle vere radici del benessere individuale e collettivo. In questo nuovo modo di pensare valori e ragioni di una vita che meriti di essere vissuta, il settore agroalimentare sta riconquistando la centralità che sembrava avere perduto per sempre in una società dominata dall’entertainment diffuso e da un materialismo rozzo. Per esempio oggi, sempre di più sento le persone intorno a me, sostenere che il vero pilastro della felicità e del benessere non sia tanto il denaro bensì la salute. Ma a questo punto la domanda diventa: in cosa consistono i fondamenti della salute? Certo l’evoluzione della chimica medica ci aiuta moltissimo ad aggrapparci nei momenti di difficoltà al farmaco capace di ripristinare l’equilibrio nel nostro corpo. Ma è forse l’addictum, seppur ben orchestrato dal sapere medico, a circoscrivere l’essenza della salute? Poste di fronte a queste domande le persone di buon senso rispondono che l’essenza del benessere

risiede piuttosto nello stile di vita. A tal riguardo un buon numero tra le persone ragionevoli si trova d’accordo nel focalizzare l’attenzione sulla qualità dell’alimentazione quotidiana. Non è certo un caso se l’idea che gli scienziati del cibo stanno diffondendo propone un parallelismo tra sana alimentazione, salute e benessere. Imparare ad alimentarsi in modo corretto e piacevole funziona come prevenzione fondamentale nei confronti di gran parte dei malesseri che ci rovinano la vita. Eccoci dunque di fronte all’equazione fondamentale della felicità: alimentazione, prevenzione e salute, dalla quale discende la risposta più potente che possiamo immaginare di dare al disagio individuale e collettivo che si sta diffondendo tra la gente. CORRELAZIONI SISTEMICHE Ora, identificati i concetti giusti per pensare all’autentico benessere, qual è il problema irrisolto al quale Karpòs intende fornire una risposta? La mia sensazione è che i passaggi che ci portano dalla salute all’alimentazione, non siano affatto scontati. Ovvero siamo bravi nel riconoscere, separandoli i vari livelli concettuali che ho brevemente descritto sopra, ma non riusciamo quasi mai a sincronizzarli.

01 EDITORIALE RENZO ANGELINI


EDITORIALE

A mio avviso l’efficacia di una risposta al problema del benessere risiede nell’azione combinata dei tre fattori (alimentazione, prevenzione e salute). La nostra strategia dovrebbe essere rivolta all’insieme sistemico che rappresentano e non a considerarli dei comparti separati. Io sostengo che sono i feedback che sincronizzano i fattori del benessere di cui vi ho parlato sopra a fornirci il livello di efficacia sul quale dobbiamo lavorare. Aggiungo che essendo un cultore del sapere tecnico e scientifico cercherò di spiegarmi con un modello riportato sotto.

ci orientiamo verso una idea ridistribuiva del concetto di benessere. In altre parole, non è importante la mia felicità contro quella di ciascuno di voi o viceversa, bensì l’idea che possa essere incrementabile il benessere di tutti. UNA NUOVA ALLEANZA Spero comprenderete che quando sottolineo la necessità di mettere in correlazione le tre dimensioni del benessere elencate, sto in realtà presentandovi la missione di Karpòs, ripetuta ogni mese grazie agli articoli dedicati alla produzione materiale del cibo, e la promessa implicita che ogni numero della rivista farà al lettore: noi lavoriamo per dare una risposta al bisogno di integrazione tra alimentazione, prevenzione e salute. E chi ci legge è parte attiva in questi gioco: diffondendo questa nuova alleanza tra comunicazione e fattori del benessere, contribuirà in modo sostanziale a quel cambiamento che tutti sogniamo che in realtà non è così fuori dalla nostra portata come alcune voci apocalittiche del nostro tempo vorrebbero.

A me sembra chiaro che, se costruiamo una struttura di relazioni che metta in comunicazione reciproca i tre fattori, allora è lecito attendersi, come conseguenza della loro integrazione sistemica, un nuovo modo di concepire l’ambiente dando alla parola sostenibilità un fondamento di realismo; al tempo stesso grazie alla catena di feedback che si ripetono, diamo un senso pragmatico all’evoluzione del sapere tecnicoscientifico; e infine, sempre come conseguenza indiretta dell’integrazione tra i fattori, a livello etico

02 EDITORIALE RENZO ANGELINI



Karpòs Magazine

n. 5 • OTTOBRE 2012

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Editoriale ALIMENTAZIONE, PREVENZIONE, SALUTE Renzo Angelini

16 AGRICOLTURA OGGI LA TENEREZZA DELLA CARNE BOVINA Gianluca Baldi, Vittorio Dell’Orto

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06 STILI DI VITA BARBOUR Lamberto Cantoni

36 AGRICOLTURA OGGI IL FUTURO DELLE MELE Silviero Sansavini

AGRICOLTURA OGGI DA DOVE DERIVA IL LATTE Giovanni Savoini

63 CALEIDOSCOPIO CON I PIEDI PER TERRA

78 AGRICOLTURA OGGI PICCOLI FRUTTI, RISORSA DEL PIEMONTE Michele Baudino

64 GEOGRAFIE DELL’OLIO VIAGGIO NELL’ITALIA OLIANDOLA Luigi Caricato

92 AGRICOLTURA OGGI ALIMENTI NUTRACEUTICI E ALIMENTI FUNZIONALI Massimo Cocchi, Giovanni Lercker


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AGRICOLTURA OGGI PESCHE MADE IN SICILY Paolo Inglese

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ARTE E NATURA ONCE UPON A TIME... Simona Gavioli

CALEIDOSCOPIO LO CHAMPAGNE JACQUART ROYAL GALA MARLENE

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Ambiente rurale e paesaggio CAMBOGIA Renzo Angelini

Per le fotografie: Andy Willsher: 6-7 Chadwick McQueen and Terry McQueen Testamentary Trust-François Gragnon: 14 Barbour - WP Lavori in corso: 8-10-11-12-13-15 Consorzio Tutela Vitellone Bianco Appennino Centrale: 16-17-23-25-27-28-29-34 Silviero Sansavini: 39-41-49 Michele Baudino: 80-83-86-87-88 Paolo Inglese: 102-103 Chiara Coccorese: da 130 a 139 Roberta Filippi: 140-141-142 Tutte le altre fotografie: © Renzo Angelini In copertina: opera di Chiara Coccorese

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CALEIDOSCOPIO EUROCHEM ASSOLATTE

FOTOSINTESI AGRITURISMO. QUALITÁ E MARKETING PER AFFERMARSI Roberta Filippi

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STILI DI VITA

BARBOUR Dal country style all’inglese, a simbolo durevole della moda-mondo. Lamberto Cantoni

Alex Turner PH. Andy Willsher.


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STILI DI VITA LAMBERTO CANTONI



e per le passeggiate nella meravigliosa campagna inglese delle élite sociali britanniche, mirabilmente ed elegantemente implicite nelle significazioni funzionali e pratiche che discendono dall’interpretazione lineare di questo capo d’abbigliamento, hanno avuto un ruolo centrale per lo strabiliante successo di un giaccone a prima vista molto lontano dagli standard dell’eleganza. Possiamo collocare, è solo una congettura ovviamente, un evidente interesse del bel mondo per il Barbour a partire dal secondo dopoguerra. Grazie all’adesione appassionata della gente che conta il giaccone si trasformerà in un potente simbolo dello stile di vita inglese e la notorietà della marca si allargherà in modo esponenziale predisponendo il prodotto a divenire un capo d’abbigliamento mitico.

IL ROMANZO DEGLI INIZI Sembra che John Barbour abbia progettato il suo giaccone impermeabilizzato grazie al cotone oleato (oilskin) verso la fine dell’Ottocento. Probabilmente esisteva già più di un modello al quale ispirarsi le cui origini rimangono oscure. Di certo possiamo registrare solo la nascita del negozio di South Shields nel 1894, che riportava il suo nome: J. Barbour & Co., Tailors and Drapers. A partire da quei giorni, probabilmente facendo seguito ai numerosi apprezzamenti per alcune sue invenzione o rivisitazioni vestimentarie, l’ingenioso scozzese cominciò la produzione in larga scala di cappotti e giacche impermeabili venduti con l’etichetta Bacon, che incontrarono immediatamente il gusto tra la gente del porto. Ma è molto probabile che il giaccone riscuotesse un interesse assai più vasto del pubblico di marinai. Non era poi così difficile accorgersi che i giacconi oleati potevano essere funzionali praticamente per tutte le attività all’aperto. Al punto che nel 1908 Malcom Barbour, il figlio di John, fece le mosse giuste per allargare il mercato. Preparò un catalogo e si lanciò con successo nella vendita per corrispondenza. Nel 1912 la ditta/negozio venne trasformata in una società iscritta con il nome di J. Barbour & Sons Limited. Seguirono anni di costante crescita e di poche ma efficaci innovazioni. Intorno al 1930 venne introdotto un nuovo tipo di cotone ingrassato, il Thornprof, meno rigido dell’oilskin, forse per rendere perfettamente funzionale il giaccone per i motociclisti. Ma non sappiamo se il nuovo materiale sia stata la conseguenza del desiderio di Duncan, figlio di Malcom, di diffondere il giaccone tra questo nuovo mercato di nicchia, oppure se un tessuto più indossabile rispondesse ad un problema di carattere generale dal momento che il Barbour si era fatto strada anche tra gli appassionati di caccia, pesca e delle passeggiate in campagna. La famiglia, ancora oggi proprietaria della marca, non ha mai fatto molto per farci conoscere nei dettagli le origini e l’evoluzione di uno dei capi d’abbigliamento più amati nel mondo. Questa scelta, probabilmente motivata all’inizio da una reticenza nei confronti delle curiosità invadenti di una opinione pubblica orchestrata dai mass media, vagamente aristocratica e britsh, nel tempo ha contribuito non poco alla leggenda del giaccone oleato, trasformandolo in un mito d’oggi (espressione che traggo dal titolo di un famoso libro di Roland Barthes, anche se non ne seguo il percorso logico; infatti mentre il celebre semiologo e scrittore francese sosteneva il fatto che fosse proprio il linguaggio parlato e scritto a creare il mito, in questa sede avanzo l’ipotesi che sia l’assenza di parole piene a crearne la necessità). Intendiamoci, John Barbour non aveva affatto origini aristocratiche. Ma è certo che la passione per la caccia

DEL BARBOUR COME FENOMENO SOCIALE Provate ad immaginare lo stile di vita di un inglese di rango all’inizio del secolo XX. I week end in campagna, la caccia, la pesca, la barca fanno parte delle abitudini che identificano il bel mondo, come le feste o i salotti aristocratici a Parigi plasmano la buona società raccontata nei libri di Marcel Proust. Se queste pratiche sociali en plein air, hanno veramente una importanza cruciale per il cristallizzarsi di una cultura collettiva capace di dare senso e stabilire un posizionamento utile a rafforzare una identità, è lecito attendersi di trovare in esse le costanti della distinzione che contraddistinguono i giochi sociali. Per farla breve, l’inglese di buona famiglia o chi ha raggiunto la solidità economica per potersi rappresentare agli occhi degli altri secondo un registro di prestigio, anche quando andrà a caccia o a pesca, preferibilmente vorrà portarsi addosso il messaggio più semplice di tutti: io sono, prima di tutto, quello che dicono gli abiti che indosso, ovvero appartengo a questa classe di significazioni piuttosto che ad altre. Come scriveva James Laver: “Gli abiti sono inevitabili. Altro non sono che la struttura della mente resa visibile” (Style in Costume, Oxford University Press, 1949); una affermazione senz’altro esagerata ma molto frequentata da chi riflette sui significati dell’abbigliamento. Per esempio Balzac in Una Figlia di Eva (Passigli, 1999) cerca di convincerci che per una donna il vestito è “una continua manifestazione di pensieri intimi, un linguaggio, un simbolo”. Il sopraccitato Roland Barthes, con esiti discutibili, dedicò una poderosa ricerca scientifica per dimostrare che l’abbigliamento è un linguaggio, un vero e proprio sistema di segni. Quindi per tornare al nostro english man obbligato per status a distinguersi anche mentre a caccia disintegra un beccaccino, il come si presenta allo sguardo dell’altro riveste un ruolo di insospettabile pregnanza.

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Le sue scelte vestimentarie configureranno look attratti dal principio di distinzione. Nel corso di una sorta di competizione silenziosa emergeranno capi d’abbigliamento più efficaci di altri; alcuni di questi capi diverranno veri e propri simboli (di distinzione e di appartenenza ad una élite); i simboli di status saranno sottoposti per imitazione ed emulazione ad una diffusione proiettata ben oltre il gruppo di partenza. A questo punto le domande cruciali per comprendere le ragioni del successo di John Barbour potrebbero essere: come mai l’élite britannica, nei suoi giochi di esibizione en plein air ha decretato il successo del giaccone oleato? C’è qualcosa nel giaccone che lo ha predisposto a divenire un vero e proprio simbolo di un lifestyle distintivo? Di passaggio, ricordo al lettore, che oggi Barbour è uno dei pochi produttori inglesi ai quali sono stati attribuiti i tre riconoscimenti reali più prestigiosi. La regina Elisabetta, il Duca di Edimburgo e il Principe di Galles hanno celebrato, in tempi e modalità diverse, la valenza della marca per il prestigio dello stile britannico. Non c’è membro della più celebre casa reale del mondo che non abbia fatto, nelle occasioni previste dal rigido codice vestimentario reale, una pubblica apparizione con addosso il mitico giaccone. E’ intuitivo concludere che le immagini dei reali abbiano fatto il giro del mondo, conferendo alla marca una notorietà superiore a qualsiasi campagna pubblicitaria. Il Barbour classico è stato prodotto fondamentalmente nelle tre diverse qualità del tessuto thornproof superleggero, leggero, pesante. Il modello Beaufort verde possiamo considerarlo il più diffuso, dopo la mitizzazione della marca. Intere generazioni di

studenti, sia maschi che femmine, a partire dalle scuole superiori, lo hanno acquistato trasformandolo in un capo d’abbigliamento trasversale: indossato con jeans e maglione ha rappresentato una figura dell’eleganza decontratta ma sufficientemente marcata da essere spendibile in tutti i giochi sociali. Si tratta di un modello molto amato anche dalle signore della buona società cha spesso lo indossano per andare a fare shopping. Il maschio adulto forse preferiva optare per il modello Moorland, rigorosamente verde oliva, più pesante e meno diffuso del Beaufort, di conseguenza più distintivo. Tra i modelli classici è doveroso citare il Bendale, creato in origine per chi cavalca, quindi più corto dei primi, unico modello prodotto in piccole taglie, diffusosi subito nell’abbigliamento per bambini che devono distinguersi. Termino il breve elenco citando il Border lungo, con grandi tasche esterne e interne, particolarmente adatto a sostituire il trench; e il Northumbria, il più pesante di tutti, provvisto di una fodera di lana più calda diversa dal tipico scozzese di norma utilizzato per gli altri Barbour. Tutti i modelli che ho brevemente descritto sono caratterizzati da somiglianze di famiglia, ovvero hanno un foggia tipicamente sportiva e comodosa che li accomuna. Sono eccezionalmente robusti e pratici. Alludono quindi ad un lifestyle naturale con una punta di snobismo. Le numerose tasche interne ed esterne permettono di contenere tutto ciò di cui si ha bisogno in campagna o in città. L’attenzione funzionale ai dettagli è molto rigorosa: gli automatici sono di ottone antiruggine e continuano a chiudere bene anche dopo anni di usura, la chiusura lampo a grandi denti ottonati si apre e si chiude con estrema facilità anche grazie alla linguetta che può essere afferrata senza problemi pur

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indossando pesanti guanti. I Barbour che ho definito “classici” vengono replicati da decine di anni pressoché identici, in deroga alle regole non scritte della moda. Ma quali sono i tratti pertinenti che ci permettono di rispondere alle domande soprariportate? Aldilà della forma del giaccone, spartana e funzionale, segnalo l’importanza dell’oleatura. In origine venne pensata per proteggere il giaccone dalla pioggia e dall’umidità, ma divenne presto ben altro. Il thornproof conferisce alla superficie del tessuto una impostazione di pieghe assolutamente diversa da quella di tutti gli altri giacconi inglesi, come, per fare solo un esempio di eguale prestigio, il Cordings of Piccadilly in costoso tweed. Spero comprenderete quanto sia difficile descrivere a parole le infinite mutazioni che con l’uso si scolpiscono sul tessuto. É come se il corpo del proprietario del Barbour plasmando dall’interno il tessuto, il quale grazie all’oleatura ne conserva i rilievi, potesse non solo stabilire una relazione percettiva differente, ma partecipasse all’identificazione tra il me sensoriale e questo capo d’abbigliamento. Aggiungo che il thornproof produce un altro effetto da tenere

presente: con l’uso e pochi lavaggi la tonalità iniziale (penso al celebre verde oliva) si ingentilisce e rinforza la percezione del me sensoriale che stabilisce un legame profondo e privato con il giaccone (più lo uso più diventa bello). Ecco allora il Barbour divenire al tempo stesso l’effigie della mia identità estesica e un possibile simbolo etico. Se sono nel giusto allora si capisce bene quanto il Barbour si predisponga ad annunciare un messaggio complesso: chi lo indossa è uno sportivo, differente e leggermente snob (ancorando la distinzione negli abissi delle emozioni private). Se dovessi definire con una sola parola l’effetto vestimentario che ho cercato di trasmettervi, direi che il tratto pertinente del Barbour è la sua particolare sprezzatura, come l’intendeva Baldesar Castiglione nel suo famoso testo Il libro del cortegiano (1528), un vero e proprio best seller nel tempo in cui l’aristocrazia cominciava a avere una misura non solo guerriera bensì relazionale. Possiamo cogliere nell’eleganza distratta dalla sprezzatura quella punta ironica attribuibili a una




particolare sfumatura del concetto di british. In altre parole, il Barbour esprimerebbe in modo ammirevole un’idea di eleganza che dissimula con ironica naturalezza ogni ostentazione, pur consentendo l’esibizione anticonformista (quando, per esempio, indosso il giaccone per andare ad una cerimonia). Questa curiosa e persistente antinomia secondo Erwin Panofsky (Allemandi, 1990), critico e studioso d’arte tedesco, autore di un significativo libello intitolato Breve e irriverente storia del gusto inglese, esprimerebbe da sempre la caratteristica di fondo del temperamento britannico. BARBOUR NEL MONDO Non è difficile intuire, se la lettura del giaccone come forma significante che vi ho proposto corrisponde in qualche modo ai fatti vestimentari, che cosa distingua il Barbour dagli altri capi tradizionali inglesi e perché le élite del Paese decretarono velocemente il suo successo. Conquistata l’adesione dei personaggi più influenti la sua diffusione in Europa e nel mondo non si è fatta attendere. Acquistando il giaccone oleato in qualche modo ci si attribuiva un’aura fatta di prestigio al di fuori di ogni affettazione; un po’ come essere modesti, senza fronzoli ma al tempo stesso sicuri della propria presenza. Acquistando il Barbour si indossava una lamella di cultura british e tacitamente, senza ostentarlo, si partecipava ad un immaginario club esclusivo di persone distinte. Infine il carattere durevole del prodotto (più è vecchio, più ha valore, più appartengo all’élite) lo predisponeva ad essere il simbolo perfetto dell’altra moda, quella, per intenderci che non vive di fugaci novità ma sa guardare con reverenza (ma anche con ironia) alle tradizioni. Il Italia il giaccone cerato arrivò nel 1983 grazie a WP Lavori in Corso. Fu subito un grande successo tra tutte le classi di età. Detta come vuol detta, possiamo definire il Barbour come uno dei prodotti di tendenza più persistente della nostra recente storia vestimentaria. Il successo globale e i costi per competere su

tutti i mercati evoluti tuttavia ha retroagito sulla configurazione strategica della marca, costringendola ad allargare a dismisura la gamma dei prodotti. Anche il tasso di creatività fatalmente ha dovuto fare i conti con un concetto di collezione allargata potenzialmente esplosivo. Ma grazie a scelte indovinate la famiglia Barbour è riuscita a mantenere intatto il suo mito. Decisivo a mio avviso l’arrivo nel 2004 dell’art director Lord James Percy, il fratello minore del Duca di Northumberland. Le sue misurate innovazioni, l’armonia tra tradizione e il grado giusto di variazione che sapientemente ha introdotto, cito di passaggio la sua acclamatissima e premiatissima Lighweigh Cheviot Jacket, hanno consentito a Barbour di regatare con succeso nel mare quant’altri mai agitato della moda postmoderna. Recentemente la marca inglese ha cominciato la collaborazione con Paul Smith, altro magistrale interprete dello stile british, il quale nella sua prima collezione da pochissimo in vendita, ha elaborato il tradizionale concetto di distintiva sobrietà del Barbour conferendogli leggere derive anticonvenzionali. Molto più radicale risulta invece il lavoro stilistico del giapponese Tokihito per il brand Bacon (fu la prima etichetta usata da John Barbour nel lontano 1894), palesemente orientato a posizionare un giaccone della famiglia Barbour nel luogo della moda che le giornaliste di settore definiscono “di tendenza”. Aderendo maggiormente al corpo e per via di un design più radicale, le soluzioni formali di Tokihito si predispongono ad intercettare sofisticati giovani modaioli, soprattutto quelli dei mercati asiatici, per i quali l’astrazione del mito Barbour (rappresentato dalla marca) vale di più dei segni che rimandano alla tradizione. Di altra natura invece è il progetto dedicato ai giacconi usati da Steve McQueen: una serie limitata di prodotti che rimandano con precisione ai look informali che una delle più celebri icone degli anni sessanta fissò nell’immaginario di milioni di fan. Dunque un mito che celebra un altro mito, nella speranza che dalla loro fusione si liberi la particella portatrice di energie nuove per l’espansione della marca.

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AGRICOLTURA OGGI GIANLUCA BALDI, VITTORIO DELL’ORTO

AGRICOLTURA OGGI

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LA TENEREZZA DELLA CARNE BOVINA La filiera “carne bovina” in Italia e le scelte del consumatore Dell’Orto Vittorio, Baldi Gianluca


quali il Centro ed il Sud Italia. Sia le condizioni di ricovero che di gestione degli animali, in qualsiasi tipologia di allevamento, sono regolamentati da specifiche normative europee allo scopo di garantire la tutela del benessere. Inoltre è presente ed attivo il controllo da parte dell’autorità sanitaria ufficiale (ASL), la quale vigila che si operi nel rispetto nelle condizioni di benessere animale e che non creino le condizioni per la diffusione di malattie pericolose per uomo e animali. É necessario ricordare come il benessere e la salute degli animali siano strettamente correlati alle loro performance produttive, di conseguenza è interesse di tutti, tecnici ed allevatori in primis, garantire ad essi le migliori condizioni di allevamento possibili. Numericamente meno importante invece risulta la produzione di bovini da carne a partire da animali nati in Italia, sia da allevamenti di vacche di razze da carne autoctone, dette nutrici, (Piemontese, Marchigiana, Chianina, Romagnola, Podolica e Maremmana) o estere (Limousin e Charolais), che di vacche allevate per la produzione di latte, principalmente di razza Frisona, ed in misura minore di razza Bruna Alpina (i cui soggetti maschi però hanno scarso valore per l’ingrasso) e Pezzata Rossa. La carne bovina, oltre che dall’ingrasso di vitelloni, origina anche dall’allevamento di vitelli a carne bianca e dalla macellazione di bovine a fine carriera. Per quanto concerne il vitello a carne bianca, si tratta di un animale alimentato con latte ricostituito ed alimenti solidi secondo le indicazioni imposte dalla normativa europea, di età inferiore agli otto mesi, motivo per cui la sua carne risulta particolarmente chiara e tenera. I vitelli a carne bianca, poco meno

IL COMPARTO CARNE BOVINA NAZIONALE La carne bovina consumata in Italia è per il 60% circa di origine nazionale, ovvero prodotta a partire da animali allevati per tutto il ciclo vitale o per parte di esso sul territorio nazionale, mentre il restante 40% è rappresentato da carni importate, principalmente da: Francia (19,7%), Paesi Bassi (16,3%), Germania (15,5%), Polonia (12,6%) e Irlanda (7,7%) fonte CRPA, 2011. In Italia vengono prodotti circa 2.350.000 bovini da carne, principalmente in allevamenti specializzati nell’ingrasso di giovani animali di età compresa tra i sette e i dodici mesi, provenienti da paesi esteri. I principali fornitori di tali animali, detti bovini da ristallo, sono Francia (85,5%), Irlanda (4,8%), Austria (1,3%) e Polonia (0,7%) fonte CRPA, 2011. Circa il 75% degli allevamenti da ingrasso sono localizzati in Veneto, Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna, dove viene praticato, nella stragrande maggioranza dei casi, un allevamento di tipo intensivo, caratterizzato cioè dall’utilizzo di diete appositamente formulate per massimizzare l’incremento di peso e dal ricovero degli animali in condizioni stabulative controllate, senza la possibilità di pascolamento. La dieta base è costituita da fonti foraggere quali paglia e/o insilato di mais, da cereali: mais soprattutto, orzo e frumento in misura minore, e da alimenti proteici principalmente a base di soia, colza o girasole. Il sistema di allevamento estensivo, che prevede il pascolamento o comunque la disponibilità di ampi spazi per gli animali e regimi nutrizionali a minor contenuto energetico, rappresenta una realtà minoritaria a livello nazionale, tipica soprattutto delle zone a minore vocazione per la produzione di carne

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LA SINTESI DEL COLLAGENE • La sintesi di collagene aumenta progressivamente con il procedere dell’età dalla nascita ai 12 mesi (maturità sessuale) per effetto del testosterone, salvo poi decrescere; • con il procedere dell’età diminuisce la solubilità del collagene, per cui sarà minore la quota che gelatinizzerà con la cottura conferendo durezza; • più l’animale è adulto e minore sarà la sua tenerezza.

