KARPOS
KARPÒS ALIMENTAZIONE E STILI DI VITA
Anno II - N° 4 Giugno 2013 - Copia gratuita online
W W W. K A R P O S M A G A Z I N E . N E T
COVER STORY
CANDONGA PROSECCO DOC AGRICOLTURA OGGI
CILIEGIO PESCO
PAESAGGIO
PARCHI DEL WEST INDAGINE DI MERCATO
ITALIANI E CONSUMI
I CONSUMATORI PREFERISCONO IL WEB
EDITORIALE
I CONSUMATORI PREFERISCONO IL WEB
Renzo Angelini Direttore editoriale
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’attuale crisi dei mercati sta rivoluzionando un po’ tutti i settori strategici dell’economia. Ovviamente anche la comunicazione non fa eccezione, sottoposta alle dinamiche che il web sta imponendo sia alla carta stampata e sia alla televisione. La Ricerca Astra sul mondo dell’alimentazione, commissionata da Granarolo e riportata in questo numero, lo dimostra sulla scorta di dati che fanno impressione. Alla domanda relativa alle modalità di approvvigionamento informazionale preferite, la maggioranza del campione ha risposto dando alle varie modalità d’uso di internet un dominio di proporzioni impensabili. Ben il 59% degli intervistati prende le informazioni sull’alimentare dal web; la televisione sino a ieri dominante si colloca al secondo posto con il 44,3%; alla carta stampata spetta dunque un ruolo assolutamente secondario, rispetto ai media citati. Come primo commento a questi sorprendenti dati mi viene da pensare che la rivoluzione nella comunicazione c’è già stata. Ora si tratta più che altro di prenderne atto per aumentare l’efficacia di uno strumento, internet, che stiamo imparando in fretta ad usare nel migliore dei modi. Come secondo commento non posso esimermi
dal sottolineare che Karpòs si va collocando ai vertici dell’efficacia comunicazionale, fornendo al consumatore una informazione di qualità, garantita dalle competenze degli esperti delle varie discipline e della produzione e, ai nostri partner, la traiettoria giusta per portare presso il cliente informazioni di tipo logico-scientifico ma al tempo stesso divulgative e attente agli standard d’immagine richiesti dal mercato. In altre parole, perseguiamo l’ obiettivo che ci siamo dati: contribuire a ridurre la distanza tra il mondo della scienza e della produzione ed il consumatore che, nel fuoco della crisi, vuole migliorare le proprie conoscenze per fare scelte consapevoli. Mi piace aggiungere che la rivoluzione del web consente di massimizzare un aspetto che nel mondo degli atomi e delle molecole di carta era impossibile da realizzare per la spirale dei costi crescenti; ovvero permette di fondere la quantità con la qualità informativa. Con il web stiamo riuscendo a far arrivare la comunicazione dell’agricoltura e dell’ agroalimentare, a costi sostenibili, ad oltre 200.000 destinatari. La strada è ancora in salita ma scommetto che non è lontano il giorno in cui il settore agro-alimentare diverrà un punto di riferimento anche per le sue strategie d’immagine e per la comunicazione.
03 EDITORIALE RENZO ANGELINI
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KARPÒS MAGAZINE GIUGNO 2013
Direttore editoriale Renzo Angelini Direttore responsabile Lamberto Cantoni
03 I CONSUMATORI PREFERISCONO IL WEB EDITORIALE Renzo Angelini
variazione in corso di registrazione
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PROGETTO VIVA COVER STORY Ettore Capri, M. Lodovica Gullino, Corrado Clini
Grafica Francesca Flavia Fontana
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CANDONGA COVER STORY Carmela Suriano
Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012
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Diffusione online Karpòs Magazine viene inviato gratuitamente a una community di oltre 200.000 destinatari; consumatori, università, istituzioni, industrie, Grande Distribuzione Organizzata, Ho.Re.Ca. fornitori di mezzi tecnici e servizi, associazioni, agroindustrie, produttori, tecnici e centri media.
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GLI ASPARAGI DI BADOERE IGP CALEIDOSCOPIO
60 OPO VENETO: RICERCA E INNOVAZIONE CALEIDOSCOPIO
09 MELINDA CALEIDOSCOPIO
32 FRUIT SENSATION CALEIDOSCOPIO
41 CON I PIEDI PER TERRA CALEIDOSCOPIO
44 IL PESCO AGRICOLTURA OGGI Bruno Marangoni
61 MONSANTO: MELONI ROTARY CALEIDOSCOPIO
62 PROSECCO DOC COVER STORY Luca Giavi, Andrea Battistella
78 IL CILIEGIO COVER STORY Luigi Catalano
99 THE’ SAN BENEDETTO CALEIDOSCOPIO
Per le fotografie:
76 LUCIANA MOSCONI CALEIDOSCOPIO
Studio Pietro Modena da pag. 34 a pag. 38 Bruno Marangoni pag. 52 © Consorzio di Tutela Prosecco DOC da pag. 62 a 72 Luigi Catalano pag. 81 e da pag. 84 a 96 Daniele Tirelli pag.128 - 129 - 131 Tutte le altre fotografie: © Renzo Angelini In copertina: Bryce Canion (USA) © Renzo Angelini
98 CILIEGIE DI MAROSTICA CALEIDOSCOPIO
100 I PARCHI DEL WEST (PRIMA PARTE) PAESAGGIO Renzo Angelini
128 CONSUMI ALIMENTARI INDAGINE DI MERCATO
138 SELENELLA CALEIDOSCOPIO
139 DERBY BLUE CALEIDOSCOPIO
144 AGRICOLTURA SOSTENIBILE NOVITÀ LIBRARIE Michele Pisante
140 L’ACQUA PERRIER CALEIDOSCOPIO
146 JACQUART CALEIDOSCOPIO
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5 sono le varietà di mele che Melinda coltiva e seleziona per te in Val di Non: Golden, Stark, Renetta, le uniche D.O.P. italiane e in più Gala e Fuji, le nuove mele di montagna. Per soddisfare ogni gusto. E ricorda: 5 sono anche le porzioni giornaliere di frutta e verdura consigliate per il tuo benessere. Perché ogni momento abbia la sua Melinda.
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Chi è MELINDA®? Melinda è un consorzio che unisce oltre 4.000 famiglie di piccoli frutticoltori, organizzati in 16 cooperative, che anno dopo anno, da generazioni, coltivano e raccolgono a mano - una ad una - le mele Melinda: Golden delicious, Red delicious, Renetta, Gala, Fuji, Morgenduft e tante altre. La coltivazione delle mele e le successive fasi di selezione e confezionamento sono regolate da severi disciplinari di produzione e rispettano i più stringenti standard internazionali di certificazione (es.: ISO 9002, GlobalGap, BRC, IFS). Ma ciò che rende davvero uniche le mele Melinda sono le loro superiori caratteristiche organolettiche (sapore, aroma, succosità, croccantezza etc) che permettono ogni anno a Consorzio Melinda di meritarsi la preferenza di oltre 35.000.000 di consumatori di mele in 42 Nazioni di 4 Continenti. Dove nascono e crescono le mele MELINDA®? Il 100% delle mele Melinda sono coltivate esclusivamente sulle montagne delle Valli del Noce
Golden MELINDA®: la mela che piace di più. Sempre. Anche d’estate. La mela Golden è la regina tra le mele Melinda, la più famosa e la più amata dagli italiani. E non è un caso. Infatti le Valli del Noce sono un territorio vocato per la coltivazione di tutte le mele più note, ma è proprio la Golden che qui trova condizioni ideali. Inoltre, grazie all’abbondante raccolto di Golden - che proviene quindi da diverse zone micro-climatiche delle Valli del Noce – ed alla grande cura posta in ogni fase del ciclo di coltivazione, ma in particolare durante raccolta e la selezione, Melinda può suddividere le sue mele Golden in oltre 54 tipologie diverse, per soddisfare i gusti di tutti coloro che preferiscono in ogni momento la Golden più “giusta”. Le mele Golden che Melinda commercializza durante l’estate – per esempio – sono state scelte sia alla raccolta che nelle fasi successive per le loro caratteristiche particolari, che le rendono particolarmente idonee ad essere gustate durante la stagione più calda. Sono infatti mele Melinda molto succose e con un
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MELINDA®: PERCHE’ - ANCHE D’ESTATE PIACE DI PIU’?
(Val di Non e Val di Sole), che delimitano le Dolomiti del Brenta, in Trentino. E’ proprio dall’ antica complicità tra i doni di Madre Natura (terreni rocciosi di origine glaciale, acqua pura, tanto sole e aria fresca - tipici di questo piccolo territorio di montagna) ed il savoir-faire di Padre Contadino (passione, competenza e tradizione dei frutticoltori del consorzio) che nasce l’unicità del gusto delle mele Melinda. Un gusto così unico che ha convinto la Comunità Europea a riconoscere sin dal 2003 alle mele Melinda Golden, Red e Renetta la qualifica di D.O.P (Denominazione di Origine Protetta Mela Val di Non) che sino ad oggi non è stata riconosciuta a nessuna altra mela italiana.
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GRANDFRUTTA: la sana alternativa on-the-go, a base di mele Melinda e altra frutta scelta, per un comodo spuntino leggero, in spiaggia e in qualsiasi altro momento. Estate! Caldo, sole, spiaggia e tanta voglia di fare il bagno. E’ proprio adesso che è ancora più importante nutrirsi bene, con tanti liquidi, con il giusto apporto calorico, ma con cibi ad alta digeribilità. E’ per questo che MELINDA ed il suo partner AD CHINI hanno pensato a GrandFrutta: una scelta di 6 squisite e dissetanti mousse di mele Melinda e altra frutta scelta (provatela fresca da frigo: è fantastica!) disponibile in una pratica confezione – comoda da reggere con una mano sola, anche sotto l’ombrellone e sulla sedia a sdraio - che comprende un igienico e pratico cucchiaino usa e getta ed anche una porzione di cubetti di mele essiccate - ricoperti con un sottile strato di cioccolato bianco e di aromi naturali di frutta – da mescolare alla mousse o da gustare separatamente, come si preferisce. gusto particolarmente fresco chiaramente indicato dalla loro colorazione verde di fondo, ottime quindi per dissetarci, ma anche con un minore contenuto di zuccheri, che determina un più modesto apporto di calorie alla nostra dieta proprio durante il periodo in cui il nostro corpo è probabilmente più in vista. Ecco perché, anche d’estate, la Golden Melinda piace di più!
Golden e GrandFrutta: ecco perché – anche d’estate – Melinda® piace di più! www.melinda.it
Uve per la produzione dell’Amarone.
PROGETTO VIVA ETTORE CAPRI, M. LODOVICA GULLINO, CORRADO CLINI
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VIVA
Un progetto sulla valutazione della sostenibilità in vitivinicoltura che coinvolge nove eccellenze del vino italiano: Castello di Monte Vibiano Vecchio, F.lli Gancia & C. s.p.a., Masi Agricola, Marchesi Antinori, Mastroberardino,Michele Chiarlo Azienda Vitivinicola, Planeta, Tasca d’Almerita e Venica & Venica. Ettore Capri, M. Lodovica Gullino, Corrado Clini
Langhe.
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e sfide che l’agricoltura dovrà affrontare nel prossimo futuro sono numerose e sono legate soprattutto ai cambiamenti climatici e alla corretta gestione delle risorse energetiche e ambientali. Ad esempio l’agricoltura usa più del 70% delle risorse di acqua dolce disponibili a livello mondiale ed è responsabile di oltre il 10% delle emissioni di gas serra. Il compito di chi opera in campo agricolo è quello di rispondere a queste sfide garantendo la qualità delle produzioni e migliorandone la sostenibilità per rispondere alle richieste dei consumatori e alle esigenze degli stessi produttori di operare in un ambiente meno pericoloso per la loro salute. Per definire il concetto di sviluppo sostenibile si fa in genere riferimento a quanto stabilito nel 1987 dalla Commissione Mondiale delle Nazioni Unite per l’Ambiente e lo Sviluppo che ha definito sostenibile lo “sviluppo che è in grado di garantire le necessità del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di fare altrettanto”. Trasferendo il concetto all’agricoltura e, in particolare, al settore vitivinicolo, si tratta quindi
F.LLI GANCIA & C. S.P.A Dal 1850, data di fondazione della prima cantina di Canelli, a oggi, Gancia ha saputo creare, innovare, espandersi e confermarsi. Le prime intuizioni di Carlo Gancia, la passione per la terra e le vigne, la ricerca costante e l’uso innovativo e pionieristico della pubblicità sono state le solide basi sulle quali Gancia è cresciuta nel tempo e ha assunto un ruolo da protagonista in Italia e una rilevante presenza nei mercati esteri d’Europa e del mondo. Il marchio Gancia, con le recenti acquisizioni in Puglia e in Sicilia, rappresenta oggi un’azienda leader in Italia per la produzione spumantiera con una salda presenza nel panorama internazionale. Con oltre 2.000 ettari di vigneti controllati, 30 ettari di vigneti in proprietà Gancia produce oltre 25.000.000 di bottiglie di spumanti, vini e aperitivi ogni anno. La presenza sui mercati internazionali iniziata a fine ‘800 è stata nel corso degli anni consolidata con oltre 60 paesi di esportazione.
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di definire un insieme di pratiche che rispondano alle esigenze del rispetto dell’ambiente e alle richieste sociali del territorio che siano, al tempo stesso, dotate di fattibilità pratica ed economica. I criteri di sostenibilità in viticoltura sono stati fissati nel 2008 dall’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin (OIV) che li ha definiti come: “approccio integrato dei sistemi di produzione e di trasformazione delle uve, associando contemporaneamente la produttività economica delle strutture e dei territori, l’ottenimento di prodotti di qualità, la presa in considerazione delle esigenze di una viticoltura di precisione, dei rischi legati all’ambiente, la valorizzazione degli aspetti patrimoniali, storici, culturali, ecologici e paesaggistici.” La sostenibilità viene quindi intesa secondo un approccio ampio in cui non si considerano esclusivamente le singole aziende agricole, ma si lavora su comprensori più ampi che includono le aziende viticole e le aree circostanti. Chi opera in viticoltura deve modificare le proprie strategie di intervento per adattarle alle nuove esigenze, per mantenere alto lo standard qualitativo che caratterizza la produzione italiana, ridurre al minimo l’inquinamento dell’acqua, del suolo e dell’aria, promuovere e mantenere un’alta diversità biologica nell’ecosistema del vigneto e
nelle aree circostanti, dando la priorità, quando è possibile, all’uso dei meccanismi di regolazione naturali; proteggere la salute del viticoltore e dei consumatori. IL PROGETTO VIVA Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione Generale per lo Sviluppo Sostenibile, l’Energia e il Clima, ha avviato dal luglio 2011, un progetto nazionale pilota per la valutazione dello stato attuale e per arrivare a definire le linee guida per una viticoltura sostenibile. Il settore vitivinicolo italiano, con quasi un milione di ettari coltivati e circa 600.000 aziende coinvolte, è una delle colonne portanti della produzione e dell’esportazione agroalimentare italiana, per il valore economico e la qualità del prodotto. Allo stesso tempo, il settore vinicolo per la sua capillare diffusione sul territorio nazionale è riconosciuto come una delle componenti meglio identificate della nostra “cultura” di gestione e protezione dell’ambiente rurale e del paesaggio agrario, associato alla sicurezza dei prodotti e della salute dei consumatori. Il progetto è svolto da Centri universitari di ricerca: AGROINNOVA, Centro di Competenza Azienda Montezemolo in Piemonte.
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Vigneti sulle colline del Monferrato.
Vigneti a Barbaresco - Piemonte.
Mastroberardino, Montevibiano Vecchio, Masi, F.lli Gancia & Co., Chiarlo e Venica&Venica).
dell’Università di Torino; Centro di Ricerca OPERA per l’agricoltura sostenibile dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; Centro di Ricerca sulle Biomasse dell’Università degli Studi di Perugia. Il compito dei Centri di ricerca è quello di definire le strategie sostenibili sotto il profilo ambientale ed economico, per consentire ai tecnici e ai produttori di affrontare nel miglior modo possibile le nuove sfide. Il progetto è stato avviato in collaborazione con alcune grandi aziende italiane del settore, scelte sulla base di criteri geografici e di rappresentatività della produzione (Tasca d’Almerita, Planeta, Marchesi Antinori,
GLI OBIETTIVI DEL PROGETTO Il primo obiettivo del progetto è stato quello di definire, partendo dall’analisi delle aziende campione, il profilo attuale della vitivinicoltura italiana per quanto riguarda l’eco-sostenibilità. Il secondo obiettivo in ordine cronologico, ma in realtà l’obiettivo fondamentale per il progetto, è quello di definire, sulla base dei risultati acquisiti nell’analisi delle aziende, delle indicazioni della Comunità Europea e di organismi come l’O.I.V., le linee guida per una produzione sostenibile, che
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Vigneti sulle colline del Monferrato.
Azienda Masi.
anticipino quanto accadrà in ambito nazionale ed europeo, rispondendo ai nuovi indirizzi, che richiedono di modificare le tecniche di gestione delle aziende secondo il principio della sostenibilità (esempio: Direttiva 2009/128/CE sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari). Il terzo obiettivo sarà quello di proporre un vero e proprio Codice di sostenibilità che permetta una certificazione per le aziende che seguiranno le linee guida proposte dal Ministero. L’intento del Codice è quello di sottolineare la relazione esistente tra la riduzione dei rischi nell’attività viticola e l’aumento della sostenibilità all’interno dell’azienda, ed inoltre, è quello di dimostrare che la corretta
gestione dei rischi è la strategia più corretta per un continuo miglioramento nel tempo del livello di sostenibilità. Il progetto svilupperà un marchio di sostenibilità fruibile dalle aziende, pronto alla certificazione, supportato dal riconoscimento della comunità imprenditoriale viticola e dalla comunità scientifica. La partecipazione al progetto offre quindi l’opportunità, per le aziende agricole, di trasformare gli obblighi legislativi in opportunità di miglioramento della qualità e in un conseguente vantaggio di competitività e di mercato. Il quarto obiettivo è quello di fornire uno strumento informatico gratuito di facile utilizzo che permetta di valutare la performance
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ambientale della gestione dell’azienda nel suo insieme. Il software sarà basato sullo sviluppo di indicatori che comprendano le dimensioni sociali, economiche, ambientali ed etiche proprie dei modelli di sviluppo sostenibile. Il quinto obiettivo è quello di formare tecnici in grado di portare avanti nelle aziende i protocolli di sostenibilità proposti. Il sesto obiettivo, non meno importante, sarà quello di informare e sensibilizzare il consumatore, sia sul mercato interno che su quello internazionale. Al termine della validazione, infatti, il modello di sviluppo sostenibile sarà aperto a tutte le aziende viticole italiane. L’azione, presso le aziende pilota, sarà inoltre uno strumento di divulgazione delle tecniche agronomiche proposte e degli altri risultati del progetto grazie alla costituzione di una rete di campi dimostrativi e alla realizzazione di eventi all’interno di manifestazioni nazionali e internazionali.
MICHELE CHIARLO AZIENDA VITIVINICOLA Michele Chiarlo proviene da una famiglia di viticoltori che per sette generazioni hanno operato nel Monferrato. Nel 1956, terminati gli studi di enologia, decide di intraprendere l’attività di produttore con una piccola cantina in Calamandrana. Armato dalla grande passione per i vini di qualità, la sua filosofia operativa è sempre stata l’acquisizione di vigneti solo in eccellenti posizioni; gradualmente ha acquistato 60 ettari di vigneti, tutti nel rispetto della sua filosofia, fra i quali alcuni cru di prima grandezza quali Cerequio e Cannubi nella zona del Barolo e La Court nella zona del Barbera d’Asti. L’azienda gestisce questi vigneti, unitamente a 45 ettari in affitto con l’obiettivo di produrre alta qualità e basso impatto ambientale. Attualmente operano nell’azienda anche i suoi due figli, Stefano responsabile della gestione viticola e della produzione e Alberto responsabile delle vendite. Gli sforzi qualitativi sono stati ampiamente riconosciuti dai più autorevoli critici italiani e internazionali, che continuano a riservare giudizi lusinghieri ai vini della Michele Chiarlo. La produzione è di poco superiore ad un milione di bottiglie che per il 70% vengono esportate in 65 Paesi.
GLI INDICATORI PER LA VALUTAZIONE DELLA SOSTENIBILITÀ IMPRONTA CARBONICA (CARBON FOOTPRINT) L’impronta carbonica è una misura che esprime in CO2 equivalente il totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate direttamente o Valpolicella.
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Valpolicella e vendemmia.
indirettamente ad un prodotto, un’organizzazione o un servizio. L’esperienza degli ultimi anni suggerisce che la dichiarazione di impronta carbonica è percepita dai consumatori come un indice di qualità e sostenibilità delle imprese. In conformità al Protocollo di Kyoto, i gas ad effetto serra da includere sono: anidride carbonica (CO2), metano (CH 4), protossido d’azoto (N2 O), idrofluorocarburi (HFCs), esafluoruro di zolfo (SF 6) e perfluorocarburi (PFCs). La tCO 2e (tonnellate di CO2 equivalente) permette di esprimere l’effetto serra prodotto da questi gas in riferimento all’effetto serra prodotto dalla CO 2, considerato pari a 1 (ad esempio il metano ha un potenziale serra 25 volte superiore rispetto alla CO 2, e per questo una tonnellata di metano viene contabilizzata come 25 tonnellate di CO 2 equivalente). Questa richiede l’individuazione e la quantificazione dei consumi di materie prime e di energia nelle fasi del ciclo di vita dell’uva e del vino. Le aziende, oltre a condurre l’analisi e la contabilizzazione delle emissioni di CO 2, si impegnano a definire un sistema di carbon management finalizzato all’identificazione e realizzazione di quegli interventi di riduzione delle emissioni, economicamente efficienti, che utilizzano tecnologie a basso contenuto di carbonio. Le misure di riduzione possono essere integrate dalle misure per la neutralizzazione delle emissioni (carbon neutrality), realizzabili attraverso attività che mirano a compensare le emissioni con misure equivalenti volte spendibili anche in termini di immagine, come la piantumazione di alberi o la produzione di energia rinnovabile.
