La Nazione 150 anni VIAREGGIO

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150 ANNI di STORIA ATTRAVERSO LE PAGINE DEL NOSTRO QUOTIDIANO

SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO A CURA DI

Viareggio


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Così la Versilia risorgimentale conobbe agli inizi La Nazione I bagni fanno bene alla salute (ve lo dice il medico Barellai) Moda: arrivano da Parigi i cappellini e il ventaglio Comincia a fare caldo: prenotate una casa al Forte Puccini lavora alla Bohéme un’intervista del nostro Jarro Quei carri di cartapesta che conquistarono il mondo La Versilia terra di cinema dal “muto” fino a Spike Lee La Nazione: quel “diario di bordo” che racconta ogni giorno la Versilia Quei favolosi anni Sessanta Ermanno: storia di un bambino ucciso e nascosto sotto la sabbia Diciassette coltellate nella notte per un giallo al Forte dei Marmi Il cielo si aprì all’improvviso e su Cardoso si scatenò il diluvio Quando la pubblicità “pensava” alla salute

Supplemento al numero odierno de LA NAZIONE a cura della SPE Direttore responsabile: Giuseppe Mascambruno

VIAREGGIO

150 anni di storia attraverso le pagine del nostro quotidiano.

Non perdere in edicola il terzo fascicolo regionale che ripercorre, attraverso le pagine de La Nazione, la storia fino ai nostri giorni e i 17 fascicoli locali con le cronache più significative delle città.

Vicedirettori: Mauro Avellini Piero Gherardeschi Antonio Lovascio (iniziative speciali) Direzione redazione e amministrazione: Via Paolieri, 3, V.le Giovine Italia, 17 (FI) Hanno collaborato: Enrico Salvadori Umberto Guidi Giovanni Lorenzini Paolo Di Grazia

Fotografie: Umicini Progetto grafico: Marco Innocenti Luca Parenti Kidstudio Communications (FI) Stampa: Grafica Editoriale Printing (BO)

Pubblicità: Società Pubblicità Editoriale spa

DIREZIONE GENERALE: V.le Milanofiori Strada, 3 Palazzo B10 - 20094 Assago (MI) Succursale di Firenze: V.le Giovine Italia, 17 - tel. 055-2499203


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Così la Versilia risorgimentale conobbe agli inizi La Nazione Una terra di cavatori, pescatori, geniali costruttori di barche, orgogliosa della propria identità

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ra entrata a far parte del Granducato di Toscana da soli 12 anni, Lucca e la sua provincia, quando a Firenze nacque La Nazione. Aveva conservato per secoli la sua indipendenza, la sua specificità, la sua arte e la sua cultura.

Il quotidiano unitario e risorgimentale di Ricasoli fu apprezzato dai versiliesi, anche se in gran parte erano schierati contro la monarchia. Furono però i turisti che lo diffusero ampiamente alla fine dell’Ottocento.

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iversa la situazione di Viareggio e della Versilia. Che aveva una sua personalità, fortissima, legata al mare e alle sue attività. E dunque, ben prima di diventare il luogo naturale per le vacanze degli italiani tutti, aveva i suoi cantieri navali e suoi pescatori, oltre naturalmente alla secolare ed unica ricchezza rappresentata dal marmo bianco. E dunque, i viareggini e i versiliesi in genere, erano orgogliosi della propria identità, nel passato ancor più di oggi. Erano repubblicani, risorgimentali, anarcoidi. Eppure, La Nazione seppe diffondersi fin dai primissimi anni anche in questa realtà, dove le idee risorgimentali avevano trovato modo di diffondersi con forti motivazioni. E intorno al grande ideale dell’Italia Unita, tutti si ritrovarono. E La Nazione fu, ugualmente per tutti, il foglio al quale fare riferimento, nella speranza di un futuro migliore, in particolare quando si diffuse il turismo balneare a fine Ottocento.

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a storia è nota. L’11 luglio del 1859, nel pieno della seconda guerra di indipendenza all’improvviso francesi ed austriaci firmarono un armistizio ed i Savoia non ebbero la forza per opporsi. E dunque, ecco che al Piemonte veniva concessa quasi per intero la Lombardia, ma il Veneto, il Trentino e la Dalmazia restavano agli austriaci, mentre in Toscana sarebbero tornati i Lorena, e si ipotizzava una federazione di stati del Centro Sud sotto la guida del Papa.

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lla notizia, Cavour, dopo uno scontro durissimo con Vittorio Emanuele si dimise. E l’unico a sostenere la causa dell’Italia da unire, restò in quelle ore il capo del governo toscano, Bettino Ricasoli appunto. Era la sera del 13 luglio e Ricasoli chiamò Puccioni, Fenzi e Cempini in Palazzo Vecchio. Chiese loro di redigere e stampare il primo numero de La Nazione per l’indomani. I tre presero una carrozza e si fecero portare

in via Faenza alla tipografia di Gaspero Barbera, e qui cominciò un lavoro frenetico a redigere i testi ed a comporli. Alle cinque del mattino Ricasoli si presentò alla tipografia, lesse le bozze e dette il consenso. Alle dieci, tirate pare in tremila copie, due pagine in mezzo foglio, erano in vendita nel centro cittadino. Si trattava di un’edizione senza gerenza, senza il nome dello stampatore, senza il prezzo, senza pubblicità. Praticamente un numero zero. E così si andò avanti fino al 19 luglio quando, finalmente, La Nazione uscì nel suo primo numero ufficiale, con formato a tutto foglio, le indicazioni di legge, i prezzi per l’abbonamento e per la pubblicità.

le. Rese possibile questa scelta un grande direttore, Celestino Bianchi che seppe conquistare il pubblico femminile, interessare anche la media e piccola borghesia mercantile, ma soprattutto richiamare intorno al foglio di Ricasoli le migliori firme italiane del momento. Che, del resto, già erano presenti su La Nazione, fin dai primissimi anni. E allora ecco il D’Azeglio e il Tommaseo, ecco il Manzoni e il Settembrini, e poi il Collodi, il De Amicis, Alessandro Dumas, Capuana, il Carducci e in seguito anche il Pascoli, ed infinti altri. Grandi firme che sarebbero continuate durante il fascismo e nell’Italia repubblicana fino ad oggi. Da Malaparte a Bilenchi, a Pratolini, ad Alberto Moravia, a Saviane, a Luzi. Dopo aver ospitato Papini, Prezzolini, Soffici, e gran parte dei letterati delle Giubbe Rosse nel periodo che precede e che segue la grande Guerra.

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ueste le scelte che permisero a La Nazione, pur doosì, dunque, nacque il novendo affrontare momenti stro giornale. Che conobbe di crisi e di difficoltà, di battere i giorni fausti dell’Italia ogni volta le testate concorrenti. Unita, e poi quelli pieni di proMa non sarebbe stato sufficiente, blemi, non solo economici, in senza una grande carica ideale. E cui Firenze fu provvisoriamente infatti, quando si trattò di decidecapitale. Quindi la questione rore se trasferirsi a Roma capitale, mana, la breccia di Porta Pia. Ma seguendo le sorti del governo fu proprio con Roma Capitale che e del Re, la spiegazione data ai La Nazione dovette modificare il lettori fu questa. “Noi non vogliaproprio tipo di impegno. mo che Roma attiri a sé tutta la forza intellettuale. Noi vogliamo he fare? Seguire il governo che Napoli, Firenze, Bologna, Vee il mondo politico fino a nezia, Milano, Torino, serbino la loro influenza legittima, portino Roma, là dove si sarebbeil peso nella bilancia delle sorti ro svolte da allora in poi tutte politiche nazionali. Ogni regione le vicende, e prese le decisioni ha elementi originali da custodirelative all’Italia? Fu compiuta re e nello stesso tempo è sentiuna scelta, che di certo non fu di tipo economico: restare. Restare nella dell’Unità inattaccabile.” a Firenze, accompagnare la vita della città e della regione dove na prosa intelligente, moera nata, e dedicare sempre dernissima, attuale ancor più attenzioni a quella che oggi oggi, 140 anni dopo. Un diremmo la cronaca . Insomma, atteggiamento che La Nazione da grande foglio risorgimentale conservò anche in epoche ben carico di tensioni ideali, a giorna- diverse. le come oggi lo intendiamo. Con rubriche dedicate alla moda, allo sport, alla vita musicale e teatra-

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Nel tondo: Giosuè Carducci che giovanissimo collaborò a La Nazione trattando temi culturali. In particolare salutò con entusiasmo l’apertura a Firenze delle scuole serali.


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da La Nazione del 16 agosto 1861

I bagni fanno bene alla salute (ve lo dice il medico Barellai) Così comincia la vicenda turistica di Viareggio: ospizi marini per i bambini poveri e malati Quella santa donna di Caterina Nenci

Nella foto grande: I bagni di mare usati come cura per i bambini figli di contadini e operai. Fu questo l’inizio delle vacanze in Versilia, ma subito dopo, anche gli aristocratici e i ricchi industriali si dettero appuntamento al Forte dei Marmi.

Il Regno d’Italia è proclamatoed è tempo di grandi ideali, non certo di ambizioni mondane. Così, a scoprire la Versilia, le sue pinete ed il clima marino, non è un “agente turistico” ma piuttosto un medico preoccupato per la salute dei bambini poveri. Si chiama Giuseppe Barellai, e fonda a Viareggio un ospizio per i bambini “scrofolosi”. La Versilia proprio in questi anni dimostra la sua accezionale vitalità. La costruzione dei moli è avvenuta nel 1850, e l’attività dei costruttori di barche, che si aggiunge a quella marmifera, è intensissima. Proprio in questi anni nascono anche i primi stabilimenti balneari.