La trasformazione del muscolo in carne • La morte per dissanguamento determina la trasformazione del glicogeno muscolare in acido lattico ed il progressivo declino del pH che, unito alla riduzione della temperatura, causa un aumento della concentrazione di calcio; • l’aumentata concentrazione di calcio ed il processo di morte cellulare attivano gli enzimi calpaina (µ ed m), catepsina (B ed L) e caspasi che degradano le proteine muscolari conferendo tenerezza.


di un milione l’anno, vengono prodotti soprattutto a partire da maschi di razze da latte ed il principale bacino di produzione è rappresentato anche in questo caso dalla Pianura Padana. Anche in questo comparto il tasso di auto approvvigionamento (% di produzione interna sul totale del consumo) rispecchia il valore medio delle carni bovine (fonte CRPA 2011). Le bovine a fine carriera sono per lo più rappresentate da animali da latte a fine ciclo produttivo (età media di circa 5 anni), mentre un ruolo marginale rivestono le vacche nutrici riformate, sia per una loro minore consistenza numerica sul territorio nazionale, che per una carriera produttiva più lunga (circa 10 anni). La carne ottenuta da tali animali (circa 500.000 capi all’anno), di minore pregio per colore e tenerezza, viene destinata soprattutto all’industria di trasformazione per la produzione di prodotti di carne bovina (hamburger) o elaborati a base di essa (carne in scatola, farciture, ragù e trasformazioni gastronomiche). Terminata la fase di allevamento, gli animali vengono ceduti all’industria di macellazione, costituita in Italia da circa 2.700 operatori (Anagrafe Zootecnica Nazionale, 2009) un ridotto numero di grandi aziende (16%) che tratta circa il 70% della carne nazionale e da un elevato numero di medie e piccole realtà (84%) che tratta circa il 30% (Coldiretti, 2006; CCIA Cuneo, 2010). L’industria di macellazione provvede alla macellazione ed alla commercializzazione delle carni direttamente alla distribuzione o ad intermediari che svolgeranno tale operazione, oppure ancora all’industria di trasformazione. La distribuzione è caratterizzata da due tipologie di esercizio dell’attività: da una parte la distribuzione

moderna, costituita da discount supermercati ed ipermercati che detiene circa il 65% della quota di mercato per quanto concerne le carni bovine, e dall’altra la distribuzione tradizionale (macellerie, negozi di alimentari ed ambulanti) che detiene il restante 35%. Le macellerie tradizionali, siano esse di piccola o grande dimensione, sono caratterizzate dalla presenza di banchi serviti dove le carni vengono tagliate al momento oppure sono esposte comunque non confezionate. Presso tali punti vendita giunge sovente le mezzene o i singoli quarti in osso oppure, più raramente l’animale vivo, anche se si stanno però via via riducendo i punti vendita con annesso macello, anche se non è raro che il proprietario acquisti direttamente l’animale vivo e lo faccia macellare presso un macellatore autorizzato, mentre è possibile che si acquistino anche singoli tagli anatomici disossati, come generalmente accade se in presenza di grande richiesta di quel determinato taglio anatomico oppure se una determinata tipologia di carni ha un consumo ridotto, motivo per cui si acquistano solo alcuni tagli e non il quarto intero. In tali realtà quindi, nella maggior parte dei casi, la frollatura avviene in osso, dopodiché le carcasse vengono smontate e si procede all’esposizione per il taglio fresco o la vendita. Presso i punti vendita della distribuzione organizzata invece molto spesso le carni giungono tagli anatomici confezionati in sottovuoto, sia di origine nazionale, generalmente prodotti tramite il disosso delle carcasse presso i centri di lavorazione propri o in conto terzi, che di origine estera. Il disosso delle carcasse ed il confezionamento dei singoli tagli anatomici, rispetto alla frollatura in osso,

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consente un risparmio degli spazi necessari per lo stoccaggio e la movimentazione, nonché consente di distribuire i singoli tagli anatomici, uno ad uno etichettati, presso i diversi punti vendita limitando al minimo il verificarsi di eccedenze e carenze. Il disosso in centri specificatamente attrezzati garantisce inoltre un risparmio in termini di tempo e la minore necessità di manodopera specializzata, consentendo quindi di impiegare presso i punti vendita anche operatori non in grado di operare tale pratica. Come già accennato inoltre, la grande distribuzione si approvvigiona diffusamente di tagli anatomici singoli confezionati in sottovuoto di origine nazionale o estera, al fine di far fronte ad elevate richieste di quel determinato taglio, come accade in specifici periodi dell’anno o in caso decidano di promuoverlo tramite le cosiddette “offerte”. Presso i banchi della distribuzione organizzata molto spesso le carni vengono vendute porzionate e confezionate in vari modi, dal cosiddetto preincarto (unicamente poste in vaschetta e filmate) all’atmosfera modificata (ATP o MAP), in grado di estendere a più giorni la durata commerciale garantendo il mantenimento delle caratteristiche igieniche ottimali attraverso l’utilizzo di particolari film di confezionamento e la modifica della composizione dell’aria all’interno della confezione.

riduzione del consumo di carni bovine, presumibilmente per una campagna di informazione errata sia in situazione di emergenze sanitarie (“BSEmucca pazza”), che volta a screditare le caratteristiche nutrizionali delle carni rosse. Contemporaneamente a ciò, si è assistito ad un incremento del consumo di carne di provenienza estera rispetto a quella di origine nazionale, probabilmente per ragioni economiche, per una mancata valorizzazione dal punto di vista della gestione post-macellazione e per una mancata campagna informativa volta a comunicare la spesso superiore qualità del prodotto nazionale rispetto a quello di provenienza estera. Negli anni sono stati condotti numerosi studi allo scopo di definire quali caratteristiche qualitative delle carni giochino un ruolo fondamentale nell’orientare la scelta del consumatore: già Dransfield nel 1998 evidenziava come aspetto e colore siano indiscutibilmente le principali discriminanti per un primo acquisto del prodotto, mentre il “riacquisto” è principalmente influenzato dalla tenerezza. Un recente studio condotto negli USA, ha dimostrato come aroma e tenerezza siano le principali motivazioni di scelta, indipendentemente da: provenienza geografica, sesso, età, reddito, occupazione ed istruzione del consumatore e della destinazione gastronomica del taglio di carne scelto (arrosto o bistecca). La tenerezza è un fattore così rilevante per il consumatore tanto da indurlo ad esser disposto a pagare di più qualora ne avesse garanzia. A riguardo uno studio norvegese ha dimostrato come il consumatore, qualora sulla confezione di carne venga certificata la classe di tenerezza (molto tenera, tenera,

FATTORI CONDIZIONANTI L’ACQUISTO Il consumo pro-capite di carne bovina in Italia si attesta attorno ai 23 kg, tra i più alti in Europa dopo Lussemburgo, Danimarca e Francia; il 15% dei quali costituiti da carne di vitello, di cui siamo i secondi consumatori europei dopo la Francia. Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva

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poco tenera), sia disposto a pagare il 50% in più per acquistare carni “molto tenere” ed il 25% in più per acquistare carni “tenere” rispetto a carni certificate come “poco tenere”. Inoltre è stato dimostrato come sia disposto a spendere l’8% in più per acquistare carni a tenerezza certificata, rispetto ad un prodotto di pari tenerezza (determinata sia strumentalmente che a seguito dell’assaggio da parte dello stesso) ma senza certificazione. Emerge quindi evidente come la tenerezza sia uno dei più importanti fattori di scelta all’acquisto e come la conoscenza di quali fattori, dall’origine alla tavola, siano in grado di condizionarla sia fondamentale da parte del consumatore al fine di compiere un acquisto soddisfacente. Se così fosse saremo portati a riacquistare il medesimo taglio presso il medesimo punto vendita, mentre qualora ciò non sia accaduto saremo portati a cambiare taglio anatomico e/o punto vendita.

invece da assenza di solubilità. La presenza di tessuto connettivo è uno tra i principali fattori limitanti la tenerezza delle carni, per i motivi che verranno illustrati. Con il procedere dell’età si ha inoltre un aumento delle dimensioni delle fibre muscolari, il che rende la tessitura delle carni (in gergo “grana”) meno fine, con conseguente riduzione della tenerezza. SESSO Anche il sesso dell’animale svolge un ruolo determinante in materia di tenerezza, infatti gli animali di sesso femminile (scottone) o i maschi castrati (manzi o buoi in funzione dell’età), a pari età del loro omologo maschile, presentano una minore quantità di collagene e, generalmente, una maggiore quantità di grasso intramuscolare. Le ragioni di tali differenze sono da ricondursi alla differente precocità di deposizione del tessuto lipidico e da motivi di natura ormonale. Le carni di tali soggetti inoltre tendono a presentarsi più chiare in quanto tendenzialmente meno suscettibili allo stress pre-macellazione.

LA TENEREZZA PARTE DA LONTANO La tenerezza delle carni bovine è influenzata da numerosi fattori lungo tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto, dall’allevamento alla tavola. I principali fattori in grado di influenzare la tenerezza delle carni nella fase di allevamento sono rappresentati da: età, sesso, razza e stato di ingrassamento.

RAZZA Se si vuole realmente approfondire il tema della qualità della carne, la definizione “carne bovina” è un termine troppo restrittivo, in quanto, come per tutte le specie animali vi sono enormi differenze tra le razze. Le stesse grandi differenze che sussistono tra un Pastore Tedesco ed un Chiwawa, sussistono anche tra bovini di razze specializzate per la produzione di carne e bovini di razze specializzate per la produzione di latte. La differenza, evidente a livello morfologico anche ad un occhio poco esperto, deriva sia da caratteristiche genetiche proprie della razza che da un processo di selezione genetica basato sul miglioramento dei caratteri maggiormente redditizi per la produzione di carne, ovvero: incremento ponderale medio giornaliero, resa alla macellazione, muscolosità e qualità della carne. Le razze specializzate nella

ETÀ Per la carne di vitello, più giovane sarà l’animale al momento della macellazione e maggiore sarà la tenerezza della carne, in quanto minore sarà il contenuto muscolare di tessuto connettivo, il quale appunto incrementa con l’età. Il tessuto connettivo, componente di tendini, legamenti e matrice entro cui sono collocate le fibre muscolari, è costituito da tre diverse tipologie di proteine avvolte: il collagene, solubile in acqua (caratteristica molto importante come poi vedremo), l’elastina e la reticolina, caratterizzate

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RAZZE BOVINE E PAESI IN CUI SONO PRINCIPALMENTE ALLEVATE E DA CUI GENERALMENTE PROVENGONO LE CARNI DI TALI RAZZE RAZZA

ATTITUDINE

PROVENIENZA

Bruna Alpina

Latte

Italia

Frisona

Latte

Italia

Simmenthal, Pezzata Rossa, Pezzata nera polacca

Latte-Carne

Italia-Austria-Germania Polonia

Aubrac, Saler, Charolais, Limousine, Gascon e loro incroci

Carne

Francia (originaria) Irlanda (importata)

Angus, Hereford e Shorthorn e incroci con razze da carne

Carne

Irlanda e Gran Bretagna

Romagnola, Chianina, Marchigiana, Podolica, Maremmana

Carne

Italia

Blonde d’Aquitaine Blanc Blue Belga Piemontese

Carne tipicamente a ipertrofia muscolare

Francia BeNeLux, Francia, Irlanda Italia

produzione di carne presentano quindi una maggiore tenerezza rispetto a soggetti non selezionati per tale fine, in seguito al minore contenuto in collagene ed alle ridotte dimensioni delle fibre muscolari. Esistono anche razze a duplice attitudine, ovvero con caratteristiche intermedie tra le due tipologie sopra descritte. Oltre al contenuto di collagene e alla dimensione delle fibre muscolari, la razza influenza anche la presenza di marezzatura e la concentrazione di grasso. In funzione della rapidità con cui avviene la sintesi di tessuto adiposo, distinguiamo: razze precoci, tipicamente quelle da latte ed i soggetti castrati e di sesso femminile, e razze tardive, tipicamente quelle da carne. Significa che, alimentando gli stessi soggetti nello stesso modo, il soggetto di razza precoce avrà una maggiore copertura adiposa ed un maggior grasso di infiltrazione rispetto al soggetto tardivo. Questo comporta una parziale riduzione della differenza di tenerezza geneticamente presente tra le due razze. Una menzione speciale è da riservarsi alle razze con presenza di soggetti caratterizzati da ipertrofia muscolare, la cosiddetta “doppia coscia” o carattere “culard”, dovuta ad una mutazione del gene codificante per la miostatina, proteina inibente la sintesi di tessuto muscolare ed espressa in forma non attiva in tali soggetti. Associata a tale carattere vi è una minore attività della calpastatina, inibitore delle calpaine, enzimi deputati alla trasformazione del muscolo in carne come vedremo successivamente, di conseguenza quindi le loro carni presentano una

tenerezza superiore a quella di soggetti senza tale peculiarità genetica. A fronte di ciò emerge chiaramente come la conoscenza della razza sia fondamentale al fine di riconoscere meglio le caratteristiche delle carni che ci si appresta ad acquistare, anche se le indicazioni obbligatorie riportate in etichettatura in merito all’origine però, sono: numero identificativo dell’animale o del lotto di animali, paese di nascita, paese di allevamento, paese e numero di approvazione dell’impianto di macellazione e di sezionamento, non forniscono un sufficiente grado di informazione per una più completa conoscenza circa la qualità delle carni. Da ormai più di dieci anni però, la medesima normativa (Regolamento CE 1760/00) consente al produttore di fornire, sempre in etichetta, ulteriori informazioni in merito alla provenienza ed altre caratteristiche connesse alle carni. Tale etichettatura, generalmente, viene utilizzata sia da parte della GDO (grande distribuzione organizzata) che da parte delle macellerie tradizionali, al fine di valorizzare e promuovere carni provenienti da animali caratterizzati da elevati standard qualitativi, ma molto raramente tale specifiche facoltative vengono comunicate su prodotti di media qualità o di primo prezzo. Se si desiderano carni magre ed al contempo tenere infatti è consigliabile indirizzare le proprie scelte verso l’acquisto di carni provenienti da soggetti di razze da carne, qualora invece si prediliga una carne caratterizzata da un elevato grado di marezzatura allora è consigliabile l’acquisto di carni di femmina

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La fiorentina “…non è altro che una braciola col suo osso, grossa un dito o un dito e mezzo, tagliata dalla lombata di vitella”. Pellegrino Artusi (Forlimpopoli 1820-1911)

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(scottona), di soggetti castrati o di animali di razze da latte. Per poter fare ciò è però necessario, come detto conoscere la razza, o più propriamente tipo genetico, dell’animale da cui provengono le carni che ci si appresta ad acquistare.

realtà tale sistema di allevamento espone comunque a rischi sanitari (ad es. parassitosi) e non garantisce la possibilità di un continuo e costante controllo degli animali, nonché l’ottimale copertura dei fabbisogni necessari per un rapido accrescimento ed un adeguato stato di ingrassamento. Bisogna infine ricordare come vi sia anche una variabilità individuale in termini di tenerezza, infatti animali di medesimo sesso, razza ed età, allevati nelle medesime condizioni e con analoga gestione dopo la macellazione possono presentare un differente grado di tenerezza determinato dalle caratteristiche proprie del singolo individuo. In allevamento quindi si pongono le basi per produrre carni con elevata tenerezza, ma le fasi successive ad esso rivestono un ruolo fondamentale, in quanto un errore può portare alla compromissione anche in animali caratterizzati dai migliori requisiti.

STATO DI INGRASSAMENTO Come detto lo stato di ingrassamento, specialmente relativamente alla presenza di grasso intramuscolare, la cosiddetta marezzatura, che gli statunitensi, notoriamente grandi divoratori di carni bovine, chiamano marbling e attribuiscono uno specifico punteggio per definire la categoria qualitativa delle carni. Maggiore sarà la marezzatura infatti e maggiore sarà la sensazione di tenerezza e succosità al palato in quanto esso stimola la salivazione e garantisce, sciogliendosi alle temperature tipiche di cottura, una più agevole penetrazione dei denti all’interno delle carni, essendo frapposto tra le fibre muscolari. Un’elevata marezzatura inoltre determina anche la percezione di aromi più intensi in quanto una grande parte delle sostanze aromatiche delle carni è contenuta all’interno della frazione lipidica. Per ottenere tali caratteristiche, ovvero soggetti macellati in giovane età e con adeguato ingrassamento di copertura ed intramuscolare, è necessario somministrare agli animali diete specificatamente formulate e calibrate, tali da garantire l’apporto di tutti i nutrienti necessari per ottenere rapidi accrescimenti. Il raggiungimento di questi obiettivi è sicuramente più plausibile in realtà di allevamento intensivo, nonostante l’immaginario collettivo consideri come di qualità superiori le carni provenienti da animali allevati al pascolo, sinonimo di salubrità e qualità. In

DA MUSCOLO A CARNE: LA FROLLATURA Per produrre carni tenere sarà necessario garantire loro un adeguato periodo di maturazione al termine della macellazione, la cosiddetta “frollatura”, durante la quale si ha la trasformazione del muscolo in carne. Questa avviene ad opera di enzimi fisiologicamente presenti nell’animale, i quali degraderanno parzialmente le proteine muscolari, garantendo una maggiore tenerezza e lo sviluppo di aromi caratteristici. Un adeguato periodo di frollatura è compreso tra i sette ed i quindici giorni. Infatti, se si consumassero carni di animali macellati da pochi giorni, queste risulterebbero estremamente dure e senza gli aromi tipici che contraddistinguono e consentono di apprezzare la carne bovina. Una carne non adeguatamente frollata e

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sulla superficie di taglio di un gradiente di colore (da rosso scuro a rosso chiaro).

povera di grasso di infiltrazione inoltre, sarà più ricca di acqua, il che determina lo sgradevole effetto di elevato restringimento delle carni soprattutto quando cotte ad elevate temperature per un breve periodo (cottura alla brace, arrosto o in padella). Oltre che per un lasso di tempo idoneo, la frollatura deve avvenire in adeguate condizioni di temperatura, pena una parziale compromissione del processo di trasformazione del muscolo in carne tale da determinare uno scadimento della tenerezza, che si può verificare qualora le carcasse vengano refrigerate troppo rapidamente o troppo lentamente. È possibile riconoscere carni sottoposte ad un raffreddamento eccessivamente lento dalla presenza,

FONDAMENTALE LA PROFESSIONALITÀ: IL GIUSTO SENSO DI TAGLIO E I CORRETTI CONSIGLI Al fine di garantire la tenerezza percepita sarà inoltre necessaria la professionalità dell’operatore in fase di sezionamento, in quanto una carne con elevata tenerezza, se tagliata nel modo sbagliato, può risultare dura all’assaggio. All’atto del sezionamento in fettine infatti, si dovrà tagliare trasversalmente alla fibra muscolare, in maniera tale che, con la masticazione, si

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la cottura ed il corretto senso di taglio da mantenersi. Un bravo operatore dovrà quindi preparare le carni nel modo più minuzioso possibile e consigliare il consumatore nella maniera più corretta, dal canto suo un consumatore scrupoloso dovrà sostenere un duplice compito: individuare il bravo e competente operatore di cui sopra e seguire le indicazioni che costui saprà certamente fornirgli sia di persona, come avviene presso le macellerie tradizionali ed i banchi serviti, sia tramite etichettatura come avviene se si acquista presso punti vendita con banchi a libero servizio (carni confezionate).

penetri facilmente all’interno del muscolo. L’operatore inoltre dovrà prestare particolare cura nel rimuove quelle porzioni di tessuto connettivo prossime ai muscoli, in quanto, come vedremo, non idonee per determinate tipologie di cotture. Se l’individuazione del giusto senso di taglio è sicuramente più semplice per operatori esperti e su tagli anatomici crudi, con la cottura invece, si assiste spesso ad un cambiamento di forma tale da indurre il consumatore in errore. Onde evitare ciò è necessario, all’atto dell’acquisto o qualora vi siano dei dubbi, chiedere informazioni al vostro macellaio di fiducia circa le caratteristiche che assumerà il prodotto dopo

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ed adiposo più bassa, seguono le carni di seconda categoria e quelle di terza categoria. Si ricorda comunque che la categoria dei vari tagli ne influenza il costo, ma non significa assolutamente che le carni meno pregiate abbiano peggiori caratteristiche organolettiche: tagli di carne di prima categoria (massa muscolare della coscia e della regione lombare); tagli di carne di seconda categoria (spalla, e parte di coscia e regione costale); tagli di carne di terza categoria (petto, estremità degli arti della carcassa, collo e muscoli addominali). Tale classificazione è puramente basata sull’esperienza ma non è prevista per legge. In Italia infatti la denominazione, ed in alcuni casi la categoria di prezzo per i vari tagli anatomici, differiscono spesso

IL GIUSTO TAGLIO ANATOMICO PER OGNI PIATTO: ATTENZIONE ALLA COTTURA La professionalità dell’operatore risulta altresì indispensabile nel consigliare al consumatore il giusto taglio anatomico in funzione sia dei suoi gusti che del piatto da cucinare. Lo stesso taglio anatomico infatti, cucinato in egual maniera, sarà gradito ad un consumatore e non ad un altro e, viceversa, sempre il medesimo taglio anatomico, se cucinato nella maniera più adatta risulterà particolarmente tenero, se invece utilizzato per una preparazione cui non è adeguato risulterà con caratteristiche opposte. I tagli della carne bovina sono classificabili in tre categorie in ragione della percentuale di tessuto connettivo ed adiposo: le carni di prima categoria sono quelle con la percentuale di tessuto connettivo

PRINCIPALI TAGLI DI CARNE BOVINA E LORO TIPOLOGIA DI COTTURA CATEGORIA (prezzo)

POSIZIONE ANATOMICA

COTTURA CONSIGLIATA

Collo

Terza

18

Lunga

Reale o sottospalla

Seconda

17

Media o lunga

Fesone di spalla

Seconda

12

Breve per la parte a scarsa concentrazione di tessuto connettivo, lunga cottura per la porzione terminale

Aletta bassa o copertina di sotto

Seconda

13

Media o lunga

Copertina o cappello del prete

Seconda

13

Media o lunga

Fusello o girello di spalla

Seconda

15

Media o lunga

Muscolo di spalla o brione

Seconda

14

Lunga

Geretto anteriore

Terza

8

Lunga

Biancostato e punta con osso

Terza

19-20 e 16

Lunga

Punta senz’osso e pancia

Terza

16 e 6

Lunga

Roast-beef o lombata

Prima

9-11

Breve

Filetto

Prima

10

Breve

Magatello o girello di coscia

Prima

5

Breve o media

Codone

Prima

2

Breve o media

Scamone

Prima

4

Breve

Noce

Prima

1

Breve o media

Fesa interna o fesa francese

Prima

3

Breve

Fesa esterna o sottofesa

Seconda

2

Breve

Pesce

Seconda

7

Lunga o media

Spinaccino

Seconda

4

Media

Geretto posteriore

Terza

8

Lunga

Coda

Terza

8

Lunga

Guanciale

Terza

8

Lunga

Lingua

Terza

8

Lunga

TAGLIO

Quarto anteriore

Quarto posteriore


I TAGLI DELLA CARNE BOVINA 10 Scafano ideale per spezzatini e carne macinata

1 Geretto posteriore ideale per ossibuchi e bolliti 2 Rosa ideale per bistecche

11 Spinacino ideale per rotoli farciti, polpettoni, stufati e arrosto

3 Noce ideale per scaloppine e arrosti

12 Bianco costato di pancia ideale per spezzatini e lessi

4 Codone ideale per arrosti e brasati

13 Controfiletto o roastbeef ideale per bistecche, arrosti e per essere servito crudo

5 Magatello o Girello ideale per scaloppine e vitello tonnato

14 Costate ottimo per bistecche

6 Pesce o piccione ideale per bolliti e stracotti

13 9

5 2

18 Fesone di spalla ideale per scaloppine, bistecche e brasati

4

1

23 Punta di petto ideale per tasche ripiene e arrosti

27 Geretto anteriore ideale per ossibuchi, stracotti e bolliti

21 25

8

22 15

3

12

10

26

18

20 19

11 6

16

14

22 Collo ideale per spezzatini e carne macinata

26 Bianco costato ideale per bolliti e brodo

17 Pancia ideale per bolliti e stracotti

9 Scamone ideale per arrosti e bistecche

21 Reale ideale per brasati e bolliti

25 Bianco costato di relae ideale per bolliti e brodo

16 Coste della croce ideale per bolliti e brasati

8 Filetto ideale per medaglioni e per essere servito crudo

20 Cappello del prete ideale per bolliti e brasati

24 Fiocco ideale per arrosti e tasche ripiene

15 Fusello ideale per brasati e bolliti

7 Fetta di mezzo ideale per brasati e arrosti

7

19 Brione ideale per brasati e bistecche

17

24

23

27


ALCUNI TAGLI DELLA PRIMA CATEGORIA I tagli bovini sono suddivisi in gruppi di prima, seconda e terza categoria. La classificazione si basa sullo spessore delle masse muscolari e sulle quantitĂ di grasso e di altro tessuto connettivale presente. I tagli di prima categoria sono i piĂš teneri e pregiati e derivano tutti dal quarto posteriore.