MASI AGRICOLA Masi Agricola, produttore leader di Amarone, produce vini di pregio delle Venezie, utilizzando vitigni autoctoni e metodi di vinificazione tradizionali, ma con costante aggiornamento tecnologico. È ovunque riconosciuta la sua expertise nella tecnica dell’Appassimento (le uve riposano per un lungo periodo su graticci di bambù per concentrare aromi e gusti nel vino), che usa per la produzione dei suoi cinque Amaroni (la gamma più ampia e qualificata proposta al mercato internazionale) e altri vini emblematici come il Campofiorin. La storia di Masi Agricola è la storia di una famiglia e dei suoi vigneti a Verona, in Veneto. Il nome deriva dal “Vaio dei Masi”, la piccola valle acquisita alla fine del XVIII secolo dalla famiglia Boscaini, tuttora proprietaria. L’azienda si è allargata con acquisizioni successive nelle migliori aree storiche di produzione delle Venezie. Tra gli altri, gestisce i vigneti della Valpolicella che possono vantare la più lunga storia e tradizione, quelli dei conti Serego Alighieri, che dal 1353 appartengono ai discendenti del poeta Dante. Ha sviluppato progetti in Toscana, in collaborazione con Serego Alighieri, in Trentino e in Argentina in collaborazione con la storica azienda dei Conti Bossi Fedrigotti. Oggi Masi è un’azienda internazionale, che esporta i suoi vini in 85 Paesi del mondo.
IMPRONTA IDRICA (WATER FOOTPRINT) L’impronta idrica è un indicatore del consumo di acqua dolce ed è definita come il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi, misurata in termini di volumi d’acqua consumati (evaporati o incorporati in un prodotto) e inquinati per unità di tempo. Nell’ambito del
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VITICOLTURA NEL CHIANTI
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Azienda Petra a Suvereto e viticoltura a Bolgheri.
VENICA&VENICA
MARCHESI ANTINORI
Venica & Venica è un’azienda familiare con 34 ettari di vigneto tutti nel comune di Dolegna del Collio, zona di produzione D.O.C. che dal 1930 si è sviluppata in un rapporto sinergico con il Collio Goriziano. I Venica sono vignaioli che s’impegnano per unire le proprie tradizioni con la continua ricerca e l’innovazione. La loro filosofia di produzione è che per garantire la costanza e la sostenibilità della qualità non è più concesso di improvvisare o subire passivamente la benevolenza o meno delle annate. I vini devono essere pensati, e tutta la filiera produttiva si deve allineare a questo concetto. Per poter realizzare questo è stato necessario creare una squadra di persone formate tecnicamente, affiatate e creative, per interpretare al meglio il rapporto tra Uomo e Ambiente.
Antinori è uno dei nomi più noti e prestigiosi del vino italiano nel mondo, un marchio che si è affermato sui mercati internazionali negli ultimi quarant’anni per l’eccellente lavoro compiuto e naturalmente per la qualità dei suoi vini. La Famiglia Antinori si dedica infatti alla produzione vinicola da più di seicento anni ma come ama dire il Marchese Piero: “ le antiche radici giocano un ruolo importante nella nostra filosofia, ma non hanno mai inibito il nostro spirito innovativo ”. Alle tenute di Toscana e Umbria, patrimonio storico della famiglia, si sono aggiunti con il tempo investimenti in altre aree vocate per la produzione di vini di qualità in Italia e all’estero, dove si potesse intraprendere un nuovo percorso di valorizzazione di nuovi “terroir” ad alto potenziale vitivinicolo. Antinori fa continui esperimenti nei suoi vigneti e cantine con selezioni di cloni di uve indigene ed internazionali, tipi di coltivazioni, altitudini dei vigneti, metodi di fermentazione e temperature, tecniche di vinificazione tradizionali e moderne, tipi di legno dimensioni ed età delle botti, e variando la lunghezza dell’invecchiamento in bottiglia.
progetto, per la prima volta in Italia si è sviluppata una metodologia per il calcolo dell’impronta idrica della vitivinicoltura comprendendo, quindi, la valutazione dei consumi e degli impatti direttamente generati dall’attività aziendale in vigneto ed in cantina. Il computo globale dell’impronta idrica della vitivinicoltura è dato dalla somma di tre componenti: acqua blu: si riferisce al prelievo di acqua superficiale e sotterranea destinata ad essere utilizzata in campo ed in cantina. Si tratta dei volumi realmente consumati nel processo produttivo, infatti rappresentano la quantità di
acqua dolce che non torna a valle del processo produttivo nel medesimo punto in cui è stata prelevata o vi torna, ma in tempi diversi; acqua verde: è il volume di acqua piovana evapotraspirata durante il ciclo colturale della vite; acqua grigia: rappresenta il volume di acqua inquinata, quantificata come il volume di acqua necessario per diluire gli inquinanti in modo che la qualità delle acque rimanga sopra gli standard definiti (legali e/o ecotossicologici).
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L’utilizzo delle tre componenti di acqua virtuale incide in modo diverso sul ciclo idrogeologico. Ad esempio, il consumo di acqua verde esercita un impatto meno invasivo sugli equilibri ambientali rispetto al consumo di acqua blu. La water footprint offre quindi una migliore e più ampia prospettiva su come la vitivinicoltura influisca sull’utilizzo delle risorse idriche. I risultati della sperimentazione condotta nelle 9 aziende italiane selezionate nell’ambito del progetto hanno rilevato un’impronta idrica per la bottiglia da 0,75 pari a circa 1000 volte il contenuto della stessa (l’impronta di una bottiglia di vino da 0,75 L può variare da 700 a oltre 1000 L). Per quanto riguarda la ripartizione nelle tre componenti l’acqua verde, che è rilevante per i prodotti agricoli, costituisce nel caso del vino una parte significativa del totale dei consumi, ma è bene ricordare che, nelle medesime condizioni spazio-temporali, un prato ne avrebbe richiesto un quantitativo maggiore. I consumi di acqua blu e grigia sono generalmente bassi evidenziando l’ottima efficienza nell’uso della risorsa in campo ed in cantina, e l’adozione in vigneto di pratiche adatte a minimizzare le contaminazioni dei corpi idrici superficiali e di falda.
indicate dall’O.I.V. definite dalla guida CST 1-2008, il progetto ha sviluppato un indicatore innovativo che prende in considerazione le pratiche di gestione agronomica del vigneto. In particolare valuta l’utilizzo degli agrofarmaci, la gestione del suolo, della fertilità e della sostanza organica, delle acque superficiali, l’uso delle macchine agricole e gli aspetti legati alla biodiversità aziendale. L’indicatore si sviluppa in tre sezioni: uso dei prodotti fitosanitari. Lo strumento analizza il rischio ambientale degli agrofarmaci in base alle proprietà chimiche e ai limiti ecotossicologici, valutandone l’impatto potenziale a seconda del tipo di terreno dell’azienda e delle caratteristiche idrogeologiche e meteorologiche della zona. Suolo: lo strumento si sviluppa su quattro moduli. Considera l’uso dei fertilizzanti organici e minerali valutando il rischio legato agli effetti potenzialmente dannosi come l’eccesso di nutrienti nel terreno, la contaminazione dei corpi idrici e gli effetti sulla biodiversità rapportati alla percentuale di sostanza organica e alle caratteristiche fisiche del suolo, al rapporto C/N, al contenuto in N, P2O5 e K2O, e alle modalità di applicazione. Valuta l’influenza che le operazioni colturali, con particolare riferimento all’utilizzo delle macchine agricole, e l’azione battente della pioggia possono avere sulla compattazione del suolo. Valuta l’effetto delle pratiche di gestione del suolo sull’evoluzione della sostanza organica.
VALUTAZIONE DELLA GESTIONE AGRONOMICA DEL VIGNETO Basandosi sulla Direttiva 2009/128/CE sull’uso sostenibile dei fitofarmaci e sulle linee guida Vigneti a Montepulciano.
23 PROGETTO VIVA ETTORE CAPRI, M. LODOVICA GULLINO, CORRADO CLINI
Panoramica di Castello di Brolio. Invecchiamento in barrique.
24 PROGETTO VIVA ETTORE CAPRI, M. LODOVICA GULLINO, CORRADO CLINI
Vigneti nel Salento. Azienda La Segreta a Sambuca di Sicilia.
25 PROGETTO VIVA ETTORE CAPRI, M. LODOVICA GULLINO, CORRADO CLINI
Feudo Arancio - Sambuca di Sicilia.
Valuta come le pratiche di gestione agronomica e l’uso delle macchine influiscano sulle perdite di suolo causate dall’erosione. Biodiversità. L’indicatore tiene conto della presenza di aree a vegetazione naturale, o
piantumate dal viticoltore, presenti in azienda e/o contigue ai vigneti, basandosi sul presupposto che la presenza di questa aree rappresenta un importante serbatoio di fauna utile. Si parte cioè
MASTROBERARDINO
CASTELLO DI MONTE VIBIANO VECCHIO
Mastroberardino è la più antica azienda vitivinicola della Campania ed una delle più rinomate di tutto il Sud Italia. Dal 1878, anno dell’iscrizione della società presso la Camera di Commercio di Avellino, è un’azienda a conduzione familiare, fortemente legata al territorio ed alle antiche tradizioni ma al tempo stesso orientata ai mercati internazionali. Ne consegue che nella storica cantina di Atripalda (AV), aperta anche alle visite al pubblico, dove ha luogo l’intero processo produttivo, l’affinamento e la conservazione del vino, l’impegno quotidiano è finalizzato alla tutela dell’antichissima eredità vitivinicola campana, esaltando tutte le virtù di tradizionali uve native quali Aglianico, Piedirosso, Fiano di Avellino e Greco di Tufo. Oggi, sempre fedele alla propria missione di difesa dei valori vitivinicoli tradizionali, la Mastroberardino è anche attenta all’innovazione e all’interpretazione moderna dei propri vini, in una sapiente sintesi tra il carattere e lo stile della cultura antica e le più avanzate tecnologie qualitative.
La Cantina Castello Monte Vibiano Vecchio nasce in epoca recente con l’obiettivo di realizzare vini che si possano collocare nel panorama della produzione enologica di qualità. Sotto la guida della società dell’enologo Attilio Pagli, l’azienda di proprietà della famiglia Fasola Bologna ha attuato un progetto imperniato sulla realizzazione di un efficiente impianto di trasformazione delle uve ed al contempo svolgendo un profondo piano di rinnovamento dei vigneti, il tutto volto all’ottenimento di risultati qualitativi di eccellenza. L’azienda dispone di circa 45 ettari di superficie vitata nella zona D.O.C. dei Colli Perugini, suddivisi tra vitigni a bacca rossa e bianca, che permettono la produzione di un vino bianco, il Villa Monte Vibiano Bianco dell’Umbria IGP e di tre vini rossi, il Villa Monte Vibiano Rosso dell’Umbria IGP, il MonVì Colli Perugini Rosso DOC e L’Andrea Colli Perugini Rosso DOC. Il moderno edificio della cantina, costruito nel 2003, consente una produzione annua di circa 300.000 bottiglie annue e dispone di un ampio spazio per l’accoglienza e la degustazione.
26 PROGETTO VIVA ETTORE CAPRI, M. LODOVICA GULLINO, CORRADO CLINI
Vigneti in Oltrepò Pavese. Vigneti intorno Borgo Rocca Sveva a Soave.
27 PROGETTO VIVA ETTORE CAPRI, M. LODOVICA GULLINO, CORRADO CLINI
Vigneto di Lambrusco a Sorbara.
TASCA D’ALMERITA
PLANETA
Tasca d’Almerita è il racconto di una famiglia e di un legame con la terra di Sicilia che dura da otto generazioni, fatto di passione, di ricerca e di rispetto per tradizioni agricole antichissime. Una dedizione all’agricoltura, e in particolare alla viticoltura d’eccellenza, che dal 1830 non si è mai interrotta e, oggi, continua e si consolida con Lucio Tasca e i figli Giuseppe e Alberto. Origine ed epicentro di tutto la Tenuta Regaleali, 500 ettari nel cuore del triangolo siciliano dove, in un trionfo di diverse colture - tra uliveti, frutteti, cereali e persino ortaggi - a regnare sono i vigneti. Un contesto pedoclimatico e paesaggistico d’eccezione a cui negli ultimi 10 anni si sono affiancati nuovi progetti e siti produttivi: Capofaro, sei ettari di Malvasia che fanno da corona naturale a un resort esclusivo sospeso sul mare di Salina, nelle Eolie; Mozia, isolotto fenicio all’interno della Riserva naturale dello Stagnone di Marsala, di proprietà della Fondazione Whitaker, dove Tasca d’Almerita cura gli storici vigneti ad alberello. Impossibile poi resistere al fascino dell’Etna, un territorio famoso nel mondo per la sua energia ed unicità: nascono così le Tenute Tascante. Infine la gestione della Tenuta Sallier de la Tour, dei cugini principi di Camporeale, nel territorio della DOC Monreale. L’azienda è stata tra i promotori del progetto, perché i proprietari sono convinti che una agricoltura sempre più sostenibile sia la risposta più appropriata per elevare la qualità dei prodotti e assicurare alla società un futuro migliore.
Planeta nasce a Sambuca di Sicilia nel 1985 nelle terre che da secoli sono di proprietà della famiglia. Oggi Planeta è un Viaggio in Sicilia, con vigne coltivate ed armonizzate nel territorio e sei boutique wineries che a Sambuca, Menfi, Vittoria, Noto, Castiglione di Sicilia e Capo Milazzo danno vita a vini che sono al tempo stesso espressione del rinnovamento e della tradizione enologica siciliana. Planeta è un’azienda familiare dove ognuno gioca un ruolo diverso e fondamentale per il raggiungimento dell’ambizioso traguardo dell’eccellenza delle produzioni nel rispetto del territorio, dell’ambiente e della responsabilità sociale. Oggi si producono circa 2.300.000 bottiglie con 16 diverse etichette, esportate in 75 paesi.
la massima qualità, mentre le aree artificiali non hanno qualità in termini di paesaggio e le aree agricole hanno qualità solo se vi è diversificazione colturale. INDICATORE SOCIO-ECONOMICO E DI QUALITÀ DEL PAESAGGIO Nel panorama complessivo dell’agricoltura italiana, il paesaggio disegnato dalla coltivazione della vite ha una importanza fondamentale e in alcuni casi (Langhe, zona del Prosecco nel Trevigiano, Collio e Colli Orientali del Friuli)
dall’idea che più un paesaggio è diversificato e migliore è il suo stato ambientale. Nell’indice utilizzato, le aree a vegetazione naturale hanno
28 PROGETTO VIVA ETTORE CAPRI, M. LODOVICA GULLINO, CORRADO CLINI
il paesaggio viticolo è già oggetto di tutela o, addirittura come nel caso della Langhe, sta per essere riconosciuto come patrimonio dell’umanità. La sostenibilità non è infatti solo valutazione dell’impatto ambientale, e non è solo misurabile attraverso la valutazione dell’impronta idrica, carbonica, e dell’impatto ambientale dovuto alla gestione del vigneto. Pertanto, al fine di integrare nella valutazione della sostenibilità gli aspetti ambientali, sociali ed economici è stato costruito un tool box kit di indicatori qualitativi e quantitativi capace di misurare la ricaduta sul territorio delle azioni intraprese dalle aziende. Gli ambiti di inchiesta sono biodiversità, paesaggio, turismo, società e collettività, gestione delle risorse umane ed economiche. VIVA è l’acronimo di Valutazione dell’Impatto della Viticoltura nell’Ambiente ed è stato sviluppato per valutare la performance ambientale di un azienda vitivinicola. E’ il progetto pilota triennale avviato nel 2011 dal Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare che ha come obiettivo quello di definire il profilo attuale di sostenibilità della filiera e la formulazione di linee guida per una produzione vitivinicola sostenibile, nel rispetto delle indicazioni dell’Unione Europea e dell’Organisation Internationale de la Vigne e du Vin. Il progetto VIVA contempla un approccio integrato alla sostenibilità, in cui la valutazione della performance di un vino si basa su quattro indicatori selezionati e riportati sulla prima etichetta sostenibile italiana che è stata presentata in occasione del Vinitaly 2013.
sulla sua fertilità e la sua struttura e infine il livello di biodiversità rilevabile nell’ecosistema vigneto. Nell’indicatore TERRITORIO, aspetti qualitativi e quantitativi appositamente individuati valutano le ricadute ambientali, economiche e sociali delle attività aziendali sulla biodiversità, il paesaggio, i lavoratori, la comunità locale e i consumatori. Il consumatore finale può riconoscere un vino certificato VIVA immediatamente grazie all’etichetta posta generalmente sul retro della bottiglie e contenute: • il logo VIVA; • i simboli dei quattro indicatori; • il logo del Ministero dell’Ambiente;
ESEMPIO DI ETICHETTA V.I.V.A. L’indicatore ARIA esprime il totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate, direttamente e indirettamente, al ciclo di vita di una bottiglia di vino da 0,75 litri. L’indicatore ACQUA esprime in litri il volume totale di acqua dolce utilizzata e inquinata, in vigneto e in cantina, per produrre una bottiglia di vino da 0,75 litri. L’indicatore VIGNETO valuta gli effetti sull’ambiente dell’impiego di agrofarmaci, nonché l’influenza delle tecniche di gestione del terreno
29 PROGETTO VIVA ETTORE CAPRI, M. LODOVICA GULLINO, CORRADO CLINI
LE CANTINE
In questa sezione sarà possibile valutare il trend dell’indicatore nel tempo, rappresentativo dell’impegno dell’azienda produttrice nella direzione di una sostenibilità crescente. Al momento le aziende coinvolte sono nove in tutto lo stivale (Tasca d’Almerita, Planeta, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Montevibiano, Masi Agricola, F.lli Gancia & Co, Michele Chiarlo e Venica&Venica), ognuna delle quali ha ottenuto un’etichetta sostenibile V.I.V.A.
I VINI V.I.V.A.
Castello di Monte Vibiano Vecchio L’Andrea F.lli Gancia & C. s.p.a Asti Spumante Masi Agricola Poderi del Bello Ovile Marchesi Antinori San Giovanni della Sala Mastroberardino Morabianca Irpinia Falanghina DOC Redimore Irpinia Aglianico DOC Michele Chiarlo Azienda Vitivinicola Barolo Cerequio Planeta Santa Cecilia Tasca d’Almerita Cabernet Sauvignon Chardonnay Venica&Venica Ronco delle Mele
Chi vuole accedere al programma o ricevere maggiori informazioni può visitare il sito: www. viticolturasostenibile.org
• un QR Code che permette al consumatore, tramite smartphone o tablet, di collegarsi a pagine web contenenti tutte le informazioni sul livello di sostenibilità che caratterizza il prodotto su cui è posta l’etichetta. Per accedere ai dettagli dell’analisi di sostenibilità occorre solo fotografare il QR code con uno smartphone o un tablet o utilizzando l’App VIVA, automaticamente il consumatore verrà collegato a una pagina che illustra brevemente il progetto e i suoi obiettivi. Da qui si accede alla pagina dedicata alla performance di sostenibilità dello specifico vino, di cui vengono visualizzati nome, produttore ed etichetta e perdere visione dei risultati relativi a ciascuno dei quattro indicatori ARIA, ACQUA, VIGNETO e TERRITORIO. Il dettaglio di ogni indicatore contiene una breve descrizione che permette di comprendere gli aspetti della sostenibilità espressi dall’indicatore stesso. In particolare, nei casi di ARIA e ACQUA, viene mostrato il peso relativo di ognuna delle componenti di ciascun indicatore.
Ettore Capri Istituto di Chimica Agraria e Ambientale Università Cattolica del Sacro Cuore (PC) M. Lodovica Gullino Director Agroinnova President International Society for Plant Pathology
Corrado Clini Direttore Generale Sviluppo Sostenibile
30 PROGETTO VIVA ETTORE CAPRI, M. LODOVICA GULLINO, CORRADO CLINI
Agrofarmaco autorizzato dal Ministero della Sanità, seguire attentamente le istruzioni riportate in etichetta.