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n celebre scrittore francese in una sua opera di recente uscita… ha parlato con grandissima lode di un istituto sorto da breve tempo in Viareggio, senz’altro sostegno fuor della carità di alcuni privati, senz’altro appoggio fuori della ferrea volontà di un uomo, il quale non si è lasciato mai nè sgomentare né sopraffare dalle difficoltà che gli attraversavano il cammino… Non sembrerà dunque strano al lettore, se questo nostro giornale tien proposito di una istituzione di carattere eminentemente filantropico, del quale già parlò sulle rive della Senna una scuola umanitaria.

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a prima diciamo brevemente come questo Ospizio sia nato e rammentiamo come a Giuseppe Barellai, cittadino operoso e medico egregio, se ne debba tutto il merito. Fino dal 1854… egli andava lamentando il difetto di uno spedale, ove si potessero accogliere i fanciulli infetti da scrofole de’ quali, vuoi per le cattive acque, voi per le non troppo sane abitazioni, vuoi per l’aria non è penuria.

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l Barellai notava come a quella malattia potesse porsi efficace riparo, se in tempo le cure della scienza fossero apprestate a chi ne era colpito; e per molti studi fatti e per una pratica acquisita con diuturni esperimenti affermava esser all’abito scrofoloso grandissimo e potentissimo rimedio ai bagni di mare: dal che ne concludeva doversi procurare con ogni mezzo la istituzione di


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uno Spedale, che raccogliesse nei tempi estivi que’ disgraziati fanciulli affetti dalla malattia sopraccennata, affinché ivi potessero gratuitamente ricevere que’ soccorsi, che i poveri non possono di per se stessi procacciarsi…

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celse Viareggio, perché questa spiaggia gli parve dovesse tornar più utile alla cura: scelse Viareggio, perché per buona fortuna di lui e de’ suoi piccoli malati poté qua incontrare alcune donne che di questi si prendessero cura.

Agli inizi i bambini in colonia erano affidati alle suore, poi grandi aziende organizzarono per proprio conto i soggiorni marini destinati ai figli dei dipendenti.

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uasi contemporaneamente a che il Barellai faccesse il suo progetto, una egregia viareggina, Caterina Nenci, fondava nella sua città l’Istituto delle suore di Maria. In questa riunivansi poche donne a vita monastica, ma senza voti di sorta, coll’unico scopo di procacciare l’educazione della gioventù. Le buone suore aprivano infatti una scuola elementare, dove accorsero ben presto le fanciulle di questa città.

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codeste suore pensò il Barellai di affidare i suoi malati; e fu un ottimo divisamente! Ché esse ne tolsero la cura, e non si può dire come a

codesta intendessero; tanto e tale fu il disinteresse, l’amore tutto materno, onde circondarono i primi tre fanciulli loro affidati, i quali tornarono a Firenze d’assai migliorati e chiarirono così che il Barellai si era ben apposto nel farsi iniziatore di questo nuovo Ospedale, a cui egli pose il nome di Ospizio marino.

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ggi gli Ospizi marini non sono così stremati come lo erano al loro sorgere: hanno un capitale loro proprio, accumulato a forza di piccole elargizioni, hanno un Comitato che dirige l’amministrazione di quel capitale, e in quest’anno i fanciulli invitati a Viareggio per cura dell’Istituto sommano a ben cento. Come è chiaro si è percorso un grande cammino, e non dubitiamo che l’attività del Barellai possa venir meno in seguito. Continuano sempre le suore di Maria ad aver cura de’ giovanetti, e diremmo quasi che uno istituto si è immedesimato con l’altro, tanto che in Viareggio quelle brave donne sono conosciute col nome di Monache dell’Ospizio del Barellai…

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ell’ospizio tu non trovi eleganza, ma una lindura che non è mai soverchia, in specie poi quando si tratta di un luogo destinato ad accogliere gente affetta da malattie, alle quali la nettezza non è troppo

connaturale. Bene ordinato è l’ospizio, sia per la distribuzione delle diverse occupazioni de’ fanciulli, sia infine per i precetti di morale e di carità cittadina che loro si insegnano ogni dì. Lo che, se torna a lode del Barellai, torna anche a grandissimo merito della Nenci, che dell’Ospizio ha insieme la direzione.

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er altro, ci sembra che non lieve inconveniente sia oggi il soverchio numero di fanciulli nell’ospizio ricevuti: diciamo soverchio relativamente al locale che è assai angusto, per il che ci venne fatto di contare in un dormentorio assai piccolo ben undici letti. La qual cosa ci sembra che possa tornare di danno alla salute dei bambini, affastellati così in una stanza, ove otto letti sarebbero di troppo. Nella notte, ce lo diceva una delle stesse suore, vi si rinserra tal caldo che i bambini certamente non ne godono. A questo sconcio, che è connaturale ad un istituto che sorge ora e che manca di un locale adattato, vogliamo sperare, anzi siamo certi, provvederà il Barellai il quale non può fasi illusione sulla incapacità dell’edifizio, ove oggi ha sede l’ospizio, a soddisfare i fabbisogni sempre più crescenti del medesimo. Vorremmo inoltre che si pensasse un po’ più al

vestiario de’ fanciulli, imperrocchè la è cosa strana saper che l’Istituto non se ne da pensiero, e che bisogna non di rado ricorrere alla carità privata per provvedere di camicia, di calze, di scarpe a qualcuno de’ più miserabili che vengono a Viareggio del tutto sprovvisti.

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are a noi che l’Istituto dovrebbe avere una specie di guardaroba, all’oggetto a soddisfare a queste necessità prime: e questo guardaroba potrebbe formarsi, sia eccitando le nostre signore a voler concorrere a fornirla (e siamo sicuri non vi si rifiuterebbero) sia costituendo coi danari proprii dell’ospizio. Così il fanciullo giunto che vi fosse, troverebbe, quando la famiglia propria non potesse procacciarglielo, tanto da astersi, e si scanserebbe l’inconveniente di andar volta per volta lemosinando una camicia o un vestitino per chi ne difetta.

Nel tondo: I bambini vengono sottoposti, su appositi lettini ai “bagni di sole”. Le colonie marine sono continuate in Versilia fino agli ultimi anni del secolo scorso.


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da La Nazione del 10 aprile 1877

Moda: arrivano da Parigi i cappellini e il ventaglio Infuriano i bottoni di madreperla, ma va forte anche la scarpa alla Maria Stuarda In vista dell’estate ecco i consigli alle dame che frequentano le spiagge

capino piatto, largo, più o meno alto: l’ala assume la forma che le assegna il gusto della modista: ed è giusto che sia così: l’ala non è dessa quella, mediante la quale la fantasia eseguisce i suoi voli più ardenti?... La moda pone in evidenza per la stagione un cappellino storico… almeno pel nome: il cappellino Enrico III. Dico pel nome, perché sarà difficile stabilire un rapporto fra la forma e il colore di questo grazioso modello e il cupo uccisore del Duca di Fuisa.

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appellini di paglia d’Italia, che a rigore dovrebbe dirsi paglia di Toscana, non godono elevata posizione: la paglia nostrale è una regina decaduta e solo ammessa nell’elenco infinito delle paglie e delle fantasie che le imitano: Berlino, Monaco, la Svizzera fanno una concorrenza assai sensibile alle fabbriche inglesi e francesi in tale articolo. I colori nuovi, a base di giallo, si adattano egregiamente alla paglia nera, ed in generale favoriscono più le signore more delle signore bionde. In massima i cappelli di paglia sono a

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o stivaletto Maria Stuarda allacciato per di dietro e fatto di sughero egiziano. Lo stivale Chimere di raso color bronzo, con ricami antichi. I fisciù lamballe (altro ricordo legittimo, come i gigli sui costumi Betoni) sono di ventaglio sso si fa in pa- Czarina, in foglie valencienne; il glia o in tulle, ventaglio Fidanzata il quale pored è letteralta dipinto un superbo medagliomente coperto di fio- ne che rappresenta l’Iphigènie ri, dai quali si diparte de l’himen, vittima volontaria una ricca piuma… e interessante, non riserbata, Le capote estive sono per certo, al fato della figlia di di varie stoffe e di va- Agamennone. A proposito di rie fogge: la stoffa che ventagli, mi piace, terminando, già accennai per l’abi- accennare a una novità letteto Czartoriska e che raria: una magnifica edizione con grazioso parados- illustrata dell’opera del signor so chiamai neigeuse Blondel: Histoire des èventails (sarà una vera delizia chez tous les peuples et à toutes per l’estate) gode di les epoques. gran voga. La capote Virginia è in profumi subiscono, come tutfaille bianco–argento to il resto, la legge dei capriccon piume bianche e ci della moda; i fanatici del nodi di velluto nero. La bon vieux temps. Si rammentano capote Madrilena è in stoffa di ancora con delizia dell’odore di color rosa con pieghettato color polvere alla marescialla con cui tiglio, che copre l’ala ed ha un le nostre nonne incipriavano il mazzo di piume tinte in gradaloro toupet, e rimpiangono la zione dal bianco al color tiglio. semplicità dei profumi maggiormente in voga presso i venezial cappellino Angè ribelle è ni del Medio Evo che erano (i in faille, color d’oro vecchio, profumi, non i veneziani) quello capricciosamente drapdella mela rosa e della scorza di peggiato con nastri “riflesso limoni introdotti d’Asprano. di lava infuocata” piume nere ed ale laphohore rosso. Non vi è nulla di più graziosamente mefistofelico… Dopo aver veduto i cappellini saltiamo alle scarpe e agli stivaletti. Così potremo

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Gli abiti femminili sono sempre più costosi e pesanti, gli accessori sono diventati indispensabili, la donna è agghindata come raramente lo fu in precedenza nella storia dell’abbigliamento. E l’occasione migliore per ostentare il proprio guardaroba, meglio se arrivato da Parigi, erano proprio le vacanze al mare o alle Terme, dove era concesso – anzi, auspicato – che avvenisse quanto in città, quotidianamente, era negato. Ecco dunque come E. Bilia – Mossi, esperta di moda per La Nazione, tratta il tema nella primavera del 1877, tanto caro alle signore che stavano per partire verso la Versilia.

dire di aver tratteggiato da capo a piedi la fisionomia della moda primaverile ed estiva. Hanno il primato sulle altre, tre fogge di calzature: I souliers à l’incroyable, epperciò come lo m’insegna il nome, di stile secolo XVIII. Il tacco è dorato, e sovr’esso vedesi un moscerino (muscardin) in smalto il quale si nasconde in un cespuglio cesellato.