Fesa

Magatello o girello

Sottofesa

Noce

Scamone

Filetto


MODIFICAZIONI DELLE PROTEINE MUSCOLARI DURANTE I PROCESSI DI COTTURA

IL RAFFREDDAMENTO DELLE CARCASSE • La refrigerazione delle carcasse al termine della macellazione è una fase tanto fondamentale quanto delicata, infatti possono verificarsi due errori gestionali in grado di compromettere la tenerezza delle carni: • raffreddamento eccessivamente rapido: contrattura da freddo, rappresentata da una contrazione permanente del muscolo; • raffreddamento eccessivamente lento: concomitanza di elevate temperature e bassi valori di pH; • riduzione della tenerezza per parziale inattivazione delle calpaine; • consistenza flaccida; • maggiore perdita di liquido; • alterazione del colore con un gradiente da chiaro a scuro; • possibile alterazione dell’odore.

• La quota più consistente delle modificazioni a carico delle proteine muscolari avviene con il superamento dei 62°C di temperatura, soglia al di là della quale si ha denaturazione ed una perdita di solubilità; • fino a 30°C: perdita di essudato; • dai 30 ai 62°C: estrazione delle proteine muscolari in grado di legare l’acqua riducendo la perdita di liquidi; • dai 62°C in poi: totale denaturazione delle proteine e aumento della perdita di liquido; • raffreddamento a fine cottura: solidificazione delle componenti estratte (proteine e prodotti di denaturazione); • è consigliabile, prima di affettare un piatto a media-lunga cottura (arrosti, brasati, bolliti, stufati e stracotti), lasciarlo raffreddare, salvo poi ultimare la cottura in un momento successivo. Così facendo si evita che il taglio si scomponga, garantendo un pregevole aspetto estetico della portata.

da regione a regione, oppure ancora da città a città. Una volta acquistato il taglio anatomico più appropriato, sezionato nel modo corretto, proveniente da un animale giovane, con giusto grado di marezzatura e sottoposto ad un processo di frollatura adeguato per tempistiche e modalità, la palla passa nelle mani del consumatore finale, il quale avrà l’onere di non compromettere la tenerezza con un taglio, una cottura ed una conservazione inadeguati, a seguito dei quali dovrà recitare un mea culpa qualora la carne non risulti adeguatamente tenera. Ogni taglio anatomico, è infatti caratterizzato da una diversa concentrazione e distribuzione di tessuto connettivo in ragione della propria funzione durante la vita dell’animale, e di conseguenza risulterà indicato per una specifica preparazione. I muscoli destinati a compiere maggior lavoro e a sopportare un maggiore carico (i muscoli della porzione anteriore e del collo) sono caratterizzati da una maggiore concentrazione di tessuto connettivo, ragion per cui saranno da destinarsi alla preparazione di piatti a cottura lunga, a basse temperature ed in ambiente umido (bolliti, brasati, stufati e stracotti). Così facendo quota parte del collagene gelatinizzerà risultando tenero al palato. Viceversa i tagli della coscia, salvo quelli prossimi allo stinco e del dorso, risulteranno caratterizzati da un minor contenuto in tessuto connettivo, di conseguenza idonei ad una cottura più rapida ed a temperature più elevate. Se si invertissero le modalità di cottura i tagli del quarto anteriore (collo, spalla, pancia) risulterebbero particolarmente duri in quanto non si da modo al collagene di gelatinizzare, mentre i tagli del quarto posteriore (coscia e dorso) risulterebbero eccessivamente asciutti per la scarsa presenza di collagene appunto. Fondamentali anche i tempi di cottura, infatti una cottura eccessivamente

prolungata determina un’ingente perdita di liquidi con conseguente riduzione della succosità e, quindi, della sensazione di tenerezza. All’atto dell’acquisto quindi, è consigliabile richiedere il taglio anatomico adatto alla preparazione che si vuole cucinare e, soprattutto, cucinare il taglio anatomico acquistato nella maniera in cui ci si era prefissi, altrimenti potrebbe risultare non idoneo, pur essendo dotato di una tenerezza eccelsa. TECNICHE CASALINGHE PER MIGLIORARE LA TENEREZZA ED IMPORTANZA DELLA CORRETTA CONSERVAZIONE Vi sono anche delle tecniche per migliorare la tenerezza delle carni; a livello di ristorazione professionale vengono comunemente utilizzati inteneritori meccanici, macchinari con aghi in grado di frammentare maggiormente le fibre muscolari, e sostanze a base di enzimi proteolitici vegetali, i quali mimano l’azione della frollatura degradando la struttura muscolare. A livello domestico è possibile agire con comuni batticarne per disgregare la struttura muscolare di carni affettate, facendo attenzione però a non eccedere, causando rotture. Quando viene utilizzato un batticarne sarà necessario rivedere al ribasso i tempi di cottura, in quanto la riduzione dello spessore aumenterà la superficie esposta e la penetrazione del calore, facendo raggiungere al cuore del prodotto temperature elevate in poco tempo e aumentando la perdita di liquido. Un’altra tecnica applicabile, soprattutto per la preparazione di carne alla griglia, è la marinatura con olio, aromi e sale per quattro-otto ore, il sale infatti estrae una parte delle proteine del tessuto connettivo, conferendo maggiore tenerezza. Un ruolo di primaria importanza è giocato anche dalla

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lavoro a monte della filiera, con una scelta sbagliata del taglio anatomico, una cottura inadeguata od una conservazione non ottimale. In definitiva si consiglia di prestare attenzione alla scelta del punto vendita, chiedendo lumi sulla tipologia di animali venduti e sulla gestione della frollatura, domandare ad operatori competenti utili consigli ed esporre le proprie preferenze ed esigenze in maniera tale che, conoscendo le caratteristiche di ogni singolo taglio anatomico possa individuare quello più adatto e, soprattutto, rispettare le indicazioni fornite. Lavorare in maniera ottimale, in tutti gli ambiti, è costoso e necessita della collaborazione ed il dialogo tra tutti, dal primo all’ultimo anello della catena, dall’allevatore al consumatore, ma alla fine rimane l’unica via percorribile per garantire un prodotto di qualità.

conservazione, i congelatori domestici, soprattutto se molto pieni o di piccole dimensioni, non sono in grado di garantire un rapido abbattimento della temperatura (soprattutto nella fase di passaggio da 0 a -6°C). Ciò determina la formazione di grossi cristalli di acqua in grado di provocare la rottura delle membrane cellulari, con conseguente ingente perdita di essudato dopo lo scongelamento che darà luogo ad una minore succosità del prodotto una volta cotto. A tale riguardo è utile ricordare come la modalità di scongelamento più indicata sia attraverso l’apposizione in frigorifero, sia per contenere il rischio microbiologico, sia per ridurre la perdita di liquidi. SE LA CARNE È DURA, A CHI LA COLPA? In conclusione quindi, abbiamo visto come la tenerezza risulti influenzata da numerosi fattori lungo tutto il ciclo di produzione dai campi alla tavola. Al fine di acquistare carni tenere quindi sarà necessario selezionare punti vendita che commercializzino carni di animali giovani,con le caratteristiche a noi preferite, con adeguata marezzatura e, soprattutto, che presentino personale competente in grado di garantire e gestire nel migliore dei modi le fasi di frollatura e sezionamento. Non sempre però la colpa della mancanza di tenerezza è da attribuirsi ai produttori di carne ai vari livelli, in quanto, come evidenziato, un consumatore disattento può rovinare un eccellente

34 AGRICOLTURA OGGI GIANLUCA BALDI, VITTORIO DELL’ORTO

Vittorio Dell’Orto Dipartimento di Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione animale e la Sicurezza Alimentare Università degli Studi di Milano




AGRICOLTURA OGGI SILVIERO SANSAVINI

AGRICOLTURA OGGI

37

IL FUTURO DELLE MELE

Di origine asiatica (Kazakistan), antichissimo, il melo è l’albero con più geni sequenziati. La mela è un frutto appagante, dietetico, salutistico: regola la digestione, riduce il colesterolo e la glicemia, previene malattie vascolari e alcuni tumori. Raramente può dare allergie. Silviero Sansavini


COMPOSIZIONE ANALITICA E VALORE ENERGETICO MEDIO DELLA MELA RIFERITA A 100 G DI POLPA (SENZA BUCCIA)

Parte edibile (%)

79

Potassio (mg)

125

Acqua (g)

82,5

Ferro (mg)

0,3

Proteine (g)

0,3

Calcio (mg)

7

Grassi (g)

0,1

Fosforo (mg)

12

Clesterolo (g)

0

Magnesio (mg)

7

Carboidrati (zuccheri, ecc.) (g)

13,7

Zinco (mg)

0,05

Acidi organici (g)

0,4

Rame (mg)

0,05

Fibra totale (g)

2,0

Vitamina B1 (tiamina) (mg)

0,02

Fibra insolubile (g)

0,55

Vitamina B2 (riboflavina) (mg) 0,02

Energia (kcal)

53

Vitamina PP (niacina) (mg)

0,30

Energia (kJ)

224

Vitamina C (mg)

6

Sodio (mg)

2

Vitamina A retinolo eq. (Âľg)

8

Fonte INRAN (2000) - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

Profili sensoriali di quattro diverse cultivar di mele, definiti in base alle valutazioni sensoriali di un panel test di giudici addestrati (da C. Cannella, INRAN, 2008).


Una delle nuove mele a polpa rossa, selez. “Redlove n. 9” (origine svizzera).

C

consumatori all’acquisto di un prodotto nutraceutico, cioè funzionale alla prevenzione dell’invecchiamento (come noto, i polifenoli e altri ossidanti “spazzano via” i radicali liberi, sorta di tossine cellulari). Circa la nuova mela “Artic” il Dipartimento dell’agricoltura americana, in procinto di darne autorizzazione, vuole conoscere prima la reazione pubblica che, attraverso un’indagine demoscopica, si sarebbe già espressa favorevolmente per il 60%, mentre l’Associazione americana dei produttori di mele ha espresso qualche perplessità, per timore che possa venir meno l’immagine di “naturalezza” del frutto, anche se dai controlli finora effettuati non è emerso alcun rischio per la salute. La mela, di fatto, risulta modificata soltanto per il “silenziamento” e quindi la mancata espressione del gene che codifica per la polifenolossidasi, l’enzima per l’appunto che, durante il processo di ossidazione all’aria, produce l’imbrunimento della polpa. In effetti a tutt’oggi, pur essendo ormai numerose nel mondo le varietà di melo transgeniche, modificate per uno o più

ome sempre, il clamore della stampa e dei media può generare curiosità, emotività, illusioni, che, di fatto, sconfinano nella disinformazione. Recentemente sono state più volte annunciate novità nel campo delle mele: da un lato, il lancio, in Europa, di mele a polpa rossa e dall’altro, negli USA, l’annuncio di una mela transgenica (Artic Apple) dotata di una particolare proprietà della polpa: non imbrunisce dopo il taglio. Una corretta comunicazione avrebbe dovuto aggiungere però che le nuove mele a polpa rossa in effetti sono state ottenute in alcuni paesi (Svizzera, la serie Redlove), in Francia (serie IFO - Red) Germania (da tempo era nota Weirouge) e Nuova Zelanda, ma nessuna di queste (tutte ancora allo stato sperimentale), possiede proprietà organolettiche comparabili agli standard attuali: sono troppo acidule o asprigne, a causa dell’alto contenuto in polifenoli (compresi i tannini), quasi pronte per il lancio commerciale, nella prospettiva di convincere i

39 AGRICOLTURA OGGI SILVIERO SANSAVINI


PRODUZIONE DI MELE IN EUROPA NEL 2010 (t. e %) Italia 2.179.000 16,0

Portogallo

251.000

1,8

Polonia 1.850.000 13,6

Regno Unito

214.000

1,6

Russia 1.826.000 13,4

Austria 169.000 1,2

Francia 1.579.000 11,6

Bielorussia

Ucraina 897.000 6,6

Svizzera 127.000 0,9

Germania

Macedonia

835.000

6,1

150.000

122.000

1,1

0,9

Ungheria 488.000 3,6

Croazia 95.000 0,7

Spagna 486.000 3,6

Slovenia

Romania 423.000 3,1

Lituania 46.000 0,3

Olanda 340.000 2,5

Albania 45.000 0,3

Moldova 325.000 2,4

Bulgaria 40.000 0,3

66.000

0,5

Belgio 288.000 2,1 Serbia 260.000 1,9

Altri paesi

Grecia 254.000 1,9

Totale prod. 2010 13.595.000

240.000

1,8 100,0

TOP 10 VARIETÀ DI MELE POLICLONALI PRODOTTE IN ITALIA Cultivar

%

Gruppo Imperatore/Rome Beauty 3,7

Gruppo Golden Delicious

43,5

Gruppo Pink Lady®, Rosy Glow, Cripps Pink

3,2

Gruppo Gala

13,8

Gruppo Annurca

1,6

Gruppo Red Delicious

11,2

Renetta del Canada

1,2

Gruppo Fuji

7,5

Altre

4,7

Gruppo Granny Smith

5,2

Totale

100,0

Gruppo Braeburn

4,4

Produzione totale: 2.179.615 t

Fonte: Assomela/CSO, dati produzione 2010


Sopra: imbrunimento della polpa a distanza di 15’ dal taglio (tempi: zero a sinistra e +15’ a destra). Sotto da sinistra: il suggestivo paesaggio della Val di Non, costellato da meleti prospicienti il lago di Santa Giustina; nella foto, a destra, la difesa sanitaria comporta normalmente non meno di dieci e fino a venti trattamenti annui. Nella foto un impianto intensivo di meli nel Cuneese allevati a “spindle bush” (fusetto modificato) con un atomizzatore durante l’irrorazione.

PRODUZIONE DELLE MELE IN ITALIA NEL 2010 Alto Adige

1.064.638

Trentino

466.724

Altre regioni

648.253

Totale

2.179.615

(t.)


TOP 10 VARIETĂ€ DI MELE PRODOTTE IN EUROPA NEL 2010 Cultivar

%

Gruppo Jonathan

2,7

Gruppo Golden Delicious

19,8

Gruppo Elstar

2,7

Gruppo Gala

7,6

Gruppo Braeburn

2,2

Gruppo Idared

7,4

Gruppo Shampion

1,9

Gruppo Red Delicious

5,1

Altre

42,9

Gruppo Jonagold

4,9

Totale

100,0

Gruppo Granny Smith

2,8

Produzione totale: 13.595.000 t.

Fonte: Assomela/CSO.


caratteri, nessuna di queste è stata autorizzata per la coltivazione, compresa ovviamente quella ottenuta in Italia dall’Università di Bologna insieme al Politecnico di Zurigo una decina di anni or sono. Si trattava, nella fattispecie, della cv Gala, che per la prima volta era stata trasformata con un gene affine (Vf), estratto da un melo selvatico (Malus floribunda 821) e portatore della resistenza alla ticchiolatura. Questa è la malattia crittogamica più pericolosa per il melo, diffusa universalmente, che richiede in media da 15 a 20 trattamenti protettivi annui! Purtroppo il nostro Ministero, già da oltre un decennio, per motivi di principio, non permette prove in campo di piante OGM, qualsiasi sia la specie, affossando così le opportunità che la ricerca italiana possa competere internazionalmente. Ma, in generale, a prescindere dalle piante OGM, le numerose varietà brevettate introdotte in Italia faticano molto ad affermarsi, ancorché ottenute convenzionalmente attraverso la riproduzione sessuata (cioè da incrocio controllato e successiva selezione dei semenzali). La diffusione in esclusiva, da parte dei vivaisti, di “cloni” (cioè tipologie di mele in qualche modo differenziate all’interno della varietà di origine e quindi aventi lo stesso genoma, variato soltanto per una o più mutazioni “puntiformi” riguardanti di solito il colore del frutto, che sfuggono anche alle indagini molecolari più accurate) ha arricchito oltre ogni immaginazione la piattaforma varietale e la relativa nomenclatura. Si pensi che della sola cv Gala si conoscono oggi oltre cinquanta

mutanti, almeno una ventina dei quali – ciascuno con un suo proprio nome – sono stati diffusi in Italia attraverso la propagazione vivaistica in esclusiva, ma solo quattro o cinque di questi cloni si sono veramente affermati, es. Royal Gala, Brookfield, Buckeye. In generale, queste mutazioni hanno ragion d’essere perché comportano una migliore remunerazione per i coltivatori e di riflesso un maggior prezzo sui mercati. A fronte dei quali però non corrisponde, di solito, un miglioramento delle qualità organolettiche della mela, perché in genere queste non appaiono toccate dalla mutazione. Queste caratteristiche, oltre che dalla varietà, dipendono soprattutto dal sito pedoclimatico e dalle tecniche di coltivazione, di difesa, di nutrizione e irrigazione, oppure dall’epoca di raccolta e dalle modalità di conservazione e maturazione del frutto. In definitiva, la mela più bella, simboleggiata nella favola di Biancaneve, non sempre è la migliore e nemmeno è facilmente riconoscibile, anche se la normativa commerciale (etichettatura, categoria di qualità, tipo di imballaggio, presentazione della confezione) aiuta molto l’ignaro consumatore a individuare il prodotto che desidera acquistare, al giusto prezzo.

MELA PER TUTTI Adatto al neonato come al diabetico, la mela è fonte di piacevoli sensazioni gustative. Ideale per qualsiasi età, il contenuto della mela sbucciata sviluppa solo 53 kcal/100 g, ed è dovuto soprattutto agli zuccheri semplici.

43 AGRICOLTURA OGGI SILVIERO SANSAVINI


(es. Fuji e Annurca), rosa-rosse (es. Pink Lady), verdi (es. Granny Smith).

Mentre in Italia con una decina di varietà policlonali si raggiunge il 95% della produzione, in Europa c’è maggiore dispersione, per cui le prime dieci varietà coprono meno del 50%; la principale differenza sta nel fatto che in Italia, come nel Sud Europa, dominano le mele da dessert, cioè da pasto, dolci, aromatiche, succose (tipo Golden Delicious, Gala e Red Delicious), mentre al Centro/Nord Europa i gusti sono eterogenei, con forte propensione per le mele acidule, sode, croccanti e molto succose (es. Braeburn, Elstar, Cox Orange, Granny Smith, Booskop). La classificazione merceologica di mercato delle mele però non tiene conto dei caratteri organolettici, gustativi, ma solo di parametri fisici, estetici, biometrici. Per favorirne l’identificazione pomologica, possiamo raggrupparle per colore: rosse (sono la maggioranza) con colore di tipo striato o slavato (es. Red Delicious, Gala, Braeburn), gialle (es. Golden Delicious), bicolori rosso-gialle striate

INTERAZIONE CON L’AMBIENTE E QUALITÀ DEL FRUTTO La mela è un frutto che interagisce fortemente con l’ambiente di coltivazione, al punto che l’aspetto, la qualità e quindi il prezzo sono piuttosto differenziati, per una stessa varietà, tanto da cambiare non solo aspetto da una zona all’altra, e non solo per merito delle azioni promozionali di marketing, che pure hanno un forte peso. Possiamo sommariamente distinguere le mele di montagna e di alta collina da quelle di pianura. Le prime spuntano prezzi decisamente superiori (in media 30% e oltre in più), supportate anche da marchi (brand) fidelizzanti, ormai familiari, ai consumatori (es. Melinda in Val di Non, Marlene in Val d’Adige e Val Venosta ecc.). In effetti le mele prodotte nell’arco alpino che oltre al Trentino e Alto

44 AGRICOLTURA OGGI SILVIERO SANSAVINI


utilizzati per la protezione da insetti, acari e malattie fungine) sia dal rispetto dei regolamenti connessi ai marchi di garanzia e validazione concessi dall’UE, che sono: IGP (Indicazione geografica protetta) di cui si avvalgono, non tutte, ma gran parte delle mele dell’Alto Adige, della Valtellina, di Cuneo, ma anche della più antica mela italiana, la mela Annurca, campana. Il revival commerciale dell’Annurca testimonia oggi come la melicoltura italiana affondi le radici del suo successo nella tradizione di una regione del Sud che non è certo la più vocata per la produzione delle mele: DOP (Denominazione di origine protetta), che si è data una complessa regolamentazione, applicata in Italia solo per le mele della Val di Non. Il marchio DOP dovrebbe valere più dell’IGP, ma è anche più oneroso. Nonostante la crisi che travaglia molti settori della frutticoltura, la melicoltura gode ancora di buona

Adige, include anche l’alta Lombardia (Valtellina) e l’altopiano cuneese, e in piccola parte il Friuli, hanno caratteristiche che le distinguono da quelle della grande pianura padano-veneta: sono in genere più belle, sode, più colorate, maturano più gradualmente e si conservano più a lungo di quelle di pianura. Queste ultime però (una minoranza che non supera il 30% della produzione complessiva italiana), possono avvantaggiarsi, oltre che della più grossa pezzatura e di un possibile maggior titolo zuccherino, della più precoce maturazione estivo-autunnale e di conseguenti più pronti attributi gustativi nei mesi autunnali, fino a dicembre-gennaio. Occorre comunque rilevare che il mercato delle mele, come detto, è fortemente influenzato sia dai “disciplinari di produzione” che obbligano i coltivatori a sottostare a severe normative procedurali, specialmente nel settore della difesa sanitaria (per rispettare vari vincoli, fra cui i limiti posti nei residui dei pesticidi e delle molecole di principi attivi

45 AGRICOLTURA OGGI SILVIERO SANSAVINI



salute: le mele italiane hanno conquistato numerosi mercati non solo in Europa, disponendo di alcuni punti di forza, geografici (le aree fortemente vocate al melo); organizzativi, per le grosse strutture cooperative che contano sulla più selettiva domanda europea (che non ha l’eguale, per omogeneità ed eccellenza qualitativa, in nessun altro campo), anche in forza dei regolamenti implementati dall’esterno, attraverso norme contrattuali imposte dalle grandi catene distributive europee oltre che dalle GDO italiane. Le nostre mele sono cioè il prodotto di una filosofia produttiva sostenibile (l’80-90% della produzione di mele italiana è sottoposta alla filiera della produzione integrata, circa il 2-3% della quale è biologica-organica). Peraltro, le mele biologiche sono molto difficili da ottenere, se non in aree a bassa massa critica di patogeni, come la Val Venosta. Può incuriosire i lettori: si deve sottolineare, purtroppo, che nonostante siano ormai disponibili decine di nuove varietà di mele, create recentemente per favorire l’introduzione della coltura biologica, pochissime di queste si sono diffuse, i mercati non le apprezzano abbastanza e quindi i coltivatori ne diffidano. Queste mele sono in genere, non tanto sul piano estetico quanto su quello gustativo, in possesso di requisiti genetici che rendono anche più autosostenibile e quindi meno onerosa la coltura, specie sul piano della difesa, grazie alle resistenze acquisite (quasi tutte posseggono il gene Vf per la resistenza a ticchiolatura), introdotte a seguito di incroci e selezioni mirati. Queste mele però non sono

note al grande pubblico che preferisce comprare mele biologiche di varietà tradizionali, ma sono assai più difficili da proteggere. C’è da augurarsi che una nuova generazione di queste mele (es. Crimson Crisp, Modì, Inored ed altre) si diffondano anche nelle normali coltivazioni. ORIGINE E DIFFUSIONE GEOGRAFICA DEL MELO L’origine del melo è antichissima. La specie coltivata (Malus x domestica) appartiene a un genere che conta 30 – 40 specie ornamentali o selvatiche, con epicentro nel Kazakistan (intorno all’area di Alma Ata), estendendosi ad una più ampia regione caucasica e al Turkestan. Fra tutte queste, la specie ancestrale più vicina al Malus x domestica è il M. sieversii, come ha dimostrato il sequenziamento del genoma del melo realizzato qualche anno fa con una straordinario team internazionale dallo IASMA, Istituto di ricerca di San Michele all’Adige. Dallo stesso lavoro di analisi molecolare è emerso che il melo conta oltre 50.000 geni (il più alto numero finora trovato) e che la sua natura cromosomica è allo-tetraploide. Il che significa che nella specie melo, risalendo alla sua evoluzione genetica, il genoma costituito da 34 cromosomi ha subito, dapprima, forse milioni di anni fa, la perdita di un cromosoma (il cui DNA, a frammenti, si accasò in alcuni altri cromosomi) quando la pianta di cromosomi ne aveva 18 e successivamente la pianta con 17 cromosomi (9 + 8) è andata soggetta