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CALEIDOSCOPIO
CALEIDOSCOPIO
FRUIT SENSATION, I DADINI 100% FRUTTA CHINI PER ADDOLCIRE OGNI MOMENTO DELLA GIORNATA
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Fruit Sensation sono golosi dadini di frutta realizzati con sola frutta al 100%, prodotti da Chini, azienda specializzata nella trasformazione delle mele e concessionaria del marchio Melinda. Tutti i prodotti Chini vengono realizzati con sole mele Golden Delicious del Trentino la cui qualità è garantita dal marchio Melinda. I dadini Fruit Sensation vengono realizzati solo con frutta fresca altamente selezionata. Sono privi di conservanti, zuccheri aggiunti ed edulcoloranti; uno spezza-fame gustoso e leggero che contiene solo gli zuccheri della frutta, una fonte naturale di fibre. I Fruit Sensation si presentano come caramelle, ma in realtà sono molto di più. Già dal primo dadino è possibile gustare l’intenso sapore di frutta: un piacere da assaporare in ogni momento della giornata grazie alla pratica bustina da 30 grammi. Ogni confezione di Fruit Sensation viene realizzata unicamente con succo concentrato di mela, succo concentrato del gusto scelto tra mirtillo, fragola, pesca o ciliegia e da purea integrale di mela. Fruit Sensation regala tutto il sapore di uno snack goloso ma allo stesso tempo genuino, adatto in particolare a chi è attento alla linea, ad un’alimentazione sana ed equilibrata e chi ha bisogno di fare il pieno di energia. Negli anni Chini ha saputo trasformare la frutta con fantasia, realizzando diversi e sempre più gustosi frutta-snack dai comodi formati pocket. Dessert di frutta al cucchiaio, barrette frutta e cereali o frutta 100%, snack di mele essiccate e tantissime altre proposte: squisite merende in pratici vasetti o comodi sacchetti monodose da infilare in borsa, nello zaino di scuola o addirittura in tasca. I frutta snack Chini sono realizzati senza conservanti o coloranti. Solo buona frutta e tanta passione. www.melinda.it
CANDONGA CARMELA SURIANO
COVER STORY
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CANDONGA LE FRAGOLE NON SONO TUTTE UGUALI!
In pochi anni è diventata la varietà di fragola leader in Europa e si riconosce per: • la bellezza dei frutti, di forma conico allungata e colore rosso brillante, per la polpa dolce e consistente, ricca di vitamina C, acido folico, fibre, potassio e basso contenuto in zuccheri, garantendo sapore e aromi inconfondibili • la rusticità della pianta e la produzione omogenea e scalare • la lunga shelf life. La Ricerca di Planasa s.a., detentrice del brevetto, non si ferma qui ma prosegue con le novità Sahara e Sabrina.
Carmela Suriano foto di Studio Pietro Modena
Frutti di Candonga dalla caratteristica forma conico-allungata e dal colore rosso brillante.
CONTENUTI DELLA FRAGOLA
N
ella mitologia greca, le fragole sono le lacrime della Dea Venere per la morte dell’amato Adone, lacrime che appena toccarono terra si trasformarono in piccoli cuori rossi. Il mercato della fragola storicamente si caratterizza per lo sviluppo varietale: negli anni i ricercatori pubblici e privati di tutto il mondo hanno individuato varietà adatte a differenti condizioni pedoclimatiche e di mercato. Nell’ultimo decennio le esigenze dei produttori e consumatori hanno contribuito all’affermazione di cultivar che si contraddistinguono per rusticità della pianta e ottime caratteristiche organolettiche. Candonga ne è l’esempio più significativo. Brevettata dal gruppo Planasa s.a., società spagnola leader del settore della ricerca e sperimentazione di nuove cultivar di fragola, alberi da frutto e piccoli frutti, questa varietà ha conquistato in pochi anni il mercato europeo per le sue eccellenti caratteristiche organolettiche. I suoi frutti incantano per la sua bellezza; forma conico allungata; colore rosso brillante; di dimensioni medio grandi ed uniformi durante tutto il periodo della raccolta. La polpa dolce e consistente, ricca di nutrienti come la vitamina C, acido folico, fibre e potassio ,sprigiona un aroma inconfondibile. L’elevato contenuto
VALORE ENERGETICO IN KJ/100 g
150 kcal/100 g
VITAMINA A
0,4 mg/kg
VITAMINA C
360 mg/kg
CALCIO
113,35 mg/kg
FERRO
2,96 mg/kg
POTASSIO
1954 mg/kg
FOSFORO
281,1 mg/kg
MAGNESIO
177,63 mg/kg
Fonte INRAN 2000
di nutrienti è legato ad un basso contenuto di zuccheri, solo 50 Kcal/100g di prodotto. Le sostanze nutritive che è possibile ritrovare nel frutto di Candonga sono molto importanti per il nostro organismo e svolgono apprezzabili funzioni per la salute umana. La vitamina C aiuta a riparare i danni dell’organismo e rinforza il sistema immunitario, soprattutto nella stagione fredda. L’acido folico è una vitamina del gruppo B, non viene prodotto dall’organismo ma deve essere introdotto con la dieta ed è una sostanza riconosciuta essenziale nella prevenzione delle malformazioni neonatali. Inoltre, contribuisce a ridurre i rischi di malattie cardiovascolari e infarti. Anche altri composti contenuti nel frutto, in particolar modo polifenoli e flavonoidi, possiedono un’elevata capacità antiossidante in grado di prevenire le malattie cardiache. Studi recenti sulla natura molecolare dei composti antiossidanti delle fragole hanno consentito di scoprire che esse contengono, tra gli altri, polifenoli e flavonoidi come catechina, quercetina, campferolo e antocianine. Le elevate quantità di tali antiossidanti
37 CANDONGA CARMELA SURIANO
Le sostanze nutritive di Candonga sono importanti per il nostro organismo e svolgono apprezzabili funzioni per la salute umana.
fanno si che le fragole siano collocate al vertice della scala ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity), utilizzata per quantificare il contenuto in sostanze antiossidanti e, per tale ragione, sono state inserite tra i cibi che “mantengono giovani” nella speciale classifica stilata dall’USDA (il Dipartimento dell’Agricoltura statunitense). Diversi antiossidanti estratti da questo frutto sono stati testati al fine di determinarne le caratteristiche anti-tumorali derivanti dalla capacità di proteggere il DNA dagli attacchi dei radicali liberi. Ottimi risultati preliminari sono stati ottenuti, in particolare, nei confronti del cancro all’esofago, al colon, al polmone e alla prostata. I polifenoli hanno effetti antimicrobici con particolare riferimento ai patogeni intestinali. Gli antiossidanti, infine, sono in grado di abbassare il rischio di patologie cardiovascolari attraverso l’inibizione dell’ossidazione del colesterolo “cattivo” (LDL) e la diminuzione della tendenza ad eventi trombotici.
ricercate sui mercati nazionali ed europei. La rapida diffusione della Candonga, negli areali fragolicoli meridionali, e la contestuale “concentrazione” delle cultivar cui si è assistito nel corso degli anni (alle circa dieci varietà storiche se ne sostituiscono oggi un numero limitato, tra cui Camarosa e Sabrina) che coprono l’80% della produzione complessiva, potrebbero fungere da indicatori a favore di una differenziazione di prodotto per caratteristiche di varietà indicate sulle confezioni nel mercato della fragola. Dunque, come avvenuto in passato per altri frutti diventerebbe possibile istruire il consumatore all’atto d’acquisto, attraverso una denominazione esplicativa delle peculiarità della cultivar.
Candonga è molto apprezzata dai produttori per la rusticità della pianta, la produzione omogenea e scalare; dai buyer per la shelf-life che la contradistingue; dai consumatori per il suo sapore e aroma. In meno di dieci anni la Candonga è divenuta una delle fragole più
Carmela Suriano General Manager Planitalia
38 CANDONGA CARMELA SURIANO
Le miniangurie
Denise e Nikas: kg 3
Perchè?
Denise
Senza semi Più croccante Si conserva di più, grazie alla mancanza di semi
Genetica polpa rossa più ricca di licopene, importante antiossidante nella prevenzione del cancro e prontamente assimilabile dall’organismo.
è più buono Pochi e piccolissimi semi
Nikas Trova sempre spazio nel tuo frigorifero. kg 2.5
Non butti via niente
Contattaci se non le trovi nel tuo supermercato!
CALEIDOSCOPIO
www.conipiediperterra.com Il quotidiano online su agricoltura, nutrizione, territorio Con i piedi per terra”, “Antenna Verde” e “Agrinews Tris vincente per l’agricoltura che si racconta in tv
CALEIDOSCOPIO
moso falconiere americano guru del settore, si tratta di Nick Fox ornitologo, allevatore di falchi, artista e scrittore, che ha presentato il suo best seller “Understanding Birds of Prey” inamene tradotto in italiano. E per finire un giro tra le migliaia di varieta’ frut-
“Con i piedi per terra” sboccia a primavera Prato, grano, fragole e liquirizia, questi i principali temi di Con i piedi per terra nelle prossime settimane che ci consegnano all’estate. Si comincia con i consigli per un prato in ordine, un giardino perfetto, ma anche per i lavori di campagna tra le file dei frutteti o le scarpate: con tutte le novita’ dei costruttori garden italiani. Poi la filiera italiana della pasta, dalla semina al raccolto alla lavorazione. Ma anche un giro tra aziende agricole e agriturismi che si aprono ai consumatori attraverso il canale della vendita diretta. E poi prosegue il nostro giro tra le eccellenze italiane: dopo l’Umbria e le Marche, sara’ la volta del Sud Italia, con la Puglia e la Calabria. Tra le curiosita’: incontreremo un fa-
CON I PIEDI PER TERRA La trasmissione settimanale e’ visibile su tutto il territorio nazionale sul circuito Odeon tv e Odeon sat (sky 914) il lunedi’ alle 20.30, sul web www.conipiediperterra. com, in ambito regionale su Telesanterno il sabato alle 12.30 e il martedi’ alle 21, e sul canale tematico Antenna Verde ogni giovedi’ (656 in Emilia Romagna, 288 per veneto e Friuli)
41 ticole ed erbacee dimenticate e tra i vitigni autoctoni dissepolti, a cominciare dall’uva longanesi col Burson. Prosegue poi ogni settimana la rubrica “Lune e cieli”, proverbi e superstizioni del mondo contadino, e “Sapori d’Italia” con le ricette tradizionali regionali.
CALEIDOSCOPIO
CALEIDOSCOPIO
GLI ASPARAGI DI BADOERE IGP (TREVISO) RINGRAZIANO I FUNGHI SIMBIONTI
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I funghi simbionti, con la loro simbiosi micorrizica, sono il “sale” degli asparagi Igp di Badoere. Ne danno identità, ne arricchiscono i valori nutrizionali, ne favoriscono lo sviluppo, la bontà e la bellezza. Sono funghi che hanno per gli asparagi e per altre piante una funzione nutritiva e protettiva. Li cibano di sostanze organiche e inorganiche e contrastano gli organismi nocivi, riducendo le possibilità di infezioni provocate da patogeni del suolo. Accrescono, in particolare, la presenza di sostanze antiossidanti. L’associazione simbiotica tra funghi e asparagi di Badoere è il tema che Federico Nadaletto, responsabile del Magazzino dei mezzi tecnici di OPO Veneto, un esperto della materia, sta affrontando in una serie di incontri formativi, organizzati nell’area dell’asparago Igp di Badoere. Sullo stesso argomento (i benefici dei funghi simbionti sugli asparagi) ha parlato al Rotary club Opitergino Mottense, di Oderzo e di Motta di Livenza, zona dell’asparago bianco Igp di Cimadolmo, e in un incontro conviviale dell’Accademia della cucina, a Zero Branco, area dell’Igp di Badoere. L’argomento sta molto interessando produttori, operatori del settore e amici degli asparagi buoni e di provenienza garantita, dei quali sono desiderosi di capire i segreti. L’illustrazione dell’argomento è preceduta da un “racconto” per immagini, con foto di Mara Zanato, realizzato in collaborazione con OPO Veneto. Federico Nadaletto spiega come i funghi simbionti siano inoculati nell’apparato radicale degli asparagi e i benefici che derivano alla pianta e quindi ai turioni. E’ un esempio di buona pratica agricola che OPO Veneto sta sostenendo con i suoi ortofrutticoltori per ottenere prodotti sani in un ambiente sano. www.ortoveneto.it
PESCO BRUNO MARANGONI
AGRICOLTURA OGGI
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IL PESCO
Originario della Cina, dove iniziò la coltivazione nel 3300 a.C., venne portato in Grecia da Alessandro Magno o in Egitto da Cambise II, re di Persia e d’ Egitto. Da questi Paesi si diffuse poi in tutta Europa. In base alle caratteristiche dei frutti si distinguono le pesche da consumo fresco, le pesche da industria o percoche e le nettarine o pesche noci. Queste ultime sono oggi le più richieste dai consumatori, che gradiscono anche le pesche piatte o saturnine. Bruno Marangoni
era originario della Cina dove inizio la coltivazione fin dal 3300 a.C. Sempre in Cina, intorno al mille a.C., esisteva un canzoniere denominato ShiJing che riportava la descrizione e la bellezza del fiore di pesco. Lo stesso tema viene ripreso intorno al 500 a.C. da Confucio che raccoglie e unifica i diversi poemi che menzionavano più volte questa pianta rosacea e nel 200 a.C. viene preparato il primo dizionario cinese Er Ya dove si elencano le prime tre varietà di pesco ( Hutao, Dongtao, e Shantao). La diffusione del pesco nell’area Europea dalla Cina potrebbe essere collegato alla “via della seta”, che costituiva la principale via commerciale con la Persia. Alessandro Magno con le varie spedizioni contro i persiani avrebbe poi portato questa specie in Grecia da dove si sarebbe diffuso in tutta l’Europa. Un’altra linea di notizie, assai piacevole, riporta che il pesco venne portato in Egitto da Cambise II, Re di Persia e d’Egitto (525 a.C.) e dedicato ad Arpocrate, Dio del silenzio e dei bambini; infatti il frutto vellutato veniva paragonato alle guance rosate e soffici dei fanciulli. Gli Autori Latini nel primo secolo d.C. quali Plinio, Columella e soprattutto il Palladio nel IV secolo, citano i peschi di Gallia, con frutti piccoli, a polpa bianca deliquescente e li ritengono diversi da quelli coltivati in Italia. Il pomologo americano Heidrick (1917), sulla base dei ritrovamenti archeologici di semi di pesco in alcune aree della Germania occidentale (Dusseldorf)
NOIZIE STORICHE L’origine dell’albero del pesco è stata attribuita all’area euroasiatica persiana (Iran) come definito dallo stesso nome Prunus persica attribuitogli nel tempo dai numerosi botanici che lo hanno definito e classificato; la parola persica è diventata in molte lingue e dialetti, la radice del nome della pianta e del frutto, di questa importante specie fruttifera. Nel 1800 con il fiorire degli studi naturalistici e di ricerca delle origine delle piante coltivate e spontanee, lo studioso francese De Candolle e il genetista - agronomo russo Vavilov, misero in discussione l’area persiana come zona di origine del pesco. Il pesco venne portato a Roma nel II secolo a.C ed era già conosciuto all’inizio dell’era cristiana, per cui si desume che se il pesco fosse stato veramente originario della Persia sarebbe giunto nell’area sud-europea molto prima. Sempre il De Candolle, fa riferimento ai filosofi greci, come Senofonte e Democrito, del V e IV secolo a.C., i quali non citano la coltivazione di questo albero da frutto presso i popoli Ebrei e Sanscriti, nonostante le condizioni climatiche e del terreno fossero ottimali. Nello stesso periodo molte altre piante da frutto come la vite, il melograno, olivo, dattero, noci, melo cotogno, vengono descritti e citati per la loro importanza nell’alimentazione umana. Agli inizi del secolo scorso alla luce delle notizie storiche e scientifiche si arrivò alla conclusione che il pesco
Il pesco è originario della Cina dove iniziò la coltivazione nel 3300 a.C.
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e nel nord della Francia, ipotizza che questa pianta da frutto fosse diffusa ben oltre i confini dell’Impero Romano. I peschi di Gallia menzionati dagli Autori latini sarebbero giunti nell’Europa continentale attraverso la via del Danubio e portati dai Celti. Con la caduta dell’Impero Romano nel V secolo d.C. a seguito delle invasioni barbariche, la coltura del pesco viene relegata nei conventi e solo con l’Imperatore Carlo Magno (742 -814) la coltivazione del pesco riprende nei parchi imperiali e nei monasteri sparsi in molte regioni europee. Fra le notizie storiche riferite al pesco non possono essere trascurate sia l’opera dell’agronomo di Siviglia Ibn al-Awwam (1108 -1179), che nel “Libro di Agricoltura” scritto in arabo, sia quella del Pier Crescenzi (1233 – 1320) dove nel suo “Trattato di Agricoltura” descrive il giardino ideale con recinzioni e pareti decorate con alberi di pesco allevati a palmetta. Il “Rinascimento” riporta un rinnovato interesse per la frutta e il pesco viene apprezzato dalle famiglie gentilizie, specialmente in Toscana dove la Famiglia dei Medici promuove le prime collezioni varietali nei giardini delle proprie ville di campagna. Il rinnovato interesse per questo albero da frutto nel XVI e XVII secolo, viene considerato sotto l’aspetto alimentare, economico culturale e artistico, come risulta dalle opere di molti botanici e naturalisti italiani (Ulisse Aldovrandi, Pietro Andrea Mattioli, Bartolomeo Bimbi, Gallo) ed europei (John Gerard, Olivier de Serres). Gli
studi naturalistici, soprattutto della scuola francese, favorirono la descrizione delle varie tipologie di frutto e la creazione dei primi cataloghi varietali e il giardiniere di Luigi XIV Jean Battiste de la Quintine descrive nel suo catalogo quarantadue tipi di pesche divise per colore della polpa, forma del frutto ed include anche le pesche-noci. L’Italia, anche dopo la morte nel 1737 dell’ultimo Granduca mediceo Giangastone, continua ad espandere e migliorare le proprie conoscenze in campo tecnico e varietale del pesco come dimostrato dalle grandi opere pomologiche del tempo, quali la magnifica “Pomona Italiana” composta dal conte Giorgio Gallesio in due volumi, pubblicati tra il 1817 e il 1839, dove si evidenzia che in Italia, prima del XX secolo le varietà a polpa bianca fondente e acida, tipiche della Francia e centro Europa, erano coltivate e consumate nelle zone settentrionali, mentre quelle a polpa gialla e duracina, tipiche dell’area mediterranea, erano coltivate principalmente al centro e sud Italia sia per il clima sia per l’abitudine al consumo fresco delle pesche a polpa duracina (percoche). L’utilizzo di pesche a polpa bianca nell’Italia settentrionale sembra imputabile alle popolazioni Celtiche che, in epoca preromana, avrebbero introdotto le “Pesche di Gallia” già menzionate. Non può essere trascurata la scoperta del Nuovo Mondo dove il pesco divenne una specie diffusa a
Intorno al 1000 a.C., in Cina, esisteva un canzoniere che riportava la descrizione e la bellezza del fiore di pesco.
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livello mondiale e alla metà del XVI secolo era già noto in Centro America presso le popolazioni Azteke. Come cita l’Abate Molina nelle note a un testo scritto da un missionario Gesuita nel 1571, veniva denominato con parole composte spagnolo-azteke quali “Xuchipal-durazno” e “Cuztic-durazno” per indicare rispettivamente pesche rosse e pesche gialle. Successivamente il pesco si diffuse rapidamente nei vari Stati del nord America a clima temperato, tanto da indurre il botanico John Bartram (1765) a ritenere che il pesco una specie originaria del territorio. Nella storia della peschicoltura nazionale l’Emilia Romagna ha giocato senza dubbio un ruolo primario. Si può affermare infatti che i primi impianti specializzati di pesco in Italia furono messi a dimora alla fine del XIX secolo a Massa Lombarda, piccolo comune del ravennate, dai fratelli Giovanni e Ulisse Gianstefani, che iniziarono così, la peschicoltura specializzata e industriale. Prima di tali innovazioni la frutticoltura in Emilia Romagna era limitata ad una forma più estensiva caratterizzata dal frutteto misto. Anche il primo impianto di lavorazione della frutta nasce nei primi anni del ‘900 a Massa Lombarda grazie al pioniere Adolfo Bonvicini che segna l’inizio della vera frutticoltura industriale. Successivamente l’espansione della peschicoltura italiana è progressiva e la grande svolta si ha negli anni cinquanta, quando lo standard varietale si
evolve ed inizia la rapida sostituzione delle varietà a polpa bianca con quelle a polpa gialla, ottenute negli USA con incroci varietali, migliorative per le qualità organolettiche e commerciali dei frutti. Inoltre inizia in Italia una nuova fase di miglioramento genetico, (già avviato un secolo prima negli Stati Uniti, soprattutto in California), e continua selezione di nuove cultivar ben definite e distinte da precise caratteristiche morfologiche e qualitative, che porterà, a partire dagli anni settanta, un nuovo panorama produttivo italiano, distinguendo a seconda delle caratteristiche dei frutti tre gruppi: pesche da consumo fresco, pesche da industria e nettarine. Da questo periodo in poi, il cresce l’interesse per le “pesche noci” dovuto alla risposta positiva del mercato interno ed estero, preavvisando così le potenzialità di diffusione di questo frutto sempre più richiesto dai consumatori.. Di fatto è a partire dagli anni ‘80 si assiste allo sviluppo esponenziale di questa tipologia di pesche che oggi rappresenta oltre il 60 % del consumo totale di questa drupacea. Tale evoluzione vede la sostituzione delle vecchie varietà a pasta bianca come Sant’Anna, Amsden, Fior di Maggio, Pieri 81, ecc. con cultivar americane a polpa gialla quali la Red Haven, Cardinal, Dixired, Suncrest, ecc., a queste si aggiungono le nuove varietà di nettarine e nasce anche nel nord Italia la coltivazione delle pesche percoche (cotogne) destinate all’industria per la trasformazione in pesche sciroppate. CARATTERISTICHE BOTANICHE La Cina è il primo produttore mondiale di pesche e nettarine.
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La produzione di nettarine è concentrata nel settentrione e l’ Emilia Romagna copre quasi il 50% della produzione italiana.