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È a primavera che si scatena la curiosità femminile per la nuova moda. E. Bilia- Mossi, la cronista de La Nazione, si impegna nel dare consigli su come vestirsi dalla “testa ai piedi”.


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da La Nazione del 30 luglio 1882

Comincia a fare caldo: prenotate una casa al Forte Lo stabilimento del Lucchetti si è accresciuto di “due baracche laterali”, e il servizio di Omnibus con la stazione quest’anno è migliorato

I Nella foto: capanne di frasche per ripararsi dal sole al bagno Alaide del Forte dei Marmi. Siamo nel primo Novecento, ma già da trent’anni questa spiaggia è preferita dall’alta borghesia e dalla nobiltà italiana.

l caldo comincia a farsi sentire, e si presenta ormai prepotente il bisogno di più spirabili aure e di qualche bagno di mare. Il Forte dei Marmi comincia a popolarsi di bagnanti e non senza ragione, giacché quaggiù le brezze marine e l’aria fina e sanissima scacciano l’afa delle città di terra. Affrettatevi, o vaghissime nereidi fiorentine, a fissare il quartiere, perché tardando ancora ci sarebbe il caso che rimaneste con un palmo di naso; e voi ben comprendete che una bella signora, che avesse un palmo di naso più del necessario, cesserebbe immediatamente di essere una bella signora.

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voi uomini, ingolfati negli affari fino alla tesa del cappello, lasciatevi toccare il cuore dalla preghiera delle vostre metà, attaccatevi al primo rasoio che vi capita, levatevi dal melmoso pantano, inventate un mal di stomaco od un’altra malattia clandestina, pescate per un momento nel torbido de’ termini geroglifici della medi-

cina, cavatene una nevrosi, una anemia… ed anche un isterismo, chiedete un po’ di riposo, venite al Forte dei Marmi, vi ci divertirete… e guarirete!

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o stabilimento balneare tenuto dal sig. Angiolo Lucchetti è stato in quest’anno accresciuto di due baracche laterali… stile più o meno svizzero… per uso di famiglie e comodissime in special modo pei bagni dei bambini, i quali si possono poi divertire senza alcun pericolo sulla spiaggia a vangar la rena scavando buche cieche, canali, fiumi, laghi, tagliando istmi e demolendo promontorii, elevando catene di montagne, fabbricando vulcani ed altri oggetti di… geografia fisica!

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l pianoforte dello stabilimento è più accordato degli anni decorsi, in grazia dell’opera gentilissima di un bagnante del mese di luglio: vi è il solito biliardo (nello stabilimento, si intende, non nel pianoforte!), il solito buffet, la solita sala, e la sera non manca il solito brio, che ha già fatto la sua comparsa sotto forma di giuochi di sala, di balli, di animatissime conversa-

zioni. La vicina macchia-pineta par che sorrida cortesemente a chi siede sulla terrazza a nord dello stabilimento, e par che inviti i signori bagnanti a passeggiate e merende, alle quali se vorrete inviterete anche me, non foss’altro in segno di gratitudine per avervene procurata l’occasione. Il servizio d’Omnibus tra la Stazione ferroviaria di Querceta ed il Forte dei Marmi è quest’anno più accurato degli anni decorsi; e il veicolo, non che la focosa pariglia, che galoppa sempre quasi di passo, sono assai migliori.

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nzi, a proposito della Stazione, cade in acconcio fare un’osservazione reclamata dalla stravaganza del Consiglio comunale di Serravezza. Là dove sorge la stazione è il paese di Querceta; ma siccome Querceta è in comunità di Serravezza, ed una strada provinciale lunga ben due miglia la unisce a Serravezza, il Consiglio Comunale di questo paese ha creduto nella sua infinita saggezza di dover cambiare il nome della Stazione di Querceta in quello di Stazione di Serravezza: ondeché un povero diavolo che viaggi in vapore diretto a Serravezza,

dopo esser sceso dal treno ed aver letto con soddisfazione: Stazione di Serravezza, prova poi un amaro disinganno quando intende che per andare al paese ci sono sempre due miglia buone! ...Heu! Quam parea sapientia regitur mundus!

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itornando a bomba e concludendo invito al Forte dei Marmi quanti ci posson venire, e raccomando facciano presto a fissar la casa. Per gli uomini politici poi, e segnatamente per quelli detti “malvoni”, dirò che ieri l’onor. Ruggero Bonghi ex ministro della pubblica istruzione venne a visitare questo luogo di bagni in compagnia del senatore Giorgini, del quale è ospite nel vicino paese di Montignoso, e dirò di più che giunto sullo stabilimento l’onor. Bonghi ha bevuto un gotto di eccellente birra di Vienna, la quale costituisce, l’avevo dimenticato uno fra i non ultimi requisiti dello stabilimento del sig. Lucchetti. A rivederci a presto. Salameleck

Sarà con gli anni Trenta del Novecento che le spiagge versiliesi si attrezzeranno di cabine e ombrelloni fino ad assumere l’aspetto che conservano ancora oggi.


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da La Nazione del 9 ottobre 1894

Puccini: lavora alla Bohème Un’intervista del nostro Jarro Come il maestro trascorre le giornate nella sua casa di Torre del Lago Caccia, velocipede e pianoforte. Qualche indiscrezione sulla nuova opera

Nella foto: Giacomo Puccini in bella mostra sulla prua di una barca durante una gita sul lago. Il maestro scelse di abitare lungamente a Torre del Lago preferendone i silenzi, i paesaggi e la ricca selvaggina.

Ama la caccia, le corse in velocipede, mangia le penne come uno scolaretto delle elementari. Questo è Giacomo Puccini così come ce lo descrive nell’articolo che segue il solito Jarro. Il compositore è già famoso (nato a Lucca nel 1854, al momento dell’intervista ha quarant’anni) per il successo ottenuto con la Manon. Ma adesso si fa un gran parlare della sua nuova opera, la Bohème, della quale si fa un gran parlare. L’opera andrà in scena nel ’96 diretta da Arturo Toscanini. Su di essa, Jarro cerca durante l’intervista di raccogliere più notizie possibili ma ci riesce solo in parte. In compenso, riesce sicuramente a fornirci l’atmosfera del Lago nel quale il compositore trascorre le sue giornate.

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l maestro Giacomo Puccini è entrato nel numero de’ trionfatori. La sua opera Manon Lescaut ha avuto testè a Londra un esito splendido: i critici inglesi ne hanno lodato la varietà e la bellezza, il sentimento e la grazia: la facile melodia e la elaborata strumentazione. Apriamo oggi i giornali di Montevideo: troviamo nella Tribuna Popolar un articolo intitolato: Manon Leaxcaut – Exito grandioso. Mentre la sua musica si canta – e può ben dirsi senza esagerazione – da un capo all’altro del mondo, il giovane e fortunato maestro, che ha dato tanta gloria all’arte italiana… passa le settimane, i mesi, nella più assoluta solitudine, in una specie di eremo, allietato da tutte le attrattive di un paesaggio pittoresco, in una casetta modestissima, il riva al lago di Massaciuccoli.

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hi si affaccia al piccolo molo sul lago presso la casa… può veder molte barchette legate, a breve distanza l’una dall’altra; esse portano i nomi di Edgar, di Willi (sic), di Manon… È un omaggio delicato di poveri pescatori, di cacciatori, al maestro che è ospite gradito e popolare di quell’ameno paesello. Giacomo Puccini ha scritto molto della sua musica sulla riva del Lago… La casa è fra il Lago e la macchia di Migliarino, la macchia appartiene al Duca Salviati… I daini, i cignali, ospiti in gran numero, nella macchia di Migliarino, vengono a bere l’acqua del lago a quindici, venti passi dalla casa del Maestro Puccini… Domando al maestro: A che punto è la nuova vostra opera Bohème? Siamo nello studio dell’autore della Manon. Egli è dinanzi al

piano. Mi risponde facendo scorrer le dita su la tastiera, eseguendo un motivo leggero, elegante, lo spunto di una strofa, di un madrigale, di una canzone… Chi sa?... di Mimì, la protagonista della Bohème, per cui il maestro ha già una certa predilezione. “Sono due personaggi pe’ quali mi sono specialmente affezionato tra quelli ideati, o ritratti dal Murger nella sua Vie de Bohème e che hanno parte nella mia opera: Mimì e Schaunard. Che bellissimo tipo Schaunard...” Il Maestro canta, si accompagna al piano. Mi accorgo che sul tavolino presso il quale sono seduto ci sono varie penne. I manichi sono tutti mangiati, compresi quelli di ferro. È un’abitudine del Maestro. “Non ho piacere – prosegue il giovane musicista – che si parli della mia Bohème. Vi è noto che

Assunto come critico teatrale da La Nazione, Jarro conquistò in pochi anni il consenso di molti lettori. In questa intervista cerca con difficoltà di avere delle anticipazioni sulla Bohème.