47 AGRICOLTURA OGGI SILVIERO SANSAVINI


Meleti e vigneti in Val d’Adige (BZ).

ad una duplicazione naturale del genoma (17 x 2 = 34). Quindi, siamo di fronte ad una specie, il melo, derivata da una forma di poliploidismo spontaneo. La diffusione del melo in Occidente si ritiene sia avvenuta ad opera dei greci e dei romani, ma semi di melo sono stati trovati anche in tombe etrusche. D’altra parte, un’altra forma parentale del melo, autoctona dell’Europa è il Malus sylvestris, ancora presente in molte aree montane. Il melo in epoca romana arricchiva la coltivazione dei giardini delle ville patrizie, insieme ad olivo, vite, fico, melograno ed altre specie mediterranee. Una varietà campana di epoca pompeiana si ritiene sia la mela Annurca, ancora oggi coltivata ed allora denominata Annurcola. Forse è questa la più antica varietà di melo al mondo, sopravvissuta grazie alla propagazione per innesto, pratica ben conosciuta da romani e greci. Fra le varietà più diffuse nel mondo oggi sono Golden Delicious e Red Delicious ottenute negli USA da libere semine di semi di mele da sidro, la prima nel 1905 e la seconda nel 1872. Nel secolo XIX alcuni appassionati allevatori selezionarono in USA alcune decine di milioni di semenzali, da cui è derivata una numerosa serie di varietà che hanno poi invaso il mondo per oltre un secolo.

per la sua facile digeribilità. La sua composizione è quanto di più nutrizionalmente assortito e completo si possa trovare nell’universo frutticolo naturale, se si escludono grassi, proteine ed aminoacidi. Per questa ragione, la mela rappresenta circa un quarto del totale dei consumi di frutta. Il suo contenuto è dato da zuccheri semplici (dal 12 al 15% in peso, di cui oltre metà fruttosio), ben rapportati a quello degli acidi organici (prevalentemente malico, presenti in misura dal 3 all’8‰), sviluppando 53 kcal per 100 g. La polpa inoltre (>80% di acqua) contiene fibre solubili, come le pectine e insolubili, la maggior parte, che sono indispensabili per l’assorbimento dei nutrienti e per la peristalsi intestinale. Poi, numerosi elementi nutritivi (potassio, fosforo, magnesio, calcio, ecc. con i loro sali solubili), nonché uno svariato gruppo di vitamine dei gruppi A, B, C e PP. La mela è un grande regolatore del metabolismo organico al punto che il glucosio della mela riesce a mantenere costante la quantità di glucosio del sangue (70-120 mg/100 ml) mediante l’azione di ormoni antagonisti, insulina e glucagone; un ruolo positivo gioca anche l’acido abscissico. Per questo la mela è consigliata anche per soggetti diabetici. Una o due mele al giorno “levano il dottor di torno” recita il motto anglosassone; è nota anche l’azione antidepressiva della mela, perché accresce la produzione cerebrale di serotonina. Per tutte queste proprietà funzionali la mela rientra a pieno titolo fra gli alimenti “nutraceutici”, argomento d’attualità per il miglioramento degli stili alimentari

LA MELA, UN PRODIGIOSO EQUILIBRIO ESTETICO E SENSORIALE DELLA NATURA La mela, insieme a pochissimi altri frutti (es. banana) accompagna praticamente la nutrizione umana dall’infanzia alla vecchiaia, senza controindicazioni,

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Meleti in alta Val Venosta (BZ).

Da sinistra: coppia di nuovi cloni di Gala: con mele parzialmente striate (cv Schnico, a sin.) e Redy Red (plateau destro), rosso molto intenso diffuso. Entrambe le varietà sono derivate da mutazioni spontanee di Gala rinvenute in Alto Adige; mele “Golden Delicious”, con bollino (classico brand francese, in un mercato di Parigi).

Da sinistra: mele Red Delicious, clone colorato al 100%, riconoscibili per le caratteristiche cinque prominenze apicali; le mele resistenti a ticchiolatura (nella foto la cv Crimson Crisp) hanno raggiunto standard qualitativi comparabili a quelli più apprezzati dal mercato; la nuova mela italiana Modì, resistente a ticchiolatura, grossa, di bella forma, color rosso cupo.


della maturazione. Per esempio, nella cv Gala dominano composti volatili quali 2-metilbutilacetato, butanolo ed etilacetato oltre ai relativi esteri del butil acetato, metilbutanoato e aldeide esanale (questi ultimi composti sono generatori di profumi). Se la mela è troppo matura però possono iniziare fermentazioni cellulari con formazione di altri aromi para-alcoolici, percepibili negativamente dall’assaggiatore. Fra questi l’acetaldeide e l’etanolo. Dunque, ogni mela ha la sua mappa aromatica: per questo una certa fascia di consumatori si affeziona ad alcune varietà riconoscibili per gusto ed aromi. Fra queste, la storica Renetta del Canada che, dopo essere stata abbandonata per molti anni, ora è rientrata fra le varietà commerciali per i nuovi impianti nell’alta montagna trentina, altoatesina e piemontese-valdostana.

e di vita. Questo attributo le deriva soprattutto dalle proprietà antiossidanti, legate alla presenza di forti contenuti di polifenoli (flavonoidi, flavanoli, pigmenti antocianici, tannini) che determinano, fra l’altro, l’imbrunimento della polpa al taglio; ma è rilevante anche la presenza di carotenoidi (precursori della vitamina A). Questi composti neutralizzano i radicali liberi e le tossine prodotte anche dalla flora batterica intestinale, per cui ormai numerose prove cliniche condotte da varie parti nel mondo ne hanno dimostrato benefici effetti nella prevenzione di numerose patologia metaboliche, vascolari e persino antitumorali. È stato anche dimostrato che l’assunzione corporea di integratori sostitutivi dei componenti della mela (varie pillole) non generano gli stessi positivi effetti (al pari di quanto accade ad opera del resveratrolo per il vino). Non si possono concludere le argomentazioni a favore della mela senza ricordare anche il piacere fisico del morso del frutto, se questo è croccante; quello sensoriale della succosità e del sapore legata alle sue tre principali componenti: zuccheri, acidi e aromi. Questi ultimi sono parecchie decine e se la mela è ben matura arricchiscono il gusto e generano sensazioni olfattive piacevoli. Ogni mela ha un proprio set di aromi, mutevole con l’avanzamento

50 AGRICOLTURA OGGI SILVIERO SANSAVINI

Silviero Sansavini DCA - Dipartimento di Colture Arboree Università degli Studi di Bologna



La Frisona rappresenta circa l’80% delle bovine da latte.


AGRICOLTURA OGGI GIOVANNI SAVOINI

AGRICOLTURA OGGI

53

DA DOVE DERIVA IL LATTE

Quando ci si riferisce al termine generico latte si intende il latte vaccino, non è infatti obbligatorio, secondo la normativa, specificare che proviene da bovine, vaccino, mentre è necessario aggettivare il latte proveniente da pecore, capre e bufale, latte ovino, caprino e bufalino. Giovanni Savoini


La Pezzata Rossa rappresenta il 4% delle bovine da latte.

L’Italia non è autosufficiente per la produzione di latte, infatti nel regime di quote latte al nostro paese è stata assegnata una produzione di poco superiore a 10.500.000 di tonnellate, nel 2010 ad es. il latte consegnato alle latterie è stato pari a 10.604.000 tonnellate, che copre circa il 60-70% del fabbisogno, per cui dobbiamo importare da altri paesi latte, oltre a semilavorati e prodotti finiti. L’Italia esporta prevalentemente formaggi, per la maggior parte DOP. Nell’Unione Europea le bovine da latte sono circa 23.000.000 e la produzione di latte è di 147.000.000 tonnellate.

e un buono stato di salute. Tanta attenzione nella gestione delle bovine si traduce in produzioni di latte elevate per capo, la media di produzione di latte in Lombardia, dove si produce circa il 40% del latte prodotto in Italia, è di poco superiore a 9000 kg/capo/lattazione, ma le mandrie più produttive producono 12.000-13.000 kg/capo/ lattazione. IL LATTE È COSTANTEMENTE CONTROLLATO PER ASSICURARE ELEVATI LIVELLI QUALITATIVI Da consumatori però ciò che interessa maggiormente è il contenuto in nutrienti, principalmente grasso, proteina, calcio, e le caratteristiche igieniche. Semplicemente leggendo l’etichetta di una bottiglia di latte fresco pastorizzato alta qualità intero, ci si rende conto che il latte è un alimento ricco di lipidi, 3,75%, proteine, 3,35%, zuccheri, 5,00% e calcio, 0,12%. Inoltre il latte è prodotto da animali sani, infatti se si dovessero utilizzare antibiotici per la cura di patologie, che possono avverarsi trattandosi di organismi viventi, il latte deve essere eliminato ed i controlli sulla presenza di antibiotici, o altri farmaci, sono rigorosi. Esiste inoltre un altro parametro che indica che il latte proviene da bovine sane che non presentano processi infiammatori a carico della ghiandola mammaria, mastiti, che è rappresentato dal numero di cellule somatiche. Le cellule somatiche sono normalmente presenti in quantità limitata nel latte proveniente da bovine sane, ma aumentano in presenza di fenomeni

DA DOVE DERIVA IL LATTE PRODOTTO IN ITALIA? L’immagine che viene trasmessa dalla pubblicità indurrebbe a credere che il latte derivi da bovine al pascolo, spesso da pascoli di montagna e da bovine di razza bruna alpina, messaggio senza dubbio rassicurante ma che non è assolutamente aderente alla realtà. In Italia le bovine da latte sono circa 1.800.000. La razza maggiormente allevata, come peraltro nel resto d’Europa, è la Frisona, che rappresenta circa l’80% delle bovine da latte, seguita dalla Bruna Alpina, 8% e poi da altre razze quali la Pezzata Rossa (4%), la Grigio Alpina, la Modicana, etc. Le bovine sono allevate in aziende dotate di impianti di mungitura che permettono di mungere contemporaneamente alcune decine di animali e vengono alimentate con razioni studiate in modo tale da soddisfare i fabbisogni degli animali e consentire una corretta attività riproduttiva

54 AGRICOLTURA OGGI GIOVANNI SAVOINI


La Bruna Alpina con l’8% è la seconda razza per la produzione del latte.

infiammatori. Le cellule somatiche sono composte infatti da neutrofili, macrofagi, linfociti e da una piccola parte di cellule dell’epitelio ghiandolare. Esse rappresentano il meccanismo di difesa della mammella nei confronti dei microrganismi patogeni, infatti la rapida mobilizzazione di leucociti dal sangue al latte è indispensabile per organizzare i meccanismi di difesa locali contro le mastiti. Il numero di cellule somatiche del latte, secondo il Regolamento Comunitario 853 del 2004, deve essere inferiore a 400.000/ml, e 300.000/ ml per il latte ad alta qualità. Oltre al limite imposto dalla legislazione, vi è anche un interesse diretto dell’allevatore a mantenere bassi livelli di cellule somatiche, infatti all’aumentare del loro contenuto la produzione di latte cala. Un altro parametro che indica se il latte è stato prodotto in ambienti igienicamente corretti, cioè se la mungitura e lo stoccaggio del latte prima della raccolta sono avvenuti rispettando tutte le norme igieniche, è la carica batterica, che deriva dal contatto del latte con l’ambiente esterno. Il Regolamento Comunitario 853 stabilisce che la carica batterica debba essere inferiore a 100.000 germi/ml, si consideri che quasi tutti gli allevamenti producono latte con carica microbica decisamente inferiore, 2.000-3.000 germi/ml. Il latte messo in commercio può essere crudo, ossia non viene sottoposto ad alcun trattamento dopo la mungitura e può essere solamente refrigerato a temperature inferiori a 4°C, oppure trattato termicamente, pastorizzato e sterilizzato, o microfiltrato. I trattamenti del latte garantiscono

elevate condizioni igieniche e la conservabilità dello stesso per periodi variabili in funzione del tipo di trattamento. Il latte crudo è ovviamente un prodotto che molto facilmente e rapidamente va incontro a contaminazione batterica se non correttamente refrigerato e va consumato entro tempi molto brevi. Il Ministero per la Salute ha pertanto prorogato l’obbligo di bollire il latte crudo prima del consumo. IL LATTE È PAGATO IN FUNZIONE DELLA QUALITÀ La produzione di latte con elevati livelli di nutrienti e con basso numero di cellule somatiche e di carica batterica, comporta un riconoscimento economico all’allevatore, infatti il prezzo del latte varia in funzione della percentuale di grasso, proteina, e del contenuto in cellule somatiche e carica batterica . Il pagamento del latte in accordo alla qualità rappresenta quindi un vantaggio sia per l’allevatore, di tipo economico, che per il consumatore, garanzia di un prodotto di elevato valore nutritivo e sano. QUANTO ALIMENTO E ACQUA CONSUMANO LE BOVINE? L’assunzione di alimento non è costante durante tutta la lattazione, è infatti proporzionale alla quantità di latte prodotto. All’inizio della lattazione, quando progressivamente la quantità di latte prodotto continua a crescere fino a circa 4-6 settimane post-partum, la quantità di alimento assunta non è sufficiente a soddisfare i fabbisogni in nutrienti, infatti l’assunzione

55 AGRICOLTURA OGGI GIOVANNI SAVOINI


Diverse fasi della mungitura.

degli animali che sono relativamente competitivi con l’uomo per l’utilizzo delle risorse alimentari, potendo utilizzare fonti alimentari, quali i foraggi, che non possono essere utilizzati dall’uomo. Considerando quindi una mandria di 200 bovine in lattazione, ed un’assunzione individuale di 38 kg, significa che la quantità di alimento tal quale consumata giornalmente è di 7,6 tonnellate, a cui va aggiunto l’alimento consumato dalle bovine in asciutta, manze e vitelle. Se il quantitativo di alimento può apparire elevato, il consumo di acqua è ancora più alto, infatti il consumo di acqua di abbeverata è pari a circa 90 litri di acqua/capo/giorno, che significa un consumo per la stessa mandria di 18.000 litri al giorno, quantitativo che aumenta notevolmente in condizioni di temperature ambientali elevate, a cui va aggiunto sempre il consumo di acqua delle bovine in asciutta, manze e vitelle. Il consumo idrico di un allevamento di bovine da latte è quindi impressionante, considerando che all’acqua di abbeverata va aggiunto il consumo di acqua necessario per le varie operazioni di pulizia dell’allevamento, ad esempio la pulizia dell’impianto di mungitura. Si pensi che il consumo totale di acqua per un uomo in Italia è di circa 200 litri, per cui il solo consumo di acqua di abbeverata di un allevamento di 200 bovine è pari al consumo giornaliero totale di un palazzo che ospiti 90 persone.

di alimento raggiunge il massimo intorno a 8-12 settimane, per cui le bovine si trovano in bilancio energetico negativo e compensano la necessità di energia ricorrendo alla mobilizzazione delle riserve lipidiche corporee. Successivamente invece la quantità di alimento è in grado di soddisfare il fabbisogno in nutrienti. Se si considera un gruppo di bovine che producano 40 litri con un tenore in grasso e proteina pari a 3,75 e 3,35%, l’assunzione media è di 23 kg di sostanza secca. Se si considera l’assunzione di alimento tal quale, cioè contenente l’acqua degli alimenti, il valore di 23 kg diventa 38 kg, considerando che il tenore in sostanza secca sia pari al 60%, questo deriva dal fatto che le bovine consumano alimenti umidi come l’insilato di mais, che ha un valore di sostanza secca pari al 33%, e alimenti con un contenuto in sostanza secca superiore,come i fieni, il mais, la farina di estrazione di soia etc. Si capisce che le bovine consumano sia foraggi, fieno ed insilati, che mangimi concentrati, mais che apporta prevalentemente energia e soia farina di estrazione, derivata dall’estrazione dell’olio dai semi interi, e altre alimenti, ad es. distillers di mais, trebbie di birra, che apportano prevalentemente proteina. Questa particolarità delle bovine è legata al fatto che le bovine da latte sono dei ruminanti, che albergano nel rumine miliardi di batteri, miceti e protozoi in grado di trasformare la fibra in energia e la proteina vegetale in proteina animale, microrganismi, che verranno digeriti nell’intestino. Si pensi che la concentrazione di batteri nel rumine è di 1011/ml di contenuto ruminale, il rumine ha una capacità di circa 150-200 litri. Quindi i ruminanti rappresentano

PRODURRE LATTE È UN’ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE Da questi pochi esempi si capisce che produrre latte è un’attività imprenditoriale come qualsiasi altra che prevede organizzazione, valutazioni tecniche

56

AGRICOLTURA OGGI GIOVANNI SAVOINI



Trincea di silomais; a destra: pastone di spiga.

ed economiche, costante aggiornamento per poter applicare le tecnologie più avanzate per migliorare l’efficienza di produzione. La conduzione secondo criteri di efficienza dell’allevamento delle bovine da latte permette di ottenere latte di ottima qualità a prezzi relativamente contenuti, il latte infatti è un alimento estremamente importante per l’alimentazione dell’uomo e quindi deve avere un prezzo di acquisto sostenibile da tutti i consumatori.

TRATTAMENTI Il latte una volta arrivato negli stabilimenti di produzione, viene standardizzato per il tenore lipidico. Questo intervento viene eseguito per fornire al consumatore una percentuale definita di lipidi (panna), negli stabilimenti di produzione il latte viene scremato e il grasso viene successivamente aggiunto per ottenere latte intero (grasso > 3,5%) o parzialmente scremato (grasso compreso tra 1,5 e 1,8%). Il latte scremato contiene invece un tenore in lipidi pari allo 0,5-0,2%. Un altro trattamento è l’omogeneizzazione, cioè la riduzione delle dimensioni dei globuli di grasso, questo processo favorisce la dispersione del grasso nel liquido riducendo l’affioramento della panna e aumentando la digeribilità, in commercio si trova talvolta latte non omogeneizzato che deve essere agitato prima dell’uso dato che la panna affiora. Il latte viene inoltre sottoposto a filtrazione per eliminare le impurità che non sono state eliminate dai filtri presenti sulle mungitrici.

DA DOVE DERIVA IL LATTE CHE ABITUALMENTE CONSUMIAMO? Il latte viene raccolto presso le aziende di bovine giornalmente, talvolta la raccolta può essere ogni due giorni, tramite apposite cisterne refrigerate in modo tale da mantenere costante la temperatura, inferiore ai 6-8°C, in funzione della frequenza di raccolta e della destinazione; il latte destinato ad essere venduto come alta qualità deve essere raccolto giornalmente e mantenuto a temperatura inferiore ai 6°C. Il latte alta qualità si differenzia dal latte “normale”, per quanto riguarda i macrocomponenti, in quanto contiene una percentuale più elevata di proteina, infatti il latte alta qualità deve contenere almeno il 3,5% di grasso e il 3,2% di proteina, mentre quest’ultimo valore per il latte normale deve essere almeno il 2,8%.

58 AGRICOLTURA OGGI GIOVANNI SAVOINI


Classificazione del latte in funzione delle caratteristiche nutrizionali Latte intero (grasso generalmente superiore al 3,5%, proteina superiore al 2,8%) Latte intero alta qualità (grasso > 3,5%, proteina >3,2%) Latte parzialmente scremato (grasso tra 1,5 e 1,8%) Latte scremato (grasso 0,3-0,5%)

CLASSIFICAZIONE DEL LATTE IN FUNZIONE DEI TRATTAMENTI Latte crudo: nessun trattamento, l’unico trattamento ammesso è quello termico a temperatura non superiore a 40°C, obbligo di bollitura prima del consumo. Latte pastorizzato: trattamento a temperature non elevate (72°C) per pochi secondi (15), è definito fresco se perviene allo stabilimento di produzione come latte crudo e subisce un unico trattamento termico entro 48 ore dalla mungitura, scadenza 6 giorni dalla data di confezionamento, esiste anche una pastorizzazione a temperatura più elevata che allunga la shelf life Latte sterilizzato: trattamento a temperature elevate, UHT 140-150°C per 1-5 secondi, si conserva per tre mesi, la sterilizzazione classica consente una conservazione da 3 a 6 mesi per l’UHT e fino a oltre 6 mesi per il latte sterilizzato. Latte microfiltrato: prevede una microfiltrazione e successiva pastorizzazione, ha una scadenza di 10 giorni. La scelta del prodotto da utilizzare è quindi soprattutto funzione della necessità di conservazione del latte, il latte fresco pastorizzato è quello che ha una conservabilità limitata, ma preserva le caratteristiche organolettiche e inoltre dovendo pervenire crudo allo stabilimento di produzione non può essere trasportato per lunghi tragitti prima della lavorazione. Oltre al latte tradizionale è possibile reperire sul mercato latte modificato: • Concentrato • Alta digeribilità o HD • Latte fortificato • Latte probiotico • Aromatizzato Latte concentrato o condensato: è stato privato di parte dell’acqua e con l’eventuale aggiunta di crema di latte e zucchero, viene sottoposto a un processo termico UHT o di sterilizzazione classica. Latte ad alta digeribilità (HD): è un prodotto a basso tenore in lattosio, 0,5% o anche inferiore invece del normale 4,8-4,9%, è indicato per chi è intollerante al lattosio, è sottoposto a un processo UHT. Latte fortificato: è un latte a cui vengono aggiunte vitamine, sali minerali, oppure determinati acidi grassi, normalmente non presenti nel latte, come gli omega 3. Gli acidi grassi omega 3 possono essere anche somministrati agli animali che li trasferiscono, in piccola parte rispetto all’assunzione, nel latte. Latte probiotico: è un latte a cui vengono aggiunti dei probiotici, generalmente lattobacilli, si differenzia dallo yogurt per i differenti microrganismi utilizzati, nello yogurt si possono utilizzare solamente Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus, nei latti fermentati anche altri probiotici. Latte aromatizzato: è un latte a cui vengono aggiunti aromi. Latte in polvere: che deriva dalla disidratazione del latte intero scremato, ed il cui contenuto di acqua deve essere inferiore al 5%.

59 AGRICOLTURA OGGI GIOVANNI SAVOINI


COMPOSIZIONE PER 100 GRAMMI DI PARTE EDIBILE DI LATTE VACCINO INTERO

PARZIALMENTE SCREMATO

SCREMATO

Parte edibile (%)

100

Parte edibile (%)

100

Parte edibile (%)

100

Acqua (g)

87,0

Acqua (g)

88,5

Acqua (g)

90,5

Proteine (g)

3,3

Proteine (g)

3,5

Proteine (g)

3,6

Lipidi (g)

3,6

Lipidi (g)

1,5

Lipidi (g)

0,2

Colesterolo (g)

11

Colesterolo (g)

7

Colesterolo (g)

2

Carboidrati disponibili (g)

4,9

Carboidrati disponibili (g)

5,0

Carboidrati disponibili (g)

5,3

Amido (g)

0

Amido (g)

0

Amido (g)

0

Zuccheri solubili (g)

4,9

Zuccheri solubili (g)

5,0

Zuccheri solubili (g)

5,3

Fibra totale (g)

0

Fibra totale (g)

0

Fibra totale (g)

0

Fibra insolubile (g)

0

Fibra insolubile (g)

0

Fibra insolubile (g)

0

Fibra solubile (g)

0

Fibra solubile (g)

0

Fibra solubile (g)

0

Alcol (g)

0

Alcol (g)

0

Alcol (g)

0

Energia (kcal)

64

Energia (kcal)

46

Energia (kcal)

36

Energia (kJ)

268

Energia (kJ)

194

Energia (kJ)

151

Sodio (mg)

50

Sodio (mg)

-

Sodio (mg)

52

Potassio (mg)

150

Potassio (mg)

-

Potassio (mg)

150

Ferro (mg)

0,1

Ferro (mg)

0,1

Ferro (mg)

0,1

Calcio (mg)

119

Calcio (mg)

120

Calcio (mg)

125

Fosforo (mg)

93

Fosforo (mg)

94

Fosforo (mg)

97

Magnesio (mg)

12

Magnesio (mg)

11

Magnesio (mg)

11

Zinco (mg)

0,38

Zinco (mg)

0,37

Zinco (mg)

0,59

Rame (mg)

0,02

Rame (mg)

0,01

Rame (mg)

-

Selenio (µg)

1,6

Selenio (µg)

1,6

Selenio (µg)

-

Tiamina (mg)

0,04

Tiamina (mg)

0,04

Tiamina (mg)

0,04

Riboflavina (mg)

0,18

Riboflavina (mg)

0,17

Riboflavina (mg)

0,17

Niacina (mg)

0,10

Niacina (mg)

0,09

Niacina (mg)

0,09

Vitamina A retinolo eq. (µg)

37*

Vitamina A retinolo eq. (µg)

19

Vitamina A retinolo eq. (µg)

tr

Vitamina C (mg)

1

Vitamina C (mg)

1

Vitamina C (mg)

1

Vitamina E (mg)

0,07

Vitamina E (mg)

0,04

Vitamina E (mg)

Fonte INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

tr * 5 µg provengono da caroteni



commerciale superiore (ESL Extended Shelf Life). Esistono dei test che sono in grado determinare il tipo di trattamento termico che è stato applicato al latte, test della fosfatasi alcalina, delle siero proteine, della furosina e della lattoperossidasi. Il latte può essere inoltre microfiltrato, cioè fatto passare attraverso filtri di ceramica con pori molto piccoli, diametro di circa 1-2 µ, che trattengono tutti i microrganismi e le cellule somatiche, successivamente il latte microfiltrato viene pastorizzato.