Lo studio botanico del pesco e le controversie per la sua classificazione sono state molteplici e gli studiosi riescono a trovare una denominazione concordata solo nel XX secolo con Bailey nel 1927. Botanicamente il pesco appartiene alla famiglia delle Rosacee ed al genere Prunus assieme al mandorlo, al susino e all’albicocco che sono imparentate fra loro e appartenenti tutti al grande gruppo delle “drupacee”. Infatti il frutto dei suddetti alberi è una drupa caratterizzato da una epidermide esterna (buccia), più o meno colorata, dalla polpa e dal nocciolo legnoso; all’interno nel nocciolo è contenuto il seme, molto ricco in olio (40-50 % del peso), che consente la riproduzione naturale delle piante. La parentela genetica fra le specie del genere Prunus e la conseguente interfertilità, ha consentito sia forme di ibridazione naturale fra piante allo stato selvatico sia gestite dall’uomo negli ultimi due secoli, ha portato a nuovi biotipi che hanno migliorato la possibilità di coltivazione del pesco. L’unione di differenti patrimoni genetici, come avviene anche nel mondo animale, ha portato alla diversificazione di individui che hanno creato popolazioni che nel caso del pesco, tralasciando i molti biotipi esistenti in natura allo stato selvatico, sono coltivate solo alcune tipologie che possono essere riassunte nelle pesche comuni, nettarine e pesche piatte della Cina. Nell’ambito delle pesche comuni (Prunus persica) vi sono
varietà con frutto polpa bianca o a polpa gialla, che a loro volta si differenziano in “spiccagnole spicche” o “duracine”. Le pesche spicche sono caratterizzate dal nocciolo non aderente alla polpa, la quale, nella parte interna prossima al nocciolo, assume una forte pigmentazione rossastro bruna ( dovuta ad antociani), che a volte induce il consumatore ritenerla una cattiva conservazione o una anomalia del frutto. Al gruppo delle duracine appartengono le cultivar con nocciolo aderente alla polpa, con frutti a polpa gialla o bianca. A questa tipologia appartengono anche le pesche cotogne o percoche, consumate come frutto fresco oppure trasformate industrialmente in pesche sciroppate o cubettate per macedonie di frutta. Le “nettarine o pesche noci” (Prunus persica Leavis) hanno un’origine misteriosa e solo nel secolo scorso sono state ritenute pesche vere, derivate da mutazioni spontanee e non da ibridazioni fra susino e pesco, come alcuni botanici avevano erroneamente ritenuto. La presenza delle nettarine (originarie della Cina dove sono denominate You tao) è documentata nei secoli e già nel 300 a.C. si accennava ad una “susina di Persia” e ad una pesca “Nettare degli Dei” a buccia liscia, da cui sarebbe derivato l’attuale nome di nettarina. In Italia sono conosciute anche come pesche noci in quanto era nota ai latini come noce persica per la somiglianza al mallo delle noci stesse. Anche le nettarine presentano varietà a polpa bianca o gialla, spiccagnole o con
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PRODUZIONE DI PESCHE IN ITALIA Regione
Nettarina (t) Pesco (t)
Piemonte
69830
75251
Valle D’Aosta
0
8
Liguria
100
1933
Lombardia
3783
8716
Trentino
33
45
Veneto
29360
51956
Friuli
1173
4904
Emila-Romagna
280870
211590
Nord
385103 354404
Toscana
4863
24862
Marche
4925
11931
Umbria
303
2509
Lazio
8149
37172
Centro
27580
109715
Abruzzo
8437
28195
Molise
902
5046
Campania
80627
311778
Puglia
9871
71596
Basilicata
35142
35934
Calabria
41005
63342
Sicilia
14176
94006
Sardegna
1865
24380
Sud
182685 601036
ITALIA
595367
1065154
Le pesche piatte, dette anche saturnine o tabacchiere, hanno forma schiacciata e polpa bianca o gialla.
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STANDARD VARIETALE - PESCHE É un frutto estivo disponibile a polpa bianca e a polpa gialla da metà giugno a fine settembre. E destinato principalmente al mercato estero (47% del prodotto totale), in particolare in Germania e Gran Bretagna, e al mercato italiano (36%).
STANDARD VARIETALE - PERCOCHE É un frutto estivo disponibile da metà luglio a fine settembre e destinato quasi esclusivamente all’industria (92% totale del prodotto).
STANDARD VARIETALE - NETTARINE É un frutto estivo con buoni requisiti organolettici, è disponibile da fine giugno a settembre inoltrato grazie alle diverse epoche di raccolta delle principali varietà. Le nettarine (sia a polpa gialla che a polpa bianca) sono destinate, in gran parte, al mercato estero (58% del prodotto), in particolare Germania e Gran Bretagna.
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01 AGRICOLTURA OGGI BRUNO MARANGONI
nocciolo aderente alla polpa e alcune possono essere utilizzate per la sciroppatura. Le pesche piatte (Prunus platicarpa), nota anche come Pesca piatta della Cina, vengono denominate anche “Saturnine” o “Pesche tabacchiera” hanno forma schiacciata. Attualmente stanno trovando il gradimento dei consumatori, anche come curiosità, e grazie al lavoro di miglioramento genetico vi sono nuove cultivar di buon sapore, conservabili e produttive per cui la coltivazione è in espansione in Spagna, Italia e California. I frutti sono sia a polpa bianca sia a polpa gialla.
grande lavoro di miglioramento genetico che, grazie alla conoscenza del genoma ed ai programmi di incrocio naturale e controllato, ha reso possibile la creazione di nuove cultivar, con caratteristiche organolettiche e qualitative valide, che maturano in epoche diverse. Si è così allungato il calendario di maturazione dei frutti di pesco e, se unito alla produzione nei due emisferi (sfasatura di sei mesi nella maturazione) e alle tecniche di coltivazione, il mercato mondiale attuale può disporre di pesche per l’intero arco dell’anno. La produzione mondiale di pesche e nettarne si aggira intorno ai 20 milioni di tonnellate (oltre il 50 % in Cina) con una produzione stabilizzata nei Paesi occidentali o in leggera contrazione come in Europa, mentre vi è un certo incremento nei Paesi asiatici, in Africa e Sud America. L’Italia è il secondo produttore mondiale di pesche e nettarine con circa 1,6 milioni di tonnellate ed è seguita in Europa da Spagna Grecia, Turchia e Francia. Quindi la produzione è concentrata nei Paesi del sud europeo e la loro produzione viene in gran parte esportata nel centro e nord Europa ed ultimamente anche in Russia e nazioni baltiche. La produzione italiana di pesche è distribuita sull’intero territorio nazionale con le concentrazioni maggiori in Emilia-Romagna, Campania, Piemonte, Veneto, Calabria, Basilicata e Sicilia. Gli impianti di pesco stanno aumentando nelle aree meridionali (Calabria, Sicilia, Campania) mentre
DIFFUSIONE MONDIALE E IN ITALIA DEL PESCO Il pesco viene coltivato nelle zone temperate anche nelle aree sub tropicali ma solo negli altopiani (oltre i 1000 m/sm come in Venezuela, Perù, Africa centrale); in queste zone vengono adottate tecniche colturali che prevedono la sfogliatura chimica degli alberi (uso di clorato di potassio) per creare il riposo dell’albero, e spesso, non viene effettuata nessuna potatura. Quindi si hanno diversi sistemi di coltivazione del pesco a secondo delle condizioni climatiche ed altimetriche quindi anticipo o ritardo nella maturazione dei frutti che consentono di avere la presenza dei frutti sul mercato per molti mesi dell’anno. All’adattamento produttivo del pesco in funzione del clima si deve aggiungere il
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La produzione mondiale di pesche si aggira intorno ai 20 milioni di tonnellate (oltre il 50% in Cina).
Le nettarine o pesche noci, rappresentano oggi oltre il 60% del consumo di pesche.
PRODUZIONE MONDIALE DELLE PESCHE
Fonte: FAOSTAT
Stato Prod. (t.) Cina 10718048 Italia 1590660 Spagna 1134750 USA 1044440 Grecia 639400 Turchia 534903 Iran 500000 Cile 357000 Francia 324401 Argentina 318000 India 286500 Egitto 273256 Messico 227421 Brasile 220739 Algeria 174200 Sud Africa 152240 Nord Corea 138580 Giappone 136700 Tunisia 121100 Sud Corea 116000 TOT. 19008338
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Le percoche sono destinate principalmente all’ industria per la trasformazione in pesche sciroppate, ma anche per il consumo fresco e per macedonie.
la produzione di nettarine è concentrata nel settentrione e la sola Emilia-Romagna copre quasi il 50 % della produzione nazionale. Occorre evidenziare che le Regioni meridionali tendono a valorizzare la precocità di maturazione (prime settimane di maggio) mentre alcune regioni del nord Italia, Piemonte in particolare, si orientano su varietà a maturazione tardiva per prolungare la presenza di pesche sul mercato fino ad ottobre. La tradizione storica e la forte specializzazione della coltura in alcune Regioni, hanno consentito il riconoscimento, sulla base del Reg. U.E. 2081/92, della I.G.P. (indicazione geografica protetta) per tutelare la tipicità del prodotto e al riguardo sono sorti i “Consorzi di Tutela e Valorizzazione” con i rispettivi Disciplinari di produzione e di qualità del prodotto.
e commercializzate solo localmente. Alcune di queste vecchie e storiche varietà (Sant’Anna, Piei 81, Charles Ingouf, Fayrhaven, J.H.Hale, Pesca di Bivona, Buco Incavato, ecc.), potrebbero trovare, sempre a livello di nicchia, un loro mercato parallelo. Numerose sono le cultivar oggi disponibili per il consumatore, ma molte di esse sono simili e creano confusione nel loro riconoscimento sul mercato. Questo disorientamento del consumatore può essere attribuito a frutti dall’aspetto simile fra loro ma con tessitura e sapore della polpa diversi per cui vi potrebbe essere un allentamento dal consumo di questa tipologia di frutto. In futuro la riduzione del numero delle varietà presenti sul mercato delle pesche e delle nettarine potrebbe essere utile e dovrebbe essere fatto in accordo con i settori commerciali e gli stessi consumatori. Nel frattempo il miglioramento genetico opera per diversificare la produzione peschicola operando su sulle pesche piatte (platicarpa), sul sul sapore subacido della polpa e sulla linea delle “pesche ghiaccio” completamente depigmentate. Valutando le linee generali si ritiene opportuno uniformare in futuro l’offerta di pesche e nettarine seconda standard di qualità ben definiti, semplici e facilmente percepibili dai consumatori. Rimarranno sempre varie tipologie di produzione peschicola che avranno un loro mercato-nicchia e serviranno a mantenere la storia e le tradizioni della coltivazione del
STANDARD VARIETALE E VALORE NUTRIZIONALE DELLA PESCA Il sistema peschicolo europeo e italiano risulta, da tempo, orientato alla creazione di una gamma varietale, capace di soddisfare il mercato e le esigenze dei consumatori che richiedono la presenza delle pesche per gran parte dell’anno. La complementarietà fra le aree peschicole del nord e sud Italia, che a volte diventa competizione, ha favorito l’introduzione di molte nuove cultivar, spesso a scapito di quelle locali, che sono state relegate a ad una produzione marginale
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Le pesche si caratterizzano per la buccia tomentosa.
pesco nelle aree tradizionalmente vocate.
della limitata vita di scaffale del prodotto trasformato fresco, magari in abbinamento con altri tipi di frutta. La produzione avviene in ambiente con elevata igienicità e conservazione in contenitori in atmosfera controllata e con la presenza di antiossidanti. Per conservare le pesche molte tecniche derivano dal passato; in epoca greca veniva prodotta la “persicata” (polpa di pesca bianca trattata con miele e messa ad essiccare al sole), oppure la essiccazione diretta al sole. Il prodotto essiccato ha un forte valore energetico, era trasportabile e conservabile con facilità, per cui era adottato anche nelle lunghe migrazioni e dai soldati. Le pesche duracine (percoche) oltre al consumo fresco vengono sciroppate con una soluzione zuccherina arricchita, con acido citrico e acscorbico (vitamina C) e pastorizzate in vasi di vetro o barattoli di metallo. Inoltre possono essere cubettate, conservate nello sciroppo ed utilizzate per la preparazione di macedonie di frutta. Altra destinazione delle pesche a polpa gialla è la produzione di purea per nettari di frutta e di confetture. Si sta sviluppando anche l’utilizzo del frutti pesca nella preparazione di aperitivi e in abbinamento con vini frizzanti.
UTIZZAZIONE DELLE PESCHE La principale destinazione dei frutti del pesco è sempre stato il consumo fresco. Ultimamente il consumo, nei Paesi europei è in fase di leggero calo sia a causa della presenza di molti altri tipi di frutta contemporanei sia anche per le cambiate condizioni sociali e abitudini alimentari. Infatti la pesca è frutto definito a “bassa praticità d’uso” data la ridotta conservabiltà e succosità della polpa. Infatti non si presta molto per il sistema del pranzo veloce, che diventa sempre più diffuso, anche in relazione al cambiato sistema dell’organizzazione del lavoro. Tali cambiamenti portano alla ricerca di nuove linee di offerta del prodotto pesca attraverso le linee di quarta gamma, che però devono tener conto
VALORI NUTRIZIONALI DEL PESCO (100 G PARTE EDIBILE) Energia (kcal)
39
Carboidrati (g)
9,5
Zuccheri (g)
8,4
Fibra (g)
1,5
Grassi (g)
0,3
Proteine (g)
0,9
Vitamina A eq. (μg)
16
Vitamina B9 (mg)
6,6
Ferro (mg)
0,25
Potassio (mg)
190
Bruno Marangoni Professore Alma Mater dell’Università di Bologna
Fonte USDA nutrient database
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CALEIDOSCOPIO
CALEIDOSCOPIO
“RICERCA E INNOVAZIONE” SONO PER OPO VENETO LE PRIORITÀ PER CRESCERE: APPROVATO IL BILANCIO
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Il 2012 è stato un anno di crescita per OPO Veneto: lo confermano i dati del bilancio sociale, che è stato approvato dall’assemblea dei soci, che si è svolta il 30 aprile. Lo riassume la cifra totale: 35 milioni di euro, più 9,5 per cento rispetto al 2011. C’è stato, si legge nella relazione sociale, “un ulteriore consolidamento del fatturato e dell’attività ed un sensibile rafforzamento del patrimonio della società”. Il bilancio 2012 ingloba anche i risultati economici conseguenza dell’incorporazione della Cos di Chioggia, Cooperativa ortolani sottomarina, un’operazione altamente strategica poiché permette un ulteriore consolidamento della cooperativa nel comparto dei radicchi e del radicchio di Chioggia in particolare. Una gestione, dunque, in equilibrio, che sta tenendo testa alla terribile crisi che sta attraversando il Paese e che colpisce in maniera sensibile i consumi delle famiglie e quindi anche quelli di ortofrutta. Sono oltre 500 i soci di OPO Veneto. L’assemblea è stata seguita con grande attenzione. Il presidente Francesco Daminato e il direttore Cesare Bellò hanno esposto dati, risultati, impegni, progetti. Ci si è soffermati, in particolare, sui progetti di sviluppo, di ricerca e di innovazione, che consentono di guardare avanti con realistica fiducia. Nel corso dello scorso anno sono state gettate le basi per un’espansione dell’attività sia sul mercato interno sia su quello estero. Si sta allargando il raggio di azione: si stanno rafforzando i collegamenti con il Fucino (Abruzzo), con aree orticole del Polesine (Lusia e Rosolina) e del Veronese. Sono state impostate efficaci campagne promozionali con la Gdo, Grande distribuzione organizzata, che ha visto protagonisti i radicchi, l’ortaggio che più di ogni altro dà segni di vitalità: nello scorso anno, infatti, gli acquisti sono cresciuti del 7 per cento rispetto al 2011 in netta controtendenza con il calo del 2% registrato nei consumi di ortofrutta da parte delle famiglie italiane. OPO Veneto tratta il 12 per cento della produzione veneta. Lo sguardo in questa fase è rivolto in particolare al Nord Europa, dove si intravvedono notevoli potenzialità. “Siamo favoriti, commenta Cesare Bellò, dal fattore geografico. Il Veneto sta nel cuore dell’Europa, ai cui mercati è molto vicino: sono mercati promettenti e facilmente raggiungibili con prodotti freschi”. “Stiamo rafforzando, ha precisato il presidente Francesco Daminato, i rapporti commerciali con operatori esteri già esistenti (Inghilterra, Germania, Austria, Olanda, Russia, Danimarca, Svezia, Spagna e Svizzera), mentre stiamo valutando altre piazze nell’ambito dei Paesi comunitari”. E’ in cantiere un’iniziativa pionieristica sul fronte della biodiversità e dell’orticoltura sostenibile: un progetto di ricerca che nasce dalla convinzione che la “biodiversità sia per ortaggi e frutta un valore e un’opportunità”. Nello scorso anno, inoltre, sono stati notevoli gli investimenti nelle strutture e nelle attrezzature: un nuovo magazzino a Zero Branco e macchine innovative per il confezionamento e la prezzatura dei prodotti per assecondare la crescita del gruppo e continuare a sviluppare prodotti a maggior valore aggiunto quali i prodotti di I gamma evoluta che stanno dimostrando un crescente appeal anche in un momento di crisi come quello che sta vivendo il nostro paese. www.ortoveneto.it
CALEIDOSCOPIO
Anche quest’anno Rotary, il retato italiano con fetta Seminis®, si conferma come il melone siciliano precoce per eccellenza, grazie al supporto che il team locale di Monsanto Agricoltura Italia ha saputo garantire alle aziende siciliane che hanno coltivato la varietà. Rotary continua a distinguersi sui mercati e rispetto alla grande distribuzione per l’eccellente presentazione del frutto, la polpa di ottimo colore salmone intenso e di sapore tipico molto aromatico (16° brix), nonché per la cavità placentare piccola. Grazie a queste caratteristiche, Rotary soddisfa non solo le esigenze del consumatore ma anche dei retailer. Rotary ha una shelf life media di due settimane ed è molto resistente alla manipolazione e ai trasporti oltre ad avere una pezzatura ideale per il confezionamento in cartoni da 30x50 cm (5/6 pezzi), le confezioni più utilizzate. “I produttori hanno trovato in Rotary una varietà affidabile, che si adatta perfettamente alle condizioni dei tipici tunnel siciliani e che garantisce, grazie alla sua genetica e alla rusticità della pianta, rese elevate di frutti commerciali con un ridotto uso di prodotti chimici” afferma Angelo Crucitti, Executive Area Manager Sicilia di Monsanto Agricoltura Italia Spa. www.monsanto.com
CALEIDOSCOPIO
MONSANTO, ROTARY SI CONFERMA IL MELONE SICILIANO PER LE RACCOLTE PRECOCI
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PROSECCO DOC LUCA GIAVI, ANDREA BATTISTELLA
COVER STORY
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PROSECCO DOC
Una delle piÚ note denominazioni di origine enologica al mondo, prende il nome dalla omonima frazione del comune di Trieste. La zona di produzione si estende su 4 provincie del Friuli e 5 del Veneto. Le uve destinate alla produzione di Prosecco DOC sono principalmente Glera, fino ad un massimo del 15%, Verdiso, Bianchetta Trevigiana, Perera, Glera lunga, Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Pinot Nero, vinificato in bianco. Prosecco DOC va degustato giovane, entro l’anno successivo alla vendemmia, servito freddo tra 6-8 gradi, preferibilmente in un calice a tulipano piuttosto ampio. Luca Giavi, Andrea Battistella
IL PROSECCO Scrivere del Prosecco non è cosa facile, perché non si sa mai cosa la parola “Prosecco” faccia venire in mente a chi la legge e poi perché del Prosecco si è già scritto molto e, in molti casi, con una certa superficialità.
Atteniamoci dunque ai fatti e partiamo evidenziando che Prosecco è, innanzitutto, una frazione del comune di Trieste e, allo stesso tempo, una delle più note denominazioni di origine enologica al mondo che, da quella località, trae origine. Se ci fermassimo qui, però, commetteremmo già un peccato di omissione, perché Prosecco non è soltanto “una” denominazione di origine ma il termine “Prosecco” compare in ben tre denominazioni, il Prosecco DOC, del quale da qui in avanti ci occuperemo, e Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG e Asolo Prosecco DOCG. Fatta questa precisazione dobbiamo quindi andare a fugare un altro dubbio che i meno esperti hanno, ovvero il Prosecco (mi raccomando, è un nome proprio e pertanto va scritto con la lettera maiuscola) non è una tipologia di vino, ovvero non si può chiamare Prosecco qualsiasi vino bianco spumante secco, ma, anche qui ci ripetiamo, una Denominazione di Origine.
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PROSECCO DOC LUCA GIAVI, ANDREA BATTISTELLA
clima generalmente temperato: l’area, infatti, è protetta a Nord dalle Alpi e mitigata a Sud dai venti che nel periodo estivo giungono dal mare Adriatico, favorendo una piovosità che agevola il corretto sviluppo vegetativo della vite. A fine estate, poi, la zona è caratterizzata da forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, che permettono lo sviluppo dello sostanze aromatiche nell’uva in fase di maturazione. Il terreno di origine alluvionale, prevalentemente argilloso-limoso, è ricco di minerali e microelementi che permettono di ottenere una produzione di uva che ben si presta alla produzione di vini spumanti e frizzanti.