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In questi mesi Puccini lavorava anche alla Lupa, un’opera tratta dalla novella di Giovanni Verga col quale era in stretti rapporti di amicizia.

il Leoncavallo scrive un’opera sullo stesso argomento. Non sappiano nulla l’uno dell’altro. Lavoriamo così ciascuno, secondo il nostro estro, senza altre influenze… Non vi dirò neppure di quanti atti è la mia opera.” Il Maestro che forse vedeva la mia immediata mortificazione, riprese sorridendo: “Ebbi l’idea di porre il soggetto di un’opera dalla Vie de Bohème del Murger l’anno scorso, a Torino, mentre si eseguiva la mia Manon per la prima volta. Mi nacque tal idea dopo un discorso con l’avvocato Carlo Nasi e Augusto Berta della Gazzetta del Popolo… Il Giocosa e l’Illica fecero il libretto che è stato finito or, ora, in settembre…”

Il Maestro mi mostra il copione del libretto, stampato. Vi sono state molte difficoltà pel libretto, a poco a poco furono risolute. L’Illica ha saputo al giocondo innestare una grande sentimentalità. La commedia musicale, secondo i concetti del maestro e de’ poeti, dovrebbe far piangere e ridere. “Il libretto – osserva il Puccini – è addirittura in forma nuova. Si scosta da tutti gli altri…” E mi ritira il copione. “C’è un’estrema verità... la naturalezza del linguaggio sono, per me, inarrivabili… A eseguir

il lavoro saranno richiesti artisti che siano cantanti e perfetti attori. L’azione è continua sulla scena… Non si viene a cantare alla ribalta. È un discorso continuo fra personaggi che va di pari con l’azione…” Qui mi vien fatto di pensare al sublime Falstaff di Giuseppe Verdi, l’illustre ottuagenario, che è il più giovane fra i nostri maestri per l’originalità, la festevolezza dello stile, la modernità della forma musicale, non ha indicato la nuova via?... “La musica della mia Bohème – aggiunge il Maestro – sarà molto facile, piana; non ci troverete enfasi melodrammatiche… Ci lavoro con grande passione. Il modo gaio, spigliato, semplice con cui parlano nel libretto i personaggi mi attrae; mi par sovente di vederli entrar in questo salotto, di udirli…interpreto, traduco il loro linguaggio.” Una fragranza di fiori entrava nel salotto dal balcone aperto sul giardino… E a che punto è l’opera? Domandai di nuovo. “Ho finito – mi rispose il Maestro – il primo atto. Ho scritto poi varie parti degli altri...”

Il Maestro ha l’assetto floridissimo. Ogni mattina si leva alle tre e va a caccia. È un rematore de’ più strenui: il suo

barchettino vola sulle acque e per attrarre le folaghe suona, secondo l’uso, la zampogna. In certe mattine il lago è addirittura nevicante per le folaghe che vi s’addensano: talvolta mille e più. “Stamani – mi disse il maestro – ho ammazzato dalla parte di terra undici animali: e tutta roba grossa”.

Al pianterreno della casetta sono vari fucili… vi è pure un velocipede. Sovente sulla via maestra, da Torre del Lago a Viareggio, o viceversa, si vede un giovan di corporatura robusta passare velocissimamente su un velocipede. Tutti salutano. È l’autore della Manon. E l’opera Lupa sul libretto di Verga? “Il Verga ha scritto un dramma intitolato Lupa, che sarà presto recitato da Eleonora Duse… Da quel dramma il Verga e il de Roberto han tolto il libretto. Ho già messo in musica buona parte del primo atto. Visitai alcuni punti della Sicilia col Verga per l’ambiente; mi trattenni in specie su la pianura di Catania, a Modica, a Nicolosi, a Siracusa. Il mio amico Caselli prendeva fotografie.”

Vedo in uno stanzone presso il giardino una vera montagna di quaderni scritti. Non oso interrogare il Maestro per discrezione. Ma egli indovina la mia curiosità e mi dice: “Questi sono una parte soltanto de’ libretti che m’indirizzano poeti sconosciuti per le mie opere avvenire… “

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opera Bohème è attesa con molta ansietà e vorremmo pure attenderla come una rivelazione d’arte nuova. Tutto possiamo aspettarci dal compositore che ha scritto il secondo meraviglioso second’atto della Manon. Jarro

Il manifesto originale con cui la Bohème andò in scena nel 1896 sotto la direzione di Arturo Toscanini.


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Nel 1873 la prima sfilata di carnevale

Quei carri di cartapesta che conquistarono il mondo Satira, musiche, figure in movimento, ma soprattutto una tecnica che si è andata progressivamente raffinando fino ad oggi. Quando la Tv censurava i carristi a trovare la soluzione giusta per creare strutture sempre più ardite. Nel 1925 sfilano «I tre cavalieri del carnevale»: viene modellata la creta, poi viene fatto il calco in gesso e su questo s’incolla la carta, che poi viene colorata.

N di Paolo Di Grazia

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ffondano nell’Ottocento le radici del Carnevale di Viareggio, ma è nel periodo compreso fra le due guerre mondiali, negli anni Venti e Trenta, che la manifestazione si è strutturata per come la conosciamo adesso. In quel periodo infatti viene consacrata la sfilata sui viali a mare, vengono create le musiche che oggi fanno parte della tradizione, compaiono i primi movimenti dei mascheroni. Ed è soprattutto in quel periodo che viene affinata la tecnica della carta a calco che è alla base, ancora oggi, dei carri di cartapesta.

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a data di inizio del Carnevale è il 1873. Non è una data certa. È una convenzione, nel senso che da quell’anno risulta documentata una sfilata carnevalesca di carrozze lungo la via Regia, senza escludere che già prima si svolgessero feste e sfilate. Un rituale che si ripetè fino al primo conflitto mondiale, con carri che avevano a bordo mascheroni di gesso e legno, immobili come piccoli monumenti. Dopo la guerra i viareggini fecero una scelta audace: era il 1921 e

decisero di trasferire le sfilate di carri dalla via Regia ai viali a mare, che stavano rinascendo dopo il terribile rogo del 1917 che aveva distrutto le costruzioni di legno. La cittadina balneare stava prendendo coscienza delle sue potenzialità e il Carnevale doveva servire come volano promozionale della stagione estiva. Fu una scelta azzeccatissima. Da quel momento Viareggio e il suo Carnevale sono cresciuti di pari passo fino a trasformare una piccola manifestazione in una grande kermesse, capace di prendersi beffe dei potenti, anche dei gerarchi fascisti.

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in dal 1921 gli organizzatori vollero un inno ufficiale ed ebbero l’ardire di rivolgersi a Giacomo Puccini. Il Maestro li ricevette, parlò con loro e garbatamente declinò l’invito, dando però a loro l’indirizzo giusto di un musicista: Icilio Sadun, che scrisse «Su la coppa di champagne», il cui ritornello, con le parole rielaborate dagli antifascisti, divenne un inno contro lo squadrismo delle camicie nere e il cui testo originale è ancora oggi la colonna sonora della manifestazione.

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movimenti dei mascheroni comparvero per la prima volta nel 1923, quando un Pierrot, realizzato ancora con la vecchia tecnica della juta e del gesso da Umberto Giampieri, roteava dolcemente gli occhi. Fu il primo passo verso soluzioni sempre più spettacolari, perché quei pionieri del divertimento non si accontentarono più dei piccoli carri fino ad allora costruiti con l’apporto delle maestranze dei cantieri navali. Volevano fare qualcosa di più, volevano stupire il mondo.