TRATTAMENTI TERMICI Negli stabilimenti di produzione il latte viene inoltre sottoposto a trattamenti termici o equivalenti che, eliminando e riducendo microrganismi patogeni e microrganismi responsabili di alterazioni, garantiscono la sicurezza igienica del latte e ne migliorano la conservabilità. I trattamenti termici sono la pastorizzazione e la sterilizzazione. Le differenze fondamentali tra i due trattamenti sono le temperature utilizzate e la durata del trattamento. Nel caso della pastorizzazione, che prevede un trattamento ad almeno 71,7°C per 15 secondi, il range di temperatura e tempo è compreso tra 71,7 e 80° C e 15-20 secondi, si ottiene la distruzione di tutti i microrganismi patogeni e di buona parte della flora saprofita, mentre con la sterilizzazione, che può essere normale, 116-120°C per 15-20 minuti, o U.H.T. (Ultra High Temperature), cioè temperatura elevata, 140-150°C per 1-5 secondi, si ottiene la distruzione di tutti i microrganismi. Il latte sterilizzato è quindi conservabile a temperatura ambiente, mentre il latte pastorizzato va conservato in frigorifero, per un periodo lungo. Lo svantaggio del latte sterilizzato è la riduzione della caratteristiche organolettiche e talvolta anche una variazione di colore, il latte sterilizzato ha infatti un sapore di cotto e talvolta è leggermente più scuro rispetto al latte pastorizzato. La pastorizzazione po’ essere effettuata anche a temperature più elevate, da 80 a 140°C, in tal caso di ottiene latte pastorizzato che ha una durata

LATTE CRUDO Il latte può essere commercializzato anche crudo, cioè senza aver subito alcun trattamento, l’unico trattamento ammesso è quello termico a temperatura non superiore a 40°C. Il latte che viene acquistato presso i distributori automatici, che non subisce trattamento termico, rientra in questa categoria, ovviamente si tratta di un prodotto che si può alterare velocemente per cui è obbligatorio sottoporlo a bollitura prima del consumo.

62 AGRICOLTURA OGGI GIOVANNI SAVOINI

Giovanni Savoini Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la Sicurezza Alimentare


CALEIDOSCOPIO

www.conipiediperterra.com Il quotidiano online su agricoltura, nutrizione, territorio Con i piedi per terra”, “Antenna Verde” e “Agrinews Tris vincente per l’agricoltura che si racconta in tv PERE E TARTUFO IN TAVOLA

Ottobre è sempre più un mese chiave per l’agricoltura nazionale: termina la vendemmia, c’è la raccolta delle pere con la regina “abate”, inizia la stagione del tartufo. E non finisce qui, perché nel palinsesto di “Con i piedi per terra” trovano spazio anche le giornate che Bologna dedica alla patata, la nutrizione per l’infanzia con latte e latticini dedicati (e la parola dell’esperto con le linee guida dell’Università), il miele con la borsa nazionale e i migliori mieli d’Italia premiati con “tre gocce d’oro”. E ancora: i risultati della vendemmia nelle regioni vinicole più importanti e gli eco-itinerari proposti nella

CON I PIEDI PER TERRA è in onda su Telesanterno in prima visione, al sabato ore 12.30 e martedì in prima serata alle ore 21. E in tutte le regioni italiane sul circuito nazionale ODEON TV ogni lunedì ore 20.30 e in contemporanea su satellite Sky al canale 914 L’AGRICOLTURA FULL TIME É su ANTENNA VERDE sul canale 656 dell’Emilia-Romagna

montagna che ci portano a scoprire Bargi e Camugnano dove l’acqua scandisce lo scorrere del tempo… E poi Reinhold Messner testimonial dell’Alta Via dei Parchi, all’interno delle manifestazioni della XIV Settimana Nazionale di Escursionismo del Club Alpino Italiano. Le ultima novità dal Macfrut con l’Oscar dell’innovazione che vede anche Falstaff (la nuova abate tutta rossa) ma soprattutto le anticipazioni di Eima International, con diverse puntate dedicate in altrettante location: nelle principali aziende produttrici d’Italia, nei parchi (saremo ad Imola, tra l’autodromo Dino ed Enzo Ferrari e il parco storico delle Acque Minerali). E poi è tempo di semina, e seguiremo il chicco fin dalla sua nascita attraverso la più grande realtà sementiera italiana, ma ci occuperemo anche di salumi, attraverso gli eventi di valorizzazione dei prodotti dell’agroindustria nazionale. E non mancherà l’appuntamento con il “Lunario” di Andrea Malossini, perché l’innovazione è al centro della nuova politica agricola comune, ma le radici non vanno mai dimenticate.

CALEIDOSCOPIO

In campo si semina il grano e l’ambiente racconta il suo patrimonio

63



GEOGRAFIE DELL’OLIO LUIGI CARICATO

GEOGRAFIE DELL’OLIO

65

VIAGGIO NELL’ITALIA OLIANDOLA Seconda puntata del viaggio nell’Italia oliandola*. * la prima puntata è stata presentata in Karpòs n.2.

Luigi Caricato


Umbria DOP UMBRIA

Profilo sensoriale:

verde smeraldo dalle sfumature dorate, ha note fruttate mediamen te intense, dalle connotazioni erba cee. Al palato sono sapidi e ro bu sti , con netti rimandi al carciof o e al cardo, e finale piccante in evidenz a. Abbinamento

zuppe di funghi, frittelle: di granturco, lepre alla cacciatora.

Piatto della tradizi one:

spaghetti alla norcina.


67

GEOGRAFIE DELL’OLIO LUIGI CARICATO



Abruzzo

DOP APRUTINO PESCARESE

Profilo sensoriale:

giallo oro dai riflessi verdolini, ha note fruttate erbacee mediamente a intense con richiami all’oliva verde e o ciof car di li sentori vegeta e cardo; morbido e rotondo, ha sensazioni amare e piccanti nette e ben dosate; in chiusura frutta secca ed erbe di campo. Abbinamento:

di maccheroni con i ventricini, ciambellece. bra patate, carni di maiale alla

Piatto della tradizione:

arrosticini.

DOP COLLINE TEATINE Profilo sensoriale:

giallo dorato intenso, ha note fruttate leggere vegetali, con rimandi netti al carciofo; gusto avvolgente e morbido, amaro e piccante equilibrati; cardo selvatico ed erbe di campo in chiusura. Abbinamento:

antipasti di mare, insalate verdi, pesci al cartoccio. Piatto della tradizione:

tiella.

DOP PRETUZIANO DELLE COLLINE TERAMANE Profilo sensoriale:

verde dai riflessi dorati, ti ha profumi intensi e vegetali, con netè sentori di cardo e carciofo; al gusto morbido e vellutato, fine e armonico, vegetale, con richiami eleganti alla di mandorla amara; in chiusura sentori e. mela e lieve punta piccant

Abbinamento:

ni zuppe di legumi, verdure gratinate, car . rosse alla piastra Piatto della tradizione:

tiella.



GEOGRAFIE DELL’OLIO LUIGI CARICATO

71

Molise DOP MOLISE

Profilo sensoriale:

giallo dorato da verdolini, ha profumi dii riflessi m intensità, erbacei; al paedia ha buona fluidità e arm lato rimandi all’erba di camonia, alla mandorla amara; po e punta piccante in chiuslieve ura. Abbinamento:

spaghetti alle ali insalate verdi e di marci, e, crostacei al vapore.

Piatto della tradizi one:

patate al coppo.


Toscana

IGP TOSCANO

Profilo sensoriale:

verde dai rilfessi dorati, ha note fruttate tendenzialmente medie o intense, erbacee, dai sentori di carciofo e cardo che si ritrovano anche al gusto, una buona fluidità e corpo, con amaro e piccante netti ma i note astringenti. liev e armonici, Abbinamento:

zuppe di legumi, verdure grigliate,. tagliata alla rucola Piatto della tradizione:

ribollita.

DOP CHIANTI CLASSICO

Profilo sensoriale:

verde dai riflessi dorati, ha profumi mediamente intensi con rimandi all’oliva fo verde e fragranze vegetali di carcio e ido sap to gus po; cam ed erbe di dità avvolgente, toni speziati, buona flui e are am e not con a, e lieve astringenz ra. piccanti in equilibrio; noce in chiusu

Abbinamento:

e, fagioli al fiasco, barbe di prete fritt e. coniglio alle olive ner Piatto della tradizione:

stracotto al Chianti Classico. DOP LUCCA

Profilo sensoriale:

giallo dorato dai riflessi verdolini, ha note fruttate medie e sentori erbacei e rimandi al cardo; buona fluidità le di e armonia al palato, gusto vegeta te can pic e carciofo e sedano, amaro equilibrati; mandorla e lieve punta piccante in chiusura.

Abbinamento:

vola, timballi di riso con zucchine e pro ferri. ai e nch bia carni

Piatto della tradizione:

tordelli di Lucca.

DOP TERRE DI SIENA

Profilo sensoriale:

verde dai riflessi dorati, ha profumi intensi o mediamente intensi, erbacei, con rimandi a cardo e noce; morbido e avvolgente al pal con note amare e piccanti armoni ato, che gusto vegetale; progressiva punta, piccante ed erbe di campo in chiusu ra. Abbiname

minestre di legumi, insalata di fagnto: ioli zucchine e ravanelli, carni nere alla, brace. Piatto della tradizione:

lepre in dolce e forte. DOP SEGGIANO

Profilo sensoriale:

verde dai riflessi dorati, ha note fruttate leggere, erbacee; buona fluidità, morbidezza e armoni al palato, amaro ben dosato e gus a vegetale di carciofo; toni mandorlatto sentori di frutti di bosco e lieve pun i, ta piccante in chiusura. Abbinamento

creme di legumi, patate in guazze : tto di porcini, cinghiale in agrodolce. Piatto della tradizione:

schiaccia con cipole e acciughe.


73

GEOGRAFIE DELL’OLIO LUIGI CARICATO



Lazio

DOP CANINO

Profilo sensoriale:

giallo oro dai riflessi verde dai riflessi dorati, ha note e, fruttate di media intensità, erbace do; car con rimandi al carciofo e al gusto vegetale fine e armonico, frutta bianca e mandorla. In chiusura lieve punta piccante e sentori di erba di campo.

DOP TUSCIA

Profilo sensoriale:

Abbinamento:

verde dai riflessi dorati, ha note fruttate di media intensità dai sentori vegetali di erbe di campo e cardo; avvolgente e morbido, ha buona fluidità e armonia delle note amare e piccanti; toni erbacei e richiami a mandorla verde e mela in chiusura.

Piatto della tradizione:

fagioli con le cotiche, insalate di farro, lumache al pomodoro.

passati di carciofo al naturale, ni di fesa olti inv insalate verdi, molata cre con di tacchino di verdure. acquacotta laziale. DOP SABINA

Profilo sensoriale:

verde dai riflessi dorati, ha profumi di media intensità e sentori vegetali e di carciofo ed erbe di campo; fineto, gus al delicato e amare e picnot con , ido sap ma canti in ottimo equilibrio; rimandi alla mandorla in chiusura. Abbinamento:

zuppa di patate e carciofi, sformatino di fagioli e pomodori crudi, carni bianche alla griglia. Piatto della tradizione:

stracci di Antrodoco.

Abbinamento:

Piatto della tradizione:

luccio alla bolsenese.

DOP COLLINE PONTINE Profilo sensoriale:

verde tenue dai riflessi dorati, ha note fruttate erbacee di media intensità e richiami di frutta bianca; armonico al palato, ha gusto vegetale di carciofo e sedano, amaro in evidenza ma ben dosato; una punta piccante in chiusura. Abbinamento:

bruschette alle telline, verdure gratinate, carni bianche ai ferri. Piatto della tradizione:

bazzoffia dell’agro pontino.


segno peculiare del territorio. Talvolta anche un singolo podere può fare la differenza rispetto a quello del vicino. La qualità che diventa eccellenza è la diretta espressione di un insieme di fattori: l’ambiente di coltivazione, le cultivar d’olivo e, particolare fondamentale, la capacità dell’uomo di estrarre dalle olive una unicità che reca in sé la propria impronta, proprio come nei grandi vini in cui è l’enologo a fare la differenza. Nel caso dell’olio, c’è la figura professionale dell’oleologo. La qualità è la sintesi delle progettualità umane. Il motivo per cui certe regioni si sono distinte più di altre è l’avere avuto gli uomini giusti. In Toscana, nelle proprie tenute, il barone Bettino Ricasoli, il secondo presidente del Consiglio del Regno d’Italia, faceva riunire la domenica i contadini per farli istruire secondo le regole del “suo” catechismo rurale. I risulati? Si vedono ancora oggi.

Le molteplici anime espressive con cui si caratterizza il ricco patrimonio di olivi presenti dal sud al nord del Paese, isole comprese, offrono la possibiltà di tracciare un’utile “mappa sensoriale” dalla quale partire per orientarsi con piena consapevolezza a tavola come in cucina. Nessuno trascuri la grande varietà degli oli italiani. Dopo la puntata precedente, incentrata sugli extra vergini dell’area più a settentrione del Paese, questo mese è la volta delle produzioni del Centro Italia. Sono davvero numerose e variegate le spremiture di oliva d’eccellenza, gran parte delle quali vantano la tutela derivante dalla presenza del bollino delle denominazioni di origine protetta. Una garanzia in più perché una DOP parte dal presupposto che ci sia sempre un disciplinare di produzione che detta le regole cui fare riferimento. Se davvero si vuole la certezza dell’origine, più che al generico made in Italy occorre prestare massima attenzione ai singoli territori certificati e approvati da un panel di degustatori che ne hanno approvato la bontà all’assaggio prima della immissione in commercio. Pensateci, è solo in questo modo che si potranno apprezzare le rare unicità altrove inimitabili. Ogni regione ha una propria identità esclusiva, ma anche ogni provincia può vantare il

76 GEOGRAFIE DELL’OLIO LUIGI CARICATO

Luigi Caricato Olio Officina


Marche

DOP CARTOCETO

Profilo sensoriale:

verde dai riflessi dorati, ha note fruttate di media intensitĂ , o medio-leggere, erbacee, con rimandi a carciofo e cardo; gusto vegetale fine e armonico, con sensazioni di frutta bianca e mandorla. In chiusura lieve punta piccante ed erba di campo. Abbinamento:

insalate verdi e di mare, fritture nobili, carni bianche ai ferri. Piatto della tradizione:

sardoncini marinati.



PICCOLI FRUTTI, RISORSA DEL PIEMONTE

Il succo di mirtilli, lamponi, rovi, ribes, more, uva spina e fragoline di bosco, nell’ambito di una dieta varie e bilanciata, contribuisce al benessere oculare e può limitare fattori di rischio cardiovascolare. Michele Baudino

AGRICOLTURA OGGI MICHELE BAUDINO

AGRICOLTURA OGGI

79



G

li elevati livelli qualitativi dei “piccoli frutti Cuneo” sono la diretta conseguenza di una felice combinazione di fattori naturali e di scelte attente dei frutticoltori. Gli areali di fondovalle del cuneese, caratterizzati da suoli tendenzialmente acidi-subacidi – con elevata dotazione in sostanza organica e drenanti – bene si prestano alla coltivazione di lamponi, mirtilli, ribes, more, uva spina e fragoline di bosco, assicurando un flusso costante e diversificato di prodotto alla filiera commerciale. L’ambiente consente alle aziende di effettuare contemporaneamente, tutte le produzioni dei piccoli frutti che crescono in una fascia altimetrica compresa tra i 250 ed i 1.500 metri s.l.m. Il clima è fondamentale nella produzione: l’intensa escursione termica giornaliera e l’elevata luminosità degli ambienti di coltivazione conferiscono alle bacche aspetti qualitativi di eccellenza. Attualmente il cuneese rappresenta, a livello regionale, uno dei poli di maggior produzione per il settore dei “piccoli frutti” e la Regione Piemonte, a livello nazionale, si colloca in seconda posizione dopo il Trentino per superfici e produttività.

areali pedemontani del cuneese e degli ambienti di fondovalle del Piemonte, sono altamente favorevoli alla coltivazione del lampone, esaltando sia le rese che i suoi aspetti qualitativi come la colorazione delle drupeole, l’aromaticità, i contenuti zuccherini, la consistenza e shelf-life dei frutti nel post raccolta. Di contro la gestione del lamponeto (il cui deperimento è imputabile alla Phytophthora spp., un fungo che porta a morte la pianta) deve avvenire su superfici contenute, in quanto occorre tener conto di alcuni elementi: 1) la necessità di effettuare raccolte ravvicinate (anche giornalmente nella fase centrale estiva); 2) l’elevata richiesta di manodopera per le operazioni di raccolta; 3) la forte deperibilità del prodotto. TIPOLOGIA, HANDICAP E CARATTERISTICHE Considerato che la stagione per gustarli va da fine giugno a tutto settembre, nel corso del tempo sono stati modificati i calendari di produzione, andando ad ampliare i periodi di raccolta. Coltivato in filari, distanti due metri e mezzo uno dall’altro, le piante raggiungono anche i due metri di altezza. Una volta raccolto, va consumato il giorno dopo, altrimenti cambia e la sua croccantezza si perde completamente. Che sia unifero (che produce una volta sola) o rifiorente (che produce durante tutta l’estate), si contano, a livello mondiale, oltre 80 cultivar differenziate per epoca di raccolta, per qualità di frutti e loro forma: se conici (i più graditi), allungati oppure rotondeggianti. Ma le cultivar usate non superano i 20 tipi. Il frutto formato dall’unione di più drupeole è composto da una parte interna, che rappresenta il ricettacolo del fiore (non commestibile). Basta guardarlo per notare che si presenta “a grappolo”, con dei frutti di dimensioni molto piccole, attaccati l’uno all’altro. Pianta molto rustica, non necessita di particolari trattamenti antiparassitari: di norma si fa un intervento (massimo due) durante il ciclo colturale. Le coltivazioni del lampone vengono fatte all’interno di aziende medio-piccole, perché il lampone ha un grande handicap gestionale: la raccolta è molto onerosa e le rese sono limitate. Un operaio raccoglie al massimo 3-4 chili all’ora e non si può pensare di coltivare ettari di lampone, perché non si riesce a raccoglierli. Ancora oggi, in particolare nel cuneese, l’estensione del lampone è rapportata alla manodopera disponibile in azienda. Produrlo è un’operazione “naturale” da queste parti: il lampone predilige suoli a pH neutro e si adatta a tanti tipi di terreni, non ha particolari esigenze.

LAMPONE Le api vanno matte per i suoi fiori, noi per i frutti. Piccoli e molto gustosi, questi rossi vegetali sono ricchi di vitamine e antiossidanti e possono combattere alcuni disturbi cardiovascolari. Secondo qualcuno il Rubus idaeus sarebbe perfino in grado di regolare il ciclo mestruale femminile. Vero è che il lampone unifero è la coltivazione che ha più tradizione per il Piemonte, dove le prime esperienze di coltura risalgono agli anni Sessanta, quando ancora nessuno sapeva come coltivarli e si procedeva per tentativi. In Italia fu un’anteprima introdotta da alcuni commercianti che li aveva visti a Grasse, nel nizzardo (Francia). Il prodotto, coltivato nelle vallate del cuneese, era destinato prioritariamente all’industria di trasformazione sia liquoristica che cosmetica. Dieci anni dopo, gli investimenti già superarono i 200 ettari; successivamente, a seguito della forte contrazione dei margini di redditività della coltura, si sono evidenziate significative contrazioni nelle tradizionali aree di coltivazione delle superfici investite. Attualmente, si attribuisce alla coltura una diffusione, a livello regionale, su circa 40 ettari con una produzione annua che sfiora le 400-420 tonnellate. Grazie alla diffusione di cultivar rifiorenti, i periodi di commercializzazione si sono dilatati assicurando un costante flusso di prodotto sui mercati nazionali per l’intero arco estivo (da giugno a ottobre inoltrato). Le particolari situazioni pedoclimatiche che si registrano negli

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MIRTILLO In Italia il Vaccinium corymbosum è arrivato dall’America alla metà degli anni Settanta: lo portò il professor Carlone dell’Università di Torino. Dapprima su porzioni di terreno contenute, alla fine degli anni Ottanta ha invaso l’area collinare nel saluzzese, interessata notoriamente da melo e pesco, e nel cuneese. Attualmente ci sono delle aziende che hanno in produzione 3-4 ettari di mirtillo gigante americano. Anche la zona di Torino e di Pinerolo, oltreché all’area storica sulle pendici della Bisalta e della valle Po, sono

Varietà di mirtillo DUKE: varietà a maturazione precoce particolarmente diffusa nell’areale piemontese. Presenta bacche di elevate dimensioni, buona tenuta in fase di post raccolta ed elevate qualità organolettiche. Buona tolleranza delle piante ai geli invernali; agevole lo stacco. Attraente per il colore azzurro della buccia associato ad una marcata presenza di pruina esterna. DRAPER: pianta ad elevata produttività, produce bacche di grande qualità. BLUECROP: cultivar a maturazione intermedia, si presenta sottoforma di cespugli vigorosi ed eretti; tollerante ai geli invernali, frutti di buona consistenza il cui colore è azzurro. LEGACY: cultivar caratterizzata da piante a portamento eretto, presenta bacche di dimensioni medie; cresce a fondovalle e a quote non superiori ai 500 metri s.l.m. OZARKBLUE: cultivar di recente introduzione a maturazione intermedia, presenta frutti di medio-elevate dimensioni. COVILLE: pianta a cespuglio particolarmente produttivo, ha frutti che non risentono delle piogge nel periodo della raccolta. LIBERTY: nuova cultivar di mirtillo inserita recentemente nei campi sperimentali del CReSO (Consorzio Ricerca e Sviluppo per l’Ortofrutticoltura piemontese), ha bacche che, per migliorarne la regolarità dei calibri, occorre effettuare razionali potature delle piante. AURORA: rappresenta la cultivar a maturazione più tardiva ed è adatta a coltivazioni nelle aree di fondovalle.

interessate alla coltivazione di mirtillo per circa 190 ettari: è il polo produttivo più importante a livello nazionale anche perché in queste vallate, la pianta si trova a suo agio e lavora molto bene, prediligendo suoli molto acidi. Inizialmente si sono avvicinati alla coltura di mirtillo aziende diretto coltivatrici di mediepiccole dimensioni operanti nel comparto produttivo della fragola. Successivamente si sono avvicinate aziende di dimensioni medio-elevate, con comparti di 2-3 ettari improntate ad indirizzo “frutticolo” le quali, sfruttando particolari situazioni pedologiche, hanno cercato di diversificare il loro panorama produttivo puntando sul mirtillo anche in relazione alle epoche medio precoci di maturazione che lo caratterizzano. Alla diffusione della coltura negli areali di pianura del Piemonte ha contribuito, in questa fase, in modo rilevante anche la costituzione di “campi dimostratividivulgativi” impostati dalla Regione Piemonte in collaborazione con CReSO, le organizzazioni professionali ed i Settori Territoriali all’Agricoltura decentrati. Questi hanno svolto un ruolo trainante nella divulgazione delle risultanze sperimentali scaturite dalle osservazioni di campo condotte all’interno della collezione varietale di Boves. Le produzioni di mirtillo vengono destinate esclusivamente al mercato del fresco; le caratteristiche interne delle bacche non ne consentono infatti un’utilizzazione industriale per la produzione di confettura e/o gelati. Le epoche di maturazione sono variabili e sono legate strettamente alle situazioni meteorologiche dell’areale; di norma si verificano immissioni sul mercato delle produzioni ottenute negli ambienti pianeggianti del vercellese seguite poi dalla collina saluzzese e torinese per finire agli ambienti di montagna del cuneese.