LA ZONA DI PRODUZIONE Come tutte le Denominazioni di origine il Prosecco è prodotto secondo regole ben precise (disciplinare di produzione) in una determinata zona geografica, storicamente vocata alla produzione delle uve Glera, caratterizzata da precise condizioni ambientali, poste a base delle sue peculiarità. La zona di produzione del Prosecco DOC si trova nell’area Nord orientale dell’Italia e più precisamente nei territori ricadenti in 5 province del Veneto (Treviso, Venezia, Vicenza, Padova, Belluno) e in 4 nel Friuli Venezia Giulia (Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine). Quando la raccolta delle uve, la vinificazione e l’imbottigliamento avvengono completamente nelle province di Treviso e Trieste, in etichetta può essere utilizzata la menzione Treviso o Trieste a sottolineare il valore particolare che queste due province hanno ricoperto all’interno della storia del Prosecco. All’interno della zona di produzione del Prosecco DOC, le aree della DOCG Conegliano Valdobbiane e Asolo sono più limitate e comprendono, da un lato, la fascia collinare che va da Vittorio Veneto al Piave, dall’altro la zona pedemontana che va dal Piave alle pendici del Monte Grappa. Pur con le sue diversità il territorio di produzione, che risulta relativamente esteso, è caratterizzato da un
STORIA “Ed or ora immolarmi voglio il becco con quel meloaromatico Prosecco’’ scriveva Aureliano Acanti nel 1754 componendo una delle più belle citazioni in cui compare il nome della denominazione Prosecco. Ma le prime citazioni del vino Prosecco risalgono verso la fine del 1300 quando il comune di Trieste entra a far parte dei territori sotto la protezione asburgica, infatti, come citano i testi, “Dalla particolarità e pregio in cui si è con ragione tenuto mai sempre cotesto vino, è forse nata la pratica si scegliere nel primo di novembre i cento mastelli di vino Prosecco che in ciascun anno la città di Trieste offerisce alla Maestà dell’Imperatore in conformità dell’accordo seguito il 20 settembre 1382
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col Duca Leopoldo d’Austria”. Il Prosecco, come oggi, trovò il favore della popolazione austro-tedesca, tant’è che l’Imperatore Federico III in un suo rescritto del 1479 fece l’encomio a questo vino. Lo stesso Imperatore ordinò di sceglierne il migliore dall’annua corresponsione che Trieste fa alla Cesarea Corte e di conservarlo per uso degli ammalati” richiamando alla mente gli scritti di Plinio il Vecchio che, in epoca romana, attribuiva al Pucino - indicato fin dai tempi di Wolfango Lazio come sinonimo di Prosecco - proprietà salutistiche tali da aver garantito la longevità, inusitata per il tempo, dell’Imperatrice Giulia Augusta. La volontà di preservare la “gloria de vini triestini” - così come si può leggere in un Decreto del 3 aprile 1610 emanato dall’Arciduca d’Austria che sanzionava l’introduzione nel territorio comunale di uve di altri territori – è ancor oggi testimoniata dalla possibilità di
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PROSECCO DOC LUCA GIAVI, ANDREA BATTISTELLA
indicare la menzione “Trieste” per i Prosecchi coltivati, vinificati e imbottigliati all’interno del territorio provinciale. Nei secoli successivi il Prosecco inizia una sorta di lungo viaggio che lo porterà a svilupparsi prevalentemente nell’area pedemontana veneto friulana fino a giungere nel vicentino, come scritto nel “Roccolo” del 1754 “Di Monteberico questo perfetto Prosecco …” e confermato, nel 1869, nella “Collezione Ampelografia provinciale Trevigiana”, in cui si legge: “fra le migliori uve bianche per le qualità aromatiche adatte alla produzione di vino dal fine profilo sensoriale”. Proprio nelle colline della Marca Trevigiana, il Prosecco trova il suo terroir d’elezione, dove la conformazione dei terreni declivi della fascia collinare, i suoli e il clima, permettono di valorizzare le peculiarità del vitigno. Non meno rilevante fu, per l’affermazione del Prosecco, che alla fine del 1800 e gli inizi del novecento attorno alla Scuola Enologica di Conegliano, si sviluppassero le migliori ricerche volte a migliorare e modernizzare le tecniche di spumantizzazione in grado di valorizzare appieno le peculiarità della Glera. Grazie alla fama della DOC “Prosecco di Conegliano Valdobbiadene”, riconosciuta dal Ministero nazionale nel 1969, la coltivazione delle uve idonee a produrre spumanti e frizzanti ha cominciato a interessare anche i territori pianeggianti, diffondendosi prima nella provincia di Treviso, evidenziata con la possibilità di adottare la menzione “Treviso”, e successivamente in altre province del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. Negli anni ’70 la crescente domanda e la rinomanza della qualità del Prosecco ha reso necessario tutelare
il nome del prodotto, a difesa sia dei produttori che dei consumatori; il Prosecco è stato pertanto inserito nell’elenco dei “Vini da tavola a Indicazione Geografica”. L’ulteriore miglioramento della qualità negli ultimi decenni e la necessità di una maggiore tutela del nome a livello internazionale, hanno portato nel 2009 ad ottenere il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata “Prosecco”. IL VITIGNO Le uve destinate alla produzione di Prosecco DOC provengono principalmente dal Glera, un vitigno autoctono dell’Italia nord orientale, la cui coltivazione in questi territori viene fatta risalire al tempo dei Romani. La Glera è un vitigno a bacca bianca. Ha tralci color nocciola e produce grappoli grandi e lunghi, con acini giallo-dorati. La sua coltivazione prevede, oltre all’orientamento verticale dei germogli e all’eliminazione di quelli in soprannumero, anche interventi di cimatura e legatura per ottenere un microclima adatto all’accumulo di sostanze aromatiche nella bacca. Insieme alla Glera, fino ad un massimo del 15 %, vengono storicamente utilizzate altre varietà: Verdiso, Bianchetta Trevigiana, Perera, Glera lunga, Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Pinot Nero, vinificato in bianco. IL METODO DI PRODUZIONE La vendemmia delle uve avviene nelle prime settimane di settembre, quando la maturità organolettica
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PROSECCO DOC SPUMANTE Colore: giallo paglierino più o meno intenso, brillante, con spuma persistente; Odore: fine, caratteristico, tipico delle uve di provenienza; Sapore: da brut a demi-sec, fresco e caratteristico; Titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol; Acidità totale minima: 5,0 g/l; Estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l; Pressione:maggiore di 3 Bar. Brut quando il contenuto zuccherino è inferiore a 12 g/litro. Extra dry quando il contenuto zuccherino è compreso tra 12 e 17 g/litro. Dry quando il contenuto zuccherino è compreso tra 17 e 32 g/ litro. Demi-sec quando il contenuto zuccherino è compreso tra 32 e 50 g/litro.
PROSECCO DOC FRIZZANTE Colore: giallo paglierino più o meno intenso, brillante, con evidente sviluppo di bollicine; Odore: fine, caratteristico, tipico delle uve di provenienza; Sapore: secco o amabile, fresco e caratteristico; Titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50 % vol; Acidità totale minima: 5,0 g/l; Estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l; Pressione: compresa tra 1 Bar e 2,5 Bar. Anche rifermentato in bottiglia.
PROSECCO DOC TRANQUILLO Colore: giallo paglierino; Odore: fine, caratteristico, tipico delle uve di provenienza; Sapore: secco o amabile, fresco e caratteristico; Titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50 % vol; Acidità totale minima: 5,0 g/l; Estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l; Pressione: inferiore a 1 Bar.
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(zuccheri, acidità e sostanze aromatiche) è ottimale per la produzione di spumanti e frizzanti Prosecco DOC. E’ un’operazione delicata perché bisogna conservare l’integrità degli acini evitando fermentazioni spontanee. Dopo la raccolta dell’uva, la prima operazione è la pigiatura. Gli acini vengono separati dai raspi e sono così pronti per la pressatura. Dagli acini viene estratto, in modo soffice, solo il mosto fiore. La vinificazione, in bianco, è avviata con lieviti selezionati, i quali trasformano gli zuccheri presenti nell’uva in alcol e CO2. L’attività dei lieviti (fermentazione) dura circa 15/20 giorni ad una temperatura non superiore ai 18°C al fine di preservare i profumi più delicati dell’uva di partenza. Dopo la fermentazione inizia il periodo di maturazione dove vengono svolte le operazioni di travaso e filtrazione per ottenere il vino limpido. Il Prosecco Tranquillo viene imbottigliato, mentre il Frizzante e lo Spumante passano all’ultima fase, quella distintiva del Prosecco: la rifermentazione naturale. La spumantizzazione, con metodo italiano o Martinotti, avviene in grandi recipienti ermetici. È qui che il vino, grazie alla seconda fermentazione, acquista le famose bollicine. Verso la fine della spumantizzazione, che dura minimo 30 giorni, abbassando opportunamente la temperatura, si fa in modo che la fermentazione si fermi, lasciando un residuo zuccherino tale da garantire l’equilibrio e l’armonia. Degna di nota è la produzione di Prosecco DOC con rifermentazione in bottiglia, tecnica tradizionale di fine
‘800, dove, grazie all’affinamento sui lieviti naturali dell’uva, è presente una lieve velatura che rende più morbide e rotonde le sensazioni gustative. In questo caso, l’etichetta avrà la dicitura “Rifermentazione in bottiglia”. IL VINO l Prosecco DOC è un vino che va degustato giovane, per assaporare al meglio le sue caratteristiche di profumo e di sapore, floreale e fruttato. Entro l’anno successivo alla vendemmia è il periodo migliore per bere il Prosecco DOC. Le bottiglie vanno conservate in ambiente fresco e asciutto, a temperatura costante, lontane da luce e fonti di calore. Dove berlo? Un calice a tulipano piuttosto ampio è l’ideale. Ma la libertà del bere suggerisce di non essere eccessivamente categorici. Al contrario di ciò che normalmente si pensa, il flute non è adatto, perchè non permette al profumo di questo vino di emergere. Va servito freddo, tra i 6 e gli 8 gradi.
Luca Giavi Consorzio di tutela Prosecco DOC
72 PROSECCO DOC LUCA GIAVI, ANDREA BATTISTELLA
CAPOLAVORI UNICI, PROTAGO
Grotte di Frasassi e Verdicchio wine: buono a sap Custodi di una Natura che esprime Eccellenze. CASTELLI DI JESI VERDICCHIO RISERVA DOCG VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOC VERDICCHIO DI MATELICA RISERVA DOCG VERDICCHIO DI MATELICA DOC
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CALEIDOSCOPIO LA SIGNORA DELLE TAGLIATELLE: UN PIENO SUCCESSO
CALEIDOSCOPIO
Luciana Mosconi conquista il mercato della pasta all’uovo secca e consolida il secondo posto a livello nazionale
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L’esercizio 2012 dell’azienda Luciana Mosconi si è chiuso con un volume d’affari che sfiora i 18 milioni di euro e un +21% sul valore di fatturato rispetto al 2011. Queste alcune delle cifre del pastificio di Matelica (Macerata), noto a livello nazionale per l’alta qualità dei suoi prodotti, che occupa il secondo posto a livello nazionale nel mercato della pasta lunga all’uovo secca, con una quota del 13,56%. Un vero e proprio caso di eccellenza quello del brand Luciana Mosconi, che - reduce da un importante accordo con il Ministero dell’Ambiente - nel 2013 punterà ad acquisire ulteriori quote di mercato, attraverso un’ incisiva politica di marketing. Seconda in assoluto a livello nazionale nel mercato della pasta lunga all’uovo secca, Luciana Mosconi, in netta controtendenza ai valori del mercato, è l’unico brand italiano ad aver registrato nel 2012 una decisa crescita con cifre notevolmente superiori a quelle del 2011. “Nel 2012 la nostra azienda è cresciuta a livelli record in particolare nella zona del Nordest Italia, dove ha segnato un +29,59% nelle vendite rispetto all’anno passato – afferma Marcello Pennazzi, amministratore delegato dell’azienda – e l’obiettivo è quello di crescere ulteriormente attraverso azioni di marketing mirate e incisive, guidate esclusivamente dalla forza dei plus qualitativi di prodotto e dalle buone pratiche ambientali; insomma massima fidelizzazione attraverso la massima qualità”. Consolidato e riconfermato, invece, è lo status di leader del mercato di Luciana Mosconi nella zona geografica del Centro Italia. Eccellenza organolettica, genuinità e sviluppo sostenibile sono i segreti del successo del brand marchigiano che lo scorso 30 novembre 2012 ha raggiunto, per prima in italia, un ulteriore grande traguardo: la firma di un accordo volontario di collaborazione con il Ministero dell’ Ambiente, che prevede il calcolo dell’impronta di carbonio della pasta all’uovo a marchio Luciana Mosconi e la sua successiva neutralizzazione. “Il vantaggio per l’ambiente corrisponde al vantaggio competitivo per il brand” Ribadisce Pennazzi. Da anni, infatti, l’azienda si impegna a garantire
Marcello Pennazzi
prodotti genuini di alta qualità, nella valorizzazione delle risorse umane, nel recupero culturale della tradizione culinaria e gastronomica italiana, nella gestione sociale della sua impresa ed ora anche nella corretta protezione dell’ambiente. “L’intesa con il ministro Clini – continua Pennazzi – ci darà la possibilità di valorizzare il nostro impegno ecosostenibile: oggi il consumatore finale è diventato sempre più sensibile e attento al valore ambientale delle proprie scelte, soprattutto in campo alimentare”. Pennazzi conculde rivelando i suoi progetti per il futuro: “L’Italia rimane il nostro mercato di riferimento, ma stiamo partendo con un grande progetto che coinvolgerà il Nord America, l’Europa ed i paesi emergenti dove puntiamo a replicare nei prossimi anni le performance ottenute nel nostro Paese. Inoltre stiamo valutando di crescere anche per linee esterne, attraverso possibili acquisizioni di realtà eccellenti in campo agroalimentare.” Company Profile La storia di Luciana Mosconi inizia tanti anni fa a Matelica, nel cuore delle Marche, quando la signora
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77 Luciana Mosconi, grande esperta di pasta all’uovo “fatta in casa”, decide di aprire insieme al marito, un laboratorio dove produrre con passione quello che sarebbe diventato uno dei prodotti più apprezzati dal mercato. Nel 1994, in seguito all’ingresso della famiglia Pennazzi di Ancona, il piccolo laboratorio si trasforma in un’industria moderna dalla forte vocazione artigianale. Ancora oggi la “ricetta della qualità” della pasta Luciana Mosconi vive inalterata in tutti i suoi prodotti. Le migliori semole e le uova più fresche si fondono in un processo a “doppio impasto”. La sfoglia così ottenuta viene lavorata in modo da ottenere la massima porosità e poi sottoposta ad un’essiccazione statica, protratta per oltre 24 ore a bassissima temperatura. Tra i punti di forza esclusivi della pasta all’uovo Luciana Mosconi, l’assenza di pressatura meccanica
che evita stress termici alla sfoglia e lascia brillanti ed inalterate le elevate qualità organolettiche delle materie prime. Il risultato è una gamma di prodotti unici capaci di garantire un sapore senza compromessi. Presente da vent’anni sul mercato, il prodotto di punta di Luciana Mosconi è proprio la pasta all’uovo. La sfoglia tenace, ruvida e porosa è il risultato naturale di un procedimento che, in ogni passaggio, viene seguito da pastai di provata esperienza. Luciana Mosconi, inoltre, ha scelto di utilizzare in tutto il sito produttivo energia pulita, cioè proveniente da fonti rinnovabili come il sole. Esperienza, rispetto del cliente, controllo ossessivo della filiera e costante confronto con il mercato hanno portato l’azienda ad essere riconosciuta dai suoi consumatori come un brand di assoluta eccellenza e certezza, in grado di offrire specialità inimitabili.
IL CILIEGIO LUIGI CATALANO
AGRICOLTURA OGGI
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FOCUS SULLA CERASICOLTURA ITALIANA
Originario dell’ area compresa tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, fu introdotto in Italia dal console romano Lucio Licinio Lucullo. Oggi l’ Italia è il quarto Paese produttore e, in Puglia, è concentrata oltre il 50% della produzione nazionale. La disponibilità di prodotto italiano parte dalla prima metà di maggio fino ai primi di agosto, a seconda dell’ area di coltivazione.. Luigi Catalano
I
n passato, quando eravamo abituati alla stagionalità dei frutti della terra, il tempo delle ciliegie decretava l’inizio della bella stagione. E forse è proprio questo inconscio segnale proveniente da madre natura, alla base di tutti gli aneddoti su questo frutto voluttuoso. La sua dolcezza spinge alla voglia sfrenata di saziarsene a più non posso dopo i lunghi mesi invernali, una volta poveri di prodotti freschi. Anche il ciliegio - Prunus avium,”il frutto prunus degli uccelli” – ha origine in quell’area geografica comune ad altre drupacee quali albicocco, mandorlo, pesco e susino, compresa tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, a cavallo tra i continenti europeo ed asiatico. In Europa, i ritrovamenti di noccioli in insediamenti umani dell’età preistorica testimoniano la sua presenza già in quei tempi. In Italia, ad opera di diversi autori latini, si hanno notizie della sua presenza in un periodo compreso tra il I secolo a.C ed il I secolo d.C. Secondo Plinio, ad introdurre nel nostro Paese la prima varietà di ciliegio dalla città di Girasum sul Mar Nero, fu il console romano Lucio Licinio Lucullo, al termine della guerra vinta contro Mitridate re del Ponto. Gli etimologi ritengono che il termine cerasus, che in latino significa “ciliegio” e che oggi ritroviamo nella nomenclatura botanica Prunus cerasus ad indicare il ciliegio acido, oltre che a costituire la radice della parola “cerase” di molti dialetti meridionali, provenga
proprio da Girasum. Da allora il ciliegio si è diffuso dapprima in tutta Europa, isole britanniche comprese, e poi in tutti gli altri continenti A livello mondiale, i dati FAO assegnano all’Italia il 4° posto tra i Paesi produttivi, dopo Turchia, USA ed Iran, ma subito prima della Spagna che a livello UE rappresenta il più temibile competitor. Questa specie, considerata tra le “drupacee minori”, nella frutticoltura nazionale occupa pur sempre il IV posto dopo pesco, melo e pero, in quello che ancora oggi è il comparto più importante tra quelli dell’Unione Europea. La superficie coltivata a ciliegio in Italia, pur nella relatività dei dati statistici nazionali su superfici investite e produzioni realizzate, con valori discordanti tra gli anni, oscilla attorno ai 30.000 ha con oltre 1 milione di quintali/anno. In alcune aree frutticole del Paese il ciliegio ha il ruolo di specie fruttifera principale; la coltura continua la sua progressione in Puglia, con oltre 18.000 ha ed aumenta anche in altre aree tradizionali quali Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna. Di contro alcune storiche zone produttive - Campania e Veneto - appaiono in regressione. Il tessuto produttivo delle aziende italiane, alla pari di ciò che avviene per altre specie, si contraddistingue per la frammentazione e le dimensioni aziendali ridotte, il contrario di quanto si riscontra in altri Paesi produttori come Turchia e Spagna.
PRODUZIONE MONDIALE DELLE CILIEGIE Stato Prod. (m.t.) Turchia 557.516 USA 385.656 Iran 306.525 Italia 143.367 Spagna 129.325 Austria 117.618 Uzbekistan 104.244 Romania 104.043 Russia 96.616 Ukraina 92.548 Syria 79.066 Cile 77.659 Francia 61.125 Grecia 56.190 Polonia 48.288 Germania 47.081 Cina 40.680 Bulgaria Serbia Libano
38.218 36.303 26.696
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SUPERFICIE E PRODUZIONE DI CILIEGIE IN ITALIA Regione
Sup. tot. (ha)
Prod. tot. (t.)
Lombardia
245
21.745
Liguria 86 3.273 Trentino Alto Adige 210
10.750
Veneto 2.760 166.939 Emilia-Romagna 2.316
107.850
Toscana 206 13.402 Umbria 20 1.140 Marche 87 4.730 Lazio 900 28.090 Abruzzo 221 16.763 Campania
3.449
274.205
Puglia 18.015 398.800 Calabria 247 13.697 Sicilia 760 31.610 ITALIA 29.522 1.092.994
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FASI FENOLOGICH
Gemma ferma, rottura gemme e bottoni verdi.
Bottoni fiorali visibili e palloncino bianco.
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HE DEL CILEGIO
Fioritura e caduta petali.
Allegagione, invaiatura, maturazione e caduta foglie.
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Varietà Early Star.
Ne deriva la difficoltà ad organizzare e realizzare politiche produttive, di promozione e marketing del prodotto aggressive ed efficienti, per meglio remunerare i vari attori della filiera produttiva. Pur con queste limitazioni, laddove si riscontrano le maggiori attenzioni verso questa coltura, il ciliegio da coltura secondaria negli ordinamenti aziendali o consociata ad altre specie, si afferma come coltura specializzata ad elevati contenuti tecnici e significativi investimenti finanziari Affianco a questa interpretazione moderna ed innovativa della coltura, coesistono le “tante cerasicolture locali” che permettono l’affermazione di produzioni di nicchia ad elevatissimo valore aggiunto. Nel ferrarese, l’esperienza della melicoltura e pericoltura intensiva è stata traslata anche su questa coltura, con l’attuazione di tecniche che esprimono il meglio del know how in frutticoltura. Ciò è la risultante di profonde acquisizioni tecniche sulla fisiologia della specie; sulle tecniche di conduzione di frutteti ad alta intensità con sistemi di allevamento a parete, associata alla disponibilità di portinnesti clonali deboli - Gisela 5 e Gisela 6 - (come l’M9 per il melo), oltre che di varietà che ben si adattano ad essere così coltivate. In tutte le zone cerasicole d’Italia, dai frutteti in pendio della Val Sugana, alle pianure veronesi e modenesi, fino alla assolate terre pugliesi, è ormai affermata la tendenza ad adottare sistemi di coltivazione che permettano la copertura per la difesa passiva contro il fenomeno del cracking (spaccatura dei frutti).