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iareggio era una città piccola e povera. Abitata per lo più da pescatori, marinai e operai. Poveri, ma ricchi di intraprendenza e originalità. I carristi si adattavano con quello che avevano, usando materiale riciclato (a iniziare dalla stessa carta), lavorando in strutture precarie. Non esistevano ancora gli hangar; i carri nascevano all’interno di magazzini o addirittura nei giardini delle case. Due giovani carristi, Tono D’Arliano e Alfredo Pardini poco più che ventenni, prima di dare vita a memorabili battaglie a colpi di pennello, colore e modellatura, trascorsero notti insonni al freddo, pur di riuscire

e nasce una competizione unica nel suo genere. Ai padri della cartapesta, si aggiungeranno nel dopoguerra altri giganti come Arnaldo Galli, Alessandro Avanzini, Sergio Baroni, Giovanni Lazzerini. La Passeggiata si trasforma per un mese in un palcoscenico a cielo aperto dove sfilano costruzioni intrise di arte e satira. Già, la satira. Solo abbozzata nel periodo fascista, esplode negli anni Sessanta e Settanta, gli anni delle contestazioni studentesche e operaie, poi gli anni di piombo. Le pallottole dei carristi erano fatte di cartapesta, ma centravano sempre il bersaglio. Le loro satire erano temute e alle volte venivano censurate. Un esempio: la Rai, nel corso di una diretta tv, dipinse come un omaggio ad Amintore Fanfani, un carro di Silvano Avanzini in cui lo statista democristiano era una chioccia che partoriva una covata di pulcini, fra i quali uno nero, che mai fu inquadrato dalle telecamere... Tre date fondamentali. Nel 1931 compare per la prima volta sul manifesto ufficiale una maschera dal mantello nero e dal vestito a rombi bianchi e rossi. È Burlamacco, nato dalla fantasia e dalla matita di Uberto Bonetti, grafico e pittore, che avrebbe avuto un posto di rilievo nel futurismo italiano. Nel 1960 presero fuoco i vecchi hangar di legno di via Cairoli: andò tutto in fumo, tranne la voglia di ricominciare. Tant’è che nel 1961 i carri sfilarono regolarmente sui viali a mare. Poi il 2001 quando il 15 dicembre, viene inaugurata la Cittadella del Carnevale, la nuova casa dei “maghi della cartapesta” con 16 grandi hangar e un piazzale capace di ospitare spettacoli ed eventi.

Nella foto: è il 1932 e i carri sfilano sulla Passeggiata. Da un anno il Burlamacco è diventato la maschera ufficiale del Carnevale di Viareggio.


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La Versilia terra di cinema Dal “muto” fino a Spike Lee Sessanta lungometraggi hanno usato il nostro paesaggio come sfondo per le loro riprese E poi un numero incalcolabile di documentari

e anche successivamente alla chiusura della città del cinema voluta da Forzano.

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La vicinanza degli stabilimenti cinematografici di Tirrenia ha reso più facile l’utilizzo dei paesaggi e delle spiagge versiliesi come cornice per innumerevoli film.

di Umberto Guidi

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a Versilia è un luogo cinematograficamente interessante. Sono oltre 60 i lungometraggi di fiction che utilizzano gli esterni compresi fra il mare e le Alpi Apuane. L’elenco si allunga prendendo in considerazione i documentari e i cortometraggi. È evidente che l’attività produttiva che si è svolta a Tirrenia, fondata da Giovacchino Forzano nel 1934 fino agli anni ’60, abbia coinvolto questo lembo di Toscana. Tuttavia la vicinanza degli studi di Bocca d’Arno non esaurisce ovviamente il discorso sui set che, nel corso del tempo, hanno scelto la Versilia. Ci sono infatti sia un “prima” che un “dopo” Tirrenia. La macchina da presa si affaccia su questo spicchio di costa fin dall’epoca del muto

e l’immagine prevalente che il grande schermo restituisce della Versilia è quella della località di vacanza – questo a partire almeno dagli anni Trenta-Quaranta e fino ai giorni nostri - non mancano altre suggestioni a guidare i cineasti che scelgono gli ambienti di Viareggio e dintorni. Ai primi del Novecento Max Reinhardt venne a girare L’isola dei beati nella pineta viareggina e sulla spiaggia di Marina di Massa. Il regista austriaco vide nella riviera apuo-versiliese una sorta di luogo mitico, il paradiso naturale bramato dai mitteleuropei. Tre anni dopo, la grande Eleonora Duse gira a Viareggio alcuni provini dell’unico film della sua carriera, Cenere, diretto da Febo Mari e tratto dall’omonimo romanzo di Grazia Deledda. Nel 1926 la pineta viareggina è un luogo magico e minaccioso insieme in Maciste all’inferno, diretto da Guido Brignone e interpretato da Bartolomeo Pagano, il forzuto rivelato da Cabiria di Giovanni Pastrone (1914). Nel cinema poi arriva il sonoro e Viareggio fa valere subito il suo fascino balneare. Nel 1930 il primo film parlato italiano (La canzone dell’amore, Gennaro Righelli) inserisce una panoramica della costa viareggina nel contesto di una scena di mare girata sul litorale laziale. In un film successivo, La famiglia Brambilla in vacanza, ispirato all’omonima canzone dell’epoca e diretto nel 1941 da Carl Boese, si assiste al tentativo di una famiglia della media borghesia romana di inserirsi nel bel mondo che

frequenta Viareggio, durante una vacanza estiva.

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uesta immagine della Versilia come meta ambita e luogo di promozione sociale, dove si può stare a contatto con i “signori”, si prolunga in numerosi film di impianto balneare. Altre volte la vicenda ruota intorno all’incontroscontro tra personaggi di diversa estrazione sociale. È il caso di Guendalina (Alberto Lattuada, 1957), che propone una delicata storia d’amore tra una rampolla dell’alta borghesia in vacanza a Viareggio e un giovane del luogo, di modeste condizioni economiche. Anche Alberto Sordi, protagonista di Una vita difficile (Dino Risi, 1961) raggiunge Viareggio in piena estate per inseguire la moglie separata Lea Massari, che ha cercato una promozione sociale.

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n altri titoli ispirati al modello del viaggio, la Versilia ritorna come tappa obbligata di un percorso che generalmente si sviluppa dal Sud al Nord. Così La congiuntura (Ettore Scola, 1964) ci mostra una sosta mondana alla Bussola di Focette nell’itinerario di Vittorio Gassman, partito da Roma e diretto in Svizzera. In tempi più recenti il rito della tappa versiliese on the road è rinverdito nel 2001 da Il principe e il pirata, di Leonardo Pieraccioni, affiancato dal debordante comprimario Massimo Ceccherini.

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ra i titoli che fanno riferimento alla vacanza balneare vanno citati almeno La bella di Lodi (unico set versiliese di Stefania Sandrelli) di Mario Missiroli del 1963, Frenesia dell’estate (Luigi Zampa, 1964), co-sceneggiato da Mario Monicelli; La circostanza di Ermanno Olmi, un film d’autore del 1974 sulle vacanze a Forte dei Marmi di una famiglia della borghesia imprenditoriale; Peccato veniale, ancora del 1974, versione balneare di Malizia, che Salvatore

Samperi ambienta nella Versilia anni Cinquanta. L’operazione di recupero del passato si fa più esplicita con Sapore di mare (1982) e Sapore di mare 2 – Un anno dopo (1983). I due film, rispettivamente diretti da Carlo Vanzina e Bruno Cortini, rievocando le estati a Forte dei Marmi nella prima metà degli anni Sessanta lanciarono la moda del revival di un decennio da molti visto come “favoloso”. L’occhio del cinema continua a soffermarsi su spiaggia e ombrelloni ancora in tempi più recenti, con Bagnomaria (1999), esordio registico del comico Giorgio Panariello e A ruota libera, incursione del 2000 del napoletano Vincenzo Salemme. Anche il recente Un’estate al mare propone un episodio ambientato fra Marina di Pietrasanta e Forte dei Marmi.

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e l’immagine della Versilia è prevalentemente balneare (una breve scena di spiaggia girata a Forte dei Marmi compare persino nella superproduzione Il paziente inglese di Anthony Minghella, del 1996), ci sono anche titoli che raccontano altri aspetti di questo angolo di costa toscana. Torre del Lago, Puccini e la lirica sono elementi importanti di Puccini diretto da Carmine Gallone (1953); Puccini e la fanciulla di Paolo Benvenuti (2008) getta nuova luce su un episodio della vita del Maestro, mentre Sulla spiaggia e di là dal molo (2000) è il generoso tentativo di Giovanni Fago di trasferire in immagini il bel libro di Mario Tobino e raccontare la Viareggio che va dal 1920 agli anni Ottanta; al fascino del Parco Naturale Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli rende giustizia il drammatico Contronatura (2005) del regista torrelaghese Alessandro Tofanelli. Al passaggio della guerra e della strage nazista del 12 agosto 1944 si riferisce il discusso Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee.

Due modi opposti di raccontare la Versilia in un film. Nel tondo in alto Giorgio Panariello che esordì come regista con Bagnomaria (1999), in basso Spike Lee che lo scorso anno ha realizzato il discusso “ Miracolo a Sant’Anna.


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La redazione

La Nazione: quel “diario di bordo” che racconta ogni giorno la Versilia Il primo ufficio di corrispondenza risale al 1926, ma già dalla seconda metà dell’Ottocento i turisti andavano in spiaggia col foglio voluto da Ricasoli

‘60. In questo periodo la redazione è diretta da Aldo Valleroni, il cantore degli anni ruggenti del secondo dopoguerra. Nel 1967 gli succede Ugo Dotti, che reggerà la responsabilità della cronaca locale di Viareggio-Versilia fino al 1992.

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nche questi sono anni di forte trasformazione tecnologica. Resistono il fuorisacco e il telefono per trasmettere le notizie, si è aggiunta la telescrivente, che negli anni Settanta sarà soppiantata dal telefax (o più semplicemente fax). Le fotografie vengono inviate per fuorisacco, ma nei casi più urgenti c’è la telefoto: una macchina scansiona l’immagine e la trasmette alla redazione centrale.

di Umberto Guidi

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ella seconda metà dell’Ottocento, quando il giornale “La Nazione” muove i primi passi, Viareggio è una piccola città ben avviata sulla strada del turismo balneare. Nel 1860, mentre sono in corso i lavori di costruzione della ferrovia Pisa-Viareggio, i bagnanti che vengono in città durante l’estate sono 2.582: l’anno successivo saranno 4.012, per salire a 5.608 nel 1862. Nel 1860 ai primitivi stabilimenti balneari se ne aggiunge uno nuovo, il “Bagno Felice” di Felice Barsella. “La Nazione” è la lettura prediletta dei turisti ricchi e istruiti, molti dei quali provenienti da Firenze.