MIRTILLO COMPOSIZIONE PER 100 GRAMMI DI PARTE EDIBILE Parte edibile (%)

98

Sodio (mg)

3

Acqua (g)

77,4

Potassio (mg)

370

Proteine (g)

0,9

Ferro (mg)

1,3

Lipidi (g)

tr

Calcio (mg)

60

Clesterolo (g)

0

Fosforo (mg)

43

Carboidrati disponibili (g)

6,6

Magnesio (mg)

-

Amido (g)

0

Zinco (mg)

-

Zuccheri solubili (g)

6,6

Rame (μg)

-

Fibra totale (g)

3,6

Selenio (mg)

-

Fibra insolubile (g)

-

Tiamina (mg)

0,03

Fibra solubile (g)

-

Riboflavina (mg)

0,06

Alcol (g)

0

Niacina (mg)

0,30

Vitamina A retinolo eq. (μg)

17

Energia (kcal)

28

Vitamina C (mg)

100

Energia (KJ)

119

Vitamina E (mg)

-

Fonte INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione


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Cuneo

Trento

Italia

Europa

Mirtillo

90 ha 130-150 t

85 ha

220 ha

4.105 ha

Lampone

41 ha 150-180t

89 ha

200 ha 1.500-2.000 t/anno

122.757 t

Mora

7-10 ha 120 t

500 t 42 ha

60 ha 600 t/anno

7.692 ha 47.399 t

Ribes

7-10 ha 120 t

100 ha 700 t/anno

900 t/anno


critica per le piante si colloca nel periodo di fioritura dove abbassamenti termici con valori assoluti di 4-7°C sotto zero possono compromettere l’allegagione dei frutticini. Negli ambienti di montagna le piante subiscono danni rilevanti, in particolare nei primi anni di coltivazione, da coperture nevose elevate con scollatura dei tralci e rotture dei germogli.

I primi stacchi si effettuano a inizio giugno per proseguire poi sino ad agosto inoltrato con una punta di offerta tra la prima e la seconda-terza decade di luglio. Il prodotto viene di norma convogliato sui mercati interni nazionali e rientra nella composizione di cassette “misto bosco” particolarmente accette dal mercato. I periodi di maggior interesse per la coltura sono, senza dubbio, la fase precoce (giugno) ed il periodo tardo estivo-autunnale (settembre-ottobre). Le produzioni precoci si ottengono sia sfruttando ambienti di coltivazione pianeggianti (ad esempio nel vercellese), sia adottando tecniche di “forzatura” mediante utilizzo di appositi tunnel per anticipare la fase di maturazione. Le richieste tardive di mercato vengono soddisfatte solo in parte da coltivazioni di alta quota; la maggior presenza di prodotto deriva da una fase di “conservazione” effettuata dal settore commerciale. La coltura presenta alcune esigenze pedoclimatiche che possono essere ostacolo alla diffusione; tra queste citiamo la necessità di utilizzare per gli impianti suoli a reazione acida (pH ottimale con valori compresi tra 5 e 5,8), ricchi in sostanza organica, di struttura sciolta onde evitare ristagni in prossimità della radice, con buona dotazione di acqua per soddisfare le esigenze idriche della coltura in fase estiva. Sopporta abbastanza bene i geli invernali; la fase

ROVO Meno diffuso rispetto al lampone e al mirtillo, viene coltivato soprattutto nell’area pedemontana del cuneese. Pianta molto vigorosa, si adatta a suoli pesanti. Predilige ambienti caldi e non è adatta a coltivazioni sopra i 600–700 metri sopra il livello del mare. L’allevamento consigliato avvantaggia i giovani ricacci in verticale (da cimare in estate per favorire l’emissione di rami laterali anticipati), mentre i tralci che portano frutto vanno aperti a ventaglio. La coltura della mora di rovo (Rubus fruticosus appartiene alla famiglia delle rosacee) ha una diffusione nazionale ridotta ed è limitata alle zone del nord Italia: Piemonte, Trentino-Alto Adige, Lombardia e Friuli Venezia Giulia rappresentano il 75% della produzione nazionale. Essendo di origine ibrida, le cultivar di rovo in commercio presentano un aspetto vegetativo e morfologico molto diversi tra loro: prevalentemente unifere, vengono distinte in base al portamento in striscianti, erette e semierette (questo, favorisce il

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richiede raccolte a 6-7 giorni di distanza), ha un frutto che anche maturo rimane in pianta e migliora le sue caratteristiche qualitative, aumentando gli zuccheri e gli aromi.

contenimento dei costi legati alle operazioni colturali e di raccolta). La maturazione avviene dall’inizio di giugno e si protrae fino a meta settembre. Suddivise in precoci (dall’inizio di giugno all’inizio di luglio), medie (da fine giugno a fine luglio) e tardive (da fine luglio a meta settembre), gli stacchi delle cultivar (diverse dal rovo che cresce spontanea nel bosco) si concentrano comunque da luglio a settembre. Il rovo rientra nella gestione dei piccoli frutti, perché viene usato nella composizione delle cassette misto bosco. Presente nella fascia montana dagli 800-900 metri fino ai 1200 metri, ci sono testi che documentano la sua raccolta già nel 1800. Si parla di raccoglitori di frutti spontanei da parte dei pastori di un tempo, quelli che vivevano di più la montagna o gli agricoltori della media-bassa valle che, durante l’estate, si spostavano e andavano in altura per fare la raccolta dei vari piccoli frutti spontanei, che venivano venduti da operatori del luogo e commercianti locali. Raccolto manualmente o con l’ausilio di pettini per portar via le bacche dalla pianta, spesso era usato nella formazione di confetture. La pianta (pluriennale), viene messa a dimora in autunno e dura in produzione (come il lampone) 12 anni: basta fare una buona gestione agronomica e una buona potatura, la pianta riparte e produce in modo costante. Raccolto ogni 3-4 giorni (al contrario del lampone raccolto a giorni alterni e del mirtillo, che

RIBES In Piemonte si segnalano le tipologie a bacca rossa Rovada, Jounker, Junifer e Redpoll. Tra le cultivar a bacca bianca invece le tipologie Blanka e Werdavia. I grappoli di ribes sono utilizzati soprattutto per fare il “misto bosco”, le particolari caratteristiche delle bacche, in particolare l’elevata acidità dei succhi, rende questo frutto poco gradito al consumatore. Le piante prediligono suoli soffici, areati e ricchi di humus. Esigenti in acqua, molte cultivar sono autosterili per cui è necessario allevare almeno due cultivar per migliorare l’impollinazione, facendo l’impianto a novembre e marzo/aprile, da allevare a spalliera (ribes rosso, come per l’uva spina) oppure a cespuglio (ribes nero). Al mondo esistono oltre 100 cultivar di ribes e i maggiori coltivatori sono i polacchi. Raccolto da inizio giugno fino ai primi di agosto, è una pianta arrivata in Italia negli anni Sessanta: attualmente se ne contano 20 ettari nella zona del cuneese che rendono 2500 quintali. La sua tenuta in frigo è molto buona: resiste anche due mesi. La fase di conservazione può determinare alterazioni

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al rachide con disseccamento diffuso mentre non si evidenziano particolari danni alle bacche. Il mercato privilegia grappoli lunghi anche 20-25 centimetri, con bacche disposte a lisca di pesce lungo il rachide. Raccomandato dai medici per i suoi effetti protettivi nei confronti di polmoni di cui aumenta le difese naturali contro le infiammazioni, è notizia di questi giorni che il ribes nero (o Ribes nigrum), oltre a essere un delizioso frutto di bosco è famoso per il suo utilizzo in erboristeria. In genere sotto forma di tintura madre (o alcolica) è noto ai più per le sue proprietà diuretiche, depurative, astringenti e antiallergiche. Tuttavia, forse non tutti sanno che il ribes nero è molto ricco di antiossidanti, quelle sostanze attive nel combattere il processo d’invecchiamento e l’ossidazione del corpo, e rappresenta un rimedio efficace nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, tra cui attacchi cardiaci, scompenso cardiaco e ictus.

in Italia da mezzo secolo, la sua coltivazione risale al 1700; dall’Inghilterra le cultivar selezionate ben presto si diffusero in altri paesi Europei, specialmente in Germania. Chiamata anche uva spinella, uva dei frati e uva ursina, è una pianta difficile da gestire. Già il nome, fa capire che cosa è l’uva spina: una pianta con delle spine pungenti, che mettono in difficoltà tutte le operazioni colturali (potatura e raccolta). Nella gestione è molto simile al ribes, ma ha spine tanto lunghe e pungenti da perforare anche le ruote dei trattori. Alcune varietà, le hanno lunghe come chiodi, fino a 7-8 centimetri. Dunque è facile pensare che a “certi livelli” diventa perfino pericolosa da coltivare ma soprattutto da raccogliere. Aggredita da un fungo (il “mal bianco”) che sovente la sceglie come dimora, la sua produzione si sta eliminando pian piano. Da raccogliere tra giugno e agosto, maturando in tre settimane, la raccolta viene eseguita in 2-3 riprese, in quanto i frutti si mantengono sulla pianta molto a lungo. Le cultivar europee, che derivano da Ribes grossularia, sono meno rustiche di quelle americane. Tutte di provenienza straniera, sono abbastanza numerose le varietà che si adattano alle nostre condizioni climatiche. Destinata al mercato fresco, l’uva spina è utilizzata dall’industria alimentare per l’inscatolamento ed il confezionamento di gelatine e macedonie. Dal punto di vista salutistico, i frutti garantiscono un’azione diuretica e lassativa blanda. La tradizione popolare la consiglia ai sofferenti di dolori reumatici e gotta; il succo viene utilizzato per gargarismi nelle infiammazioni del cavo orale.

UVA SPINA Le varietà coltivate appartengono al genere Ribes grossularia; presentano bacche di colore rosso, giallo o verde pallido, dal sapore acidulo, in Italia è poco usata e difficile da reperire. Piante alte sino a due metri, il colore del frutto varia dal verde pallido al giallastro, dal rosato al violetto, a seconda della cultivar. In tutte la buccia è trasparente e lascia intravedere i semi e la vascolarizzazione della polpa. All’apice persiste (disseccato) un abbondante residuo del perianzio, che risulta fastidioso al consumo. In genere i frutti sono singoli oppure in numero di due. Malgrado sia arrivata

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a un risveglio dei consumatori italiani, perché ci sono alcune nuove varietà entrate in commercio recentemente che hanno una elevata produttività. Le fasi salienti della pratica agronomica sono tre: dopo l’aratura e la fresatura del terreno (a fine inverno o piena estate a seconda che si tratti di fragola rifiorente o unifera), si procede, meccanicamente, alla formazione della classica baulatura del suolo con contemporanea stesura del telo plastico pacciamante avendo cura di posizionare, tra il suolo e la pacciamatura, apposite ali gocciolanti con cui verranno soddisfatte le esigenze irrigue e nutrizionali della pianta. Di recente, proprio nell’areale della Bisalta, si è diffusa la tecnica di produzione in “fuori suolo” della fragola. Le positive esperienze maturate in diverse situazioni hanno spinto molti operatori – in particolare nel caso di cultivar rifiorenti – a ricorrere a questa innovativa tecnica colturale. Il “fuori suolo” che caratterizza questo areale di produzione, prevede l’impiego di substrati ottenuti da compost di scarti vegetali maturati in aziende di compostaggio piemontesi mentre gli apporti irrigui alla coltura vengono soddisfatti posizionando ali gocciolanti lungo le linee di coltivazione. La messa a dimora delle piante avviene in epoche diverse. Per la fragola unifera gli impianti si effettuano tra fine giugno e inizio luglio (qualora si utilizzino piante frigoconservate) o in agosto (con piante vegetanti). Per le fragole rifiorenti si attende settembre o la fine dell’inverno in funzione del tipo di materiale da utilizzare (vegetante o conservato). Negli ultimi anni, accanto alla tradizionale fragola unifera primaverile,

FRAGOLA E FRAGOLINA DI BOSCO La fragola (Fragaria x ananassa) e la fragolina di bosco (Fragaria vesca) possono essere considerate i frutti più belli tra i “piccoli frutti” dal punto di vista estetico. La fragolina di bosco ci ricorda le raccolte nei castagneti, con i barattoli che si usavano (in dialetto locale i “tulin”) in alluminio per raccoglierle. Piccola “goccia” di nettare rosso, conosciuta e apprezzata già in epoca preistorica, nella Bibbia, nelle favole mitologiche e in alcuni dei più antichi trattati di medicina e botanica, si trovano elogi e menzioni di questo prelibato frutto. Non sono pochi i naturalisti a credere che la fragola fosse coltivata in Grecia e nei giardini Latini. In realtà non si trova in alcuna memoria come questa pianta fosse oggetto di coltivazione, da parte sia dei Greci, sia dei Romani. Essa era allora conosciuta come pianta da frutto spontaneo, tipica delle zone boschive, ma non era considerata come vivanda, né perciò ricercata. Sappiamo solo che era un frutto selvatico amato, nel Medioevo divenuto perfino il simbolo della tentazione. Per quanto riguarda la fragola è oggi oggetto di coltivazione in molte aziende dell’areale cuneese; negli anni Sessanta–Settanta ha interessato un numero rilevante di aziende agricole locali. La fragolicoltura dell’areale della Bisalta si è estesa, interessando aziende situate nelle aree montane e nella vicina pianura di Cuneo, raggiungendo il suo picco a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Oggi, che la fragola viene raccolta da giugno a luglio (nelle zone collinari anche da fine aprile), si assiste

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si sono diffuse coltivazioni di fragole rifiorenti (neutral day); questa tipologia varietale presenta una scalare emissione di grappoli fiorali e, conseguentemente, una maturazione durante tutta l’estate. Esteticamente il frutto è conico, allungato, consistente. Molto debole da conservare, una volta raccolto, il prodotto va consumato entro 12 ore: poi si altera.

L’Alpine strawberry white soul e la White beach strawberry sono un esempio. Anche se, di fragole bianche ne esistono molti tipi come la Pineaple Crush, che deve il nome alla forma allungata e non al sapore; la tedesca White Solemacher, la Frost King e l’Ivory.

FRAGOLE BIANCHE Frutto prediletto da poeti e santi, chi crede esistano in commercio solo le fragole rosse sbaglia. Varianti selvatiche di fragaria ce ne sono diverse che, al colorito pallido, associano il gusto del frutto tradizionale.

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Michele Baudino Responsabile settore ortaggi, fragole e piccoli frutti del CReSO (Consorzio Ricerca e Sviluppo per l’Ortofrutticoltura piemontese) - Cuneo




AGRICOLTURA OGGI MASSIMO COCCHI, GIOVANNI LERCKER

AGRICOLTURA OGGI

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ALIMENTI NUTRACEUTICI E ALIMENTI FUNZIONALI: QUALI DIFFERENZE? Massimo Cocchi, Giovanni Lercker


I

l’impiego di additivi, come per esempio coloranti, dolcificanti e un ampio numero di altri composti che non hanno le caratteristiche di alimento, ma sono impiegati come modificatori delle proprietà reologiche o dell’acidità, incrementano la stabilità dei colori o il tempo di conservazione (shelf life), agiscono come “umettanti” o intensificanti del sapore, ecc. Da pochi anni, alimenti funzionali, modellati e nutraceutici (detti anche nutriceutici) sono termini scambievolmente impiegati con riferimento agli alimenti o a ingredienti isolati che apportano benefici fisiologici non nutrizionali capaci di proteggere la salute. Comparsi negli Stati Uniti intorno al 1990 essi hanno rappresentato, nel mercato statunitense, un fatturato da 86 miliardi di dollari nel 1996, con una velocità di crescita intorno al 7,5%. Questo genere di prodotti alimentari, che si stanno diffondendo anche in Italia, risponde a una generale richiesta da parte del consumatore di ottimizzare la propria salute attraverso il consumo di alimenti. La definizione più adatta per questo genere di alimenti non è stata ancora ben formulata; quelle più accreditate nel definire gli alimenti funzionali e gli alimenti nutraceutici sono: a. “Un alimento funzionale è simile in apparenza a uno convenzionale, è consumato come parte di una dieta usuale, ha dimostrato benefici fisiologici e/o riduce il rischio di malattie croniche attraverso funzioni nutrizionali di base”. b. “Un nutraceutico è un prodotto generato partendo da alimenti ma commerciato in pillole, polveri, pozioni e altre forme medicinali non generalmente associate agli alimenti e che ha dimostrato di avere un beneficio fisiologico o di esercitare una protezione contro malattie croniche.”

l termine “proprietà funzionali”, associato a un alimento, ha subito, recentemente, un’evoluzione dell’uso e corrisponde in questo momento a una serie di significati diversi. Per gli aspetti delle proprietà tecnologiche, queste sono responsabili dell’esistenza di numerosissimi prodotti alimentari di qualità desiderabile. Infatti, ad esempio, le pectine contribuiscono alla consistenza caratteristica delle mele mature e rendono possibili gelatine perfette a protezione di certi alimenti; vari altri polisaccaridi sono agenti d’ispessimento (addensanti) e di gelificazione a differenti intervalli di acidità; determinati amidi, sono resistenti alla retrogradazione-modificazione, ad esempio, responsabile dell’indurimento del pane; gli alginati agiscono come protezione non congelata di alimenti sterilizzati; il fruttosio ritarda l’essiccamento (invecchiamento, indurimento) nei biscotti; monodiacilgliceroli, fosfolipidi e proteine servono per emulsionare i lipidi e per stabilizzare le emulsioni negli alimenti; proteine anticongelanti diminuiscono la formazione di ghiaccio in diversi prodotti e il glutine svolge un ruolo preminente nel produrre la struttura caratteristica del pane. Effetti tecnologicamente funzionali possono essere realizzati anche mediante

Diversi termini indicanti gli alimenti funzionali e nutraceutici, spesso utilizzati con la stessa finalità Functional food, Pharmafood, Designer food Vitafood, Phytochemical, Foodaceutical Meno frequentemente: medical foods, dietary supplements, herbal products, botanicals

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In Giappone, dove l’interesse per gli alimenti funzionali risale al lontano 1980, questi alimenti sono definiti come “Alimenti per specifici impieghi per la salute” (FOSHU) e sono così descritti: • sono previsti avere un effetto specifico sulla salute dovuto a costituenti rilevanti nell’alimento; • sono alimenti dai quali sono stati rimossi degli allergeni, gli effetti della cui addizione o rimozione sono stati scientificamente valutati e di cui è stata concessa l’autorizzazione di vantare lo specifico effetto benefico sulla salute atteso dal loro consumo; • non presentano rischi alimentari o igienici. È ormai a conoscenza di molti che diversi alimenti consumati da tanto tempo, soprattutto quelli tradizionali, per motivi differenti possono essere già considerati naturalmente nutraceutici Personalmente crediamo nelle produzioni di alimenti funzionali, quindi nell’efficacia legata a incrementi di elementi interessanti che portano ad alimenti funzionali, più che a inserimenti ex novo in alimenti normalmente privi di tali elementi. Questa convinzione deriva dalla conoscenza degli effetti di alcune sostanze presenti nei sistemi naturali che diminuiscono la loro attività sull’organismo umano quando sono somministrati una volta estratti e purificati. La presenza di chissà quante altre sostanze che normalmente accompagnano i costituenti funzionali nell’alimento naturale, svolge un ruolo importante nell’efficacia della sostanza “attiva”. Le ricerche condotte sui sistemi alimentari (materie prime e prodotti finiti), negli ultimi decenni, hanno

rivelato che negli alimenti sono presenti quantità variabili di molti costituenti particolarmente importanti dal punto di vista nutrizionale. Fra questi è doveroso ricordare gli acidi grassi essenziali (pesci e particolari vegetali), gli antiossidanti (prodotti ortofrutticoli e vegetali in genere, spezie e altri prodotti), le vitamine (succhi di frutta e di vegetali), determinati microelementi, acidi grassi omega-3, acidi grassi coniugati dell’acido linoleico, ecc. L’arricchimento in elementi di tale natura, attraverso i mezzi possibili (selezione genetica, tecnologia di trasformazione, stimolazione attraverso metodi particolari, sistemi d’allevamento), costituisce già la più semplice forma di alimenti funzionali. Anche se normalmente si rilevano gli effetti negativi dei trattamenti termici, per la formazione di sostanze indesiderate e per la riduzione quantitativa di molti elementi interessanti - soprattutto nei trattamenti a elevata temperatura - esistono dei casi assolutamente positivi. Ad esempio, la tostatura di molti cereali e del caffè è capace di produrre sostanze interessanti per l’organismo umano, attive nell’assunzione dei corrispondenti prodotti. Alcuni trattamenti termici sono in grado di ridurre le sostanze antinutrizionali naturalmente contenute, come la solanina nelle solanacee (pomodoro e patata), mentre in altri casi sono in grado di liberare sostanze attive nell’incrementare le proprietà salutistiche dell’alimento (la cottura del succo di pomodoro con liberazione di sostanze antiossidanti e la disgregazione di alcuni polisaccaridi con formazione di alcune frazioni solubili interessanti).

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ELEMENTI INTERESSANTI NELL’AGLIO E NELLA CIPOLLA Nell’aglio e nella cipolla sono contenuti alcuni composti che hanno ancora oggi una certa popolarità, legata alle numerose azioni biologiche a essi attribuite. Sono stati prodotti concentrati, cubettini, scaglie e polveri presenti nel mercato. In funzione della tecnologia di preparazione di questi derivati di aglio e cipolla si possono avere composizioni differenti nei principi considerati attivi.

ANTIOSSIDANTI La produzione di estratti e di concentrati, contenenti elevate quantità di elementi interessanti, da utilizzare per ottenere la trasformazione degli alimenti in alimenti funzionali, di solito ha origine da fonti a basso costo, in molti casi sottoprodotti di lavorazione di altri alimenti, quali le vinacce esauste, il tè verde, le acque di vegetazione dei frantoi, il recupero delle pectine dalla frutta processata, ecc. SELENIO NELLE PATATE Una proposta recente di alimento funzionale prodotto in allevamento in campo è la patata al selenio, che ha riscontrato un notevole successo fra il pubblico. Corrette assunzioni di selenio favoriscono un’eccellente attività antiossidante in vivo.

VEGETALI RICCHI IN OLIGOSACCARIDI NON DIGERIBILI Gli oligosaccaridi sono gli elementi funzionali degli alimenti più popolari in Giappone, impiegati in maniera preminente in molti prodotti al consumo, come bevande, biscotti, cereali per colazione, torte, cioccolate e canditi. Gli oligosaccaridi possiedono una struttura chimica molto simile fra loro, che è caratterizzata da catene corte di polisaccaridi e dall’incapacità da parte dell’uomo di essere digeriti (beta-glucani). Gli oligosaccaridi sono utilizzati (prebiotici) da bifidobatteri, batteri antagonisti di batteri indesiderati nel tratto digestivo, interessanti soprattutto il tratto del colon. Vengono riconosciuti anche altri effetti agli oligosaccaridi, quali la riduzione del colesterolo sierico, un effetto di anticostipazione e di non favorire le carie dentali. I frutto-oligosaccaridi sono contenuti in molti prodotti, in quantità variabile. Tra i più ricchi sono l’albero degli agrumi, le radici di cicoria, i tuberi di carciofo, gli asparagi, le banane, i pomodori e l’aglio.