Come accennato in precedenza, la Puglia oggi rappresenta la maggior area cerasicola nazionale. Nella terra che ha dato origine alla forma di allevamento a tendone per l’uva da tavola, che nel corso degli anni si è affinata per coltivazioni forzate per l’anticipo o il posticipo, la cerasicoltura è ormai interpretata secondo questi elevati standard tecnici specializzati. Non è infrequente trovare cerasicoltori che conducono impianti specializzati di decine di ettari con realizzazioni che niente hanno da invidiare a quanto fino a qualche anno fa si poteva ammirare solo in Spagna o in Turchia. La piattaforma varietale storica nazionale, in passato, era costituita da poche cultivar - Burlat (Moreau in Puglia), Giorgia, Van, Ferrovia e Lapins - che coprivano un calendario di maturazione di circa 5 settimane, a partire dalla prima metà di maggio fino ai primi di agosto, a seconda dell’area di coltivazione, dalla Puglia alle vallate alpine. A queste varietà si affiancavano ecotipi locali particolarmente apprezzati dai consumatori dei luoghi d’origine, ma non rispondenti alle caratteristiche richieste per essere proposte su mercati più ampi e lontani. Queste produzioni autoctone, che in molti casi costituiscono un interessante giacimento di biodiversità, strettamente legate al territorio, sono celebrate da ben 26 sagre in nome di sua maestà la ciliegia, che si svolgono in 9 differenti regioni (vedi apposito occhiello). Oggi la gamma varietale disponibile per il ciliegio è
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veramente ampia. Grazie ai programmi specializzati di breeding operanti in Canada, USA, Francia, Ungheria, Italia, ecc. nell’ultimo quarto di secolo sono state proposte oltre 600 nuove cultivar, il 75% delle quali di ciliegio dolce. Gli obiettivi del miglioramento genetico sono stati quelli di ottenere varietà autofertili, che allungassero il calendario di maturazione, che fossero resistenti al cracking o ad altre fitopatie e che fossero a basso fabbisogno in freddo per permettere la coltivazione anche nelle aree più calde. In questo settore l’Italia ha costituito valide proposte grazie al lavoro svolto da parte dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura di Verona e dal Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Bologna. Il primo ha costituito una decina di varietà, su tutte Giorgia, che ancora oggi costituisce una delle cultivar più apprezzate nel periodo medio-precoce. Interessanti sono anche le proposte di varietà per la raccolta meccanica di frutti senza picciolo - Enrica, Corinna - alla pari delle più famose Picotas spagnole, che tanta attenzione e soddisfazione commerciali hanno suscitato sui mercati internazionali. Il DCA di Bologna ha costituito varietà racchiuse nelle due serie Star e Sweet. La prima comprende 7 varietà autofertili che coprono oltre 4 settimane del calendario di raccolta: Sweet Early panaro1, Early Star panaro2, Grace Star, Blaze Star, Black Star, Lala Star e Big Star, alcune delle quali apprezzate e
coltivate in tutti i continenti. La serie Sweet, che attualmente racchiude 5 nuove costituzioni – Sweet Aryana® PA1UNIBO, Sweet Lorenz® PA2UNIBO, Sweet Gabriel® PA3UNIBO, Sweet Valina® PA4UNIBO e Sweet Saretta® PA5UNIBO – è caratterizzata da frutti di grossa pezzatura e molto dolci, che maturano anche’essi nell’arco di 4 settimane circa. Tutte queste varietà, assieme ad altre famose ed altrettanto affermate nelle differenti cerasicolture nazionali ed estere– ad es. Rita, Early Bigi, Early Lory, Celeste, Carmen, Vera, Canada Giant, Sylvia, Kordia, Regina. Skeena, Late Lory, Alex e … tante altre ancora, sono propagate da aziende vivaistiche nazionali all’avanguardia in campo internazionale nel settore della propagazione, anche per questa specie. Pur con questa grande disponibilità varietale, i vari protagonisti della filiera ovvero i frutticoltori, gli operatori commerciali ed infine i consumatori apprezzano in maniera particolare i frutti della varietà Ferrovia. Essa è da tutti ritenuta “la regina delle ciliegie”, pur se molte volte non assicura produzioni certe a causa dell’essere autosterile e necessitare di apposite impollinazioni che non sempre si realizzano per il verificarsi di eventi climatici avversi nel delicato periodo della fioritura. Questa che noi riteniamo essere una varietà propria italiana, in realtà ha suoi sinonimi in svariati paesi europei ed orientali. Belge in Francia, Gemersdofer e Schnider in
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Cerasicoltura Val Sugana.
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Germania, Badacsony in Ungheria, Ziraat in Turchia e Noire de Meched in Iran sono infatti tutte varietà ritenute sinonimi o strettamente correlate alla nostra Ferrovia. La sua origine risale al periodo immediatamente successivo al II conflitto mondiale ed è avvolto da ovvie leggende locali, di cui si riferisce a parte (vedi ochiello). Per quanto riguarda invece il settore relativo ai portinnesti impiegati nella moderna cerasicoltura nazionale, il magaleppo (Prunus mahaleb) sia da seme, sia nella versione micropropagata in vitro – SL 64, è il portinnesto maggiormente utilizzato e quasi esclusivamente impiantato nei calcarei ed aridi terreni pugliesi. Altri portinnesti adottati sul territorio nazionale ed all’estero sono il franco di ciliegio, Gisela 5, Gisela 6, MaxMa Delbard®14 Brockforest e MaxMa Delbard®60 Brocksec, CAB 6P, Colt, ecc.. E così possibile costituire “ciliegeti su misura” nelle specifiche condizioni pedoclimatiche e per le più svariate destinazioni finali del prodotto. Per il ciliegio la produzione nazionale è minimamente convogliata in strutture di produttive organizzate. La produzione pugliese, che rappresenta oltre il 50% di quella nazionale, è quasi tutta condizionata, lavorata, confezionata e commercializzata da packing house private operanti nel barese che dispongono di impianti ad elevate tecnologie, provvisti di hydrocooling, grandi volumi per lo stoccaggio dei frutti a temperatura controllata ed impianti di selezionamento, cernita e calibratura fissi, in cui lavorano centinaia di operatori per turno di lavoro. Molti di essi hanno marchi e specifici packaging facilmente riconoscibili ed identificabili non solo sui mercati nazionali ed europei. Purtroppo molte volte la produzione locale è insufficiente o perché danneggiata da eventi atmosferici avversi, o per la scarsa produttività degli impianti. Giacchè il prodotto italiano “tira” sui mercati internazionali perché associato alle bellezze del nostro Paese, si ricorre a quello importato dalla Turchia o dalla Grecia che, una volta opportunamente lavorato, permette la prosecuzione della stagione commerciale. A livello nazionale è in atto il tentativo di organizzare la produzione e l’offerta secondo precise strategie. Il Consorzio Ciliegie d’Italia, formato dal “Consorzio della Ciliegia, della Susina e della Frutta Tipica di Vignola”, dal “Consorzio di tutela e valorizzazione della Ciliegia di Bisceglie” e dalla Cooperativa Sant’Orsola del Trentino Alto-Adige, è nato per garantire la provenienza e la qualità del prodotto pur mantenendo le sue singole peculiarità. Promozione e controllo dell’intera filiera, per soddisfare le richieste della grande distribuzione per un rifornimento continuo che vada oltre i canonici 40 giorni di stagionalità della singola zona produttiva, costituiscono le direttrici delle sue azioni.
La filiera cerasicola in Italia mostra picchi di eccellenza nei vari settori, che però molte volte stentano però a fare sistema. Sia che si tratti di ricercati ecotipi locali che sollecitano ricordi e tempi passati, e costituiscono il mezzo per la valorizzazione di ampi territori rurali, come testimoniato dalle feste in proprio onore, sia dinanzi alle nuove varietà ammalianti ed ammiccanti, le ciliegie continueranno a segnare le stagioni, a deliziare i palati ed a costituire un prodotto che ben figura tra le eccellenze ortofrutticole nazionali. Tutto ciò nell’attesa di tempi migliori che si spera brevi e non biblici, affinchè il comparto faccia sistema ed assicuri a tutti i protagonisti della filiera una giusta ricompensa. LE CILIEGIE A MARCHIO IGP IN ITALIA Marostica La coltivazione delle ciliegie a Marostica risale alla prima metà del 1400. La tutela IGP alla ciliegia di Marostica viene riconosciuta dal 2001 alle produzioni sviluppate nelle zone collinari attorno a Bassano del Grappa, che comprende 8 diversi comuni. Le varietà ammesse si riferiscono alle precoci Sandra, le «francesi» Bigarreau (Moreau e Burlat); alle intermedie Roana e Durone precoce romana; alle tardive Milanese, Durone rosso, Ferrovia simile, Bella Italia, Sandra tardiva. Affianco a queste varietà a diffusione prevalentemente locale, sono altresì ammesse Van, Giorgia, Ferrovia, Durone nero I, Durone nero II e Mora di Cazzano,
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che sono coltivate in altre zone cerasicole nazionali. Un marchio IGP che non è “statico e mummificato” ma che, rafforzando la garanzia di provenienza, ha ampliato la gamma delle varietà ammesse ad altre cultivar con caratteristiche pomologiche richieste dal mercato: Bella di Pistoia (=Durone rosso), Black Star, Early Bigi, Grace Star, Kordia, Lapins, Marostegana, Prime Giant, Regina e Folfer. Dal 2006 per promuovere e valorizzare tali produzioni, è sorto il Consorzio di tutela della Ciliegia di Marostica IGP che, tra le tante iniziative, ha istituito la Strada dei Ciliegi che si snoda tra le splendide colline per una più generale promozione dell’intero territorio rurale. Vignola Nel 2012 l’Italia ha avuto il riconoscimento dell’IGP “Ciliegia di Vignola” alle produzioni che ricadono in 15 comuni della provincia di Modena ed 11 della provincia di Bologna. Queste produzioni sono contraddistinte
SAGRE DELLE CILIEGIE IN ITALIA Sagra della Ciliegia Sagra delle Ciliegie Sagra delle Ciliegie Sagra delle Ciliegie Sagra della Ciliegia Sagra e mostra provinciale delle Ciliegie Festa delle Cerase Sagra della Ciliegia Festa della Ciliegia Mostra delle Ciliegie Sagra delle Ciliegie Sagra delle Ciliegie Sagra della Ciliegia Bella di Garbagna Sagra delle Ciliegie Sagra della Ciliegia e Festa Medievale Sagra delle Ciliegie e delle Rose Sagra delle Cerase Sagra della Ciliegie Sagra delle Ciliegie Festa provinciale della Ciliegia Montorese Sagra delle Ciliegie Sagra delle Ciliegie Cerase Sagra delle Cerase Festa della Ciliegia Sagra della Ciliegia Ferrovia Sagra delle Ciliegie
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Bagnaria (PV) Bagnoli, frazione di S. Agata dei Goti (BN) Bollate (MI) Bracigliano (SA) Castelbianco (SV) Cazzano di Tremiglia (VR) Celleno (VT) Centurano (CE) Chiaiano (NA) Chiampo (VI) Civitella di Romagna (FC) Forchia (BN) Garbagna (AL) Lari (PI) Longiano (FC) Macchia, frazione di Giarre (CT) Maenza (LT) Marostica e Mason (VI) Monte Santa Maria, fraz. Poggio Nativo (RI) Montoro Inferiore (AV) Orignano, frazione di Baronissi (SA) Palombara Sabina (RM) Pastena (FR) Siano (SA) Turi (BA) Vignola (MO)
LAVORAZIONE DELLE CILEGIE
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Ferrovia.
dalla tipica lavorazione nel confezionamento, destinate al ricco mercato delle boutique della frutta. Le varietà ammesse sono le precoci: Bigarreau Moreau e Mora di Vignola; quelle a maturazione intermedia Durone dell’Anella, Anellone, Giorgia, Durone Nero I, Samba, Van; le tardive: Durone Nero II, Durone della Marca, Lapins, Ferrovia, Sweet Heart. A promuovere e tutelare la ciliegia è il Consorzio della Ciliegia, della Susina e della Frutta tipica di Vignola che dopo le verifiche sul rispetto dei disciplinari di produzione su tutte le fasi della filiera produttiva, rilascia il marchio che attesta l’origine e la qualità della produzione. Anche in questo caso la promozione del territorio in senso più ampio e coinvolgente altre realtà economiche ed imprenditoriali della zona, oltre che enti locali, passa attraverso la Strada Vini e Sapori Città Castelli e Ciliegi.
della Facoltà di Agraria di Bari negli anni ’60, indicano che “tra le 17 varietà brevemente descritte la Ferrovia, introdotta a Turi, si è rapidamente diffusa nei comuni di Conversano e Castellana Grotte (tutti nell’area sudest della provincia di Bari) da circa 15 anni, cioè dopo l’ultima guerra mondiale”. A questo punto, sulla base di questa testimonianza fondata su precise osservazioni, storia e leggenda si mescolano in innumerevoli versioni. Di seguito si riportano quelle maggiormente accreditate. La prima è quella che, di ritorno dalla prigionia in un campo di concentramento tedesco, un soldato abbia portato con sé una marza di ciliegio raccolta lungo la ferrovia, da cui deriva il nome. Un’altra, pur non spiegando l’ignota origine, ne spiega il nome proprio per la durezza dei frutti, particolarmente idonei al trasporto per ferrovia, al contrario di quanto invece era possibile con altre varietà autoctone come Fuciletta, Laffiona, Limone, Zuccaro, Forlì, ecc.. La testimonianza del sig. Giovanni Simone, decano degli operatori commerciali ortofrutticoli pugliesi, con la packing house riportante il proprio cognome, offre una versione più dettagliata. Il sig. Giovanni, secondo i racconti di suo nonno che
L’ORIGINE DELLA CILIEGIA FERROVIA, TRA LEGGENDA E DATI CERTI. La varietà Ferrovia è ritenuta originaria nel comune di Turi (Ba). Alcuni indagini condotte dal prof. Giacinto Donno
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Ferrovia.
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visse tra il 1868 ed 1953, riferisce che l’origine della ciliegia Ferrovia prodotta a Turi risale agli anni ’30. Suo nonno fu il precursore dell’attività commerciale dei prodotti della terra che trasmise prima a suo padre, e poi ad egli stesso ed ai propri figli. Negli anni ’30 – ’40, le varietà maggiormente commercializzate nella zona erano Forlì, Fuciletta o Ruva (proveniente dalla zona di Ruvo di Puglia, a nord di Bari), Molfettese, Testa di Serpe o Graffione, Masciarola. Ma, fra tutte queste, si distingueva una varietà molto bella, grande di pezzatura, di gusto eccellente e di produzione molto limitata, che il nonno acquistava da Matteo Di Venere, suo carissimo amico e coetaneo. I pregi di tale varietà spinsero suo nonno a chiedere all’amico Matteo la provenienza. Egli raccontò di essersi rifornito di marze da un albero nato spontaneamente sulla scarpata prospiciente un fondo di sua proprietà, lungo la linea ferroviaria locale tra Turi e Sammichele di Bari. Da quel momento, per far riferimento ai bei frutti di quella varietà, i due amici scherzosamente le battezzarono Ciliegie della Ferrovia. La bontà e la fama di tali frutti fecero sì che nel corso degli anni questa varietà fu molto propagata per mezzo di innesti effettuati in campo su piante di magaleppo, comunemente indicato come “nera”. Grazie a questo aneddoto ed alla testimonianza di molti produttori ancora in vita, il sig. Giovanni tranquillamente afferma la veridicità delle origini turesi della varietà Ferrovia. Con il passare degli anni, grazie alla disponibilità
di quantitativi sempre più cospicui, ci furono i primi timidi tentativi di collocare questo prodotto sui mercati internazionali, anche per creare nuovi sbocchi commerciali alle produzioni locali. Durante gli anni ’60-’70 ci furono le prime esportazioni, con gli importatori europei che però non avevano alcuna notizia di questa nuova varietà. La resistenza al trasporto, la lucentezza e l’esuberanza, la dolcezza ed il gusto, convinsero appieno gli acquirenti delle indubbie qualità del prodotto. Alcuni operatori tedeschi, nell’esaltarne i pregi, per la robustezza e l’affidabilità (mancanza di frutti danneggiati) paragonarono le ciliegie alle loro auto Mercedes e consigliarono il sig. Giovanni a valorizzarle, specificandone l’origine. Così nella dicitura varietale delle ciliegie commercializzate dalla ditta Simone srl, sin dagli anni ’70, comparve la denominazione Ciliegia Ferrovia di Turi.
Luigi Catalano Agrimeca Grape and Fruit Consulting srl Turi (Bari)
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terra di ciliegie buone, uniche, tipiche
GRUPPO BPER
il Conzorzio si fa in due
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PER LE CILIEGIE DI MAROSTICA È PRONTO IL NUOVO PACKAGING DI OPO VENETO
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Opo Veneto cambia packaging per le ciliegie delle colline vicentine di Marostica e del Veneto. E’ pronto il nuovo contenitore da due chili, che sta per essere distribuito, ai soci. La soluzione si presenta particolarmente funzionale e ne è curata l’estetica nei dettagli. E’ stato pensato per far esaltare la bellezza e la bontà della ciliegia e per curarne meglio la conservazione, data la delicatezza del frutto. Due le varianti del packaging: una versione specifica per le ciliegie di Marostica, commercializzate con il marchio europeo Igp, e un’altra per le ciliegie “Veneto”, delle quali si vuole far emergere la provenienza e quindi la garanzia di qualità. Cambia anche il materiale dei contenitori: si passa dal polietilene al cartone automontante, che è ritenuto logisticamente più virtuoso e più adatto al mantenimento della freschezza e della serbevolezza della ciliegia. “Un packaging più funzionale, più pratico e meno costoso, una qualità questa particolarmente apprezzata dai cerasicoltori”, rileva Federico Corradin, di OPO Veneto, che cura in particolare la raccolta di ciliegie nell’area delle colline vicentine di Marostica e di Chiampo”. La confezione da due chili è la più richiesta dal mercato poiché contiene una quantità di ciliegie ritenuta ideale per una famiglia. Si presta molto come omaggio primaverile: un frutto sempre gradito, che dà allegria e tanto piacere. La produzione 2013 si farà attendere causa le “bizze” del tempo: è previsto un ritardo di quasi una quindicina di giorni, tanto che è stato deciso di spostare in avanti, al 26 maggio, la festa di Pianezze, sulle colline alle spalle di Marostica. Per tradizione è la prima rassegna delle varietà precoci, tra le quali primeggiano le Sandre, tipiche del territorio. La Sandra è “scoperta” nel lontano 1920 in comune di Pianezze, del quale è diventata un’icona. www.ortoveneto.it
CON THE’ SAN BENEDETTO VINCI L’ESTATE! Parte il grande concorso estivo “ Gusta&Vinci” con in palio più di 100 favolosi premi Scorzè (Ve), 6 Maggio 2013 – La bella stagione sta per iniziare così come la voglia di partire per una vacanza e rinfrescarsi e dissetarsi con un buonissimo Thè freddo per combattere la calura estiva. Thè San Benedetto vuole rendere indimenticabile la vostra estate con il grande concorso “Gusta&Vinci” che mette in palio più di 100 favolosi premi. Partecipare è semplicissimo! Basta acquistare dal 3 Maggio al 19 Settembre almeno due bottiglie di Thè San Benedetto di qualsiasi formato o gusto (Classico, Zero Zucchero, Verde e Deteinato), registrarsi sul sito web www.sanbenedetto.it o al numero telefonico 02 39567059 e digitare i dati dello scontrino d’acquisto. Scoprirai subito se hai vinto una delle 100 biciclette Citybike 6v Shimano 720 o uno dei 10 buoni shopping da 1.000 euro da spendere presso i punti vendita che hanno aderito all’iniziativa. Ma le sorprese non finiscono qui! Tutti coloro che prenderanno parte al concorso riceveranno in regalo 50 stampe Snapfish e parteciperanno alla grande estrazione finale dei due superpremi davvero straordinari: una meravigliosa crociera per 4 persone tra i fiordi norvegesi e un fantastico crossover compatto Mitsubishi ASX. Il concorso, veicolato sulle etichette e i fardelli del Thè San Benedetto, sul sito web www.sanbenedetto.it, sulla pagina Facebook ufficiale San Benedetto e attraverso spot televisivi, vuole premiare tutti quei consumatori che, nel corso degli anni, hanno riconosciuto la qualità, la naturalità e l’innovazione racchiusi nel Thè San Benedetto, decretandone il successo e premiandolo come il Thè più scelto dalle famiglie italiane (fonte GFK, ytd dicembre 2012) www.sanbenedetto.it
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I GRANDI PARCHI NAZIONALI DEL WEST Renzo Angelini
ZION NATIONAL PARK Situato nella parte sud-occidentale dello Utah, ha una superficie di 593 kmq ed una altitudine che varia dai 1.128 m del letto del fiume Coalpits ai 2.660 m del monte Ranch. Al centro del parco il canyon omonimo, una gola lunga 24 km e profonda 800 m, scavata dalle acque del Virgin River. Nasce nel 1919 ed è il parco più vecchio e visitato dello Utah. Il nome risale a Isaac Behunin, uno dei primi mormoni che si insediò qui nel 1863 ritenendo erroneamente di avere raggiunto una nuova Terra Promessa, la Sion descritta dal profeta Isaia nella Bibbia. Tuttavia alcuni insediamenti riuscirono, se non a prosperare, almeno a sopravvivere per qualche decennio, grazie alle tecniche di irrigazione impostate dall’ Europa, dedicandosi alla coltivazione di frutta, ortaggi e tabacco sul fondo del canyon scavato dal Virgin River. La magnificenza dei paesaggi su cui svettano i monoliti di arenaria ispirò a quegli uomini una toponomastica degna delle Sacre Scritture, tramandata fino a noi. Le vette, i massicci e le pareti rocciose hanno nomi dal suono biblico come le Torri della Vergine, il Grande Trono Bianco, i Monti dei 3 Patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe. Il parco si estende negli altopiani di Markagunt e Kolob, nel punto di incontro delle tre Ingresso allo Zion National Park.