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el 1865, anno della costruzione del bagno Nettuno, Firenze diventa capitale del nuovo Regno d’Italia. In questi anni il flusso del turismo estivo continua ad aumentare, mentre crescono di numero gli stabilimenti balneari e nascono nuovi teatri come l’Alhambra (il futuro Politeama). Al volgere del seco-

lo ormai la vocazione turistica di Viareggio è ben salda e “La Nazione” testimonia con il suo notiziario l’ascesa di quella che è destinata a diventare la “Perla del Tirreno” .

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li anni Venti del Novecento vedono la definitiva affermazione di Viareggio come capitale del turismo balneare italiano, e non è un caso che nel 1926 “La Nazione” inserisca una pagina di cronaca locale dedicata a Viareggio, dove è attivo un corrispondente fisso.

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e notizie vengono trasmesse principalmente con il “fuori sacco”, una busta che viaggia sul treno all’esterno della posta normale; i fattorini ritirano le corrispondenze alla stazione. Poi si aggiungerà il telefono (le notizie vengono dettate agli stenografi) e, successivamente, la telescrivente. Si tratta di una macchina per scrivere a distanza: il cronista batte sua una tastiera a Viareggio, una macchina ricevente scrive le parole battute su un rullo di carta.

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a allora intere generazioni di cronisti locali della “Nazione” si sono avvicendate. Il giornale fondato da Bettino Ricasoli nel 1859 diventa così il testimone attento della realtà locale. Le pagine della “Nazione” sono lo specchio di un’intera comunità, l’ideale “diario di bordo” di un viaggio collettivo che, attraversato tutto il Novecento, prosegue nel terzo millennio. Nel periodo fra le due guerre Viareggio tocca l’apice dello sviluppo turistico, attirando uomini di cultura, spettacolo e arte. Tantissimi protagonisti del mondo teatrale italiano, da Leopoldo Fregoli a Ermete Zacconi, hanno fatto della Perla del Tirreno la loro città d’elezione.

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iareggio si sviluppa, e con essa la cronaca locale della “Nazione”, che negli anni Trenta apre anche un ufficio di corrispondenza a Pietrasanta. Nel dopoguerra prosegue la crescita della cronaca versiliese, che racconta gli anni della ricostruzione e poi del “boom”, seguendo la stagione dorata dei decenni ‘50 e

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ino ai primi anni ‘80 il giornale si stampa a piombo, cioè con la tecnologia “a caldo”; il passaggio all’offset (lavorazione a freddo) segna un’altra svolta importante anche per “La Nazione”.

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a vera rivoluzione in redazione arriva però nella seconda metà degli anni Ottanta, quando anche a Viareggio fanno la loro apparizione i personal computer e le vecchie macchine per scrivere vanno in pensione. Dapprima sono semplici terminali per inviare pezzi; poi anche i cronisti locali devono imparare a fare i titoli, quindi a impaginare. Col tempo le foto cartacee lasciamo il campo alle digitali, che viaggiano per via telematica. Non c’è più bisogno di trasferire il testo o l’immagine dal foglio di carta alla tipografia: a tutto pensa il computer.

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el 1992 il testimone passa a Pier Luigi Tommasi, che guida la redazione fino al 1999, anno in cui diventa responsabile di redazione l’attuale caposervizio, Enrico Salvadori. Nel frattempo il giornale ha aumentato il numero delle pagine dedicate alla Versilia, cambiato formato e introdotto il colore.

Nella foto: da sinistra Umberto Guidi, Giovanni Lorenzini, Rossella Battista, Paolo Di Grazia, Beppe Nelli e il caposervizio Enrico Salvadori.


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Quando la Versilia inventò la vacanza

Quei favolosi anni Sessanta Dalla Bussola di Bernardini alla Capannina di Franceschi Un nuovo modo di cantare, ballare, vestirsi, fino alla contestazione del ’68

C Nella foto grande: una giovanissima Stefania Sandrelli posa sulle spalle di Gastone Parigi sulla spiaggia delle Focette. Nel tondo: una delle mitiche serate alla Bussola di Bernardini.

i fu un periodo in cui la Versilia insegnò al mondo il significato stesso di vacanza, fino ad allora privilegio di pochi, di pochissimi. Fu nell’immediato dopoguerra, quando l’Italia seppe rialzarsi e tornare a sperare. Erano gli anni Sessanta, anni di boom economico si disse, perché la lira era diventata una moneta forte, la ricostruzione era a buon punto, crescevano le esportazioni e le prospettive per l’immediato futuro erano buone. Per questo, finalmente, ci fu spazio anche per pensare al riposo, alle vacanze, al divertimento.

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a spiaggia della Versilia richiamava turisti da ogni parte d’Italia. Ma soprattutto da Nord, (i milanesi si diceva allora) e ovviamente dalla Toscana. I primi si fermavano in gran parte al Forte dei Marmi, i toscani invece le preferivano Viareggio, il Lido di Camaiore, Pietrasanta. Il giorno era dedicato al mare, alla spiaggia, alle gite in pattino. Lunghe ore sotto l’ombrellone, passeggiate lungo la battigia, interminabili partite a canasta

nelle terrazze dei lidi vista mare. Ma era la sera, dall’aperitivo in poi, che la Versilia sembrava offrire il meglio di sé.

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i furono uomini che riuscirono a interpretare prima e meglio degli altri cosa stava accadendo. Uno di questi, anzi il primo di questi, fu Sergio Bernardini. Da sempre organizzava feste, locali, serate, e in quel periodo prese a gestire un locale alle Focette, a due passi dal mare, a quale dette il nome che sarebbe diventato leggendario: La Bussola.

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ui, si alternavano per tutta la stagione cantanti ed orchestre famosi, ma altre volte arrivarono qui cantanti ed orchestre non ancora noti e ne uscirono da autentici trionfatori, famosi. E dunque, era la Bussola che ospitava i migliori o piuttosto li rendeva tali? L’una e l’altra cosa, il locale versiliese era il più importante d’Italia. Bastava entrarvi da protagonisti, ed il successo era pressoché assicurato. Era invece difficile entrarvi per i giovani di allora. Quasi sempre al completo, il locale sembrava destinato ad una alta borghesia che ne aveva fatto il suo tempio. Per gli altri, tutti gli altri, ragazzini con il pullover appoggiato con negligenza sulle spalle secondo la moda di quei giorni, non restava altro che ascoltare musica e canzoni dalla spiaggia. Dalla “rotonda sul mare”.

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elentano e Tony Renis, Fred Buongusto, Little Tony, Dallara, ma soprattutto Mina l’impareggiabile, erano i vincitori indiscussi di quelle lunghe notti versiliesi. E i loro dischi andavano a ruba. Erano i giorni dei 45 giri, quelli dei jukebox, e una canzone lanciata per l’estate resisteva vincente per


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Nella foto grande: Mina fu la regina indiscussa delle notti versiliesi. Il locale più esclusivo rimase sempre la Capannina di Franceschi (nel tondo) dove i vip si davano appuntamento al tramonto per organizzare le loro serate.

tutto l’inverno. Ecco, la Bussola fu un fenomeno senza precedenti, e ad oggi non più ripetuto né forse ripetibile. Dava voce, incarnava la Nuova Italia, diceva a noi tutti nati dopo la guerra, che la vita poteva anche essere diversa, molto diversa da come l’avevano vissuta i nostri padri, quelli distrutti dall’avventura del regime fascista e dalla guerra civile che ne era seguita.

Negli anni Sessanta i nuovi ricchi, figli del boom del dopoguerra, fanno della Versilia il loro tempio. Si lanciano così nuove tendenze nella musica, nel vestirsi e in genere nel modo di trascorrere la vacanza.

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on meravigli, dunque, se la Versilia di quegli anni insegnò anche altre cose, impose nuove mode, a cominciare dal modo di vestirsi. Tanto che nella storia del Made in Italy c’è un capitolo, alla voce “abbigliamento”, che prende appunto il nome di “stile Versilia”. Di cosa si trattava? Il luogo dove si impose fu la Capannina del Forte dei Marmi.

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ui, ormai da trenta e quarant’anni, arrivavano le prestigiose famiglie degli Agnelli, dei Moratti, il duca Visconti di Modrone e i marchesi di Montemayor, la principessa Ruffo, il principe Corsini, i della Gherardesca e così via. La sera, si ritrovavano in un locale di proprietà dei Franceschi che in origini era stato soltanto una capanna di frasche in mezzo all’arenile. Alla fine degli anni Cinquanta i Franceschi avevano rilanciato il locale, chiamando ad esibirsi personaggi come Edith Piaf. Ma fu soprattutto alla metà degli anni Sessanta, quando la gestione passò a Nevio Franceschi, che la Capannina divenne capace di imporre modi e mode.