IODIO INSERITO IN DIVERSI ALIMENTI Più importante di altri microelementi, lo iodio è carente nella maggior parte delle diete degli italiani, con conseguenze per i consumatori di una certa gravità (formazione del gozzo, cretinismo). L’introduzione di iodio nelle forme stabili (iodato di potassio protetto) e non allontanabili in cottura, così come l’addizione di sale iodato sugli alimenti a freddo, fa, nei prodotti alimentari che lo contengono, un toccasana per la corretta funzionalità della tiroide e dell’organismo in generale. TECNOLOGIA DI TRASFORMAZIONE DELLE OLIVE La produzione di olio dalle olive può essere considerata come una tecnologia in grado di

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indirizzare le caratteristiche di alimento funzionale che avrà o no l’olio prodotto. Infatti, le scelte delle condizioni di lavorazione sono selettive nel conservare o distruggere il patrimonio degli antiossidanti, utili alla stabilizzazione dell’olio ma anche al consumatore. Secondo studi recenti alcuni elementi polifenolici dell’olio d’oliva sono risultati attivi nell’arricchire di antiossidanti il nostro organismo, tanto da esplicare azioni protettive estremamente interessanti. CARNI CON ANTIOSSIDANTI Studi abbastanza recenti sono stati condotti sull’allevamento di animali da carne, soprattutto suini, per incrementare la stabilità all’ossidazione delle carni attraverso l’aumento di sostanze antiossidanti nei tessuti, ottenendo apparentemente buoni risultati. ALIMENTI CON FIBRA: I CEREALI INTEGRALI Gli alimenti a base di cereali integrali (con associata la crusca), forse i più noti in Italia fra i funzionali e molto sviluppati nei settori degli alimenti della prima colazione (biscotti e muesli), sono quelli che apportano la fibra alimentare indispensabile alla corretta funzionalità intestinale. Frumento, avena, orzo e riso sono i cereali più utilizzati in grado di fornire fibra non digeribile alla dieta. La fibra lega e trattiene elevate quantità d’acqua che aiuta le feci a mantenersi fluide, in modo da favorire una rapida percorrenza del tratto intestinale. Tali caratteristiche sono associate a una minore incidenza di tumori al colon. Vi sono poi anche altri contributi al mantenimento della salute da parte dei cereali integrali, dovuti alla presenza di

altri elementi interessanti, quali i tocotrienoli (simili ai tocoferoli), i lignani e alcuni elementi “fitoestrogeni”. Dalla crusca di riso (pula) si estrae un olio, che contiene relativamente elevate presenze di costituenti dell’insaponificabile. Tra questi ultimi è stata rilevata la presenza dell’orizanolo, così denominato da Kaneko e Tsuchiya, che corrisponde a una miscela di esteri dell’acido ferulico del cicloartenolo, 24-metilencicloartanolo, campesterolo, ß-sitosterolo e di altri steroli e costituisce 1,1-2,6% dell’olio. Il gamma-orizanolo sembra possedere attività ipolipidemica e nell’uso farmacologico accelera la crescita negli animali, regola il ciclo mestruale e sembra favorire la circolazione nei capillari della pelle. I tocotrienoli sono antiossidanti e presentano altre attività, quali la diminuzione del colesterolo nel siero, inibizione della sintesi epatica del colesterolo e un’attività antitumorale. Le operazioni tecnologiche di lavorazione dei cereali sembrano ridurre le capacità mostrate dalla fibra della crusca, nel caso di trattamenti termici, anche se non sono molte le evidenze sperimentali a riguardo.

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Giovanni Lercker Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università degli Studi di Bologna


LO CHAMPAGNE JACQUART RINNOVA LA SUA IMMAGINE A partire da quest’anno, la prestigiosa Maison di Reims utilizzerà una nuova pagina pubblicitaria: su sfondo bruno campeggerà una macro dell’etichetta del Brut Mosaïque (il prodotto-emblema della Casa, in tutto il mondo), e una semplice scritta in francese farà da icastica chiusura: l’essentiel (l’essenziale). I colori dell’immagine saranno soltanto il bruno “terra d’ombra” e l’oro, gli stessi del logo Jacquart. La sobrietà e i colori della nuova immagine pubblicitaria vogliono richiamarsi ai valori del recente riposizionamento Jacquart, che intende sottolineare il forte, tradizionale legame della marca (una marca di viticoltori, e non di commercianti) con lo splendido territorio della Champagne. Lo stile Jacquart, caratterizzato da vivacità e immediatezza, privilegia una vinificazione brillante e gradevolissima, e un invecchiamento che va ben oltre le esigenze della denominazione. Ogni pezzo della collezione Jacquart fa nascere sensazioni ed emozioni uniche, così da soddisfare i desideri di tutti gli intenditori. www.rinaldi.biz

CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

101 IL TEMPO DELLE MELE SI APRE CON LA ROYAL GALA MARLENE® La stagione delle mele si apre con la deliziosa Royal Gala Marlene® - la primizia di fine agosto raccolta in Alto Adige/Südtirol dai 5.200 soci del Consorzio VOG di Terlano (BZ) – e i suggerimenti di Herbert Hintner e di altri quattro chef altoatesini (Philip Hafner del ristorante Leiter am Waal di Lagundo, Martin Lercher della scuola Emma Hellenstainer di Brunico - che ha realizzato le sue dolci preparazioni presso i laboratori di Andreas Acherer della pasticceria Acherer di Brunico - Othmar Raich del Miil di Cermes e Monika Schölzhorn del Schlosswirt Juval, di Naturno), protagonisti della raccolta Le mele nella cucina delle Dolomiti - 75 gustose ricette curata da Stefan Stabler per la casa editrice Athesia. Grazie alla loro fantasia, sarà possibile interpretare al meglio la Royal Gala Marlene® con il suo sapore dolce e aromatico e le sue sfumature acidule. Ma non solo: da settembre sono arrivate anche le altre varietà di mela Marlene®. Fra queste la dorata Golden Delicious e la rossa Stark Delicious, la dolcissima Fuji seguita dalle croccanti e succose Stayman Winesap e Braeburn, per finire in bellezza con la verde e rinfrescante Granny Smith. www.athesiabuch.it - www.marlene.it



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PESCHE MADE IN SICILY

Da secoli la Sicilia è terra di eccellenza per la coltivazione di varietà di pesche di qualità superiore. Paolo Inglese


Dimenticate l’idea di una Sicilia arsa, come nei paesaggi de Il Gattopardo di Lampedusa, che pure parla anche di “gettoni tedeschi”, riferendosi a nuove varietà di frutta introdotte dal Principe di Salina. C’è un’altra Sicilia, terra “mitica dell’albero’, dei “giardini’ e del “podere fruttifero e dilettevole”, descritto dal Nicosia nel 1735. C’è una Sicilia dove la frutticoltura è tanto antica da entrare nel mito. La Sicilia dove Venuto da Noto, scrisse, nel 1541, il primo trattato di frutticoltura dell’era moderna e tra gli altri, scrisse del “persico” che non “tarda a producer frutti”, del “nucipersico”, dello “isbergio”. Delle pesche, delle “sbergie”, delle “tabacchiere”, insomma, che ancora oggi fanno del germoplasma peschicolo siciliano un patrimonio unico al mondo, per diversità genetica, profumi, aroma e dolcezza. Pesche dai nomi evocativi, frutto di una selezione secolare e da 30 anni oggetto dello studio dei ricercatori dell’Università di Palermo, che ne hanno fatto emergere la grande complessità. Sicilia, anche, terra di pesche, dunque e non tutti sanno che la stagione del pesco, in Europa, inizia, in aprile, e si conclude, in novembre, proprio in Sicilia. Le prime pesche a maturare in Europa sono, infatti, già in aprile, quelle che il barone Ottavio Musso di Sampieri alleva in serra, nelle terre del commissario Montalbano, a due passi da Scoglitti. Sono frutti di varietà selezionate per il basso fabbisogno in freddo, la fioritura precoce, il breve periodo di sviluppo del frutto. Non sono autoctone, ma d’altra parte neanche il ficodindia, il nespolo e il mandarino lo furono, prima di essere adottati per diventare piante simbolo

dell’agricoltura siciliana. Ma è in luglio che inizia il festival delle “montagnole”, a polpa bianca o gialla, comunque sempre soda e aderente al nocciolo, che, nei mercati siciliani la fanno da padrone, spuntando prezzi sempre superiori alle più blasonate pesche “internazionali” selezionate altrove. È la pesca bianca qui, in piena controtendenza con i mercati mondiali, a mantenere un perstigio indiscusso, grazie ad un aroma e a un sapore straordinari. “Montagnole” perché il pesco in Sicilia storicamente non è una primizia, tuttaltro. E una ragione c’è. Le pesche precoci hanno spesso embrioni abortiti e, un tempo, i peschi, come i mandorli, si propagavano per seme, facile da ottenere dando così, nel tempo, spazio ad un grande variabilità genetica. Chi scrive, ben ricorda di aver visto, non più di venti anni fa, un pescheto interamente costituito da semenzali, di grande uniformità e vigore. Un germoplasma, quello dei peschi siciliani che si è sviluppato in modo puntiforme nelle aree della collina interna, liddove meglio soddisfaceva il fabbisogno in freddo e meno competeva con colture tradizionalmente più ricche, come gli agrumi, di più facile conservazione e trasporto. Sui monti Sicani, tra Palermo e Agrigento, lungo le Valle del Platani e del Dittaino, nel centro della Sicilia, nell’areale della valle dell’Alcantara fra le province di Catania e Messina e, finalmente, lungo le pendici di quel luogo mitico e per mille ragioni, straordinario che è “la montagna” o, per chi non ne ha confidenza, il vulcano per eccellenza, l’Etna, il signore della Sicilia, vera cornucopia di sapori, lungo le cui pendici frutta e vino assumono una dimensione e un gusto unici. “Pesca di Bivona”,

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“Pesca di Leonforte”, “Tabacchiere” e “Sbergie” sono le regine delle pesche siciliane. In luglio, è il trionfo di quelle a polpa bianca, non fondente, aderente al nocciolo, con epidermide scarsamente colorata di rosso, che uniscono la succosità e l’aroma con una consistenza cui non è estraneo il “sangue” delle percoche. “Bambino”, “Vincirose”, “Russotto”, “Pesca di Bivona” arrivano nei mercati di Ballarò, di Porta Carini e del Borgo Vecchio di Palermo, ma, ormai, sempre più di frequente, anche nelle migliori Boutiques della frutta o nella grande distribuzione. Arrivano e lasciano poco spazio per le altre, tanta è la differenza di aroma e di sapore, che riconcilia con un frutto che, in molti casi, lo ha perso quasi del tutto. Con loro arrivano le tabacchiere dell’Etna, scarsamente diffuse nel resto dell’isola e talvolta presenti nelle isole Eolie. A partire da Agosto e, in particolare, in settembre, ottobre e novembre, con le “bianche” “Agostina”, “Pesca di Bivona”, “Settembrina Turca” e “Settembrina di Bivona” arrivano cultivar con frutti a polpa gialla, tipo percoca, anch’essi con polpa non

fondente, aderente al nocciolo e con epidermide scarsamente colorata. Tutte si contraddistinguono per le ottime caratteristiche gustative, il grado rifrattometrico elevato, il sapore dolce ma ben contrastato, l’intenso profumo. Pesche che, smentendo gli standard di riferimento internazionali, legati al sovraccolore rosso, fanno del loro colore giallo, con leggere marezzature rosse, il tratto distintivo che ne individua la tradizione e la storia longeva. Tra tutte, la “Settembrina di Leonforte” e la “Tardiva di Leonforte, uniche, perché protette, ognuna e per tutto il periodo di sviluppo del frutto, da un sacchetto di carta che le rende assolutamente prive di qualsiasi residuo. Oggi sono protetta dal marchio comunitario, che le rende ancora più uniche e riconoscibili. Un assoluto tesoro gastronomico è la “Sbergia”, la nettarina di Sicilia. Segnalata, come già detto da cinque secoli è diffusa soprattutto nelle provincie orientali, alle pendici etnee. Grandi come delle albicocche, di buccia finissima e glabra, come per le nocipesche, di color crema (“sbergiu bianco”) o marezzato di rosso

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(“sbergiu rosso”) di un profumo talmente intenso da sentirsi a distanza, le “sbergie”, a polpa bianca o gialla, sono un vero trionfo di gola, che, ancora una volta, contraddice lo “standard” varietale, per entrare tra i capolavori del gusto. Il loro sapore che “partecipa dell’albicocca e della pesca” (Mortillaro, 1876), è perfetto se le si raccoglie al momento giusto, prossime alla maturazione. Certo, si paga il pegno di una shelf life breve, ma la delicatezza e la ricchezza di aromi, debbono sempre sapersi cogliere nel breve tempo in cui si manifestano. E questo, i siciliani lo sanno bene. E, a impreziosire questo mosaico già ricco, si aggiungono le “tabacchiere”, la cui produzione è tipica delle pendici dell’Etna, originaria in particolare delle Valli del Simeto e dell’Alcantara. Il nome è dovuto alla forma, schiacciata sui due lati, che ricorda proprio quella di una tabacchiera. Frutto antico, ma straordinariamente attuale, amato dai ragazzi, perché profumato, facile da mangiare, con un nocciolo piccolissimo. Le “tabacchiere” siciliane, di taglia medio piccola, hanno polpa bianca, o gialla, molto

dolce e morbida e profumo intenso. È un prodotto di nicchia, che la diffusione di nuovi genotipi, adottati soprattutto in spagna, ma, in larga misura, costituiti in Italia, dalla ricerca pubblica, sta rendendo noti al grande pubblico. Le cultivar siciliane, coprono un arco di maturazione medio-precoce, e, in genere, non si conservano che per soli 2 o 3 giorni dopo la raccolta. Furono gli amministratori della Ducea di Maniace, donata nel 1799 da Ferdinando di Borbone all’ammiraglio inglese Orazio Nelson, come ricompensa dell’aiuto fornito per stroncare la rivoluzione di Napoli, a scoprire nella pesca tabacchiera una delle più adatte al microclima etneo. Preservare queste cultivar, nei campi di collezione è stato possibile grazie al lavoro fatto dalle Facoltà di Agraria di Palermo e Catania e alle risorse messe a disposizione dalla Regione siciliana. Ma molto deve essere ancora fatto per assicurarne la diffusione e il successo commerciale. Se l’80% della peschicoltura, in Sicilia, è tradizione del gusto, con essa è cresciuta anche la nuova peschicoltura,

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6 1- Agostina di Bivona. 2- Sbergia San Filippo. 3- Bordò. 4- Settembrina di Leonforte. 5- Tabacchiera gialla. 6- Tardiva di Leonforte. 7- Tabacchiera Caudullo.

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8- Sbergia rossa.

basata sulle varietà internazionali e sugli impianti di media o lata densità. Le aree agricole di Agrigento, Caltanissetta e Palermo racchiudono i 3⁄4 dei 10.000 ha di pescicoltura regionale. La produzione raggiunge le 82.000 tonnellate, di cui 74.000 tonnellate di pesche e 7.800 tonnellate di nettarine. Le cultivar tardive ed extratardive sono coltivate su 6.000 ettari, mentre le intermedie e le precoci costituiscono rispettivamente il restante 23% e 15%. Le aree di maggiore diffusione della “nuova” peschicoltura le troviamo nei comuni di Riesi, Delia, Canicattì, Mazzarino, Caltanissetta, Naro, Campobello di Licata e Licata. A differenza di quella tradizionale, che si caratterizza per l’impiego di cultivar autoctone e per la forma di allevamento a vaso classico con densità di impianto medio bassa (600-650 piante per ettaro), la peschicoltura moderna si basa sull’impiego di

cultivar internazionali con impianti a densità medio elevate. Ma non è tutto rosa il futuro del pesco. La ridotta dimensione aziendale e l’atavica diffidenza isolana fanno si che l’offerta sia frazionata e dispersa. L’organizzazione commerciale è inefficiente ed è dotata di strutture di concentrazione e commercializzazione inadeguate, con una gestione manageriale che non riesce a stabilire rapporti duraturi con il sistema distributivo ma che potrebbe avere un grande ruolo nella filiera corta e nei farmer’s market.

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Paolo Inglese President of the Italian Society for Horticultural Science Dipartimento DEMETRA Università degli Studi di Palermo


AMBIENTE RURALE E PAESAGGIO


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CAMBOGIA Il dono del Mekong

Renzo Angelini



sono stanziati i primi abitanti e lungo il quale è poi fiorita la civiltà khmer di Angkor, e sorta la capitale Phnom Penh. Il Mekong nasce dagli altopiani tibetani e, lungo un percorso di 4.500 chilometri, attraversa la Cina, scavandosi il letto attraverso le montagne dello Yunnan, la Birmania, il Laos, la Thailandia, la Cambogia, prima di sfociare in Vietnam. A Phnom Penh si divide nel Mekong inferiore e nel Bassac, che corrono paralleli fino a varcare la frontiera del Vietnam e aprirsi a ventaglio per formare un delta di oltre 22.000 chilometri quadrati. Nel corso del tempo il fiume ha fatto nascere questa immensa area che continua ad alimentare con le sue acque ed il fertile limo che spande sulla pianura nei mesi delle acque alte. A fine primavera, quando termina la stagione secca, la sua portata può scendere fino ad un minimo di 1.700 metri cubi al secondo, poi inizia la stagione delle piogge portate dal monsone di sud-ovest. Con il caldo estivo i ghiacciai tibetani si sciolgono e il fiume si gonfia. Nella pianura il livello delle acque sale anche oltre gli otto metri e la portata raggiunge anche i 39.000 metri cubi al secondo.

La Cambogia ha una superficie di 181.035 chilometri quadrati, vale a dire che è grande il 60% dell’Italia, con 14.494.293 abitanti (al 30 luglio 2009). È un paese a vocazione agricola e continentale con soli 443 chilometri di coste sul golfo del Siam, che rappresentano uno sbocco per il traffico commerciale e per il turismo. Si estende dal 10° al 15° grado di latitudine nord, nel cuore della cosiddetta “Asia dei monsoni”. Il centro della Cambogia è una sola vasta pianura, con il lago Tonlé Sap alimentato dal Mekong, il grande fiume del Paese. A sud-est del bacino si allarga il delta del Mekong, che penetra in Vietnam prima di sfociare nel Mar Cinese Meridionale. A nord e sudovest della valle centrale si innalzano diverse catene montuose, mentre nel nord-est si trovano alti rilievi, che proseguono nel centro del paese e penetrano nel Vietnam. Si dice che la Cambogia è “un dono del Mekong” perché, in un tempo antichissimo, è stato il fiume a crearla e modellarla ed ancora oggi vive grazie alle sue acque che portano la fertilità, l’acqua e la vita per la popolazione. Il Mekong è la storia del Paese, lungo il suo corso e nel suo sistema idrico si

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Il riso, mietuto con la falce, viene portato nel villaggio. La trebbiatura viene fatta attraverso il calpestamento con gli zoccoli dei buoi e poi selezionato per isolare le preziose cariossidi.



A Phnom Penh i due rami del fiume incontrano l’effetto contrastante delle maree che spingono il flusso per centinaia di chilometri nell’entroterra, con il rischio di gravissime inondazioni, tali da sommergere tutta la pianura. Nel credo popolare il creatore Brahma, quando riempì il golfo marino, non colmò la depressione centrale e la collegò con un braccio al Mekong. Questa area, oggi chiamata Tonlé Sap, è il più grande lago di tutto il sud-est asiatico. Un incredibile fenomeno naturale che fornisce risorse ittiche e acqua per l’irrigazione a quasi metà della popolazione cambogiana. È collegata al fiume Mekong a Phnom Penh da un canale anch’esso chiamato Tonlé Sap. Da metà maggio ai primi di giugno, durante la stagione delle piogge, il livello del Mekong si innalza, facendo salire a monte le acque del fiume, che di conseguenza scorre verso nord-ovest gettandosi nel lago Tonlé Sap. In questo periodo l’estensione minima del lago passa da 2.500 chilometri quadrati a 13.000 e la profondità aumenta da 2.2 metri a oltre 10 metri. La foresta viene inondata, solo le cime degli alberi più alti emergono dalla distesa d’acqua e l’intrico di vegetazione sommersa si trasforma in un gigantesco vivaio dove i pesci si moltiplicano. Verso inizio ottobre, quando il Mekong riprende ad abbassarsi, il fiume Tonlé Sap inverte il suo corso drenando le acque del lago di nuovo verso il Mekong. Le terre che riemergono sono coperte da uno strato di fertile limo, che il fiume continua a riversare nel suo delta. Questo straordinario fenomeno trasforma il lago in una delle risorse di pesce d’acqua dolce più ricche del mondo, creando le condizioni ideali per la riproduzione delle varie specie ittiche, creando un indotto capace di occupare circa un milione di persone. Nei lunghi mesi durante i quali le acque hanno sommerso le rive del grande lago, tra i tronchi e la boscaglia il pesce si è riprodotto moltiplicandosi: a novembre le acque iniziano a defluire e il pesce segue il flusso della corrente. Dove il lago stringe le sue rive e inizia il corso del fiume Tonlé Sap, i pescatori piantano sul fondo delle canne di bambù disposte a imbuto: una grande quantità di pesce imbocca questi condotti che portano alle gabbie. I pescatori selezionano la preda: una piccola quantità viene presa per essere pulita e seccata e messa nei vasi, mescolata insieme a spezie e peperoncino, per fare il prahoc, uno dei principali cibi dei cambogiani, con cui i contadini condiscono il riso bollito e che, fino a poco tempo fa non si trovava in vendita neppure nei mercati di paese. Il pescatore ha il prahoc ma non ha il riso, il contadino ha il riso ma non ha nulla con cui condirlo. Sulla riva del fiume arrivano i carri con il riso e i pescatori accostano con le loro barche e avviene il baratto. Il pesce di maggior pregio viene messo nelle gabbie semi-galleggianti, che vengono poi trainate nel lago, dove il pesce cresce e si riproduce. In questo modo è disponibile pesce fresco tutto l’anno. Questo ecosistema è diventato una

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risorsa per la biosfera, minacciata però dalla presenza di dighe a monte, che impediscono la migrazione del pesce lungo il Mekong, e dalla eccessiva deforestazione, che compromette la stabilità del terreno superficiale nelle aree più elevate della Cambogia e il materiale sedimentario dilavato dalle piogge viene trasportato dai fiumi e depositato nel lago che vede ridursi la propria capacità di invaso e di polmone per le grandi piene. La campagna cambogiana resta inequivocabilmente povera e la popolazione che vi risiede, pari all’85%, trae di che vivere dall’agricoltura, che dipende a sua volta dai capricci del monsone annuale di sud-ovest. La popolazione delle aree rurali deve fare i conti con una continua lotta per la sopravvivenza, coltivando riso e altri prodotti agricoli di base o sfruttando le risorse ittiche dei fiumi e dei laghi, affrontando avversità quotidiane come malattie, mine di terra (tra il 1970 e il 1975 l’aviazione americana ha rovesciato sulle campagne della Cambogia 593.000 tonnellate di bombe, quattro volte la quantità che aveva colpito il Giappone durante la seconda guerra mondiale: nel 1970 esistevano 2.900.000 ettari di risaie e nel 1975 ne restarono circa 600.000), minacce di espropriazioni dei terreni da parte dei militari. Se si escludono le terre del bacino del Mekong e della zona lacustre che beneficiano delle regolari piene apportatrici di limo, nel resto del paese il suolo è molto povero e poco adatto alle colture agricole. È povero dal punto di vista geologico perché sullo zoccolo roccioso di arenaria si stende uno strato argilloso poco permeabile e soprattutto per la scarsa e irregolare irrigazione. Il grandioso sistema di bacini e canali che determinarono la prosperità di Angkor è scomparso con l’antica capitale e oggi le possibilità di irrigazione vengono dalle piogge stagionali che però spesso cadono in modo torrenziale. Dal 1970 al 1993 sono poi trascorsi ventitré anni di guerra che ha devastato le campagne. Solo da pochi anni è iniziata la costruzione di un sistema di raccolta delle acque e di irrigazione delle risaie: nella maggior parte dei casi la disponibilità d’acqua è legata solo alle piogge e il contadino deve compiere i lavori secondo i tempi stabiliti dal susseguirsi delle stagioni, ottenendo un solo raccolto all’anno in confronto ai tre ottenuti ai tempi della capitale Angkor. A fine maggio si fa la semina del riso in vivaio per ottenere le piantine che verranno trapiantate in risaia, dopo averla arata con un aratro di legno dal vomere con un puntale di ferro, simile a quello dei suoi antenati, tirato da una coppia di buoi o di bufali. L’acqua riempie la risaia dove in agosto saranno trapiantate le piantine di riso, riprodotte nel vivaio. Le piogge di settembre-ottobre fanno crescere il riso e da dicembre a febbraio si miete. La resa è sempre molto bassa, circa un terzo di quello che si ha nella vicina Thailandia, e il lavoro viene svolto quasi esclusivamente dalle donne.

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La vita sul fiume Mekong e sui canali laterali.



Il tempio di Angkor Vat all’alba.