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Sono occorsi almeno 200 milioni di anni di mutamenti climatici, rivolgimenti terrestri ed erosioni per dare forma a queste immense rocce che variano di colore dal rosso – ruggine alla base fino al bianco della cima..
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regioni geografiche del Nord America: l’ altopiano del Colorado, il Gran Bacino e il deserto del Mojave. La prima presenza umana risale a 8.000 anni fa, quando piccoli gruppi familiari dediti alla caccia e alla raccolta cominciarono ad accamparsi qui. Circa 2.000 anni fa iniziarono a coltivare mais ed altre piante e costruirono i primi villaggi. Attorno al 300 a. C. arrivarono i primi Anasazi seminomadi, testimoniati dai resti di costruzioni a pozzo semi-interrate, adibite a magazzini e abitazioni; si trattava di cacciatori e raccoglitori che integravano la propria dieta con prodotti di agricoltura primordiale e costruirono villaggi all’ interno di rientranze della roccia, vicino al fiume, in modo da controllare i campi a valle. Seguirono poi la presenza degli indiani Paiute e, alla fine del XVIII secolo, l’ arrivo degli europei. A partire dal 1850 i coloni mormoni, provenienti dal Gran Lago Salato, furono i primi bianchi a stabilirsi nella valle del Virgin River e lo sfruttamento agricolo del canyon continuò fino all’ istituzione del Monumento Nazionale nel 1909, trasformato poi in Parco Nazionale.
Ingresso al Bryce Canyon.
BRYCE CANYON NATIONAL PARK E’ un piccolo parco nazionale situato nel sudovest degli Stati Uniti, nello stato dello Utah. Non è propriamente un canyon ma un enorme anfiteatro originatosi dalla erosione dell’ altopiano Paunsaugunt. Infatti, lungo il bordo di 20 miglia del plateau, si trovano dodici profondi avvallamenti che sembrano anfiteatri. Il Bryce ha una superfice di 145 kmq ed una altitudine tra 2.400 e 2.700 metri. I primi colonizzatori del canyon furono i mormoni che vi si insediarono a partire dal 1850, e prese il nome da Ebezenev Bryce che giunse qui nel 1875. Diventò monumento nazionale nel 1924 e parco nazionale nel 1928. Nonostante l’ asprezza dell’ ambiente questa area è stata occupata da diverse popolazioni. Alla fine dell’ era glaciale popoli preistorici usavano questa zona come riserva di caccia: gli indiani Paiute raccoglievano pinoli e cacciavano il coniglio su vasta scala. I pionieri mormoni portarono l’ acqua dal plateau alla valle sottostante scavando un canale di irrigazione che permise lo sviluppo dell’ agricoltura in questa area altrimenti arida. L’ anfiteatro del Bryce Canyon rivela una lunga storia geologica di sedimentazione ed erosione; l’ acqua è stata un fattore determinante
sotto forma di ghiaccio e agente chimico. Per duecento giorni all’ anno, infatti, la temperatura oscilla intorno allo zero, durante il giorno l’ acqua si infiltra nelle fratture della roccia, durante la notte si congela espandendosi; il ghiaccio esercita una forte pressione sulla roccia che finisce per frantumarsi. In aggiunta le precipitazioni acide sciolgono il calcare erodendo le cime e portando via i detriti. Le guglie di pietra che spuntano a migliaia nel Bryce Canyon erano dette”hoodoos” dagli indiani Paiute, che abitavano queste lande remote prima dell’ arrivo dei Bianchi, e credevano fossero la pietrificazione per mano divina di un popolo malvagio, che pareva agitarsi magicamente sul fondo delle valli al variare della luce del sole, “infiammandosi” al tramonto. L’ esercito dei pinnacoli alti fino a trenta metri non è opera di un dio adirato bensì sono stati scolpiti a uno a uno dalla forza erosiva degli agenti atmosferici che hanno modellato questi totem rocciosi di arenaria. Ampie terrazze consentono di cogliere da diverse prospettive la mutevolezza del paesaggio: dal Sunset Point si può ammirare da posizione strategica l’ inestricabile foresta di pietra che si è opposta ad ogni tentativo di insediamento umano nel canyon.
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Il parco può essere diviso in due zone, un’ area desertica situata a basse quote e un’ area umida in quota sul plateau, dove le piogge sono più abbondanti e in estate le temperature sono più miti. Le foreste di abeti e pioppi dominano la parte superiore del plateau, il pino giallo a quote medie e le foreste di pino e ginepro delle Montagne Rocciose a bassa quota.
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Le spettacolari formazioni di roccia sono il risultato di una erosione che continua da 16 milioni di anni. L’ acqua penetra nelle fessure della pietra di giorno, e la notte gela spaccandola: il processo, è stato calcolato si ripete circa 200 volte all’anno.
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ARCHES NATIONAL PARK E’ un’ area protetta che conserva oltre 2.000 archi naturali di arenaria, includendo il famoso Delicate Arch oltre ad una varietà di formazioni geologiche uniche. Si trova nei pressi di Moab, nello Utah, copre una superfice di 309 kmq e l’ altitudine varia da 1245 a 1723 metri; è parco nazionale dal 1972. Il parco è situato su un letto salino sotterraneo che raggiunge lo spessore di alcune centinaia di metri ed è stato depositato più di trecento milioni di anni fa, quando il mare sommerse la regione ed evaporò. Alluvioni, vento ed escursioni termiche crearono detriti che diventarono roccia, raggiungendo uno spessore di oltre 1,5 chilometri. Il sale sotto pressione non è stabile e il letto salino, sottoposto all’ enorme peso dei detriti che lo sovrastano ha spinto gli strati di roccia sovrastanti verso l’ alto, come cupole, e intere sezioni sprofondarono come cavità. Le profonde fratture nelle terra resero la superfice ancora più instabile, portando alla formazione di faglie che hanno contribuito allo sviluppo di archi. Ingresso dell’Arches National Park. Lo spettacolare Dead Horse Point, nella Canyonlands nello Utah, con la spettacolare ansa del fiume Colorado che scorre fra pareti rocciose alte 600 metri..
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Double Arch.
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A cinque miglia da Moab il parco possiede la più grande concentrazione del mondo di archi e rocce naturali; sullo sfondo Delicate Arch, simbolo dell’ Arches N. P. e una delle icone dello Utah. Wolfe Ranch è un insediamento creato da John Wesley Wolfe, veterano della Guerra Civile, nel 1898.
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MONUMENT VALLEY NATIONAL PARK E’ uno dei simboli degli Stati Uniti occidentali. Il pianoro desertico, che ha una altitudine variabile da 1600 a 2300 metri, è in realtà di origine fluviale ( Colorado Plateau ) e si trova al confine tra Utah e Arizona in un’ area isolata ed estesa, che dista oltre settanta chilometri dalla cittadina più vicina: Kayenta. La strada che conduce alla Monument, la highway 163, segue nel tratto terminale un percorso rettilineo in leggera discesa che dà al viaggiatore l’ impressione di entrare all’ interno di una scenografia western. Il territorio pianeggiante è cosparso di una serie di guglie, geologicamente definite butte o mesas. Questi edifici naturali formati da roccia e sabbia hanno la forma di torri alte 300 – 600 metri, dal colore rossastro, causato dall’ ossido di ferro, con la sommità piatta più o meno orizzontale. La zona fa parte della Navajo Reservation, dove ancora vive una tribù con la quale è possibile dialogare, ed è un Tribal Park con ingresso a pagamento. Gli indiani gestiscono tutte le attività all’ interno della Valle e vivono di turismo e artigianato.
Ingresso alla Monument Valley.
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INDAGINE DI MERCATO
CONSUMI ALIMENTARI
GLI ITALIANI E I CONSUMI ALIMENTARI NEL FUOCO 129 DELLA CRISI
Sintesi dell’indagine demoscopica svolta da AstraRicerche per Granarolo. Cosimo Finzi - Astra Ricerche
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a anni la vita degli Italiani (come quella di gran parte delle persone degli altri Paesi) è cambiata per effetto della crisi: disoccupazione, riduzione dei consumi e dei risparmi, sentiment negativo guardando al futuro, tensioni sociali. Nella prima parte della crisi, tuttavia, i consumi alimentari non avevano subito cambiamenti rilevanti per quantità e per qualità. A febbraio 2013 Granarolo ha chiesto ad AstraRicerche – istituto di ricerche sociali e di marketing di Milano – di ‘fare il punto’ della situazione tramite una ampia indagine quantitativa focalizzata sul tema dei consumi alimentari. L’indagine è stata realizzata tra il 28 febbraio e il 4 marzo 2013 tramite 1.067 interviste a un campione rappresentativo degli Italiani 15-64enni, pari a un universo di 38.7 milioni di persone.
UN CONTINUO ARRETRAMENTO DEI CONSUMI PERSONALI Nell’ultimo anno il 59% degli Italiani ha ridotto i propri consumi personali e familiari, per quasi un terzo in misura assai consistente e spesso drammatica: al di sopra della media gli ultra34enni, i residenti in Lazio e al Sud oltre che nei piccoli comuni, i lavoratori autonomi e i salariati con gli ‘inattivi’ (pensionati, casalinghe, studenti, disoccupati). A questi si aggiunge il 28% che ha mantenuto stabili le proprie spese nel corso dell’ultimo anno, che però erano per lo più discese in precedenza. Un quadro noto ma rilevato puntualmente da AstraRicerche per poter confrontare l’andamento dei consumi generali con quello dei consumi alimentari (food & beverages).
UN QUADRO DRAMMATICO IN CUI NON SI COLGONO SEGNALI DI MIGLIORAMENTO Il dramma nazionale è doppio: non solo c’è stato un rilevante calo di consumi, ma non si vede la luce in fondo al tunnel: nei prossimi dodici mesi il 46% non prevede alcun recupero mentre il 39% ipotizza un decremento (per un quarto di costoro assai forte): il pessimismo risulta massimo tra i 45-64enni, i residenti nelle aree metropolitane, i pensionati e i salariati. Nell’insieme, l’11% è riuscito a migliorare il proprio tenore di vita anche in questi anni difficili, il 18% non ha sofferto la crisi, il 9% l’ha subita ma la crede alle spalle, il 31% segnala un significativo impoverimento, un altro 31% racconta d’un vero e proprio tracollo in atto e atteso.
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IL 40% DEGLI ITALIANI HA RIDOTTO I CONSUMI ALIMENTARI NELL’ULTIMO ANNO I consumi alimentari hanno risentito della crisi (segno della gravità del declino economico e sociale), sebbene meno dei consumi totali: nell’ultimo anno il 40% dei 15-64enni li ha diminuiti (con le medesime accentuazioni esaminate prima e con meno di un quarto di forti riducenti le spese per alimentazione e bevande) e il 48% li ha mantenuti stabili. Per i dodici mesi successivi all’intervista il 61% li vede stabili e arriva al 27% la quota di coloro che ipotizzano un decremento. In definitiva, il 17% è riuscito ad accrescere i propri consumi alimentari pure in questo arduo periodo, il 39% non ha pagato dazio, il 23% descrive il loro significativo impoverimento, il 21% narra d’un forte tracollo in atto e previsto.
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LA CRISI ‘PICCHIA’ SULL’ANDAMENTO DEI CONSUMI ALIMENTARI QUOTIDIANI Certo, la crisi ‘picchia’: su 29 tipi di prodotti considerati di uso quotidiano solo per due (frutta e specialmente verdure) è positivo il saldo tra aumentanti e calanti il consumo dalla primavera 2012, mentre per tutti gli altri i decrescenti battono gli incrementanti (di poco per pasta, uova, latte HD, latte UHT, acqua minerale, caffè, latte fresco, integratori alimentari; di più per cibi dietetici, pane, olio, yogurt; molto per surgelati, biscotti, formaggi, pesci, condimenti/sughi, vino; moltissimo per birra, cracker/snack salati, merendine, cioccolata, bevande gassate; ancora di più per gelati industriali, carne rossa, dolci/torte).
CALA LA QUANTITÀ MA NON LA QUALITÀ DEGLI ALIMENTI CONSUMATI DURANTE LA CRISI: IL 72% DEGLI ITALIANI PROTEGGE LA QUALITÀ I nostri connazionali appaiono disposti a ridurre - volenti o nolenti - le quantità ma cercano in ogni modo di non cedere sulla qualità di quel che mangiano e bevono: infatti, il 61% è riuscito nell’ultimo anno a difenderla e l’11% addirittura a migliorarla, col restante 28% che è stato costretto a ridurla (nella metà dei casi solo per taluni prodotti). E nei dodici mesi successivi all’intervista il 66% ipotizza stabilità, il 14% incremento e il 20% decremento (prevalentemente non generalizzato).
RESTA L’ADORAZIONE DEL PAESE PER IL MANGIARE E IL BERE Il Paese rimane comunque adorante mangiare e bere: per il 44% senza riserve e per il 46% con preoccupazioni economiche e con timori circa la sicurezza alimentare. Per di più esso è convinto che l’alimentazione abbia un ruolo non solo rilevante ma decisivo per quel che riguarda la salute (75%), la prevenzione delle malattie (63%), l’allegria e il buon umore (54%), la cura delle malattie (54%), l’efficienza nel lavoro e nello studio (45%), la felicità (44%), la sessualità (32%), le relazioni con gli altri (31%), il carattere e la personalità (28%).
UN CAMBIAMENTO DEI MODELLI DI CONSUMO, NON SOLO UNA QUESTIONE DI ARRETRAMENTO 1.Fattori che hanno un peso crescente nelle scelte di consumo alimentare in tempo di crisi Si registra un cambiamento dei modelli di consumo, se è vero che nell’ultimo anno i consumatori dichiarano di dare maggior importanza ai prezzi (80%) e anche alla sicurezza (62%), all’origine (57%), alla qualità (50%) del food & beverages. 2. Universale maggior impegno contro lo spreco alimentare Inoltre, ben il 90% riferisce d’un maggior impegno proprio e dei propri familiari nel ridurre gli sprechi (con i maschi e i giovani lievemente sottomedia). Come? Acquistando meno prodotti (52%), conservando e utilizzando gli avanzi (50%), acquistando confezioni più piccole (20%), facendo porzioni più piccole (16%) oltre che con molte altre tecniche minori.
3. “ridomesticizzazione”: cambiano gli stili di vita in relazione al cibo La gente mangia assai di più in casa (64%) e meno al bar (67%) o al ristorante (66%) o in mensa (42%); preferisce i prodotti scontati/in promozione (60%); ‘taglia’ il ricorso ai cibi etnici (37%); recupera cibi e ricette tradizionali (29%); mangia e beve meno prodotti ‘bio’ (21%) o del commercio equo e solidale (20%) Colpisce poi la parte non piccola del campione che dichiara di saltare alcuni pasti (18%); di fare meno da mangiare per puro piacere (13%); persino, di ridurre il numero delle porzioni ai pasti (2%).
La fiducia Muta anche la mappa dei soggetti nei quali gli Italiani ripongono la loro fiducia se si tratta di alimentazione: nell’ultimo anno sono risultati in crescita gli agricoltori e gli allevatori (18%), i piccoli produttori artigianali (18%), la GDO (7%) e le sue private labels (7%) mentre appaiono in calo il dettaglio tradizionale (-10%), le marche minori dell’industria (-14%), quelle grandi e famose (-17%), l’ambulantato (-20%).
IL RICORSO AMPIO E VARIEGATO A FONTI DI INFORMAZIONE E ORIENTAMENTO Sono molteplici le fonti di informazione cui si ricorre per avere informazioni sulla sicurezza e la salutarietà degli alimenti e delle bevande e muta il loro peso relativo: il ricorso al web è largamente maggioritario, indicato complessivamente dal 59% dei 15-64enni - con la metà del campione che afferma di ricorrere a Internet in generale e circa un intervistato su sei che in modo più mirato afferma di frequentare blogs, social forum, communities che si occupano di alimentazione e salute o i siti, i portali delle aziende alimentari; al secondo posto la tv con il 44,3% delle citazioni – costituito da un 33% di indicazioni di carattere generale e un 23% di trasmissioni, canali specializzati in alimentazione e salute; a seguire, il ‘tam tam’ di familiari/amici/ conoscenti, delle organizzazioni consumeristiche, della stampa, della radio, dei medici, degli insegnanti/ allenatori/preparatori atletici.
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LE ETICHETTE, UNO STRUMENTO SEGUITO MA MIGLIORABILE Non sorprende che solo il 6% dei 15-64enni non legga mai le etichette e che il 60% lo faccia spesso (con al solito - i maschi e i giovani al di sotto della media). Inoltre, il 41% le legge interamente e il 37% solo per la parte che gli interessa. Ma emerge un problema: quasi il 40% esprime riserve - anche gravi - sulle etichette, criticandole per non essere chiare (anche in quanto troppo tecniche e/o scritte in corpo esageratamente piccolo: 25%), per risultare incomprensibili (10%), per essere poco credibili se non persino menzognere (7%). In ogni caso le etichette vengono lette con più obiettivi: conoscere la data di scadenza del prodotto (55%), i suoi ingredienti e modi di preparazione (49%), la provenienza (42%), i consigli di conservazione e d’uso (28%), l’eventuale presenza di sostanze dannose per la salute propria e dei familiari (28%), la denominazione DOP o DOC (18%), le indicazioni circa lo smaltimento e la raccolta differenziata (17%).
LA FORTE CONOSCENZA DELLE DENOMINAZIONI DI ORIGINE A proposito di sigle e parolechiave del comparto: l’87% afferma - senza verifiche di sapere cos’è una DOC, l’82% una DOP, il 49% una DOCG, il 47% una IGT. E il 52% sostiene di conoscere il significato del termine filiera.
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IL FAVORE TOTALE PER UN’ETICHETTA SULLA FILIERA ITALIANA In materia, risulta dominante il favore per la filiera solo italiana: per il 60% forte e per il 32% medio oppure forte ma solo per alcuni prodotti. Ne consegue un gigantesco goodwill del 92% per un simbolo che indichi che un prodotto alimentare o una bevanda sono prodotti solo in Italia e solo con materie prime italiane: il 78% lo vorrebbe per tutti i prodotti e il 14% solo per alcuni. Con un’aggiunta: malgrado le difficoltà di questo lungo periodo di crisi il 54% si dice disposto a pagare un po’ di più un prodotto connotato da tale simbolo o icona di garanzia.
IL VALORE DEL SIMBOLO DELLA FILIERA ITALIANA Con un’aggiunta: malgrado le difficoltà di questo lungo periodo di crisi il 54% si dice disposto a pagare un po’ di più un prodotto connotato da tale simbolo o icona di garanzia.
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CALEIDOSCOPIO SELENELLA, LA FORZA DELLA NATURA: L’ARIA Dai terreni che respirano l’aria migliore nasce Selenella, la patata che sazia senza appesantire. Terra, acqua, aria e fuoco: gli elementi naturali sono alla base della vita, fondamento della nostra esistenza. Queste quattro componenti rappresentano la forza della natura che, quando lavorata sapientemente dall’uomo, riesce a dare i suoi frutti migliori. Selenella, patata 100% italiana, racchiude in sé tutta la forza di questi elementi che la fanno diventare un vero Tesoro della Natura!