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uale? Diciamo un atteggiamento “rilassato”, ovvero camicie con i polsini aperti, golf di cachemire appoggiati sulle spalle, mentre

l’avvocato Agnelli insegnava che l’orologio si poteva benissimo portare sopra il polsino della camicia. I colletti erano ostentatamente aperti sul collo e sul petto abbronzati, mentre le ragazze sapevano che niente era più pacchiano di un collier o di un bracciale d’oro. Ecco, quel modo di vestirsi – che tradiva un modo di essere – era forse l’anticamera del casual che si sarebbe imposto nell’arco di dieci anni. Ma intanto era una divisa. Basta con i doppi petto, i vestiti grigi o blu, le giacche imbottite come un’armatura. L’uomo si liberava degli orpelli e ritrovava il piacere del proprio corpo, fino ad esibirlo invece che preoccuparsi di nasconderlo. Pare poco? Forse questo contava più delle

canzoni di Mina. C’erano poi altre mode nella Forte dei Marmi di allora e sono arrivate fino ad oggi. La prima era quella di muoversi in bicicletta, già sfatando il mito dell’automobile che pure imperversava in quegli anni.

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ibibletted con un paniere sul davanti, posto sopra il parafango della ruota anteriore, dove depositare qualche oggetto, meglio se una “schiacciatina” comprata da Valè, che per decenni fu il corredo indispensabile ad una mattinata sulla spiaggia. Le giornate erano lente, volutamente lente in Versilia. Dove arrivarono ben presto i vip da ogni parte d’Italia, compresi gli artisti, e gli animatori culturali.

Così, nell’estate versiliese si avevano alcune delle mostre più importanti nel panorama nazionale, si vendevano quadri d’autore, si organizzavano incontri con scrittori e poeti che andavano per la maggiore, non era tutto ballo, non era tutto musica, non era tutto “ye ye”.

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dunque, la nuova borghesia, arricchitasi negli anni del dopoguerra aveva fatto di questi trenta chilometri di spiaggia bianca il proprio tempio estivo. E non fu un caso che proprio dalla Versilia, anzi dalla contestazione della Versilia e dei suoi riti, sarebbe cominciata la stagione del ’68, con l’assalto alla Bussola degli studenti pisani per la festa dell’ultimo dell’anno.


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Ermanno: storia di un bambino ucciso e nascosto sotto la sabbia La vicenda Lavorini appassionò per mesi l’opinione pubblica Un assedio mediatico senza precedenti per una vicenda che ancor oggi presenta numerosi misteri

Nella foto: Ermanno Lavorini nel giorno della sua Prima Comunione. Il bambino versiliese aveva dodici anni quando scomparve nel gennaio del 1969. Il suo cadavere fu ritrovato nella spiaggia quasi tre mesi dopo.

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edofilia, sangue, violenze, e nello stesso tempo tutti i vizi e la noia di una ricca provincia. Che d’estate era al centro del mondo, e d’inverno si ritrovava sola, con i vuoti immensi della propria coscienza. Ermanno Lavorini era un bambino di 12 anni, scomparso alla fine del gennaio 1969, cercato inutilmente e fra mille ipotesi per mesi, poi ritrovato – ma ormai era solo un cadavere – da un cane che giocava sulla spiaggia di Marina di Vecchiano, il 10 marzo dello stesso anno. La sua vicenda divenne un caso di cronaca nera fra i più dolorosi e appassionanti del dopoguerra. Con il caso Montesi ed il processo Fenaroli, fece la storia giudiziaria del nostro Paese, almeno quella che appassionò le folle, la massa, i lettori di quotidiani e rotocalchi.

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a Versilia tremò, di fronte ad un assedio mediatico senza precedenti. Decine di inviati speciali da ogni parte

i poteva fare di più nelle indagini? Certamente, con gli attuali metodi di indagine, soprattutto di indagine scientifica, il caso Lavorini forse si sarebbe risolto in poco tempo, ed è probabile che altri, e certamente più adulti e più conosciuti, sarebbero finiti sul banco degli imputati. In ogni caso, in quei giorni, fu chiaro a tutti che l’Italia dei grandi ideali della ricostruzione, l’Italia che pensava solamente a rialzare la testa dopo la guerra civile, era finita. Per sempre.

d’Italia e anche dal resto d’Europa, vennero a Viareggio per strappare anche il più piccolo indizio di cronaca da offrire ai lettori. Come sempre in certe situazioni si moltiplicarono le lettere anonime, il popolo stabilì le sue sentenze, i giudizi si sprecarono, e molti innocenti ne pagarono le conseguenze. Primo fra tutti Giuseppe Zacconi, il figlio del grande attore Ermete, che indicato da molti come probabile responsabile del delitto non resistette alle infamie, e si uccise pur essendo sicuramente innocente.

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utto in quegli anni era politica, secondo uno slogan tanto caro ai contestatori. E così anche il caso Lavorini lo divenne, dal momento che ad essere arrestati furono dei giovani del fronte monarchico, arrestati il 19 aprile e condannati infine nel processo che si concluse nel 1975. Ma c’entrava davvero la politica? Di certo un gruppo di pedofili

organizzava incontri con dei ragazzini. Forse, durante una di queste orge Ermanno morì, e si pensò bene a costruire intorno alla vicenda un muro di omertà, anzi, una serie di indizi che spostassero altrove le ricerche della verità. Questa è la ricostruzione più probabile, perché il rapimento vero e proprio – nonostante che poche ore dopo il sequestro qualcuno telefonasse per chiedere un riscatto – non appare probabile. Questo perché la famiglia di Ermanno non era certo ricca, o comunque quel ragazzino non poteva essere l’obiettivo – fra i tanti possibili in Versilia – di un gesto criminale del genere.

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allora chi era veramente colpevole? Oltre alla depravazione di certi ambienti versiliesi, è chiaro che i colpevoli veri, e cioè i probabili organizzatori di orge con i minorenni, sono rimasti in gran parte sconosciuti.

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rmai avevamo davanti una realtà più complessa, più difficile da analizzare, dove la questione della sopravvivenza diventava assolutamente marginale, e l’uomo prendeva a fare i conti con aspetti più profondi della sua psiche, e li trascinava all’interno del vivere sociale. E dunque, un’Italia più adulta, non per questo più meritevole di rispetto.

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a Nazione affidò i suoi articoli al corrispondente Ugo Dotti, all’inviato Mauro Mancini, ma soprattutto a Piero Magi, che poi sarebbe diventato direttore dello stesso giornale portandolo alle vendite record di oltre 200 mila copie.

La vicenda del piccolo Ermanno mosse sulla Versilia l’attenzione di giornali e tv e rivelò i vizi e le scabrose storie dei lunghi inverni di Viareggio e dintorni.


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Diciassette coltellate nella notte per un giallo al Forte dei Marmi Maria Luigia Redoli, la Circe, ed il suo amante Carlo Cappelletti, ancora scontano la condanna Le drammatiche fasi dell’arresto fra colpi di pistola e tentativi di suicidio

di aver ucciso per appropriarsi dell’eredità. I circa sette miliardi di lire posseduti da «Gasparello» che viveva in modo modesto ma aveva fama di prestare i soldi a tassi non proprio di favore.

Nella foto: Maria Luigia Redoli con Carlo Cappelletti in una foto che li ritrae felici prima dell’omicidio del marito di lei.

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due indiziati si erano conosciuti solo pochi mesi prima del delitto. Cappelletti, originario di Norma (Latina) è carabiniere a cavallo di stanza alla Versiliana e intreccia la relazione con una donna molto esperta ed appariscente. Gli indagati riescono a ottenere una prima scarcerazione, il castello accusatorio non sembra solidissimo e la conferma arriva dal processo di primo grado celebrato a Lucca. Infatti c’è l’assoluzione per loro e anche Tamara viene completamente scagionata.

di Enrico Salvadori

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iciassette coltellate vibrate la notte del 17 luglio 1989. Un caso che sconvolse l’opinione pubblica, e divise l’intero Paese. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti su Maria Luigia Redoli, la Circe come la battezzò il nostro compianto collega Ugo Dotti. La Circe, all’epoca dei fatti cinquantenne, è sempre in carcere perché ritenuta colpevole della morte del marito Luciano Iacopi, 19 anni più vecchio di lei. Un efferato delitto compiuto, appunto, quella notte tra il 16 e il 17 luglio che secondo la legge ha avuto due esecutori: la Redoli e il suo giovane amante Carlo Cappelletti, all’epoca 24enne anche lui ancora detenuto. Entrambi sono stati condannati all’ergastolo in appello, sentenza confermata in Cassazione, dopo che era stata ribaltata quella di primo grado con la quale la Corte

d’assise di Lucca aveva assolto i due amanti. Le lancette dell’orologio vanno rimesse indietro, a quell’afosa notte di luglio di vent’anni fa quando nel garage della villetta di via Provinciale viene trovato il cadavere martoriato di “Gasparello”, così in paese veniva chiamato Luciano Iacopi. Siamo a Forte dei Marmi, il paradiso dei vip, e il delitto di piena estate finisce su tutti i giornali e le tv.