I TEMPLI DI ANGKOR I templi di Angkor sono il cuore del Regno di Cambogia, eretti tra il IX e il XIV secolo, quando la civiltà khmer era all’apice del proprio sviluppo, coprendo un arco temporale che va dall’802 d.C. quando Yaravarman II si trasferì a Phnom-Kulen, al 1432, anno in cui i siamesi saccheggiarono Angkor-Thom. Sono tra le principali meraviglie architettoniche del mondo e inserite nel 1992 dall’UNESCO nell’elenco del Patrimonio dell’Umanità. Da Angkor, l’impero khmer governava un vasto territorio che partiva dal Vietnam meridionale, alla regione cinese dello Yunnan, a nord e del Vietnam ad est fino al Golfo del Bengala a ovest. Oltre 100 templi furono costruiti e costituivano l’ossatura del sistema religioso e amministrativo, in quanto solo agli dei era riservato il diritto di risiedere in dimore di mattoni o di pietra, mentre le abitazioni e gli edifici pubblici erano costruiti in legno o altro materiale deperibile. Disseminati su circa 300 chilometri quadrati di campagna tra il lago Tonlé Sap e i monti Kulen, sono circondati da fitti tratti di foresta e svettano sopra le risaie e sembrano ancora fare parte della vita quotidiana raffigurata nei bassorilievi dei templi. Il motivo che spinse i sovrani khmer a intraprendere la costruzione fu soprattutto il loro intento di creare templi di stato per il culto del devaraja, il dio-re. Nella mitologia induista, il dio Shiva conferì al re il lingam, la pietra fallica che lo simboleggia e che da quel momento divenne anche il tabernacolo dell’essenza reale del devaraja, il protettore dell’universo, la cui dimora non poteva essere altro che il tempio-montagna. Ogni sovrano edificava durante il proprio regno il tempio personale che ospitava il lingam, simbolo della sua regalità ed essenza divina, e che alla sua morte ne diventava il mausoleo. Tutta l’architettura è improntata al simbolismo della Montagna Cosmica ed è proprio la torre-santuario quadrata con piramide a gradini che costituisce la più antica soluzione architettonica khmer, in mattone, arenaria e laterite. Prima isolate poi raggruppate su un basamento in numero di 3 o 5, le torri o prasat, si evolvono successivamente nello scenografico complesso del tempio-montagna a quinconce, cioè a 5 torri, quattro disposte agli angoli del perimetro quadrato e una al centro, collegate da gallerie colonnate. Le regole per la costruzione sono dettate dai miti indù dell’origine del mondo: il tempiomontagna sorge all’interno di un bacino, il baray, che simboleggia l’Oceano Cosmico, le acque primordiali nel cui grembo è racchiusa la vita in attesa di essere manifesta.

Danzatrici apsara: durante il regno di Jayavarman VII, a corte c’erano oltre tremila danzatrici che si esibivano esclusivamente per il sovrano. A destra alcuni bassorilievi di Angkor Vat. Essi non avevano solo una funzione decorativa, ma contenevano un preciso messaggio politico indirizzato dal sovrano a tutti i suoi sudditi e ai popoli sottomessi.

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Angkor Thom.


Gigantesco volto scolpito sulla torre centrale del tempio del Bayon.


Fa Prohm.


La natura ha preso possesso del Ta Prohm, suggestivo tempio in rovina, stretto nella morsa surreale di gigantesche radici di alberi torreggianti che, con l’avanzare della jungla, si sono insinuati tra le sue pietre.

di Angkor Vat e del Bayon. I siti di Angkor sono molto diversi uno dall’altro e ciascun tempio ha un suo fascino peculiare. Immerso nel verde e nel mistero, Angkor Vat è un monumento unico al mondo, un sorprendente connubio di spiritualità e simmetria, un secolare esempio della religiosità e della devozione agli dei. È il più grande monumento di Angkor e il meglio conservato. Nato come mausoleo per Suryavarman II, che regnò dal 1112 al 1152, e consacrato a Vishnu, la divinità con cui si identificava il sovrano. In laterite e arenaria su un’area di 1.500 metri quadrati, con cinque grandiose torri a forma di pannocchia e la guglia centrale che si erge per 65 metri sopra il livello del terreno. I bassorilievi estremamente particolareggiati, scolpiti lungo il muro di cinta narrano le storie della mitologia indù e la grande parata storica delle gesta e del trionfo di Suryavarmann II. Da non perdere la collezione di oltre 1.500 apsara scolpite ognuna diversa dall’altra; queste bellissime danzatrici celesti presentano acconciature ricercate ed espressioni enigmatiche, perfino i gioielli sono intagliati con cura per raggiungere la perfezione nella resa dei

Il baray è fondamentale nell’edificazione dei centri religiosi. Il potere regale si fonda infatti, oltre che sulle motivazioni sacre, sulla capacità di sfruttamento delle acque delle risaie: così il re, trasponendo il mito in una dimensione pratica funzionale, diventa la fonte e il distributore della vita. Il corpo principale del tempio coincide con il mitico monte Meru a cinque picchi, che nella visione indù è al centro dell’universo e simboleggia l’asse ordinatore che trasforma il caos originario nel mondo manifesto. Ogni sovrano doveva assolvere tre doveri fondamentali: verso i sudditi, con la costruzione di bacini e canali di irrigazione; verso gli antenati, con la costruzione di un tempio che li commemorasse; verso se stesso, in quanto devaraja, con l’erezione del suo santuario-montagna. I re successivi cercarono di superare i loro predecessori, così che, grazie al miglioramento delle tecniche di costruzione, i templi si fecero sempre più complessi, comprendendo molti santuari gallerie ed elaborati gopura (padiglioni o torri di ingresso). I templi furono riccamente scolpiti con motivi decorativi e scene mitologiche, come dimostrano i magnifici bassorilievi

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Giovane bonzo, incuriosito dalla presenza del fotografo.

muri crescono enormi kapok, alberi le cui imponenti radici incorniciano le porte e si insinuano nelle colossali pietre spaccandole o ingabbiandole in una morsa che crea un nuovo rapporto tra arte umana e natura. Costruito intorno al 1186, era un monastero buddhista, dedicato alla madre di Jayavarman VII e mantiene le informazioni su coloro che vi lavorarono e che vi abitarono. Per la manutenzione del tempio erano necessarie quasi 80.000 persone e riforniva di medicinali e provviste i 102 ospedali del regno khmer. Per scelta deliberata, salvo pochi indispensabili lavori di sostegno delle parti pericolanti e l’apertura di un sentiero tra la vegetazione venne lasciato così come era apparso ad Henri Mouhot nel 1860 e poi ai primi archeologi che lavorarono ad Angkor agli inizi del secolo scorso. L’effetto è straordinario: una perfetta simbiosi tra opere architettoniche e la prorompente vegetazione tropicale che si manifesta in un rapporto di proporzioni estremamente equilibrato. La natura si è introdotta ovunque avvolgendo i manufatti in un abbraccio conservativo e facendo correre le potenti radici lungo il corpo di quasi tutte le costruzioni al punto tale che, se le piante morissero, l’intera opera dell’uomo crollerebbe.

particolari. Intorno il grande fossato largo 200 metri, attraversato da ponti con balaustre a forma di naga, serpenti mitologici a più teste. Angkor Thom è una città fortificata che si sviluppa su una superfice di circa 10 ettari, costruita dal più grande re di Angkor, Jayavarman VII, che regnò dal 1181 al 1219, che salì al trono subito dopo il saccheggio di Angkor (allora capitale del regno Khmer), compiuto dai Cham. Nel periodo di maggior splendore ad Angkor Thom e zone limitrofe viveva un milione di persone, quando a Londra la popolazione non superava i 50.000 abitanti. La città ha cinque porte di ingresso monumentali di cui, la porta sud è sormontata da colossali volti che guardano verso i punti cardinali e si raggiunge passando per una stupefacente strada fiancheggiata da enormi statue di dei e demoni. All’interno della città i volti si ripetono a centinaia nel Bayon, che sorge nel cuore di Angkor Thom e fu l’ultimo tempio angkoriano ad essere costruito. Il Ta Prohm è una delle rovine più suggestive poiché, contrariamente agli altri templi, è stato lasciato in balia della giungla e stretto nella morsa surreale delle gigantesche radici di alberi torreggianti che si sono insinuate fra le sue pietre. Dalle terrazze e dai suoi

128 AMBIENTE RURALE E PAESAGGIO RENZO ANGELINI




ARTE E NATURA SIMONA GAVIOLI

ARTE E NATURA

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ONCE UPON A TIME... Chiara Coccorese: quando il cibo veste l’arte.

Simona Gavioli



“Il significato è invisibile, ma l’invisibile non è in contraddizione con il visibile: del resto il visibile ha una struttura interna invisibile e l’in-visibile è l’equivalente segreto del visibile”. M. Merleau-Ponty

C

hiara Coccorese rappresenta l’invisibile. Napoletana di nascita, ma cittadina del mondo delle favole, è riuscita a trovare la sua strada partendo da un passato da pittrice figurativa, con influenze surrealiste, per poi approdare alla fotografia. Il risultato finale è un’immagine sapiente data dall’entusiasmo di rappresentare ciò che spesso rimane celato nello scrigno dei desideri, un’incarnazione dei personaggi carrolliani in cui sembra sempre di essere ospiti fissi per il tè dal Cappellaio Matto o un condensato di emozioni che fuoriescono dall’opera avvolgendoci in un abbraccio magrittiano. Diplomata all’accademia di Belle arti di Napoli, Chiara Coccorese (Napoli 1982), ha conseguito il master in fotografia professionale alla scuola di Andrea Scala. La sua ricerca si orienta verso la creazione di piccole scenografie che riproducono panorami fantastici, i fondali sono inscenati con nuvole d’ovatta, i personaggi sono pupazzi in plastilina. I suoi piccoli set sono arricchiti da frutta, verdura, tappeti, vasi, ruote panoramiche, carte da gioco e mobiletti lillipuziani per romantic dolls. Negli ultimi lavori la creazione e la fotografia di scenografie si ampliano con l’elaborazione digitale, grazie alla quale riesce a includere, in habitat fantastici, persone vere e oggetti in scala minore rispetto alla realtà. Nei lavori ultimi dell’artista, il paesaggio è il visibile, il percettibile. Un visibile dove non è detto che si esprima per intero il mondo. Secondo il filosofo Merleau-Ponty il visibile è tutto intessuto di non visibile, che non è solo una lacuna nella texture del visibile, ma qualcosa di più: “Quel tessuto che fodera il visibile, lo sostiene, lo alimenta e che, dal canto suo, non è cosa, ma possibilità, latenza e carne e ossa”.

In apertura: Paesaggio con kiwi - 2009 stampa fine art, 34x50 cm. Ed. 5; nella pagina accanto: La Regina Giovanna - 2009 stampa fine art, 45x50 cm. Ed. 5.

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La torta e il suo doppio - 2009 fine art print, 70x53 cm. Ed. 3.


La voce del vento - 2009 stampa fine art print, 70x47 cm. Ed. 3.


In alto: Paese dei Balocchi - 2009 stampa fine art, 57x70 cm. Ed. 5; a destra: Lauren la diva - 2009 stampa fine art, 48x50 cm. Ed. 5.

Con il paesaggio si può mentire, si può “recitare” ciò che si vuole, allestendolo come un palcoscenico destinato a raccontare teatralmente ciò che la società ritiene appropriato e conveniente. Chiara ci mostra l’invisibile di un possibile mondo. Un mondo denso di dovizia, esuberanza e ricercatezza, quasi stesse esplodendo sfoggiando una creatività carica e comunicativa. Non mancano mai gli elementi popular così come i rimandi storici dati da una profonda conoscenza della tradizione, i personaggi si amalgamano con lo sfondo naturalistico che crea intelligentemente, la natura diventa un gioco iperreale e colorato da costruire e fotografare, lo sguardo perde la giubilazione a favore di una tempesta di significati urgenti. Universi alternativi popolati da eroi fiabeschi che inscenano un ricordo, una sensazione, una storia vissuta nell’infanzia, ma anche un sogno, un’illusione, un miraggio della realtà. Come lei stessa afferma: “È come prendere costantemente appunti da ciò che mi passa per la testa e tradurli in un’immagine concreta, visibile a tutti. Non si tratta di un mondo dove rifugiarsi ma di un universo parallelo altrettanto vero e importante che cerco di mettere in relazione con la realtà. I sogni, l’inconscio, i pensieri sono di primaria importanza se si vuole riflettere su sé stessi. Tradurle in immagini, è una sorta di ricerca nella mia testa e negli archetipi, nell’inconscio collettivo del mondo che mi circonda”.

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ARTE E NATURA SIMONA GAVIOLI




Dall’alto: Delfino - 2010 fine art print, 113x150 cm. Ed. 3; Coppia d’Uova - 2009 stampa fine art, 34x50 cm. Ed. 5; nella pagina precedente: La fabbrica delle sfere - 2012 stampa fine art, 70x70 cm Ed. 3.

Merleau-Ponty scrisse: “Il significato è invisibile, ma l’invisibile non è in contraddizione con il visibile: del resto il visibile ha una struttura interna invisibile e l’invisibile è l’equivalente segreto del visibile”. Mi viene da pensare, a questo punto, che i lavori di Chiara rappresentino una salvezza. La salvezza che passando attraverso la fermata delle emozioni riesca a farci salire sull’autobus giusto in direzione fantasia.

Chiara Coccorese è rappresentata da: Dino Morra Arte Contemporanea (Napoli), WhiteLabs Milano (Milano), Galleria Fòndaco (Roma), Paolo Erbetta Gallery (Berlino).

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Simona Gavioli Critico e curatore


FOTOSINTESI

AGRITURISMO. QUALITÀ E MARKETING PER AFFERMARSI.

FOTOSINTESI ROBERTA FILIPPI

Roberta Filippi

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Si è svolto a Bologna il 10 settembre, nell’ambito del XXIV Salone Internazionale del Biologico e Naturale (SANA), il Convegno “Agriturismo. Qualità e Marketing per affermarsi”, organizzato dalla regione Emilia-Romagna e introdotto dalla Dott.ssa Maria Luisa Bargossi, responsabile del Servizio Territorio rurale ed attività faunistico-venatorie. Nel corso dell’incontro, il Prof. Franco Torelli (Università Cattolica Sacro Cuore) ha presentato i risultati dello studio “Strategie di marketing dell’azienda agrituristica: linee guida”, realizzato dall’Osservatorio Nazionale dell’Agriturismo in collaborazione dell’ISMEA e del MiIPAAF. Attraverso vari interrogativi, il Prof. Torelli ha cercato di creare partecipazione tra i presenti: cosa

si aspetta un potenziale turista quando viene in Italia? Quali sono i pacchetti turistici che è possibile proporre loro? Come farli innamorare dei nostri posti e dei nostri agriturismi? “Attraverso la de-banalizzazione, è possibile invogliare i clienti a tornare. Si potrebbe, ad esempio, proporre un piatto della tradizione raccontando come vengono selezionati i prodotti, raccontandone la storia, la modalità di cucina”, cercando cioè di creare un turismo esperienziale. A seguito dell’intervento del Prof. Torelli, hanno esposto le loro finalità e le strategie di marketing i Club di eccellenza riconosciuti dalla regione Emilia-Romagna, attraverso le parole dei propri rappresentanti: Athos Miozzo (Presidente Accoglienza Emiliana Bioagriturismi), Carlo Pontini (Presidente Consorzio Verdeccellenza), Paola Pedroni (Presidente Agri-Bike). In sintesi Miozzo ha voluto sottolineare come disponibilità e attenzione all’ospite debbano essere le parole chiave per un agriturismo che sa accogliere il cliente. “È necessario segmentare, proporre e mantenere costanza nel tempo” ha detto, esortando i presenti. Carlo Pontini ha descritto brevemente i valori del Consorzio Verdeccellenza, promosso dall’Associazione Agrituristica Terranostra di Coldiretti: “Il Consorzio è costituito attualmente da 22 aziende agrituristiche


FOTOSINTESI ROBERTA FILIPPI

141 dei diversi territori regionali e vuole mantenere un territorio vivo dove è difficile fare agricoltura. Le prerogative sono quelle che riguardano la bellezza del paesaggio e del cibo locale”. È fondamentale, per gli aderenti al Consorzio, il rispetto dell’ambiente, il risparmio di energia elettrica e acqua. Il club accomuna, infatti, le aziende aderenti la proposta di un servizio d’accoglienza particolarmente qualificato da un punto di vista ambientale. É intervenuta, poi, Paola Pedroni presentando una nuova e suggestiva modalità di vacanza. “La fruizione del territorio per il turista in bicicletta è differente: ha tutti i sensi aperti. Non è interessato alle vacanze all inclusive, ma alle piccole scoperte”. Purtroppo i percorsi italiani non sono così attrezzati come all’estero. Ciò nonostante i cicloturisti arrivano sopratutto dai paesi dell’Europa del nord. “Noi ci riproponiamo di offrire loro un’assistenza più qualificata e di organizzare un’offerta che ci consenta di attrarre un numero crescente di clienti presentandoci sui mercati dove è più forte la domanda”. Il Club si pone l’obiettivo di promuovere i servizi rivolti ai cicloturisti, sempre più numerosi sul territorio emiliano-romagnolo, per valorizzare l’ospitalità agrituristica attraverso la conoscenza delle risorse paesaggistiche, culturali ed enogastronomiche.

Attraverso una critica costruttiva, Paolo Trevisani ha analizzato il cliente locale che “ha come primo obiettivo” lo spendere poco e l’avere in estate un luogo fresco per togliersi dalla calura cittadina. L’agriturismo deve cercare di raccogliere le esigenza del cliente. Come trovare la soluzione?” A questa domanda, il critico enogastronomico ha consigliato di offrire, ad esempio, il pane fatto come una volta. La cucina dell’agriturismo dovrebbe rappresentare il territorio in cui si trova, “non si possono accontentare i clienti locali che non vogliono mangiare i piatti della tradizione ma “qualcosa di alternativo” - ha ribadito Trevisani. È importante, infatti, che i prodotti siano stagionali” ed è fondamentale che i proprietari, lo chef, e il personale sappiano spiegarlo ai clienti. “Bisogna imparare a gustare ciò che è buono e genuino, come un pollo ruspante” è stata la chiosa del critico. Ha concluso gli interventi il Prof. Lamberto Cantoni, che oltre a essere il direttore di Karpòs è anche un esperto in comunicazione. Forte della pubblicazione sul numero 3 di un lungo intervento riguardante gli agriturismi, in cui, grazie all’impostazione grafica data è stato possibile evidenziare la situazione dell’architettura prima e dopo, ha voluto sottolineare come l’agriturismo abbia un importante valore culturale. “La grande comunicazione ormai viaggia


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ad alti livelli. La comunicazione in grado di far nascere i desideri là dove non ci sono non è cosa che possiate affrontare singolarmente” ha sottolineato. Ma forse in tempi come questi ciò non è più uno svantaggio. “Le piccole comunicazioni virali che partono da basi materiali come l’amichevolezza, la socievolezza, il rispetto di alcune raffinate regole gastronomiche possono porre le vostre aziende in un vantaggio logico rispetto alla comunicazione bulimica, fino a ieri capace di plasmare i nostri desideri, che probabilmente in questo momento sta cominciando ad incontrare degli ostacoli”. L’esortazione ai presenti è quindi quella di cercare nelle “piccole distinzioni aziendali” un punto di forza per poi creare le alleanze istituzionali necessarie per la crescita. “Non può esistere un’attività

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che non abbia una scena, come minimo, nazionale”. Attraverso la costruzione della rete, possono essere mobilitate le risorse che possono trasformare un’idea in qualcosa di condiviso dal grande pubblico. Dalla teoria alla pratica, quindi, attraverso la promozione del territorio, l’alimentazione e la conoscenza dei prodotti tipici e di qualità.

Roberta Filippi Giornalista


EUROCHEM COMPLETA L’ACQUISIZIONE DI K+S NITROGEN CHE DIVENTA EUROCHEM AGRO EuroChem e K+S Aktiengesellschaft hanno annunciato l’avvenuta acquisizione di K+S Nitrogen da parte di EuroChem, una delle più importanti società agrochimiche a livello mondiale che produce principalmente fertilizzanti a base di azoto e fosforo, così come prodotti di sintesi e minerali di ferro. EuroChem occupa oltre 20.000 collaboratori in tutto il mondo. “L’acquisizione di K+S Nitrogen rappresenta l’ultimo step nella strategia di espansione di EuroChem, permettendoci così di avvicinarci ai nostri Clienti finali e di ampliare la nostra gamma di prodotti”, ha commentato Valery Rogalskiy, Responsabile Vendite di EuroChem. Con l’acquisizione da parte di EuroChem, K+S Nitrogen cambia denominazione e diventa EuroChem Agro mantenendo invariata la struttura organizzativa e dando continuità all’attività. La filiale italiana del gruppo EuroChem è stata denominata EuroChem Agro Spa che continua a disporre della efficiente rete commerciale e logistica su scala nazionale. Come nel passato i fertilizzanti vengono prodotti in esclusiva e con immutata qualità da EuroChem Anversa (ex BASF Anversa) e da BASF Ludwigshafen. www.eurochem.ru

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143 OLIMPIADI DEL GUSTO: PIOGGIA DI RECORD PER I FORMAGGI ITALIANI In un’ipotetica Olimpiade del gusto, l’Italia si presenterebbe con credenziali di tutto rispetto: con più di 1 milione di tonnellate di produzione annua, siamo il 4° produttore mondiale di formaggi, dopo veri e propri colossi come Stati Uniti (4,7 milioni di tonnellate), Germania (2,2 milioni di tonnellate) e Francia (1,7 milioni di tonnellate). È italiano il formaggio più consumato al mondo: la mozzarella. Non c’è paese al mondo che non conosca la mozzarella, che viene ovunque imitata, reinterpretata e talvolta anche stravolta. Di bufala o vaccina, tradizionale, DOP o STG, la nostra è sempre la più buona del mondo. È italiano il n.1 dei formaggi DOP: il Grana Padano. Con oltre 4,6 milioni di forme prodotte ogni anno (pari a 176.000 tonnellate di formaggio), il Grana Padano è il formaggio DOP più importante del mondo. E mette a segno una grande prestazione anche nelle esportazioni. È italiano il formaggio più famoso nel mondo: il ParmigianoReggiano DOP. Così conosciuto e apprezzato, da essere anche il formaggio più imitato al mondo. Un grosso danno per le imprese italiane, ma anche un fenomeno che attesta la fama e la qualità che caratterizzano il vero Parmigiano-Reggiano. www.assolatte.it


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LA CRISI E LE NUOVE DIETE RILANCIANO LE CRÊPES Facili, veloci ed economiche, le crêpes sono tra le ricette più ricercate e apprezzate del momento: nell’ultimo anno, secondo un monitoraggio Assolatte, le ricerche sul web di informazioni e ricette riguardo le crespelle sono aumentate di oltre il 60%, facendone uno dei temi emergenti di maggior successo tra gli internauti italiani. Le crêpes sono un piatto gustoso, nutriente e stuzzicante, ma comunque sempre profondamente low cost: secondo i calcoli fatti da Assolatte, cucinare 8 crêpes - sufficienti per 4 persone - costa complessivamente 1 euro. Per realizzarle, bastano infatti pochi, semplici ed economici ingredienti: latte, uova e farina. Se, poi, si usa il latte scremato e si sostituisce la farina con la crusca di avena, si ottengono le crêpes adatte anche per chi segue le diete iperproteiche. Abbinate alla frutta sono un dessert irresistibile, mentre accompagnate dalla verdura sono un secondo piatto sano e bilanciato, che fornisce anche vitamine, fibre e minerali oltre a proteine e carboidrati complessi. Se poi le si farcisce con i formaggi, allora le crêpes diventano una vera delizia. www.assolatte.it

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Crêpes con asparagi, gamberi e ricotta Frullare 1 uovo, 200 ml di latte, 70 g di farina e un pizzico di sale. Far riposare la pastella in frigorifero per 30 minuti. Poi riprendere la pastella dal frigo e preparare 4 crêpes in una padella appena unta di burro. Mettere nel frullatore 250 g di asparagi lessati (confezionati o surgelati) e tagliarne a pezzetti altri 200 g. Sgusciare 200 g di code di gambero e farle saltare per 2 minuti in padella con un filo di olio, uno spicchio d’aglio e un pizzico di sale. Poi unire gli asparagi e far insaporire per altri 2 minuti. Lavorare 180 g di ricotta con la crema di asparagi e usarla per farcire le crêpes. Unire i gamberi e ripiegare le crêpes. In un pentolino far fondere 10 g di burro. Quindi mettere le crêpes su una teglia da forno, versarvi il burro fuso e infornarle a 200°C per 10 minuti.

CHI MANGIA LATTICINI NON PERDE MAI LO SMALTO Mentre un’analisi condotta da Assolatte sul web rivela che “unghie” è una delle parole più cliccate, continuano ad avanzare anche gli acquisti di prodotti per la cura delle mani (+6,2% in un anno, fonte Unipro). È boom soprattutto per gli smalti: nell’ultimo anno in Italia ne sono stati venduti il 12,2% in più. Ma, sottolinea Assolatte, per avere mani perfette non bastano una pelle liscia e uno smalto perfettamente applicato: servono soprattutto delle unghie sane. Ma come ottenerle? È sufficiente consumare regolarmente latte, yogurt, burro e formaggi - l’INRAN consiglia di consumare 3 porzioni giornaliere di latte e/o yogurt e 3 porzioni settimanali di formaggi è il primo passo per avere unghie belle e sane poiché i latticini contengono minerali e vitamine indispensabili per farle crescere sane e forti. Tutti i latticini sono un’ottima fonte di proteine di ottima qualità, sono una miniera di calcio e di vitamina B2, il burro e i formaggi forniscono la vitamina E e il latte ha un interessante contenuto di zinco. Mai più senza “nail art”! www.assolatte.it




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