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L’ARIA L’aria è l’elemento al quale vengono attribuite le proprietà dello spirito e della purezza. La mitologia greca individua nell’aria un arché del cosmo: quel leggero soffio vitale sempre in circolo, senza del quale non ci sarebbe vita. Aria è sinonimo di natura, leggerezza e salute… tutte proprietà che, se presenti, fanno di un prodotto alimentare qualcosa di eccellente. Selenella, che nasce nel clima ideale dei territori bolognesi, sa bene che con l’arrivo della bella stagione salute e leggerezza sono fondamentali, soprattutto nell’alimentazione che deve saziare senza appesantire. Contrariamente a quanto si crede, le patate non sono un alimento eccessivamente calorico: possono essere utilizzate sia nelle diete iposodiche, grazie all’alta concentrazione di potassio e una bassa concentrazione di sodio o impiegate nelle diete ipocaloriche. Questo viene spiegato dalla Dott.ssa Alessandra Bordoni, dietologa e docente presso il Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’ Università di Bologna, con un semplice ma chiaro esempio: “Una porzione di patate (200 g) apporta 170 kcal, paragonabili ad una porzione di pane comune (50 g) che fornisce circa 140 kcal, e assai meno di una porzione di pasta secca (80 g), il cui valore energetico è pari a 285 kcal”. Comparando le patate con alimenti appartenenti alla stessa categoria alimentare, quindi alimenti a base di cereali e fonte di carboidrati (pasta e pane), risulta evidente come siano proprio le patate ad essere le più leggere: se ne possono mangiare di più, a fronte di un apporto calorico minore! www.selenella.it
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DERBY BLUE BE4MIX, SI AMPLIA LA GAMMA CON LA NUOVA POLPA 100% PESCA
Bologna, 6 maggio 2013 – È la Polpa 100% Pesca, la novità dell’estate della gamma BE4MIX di Derby Blue, punto di riferimento per il mondo del mixing con la linea Night Collection. Derby Blue BE4MIX 100% Pesca è il nuovissimo gusto che offre tutto il fresco sapore della frutta allo stato puro in una polpa concentrata dalla grande resa, perfetta per la preparazione dei cocktail, ed in particolare dei classici e molto estivi Caipirinha e Caipiroscka alla pesca, nonché del rinomato cocktail Bellini, inventato dal barman di Ernest Hemingway, il celebre Giuseppe Cipriani dell’Harry’s Bar di Venezia. In grado di aggiungere il giusto volume ai cocktail, legandosi in modo perfetto ad ogni ingrediente, BE4MIX 100% Pesca ha un colore giallo acceso e una nota aromatica dolce, intensa e molto profumata. Come il resto della gamma BE4MIX si presta ad essere utilizzata sia come base per premix, sia come ready to mix, infatti la formulazione molto fluida permette una resa ottimale e la perfetta miscelabilità per tutte le preparazioni. La polpa di frutta BE4MIX 100% Pesca si aggiunge agli 8 gusti già in gamma (Fragola, Sweet&Sour, Cocco, Passion Fruit, Granatina, Kiwi, Cranberry e Zucchero di Canna) e si presenta anch’essa in speed bottle da 750 ml con un design ergonomico moderno e maneggevole e un praticissimo tappo dosatore arancione, per l’immediata distinzione del gusto. www.conserveitalia.it
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La “new entry” arricchisce la gamma di polpe di frutta concentrata in speed bottle ideali per il mondo del mixing
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COMPIE 150 ANNI L’ACQUA PERRIER, CONSACRATA DA NAPOLEONE III LA “MINERALE NATURALE” PER ECCELLENZA
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Bevuta a Buckingham Palace, trasformata negli anni ’70 in opera d’arte da Andy Warhol, mixata e consumata nei locali più cool del mondo. L’acqua Perrier rappresenta oggi lo champagne delle acque minerali ed è sinonimo di edonismo e di un lifestyle anticonvenzionale Perrier è oggi l’acqua minerale frizzante leader di mercato a livello globale. Un primato che deriva dal suo gusto esclusivo e dalla sua iconica bottiglia, simbolo di 150 anni di successi. Famosa in tutto il mondo per le sue bollicine, l’acqua Perrier sgorga da oltre 120 milioni di anni dalla Source des Bouillens, una fonte naturale della pianura della Linguadoca nel sud della Francia. A generare le bollicine tipiche della Perrier, un processo 100% naturale: l’acqua piovana, infiltrandosi nel sottosuolo, incontra i gas vulcanici per poi sgorgare dalle fessure del terreno come se bollisse. Una caratteristica che, oltre a donare un gusto inconfondibile all’acqua, dà il nome alla fonte: “Les Bouillens” - “acque bollenti”, in francese. Un’oasi di 8649 ettari, che si mantiene interamente incontaminata negli anni grazie a un’attenzione maniacale nel processo di raccolta dell’acqua e di mantenimento dell’ambiente circostante. Basti pensare che nei 2.471 ettari di terreno agricolo vicino alla sorgente, gli agricoltori locali coltivano prodotti biologici senza l’utilizzo di fertilizzanti artificiali o pesticidi. PERRIER INCONTRA LA STORIA La Perrier si è più volte intrecciata con episodi storici: dalla decisione di Annibale - 218 a.C. - di accamparsi in un posto che in seguito sarebbe stato chiamato “Les Bouillens”, dopo aver attraversato la Spagna con il suo esercito alla conquista di Roma, all’idea di Giulio Cesare - nel 58 a.C. - di costruire una vasca di pietra con degli edifici intorno alla sorgente, per realizzare il primo “centro termale” della storia. Sarà però, Napoleone III, nel 1863, a conferire alla Perrier il “titolo” di acqua minerale naturale, con un decreto che ne riconosce e certifica qualità e caratteristiche. È solo nel 1898 che l’acqua di “Les Bouillens” prende il nome di acqua Perrier, da Louis-Eugène Perrier, in quegli anni unico proprietario della fonte. Dottore, politico ed esperto delle proprietà termali dell’acqua, è stato lui a dedicarsi per la prima volta allo sviluppo di una bottiglia di vetro igienicamente sigillata e pensata per contenere e trasportare l’acqua. Pochi anni dopo, Louis-Eugène Perrier crea una joint venture con St John Harmsworth, che nel 1903 ne diventa a sua volta unico proprietario. Sarà l’inglese a progettare la forma iconica della bottiglia PERRIER, trovando l’ispirazione mentre praticava degli esercizi indiani, che eseguiva per mantenersi in forma. Anche con Harmsworth, la Perrier entra ancora una volta in fatti storici: nel 1905 diventa l’acqua bevuta dai coloni inglesi in India e dalla nobiltà britannica a Buckingham Palace. Un scelta della nobiltà inglese che fa guadagnare a Harmsworth il titolo di “Purveyor by Appointment to his Majesty the King of England”. Nel 1908, in occasione della mostra franco-britannico a Londra, l’acqua Perrier vince il Grand Prix des EauxMinéralesVente de l’Année, un premio assegnato come acqua più venduta dell’anno. L’escalation della Perrier non si ferma quì. Dal 1948 al 1973 la produzione passa da 30 a 150 milioni di bottiglie. La fabbrica, ora conosciuta col nome di “cattedrale”, inizialmente di 6.000 metri quadri, supera 26.000 metri quadri. Nel 1954, lo stabilimento Vergèze diventa un luogo completamente integrato, tanto che tutto viene fabbricato in loco. Ma a rappresentare una data storica è il 1992 anno in cui
Louis-Eugène Perrier
Perrier viene rilevata da Nestlé, formando la Nestlé Waters SA gruppo, ora leader mondiale nella bottiglia d’acqua con circa 70 marchi, tra cui non solo Perrier, Vittel, Contrex, S. Pellegrino, ma anche Nestlé Pure Life, Nestlé Aquarel. Perrier utilizza uno strumento appositamente progettato per il gruppo Nestlé, che analizza l’intero ciclo di vita del prodotto finale e fornisce un criterio multiplo di valutazione ambientale: il Global Footprint ambiente (GEF ISO 14044 strumento accreditato). Come risultato, l’analisi viene sempre eseguita prima dello sviluppo di ogni nuovo prodotto o cambiamenti di imballaggio al fine di garantire il loro eco-equilibrio. Non un caso isolato. Sul versante ambientale infatti, Perrier ha sviluppato iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica circa l’uso ecologico delle acque. In particolare, Perrier supporta Progetto WET, un programma internazionale di formazione per gli insegnanti, che ha riunito 400.000 educatori e diversi milioni di bambini negli ultimi 20 anni per educare le nuove generazioni sulla necessità vitale di preservare le risorse idriche. PERRIER, EMBLEMA DI EDONISMO Sono innumerevoli le immagini di spot Perrier entrate nell’immaginario comune. Buona parte del merito spetta a Gustave Leven e Jean Davray, quest’ultimo responsabile della pubblicità del marchio Perrier. Un tandem che ha dato luogo ad alcune delle saghe pubblicitarie più interessanti di questo secolo: da quelle mitiche realizzate tra la fine degli anni ’70 e i primi ’80 dall’artista francese Bernard Villemot, a quelle concepite dall’estro creativo di Andy Warhol, figura predominante del movimento della Pop Art. Nel 2009 Perrier fa il giro del mondo grazie a una saga pubblicitaria, capace di enfatizzare le caratteristiche uniche del brand tramite l’ideazione di una vera e propria fiction, dove la Perrier è l’ultima soluzione di ristoro estremo su un pianeta surriscaldato a tal punto da far sciogliere ogni cosa tutto intorno. Un’altra iniziativa che eleva ancora una volta la gamma di prodotti Perrier a status di opere d’arte da gustare, la DITA VON TEES Limited Edition, modella statunitense ed emblema del burlesque riconosciuta in tutto il mondo. MIXOLOGY BY PERRIER Perrier sa come far parlar di sé nel mondo dei bar e dei ristoranti. Il suo gusto unico, le inconfondibili bolle e la sensazione di freschezza, fanno di Perrier l’ingrediente essenziale nel mondo della creazione dei sapori. Oggi Perrier rappresenta un drink analcolico da bere al naturale o come parte di ingegnosi cocktail, da
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gustare nei locali più alla moda, nei migliori ristoranti e nei club più esclusivi al mondo. Basti citare l’elegante Bar di Murano di Parigi, l’esotico e trendy Mahiki di Londra, il Goldbar di New York, frequentato da molte celebrità, lo Sky Bar di San Paolo e il Lound bar di Seoul, per citarne solo alcuni. Una cultura del bere di qualità, dalla quale nasce “Mixology by Perrier”: dei mixati analcolici o leggermente alcolici che seducono e conquistano i locali più cool ed esclusivi del mondo. Creatore è Laurent Greco, Patron della “Liquid Chef ” di Parigi, guru della mixologia d’avanguardia e conosciuto per il suo ingegno e la sua professionalità, messi a servizio di Perrier, la più celebre ed esclusiva fra le acque minerali internazionali. DAL MONDO DELLA NIGHTLIFE A QUELLO DEL TENNIS A partire dal 1928, la Perrier ha legato la propria immagine a quella del mondo del tennis, diventandone un vero e proprio emblema. Sono numerose le sue apparizione al Roland Garros, noto anche come l’Open di Francia: dalla sedia dell’arbitro (1989), alla panchina dei giocatori (1994), per arrivare alla sala stampa in occasione della prima Promo-PRESSE PERRIER, il concorso attraverso il quale si decidono i vincitori dei singoli match e dell’intera manifestazione. Nel 2011, Perrier diventa partner ufficiale del The Legends
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Trophy, il torneo che riunisce alcune delle più grandi figure della storia del tennis mondiale. A guidare la manifestazione alcuni messaggi chiave, che Perrier condivide in toto: eccitazione, piacere, generosità e creatività. Da sempre Perrier è considerata lo champagne delle acque minerali. Protagonista di uno stile di vita chic e anticonvenzionale, moderna ed edonista, l’acqua Perrier è il premium drink frizzante e naturale per tutti coloro che ricercano il massimo della freschezza; rappresenta inoltre un’alternativa all’alcool elegante e salutare, poiché non contiene zucchero, caffeina e calorie. Consumata nei bar, nei locali, all’aperto d’estate, in viaggio, alle feste, con gli amici, come aperitivo o a tavola, l’acqua Perrier valorizza i cibi con la sua intensa effervescenza, da sola o come ingrediente di mille cocktail e long drink. www.rinaldi.biz
NOVITÀ LIBRARIE
AGRICOLTURA SOSTENIBILE
Principi, sistemi e tecnologie applicate all’agricoltura produttiva per la salvaguardia dell’ambiente e la tutela climatica. Michele Pisante
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18-04-2013
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Queste le considerazioni alla base del principio ispiratore del volume Agricoltura Sostenibile, curato dal Prof. Michele Pisante, Ordinario di agronomia e coltivazioni erbacee all’Università di Teramo e membro del Comitato Scientifico di Karpòs magazine, che in quattordici capitoli analizza con un approccio multi- ed interdisciplinare i diversi aspetti della «Sostenibilità», nella convinzione che proprio dal confronto disciplinare possa emergere una nuova visione unificatrice. Un viaggio caleidoscopico tra le discipline scientifiche che affronta il complesso rapporto dell’Agricoltura con l’Ambiente, dai Cambiamenti Climatici alla Gestione del suolo e dell’acqua, dalla Nutrizione vegetale agli Apparati radicali delle specie di interesse agrario ed alimentare, dalle Biotecnologie alla Gestione e il controllo della flora infestante, la Difesa dalle principali specie parassitarie, dall’Agricoltura di precisione agli aspetti Economici, la Qualità e sicurezza alimentare. Ciascun capitolo, progettato in modo monografico e curato da uno o più Autori, per la natura “multi-competenze” che gli argomenti specifici trattati richiedono, affronta i diversi aspetti della «Sostenibilità» con l’obiettivo di definire i principi e la terminologia appropriata, strategici per l’affermazione di una nuova agricoltura efficiente e responsabile. I concetti fondamentali sono trattati ed aggiornati, sulla base di evidenze scientifiche ed avvalorate da modalità di applicazione, anche attraverso elementi speciali (box, schede), soluzioni a problematiche emergenti, esperienze e strumenti di gestione. Particolare attenzione è rivolta alle caratteristiche dei prodotti e dei processi di produzione, come valutazioni comparative rispetto a norme di sostenibilità, sistemi di certificazione e nuovi metodi di analisi della qualità degli alimenti, insieme alla valorizzazione di componenti bioattive dei prodotti. L’obiettivo generale è promuovere l’innovazione gestionale che permetta agli agricoltori di rafforzare il loro ruolo nella filiera agro-alimentare e agro-industriale, l’impatto nella società contemporanea.
AGRICOLTURA SOSTENIBILE MICHELE PISANTE
L’Agricoltura Sostenibile è un modello di produzione agricola evolutosi nel tempo per rispondere ai nuovi bisogni della società, accresciuti nonostante la crisi economica degli ultimi anni, e per fronteggiare le conseguenze degli impatti negativi dei fattori produttivi sulla qualità delle risorse naturali e più in generale sull’ambiente rurale, sottoposto ad una crescente pressione antropica. La correlata scarsa disponibilità di terre coltivabili e la necessità di nutrire una popolazione mondiale in aumento, rappresentano alcune sfide per il settore agricolo ma anche nuove opportunità per ripristinare l’ambiente rurale sempre più degradato, far fronte alle incertezze derivanti dai cambiamenti climatici che influenzano la produttività e la sostenibilità, con prevedibili ripercussioni sociali, politiche ed economiche. Riflessioni che necessitano di risposte concrete per gestire gli agro-ecosistemi razionalmente e garantire la produzione sostenibile di alimenti a sufficienza per la popolazione mondiale. Tutte queste complesse implicazioni richiedono innovazioni e tecnologie efficienti, a cui solo la ricerca ed il metodo scientifico possono rispondere adeguatamente, per essere integrate, applicate e diffuse razionalmente attraverso idonei percorsi di alta formazione, con l’obiettivo di conseguire un incremento sostenibile della produzione agricola per unità di superficie. L’Intensificazione Sostenibile della Produzione (ISP) con particolare riguardo alla sostenibilità ambientale attraverso un approccio ecosistemico, rappresenta un insieme di innovazioni integrate per orientare i modelli di sviluppo verso la crescita e offrono l’opportunità di riconoscere la terza dimensione dell’agricoltura produttiva, determinando il valore economico dei servizi ecosistemici a favore della collettività: in particolare quelli agroecologici come la valorizzazione della biodiversità dei suoli, il sequestro del carbonio, la ritenzione di acqua, la stabilità e la resilienza dell’ecosistema e le funzioni di impollinazione.
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Chiara Bertora
Università degli Studi di Torino
Marco Bindi
Università degli Studi di Firenze
Marina Carcea
Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), Roma
Eleonora Cominelli
Consiglio Nazionale Ricerche, Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria
Valentina Narducci
Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), Roma
Pasquale Montemurro
Università degli Studi di Bari
Giuliano Mosca
Università degli Studi di Padova
Simone Orlandini
Università degli Studi di Firenze
Katia Petroni
Università degli Studi di Milano
Michele Pisante
Università degli Studi di Teramo
Rodolfo Santilocchi
Università Politecnica delle Marche, Ancona
La delicata e rapida trasformazione dell’Agricoltura, la scarsa disponibilità di terreni fertili coltivabili e la necessità di nutrire una popolazione mondiale in aumento, rappresentano alcune sfide ma anche nuove opportunità per rivitalizzare l’ambiente rurale e far fronte alle incertezze derivanti dai cambiamenti climatici. L’Agricoltura Sostenibile rappresenta l’innovazione virtuosa d’uso e gestione delle tecnologie agronomiche di sistema, valorizza l’approccio ecosistemico per produrre di più con meno, genera un maggior valore con minori input, riduce l’impatto ambientale e contempla gli aspetti economici e sociali per il benessere e la salute dell’umanità a scala globale. Michele Pisante è Professore Ordinario di Agronomia e coltivazioni erbacee all’Università degli Studi di Teramo. Svolge attività di ricerca ed alta formazione in Italia ed all’estero in cooperazione con Università, Centri di ricerca ed Agenzie delle Nazioni Unite. È Autore di oltre centocinquanta pubblicazioni scientifiche inerenti la sostenibilità agronomica dei sistemi colturali nell’ampio contesto della salvaguardia ambientale e la tutela climatica.
a cura di Michele Pisante
Bruno Basso
Michigan State University, USA
Paola Battilani
Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza
Marcello Mastrorilli
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA), Bari
AGRICOLTURA
GLI AUTORI
Marianna Bandiera
Università degli Studi di Padova
sostenibile
Coordinamento di Michele Pisante
Marco Acutis
Università degli Studi di Milano
a cura di Michele Pisante
AGRICOLTURA
sostenibile
Sostenibilità è un termine che per il mondo agricolo ed agroalimentare rappresenta il presente ed il futuro. In un’epoca di scarsità alimentare, l’agricoltura deve finalmente produrre ciò il mercato richiede, nella corretta quantità e seguendo un percorso virtuoso che dimostri alla società civile che l’agricoltore è davvero il principale custode dell’ambiente, che è il bene più prezioso di cui l’uomo dispone su questo pianeta. Per centrare questo difficile obiettivo e per far in modo che coincida anche con la sostenibilità economica dell’impresa agricola, la scienza e la tecnologia sono valide alleate, a tutti noi il compito di mettere in comune le esperienze come in modo eccellente fanno gli Autori in questo primo volume, a cui seguiranno altri su specifici ambiti di applicazione. Questa collana sulla sostenibilità è inoltre inserita nel progetto “Nova Agricoltura” del Gruppo 24 ORE, che si prefigge di dare voce e spazio agli agricoltori innovatori ed alle tecnologie d’avanguardia in una comunità virtuale e non solo.
Principi, sistemi e tecnologie applicate all’agricoltura produttiva
Raffaele Cortignani
Università della Tuscia
Piero Cravedi
Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza
Gabriele Dono
Università della Tuscia
Mariano Fracchiolla
Università degli Studi di Bari
Massimo Galbiati
Università degli Studi di Milano
Carlo Grignani
Università degli Studi di Torino
Luigi Sartori
Università degli Studi di Padova
per la salvaguardia dell’ambiente e la tutela climatica
Fabio Stagnari
Università degli Studi di Teramo
Vincenzo Tabaglio
Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza
Chiara Tonelli
Università degli Studi di Milano
Teofilo Vamerali
Università degli Studi di Parma
Laura Zavattaro
Università degli Studi di Torino
Euro 46,00 www.agricoltura24.com
www.novagricoltura.it
CALEIDOSCOPIO JACQUART DEDICA IL SUO CHAMPAGNE ROSÉ A TUTTE LE MAMME Per festeggiare tutte le mamme italiane, nell’imminenza della loro giornata celebrativa annuale, lo Champagne Jacquart propone di brindare, a pranzo o a cena, con la sua splendida cuvée “Rosé”.
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Espressione rosata del Brut Mosaïque, Jacquart Rosé nel suo assemblaggio poggia sulla medesima struttura. La raffinatezza dello Chardonnay (35% - 40% della cuvée) è completata dalla pienezza del Pinot Meunier (25% - 30%) e dalla struttura del Pinot Noir (30% - 35%). L’aggiunta del 15% - 18% di vino rosso ottenuto dal Pinot Noir, unita a un dosaggio molto leggero, ne fa un vino vero e proprio.
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All’aspetto, le bollicine di Jacquart Rosé sono delicatamente soffuse di un colore intensamente salmonato. Al naso, gli aromi dei piccoli frutti di bosco (ribes, ciliegie, fragoline selvatiche) virano progressivamente e deliziosamente verso ricordi di prugna. La bocca è rinfrescante e ampia, e il finale è seducente, grazie allo schiudersi di note sorprendenti di pesca e di albicocca. Presentato in una confezione prestigiosa, che sottolinea le note rosate della cuvée, lo Champagne Jacquart Rosé suggella in modo perfetto la ricorrenza della Festa della Mamma. A tavola, oltre che per il brindisi, è ideale accompagnamento di salmone, ostriche, piatti leggermente speziati, dessert a base di frutta. Come tutti gli altri Champagne della Maison, Jacquart Rosé è distribuito in esclusiva per l’Italia dalla Fratelli Rinaldi Importatori di Bologna. www.rinaldi.biz
Coccola Oggi, Raccogli Domani
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Il Nitrato Potassico per il Benessere delle Colture Raccolti Superiori con il Nitrato Potassico Haifa (Linea Multi-K) Multi-K, concimi all’avanguardia per migliorare i raccolti di domani. L’utilizzo della linea Multi-K predispone l’ottenimento di raccolti superiori, migliorandone la qualità, con la massima efficienza nutrizionale. La Linea completa di formulati di nitrato potassico: • Multi-K Classic: formulato base per la fertirrigazione • Multi-K pHast: formulato a pH acido per ottimizzare la fertirrigazione • Multi-K Top: massima concentrazione per interventi fogliari mirati e in fertirrigazione • Multi-K Mg: nitrato potassico arricchito con magnesio, in formulazione cristallina e granualre • Multi-K Prills: nitrato potassico granulare per l’applicazione al suolo, l’unico NK 13.46
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