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el mirino degli investigatori finiscono subito i due amanti, coloro che hanno scoperto l’omicidio e dato l’allarme, dopo una serata trascorsa alla Bussola insieme ai figli della Redoli e di Iacopi, la diciottenne Tamara e il quattordicenne Diego. Dopo oltre due settimane di indagine arriva il primo colpo di scena con l’arresto dei due amanti e inizialmente anche della figlia Tamara. L’accusa è quella

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i arriva al processo di appello. L’interrogativo più grosso riguarda il tempo necessario per compiere la mattanza. Secondo l’accusa gli amanti, in poco più di mezz’ora, sarebbero usciti da un hotel di Lido di Camaiore, avrebbero raggiunto la casa di via Provinciale dove Iacopi era appena arrivato (dopo aver trascorso la domenica in compagnia di un’amica a Follonica), l’avrebbero ucciso, si sarebbero cambiati gli abiti lordi di sangue e poi sarebbero andati a ballare alla Bussola insieme ai figli di lei che li avevano attesi in auto. Secondo la difesa non c’era invece il tempo materiale per compiere il delitto, e dopo essere transitati in auto sulla via Provinciale per vedere se “Gasparello” era rincasato, i quattro sarebbero andati direttamente a ballare. C’è infatti la testimonianza di uno degli addetti all’ingresso della Bussola che sottolinea come alle 22 in punto i quattro si siano presentati alla porta del locale delle Focette e siano entrati sereni e tranquilli. Ma i giudici di secondo grado dimostrano di dare molto peso all’intercettazione telefonica nella quale la Redoli parla con un mago di Viareggio al quale

ammette di aver versato 15 milioni di lire affinché l’astrologo le procurasse un fantomatico killer per uccidere il marito. «Sia ben chiaro - dirà la Circe al suo interlocutore nell’intercettazione - che io rivoglio quella somma perché altri hanno fatto quel lavoro».

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na ammissione importante, ma il dubbio assale anche i giudici di secondo grado che con decisione insolita rinnovano il dibattimento dopo essersi già riuniti in camera di consiglio per approfondire alcuni temi. Ma la sofferta sentenza ribalta il giudizio di primo grado: colpevolezza ed ergastolo ad entrambi. Le polemiche infuriano anche qualche mese dopo, quando la Cassazione deve emettere il giudizio definitivo. Un caldo pomeriggio di ottobre, la Redoli e Cappelletti vengono prelevati dai carabinieri nella loro abitazione del Forte per finire in carcere. Fuori c’è folla ma nessuno può ipotizzare l’ultimo colpo di scena: Cappelletti affronta i suoi ex colleghi con una pistola di piccolo calibro. Spara alcuni colpi e ferisce di striscio uno dei militi. Poi tenta di uccidersi gettandosi dalla finestra ma rimane solo ferito. Per lui e la sua amante si aprono le porte del carcere a vita. Dietro le sbarre l’amore finisce.

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el frattempo la Redoli ha rotto anche con i due figli Tamara e Diego che hanno ottenuto l’«indegnità della madre» e si sono divisi l’eredità. Qualche mese fa l’ultimo colpo di scena. In una piovosa mattinata in paese è riapparsa la Redoli: look decisamente più dimesso è tornata per la prima volta al Forte per un permesso. È andata a pregare sulla tomba del marito, poi è rientrata al carcere milanese di Opera dove sconta la pena. Per lei la semilibertà appare vicina. I dubbi su chi possa aver compiuto quell’efferato delitto restano.

I due amanti furono scagionati durante il processo di primo grado, ma condannati all’ergastolo in appello. La sentenza fu poi confermata dalla Cassazione. I figli della Redoli, Tamara e Diego hanno ottenuto l’eredità sostenendo “l’indegnità della madre”.


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Era il 19 giugno del 1996

Il cielo si aprì all’improvviso E su Cardoso si scatenò il diluvio Morte e distruzione alla vigilia della stagione balneare I tronchi degli alberi e una cascata di fango contro le case

due bambini: Giulia Macchiarini e Alessio Ricci, di 4 e 8 anni, le loro foto sono diventate le icone del calvario subito dall’Alta Versilia) ma per tutto il territorio che già in altre occasioni, dal 1850 in poi aveva subito attacchi dalla natura, ma era riuscito a rintuzzarli. Stavolta però, è stato diverso. Molto diverso. Drammaticamente diverso. La giornata del 19 giugno 1996 si era aperta con previsioni metereologiche che annunciavano forti perturbazioni nell’alta Versilia, in particolar modo nei comuni di Stazzema e Seravezza: l’allarme scatta fin dalle prime ore della mattina, ci sono allagamenti e smottamenti, attorno a Pontestazzemese, Farnocchia e Pomezzana, suggestivi paesi che punteggiano le montagne. Nessuno però pensa che dietro quella pioggia, che intorno alle 12 cala di intensità ci sia il dramma.

Una cascata di fango corse per venti chilometri da Cardoso fino al mare. Colpite duramente le aziende del settore marmifero. Fra i morti anche due bambini.

di Giovanni Lorenzini

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9 giugno 1996, il giorno dell’apocalisse. L’Alta Versilia viene squassata da un’alluvione senza precedenti. Quattordici vittime, paesi distrutti, strade e ponti sbriciolati, case allagate, aziende in ginocchio. Un’ecatombe. Cardoso è l’epicento del dramma. Il piccolo centro sotto il monte Forato diventa il cuore ferito di tutta la Versilia. È a Cardoso che abitavano la maggior parte delle persone trascinate via con le loro abitazioni dalla furia devastante del fiume Vezza; è qui che l’acqua e la montagna si sono fuse trasformandosi in un

killer micidiale, che ha seminato di lutti e di disperazione il suo cammino fino a Seravezza, quando il fiume – fondendosi con il Serra – diventa il ‘Versilia’ per poi sfociare al mare sul confine fra la provincia di Lucca e di Massa. E il Versilia, gonfio di fango, si è portato dietro i corpi di molte vittime, abbandonandoli poi lungo il tragico percorso verso la foce, tracimando a Pietrasanta e poco prima del Cinquale, seminando anche in quelle zone danni e dolore.

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n giorno indimenticabile non solo per le famiglie che hanno perso i loro cari (fra gli scomparsi, anche

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l peggio doveva ancora arrivare e si materializza, sotto una pioggia torrenziale, intorno alle 13,30 a Cardoso dove il fiume Vezza, scende impetuoso e ingrossato dal fango “prodotto” dalla montagna che si stava sbriciolando, rinforzato da tronchi d’albero e da tutto quello che incontra sul suo devastante percorso: gli abitanti del paese non si aspettavano una furia impetuosa del genere. C’è comunque chi riesce a mettersi in salvo, chi si trova con l’acqua in casa, ma chi – ed è qui che si consuma la tragedia più grande – abita nelle case vicino agli argini, troppo tardi, capisce che il fiume stavolta è assassino.

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tronchi degli alberi che galleggiano nel fiume in piena, diventano arieti contro i muri delle case, l’acqua tracima. Cardoso è sepolto da fango e acqua. Il dramma si consuma in pochi attimi. Senza via d’uscita: il fiume avanza impetuosamente

seminando terrone, tracima a valle, invade Pontestazzemese, allaga la sede del Comune, demolisce l’albergo all’ingresso del paese e trasforma brutalmente in macerie ogni cosa che incontra lungo la strada che porta a Seravezza. In alcuni tratti il muro d’acqua è alto quattro metri: altre esondazioni e vittime anche a Pietrasanta nella zona industriale, con decine di aziende del settore lapideo, che finiscono in ginocchio. Venti chilometri, da Cardoso al mare, di devastazione, di macerie, di lutti.

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e prime immagini che arrivano dai luoghi della tragedia sono impressionanti: il recupero delle salme si trasforma in un ulteriore sudario di dolore, perché i corpi – dopo i cinque del primo giorno – vengono recuperati nelle ore successive, anche alla Spezia.

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na delle salme non è stata mai trovata, alimentando ulteriormente la disperazione dei suoi familiari. Dolore, dolore e disperazione: le storie delle vittime fanno calare una pesantissima cappa di disperazione su tutta la Versilia che il 19 giugno si stava preparando a vivere la stagione estiva, il tradizionale divertimentificio da Torre del Lago a Forte dei Marmi. Ma quella del 1996 fu un’estate triste, venata dal ricordo di quanto avvenuto a Cardoso.


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Quando la pubblicità “pensava” alla salute

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illole contro la “nevrastenia”, magici ritrovati che facevano bene all’intestino, sciroppi per ogni disturbo della gola e della voce, balsami e creme che garantivano miracoli. La pubblicità delle origini è pressoché totalmente dedicata a prodotti per la salute. Se non sono vere e proprie medicine, così come oggi le intendiamo, almeno ci provano.

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ogico dunque che in Versilia, dove la cura del corpo assume valore di rito, se non perfino di religione, si moltiplicassero le offerte per quello che oggi chiameremmo il “benessere”. Viareggio, Forte dei Marmi, così come le altre prestigiose stazioni balneari di ogni parte d’Italia, sono dunque i luoghi dove ciarlatani, venditori di pozioni e di elisir più spesso convergono nella certezza di fare buoni affari.

Alcuni esempi delle proposte pubblicitarie, mediche e paramediche, apparse su La Nazione all’inizio del Novecento.

La Nazione ti segue in vacanza Gli abbonati, per i quotidiani dell’Ottocento, erano la vera forza del giornale. Ecco allora una proposta pubblicitaria de La Nazione, decisamente insolita, anzi “avveniristica”. Quella di seguire i propri lettori anche ai “bagni” e nella villeggiatura. Tenendo presente che la “vacanza mordi e fuggi” era ben lontana da venire e che i periodi da trascorrere fuori città, per le famiglie borghesi dell’epoca, duravano l’estate intera. Ovviamente i prezzi erano maggiori. Ma valeva la pena di spendere, pur di avere ogni giorno il proprio giornale. Resta da fare una considerazione. Le regie poste, all’epoca, funzionavano meglio di quelle di un secolo dopo, quando i quotidiani furono costretti a rinunciare alla “politica” degli abbonamenti, perché la consegna del giornale ogni mattina era diventata impossibile.


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